Piano
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STORIA D'ITALIA Voi. I 476-1250 STORIA D'ITALIA Voi. II 1250-1600 STORIA D'ITALIA Voi. I l i 1600-17...
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Piano
dell'opera:
STORIA D'ITALIA Voi. I 476-1250 STORIA D'ITALIA Voi. II 1250-1600 STORIA D'ITALIA Voi. I l i 1600-1789 STORIA D'ITALIA Voi. IV 1789-1831 STORIA D'ITALIA Voi. V 1831-1861 STORIA D'ITALIA Voi. VI 1861-1919 STORIA D'ITALIA Voi. VII 1919-1936 STORIA D'ITALIA Voi. V i l i 1936-1943 STORIA D'ITALIA Voi. IX 1943-1948 STORIA D'ITALIA Voi. X 1948-1965 STORIA D'ITALIA Voi. XI 1965-1993 STORIA D'ITALIA Voi XII 1993-1997
INDRO
MONTA NELLI
IS TO RI A ID'ITALIA ~
I83 I I86 I INDRO MONTANELLI
L'JTALIA DELRISOR GIMENTO Dal r83r al 1861
STORIA D'ITALIA Voi. V EDIZIONE PER OGGI pubblicata su licenza di RCS Libri Sf.p.A., Milano © 2006 RCS Libri S.p.A., Milano Indro Montanelli Ultalia del Risorgimento © 1972 Rizzoli Editore, Milano © 1998 RCS Libri S.p.A., Milano Progetto grafico Studio Wise Coordinamento redazionale: Elvira Modugno Fotocomposizione: Compos 90 S.r.l., Milano
Allegato a OGGI di questa settimana NON VENDIBILE SEPARATAMENTE Direttore responsabile: Pino Belleri RCS Periodici S.p.A. Via Rizzoli 2 - 20132 Milano Registrazione Tribunale di Milano n. 145 del 12/7/1948
Tutti i diritti di copyright sono riservati
G
li anni della nascita della Nazione»: così potrebbe essere riassunto questo volume in cui vediamo finalmente attuarsi, dopo vicende tumultuose e drammatiche, l'Unità italiana con la proclamazione - il 17 marzo 1861 a Torino - del Regno d'Italia sul cui trono sale Vittorio Emanuele II di Savoia. E la ricostruzione della grande ventata rivoluzionaria del 1848 e del 1849 con le sue generose speranze di riscatto alle quali avevano aderito Carlo Alberto e Pio IX - sia pure con intenzioni e fini diversi - e costretto Ferdinando II a promulgare la Costituzione nel Regno delle Due Sicilie; dell'impari guerra contro l'Austria e delle catastrofiche sconfitte di Custoza e di Novara; della tragica epopea della Repubblica romana che aveva la sua mente politica in Mazzini e la sua spada in Garibaldi. Degli anni successivi in cui Cavour progetta una limitata espansione del regno di Sardegna verso Lombardia e Veneto, ricostruisce l'esercito piemontese e riesce a ottenere, grazie a un sottile gioco diplomatico e alla guerra di Crimea, l'appoggio della Francia e la benevola neutralità dell'Inghilterra. Della vittoria contro l'esercito austriaco nella sanguinosa campagna del 1859, grazie alle battaglie di Magenta e di Solferino. Dell'impresa di Garibaldi e dei Mille che riescono a sconfiggere l'esercito di Francesco II creando così le premesse per l'annessione del Regno delle Due Sicilie al nascente Stato unitario italiano, della stagione dei referendum che spazzò via - non importa in che modo - ducati e granducati e, finalmente, della solenne proclamazione della nascita del Regno d'Italia. Rimaneva aperto, è vero, il mai sopito scontro tra monarchici e repubblicani; nasceva quella che Antonio Gramsci definì «la quistìone meridionale», con un Sud di fatto «colonizzato» - e male - dai piemontesi; il peculato diventava prassi ordinaria nell'amministrazione della cosa pubblica... Tuttavia, finalmente, il sogno di generazioni di uomini e don1
ne che aspiravano, contro tutto e tutti, a voler essere disperatamente italiani era stato realizzato. INDRO MONTANELLI (Fucecchio 1909 - Milano 2001) è stato il più g r a n d e giornalista italiano del Novecento. Laureato in legge e in scienze politiche, inviato speciale del «Corriere della Sera», fondatore del «Giornale nuovo» nel 1974 e della «Voce» nel 1994, è tornato nel 1995 al «Corriere» come editorialista. Ha scritto migliaia di articoli e oltre c i n q u a n t a libri. Tra i suoi ultimi successi, tutti pubblicati da Rizzoli, ricordiamo: Le stanze (1998), Lltalia del Novecento (con Mario Cervi, 1998), La stecca nel coro (1999), Lltalia del Millennio (con Mario Cervi, 2000), Le nuove stanze (2001).
Indro Montanelli
L'ITALIA DEL RISORGIMENTO (1831-1861)
AVVERTENZA
Alcuni storici mi hanno già fatto osservare ch'è arbitrario chiamare Italia del Risorgimento solo quella che va dal 1831 al 1861. Secondo loro, il Risorgimento comincia molto prima, per qualcuno nel '15, per altri con la Rivoluzione francese, per altri ancora alla metà del Settecento. Non lo discuto. Ma credo che questi problemi, come si chiamano, di «periodizzazione» non abbiano, per il lettore, molta importanza. Certo, l'idea risorgimentale comincia a balenare molto prima del '31, e io stesso ne ho registrato i primi guizzi nei due precedenti volumi, e specialmente - si capisce - nell'ultimo: L'Italia giacobina e carbonara. Se non ne ho ricostruito tutta la vicenda in un solo volume, è solo perché questo sarebbe risultato troppo grosso e ingombrante: tutto qui. E solo per questo ho preferito dare il nome di Ris o r g i m e n t o al trentennio in cui esso maturò fino alla proclamazione dell'unità. Qualche altro mi rimprovera di aver abbandonato il metodo delle grandi sintesi che ho seguito per le epoche precedenti. A questa contestazione ho già risposto, ma preferisco ripetermi. Via via che ci avviciniamo ai giorni nostri, la storia si articola sempre di più, si moltiplicano i protagonisti e si aggrovigliano i fattori che la determinano. Faccio un esempio: la storia politica del Quattrocento si può anche ridurre a una lotta di potere limitata ad alcuni Principi e Condottieri con le loro «combinazioni» di alleanze e tradimenti, come la concepiva e teorizzava Machiavelli. Gl'interessi economici vi pesavano poco perché le categorie produttive ne erano estromesse, e i problemi sociali non vi avevano posto non perché non esistessero, ma perché non ce n'era coscienza. Dalla Rivoluzione francese in poi le cose cambiano. La società diventa più complessa, si delineano
nuovi ceti con le loro ambizioni e i loro conflitti, si moltiplicano i protagonisti. E quindi inevitabile che il racconto si faccia più dettagliato. Ma c'è anche un altro motivo. Legittima o bastarda, l'Italia d'oggi è la figlia di quella del Risorgimento, ed è quindi in questo periodo che ne vanno cercati i caratteri e le malformazioni. Se siamo fatti in un certo modo è perché il Risorgimento si fece in un certo modo. E siccome per me la Storia non è che la ricerca nel passato dei perché del presente, ho sentito il dovere, per questa fase, di spingere lo scandaglio più a fondo e di allargare il panorama. Come al solito, non ho messo note a pie di pagina per segnalare le fonti a cui ho attinto i brani di conversazioni o dì lettere che riporto, e di cui faccio cenno solo nella bibliografia. Il lettore sappia però che tutto ciò che viene riferito tra virgolette ha nei testi la sua convalida: nulla è stato aggiunto di fantasia. Gli unici che non ho virgolettato sono alcuni brevi passaggi relativi a Garibaldi, tratti di peso dalla biografia che a lui ho dedicato con la collaborazione di Marco Nozza. Ma non mi pare di doverne chiedere scusa a nessuno perché credo che il plagio di se stesso sia consentito dal regolamento, anche il più rigoroso. Lunica scusa che devo al lettore è, caso mai, per lo scarso spazio che stavolta ho riservato ai problemi culturali e ai loro protagonisti. Ma nell'ultimo capìtolo, quello dedicato a Verdi, spero di averne spiegato a sufficienza il perché.
Ottobre '72
«Non è il quadrilatero di Mantova e Verona che ha potuto arrestare il nostro cammino, ma il quadrilatero di 17 milioni di analfabeti e di 5 milioni di Arcadi.» P. VILLARI
CAPITOLO PRIMO
POSCRITTO AL'31
C o n Lltalia giacobina e carbonara, a b b i a m o lasciato il n o s t r o Paese sul risucchio dei moti del ' 3 1 , che n o n ne avevano alt e r a t o la s t r u t t u r a . Esso restava diviso, in base ai trattati di V i e n n a del 1815, in otto Stati: il R e g n o s a r d o - p i e m o n t e s e , o r a a r r i c c h i t o della Liguria, sotto la dinastia dei Savoia; il L o m b a r d o - V e n e t o r i d o t t o a p r o v i n c i a dell'Austria c h e da questa posizione di forza esercitava il suo alto p a t r o n a t o su t u t t a la p e n i s o l a ; il D u c a t o di M o d e n a e R e g g i o sotto la p l u m b e a s o v r a n i t à d i Francesco IV, P r i n c i p e p e r m e t à Estense, cioè italiano, p e r m e t à L o r e n a , cioè austriaco; quello di P a r m a e Piacenza, a t t r i b u i t o a titolo vitalizio a Maria Luigia, figlia d e l l ' I m p e r a t o r e d'Austria e vedova di N a p o leone; il G r a n d u c a t o di Toscana sotto L e o p o l d o II di L o r e na, a sua volta nipote d e l l ' I m p e r a t o r e d'Austria; il Principato di Lucca, m o m e n t a n e a m e n t e a m m i n i s t r a t o dai B o r b o n e in attesa c h e la m o r t e di M a r i a Luigia consentisse l o r o di trasferirsi a P a r m a l a s c i a n d o Lucca al G r a n d u c a ; gli Stati della Chiesa che c o m p r e n d e v a n o il resto dell'Emilia, la Rom a g n a , le M a r c h e , l'Umbria e il Lazio; e il R e g n o delle D u e Sicilie sotto la dinastia dei B o r b o n e di Napoli, o r m a i saldam e n t e legati all'Austria. A differenza di quelli del '21 c h e si e r a n o p r o p a g a t i un p o ' a tutta Italia, i moti del '31 avevano investito soltanto gli Stati della Chiesa e i d u e piccoli Ducati centrali, cioè quelli di M o d e n a e Parma. Secondo alcuni storici, essi n o n avevano esercitato forza di contagio sulle altre regioni p e r motivi economici. Nel '21 l'Italia e r a travagliata da u n a grave crisi, che a quei t e m p i si t r a d u c e v a in fame, esasperava il p o p o l o 11
e lo r e n d e v a disponibile alla rivolta. Nel '31 la situazione si era assestata; e la pancia piena, o a l m e n o n o n p i ù del tutto vuota, aveva reso le masse r e n i t e n t i all'appello rivoluzionario. Questa tesi n o n ci convince affatto, p e r il semplice motivo c h e le masse f u r o n o assenti nel '31 c o m e lo e r a n o state nel ' 2 1 . In e n t r a m b e le occasioni, l'iniziativa fu soltanto d e gli elementi p i ù avanzati della borghesia di città, civili e militari, e ad essi r i m a s e confinata. P u ò d a r s i che c o s t o r o si mostrassero p i ù risoluti nel '21 p e r c h é speravano di trovare sostegno nelle masse scontente. Ma la s p e r a n z a n o n si realizzò n e a n c h e allora, e n o n fu q u i n d i p e r un m a g g i o r e a p p o r t o p o p o l a r e che la ribellione dilagò. Q u e s t o avvenne p e r tutt'altro motivo: e cioè p e r la presenza in tutta Italia di u n a vasta categoria di ex-ufficiali ed ex-funzionari dei vecchi regimi napoleonici, c h e la Restaurazione - c o m e si c h i a m ò il r i t o r n o ai vecchi Stati assolutistici che le b a i o n e t t e francesi a v e v a n o a b b a t t u t i - aveva c o n g e d a t o o m e s s o in castigo. Questi uomini che avevano assaporato le delizie del «grado» - civile o militare - e accarezzato le prospettive di u n a brillante carriera al seguito di un I m p e r a t o r e che con le sue imp r e s e ne forniva a m p i e o p p o r t u n i t à , n o n si rassegnavano al d e c l a s s a m e n t o . Infatti f u r o n o essi a d a r e avvio al g r a n d e m o v i m e n t o costituzionalista sia a Napoli che a Torino, e fu nei q u a d r i dell'esercito e dell'amministrazione che trovarono i loro adepti. La repressione falciò questi u o m i n i . Alcuni finirono sulle forche, altri in galera, altri esuli all'estero. I pochi che rimas e r o in Italia a p i e d e libero, nel '31 a v e v a n o dieci a n n i di p i ù , molte e n e r g i e e illusioni di m e n o , e s o p r a t t u t t o e r a n o o r m a i da t r o p p o t e m p o fuori dal giuoco. E p p u r e , a n c h e stavolta, in p r i m a fila ci f u r o n o loro. I d u e p r o t a g o n i s t i della resistenza all'invasione austriaca dell'Emilia e della R o m a gna, Zucchi e Sercognani, e r a n o d u e Generali della vecchia Repubblica Cisalpina, che avevano conquistato i galloni sotto le b a n d i e r e napoleoniche. 12
Il '31 fu tuttavia il loro canto del cigno. Q u e l moto d i m o strò la fragilità dei regimi restaurati, che crollarono alla p r i ma spinta c o m e castelli di carte. Ma d i m o s t r ò a n c h e la d e bolezza delle forze insurrezionali che d o p o quel p r i m o facile successo si d i s u n i r o n o i m m e d i a t a m e n t e e n o n s e p p e r o servirsi d e l p o t e r e così facilmente c o n q u i s t a t o n é p e r trasformare la rivolta in rivoluzione né p e r far fronte alla spedizione punitiva austriaca. Tutte le loro s p e r a n z e le riposero nell'aiuto dal di fuori, secondo l'inveterata vocazione italiana a c h i a m a r e lo s t r a n i e r o in aiuto c o n t r o un altro stran i e r o . E q u a n d o si accorsero che questo aiuto n o n sarebbe v e n u t o , capitolarono senza combattere. Q u e s t o fallimento segnò la fine del vecchio patriottismo cresciuto alla scuola francese e del suo s t r u m e n t o organizzativo: la C a r b o n e r i a . C o n ciò n o n vogliamo d i r e che q u e s t a cessò di esistere. Vogliamo d i r e che e n t r ò in crisi e dovette c e d e r e il passo ad altre forze lasciandosene in p a r t e assorbir e , c o m e più tardi v e d r e m o . Per o r a t o r n i a m o alle vicende degli Stati della Chiesa, dove i moti del '31 e b b e r o a n c o r a , m a l g r a d o la repressione, u n a loro coda o poscritto n o n privo di conseguenze p e r l'assetto della penisola. Gli austriaci che avevano r e s t a u r a t o l'ordine nelle cosiddette L e g a z i o n i , cioè nelle p r o v i n c e della R o m a g n a e delle Marche, se ne ritirarono subito d o p o , nel luglio, soprattutto p e r le insistenze della Francia. Il g o v e r n o di Parigi, d o p o aver dichiarato che n o n avrebbe consentito il loro intervento, si e r a d o v u t o r a s s e g n a r e a subirlo. E o r a cercava di rig u a d a g n a r e un p o ' di credito r e c l a m a n d o la cessazione dell'occupazione, che il g o v e r n o austriaco di M e t t e r n i c h si affrettò a decretare, e convocando a Roma u n a conferenza di ambasciatori c o m e s t r u m e n t o di pressione sul Papa p e r ind u r l o a c o n c e d e r e alcune riforme. Fu questo i n c o r a g g i a m e n t o che indusse i patrioti emiliani e r o m a g n o l i , d o p o la p a r t e n z a degli austriaci, a rialzare la testa. Prima che le t r u p p e p a p a l i n e tornassero, essi m a n 13
daremo a Roma alcune delegazioni p e r chiedere qualche miglioria che r e n d e s s e l'aria p i ù respirabile e l'amministrazione un p o ' p i ù efficiente. Le p r o p o s t e e r a n o r e d a t t e in termini ossequiosi e n o n c o n t e n e v a n o nulla di rivoluzionario. Ma tali a p p a r v e r o al p a p a G r e g o r i o X V I , u o m o mediocrissimo, e più ancora al Segretario di Stato, cardinale Bernetti, c h ' e r a il vero p a d r o n e della Curia e brillava soltanto p e r ottusità. Lo si vide dalle sue reazioni. M e n t r e i pontifici brutalizzavano Rimini sebbene n o n avesse opposto resistenza, il gov e r n o di R o m a proclamava la c h i u s u r a delle Università laiche, l ' a u m e n t o delle imposte fondiarie, la restaurazione del Sant'Uffizio e l'istituzione di tribunali speciali composti unic a m e n t e di preti, dove gli accusati n o n potevano n e m m e n o c h i e d e r e confronti con gli accusatori e scegliere i p r o p r i patroni. Invece che con m i s u r e distensive, Bernetti r i s p o n d e va i n s o m m a con u n a sfida alla pubblica opinione, che la raccolse con rabbia e mobilitò la G u a r d i a Civica istituita d o p o la rivolta e n o n ancora congedata. L'ambasciatore francese a Roma, Sainte-Aulaire, cercò di farsi m e d i a t o r e fra le d u e parti d a n d o consigli di p r u d e n z a ai ribelli e di m o d e r a z i o n e al Bernetti. A spingerlo n o n e r a t a n t o u n disinteressato a m o r d i p a c e q u a n t o l a p a u r a c h e u n n u o v o conflitto provocasse u n s e c o n d o i n t e r v e n t o a u striaco e rimettesse il g o v e r n o di Parigi nella scomoda situazione di pochi mesi p r i m a . Ma n o n fu ascoltato né in Curia né alla conferenza degli ambasciatori, dove quelli di Austria, Prussia e Russia facevano m a g g i o r a n z a e sostenevano le ragioni del P a p a c o n t r o Francia e I n g h i l t e r r a . Così si a r r i v ò alla p r o v a di forza. A dirigere l'operazione repressiva, Bernetti m a n d ò a Rimini il cardinale Albani, che aveva ai suoi o r d i n i cinquemila u o m i n i . I ribelli che si c o n c e n t r a r o n o a Cesena e r a n o circa duemila, che r a p p r e s e n t a v a n o , dice lo Zavatti, «l'agiatezza e la miseria, la fama e l'oscurità, lo studio e il lavoro, uniti in un sol tutto dal più a r d e n t e a m o r patrio». N o n ci stanchere15
mo mai di m e t t e r e in g u a r d i a il l e t t o r e dalla r e t o r i c a c h e c o n t a m i n a un p o ' tutta la storiografia risorgimentale. I resistenti della R o m a g n a e r a n o u n a m i n o r a n z a della popolazion e . E di questa m i n o r a n z a , e r a n o pochissimi e quasi tutti di estrazione b o r g h e s e quelli decisi a battersi p e r i loro ideali. M e n t r e costoro si r a d u n a v a n o nei loro improvvisati reparti, i dirigenti di Forlì tentavano un accordo con Albani che, forse a m a l i n c u o r e , lo rifiutò p e r c h é incompatibile con gli ordini di spietata repressione che aveva ricevuto. Per q u a n t o soverchianti d i n u m e r o , l e t r u p p e p a p a l i n e e r a n o , dal p u n t o di vista militare, q u a n t o di più inefficiente e ciabattone si fosse mai visto in E u r o p a . E p p u r e , i ribelli se ne lasciarono facilmente travolgere nella battaglia del Monte, dove i m o r t i n o n f u r o n o più di dieci. Fra i p o c h i c h e si distinsero ci fu un e x - v o l o n t a r i o di S e r c o g n a n i , c h e di lì a poco sarebbe diventato la g r a n d e stella del teatro d r a m m a tico italiano: Gustavo M o d e n a . La facilità della vittoria n o n addolcì gli u m o r i delle sold a t a g l i e pontificie. A Forlì s p a r a r o n o sulla p o p o l a z i o n e i n e r m e a m m u c c h i a n d o sui selciati u n a ventina di cadaveri. Lo stesso Albani ne fu t a l m e n t e i n o r r i d i t o e p r e o c c u p a t o che, d o p o aver impartito un severo m o n i t o alle sue t r u p p e , si rivolse a quelle austriache di Milano p e r c h é accorressero a dargli m a n forte. Se a c o m a n d a r l e ci fosse stato a n c o r a il Frimont, l'invito sarebbe stato c e r t a m e n t e declinato. Ma al suo posto o r a c'era il maresciallo Radetzky, un g e n e r a l e risoluto e dal c a n n o n e facile che, senza n e a n c h e interpellare Vienna, si affrettò ad a t t r a v e r s a r e il Po e a o c c u p a r e Bologna. Forse egli stesso rimase sorpreso delle festose accoglienze della popolazione, che e v i d e n t e m e n t e preferiva, c o m e carcerieri, gli austriaci ai papalini. Infatti, q u a n d o costoro arriv a r o n o , gli austriaci d o v e t t e r o p r o t e g g e r l i dal furore della folla che avventò su di essi u n a fitta sassaiola. I papalini se ne rivalsero più tardi, q u a n d o le strade si furono svuotate, a b b a n d o n a n d o s i a b a s t o n a t u r e e r u b e r i e . E altrettanto fece16
ro in t u t t e le altre città in cui via via r i m e t t e v a n o p i e d e . S e m b r a v a , dice il Farini, c h e il l o r o u n i c o obbiettivo fosse quello di riattizzare il fuoco a n c h e là dove si stava s p e g n e n d o . E a tal p u n t o vi riuscirono da trasformare quell'episodio in un problema europeo. M e t t e r n i c h n o n poteva p u b b l i c a m e n t e sconfessare l'iniziativa di Radetzky, ma in privato la d i s a p p r o v ò vivamente e m a n d ò a l Maresciallo u n a n o t a d i biasimo a c c u s a n d o l o d i n o n aver calcolato le c o n s e g u e n z e del suo avventato passo. E di c o n s e g u e n z e infatti ce ne f u r o n o i m m e d i a t a m e n t e . Sainte-Aulaire aveva c o m u n i c a t o a B e r n e t t i c h e , se gli a u striaci s'insediavano a Bologna, la Francia n o n poteva fare a m e n o di o c c u p a r e Ancona, e gli chiese c o m e avrebbe in tal caso reagito il g o v e r n o pontificio. «La virtù dei Papi è la rassegnazione» rispose s o r r i d e n d o il Cardinale, e questa replica, in realtà molto ambigua, trasse in i n g a n n o l'Ambasciator e , il q u a l e riferì a Parigi c h e la C u r i a , p u r n o n p o t e n d o esplicitamente a p p r o v a r e la spedizione, sotto sotto la desid e r a v a e c o m u n q u e avrebbe accettato il fatto c o m p i u t o . Nel febbraio del '32 u n a s q u a d r a navale francese si p r e sentò nel p o r t o di Ancona e di notte vi sbarcò un paio di reggimenti. Le forze papaline che lo presidiavano e r a n o certam e n t e informate del loro arrivo p e r c h é esso e r a stato r e g o l a r m e n t e a n n u n z i a t o dal g o v e r n o di Parigi a quello di Roma. Ma l'ordine che avevano ricevuto n o n e r a m e n o ambig u o della risposta che Bernetti aveva dato a Sainte-Aulaire: diceva che dovevano resistere, ma solo fin q u a n t o bastava «a c o p r i r e il d e c o r o e a far c o n s t a t a r e che il Santo P a d r e n o n aveva chiesto l'intervento francese». E questo mirabile scampolo di chiarezza pretesca era stato interpretato c o m e un invito alla resa da p a r t e dei c o m a n d a n t i della piazza, i quali infatti si fecero catturare a letto e n o n o p p o s e r o altra resistenza che le proteste. Invece furono richiamati a R o m a e u n o di essi m a n d a t o d a v a n t i al t r i b u n a l e militare che lo d e g r a d ò , m e n t r e Bernetti sfogava in n o t e diplomatiche la sua r u m o rosa, ma n o n sappiamo q u a n t o sincera, indignazione. 17
Altrettanto equivoco tuttavia fu l'atteggiamento francese. Il c o m a n d a n t e della spedizione e r a un liberale che, convinto di essere sbarcato p e r d a r e m a n forte ai ribelli, li aizzò a stringersi i n t o r n o al loro tricolore e a r i p r e n d e r e la lotta sia c o n t r o i l P a p a c h e c o n t r o l'Austria. S t e n d h a l , c h e i n q u e l m o m e n t o e r a Console a Civitavecchia, scrisse che a quell'appello tutte le M a r c h e p r e s e r o fuoco e r i v e r s a r o n o su Ancona baldanzosi giovani che chiedevano di essere arruolati nei r e p a r t i francesi p e r m u o v e r e con loro alla riscossa. C o m e al solito, gl'italiani si m o s t r a v a n o molto p i ù fiduciosi in quell'esercito straniero di q u a n t o n o n Io fossero stati nell'esercito italiano di Zucchi, di Sercognani e di Cesena. N a t u r a l m e n t e la reazione di Bernetti fu violenta, e Sainte-Aulaire la segnalò al suo g o v e r n o che dovette chiarire la sua p o s i z i o n e . Esso aveva deciso lo sbarco di A n c o n a solo p e r r a g i o n i d i p r e s t i g i o , cioè p e r a f f e r m a r e u n p a t r o n a t o francese sulla penisola in c o n c o r r e n z a con quello austriaco. Ma p e r d i s a r m a r e l ' o p p o s i z i o n e liberale di Parigi c h e a q u e s t o titolo n o n l'avrebbe accettata, l'aveva p r e s e n t a t a , o aveva c o n s e n t i t o c h e venisse i n t e r p r e t a t a c o m e u n a i u t o p o r t o alle forze rivoluzionarie. Q u e s t a politica bifronte n o n p o t e v a c o n t i n u a r e . Parigi doveva d i r e se i n t e n d e v a riconquistare un'influenza sull'Italia a p p o g g i a n d o la ribellione o t u t e l a n d o l ' o r d i n e costituito e q u i n d i a n c h e il p o t e r e d e l Papa. Scelse la seconda alternativa r i c h i a m a n d o gli ufficiali c h e a v e v a n o solidarizzato con gl'insorti e i m p a r t e n d o direttive di collaborazione con le a u t o r i t à pontificie. La delusione fu g r a n d e sia fra i liberali italiani che tra quelli francesi, i quali a t t a c c a r o n o v i o l e n t e m e n t e il g o v e r n o . Ma q u e sto p o t è uscire d a l l ' i n c o m o d a situazione s t i p u l a n d o col Pap a u n r e g o l a r e a c c o r d o che legalizzava l'occupazione c o m e se q u e s t a fosse a v v e n u t a col p i e n o c o n s e n s o della C u r i a e stabiliva c h ' e s s a s a r e b b e d u r a t a f i n q u a n d o a n c h e gli a u striaci n o n si fossero ritirati: il che avvenne solo sei a n n i d o p o , nel 1838. A beneficiare di questo a c c o m o d a m e n t o f u r o n o le forze 18
p i ù retrive c h e , s e n t e n d o s i o r a g a r a n t i t e n o n p i ù soltanto dalle baionette austriache, ma anche da quelle francesi, died e r o libero sfogo al loro uzzolo di persecuzione. Avvertendo o d o r e di processi e di forche, accorse subito il Principe d i C a n o s a : u n a specie d i cavaliere e r r a n t e della r e a z i o n e , che lo stesso F e r d i n a n d o di B o r b o n e aveva d o v u t o b a n d i r e da t a n t e che ne aveva fatte c o m e ministro della polizia. Per q u a n t o ne m a n c h i n o le p r o v e , ci sono b u o n i motivi di riten e r e che fu lui a consigliare al cardinale Albani, con cui s'inc o n t r ò a Bologna, l'istituzione di quel c o r p o dei Centurioni, che ricalcava esattamente il modello dei suoi Calderari n a p o letani: u n a milizia volontaria di bastonatori p r o n t i anche all'assassinio, cui a p p a l t a r e la caccia ai liberali. Q u e s t o esercito di «mazzieri» fece m o l t e p i ù r e c l u t e di q u a n t e mai se ne fossero p r e s e n t a t e a un appello p e r la patria italiana: nella sola R o m a g n a toccarono i cinquantamila, e ad arruolarli p r o v v e d e v a n o preti e frati p r o m e t t e n d o g l i il paradiso nell'aldilà e il bottino nell'aldiquà. Essi s p a r s e r o il t e r r o r e a L u g o , Imola, Faenza, dove in pochi mesi ci furono p i ù di o t t o c e n t o fra m o r t i e feriti p e r c h é c o m e al solito la violenza chiamò la violenza, e a quella dei persecutori rispose quella dei perseguitati. Lo stesso Metternich ne fu preocc u p a t o e scandalizzato. «Codesti imbecilli p r e t e n d o n o gov e r n a r e u n o Stato, e n o n s a n n o n e m m e n o a m m i n i s t r a r e un C o m u n e » scrisse al suo ambasciatore a R o m a , i n g i u n g e n d o gli di fare un passo presso B e r n e t t i p e r i n d u r l o ad abolire quelle squadracce. Ma il Cardinale rispose che «nella sua coscienza, n o n considerava la cosiddetta g u e r r a civile come un v e r o m a l e , m a p i u t t o s t o , talvolta, c o m e u n r i m e d i o indispensabile, in m a n c a n z a d'altre risorse». M e t t e r n i c h allora si rivolse d i r e t t a m e n t e al Papa, presso il quale teneva un suo fiduciario, un certo Segrobandi, che n o n occupava nessuna posizione ufficiale, ma godeva di un g r a n d e a s c e n d e n t e su G r e g o r i o , e lo p e r s u a s e a licenziare Bernetti. Questi v e n n e c o n g e d a t o in m a n i e r a piuttosto brusca e sostituito col cardinal L a m b r u s c h i n i , un b a r n a b i t a ge19
n o v e s e noii m e n o r e a z i o n a r i o d e l suo p r e d e c e s s o r e , m a molto più comprensivo e u m a n o . Così, se un p o ' di pace fu ristabilita in R o m a g n a , lo si d o vette all'Austria c h e , di tutti i p a d r o n i dell'Italia, si d i m o strava il m e n o dispotico e sopraffattore. E o r a vediamo cosa frattanto e r a successo negli altri Stati della penisola. Alcune novità c'erano, grazie al cambio della g u a r d i a avvenuto sui d u e troni più i m p o r t a n t i : Napoli e Torino.
CAPITOLO SECONDO
FERDINANDO A NAPOLI
N o n o s t a n t e la c o n t i g u i t à t e r r i t o r i a l e e c e r t a similarità di condizioni economiche e sociali, il sobbollimento degli Stati della Chiesa n o n esercitò quasi n e s s u n a influenza sul Reame di N a p o l i . Q u a l c h e c o n t r a c c o l p o ci fu, ma n o n tale da m e t t e r e in pericolo un r e g i m e , che p r o p r i o in quel m o m e n to t r o v a v a in un g i o v a n o t t o di v e n t ' a n n i il suo p i ù solido campione. Francesco, salito al t r o n o nel 1825, n o n ci rimase che cinq u e a n n i . La sua salute era rimasta i r r e p a r a b i l m e n t e scossa dall'intossicazione che aveva contratto a n n i p r i m a in Sicilia e che le male lingue attribuivano ai veleni di sua m a d r e , che 10 d e t e s t a v a . Ma n o n lo a m a v a n e m m e n o il p a d r e che gli preferiva il fratello m i n o r e . Forse a n c h e q u e s t a m a n c a n z a di stima e di affetto aveva contribuito a soffocare la p e r s o n a lità del Principe e a fiaccarne la t e m p r a . P i n g u e e flaccido, con gli occhi bovini e le g u a n c e cascanti, rinfagottato in u n a frusta u n i f o r m e di colonnello senza spalline, aveva s e m p r e d i m o s t r a t o molti p i ù a n n i di q u a n t i ne avesse. Se si rivelò più u m a n o e tollerante di suo p a d r e F e r d i n a n d o , Io fu solo p e r debolezza. Pigro c o m e lui, ma senza p o s s e d e r n e la grinta autoritaria e il «colore» lazzeronesco, aveva lasciato tutto 11 p o t e r e nelle m a n i del suo p r i m o ministro Medici, che lo esercitava con la consueta abilità mescolata di cinismo. La situazione economica e r a resa difficile dalla p r e s e n z a delle g u a r n i g i o n i a u s t r i a c h e che nel '21 avevano r i p o r t a t o F e r d i n a n d o sul t r o n o e gli a v e v a n o consentito di r e v o c a r e la Costituzione. Secondo i patti, il g o v e r n o di Napoli doveva s o p p e r i r e alle spese di questa occupazione, che Metter21
nich voleva r e n d e r e p e r m a n e n t e e che assorbiva un q u i n t o dell'introito n a z i o n a l e . Medici n o n esitò a e n t r a r e in conflitto con l ' o n n i p o t e n t e Cancelliere, s e b b e n e p r o p r i o a lui dovesse il p r o p r i o richiamo al p o t e r e , e alla fine o t t e n n e il g r a d u a l e ritiro delle t r u p p e . Fedele alla sua politica di dis t e n s i o n e , s t r a p p ò a n c h e al Re u n ' a m n i s t i a in favore d e i c o n d a n n a t i politici. Ma queste m i s u r e dovette c o n t r a t t a r l e con d u e loschi p e r s o n a g g i che r a p p r e s e n t a v a n o un vero focolaio di c o r r u z i o n e : il valletto del Re, Michelangelo Viglia, e la cameriera della Regina, C a t e r i n a de Simone. A tal p u n to i loro m a n e g g i a v v e l e n a v a n o e m e t t e v a n o in pericolo il r e g i m e , che il vescovo Olivieri, avvalendosi del suo prestigio di e x - p r e c e t t o r e di F r a n c e s c o , r i c h i a m ò il suo p u p i l l o all'ordine con u n a lettera fulminante in cui, fra gli scandali che a m m o r b a v a n o la Corte, elencava a n c h e «il cattivo o d o re che r e n d e di se stessa la Regina ( p e r d o n a t e m i questa lib e r t à , giacché vi tradirei se n o n vi parlassi a p e r t a m e n t e ) , la quale dice in pubblico che è s e m p r e i m m e r s a nelle sue cochetterie, e l'ignominia in cui è c a d u t a p e r necessaria conseg u e n z a la vostra figlia D o n n a Cristina, la quale, si dice, n o n t r o v e r à mai p i ù m a r i t o , a v e n d o p e r s o il suo o n o r e in tutta l'Europa». Francesco incassò la requisitoria, anzi ringraziò Olivieri della sua franchezza, m a n o n p r e s e n e s s u n a m i s u r a c o n t r o nessuno, e tanto m e n o contro i d u e servitori, che seguitarono a far m e r c a t o di t u t t e le p i ù alte c a r i c h e dell'Esercito, d e l l ' A m m i n i s t r a z i o n e , della M a g i s t r a t u r a e a n c h e della Chiesa (si v e n d e t t e r o perfino delle Diocesi), intascando laute «bustarelle». Il Re a d o r a v a il suo valletto p e r c h é questi si prestava al suo preferito, e forse unico, divertimento: quello di sgocciolargli sul naso la cera delle candele. Invece di combattere quei d u e figuri, lo scettico Medici preferiva tenerseli amici forse p e r c h é e r a convinto che, facendogli g u e r r a , l'avrebbe persa. Ma Metternich, che di tutto era informato, si metteva le m a n i nei capelli. «Il m a g g i o r dei mali delle D u e Sicilie - scriveva - è la corruzione e la venalità». 22
Ai primi del '30, Medici m o r ì a Madrid, dove si era recato col Re ad a c c o m p a g n a r e Cristina che, c o n t r o le previsioni di Olivieri, e r a a n d a t a sposa a F e r d i n a n d o V I I di Spag n a ; e il suo p o s t o fu p r e s o dal P r i n c i p e di Cassaro. Ma il viaggio si rivelò fatale a n c h e a Francesco, che al r i t o r n o cadde malato, cioè più malato del solito. Di fronte alla m o r t e , si p r e o c c u p ò soltanto della p r o p r i a a n i m a e chiamò a raccolta un n u g o l o di p r e t i e frati. Al figlio n o n d i e d e consigli. Gli r a c c o m a n d ò soltanto di essere s e m p r e in p a c e c o n Dio. E «nulla nella sua vita gli si addisse c o m e il m o m e n t o in cui la lasciò». Il figlio si chiamava, come il n o n n o , F e r d i n a n d o , ed e r a nato v e n t ' a n n i p r i m a a Palermo, dove i suoi genitori si e r a n o rifugiati sotto l'incalzare degli eserciti n a p o l e o n i c i . A n c h e lui aveva avuto c o m e p r e c e t t o r e l'intransigente e r u g g e n t e Olivieri, che a un certo p u n t o vietò al Re di ficcare il n a s o n e l l ' e d u c a z i o n e del ragazzo, visto c h e n o n a v r e b b e s a p u t o far altro che c o r r o m p e r l o , e ingiunse al ragazzo di star lont a n o d a l R e p e r n o n d i v e n t a r e u n b u r a t t i n o c o m e lui. M a l ' a m m o n i m e n t o e r a superfluo p e r c h é del b u r a t t i n o , Ferdin a n d o n o n aveva p r o p r i o la stoffa. B a m b i n o gracile, ma volitivo fino all'ostinazione, aveva r i m e d i a t o con la ginnastica alle p r o p r i e insufficienze fisiche. L'unica afflizione di cui n o n e r a riuscito a liberarsi e r a l'epilessia, che tuttavia lo tribolava solo di r a d o e in forma leggera. D'istruzione ne aveva poca p e r c h é il Vescovo aveva m i r a t o a formargli p i ù il car a t t e r e che la m e n t e . Ma n o n era affatto un p o l t r o n e c o m e suo p a d r e e suo n o n n o , anzi s m a n i a v a di fare, e q u a n d o a diciassett'anni gli affidarono il c o m a n d o della G e n d a r m e ria, vi si d e d i c ò con un e n t u s i a s m o che lo rese simpatico a ufficiali e soldati. Il tirocinio fu p e r lui molto istruttivo a n c h e dal p u n t o di vista politico p e r c h é dovette vedersela soprattutto con le società segrete. Non ne fu un implacabile p e r s e c u t o r e a n c h e p e r c h é d a questo compito v e n n e n a t u r a l m e n t e esentato. M a 23
capì che a combatterle la repressione poliziesca n o n poteva b a s t a r e , e q u e s t o Io r e s e a b b a s t a n z a ricettivo alle istanze i d e o l o g i c h e d e l l ' e l e m e n t o militare d i o r i g i n e m u r a t t i a n a che invocava riforme e m a g g i o r e libertà. Q u a n d o , alla vigilia del suo viaggio in Spagna, suo p a d r e lo n o m i n ò Vicario G e n e r a l e , cioè L u o g o t e n e n t e d e l R e g n o , F e r d i n a n d o elab o r ò u n a serie di progetti intesi al p o t e n z i a m e n t o delle Forze A r m a t e e alla selezione dei q u a d r i . Ma il Re n o n gli diede retta, e F e r d i n a n d o ne attribuì la colpa a Viglia e a Medici, c o n t r o i quali Olivieri n o n aveva mai cessato di aizzarlo. Medici n o n e b b e b i s o g n o d i licenziarlo p e r c h é e r a già m o r t o , q u a n d o salì sul t r o n o nel n o v e m b r e del '30. Ma l'ep u r a z i o n e si abbatté su Viglia, sulla De S i m o n e e su tutti i l o r o p r o t e t t o r i e complici c h e a v e v a n o r i d o t t o la C o r t e a u n ' a g e n z i a di c o l l o c a m e n t o . Il P r i n c i p e della Scaletta fu messo sotto inchiesta p e r peculato, e si salvò dall'arresto solo p e r c h é a d d u s s e le p r o v e n o n della sua innocenza ma della connivenza del defunto Re nelle sue malversazioni. A Napoli si sparse il t e r r o r e q u a n d o si s e p p e che il castigo stava p e r coinvolgere a n c h e i capi della polizia p e r c h é si t e m e t t e che alla sua d i r e z i o n e venisse r i c h i a m a t o l'infame Principe di Canosa, v i g o r o s a m e n t e sostenuto da Olivieri. Ma Ferdin a n d o s e p p e dir di no a n c h e al suo ex-precettore, confermò al suo p o s t o sia il ministro I n t o n t ì che il g e n e r a l e Del Carr e t t o , e p r o m u l g ò u n ' a m n i s t i a , che consentì la riconquista dei galloni a molti ufficiali m u r a t t i a n i , ma n o n a P e p e che n o n si d e g n ò di farne d o m a n d a , né a Carascosa, c o n t r o cui il Re pose il suo veto. . A queste p r i m e m i s u r e di r i s a n a m e n t o , altre ne seguiron o . L ' a p p a n n a g g i o reale, c h e fin allora aveva g r a v e m e n t e pesato sul bilancio dello Stato, v e n n e drasticamente ridotto, le r e n d i t e private istituite da Francesco v e n n e r o dimezzate, le riserve di caccia a p e r t e a tutti. Al Duca d'Ascoli, che si lam e n t a v a dello s t e r m i n i o dei pappagalli, F e r d i n a n d o rispose: «Il t e m p o dei pappagalli è finito». E tirò avanti p e r la sua strada. 24
Era u n a strada che conduceva soltanto, o soprattutto, al p a r e g g i o del bilancio e al r i s a n a m e n t o dell'amministrazion e . Ma tutti la p r e s e r o p e r quella della libertà, a cominciare d a I n t o n t i c h e a v e n d o , d a b u o n m i n i s t r o della Polizia, i l d o p p i o giuoco nel s a n g u e , cominciò a strizzare l'occhio ai C a r b o n a r i e n o n nascose le s u e s i m p a t i e , v e r e o finte c h e fossero, p e r i p o p o l a n i di Parigi saliti sulle barricate p e r abb a t t e r e il r e g i m e assolutistico di Carlo X, e p e r Luigi Filippo c h e ne p r e n d e v a il p o s t o b r a n d e n d o la Costituzione, e che oltre tutto e r a zio del suo Sovrano a v e n d o sposato la sorella del p a d r e . Ma a q u e s t o p u n t o F e r d i n a n d o chiarì l'equivoco c h e i suoi p r i m i atti di g o v e r n o avevano creato. Licenziò su d u e piedi I n t o n t ì c o m m i n a n d o g l i l'immediato espatrio, e disse a Cassaro: «Io lascerei la c o r o n a e a b b a n d o n e r e i Napoli piuttosto che sottoscrivere a u n a Costituzione». Era chiaro che il suo p r o p o s i t o n o n era affatto e n o n era mai stato quello di l i q u i d a r e il r e g i m e assoluto, ma solo di r e n d e r l o p i ù efficiente a s s u m e n d o su di sé tutte quelle responsabilità che suo p a d r e e suo n o n n o avevano s e m p r e cercato di e v a d e r e . Int e n d e v a g o v e r n a r e di p e r s o n a , senza lasciare ai suoi ministri altro c o m p i t o che quello di eseguire i suoi ordini. Conf e r m ò Cassaro a l suo p o s t o d i P r i m o Ministro p e r c h é n o n e r a u o m o da p o t e r g l i d a r o m b r a , e affidò la polizia a Del C a r r e t t o che i liberali c o n s i d e r a v a n o un r i n n e g a t o p e r c h é , d o p o aver militato nelle fila dei Costituzionali, si e r a poi illustrato nella r e p r e s s i o n e degl'insorti del Cilento dove aveva spianato al suolo interi villaggi, ma a p p u n t o p e r questo forniva le migliori garanzie di fedeltà, oltre che di energia. I sudditi c a p i r o n o l'antifona, e fu p e r questo che la rivolta degli Stati Pontifici n o n esercitò nel R e a m e n e s s u n a forza di contagio. O r a gli toccava p r e n d e r m o g l i e p e r a s s i c u r a r e la contin u i t à della dinastia. Ma a n c h e q u e s t a scelta volle farla di p e r s o n a , senza n e a n c h e i n f o r m a r n e il suo P r i m o Ministro che, offeso, minacciò le dimissioni. I suoi occhi si e r a n o p o 25
sari su Maria Cristina, l'ultima figlia a n c o r a nubile di Vittorio E m a n u e l e I di Savoia. L'offerta era stata d a p p r i m a declinata un p o ' p e r c h é la ragazza, religiosissima, n o n voleva alt r o sposo che Gesù, e i n t e n d e v a e n t r a r e in convento; un p o ' p e r c h é sua m a d r e sapeva del mal c a d u c o del p r e t e n d e n t e . Ma questi n o n e r a u o m o da rassegnarsi, e attraverso il suo confessore riuscì a p e r s u a d e r e la Principessa c h ' e r a Dio a volere quel m a t r i m o n i o . Si sposarono a Genova alla fine del '32, e mai coppia p a r ve peggio assortita: lei fragile, timida, sensibile, esangue; lui massiccio, e s u b e r a n t e , g r o s s o l a n o . Per la giovane R e g i n a , abituata alla vita claustrale del castello savoiardo, l'incontro con la festosa e chiassosa C o r t e di N a p o l i dovett'essere un t r a u m a . Soprattutto dovettero sgomentarla l'aspetto e i m o di della suocera Maria Isabella che, sebbene oltre la m e n o p a u s a e carica di cellulite, n o n aveva smesso il vezzo di vestirsi e di tingersi c o m e u n a sciantosa e di a d e s c a r e q u a n t i giovanotti le capitavano a tiro. F e r d i n a n d o detestava la mad r e a p p u n t o p e r q u e s t a sua i m p u d i c i z i a . M a C r i s t i n a l o riappacificò c o n lei g u a d a g n a n d o s e n e la g r a t i t u d i n e . Essa doveva v e r a m e n t e p o s s e d e r e eccezionali qualità di carattere p e r c h é gli stessi memorialisti antimonarchici sono concordi nell'attribuirgliene. I n t r o d u s s e in quella C o r t e sguaiata un c o s t u m e di vita m o l t o p i ù d e c e n t e e c o r r e t t o , fece abolire m o l t e feste p e r d e v o l v e r n e i fondi a o p e r e di pietà, e n o n influì soltanto sui m o d i del m a r i t o , r e n d e n d o l i m e n o rozzi, ma a n c h e sulla sua politica, r e n d e n d o l a più tollerante. «La R e g i n a è bella, ma è fredda» disse u n a volta Ferdin a n d o con u n sospiro, m a questo n o n gl'impediva d i subirne l'ascendente. S e t t e m b r i n i r a c c o n t a che u n a volta egli le tolse la p o l t r o n a su cui essa stava p e r sedersi facendola cad e r e p e r t e r r a e che lei, offesa, a b b a n d o n ò la sala. E possibile. F e r d i n a n d o aveva e r e d i t a t o dal n o n n o il g u s t o degli scherzi, usava un linguaggio da stalliere, si p r e n d e v a libertà con tutti, disprezzava la c u l t u r a e chiamava pennaruli gl'intellettuali. U n a volta, p r e s e n t a n d o a un ballo la Regina che 26
sfoggiava u n abito n u o v o , esclamò: « G u a r d a t e l a : s e m b r a u n a frittata col prezzemolo!» Ma Cristina p a z i e n t e m e n t e lo g u a r ì di questi rozzi vezzi, e ne fu ripagata con u n a devozione senza limiti. «Quel p o ' di b u o n o che ho i m p a r a t o l'ho imp a r a t o da lei» diceva F e r d i n a n d o . Anche nell'intimità doveva r e g n a r e tra loro b u o n a a r m o n i a , p o i c h é essa scrisse alla sua e x - g o v e r n a n t e : «Non posso esser più felice e n o n avrei m a i c r e d u t o c h e si p o t e s s e esserlo t a n t o in q u e s t o b r u t t o mondo». Alla perfezione n o n mancava che u n a cosa, p u r t r o p p o la più importante: la maternità. Dopo due anni di matrimonio, Cristina n o n ne dava segno, e i medici ne attribuivano la colpa all'etisìa, da cui la ritenevano minata. Invece, q u a n do più n e s s u n o ci sperava, essa rimase incinta, e il 16 genn a i o d e l '36 i c a n n o n i di t u t t e le fortezze e le c a m p a n e di tutte le chiese a n n u n z i a r o n o al p o p o l o la nascita dell'erede, che fu chiamato, come il n o n n o , Francesco. L'unica che n o n p o t è p a r t e c i p a r e alla gioia g e n e r a l e fu Cristina, in p r e d a a u n a violenta febbre p u e r p e r a l e , c h e r a p i d a m e n t e l a c o n s u m ò . Essa m o r ì c o m ' e r a vissuta: stoicamente. Le sue ultime p a r o l e furono: «Credo in Dio, s p e r o in Dio, a m o Dio». E m o l t o p r o b a b i l e che i memorialisti cortigiani a b b i a n o un p o ' calcato la m a n o n e l l ' e s a l t a r e le s u e v i r t ù e c h e la Chiesa abbia a v u t o la sua c o n v e n i e n z a a p r e s e n t a r l a c o m e u n a Santa. Ma il fatto c h e la g e n t e p i ù u m i l e la v e n e r a s s e c o m e tale d i m o s t r a ch'essa sapeva t o c c a r n e il c u o r e . I seguaci di Mazzini, scrivendone a lui, dissero che quella m o r te era «benefica p e r Napoli», e dal loro p u n t o di vista avevan o r a g i o n e . D a n d o l e u n volto p i ù u m a n o , Cristina aveva g u a d a g n a t o o r i g u a d a g n a t o alla dinastia molti consensi, il che n o n poteva piacere ai nemici del regime. Ma che, grazie a lei, questo r e g i m e fosse diventato migliore, n o n si p u ò n e garlo e sta scritto nei fatti. Lei viva, c o m p l o t t i e t e n t a t i v i di r i b e l l i o n e ce n ' e r a n o stati. Il più a u d a c e fu quello o r d i t o da un ufficiale e d u e cap o r a l i p e r assassinare il Re e r i p r i s t i n a r e la C o s t i t u z i o n e . 27
S c o p e r t i , i d u e c a p o r a l i t e n t a r o n o di uccidersi. U n o , R o m a n o , ci riuscì; l'altro, Rossaroll, rimase solo ferito e v e n n e processato insieme all'ufficiale, Angellotti. La c o n d a n n a fu alla fucilazione, né - riconosciamolo - p o t e v a essere altrim e n t i , d a t a l'imputazione. Ma il Re la c o m m u t ò nel carcere a vita p e r c o m p i a c e r e alla Regina che gli aveva fatto giurar e d i n o n versare mai s a n g u e . U n ' a l t r a cospirazione v e n n e sventata poco d o p o e p u n i t a solo con l'esilio dei d u e principali r e s p o n s a b i l i : il m a r c h e s e D r a g o n e t t i e Piersilvestro L e o p a r d i . Cristina n o n fece mai nulla p e r la libertà p e r c h é , d a b u o n a Savoia, a n c h ' e s s a c r e d e v a soltanto nell'assolutis m o , ma lo voleva p i ù t o l l e r a n t e e fece m o l t i s s i m o p e r s t r a p p a r e i suoi nemici ai plotoni di esecuzione. Lo si vide dalla brusca piega repressiva che il r e g i m e assunse d o p o la sua scomparsa. La storiografia antiborbonica dice che F e r d i n a n d o restò insensibile alla m o r t e di Cristina e che ne disertò il capezzale al m o m e n t o del trapasso. Questo n o n è vero. Egli rimase invece p r o f o n d a m e n t e colpito da quel lutto, stentò parecchio a rimettersene, e ne emerse assai cambiato, e cambiato in peggio. Il suo carattere era s e m p r e stato i m p e t u o s o e autoritario, ma con qualche correttivo di cordialità e b o n o m i a . Anche a lui, c o m e a suo n o n n o , piaceva d a r e del tu a tutti, a p piccicare d e i s o p r a n n o m i e togliersi il sigaro di bocca p e r darlo al p r i m o «lazzarone» che passava: «veri atti da Re», dice Croce, e sia p u r e da Re napoletano, qual era anche Croce. La perdita di Cristina lo rese più chiuso, c u p o e diffidente. Aveva conservato al suo posto Cassaro, ma n o n gli lasciava alcun p o t e r e n e m m e n o in fatto di politica estera, che seguitava a fare a m o d o suo, n o n senza bruschi colpi di testa. Alcuni storici dicono ch'egli e r a ossessionato dal t i m o r e dell'Austria, di cui aveva visto da ragazzo la pesante occupazion e . Fatto sta che, subito d o p o le nozze con Cristina, scrisse a Carlo Alberto p r o p o n e n d o g l i u n a L e g a di Stati italiani p e r far fronte all'estendersi e rafforzarsi di qualsiasi influenza straniera sulla penisola. I liberali dissero che la m a n o v r a e r a 28
diretta c o n t r o la Francia. Ma Metternich n o n si lasciò ingann a r e da questa tendenziosa i n t e r p r e t a z i o n e . «Il fatto stesso c h e la Francia n o n si o p p o n e al p r o g e t t o di F e r d i n a n d o - scrisse - d i m o s t r a che questo n o n è d i r e t t o c o n t r o Parigi, ma c o n t r o Vienna. La sua ambizione è di d i v e n t a r e il capo di questa Lega: di qui la sua p r e m u r a di p o r t a r e l'esercito a 80.000 uomini.» E c r e d i a m o che ancora u n a volta il Cancelliere vedesse giusto. F e r d i n a n d o ambiva a u n a leadership nazionale, e p e r q u e s t o e r a p r o n t o a n c h e a sfidare l'Austria. N o n voleva tutori. Era convinto di essere abbastanza forte p e r g a r a n t i r e il p r o p r i o regime. Ma questo r e g i m e lo voleva assoluto, ciò lo riportava fatalmente in braccio all'Austria, e M e t t e r n i c h lo capiva. Invece di ostacolare la m a n o v r a , l'astuto Cancelliere la p a t r o c i n ò , b e n s a p e n d o che s a r e b b e r o stati Carlo Alberto e il Papa a eluderla, e così fu. L'insuccesso svogliò F e r d i n a n d o da altri tentativi di d a r e a Napoli u n a funzione di Stato-guida nella penisola, ma n o n p e r q u e s t o egli si rassegnò a rifarne un satellite di V i e n n a c o m e a v e v a n o fatto suo n o n n o e suo p a d r e . D e l l ' i n d i p e n denza del R e a m e era gelosissimo, e p e r meglio tenerlo al rip a r o dalle interferenze austriache serbò s e m p r e b u o n i r a p porti, m a l g r a d o l'avversione ai regimi costituzionali, con lo zio Luigi Filippo di F r a n c i a . Fu q u e s t o a far r i n a s c e r e in qualcuno la speranza di u n a sua conversione ai princìpi costituzionali, di cui Luigi Filippo si p r o c l a m a v a c a m p i o n e . Ma a n c h e stavolta F e r d i n a n d o si affrettò a d e l u d e r l a . Poiché l'interesse dinastico esigeva che si riammogliasse, si scelse come sposa un'Arciduchessa d'Austria, cugina d e l l ' I m p e ratore. E q u a n d o i siciliani, colpiti dal colera, si ribellarono e massacrarono funzionari e soldati, convinti che fossero costoro a diffondere l'epidemia, n o n esitò a ripristinare i b r u tali metodi repressivi di suo n o n n o , affidandoli a chi dava le migliori garanzie di applicarli a p u n t i n o : Del C a r r e t t o . La sua fedeltà all'assolutismo i n s o m m a era a tutta prova, ma bisogna riconoscere che F e r d i n a n d o s e p p e a s s u m e r s e n e anche i pesi e le responsabilità. D u r a n t e il colera, il suo con29
t e g n o fu e s e m p l a r e : i n c u r a n t e del contagio, stava tra i malati p e r controllare che i servizi funzionassero; e q u a n d o erano in giuoco gl'interessi dello Stato e la sua sovranità, n o n esitava ad a s s u m e r e posizioni c o r a g g i o s e . Lo si vide nella questione dello zolfo siciliano. L'isola e r a quasi l'unica fornitrice in E u r o p a di quel m i n e r a l e , che r a p p r e s e n t a v a la sua massima risorsa. Gl'inglesi se n ' e r a n o assicurati da t e m p o l'esclusiva e se ne servivano p e r t e n e r n e i prezzi ai livelli più bassi. F e r d i n a n d o n o n esitò a r o m p e r e q u e s t o m o n o p o l i o , c o n c e d e n d o licenza di p r o s p e z i o n e ed estrazione a u n a società francese. Il g o v e r n o britannico protestò, poi minacciò, infine inviò u n a s q u a d r a navale nelle acque di Napoli. Il Re r i u n ì i suoi Ministri e disse: «Si tratta di u n a questione d'on o r e e di dignità. Vi fu un t e m p o in cui Napoli fece t r e m a r e l ' E u r o p a . N o n dico c h e possa farla t r e m a r e oggi, m a n o n p e r questo d o b b i a m o t r e m a r e noi». E siccome Cassaro offriva le p r o p r i e dimissioni p e r n o n a s s u m e r e la responsabilità d e l conflitto, n o n solo F e r d i n a n d o le accettò, ma gli c o m m i n ò il b a n d o c o n s i d e r a n d o il suo dissenso un atto di fellonìa. N o n si a r r e s e n e m m e n o q u a n d o s e p p e che le navi inglesi a v e v a n o r i c e v u t o l ' o r d i n e di c a t t u r a r e e d i r o t t a r e su Malta quelle n a p o l e t a n e , e Metternich, cui si era rivolto p e r aiuto, gli rispose: «Non è n o s t r o interesse che lo zolfo dell'Etna m e t t a a fuoco l'Italia». La v e r t e n z a fu alla fine composta, ma senza c h e F e r d i n a n d o ci p e r d e s s e la faccia e lasciando in lui un carico di r a n c o r i siarcontro l ' I n g h i l t e r r a che contro l'Austria. E a g u a d a g n a r n e furono le sue simpatie p e r la Francia di suo cognato. Lo stesso p u g n o di ferro egli mostrava nei confronti dei suoi familiari. N o n esitò a scacciare dal R e g n o suo fratello il Principe di C a p u a , privandolo di ogni titolo e a p p a n n a g g i o , q u a n d o volle sposare u n a p r o t e s t a n t e irlandese senza blason e . E infine decise di p o r r e t e r m i n e alle g a l a n t e r i e di sua m a d r e , che oltre tutto incidevano p e s a n t e m e n t e sul bilancio domestico ( u n b a r o n e austriaco aveva a c c u m u l a t o 120.000 ducati «per servigi prestati alla Regina Madre» scriveva p u 30
eticamente m o n s i g n o r Fara), p r e s e n t a n d o l e u n a lista d i trenta giovanotti e i m p o n e n d o l e di sceglierne u n o p e r marito. La Regina, che la s t a m p a antiborbonica dipingeva come «una m e g e r a sepolta nei vizi», e ch'era invece u n a t a r d o na ancora piena di appetiti e con un cervello di gallina, ma tenera, i n d u l g e n t e e m a t e r n a n o n soltanto coi suoi dodici figlioli, scelse un c a p i t a n o della G u a r d i a c h e aveva quindici a n n i m e n o di lei e che ci g u a d a g n ò i galloni di colonnello. F e r d i n a n d o confinò e n t r a m b i a C a p o d i m o n t e col p e r m e s s o di fare tutti i loro comodi, ma solo lì d e n t r o . Il fatto è che, c o m e dice Acton, q u e s t o Re a u t o r i t a r i o e assolutista e r a poi, in q u a n t o a m o r a l e e a c o s t u m i , un Re borghese, e questa e r a l'affinità che lo legava a Luigi Filipp o . Egli aveva t r o v a t o nella s e c o n d a m o g l i e M a r i a T e r e s a u n a b u o n a sostituta di Cristina, e con lei conduceva u n a vita semplice e parca, aliena da feste e da fasti. L'unico loro lusso e r a n o le p a r a t e militari, p e r c h é il Re aveva la passione delle uniformi e n o n si stancava di a p p o r t a r v i abbellimenti. Ma i suoi interessi n o n si limitavano a questo. Fu lui a costruire nel '39 la p r i m a ferrovia italiana, la Napoli-Granatello, e a d a r e alla capitale l ' i l l u m i n a z i o n e a gas. Essa d i v e n t ò u n a delle g r a n d i m è t e del sofisticato t u r i s m o internazionale del t e m p o , e Fenimore C o o p e r scrisse: «Roma e Pisa sono m o r te; Firenze n o n è m o r t a , ma d o r m e ; solo Napoli straripa di vita. Considero in g e n e r e la popolazione di questa città u n a delle più belle che io abbia mai v e d u t o . Sotto il baldacchino del cielo, r i d o n o , cucinano, u r l a n o , m a n g i a n o , bevono, dorm o n o , a m o r e g g i a n o e c o m p i o n o tutto ciò ch'è i n e r e n t e alla vita». Anche Dickens si lasciò conquistare. Ma poi concludeva: «Dipingete e poetate p u r e , se così vi piace, sulle bellezze del più bel luogo del m o n d o , ma permetteteci, com'è nostro d o v e r e , di associare un n u o v o c o n c e t t o d e l p i t t o r e s c o a qualche vaga i n d a g i n e sul destino e sulle capacità u m a n e , le quali mi p a i o n o p i ù a p e r t e alla s p e r a n z a fra i ghiacci e le nevi del Polo N o r d che fra il sole e i fiori di Napoli». Giusto. Ma O r i a n i n o n è a l t r e t t a n t o n e l giusto q u a n d o 31
definisce F e r d i n a n d o II «un Viceré austriaco, p r o t e t t o dagli austriaci e che soltanto negli austriaci credeva». Egli somiglia molto di più al ritratto tracciatone da Acton: «Vnpaterfamilias p a r t e n o p e o , possessivo, cosciente del suo p o t e r e e della sua virilità, che n o n si limitò ad o c c u p a r e il t r o n o ; lo r i e m p ì sino alla massima capienza». N o n sentì l'Italia, che quindi ha avuto b u o n motivo di cancellarlo dalla sua Storia. Ma Napoli la interpretava, se n o n nella sua espressione più bella, certo in quella più vera.
CAPITOLO TERZO
CARLO A L B E R T O A T O R I N O
A Torino l'ultimo p e r i o d o del r e g n o di Carlo Felice si era risolto in un assoluto vuoto di p o t e r e . Poco affezionato al suo m e s t i e r e d i Re, q u e s t ' u l t i m o d i s c e n d e n t e del r a m o p r i m o genito di Casa Savoia se n'era a n c o r a più straniato da q u a n d o e r a c a d u t o a m m a l a t o : «Non g o v e r n a v a n é lasciava che altri governasse p e r lui». Da b u o n Sovrano assoluto unicam e n t e inteso agl'interessi della dinastia, l'unica sua p r e o c cupazione era stata il m a t r i m o n i o di sua nipote, figlia di Vittorio E m a n u e l e I, con F e r d i n a n d o d'Asburgo, Principe e r e ditario d e l l ' I m p e r o austriaco: u n mezzo m o n g o l o i d e i m p o tente e balbuziente, di cui la p o v e r a ragazza fu sposa infelicissima. C o n C a r l o A l b e r t o , i suoi r a p p o r t i e r a n o r i m a s t i quelli descritti ne L'Italia giacobina e carbonara, cioè t a l m e n t e imp r o n t a t i a diffidenza e f r e d d e z z a c h e molti s e g u i t a v a n o a p e n s a r e ch'egli lo a v r e b b e scartato dalla successione. N o n gli aveva mai p e r d o n a t o la complicità coi liberali del ' 2 1 , n o n credeva al suo p e n t i m e n t o ; e, c o n s i d e r a n d o l o soltanto un c o d a r d o ipocrita, lo teneva alla larga. Solo tre mesi prima di m o r i r e , gli concesse il titolo di Altezza Reale. Ma q u a n d o la malattia lo costrinse a r i n u n z i a r e definitivamente agli affari di Stato, n o n fu a lui che li affidò, ma alla p r o p r i a moglie M a r i a Cristina in qualità di R e g g e n t e . E le p o c h e volte che accettò di riceverlo, fu s e m p r e in p r e s e n z a di altri. Non lo volle al suo capezzale n e m m e n o al m o m e n t o del trapasso n e l ' 3 1 . Gli occhi glieli chiuse la R e g i n a , e Carlo Alberto n o n p o t è che baciargli la m a n o già fredda. I testimoni dicono c h ' e r a sconvolto dal dolore. P u ò darsi. Nei deboli c'è 33
quasi s e m p r e u n o sfondo d i m a s o c h i s m o che l i p o r t a a d a m a r e coloro che li frustano. E q u a n t o a frusta, Carlo Felice n o n gliel'aveva lesinata. Era stato un Re senza idee, ma di carattere inflessibile a n c h e con se stesso, fedele a u n a cavalleresca concezione dell'onore, e n o n privo di m a g n a n i m i t à . Su Carlo Alberto, che o r a i n a u g u r a v a sul t r o n o il r a m o c a d e t t o dei C a r i g n a n o , s e g u i t a v a n o a d a p p u n t a r s i l e s p e r a n z e e i d u b b i dei liberali. Alcuni di essi, come il P o r r o , n o n gli p e r d o n a v a n o il t r a d i m e n t o del '21 e d i c e v a n o che n o n c'era da a s p e t t a r s e n e nulla di b u o n o . Ma altri sostenevano che a quel voltafaccia e r a stato costretto p e r n o n p e r d e r e i suoi diritti alla successione e che ora, p o t e n d o d i s p o r r e di se stesso e del p o t e r e , si sarebbe riconvertito alla b u o n a causa. Di q u e s t a o p i n i o n e fu o fece fìnta di m o s t r a r s i lo stesso Mazzini, che da Marsiglia, dove si era rifugiato, gl'indirizzo u n a famosa lettera. «L'Italia sa che voi avete di regio più che la p o r p o r a » gli scriveva. E a l t e r n a n d o i toni di ossequio a quelli di m o n i t o e perfino di larvata minaccia, lo esortava ad a s s u m e r e r i s o l u t a m e n t e la g u i d a della g r a n d e crociata p e r la liberazione d'Italia. «Sire, respingete l'Austria, lasciate a d dietro la Francia, stringetevi a lega l'Italia. Ponetevi alla testa della nazione e scrivete sulla vostra b a n d i e r a Unione, Libertà, Indipendenza. Dichiaratevi vindice, i n t e r p r e t e dei diritti popolari, r i g e n e r a t o r e di tutta l'Italia. Liberatela dai barbari. Edificate l'avvenire. Date il vostro n o m e ad un secolo. Incominciate u n ' e r a da voi. Siate l ' u o m o delle generazioni. Siate il N a p o l e o n e della libertà italiana. Le g r a n d i cose n o n si c o m p i o n o co' protocolli, bensì i n d o v i n a n d o il p r o p r i o secolo. Il segreto della p o t e n z a è nella volontà. Scegliete u n a via che concordi col pensiero della nazione, m a n t e n e t e v i in quella inalterabile, siate fermo e cogliete il t e m p o , voi avete la vittoria in p u g n o . Se voi noi fate, altri il faranno senza voi e c o n t r o voi. Gli u o m i n i liberi dell'Italia aspettano la vostra risposta nei fatti. Q u a l u n q u e essa sia, t e n e t e f e r m o c h e la posterità p r o c l a m e r à in voi il primo tra gli uomini o l'ultimo de' tiranni italiani. Scegliete!» 34
E r a in b u o n a fede, Mazzini, nel r e d i g e r e questo appello a tratti declamatorio ed enfatico, ma ricco di e m p i t o e n o n privo di abilità? Ce ne fa d u b i t a r e la lettera che poco d o p o egli scrisse a un suo c o m p a g n o di fede siciliano. C a r l o Alberto, diceva, «è un c o d a r d o , se n o n peggio, e p e r ò n o n vi è speranza di salute da lui». Ma, aggiungeva, «volli che il Principe spergiuro n o n potesse dire: la parola della libertà fu muta, e che il p o p o l o n o n potesse illudersi a p o c h e e timide e perfide concessioni». Cioè gli aveva scritto n o n p e r c h é riponesse v e r a m e n t e in lui delle speranze, ma p e r farle p e r d e r e a quanti in lui avevano ricominciato a r i p o r n e . Q u a n t o a Carlo Alberto, alcuni suoi biografi dicono che rimase p r o f o n d a m e n t e t u r b a t o da quella lettera. Ma ci cred i a m o poco. Sebbene firmato «un Italiano», tutti sapevano che l'autore del messaggio era Mazzini. Ma chi fosse Mazzini, in quel m o m e n t o e r a n o pochi a saperlo: il suo n o m e ancora n o n esercitava il fascino che di lì a qualche a n n o avrebbe acquistato. C o m u n q u e , i p r i m i gesti del n u o v o Re furono tutt'altro che incoraggianti. Egli n o n p o t è esimersi dal concedere un'amnistia, c o m e da s e m p r e usava a i n a u g u r a z i o n e di un n u o v o R e g n o , ma ne escluse tutti i c o n d a n n a t i politici in p r i g i o n e o in esilio. R i m a n e g g i ò il g o v e r n o , ma a t u t t o profitto d e l l ' e l e m e n t o r e a z i o n a r i o . L'unico b u o n acquisto della n u o v a c o m p a g i n e fu il ministro d e g l ' I n t e r n i , il C o n t e de l'Escarène, un conservatore anche lui, ma illuminato, efficiente e abbastanza spregiudicato. Ancora p i ù e l o q u e n t e fu l'indirizzo impresso alla politica estera. Da secoli il P i e m o n t e seguiva quella del d o p p i o binario g i u o c a n d o abilmente sulla rivalità delle g r a n d i Potenze che d o m i n a v a n o l'Italia senza mai legarsi a nessuna di esse r e s t a n d o n e prigioniero. Secondo questa linea, Carlo Alberto a v r e b b e o r a d o v u t o m a n t e n e r s i in bilico t r a Austria e Francia, a p p o g g i a n d o s i caso mai p i ù a questa c h e a quella. Invece, a n t e p o n e n d o gl'interessi del r e g i m e a quelli dello Stato, a c c e n t u ò la sua ostilità nei c o n f r o n t i di Parigi solo perché il re Luigi Filippo d'Orléans aveva concesso la Costi35
tuzione e mostrava t e n d e n z e liberali. Prese perfino sotto la sua p r o t e z i o n e e finanziò l'esaltata Duchessa di B e r r y che contro Luigi Filippo stava m o n t a n d o un complotto p e r cacciarlo dal t r o n o e r i p o r t a r v i l ' e r e d e d i r e t t o d e i B o r b o n e . Forse, a ispirargli tanto zelo legittimista era p r o p r i o il fatto che a n c h e lui, c o m e l ' O r l é a n s , veniva d a u n r a m o c a d e t t o della dinastia Savoia, c h e i cadetti li aveva s e m p r e relegati nelle stanze di servizio. Voleva i n s o m m a dimostrarsi più Savoia degli stessi Savoia. E a tal p u n t o d ' i m p r u d e n z a spinse questo suo atteggiamento antifrancese, che lo stesso Metternich se ne p r e o c c u p ò e lo richiamò all'ordine avvertendolo che, se la Francia avesse reagito, l'Austria lo avrebbe abband o n a t o al suo destino. L ' a m m o n i m e n t o n o n era del t u t t o disinteressato. Negli ultimi mesi del suo r e g n o , Carlo Felice aveva intavolato trattative con V i e n n a p e r r e n d e r e più stretti i r a p p o r t i fra i d u e Stati. Però, n o n o s t a n t e la sua pochezza intellettuale, lo aveva fatto da b u o n Savoia, cioè p e r o t t e n e r e dall'Austria qualche assicurazione militare c o n t r o le m i r e di Luigi Filippo, di cui a n c h e lui diffidava, ma senza aggiogarsi ad essa con u n a vera e p r o p r i a alleanza che, d a t a la disparità delle forze, si sarebbe risolta in un r a p p o r t o di d i p e n d e n z a . E Metternich, c h e invece p r o p r i o a q u e s t o m i r a v a , agitò lo s p a u r a c c h i o francese p e r far pressione sul n u o v o Re. Carlo Alberto abboccò. Q u a l c h e storico dice che n o n si trattò di un'alleanza vera e p r o p r i a . Ma noi n o n s a p r e m m o come altrimenti qualificare un accordo che i m p e g n a v a i d u e contraenti a u n i r e le forze c o n t r o u n ' e v e n t u a l e aggressione francese, il P i e m o n t e c o n t r i b u e n d o c o n 37 mila u o m i n i , l'Austria con 50 mila. Forse Carlo Alberto fu molto lusingato dal fatto che a lui veniva attribuito il titolo di c o m a n d a n t e s u p r e m o . Ma con questo c o n t e n t i n o di p u r a forma l'Austria se lo legò senza limiti di t e m p o p e r c h é il trattato n o n ne p r e vedeva n e s s u n o . Metternich aveva calcolato giusto p u n t a n do su di lui e favorendo la sua successione al t r o n o c o n t r o le p r e t e s e di Francesco IV di M o d e n a . Aveva capito c h e , dei 36
d u e , il C a r i g n a n o era il p i ù debole, e q u i n d i il più facile da m a n e g g i a r e . Lo faceva c o n t i n u a m e n t e i n c e n s a r e dai giornali di V i e n n a e o r d i n a v a al suo a m b a s c i a t o r e a T o r i n o di stargli s e m p r e accanto p e r ricordargli che «il c a m m i n o della vera gloria, cui s a p p i a m o che il Principe è molto sensibile» era la difesa ad oltranza dell'ordine stabilito dalla Restaurazione del '15. Carlo Alberto smaniava di mostrarsi d e g n o di tante p r e m u r e . L'unica traccia in lui lasciata dall'esperienza liberale del '21 sembrava essere la v e r g o g n a di avervi partecipato e il d e s i d e r i o di farlo d i m e n t i c a r e . Lo d i m o s t r a v a a n c h e nei r a p p o r t i u m a n i . Della rigida etichetta savoiarda, c o n t r o cui da giovane si e r a ribellato, e r a o r a d i v e n t a t o il p i ù zelante custode. La vita di C o r t e e r a un seguito di riti puntigliosam e n t e osservati. La giornata del Re e r a faticosa: cominciava p r i m a dell'alba con le devozioni e la messa, proseguiva con la rivista alle t r u p p e e poi con l u n g h e o r e di tavolino, su cui tutto confluiva, a n c h e i p i ù trascurabili casi amministrativi. Forse e r a la coscienza della p r o p r i a fragilità m o r a l e c h e spingeva Carlo Alberto a i m p o r s i u n a «regola» così stretta. Alla m a n c a n z a di carattere egli cercava di supplire con u n a disperata forza di volontà. C o m u n q u e , nella sua devozione ai doveri di Re c'era qualcosa di patetico. C o n t r o la dissidenza liberale e d e m o c r a t i c a , si m o s t r ò d a p p r i n c i p i o abbastanza tollerante. Poco p r i m a ch'egli salisse al t r o n o , la polizia aveva scoperto un'associazione segreta, d ' i m p r o n t a più massonica che carbonara, che si chiamava «I cavalieri della libertà». Ne e r a a capo un certo Bersani, che la voce p o p o l a r e diceva figlio n a t u r a l e di Carlo Felice; e fra gli affiliati, tutti intellettuali e ufficiali subalterni, faceva spicco l'avvocato, p o e t a e giornalista Angelo Brofferio, u n o dei futuri g r a n d i b a r d i della sinistra italiana, il cui d e b u t t o , m quell'occasione, n o n fu a dire il vero molto brillante. Arrestato, si s m a r r ì sotto gl'interrogatori e fece il n o m e di tutti i suoi c o m p a g n i p u r p o n e n d o la condizione - del tutto assurda - che n o n sarebbero stati perseguiti. R e n d e n d o s i con37
to che si trattava solo di un tentativo velleitario, Carlo Alb e r t o d e g r a d ò gli ufficiali, ma fece r i m e t t e r e in libertà i civili, salvo il Bersani che fu t e n u t o in p r i g i o n e p e r sei anni. Poco d o p o s c o p p i a r o n o a C h a m b é r y dei t u m u l t i . L'inchiesta a p p u r ò che a fomentarli e r a n o stati alcuni s t u d e n t i n o n contro il Re e il suo governo, ma p e r protesta c o n t r o le sopraffazioni dei Gesuiti che avevano r i p r e s o il m o n o p o l i o della scuola e i m p o n e v a n o a tutti l'osservanza dei p r e c e t t i religiosi. Ma b a s t a r o n o a spaventare Carlo Alberto e a fargli a p p e s a n t i r e la m a n o . O r d i n i d r a c o n i a n i furono impartiti ai governatori delle province p e r c h é qualsiasi tentativo di riattizzare la fiamma liberale fosse i m m e d i a t a m e n t e stroncato, sebbene l'Escarène badasse a tranquillizzarlo dicendogli che con u n esercito fedele c o m e quello p i e m o n t e s e , s o s t e n u t o da u n a massa p o p o l a r e t e n a c e m e n t e attaccata al t r o n o e all'altare, n o n c'era n e s s u n m o t i v o d i t e m e r e «una piccola b a n d a d'avvocati e di medici che n o n si conoscono n e m m e no fra loro». Ma n o n e r a la b a n d a che Carlo Alberto temeva. Ciò che t e m e v a e r a d i e s s e r n e c o n s i d e r a t o c o m p l i c e , c o m e gli e r a capitato nel ' 2 1 . Per questo accentuò a n c o r a di più i suoi atteggiamenti autoritari, e di c o n s e g u e n z a il suo isolamento. S e m p r e p i ù d i v e n t ò geloso del p r o p r i o assoluto p o t e r e , e s e m p r e m e n o ne delegò ai suoi ministri. Coloro che a n c o r a r i p o n e v a n o in lui qualche fiducia dicevano ch'era prigioniero dei suoi cortigiani, e p e r questo C a v o u r scrisse p i ù tardi che preferiva la p e g g i o r C a m e r a alla migliore a n t i c a m e r a . In realtà n e m m e n o dei cortigiani Carlo Alberto si fidava. Se li t e n e v a i n t o r n o solo p e r meglio controllarli, m e t t e n d o l i l'uno c o n t r o l'altro e senza c o n c e d e r e la p r o p r i a amicizia a nessuno. Q u e s t o C a r i g n a n o i n s o m m a si mostrava un vero Savoia.
CAPITOLO QUARTO
LA G I O V I N E ITALIA
Abbiamo lasciato Mazzini agli inizi della sua difficile vita di esule. D o p o un breve soggiorno in Svizzera, si era trasferito a L i o n e d o v e aveva p r e s o p a r t e al fallito t e n t a t i v o di u n a s p e d i z i o n e i n Savoia; p o i p e r t e n t a r n e u n ' a l t r a i n a i u t o agl'insorti del ' 3 1 , e r a a n d a t o in Corsica. Ma, fallita a n c h e quella, e r a t o r n a t o a Marsiglia e vi si era acquartierato. Marsiglia era il luogo di raccolta dei fuorusciti italiani, che vi c o n d u c e v a n o quasi tutti u n a vita piuttosto g r a m a . Fra loro si aiutavano, si detestavano, e si riunivano ogni sera al «Caffè delle Mille Colonne» p e r discutere di rivoluzione e p r o g r a m m a r e imprese più o m e n o fantapolitiche. C ' e r a n o fra di essi u o m i n i abbastanza in vista c o m e Celeste Menotti, il fratello di Ciro, Melegari, La Cecilia, un conte Carlo Bianco, c h ' e r a il capo di u n a delle tante sètte fiorite ai p r i m i del secolo, gli Apofasimeni, e passava p e r un tecnico della guerriglia, e l'att o r e G u s t a v o M o d e n a , r e d u c e dalla battaglia d e l M o n t e e s e m p r e più enfatico e declamatorio. Ma mancava un capo. Mazzini n o n s'imbrancò con loro. Aveva trovato ospitalità in casa di un repubblicano francese, D e m o s t e n e Ollivier, c h e il r e g i m e di Luigi Filippo t e n e v a al b a n d o , e n o n ne usciva che la mattina p e r recarsi al tiro a segno, dove anche tutti gli altri a n d a v a n o a t e n e r s i in esercizio p e r le f u t u r e imprese. Il resto della giornata lo dedicava al lavoro di tavolino, che gli occupava a n c h e parecchie o r e della notte. N o n amava la vita gregaria. Era s e m p r e stato un solitario, e ancora p i ù lo e r a d i v e n t a t o d o p o q u e i p r i m i contatti coi suoi c o m p a g n i di esilio di cui aveva constatato la pasticcioneria, e con cui n o n voleva confondersi. 39
Essi lo i n t u i r o n o e lo accusarono di superbia, ma n o n p o t e r o n o sottrarsi al p o t e r e carismatico c h e q u e l r a g a z z o di venticinqu'anni esercitava grazie a n c h e a quella sua riservatezza e severità. T a n t o che n e s s u n o rise q u a n d o fu risaputo che l'autore della lettera a Carlo Alberto, firmata «Un Italiano» e d a p p r i n c i p i o attribuita a B u o n a r r o t i , e r a lui. A n c h e se q u a l c u n o trovò piuttosto p r e s u n t u o s o quel rivolgersi da p a r i a p a r i a un Re, n o n lo disse. Se n o n lo a m a v a n o , lo rispettavano. Chiuso nella sua c a m e r a , senz'altro conforto che quelli di un sigaro, di u n a tazza di caffè e della inseparabile chitarra, Mazzini lavorava febbrilmente al suo p i a n o organizzativo. Il fallimento dei tentativi rivoluzionari del ' 3 1 , nei quali si era trovato coinvolto, gli aveva insegnato p i ù di tutti i libri che fin allora aveva l e t t o . E r a c h i a r o c h e la C a r b o n e r i a aveva fatto il suo t e m p o : e r a un organismo che n o n si poteva n e m m e n o riformare, c o m e egli si era p r o p o s t o di fare q u a n d o vi si e r a affiliato. Portava nel s a n g u e un vizio i r r e d i m i b i l e , il settarismo, e si era t r o p p o screditata coi suoi c o m p r o m e s s i ideologici. L'iniziativa rivoluzionaria n o n poteva essere affidata esclusivamente a u n a mafia o chiesuola di «iniziati». Ci voleva u n a p a r t e c i p a z i o n e p o p o l a r e . E p e r questo occorreva u n ' o r g a n i z z a z i o n e m o l t o p i ù a p e r t a , a n c h e se il r e g i m e poliziesco che imperversava in tutti gli Stati italiani i m p o n e va u n a certa segretezza, e s o p r a t t u t t o basata su un p r o g r a m ma c h i a r o e definito. Bisognava d i r e agl'italiani p e r q u a l e Italia essi e r a n o chiamati a insorgere e combattere. E q u i n d i ci voleva u n o s t r u m e n t o di p e r s u a s i o n e e di diffusione dell'idea. D u e mesi d ' i n t e n s o l a v o r o gli b a s t a r o n o a m a t u r a r e il p i a n o . Più che u n a setta, la sua organizzazione sarebbe stata un v e r o e p r o p r i o p a r t i t o , a n c h e se c l a n d e s t i n o , senza l'oscura simbologia e i complicati rituali carbonari. Si sarebbe chiamata Giovine Italia e lo sarebbe stata a n c h e di fatto p e r ché, salvo casi eccezionali, e r a preclusa a chi avesse s u p e r a t o i q u a r a n t ' a n n i di età. I gradi d'iniziazione e r a n o d u e : i Feale40
rati semplici e i Federati propagatori, riuniti in Congreghe provinciali, che avrebbero fatto capo a un s u p r e m o o r g a n o direttivo, la Congrega centrale. Al m o m e n t o dell'affiliazione, o g n i a d e p t o doveva a s s u m e r e un n o m e di battaglia e p r o n u n c i a re questo g i u r a m e n t o : «Io cittadino italiano, davanti a Dio, p a d r e della Libertà; davanti agli u o m i n i nati a gioirne; d a v a n t i a me e alla mia coscienza, specchio delle leggi della n a t u r a ; pei diritti individuali e sociali che costituiscono l'uomo; p e r l'amore che mi lega alla mia p a t r i a infelice; p e i secoli di servaggio c h e la c o n t r i s t a n o ; pei t o r m e n t i sofferti dai miei fratelli italiani; p e r le lacrime sparse dalle m a d r i sui figli spenti o prigioni; pel fremito d e l l ' a n i m a mia in v e d e r m i solo, i n e r t e e i m p o t e n t e all'azione; pel s a n g u e dei m a r t i r i della patria; p e r la m e m o r i a dei p a d r i ; p e r le c a t e n e che mi c i r c o n d a n o ; giuro di consacrarmi tutto e s e m p r e con tutte le mie p o t e n z e m o rali e fisiche alla Patria ed alla sua r i g e n e r a z i o n e ; di consac r a r e il p e n s i e r o , la p a r o l a , l'azione a c o n q u i s t a r e i n d i p e n d e n z a , u n i t à e libertà all'Italia; di s p e g n e r e col braccio ed i n f a m a r con la voce i t i r a n n i e la t i r a n n i d e politica, civile, m o r a l e , cittadina, straniera; di c o m b a t t e r e in o g n i m o d o le ineguaglianze fra gli u o m i n i d ' u n a stessa terra; di p r o m u o vere con ogni mezzo l'educazione degl'Italiani alla libertà e alla virtù che la r e n d o n o e t e r n a ; di cercare p e r o g n i via che gli u o m i n i della Giovine Italia o t t e n g a n o la d i r e z i o n e delle cose p u b b l i c h e : di u b b i d i r e agli o r d i n i e alle istruzioni che m i v e r r a n n o trasmessi d a chi r a p p r e s e n t a con m e l ' u n i o n e dei fratelli; di n o n rivelare p e r s e d u z i o n i o t o r m e n t i l'esistenza, lo scopo della Federazione, e di d i s t r u g g e r e , p o t e n d o , il rivelatore; così giuro, r i n n e g a n d o ogni mio particolare interesse p e r il vantaggio della mia patria, ed invocando sulla mia testa l'ira di Dio e l'abominio degli u o m i n i , l'infamia e la m o r t e dello s p e r g i u r o , se io mancassi al mio giuramento». Era u n a formula che p e r certe a p p a r e n z e , e s o p r a t t u t t o nell'enfasi declamatoria, ricordava quella c a r b o n a r a . Ma se 41
n e distaccava nella sostanza, c o m e a p p a r v e c h i a r a m e n t e dalla Istruzione generale per gli affratellati della Giovine Italia e da altri scritti c h e la c o m p l e t a v a n o . I p u n t i f o n d a m e n t a l i e r a n o questi: F i n o r a i tentativi r i v o l u z i o n a r i s o n o falliti n o n p e r c h é deboli, ma p e r c h é mal diretti. Le idee che li a n i m a r o n o sono storia, e c o m e storia v a n n o rispettate. Ma guai a volerne a n c o r a fare politica. «Noi n o n m a l e d i c i a m o il p a s s a t o , se n o n q u a n d o c ' i n c o n t r i a m o in u o m i n i , i quali s'ostinano a farne p r e s e n t e e, quel ch'è peggio, avvenire» (era u n a chiara allusione a B u o n a r r o t i ) . Oggi n o n si p u ò p r o c e d e r e p e r sètte e c o n g i u r e . Ci vuole l'appoggio del p o p o l o . E questo a p p o g g i o si p u ò sollecitarlo s o l t a n t o c o n i d e e semplici e chiare. La p r i m a di q u e s t e idee è che quello italiano è un p r o b l e m a essenzialmente nazionale, e q u i n d i c o m e t r a g u a r d o deve p r o p o r s i anzitutto l'unità. In u n ' E u r o p a di nazioni, l'Italia p o t r à c o n t a r e solo se anch'essa lo diventa raccogliendosi in un solo Stato sovrano e i n d i p e n d e n t e . Q u e s t o Stato n o n p o t r à essere che repubblicano p e r vari e precisi motivi. Prima di tutto p e r c h é la tradizione italiana è r e p u b b l i c a n a . Poi p e r c h é , n a s c e n d o da u n a iniziativa di p o p o l o , e q u i n d i sul p r e s u p p o s t o della u g u a g l i a n z a , n o n p u ò p o r r e a p r o p r i o f o n d a m e n t o u n privilegio e r e d i t a r i o q u a l è quello della m o n a r c h i a . Infine p e r c h é in Italia ne m a n c a n o i d u e f o n d a m e n t a l i p r e s u p p o s t i : u n a dinastia di origine e tradizione nazionale, e un'aristocrazia che, essendosi resa rispettata e rispettabile p e r i servigi resi, possa interporsi fra il t r o n o e il p o p o l o . Ecco p e r c h é bisogna u n a volta p e r s e m p r e r i n u n c i a r e alle d u e g r a n d i illusioni in cui fin qui i patrioti si son cullati e che li h a n n o condotti ai più crudeli disinganni: che l'unità e l ' i n d i p e n d e n z a p o s s a n o esserci r e g a l a t e d a u n a P o t e n z a s t r a n i e r a , o c h e a p r e n d e r n e l'iniziativa sia q u a l c u n o dei Principi i n d i g e n i in carica. Sia n e l l ' u n o che nell'altro caso, n o n p o t r e b b e r i s u l t a r n e che u n o Stato dai p i e d i d'argilla. 42
Solo il p o p o l o p o t r à d a r s e n e u n o sano, libero e funzionante, costruendoselo con le sue forze e coi suoi sacrifici. Per questi motivi la Giovine Italia n o n è u n a setta e n o n vuole diventarlo. Il segreto d o v r à c o p r i r e la sua organizzazione p e r sottrarla alla persecuzione poliziesca. Ma n o n p u ò estendersi al c o n t e n u t o ideologico, che deve s e m p r e restare a p e r t o al p i ù largo dibattito. Per e d u c a r e gli u o m i n i all'insurrezione, bisogna dirgli a cosa questa mira. E ciò sarà fatto a mezzo di u n a rivista, che si c h i a m e r à a p p u n t o La giovine Italia, cui tutti p o t r a n n o p o r t a r e il c o n t r i b u t o d e l le p e n s i e r o e che tutti s a r a n n o tenuti a diffondere. Neil? di p r e p a r a z i o n e insurrezionale, che richiede unità d' tive e di c o m a n d o , la C o n g r e g a C e n t r a l e sarà c o agire con m e t o d i dittatoriali. Ma questi cesserar p e n a dalla fase p r e p a r a t o r i a si passerà a quel! ria vera e p r o p r i a a mezzo di u n a g u e r r a d' n e . E c o m u n q u e tale dittatura dovrà limit rativo: organizzazione, strategia, scelta ' p o ideologico, tutto deve r e s t a r e c h p r e v e n i r e quei compromessi i n o r <^%Rufe screditò. Questo n o n esclude r' 4, %^ )cerchi di sfruttare i m a l c o n t e r c/y °vglla p e p e r le p r e p o t e n z e del sign' ^vò Ma q u e s t o tatticismo dev '-^i facevastrategico generale, su ' v£ % j facchino. Qfu, da solo A q u e s t o p i a n o si % dava p e r scontata, ^ A , ^ % ^ di propavita alle istanze >» / o / 'scolo stampa4 ^ Mazzini n o n r Q ?^ i m p i l a r e opu4 &t ^
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n e distaccava nella sostanza, c o m e a p p a r v e c h i a r a m e n t e dalla Istruzione generale per gli affratellati della Giovine Italia e da altri scritti c h e la c o m p l e t a v a n o . I p u n t i f o n d a m e n t a l i e r a n o questi: F i n o r a i tentativi r i v o l u z i o n a r i s o n o falliti n o n p e r c h é deboli, ma p e r c h é mal diretti. Le idee che li a n i m a r o n o sono storia, e c o m e storia v a n n o rispettate. Ma guai a volerne a n c o r a fare politica. «Noi n o n m a l e d i c i a m o il p a s s a t o , se n o n q u a n d o c ' i n c o n t r i a m o in u o m i n i , i quali s'ostinano a farne p r e s e n t e e, quel ch'è peggio, avvenire» (era u n a chiara allusione a B u o n a r r o t i ) . Oggi n o n si p u ò p r o c e d e r e p e r sètte e c o n g i u r e . Ci vuole l ' a p p o g g i o del p o p o l o . E q u e s t o a p p o g g i o si p u ò sollecitarlo s o l t a n t o c o n i d e e semplici e chiare. La p r i m a di q u e s t e i d e e è che quello italiano è un p r o b l e m a essenzialmente nazionale, e q u i n d i c o m e t r a g u a r d o deve p r o p o r s i anzitutto l'unità. In u n ' E u r o p a di nazioni, l'Italia p o t r à c o n t a r e solo se anch'essa lo d i v e n t a raccogliendosi in un solo Stato sovrano e i n d i p e n d e n t e . Questo Stato n o n p o t r à essere che repubblicano p e r vari e precisi motivi. Prima di tutto p e r c h é la tradizione italiana è r e p u b b l i c a n a . Poi p e r c h é , n a s c e n d o da u n a iniziativa di p o p o l o , e q u i n d i sul p r e s u p p o s t o della u g u a g l i a n z a , n o n p u ò p o r r e a p r o p r i o f o n d a m e n t o u n privilegio e r e d i t a r i o q u a l è quello della m o n a r c h i a . I n f i n e p e r c h é in Italia ne m a n c a n o i d u e f o n d a m e n t a l i p r e s u p p o s t i : u n a dinastia d i origine e tradizione nazionale, e un'aristocrazia che, essendosi resa rispettata e rispettabile p e r i servigi resi, possa interporsi fra il t r o n o e il p o p o l o . Ecco p e r c h é bisogna u n a volta p e r s e m p r e r i n u n c i a r e alle d u e g r a n d i illusioni in cui fin qui i patrioti si son cullati e che li h a n n o condotti ai p i ù crudeli disinganni: che l'unità e l ' i n d i p e n d e n z a p o s s a n o esserci r e g a l a t e d a u n a P o t e n z a s t r a n i e r a , o c h e a p r e n d e r n e l'iniziativa sia q u a l c u n o d e i Principi indigeni in carica. Sia n e l l ' u n o che nell'altro caso, n o n p o t r e b b e r i s u l t a r n e che u n o Stato dai p i e d i d'argilla. 42
Solo il p o p o l o p o t r à d a r s e n e u n o sano, libero e funzionante, costruendoselo con le sue forze e coi suoi sacrifici. Per questi motivi la Giovine Italia n o n è u n a setta e n o n vuole diventarlo. Il segreto d o v r à c o p r i r e la sua organizzazione p e r sottrarla alla persecuzione poliziesca. Ma n o n p u ò estendersi al c o n t e n u t o ideologico, che deve s e m p r e restare a p e r t o al più largo dibattito. Per e d u c a r e gli u o m i n i all'insurrezione, bisogna dirgli a cosa questa mira. E ciò sarà fatto a mezzo di u n a rivista, che si c h i a m e r à a p p u n t o La giovine Italia, cui tutti p o t r a n n o p o r t a r e il c o n t r i b u t o d e l l o r o p e n s i e r o e che tutti s a r a n n o tenuti a diffondere. Nella fase di p r e p a r a z i o n e insurrezionale, che richiede unità di direttive e di c o m a n d o , la C o n g r e g a C e n t r a l e sarà costretta ad agire con metodi dittatoriali. Ma questi cesseranno n o n a p p e n a dalla fase p r e p a r a t o r i a si passerà a quella rivoluzionaria vera e p r o p r i a a mezzo di u n a g u e r r a di b a n d e partigian e . E c o m u n q u e tale dittatura d o v r à limitarsi al c a m p o operativo: organizzazione, strategia, scelta di obbiettivi. In campo ideologico, tutto deve r e s t a r e chiaro a tutti in m o d o da p r e v e n i r e quei compromessi in cui la C a r b o n e r i a s'insabbiò e screditò. Q u e s t o n o n esclude che l'azione propagandistica cerchi di sfruttare i malcontenti locali: quelli p e r le carestie, p e r le p r e p o t e n z e del s i g n o r o t t o , p e r le vessazioni fiscali. Ma q u e s t o tatticismo deve r e s t a r e in funzione d e l d i s e g n o strategico generale, su cui n o n si p u ò transigere. A q u e s t o p i a n o si p o s s o n o m u o v e r e delle critiche. Esso dava p e r scontata, da p a r t e delle masse italiane, u n a ricettività alle istanze nazionali, che invece m a n c a v a t o t a l m e n t e . Mazzini n o n conosceva il p o p o l o , n o n lo c o n o b b e m a i : fu questo il suo limite di u o m o politico. Era un aristocratico, che il suo fascino lo esercitava soltanto sulle élites colte. N o n essendo mai stato con esse in contatto, ignorava che le masse n o n e r a n o in condizione di capire il suo appello p e r m a n canza di tutti gli s t r u m e n t i , a c o m i n c i a r e dall'alfabeto. Avrebbe trasalito d'indignazione se gli avessero detto che il suo «popolo» e r a soltanto la borghesia: era avverso a o g n i 43
concezione classista, e lo disse esplicitamente: «Non fidate a u n a classe sola la g r a n d ' o p e r a di u n a r i g e n e r a z i o n e nazion a l e . Le m o l t i t u d i n i sole p o s s o n o sottrarvi alla necessità d ' i n s t a u r a r e il t e r r o r e , le proscrizioni, l'arbitrio». Ma ignorava che queste moltitudini n o n e r a n o in g r a d o d ' i n t e n d e r e il suo messaggio, che restava p e r loro i n c o m p r e n s i b i l e a p p u n t o perché n o n conteneva nessuna rivendicazione di classe. Quello che Mazzini lanciava era un appello esclusivam e n t e politico, che n o n esercitava né poteva esercitare alcuna attrattiva su un s o t t o p r o l e t a r i a t o afflitto dalla miseria e dall'analfabetismo, qual e r a il novantacinque p e r cento della popolazione italiana: le «moltitudini». A queste, p e r m u o verle, s a r e b b e occorso d i r e ciò ch'esse in realtà dissero diciassett'anni d o p o sulle barricate delle C i n q u e G i o r n a t e di Milano: «A m o r t e i sciuri!», a m o r t e i signori, tutti i signori, stranieri o i n d i g e n i che fossero. Sarebbe i n s o m m a occorso d a r e , alla r i v o l u z i o n e n a z i o n a l e , un c o n t e n u t o sociale. E Mazzini a questa esigenza fu piuttosto sordo. Ma queste lacune n o n tolgono nulla alla validità del messaggio mazziniano. Per la p r i m a volta esso p o n e v a il problem a italiano i n t e r m i n i chiari e f o r m u l a v a u n p r o g r a m m a d'azione c o e r e n t e e realistico. A degl'italiani fin allora abituati a confidare soltanto in un esercito straniero o in quello di un Principe i n d i g e n o - fosse Carlo Alberto, o Francesco di M o d e n a - diceva: « N o n aspettatevi n i e n t e da n e s s u n o . Fate da voi. L'Italia n o n si p u ò costruire che con idee italiane e s a n g u e italiano. Fate del tricolore la vostra b a n d i e r a . Iscrivetevi le parole d ' o r d i n e Indipendenza e Unità. E sotto di essa arruolatevi». Era la r o t t u r a con la C a r b o n e r i a e col suo s a n t o n e B u o n a r r o t i , ligio al m e t o d o a u t o r i t a r i o del «vertice» insindacabile e coperto dal più fitto segreto, e tuttora convinto che la rivoluzione italiana n o n potesse essere che u n ' a p p e n d i c e di quella francese. Il vecchio giacobino cercò di p a r a r e il colpo f o n d a n d o u n a n u o v a società articolata in famiglie, c h e si c h i a m ò / veri Italiani e t e n t a n d o un a c c o r d o c o n Mazzini, 44
che vi a d e r ì controvoglia. Era u n a transazione dettata dalle circostanze, ma resa impossibile dalla sostanziale divergenza ideologica. Per B u o n a r r o t i la rivoluzione era sociale e mirava all'uguaglianza delle classi; p e r Mazzini e r a politica e mirava all'unità nazionale. E in p i ù c'era l'incompatibilità dei c a r a t t e r i . B u o n a r r o t i diffidava di Mazzini c h e disistimava B u o n a r r o t i e lo considerava un vecchio t r o m b o n e . Le d u e organizzazioni finsero di collaborare. In realtà si combatter o n o a c c a n i t a m e n t e . Ma fin d a p p r i n c i p i o fu c h i a r o c h e la voce n u o v a di Mazzini esercitava sugl'italiani molto più fascino di quella roca di B u o n a r r o t i . Le congreghe si diffusero e m o l t i p l i c a r o n o m o l t o p i ù r a p i d a m e n t e delle famiglie in t u t t a la p e n i s o l a , e c c e t t u a t a la Toscana, d o v e B u o n a r r o t i aveva ancora salde radici. Q u e s t o successo aveva del miracolo. E il miracolo e r a d o vuto al sacerdotale i m p e g n o , alla totale dedizione di Mazzini. C o m e tutti gli altri affiliati, a n c h e lui aveva p r e s o un n o me di battaglia: quello di Filippo Strozzi, c h e i c o m p a g n i c o n t r a e v a n o affettuosamente in «Pippo». A f o r m a r e la congrega centrale aveva chiamato il Bianco e il m o d e n e s e Ruffini (che n o n aveva n i e n t e a che fare coi Ruffini di Genova). E con loro trascorreva le sue giornate in un a n t r o della p e riferia attrezzato a tipografia di fortuna, dove c o m p o n e v a e stampava i fascicoli della sua rivista. Altri c o m p a g n i facevano chi il c o r r e t t o r e di bozze, chi il tipografo, chi il facchino. Ma a scrivere era quasi soltanto lui. Q u e s t ' u o m o fu, da solo e con mezzi artigianali, la p i ù efficiente c e n t r a l e di p r o p a g a n d a che mai si fosse vista. I m p a g i n a t o il fascicolo stampato alla meglio su pessima carta, si metteva a compilare o p u scoli e volantini. Finiti a n c h e quelli, si dedicava alle lettere. Mazzini aveva il genio delle pubbliche relazioni, e ne intratteneva con tutti spiegando, polemizzando, r i c h i a m a n d o , incoraggiando. Dopodiché bisognava p r o v v e d e r e alla spedizione in Italia di tutto quel materiale, e n o n era facile p e r c h é il contrabbando poteva costare la testa a chi lo faceva. E p p u r e , aggirando45
si sui moli, q u a l c h e a u d a c e disposto a t r a g h e t t a r e il carico nascosto d e n t r o barili di farina, ceste di uova, e a volte anche nel cavo di statue di gesso, lo trovavano s e m p r e . La polizia cominciò ad a v e r e sospetti e ad o p e r a r e perquisizioni solo d o p o parecchi mesi q u a n d o tutta quella esplosiva pubblicistica e r a o r m a i a b b o n d a n t e m e n t e p e n e t r a t a nella penisola a t t r a v e r s o G e n o v a d o v e c'era, a riceverla e a smistarla, il g r u p p o dei vecchi amici di Mazzini, capeggiato dai fratelli Ruffini. Essi avevano costituito la p r i m a congrega provinciale, che già disseminava le sue succursali in tutta la Liguria e cominciava a tessere la sua tela a n c h e in Piemonte. Per istit u i r n e u n a a Torino, J a c o p o Ruffini aveva sollecitato la collaborazione di Brofferio. Ma costui, r e d u c e dall'avventura dei Cavalieri della libertà, nella quale n o n aveva fatto u n a bella figura, n o n ne volle sapere, e l'impresa fu affidata ad Azario. Ai p r i m i d e l ' 3 3 , cioè a p o c o p i ù di un a n n o dall'inizio della sua o p e r a , Mazzini calcolava di avere in Italia fra i cinq u a n t a e sessantamila affiliati. Forse Io diceva p e r ragioni di p r o p a g a n d a . M a forse u n p o ' c i c r e d e v a d a v v e r o , d a t o l o stato di eccitazione e di entusiasmo in cui viveva: p e r tutto il resto della sua esistenza, n o n smise mai di r i m p i a n g e r e quei t e m p i eroici e tribolati. Sebbene in quel m o m e n t o la polizia n o n si occupasse di lui, d o p o il lavoro spariva, e n e m m e n o i suoi intimi ne conoscevano il recapito. Q u e s t a passione della clandestinità cadeva talvolta in estremi ciarlataneschi, degni del suo n e m i c o B u o n a r r o t i . A n d a v a in giro travestito, talvolta a n c h e da d o n n a . Studiava n u o v e ricette p e r inchiostri simpatici. O g n i d u e o tre mesi m u t a v a i segni di riconoscimento tra affiliati. E rivelò un talento squisitamente ligur e , m a c h e n e s s u n o a v r e b b e i n lui s o s p e t t a t o , n e l t r o v a r e fonti d i f i n a n z i a m e n t o . N e dava p e r p r i m o l'esempio, vers a n d o nella cassa c o m u n e quasi tutto il sussidio che la famiglia seguitava a passargli; ma riuscì a n c h e a costituire un g r u p p o di sovvenzionatori che g e n e r o s a m e n t e gli a p r i r o n o la borsa. C h i u n q u e veniva in contatto con lui restava bruciato alla sua fiamma. Ma un g i o r n o si bruciò a n c h e lui. 46
Sulla p r i m a v e r a del '32 a r r i v ò p r o f u g a a Marsiglia u n a signora milanese: Giuditta Sidoli. Aveva ventott'anni ed e r a v e d o v a d e l r e g g i a n o G i o v a n n i Sidoli c h e , c o n d a n n a t o a m o r t e p e r i moti del ' 2 1 , era a n d a t o esule in Svizzera con la moglie e i q u a t t r o figli, e lì e r a m o r t o . Giuditta e r a t o r n a t a dal suocero, fervido reazionario, che nel '31 la cacciò di casa, t e n e n d o s i i nipoti, p e r c h é la s o r p r e s e a cucire coccarde tricolori. Così era a p p r o d a t a a Marsiglia e, a v e n d o di che vivere a g i a t a m e n t e , vi mise su u n a casa che subito diventò il p u n t o d i raccolta dei fuorusciti. U n a s e r a c i v e n n e a n c h e P i p p o , m a n o n p o t è p i ù t o r n a r c i p e r c h é p r o p r i o allora l a polizìa piemontese aveva scoperto il c o n t r a b b a n d o della Giovine Italia, e il g o v e r n o di Torino, sostenuto da Metternich, aveva vivamente protestato presso quello francese, che aveva espulso Mazzini. Questi, p e r e l u d e r e il b a n d o , si rifugiò p e r qualche giorno a Lione, ma poi r i t o r n ò a Marsiglia, e p e r n o n c o m p r o m e t t e r e il suo vecchio anfitrione Ollivier, si trasferì in u n a stamberga di periferia, dov'era costretto a d o r m i r e sulla sedia p e r c h é il letto e r a infestato dalle cimici. L'indirizzo lo con o s c e v a n o solo un m e s s a g g e r o , c h e veniva a p r e n d e r e gli articoli p e r la rivista e gli ordini p e r i c o m p a g n i , e il prefetto di Marsiglia c h e n o n aveva n e s s u n a voglia di a p p l i c a r e l ' o r d i n e di e s p u l s i o n e e riferiva a Parigi c h e Mazzini e r a scomparso. T u t t ' u n i n v e r n o egli t r a s c o r s e in q u e l l ' a n t r o in c o m p a gnia d ' u n c a n e e della fida c h i t a r r a , u n i c a evasione all'intenso forsennato lavoro. Un g i o r n o , a portargli posta e pasto, n o n fu il messaggero, ma u n a messaggera: Giuditta, che aveva a l u n g o brigato e finalmente o t t e n u t o quell'incarico. Mazzini s ' i n n a m o r ò di lei, c h ' e r a già i n n a m o r a t a di lui, come solo p u ò capitare a un u o m o che scopra l'amore soltanto a ventisei a n n i . N o n doveva averlo mai fatto. Fu lei a insegnarglielo. E, a q u a n t o p a r e , gliel'insegnò benissimo. La passione lo travolse e p e r p o c o gli fece d i m e n t i c a r e l'altra, quella p e r l'Italia. 47
P r o p r i o in quel m o m e n t o giunse da Genova u n a notizia terribile: la polizia aveva scoperto il g r u p p o Ruffini e a r r e stato J a c o p o . N e g l ' i n t e r r o g a t o r i , p e r v i n c e r n e la reticenza, gli avevano detto che a d e n u n z i a r l o e r a n o stati i suoi stessi c o m p a g n i , a cominciare da Mazzini; e il prigioniero, sopraffatto dalla disperazione, si e r a suicidato in carcere tagliandosi l'aorta. Sua m a d r e L e o n o r a n o n lo sapeva. Per sottrarre alle m a n e t t e l'altro figlio, A g o s t i n o , e r a fuggita con lui p e r r i p a r a r e a Marsiglia da Mazzini, che conosceva da bambino e di cui si sentiva un p o ' la s e c o n d a m a m m a . Fu lui a darle la t r e m e n d a notizia, ma n o n il conforto ch'essa cercava. Di conforto ne aveva bisogno egli stesso. Al dolore p e r la m o r t e di J a c o p o , il «fratellino» della sua infanzia genovese, il suo p r i m o seguace, si mescolava il r i m o r s o p e r averlo così pericolosamente c o m p r o m e s s o nella cospirazione. E a questo si aggiungeva il sentimento di colpa che Giuditta gli p r o curava. La sua relazione con lei faceva scandalo fra i compagni abituati a considerarlo un asceta a p r o v a di qualsiasi tentazione. «L'impeccabile pecca?» a n d a v a c h i e d e n d o s i il p i ù linguacciuto di loro, Melegari. Ma n o n era questione soltanto di peccato. Era c h e p e r Giuditta egli stava d i s e r t a n d o la Causa. L a v o r a v a p o c o . Lo v e d e v a n o di r a d o . E di r a d o lo vedeva a n c h e L e o n o r a , delusa nella sua speranza di trovare in lui un a p p o g g i o . U n a sera Mazzini chiese ad Agostino di prestargli il passaporto. Fra esuli era abituale farsi di questi favori, e Agostino c o n s e n t ì . Mazzini s c o m p a r v e , e c o n t e m p o r a n e a m e n t e s c o m p a r v e Giuditta. Per p a r e c c h i o t e m p o i c o m p a g n i n o n ne e b b e r o più notizia. Era fuggito? Il Messia aveva r i n u n ziato alla missione p e r c o r r e r e dietro a u n a gonnella? Poi fin a l m e n t e arrivò da Ginevra u n a sua lettera che tuttavia n o n forniva plausibili spiegazioni. Molti corsero da lui a v e d e r e cosa succedeva. Melegari si limitò a scrivergli in t e r m i n i acri e derisori. Mazzini gli rispose asciutto: «Non posso né devo giustificarmi». Ma p o i a g g i u n g e v a : «V'è u n a m a l e d i z i o n e nell'aria che mi circonda, e voglio e d e b b o esaurirla io solo. 48
La vita mi p e s a p i ù c h e a te. Ho un a m a r o n e l l ' a n i m a che n o n i m m a g i n i n e m m e n o . O r a sto in faccia al d e s t i n o e lo g u a r d o solo. M'avanzano dei doveri e questi saprò compirli anche d o p o aver disperato di m e . Li c o m p i r ò n o n perch'io sia legato con gli u o m i n i a fare. Saprei sciogliermi da qualunque legame di questa fatta. Ma mi sento legato dalle vittime, e dalla mia coscienza. Sosterrò sino all'estremo delle mie forze la p a r t e che un qualche cosa più forte di me m ' h a assegnata. Sii d u n q u e t r a n q u i l l o . Mazzini è m o r t o . N o n avrai a che fare che con lo Strozzi». Di lì a poco Giuditta t o r n ò a Marsiglia con un b a m b i n o in braccio: era il figlio di Mazzini. Lo p o r t ò da D e m o s t e n e Ollivier che se ne prese cura come di un figlio suo. Poi si accinse a p a r t i r e p e r l'Italia: aveva capito c h e nella vita di Mazzini n o n c'era posto p e r lei, né p e r n e s s u n a d o n n a . Melegari, che l'aveva accolta con parole fredde e scortesi, quando seppe della sua maternità, le chiese scusa, l'aiutò nei p r e parativi del viaggio, l'accompagnò al p o r t o , scrisse u n a lettera affettuosa a Mazzini che gli rispose altrettanto affettuosamente: «Povera Giuditta! Ho il p r e s e n t i m e n t o che n o n la v e d r ò mai p i ù . Per lei e r a m e g l i o che n o n l'avessi v e d u t a mai. L'ho travolta nel mio destino, e n ' h o r i m o r s o vero. Ma potevo io ingannarla?» P e r d o n a r o n o tutti, m e n o Agostino Ruffini, cui rimase in corpo un fondo di r a n c o r e che p i ù t a r d i esplose in a p e r t a ostilità e si tradusse in basse calunnie c o n t r o il vecchio amico e maestro. Ma quello n o n e r a il m o m e n t o dei dissapori personali. Era alle viste il p r i m o grosso cimento della Giovine Italia. I t a m b u r i rullavano.
B. L'esistenza di un figlio di Mazzini è revocata in dubbio da alni studiosi. Ma la esplicita testimonianza della figlia di Ollivier e nolte chiare allusioni che si trovano nelle lettere fra i due aman* r a n o molto più convincenti. 1 s e n
CAPITOLO QUINTO
FIASCO IN SAVOIA
A p r e c i p i t a r e l'infelice tentativo rivoluzionario del '34 contribuirono vari motivi. Il p r i m o fu l ' e r r o n e a idea che Mazzini si e r a fatta delle p r o p r i e forze. A t r a r l o in i n g a n n o n o n f u r o n o soltanto i r a p p o r t i , c o m e al solito trionfalistici, dei suoi informatori; fu a n c h e il c o n g e n i t o ottimismo dell'apostolo che, invasato della sua missione, n o n vede o minimizza gli ostacoli che le si f r a p p o n g o n o . «La fiducia di q u e l l ' u o m o ha del delirio!» diceva di lui Gustavo M o d e n a . Un altro m o tivo fu p r o b a b i l m e n t e soggettivo e s t r e t t a m e n t e p e r s o n a l e . Tuttora t u r b a t o dalla passione p e r Giuditta, Mazzini voleva d i m o s t r a r e n o n soltanto agli altri, ma a n c h e a se stesso, ch'era a n c o r a lui, il capo risoluto e p r o n t o a qualsiasi r e p e n t a glio. Solo nell'azione avrebbe ritrovato il suo equilibrio e le sue certezze. Ma a queste si aggiungeva a n c h e un'altra spinta: l'improvviso irrigidimento delle polizie italiane e sopratt u t t o di quella p i e m o n t e s e , c h e stava s c o m p a g i n a n d o tutta l'organizzazione della Giovine Italia. Carlo Alberto n o n aveva avuto d a p p r i n c i p i o la m a n o pesante. Il p r i m o processo, quello c o n t r o / Cavalieri della Libertà, si e r a concluso c o n u n a sola c o n d a n n a al c a r c e r e . N e m m e n o il s e c o n d o , c o n t r o i responsabili dei t u m u l t i di Chambéry, sebbene p i ù severo, era stato persecutorio: il gov e r n o e r a convinto - e n o n sbagliava - c h e si trattasse solo di u n a protesta velleitaria senza un vero e p r o p r i o disegno politico. Per q u e s t o n o n aveva p r e s o sul serio n e p p u r e gli a m m o n i m e n t i di M e t t e r n i c h c h e lo r i c h i a m a v a al pericolo dei focolai rivoluzionari in Francia: credeva che questi focolai fossero quelli carbonari, di cui già aveva constatato l'inef50
Scienza. La polizia p i e m o n t e s e n o n sapeva nulla della Giovine Italia. E fu soltanto il caso che la mise sulle sue tracce. Nell'aprile del '33 un sergente, a Genova, accoltellò p e r futili motivi un furiere, il quale si vendicò accusando il suo feritore di averlo adescato a e n t r a r e in u n a setta rivoluzionaria. La delazione si rivelò esatta e c o n d u s s e alla scoperta di u n a vasta attività cospiratoria nei bassi gradi dell'esercito, e s o p r a t t u t t o fra i sottufficiali. C o m e al solito gli a r r e s t a t i «cantarono», e in breve tutta l'organizzazione v e n n e identificata fino al suo «vertice»: i Ruffini. J a c o p o , c o m e a b b i a m o detto, si suicidò, m e n t r e la m a d r e e il fratello Agostino fuggivano a Marsiglia. Ma l'inchiesta n o n si f e r m ò a G e n o v a . Venuta a capo del filo c o n d u t t o r e , ne identificò r a p i d a m e n te tutte le diramazioni. Il p r i m o processo si svolse a Chambéry. Anche qui ad and a r n e di m e z z o f u r o n o s o p r a t t u t t o i sottufficiali, u n o d e i quali v e n n e fucilato. Il Brofferio racconta che il Re ne fu insoddisfatto: p e r d a r e u n e s e m p i o , a v r e b b e d e t t o , c i v u o l e qualche pesce più grosso. U n o c'era: il generale Guillet, ma n o n era nei q u a d r i p e r c h é i galloni se li era g u a d a g n a t i sotto le b a n d i e r e di N a p o l e o n e ; ed ebbe dieci a n n i di galera. La requisitoria più severa si a p p u n t ò sul t e n e n t e s a r d o Efisio Tola che n e g l ' i n t e r r o g a t o r i respinse qualsiasi a d d e b i t o , si rifiutò di fare qualsiasi rivelazione e, di fronte al p l o t o n e di esecuzione, si d e n u d ò da solo il petto d i c e n d o : « I m p a r a t e come si m u o r e » . Le informazioni raccolte in questo processo p e r m i s e r o di a p r i r n e subito un a l t r o , e p i ù g r o s s o , ad A l e s s a n d r i a . A montarlo fu u n a specie di Principe di Canosa p i e m o n t e s e , il g e n e r a l e Galateri, che nella r e p r e s s i o n e p o r t a v a u n voluttuoso zelo. Era u n o di quegli ufficiali che, p u r di n o n servire N a p o l e o n e , si e r a n o a r r u o l a t i negli eserciti austriaci e russi, e questo lo aveva reso caro a Carlo Felice che al suo ritorno lo aveva n o m i n a t o G o v e r n a t o r e d'Alessandria. Galateri assolveva le s u e m a n s i o n i di c a n e da pagliaio s p i a n d o tutto il giorno dalla finestra i passanti. Se ne vedeva u n o con 51
baffi e barba - segno, secondo lui, d'idee liberali -, lo faceva c a t t u r a r e e r a d e r e , a n c h e se e r a straniero. U n a caccia altrettanto spietata conduceva c o n t r o i fumatori e coloro che p o r t a v a n o il c a p p e l l o c o s i d d e t t o «alla turca». Per riposarsi da queste fatiche, la sera faceva alzare i p o n t i levatoi della cittadella e p u n t a r e i c a n n o n i sull'abitato p e r a l l e n a r e gli artiglieri a tenerlo sotto mira. La s e g n a l a z i o n e ricevuta a carico di c i n q u e sottufficiali della sua g u a r n i g i o n e lo riempì di esultanza. Con la p r o m e s sa dell'impunità riuscì a c o r r o m p e r n e u n o che rivelò tutta la t r a m a della cospirazione. Vi e r a n o implicate parecchie diecine di p e r s o n e , fra cui quella p i ù in vista e r a l'avvocato Vochieri, un u o m o coraggioso e p i e n o di dignità, che assistè con disgusto, senza parteciparvi, alla gara di reciproche accuse scatenatasi tra i suoi c o m p a g n i . U n o di essi, il sergente Ferraris, aveva chiesto c o m e p r e m i o della sua delazione la g a r a n z i a di v e n i r e fucilato, ma in fronte, e fu c o n t e n t a t o : c a d d e c o n altri sei sotto il p l o t o n e di esecuzione. Vochieri, ch'era r e a l m e n t e il capo della congrega alessandrina, respinse qualsiasi a d e s c a m e n t o . Q u a n d o , t r a s c i n a n d o l o al m u r o , gli dissero: «Siete a n c o r a in tempo», rispose: «Andiamo!», e affrettò il passo. Fu la settima vittima del Galateri, d o l e n t e solo di a v e r n e ammazzati così pochi. Il Re gliene fu u g u a l m e n t e grato, e p e r dimostrargli il suo compiacimento lo insignì della massima onorificenza del Regno, il Collare dell'Annunziata, a c c o m p a g n a n d o l a con u n a lettera che cominciava: Mon cher, mio caro, e finiva: Vostro amico Carlo Alberto. I n t a n t o e r a m a t u r a t o il processo di Genova, a n c h e q u e sto facilitato dalle delazioni di alcuni imputati, e specialmente di un certo Re, m e r c a n t e di Stradella, che p u r t r o p p o era stato u n o dei maggiori esponenti della cospirazione e quindi ne conosceva tutti i p a r t i c o l a r i . Egli r a c c o n t ò p e r filo e p e r s e g n o c o m e si svolgeva l ' o p e r a di proselitismo, e come questa, attraverso le centrali clandestine di L u g a n o , si fosse estesa a n c h e alla L o m b a r d i a n o n o s t a n t e l'ostilità dei vecchi Carbonari. 52
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Q u e s t e informazioni e r a n o preziose, e n o n soltanto p e r c o l p i r e al c u o r e tutta l'organizzazione. C o m u n i c a n d o l e all'Austria, Carlo Alberto le dava u n ' e n n e s i m a p r o v a della sua c o l l a b o r a z i o n e e se ne g u a d a g n a v a la g r a t i t u d i n e . E p p o i forniva ai servizi di spionaggio, rimasti sulle piste della Carb o n e r i a , u n a n u o v a traccia. I l n e m i c o d a c o m b a t t e r e n o n e r a p i ù q u e l l o , ma la Giovine Italia. A n c h e agli occhi della polizia, Mazzini p r e n d e v a definitivamente il p o s t o di B u o narroti. A c o m p e n s o del p r o p r i o t r a d i m e n t o , Re ebbe la libertà, e subito ne a p p r o f i t t ò p e r fuggire a L u g a n o e d e t t a r e , alla presenza di un notaio, un l u n g o m e m o r i a l e di difesa che poi fece circolare negli a m b i e n t i dei fuorusciti. In esso diceva c h e le confessioni gli e r a n o state s t r a p p a t e c o n la t o r t u r a , ma che ciononostante egli si era limitato a rivelare fatti e n o mi già d e n u n z i a t i da altri. C o n questa versione si p r e s e n t ò a Mazzini che in u n a lettera a Melegari disse di aver p r o v a t o p e r q u e l l ' u o m o m a g r o , eccitato, stralunato, più ribrezzo che odio. E aggiungeva: «Ho l'anima p i e n a di disgusto a v e d e r e gli u o m i n i nella realtà. Re è un infame...» Ma q u a n d o alcuni confratelli manifestarono il proposito di s o p p r i m e r l o , fermò loro la m a n o , e n o n solo p e r pietà. La testimonianza di quel traditore faceva c o m o d o p e r screditare il g o v e r n o s a r d o e i suoi m e t o d i polizieschi. L'ondata di r e p r e s s i o n i si concluse con dodici m o r t i , oltre i d u e - Ruffini e Boggiano - che si e r a n o suicidati in carcere, u n a settantina di c o n d a n n a t i alla galera, e circa d u e cento fuggiaschi oltre frontiera. Ma fra queste vittime c'erano i migliori, i p r o p a g a n d i s t i e organizzatori p i ù attivi. Per ricostituire i q u a d r i , p e r vincere la p a u r a che le fucilazioni e gli arresti avevano suscitato, p e r r i n c u o r a r e gl'indecisi, n o n c'era che l'azione. «Se n o i lasciamo t r a s c o r r e r e l'anno senza agire siamo perduti», scriveva Mazzini, e aveva ragione. Ma P°i aggiungeva: «Se cacciamo u n a scintilla di vivo fuoco, l'Italia è un vulcano». E qui aveva torto. Il suo p i a n o si b a s ò su q u e s t a illusione, a l i m e n t a t a d a i 53
r a p p o r t i in arrivo dalle varie regioni della penisola. Sentendosi forte d a p p e r t u t t o Mazzini p e n s ò che la scintilla a n d a v a accesa nel Sud. N o n soltanto p e r c h é qui di repressioni n o n ce n ' e r a n o state e q u i n d i l'organizzazione era intatta, ma anche p e r c h é il S u d e r a m o l t o p i ù l o n t a n o dalle g u a r n i g i o n i austriache del L o m b a r d o - V e n e t o e q u i n d i più al r i p a r o dal loro i n t e r v e n t o . Q u a n d o queste si fossero mosse, il vulcano sarebbe già stato in p i e n a e r u z i o n e . In g r a n fretta, spedì emissari a p r e n d e r e contatti coi confratelli degli Stati napoletani e pontifici. Ne prese a n c h e con Sciabolone, il b r i g a n t e c h e seguitava a t e r r o r i z z a r e con la sua b a n d a l'Abruzzo. Più c h e sulle città, r a c c o m a n d a v a di p u n t a r e sui paesi e sulle c a m p a g n e p e r c h é , diceva, la rivoluzione n o n dev'essere imposta dal centro e subita dalla p e riferia; deve nascere dal basso c o m e m o t o di e m a n c i p a z i o n e . I d e a giusta i n a s t r a t t o , m a c h e d i m o s t r a q u a n t o p o c o egli fosse consapevole della realtà. Le masse c o n t a d i n e n o n e r a n o state n e m m e n o sfiorate dalla Giovine Italia né potevano esserlo. Le t r u p p e di Mazzini, molto m e n o n u m e r o s e di q u a n t o egli c r e d e s s e , e r a n o t u t t e di e s t r a z i o n e b o r g h e s e e cittadina. La scintilla doveva scoccare I T I agosto (del '33). Ma inv a n o Mazzini tese l'orecchio alle notizie di laggiù. A r r i v ò soltanto quella di a l c u n i a r r e s t i o p e r a t i alla vigilia da Del C a r r e t t o , c h e aveva a v u t o s e n t o r e della cosa. C o n t u t t a l a sua passione p e r il s e g r e t o , Mazzini n o n riusciva m a i a ten e r n e n e s s u n o p e r c h é e r a r e g o l a r m e n t e circondato di spie, che a n c h e stavolta lo avevano tradito. Invece che un processo, gli arrestati e b b e r o il foglio di via. Ma il loro allontanam e n t o bastò a lasciare senza capi u n ' i n s u r r e z i o n e che a n c h e con loro Dio sa se sarebbe mai scoppiata. E le altre c o n g r e g h e m e r i d i o n a l i che a v r e b b e r o d o v u t o t r a d u r r e la scintilla in incendio, n o n v e d e n d o l a scoccare, rimasero con l'arma al piede. La delusione e lo s d e g n o di Mazzini f u r o n o tali c h e p e r u n m o m e n t o p e n s ò d i a b b a n d o n a r e p e r s e m p r e i l suo a p o 54
stolato d e n u n c i a n d o «all'Italia futura la v e r g o g n a di quella presente». Ma d o p o quell'attimo di sconforto, si b u t t ò a tessere di n u o v o la sua tela con più i m p e g n o e ostinazione che mai. Se il Sud n o n si muoveva, si sarebbe mosso il N o r d . Bisognava p u n t a r e sul Piemonte. Anche se l'organizzazione vi e r a stata scompaginata, restava un potenziale rivoluzionario in attesa soltanto di un p r e t e s t o . E il p r e t e s t o sarebbe stato un'azione dall'esterno. Così n a c q u e nella sua m e n t e l'idea di u n a spedizione in Savoia a mezzo di un c o r p o di volontari reclutati fra gli esuli. Mazzini l'aveva già p r o g r a m m a t a , ma c o m e i m p r e s a sussidiaria e di a p p o g g i o alla i n s u r r e z i o n e i n t e r n a . O r a su di essa basò tutto il suo p i a n o , e si mise a p r e p a r a r l a col solito febbrile i m p e g n o . N o n fece fatica a raccogliere i fondi fra i fuorusciti p i ù facoltosi: gliene d e t t e a n c h e u n nobile spagnolo, Rosales, che si era affezionato alla causa italiana e p e r essa aveva già assaggiato la galera a Milano. E volontari ne accorsero, n o n soltanto italiani. Bisognava trovare u n capo militare. Forse Mazzini carezzava l'ambizione di esserlo lui, ma temette, n o n senza f o n d a m e n t o , che i c o m p a g n i lo accusassero di s m a n i e dittatoriali, e r i p i e g ò s u l l ' u o m o ch'essi gl'indicavano: il g e n e r a l e R a m o r i n o . R a m o r i n o era un genovese, accreditato da un passato formalmente ineccepibile. Aveva iniziato la sua c a r r i e r a nell'esercito n a p o l e o n i c o , l'aveva c o n t i n u a t a in quello dei Federati p i e m o n t e s i del ' 2 1 , e r a a n d a t o esule, nel '31 e r a accorso in Polonia a c o m b a t t e r e c o n gl'insorti c o n t r o i russi: u n o stato di servizio di tutto rispetto sia sul p i a n o ideologico che su quello professionale. In realtà, c o m e poi si vide, n o n era affatto un idealista, ma un m e r c e n a r i o , cui gl'ideali servivano solo di p r e t e s t o p e r sfogare la sua smania di avventure. Era p e r la libertà p e r c h é la libertà e r a c o n t r o l'ordine costituito, nel quale n o n riusciva a i n q u a d r a r s i . Giocatore e donnaiolo, a n d a v a a c o m b a t t e r e a n c h e p e r sfuggire ai suoi creditori, e il suo coraggio era soprattutto spavalderia. In ottobre Mazzini s'incontrò con lui a Ginevra e gli offrì 55
il c o m a n d o con u n a d o t e di q u a r a n t a m i l a franchi p e r equip a g g i a r e u n a colonna di mille volontari. R a m o r i n o s'impeg n ò e scomparve con la borsa, dicendo che sarebbe t o r n a t o a n o v e m b r e coi suoi u o m i n i . La p r e p a r a z i o n e proseguì alacre in vista di quella scadenza. I confratelli della Savoia con cui si e r a n o ristabiliti i contatti n o n si m o s t r a r o n o entusiasti dell'impresa, anzi la sconsigliarono, ma Mazzini n o n se ne dette p e r inteso. Era sicuro che al p r i m o successo della sped i z i o n e , il P i e m o n t e a v r e b b e p r e s o fuoco, e l ' e n t u s i a s m o (non dimentichiamoci che aveva solo ventisette anni) lo p o r tava a d a r credito a tutto e a tutti. Ne p r e s t ò a n c h e a un certo Gallenga, c h e si offrì di a n d a r e a T o r i n o p e r v e n d i c a r e Ruffini u c c i d e n d o C a r l o A l b e r t o . Mazzini gli d i e d e la sua benedizione, e Gallenga dileguò nel nulla. Altri p e r s o n a g g i si agitavano i n t o r n o a lui in quell'affannoso viavai dei p r e parativi: dei p e r s o n a g g i che p e r m e t t e v a n o a Carlo Alberto di scrivere al s u o a m i c o - n e m i c o F r a n c e s c o IV di M o d e n a ch'egli e r a p e r f e t t a m e n t e al c o r r e n t e del p i a n o d'invasione dei signori Mazzini e R a m o r i n o , i quali fra breve se la sarebb e r o vista col p l o t o n e di esecuzione. Egli sapeva a n c h e che c o n t e m p o r a n e a m e n t e all'attacco in Savoia a v r e b b e r o dovuto insorgere a Genova alcuni equipaggi della flotta, «lavorati» d a certi m a r i n a i a r r u o l a t i s i a p p u n t o p e r svolgere q u e st'opera. I n s o m m a e r a informato di tutto, e aspettava il colpo quasi con la stessa ansia di Mazzini p e r farla u n a b u o n a volta finita con lui e con la Giovine Italia. A n o v e m b r e , R a m o r i n o n o n si p r e s e n t ò . Da Parigi, d o v ' e r a impegnatissimo a giuocarsi i q u a r a n t a m i l a franchi, fece sapere che sarebbe v e n u t o a m e t à gennaio. In sua vece, giunse la notizia che il B u o n a r r o t i si dissociava dall'impresa e aveva i m p a r t i t o alla C a r b o n e r i a l ' o r d i n e di ostacolarla. Q u e s t a scomunica, che giungeva nel m o m e n t o più delicato e che Mazzini n o n p e r d o n ò mai più, segnò la definitiva rott u r a fra i d u e u o m i n i e le loro organizzazioni. I n t a n t o il rit a r d o metteva in crisi il c o r p o di spedizione, che si era a n d a to con t a n t a fatica raccogliendo. V e d e n d o che le diserzioni 56
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lo avevano già assottigliato a m e n o di ottocento uomini, fra cui gl'italiani e r a n o u n a m i n o r a n z a , Mazzini decise di r o m p e r e gl'indugi fissando la notte del 1° febbraio ('34) p e r l'inizio dell'attacco. R a m o r i n o giunse la vigilia senza il r e p a r t o che si era imp e g n a t o ad a r r u o l a r e . Al seguito si portava soltanto d u e generali, un aiutante e un medico. Gli u o m i n i di cui assunse il c o m a n d o e r a n o solo d u e c e n t o c i n q u a n t a , p e r c h é la polizia svizzera, c e d e n d o alle p r e s s i o n i di quella austriaca, aveva a r r e s t a t o la c o l o n n a dei v o l o n t a r i t e d e s c h i e p o l a c c h i in m a r c i a da N y o n . S e n z ' a s p e t t a r e i francesi e gli svizzeri, di cui e r a previsto l'arrivo di lì a d u e ore, si mise in marcia verso il confine. Ma, arrivato lì, si fermò d i c e n d o che con quelle forze l'impresa e r a irrealizzabile. Mazzini, c h e aveva m a r c i a t o nella c o l o n n a f r a t t a n t o ridottasi a c e n t o c i n q u a n t a u o m i n i scongiurò, i m p l o r ò , minacciò, ebbe u n a crisi di disperazione e di furore, svenne. «Mi ritrovai a C h é n e , n o n so dir come. Mi dissero c h ' e r o stato in delirio e che tutto e r a finito. Cercai del veleno ch'io avevo con m e ; n o n l o trovai, m ' e r a stato s o t t r a t t o . E r o a t t o n i t o , stanco della vita, di m e , di tutto». A dispetto del R a m o r i n o , il battesimo del sangue la spedizione l'aveva avuto. U n a colonna di volontari mossa da Grenoble aveva attaccato un posto di carabinieri, ne aveva ucciso u n o e aveva lasciato in loro mani d u e morti e d u e prigionieri, un italiano e un francese, che v e n n e r o subito fucilati. Mazzini, ricondotto coi suoi a Ginevra ancora mezzo farneticante, teneva consiglio di g u e r r a . Tacciato di pusillanimità e t r a d i m e n t o , R a m o r i n o si difese a c c u s a n d o Mazzini di aver concepito un piano insensato e di avergli affidato un esercito che esisteva soltanto sulla carta. N o n aveva tutti i torti. Ma dimenticava che p r o p r i o p e r s u g g e r i r e un p i a n o e organizzare un esercito era stato chiamato e pagato. Pare impossibile: ma anche d o p o aver dato di sé quella bella prova, seguitò passare p e r un g r a n generale. E con quest'aureola lo rived r e m o all'opera nel '49, p e r disgrazia nostra, ma anche sua. a
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Mazzini si a g g r a p p a v a a n c o r a a u n a speranza: 1 m a r i n a i di G e n o v a . Alcuni di l o r o a v e v a n o fatto ciò che p o t e v a n o : reclutato adepti, distribuito a r m i . Ma sul luogo e all'ora fissata p e r l'insurrezione finirono p e r trovarsi in d u e soli, già identificati e braccati dalla polizia. Mazzini, q u a n d o lo sepp e , sprofondò nella disperazione. «Il p o p o l o e i capi-popolo - scrisse a Rosales - h a n n o m a n c a t o . C h e Dio fulmini loro e me prima!» I n q u e l m o m e n t o u n o dei d u e m a r i n a i d i G e n o v a m a r ciava travestito e inseguito da u n a c o n d a n n a a m o r t e verso la frontiera francese. Si chiamava G i u s e p p e Garibaldi.
CAPITOLO SESTO
PRELUDIO GARIBALDINO
Il giovane m a r i n a i o cui la c o n d a n n a a m o r t e conferiva u n a i m p r o v v i s a n o t o r i e t à , e r a n a t o a Nizza - c h e allora faceva p a r t e dello Stato p i e m o n t e s e - nel 1807, ma la famiglia era originaria di Chiavari. Suo p a d r e , che faceva il c a p i t a n o di m a r e , era un b u o n u o m o molto rispettoso dell'autorità e un p o ' bigotto, che aveva ribattezzato la sua t a r t a n a Santa Reparata e o g n i g i o r n o si s b e r r e t t a v a d a v a n t i al suo s t e n d a r d o con l'effigie di San Giorgio. Lo chiamavano « p a d r o n D o m e nico», e aveva sposato u n a ligure, che tutti conoscevano come « m a m m a Rosa» p e r c h é da m a m m a faceva un p o ' a tutti, tanto e r a d i c u o r t e n e r o . P e p p i n o n e approfittò molto p e r ché fu il più discolo e ribelle dei figliuoli. Si rifiutò di fare il p r e t e c o m e volevano i suoi, e invece di studiare, passava tutta la giornata a guazzare nel p o r t o con gli altri ragazzi, o p p u r e a caccia d i e t r o un suo c u g i n o , incorreggibile bracconiere. D'istruzione n'ebbe poca perché nessun precettore riuscì a i n c h i o d a r l o a un tavolino. A p p e n a i m p a r a t o l'alfabeto, se ne servì p e r leggere solo le cose che lo interessavano: la storia r o m a n a , i p o e m i cavallereschi, quelli di Foscolo e un p o ' di saggistica francese che gli mise in testa idee vag a m e n t e rivoluzionarie. C o n la g r a m m a t i c a e la sintassi n o n si appastò mai del tutto. Il p r i m o uzzolo d ' a v v e n t u r a lo manifestò a dodici a n n i q u a n d o , in c o m p a g n i a di tre suoi coetanei, s ' i m p a d r o n ì d'una barca, ne spiegò al vento le vele e tentò di fuggire senza ben s a p e r e d o v e . Li r i p e s c a r o n o all'altezza di M o n a c o , e al ritorno e b b e r o tutti e q u a t t r o u n a b u o n a dose di cinghiate. Ma p a d r o n D o m e n i c o dovette a r r e n d e r s i alla vocazione ma59
r i n a r a del piccolo scavezzacollo e, r i n u n z i a n d o definitivam e n t e all'idea di r i n c h i u d e r l o in s e m i n a r i o , lo affidò c o m e mozzo a un suo collega che batteva col suo cargo le rotte del Levante. E s t r a n o c h e nelle sue Memorie G a r i b a l d i abbia p a r l a t o così p o c o d i q u e s t i suoi viaggi, c h e p u r e a s s o r b i r o n o b e n undici a n n i della sua vita e dovettero c o n t a r e parecchio nella sua formazione. La sua sete di a v v e n t u r a fu soddisfatta. Per d u e volte i n c o n t r ò i corsari che s e q u e s t r a r o n o il carico della nave. E n o n solo n o n ne ebbe p a u r a , ma q u a n d o seppe che si trattava di greci che facevano i pirati p e r disturbare i traffici dei loro o p p r e s s o r i t u r c h i solidarizzò c o n l o r o . Q u e s t o esempio di convivenza fra la vocazione di b u c a n i e r e e quella di patriota dovette piacergli molto. Era un b u o n mozzo, svelto, resistente e coraggioso. E la c i u r m a gli voleva b e n e a n c h e p e r c h é di n o t t e egli la rallegrava con le sue canzoni. Cantava con u n a bella voce chiara e aggraziata, fra il t e n o r e e il b a r i t o n o leggero. E i n t a n t o vedeva il m o n d o , Atene, Istanbul, Odessa, incontrava gente di tutti i Paesi, il suo orizzonte si allargava, e nella sua testa com i n c i a v a n o a p e n e t r a r e c e r t e i d e e . Di r i t o r n o da u n a di queste traversate, nel ' 2 5 , il p a d r e lo condusse con la Santa Reparata a R o m a , p e r fargliela c o n o s c e r e in tutto lo splend o r e del Giubileo. Ma P e p p i n o b a d ò poco alle feste religiose, alle Basiliche, alle processioni, a n c h e p e r c h é il g o v e r n o del Papa inflisse ai d u e u n a grossa contravvenzione p e r aver eluso le spese di r i m o r c h i o della nave l u n g o il Tevere. Voltate le spalle ai preti, che n o n gli e r a n o mai a n d a t i a genio, e alle loro feste, s'immerse fra le rovine del Colosseo che gli rimescolarono i confusi ricordi della R o m a classica e i m p e riale, e lo m a n d a r o n o in visibilio. Un i n c o n t r o di decisiva i m p o r t a n z a lo fece sulla fine del '32 o ai p r i m i del '33 q u a n d o il cargo si trovava a n c o r a t o a Marsiglia. Fra altri passeggeri vi s'imbarcò u n o strano g r u p p o d i b a r b o n i c h e s i c h i a m a v a n o «missione dei c o m p a g n i della d o n n a » . L i c a p e g g i a v a u n c e r t o Emilio B a r r a u l t , u n 60
intellettuale che fin allora aveva fatto - e a n c h e con un certo successo - il commediografo; ma poi, c a d u t o sotto il fascino delle idee socialiste di Saint-Simon, vi si e r a convertito e n'era diventato l'ardente apostolo. Per realizzarle, aveva deciso di p a r t i r e coi suoi seguaci p e r l'Oriente a fondarvi u n a com u n i t à di n u o v o tipo basata s u l l ' a m o r e , sul disinteresse e sull'assoluta parità di diritti fra i d u e sessi. P e p p i n o aveva già sentito molti discorsi sulla Libertà e la Giustizia. Ma n e s s u n o gliene aveva mai p a r l a t o nei t e r m i n i ispirati di B a r r a u l t . Per notti i n t e r e stette ad ascoltare quel profeta dalla l u n g a barba, dall'occhio scintillante e dalla parola facile e forbita che forniva così allettanti pretesti ai suoi disordinati fremiti di ribellione. Ma questi pretesti gli si p r e cisarono meglio q u a n d o a T a g a n r o g , sul Mar N e r o , conobbe II Credente. La m a g g i o r p a r t e degli storici r i t e n g o n o c h e si tratti di Giambattista C u n e o , u n m a r i n a i o d i O n e g l i a affiliato alla Giovine Italia e conoscente di Mazzini. E nella p r i m a stesura delle sue Memorie, Garibaldi raccontò che, nel sentirgli p r o n u n c i a r e la p a r o l a «Patria», p r o v ò la stessa i m p r e s s i o n e di Cristoforo C o l o m b o q u a n d o sentì r i m b o m b a r e l a p a r o l a «Terra!» N o n si è mai capito p e r c h é poi, nella stesura definitiva del libro, di questa folgorazione n o n sia rimasto c h e un vago accenno. C h i u n q u e egli fosse, fu di certo questo Credente a rivelare l'esistenza di Mazzini a G a r i b a l d i c h e , a p p e n a r i e n t r a t o a Marsiglia, fece di t u t t o p e r conoscerlo. Se q u e s t o i n c o n t r o sia r e a l m e n t e avvenuto, n o n si sa. Dicono che a combinarlo fu un c e r t o Covi, anch'egli affiliato della Giovine Italia. Ma Garibaldi nelle sue Memorie n o n ne fa c e n n o , e ci p a r e impossibile c h e abbia d i m e n t i c a t o o c o n s i d e r a t o i r r i l e v a n t e questo decisivo episodio. Q u a n t o a Mazzini, nei suoi ricordi egli dice che a quei giorni risale la sua conoscenza di Garibaldi, m a s e n z ' a g g i u n g e r e n é q u a n d o n é dove avvenne, n é cosa si dissero. Per il q u a n d o n o n ci sono dubbi. Se l'incontro ci fu, n o n 61
p o t è avvenire che fra il m a g g i o e il g i u g n o del ' 3 3 , p e r c h é subito d o p o Mazzini p a r t ì p e r G i n e v r a . E r a u n m o m e n t o - lo a b b i a m o già d e t t o - p a r t i c o l a r m e n t e critico p e r lui: quello della p a s s i o n e p e r G i u d i t t a , c h e lo aveva d i s t r a t t o dalla politica. È q u i n d i probabile ch'egli abbia visto Garibaldi in u n a delle sue r a r e apparizioni fra i c o m p a g n i , che Garibaldi sia r i m a s t o d e l u s o dal fatto di n o n essere riuscito a parlargli da solo a solo, che p e r questo n o n abbia di p r o p o sito voluto r i c o r d a r e l ' a v v e n i m e n t o , e che p r o p r i o da esso dati quella scarsa simpatia p e r il Maestro, che più tardi d o veva scoppiare in a p e r t a antipatia. I n s o m m a quell'incontro, che Jessie White Mario chiamò p i ù tardi «la fortuna dell'Italia», a n c h e se ci fu, si risolse in un fiasco. Mazzini, che di u o mini s'intendeva poco, scambiandolo p e r u n o dei tanti giovanotti che accorrevano a lui con più entusiasmo che consapevolezza, n o n capì chi e r a Garibaldi; e Garibaldi, che aveva sognato di farsi riconoscere dal Messia c o m e un suo a p o stolo, ne rimase deluso. Q u e s t o n o n gl'impedì di c h i e d e r e l'affiliazione alla Giovine Italia e di p r o n u n c i a r e il g i u r a m e n t o che lo i m p e g n a v a a fare tutto ciò che gli sarebbe stato o r d i n a t o . La direttiva che ricevette fu di r i e n t r a r e in P i e m o n t e e, visto che n o n aveva ancora fatto il servizio militare, di c h i e d e r e l ' a r r u o l a m e n t o nella m a r i n a da g u e r r a p e r «lavorarne» gli equipaggi in vista dell'insurrezione che Mazzini aveva p r o g r a m m a t o in a p poggio alla spedizione in Savoia. Garibaldi fu immatricolato sulla fine del '33 e imbarcato a G e n o v a sulla fregata Euridice i n s i e m e a un c o m p a g n o di cospirazione, M u t r u . E n t r a m b i si d i e d e r o a far proseliti con u n i m p e g n o i n v e r s a m e n t e p r o p o r z i o n a l e alla p r u d e n z a . Qualcosa della loro attività d o v e t t e t r a p e l a r e p e r c h é d o p o u n a q u a r a n t i n a di giorni f u r o n o trasferiti su u n ' a l t r a nave. Era il 3 febbraio (del '34): la rivolta doveva scoppiare l'indom a n i in concomitanza con l'avanzata di R a m o r i n o . I d u e ott e n n e r o il p e r m e s s o di s c e n d e r e a t e r r a e si p r e c i p i t a r o n o nel l u o g o fissato p e r l'accensione della scintilla. N o n c'era 62
n e s s u n o . C ' e r a n o solo degli affissi murali che a n n u n z i a v a n o il fallimento d e l l ' i m p r e s a . I d u e amici si p e r s e r o n o n solo d ' a n i m o , ma a n c h e fra loro. Garibaldi, t e m e n d o che M u t r u , arrestato, avesse d e n u n z i a t o la trama, n o n t o r n ò a b o r d o e trascorse la notte in u n a stanza di fortuna. La leggenda vuole che nel s o n n o u n a voce misteriosa gl'ingiungesse di mettersi in salvo. Ma quella voce sarebbe stata del tutto s u p e r flua p e r c h é l'aveva capito da sé. La fuga n o n era facile, con la divisa che portava addosso. Sceso all'alba nella s t r a d a d e s e r t a infilò il p r i m o b u c o che trovò a p e r t o . Era un negozio di frutta e v e r d u r a , gestito da u n a brava d o n n a che acconsentì ad accoglierlo, a rifocillarlo, a fornirgli un giaciglio e a rivestirlo coi p a n n i civili di suo marito coi quali, d u r a n t e la notte, si mise p e r strada alla volta di Nizza. Vi giunse un p o ' a piedi, un p o ' a b o r d o dei carri dei contadini che incontrava p e r strada. Sui giornali che gli capitarono sotto m a n o lesse il suo n o m e : la polizia lo aveva i n c r i m i n a t o di alto t r a d i m e n t o e lo ricercava affannosamente. A Nizza, bussò alla p o r t a di u n a sua zia, un p o ' p e r c h é temeva che la sua casa fosse sorvegliata, un p o ' p e r c h é n o n sapeva quale accoglienza gli avrebbe riservato il timoratissimo p a d r e , che infatti si rifiutò di vederlo q u a n d o s e p p e c h ' e r a lì. Venne invece, di nascosto, a salutarlo sua m a d r e , convinta che n o n lo avrebbe visto mai più. Ripartì di notte c o m ' e r a arrivato, e n o n incontrò difficoltà ad attraversare la frontiera p e r c h é q u e i posti li conosceva c o m e le s u e tasche da q u a n d o li batteva in cerca di beccacce dietro al cugino bracconiere. A Marsiglia si ritrovò quasi celebre. Tale lo aveva reso la notizia, pubblicata da tutti i giornali, della sua c o n d a n n a a «morte ignominiosa». I c o m p a g n i lo accolsero f r a t e r n a m e n te, ma l'ambiente e r a d e p r e s s o p e r il fallimento dell'insurrezione e invelenito dalle polemiche. N o n l'avevano soltanto con R a m o r i n o , ma a n c h e con Mazzini, e tutto lascia cred e r e che a n c h e Garibaldi n o n sia stato avaro di critiche nei 63
suoi confronti. Era di certo p r o f o n d a m e n t e scorato, a n c h e p e r c h é n o n e r a u o m o da potersi dedicare al lavoro organizzativo e al dibattito ideologico c o m e i Mazzini, i Melegari e gli altri «intellettuali». Lui aveva bisogno d'azione, e d'azione in quel m o m e n t o n o n c'erano prospettive. A sbarcare il lunario n o n fece fatica, p e r c h é come marinaio tutti ne conoscevano e r i c o n o s c e v a n o la valentìa, e offerte n o n gliene m a n c a r o n o . Fu «secondo» su u n a nave francese, ebbe il com a n d o d ' u n b r i g a n t i n o turco, e alla fine il Bey di Tunisi gli p r o p o s e di e n t r a r e in pianta stabile nella flotta che stava organizzando. Garibaldi rifiutò un p o ' p e r c h é p r e v e d e v a che la flotta del Bey si sarebbe trovata p r i m a o poi alle p r e s e con quella francese, u n p o ' p e r c h é n o n voleva a l l o n t a n a r s i d a Marsiglia e dai suoi c o m p a g n i . Era lì anche q u a n d o , di lì a poco, vi scoppiò il colera. Garibaldi fu d e i p o c h i c h e , invece di fuggire, si a r r u o l a r o n o fra i «benevoli», cioè fra gl'infermieri volontari. La sorte lo r i c o m p e n s ò del suo coraggio facendolo s c a m p a r e al terribile contagio. Ma, u n a volta assolto q u e l l ' i m p e g n o , cominciò a chiedersi se valeva la p e n a restare lì a c o n s u m a r s i nell'attesa di eventi in cui quasi p i ù n e s s u n o s p e r a v a , f a c e n d o il piccolo c a b o t a g g i o n e l c a t i n o del M e d i t e r r a n e o . Da NewYork aveva ricevuto u n a lettera di suo fratello Angelo che vi era emigrato, vi s'era fatto u n a discreta posizione e lo invitava a r a g g i u n g e r l o descrivendogli a rosee tinte le attrattive del N u o v o M o n d o . Poco d o p o un capitano francese gli offrì il posto di «secondo» sul suo brigantino in p a r t e n z a p e r Rio de Janeiro. N o n esitò: a n c h e quello e r a N u o v o M o n d o . E partì convinto che fosse il suo definitivo a d d i o alla famiglia, all'Italia e al sogno di farne u n a patria.
CAPITOLO SETTIMO
I «MODERATI»
Lo stato d ' a n i m o italiano e l'evoluzione del p e n s i e r o politico d o p o le d e l u s i o n i dei m o t i di M o d e n a del 1831 e della spedizione in Savoia del 1834 sono d o c u m e n t a t i in tre libri, la cui pubblicazione r a p p r e s e n t ò un evento, e a p p u n t o p e r questo, a p r e s c i n d e r e dal loro valore, h a n n o diritto ad essere ricordati: Le mie prigioni di Pellico, il Primato di Gioberti, e Le speranze d'Italia di Balbo. Pellico, d o p o lo Spielberg, e r a tornato a Torino, nella sua timoratissima famiglia, in cui c'era a n c h e un fratello gesuita. N o n e r a mai stato u o m o n é d i g r a n d e c a r a t t e r e n é d i g r a n d e i n g e g n o . Nella cospirazione si e r a lasciato a t t r a r r e più p e r debolezza che p e r convinzione, e la galera gli aveva lasciato addosso soltanto u n a g r a n p a u r a di tornarci. Viveva in disparte, fra casa e chiesa, t i r a n d o avanti alcuni lavori letterari assolutamente disimpegnati dalla politica. Dei vecchi amici aveva s e r b a t o r a p p o r t i solo con la M a r c h i o n n i che aveva seguitato a r a p p r e s e n t a r e la sua Francesca da Rimìni, con Confalonieri che dallo Spielberg o r d i n ò al suo a m m i n i stratore di passargli un sussidio, e con Maroncelli che s'era rifugiato a Parigi e al quale r a c c o m a n d a v a nelle sue lettere di tenersi alla larga dagli altri fuorusciti, «gente esaltata e avventata». Un giorno Maroncelli gli a n n u n z i ò l'intenzione di scrivere le sue m e m o r i e di prigionia. Pellico lo dissuase dicendogli che poteva essere pericoloso p e r lui e p e r gli altri. In seguito insinuò che aveva dato quel consiglio in mala fede, già p r o gettando di scrivere lui quel libro. Ma n o n è vero. Lidea gli venne più tardi, e la spinta gliela dette un p r e t e che, sentens
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dogli raccontare i suoi triboli, gli disse che c'era b u o n a materia p e r u n ' a p p a s s i o n a n t e n a r r a z i o n e . Pellico esitava. P r i m a di decidersi, chiese consigli a dritta e a manca, e ne ricevette di contraddittori. Fu Balbo, entusiasta del p r i m o capitolo, a infondergli il coraggio che gli mancava. Allora si mise di lena al lavoro (senz'avvertirne Maroncelli: e questa fu la sua scorrettezza), in pochi mesi lo finì, ma p r i m a di presentarlo all'editore volle tutte le garanzie: quella del revisore ecclesiastico, quella del c e n s o r e regio e quella dello stesso m i n i s t r o Guardasigilli, B a r b a r o u x , il q u a l e gl'impose di c a m b i a r e il p r i n c i p i o d e l r a c c o n t o , là dov'egli diceva c h e di politica avrebbe parlato «in t e m p i migliori». No, nessun t e m p o poteva esser migliore di quello in cui si viveva, e quindi di politica doveva impegnarsi a n o n p a r l a r e mai. L'opera uscì alla fine del '32, e fu il p i ù g r a n d e successo editoriale italiano d o p o Ipromessi sposi. Le edizioni si susseguivano a r i t m o frenetico, e negli Stati in cui ne e r a proibita l'importazione, c o m e Napoli e la Toscana, fu s t a m p a t o cland e s t i n a m e n t e . Presto la sua fama valicò le Alpi, e piovvero le traduzioni: in francese, in inglese, in tedesco, in russo, in spagnolo, in olandese, perfino in b o e m o e in b u l g a r o . Dall'America scrivevano che lo si trovava, con la Bibbia, fin nelle più s p e r d u t e c a p a n n e dell'Alabama. M e t t e r n i c h aveva fatto d i t u t t o p e r i m p e d i r l o A p p e n a avuto il testo fra le m a n i , aveva inviato u n a vibrata n o t a di p r o t e s t a a Carlo Alberto, c h e biasimò s e v e r a m e n t e Barbar o u x p e r aver rilasciato il visto, e o r d i n ò il sequestro del lib r o , ma a v v e r t e n d o l'editore c h e p o t e v a seguitare a stamp a r l o . Il Cancelliere austriaco si rivolse a n c h e al P a p a p e r c h é lo mettesse all'Indice, ma i n u t i l m e n t e . Pensò a n c h e di p u b b l i c a r e u n a specie di «libro bianco» di c o n f u t a z i o n e a Pellico ma si rese conto che si sarebbe risolto in pubblicità. E alla fine si c o n t e n t ò di p r o i b i r n e la diffusione negli Stati austriaci, specie il Lombardo-Veneto. Egli ne aveva visto chiaro l'insidia q u a n d o aveva detto: «Pellico è riuscito a fare, di un libro di calunnia, un libro di preghiera». 66
Era p r o p r i o così. Le calunnie n o n e r a n o affatto calunnie. Il r a c c o n t o di Pellico era a d e r e n t e ai fatti, privo di enfasi e di forzature: u n a cronaca piana, sottovoce, perfino dimessa, m a a p p u n t o p e r questo s t r a o r d i n a r i a m e n t e efficace, certam e n t e l ' o p e r a m i g l i o r e d i Pellico, anzi l'unica sua b u o n a , p e r c h é senza pretese letterarie, sincera, e in tutto somigliante all'autore: u o m o m o d e s t o , incapace sia di g r a n d i idee che d i g r a n d i passioni, senza e s t r o n é fantasia, m a intriso d i u m a n a p i e t à e q u i n d i qualificato a s u s c i t a r n e . Esso c o m m u o v e v a un pubblico che, reso l a n g u i d o e sospiroso dalla m o d a romantica, chiedeva soltanto di potersi c o m m u o v e r e , e in quelle p a g i n e ne trovava a m p i a m a t e r i a . N o n c ' e r a n o p a r o l e d i o d i o . M a n o n s i p o t e v a l e g g e r l o senza p r o v a r n e p e r l'Austria, che p u r e nella r e p r e s s i o n e e r a stata molto m e no feroce di certi Principi italiani c o m e il P a p a e Francesco IV, e i suoi prigionieri li aveva trattati meglio di loro. I reazionari levarono grida di scandalo, p r i m o fra tutti M o n a l d o L e o p a r d i , il p a d r e di Giacomo, e M e t t e r n i c h definì il libro «più catastrofico di u n a battaglia p e r d u t a » . Ma di critiche ne v e n n e r o anche dai patrioti, che in quelle p a g i n e videro - e n o n a torto - un i n c o r a g g i a m e n t o allo s c o r a g g i a m e n t o e un invito alla r a s s e g n a z i o n e . Così si espressero, indignati, il Pecchio e i fratelli B a n d i e r a . Mazzin i n o n disse nulla, forse p e r r i s p e t t o d i u n u o m o c h e com u n q u e aveva fatto dieci a n n i di g a l e r a . Ma n u l l a p o t e v a essere p i ù e l o q u e n t e d e l silenzio. Colui c h e ci r i m a s e p i ù male di tutti fu forse Maroncelli, che di quel successo dovett e sentirsi d e f r a u d a t o e p p o i t e n t ò d i a g g a n c i a t i s i a g g i u n gendovi di suo dei capitoli, le Addizioni, che v e n n e r o stampate in Francia c o m e a p p e n d i c e del libro. Ma n o n s e p p e a p profittare della condizione di favore in cui si trovava lì a Parigi, l o n t a n o da pericoli di persecuzione. Potè dire molte cose che Pellico e r a stato costretto a tacere, ma lo stile enfatico p r e t e n z i o s o tolse l o r o qualsiasi efficacia: c o m e scrittore, era s e m p r e stato m e n che m e d i o c r e , e o r a la sua m e n t e stava p e r essere oscurata dalla follìa. e
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Sebbene di m o d e s t o livello letterario, Le mie prigioni furono u n ' o p e r a di capitale i m p o r t a n z a p e r c h é a r r i v a r o n o al vasto pubblico e ne toccarono il cuore. E vero che n o n vi suscitarono fremiti di v e n d e t t a e di rivolta. Ma a p p u n t o p e r q u e s t o e b b e r o t a n t o successo. Alla v e n d e t t a e alla rivolta, d o p o le delusioni del ' 3 1 , gl'italiani avevano rinunciato, consideravano disturbatori della pubblica quiete coloro che seguitavano a perseguirle, e in quel libro tutto r u g i a d a di lacrime e niente squilli di t r o m b a trovavano il loro vangelo letterario. Quello storico-filosofico glielo fornì Gioberti. Era un p r e te torinese c h e aveva p r e s o i voti c o n t r o voglia; ma, p i ù intelligente e colto degli altri, e r a diventato cappellano di Corte. Q u e s t o n o n gli aveva i m p e d i t o di bazzicare gli a m b i e n t i p i ù avanzati di Torino, t a n t o c h e un r a p p o r t o della polizia del '33 lo dava p e r affiliato alla Giovine Italia. In realtà era soltanto un simpatizzante. Ma bastò a p r o v o c a r e il suo a r r e sto, che fece g r a n d e impressione. In suo favore si mosse tutto l'Arcivescovado, e grazie a questo intervento, l'arresto fu t r a m u t a t o in b a n d o , che c o n d u s s e Gioberti p r i m a a Parigi, poi a Bruxelles, poi di n u o v o a Parigi. Di qui ebbe contatti epistolari con Mazzini, cui aveva m a n d a t o a n c h e un articolo p e r il suo giornale. Ma la loro collaborazione fu di breve d u rata. E r a n o di pasta t r o p p o diversa. Intellettualmente, Gioberti si m u o v e v a nel filone r o m a n tico, che a n c h e nel c a m p o del p e n s i e r o aveva un suo particolare sigillo, su cui n o n sarà male, p e r o r i e n t a r e il lettore, s p e n d e r e qualche parola. Gliel'avevano impresso i tedeschi della p r e c e d e n t e g e n e r a z i o n e in p o l e m i c a con l ' e g e m o n i a francese. N a p o l e o n e si rifaceva al modello dell'antica R o m a c h e aveva f o n d a t o u n I m p e r o u n i v e r s a l e , c o n c u l c a n d o l e nazionalità degli altri p o p o l i e r i c h i a m a n d o l i sotto la p r o pria legge e la p r o p r i a lingua. Il suo r e g i m e era stato u n ' o r gia di r o m a n i t à a n c h e nell'architettura e nelle arti plastiche. Egli aveva d a t o a suo figlio il titolo di Re di R o m a , e tutti i g r a n d i rituali di C o r t e si svolgevano in lingua e formule latine. 68
In difesa del loro p a t r i m o n i o culturale i filosofi tedeschi - Kant, Fichte, Schelling, H e g e l e soprattutto H e r d e r - avev a n o invece r i v a l u t a t o il M e d i o Evo, p e r c h é il M e d i o Evo e r a l'epoca in cui, e m e r g e n d o dalle rovine d e l l ' I m p e r o r o m a n o , le nazionalità avevano cominciato a differenziarsi tra loro, e l a b o r a n d o ciascuna i p r o p r i caratteri, la p r o p r i a ling u a e la p r o p r i a c u l t u r a . Di q u i la fioritura di studi sui cosiddetti «secoli bui», che l'Illuminismo aveva invece disprezzato c o m e quelli dell'ignoranza, dell'oscurantismo, delle superstizioni. E di q u i l'esaltazione dei cimeli, dei miti, delle l e g g e n d e p o p o l a r i , di cui fra poco W a g n e r avrebbe n u t r i t o la sua musica. Di fronte a questa r e s u r r e z i o n e medievalistica, la Chiesa si trovava in u n a posizione a m b i g u a . La favoriva in q u a n t o il M e d i o Evo e r a il p e r i o d o in cui essa aveva g o d u t o d e l m a g g i o r p o t e r e ed esercitato il suo m a g g i o r p r e s t i g i o su u n ' E u r o p a tutta raccolta sotto il suo magistero. Ma l'avversava Come difesa dei nazionalismi p e r c h é e r a n o stati p r o prio questi u n o dei principali p r o p e l l e n t i della Riforma lut e r a n a e calvinista che le avevano sottratto u n a b u o n a m e t à del g r e g g e cristiano. Essa combatteva l'universalismo finché questo s'incarnava in un I m p e r a t o r e , cioè in un p o t e r e laico. Ma lo rivendicava p e r sé. E fu questo a d a r e al pensiero r o m a n t i c o italiano quella p a r t i c o l a r e p i e g a c h e si c h i a m ò «neoguelfismo». I r o m a n z i di C a n t ù e di Grossi, le tragedie di Pellico e di Manzoni, le liriche di Berchet, le storie di Tosti e di C a p p o ni, e r a n o dei p r o d o t t i piuttosto mediocri. Ma tutti battevano lo stesso tasto: l'esaltazione dell'Italia m e d i e v a l e stretta i n t o r n o alla Chiesa p e r r e s p i n g e r e l'assalto dei «barbari» tedeschi. U n a tesi che p e r m e t t e v a di attaccare i n d i r e t t a m e n t e l'Austria tessendo l'elogio del Papa e m e t t e n d o s i al suo riparo. Su questa linea si m u o v e v a n o , sia p u r e con u n a certa varietà di accenti, quasi tutti coloro c h e p a s s a v a n o p e r i p i ù forti ingegni d'Italia: Rosmini, Ventura, T o m m a s e o , Mamiani. Ma il loro c a m p i o n e fu Gioberti. 69
I p r i m i saggi che scrisse d o p o il trasferimento a Bruxelles e la r o t t u r a con Mazzini, più che a formulare un pensier o , gli servirono a cercarlo. Solo q u a n d o lo ebbe chiaro, affrontò l'opera che doveva r e n d e r l o famoso, Del primato morale e civile degl'italiani, ci lavorò c i n q u e a n n i e Io pubblicò nel '43, d e d i c a n d o l o a Silvio Pellico. Gioberti p a r t e dall'assioma che il genio è s e m p r e stato, in tutti i campi, u n a privativa italiana. Se negli ultimi t e m p i ha smesso di esserlo, è p e r c h é l'Italia ha smesso di esistere come p o p o l o a u t o n o m o . Però esso ha in sé tutti gli e l e m e n t i p e r diventarlo: u n a stirpe, u n a lingua, u n a cultura. Perché d u n q u e r i m a n e divisa? E semplice: p e r c h é fin qui i tentativi di unificazione si sono svolti all'insegna d'ideologie rivoluzionarie straniere, che n o n si conciliano né con la sua tradizione né con la sua vocazione. Lo stato che si addice all'Italia - egli dice in polemica con Mazzini - n o n è quello unitario, estraneo alla sua Storia, ma quello federale «connaturato al suo genio». E p e r istaurarlo n o n ha bisogno di ricorrere alla violenza, p e r c h é fra i vari poteri costituiti ce n'è u n o designato da Dio a questa missione, che del resto ha s e m p r e assolto nei secoli: il Papa. E il P a p a che deve p r e n d e r e l'iniziativa di costituire e g u i d a r e all'indipendenza u n a confederazione di Stati italiani p e r c h é solo il Papa ha abbastanza autorità p e r bloccarne le forze centrifughe, imbrigliarne le rivalità e richiamarli tutti sotto il suo magistero. Q u e s t a idea, dice Gioberti, basta lanciarla p e r c h é g e r m o gli. E il t e r r e n o più favorevole lo troverà di certo a R o m a e in Piemonte, che sono «l'albergo speciale della pietà e della forza italiane». Q u a n t o al r e g i m e i n t e r n o , esso sarà elaborato e gestito da u n a aristocrazia del s a n g u e , della c u l t u r a e dell'esperienza, che p r o v v e d e r e ad assicurare u n a larga aut o n o m i a ai m u n i c i p i p e r g a r a n t i r l i dalle sopraffazioni del p o t e r e centrale. Q u e s t o n o n è c h e un riassunto molto grossolano e somm a r i o del Primato. Ma posso g a r a n t i r e al lettore che risponde ai suoi concetti di fondo. E mi p a r e che basti p e r far ca70
p i r e di che si tratta. T u t t a la sua impostazione storica è falsata p e r c h é se la v o c a z i o n e italiana n o n fu m a i allo Stato unitario, n o n lo fu n e m m e n o a quello federale, e p e r c h é se ci fu un p o t e r e o s t i n a t a m e n t e a v v e r s o al f o r m a r s i di u n a N a z i o n e italiana, q u e s t o fu s e m p r e il P a p a t o . L'obbiezione è t a l m e n t e ovvia, che Gioberti cerca di p r e v e n i r l a . Ma con quali a r g o m e n t i ! «I Papi c h i a m a v a n talvolta gli s t r a n i e r i nella penisola? C e r t o sì, ma sforzati da altri s t r a n i e r i p e g giori di quelli» (che a loro volta e r a n o stati chiamati dai Pap i ) . Ma, o l t r e alle a s s u r d i t à s t o r i c h e , c ' e r a n o q u e l l e p r o g r a m m a t i c h e . E le rilevò subito il Farini scrivendo che Gioberti si e r a dimenticato di un piccolo particolare: e cioè che u n a m e t à degli Stati italiani, e quella più ricca e popolosa, e r a austriaca; e c h e q u i n d i delle d u e , l ' u n a : o a n c h e l'Austria veniva a m m e s s a nella lega nazionale, e in tal caso addio nazionalità; o ne veniva estromessa, e in tal caso a d d i o lega. Q u a n t o p o i fosse f o n d a t a la fiducia nella iniziativa p a triottica della Chiesa, p r o v v i d e r o subito a dimostrarlo i Gesuiti, c h e agli elogi tributati loro da Gioberti risposero con aspri attacchi. E fra quelli che p i ù gliene mossero, ci fu pad r e Pellico, il fratello di Silvio, cui il libro e r a dedicato. E ci fu lo stesso Silvio, su cui la p a u r a d e i Gesuiti fu p i ù forte della g r a t i t u d i n e p e r la dedica. Q u e s t a inattesa reazione sconcertò Gioberti, ma fu nello stesso t e m p o la sua fortuna p e r c h é lo spinse a u n a polemica con gli u o m i n i di Chiesa, che gli fece a b b a n d o n a r e i cautelosi t o n i usati fin allora e lo a i u t ò a uscire dagli equivoci ch'egli stesso aveva creato. Fu infatti nei Prolegomeni, scritti per replicare ai suoi denigratori, molto più che nel Primato, che Gioberti ci a p p a r e nella sua luce p i ù vera e dignitosa: quella dello scrittore cattolico-liberale che cerca di conciliare Stato e Chiesa, ma senza più attribuire a quest'ultima l'iniziativa in c a m p o t e m p o r a l e . Anzi, o r a egli affida senz'altro questo compito a quel Principe laico che «farà ufficio di capo e di braccio verso la patria acefala e smembrata», con u n a 71
c h i a r a allusione a C a r l o Alberto c h e p u r lo aveva b a n d i t o dai suoi Stati. P u r con tutte le sue i n c o n g r u e n z e e m a l g r a d o il pessimo stile, p r e d i c a t o r i o , l u t u l e n t o , a p p e s a n t i t o d a u n a sintassi aggrovigliata e contorta, a n c h e il Primato riscosse g r a n successo. E fra i suoi a m m i r a t o r i ci fu Cesare Balbo che, l e g g e n d o lo a D'Azeglio m e n t r e questi dipingeva, gli manifestava l'intenzione di t r a s p o r n e il c o n t e n u t o filosofico in u n ' o p e r a di c a r a t t e r e p i ù s t r e t t a m e n t e politico. S e c o n d o il Vaccalluzzo, D'Azeglio gli rispose: «Fallo». Ma forse glielo disse p e r sottrarsi alla noia di quella lettura: aveva in uggia Gioberti, d e testava la sua prosa, e tutta quella retorica sui pretesi p r i m a ti italiani gli dava l'orticaria. Ma Balbo lo p r e s e sul serio, e pose m a n o al suo libro: Delle speranze d'Italia. Q u e s t e speranze, secondo lui, l'Italia n o n poteva riporle nel Papa, p e r c h é n e a n c h e il Papa avrebbe p o t u t o realizzarle fin q u a n d o avesse d o v u t o vedersela con un'Austria p a d r o n a di mezza penisola. N o n poteva r i p o r l e in un Principe p e r ché n e s s u n o e r a in condizione di lanciare all'Austria u n a sfida. N o n poteva riporle in u n a rivoluzione p e r c h é la rivoluzione p r e s u p p o n e v a un'Italia c o n c o r d e , e q u i n d i unita (dice Balbo senza p u n t o c h i e d e r s i c o n t r o chi u n ' I t a l i a già u n i t a avrebbe d o v u t o fare la rivoluzione). N o n poteva r i p o r l e in u n a p o t e n z a straniera, p e r c h é in tal caso tutto si sarebbe risolto in un c a m b i a m e n t o di p a d r o n e , c o m e già tanti ce n'er a n o stati nel corso dei secoli. E allora? E allora n o n restava che la Turchia. Già a quei t e m p i essa era chiamata «il g r a n d e malato». Il suo vasto i m p e r o che, oltre alle province asiatiche, inglobava la m a g g i o r p a r t e delle penisola balcanica, e r a in decomposizione, e su di esso Austria e Russia avanzavano le loro pretese. Era interesse dell ' E u r o p a c h e fosse l'Austria a far v a l e r e le s u e p o i c h é e r a l'Austria che faceva da diga c o n t r o l'avanzata del colosso slavo verso Occidente. La diplomazia degli Stati italiani doveva d u n q u e m i r a r e a favorire q u e s t o «inorientamento» del72
l'Austria che, spostando il suo peso sui Balcani e il M a r Ner o , avrebbe alleggerito quello che esercitava sull'Italia fino a r i t r a r s e n e del tutto. C o n l'appoggio di Francia e Inghilterra, q u e s t a o p e r a z i o n e si p o t e v a c o m p i e r e pacificamente, senza g u e r r e , solo a mezzo di trattative e di trattati. Se le venissero assicurati larghi c o m p e n s i sul D a n u b i o , l'Austria n o n a v r e b b e a l c u n m o t i v o di ostinarsi nella difesa del Po. C o m u n q u e , stava agl'italiani farle sentire la convenienza del cambio. Perché qualcosa anch'essi dovevano fare. N o n molto. Ma ci volevano «un p o ' di fatti, i quali d i m o s t r i n o che il cambio n o n è lasciato a p i e n o arbitrio di lei (l'Austria), che n o n si t r a t t a p e r lei dell'alternativa di t e n e r Po o p r e n d e r e Danubio, ma di p r e n d e r e o non p r e n d e r e Danubio, come c o m p e n s o al Po da perdersi, ad ogni m o d o , un dì o l'altro». Balbo n o n si c o n t r a p p o n e v a a Gioberti, cui anzi il libro e r a dedicato, e che in u n a lettera a M a m i a n i aveva espresso, sulla T u r c h i a , le stesse s p e r a n z e . E il lettore si d o m a n d e r à c o m e abbia p o t u t o la storiografia risorgimentale a t t r i b u i r e tanta i m p o r t a n z a a o p e r e di così m o d e s t o e cervellotico cont e n u t o . Ma il motivo c'era, ed è abbastanza chiaro: sia l'una che l'altra e s e n t a v a n o gl'italiani da u n a rivoluzione ch'essi n o n avevano mai voluto fare, o che s p e r a v a n o di fare d'accordo coi carabinieri, c o m ' e r a avvenuto in Piemonte nel ' 2 1 , q u a n d o c r e d e v a n o di a v e r e dalla loro Carlo Alberto, o nel '31 a M o d e n a , q u a n d o a v e v a n o fidato n e l l ' a p p o g g i o di Francesco IV. Il s e g r e t o del g r a n d e successo di Gioberti e Balbo, c o m e a n c h e di Pellico, e r a questo. N o n e r a n o g r a n d i talenti. Ma i n t e r p r e t a v a n o a meraviglia q u e l p e n s i e r o che ormai p r e n d e v a il posto di quello rivoluzionario: il p e n s i e r o «moderato», fatto in sostanza di rinunzia e d'illusione: la rinunzia a risolvere il p r o b l e m a nazionale col p r o p r i o s a n g u e e l'illusione di p o t e r n e d e l e g a r e il c o m p i t o a q u a l c h e forza demiurgica c o m e il P a p a di Gioberti, o a q u a l c h e s a p i e n t e «combinazione» diplomatica, c o m e la Turchia di Balbo. C o n questi u o m i n i tuttavia n o n bisogna essere ingiusti. Essi stessi si r e n d e v a n o conto della debolezza delle p r o p r i e
argomentazioni. A proposito della sua p r o p o s t a di u n a confederazione di Principi capeggiata dal Papa, Gioberti scriveva a M a m i a n i : «Se aggiungessi che ci c r e d o , sarei m a t t o affatto, e la Giovine Italia p o t r e b b e n o v e r a r m i fra i suoi soci». Ma il suo scopo, a g g i u n g e v a , n o n e r a t a n t o di b a n d i r e un p r o g r a m m a d'azione immediata, q u a n t o di p o r r e in discussione il p r o b l e m a nazionale, sottraendolo ai rigori della censura. Riconosceva di aver parlato del Papato in t e r m i n i «gesuiteschi» attribuendogli in perfetta malafede dei meriti storici che n o n aveva. Ma con questo, diceva, p r o c u r o al mio lib r o u n p a s s a p o r t o a n c h e negli Stati pontifici, e n t r o nelle p a r r o c c h i e e divido il clero, p e r c h é b u o n a p a r t e di esso, e specialmente quello basso, si p u ò g u a d a g n a r l o alla causa. Il passaporto, il Primato n o n riuscì a p r o c u r a r s e l o . Ma gli effetti sul clero furono g r a n d i . «Esso - scrive G i u s e p p e Montanelli - si r u p p e in d u e p a r t i : la p a r t e aristocratica e fann u l l o n a con i Gesuiti, la p a r t e d e m o c r a t i c a e l a v o r a n t e col Gioberti. E q u e s t o s p e z z a m e n t o della resistenza c o m p a t t a c h e il clero o p p o n e v a al processo dell'idea liberale, q u e s t o sbocciare d ' u n sacerdozio degli oppressi accanto al sacerdozio degli o p p r e s s o r i , e r a u n p r o g r e s s o senza scisma della Chiesa italiana». N o n c'è d u b b i o c h e fu sotto lo stimolo di q u e s t e o p e r e c h e si mise in m o v i m e n t o u n a grossa fetta di pubblica opin i o n e r i m a s t a f i n allora e s t r a n e a alla lotta politica p e r c h é t r o p p o liberale p e r schierarsi con l'ordine costituito, ma anche t r o p p o t i m o r a t a e conformista p e r schierarsi c o n la rivoluzione. Discutere di Pellico, Gioberti e Balbo era un m o do di fare i patrioti e i progressisti senza esporsi a castighi, e p e r q u e s t o le discussioni f u r o n o t a n t e e t a n t o r u m o r o s e . C o n esse r i p r e n d e v a avvìo tutto un dibattito ideologico che d o p o i moti del '31 la c e n s u r a aveva congelato s o p p r i m e n d o n e l'epicentro: l'Antologia fiorentina del Vieusseux. Costretto a restare piuttosto evasivo sul p i a n o politico, questo dibattito si svolgeva su problemi economici e amministrativi, che tuttavia avevano anch'essi un contenuto o un sot74
tinteso politico. Per esempio, u n o dei temi che più v e n n e r o discussi e approfonditi fu quello dell'unione doganale. Salvo la Toscana, tutti gli Stati italiani e r a n o rinchiusi d e n t r o un fitto reticolato di d o g a n e che li isolavano gli u n i dagli altri. Q u e ste autarchie regionali ostacolavano n o n soltanto lo sviluppo economico, ma a n c h e quello dei sentimenti e delle idee nazionali. La pubblicistica m o d e r a t a n a t u r a l m e n t e parlava solt a n t o di economia, ma ispirandosi a un m o d e l l o di azione squisitamente e accortamente politica: quello della Prussia. La Prussia si trovava, nei confronti della G e r m a n i a , nella stessa situazione del P i e m o n t e nei confronti dell'Italia. Anch'essa doveva vedersela c o n l'Austria, t u t t o r a p a d r o n a in via d i r e t t a o i n d i r e t t a di quella m i r i a d e di Principati in cui anche la G e r m a n i a , c o m e l'Italia, era divisa. Ma, a differenz a del P i e m o n t e , essa aveva s e m p r e a v u t o u n ' i d e a c h i a r a della p r o p r i a missione unificatrice e il c o r a g g i o di p e r s e guirla. N o n e s s e n d o a n c o r a abbastanza forte p e r farlo con le a r m i , essa aveva e c o n o m i c a m e n t e legato a sé questi Stati con u n a u n i o n e d o g a n a l e o Zollverein, c h ' e r a già la p r e m e s sa di quella politica. U n a nazione g e r m a n i c a a n c o r a n o n esisteva, ma esisteva u n a e c o n o m i a g e r m a n i c a c h e la r e n d e v a inevitabile. La pubblicistica m o d e r a t a c h i e d e v a c h e l'Italia seguisse l'esempio auspicando u n a unificazione di d o g a n e e di ferrovie che consentisse la formazione di un m e r c a t o nazionale. N o n o t t e n n e nulla, sul p i a n o pratico. Ma servì moltissimo a risvegliare negl'italiani la consapevolezza di u n a c o m u n i t à d'interessi e quindi a r e n d e r l i p i ù insofferenti della situazione attuale. Un'altra spinta in questa direzione la d i e d e r o i Congressi degli scienziati. A l a n c i a r n e l'idea fu il Principe di C a n i n o , n i p o t e di N a p o l e o n e , e il G r a n d u c a di T o s c a n a l'accolse m e t t e n d o a disposizione l'Università di Pisa. Per i m p e d i r e h e si abbordassero temi politici, al simposio furono invitati solo uomini di scienza. Ne accorsero, da tutte le parti d'Itaha, oltre q u a t t r o c e n t o , c h e p e r l a p r i m a volta e b b e r o così c
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occasione d'incontrarsi e di scambiarsi o p i n i o n i e idee n o n soltanto scientifiche. Fu un tale successo che negli a n n i seguenti ne furono banditi altri otto, e i partecipanti diventar o n o duemilacinquecento. A s c o r r e r n e gli elenchi vi si ritrov a n o tutti i n o m i della futura classe d i r i g e n t e italiana. Mett e r n i c h , che aveva capito il sottinteso di questi r a d u n i e la loro pericolosità, avrebbe voluto proibirli. Ma capì che il veto gli avrebbe inimicato un largo strato della pubblica o p i n i o n e che o r a m a i si era svegliata a certi interessi. E questo e r a il g r a n d e successo che i «moderati» avevano o t t e n u t o . Essi v e n i v a n o e a n c o r o g g i v e n g o n o accusati di o p p o r t u n i s m o , ed è v e r o . Brillavano p i ù p e r diplomazia e cautela che p e r c o r a g g i o e decisione. Il l o r o t a l e n t o consisteva più nell'evadere i problemi che nell'affrontarli e il loro sforzo p i ù n e l l ' a m m a n s i r e il n e m i c o che nel c o m b a t t e r l o . I loro p r o g r a m m i e r a n o talmente timidi e i loro atteggiamenti intrisi di conformismo, da giustificare l a r g a m e n t e la taccia di rinunzia e di codardia. Infatti essi n o n d i e d e r o né eroi né m a r t i r i . Ma r i u s c i r o n o là d o v e i m a r t i r i e gli e r o i a v e v a n o fallito: a c r e a r e u n a pubblica o p i n i o n e «italiana». In realtà il loro o p p o r t u n i s m o n o n e r a che u n a p i ù nitida coscienza della situazione di fatto. I rivoluzionari avevano s e m p r e c r e d u t o a u n a situazione i n c e n d i a r i a in cui bastasse, c o m e diceva Mazzini, «cacciare u n a scintilla» p e r p r o v o c a r e u n i n c e n d i o . Gli a v v e n i m e n t i a v e v a n o d i m o s t r a t o che n o n e r a vero, che nelle masse italiane covava molto malcontento, ma nessun potenziale rivoluzionario, ed era su questo dato che i m o d e r a t i basavano i loro p r o g r a m m i . Essi s a p e v a n o c h e l'ideale d i p a t r i a n o n e r a p a t r i m o n i o c h e d i u n a striminzita fetta della borghesia, che a sua volta n o n e r a che u n a striminzita fetta della società italiana. I loro sforzi si c o n c e n t r a r o n o nell'allargamento di questo «vertice», e riuscirono. Ma riuscirono a p p u n t o p e r c h é si c o n t e n t a r o n o di q u e s t o . Piano p i a n o , s e c o n d a n d o n e il c o n f o r m i s m o e la timoratezza, b a d a n d o p i ù a rassicurarlo che a spaventarlo, fac e n d o appello p i ù allo spirito di c o m p r o m e s s o che a quello 76
di lotta e di sacrificio, essi attrassero nel giuoco g r a n p a r t e del ceto m e d i o italiano. Ma e r a a p p u n t o di q u e s t o c h e Mazzini gli faceva colpa. Mazzini era un sognatore che nell'azione pratica dava semp r e p e s s i m e p r o v e p e r c h é della r e a l t à n o n aveva n e s s u n senso. Ma u n a cosa la v e d e v a p i ù r e a l i s t i c a m e n t e dei suoi realistici nemici m o d e r a t i : che l'Italia n o n poteva essere fatta da un p u g n o di «notabili», p e r q u a n t o n u m e r o s o fosse, e che se così si fosse fatta, n o n sarebbe stata vitale. N e m m e n o lui conosceva il p o p o l o , di cui aveva solo u n ' i d e a astratta e retorica. Ma avvertiva il b i s o g n o della sua p a r t e c i p a z i o n e . Sbagliava i m e t o d i p e r suscitarla affidandosi a quelli dell'esempio e dell'eroico sacrificio individuale. Ma era l'unico, o quasi, a sentire il bisogno di d a r e un c o n t e n u t o p o p o l a r e al Risorgimento, che senza di esso si sarebbe risolto in u n ' o p e razione di alchimia diplomatica. Badate, diceva, se le masse n o n e n t r a n o da p r o t a g o n i s t e nel suo processo di formazion e , esse r i m a r r a n n o e s t r a n e e alla N a z i o n e e un g i o r n o ne d i v e n t e r a n n o n e m i c h e . C o m e di fatti è avvenuto. T o r n i a m o d u n q u e a lui, il profeta inascoltato.
CAPITOLO OTTAVO
L'ESULE DI L O N D R A
D o p o aver letto il Primato, Mazzini scrisse alla m a d r e : «Sono arrabbiatissimo c o n t r o u n libro d ' u n u o m o che conoscerete d i n o m e , u n p r e t e Gioberti torinese, stimato p u r t r o p p o assai in Piemonte, il quale ha s t a m p a t o d u e volumi, Sul primato degl'italiani in fatto d'incivilimento, il p i ù bel t e m a ch'io mi conosca: e lo r i e m p i e d ' u l t r a c a t t o l i c e s i m o , d'elogi a C a r l o A l b e r t o , e di t u t t e le stolidezze possibili. Q u e s t o G i o b e r t i scrisse un t e m p o un articolo nella Giovine Italia, p i e n o di democrazia, di p o p o l o , di r e p u b b l i c a , d'elogi a n o i ecc. P a r e impossibile c h e n o n vi sia un u o m o il q u a l e n o n cangi». E p o c h i giorni d o p o , al fido L a m b e r t i : «Ho v e d u t o il libro di Gioberti: n o n c r e d o b e n fatto p a r l a r n e : è un dargli i m p o r tanza: lo l e g g e r a n n o pochissimi». E qui sbagliava di grosso, come spesso gli succedeva. Ma mancava dall'Italia da dodici a n n i , e solo da poco aveva ricominciato a s e g u i r n e le vicende con l ' i m p e g n o d ' u n a volta. D o p o il fallimento della spedizione in Savoia, s e m b r a v a un u o m o finito. E tale lo c r e d e t t e , e s u l t a n d o n e , Filippo B u o n a r r o t i , che sperava di essersi sbarazzato del rivale e di a c c a p a r r a r s e n e l'eredità. Ma dello stesso p a r e r e n o n fu Mett e r n i c h , m o l t o p i ù p e r s p i c a c e , e a n c h e e q u a n i m e , d e l vecchio agitatore giacobino. «Chi ha un p o ' di fiuto e di u o m i n i s ' i n t e n d e n o n p u ò p e n s a r e c h e q u e s t a specie d i m o d e r n o Catilina sia tipo da a b b a n d o n a r e la partita. Egli r i a n n o d e r à i fili interrotti e, a m m a e s t r a t o dalla lezione, si r i m e t t e r à all'opera con m a g g i o r concretezza ed efficacia.» Il Cancelliere austriaco aveva capito ciò c h e B u o n a r r o t i c a p i r e n o n p o t e va: e cioè che u n a setta, qual e r a la Carboneria, con la poli78
zia si poteva combatterla e sgominarla; ma c o n t r o un p r i n cipio educativo e morale, qual e r a il c r e d o di Mazzini, la p o lizia e r a i n o p e r a n t e . U n a volta p e n e t r a t o nelle coscienze, e r a impossibile estirparlo. Mazzini poteva a n c h e sbagliare le sue mosse (e infatti a v r e b b e seguitato a sbagliarne molte); i n d i p e n d e n t e m e n t e da esse, il suo verbo sviluppava u n a sua p r o p r i a forza di contagio, c o n t r o cui gli sbirri, unica a r m a del p o t e r e costituito, p o t e v a n o poco. Lo stesso Mazzini stentò a r e n d e r s e n e conto. Allo scoram e n t o p e r l'insuccesso aveva reagito subito, quasi con spavalderia. R i u n ì a B e r n a alcuni esuli tedeschi e polacchi coi quali f o n d ò la Giovine Europa e ne r e d a s s e il p r o g r a m m a , c h ' e r a quello della Giovine Italia a m p l i a t o a t u t t o il C o n t i n e n t e . N o n r i p o n e v a g r a n fiducia in quel d o c u m e n t o sottoscritto da u o m i n i di m o d e s t o prestigio e scarsa autorità. Ma e r a un gesto di sfida a chi lo dava p e r m o r t o . F o n d ò a n c h e u n a Giovine Svizzera con relativo giornale della stessa testata. Ma subito d o p o p i o m b ò in u n a p r o f o n d a crisi depressiva, che lo c o n d u s s e sull'orlo della follia. «Balzavo la n o t t e dai s o n n i , e c o r r e v o quasi in delirio alla finestra c h i a m a t o dalla voce di J a c o p o Ruffini.» J a c o p o e r a il suo r i m o r s o , il suo rovello. Si sentiva colpevole della sua m o r t e . E p e r q u e sto, r i p a r t i t a l a m a d r e p e r G e n o v a , s e n e t e n e v a stretti, senz'amarli, i d u e fratelli G i o v a n n i e Agostino rimasti con lui in Svizzera. C o n d u c e v a n o vita precaria e clandestina p e r c h é il governo e r a sottoposto alle pressioni del P i e m o n t e e di V i e n n a , che minacciavano la r o t t u r a dei r a p p o r t i commerciali e l'assedio e c o n o m i c o , se la C o n f e d e r a z i o n e seguitava a d a r e ospitalità a dei fuorusciti che avevano fatto del suo territorio u n a base di operazioni c o n t r o di esse. Il g o v e r n o rispondeva che n o n poteva notificare il b a n d o di espulsione p e r ché n o n sapeva dove recapitarlo. In realtà lo sapeva benissim o , m a n o n voleva o f f e n d e r e l a p u b b l i c a o p i n i o n e , t u t t a schierata dalla p a r t e degli esuli. Questi v a g a b o n d a v a n o fra Ginevra, L o s a n n a , B e r n a , B i e n n e , G r e n c h e n , f a c e n d o gli 79
ospiti di professione, s e b b e n e n o n fossero g e n t e facile. Assorto e chiuso nella p r o p r i a tristezza, Mazzini n o n parlava con nessuno, si nutriva quasi esclusivamente di sigari e tazze di caffè, e trascorreva le sue giornate a scrivere articoli e lettere. Agostino seduceva r e g o l a r m e n t e le p a d r o n e di casa. E tutti litigavano, sebbene fossero rimasti q u a t t r o gatti. Menotti si batté in duello con Vitalevi, Ghiglione tacciò Accursio di spia, Accursio ritorse, e Mazzini gli diede ragione. «Da lungi mi sento inclinato ad a m a r e gli uomini, il contatto me li fa odiare» scriveva con a m a r e z z a . E a g g i u n g e v a : «Il migliore degl'italiani è lo spagnolo Rosales». Seguitava a struggersi p e r Giuditta, che n o n e r a mai riuscito a dimenticare. Le scriveva l u n g h e lettere alla Ortis, cui essa r i s p o n d e v a con b r e v i evasivi biglietti. C o m e N i o b e , quella m a d r e si aggirava sui confini toscani del D u c a t o di Modena, dove n o n la lasciavano rientrare a rivedere i suoi figli. Ma era u n a Niobe che sapeva consolarsi, e fra i suoi consolatori ci fu - o almeno essa fece di tutto p e r c h é ci fosse - anche Gino C a p p o n i , il compito, forbito, elegante g e n t i l u o m o fiorentino dalle idee liberali, ma b e n p i a n t a t e nella realtà. Mazzini Io r i s e p p e , e avvertì il m o r s o b r u c i a n t e della gelosia. « Q u e s t ' u o m o freddo, squallido, egoista, che n o n ha della filosofia che il n o m e , e n o n è che un pretesto di viltà, io lo odio. No, n o n è odio, è r e p u g n a n z a . Mi c o m p r e n d i ? Sai di chi parlo? Se n o n lo indovini, tanto meglio.» Giuditta lo indovinava benissimo, e gli rispose asciutta: «Basta, so q u a n t o mi è necessario». Fra t a n t e spine, c'era a n c h e qualche rosa. L a m e n n a i s , il g r a n d e L a m e n n a i s , gli scrisse: «Non scoraggiatevi, signore, le m a d r i italiane fanno figli p e r voi». E tutti coloro che avevano contatto con lui, specialmente le d o n n e , cadevano sotto il suo fascino. Luisa M a n d r o t , Lina Allier, le t r e sorelle Girard n o n avrebbero chiesto di meglio che diventare le sue M a r i e M a d d a l e n e , e fino a un c e r t o p u n t o lo f u r o n o . E q u a n d o A n n a Courvoisier si gettò nelle braccia di Agostino, si sentì più a d u l t e r a nei confronti di Mazzini che in quelli di 80
suo marito e ne m o r ì . N e s s u n o incarnava meglio di lui l'Er o e r o m a n t i c o votato a u n a sconfitta e a un d o l o r e , di cui tutti si sentivano colpevoli. M a l g r a d o gli a n d i r i v i e n i e i sotterfugi cui la polizia lo c o n d a n n a v a , n o n voleva a b b a n d o n a r e l a Svizzera p e r n o n a l l o n t a n a r s i dall'Italia. Ne aveva chiesto la c i t t a d i n a n z a , e forse l'avrebbe ottenuta, se fra i suoi persecutori n o n si fosse schierato a n c h e il g o v e r n o francese, m o r s o dalle sue critiche. Esso chiese l'espulsione di Mazzini, e stavolta il govern o c o n f e d e r a l e d o v e t t e a r r e n d e r s i , m a salvando l e f o r m e , p e r c h é la popolazione di G r e n c h e n sorse a d d i r i t t u r a in armi p e r d i f e n d e r e l'Esule. Il p r e t e s t o fu che Mazzini aveva interferito nella politica i n t e r n a del Paese col suo giornale La giovine Svizzera. E Mazzini dovette a r r e n d e r s i , ma esigette che il passaporto gli venisse rilasciato p e r s o n a l m e n t e dall'ambasciatore francese con cui trattò quasi da p o t e n z a a p o tenza sul p r e s u p p o s t o che, m o r a l m e n t e , egli e r a il r a p p r e sentante dell'Italia. Partì nella n o t t e di C a p o d a n n o del '37, e la Helvétie scrisse l ' i n d o m a n i : «L'Austria sarà alla fine soddisfatta. Se n ' è a n d a t o l ' u o m o la cui p r e s e n z a in Svizzera metteva in p e r i colo gli scettri d'Italia, e che soltanto col suo n o m e e i suoi scritti controbilancia la p o t e n z a dei re a Milano, a Torino, a Modena». Lo a c c o m p a g n a v a n o G i o v a n n i e Agostino p e r c h é egli aveva giurato alla loro m a d r e di n o n a b b a n d o n a r l i più. Ma se li teneva accanto solo p e r lei e p e r J a c o p o . «Londra è un oceano» scrisse s g o m e n t o , subito d o p o l'arrivo. Giambattista Ruffini, quello di M o d e n a , che vi si era accasato da t e m p o , v e n n e a p r e n d e r e i n u o v i arrivati e li sistemò in u n a villetta di periferia. Ma n o n tutti gl'italiani gli a p r i r o n o le braccia. Anzi i più in vista, Panizzi e Rossetti, lo i g n o r a r o n o , e lui ignorò loro. Dovettero arrangiarsi p e r c h é quattrini dall'Italia ne arrivavano pochi, e trovar lavoro nei giornali n o n era facile. Volevano r o b a letteraria, n o n politi81
ca, e Mazzini si ribellava. Qualcosa scrisse, p e r il p a n e , sulla London Review e il Monde; ma svogliatamente. «Mi dissecco d e n t r o come u n a p e r g a m e n a » confidava a un amico. Solo e nero-vestito, si aggirava p e r le nebbiose strade di quella città di cui n o n capiva la topografia, e la g e n t e si voltava a g u a r darlo p e r c h é , oltre ai baffi, che in quel Paese e r a n o considerati u n a bizzarria, si e r a lasciato c r e s c e r e a n c h e la b a r b a . Soffriva di denti, che lo avevano s e m p r e t o r m e n t a t o , e questo lo r e n d e v a ancora più irritabile e scontroso. Se la rifaceva con Usiglio, un piccolo e b r e o di scarsa c u l t u r a , ma di g r a n c u o r e e di fede immacolata, che l'aveva seguito sin lì ed era l'unico che riuscisse a p o r t a r e a casa dei soldi grazie alle sue inesauribili risorse d'artigiano. Scrisse a Mayer: «Ho l ' a n i m a a m a r a , s o n o p o v e r o , n o n h o u n a m i c o che n o n m'abbia t r a d i t o , e a m o c o m e p o c h i a m a n o i miei fratelli di patria. Ma n o n li stimo». E questa era la sua vera tragedia. Un g i o r n o c o n o b b e un curioso scozzese alto, arruffato, gesticolante e di scorza r u d e : era T o m m a s o Carlyle, il «nemico del popolo», lo storico che riduceva la Storia a u n a collezione di biografie dei g r a n d i uomini, gli Eroi. Intellettualmente, e r a n o fatti p e r n o n intendersi, e infatti litigarono subito. Ma, d o p o aver b e n b e n e polemizzato, lo scozzese invitò l'italiano a casa sua. Mazzini n o n ci a n d ò p e r c h é stava scrivendo un articolo contro di lui, e seguitò a scriverlo e lo pubblicò. Carlyle gli m a n d ò un biglietto di r i n g r a z i a m e n t o r i n n o v a n dogli l'invito, e stavolta Mazzini accettò. Ricominciarono subito a litigare, e l'italiano, fra i d u e , sembrava Carlyle, tutto i m p e t o e sarcasmi e paradossi e gesti gladiatori. Corbellava e demoliva le idee di Mazzini, ma un g i o r n o che un diplomatico p i e m o n t e s e gli parlò male di lui, si alzò rosso in viso, g r i d ò p i c c h i a n d o il p u g n o sul tavolo: «Si v e d e c h e n o n lo conoscete!», e uscì sbattendo la porta. Sui duelli fra i d u e fraterni nemici, vegliava s e r v e n d o il tè la signora J a n e Carlyle, sposa sterile, r o m a n t i c a e frustrata di quell'omaccione tagliato con l'accetta e di tale stazza da 82
r i e m p i r e qualsiasi spazio, ma n o n la vita di u n a d o n n a . In quell'esule povero, malinconico, perseguitato e indifeso, essa vide un Eroe molto più congeniale al suo t e m p e r a m e n t o di quelli descritti da suo m a r i t o , e se ne i n n a m o r ò . L'Esule n o n ricambiò il suo a m o r e , ma ci se ne riscaldò c o m e in u n a pelliccia. Egli aveva il g e n i o e il g u s t o di quelle a t m o s f e r e a m b i g u e , in cui tutte le d o n n e della sua vita - e furono tante - restavano invischiate. Ce le lasciava struggere, adescandole e d e l u d e n d o l e , suscitando in loro il desiderio di p r o teggerlo, sottraendovisi con mille astuzie, e salvando la p r o pria solitudine. L'adorazione di J a n e gli ridiede a n i m o e lena. Un giorno alcuni operai italiani v e n n e r o a chiedergli di fondare p e r loro un'associazione, u n a scuola e un giornale. E r a n o p o v e r a gente, che in quella città civile e ricca di organizzazioni p r o fessionali sentiva il peso del p r o p r i o analfabetismo e dispersione. Di Mazzini n o n conoscevano che il n o m e , e un poco ne diffidavano c o n f o n d e n d o la qualifica d'intellettuale con quella di «signore». Ma p a r l a n d o c i rimasero conquistati n o n tanto dalla sua cultura e intelligenza, q u a n t o dalla sua semplicità. Egli lo fu a n c o r a di più da loro, e si mise a l l ' o p e r a con un entusiasmo che da a n n i più n o n conosceva. Era solo p e r c h é i d u e Ruffini se n ' e r a n o andati, ma della solitudine - che divideva con u n a domestica italiana, umile e devota, un c a n e e la c h i t a r r a - godeva più di q u a n t o soffrisse. C o n i n d o m i t a energia costituì un comitato p r o m o t o re, in cui a dargli m a n forte furono, come al solito, le d o n ne. U n a scrittrice americana, Fuller, che senza conoscerlo lo aveva odiato, d o p o averlo incontrato dai Carlyle diventò la sua p i ù a r d e n t e seguace. Le q u a t t r o sorelle Ashurst, figlie di un g r a n d e avvocato e d e p u t a t o radicale, m i s e r o a soqq u a d r o L o n d r a p e r trovare i fondi con cui finanziare l'impresa, e J a n e se ne ingelosì. Risorsero d a l l ' o m b r a le d a m e che Foscolo aveva convertito all'amore p e r l'Italia: Lady Dacie, la vedova di Byron. I soldi furono trovati. L'associazione i m p e g n ò subito bat83
taglia con g l ' i m p r e n d i t o r i locali p e r c h é ai lavoratori italiani fossero estese le provvidenze e garanzie di quelli inglesi. La scuola ebbe subito c i n q u a n t a allievi, poi cento, poi d u e c e n to. Il giornale si chiamò Apostolato popolare, e lo era, in q u a n to r a p p r e s e n t a v a la continuazione della Giovine Italia, ma in un linguaggio molto più semplice, che finalmente r o m p e v a il cerchio degli iniziati - e t e r n a d a n n a z i o n e della c u l t u r a italiana - e giungeva anche al lettore p i ù sprovveduto. Mazzini passava instancabilmente dalla lezione all'articolo. Insegnava di tutto, a n c h e l'astronomia, a quei poveri diseredati di tutto bisognosi, e di tutto scriveva, senza sentirsi p e r n u l l a d i m i n u i t o d a i m e t o d i didascalici c h e d o v e v a seg u i r e p e r farsi c o m p r e n d e r e d a q u e l l ' u m i l e u d i t o r i o . Racc o n t a n d o con le p a r o l e più dimesse la storia dei sette Re di R o m a e quella delle lotte c o m u n a l i del Medio Evo, sentiva di essere il p i ù rivoluzionario degl'intellettuali italiani: il primo che, d a n d o alla cultura il senso di un pubblico servizio e c o m e tale p r a t i c a n d o l a , gettava un p o n t e a chi n ' e r a stato fin allora escluso. E i discepoli lo capivano. Gli si s e r r a v a n o i n t o r n o p e r toccarlo e stringergli le m a n i . Gli p o r t a v a n o d o ni. E q u a n d o aveva u n o dei suoi soliti mali di denti, m o n t a vano di fazione alla sua p o r t a p e r impedirgli d'uscire. Subito, c o n t r o queste sue iniziative, era cominciata la lotta delle Ambasciate austriaca e p i e m o n t e s e , sostenute dagli e l e m e n t i p i ù c o n s e r v a t o r i locali. I p r e t i a d d e t t i alle l o r o Cappelle minacciarono dal p u l p i t o la scomunica c o n t r o chi frequentava la scuola del Diavolo e leggeva il suo giornale. M a n d a r o n o a n c h e un p r o v o c a t o r e a d i s t u r b a r e le lezioni. Mazzini lo affrontò di p e r s o n a , lo p r e s e p e r la giacca, e lo consegnò a u n a guardia. Il gesto fece e n o r m e impressione e infuse coraggio agli o p e r a i che m a l m e n a r o n o altri disturbatori, facendo a c c o r r e r e polizia e giornalisti. La stampa liberale s ' i m p a d r o n ì del caso e sciolse inni a Mazzini. Un p r e t e scrisse u n a violenta e volgare lettera di protesta. Il giornale la pubblicò con un c o m m e n t o che gli levava il pelo. Ignorato da cinque anni, in p o c h e settimane Mazzini era diventato 84
10 s t r a n i e r o p i ù p o p o l a r e di L o n d r a . A tal p u n t o c h e p o t è a n c h e i m p e g n a r e battaglia c o n t r o il g o v e r n o , e vincerla. Egli si era accorto che la sua c o r r i s p o n d e n z a veniva aperta e il suo c o n t e n u t o comunicato alla polizia austriaca. Se ne p r o c u r ò le p r o v e , scrivendo lettere a se stesso e mettendoci d e n t r o dei granelli di sabbia, che p i ù n o n ritrovava. Rivelò la cosa a un d e p u t a t o radicale, che la p o r t ò in p a r l a m e n t o a c c u s a n d o i l m i n i s t r o d e l l ' i n t e r n o , G r a h a m , d i violazione del segreto epistolare. G r a h a m si difese invocando u n a vecchia legge c h e autorizzava q u e l s o p r u s o , e l'opinione p u b blica p r e s e fuoco. I giornali conservatori si schierarono dalla p a r t e del g o v e r n o c o n t r o lo straniero s e m i n a t o r e di zizzania nel Paese che l'ospitava. Ma l'ultra-conservatore Carlyle r u p p e il fronte i n s o r g e n d o con la sua consueta franchezza e o n e s t à : «Per molti a n n i ho c o n o s c i u t o il s i g n o r Mazzini, e q u a l u n q u e giudizio possa d a r e della sua perspicacia politica, posso attestare ch'egli è l ' u o m o di più alto intelletto e di p i ù p u r a coscienza ch'io abbia m a i i n c o n t r a t o » . T u t t a l a s t a m p a liberale r i p r o d u s s e la lettera e vi fece coro. I dibattiti in p a r l a m e n t o si fecero al c a r b o n bianco. Mazzini v'intervenne nella loggia del pubblico, bersaglio di contumelie e di applausi. Attraverso un giornale rispose al ministro: «Posti tra il diritto e la forza, avete scelto la forza. Avete schierato l'Inghilterra dalla p a r t e degli o p p r e s s o r i c o n t r o gli o p p r e s si. Avete inalberato l'onorata sua b a n d i e r a al servizio del dispotismo e u r o p e o » . Q u a l u n q u e altro Paese gli avrebbe dato 11 foglio di via. L'Inghilterra fece di lui un eroe nazionale, e in u n a s e d u t a della C a m e r a il m i n i s t r o G r a h a m ritrattò gli addebiti che gli aveva mosso e gliene chiese p u b b l i c a m e n t e scusa. A tanta eleganza, Mazzini rispose con altrettanta eleganza rifiutandosi d ' i n t e n t a r e causa al g o v e r n o come gli suggerivano i suoi amici r a d i c a l i . Ma a n c h e q u e s t o c o n t r i b u ì al suo p e r s o n a l e successo. Le a m m i r a t r i c i di L o n d r a gli sommersero la casa di fiori e di regali. Per gli o p e r a i e r a l'Idolo, l'Intoccabile. In Italia, d o v e il suo prestigio si e r a di colpo 85
rialzato, circolò la d i c e r i a ch'egli e r a di nascosto t o r n a t o , molti giuravano di averlo visto aggirarsi i n t a b a r r a t o nel suo n e r o m a n t e l l o , le polizie dei vari Stati ci c r e d e t t e r o , si died e r o a r i c e r c a r l o a t t i v a m e n t e , e q u e s t o c o n v a l i d ò la voce delle sue apparizioni. «Ripiglio con p r o p o s i t o deliberato, incrollabile, quasi fer o c e , il l a v o r o p e r la Giovine Italia» aveva scritto a P i e t r o G i a n n o n e . Ma l'esperienza fatta a L o n d r a in mezzo ai lavoratori gli suggeriva di d a r e all'organizzazione un c o n t e n u t o più p o p o l a r e . «Nel p r i m o p e r i o d o della nostra vita a b b i a m o lavorato per il p o p o l o , n o n col p o p o l o . Bisogna farlo ora, p e r m o l t e r a g i o n i m o r a l i e politiche che i n d o v i n e r a i . A q u e s t o f i n e h o t e n t a t o d i s c e n d e r e i n u n a classe n u m e r o s a a n c h e fuori: quella d e i n o s t r i o p e r a i . N e h o t r o v a t o u n n u c l e o , d ' u o m i n i di p o c h e idee, ma di volontà b u o n a e fermissima; p o c h e parole h a n n o bastato a suscitare in essi quel senso che d o r m e p u r t r o p p o a n c h ' o g g i i n s e n o a l n o s t r o p o p o l o , sol p e r c h é noi n o n a b b i a m o avuto fede sufficiente p e r m e r i t a r e di suscitarlo.» Ma nel r i p r e n d e r e le fila d e l l ' o r g a n i z z a z i o n e si accorse che gl'intellettuali gli e r a n o sfuggiti di m a n o . Dei vecchi amici, alla l e t t e r a circolare c o n cui egli a n n u n z i a v a la sua decisione, risposero soltanto G i a n n o n e , Giambattista Ruffini, C a m p a n e l l a , e p o c h i altri fuorusciti, fra cui quelli di M o n t e v i d e o : C u n e o , A n z a n i , G a r i b a l d i . Dall'Italia g i u n s e l'adesione di alcuni giovani, ma condizionata. E questo fu il caso di Nicola Fabrizi che, d o p o aver c o m b a t t u t o in S p a g n a nelle fila d e i «costituzionali» i n s i e m e a Ribotty, Cialdini, Fanti e i fratelli D u r a n d o , si e r a rifugiato a Malta, e q u i aveva costituito un m o v i m e n t o p e r suo conto, la Legione italica. Egli scrisse a Mazzini che abbracciava i suoi ideali, ma a patto che i compiti restassero divisi: alla Giovine Italia l'elaborazione della d o t t r i n a politica, alla Legione l'azione p r a t i c a . L'accordo si rivelò impossibile, m a l g r a d o l ' i n t e r v e n t o di L a m b e r t i , Fanti e C a m p a n e l l a , p e r c h é in realtà si trattava di u n a lotta d i p o t e r e p e r s o n a l e . Fabrizi c o n t e s t a v a Mazzini 86
p e r c h é rivendicava a sé la qualifica di capo, e già aveva deciso di esercitarla. In c o n c o r r e n z a c o n la Giovine Italia egli aveva costituito dei focolai insurrezionali nel N a p o l e t a n o , negli Stati pontifici e in Toscana, e nel '43 decise di a c c e n d e r e la miccia. I suoi fiduciari - t r a i quali c ' e r a n o rivoluzionari di t u t t o rig u a r d o c o m e Poerio a Napoli, Montanelli a Pisa, Cipriani a Livorno, Tito Livio Zambeccari e Luigi Carlo Farini a Bologna: tutti transfughi dalle fila mazziniane - gli avevano assic u r a t o che a p r o v o c a r e l'incendio sarebbe bastata u n a scintilla, la solita scintilla. Q u e s t a s a r e b b e d o v u t a scoccare nel Mezzogiorno, che invece - tanto p e r cambiare - l'aspettava dal Settentrione. La polizia ne fu, c o m e s e m p r e , informata, e fu la sua reazione a spingere gli emiliani a darsi alla macchia. E r a n o un'ottantina d ' u o m i n i guidati dai fratelli M u r a tori, che s ' i m p a d r o n i r o n o d e l c o m u n e d i Savigno, m e n t r e u n ' a l t r a b a n d a c a p e g g i a t a d a Ribotty t e n t a v a u n c o l p o d i forza su I m o l a . Ma fu il solito fuoco di paglia. L'incendio n o n d i v a m p ò p e r c h é la popolazione rimase inerte. E agl'insorti n o n r e s t ò c h e c e r c a r e s c a m p o o l t r e l ' A p p e n n i n o , lasciando nelle m a n i dei pontifici parecchi prigionieri sui quali si abbatté il castigo. Sette furono fucilati, gli altri avviati in galera. Q u e s t a t r a g e d i a ne p r o v o c ò u n ' a l t r a . I fratelli Attilio ed Emilio B a n d i e r a e r a n o f i g l i d i u n C o n t r a m m i r a g l i o v e n e ziano c h e aveva s e m p r e f e d e l m e n t e servito l'Austria. Anch'essi e r a n o ufficiali della M a r i n a i m p e r i a l e , ma fin dalle p r i m e a r m i si e r a n o convertiti agl'ideali di Mazzini. Tuttavia anch'essi, invece di e n t r a r e nella Giovine Italia, avevano p r e ferito costituire u n a società s e g r e t a p e r p r o p r i o c o n t o , l a Esperia, d'ispirazione p i ù c a r b o n a r a che mazziniana, c o m e appariva dai suoi criteri di proselitismo rivolto solo «ai ricchi, ai forti e ai dotti», c o n esclusione della «plebe, p e r c h é dessa p e r n a t u r a è i m p r u d e n t e , p e r bisogno corrotta». Q u a n d o s e p p e r o di ciò che Fabrizi stava p r e p a r a n d o , i Bandiera decisero di agire, ma v e n n e r o p r e v e n u t i dalla de87
lazione di un tal Micciarelli, che p u r t r o p p o Mazzini gli aveva m a n d a t o c o m e suo fiduciario. Disertarono coi loro complici rifugiandosi a Corfù, d o v e la m a d r e li r a g g i u n s e . La p o v e r a d o n n a e r a riuscita a s t r a p p a r e al Viceré d e l L o m bardo-Veneto u n a p r o m e s s a di clemenza, se i d u e transfug h i fossero r i e n t r a t i n e i r a n g h i . Ma essi r i f i u t a r o n o , e avv e n t a t a m e n t e p u n t a r o n o sulla Calabria p e r accendervi la rivolta, o meglio p e r r i a c c e n d e r c e l a p e r c h é ne e r a già scoppiata u n a poco p r i m a a Cosenza, e si era conclusa con le solite fucilazioni che s e m b r a v a n o aver lasciato dietro di sé un p r o f o n d o solco di odio. E r a n o d i c i a n n o v e gli u o m i n i c h e , al c o m a n d o dei B a n diera e di D o m e n i c o M o r o , nel g i u g n o del '44 sbarcarono a C r o t o n e . U n a spia, De Nobili, aveva segnalato la loro p a r t e n z a da Corfù. U n ' a l t r a spia, il c ò r s o B o c c h e c i a m p e , imb r a n c a t o con loro, disertò p e r segnalare l'arrivo. Presso San G i o v a n n i i n Fiore, d o p o u n b r e v e c o m b a t t i m e n t o , f u r o n o catturati, senza che n e s s u n o muovesse un dito in loro aiuto, e trascinati di fronte al t r i b u n a l e militare di Cosenza, che li giudicò e c o n d a n n ò a m o r t e p e r direttissima. I B a n d i e r a , M o r o e sei loro c o m p a g n i c a d d e r o sotto il p l o t o n e di esecuzione; gli altri furono graziati e avviati all'ergastolo. Di questi episodi, che suscitarono p r o f o n d a impressione, e n o n soltanto in Italia, la responsabilità fu attribuita a Mazzini. In se stessa, l'accusa e r a ingiusta: Mazzini n o n solo era rimasto e s t r a n e o alle iniziative di Fabrizi, ma anzi le aveva d i s a p p r o v a t e ; e q u a n t o ai B a n d i e r a , aveva cercato fino all'ultimo di trattenerli. Ma era vero che queste i m p r e s e rientravano nei m e t o d i di lotta insurrezionale ch'egli aveva semp r e predicato e praticato, e che o r a da questo e n n e s i m o fallimento uscivano ancora più screditate. I m o d e r a t i avevano b u o n giuoco a dire che questi m e t o d i c o n d u c e v a n o soltanto a un i n u t i l e s p e r p e r o di vite ed e n e r g i e p r e z i o s e . Mazzini reagì con acrimonia, e ne nacque u n a polemica che non giovò di certo alla causa patriottica. L'esule n a p o l e t a n o Rie-, ciardi cercò di c o m p o r l a p r o p o n e n d o l'istituzione a Parigi ^
di un comitato misto di mazziniani e m o d e r a t i . Ma esso n o n funzionò, e Mazzini n o n fece nulla p e r farlo funzionare. Più che di o r d i n e ideologico, la sua avversione ai m o d e r a t i e r a di o r d i n e morale, e q u i n d i insuperabile. «Sono p r o n t i ad aff e r r a r e qualsiasi illusione p u r di astenersi dal fare» diceva. Egli restava fedele al suo c r e d o eroico di un'Italia costruita sulle lacrime, il s u d o r e e il s a n g u e dei suoi figli, p e r rivoluzione, n o n p e r diplomazia o p e r iniziativa di qualche Principe. E si sentiva i n c o m p r e s o . S e m p r e p i ù i vecchi amici si staccavano da lui, p e r f i n o Melegari gli aveva voltato le spalle; e i giovani, sui quali aveva s e m p r e riposto le sue speranze, a n c h e q u a n d o accettavano il suo vangelo, n o n accettavano più i suoi o r d i n i e si gettavano i n a v v e n t u r e t e m e r a r i e m a i m p r o v v i s a t e , cui n e m m e n o il martirio riusciva a togliere quel carattere goliardico e dilettantesco, che vieppiù svogliava gl'italiani dal seguirne l'esempio. Alla d e l u s i o n e politica si a g g i u n g e v a n o quelle u m a n e , che spesso si tingevano di r i m o r s o . Egli n o n aveva nessuna colpa nel sacrificio dei Bandiera, ma e r a stato lui a m a n d a r gli c o m e fiduciario q u e l Micciarelli c h e aveva t r a d i t o lui e loro: e così si e r a r i p e t u t o il caso di J a c o p o Ruffini. Aveva accolto a braccia a p e r t e quel tale Gallenga, v e n u t o a L o n d r a per chiedergli p e r d o n o della sua diserzione, e o r a u n a lettera a n o n i m a lo avvertiva c h ' e r a u n a spia. Aveva raccattato un rottame u m a n o roso dall'alcool e dalla tubercolosi, lo aveva assistito e curato, e d o p o averlo sotterrato aveva trovato fra le sue carte le p r o v e c h ' e r a un a g e n t e al servizio dell'Austria. C r e d e v a che Accursio venisse o g n i p o c o d a Parigi p e r abbracciarlo e sollecitare le sue direttive, e più tardi si sarebbe ^ accorto che veniva invece a carpirgli i piani p e r trasmetterli alla polizia del Papa. Mai cospiratore fu più fertile di sotterri p e r conservare i p r o p r i segreti e mai se li lasciò r u b a r e fon altrettanta ingenuità. I suoi c o m p a g n i p i ù fedeli furono ;§empre i delatori. «Possibile che tutti mi tradiscano?» chiea m a r e g g i a t o in u n a l e t t e r a alla m a d r e . Dei soldi c h e 89
gli p a s s a v a n o di m a n o , p r o c u r a t i s o p r a t t u t t o dalle fervide a m i c h e inglesi, p e r m a n d a r e avanti la scuola e il g i o r n a l e degli operai, n o n gli restava di che comprarsi la sera che un tozzo di p a n e , un pezzo di formaggio e un bicchiere di birra. «Unico m i o c o n f o r t o è quello di t r o v a r m i la sera nella mia camera, presso al mio fuoco, con un sigaro, in pantofole, e solo.» Ma n o n si coricava. P r e n d e v a la p e n n a , e fino all'alba scriveva: «Caro Lamberti, abbiate il coraggio e la coerenza della nostra fede: siate intolleranti, esclusivi, e ditelo: fate g u e r r a alla doppiezza, al machiavellismo, al dispotismo, al federalismo e a tutti gVismi possibili: n o n curate le conseg u e n z e , n e s s u n o di noi p u ò calcolarle: se qualcosa s'ha da fare in Italia, è con elementi nuovi, ignoti o r a a noi medesimi e a tutti: la g e n e r a z i o n e c h ' e r a giovine q u a n d o abbiamo cominciato, è vecchia ora, e s'ha da sbandire». L a m b e r t i raccoglieva tutte le lettere di Mazzini, scritte a lui o ad altri c o r r i s p o n d e n t i , e le rubricava in un protocollo destinato a p r o v a r e «la costanza, gli sforzi, i sacrifici di Gius e p p e Mazzini, p e r far libera, u n a , i n d i p e n d e n t e l'Italia». Per questo merita la nostra gratitudine, ma n o n ebbe quella di Mazzini che lo teneva in poco conto e più tardi gl'inflisse parecchie umiliazioni. Decisamente, il p o v e r ' u o m o di u o m i ni n o n capiva nulla.
CAPITOLO NONO
D'AZEGLIO E IL S U O RE
Il fallimento dei tentativi di Fabrizi e dei B a n d i e r a s e g n ò p r a t i c a m e n t e la fine del m e t o d o i n s u r r e z i o n a l e e delle società segrete che lo p e r s e g u i v a n o . La m a g g i o r p a r t e dei loro a d e r e n t i p a s s a r o n o ai m o d e r a t i , la cui forza di contagio aveva l ' e n o r m e vantaggio di potersi sviluppare alla luce del sole: n o n si c o r r e v a n o rischi a tenersi in casa il Primato e le Speranze e a d i s c u t e r n e n o n solo nei salotti e nei caffè, ma anche nelle Corti e nelle parrocchie. O r a si trattava di d a r e alle loro idee un c o n t o r n o più preciso, e s o p r a t t u t t o di trad u r l e in un p i a n o di azione pratica. Il m o d e r a t i s m o , in sostanza, era la r i n u n z i a a u n a iniziativa rivoluzionaria di carattere p o p o l a r e che si era dimostrata inesistente. Ma se sul popolo n o n si poteva contare, a chi affidare il compito di fare l'Italia? G i o b e r t i aveva i n d i c a t o il P a p a senza c r e d e r c i n e a n c h e lui (e lo aveva detto); Balbo aveva indicato la diplomazia e u r o p e a il g i o r n o in cui la l i q u i d a z i o n e d e l l ' e r e d i t à turca l'avesse indotta a rimescolare le carte, eventualità ipotetica e remota. A formulare un p r o g r a m m a più concreto fu un personaggio che sembrava fra i m e n o qualificati ad affrontare simili p r o b l e m i . Massimo D'Azeglio era u n a delle figure p i ù in vista della nobiltà p i e m o n t e s e . Ma ci s'era messo unicam e n t e grazie ai suoi talenti artistici e m o n d a n i . Figlio di un aristocratico rigido e ligio alla tradizione, aveva rifiutato la carriera militare che suo p a d r e voleva imporgli, e si era dato alla p i t t u r a e alla l e t t e r a t u r a . N o n vi eccelleva a p p u n t o perché n o n aveva saputo scegliere fra l'una e l'altra. Ma certi suoi paesaggi rivelano u n a notevole maestria di p e n n e l l o , 91
e d u e suoi romanzi, Ettore Fieramosca e Niccolò de' Lapi avevan o o t t e n u t o u n notevole successo. E r a i n s o m m a u n «dilettante», ma nel senso migliore della parola: p i e n o d'interessi intellettuali e u m a n i , «un cristiano all'ingrosso - lo definisce i l suo a m i c o M o n t a n e l l i - , u n farfallone a m o r o s o , b u o n c o m p a g n o n e , che sa far di tutto, il libro e il q u a d r o , la strimpellata e la cantatina». Ma era a n c h e u n o dei pochi piemontesi che conoscessero b e n e l'Italia p e r c h é p e r venticinqu'anni l'aveva corsa in lungo e in largo, s o g g i o r n a n d o specialmente a R o m a e a Milan o , dove aveva sposato la figlia di Manzoni, Giulia. Doveva trattarsi d i u n m a t r i m o n i o d e t t a t o p i ù c h e altro d a calcoli letterari - che sono s e m p r e i più sbagliati - p e r c h é a n d ò male fin dal p r i m o g i o r n o . Nel '35 Giulia liberò il marito della sua i n c o m o d a e q u e r u l a p r e s e n z a p a s s a n d o a miglior vita. Ma si vede che Massimo alla p a r e n t e l a col Manzoni ci t e n e va m o l t o p e r c h é , s e p p e l l i t a n e la figlia, si affrettò a i m p a l m a r n e la cognata, Luisa Blondel. Riempì di c o r n a a n c h e lei, ma senza mai mancarle di rispetto, a n c h e p e r c h é lei n o n gli fece mai m a n c a r e il suo. Di politica, D'Azeglio n o n s'era mai occupato. La trovava noiosa e fonte soltanto di «grane» incompatibili con la sua vocazione di raffinato g a u d e n t e . Forse a risvegliargliene l'interesse fu suo cugino Balbo, q u a n d o gli lesse il Primato. Molto miglior scrittore di Gioberti, Massimo n o n poteva apprezzarne lo stile e n e a n c h e l'ideologia. Da b u o n neo-guelfo, Gioberti faceva della storia d'Italia un riflesso di quella della Chiesa, il che n o n poteva che dispiacere a un laico come lui. Probabilm e n t e fu anche p e r questo che incoraggiò Balbo a scrivere le sue Speranze. C o m u n q u e , fu da quel m o m e n t o che cominciò a interessarsi al p r o g r a m m a dei m o d e r a t i , e lo d i m o s t r ò lasciando bruscamente a mezzo il suo nuovo romanzo, La Lega lombarda, che n o n fu mai t e r m i n a t o , p e r r i p r e n d e r e i suoi viaggi, che stavolta n o n avevano più p e r scopo la scoperta di m o n u m e n t i e paesaggi. Prima a n d ò in Sicilia, poi si trasferì a Roma, e fu qui che e n t r ò nel vivo dell'azione politica. 92
S t a n d o ai suoi Ricordi, questo avvenne casualmente, grazie a u n a signora, Clelia P i e r m a r i n i , c h ' e r a stata camerista della Regina di Spagna, e o r a teneva un salotto in cui si dav a n o c o n v e g n o i patrioti r o m a n i . U n o di essi p r o p o s e a D'Azeglio di fare un viaggio in R o m a g n a , di p r e n d e r e contatto coi capi delle società segrete che t u t t o r a fiorivano in quella r e g i o n e i n t o r b i d a n d o n e la vita, e di convertirli alle idee e ai m e t o d i m o d e r a t i . Ma è difficile c r e d e r e che questa p r o p o s t a gli venisse fatta se egli stesso n o n l'avesse sollecitata. G i u n s e i n R o m a g n a nel s e t t e m b r e del ' 4 5 , cioè p r o p r i o nel m o m e n t o i n cui v i s c o p p i a v a u n e n n e s i m o m o t o c h e metteva allo scoperto il disagio di quelle popolazioni. Al com a n d o d i P i e t r o R e n z i , u n g r u p p o d i c o s p i r a t o r i s'impad r o n ì di Rimini, m e n t r e altre d u e b a n d e t e n t a v a n o la stessa o p e r a z i o n e a Faenza e a Bagnacavallo. C o m e al solito, il tentativo fallì p e r m a n c a n z a di a p p o g g i o p o p o l a r e . Ma, p r i m a di sbandarsi e di rifugiarsi in Toscana, gl'insorti r e d a s s e r o e diffusero un Manifesto ai Principi ed ai popoli d'Europa, c h e già r a p p r e s e n t a v a u n a trasgressione alla vecchia tattica settaria c h e , nella sua i n t r a n s i g e n z a d e m o c r a t i c a , ai Principi escludeva l'appello. E intonazione m o d e r a t a aveva a n c h e il testo, r e d a t t o da Farini e c o r r e t t o da Montanelli: in toni rispettosi, p r o m e t t e v a p i e n a sottomissione al Papa, se questi avesse concesso l'amnistia ai c o n d a n n a t i politici e le riforme che la conferenza degli Ambasciatori aveva già p r o p o s t o (ricordate?) nel ' 3 1 . Il Papa, c h ' e r a ancora G r e g o r i o X V I , n o n ne fece di nulla, anzi a p p e s a n t ì la r e p r e s s i o n e . E l'unico risultato di quel m o t o fu l ' a p p r o f o n d i m e n t o del contrasto fra i m o d e r a t i e Mazzini, che dell'iniziativa n o n e r a stato n e m m e n o informato e la definì, i n g i u s t a m e n t e , «una p r o v a della vigliaccheria e stupidità» dei suoi avversari. D'Azeglio in q u e l m o m e n t o aveva già lasciato la R o m a gna, e la sua missione n o n e r a stata affatto inutile. N o n e r a riuscito a i m p e d i r e il m o t o . Ma, s e g u e n d o la «trafila», c o m e si chiamava il collegamento s o t t e r r a n e o fra le succursali delle società segrete, ne aveva conosciuto gli e s p o n e n t i p i ù in 93
vista, e molti ne aveva c o n v e r t i t o alla p r o p r i a idea c h e , in parole povere, era questa: r i n u n z i a r e al m e t o d o insurrezionale p e r stringere tutte le forze patriottiche i n t o r n o all'unico Principe che poteva c o n d u r l e alla vittoria: Carlo Alberto. Aveva suscitato, c o m ' e r a logico, perplessità e diffidenze. Molti l o a v e v a n o p r e s o p e r u n altro M e n o t t i p e r c h é molti p r e n d e v a n o Carlo Alberto p e r un altro Francesco di Modena, e ne avevano di che. Ma D'Azeglio era un cuoco che sapeva p r e s e n t a r b e n e i suoi piatti, a n c h e p e r c h é li condiva di un realismo che ogni tanto sconfinava a d d i r i t t u r a nel cinismo. Le diffidenze che suscitava il n o m e di Carlo Alberto le s m o n t a v a con questo r a g i o n a m e n t o , da lui stesso r i p o r t a t o nei Ricordi: «Se invitate un l a d r o ad essere g a l a n t u o m o , e che ve lo p r o m e t t a , p o t r e t e d u b i t a r che m a n t e n g a . Ma invitare un ladro a r u b a r e , e aver p a u r a che vi m a n c h i di p a r o la, n o n ne v e d o il perché». E fu l ' a r g o m e n t o che, a q u a n t o p a r e , si rivelò più efficace sui suoi obbiettori. Di r i t o r n o da q u e l viaggio, a n d ò dal Re a riferirgliene tutti i particolari, salvo - i m m a g i n i a m o - il raffronto col lad r o . D o p o d i c h é «tacqui e aspettai la risposta che la fisonomia del R e m i p r o m e t t e v a n o n acerba; m a che, q u a n t o all ' i m p o r t a n t e , m ' i m m a g i n a v o dovesse essere un ibis redibis, da s a p e r n e tanto come p r i m a . Invece, senza p u n t o dubitare né sfuggire il m i o s g u a r d o , disse t r a n q u i l l o , ma r i s o l u t o : Faccia sapere a que' signori che stiano in quiete e non si muovano, non essendovi per ora nulla da fare; ma che siano certi che, presentandosi l'occasione, la mia vita, la vita de' miei figli, le.mie armi, i miei tesori, il mio esercito: tutto sarà speso per la causa italiana». D'Azeglio s'affrettò a farlo s a p e r e «a q u e ' signori», a g g i u n g e n d o tuttavia a m o ' di c o m m e n t o : « Q u e s t e le p a r o l e ; il c u o r e lo vede Iddio», che dimostrava q u a n t a diffidenza anche lui nutrisse p e r il suo Sovrano. E si mise a s t e n d e r e il resoconto della sua missione che s'intitolò Degli ultimi casi di Romagna. Fu, d o p o il Primato e le Speranze, la t e r z a g r a n d e o p e r a del p e n s i e r o m o d e r a t o , e forse la p i ù efficace, a n c h e p e r i 94
suoi superiori meriti stilistici. In u n a prosa serrata e nervosa, t u t t a fatti e cose, da vero g r a n d e giornalista, D'Azeglio raccontava la sua esperienza p e r farne un testo d'accusa sia c o n t r o il g o v e r n o pontificio, di cui d e n u n z i a v a tutta la corruzione e inefficienza, sia c o n t r o l'attività settaria, di cui dimostrava l'inutilità, anzi la dannosità. Per la p r i m a volta egli diceva con chiarezza che la lotta patriottica a n d a v a condotta n o n soltanto c o n t r o l'oppressore straniero p e r l'unità e l'ind i p e n d e n z a nazionale, ma a n c h e contro quelli indigeni p e r la libertà politica. Da un r e g i m e i n e t t o e legato al dispotismo c o m e quello d e l P a p a n o n c'era d a a s p e t t a r s i p i ù d i q u a n t o ci si poteva aspettare dalle dinastie forestiere legate all'Austria. Il n o m e di Carlo Alberto n o n e r a fatto, ma anche il lettore più sprovveduto capiva che a lui pensava D'Azeglio e i n t o r n o a lui invitava gl'italiani a stringersi. C a r l o A l b e r t o lesse l'abbozzo del libro, lo a p p r o v ò , ma n o n d i e d e il permesso di pubblicarlo. D'Azeglio si trasferì a Pisa dove finì la stesura e la sottopose al giudizio di Montanelli, che gli consigliò alcuni addolcimenti della critica alle società segrete, e pubblicò la sua o p e r a a Firenze, dedicandola a Balbo, c o m e Balbo aveva dedicato la sua a Gioberti. Fu un successo folgorante. Tutti lessero il libro: tutti coloro, si capisce, che sapevano leggere, e c h ' e r a n o t u t t o r a u n a ristretta m i n o r a n z a ; m a i n u n a s e t t i m a n a s e n e v e n d e t t e r o duemila copie. Lo lesse a n c h e il vecchio p a p a Gregorio, e a q u a n t o p a r e ne fu f o r t e m e n t e colpito. Mazzini, che con gli altri scrittori m o d e r a t i era stato spietato, nella critica a D'Azeglio diventò m o d e r a t o a n c h e lui. N a t u r a l m e n t e n o n poteva accettare la c o n d a n n a del m e t o d o insurrezionale, c h ' e r a il suo; ma riconobbe che l'opera p o n e v a in m a n i e r a chiara il p r o b l e m a nazionale, e ne l o d ò l'efficacia. N a t u r a l m e n t e la Chiesa reagì c o n violenza, a p p o g g i a t a d a t u t t o l ' e l e m e n t o retrivo. Ma, c o m e già era a v v e n u t o p e r il Primato, il fronte del clero si r u p p e . Perfino nella Curia di R o m a ci fu chi disapprovò la nota di protesta che il Nunzio, cioè l'Ambasciatore del Vaticano a Torino, p r e s e n t ò a Carlo Alberto. Il qua95
le rispose a suo m o d o : cioè i m p e g n a n d o s i a i m p e d i r e la diffusione del libro e o r d i n a n d o alla polizia di c h i u d e r e un occhio. Q u e s t o atteggiamento di Carlo Alberto destava stupori e perplessità. I n tutti quegli a n n i n o n aveva mal g o v e r n a t o . Sotto di lui la m a c c h i n a a m m i n i s t r a t i v a e r a d i v e n t a t a p i ù m o d e r n a ed efficiente, la b a r d a t u r a dei privilegi feudaleschi e r a stata in g r a n p a r t e smobilitata, i nuovi codici p e n a l e e civile segnavano un netto progresso, le finanze e r a n o state rimesse in sesto, il fìsco r i o r d i n a t o e l ' e c o n o m i a incentivata con l'abolizione di molti dazi e vincoli. Ma, nei confronti dei movimenti liberali, egli e r a rimasto l ' u o m o del '31 e del '34. E lo dimostrava la sua politica estera, s e m p r e rimasta nelle m a n i di Solaro della Margarita e ispirata alla sua ortodossia reazionaria. La difesa a o l t r a n z a del p r i n c i p i o legittimista, l'amicizia con l'Austria e la devozione alla Chiesa restavano le direttrici di marcia della diplomazia piemontese. E lo restavano nei fatti, n o n soltanto nelle intenzioni. A n c o r a nel '42, q u a n d o si e r a d o v u t a scegliere u n a m o glie p e r l'erede al t r o n o , Vittorio E m a n u e l e , o r m a i maggior e n n e , la scelta e r a c a d u t a su u n a Principessa di Casa d'Austria, Adelaide, figlia del Viceré del L o m b a r d o - V e n e t o e di u n a sorella di C a r l o Alberto, e q u i n d i c u g i n a dello sposo. Poco d o p o , q u a n d o e r a n o scoppiati i moti in R o m a g n a , Carlo Alberto aveva p u b b l i c a m e n t e r i m p i a n t o di n o n avere un confine in c o m u n e con lo Stato pontificio p e r p o t e r accorrervi col suo esercito a d o m a r e i ribelli. E ancora nel ' 4 5 , all ' a n n u n z i o della rivolta di Rimini, offriva al N u n z i o p a r t e della sua flotta p e r presidiare Civitavecchia e prevenirvi altri torbidi. E p p u r e , pochi giorni d o p o riceveva D'Azeglio e gli diceva quel che gli diceva. Secondo il suo biografo Bersezio, queste oscillazioni erano il frutto n o n soltanto di un a n i m o irresoluto, ma a n c h e di u n a coscienza t u r b a t a e di un fisico m i n a t o . I p r e t i di cui e r a circondato alimentavano in lui il r i m o r s o p e r il suo passato di libertino, m e n t r e i medici, forse d'accordo con loro, 96
lo indebolivano con rigorose diete e salassi. Ma tutto questo sa un p o ' di r o m a n z o . D'irresolutezza, Carlo Alberto aveva dato p r o v a a n c h e p r i m a di salire sul t r o n o , e lo aveva d i m o strato il suo c o n t r a d d i t t o r i o atteggiamento nel ' 2 1 . Il coraggio e la volontà n o n gli m a n c a v a n o ; ma gli m a n c a v a il carattere. Nella g u e r r a di S p a g n a e r a stato un valoroso combattente, e la disciplina a cui si sottoponeva e r a spartana. Ma le responsabilità morali lo s g o m e n t a v a n o . E soprattutto - credo - bisogna t e n e r conto del suo «complesso» di Savoia spurio, pesantissimo in u n a dinastia che faceva della p r i m o g e n i t u r a u n a specie di s e g n o della Grazia. Se t a n t o insisteva sul suo titolo di Re p e r volontà di Dio, e r a p e r c h é lo era div e n t a t o solo p e r caso. E viveva nel t o r m e n t o di tutti questi scrupoli e contrasti complicati da u n a m o r b o s a sensibilità, c h e lo r e n d e v a e s t r e m a m e n t e ricettivo alle s u g g e s t i o n i esterne. E r a p r o b a b i l m e n t e p e r meglio resistervi che si circ o n d a v a di collaboratori conservatori e progressisti, dosati in m o d o che si bilanciassero fra loro. N o n era né intelligente né colto. Ma certi m o v i m e n t i di o p i n i o n e p u b b l i c a e o r i e n t a m e n t i di p e n s i e r o li coglieva e ne restava influenzato. Nel '38 aveva m a n d a t o in galera e poi in esilio Gioberti, ma nel '43 ne leggeva con interesse il Primato. Se D'Azeglio avesse scritto il suo libro d u e a n n i p r i m a , avrebbe m a n d a t o in esilio a n c h e lui. O r a in pratica ne aveva fatto u n a specie di a g e n t e segreto. I t e m p i i n s o m m a li sentiva e con essi andava. Nel '43 ci fu un episodio di m o d e s t e d i m e n s i o n i , ma rivelatore. Otto soldati austriaci sconfinarono ubriachi dal Ticino in P i e m o n t e , misero a sacco un p a e s e e v e n n e r o a r r e stati. Il sindaco, p e r evitare incidenti, li r i c o n s e g n ò all'ufficiale c h e minacciava di r i p r e n d e r s e l i a n c h e c o n la forza. Carlo Alberto a n d ò su tutte le furie. «Bisognava r i s p o n d e r e - t u o n ò - s u o n a n d o a s t o r m o le c a m p a n e . E se l'avessi saputo, l'avrei fatto io, d a u n c a p o all'altro del P i e m o n t e , p e r c h i a m a r e a raccolta i miei u o m i n i e lanciarli c o n t r o i t e d e schi, e sono ancora p r o n t o a farlo, e lo farò, se ce ne sarà bi97
sogno.» Reazione s t r a n a , p e r u n u o m o c a u t o e g u a r d i n g o c o m e lui. E un'altra ne seguì, più sostanziosa. Fra Austria e P i e m o n t e si trascinava, da a n n i , u n a vertenza p e r il c o m m e r c i o del sale. Il P i e m o n t e era i m p e g n a t o ad a c q u i s t a r e quello a u s t r i a c o , e aveva c o n t i n u a t o a farlo a n c h e d o p o essersi annessa Genova che gli avrebbe consentito di fabbricarselo in casa. Nel '43, d'improvviso, decise di sottrarsi a quella servitù e l'Austria se ne rivalse c h i u d e n d o le p o r t e al vino piemontese. Fu un tracollo grosso. Ma i piemontesi, lungi dal rifarsela col p r o p r i o governo, se la r i p r e sero con l'Austria. E lo si vide il 7 maggio (del '46), q u a n d o Carlo Alberto si disponeva, c o m e tutti i giovedì, a passare la rivista ai soldati. Piazza Castello si r i e m p ì improvvisamente e s p o n t a n e a m e n t e di u n a folla festante che gridava: «Viva il Re d'Italia!» Di dietro la finestra del Palazzo, Carlo Alberto g u a r d a v a compiaciuto, ma dubbioso. Avrebbe voluto a n d a re a raccogliere q u e l l ' o m a g g i o , ma i ministri lo trattenevan o . A u n o di essi che gli p r o s p e t t a v a il pericolo di u n a reazione austriaca, si dice che rispondesse: «Se il P i e m o n t e p e r de l'Austria, acquisterà l'Italia». Ma q u a n d o gli fecero osservare che, a n d a n d o in mezzo al p o p o l o , si consegnava ad esso, «amico malfido e di mutevoli umori», r i n u n z i ò . Del pop o l o aveva p i ù p a u r a c h e dell'Austria, e su q u e s t o p u n t o n o n ebbe mai r i p e n s a m e n t i . I ricordi del '21 gl'ispiravano u n a totale sfiducia nelle forze liberali. M a q u e s t e n o n e r a n o p i ù quelle d i allora: u n p u g n o d i u o m i n i senza esperienza politica, isolati in u n a società arcaica e conservatrice. P r o p r i o grazie alle sue riforme, nell'ultimo quindicennio, i ceti borghesi n o n solo e r a n o fortemente cresciuti di n u m e r o e di potenza, ma avevano convertito ai p r o p r i valori e interessi a n c h e u n a grossa frangia dell'aristocrazia e qualche settore del proletariato più evoluto. N o n solo. Ma le trascorse esperienze li avevano resi politicamente più m a t u r i , e Io dimostrava p r o p r i o il m o d e r a t i s m o , con cui a v e v a n o c o n q u i s t a t o o s t a v a n o c o n q u i s t a n d o t u t t a la borghesia italiana. Il m o d e r a t i s m o piaceva a Carlo Alberto 98
n o n soltanto p e r c h é falciava l'erba sotto i piedi di Mazzini e della r i v o l u z i o n e ; m a a n c h e p e r c h é e r a u n p r o d o t t o piemontese, piemontesi e r a n o i suoi tre g r a n d i bardi, e al Piem o n t e riconducevano tutte le sue fila. Era a Torino, n o n più a Firenze, che o r m a i tutto il liberalismo italiano g u a r d a v a . E in esso C a r l o Alberto cominciava a v e d e r e u n o s t r u m e n t o della sua conquista. Ecco p e r c h é aveva p a r l a t o in quei t e r m i n i a D'Azeglio, che o r a stava p e r r i e n t r a r e da Firenze. In seguito alle rimos t r a n z e di M e t t e r n i c h e del Papa, il G r a n d u c a lo aveva espulso, ma mai foglio di via era stato a c c o m p a g n a t o da tante manifestazioni di stima e di affetto. Tutta la cultura toscana aveva p r e s o p a r t e al b a n c h e t t o di a d d i o offerto al p a r t e n te, e a Pisa i festeggiamenti si e r a n o r i n n o v a t i . Nei fervidi brindisi n o n e r a n o m a n c a t i a c c e n n i al P i e m o n t e e a Carlo Alberto, di cui D'Azeglio passava o r m a i p e r il fiduciario. Per ora, l'evoluzione del Re si limitava a un irrigidimento nei confronti dell'Austria. In questo n o n c'era nulla di sostanzialmente n u o v o p e r c h é antiaustriaco, in fondo al cuore, egli e r a s e m p r e stato. Il n u o v o consisteva nel fatto che, p e r c o m b a t t e r e l'Austria, cominciasse ad a p p o g g i a r s i sulle forze liberali, che g l ' i m p o n e v a n o o c o m u n q u e gli avrebbero imposto la revisione di d u e princìpi sui quali si era mostrato fin allora i n t r a n s i g e n t e : l'assolutismo e la d e v o z i o n e alla Chiesa. Su quest'ultimo p u n t o gli scrupoli religiosi Io tratten e v a n o . E forse n o n lo a v r e b b e m a i s u p e r a t o , se a R o m a non fosse successo qualcosa che a l m e n o p e r u n c e r t o m o m e n t o diede a tutti l'illusione di p o t e r conciliare Chiesa e libertà.
CAPITOLO DECIMO
P I O IX
Anche a noi che n o n ci c r e d i a m o , il Conclave del 1846 ispira il d u b b i o che a m e t t e r c i lo z a m p i n o sia stato lo Spirito S a n t o . La s o r p r e s a fu tale che p r o v o c ò d u e s v e n i m e n t i : quello del vincitore che si riteneva certo della p r o p r i a sconfitta, e quello dello sconfìtto che si riteneva certo della p r o p r i a vittoria. Per poco, m a l g r a d o il suo proverbiale s a n g u e freddo, n o n svenne anche Metternich che, n e l l ' a p p r e n d e r e la notizia, c o m m e n t ò : «Tutto mi sarei aspettato, fuorché un Papa liberale!» Più che dalle sue professioni di fede, al c a r d i n a l e Mastai-Ferretti la fama di liberale derivava dalle sue professioni di scetticismo e dalla stessa singolarità della sua carriera. Era nato c i n q u a n t a q u a t t r ' a n n i p r i m a a Senigallia da u n a famiglia della piccola nobiltà provinciale che, a differenza di tutte le altre dello Stato pontificio, n o n aveva mai d a t o alla Chiesa né Santi né alti dignitari. A studiare, lo m a n d a r o n o a Volterra nel collegio degli Scolopi. Ma al r i t o r n o , l'unica vocazione di cui d e t t e s e g n o fu quella a fare il figlio di p a p à fra circolo e salotti. Bel ragazzo, azzimato, socievole e galante, passava la giornata a cavalcare, a tirare di s c h e r m a e sop r a t t u t t o i n t o r n o al b i l i a r d o di cui e r a un a u t e n t i c o asso. Piaceva molto alle d o n n e che gli piacevano moltissimo, ebbe delle a v v e n t u r e e più a n c o r a forse gliene v e n n e r o attribuite. La famiglia lasciava fare. Ma q u a n d o il c o n t i n o c a d d e nelle reti di u n ' a t t r i c e t t a di l u n g o e p o c o glorioso corso e minacciò di restarci i m p a s t o i a t o , lo s p e d ì in g r a n fretta a R o m a da u n o zio canonico p e r c h é lo disintossicasse e gli cercasse un posto. 100
Alcuni biografi dicono che lo trovò nella G u a r d i a Nobile, la milizia p e r s o n a l e del Papa. E falso. Il giovane lo chiese, ma n o n lo ebbe p e r c h é fu bocciato alla visita medica. N o n o stante il florido aspetto e le gote paffute, da p u t t o , soffriva di un male congenito: l'epilessia. Era u n a forma leggera, ma che condizionava il suo carattere r e n d e n d o l o instabile, e m o tivo, facile così all'entusiasmo c o m e alla depressione. Fu p e r questo che in u n a città d o v e le u n i c h e occasioni d ' i m p i e g o e r a n o quelle che offriva la Chiesa, dovette decidersi a p r e n d e r e i voti, sebbene a n c h e questi gli venissero concessi con u n a certa difficoltà p e r via della malattia. Scelse di fare il p r e d i c a t o r e p e r c h é alla c u r a d ' a n i m e n o n si sentiva p o r t a t o , ed ebbe subito successo, sebbene n o n possedesse né la fibra severa, né il rigore, né la cultura del quaresimalista, o forse p r o p r i o p e r q u e s t o . Sul p o d i o ci stava come un c o n s u m a t o attore sul palcoscenico, e soprattutto le d o n n e e r a n o sensibili al suo discorso p i a n o e facile, ricco di grazia salottiera e talvolta a n c h e di arguzia. Lo m a n d a r o n o a d a r n e dei saggi a n c h e nella natia Senigallia, d o v e fu costretto a p a r l a r e a d d i r i t t u r a in piazza, tale fu il concorso di p u b b l i c o , d i cui l e m a l e l i n g u e d i c e v a n o che u n a b u o n a metà era formata dalle sue ex-amanti. Si disse a n c h e che alc u n e di queste c e r c a r o n o di farlo ricadere in tentazione, ma inutilmente. Nel ' 2 3 lo i n c a r i c a r o n o di u n a missione in Cile. E r a , a quei t e m p i , u n ' a v v e n t u r a che richiedeva u n a b u o n a dose di vigoria e di coraggio p e r i disagi a cui esponeva. E infatti gli ci vollero sei mesi p e r a r r i v a r c i . La missione n o n d i e d e g r a n d i risultati, ma mise in luce l ' i n t r a p r e n d e n z a e le qualità d i p l o m a t i c h e del giovane p r e l a t o , che in questi a n n i si era v e n u t o affezionando al p r o p r i o mestiere e ci metteva un i m p e g n o che forse s o r p r e n d e v a a n c h e lui. Il p a p a Pio V I I , suo c o n t e r r a n e o , lo p r e m i ò con la n o m i n a a Vescovo di Spoleto, e poco d o p o di Imola, dove fu insignito anche del cappello cardinalizio. La sua f o r t u n a fu di g o v e r n a r e quella diocesi in un p e 101
r i o d o che, s e n o n e r a p r o p r i o d i distensione, n o n e r a n e p p u r e di crisi acuta, a l m e n o sul m e t r o di u n a t e r r a politicam e n t e agitata come la R o m a g n a . D o p o la g r a n d e delusione dei moti del ' 3 1 , a n c h e qui e r a subentrata la bonaccia, gli attentati si e r a n o diradati e di conseguenza si e r a n o d i r a d a t e le rappresaglie. Lo scontento p e r la pessima amministrazione pontificia restava. Ma era scossa la fiducia nei m e t o d i terroristici, e ora l'opposizione faceva capo a dei «notabili» d'id e e e di t e m p e r a m e n t o m o d e r a t o che, invece che a r o m p e re i p o n t i con le a u t o r i t à ecclesiastiche, m i r a v a n o ad allacciarne p e r tirarle dalla loro p a r t e . Il cardinale Mastai, che di sua n a t u r a n o n era di certo un persecutore, fu b e n felice di approfittarne, ma senza t r o p p o sbilanciarsi. Stabilì cordiali r a p p o r t i con gli e l e m e n t i laici, p r e s t ò orecchio alle critiche ch'essi m u o v e v a n o al g o v e r n o della Chiesa, d e p l o r ò gli eccessi d e i centurioni, gl'infami squadristi che la polizia usava sotto b a n c o p e r i più bassi servizi, e spinse la sua spregiudicatezza fino a stringere amicizia col c o n t e Pasolini, il liberale p i ù in vista d e l l u o g o , al quale manifestò un g i o r n o la sua a m m i r a z i o n e p e r Balbo e D'Azeglio. C o n t r o il m a l g o v e r n o del Papa n o n faceva nulla, ma a m m e t t e v a che i laici lo chiamassero m a l g o v e r n o , e q u e sto bastava a farlo a p p a r i r e un c a m p i o n e della libertà. U n ' a l t r a sua f o r t u n a fu forse che d u r a n t e i moti del '43 cercassero di rapirlo e p r e n d e r l o c o m e ostaggio insieme ad altri d u e C a r d i n a l i d i R a v e n n a . C o n c e p i t a i n p r e t t o stile s q u a d r i s t i c o - g o l i a r d i c o , q u e s t a o p e r a z i o n e d e t t a «dei t r e cardellini» a n d ò in fumo p e r u n a spiata e provocò u n a reazione in favore delle mancate vittime da p a r t e di tutto l'elem e n t o m o d e r a t o che vivamente disapprovava la ribellione e i suoi metodi. A Imola la sua popolarità crebbe. Ma n e m m e no lì n e s s u n o credeva ch'egli potesse succedere a G r e g o r i o X V I , q u a n d o nel '46 questi m o r ì e Sua E m i n e n z a si mise in viaggio p e r il Conclave: n o n aveva che c i n q u a n t a q u a t t r ' a n ni, u n ' e t à considerata assolutamente p r e m a t u r a p e r la tiara, e n o n figurava t r a i p r o t a g o n i s t i di p r i m o p i a n o . La lotta 102
sembrava circoscritta ad altri d u e concorrenti: il Segretario di Stato L a m b r u s c h i n i , che r a p p r e s e n t a v a la continuità del r e g i m e conservatore g r e g o r i a n o di cui e r a stato l'anima, e il C a r d i n a l e - l e g a t o di Forlì, Gizzi, su cui si a p p u n t a v a n o le speranze dei liberali, e che D'Azeglio aveva citato nel suo lib r o c o m e esempio di tolleranza e di m o d e r n i t à . In favore di Gizzi si mossero i notabili romagnoli, stilando un a p p e l l o al Collegio dei C a r d i n a l i in cui si auspicava l'elezione d ' u n P a p a c h e c o n c e d e s s e q u a l c h e r i f o r m a . F u m a n d a t o a m a n o p e r i m p e d i r e che la c e n s u r a lo bloccasse a mezza strada, p e r c h é il r e g i m e era tale che n o n consentiva n e m m e n o la formulazione di un augurio, anche redatto nella f o r m a p i ù ossequiosa. N a t u r a l m e n t e n o n c o n t e n e v a s u g g e r i m e n t i sulla scelta. Ma si sapeva che i firmatari r i p o n e v a n o le loro speranze nel Cardinale-legato. C o n t r o di lui invece e r a Metternich, il quale aveva a n c h e le a r m i p e r bloccarne l'elezione. Da t e m p o i m m e m o r a b i l e le tre g r a n d i Potenze cattoliche - Austria, Francia e S p a g n a g o d e v a n o di un diritto di «esclusiva» sui Conclavi. Esse n o n potevano i m p o r r e un candidato, ma potevano escluderlo con un «veto». E questo diritto è d u r a t o fino al 1903, q u a n do Pio X lo r e v o c ò m i n a c c i a n d o la s c o m u n i c a c o n t r o chi osasse p r o n u n c i a r l o . N o n s a p p i a m o se il C a r d i n a l e austriaco Gaysrùck, Arcivescovo di Milano, recasse un vero e p r o p r i o «veto» c o n t r o Gizzi, q u a n d o si mise in viaggio p e r R o m a . S a p p i a m o soltanto che a Fidenza la carrozza del Presule ebbe un guasto a u n a r u o t a , e occorsero sette giorni p e r r i p a r a r l a . Il C a r d i nale n o n se ne allarmò, convinto che il Conclave sarebbe andato, come al solito, p e r le l u n g h e . Invece si concluse in d u e giorni, cosa che n o n e r a p i ù a c c a d u t a dall'elezione di G r e gorio XV nel 1621. Fu p e r n o n dargli t e m p o di esercitare la sua interferenza, implicitamente favorevole al L a m b r u s c h i ni, e p e r m e t t e r e Metternich di fronte al fatto c o m p i u t o , che la scelta v e n n e precipitata? C o m u n q u e , a n c o r a u n a volta si confermò la r e g o l a c h e chi e n t r a in Conclave da Papa, ne 103
esce C a r d i n a l e . L a m b r u s c h i n i , c h e veniva d a t o p e r sicuro vincitore, svenne di dolore; e Mastai-Ferretti, che n o n veniva considerato n e a n c h e p r e t e n d e n t e , svenne di gioia. I suoi agiografi dicono che, v e d e n d o s i piovere addosso tanti voti, egli disse p i a n g e n d o ai p o r p o r a t i : «Fratelli miei, abbiate pietà di me e della mia debolezza. Io n o n sono d e g n o di tanto onore!» Sono agiografi di poca fantasia, p e r c h é questo discorsino lo m e t t o n o in bocca a quasi tutti i Papi. Mastai-Ferretti n o n lo p r o n u n c i ò di certo, o lo p r o n u n c i ò solo a cose fatte. La sua b o n o m i a n o n era affatto umiltà. Del resto, gli avvenimenti n o n gli d i e d e r o il t e m p o d'ind u l g e r e a debolezze. Mai Conclave era stato seguito dai rom a n i con tanta ansietà. La piazza del Quirinale, dove allora esso si svolgeva, era gremita di gente in attesa della fumata. Siccome questa v e n n e a u n ' o r a tardissima, fu deciso di rinviare a l l ' i n d o m a n i l ' a n n u n c i o del n o m e , e questo accrebbe l'agitazione della folla, che invece di d i r a d a r s i si fece semp r e p i ù fitta. A un c e r t o p u n t o corse la voce c h e , delle t r e m i s u r e di sacri p a r a m e n t i che in queste circostanze si tengono s e m p r e a disposizione, gl'inservienti a v e v a n o ricevuto l ' o r d i n e di p r e p a r a r e la più piccola. Bastò p e r d a r e ali alla voce che l'eletto e r a Gizzi, c h ' e r a infatti di bassa statura. In casa del C a r d i n a l e ci fu tale baldoria che tutto il vasellame a n d ò in briciole. Ma di lì la gioia dilagò in tutta Roma, dove i m m e d i a t a m e n t e si f o r m a r o n o festanti cortei. Fu un t r i p u d i o breve, ma esercitò u n a forte impressione s u l l ' a n i m o suggestionabile del n u o v o Papa, c h e a s s u n s e il n o m e di Pio IX. Dalle acclamazioni della folla, q u a n d o l'ind o m a n i si affacciò a benedirla, egli capì ch'essa riversava su di lui le speranze che aveva riposto in Gizzi, e n o n volle del u d e r l a . F o r m ò subito u n a c o m m i s s i o n e p e r l o s t u d i o dei p r o b l e m i p i ù u r g e n t i , e a farne p a r t e c h i a m ò sia L a m b r u schini c h e Gizzi, ma fu subito c h i a r o c h e a esercitarvi la m a g g i o r e influenza e r a u n semplice M o n s i g n o r e , CorboliBussi, in fama di liberale. Il p r i m o p r o b l e m a da risolvere e r a quello dell'amnistia 104
ai c o n d a n n a t i politici che d o p o gli ultimi moti di R o m a g n a g r e m i v a n o le galere. I torbidi di Rimini e r a n o scoppiati perché Gregorio si era rifiutato di concederla, e il suo successore n o n volle d e l u d e r e l'attesa. T r a n n e pochissimi ecclesiastici, militari e impiegati civili, tutti p o t e v a n o usufruirne, p u r ché n e facessero d o m a n d a i m p e g n a n d o s i a l l ' o b b e d i e n z a . E r a un semplice p r o v v e d i m e n t o d ' i n d u l t o , di cui la stessa Austria aveva dato poco p r i m a l'esempio nel Lombardo-Veneto. Ma corse voce che molti m e m b r i della Commissione vi si fossero o p p o s t i , c h e il P a p a lo avesse e s t o r t o di p r o p r i a autorità, e questo lo fece a p p a r i r e come u n a m i s u r a rivoluzionaria e il segno di u n a totale r o t t u r a col passato. La sera del 17 luglio, q u a n d o l'editto fu affisso ai m u r i , t o r m e di g e n t e s'incolonnarono sul Quirinale a g i t a n d o migliaia di fiaccole. A incettarle e distribuirle era stato un oste di Via Ripetta, Angelo B r u n e t t i , destinato a diventar famoso col n o m i g n o l o di Ciceruacchio. La c o m p a r s a sulla scena politica di questo proletario sanguigno, coraggioso e confusionario, vera incarnazione della plebe r o m a n a , è significativa. Brunetti era un semianalfabeta. Ma un suo cliente liberale gli aveva letto, t r a d o t t e in italiano, le Parole di un credente di L a m e n n a i s , violenta e suggestiva requisitoria c o n t r o il p o t e r e t e m p o r a l e della Chiesa. L'oste ne e r a r i m a s t o così colpito, che aveva i m p a r a t o a m e m o r i a interi passaggi, e si era messo a recitarli nelle piazze e nelle bettole. Se lo avesse fatto un intellettuale, lo a v r e b b e r o p r e s o a sberleffi. Ma da Ciceruacchio lo p r e s e r o p e r un messaggio, se n'entusiasmar o n o e sotto la sua guida f o r m a r o n o u n a «fratellanza p o p o lana» che o r a i m m e t t e v a un fremito r i v o l u z i o n a r i o in ceti che fin qui vi e r a n o rimasti del tutto insensibili. Il Papa dovette a p p a r i r e al balcone p e r b e n e d i r e la folla che lo acclamava. La manifestazione si ripetè l ' i n d o m a n i , e il giorno successivo. Il 19, m e n t r e ritornava da u n a cerimonia, i r o m a n i staccarono i cavalli dalla carrozza e la trascinar o n o a braccia. Scene a n a l o g h e si svolsero in t u t t e le altre città dello Stato pontificio. A Bologna, sulla Piazza Maggio105
re, s c a n d i r o n o urt i n n o composto in suo o n o r e e diretto da Rossini. N o n c'era messa in chiesa né r a p p r e s e n t a z i o n e in t e a t r o che n o n venissero o g n i p o c o i n t e r r o t t e d a acclamazioni a Pio IX. Perché tanto tripudio? Di positivo, n o n c'era nulla che lo giustificasse. Oltre l'amnistia, il Papa n o n aveva concesso alt r o . Il mito del Pontefice liberale e p a t r i o t a e r a d i v a m p a t o p e r autocombustione, cioè dal desiderio ch'egli si mostrasse tale. Ma e r a così forte da suggestionare a n c h e lui e t e n e r l o p r i g i o n i e r o . Pochi giorni d o p o n o m i n ò Gizzi Segretario di Stato. N o n ci mancava che questo p e r farlo a p p a r i r e , in tutta Italia, c o m e il Papa di Gioberti, p r o n t o a b a n d i r e la crociata p e r l ' i n d i p e n d e n z a nazionale. Perfino gli scettici toscani e gli sciovinisti piemontesi scesero in piazza p e r acclamare in lui il b a n d i t o r e e iniziatore del g r a n d e riscatto. Nessuno vedeva, o voleva v e d e r e , l'assurdità storica di u n a nazione italiana fatta dalla Chiesa c h e da quasi d u e m i l a a n n i la combatteva. Ma forse in quel m o m e n t o n o n la vedeva n e m m e n o Pio IX, sopraffatto da cose p i ù g r a n d i di lui, e ci voleva poco p e r c h é l ' u o m o n o n era, né m o r a l m e n t e né intellett u a l m e n t e , d i g r a n d e taglia. C o m e l ' a p p r e n d i s t a s t r e g o n e , egli era già prigioniero dei p r o p r i incantesimi e n o n riusciva più a d o m i n a r e gli entusiasmi che aveva suscitato.
CAPITOLO UNDICESIMO
LA GRANDE I L L U S I O N E
Nelle sue Memorie, G i u s e p p e Montanelli descrive molto bene la tensione di quei giorni, di cui fu egli stesso partecipe. « E r r a m m o , e n o n d i m e n o sia b e n e d e t t o q u e l l ' e r r o r e , poiché senza il Vìva Pio Nono!, chissà q u a n d o le moltitudini italiane si s a r e b b e r o a g i t a t e n e l l ' e n t u s i a s m o della vita n a z i o n a l e . C o n quell'acclamazione esse e n t r a v a n o in u n a via di m a n i festazioni pubbliche che i governi n o n potevano avversare.» Lo si v e d e v a b e n i s s i m o lì in T o s c a n a d o v e il G r a n d u c a n o n sapeva che pesci p r e n d e r e c o n t r o il m o v i m e n t o dell'op i n i o n e liberale che ogni g i o r n o si faceva p i ù d e n s o e p r e s sante. C o m e si poteva, p e r esempio, i m p e d i r e u n a sottoscrizione in favore degli amnistiati dello Stato pontifìcio, se a lib e r a r l i e r a stato lo stesso P a p a ? E c o m e p o t e v a la c e n s u r a a p p e s a n t i r e la m a n o contro i giornali che, sia p u r e i n t e r p r e t a n d o n e a m o d o loro le intenzioni, al Papa scioglievano inni? Ne e r a n o nati parecchi, specialmente a Pisa, sotto lo stimolo di Montanelli che, r e t t o r e dell'Università, p e r la loro diffusione poteva c o n t a r e sui suoi studenti. Montanelli n o n era un u o m o d ' a z i o n e , e nell'azione infatti e b b e poi molti t e n t e n n a m e n t i e s m a r r i m e n t i : la vasta c u l t u r a e u n a coscienza t u r b a t a da scrupoli religiosi (aveva a m o r e g g i a t o anche con le idee gianseniste e subiva l'influsso del socialismo cristiano di Saint Simon) lo r e n d e v a n o ricettivo alle critiche, e q u i n d i incerto e indeciso. Ma c o m e scrittore, lo e r a di razza, e c o m e pochi aveva il fiuto del «momento» politico. O r a il m o m e n t o era quello del neo-guelfìsmo alla Gioberti, che p a r e v a realizzarsi in p i e n o nella figura del P a p a liberale e patriota, e lui vi si b u t t ò a c o r p o m o r t o , a n c h e a costo di 107
creare u n a scissione nel m o d e r a t i s m o toscano, che fin allora si e r a r i c o n o s c i u t o s o p r a t t u t t o nei C a p p o n i e nei Ridolfi, molto più g u a r d i n g h i di lui. I n t o r n o a Montanelli si r i u n i vano invece il Salvagnoli, il Giusti, il L a m b r u s c h i n i , e ora faceva la sua c o m p a r s a a n c h e B e t t i n o Ricasoli, d e t t o «l'orso dell'Appennino» in attesa di d i v e n t a r e il «barone di ferro». L a l o r o p r o p a g a n d a p e n e t r a v a t a n t o p i ù facilmente i n q u a n t o n o n costituiva «corpo di reato». Essa n o n conteneva i n c i t a m e n t i all'eversione c o m e q u e l l e della C a r b o n e r i a e della Giovine Italia. In u n a prosa pacata e composta - in cui faceva stecca soltanto il solito sguaiato e t o n i t r u a n t e G u e r razzi - tesseva l'elogio n o n di Mazzini, ma del Papa, attrib u e n d o g l i dei propositi che, se n o n e r a n o quelli di Mazzini, p o c o ci m a n c a v a . E q u e s t a e r a a p p u n t o la g r a n d e trovata: c h i a m a r e gl'italiani alla rivoluzione a f f i d a n d o n e l'alto pat r o n a t o a Pio IX, in m o d o da garantirli contro ogni rischio. Era logico che ne accorressero s e m p r e di più, e lo si vedeva dal moltiplicarsi delle firme sotto le petizioni e gli appelli rivolti al g o v e r n o . Fra le invocate r i f o r m e c'era l'abolizione della c e n s u r a , dei dazi e del giuoco del lotto, la diffusione dell'istruzione e l e m e n t a r e , l'istituzione d i u n g o v e r n o p i ù largo e rappresentativo dei vari interessi di ceto e di categoria. Ma queste p r o p o s t e che anche il G r a n d u c a avrebbe p o t u t o sottoscrivere, d o v e v a n o s p i a n a r e la s t r a d a a u n a integ r a z i o n e degli Stati italiani p e r u n a crociata di liberazione dall'oppressore straniero in n o m e del Papa, cioè di u n ' a u t o rità che gli altri poteri n o n potevano contestare. Era un falso p e r c h é il Papa n o n aveva affatto avallato l'iniziativa. Ma Montanelli diceva il vero: fu questa contraffazione che, d a n d o agl'italiani la sicurezza dell'impunità, li attrasse nel dibattito sui g r a n d i p r o b l e m i nazionali e ve li a p p a s s i o n ò . «L'Italia è t u t t a m o d e r a t a ! » egli scriveva in t o n o trionfante. In questo sbagliava in q u a n t o era m o d e r a t a solo l'Italia p e n s a n t e , cioè l'Italia delle classi colte: la g r a n d e massa analfabeta restava e s t r a n e a a questi entusiasmi, o vi partecipava solo e p i d e r m i c a m e n t e . Ma l ' e r r o r e aveva il suo 108
p e r c h é : Montanelli era un professore che con la massa n o n aveva contatti, chiuso c o m ' e r a in u n a cerchia di colleghi e di studenti, cioè d'intellettuali. Egli vedeva solo che questa cerchia si e r a di molto allargata, e p e r di più faceva capo a un c e n t r o c o m e Firenze, r i d i v e n t a t a i n quel m o m e n t o , grazie alla tolleranza del G r a n d u c a , la capitale della cultura italiana, e q u i n d i del m o d e r a t i s m o che o r m a i la p e r m e a v a . Negli altri Stati la situazione e r a assai diversa, a n c h e se u g u a l m e n t e esplosiva. A Napoli i liberali n o n potevano concedersi gli stessi lussi di quelli toscani. Essi si r i u n i v a n o i n t o r n o a G i u s e p p e Poerio, da p o c o r i e n t r a t o dall'esilio, e ai suoi figli. Nella loro casa convenivano Bozzelli, D'Ayala, De Augustinis che già avevano assaggiato la galera, e alcuni giovani, fra cui primeggiavano i fratelli B e r t r a n d o e Silvio Spaventa. Più che alla tolleranza di re F e r d i n a n d o , essi dovevano la loro relativa libertà di r i u n i o n e e discussione al suo disprezzo p e r i permanili, i pennaiòli, c o m e quell'incolto Sovrano chiamava gl'intellettuali. Per sorvegliarli, Del C a r r e t t o aveva dislocato fra loro delle spie, che p e r ò nello stendere i loro r a p p o r t i si trovavano in grave imbarazzo p e r c h é di quei dibattiti n o n capivano a s s o l u t a m e n t e nulla. Q u e s t o e r a il t r a t t o caratteristico dei movimenti di opinione liberale nel Sud, e va rilevato p e r c h é dette un t i m b r o particolare alla cultura m e r i d i o n a l e , o p e r meglio dire lo ribadì. Un po' p e r c h é sapevano della presenz a d i questi delatori, u n p o ' p e r c h é f o r m a v a n o u n g r u p p o chiuso e senza contatto col vasto pubblico reso retrivo e misoneista dall'analfabetismo, i liberali meridionali si rifugiavano in diatribe di p u r a dottrina, in cui e r a n o ferratissimi. Essi conoscevano molto meglio dei loro colleghi settentrionali le correnti del pensiero c o n t e m p o r a n e o , e specialmente quelle che d e r i v a v a n o dalla scuola tedesca dei Kant, Fichte e H e gel, di cui d u e dei loro, Cusani e Aiello, avevano tradotto le opere. Le spie n o n capivano nulla dei loro discorsi sull'idealismo e l'oggettivismo, che t r a d o t t i nel loro vocabolario di 109
sbirri diventavano pezzi di notevole comicità. Ma p u r t r o p p o n o n ne capiva nulla n e a n c h e il pubblico. E così, m e n t r e negli Stati del C e n t r o - N o r d la c u l t u r a riusciva, sia p u r e faticosam e n t e , a r o m p e r e le sue ancestrali p a r a t ì e e a diffondere il pensiero m o d e r a t o in strati s e m p r e più larghi - anche se n o n larghissimi - di p o p o l a z i o n e , nel S u d c o n t i n u a v a e anzi si rafforzava il nefasto i s o l a m e n t o dei pennaruli e la loro tend e n z a , t u t t o r a visibile, a c h i u d e r s i in circoli d'iniziati. Essi n o n esercitavano nessuna influenza sulla società e n e m m e n o su quella massa p o p o l a r e che il privilegio, la corruzione e l'inefficienza dell'amministrazione borbonica caricavano di potenziale rivoluzionario, ma che seguitava a manifestarlo alla vecchia maniera: con le cospirazioni, le rivolte e il brigantaggio, molto spesso strettamente mescolati. Q u a n d o e s p l o s e r o i g r a n d i e n t u s i a s m i p e r Pio IX, dei pennaruli F e r d i n a n d o si p r e o c c u p ò p o c o . P u r nella sua p o chezza intellettuale, egli aveva abbastanza fiuto p e r capire che n o n c'era nulla da t e m e r n e , e li lasciò alle loro discussioni su Gioberti, Balbo e D'Azeglio. B a d ò soltanto ch'esse restassero in circolo chiuso, e q u i n d i rese più vigile la sorveglianza sulla stampa clandestina. Ciò che gli p r e m e v a era di t e n e r e le masse al r i p a r o da un contagio che poteva trovare nel basso clero i suoi veicoli e nella miseria il suo concime. Rafforzò i posti di blocco sul confine degli Stati pontifici in m o d o da i m p e d i r n e il t r a n s i t o ad a g e n t i p r o v o c a t o r i e al materiale di p r o p a g a n d a , e proibì persino l'importazione di medaglie e gessi con l'effigie del Papa. Sebbene devotissimo alla Chiesa, e r a furioso c o n t r o di lui: «Stavamo così b e n e - diceva -, e q u e s t o p r e t a r e l l o ci ha guastato o g n i cosa». A chi gli consigliava di c o n c e d e r e qualche piccola riforma, fece r i s p o n d e r e sul giornale ufficiale che n o n aveva n e s s u n a voglia di «imitare i figurini politici di moda» con chiara allusione a Pio IX e a L e o p o l d o di Toscana. Ma i n t a n t o p r e s e d u e precauzioni: acquistò e fece distribuire notevoli quantitativi di g r a n o in m o d o da s t o r n a r e il pericolo di u n a carestia, e si riavvicinò all'Austria. 110
Un giorno c h ' e r a in gita a Palermo e l'attraversava in carrozza, si vide p i o v e r e sulle ginocchia un libello intitolato Protesta del popolo delle Due Sicilie. Alla lettura delle p r i m e pagine scosse la testa: le solite astratte dissertazioni dei pennaruli sulla libertà, la d e m o c r a z i a eccetera: r o b a che stava a c u o r e solo a chi ne scriveva. Ma poi si fece rosso di stizza: il pennarulo p r e n d e v a a bersaglio p r o p r i o lui, criticandone gli e r r o r i , r i f e r e n d o n e gli spropositi e d i c e n d o che li p r o n u n ciava «con voce chioccia». Fu quest'ultimo particolare a metterlo fuori di sé. O r d i n ò a Del C a r r e t t o di scovargli a tutt'i costi il responsabile, e lo zelante poliziotto riuscì a m e t t e r le m a n i sul libraio che spacciava il v o l u m e e sullo s t a m p a t o r e . Ma q u i la c a t e n a delle i n d a g i n i si spezzò p e r c h é chi aveva fatto da tramite con l'autore si mise in salvo, e questi rimase ignoto. L'autore e r a un professore che con la sua vita ritiratissim a e u n i c a m e n t e d e d i t a a l l ' i n s e g n a m e n t o n o n aveva m a i suscitato sospetti: Luigi Settembrini. A ispirargli la Protesta era stato un sopruso della polizia, di cui si era trovato testim o n e . Sul p i a n o del pensiero, n o n e r a o p e r a di g r a n livello. Ma a p p u n t o p e r questo e p e r c h é nella diagnosi del r e g i m e e nella d e n u n c i a delle sue malformazioni n o n rifuggiva dal particolare, d a l l ' a n e d d o t o e perfino dal pettegolezzo, aveva attratto il pubblico e vi suscitava largo interesse. Avidamente letto e vivacemente c o m m e n t a t o , il libello fece scuola. J a covelli ne scrisse un altro; ma, più i m p r u d e n t e o m e n o fortunato di Settembrini, fu p r e s o con le m a n i nel sacco e a r r e stato. La polizia aveva a p p e n a sequestrato le copie del suo o p u s c o l o c h e alla m a c c h i a si d i f f o n d e v a n o c e r t e Lettere di Malta e di Genova, requisitoria a n c o r a p i ù feroce c o n t r o lo Stato borbonico. I pennaruli che F e r d i n a n d o t a n t o disprezzava si m o s t r a vano m e n o i m p o t e n t i e i n n o c u i di q u a n t o egli c r e d e s s e . E r a n o s e m p r e p o c h i , m a e r a n o m e n o soli d i p r i m a . Molti giovani si p r e s e n t a v a n o alla p o r t a dei Poerio e dei D'Ayala per p a r t e c i p a r e ai dibattiti che vi si t e n e v a n o . Tutta Yintelli111
ghenzia di N a p o l i o r m a i vi faceva c a p o . A t e n e r s e n e in dis p a r t e e r a solo il suo p i ù grosso c a m p i o n e , F r a n c e s c o De Sanctis, ma n o n p e r motivi di dissenso. Solitario p e r t e m p e r a m e n t o , p r e f e r i v a i m m e r g e r s i nella l e t t u r a dei giornali francesi al «Caffè dei Giganti», l'unico che li ricevesse. Erano il p a n e quotidiano di questo studioso destinato a r a p p r e sentare forse il vertice p i ù alto della cultura risorgimentale e il g r a n d e maestro delle successive generazioni. Nel L o m b a r d o - V e n e t o l'entusiasmo p e r il P a p a si t r a d u s s e in scritte di Viva Pio IX! che spesso occupavano tutta la facciata delle chiese, p e r c h é p r o t a g o n i s t a di queste manifestazioni era soprattutto il basso clero. Esso dava al m o v i m e n t o un carattere assai diverso da quello delle altre regioni, cioè un carattere populista, come poi si sarebbe visto d u r a n t e le « C i n q u e g i o r n a t e » . B o r g h e s i a e c u l t u r a n o n vi r i m a s e r o estranee, ma vi p a r t e c i p a r o n o con m i n o r fervore che altrove, p e r diversi motivi. Anzitutto, le loro condizioni e r a n o m o l t o migliori. Specialmente a Milano i ceti m e d i si allargavano, conquistavano posizioni di p o t e r e , e i loro interessi e c o n o m i c i t r o v a v a n o n e l l ' I m p e r o asburgico un vasto spazio vitale. Libertà politiche n o n ne avevano, ma l'amministrazione era onesta ed efficiente, «bustarelle» n o n ne correvano, i servizi funzionavano, la Giustizia era severa ma rigorosa, la polizia occhiuta ma corretta. I n s o m m a m a n c a v a n o quelle provocazioni che in altri Stati acuivano il malcontento e lo r e n d e v a n o esplosivo. Poi, si e r a o r m a i estinta la g e n e r a z i o n e dei c o s p i r a t o r i che avevano a l i m e n t a t o i m o v i m e n t i del '21 e del ' 3 1 . Maroncelli e r a m o r t o pazzo in America. Pellico si era completam e n t e ritirato dalla sua milizia patriottica, anzi la r i n n e g a va. E p r o p r i o a l l ' i n d o m a n i dell'elezione di Pio IX moriva Federico Confalonieri che d o p o la liberazione dallo Spielberg e r a stato d e p o r t a t o in America, e solo nel '40 aveva potuto r i e n t r a r e a Milano, ma p e r viverci del tutto a p p a r t a t o . I superstiti invecchiavano esuli a Parigi senza p i ù contatti 112
con la patria. Il loro posto e r a o c c u p a t o da u n a n u o v a leva di giovani c h e n o n ne calcavano le o r m e , o le calcavano a m o d o loro. Vi facevano spicco Cesare C o r r e n t i , Carlo Tenca, A g o s t i n o B e r t a n i , L u c i a n o M a n a r a , Besana, Restelli, C a m p e r i o , e s o p r a t t u t t o Carlo Cattaneo, il più forte p e r ing e g n o e carattere, di cui d o v r e m o p i ù a l u n g o riparlare. N o n o s t a n t e il veto posto dalla censura, questi u o m i n i avevano letto Gioberti, Balbo, D'Azeglio, e ne discutevano. Ma, s e b b e n e anch'essi p r e v a l e n t e m e n t e m o d e r a t i , l o e r a n o p i ù da l o m b a r d i che da italiani. U n o di essi, Torelli, aveva stampato a L o s a n n a un libro c o n t r o il g o v e r n o austriaco in cui si leggevano passi di questo g e n e r e : «Sua Maestà l ' I m p e r a t o r e n o n fa mai nulla c h e in via di d e g n a z i o n e : ella si d e g n a di c o n d a n n a r e a m o r t e , o di o r d i n a r e u n ' i m p o s t a che dissang u a i suoi a m a t i s u d d i t i ; la C a m e r a Aulica, c h e s'intitola L'Eccelsa, n o n p o t e n d o s i c h i a m a r e Celeste a m o ' d e i cinesi, abbassa i suoi ossequiati dispacci all'imperial-regio Governo; il G o v e r n o abbassa i suoi ossequiati dispacci alle Delegazioni; le Delegazioni, finalmente, abbassano anch'esse le lor o riverite o r d i n a n z e a i Commissari». Più c h e u n a d e n u n cia, era u n a caricatura. E questa caricatura mirava n o n a fom e n t a r e u n a crociata antiaustriaca, ma a far sì che V i e n n a allentasse il suo rigido controllo sui p o t e r i locali c o n c e d e n d o loro m a g g i o r e a u t o n o m i a . C h e e r a poi q u a n t o chiedevano i d u e Podestà: quello di Milano, Casati; e quello di Venezia, C o r r e r . Essi n o n a v e v a n o a l t r a facoltà c h e quella di «sommessamente r a p p r e s e n t a r e i bisogni, i desideri, le p r e ghiere della popolazione» e in quel sommessamente c'era tutto lo stile asburgico. Ma qualcosa di sommesso c'era a n c h e nell'opposizione liberale, e n o n p e r m a n c a n z a di volontà e di coraggio, ma p e r diversità di o r i e n t a m e n t o ideologico. Gl'intellettuali l o m b a r d i avevano u n a forte i m p r o n t a laica, e quelli cattolici e r a n o f o r t e m e n t e p e r m e a t i di giansenismo. L'una cosa e l'altra li r e n d e v a n o p i u t t o s t o diffidenti verso il p r o g r a m m a neo-guelfo di u n a crociata di liberazione condotta da R o m a . Per di p i ù questo p r o g r a m m a recava, 113
grazie a Gioberti, Balbo e D'Azeglio, un'etichetta p i e m o n t e se e sottintendeva un P i e m o n t e in funzione di Stato-guida e di braccio secolare del Papa. Q u e s t ' i d e a n o n li s e d u c e v a affatto. A n c h e se u n a p a r t e dell'aristocrazia e della borghesia p i ù ricca avevano serbato b u o n i r a p p o r t i c o n T o r i n o e la sua C o r t e , le d e l u s i o n i d e l '21 avevano lasciato, nei confronti del P i e m o n t e , u n o strascico di diffidenza, che lo spirito municipale e regionale alimentava. Lo stesso Cattaneo, che poi sarebbe stato il p i ù risoluto a n i m a t o r e delle « C i n q u e G i o r n a t e » , p e n s a v a c h e la L o m b a r d i a dovesse «fare da sé e p e r sé» n o n con impossibili insurrezioni, ma s p i n g e n d o avanti, d ' a c c o r d o con le altre p o p o l a z i o n i d e l l ' I m p e r o , delle r i f o r m e c h e l o r e n d e s s e r o più m o d e r n o , più libero, più «europeo», u n a specie di commonwealth avanti lettera in cui ogni nazionalità avesse la sua p i e n a a u t o n o m i a , m a senza distruggerlo: i n s o m m a preferiva u n a libera L o m b a r d i a austriaca a u n a L o m b a r d i a «nazionalizzata» dall'Italia. Della stessa o p i n i o n e e r a stato Cesare C o r r e n t i che in un libro pubblicato alla macchia, ma c h e ebbe larga diffusione e suscitò m o l t o i n t e r e s s e , sosteneva c h e l'Austria e r a chiamata «a dare il p r i m o esempio di u n a vera fraternità ed u g u a g l i a n z a i n t e r n a z i o n a l e » . M a o r a riconosceva ch'essa aveva t r a d i t o questa sua missione sino a d i v e n t a r e «nemica p e r n a t u r a , n e m i c a p e r elezione, n e m i c a p e r necessità». E questo rovesciamento di p e n s i e r o e r a p r o p r i o il frutto dell'elezione di Pio IX. N e m m e n o il m o d e r a t i s m o l o m b a r d o p o t e v a resistere al c o n t a g i o di quegli e n t u s i a s m i . E se ci si fosse p r o v a t o , a v r e b b e p e r s o o g n i c o n t a t t o c o n l a g r a n d e o p i n i o n e pubblica che n'era o r m a i travolta. Alla Scala il pubblico balzava in piedi e a c c o m p a g n a v a a g r a n voce, fra sventolìo di fazzoletti e deliranti battimani, il c o r o del Nabucco di Verdi: «Va' p e n s i e r o sull'ali d o r a t e » ; e q u a n d o alla C a n n o b i a n a fu eseguito, p e r u n o spettacolo di beneficenza, l'inno a Pio IX, la folla ne chiese cinque volte il bis acclamando al Papa, all'amnistia, a R o m a capitale d'Italia / 114
in m o d o così p r o v o c a t o r i o p e r il Viceré, che questi a b b a n d o n ò la sala. Di lì a poco egli diede sua figlia in moglie al figlio di Carlo Alberto, Vittorio Emanuele. Il podestà Casati ne colse p r e testo p e r a n d a r e a Torino a recare il d o n o di nozze della città ai d u e sposi. Il Principe lo prese in disparte e a bassa voce gli parlò dell'Italia e del dovere di farne u n a nazione. E Casati, dice Cattaneo, t o r n ò a Milano tutto infervorato dei Savoia. Infatti a n c h e il P i e m o n t e si e r a mosso, ma nel senso o p p o sto a quello della L o m b a r d i a : e cioè, invece c h e dal basso, dal «vertice». La polizia e r a in g r a d o di controllare le manifestazioni popolari e la c e n s u r a d'imbrigliare la stampa. Tutto q u i n d i d i p e n d e v a d a l Re, le cui r e a z i o n i r e s t a v a n o imperscrutabili. Alla m o r t e di p a p a G r e g o r i o , il Ministro degli Esteri Solaro della Margarita, p u n t e l l o del legittimismo e della reazione, aveva profeticamente scritto: «Guai se p e r poco Carlo Alberto trova in un n u o v o Pontefice i n c o r a g g i a m e n t o alle sue idee». E v i d e n t e m e n t e Solaro, che lo conosceva meglio di c h i u n q u e altro, sapeva che Carlo Alberto «quelle idee» le aveva. E che infatti le avesse, lo d i m o s t r a u n a sua lettera a Pes di Villamarina: «Il P a p a è deciso ad a v a n z a r e sulla via del progresso e delle riforme: che sia b e n e d e t t o ! U n a guerra d ' i n d i p e n d e n z a nazionale che si unisse alla difesa del Papa, sarebbe p e r me la p i ù g r a n d e fortuna». Q u a n d o Solaro gli chiese il p e r m e s s o di a n d a r e a R o m a p e r v e d e r e di p e r s o n a cosa vi succedeva, C a r l o A l b e r t o esitò. Aveva p a u r a che il suo Ministro cercasse di scoraggiare le b u o n e intenzioni del Papa, e n o n sbagliava. Solaro vide il Segretario di Stato Gizzi, i Cardinali, lo stesso Pio IX, e tornò a Torino p e r riferire al Re che la rivoluzione n o n e r a i m m i n e n t e , ma «già fatta» e c h e , salvo un i n t e r v e n t o dell'Austria, stava p e r concludersi in catastrofe. Sperava di spaventare il Re, che invece accolse le sue p a r o l e con evidente compiacimento. C o m p r e s e di n o n g o d e r più la sua fiducia, 115
e avrebbe anche offerto le dimissioni se n o n avesse pensato che in un m o m e n t o come quello il suo d o v e r e era quello di r e s t a r e accanto al suo S o v r a n o «per t e n e r l'estremo l e m b o del suo manto». In u n a certa storiografia risorgimentale, Solaro passa p e r un reazionario austriacante, ottuso e carrierista. Ma il ritratto n o n c o r r i s p o n d e all'originale. Reazionario era, n o n soltanto c o m e nobile, ma a n c h e c o m e cattolico, e f e r m a m e n t e legato alla tradizione del t r o n o e dell'altare. Ma la qualifica di austriacante n o n gli conviene. Dell'Austria amava il regim e , ma ne aveva s e m p r e combattuto le interferenze. Zelante servitore dello Stato, ne aveva s e m p r e difeso la sovranità e i n d i p e n d e n z a a n c h e dall'Austria. N o n e r a m o l t o intellig e n t e . M a era u n g r a n g a l a n t u o m o , i n c a p a c e d i bassezze, che faceva il suo m e s t i e r e con s a c e r d o t a l e e disinteressato i m p e g n o . Se rimase al suo posto, fu p r o p r i o nella speranza d ' i m p e d i r e ciò c h e a lui s e m b r a v a il p e g g i o , e p e r q u a l c h e t e m p o ci riuscì. Ma la Storia n o n poteva fermarla. In quel frattempo si riunì a Genova u n o di quei Congressi degli Scienziati che r a p p r e s e n t a v a n o le g r a n d i assise della c u l t u r a italiana. C ' e r a n o tutti i suoi p i ù alti e s p o n e n t i , e d'improvviso si r i c o r d a r o n o che p r o p r i o quell'anno scadeva il centenario della famosa sassata di Balilla, che aveva scaten a t o la rivolta c o n t r o l'esercito austriaco. C o m e Metternich fece osservare, e r a n o stati i p i e m o n t e s i a c h i e d e r e agli austriaci, in quel m o m e n t o l o r o alleati, di r i m u o v e r e le artiglierie dai forti di G e n o v a : gesto c h e aveva suscitato l'ira della p o p o l a z i o n e c o n t r o gli u n i e gli altri. Ma la politica n o n tiene molto conto della verità storica e se l'aggiusta sec o n d o le p r o p r i e esigenze. I congressisti si r e c a r o n o sul luogo dell'insurrezione e la celebrarono con infiammati discorsi nei quali Balilla veniva definitivamente consacrato c o m e il p r o t o - c a m p i o n e d e l l ' i n d i p e n d e n z a nazionale, il David italiano trionfatore del Golia austriaco. La folla fece coro con g r i d a di Viva l'Italia! e Via l'Austria!, e la polizia n o n interv e n n e . Il ministro austriaco a T o r i n o finse di n o n sentire o 116
di n o n capire. Protestò invece Solaro, ma inutilmente, p r e s so il Re che, dice Bersezio, «sempre più pallido, l'occhio semispento, un freddo sorriso alle labbra, passava riviste tacit u r n e ai soldati taciturni, e pregava». I n a p p a r e n z a , n u l l a e r a m u t a t o . I l g o v e r n o n o n aveva subito rimpasti, la politica estera e r a s e m p r e nelle m a n i di Solaro, la c e n s u r a puntigliosa. Essa aveva a d d i r i t t u r a riform a t o il v o c a b o l a r i o b a n d e n d o n e c e r t e p a r o l e c o m e Italia, Nazione, Libertà ed e s i g e n d o che la rivoluzione venisse chiam a t a violenza. Alcuni giornali e riviste e r a n o nate, ma col divieto assoluto di trattare i temi politici, monopolio del foglio governativo, la Gazzetta piemontese. I n s o m m a era chiaro che il Re voleva sottrarsi a pressioni della pubblica opinione p e r riservare a se stesso completa libertà di decisione, e i liberali, che lo avevano capito, i m p e g n a v a n o le loro energie nello sforzo di catturarlo. Era u n a lotta di anticamera, nella quale il Re, dice Della Rocca, «dimagrava e ingialliva», ma n o n si p r o n u n c i a v a . Ai p r i m i del '47 perfino il fedelissimo Balbo, l'autore delle Speranze, le aveva p e r s e e diceva che Carlo Alberto «camminava s t u p e n d a m e n t e a m o d o dei gamberi»: alcuni dei nuovi giornali e r a n o stati soppressi, vietato l'inno a Pio IX, b a n d i t o il n o m e di Gioberti. A questo p u n t o D'Azeglio comprese ch'era inutile mettere assedio a Carlo Alberto che, incapace d'iniziative, poteva solo accodarsi a quelle altrui. E corse a Roma p e r provocarla. C'era u n a g r a n confusione. L e g r a n d i attese suscitate dal Papa e r a n o a n d a t e deluse, e lo scetticismo cominciava a serpeggiare. «Sei b u o n o , sei pio, ma-stai» dicevano di lui i pasquini g i u o c a n d o sul suo n o m e e a l l u d e n d o alle m a n c a t e riforme. Ma q u a n d o un p r e t e reazionario osò criticarlo dal pulpito, p e r poco i fedeli n o n lo linciarono. Il vero i n t e r p r e te del s e n t i m e n t o p o p o l a r e fu a n c o r a u n a volta C i c e r u a c chio, che sulla sua b a n d i e r a fece r i c a m a r e la scritta: Viva il Papa solo! p e r dire che il P a p a avrebbe voluto, ma n o n poteva, p e r c h é prigioniero dei prelati di Curia. 117
A c r e d e r l o n o n e r a n o soltanto i r o m a n i . Per r i v e r i r e il Capo della Cristianità, il Sultano di T u r c h i a m a n d ò un ambasciatore che girava p e r la città col ritratto del Papa appeso al collo e b a c i a n d o l o e p i a n g e n d o c i s o p r a . A un congresso di economisti a Bruxelles Pio IX v e n n e p r o c l a m a t o «il p i ù g r a n d e u o m o del secolo». E a un certo p u n t o si sparse perfino la voce che gli ebrei stavano p e r riconoscere in lui l'atteso Messia p e r c h é , ricevendo in Campidoglio da u n a loro delegazione il consueto tributo di carnevale, il Senatore n o n la costrinse a inginocchiarsi e a ricevere il simbolico calcio che da secoli - i n a u d i t a v e r g o g n a - ribadiva lo stato servile di quella m i n o r a n z a e la sua condizione di reietta. Le riforme seguitavano a n o n venire, o venivano col contagocce, centellinate dalla commissione istituita p e r studiarle e che semb r a v a invece i m p e g n a t a a sabotarle. Ma q u a n d o il P a p a si presentava in qualche chiesa p e r officiare come un semplice p r e t e , tutta R o m a vi accorreva a gridargli: «Coraggio, Santo P a d r e , coraggio e fiducia nel popolo.'», d o p o d i c h é lo riacc o m p a g n a v a n o al Quirinale t i r a n d o n e a braccia la carrozza. D'Azeglio, che conosceva già abbastanza b e n e R o m a e i suoi segreti d a l t e m p o dei Casi di Romagna, fece p r e s t o a orientarsi. Capì che il Papa si trovava in u n a situazione difficilissima, tra l ' i n c u d i n e d e l vecchio e l e m e n t o g r e g o r i a n o ostile a qualsiasi novità, e il martello di u n a pubblica opinione esasperata dall'immobilismo. Sui p r i m i n o n poteva nulla. Ma sugl'impazienti si diede a svolgere un'attiva o p e r a di persuasione p e r i m p e d i r e gesti avventati che rigettassero il P a p a tra le braccia dei r e a z i o n a r i . Il suo prestigio e r a tale che riuscì a far cessare la pubblicazione dei foglietti clandestini che col loro linguaggio massimalista ed eversivo fornivano ai g r e g o r i a n i b u o n i a r g o m e n t i p e r dire: «Ecco i frutti delle riforme e dell'amnistia!» C i n q u e g i o r n i d o p o il suo a r r i v o , fu ricevuto dal Papa, ebbe con lui un lungo colloquio e lo convinse che il miglior m o d o d i c o m b a t t e r e l a s t a m p a c l a n d e s t i n a e r a d i autorizzarla istituendo u n a censura più tollerante. Q u e s t a riforma 1 18
divise i liberali: l'ala più ragionevole, che faceva capo al Felsineo di Bologna diretto da Marco Minghetti, la salutò come un grosso passo avanti; quella radicale, che faceva c a p o al Contemporaneo diretto dal p r e t e Gazola, la trovò i n a d e g u a t a e ambigua. O l t r e che nei giornali, la polemica d i v a m p ò nei Circoli, nati un p o ' sul m o d e l l o dei clubs r i v o l u z i o n a r i francesi. Il p i ù a u t o r e v o l e e r a quello R o m a n o , il p i ù vivace quello Pop o l a r e di C i c e r u a c c h i o d o v e c o n v e n i v a il p i ù t u r b o l e n t o p r o l e t a r i a t o d e l l ' U r b e e dove D'Azeglio a n d ò spesso a p a r lare p e r c a l m a r n e gli u m o r i . Il torinese n o n si dava t r e g u a e n o n ne dava p e r a n i m a r e il m o v i m e n t o e s m u s s a r n e nello stesso t e m p o gli estremismi. C o r r i s p o n d e v a con Balbo a Torino, con Minghetti a Bologna, con Montanelli a Pisa, parlava col cardinale Gizzi e coi diplomatici stranieri, e nelle p a u se di q u e s t a frenetica attività c o m p o n e v a la Proposta di un programma per l'opinione nazionale italiana, che r a p p r e s e n t ò il vero manifesto del m o d e r a t i s m o . Secondo lui, l'Italia poteva e doveva r a g g i u n g e r e l ' i n d i p e n d e n z a n o n con la rivoluzione, ma con u n a serie di riforme che eliminassero le differ e n z e fra Stato e Stato e abolissero le d o g a n e che i n c e p p a vano i loro scambi. U n a volta che le leggi fossero diventate le stesse d a p p e r t u t t o , identico il sistema di pesi e misure, lib e r a la circolazione delle m e r c i , parificato l ' o r d i n a m e n t o scolastico, l'Italia avrebbe r a g g i u n t o l'unità, di cui l'indipend e n z a e r a un fatale corollario. Diceva ai Sovrani: «Se n o n volete che i vostri sudditi diventino liberali esaltati, dovete farvi voi stessi liberali moderati». E ai sudditi: «Se volete che i vostri Sovrani si m e t t a n o su questa strada, n o n spaventateli e collaborate lealmente con loro». Finito il suo lavoro, lo p o r t ò al Papa, che lo a p p r o v ò , o p e r lo m e n o n o n lo d i s a p p r o v ò , e questo rafforzò il prestigio sia dell'opera che del suo a u t o r e . Sembrava che Montanelli avesse visto giusto d i c e n d o che l'Italia era tutta m o d e rata. In favore di Pio IX e delle sue riforme p r e d i c a v a dai pulpiti d e l l ' U r b e perfino P a d r e Ventura, l'ex-Generale dei 119
Teatini, che aveva s e m p r e r a p p r e s e n t a t o l'incarnazione del rigorismo più ortodosso. Egli era stato tra i fautori dell'elezione di Mastai-Ferretti, e o r a con siciliana passionalità incitava i fedeli a insistere nella loro «amorosa agitazione» p e r il Papa. «Chiedete, chiedete!» li esortava, e Dio sa se ce n ' e r a bisogno. Il 17 g i u g n o , p r i m o anniversario di quel Pontificato, u n ' i m m e n s a folla agli o r d i n i di Ciceruacchio si r a d u n ò davanti al Quirinale sventolando b a n d i e r e su cui e r a scritto: «Codici, Ferrovie, Municipi, Deputati, Istruzione» e i n t o n a n d o a g r a n voce l'inno a Pio IX, diventato o r m a i La Marsigliese rom a n a . Il P a p a s'affacciò e i m p a r t ì la sua b e n e d i z i o n e . «È p r o p r i o il Papa di Gioberti» dissero i m o d e r a t i .
CAPITOLO DODICESIMO
LA LEGA ITALICA
Nell'estate (del '47), le cose a R o m a e r a n o arrivate a tal p u n to che il c a r d i n a l e Gizzi preferì ritirarsi dalla Segreteria di Stato. Colui c h ' e r a stato l'idolo dei liberali n o n se la sentiva di sottoscrivere l'istituzione di u n a G u a r d i a Civica, cioè di un esercito n a z i o n a l e , c h e il P a p a aveva concesso sotto la pressione della piazza. La misura e r a effettivamente rivoluzionaria. Lo Stato pontificio si era s e m p r e retto su un c o r p o p r e t o r i a n o s t r a n i e r o , s o p r a t t u t t o svizzero. Affiancargli u n a milizia i n d i g e n a significava a r m a r e il p o p o l o col rischio di r e s t a r n e prigionieri. A sostituire il dimissionario fu chiamato il cardinale Ferretti, g r a n p a r t i g i a n o del Papa e q u i n d i accetto alla pubblica o p i n i o n e . Il m o m e n t o era più che mai delicato. Roma, dove tutto era occasione di festeggiamenti, banchetti e luminarie, si a p p r e s t a v a a c e l e b r a r e l ' a n n i v e r s a r i o d e l l ' a m n i s t i a . Ma p r o p r i o la vigilia Ciceruacchio si precipitò di notte a svegliar e P a d r e V e n t u r a d i c e n d o g l i d i a v e r s a p u t o d a u n suo par e n t e che i r e a z i o n a r i , istigati dal c a r d i n a l L a m b r u s c h i n i e dal G o v e r n a t o r e della città, si a p p r e s t a v a n o ad uccidere lui e a r a p i r e il Papa. V e n t u r a corse a i n f o r m a r n e il Pontefice, poi r a g g i u n s e C i c e r u a c c h i o c h e stava o r g a n i z z a n d o i suoi p o p o l a n i p e r s v e n t a r e i l colpo. I l vociferante t r i b u n o n o n ebbe b i s o g n o di s c e n d e r e a vie di fatto p e r c h é n e s s u n o si mosse; ma passò u g u a l m e n t e p e r il salvatore di Roma: il che gli c o n s e n t ì di e s t o r c e r e al P a p a il r i c o n o s c i m e n t o della g u a r d i a p o p o l a r e c h ' e g l i aveva a r m a t o . Gizzi aveva visto chiaro: la piazza stava p r e n d e n d o la m a n o ai g o v e r n a n t i , e Ciceruacchio ne diventava l'arbitro. 121
Del c o m p l o t t o , n e s s u n o è mai riuscito ad a d d u r r e qualc h e p r o v a . Ma ciò n o n significa che la voce fosse del t u t t o infondata. L a m b r u s c h i n i e i suoi n o n p e n s a v a n o di certo a catturare e d e p o r t a r e il Papa; ma avevano in m e n t e di p r o vocare dei t u m u l t i c h e lo s p a v e n t a s s e r o e lo s p i n g e s s e r o a chiedere l'aiuto dell'Austria. Lo rivela un dispaccio dell'Ambasciatore inglese a Vienna, s e c o n d o cui M e t t e r n i c h aspettava da R o m a l'invito a intervenire. L'invito n o n v e n n e p e r ché e v i d e n t e m e n t e la fazione g r e g o r i a n a n o n riuscì a prevalere, m a M e t t e r n i c h m a n d ò u g u a l m e n t e u n r i n f o r z o d i t r u p p e a F e r r a r a , dov'esse a v e v a n o s e m p r e m a n t e n u t o u n piccolo p r e s i d i o , s e b b e n e la città facesse p a r t e degli Stati pontifici. Il gesto d i m o s t r a v a c h e il C a n c e l l i e r e n o n aveva p i ù il fiuto di u n a volta. Esso consentiva al p a t r i o t t i s m o italiano di s c e n d e r e in piazza in n o m e di u n a Causa - la difesa della Chiesa e del Papa - che n e s s u n g o v e r n o poteva avversare, e di rivelare a p e r t a m e n t e il suo vero volto antiaustriaco. Salvo che nel L o m b a r d o - V e n e t o , fu un susseguirsi di m a n i festazioni p o p o l a r i c h e t r o v a v a n o eco a n c h e a l l ' e s t e r o . A d a r voce al s e n t i m e n t o nazionale, fu a n c o r a u n a volta D'Azeglio con d u e opuscoli di g r a n d e successo: Sulla protesta pel caso di Ferrara e Difesa dello Stato pontificio. «Questo fatto m u ta tutto in Italia» scriveva a Balbo. E, r i p u d i a n d o le sue vecchie tesi aggiungeva c h ' e r a t e m p o n o n più di m o d e r a z i o n e , ma di « m e n a r le m a n i » p e r c h é «solo la forza si r i s p e t t a , il resto lo si a m m i r a soltanto». O r a che, c o m e trincee, il liberalismo italiano poteva d i s p o r r e delle p a r r o c c h i e , si sentiva fortissimo. A questo fatale e r r o r e , M e t t e r n i c h e r a stato i n d o t t o dal tacito assenso della Francia, u n i c a P o t e n z a che fin allora aveva c o n t r a s t a t o , a n c h e se p i ù a p a r o l e c h e a fatti, la sua politica e g e m o n i c a in Italia. In p i e n a crisi d'involuzione, il g o v e r n o di Luigi Filippo gli aveva d a t o m a n o libera. Ma l'errore del Cancelliere fu di c r e d e r e nella stabilità di Luigi Filippo. Il caso di F e r r a r a fu poi risolto con un c o m p r o m e s 122
so c h e lasciò la città a m e z z a d r i a fra t r u p p e a u s t r i a c h e e t r u p p e pontificie. M a i l g u a s t o o r m a i e r a fatto, e d e r a u n guasto grosso. Per sfuggire a ogni sospetto di d o p p i o giuoco con Vienna, il P a p a aveva d o v u t o a s s u m e r e nei suoi c o n f r o n t i u n a p o s i z i o n e m o l t o r i g i d a e a c c e l e r a r e la costituzione della G u a r d i a Civica. I m m e d i a t a m e n t e la chiesero a n c h e i toscani c h e - diceva M o n t a n e l l i -, «avuti i g i o r n a l i , v o l e v a n o gli schioppi», e il G r a n d u c a dovette concedergliela. Aspre polem i c h e d i v a m p a r o n o sulla scelta della b a n d i e r a . Il g o v e r n o la voleva coi colori bianco e rosso della Toscana, ma i patrioti r e c l a m a v a n o a n c h e il v e r d e . M o n t a n e l l i escogitò l'ingegnosa soluzione di aggiungervi a n c h e il giallo, c h ' e r a il colore del Papa, e la p r o p o s t a fu approvata. C o n la consueta bonomia, il G r a n d u c a accettava tutto. Accettò a n c h e un n u o v o g o v e r n o , guidato dai m o d e r a t i Ridolfi e Serristori. Un solo veto pose: quello alla n o m i n a di Salvagnoli minacciando, se gliel'avessero imposto, di abdicare. Il contagio si p r o p a g ò a Lucca, t u t t o r a P r i n c i p a t o indip e n d e n t e , ma solo a titolo t e m p o r a n e o . C o m e il lettore ric o r d e r à , i trattati di V i e n n a lo avevano assegnato ai Borbone, in attesa che Maria Luigia, la vedova di N a p o l e o n e , lasciasse vacante quello di Parma. Q u e l g i o r n o essi vi si sarebb e r o trasferiti, c e d e n d o Lucca a L e o p o l d o . Il d u c a Ludovico n o n aveva q u i n d i molto interesse a intestardirsi sulle sue p r e r o g a t i v e di Sovrano assoluto. Ma era un u o m o di carattere imprevedibile e impulsivo che da giovane si era perfino convertito alla religione l u t e r a n a p e r far d i s p e t t o alla m a d r e bigotta. Di fronte al t u m u l t u a r e della piazza che, infoltita da colonne di pisani e livornesi, chiedeva la G u a r d i a Civica e un g o v e r n o liberale, d a p p r i m a resiste d i c e n d o c h ' e r a suo i m p e g n o d ' o n o r e trasmettere al G r a n d u c a gli stessi poteri ch'egli aveva esercitato. Ma la piazza gli rispose c o p r e n dosi di tricolori. Montanelli dice che il p r i m o a sventolarlo fu p r o p r i o il figlio del Duca, «forse p e r birbonata, forse p e r dispetto a Pio IX, forse p e r p a u r a , forse p e r m a t t a n a sem123
p l i c e m e n t e » , d i c e n d o : «Se l o r o f a n n o i liberali, io faccio il giacobino»; m a l e t e s t i m o n i a n z e n o n c o n c o r d a n o . I l D u c a redasse un atto di abdicazione, lo lesse ai delegati del p o p o lo, su loro richiesta lo stracciò, concesse la G u a r d i a Civica, e m a n d ò di nascosto uh ambasciatore a trattare con L e o p o l d o il trasferimento del Ducato. A M o d e n a , il t r u c e Francesco IV e r a m o r t o , ma il s u o successore Francesco V ne ricalcava le o r m e . «Il Pontefice è un rompicollo e il G r a n d u c a di Toscana un imbecille» diceva, e aveva appesantito le m i s u r e di polizia specie alla frontiera p e r i m p e d i r n e il varco agli agitatori e alla s t a m p a patriottica. Gli unici che g o d e v a n o libero transito e r a n o i reazionari g r e g o r i a n i di Emilia e R o m a g n a , messi in fuga dal g r a n d e m o t o patriottico. Metternich u n a volta aveva detto: «Inutile c h i u d e r e la p o r t a alle idee: la scavalcano». Il Duca si ostinava a t e n e r l a chiusa, ma le i d e e circolavano u g u a l m e n t e e si manifestavano in un linguaggio contro cui la p o lizia e r a i m p o t e n t e . Proibiti gli a s s e m b r a m e n t i , i patrioti se li facevano nelle chiese s e g u e n d o n e le funzioni con rigoroso zelo e si riconoscevano tra loro dall'effigie di Pio IX che portavano al collo: mai si era visto in quelle t e r r e tanto fervore religioso. Ma n a t u r a l m e n t e di G u a r d i a Civica e di riforme liberali n o n si poteva parlare, c o m e n o n se ne parlava a Parma, dove Maria Luigia aveva d a t o un giro di vite al suo tollerante r e g i m e . I d u e Ducati e r a n o t r o p p o legati all'Austria e t r o p po sottoposti alla sua diretta pressione p e r potersi i n t o n a r e agli e n t u s i a s m i patriottici d e l m o m e n t o . E r a n o la «zona morta» dell'Italia. Ma d o v u n q u e altrove la febbre cresceva. A n c h e in Piemonte. E r a q u i infatti c h e l ' e r r o r e di M e t t e r n i c h si rivelava in tutta la sua gravità. Esso provocò la crisi di Solaro della Margarita p o n e n d o l o in grave disagio n o n soltanto di fronte al Re, ma a n c h e di fronte a se stesso. Il suo r i g o r e di cattolico o r t o d o s s o lo c o s t r i n g e v a , nella d i a t r i b a fra il P a p a e l'Austria, a schierarsi col Papa e q u i n d i a secondare gli atteggia124
m e n t i antiaustriaci di Carlo Alberto. Questi gli fece scrivere i m m e d i a t a m e n t e a R o m a che, vista la defezione della Francia, egli si c o n s i d e r a v a «il solo alleato d e l S a n t o P a d r e » , il quale poteva i n c o n d i z i o n a t a m e n t e c o n t a r e su di lui. Solaro a v r e b b e voluto che il messaggio restasse segreto, ma q u a l c u n o - forse lo stesso Re - si affrettò a divulgarlo, i g i o r n a l i di t u t t T t a l i a ne p a r l a r o n o r i c a m a n d o c i s o p r a ; e M e t t e r n i c h , p e r r i p a r a r e l o sbaglio, n e c o m m i s e u n a l t r o : fece c o n s e g n a r e a Carlo Alberto la copia di u n a lettera spedita mesi p r i m a al g r a n d u c a L e o p o l d o p e r metterlo in guardia dai pericoli della rivoluzione. N o n e r a n o minacce; erano solo consigli. Ma Carlo Alberto li p r e s e c o m e un'illecita i n t e r f e r e n z a negli affari i n t e r n i del suo Stato, c o m e tale la d e n u n z i ò , e siccome Solaro gli consigliava p r u d e n z a , lo rimbeccò con u n a lettera quasi insultante. E r a chiaro che, n o n o s a n d o licenziarlo, voleva s p i n g e r e il suo Ministro alle dimissioni. Solaro a n c o r a u n a volta resistette nella solita speranza di «trattenerlo p e r un l e m b o del suo manto». Ma l'impresa e r a o r m a i disperata. Il P a p a n o n faceva che m a n d a r e benedizioni a Carlo Alberto, aveva accettato di t e n e r e a battesimo il figlio di suo figlio (il futuro U m b e r t o I). E con lui, Carlo Alberto credeva, nella sua bigotteria, di avere in tasca lo Spirito Santo. P r o p r i o in q u e i g i o r n i si r i u n i v a a Casale M o n f e r r a t o il congresso dell'Associazione A g r a r i a , che r a p p r e s e n t a v a la più g r a n d e assise del m o n d o economico piemontese. N o n si era mai occupata di politica. Ma stavolta, fiutando il vento, alcuni congressisti stilarono u n a petizione al Sovrano in cui si chiedevano a n c h e p e r il P i e m o n t e le riforme concesse dal Papa e dal G r a n d u c a , c o m p r e s a la G u a r d i a Civica, e si died e r o a raccogliere le firme. Q u a n d o lo s e p p e , il p r e s i d e n t e Collobiano - un nobile della vecchia g u a r d i a conservatrice se ne i n d i g n ò e d e n u n z i ò al Re i responsabili c h i e d e n d o n e un severo castigo. Ma a n c h e i responsabili, p e r la m a n o di Castagnetto, scrissero al Re d e n u n z i a n d o il s o p r u s o di Collobiano. Il Re rispose a Collobiano che i sottoscrittori della 125
petizione meritavano la galera. Ma q u a n d o il Presidente iniziò in t o n o trionfante la l e t t u r a del messaggio, Castagnetto lo i n t e r r u p p e s b a n d i e r a n d o quello che aveva ricevuto lui e che diceva (in francese): «Volendo scrivervi a l u n g o , n o n p o trei c h e r i p e t e r v i q u a n t o già vi dissi a Racconigi sui sentim e n t i che mi a n i m a n o al p r e s e n t e e p e r l'avvenire. Aggiungete soltanto che se un g i o r n o Dio ci facesse la grazia di p o ter i n t r a p r e n d e r e u n a g u e r r a d ' i n d i p e n d e n z a , sarò io e io solo a p r e n d e r e il c o m a n d o dell'esercito». C o n g r a n confusione del p o v e r o Collobiano, l'entusiasmo suscitato da q u e ste p a r o l e fu tale che n e s s u n o si accorse che delle invocate r i f o r m e n o n si faceva n e m m e n o p a r o l a . Ma in r e a l t à esse passavano del tutto in s e c o n d o p i a n o rispetto a quel solenne i m p e g n o di crociata nazionale in cui riecheggiava tutto l'animo di quel Re: la sua avversione all'Austria, l'ambizione g u e r r i e r a e la mistica fede nella p r o p r i a missione. Il messaggio corse il P i e m o n t e e tutta l'Italia suscitando d o v u n q u e manifestazioni di gioia e di speranza, ma n o n ebb e seguito. C o m e s e m p r e gli capitava, C a r l o Alberto e b b e p a u r a del p r o p r i o c o r a g g i o , si affrettò a far s a p e r e c h e le sue parole e r a n o state fraintese, fece d i s p e r d e r e con la forza u n a pubblica dimostrazione di o m a g g i o al Papa. E q u a n d o , in visita ad Asti, la popolazione lo accolse al grido: «Viva l'indipendenza italiana!», svenne. La d e l u s i o n e fu g r a n d e e si sfogò in u n a gustosa satira c o m p o s t a da un m e d i c o tortonese, C a r b o n e , e intitolata Re Tentenna: «Dondola, ciondola - C h e cosa a m e n a - Dondola, ciondola - È l'altalena - Un p o ' più celere - Meno... di più... - Ciondola, d o n d o l a - E su e giù», che m a n d ò il Re fuori dei g a n g h e r i . Ma le conseguenze n o n si limitarono alle pasquinate. D'Azeglio, p u r con tutta la sua devozione di nobile piem o n t e s e a Casa Savoia, in u n a lettera a Minghetti lo esortava «a finirla con gl'inni di l o d e che, c o m i n c i a n d o da quelli di Gioberti, avevano fatto c r e d e r e a Carlo Alberto che n o n poteva far meglio». Bisognava al c o n t r a r i o fargli capire, diceva, che l'Italia del '47 n o n era quella del ' 2 1 , che aveva bi126
s o g n o di lui. E r a lui, o r a , c h e aveva b i s o g n o dell'Italia: o p r e n d e r l a , o p e r d e r l a insieme al Piemonte. P r o p r i o di quei giorni, m e n t r e Pio IX passava in mezzo alla solita folla p l a u d e n t e , un p o p o l a n o lanciò d e n t r o la sua carrozza u n a lettera. Il Papa l'aprì e corse con gli occhi alla firma: Mazzini. Anche lui, il g r a n d e nemico della Chiesa e del p o t e r e t e m p o r a l e , e r a ai suoi piedi e gli r e n d e v a o m a g g i o . Q u a n d o lo si riseppe - e lo si riseppe subito -, tutti ne rimasero sconcertati, e n o n senza qualche motivo. Dal suo rifugio di L o n d r a , l'Esule aveva seguito gli avven i m e n t i italiani con un misto di scetticismo, di rabbia e di disgusto. A chi gli magnificava Pio IX, rispondeva: «Il Papa n o n p u ò , a n c h e v o l e n d o , fare il b e n e ai suoi Stati, e m o l t o m e n o all'Italia. Per un mese o d u e , d a r à quella che qui chiam a n o la l u n a di miele; poi ricadrà dove c a d d e r o i suoi p r e decessori». Q u a n d o gli r i f e r i r o n o la voce diffusa a T o r i n o che C a r l o Alberto lo aveva r i c h i a m a t o p e r far di lui il p r o p r i o consigliere, scrisse alla m a d r e : «Tra il Papa e Carlo Alberto, gl'italiani d e n t r o e fuori impazziscono. Carlo Alberto a m o m e n t i c a p i t a n e r à la crociata p e r ricacciare l'Austria oltre i m o n t i , e il Pontefice la b e n e d i r à : l e g h e r e m o i cani con le salsicce». Questo era il suo pensiero, lo aveva ribadito anche a Montanelli, e sembrava incrollabile. Ma n o n tutti ne apprezzavano la coerenza. Anzi i più a n d a v a n o dicendo, con Farini, ch'egli era « p r o n t o ad appiccare il fuoco al t e m p i o dell'Italia se l'aitar maggiore n o n veniva consacrato a lui». Ma a fargli cambiare atteggiamento, forse, più che queste critiche, fu il calcolo politico. Aveva scritto a G i a n n o n e : «Spento il sogno, parler e m o noi». Ma p e r p a r l a r e , bisognava restare nel giuoco. E per restarci, bisognava m a n t e n e r e il contatto con la pubblica opinione partecipando, o fingendo di partecipare ai suoi entusiasmi, anche se fallaci. Fatto sta che q u a n d o Gioberti a n d ò a parlargli dell'opportunità di n o n t u r b a r e il m o t o patriottico con m a n o v r e estremiste, se ne m o s t r ò persuaso, e decise di 127
scrivere al P a p a c o m e nel '31 aveva scritto a Carlo Alberto. N o n era u n a lettera servile, e n o n conteneva ritrattazioni. Era l'atto d'omaggio d ' u n laico che si confermava tale, e p o n e v a anzi delle condizioni. Diceva ch'era p r o n t o ad arruolarsi sotto la b a n d i e r a della Chiesa, ma solo se questa fosse stata la b a n d i e r a dell'indipendenza nazionale. E u n a volta che il Papa l'avesse benedetta, aggiungeva, «lasciate il resto a noi. Noi vi faremo sorgere intorno u n a nazione, al cui sviluppo libero, popolare, Voi, vivendo, presiederete. Noi f o n d e r e m o un governo unico in Europa, che distruggerà l'assurdo divorzio fra il potere spirituale e il temporale, e nel quale Voi sarete scelto a r a p p r e s e n t a r e il principio di cui gli uomini scelti a r a p p r e sentare la Nazione faranno le applicazioni. Noi vi troveremo amici nelle file stesse dell'Austria; noi soli, perché noi soli abb i a m o u n i t à di d i s e g n o , e c r e d i a m o nella verità del n o s t r o principio, e n o n l'abbiamo tradito mai». I n s o m m a , n o n era t a n t o Mazzini che si a r r u o l a v a sotto la b a n d i e r a del Papa, quanto il Papa che doveva arruolarsi sotto quella di Mazzini e diventare il cappellano del suo esercito rivoluzionario: cosa che allo stesso Mazzini doveva apparire assai improbabile. Ed è questo a farci sospettare ch'egli obbedisse soltanto a convenienze tattiche. Voleva inserirsi nel dialogo p e r r i p r e n d e r n e , d o p o il sogno, il filo. N o n c o n o s c i a m o le r e a z i o n i del P a p a a q u e s t o messaggio. P r o b a b i l m e n t e lo p r e s e soltanto p e r u n ' e n n e s i m a clam o r o s a conferma della p r o p r i a popolarità, cui e r a sensibilissimo. Ma q u a n t o p o c o fosse r i m a s t o colpito da quelle esortazioni, lo dimostrò a Montanelli, cui subito d o p o diede udienza. Montanelli trovò un u o m o assai diverso da quello che s'era i m m a g i n a t o e che tutti i m m a g i n a v a n o : «Un misto di b o n a r i e t à e di malizietta, di grazia e d'ironia, un p r e t e di b u o n e i n t e n z i o n i , sbalzato i n u n m o n d o n e l q u a l e n o n s i raccapezzava, solo c o n t e n t o di essere amato». E gli cascaron o l e braccia. M a n o n n e fece p a r o l a c o n n e s s u n o p e r c h é - scrisse poi nelle Memorie -, «tutto sarebbe stato p e r d u t o se si fosse d o v u t o r i n u n z i a r e al grido di Viva Pio IX!» 128
In quel m o m e n t o , del resto, n o n ce n ' e r a motivo p e r c h é le riforme, b e n e o male, a n d a v a n o avanti e ad esse si accomp a g n a v a un'iniziativa d i p l o m a t i c a di grosse d i m e n s i o n i . A lanciarla era stato p r o b a b i l m e n t e m o n s i g n o r Corboli-Bussi, il consigliere del Papa più influente e politicamente più accorto, che ne p r e s e p e r s o n a l m e n t e l'appalto. Si trattava di costituire u n a Lega fra gli Stati italiani, sul tipo dello Zollverein con cui la Prussia stava unificando la G e r m a n i a . Ne sar e b b e stato escluso il L o m b a r d o - V e n e t o p e r c h é queste erano province austriache. Ma l'Austria stessa si sarebbe accorta c h ' e r a impossibile tenerle isolate dal resto della penisola, e ciò l'avrebbe i n d o t t a a costituirvi u n a sovranità i n d i p e n d e n t e che a v r e b b e consentito l o r o l'ingresso nella L e g a . Il p r o g r a m m a , i n s o m m a , di Gioberti. Il p r i m o a cui Corboli-Bussi a n d ò a illustrare il suo p r o getto fu il G r a n d u c a di Toscana, che lo accolse con entusiasmo, e anzi s'impegnò a n c h e p e r Lucca, che stava p e r entrare a far p a r t e del suo Principato. D o p o d i c h é il M o n s i g n o r e p r o s e g u ì alla volta di Torino. I n f o r m a t o del suo arrivo, ma n o n delle sue p r o p o s t e , Carlo Alberto lo attendeva con impazienza, ma n o n riuscì a n a s c o n d e r e la sua delusione. Tutt o r a attaccato al suo r o m a n t i c o s o g n o di crociata c o n t r o l'Austria in n o m e della Chiesa, si a s p e t t a v a che il P a p a a questo lo invitasse n o m i n a n d o l o c a m p i o n e della sua Causa. E invece tutto si riduceva a u n a m e s c h i n a «combinazione» diplomatica di cui, oltre al resto, n o n vedeva n e m m e n o la convenienza. S o l i d a m e n t e i m p i a n t a t a su basi a u t a r c h i c h e , l'industria p i e m o n t e s e n o n aveva nessun interesse alla sopp r e s s i o n e delle d o g a n e . M a q u e s t o e r a forse soltanto u n pretesto. La vera opposizione di Carlo Alberto - e l'accorto M o n s i g n o r e lo capì subito - e r a al c o n t e n u t o politico della Lega che implicitamente avrebbe r a p p r e s e n t a t o u n a g a r a n zia d'integrità territoriale p e r tutti gli Stati che vi avessero partecipato. Ed era p r o p r i o questo che n o n voleva Carlo Alberto fermo, da b u o n Savoia, nel suo convincimento che l'Italia n o n fosse che lo «spazio vitale» del P i e m o n t e , e che il 129
P i e m o n t e n o n dovesse «farla», m a «conquistarla». I n v a n o Corboli-Bussi cercò d'illustrargli il significato «conservatore» del suo disegno che avrebbe consentito agli Stati italiani di aiutarsi fra loro nella difesa dei p r o p r i regimi assolutistici senza bisogno di r i c o r r e r e all'Austria c o m ' e r a avvenuto nel '21 e nel ' 3 1 . Questa prospettiva piaceva molto a Solaro che la caldeggiò con fervore. Ma il Re vi rimase indifferente. S e n o n c h é a n c h e lui dovette accorgersi che ora bisognava fare i conti con un interlocutore di cui egli aveva s e m p r e disconosciuto la validità: la pubblica o p i n i o n e . Le trattative a v r e b b e r o d o v u t o r e s t a r e segretissime. E invece q u a l c u n o - forse lo stesso Corboli-Bussi - ne informò la stampa che a sua volta ne informò tutti. I m m e d i a t a m e n t e le piazze di Roma e di Firenze si g r e m i r o n o di folle acclamanti alla Lega, e il contraccolpo fu i m m e d i a t o in Liguria e Piemonte. Le misure di polizia adottate contro i dimostranti servirono solo a esacerbarli. A t e a t r o l ' i n n o c o m p o s t o p e r il genetliaco del Re che assisteva allo spettacolo, fu accolto da un gelido silenzio. Molti fra gli stessi cortigiani p i ù ligi alla dinastia e al r e g i m e c o m p r e s e r o che il rifiuto della Lega avrebbe estromesso il Piemonte dal g r a n d e m o v i m e n t o p e r l'unità nazionale, e Carlo Alberto dovette a r r e n d e r s i alla necessità di addolcire la sua p o s i z i o n e . Ma lo fece al suo solito a m b i g u o modo. Ai primi di ottobre estromise dal g o v e r n o Solaro e Pes di Villamarina. Era c o m e d a r e un colpo al cerchio e u n o alla botte p e r c h é se Solaro e r a considerato il puntello dell'assolutismo e dell'isolazionismo, Villamarina passava invece p e r u o m o di idee progressiste e liberali; e i loro sostituti e r a n o figure di scarso rilievo. Ma subito d o p o v e n n e r o a n n u n c i a t e u n a serie di riforme legislative, amministrative, giudiziarie e di polizia che r a p p r e s e n t a v a n o un notevole passo avanti in senso liberale, e c h e r i a n i m a r o n o di colpo e n t u s i a s m i e speranze. D o p o d i c h é furono ripresi i colloqui con CorboliBussi. R e n d e n d o s i conto che Carlo Alberto, più che a conclude-
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re, mirava a s t o r n a r e dalla sua testa la responsabilità del fallimento, l'astuto M o n s i g n o r e suggerì al cardinale Ferretti di d a r e la m a g g i o r e pubblicità ai colloqui in m o d o che tutti capissero da che p a r t e v e n i v a n o gli ostacoli. E infatti tutti lo c a p i r o n o , q u a n d o s e p p e r o c h e fra le c o n d i z i o n i p o s t e dal Re c'era a n c h e che Toscana e Stati pontifici rialzassero i loro dazi p e r a d e g u a r s i al r e g i m e protezionistico del P i e m o n t e : ch'era p r o p r i o il c o n t r a r i o di ciò che la Lega si p r o p o n e v a . La p r e t e s a suscitò tale i n d i g n a z i o n e , specie a Firenze, che Carlo Alberto dovette far macchina indietro. Ai p r i m i di n o v e m b r e l'accordo fu firmato. La Lega Italica cui d a v a avvìo e r a z o p p a p e r c h é c o m p r e n d e v a solo t r e Stati, e senza c o n t i n u i t à territoriale p e r c h é fra P i e m o n t e e Toscana s'interpolava il Ducato di M o d e n a , f e r m a m e n t e ancorato all'Austria e q u i n d i avverso a o g n i forma d ' i n t e g r a zione n a z i o n a l e . Ma il p a t t o diceva e s p l i c i t a m e n t e che, ad eccezione del Lombardo-Veneto, p o t e v a n o aderirvi tutti gli altri potentati, i quali così dovevano assumersi la responsabilità della scelta davanti ai loro sudditi infervorati p e r quella specie di MEC nazionale. A T o r i n o u n a folla e s u l t a n t e s ' i n c o l o n n ò verso Palazzo Reale. Sobillata dai cortigiani più retrivi che in ogni manifestazione di piazza vedevano un fatto rivoluzionario, la Regina si gettò ai piedi del Re supplicandolo di far s b a r r a r e porte e finestre e di mobilitare la t r u p p a . Invece, s e b b e n e anche lui spaurito, Carlo Alberto m o n t ò a cavallo e si fece incontro alla m a r e g g i a t a dei d i m o s t r a n t i . Fu accolto da u n a pioggia di fiori in un coro di evviva. Un piccolo e p i s o d i o s o p r a v v e n n e tuttavia a d i m o s t r a r e quanta retorica ci fosse in questi entusiasmi unitari e q u a n t o gl'italiani fossero invece attaccati al loro g r e t t o municipalismo. Prima a n c o r a che Maria Luigia morisse e gli lasciasse il suo posto a P a r m a , ma forse s a p e n d o che ciò stava p e r avvenire, Ludovico di B o r b o n e aveva c o n c o r d a t o con L e o p o l d o !l passaggio di Lucca al G r a n d u c a t o . Il p a t t o e r a s e g r e t o . 131
D o p o averlo stipulato, L u d o v i c o n e m m e n o t o r n ò a inform a r e i suoi s u d d i t i c h e , colti alla sprovvista dagli avvenimenti, ne furono indignati. I più pacati dicevano: «Ci h a n no v e n d u t o c o m e maiali», i più agitati volevano c h i a m a r e il p o p o l o alle a r m i c o n t r o «il s o p r u s o s t r a n i e r o » . S e m b r a v a che la Toscana fosse l'Austria. L'aristocrazia chiuse i p o r t o n i dei suoi palazzi e mise il lutto. Ma p e g g i o successe in L u n i g i a n a d o v e , s e c o n d o gli acc o r d i internazionali, con l'annessione di Lucca al G r a n d u cato, alcuni c o m u n i avrebbero d o v u t o passare a M o d e n a ed altri a Parma. Le c a m p a n e s u o n a r o n o a stormo, i contadini accorsero con schioppi e forconi, e i p o n t r e m o l e s i proclam a r o n o che a v r e b b e r o seguito l'esempio dei moscoviti a p piccando il fuoco alla loro città. Per c a l m a r e gli a n i m i , L e o p o l d o c e r c ò d i s p e r a t a m e n t e un accordo col Duca di M o d e n a , Francesco V, che ricalcava con m i n o r scaltrezza la politica retriva e oppressiva di suo p a d r e . Ma senza risultato. Si rivolse allora p e r u n a mediazione al Papa e a Carlo Alberto, suoi consoci di Lega. Il Pap a m o s t r ò b u o n e intenzioni. M a q u a n d o l'Austria, che sosteneva Francesco, gli fece c a p i r e c h e un s u o i n t e r v e n t o avrebbe inficiato le pretese che la Chiesa tuttora vantava su certe t e r r e p a r m e n s i , declinò l'invito. E altrettanto fece Carlo Alberto, tuttora in stato di soggezione nei confronti della dinastia di M o d e n a che aveva insidiato il suo t r o n o . Insomma la collaborazione dei tre Sovrani che si e r a n o impegnati a o p e r a r e p e r l'unità d'Italia, restava sulla carta. Nei fatti, ciascuno di essi seguitava a p e r s e g u i r e il p r o p r i o particolare interesse, e i loro sudditi n o n e r a n o da m e n o . La diatriba fu poi risolta con u n o dei soliti compromessi da un a c c o r d o d i r e t t o fra le p a r t i in causa. Ma la L e g a ne uscì m a l e . E c o n essa ricevette un colpo il p r o g r a m m a di Gioberti e dei m o d e r a t i neo-guelfi di u n a C o n f e d e r a z i o n e italiana sotto la g u i d a del Papa, che in realtà e r a u n a sfida alla logica e soprattutto alla Storia. Ma che ancora p e r qualche mese avrebbe c o n t i n u a t o a servire la Causa nazionale.
CAPITOLO TREDICESIMO
LA S C I N T I L L A
Allo scadere di q u e l l ' a n n o '47, la carta politica italiana subì un ritocco grazie alla m o r t e di Maria Luigia, la v e d o v a di N a p o l e o n e . Si disse c h ' e r a stata avvelenata, ma la voce e r a priva di qualsiasi f o n d a m e n t o . La Duchessa e r a malata da t e m p o , l e sue c o n d i z i o n i s i e r a n o a g g r a v a t e d u r a n t e u n viaggio a Vienna, e q u a n d o r i e n t r ò era «tanto sfinita di forze e sofferente che sembrava u n ' o m b r a » . Aveva detto: «Spero che i p a r m i g i a n i n o n mi d i m e n t i c h e r a n n o » , e fu esaudita: a P a r m a c'è chi la r i m p i a n g e tuttora. N o n e r a stata u n a Sovrana della statura di sua n o n n a Maria Teresa. Ma siccome sapeva a n c h e lei di n o n esserlo, aveva lasciato g o v e r n a r e i suoi favoriti, limitandosi a sceglierli b e n e , e n o n e r a poco. In quel p e r i o d o di forche, P a r m a era fra gli Stati che m e n o ne avevano drizzate, e dove alla m a n c a n z a di libertà il regime aveva supplito con l'umanità. C o m e p r e v e d e v a n o i trattati di Vienna, il Ducato o r a d o veva p a s s a r e a Ludovico di B o r b o n e , che già aveva consegnato il suo Principato di Lucca al G r a n d u c a di Toscana, e si e r a r i t i r a t o a G e n o v a . Q u e s t o c u r i o s o p e r s o n a g g i o n o n spasimava affatto p e r il suo n u o v o t r o n o , anzi p e n s a v a di abdicarvi, p r i m a ancora di averlo avuto, in favore del figlio. Se rinunziò a questo progetto, fu solo p e r c h é e r a coperto di debiti e n o n sapeva c o m e p a g a r l i . Q u a n d o il d e l e g a t o di Parma v e n n e a recargli l ' a n n u n z i o ufficiale che Maria Luigia era m o r t a e che la città lo aspettava c o m e successore, rispose: «Bene, b e n e , ne p a r l e r e m o più tardi», e scappò di nascosto a Milano p e r conferire col maresciallo Radetzky, e p Poi a M o d e n a p e r intendersi con Francesco V. Voleva evita133
re di p r e n d e r e i m p e g n i coi suoi nuovi sudditi e mettersi in condizione di rifiutare le richieste di riforme c h e questi gli avrebbero fatte. O t t e n n e in p i e n o il suo scopo. Alla fine d e l l ' a n n o , Mett e r n i c h scriveva al suo Ambasciatore a Parigi che al n u o v o Duca di P a r m a l'Austria avrebbe fornito gli stessi aiuti materiali che si p r e p a r a v a a d a r e al Duca di M o d e n a . Fu solo dop o q u e s t o avallo c h e L u d o v i c o a n d ò a p r e n d e r e possesso del suo t r o n o , e vi salì col n o m e di Carlo II. Alla p r e g h i e r a ossequiosamente rivoltagli dai sudditi di c o n c e d e r e maggiori libertà, n o n rispose né sì, né n o . N o n rispose affatto. Metternich si e r a affrettato a venire incontro ai suoi desideri p e r evidenti motivi. A differenza di Maria Luigia, ch'er a p u r s e m p r e u n a Principessa austriaca, Carlo avrebbe potuto lasciarsi a t t r a r r e nella Lega Italica che il Papa stava tessendo. Bisognava d u n q u e agganciarlo subito al p r o p r i o carro in coppia col Duca di M o d e n a , della cui lealtà n o n c'era da d u b i t a r e . D e g n o figlio di suo p a d r e , Francesco V si vantava di avere ai p r o p r i o r d i n i trecentomila uomini: quelli di cui disponeva Radetzky nel Lombardo-Veneto e che, anche se n o n e r a n o tanti, poco ci manca. O r a Carlo poteva dire lo stesso e fornirne a n c h e la prova: alcuni distaccamenti di Radetzky si a c c a s e r m a r o n o a P a r m a e altri s'istallarono nella cittadella di Piacenza. Q u e s t e m i s u r e di sicurezza, che facevano del Po un fiume i n t e r a m e n t e austriaco, dovevano servire a n c h e d'intimidazione ai lombardo-veneti. Metternich sapeva che il fuoco covava, specie a Milano. Esso aveva lanciato un guizzo p o chi mesi p r i m a q u a n d o , al posto di Gaysrùck, il Papa aveva n o m i n a t o Arcivescovo di Milano Romilli. N o n c'era nulla di eccezionale. Ma in q u e l m o m e n t o in cui ad o g n i gesto del Papa, a n c h e il p i ù o r d i n a r i o , si attribuivano sottintesi politici, la sostituzione di un prelato austriaco con un prelato italiano p a r v e un fatto rivoluzionario, la piazza vi rispose ins c e n a n d o entusiastiche accoglienze al n u o v o Presule al canto d e l l ' i n n o di Pio IX, e la polizia d o v e t t e d i s p e r d e r e i di134
mostranti con la forza. Ma c'era di peggio. Dai r a p p o r t i dei servizi segreti risultava che b u o n a p a r t e dei «notabili», a com i n c i a r e dallo stesso Podestà, C o n t e Casati, avevano c o m e nel ' 2 1 , allacciato contatti con la C o r t e di T o r i n o . E questa, era, p e r Metternich, la cosa più p r e o c c u p a n t e . A s t u d i a r e la situazione e a riferirgliene, egli m a n d ò un diplomatico espertissimo di cose italiane e che a Milano godeva di larghe e n t r a t u r e e vaste amicizie p e r il b u o n ricordo che aveva lasciato di sé: Ficquelmont. Il suo r a p p o r t o fu scoraggiante. Gli austriaci, a Milano, vivevano c o m e in un ghetto, tenuti a distanza dalla popolazione. Coloro che li avvicin a v a n o e r a n o considerati «collaborazionisti» e sottoposti a minacce. Egli stesso e sua moglie avevano trovato le p o r t e chiuse, e i pochi con cui e r a riuscito a ristabilire relazioni se n ' e r a n o mostrati imbarazzati. Ficquelmont n o n faceva che c o n f e r m a r e i dispacci del Viceré, arciduca Ranieri, del c o m a n d a n t e militare, maresciallo Radetzky, del g o v e r n a t o r e Spaur, e del d i r e t t o r e della p o lizia T o r r e s a n i , i quali a v e v a n o costituito un «Consiglio straordinario» p e r fronteggiare degli eventi che ancora n o n si verificavano, ma che p o t e v a n o verificarsi da un m o m e n t o all'altro. Alla « C o n g r e g a z i o n e centrale», c h ' e r a u n a specie di Consiglio C o m u n a l e allargato a t u t t a la L o m b a r d i a , un d e l e g a t o di Treviglio, Nazzari, d e n u n z i a v a , sia p u r e nelle forme p i ù r i s p e t t o s e e f i n g e n d o s e n e a c c o r a t o , il totale divorzio fra autorità e popolazione, e alle rimostranze del Viceré, l'assemblea r i s p o n d e v a a u s p i c a n d o u n «Regno L o m b a r d o - V e n e t o c o n f o r m e e d istituzioni sue p r o p r i e » , cioè l'autonomia. I m m e d i a t a m e n t e a Venezia Daniele M a n i n faceva suo il voto di Milano, e T o m m a s e o lo rilanciava in un a p p e l l o ai suoi s t u d e n t i c h e si r i e m p ì subito di firme. «Il L e o n e di S. Marco ha scosso la sua v e n e r a n d a criniera e fatto r i s u o n a r e il suo ruggito» scrissero i giornali fiorentini. Pare impossibile che in questo Paese n o n si possa mai far qualcosa di b u o no senza che la retorica lo sciupi. Ma retorica n o n fu l'orga135
nizzata protesta dei milanesi, q u a n d o si accorsero che la loro richiesta di a u t o n o m i a veniva evasa dalle autorità austriache. Il professore di fisica Cantoni indirizzò ai giovani lomb a r d i u n a lettera a p e r t a i n cui, r i c h i a m a n d o l'esempio dei coloni americani che p e r n o n p a g a r e all'Inghilterra la tassa sul tè avevano smesso di b e r n e , l'invitava a smetter di fumare p e r n o n p a g a r e all'Austria la tassa sul tabacco. La polizia n o n p r e s e sul serio l'incitamento, ma il g i o r n o di C a p o d a n n o dovette ricredersi. N o n solo p e r le strade di Milano n e s s u n o fumava, ma chi vi si a t t e n t a v a veniva minacciato e c o p e r t o d'insulti. E r a u n a specie di sciopero del sigaro con relativo «picchettaggio», che in q u a r a n t o t t ' o r e fec e p e r d e r e a l l ' i m p e r i a l - r e g i o m o n o p o l i o circa t r e n t a m i l a d u c a t i , e l'esempio fu i m m e d i a t a m e n t e imitato dalle altre città l o m b a r d e . Gli austriaci r e a g i r o n o mettendosi tutti a fum a r e p e r le strade con aria provocatoria, e furono fischiati. Dai fischi si passò alle contumelie e p p o i alle mani. Ci scappò il m o r t o , e i tafferugli r a g g i u n s e r o tale violenza che il p o d e stà Casati sollecitò l ' i n t e r v e n t o di S p a u r e di F i c q u e l m o n t presso Radetzky. Abituato a battersi col c a n n o n e , il vecchio Maresciallo n o n sapeva come vedersela coi sigari, era furente p e r gli affronti subiti dai suoi soldati, ma consentì a ritirarli in caserma. Imbaldanziti, i milanesi p r o c l a m a r o n o l'as t e n s i o n e a n c h e dal giuoco del lotto, altra fonte di cespiti p e r il g o v e r n o , e la diserzione della Scala, dove si p r o d u c e va la ballerina tedesca Fanny Elsler. Solo nove biglietti furono venduti. Gli altri furono distribuiti gratis a ufficiali e soldati precipitosamente precettati p e r r i e m p i r e il teatro. Per stroncare il sabotaggio, la polizia p r o c e d e t t e all'arresto e alla d e p o r t a z i o n e dei p r e s u n t i ispiratori. E r a n o i «notabili» più in vista dell'aristocrazia e della borghesia liberale, e furono trattati con tutti i riguardi. Ma la misura esacerbò gli a n i m i e il f e r m e n t o c r e b b e . Il Viceré cercò di placarlo con un p r o c l a m a in cui diceva di p a r l a r e come padre. Ma l ' I m p e r a t o r e , sebbene suo nipote, lo smentì con un minaccioso messaggio in cui attribuiva l'accaduto a u n a «fazione 136
sovvertitrice». E qui stava l'errore di Vienna, che invano Ficq u e l m o n t cercava nei suoi r a p p o r t i di rettificare. U n a fazion e , diceva, e r a stata quella che aveva agitato le a c q u e nel ' 2 1 . O r a e r a il p o p o l o . Guai, c o n c l u d e v a , a n o n r e n d e r s i c o n t o d i q u e s t a m u t a t a realtà. M a M e t t e r n i c h n o n e r a p i ù in g r a d o di farlo. Era invecchiato, e da t r o p p o t e m p o vedeva il m o n d o solo attraverso i r a p p o r t i dei suoi fiduciari p e r c o m p r e n d e r n e le esigenze e gli u m o r i . Convinto che la minaccia venisse da pochi, rispose con la minaccia, cioè inviando a Milano rinforzi militari e c o n f e r e n d o maggiori poteri a Radetzky. Su costui i milanesi a p p u n t a r o n o i loro odi e corbellature. Gli odi e r a n o plausibili; le corbellature, che fra l'altro lo definivano «il fuggitivo di Ulm», sciocche e ingiuste. A Ulm, Radetzky e r a stato u n o dei pochi c o m a n d a n t i austriaci che a v e v a n o r i p o r t a t o successi c o n t r o N a p o l e o n e , e p r o p r i o questo aveva fatto da p r o p e l l e n t e alla sua gloriosa carriera. Questo g r a n d e soldato n o n aveva mai conosciuto sconfitte, e a o t t a n t ' a n n i suonati conservava intatte prestanza fisica ed energia morale. C o m e tutti i militari, credeva soltanto nella s p a d a e nella disciplina. Ma n o n somigliava affatto all'imm a g i n e c h e di lui ci ha t r a m a n d a t o la storiografia risorgimentale: quella del crudele «impiccatore», del caporalaccio ottuso, grossolano e brutale. Era al c o n t r a r i o un g r a n d e sig n o r e , d i t r a t t o r u v i d o m a g e n e r o s o , p e r p e t u a m e n t e alle prese con p r o b l e m i di bilancio p e r c h é aveva le m a n i bucate. Siccome u n a specchiata onestà gl'impediva di profittare della sua carica, s'era indebitato fino al collo con un I n t e n d e n te della sua A r m a t a t a l m e n t e infatuato di lui che gli rimise tutte le cambiali p u r di avere il g r a n d e o n o r e di u n a tomba accanto alla sua nel p r o p r i o mausoleo. Così il Maresciallo si vendette a n c h e lo scheletro. Aveva sposato u n a Contessa austriaca che viveva a Vienna e gli aveva dato otto figli da cui non gli venivano che dispiaceri. U n o militava ai suoi ordini lì a Milano, ma e r a un così cattivo a r n e s e che un p r e t e un giorno lo schiaffeggiò p e r strada. Radetzky m a n d ò a chia137
m a r e il p r e t e , gli strinse la m a n o e gli disse: «Crazzie». Per a m a n t e si era presa u n a brava stiratrice l o m b a r d a che sapeva cucinare b e n e gli gnocchi, di cui era ghiottissimo, e dalla q u a l e e b b e altri q u a t t r o f i g l i - N o n e r a affatto u n o d i a t o r e degl'italiani: t a n t ' è vero che, q u a n d o a n d ò in p e n s i o n e , rimase a Milano, e lì morì, nel '58. Era soltanto un fedele servitore del suo Paese, di cui n o n discuteva la causa. E soprattutto era un vecchio l u p o di g u e r r a coraggioso, astuto e risoluto. Col suo p u g n o di f e r r o , riuscì a ristabilire l ' o r d i n e . Ma egli stesso capiva che q u e s t ' o r d i n e e r a solo a p p a r e n t e . Un console inglese scriveva da Venezia al suo ministro che anche la situazione di quella città, fin allora quieta e rassegnata, si era fatta esplosiva e tutto lasciava c r e d e r e all'esistenza di un piano c o n c o r d a t o fra veneti e l o m b a r d i p e r u n a immin e n t e sollevazione. Sarebbe bastata, diceva, u n a scintilla. La scintilla partì dalle D u e Sicilie, ed e r a logico p e r c h é più r i g i d o qui e r a il r e g i m e , e q u i n d i p i ù e s p o s t o ai t r a u m i . N o n p e r n u l l a q u e s t o e r a lo Stato in cui il m o d e r a t i s m o aveva fatto m e n o proseliti e la lotta politica e r a rimasta ancorata ai vecchi m e t o d i c a r b o n a r i della cospirazione e degli a t t e n t a t i . E r a u n o stillicidio di violenze c o n t r o la violenza poliziesca, che in n o m e d e l l ' o r d i n e n o n riesce a p r o v o c a r e che disordini. U n o degli e p i s o d i p i ù gravi si e r a a v u t o nell'estate del '47. U n p o ' p e r c h é avvertiva puzzo d i bruciato, u n p o ' p e r n o n sfigurare nel confronto con gli altri Sovrani che si erano messi sul c a m m i n o delle riforme, a n c h e re F e r d i n a n d o ne aveva concesse alcune, s o p r a t t u t t o a l l e g g e r e n d o il peso fiscale. Ma i liberali volevano b e n altro, volevano la libertà, di cui egli seguitava a m o s t r a r s i avarissimo; e, d i s p e r a n d o di ottenerla coi mezzi pacifici con cui la stavano o t t e n e n d o i r o m a n i e i fiorentini, ricorsero c o m e al solito all'insurrezione. La congiura si tessè fra Basilicata, Calabria e Sicilia, e ad 138
a n n o d a r l a furono i fratelli R o m e o , «notabili» locali di larghi mezzi e di g r a n d e prestigio in tutta la zona. Secondo la storiografia borbonica, più che da alti ideali, essi furono spinti alla rivolta da bassi interessi p e r s o n a l i . P a d r o n i di a l c u n e solfatare, e r a n o stati g r a v e m e n t e d a n n e g g i a t i dal conflitto in cui F e r d i n a n d o si era cacciato con gl'importatori inglesi, c h ' e r a n o i loro migliori clienti. E p u ò darsi che a n c h e questo e l e m e n t o abbia c o n t r i b u i t o al loro gesto. Ma già da un pezzo e r a n o legati agli a m b i e n t i liberali e patriottici: il che dimostra che un ideale lo avevano. La c o n g i u r a r i c h i a m ò in servizio tutti i v e t e r a n i della Carboneria ed ebbe un ordito abbastanza vasto; ma c o m e al solito m a n c ò di a d e g u a t a p r e p a r a z i o n e e di u n i t à d'intenti. I siciliani vi si a r r u o l a r o n o n o n p e r l ' i n d i p e n d e n z a italiana dall'Austria, ma p e r quella siciliana da Napoli. Il segreto fu tradito. E, al segnale convenuto, ogni g r u p p o aspettò che a muoversi fosse l'altro. Gli unici ad agire con risolutezza fur o n o i R o m e o - diciassette tra fratelli, zii, nipoti e cugini che, alla testa di c i n q u e c e n t o seguaci, tutti loro p e r s o n a l i «clienti», s ' i m p a d r o n i r o n o di Reggio e v'istituirono un governo provvisorio. Ma a Messina la rivolta era p r o n t a m e n t e schiacciata, m e n t r e a Catanzaro n e m m e n o scoppiava. Le regie forze p o t e r o n o q u i n d i c o n c e n t r a r e la l o r o a z i o n e su Reggio, dove la p o p o l a z i o n e , s e n t e n d o n e p e r s a la causa, si ribellò ai ribelli, e fu il solito scatenamento di furori sanfedisti. Sottoposti al linciaggio, u n o dei R o m e o disse all'altro: «Guardate p e r che gente a b b i a m o sacrificato sostanze e vita!» Il castigo fu spietato a n c h e p e r c h é fra i giudici del tribunale speciale c'era un colonnello Rossaroll che, fratello di un generale che nel '21 era stato fra i più arrabbiati Costituzionali e zio di un altro Rossaroll che nel '33 aveva organizzato u n a c o n g i u r a p e r uccidere il Re, volle lavare di queste onte il n o m e di famiglia a spese degl'imputati. Lo stesso Del Carretto biasimò la repressione in tali termini che il Re cominciò a considerarlo «un n u o v o Intontì», cioè un d o p p i o giochista. 139
Sventata in Calabria, la congiura r i a n n o d a v a le sue fila in Sicilia, ma c o n m e t o d i e f o r m e n u o v e . Fin allora si e r a espressa in violente rivolte e, più che il patriottismo italiano, ad ispirarle era stato il patriottismo siciliano. O r a la cospirazione p r e s e u n altro a n d a z z o grazie s o p r a t t u t t o a d alcuni esuli, come il La Farina e il La Masa, che nell'esilio si e r a n o fortemente i m p r e g n a t i di spirito nazionale e volevano agire in p i e n o a c c o r d o coi liberali del N o r d . A n c h e i n a p o l e t a n i collaborarono a questa s t r u m e n t a z i o n e . Molti di essi, a r r e stati p e r p r e s u n t a complicità coi R o m e o , e r a n o stati poi rilasciati. Ma a n c h e il Poerio, s e b b e n e t r a t t e n u t o , p o t è attivam e n t e collaborare al n u o v o indirizzo p e r c h é le repressioni borboniche avevano questo di singolare: che, spietate e sang u i n a r i e i n u n a città, e r a n o p o i e s t r e m a m e n t e c o r r i v e i n un'altra. Il carcere che ospitava Poerio era u n a specie di salotto dove il p r i g i o n i e r o riceveva i suoi amici D'Ayala, Bozzelli, Nisco e tanti altri, «facendo c o m e se fosse stato libero, di tutto informandosi, p o r g e n d o conforti, r a n n o d a n d o file, c o n s i g l i a n d o p r u d e n z a o a g g i u n g e n d o a r d i r e » . A n c h e lui suggeriva di g r i d a r e n o n abbasso, ma viva il re! e soprattutto viva la Lega Italica! Q u e s t a invocazione r a g g i u n s e t o n i t a l m e n t e p e r e n t o r i che F e r d i n a n d o se ne sentì i n d o t t o ad a p r i r e negoziati col Papa p e r l'adesione alla Lega. N o n era che u n a fìnta. Ma int a n t o forniva ai patrioti u n a specie di salvacondotto p e r le loro dimostrazioni di piazza che si fecero s e m p r e più imponenti. A Napoli la polizia o p e r ò alcuni arresti, ma - dice Settembrini - «l'andare in prigione era come u n a m o d a e tutti ne ridevano». I giornali clandestini n o n si c o n t a v a n o , e un giorno prese a circolare a n c h e u n a specie d'indirizzo al Re, stilato dai patrioti piemontesi e con u n a lista di firme, impon e n t e p e r n u m e r o e peso. Vi avevano a p p o s t o la loro anche Silvio Pellico e un giovane t u t t o r a sconosciuto: Camillo Benso di Cavour. Era un invito a c o n c e d e r e le riforme di cui godevano i pontifici, i toscani e i piemontesi. Ma n o n tutti l'avevano a p p r o v a t o . La Masa p e r e s e m p i o e r a convinto che 140
con F e r d i n a n d o n o n si poteva patteggiare, e che l'unica arma efficace era l'insurrezione in n o m e di u n ' a u t o n o m i a siciliana, s u b o r d i n a t a p e r ò all'unità nazionale. Il 3 g e n n a i o egli sbarcò s e g r e t a m e n t e a Palermo, dove i suoi c o r r i s p o n d e n t i gli avevano detto che si era già costituito un Comitato rivoluzionario. N o n riuscì a trovarlo p e r c h é quel Comitato, sebbene se ne facesse un g r a n p a r l a r e , p r o babilmente n o n esisteva. Ma in c o m p e n s o vi trovò u n a tensione che gli fu facile m e t t e r e a profìtto, anche p e r c h é fra le autorità borboniche c'era discordia. Il L u o g o t e n e n t e G e n e rale De Majo n o n smaniava che di p r e n d e r s i u n a rivincita contro il c o m a n d a n t e della polizia Vial che lo aveva d e n u n ziato c o m e «sovversivo», e ora cercava di paralizzarne l'azione repressiva. I patrioti lo sapevano, e q u a n d o undici di loro v e n n e r o a r b i t r a r i a m e n t e arrestati, mobilitarono i loro seguaci, convinti che le t r u p p e n o n si sarebbero mosse. Il vero Comitato nacque in questa emergenza, ed ebbe come p r o m o t o r i Bagnasco e Rosolino Pilo, ma la sua vera a n i m a fu La Masa, m o l t o p i ù risoluto di l o r o . Q u a n d o si accorse che gli altri d u e , d o p o aver indetto la mobilitazione e fissato al 12 g e n n a i o la data della rivolta, esitavano a d a r n e il segnale, lo d e t t e lui i m b r a c c i a n d o il fucile e issandovi un improvvisato tricolore. C r e d e n d o l o il capo del fantomatico Comitato, i patrioti lo seguirono al grido di: viva la costituzione, viva la truppa! E r a n o p o c h i e m a l e a r m a t i , ma i soldati nei quali s'imbatterono si lasciarono sopraffare senza t r o p p a resistenza. Di colpo il piccolo d r a p p e l l o diventò folla, poi fiumana. E il Comitato, p e r n o n trovarsene scavalcato, dovette n o m i n a r e p r e s i d e n t e La Masa. In quel m o m e n t o la partita era ancora tutta da giuocare. E p e r giuocarla, La Masa capì che bisognava fare appello ai cittadini di m a g g i o r prestigio, gli unici in g r a d o , p e r il seguito che avevano, di trasformare quel moto in u n a vera insurrezione p o p o l a r e : e p r i m o fra tutti, il p r i n c i p e R u g g e r o Settimo. Per q u a n t o si fosse s e m p r e battuto c o n t r o il centralismo borbonico, il vecchio signore esitò. L'autonomia la vo141
leva. Ma n o n voleva restare in balìa della piazza, di cui nel '20 aveva visto la ferocia. E r a q u e s t a p a u r a c h e fin allora aveva t r a t t e n u t o i «notabili» p i ù in vista. Ma La Masa si affrettò a tranquillizzarli affidando loro i p i ù alti posti di comando. F e r d i n a n d o o r d i n ò alle s u e artiglierie, asserragliate nel forte di C a s t e l l a m m a r e , di b o m b a r d a r e la città, e vi g u a d a g n ò il n o m i g n o l o di «Re Bomba». Le rovine furono molte e grosse, m a l a t r u p p a n o n osò s c e n d e r v i p r i m a d e l l ' a r r i v o della flotta, che si p r e s e n t ò il g i o r n o 15, carica di rinforzi al c o m a n d o del generale Sauget. Fra gl'insorti ci fu u n ' o n d a t a di s c o r a m e n t o , e La Masa dovette mettercela tutta p e r rianimarli. Ma forse l'aiuto più decisivo gli v e n n e dall'irresolutezza di Sauget e più ancora da quella dei soldati, che di battersi n o n m o s t r a v a n o p u n t a voglia. N o n più sostenuti dalle artiglierie, del cui fuoco i Consoli stranieri avevano energic a m e n t e reclamato la cessazione, essi trovavano molta difficoltà ad aprirsi la s t r a d a in un abitato, in cui o g n i finestra r a p p r e s e n t a v a u n a feritoia d i «cecchini». S a u g e t i n f o r m ò F e r d i n a n d o che n o n c'era da s p e r a r e in u n a resa, e De Majo aggiunse che a u n a sola condizione la pace sarebbe stata ri^ stabilita: restituire alla Sicilia quella Costituzione «che, giur r a t a d a i suoi Re, riconosciuta da t u t t e le P o t e n z e , n o n si è mai osato togliere a p e r t a m e n t e a quest'Isola». A F e r d i n a n d o , la p a r o l a costituzione d a v a l'orticaria. Più che la sua ideologia assolutistica, essa urtava il suo orgoglio; Privo di autocritica, c o m e lo sono tutti gli u o m i n i rozzi, era convinto c h e n e s s u n o potesse far meglio di lui. E r a in perfetta b u o n a fede q u a n d o faceva scrivere dalla sua s t a m p a che il G o v e r n o - cioè lui - «agiva in a r m o n i a con i p r o p r i lumi, p r e n d e v a consiglio da se stesso, senza t i m o r e o invidia di altri luminari». C h e gli chiedessero u n a Costituzione, glip a r e v a irrispettoso; che ve lo costringessero con le a r m i , oltraggioso. Cercò di sottrarvisi facendo altre concessioni, a n c h e abr bastanza sostanziose, ma i ribelli di P a l e r m o risposero m e $ . 142
t e n d o a sacco il palazzo reale. M e n t r e S a u g e t iniziava u n a disastrosa ritirata su Messina, lasciando Palermo nelle m a n i del C o m i t a t o , a n c h e il Cilento, classico focolare d ' i n s u r r e zione, r i p r e n d e v a fuoco. D o p o la p r o v a che aveva d a t o in Sicilia, il Re capiva che sull'esercito n o n c'era da c o n t a r e , e a n c h e la polizia a p p a r i v a i n c e r t a e malfida. Il suo c o m a n d a n t e Del C a r r e t t o , c a r b o n a r o r i n n e g a t o , aveva ancora u n a volta m u t a t o b a n d i e r a e civettava coi liberali. D o p o aver fatto a r r e s t a r e D'Ayala, era a n d a t o p e r s o n a l m e n t e a c h i e d e r n e scusa alla moglie d i c e n d o che aveva d o v u t o o b b e d i r e all'ordine del Re, e o r a copriva i m a n e g g i di Poerio, che dalla sua prigione seguitava a tessere le fila del m o v i m e n t o . Alla fine di g e n n a i o Del C a r r e t t o fu convocato a palazzo, dove il generale Filangieri gli c o m u n i c ò il licenziamento dalla carica e il b a n d o d a l Paese, e alla sua minacciosa r e a z i o n e rispose p u n t a n d o g l i la pistola al petto. Insieme a lui fu eliminato il confessore di F e r d i n a n d o , che la voce pubblica accusava d'istigazione alla forca. L'Ambasciatore austriaco scrisse a Metternich che il Re e i suoi ministri stavano p e r d e n d o la testa. Metternich c o m m e n t ò : «Come possono p e r d e r e ciò che n o n h a n n o mai posseduto?» La testa, F e r d i n a n d o n o n l'aveva affatto p e r d u t a ; l'aveva soltanto c a m b i a t a . Ve l'avevano costretto gli a v v e n i m e n t i , dei quali doveva p r e n d e r e atto. Incalzata da stormi di «franchi tiratori», la ritirata di Sauget s'era t r a m u t a t a in rotta, la rivolta trionfava in t u t t a l'isola; e il C o m i t a t o Rivoluzionario, costituitosi in G o v e r n o p r o v v i s o r i o sotto la g u i d a di R u g g e r o Settimo, dichiarava che la sorte dell'isola toccava deciderla n o n p i ù al Re, ma al P a r l a m e n t o che si sarebbe al più presto riunito. Era chiaro che i siciliani n o n si contentavano più n e m m e n o dell'autonomia, o a l m e n o i n t e n d e v a n o porle l'alternativa di u n o Stato i n d i p e n d e n t e . Secondo Settembrini, il Re avrebbe esclamato: «Don Pio IX e Carlo Alberto h a n n o voluto gettarmi un bastone fra le gambe? E io getto l o r o q u e s t a trave. Spassiamoci o r a tutti quanti». La trave cui alludeva e r a la Costituzione. E a n c h e 143
se la frase e r a apocrifa, c o r r i s p o n d e v a a b b a s t a n z a esattam e n t e al suo p e n s i e r o . Nelle condizioni in cui era, n o n gli restava che u n a carta su cui p u n t a r e : il caos. E r a convinto che da u n a Costituzione nient'altro potesse derivare e, conc e d e n d o l a lui p e r p r i m o , a v r e b b e obbligato il Papa, Carlo Alberto e il G r a n d u c a a fare altrettanto, p r o v o c a n d o un terr e m o t o che a sua volta avrebbe provocato u n a reazione. Qualcosa in questo senso si stava già d e l i n e a n d o in Sicilia, grazie a un episodio i cui retroscena n o n sono mai stati chiariti. Il 28 gennaio le prigioni di Palermo furono aperte, e alcune migliaia di delinquenti c o m u n i si riversarono nella città m e t t e n d o n e a profitto il disordine p e r le loro criminose imprese. Si disse che a c o m p i e r e quel gesto e r a stato Sauget, o qualcuno dei suoi, ma ne m a n c a qualsiasi prova. Com u n q u e , la c o m p a r s a di questi indesiderabili n o n contribuì di certo a chiarire il volto della rivoluzione e ne s g o m e n t ò gl'ispiratori. Costoro e r a n o tutti «galantuomini» - c o m e in Sicilia si c h i a m a n o i «notabili» - c h e volevano il r i p r i s t i n o del P a r l a m e n t o p e r farne ciò che a loro t e m p o ne avevano fatto i b a r o n i : la trincea dei loro privilegi c o n t r o le interfer e n z e del p o t e r e centrale. Q u a n d o dicevano: «Libertà siciliana», i n t e n d e v a n o la libertà della classe d o m i n a n t e di cont i n u a r e a d o m i n a r e la Sicilia, e s a t t a m e n t e c o m e oggi fa il governo regionale. Si atteggiavano a i n t e r p r e t i delle masse, ma il loro s c a t e n a m e n t o li s g o m e n t a v a , e su q u e s t o Ferdin a n d o puntava: il giorno in cui essi si fossero trovati scavalcati dalla piazza, avrebbero fatto appello a lui, o q u a n t o meno avrebbero ridimensionato le loro pretese. Il 29 gennaio il Re e m a n ò il decreto che istituiva il nuovo r e g i m e costituzionale, basato su d u e Assemblee legislative: u n a di n o m i n a regia, l'altra eletta dal p o p o l o s e c o n d o modalità da precisarsi. Si dice che nel firmarlo, F e r d i n a n d o , s e m p r e a l l u d e n d o al P a p a e a C a r l o A l b e r t o , b o r b o t t a s s e : «Mi spingono, e io li farò precipitare». Poerio si vide sbalzato dalla cella di p r i g i o n e alla direzione g e n e r a l e della polizia, di cui assunse la guida. E Bozzelli, n u o v o Ministro de144
g l ' I n t e r n i , si chiuse nel suo ufficio p e r r e d i g e r e il testo del s o s p i r a t o S t a t u t o . A Poerio, c h e gli r i m p r o v e r a v a di n o n consultarsi con nessuno, rispose: «Se Solone avesse discusso le sue leggi con gli amici, avrebbe fatto o p e r a pessima». In realtà di consultazioni n o n aveva bisogno p e r c h é si era limitato a t r a d u r r e in italiano la Costituzione francese con qualche v a r i a n t e ricalcata su quella belga. Il Re, che già si era a d e g u a t o alla n u o v a situazione a n d a n d o s e n e a zonzo c o m e un p r i v a t o c i t t a d i n o in m e z z o alla g e n t e a s o r r i d e r e e a stringer m a n i , a p p r o v ò il testo senza discutere. D u e giorni d o p o averlo firmato, gli giunse la notizia che Luigi Filippo e r a stato sbalzato dal t r o n o e c h e il p o p o l o p a r i g i n o aveva stracciato quella Costituzione su cui il Bozzelli aveva modellato la sua. Il caos su cui egli faceva a s s e g n a m e n t o cominciava a profilarsi. P r o c l a m a t o R e g g e n t e dal P a r l a m e n t o d i P a l e r m o , Ruggero Settimo a n n u n c i a v a la f o r m a z i o n e di un esercito siciliano c o m e presidio della conquistata i n d i p e n d e n z a . S e m b r a v a che l'isola volesse s e p a r a r s i n o n solo d a N a p o l i , m a dall'Italia. E q u e s t o mise in agitazione tutti i patrioti della penisola, c o m p r e s o Mazzini, che inviò ai siciliani un accorato, f r e m e n t e messaggio. Ma la m e n t e di tutti fu p r e s t o distratta da quella diatriba municipale. La rivoluzione, d o p o aver t r i o n f a t o in Francia, si p r o p a g a v a a m e z z a E u r o p a e c r e p i t a v a p e r f i n o nella cittadella della r e a z i o n e , V i e n n a , m e t t e n d o n e in fuga il c a m p i o n e , Metternich. N o n e r a u n a svolta. E r a u n a u t e n t i c o r o v e s c i a m e n t o d i posizioni.
CAPITOLO QUATTORDICESIMO
LA C O S T I T U Z I O N E !
Fra i motivi che nel febbraio del '48 spinsero le masse parigine sulle barricate, gli storici a n n o v e r a n o soprattutto quelli economici e sociali. Ce n ' e r a n o , infatti. La Francia e r a app e n a r e d u c e da u n a carestia, che aveva provocato u n a crisi inflazionistica di cui avevano fatto le spese, c o m e s e m p r e , i ceti m e d i e bassi. Lo sviluppo industriale aveva richiamato nelle città, e specialmente nella capitale, molta m a n o d o p e r a afflitta dai soliti p r o b l e m i di salari, di alloggio e - c o m e oggi si dice - d'«integrazione». Tutto ciò aveva dato l'aìre a movim e n t i socialisti di c a r a t t e r e eversivo, c h e t r o v a v a n o b u o n i pretesti polemici nella corruzione di alcune sfere governative. La stampa d e n u n c i a v a casi di malversazione e di peculato in cui e r a n o implicati anche dei ministri. Ma tutto questo faceva p a r t e più della fisiologia che della patologia. Di carestie, a quei t e m p i , tutti i Paesi e tutti i regimi ne subivano: bastava un raccolto a n d a t o a male p e r p r o vocarle, le crisi m o n e t a r i e e r a n o u n a malattia r i c o r r e n t e , e di scandali ce n ' e r a n o d a p p e r t u t t o . Q u a n t o alle difficoltà sociali, e r a n o c o m u n i a tutti i Paesi in cui l'industria decollava: e quello in cui esse e r a n o p a r t i c o l a r m e n t e a c u t e e r a , caso mai, l'Inghilterra. Tutto sommato, le condizioni della Francia e r a n o di crescente benessere, a n c h e p e r c h é quasi soltanto al benessere il r e g i m e aveva b a d a t o . «Arricchitevi!» aveva detto ai francesi il P r i m o ministro Guizot, e a questo prosaico invito i francesi avevano d a p p r i m a risposto con entusiasmo. Ma poi si e r a n o accorti della sua prosaicità, e se n'erano sentiti mortificati. La loro vera crisi n o n e r a né economica, né sociale, ma spirituale. E a diagnosticarla infatti n o n fu 146
n é u n e c o n o m i s t a , n é u n sociologo, m a u n o s c r i t t o r e , D e Musset, che nelle Confessioni di un figlio del secolo r i p r o d u s s e m i r a b i l m e n t e quella che oggi si c h i a m e r e b b e la «frustrazione» dei suoi c o e t a n e i . N i p o t i degli a r d e n t i r i v o l u z i o n a r i d e l l " 8 9 e figli dei g r a n d i soldati che avevano conquistato il m o n d o agli o r d i n i di N a p o l e o n e , essi sentivano il v u o t o di u n ' e s i s t e n z a senza eroici ideali n é p r o s p e t t i v e d i e p o p e a . «Crescemmo spalmandoci i muscoli - dice p r e s s a p p o c o il figlio del secolo - p e r b a t t e r e i p r i m a t i atletici dei nostri padri, e tutto si è ridotto a u n a g a r a di conti in banca.» Era questo che la g e n e r a z i o n e di De Musset n o n p e r d o nava al r e g i m e b o r g h e s e di Luigi Filippo, e lo si vedeva dalla stessa letteratura. I libri che p i ù appassionavano il pubblico e a n d a v a n o a r u b a e r a n o le Storie della Rivoluzione scritte da Blanc, da Michelet, da L a m a r t i n e , in cui i lettori ritrovavano l'immagine di u n a Francia vibrante di entusiasmi crociati e tesa verso alti ideali: l'esatta antitesi di quella attuale, a r i d a e bottegaia. Tutto infatti n a c q u e da nulla, p e r autocombustione. Battuta alla C a m e r a su alcuni progetti di riforme, l'opposizione lanciò u n a « c a m p a g n a di banchetti» in senso nient'affatto traslato. E r a n o p r o p r i o dei b a n c h e t t i c h e si c o n c l u d e v a n o con infiammate a r r i n g h e , a stomaco p i e n o , c o n t r o il govern o . T u t t a la Francia m a n g i a v a e parlava, ma parlava d o p o aver mangiato, cioè nella condizione m e n o indicata p e r salire sulle barricate. Lo scettico Luigi Filippo, che da un pezzo aveva d o p p i a t o il c a p o della settantina, n o n se ne allarmò. « Q u a n d o mai - disse - i parigini h a n n o fatto u n a rivoluzione d'inverno?» Infatti u n a pubblica manifestazione i n d e t t a p e r il 22 febbraio fu revocata dai suoi stessi p r o m o t o r i . Ma alcuni s t u d e n t i e o p e r a i decisero di farla p e r loro conto, la polizia t e n t ò di d i s p e r d e r l i , e ne n a c q u e r o dei tafferugli in cui si vide la p o p o l a z i o n e s c e n d e r e s p o n t a n e a m e n t e p e r le strade a d a r e m a n forte ai d i m o s t r a n t i . L'indomani Guizot mobilitò la G u a r d i a Nazionale, considerata la milizia del regime che p r o p r i o grazie ad essa aveva trionfato nel '30. Essa 147
cercò di svolgere o p e r a di persuasione sugli scalmanati, ma q u a n d o li vide attaccati dalla t r u p p a regolare si schierò dalla l o r o p a r t e . Fu il segnale di un i n c e n d i o che n e s s u n o si aspettava, ma che e v i d e n t e m e n t e covava da t e m p o . Luigi Filippo cercò di cavarsela al m o d o di tutti i Re: cioè a d d o s s a n d o la responsabilità delle mancate i-iforme sul suo P r i m o M i n i s t r o , l i c e n z i a n d o l o e s o s t i t u e n d o l o con la p i ù prestigiosa figura dell'opposizione, T h i e r s . Ma i ribelli, che o r m a i con l ' a p p o g g i o della G u a r d i a si sentivano sicuri del fatto l o r o , si r i f i u t a r o n o di s c e n d e r e dalle b a r r i c a t e , chied e n d o n o n più le riforme, ma l'abdicazione del Re. Questi a n d ò di p e r s o n a a p a r l a r e ai reparti della G u a r d i a che lo accolsero al grido di: «Abbasso i ministri!» Si rivolse alle t r u p pe regolari; ma all'ordine di a p r i r e il fuoco, i soldati risposero s p a r a n d o a vanvera. C o m p r e n d e n d o che la partita era persa e pressato a n c h e dalla moglie terrorizzata, Luigi Filippo n o n volle altro sang u e (c'erano già trecento morti p e r le strade della capitale), e redasse l'atto di abdicazione in favore del figlio di suo figlio, il g i o v a n e C o n t e di Parigi. Per m a n o alla c o r a g g i o s a m a d r e , questi si recò in Parlamento, mettendosi sotto la sua p r o t e z i o n e e convinto che ne sarebbe uscito Re. Ma i rivoltosi i r r u p p e r o nell'aula e costrinsero i d e p u t a t i a proclamare la Repubblica. In quel m o m e n t o Luigi Filippo s'imbarcava a Calais per r i p a r a r e in I n g h i l t e r r a . E p r o b a b i l e che la sua nave incrociasse quella che dall'Inghilterra riportava in Francia Luigi Napoleone Bonaparte, l'inquieto nipote dell'Imperatore che, t e n u t o al b a n d o dal suo Paese, aveva cercato avventure in Italia militando fra i C a r b o n a r i , b e n deciso a ricalcare le o r m e dello zio. Alla notizia della c a d u t a di Luigi Filippo, M e t t e r n i c h svenne, e ne aveva b u o n i motivi. Conosceva p e r esperienza la fondatezza del vecchio d e t t o : « Q u a n d o Parigi p r e n d e il r a f f r e d d o r e , l ' E u r o p a s t a r n u t a » , e la c o n f e r m a gli g i u n s e i m m e d i a t a m e n t e dalla G e r m a n i a . 148
I tedeschi si trovavano in u n a situazione p e r molti versi analoga a quella degl'italiani. Divisi in staterelli a r e g i m e assolutistico e garantiti dall'Austria, anch'essi aspiravano all'unità, all'indipendenza, a u n a forma di g o v e r n o costituzionale, e g u a r d a v a n o alla Prussia c o m e al loro P i e m o n t e . Vocazione rivoluzionaria ne avevano poca: u n a sollevazione tentata nel B a d e n dal p o e t a H e r w e g h fu r a p i d a m e n t e schiacciata. Ma la Prussia ne approfittò subito p e r c h i a m a r e a raccolta tutti i patrioti tedeschi sotto la sua b a n d i e r a unificatrice. L'appello sollevò un'eco p r o f o n d a che mise in crisi tutto il sistema escogitato dall'Austria p e r t e n e r e la G e r m a n i a sotto il suo controllo. II v e n t o di f r o n d a investì la stessa V i e n n a . Un g r u p p o d'intellettuali - la categoria che Metternich più odiava e che più odiava Metternich - redasse u n a petizione in cui si chiedeva, g e n e r i c a m e n t e , «un m u t a m e n t o dei p r i n c ì p i cui fin allora il r e g i m e si era ispirato». Di questi appelli ce n ' e r a n o già stati, ma e r a n o caduti nel v u o t o . Stavolta e n t r a r o n o in scena gli s t u d e n t i c h e i m p o s e r o alla Dieta - u n a specie di Parlamento - di raccoglierlo e di farlo suo. Per la p r i m a volta il m o v i m e n t o si estese ai ceti popolari, e p e r far fronte alle loro violenze si dovette r i c o r r e r e allo stato d'assedio. A differenza di Parigi, il bersaglio della rivolta n o n e r a l ' I m p e r a t o r e , ma Metternich, il quale lo sapeva benissimo. A chi gli aveva segnalato, p o c h e settimane p r i m a , la tensione del Paese e gli r a c c o m a n d a v a di fare qualcosa p e r preven i r n e lo scoppio, il Cancelliere aveva risposto che lo Stato asburgico e r a un organismo t r o p p o vecchio e sclerotico p e r s o p p o r t a r e riforme. E r a vero. Ma e r a a l t r e t t a n t o vero che anche Metternich era t r o p p o vecchio e sclerotico p e r tentare qualcosa. L e g g e n d o le sue Memorie, si ha la sensazione che da un pezzo egli o r m a i si fosse reso conto della caducità del sistema ch'egli stesso aveva costruito e si limitasse a guadagnar t e m p o . Infatti n o n si ostinò nella difesa del suo r e g i m e e della u a posizione. Q u a n d o il 13 m a r z o la rivolta assunse le dis
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mensioni di u n a vera e p r o p r i a rivoluzione minacciando di travolgere n o n più soltanto il governo, ma a n c h e la C o r o n a c o m ' e r a a v v e n u t o a Parigi, si offrì c o m e c a p r o e s p i a t o r i o r a s s e g n a n d o le dimissioni. U n a sola c o n d i z i o n e p o s e : c h e l ' I m p e r a t o r e lo sciogliesse dal g i u r a m e n t o fatto sul letto di m o r t e di suo p a d r e Francesco I, che gli aveva chiesto di mai a b b a n d o n a r e il suo successore. Per q u a n t o a r r u g g i n i t o dagli a n n i e dalla fatica, e r a a n c o r a abbastanza lucido p e r cap i r e che la sua epoca e r a finita, e t r o p p o g r a n signore p e r concluderla con gesti di caparbietà o di stizza. Aveva servito u n a causa sbagliata, m a n e e r a stato i l c a m p i o n e m i g l i o r e p e r doti n o n soltanto d ' i n g e g n o , ma anche di carattere. Per oltre t r e n t ' a n n i e r a stato l'arbitro dell'Europa, e p p u r e il p o tere n o n gli aveva d a t o alla testa. Gliel'aveva i m p e d i t o quel fondo di scetticismo che caratterizza i veri reazionari, q u a n do sono di stoffa b u o n a , e li p r e s e r v a dall'abuso. N o n credev a nel p r o g r e s s o p e r c h é n o n c r e d e v a negli u o m i n i . A n c h e se c o n t i n u ò a difenderlo p e r o n o r e di firma, sapeva benissimo che il suo sistema sarebbe m o r t o con lui, e infatti fece in t e m p o a v e d e r n e la rovina. L'Europa di Metternich n o n aveva, di vivo, c h e M e t t e r n i c h . S e n z a di lui e r a s o l t a n t o u n a mummia. I p r i m i a r e n d e r s e n e conto f u r o n o i veneziani, che e b b e r o la notizia della c a d u t a del Cancelliere il 17, e la s a l u t a r o n o facendo un g r a n falò di tutti i suoi ritratti, poi assaltando le p r i g i o n i e l i b e r a n d o n e di forza D a n i e l e M a n i n e Niccolò T o m m a s e o , c h e v i e r a n o stati d a p o c o r i n c h i u s i . D a b u o n giurista, M a n i n n o n voleva uscire senza un regolare o r d i n e di scarcerazione. Trascinato a forza e issato su un palco, rimp r o v e r ò ai suoi salvatori di essersi comportati illegalmente, a n c h e se - a g g i u n s e - «ci s o n o delle circostanze in cui l'ins o r g e r e d i v e n t a n o n soltanto u n d i r i t t o , m a u n d o v e r e » . Strani rivoluzionari, questi italiani. E Manin e r a dei p i ù decisi. L'Italia era in subbuglio da d u e mesi, da q u a n d o la rivol150
ta aveva trionfato a Palermo e F e r d i n a n d o aveva concesso la Costituzione. I toscani e r a n o scesi subito in piazza p e r reclam a r n e u n a a n c h e loro, e il G r a n d u c a , d o p o qualche giorno di tergiversazione, l'aveva accordata. Più laboriosa e r a stata la conversione di Carlo Alberto. II m o t o p a r t ì da G e n o v a sotto la s p i n t a di M a m e l i e di Bixio, che fin dai p r i m i d e l l ' a n n o avevano p r e p a r a t o e fatto firmare da migliaia di cittadini u n a petizione al Re in cui si chiedeva la cacciata dei Gesuiti e l'istituzione di u n a G u a r dia Civica. La sera del 7 gennaio i latori del d o c u m e n t o s'inc o n t r a r o n o a T o r i n o con alcuni liberali p i e m o n t e s i che stav a n o p e r decidersi a d a p p o g g i a r e l a richiesta, q u a n d o u n o di essi si alzò a p a r l a r e p e r farvi o p p o s i z i o n e . N o n e r a un g r a n d e o r a t o r e , ma sapeva i m p o s t a r e i p r o b l e m i con estrema chiarezza e c o n c r e t e z z a p u r g a n d o l i di quella r e t o r i c a che p u r t r o p p o seguitava ad affliggere l'eloquenza patriottica italiana. Disse, in sostanza: «Perché a n d a r e incontro a un sicuro rifiuto? Tutti conosciamo gli scrupoli religiosi di Carlo Alberto, che n o n gli c o n s e n t i r a n n o mai di p r e n d e r e misure c o n t r o i Gesuiti. E a n c h e se le p r e n d e s s e , a cosa servirebbe? La riforma da c h i e d e r e è un'altra, quella f o n d a m e n tale che poi ci c o n s e n t i r e b b e di realizzarle tutte: la Costituzione. C o n c e n t r i a m o i nostri sforzi su di essa». L'uomo che diceva questo e r a un giovanotto di n o m e Camillo B e n s o di Cavour, e tutti lo g u a r d a r o n o e s t e r r e f a t t i . C h e a d a v a n z a r e quella p r o p o s t a fosse u n u o m o c o m e Cavour che dai p o c h i che lo conoscevano e r a c o n s i d e r a t o un m o d e r a t o , anzi un moderatissimo, e r a cosa che insospettiva. Infatti a r i m b e c c a r l o f u r o n o gli estremisti, convinti c h e la sua fosse soltanto u n a m a n o v r a p e r m a n d a r tutto a m o n t e . La discussione fu accesa e forse avrebbe c o n d o t t o a u n a rottura, se il Re n o n avesse fatto s a p e r e che n o n i n t e n d e v a ricevere la delegazione genovese e n o n l'avesse r i m a n d a t a a casa. Carlo Alberto e r a s d e g n a t o di quelle agitazioni, c h e ai suoi occhi avevano un significato di sedizione. C o m e scrive-
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va Balbo, «vivissimo alla indipendenza, egli era lentissimo alla libertà», e a Roberto D'Azeglio, il fratello di Massimo, aveva detto: «Io voglio, come voi, la liberazione dell'Italia, e p e r questo, ricordatevelo, n o n d a r ò mai u n a Costituzione». Era chiaro ch'egli n o n voleva liberare l'Italia, ma conquistarla e farne un «possedimento» della sua Corona. Lo ripetè anche al maresciallo De La Tour che nel riferirne i propositi, così li c o m m e n t a v a : « I n t e n d e t e b e n e : il Re ha detto che n o n d a r à mai la Costituzione. D u n q u e la darà, e presto!», tale era il sospetto di ambiguità in cui tutti lo tenevano. Stavolta p e r ò era sincero, e p e r motivi che trascendevano quelli politici. Di r i t o r n o dalla g u e r r a di Spagna, dov'era a n d a t o a espiare il «tradimento» del '21 - q u a n d o aveva parteggiato p e r i liberali in rivolta -, il re Carlo Felice, p e r riammetterlo alla successione, gli aveva fatto g i u r a r e che la Costituzione n o n l'avrebbe mai concessa. N o n si è mai saputo con esattezza se questo i m p e g n o egli lo avesse preso soltanto con Carlo Felice o n o n a n c h e - c o m e sostiene nelle sue m e m o r i e il G e n e r a l e Della Rocca - con l ' I m p e r a t o r e d'Austria. Ma che lo avesse p r e s o e se ne sentisse vincolato, è certo. Sicché q u a n d o s e p p e che a Napoli la Costituzione era un fatto c o m p i u t o , se ne disperò e scrisse al suo ministro Boreili che F e r d i n a n d o aveva rovinato l'Italia e che mai e poi mai egli ne avrebbe imitato il gesto. N e a n c h e Borelli amava la Costituzione. Ma si trovava alle p r e s e , s p e c i a l m e n t e a G e n o v a , con piazze in t u m u l t o , e aveva a b b a s t a n z a b u o n senso p e r c a p i r e che il P i e m o n t e , senza Costituzione, a v r e b b e p e r s o il suo p r i m a t o m o r a l e a vantaggio di Napoli. E questo, il 2 febbraio, a n d ò a d i r e al Re. Carlo Alberto si m o s t r ò intrattabile, e se la r i p r e s e con tutti. Diede di «traditore» a Cavour e di «mestatore» a D'Azeglio. Minacciò di abdicare. Anzi, volle subito avvertirne il p r i n c i p e Vittorio E m a n u e l e , il quale p r o t e s t ò d i c e n d o che lasciarlo in quelle peste n o n era un gesto da p a d r e ; ma che, se ci si fosse trovato, piuttosto che c h i a m a r e in soccorso un 152
esercito straniero come nel ' 2 1 , lui la Costituzione l'avrebbe data. Così riferisce C a s t a g n e t t e E se è v e r o , la risposta fa molto o n o r e a Vittorio E m a n u e l e . F i n a l m e n t e Carlo Alberto consentì a convocare p e r l'ind o m a n i un Consiglio dei Ministri. Tutti i c o m p o n e n t i - ad eccezione forse di Alfieri - e r a n o anticostituzionali. E p p u r e tutti, riecheggiando Borelli, p a r l a r o n o in favore della Costit u z i o n e . N o n c'era scelta, d i s s e r o : o c o n c e d e r l a , o farsela s t r a p p a r e d i m a n o d a u n a rivoluzione t r i o n f a n t e nell'esecrazione di tutta l'Italia. Il Re ascoltava, t e r r e o in volto. Alla fine rispose che voleva soltanto il b e n e del suo p o p o l o e che perciò gli p r e p a r a s s e r o un disegno di Statuto, ma n o n s'imp e g n ò ad a p p r o v a r l o . Disse che doveva i n t e r r o g a r e la sua coscienza e «lasciò il Consiglio in p r e d a a un p r o f o n d o turb a m e n t o » . Si a r r e s e d u e g i o r n i d o p o , a un altro Consiglio che d u r ò sette ore. Al «sacrificio» (così lo chiamò), pose solo d u e condizioni: c h e q u a l u n q u e g o v e r n o venisse p r e s c e l t o s'impegnasse a rispettare i diritti della Chiesa e l'onore della Dinastia. La notizia si diffuse p r i m a ancora che lo Statuto fosse firmato, e in un battibaleno le piazze di Torino, e p p o i di tutto il P i e m o n t e , e p p o i di tutto il R e a m e , si r i e m p i r o n o di folla esultante. Essa n o n conosceva il c o n t e n u t o del d o c u m e n t o che introduceva, sì, un r e g i m e r a p p r e s e n t a t i v o , ma circond a n d o l o delle m a g g i o r i c a u t e l e : la r e l i g i o n e cattolica era proclamata religione di Stato e la p e r s o n a del Re sacra e inviolabile; a lui, capo del p o t e r e esecutivo e di tutte le forze armate, competeva in esclusiva il diritto di dichiarare g u e r ra e pace e di sanzionare le leggi, che d u e C a m e r e - u n a di n o m i n a regia, l'altra designata da u n a ristrettissima categoria di elettori - a v r e b b e r o e l a b o r a t o ; la s t a m p a e r a libera, ma soggetta a leggi repressive, cioè n o n libera; l'unica vera libertà e r a quella concessa alla Giustizia grazie alla inamovibilità dei Magistrati. Ma n o n i m p o r t a . Più che del suo cont e n u t o , l a p u b b l i c a o p i n i o n e e r a i n n a m o r a t a della p a r o l a Costituzione, che aveva finito p e r assumere ai suoi occhi ma153
gici significati, e la salutava con luminarie, canti e b a n d i e r e . L'unico che n o n partecipava a t a n t a gioia e r a p r o p r i o colui al q u a l e s'indirizzavano gli o s a n n a della piazza. «Da q u e l g i o r n o - dice Della Rocca -, la tristezza si s t a m p ò p e r semp r e sul viso di Carlo Alberto.» Egli firmò il testo il 4 m a r z o , e lo p r o m u l g ò il 5. Si commosse q u a n d o Borelli, nel presentargli - c o m e voleva la n u o v a prassi costituzionale - le dimissioni sue e del Ministero, s'inginocchiò e gli baciò la m a n o : quell'omaggio era nel rituale del vecchio r e g i m e assolutistico e ne r a p p r e s e n t a v a l'addio. Il Re abbracciò con le lacrime agli occhi il vecchio u o m o , e d i e d e l'incarico di costituire il n u o v o g o v e r n o p r i m a a Sclopis, c h e r i n u n z i ò , poi a Balbo, s e b b e n e lo detestasse. Balbo voleva c h i a m a r e all'Istruzione Gioberti, ma capì che il Re, sebbene n o n lo dicesse, n o n lo avrebbe gradito, e n o n volle contrariarlo. Il Ministero si p r e s e n t a v a u g u a l m e n t e b e n e all'opinione pubblica con lui, l'autore delle Speranze d'Italia, alla Presidenza, e d u e genovesi - Ricci e Pareto - di b u o n a estrazione liberale. I p a t r i o t i g u a r d a v a n o di n u o v o al P i e m o n t e c o m e allo Stato-guida della penisola. Ma g u a r d a v a n o a n c h e a R o m a , d o v e s e g u i t a v a n o a succed e r n e di tutti i colori. II 2 gennaio, m e n t r e il Papa attraversava le vie del centro gremite di folla p l a u d e n t e , Ciceruacchio s'era installato d ' u n balzo sulla sua carrozza a g i t a n d o un cartello c o n la scritta: «Santo Padre, giustizia p e r il popolo, che è con Voi!» La folla aveva risposto con grida assordanti fra cui primeggiava quella di: «Viva Pio IX solo e ultimo!» Fu in q u e s t o clima che giunse la notizia della rivolta siciliana e della Costituzione a Napoli. Un i m m e n s o c o r t e o si diresse verso il Q u i r i n a l e e, insieme al grido di: «Non vogliamo più preti al governo!», si riudì quello di: «Viva Pio IX solo e ultimo!», che Pasolini definiva «spaventoso». Evocato al balcone, il Papa vi si affacciò e, d o p o le consuete formule propiziatorie, disse: «Talune grida, che n o n p a r t o n o dal seno del mio popolo, ma sono prof154
ferite da un picciol n u m e r o di gente ignota, n o n posso, n o n d e b b o , n o n voglio i n t e n d e r l e . Non posso, non debbo, non voglio!...» A q u e s t o p u n t o q u a l c u n o dice che la sua voce si spezzò, e ce n ' e r a di che. Era la p r i m a volta che un P a p a si m e t t e v a a t u p p e r t ù con la folla, e l'Ambasciatore francese scrisse: «Il Papa è ricorso a un r i m e d i o eroico, e p e r questa volta sarà esaudito. Ma guai se tornasse a s c e n d e r e in polemica con la piazza: il suo prestigio sarebbe finito». A m e t à febbraio fu varato un n u o v o g o v e r n o che, dal n o me del suo e s p o n e n t e più prestigioso, fu chiamato «Ministero Pasolini» e in cui figuravano d u e e m i n e n t i liberali emiliani: Marco Minghetti e Luigi Carlo Farini. Ma n e m m e n o la loro p r e s e n z a riuscì a d a r e un p o ' di funzionalità a quell'arrugginita macchina amministrativa. Della sua burocrazia di M o n s i g n o r i , Pasolini scriveva all'amico G a m b a : «Io n o n so c r e d e r e alla malafede, ma l'ignoranza e la stupidità sono tali, che s t a n c h e r e b b e r o q u a l u n q u e pazienza: che si fa a gente che n o n dice né sì né no? Io b a t t e r ò ancora, ma o r m a i il p r e sente bisogna a b b a n d o n a r l o alla v e n t u r a , n o n è da p e n s a r e che alla Costituzione...» Tutti ci p e n s a v a n o , a n c h e il P a p a o r m a i trascinato dalla folla. Egli ne d e l e g ò il p r o g e t t o a un C o n c i s t o r o s e g r e t o , e s c l u d e n d o n e assolutamente i ministri laici. I n v a n o Pasolini e Minghetti ne chiesero ragguagli. Il Papa e i suoi Cardinali vollero fare di testa loro, c h ' e r a u n a testa assolutamente imp e r m e a b i l e a o g n i idea di r a p p r e s e n t a t i v i t à democratica, e lo si vide d a l testo, q u a n d o a m e t à m a r z o fu r e s o n o t o . Si c o m p o n e v a di sessantanove articoli, o g n u n o dei quali smentiva il p r e c e d e n t e . U n o diceva c h e l'iniziativa delle leggi spettava a d u e C a m e r e o Consigli, un altro diceva che il Papa e il C o n c i s t o r o s e g r e t o p o t e v a n o rifiutarle. U n o diceva che la c e n s u r a governativa e r a abolita, un altro confermava quella canonica. Tutte le relazioni diplomatico-religiose della S a n t a S e d e , cioè in p r a t i c a t u t t a la politica e s t e r a , e r a c o m p e t e n z a esclusiva d e l P a p a : i Consigli n o n p o t e v a n o n e m m e n o discuterla. I n s o m m a e r a , c o m e diceva Farini, la 155
conferma costituzionale del più incostituzionale dei regimi, in cui l'ultima parola, su o g n i materia, restava a un Concistoro s e g r e t o , c h e n o n d o v e v a n e m m e n o r e n d e r r a g i o n e delle sue decisioni. Ma tale e r a la m a g i a della p a r o l a Costituzione, c h e quasi nessuno se n'accorse, e la sua p r o m u l g a z i o n e fu salutata da grandiose manifestazioni di folla. Solo ad Ancona e a Bologna ci furono voci di dissenso, ma la gente le attribuì a p r o vocatori guastafeste. D o p o aver d a t o l e t t u r a di q u e l d o c u m e n t o agli altri Ministri laici, che si g u a r d a v a n o fra loro allibiti, Pasolini disse che c e r t a m e n t e esso n o n e r a q u a n t o di meglio si fosse sperato, ma che i n s o m m a , nella storia del Pap a t o , u n Pontefice r e g n a n t e con l o Statuto r a p p r e s e n t a v a u n a bella novità. Minghetti aggiunse che in quelle circostanze n o n restava che «piegare il capo», e infatti n i e n t ' a l t r o si poteva fare: m u n i t o dei s a c r a m e n t a l i sigilli, q u e l testo e r a ormai legge. E questo faceva sì che tutta l'Italia potesse considerarsi, almeno formalmente, «promossa» al r e g i m e costituzionale, m e n o il Lombardo-Veneto e i d u e Ducati centrali di M o d e n a e Parma, tuttora fedeli al sistema di Metternich. Ma Metternich in quel m o m e n t o cadeva.
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CAPITOLO QUINDICESIMO
C A T T A N E O E LE « C I N Q U E GIORNATE»
A Milano, la notizia della c a d u t a di Metternich giunse cont e m p o r a n e a m e n t e a quella dei moti di Venezia. L'unico che ne fosse già stato informato p e r c o r r i e r e segreto era il viceré Ranieri, che alla chetichella aveva lasciato la città p e r accorr e r e a Vienna. Lo sviluppo e il trionfo del m o t o costituzionale nel resto d'Italia e le barricate di Parigi avevano provocato un vivo f e r m e n t o fra i l o m b a r d i , o meglio lo a v e v a n o reso p i ù acuto p e r c h é nell'ultimo a n n o n o n si e r a mai placato. Animato da Cesare C o r r e n t i , da Tenca, da M a n a r a , dai fratelli D a n d o l o , u n a specie di consiglio rivoluzionario sedeva in p e r m a n e n z a , deciso a sfruttare ogni occasione. Nella n o t t e fra il 17 e il 18 m a r z o esso stilò e fece s t a m p a r e un p r o c l a m a in cui si c h i e d e v a l ' i m m e d i a t a istituzione di u n a Reggenza, l'abolizione della polizia politica e della censura, la convocazione di un consiglio di g o v e r n o e la formazione di u n a G u a r d i a Civica. Tutta la popolazione e r a chiamata a raccolta p e r l'indomani fra San Babila e San Carlo: «Il destino d'Italia è nelle n o s t r e m a n i : un g i o r n o p u ò d e c i d e r e la sorte d ' u n secolo. Offriamo pace, ma n o n t e m i a m o la g u e r ra» t e r m i n a v a l'appello. I n assenza del g o v e r n a t o r e Spaur, p a r t i t o a n c h e lui p e r V i e n n a , il s u o vice O ' D o n n e l c e r c ò di n e u t r a l i z z a r e q u e l b a n d o con un altro b a n d o in cui si a n n u n z i a v a la decisione p r e s a d a l l ' I m p e r a t o r e , d o p o l ' a l l o n t a n a m e n t o del Cancelliere, di d a r e a tutte le varie nazionalità d e l l ' I m p e r o , comp r e s e q u e l l e italiane, u n a m a g g i o r e a u t o n o m i a . « T r o p p o tardi!» urlò la folla che si stava minacciosamente ammassando nel luogo c o n v e n u t o . O ' D o n n e l informò il p o d e s t à Casa157
ti c h e in quelle circostanze n o n gli restava c h e o r d i n a r e a Radetzky la p r o c l a m a z i o n e dello stato d'assedio e l'occupazione militare della città. Casati rispose che quello era il m o do più sicuro di precipitare u n a rivolta che si poteva ancora evitare, e O ' D o n n e l se ne lasciò p e r s u a d e r e , ma ebbe subito d i c h e r i m p i a n g e r l o . U n g r u p p o d i d i m o s t r a n t i assaltò l a sua r e s i d e n z a d i s a r m a n d o n e e i m m o b i l i z z a n d o n e le g u a r die, e p r e s e prigioniero l'austriaco che si e r a r i n t a n a t o in un gabinetto. Per sua f o r t u n a Casati e l'arcivescovo Romilli sop r a g g i u n s e r o a s o t t r a r l o a q u e l l ' i n c o m o d a situazione, ma poco altro p o t e r o n o p e r c h é di fatto e r a n o anch'essi prigionieri della folla che li aveva seguiti fin lì. Essa reclamava l'acc o g l i m e n t o i m m e d i a t o delle richieste a v a n z a t e nel proclam a , e siccome O ' D o n n e l esitava, un g i o v a n o t t o vestito in frack, Cernuschi, r e d u c e e v i d e n t e m e n t e da qualche festa, lo p r e s e p e r il collo e lo trascinò alla finestra p e r c h é si r e n d e s se conto di cosa c'era sotto. C'era u n a m a r e g g i a t a di g e n t e c h e u r l a v a minacciosa: «Abbasso la polizia, v o g l i a m o la G u a r d i a Civica!» Pallido e t r e m a n t e , O ' D o n n e l i n t o n ò la sua voce al c o r o , e lì sul d a v a n z a l e firmò il d e c r e t o c h e Casati aveva b u t t a t o giù s e d u t a stante. All'assessore Bellati fu affidata la d i r e z i o n e della n u o v a polizia col m a n d a t o di prelevare dall'odiato T o r r e s a n i t u t t o l ' a r m a m e n t o di quella vecchia, e a Belgioioso fu d a t o l'incarico di a r r u o l a r e la G u a r dia Civica. Q u a n d o Radetzky s e p p e che O ' D o n n e l e r a p r i g i o n i e r o , trasse un respiro di sollievo. E r a furente c o n t r o di lui p e r il divieto che gli aveva fatto di o c c u p a r e la città. O r a che n o n aveva più da a s p e t t a r n e e r i s p e t t a r n e gli ordini, poteva agire di sua testa, c h ' e r a la testa d ' u n soldato. Dalla sua casa di Via B r e r a si trasferì con tutto lo Stato Maggiore nel Castello Sforzesco e fece s p a r a r e col c a n n o n e la salva d ' a l l a r m e alle guarnigioni. Ma era in r i t a r d o sugli eventi p e r c h é i combattimenti e r a n o già cominciati d o v u n q u e i dimostranti avessero i n c o n t r a t o soldati austriaci. N e s s u n o s a p r à m a i se ad a p r i r e il fuoco f u r o n o i p r i m i o secondi, e del resto la cosa 158
h a poca i m p o r t a n z a . Stavolta n o n e r a u n t u m u l t o ; e r a u n a rivoluzione che r e n d e v a inevitabile il sangue. C o m p o s t a di nobili e di borghesi nei quali il patriottismo conviveva con u n a b u o n a dose di conservatorismo, la Cong r e g a z i o n e , cioè il Consiglio M u n i c i p a l e , fece un u l t i m o sforzo p e r stornare u n a tempesta p o p o l a r e da cui si sentiva essa stessa minacciata. Lanciò un b a n d o agl'insorti invitandoli ad astenersi dai disordini «che ad altro n o n p o t r e b b e r o c o n d u r r e se n o n a u n a inevitabile strage», e inviò un messaggio a Radetzky a p p e l l a n d o s i ai suoi s e n t i m e n t i di u m a nità. Il Maresciallo rispose che se i milanesi n o n d e p o n e v a no i m m e d i a t a m e n t e le armi, egli avrebbe lanciato sulla città i suoi c e n t o m i l a u o m i n i e l ' a v r e b b e b o m b a r d a t a coi suoi d u e c e n t o c a n n o n i . Q u a n t o ai milanesi, n o n risposero n e m m e n o : si d i e d e r o a costruire barricate. Sul far della sera un d i s t a c c a m e n t o a u s t r i a c o assalì ed e s p u g n ò i l M u n i c i p i o p r e n d e n d o p r i g i o n i e r i tutti c o l o r o che vi si trovavano e trasferendoli in un sotterraneo del Castello. C ' e r a n o alcuni assessori, il vecchio g e n e r a l e Lechi, un figlio di Manzoni e alcuni altri. Ma n o n c'erano né Casati, che Radetzky considerava - a torto - l'ispiratore della rivolta, né O ' D o n n e l che aveva s p e r a t o di l i b e r a r e . Tuttavia egli credette di aver reciso «il n e r v o capitale dell'insurrezione», e questo fu l'annunzio che d i e d e a Vienna. Ma si sbagliava di grosso. Il «nervo capitale» n o n poteva essere reciso p e r c h é , p e r il m o m e n t o , n o n c'era. La rivoluzione si p r o p a g a v a p e r c o n t a g i o di q u a r t i e r e in q u a r t i e r e , o b b e d e n d o solo a se stessa. I n v a n o il «Comitato Centrale» che quella notte si costituì, in u n a casa di Via Bigli, i n t o r n o al podestà Casati, lanciava appelli agl'insorti p e r riprenderne il controllo. Gl'insorti n o n d a v a n o r e t t a a n e s s u n o . Entravano nei palazzi e li svuotavano di t u t t o p e r costruire le loro b a r r i c a t e . Svaligiarono p e r f i n o la p i ù bella galleria di armi antiche, quella di U b o l d o , e fra i g r i d i di «Morte agli austriaci!» si traudiva a n c h e quello di «Morte ai sciuri!» m o r te ai signori, che atterriva i m e m b r i del Comitato. 159
Fu, tra quegli u o m i n i , un febbrile e concitato susseguirsi d'iniziative e di p r o p o s t e , sotto gli occhi a t t o n i t i di d u e ostaggi di lusso: il solito O ' D o n n e l o r m a i rassegnato alla sua p a r t e di p r e d a bellica, e Giuditta Meregalli, l'amante di Radetzky specialista in gnocchi di p a t a t e , che gl'insorti avevano arrestato. E alla fine u n ' i d e a uscì: un messaggio a Carlo Alberto, che accorresse col suo esercito a s g o m b r a r e la città n o n solo dagli austriaci, ma a n c h e dalle b a r r i c a t e . Il conte M a r t i n i aveva già, di sua testa, p r e s o c o n t a t t o con T o r i n o . Di rincalzo a lui, si decise di m a n d a r e il conte Arese, che riuscì a lasciare Milano p o c h e o r e p r i m a che Radetzky ne bloccasse tutte le p o r t e . Ma n o n tutti e r a n o d'accordo su queste m a n o v r e . I l g r u p p o p i ù r i s o l u t o , q u e l l o d e i M a n a r a , dei D a n d o l o , dei C e r n u s c h i , dei T e r z a g h i , dei Clerici che, vol e n d o v e r a m e n t e la rivoluzione, e r a n o p r o n t i a sfidarne anche i rischi e le incognite, istituirono un «Consiglio di guerra» che, sia p u r e concepito c o m e braccio militare del Comitato, di fatto ne diventò l'antagonista. E ad emergervi fu un u o m o c h e f i n allora e r a r i m a s t o p i u t t o s t o sulle s u e : Carlo Cattaneo. Era un o r i u n d o della Val B r e m b a n a , dove cattano vuol dire «Capitano»: e v i d e n t e m e n t e nelle sue ascendenze ci dovevan o e s s e r e degli u o m i n i d ' a r m e . M a s u o p a d r e , c h ' e r a u n orefice, sperava di far di lui un p r e t e . Il ragazzo studiò benissimo, ma in seminario n o n volle entrarci, n e m m e n o dopo che il g o v e r n o gli ebbe rifiutato un posto gratuito nel collegio Ghislieri di Pavia. S'iscrisse u g u a l m e n t e all'Università, p e r mantenercisi assunse un posto d ' i n s e g n a n t e nelle scuole municipali, e p r e s e u n a brillante l a u r e a in L e g g e , ma si rifiutò di far l'avvocato. «Non ho il genio della lite» diceva. Del Diritto, gli restava soltanto il culto di chi gliel'aveva ins e g n a t o : D o m e n i c o R o m a g n o s i , il f o r m a t o r e di t a n t e coiscienze italiane, cui rimase p e r s e m p r e devoto. C o m e lui, preferì seguitare a insegnare, sia p u r e in disar giatissime condizioni. Lo s t i p e n d i o e r a di fame, nelle aule 160
prive di riscaldamento il t e r m o m e t r o segnava a n c h e 12 sotto zero, e fu qui infatti ch'egli contrasse la malattia r e u m a t i ca che doveva tribolarlo p e r tutta la vita. Ma la scuola era la sua passione, il suo sacerdozio, e a n c h e la sua palestra rivoluzionaria. Fra gl'intellettuali del suo t e m p o , Cattaneo faceva infatti razza a sé. N o n si e r a mai iscritto né a u n a loggia massonica, né a u n a vendita c a r b o n a r a , e n o n c o n d i v i d e v a nessuna delle g r a n d i illusioni dei suoi coetanei: né quella di Mazzini i n u n m o t o p o p o l a r e , n é quella d i Gioberti i n u n a Chiesa r i g e n e r a t r i c e , né quella di Balbo e di D'Azeglio in u n a iniziativa sabauda. Secondo lui, l'Italia n o n si poteva fare, se p r i m a n o n si facevano gl'italiani, elevando il loro livello m o r a l e e culturale. Scacciare dall'Italia l'Austria p e r darla in a p p a l t o a un P i e m o n t e p i ù r e t r i v o dell'Austria, p e r lui n o n aveva senso. L'indipendenza n o n e r a un t r a g u a r d o . Essa sarebbe v e n u t a come inevitabile corollario di un p r o g r e s so civile che desse agl'italiani la coscienza di essere italiani e la ferma volontà di affermarsi c o m e tali. Tutto questo poteva succedere a n c h e sotto il d o m i n i o dell'Austria, se l'Austria si fosse decisa a c o n c e d e r e alle sue province italiane, c o m e a quelle slave e tedesche che facevano p a r t e del suo I m p e r o , a d e g u a t i diritti di a u t o d e c i s i o n e e a u t o g o v e r n o , cioè se si fosse t r a s f o r m a t a in un commonwealth. S e c o n d o C a t t a n e o , l'Austria ne e r a capace molto p i ù di q u a n t o n o n lo fossero la Francia, fossilizzata nel suo centralismo («Si chiami R e p u b blica o R e g n o - diceva -, è c o m p o s t a da 86 m o n a r c h i e che h a n n o un unico re a Parigi») e della G e r m a n i a , questa «sacerdotessa della servitù». L ' i m p e g n o degl'intellettuali, s e c o n d o lui, n o n e r a d u n que la cospirazione, ma un apostolato educativo, del quale forniva egli stesso il p i ù l u m i n o s o e s e m p i o sia c o m e inseg n a n t e c h e c o m e giornalista. Per p r o p a g a r e le s u e i d e e e sollecitarne la realizzazione, aveva f o n d a t o un p e r i o d i c o il cui p r o g r a m m a e r a già sottinteso nel titolo, // Politecnico. Per d i s a r m a r e la c e n s u r a , si autodefiniva « R e p e r t o r i o mensile di studi applicati alla p r o s p e r i t à e cultura sociale», e n o n vi 161
trasgrediva. Gentile dice che negli studi economici e scientif i c i C a t t a n e o s t a m p ò o r m e p r o f o n d e , m a «fu u n dilettante d i f i l o s o f i a , n o n u n f i l o s o f o » . I n realtà n o n s i v e d e p e r c h é avrebbe d o v u t o esserlo, visto che n o n se lo p r o p o n e v a : «Tutta la filosofia - diceva - sta in d u e parole: Sii un uomo» che, tutto s o m m a t o , ci s e m b r a a n c o r a la definizione migliore. E n e s s u n o p u ò negargli di aver anticipato il positivismo, che sarà m a g a r i cattiva filosofia, ma è anch'esso filosofia, e svolse u n a sua s a l u t a r e f u n z i o n e c o m e a n t i d o t o a certi cattivi vezzi del p e n s i e r o italiano. Era p r o p r i o q u e s t ' o r i e n t a m e n t o positivista a far di lui un formidabile divulgatore. Della lett e r a t u r a c o n t e m p o r a n e a italiana, rifiutava tutto, o quasi tutto: la trovava bolsa e retorica (qual era) ad eccezione di Galileo, di cui a m m i r a v a l'asciuttezza e concretezza. L'efficacia del suo stile stava p r o p r i o nel fatto che n o n si p o n e v a p r o blemi di stile. Mirava solo a dire con la massima semplicità e chiarezza ciò che voleva dire in fatto di agricoltura, finanza, industrializzazione, canalizzazione, strade, ferrovie, p e r c h é i suoi temi e r a n o s o p r a t t u t t o questi. Dell'Italia n o n parlava mai, e n o n soltanto p e r sottrarsi agli artigli della c e n s u r a . Checché ne dicano i suoi apologeti a posteriori, io c r e d o che l'Italia p e r lui fosse s o p r a t t u t t o , se n o n e s c l u s i v a m e n t e , la L o m b a r d i a ; e mi p a r e che lo confermi il p r o g r a m m a federalistico, che poi sviluppò. Del resto, l'Italia n o n la conosceva, e ne mostrava poca curiosità. Conosceva molto meglio la Svizzera, di cui a m m i r a v a le a u t o n o m i e locali, ed e r a imbev u t o di c u l t u r a inglese, di cui lo s e d u c e v a lo spirito sperimentale e pragmatico. Prima che a formare u n a nazione, s e c o n d o lui, bisognava b a d a r e a r i f o r m a r e la società, cioè a darle delle s t r u t t u r e civili. E fu la difesa di queste tesi a fare di lui il vero p a d r e della sociologia italiana. Ma, oltre c h e in queste idee, la sua singolarità stava nel suo c a r a t t e r e di «italiano antico» c o m e dice g i u s t a m e n t e Gentile: semplice, i n t e g r o , frugale, nemico di ogni ostentar zione ed esibizionismo. Esso si rispecchiava a n c h e nel fisico di b i o n d o atleta, che fece girar la testa a u n a ragazza inglese 162
di nobili lombi, d i s c e n d e n t e p e r p a r t e di m a d r e da Milton. N o n o s t a n t e l'opposizione della famiglia, essa lo sposò, condivise con orgoglio la modestia della sua condizione economica e sociale, e fu il suo sostegno nei m o m e n t i difficili. Q u a n d o scoppiò la rivolta, Cattaneo ci vide soltanto l'occasione p e r d a r e avvìo a un quotidiano che con maggiore efficacia e continuità diffondesse le sue idee, e che nelle sue intenzioni d o v e v a c h i a m a r s i n o n L'Italiano, c o m e q u a l c u n o p r o p o n e v a , ma // Cisalpino, e la scelta di questo titolo è signif i c a t i v a . A l l ' i n s u r r e z i o n e attribuiva u n c a r a t t e r e soltanto l o m b a r d o , voleva che lo conservasse, ma n o n credeva affatto nei suoi metodi. Buttò giù il p r i m o articolo in cui sosteneva la sua vecchia tesi c h e cacciar l'Austria con le b a r r i c a t e e r a impossibile: al suo esercito bisognava c o n t r a p p o r r e un altro esercito, cioè u n a milizia cittadina. E a n d ò a portarlo in tipografia. Per s t r a d a i n c o n t r ò un amico che gli chiese cosa intendeva fare. «Nulla - rispose -. Q u a n d o i ragazzi scendono in piazza, gli uomini v a n n o a casa.» Ma a casa lo raggiunsero Cernuschi, Dandolo, Bertani e molti altri a sollecitare la sua collaborazione. C a t t a n e o esitò. Si sentiva vocato p i ù a u n a parte di suggeritore che di attore, e n o n credeva nel successo. «Con c h e forze - rispose - volete assalire u n a massa di ventimila uomini, che n o n desidera altro che di fare un macello?» E p p o i diffidava di Casati che - disse - «vuol far la rivoluzione d'accordo con l'Imperatore», ma il giorno in cui si accorgerà ch'è impossibile, «vi farà mitragliare tutti». A fargli c a m b i a r e i d e a f u r o n o i fatti. U n a volta scesi in piazza, «i ragazzi» si c o m p o r t a v a n o da u o m i n i , e che u o m i ni! Sebbene n o n avessero in tutto che q u a t t r o c e n t o fucili da caccia, alcune pistole e le vecchie s p a d e e alabarde saccheggiate nel m u s e o U b o l d o , stavano s n i d a n d o i ventimila austriaci - che p o i e r a n o quattordicimila - dalle case in cui si erano asserragliati e respingendoli verso la periferia. «I gioe n di Milan - h a n c o m i n c i a ' la g u e r r a - col fazzoletto in man» cantavano a squarciagola sotto la pioggia battente e le Pallottole che battevano a n c o r a più della pioggia. v
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T u t t o q u e s t o d o v e t t e farlo riflettere. N o n si e r a forse sbagliato nel s o s t e n e r e c h e u n a r i v o l u z i o n e n o n si p o t e v a fare senza un esercito e c h e un esercito n o n si poteva fare senza u n a società in g r a d o di organizzarlo a p r e s i d i o delle p r o p r i e civili istituzioni? I m i l a n e s i s t a v a n o d i m o s t r a n d o c h e q u e s t a logica a n d a v a invertita: solo con le b a r r i c a t e si p o t e v a n o c o n q u i s t a r e delle l i b e r e e civili istituzioni, c h e a v r e b b e r o consentito a n c h e la formazione di un esercito. E o r a a v e v a n o b i s o g n o di capi c h e li g u i d a s s e r o a p p u n t o su questa strada. N o n sappiamo se i suoi pensieri e r a n o questi, ma egli agì c o m e se lo fossero. Del t u t t o d i m e n t i c o d e l Cisalpino, che n o n vide mai la luce, il 20 egli si trasferì nel q u a r t i e r generale di Via Bigli, e subito la sua parola pesò c o m e quella di un capo. Si stava discutendo se fosse il caso di costituire un governo provvisorio, i p a r e r i e r a n o discordi, Casati esitava. C a t t a n e o riassunse i t e r m i n i del p r o b l e m a senza tanti complimenti. Se in questo g o v e r n o - disse - includiamo le personalità p i ù in vista, c h e s o n o p o i i c o r t i g i a n i c h e fin qui h a n n o servito l'Austria (l'allusione a Casati e r a c h i a r a ) , i c o m b a t t e n t i se ne s e n t i r e b b e r o offesi. Se le e s c l u d i a m o , si dà l'impressione ch'esse p a r t e g g i n o col nemico: il che forse è vero, ma n o n deve t r a p e l a r e . Contentiamoci di un Consiglio di G u e r r a , composto di pochi u o m i n i , ma i più risoluti. E il più risoluto di tutti o r m a i e r a lui. I c o m b a t t e n t i s e n t i r o n o subito c h e la rivolta aveva trovato un cervello, e ne accettarono le direttive. Esse venivano dir a m a t e d'ora in o r a sotto forma di comunicati e p o r t a t e sulle barricate dai martinitt, i ragazzi dell'orfanotrofio, che poi t o r n a v a n o con le notizie. Fra queste notizie, la m a t t i n a del 20, ci fu a n c h e quella della c a t t u r a del c o n t e Bolza, il p i ù esecrato aguzzino della polizia austriaca. A coloro che lo ten e v a n o in consegna, Cattaneo m a n d ò a dire: «Se lo a m m a z zate, fate cosa giusta. Se lo risparmiate, fate cosa santa». Lo risparmiarono. 164
A m e z z o g i o r n o si p r e s e n t ò un M a g g i o r e croato. Veniva da p a r t e di Radetzky a p r o p o r r e un armistizio di quindici giorni. Casati rispose subito di sì. C a t t a n e o rispose subito di n o . Perché - disse - d a r e agli austriaci il t e m p o di diventare centomila, di s o r p r e n d e r c i nei nostri letti e d'impiccarci? Il Maggiore rispose i n d i g n a t o che il Maresciallo era un u o m o d ' o n o r e . Lui sì - ribatté C a t t a n e o -, ma la sua polizia n o . Accigliato e con «volto tetro», Casati chiese la convocazione del Comitato, dove la discussione diventò alterco, ma C a t t a n e o m a n t e n n e e riuscì a i m p o r r e il suo rifiuto. N e l d a r n e notizia al M a g g i o r e che aspettava, Casati gli fece cap i r e la sua contrarietà, ma il Maggiore n o n d i m o s t r ò di a p p r e z z a r e il suo gesto. Disse, c o n g e d a n d o s i : «Addio, brava e valorosa gente!» La notizia del respinto armistizio v e n n e i m m e d i a t a m e n te p o r t a t a sulle millesettecento b a r r i c a t e che i n t a s a v a n o la città, a rianimarvi la fiducia e l'entusiasmo. L u n g i dal difendersi, gl'insorti passavano all'offensiva p e r a p r i r e u n a delle p o r t e p r e s i d i a t e dal n e m i c o e c o n s e n t i r n e il varco alle col o n n e di volontari che stavano a c c o r r e n d o dalla Valtellina e dalla Brianza. C o n l'acqua alla gola, Radetzky a n n u n z i ò il b o m b a r d a m e n t o , e i Consoli s t r a n i e r i si p r e c i p i t a r o n o da lui p e r farlo r e c e d e r e da quel p r o p o s i t o che in realtà era solt a n t o u n a minaccia. Il Maresciallo accondiscese a u n a t r e g u a di tre giorni, e i Consoli v e n n e r o a riferire la p r o p o s t a al Comitato. Ancora u n a volta Casati disse di sì, ancora u n a volta Cattaneo disse di n o , e vinse. Fu, tra i d u e , la seconda r o t t u r a . Ma ora stava p e r s o p r a g g i u n g e r n e u n a terza, molto più p r o f o n d a , anzi irreparabile. Il conte Martini era in arrivo da Torino. Aveva visto Carlo Alberto che n o n aveva voluto p r e n d e r e precisi i m p e g n i , ma recava u n a lettera di u n o dei suoi più intimi confidenti, Castagnetto, il quale diceva che il Re e r a p r o n t o ad accorrere a Milano p e r d a r e m a n forte agli insorti, ma a condizione che costoro gliene facessero formale invito. Era p r o p r i o quello che volevano Casati e gli altri m o d e 165
rati del Comitato p e r trarsi dalle peste. C'è chi dice che avevano p i ù p a u r a della rivoluzione che dell'Austria. Forse avev a n o p a u r a di e n t r a m b e . Per mentalità, e d u c a z i o n e , tradizione, con le barricate n o n p o t e v a n o simpatizzare. Ma forse e r a n o a n c h e convinti che senza l'esercito p i e m o n t e s e nulla si potesse fare. Il loro sì fu entusiastico, e u n o di loro si mise subito a stilare un appello a Carlo Alberto, da far firmare ai cittadini più autorevoli. Ma ancora u n a volta Cattaneo gli fermò la m a n o , e questo terzo no gli valse animosità condite di sarcasmi. Dissero c h e lo faceva p e r esibizionismo, p e r p a s s a r e alla Storia a braccetto di L e o n i d a e Pier C a p p o n i , autori anch'essi di d u e celebri no. Ma lui n o n se ne d e t t e p e r inteso. In questo mom e n t o , disse con la sua solita s t r i n g e n t e logica, siamo pad r o n i del nostro destino. Perché alienarlo, affidandolo senza n e s s u n a garanzia nelle m a n i di un Principe che già u n a volta t r a d ì il p o p o l o milanese e lo a b b a n d o n ò alla v e n d e t t a austriaca? Prima finiamola col nemico, poi v e d r e m o come e c o n chi ci si d e v e i n t e n d e r e . Gli o b b i e t t a r o n o c h e Milano aveva iniziato la sua rivoluzione appellandosi all'Italia perché c o r r e s s e in suo aiuto e ne seguisse l ' e s e m p i o . E il Piem o n t e n o n e r a forse Italia? Benissimo, rispose C a t t a n e o , n o n ci resta che ribadire questa nostra posizione. E stilò di suo p u g n o q u e s t o s c h e m a di a p p e l l o : «La città è dei combattenti che l ' h a n n o conquistata. N o n possiamo richiamarli dalle b a r r i c a t e p e r d e l i b e r a r e . Noi b a t t i a m o n o t t e e g i o r n o le c a m p a n e p e r c h i a m a r e aiuto. Se il P i e m o n t e a c c o r r e gen e r o s a m e n t e , avrà la g r a t i t u d i n e dei g e n e r o s i d ' o g n i opinione. La parola gratitudine è la sola che possa far tacere la parola repubblica, e riunirci in un solo volere». Dal canto suo, C e r n u s c h i aveva r e d a t t o u n altro p r o c l a m a p r e s s a p p o c o nello stesso stile e con le m e d e s i m e riserve: «La città di Milano, p e r c o m p i e r e la sua vittoria e cacciare al di là delle Alpi il c o m u n e nemico, d o m a n d a il soccorso di tutti i popoli e Principi italiani, e s p e c i a l m e n t e del vicino e bellicoso Piemonte». 166
Anche se C a t t a n e o e i suoi e r a n o in m i n o r a n z a , s m o n t a r e la loro opposizione era diffìcile. P r o p r i o quella sera - ed e r a la q u a r t a c h e si c o m b a t t e v a - l ' i n t r e p i d o M a n a r a d a v a la spallata all'ultimo bastione della resistenza austriaca, Porta Tosa, e fra gli altri trofei di vittoria gl'insorti s ' i m p a d r o n i r o no anche, d o p o averne e s p u g n a t o l'abitazione privata, della s p a d a di Radetzky, di cui fu fatto d o n o a C a t t a n e o , e fu il suo solo profìtto di g u e r r a . La resistenza austriaca e r a allo stremo, e il Maresciallo scriveva nel suo diario: «Questa è la più terribile decisione della mia vita: m a n o n posso t e n e r più a l u n g o Milano. Tutto il Paese è in rivolta». Lo diceva in base ai r a p p o r t i che gli g i u n g e v a n o dall'int e r n o , e s p e c i a l m e n t e da Venezia. Q u i , M a n i n aveva fatto tutto da sé. Alle p r i m e notizie delle barricate di Milano, aveva convocato l'embrione di G u a r d i a Civica che si stava organ i z z a n d o , e con essa aveva o c c u p a t o l'Arsenale, d e p o s i t o delle a r m i austriache, al grido di: «Viva la Repubblica di San Marco!» Il p o d e s t à C o r r e r - il Casati di Venezia - lo aveva accusato di avventatezza, e T o m m a s e o a d d i r i t t u r a di stordit a g g i n e . Essi p r o p e n d e v a n o p e r soluzioni p i ù p r u d e n t i : p r o c l a m a r e Re costituzionale il viceré Ranieri p e r tranquillizzare Vienna, o mettersi sotto la protezione di Carlo Alberto appellandosi a lui. Ma Manin travolse queste obbiezioni a furor di piazza, a i u t a t o a n c h e d a l l ' a r r e n d e v o l e z z a d e l gov e r n a t o r e Palffy e del c o m a n d a n t e militare Zichy, che n o n era intagliato nel legno di Radetzky. Essi finirono p e r accettare t u t t o e c e d e t t e r o i loro p o t e r i a un g o v e r n o provvisorio, di cui Manin fu il Presidente e l'anima. Esso si p r o c l a m ò senza perifrasi repubblicano e innalzò il vessillo tricolore accoppiato con l ' e m b l e m a di San Marco. T u t t o e r a a v v e n u t o quasi senza s a n g u e . L'unico m o r t o e r a stato un colonnello d a l m a t a c h e aveva cercato di o p p o r s i all'occupazione dell'Arsenale. Queste notizie n o n arrivavano solo a Radetzky. Arrivavano a n c h e a g l ' i n s o r t i milanesi e s a l t a n d o n e lo slancio, e al Consiglio di G u e r r a rafforzandone la decisione e l'autorità. 167
Per a g g i r a r n e l'opposizione a Carlo Alberto, n o n c'era che un m o d o : istituire a n c h e a Milano un g o v e r n o provvisorio, cui il Consiglio di G u e r r a fosse t e n u t o a sottomettersi. Gli amici di Cattaneo lo sollecitarono ad avanzare la sua candid a t u r a ; ma C a t t a n e o rifiutò in favore di Litta. Lo fece p e r ritrosia, p e r refrattarietà alla p a r t e di protagonista, p e r fed e l t à alla sua vocazione d i s u g g e r i t o r e . M a c o m m i s e u n grosso sbaglio. Litta n o n aveva il suo prestigio, e nella corsa alla P r e s i d e n z a fu b a t t u t o da Casati, c h e oltre t u t t o vi e r a più qualificato dalla sua carica di Podestà. La vittoria di Casati fu un fatto decisivo p e r allora e p e r l'avvenire. Voleva d i r e che la rivoluzione rinunziava a «fare da sé» e affidava i p r o p r i destini al Re del Piemonte, al suo esercito, alla sua diplomazia. Forse n o n c'era altro da fare. Se Radetzky si ritirava, era solo p e r raccogliere i suoi centomila u o m i n i e seicento cannoni, cui le barricate n o n potevano far fronte. Ma Cattaneo g u a r d a v a più in là. Era convinto che se fare l'Italia con le barricate e r a difficile, farla con l'esercito d i C a r l o A l b e r t o e r a inutile p e r c h é e r a u n mastice che n o n reggeva. Casati diceva di C a t t a n e o c h ' e r a u n a «canaglia» p r o n t a a sacrificare l'idea di Patria a quella di p a r t e . C a t t a n e o diceva di Casati c h ' e r a «un ciambellano p r o n t o a farsi i n d u e p e r servire c o n t e m p o r a n e a m e n t e l a C o r t e d i V i e n n a e quella di Torino». Avevano torto e n t r a m b i . Ma il loro conflitto era fatale. Il g o v e r n o provvisorio si g u a r d ò b e n e dal rivelare subito le sue intenzioni. Nel suo p r i m o p r o c l a m a (del '22) diceva: «Finché d u r a la lotta, n o n è o p p o r t u n o di m e t t e r e in c a m p o opinioni sui futuri destini politici di questa nostra carissima p a t r i a . Noi siamo chiamati, p e r o r a , a c o n q u i s t a r n e l'indip e n d e n z a , e i b u o n i cittadini di null'altro d e v o n o adesso occuparsi che di combattere: a causa vinta, i nostri destini sar a n n o discussi e fissati dalla Nazione». Di P i e m o n t e e di Monarchia, n e m m e n o u n a parola. Casati sapeva benissimo che il n o m e di Carlo Alberto, sulle b a r r i c a t e , e r a t u t t ' a l t r o che p o p o l a r e . Un m e s s a g g i o p e r lui fu affidato sotto b a n c o a 168
M a r t i n i , c h e p e r d u e volte t e n t ò d i uscire d a Milano, p e r d u e volte fu arrestato dagl'insorti come spia, ma finalmente riuscì a recapitarlo. In quel m o m e n t o il Consiglio di G u e r ra, d i v e n t a t o C o m i t a t o alle d i p e n d e n z e del g o v e r n o , stendeva il consuntivo delle C i n q u e Giornate: quattromila m o r ti gli austriaci, poco più di q u a t t r o c e n t o gl'insorti. Ma e r a n o cifre di p u r a fantasia. Gli austriaci a v e v a n o p e r s o seicento u o m i n i , d e g l ' i n s o r t i n o n si è m a i p i ù s a p u t o , ma p a r e che fossero circa a l t r e t t a n t i . C o n certezza si è s a p u t o soltanto c h ' e r a n o in s t r a g r a n d e m a g g i o r a n z a popolani. E r a la p r i m a volta c h e succedeva. P u r t r o p p o , fu a n c h e l'ultima.
CAPITOLO SEDICESIMO
LA CROCIATA A B O R T I T A
Martini arrivò a Torino il 23, q u a n d o stava p e r sciogliersi il Consiglio dei Ministri c h e p r o p r i o quel g i o r n o il Re aveva riunito. N o n era possibile resistere alla pressione della p u b blica o p i n i o n e . P r o p r i o quella m a t t i n a // Risorgimento e r a uscito con un editoriale: «L'ora s u p r e m a p e r la M o n a r c h i a S a b a u d a è suonata. In cospetto degli avvenimenti di L o m b a r d i a e di Vienna, l'esitazione, il dubbio, gl'indugi n o n sono più possibili...» L'articolo recava la firma di Camillo Benso di Cavour e rifletteva p e r f e t t a m e n t e gli u m o r i della piazza. Piemonte e Liguria e r a n o in fiamme. Manipoli di giovani impazienti e r a n o in marcia p e r passare il Ticino e a n d a r e a d a r m a n forte ai milanesi. Per le strade di Torino la gente gridava a ufficiali e soldati: «Cosa state a fare qui, m e n t r e gli austriaci sgozzano i milanesi?» In Consiglio il Re aveva detto che n o n c'era altro partito da p r e n d e r e che la g u e r r a , «della quale assumeva personalm e n t e la responsabilità e s o n e r a n d o n e i Ministri». N o n era un discorso molto in t o n o con la Costituzione da poco concessa, ma n e s s u n o vi b a d ò . Tuttavia n e s s u n a decisione era stata presa. Il trasferimento dell'esercito, quasi tutto schierato sul confine francese, richiedeva t e m p o , e p e r di più arm a m e n t o e d e q u i p a g g i a m e n t o rivelavano gravi c a r e n z e . Velleitario in tutto, Carlo Alberto, che solo sull'esercito contava p e r la sua sospirata crociata a n t i a u s t r i a c a , n o n aveva p r o v v e d u t o a r e n d e r e efficiente n e m m e n o quello. Ma a t r a t t e n e r l o c'erano a n c h e le p r e o c c u p a z i o n i politiche e diplomatiche. C e r t o , bisognava i m p e d i r e che a Milano i r e p u b b l i c a n i p r e v a l e s s e r o e f o n d a s s e r o u n o Stato in 170
g r a d o , p e r il suo m a g g i o r e peso demografico e il suo s u p e r i o r e livello e c o n o m i c o , di s t r a p p a r e al P i e m o n t e la sua funzione di Stato-guida. Ma il P i e m o n t e e r a legato all'Austria da un trattato di alleanza militare, e p e r stracciarlo ci volevano dei pretesti che l'Austria si g u a r d a v a b e n e dal forn i r e . E p p o i , e r a c e r t o che i milanesi accettassero d ' i n q u a drarsi in u n a M o n a r c h i a sabauda? «Non p r e t e n d e r e t e mica ch'io v a d a a M i l a n o a p r o c l a m a r e la Repubblica!» aveva d e t t o Carlo Alberto a un emissario dei milanesi, D'Adda. E D'Adda: «La r e p u b b l i c a sarà p r o c l a m a t a , se Vostra Maestà n o n si muove». I n s o m m a , la g u e r r a era stata decisa, ma n o n e r a stato deciso q u a n d o e c o m e dichiararla. Fu l'arrivo di Martini a dare la spinta. Del messaggio che recava n o n si conosce il testo, che deve trovarsi negli archivi della Real Casa (e n o n si capisce p e r c h é la Real Casa si ostini a tenerli chiusi: a n c h e se n o n g i u r i d i c a m e n t e , m o r a l m e n t e è un abuso). Ma all'incirca il c o n t e n u t o era questo: la rivoluzione aveva vinto, Radetzky e r a in fuga, p e r infliggergli il colpo decisivo il governo provvisorio chiedeva l'aiuto dell'esercito piemontese, ma esigeva che la sua b a n d i e r a fosse il tricolore con lo scudo sab a u d o p e r stemma, e che ogni decisione sullo statuto politico della L o m b a r d i a venisse rinviata a vittoria acquisita. Le condizioni f u r o n o subito accettate. R i m a n e v a la q u e s t i o n e del pretesto. Un ministro notò che il pretesto lo aveva fornito M e t t e r n i c h il g i o r n o in cui, p e r giustificare l ' i n t e r v e n t o austriaco a Napoli, aveva detto che « q u a n d o b r u c i a la casa del vicino, al vicino è consentito entrarvi p e r i m p e d i r e che il fuoco si p r o p a g h i alla sua». Un altro osservò che il trattato era già stato violato dall'Austria con l'istallazione di presidi militari a M o d e n a e P a r m a . Q u a n d o mai al l u p o m a n c a n o le scuse p e r a g g r e d i r e l'agnello? Il g u a i o è che qui e r a l'agnello che le cercava p e r a g g r e d i r e il l u p o . Seduta stante, fu p r e p a r a t o un p r o c l a m a «ai popoli della L o m b a r d i a e della Venezia» che diceva fra l'altro: «Le n o stre a r m i che già si c o n c e n t r a v a n o sulla vostra frontiera (e 171
non era vero) q u a n d o voi anticipaste la liberazione della gloriosa Milano, v e n g o n o o r a a p o r g e r v i nelle ulteriori p r o v e quell'aiuto che il fratello aspetta dal fratello, dall'amico l'am i c o . S e c o n d e r e m o i vostri d e s i d e r i f i d a n d o n e l l ' a i u t o di quel Dio, che è visibilmente con noi, di quel Dio che ha dato all'Italia Pio IX, di quel Dio che con sì meravigliosi impulsi pose l'Italia in g r a d o di fare da sé...» L'ultima affermazione aveva un suo recondito senso. Carlo Alberto era ossessionato dal timore - n o n del tutto infondato - che i milanesi si rivolgessero p e r aiuto alla Francia. Il b a n d o fu lanciato il 24, ma la sera del 23 la gente lo ris e p p e e si riversò in massa davanti a palazzo reale, evocando al b a l c o n e C a r l o A l b e r t o c h e vi c o m p a r v e i n s i e m e a D'Adda e Martini sventolando u n a sciarpa tricolore. Le acclamazioni furono deliranti e interminabili. N e s s u n o sospettava che sotto quella g u e r r a c o n t r o gli austriaci se ne combattesse un'altra fra italiani e che questa avrebbe paralizzato quella facendone, come poi giustamente si disse, «la g u e r r a delle occasioni p e r d u t e » . La situazione infatti avrebbe richiesto la massima decisione e rapidità di m a n o v r a p e r i m p e d i r e a Radetzky di portare a t e r m i n e la ritirata e ricostituire i suoi demoralizzati reparti. Viceversa la p r i m a scarna colonna p i e m o n t e s e arrivò a Milano solo il 26, e il grosso si mosse da Pavia, o c c u p a t a senza colpo ferire, solo il 3 1 . Le p r i m e scaramucce si ebbero tra l'8 e IT 1 aprile a Goito, M o n z a m b a n o e Valeggio; e sebb e n e m e t t e s s e r o in e v i d e n z a la crisi in cui t u t t o r a versava l'avversario, i p i e m o n t e s i r i n u n c i a r o n o a incalzarlo al di là del Mincio. Solo il 30 aprile ci fu a Pastrengo u n a vera battaglia, che volse a favore dei piemontesi. Un'altra ce ne fu il 6 maggio a Santa Lucia che poteva tramutarsi in un sostanzioso successo. Ma a n c h e stavolta, c o n q u i s t a t e le posizioni n e m i c h e , i p i e m o n t e s i se ne r i t i r a r o n o q u a s i c h é avessero p a u r a di vincere. N o n e r a colpa della t r u p p a , a d d e s t r a t a e disciplinata, m a d i u n o Stato M a g g i o r e diviso d a rivalità personali e composto di vecchi burocrati della g u e r r a , ligi al 172
R e g o l a m e n t o , ma digiuni di strategia, coraggiosi di fronte al nemico, ma timidissimi di fronte alle responsabilità. E sop r a t t u t t o era colpa del Re che p r e t e n d e v a avocare a sé ogni decisione, ma n o n sapeva quale p r e n d e r e . Fatto sta che questa p r i m a fase, che avrebbe p o t u t o essere decisiva sia p e r la s u p e r i o r i t à n u m e r i c a dei p i e m o n t e s i che p e r le difficoltà in cui si dibatteva il nemico, si concluse con l'attestamento dell'esercito fra il Mincio e l'Adige in un tipico dispositivo da g u e r r a di posizione che andava a tutto vantaggio di Radetzky: il quale così o r a aveva il t e m p o di rad u n a r e nel suo famoso munitissimo Q u a d r i l a t e r o (Peschiera-Mantova-Verona-Legnago) le sue sparpagliate guarnigioni e di a t t e n d e r e i rinforzi in arrivo dall'Austria. Egli stesso scrisse nel suo diario che, se il nemico n o n gli avesse concesso questa dilazione, n o n avrebbe s a p u t o c o m e cavarsela. Era la situazione politica che faceva vieppiù t e n t e n n a r e Carlo Alberto. Il g i o r n o della dichiarazione di g u e r r a aveva ricevuto un secondo messaggio del g o v e r n o provvisorio milanese, che n o n lo tranquillizzava affatto. Rinnovava la richiesta di aiuto, ma diceva: «Noi v o r r e m m o a g g i u n g e r e d i p p i ù ; ma la nostra condizione n o n ci p e r m e t t e di p r e c o r r e r e i voti della nazione». E v i d e n t e m e n t e di questi voti il g o v e r n o provvisorio n o n era sicuro. Carlo Alberto aveva subito spedito a Milano il g e n e r a l e Passalacqua p e r i n q u a d r a r e i volontari lombardi nell'esercito piemontese, ma aveva incontrato l'opposizione del Comitato di g u e r r a p r e s i e d u t o da Litta, d i e t r o il q u a l e tuttavia c'era il solito C a t t a n e o . O p p o s i z i o n e così violenta c h e p e r v e n i r n e a c a p o b i s o g n ò sciogliere il C o m i t a t o e t r a s f e r i r e Litta al Ministero della G u e r r a . La tensione che ne derivò è d o c u m e n t a t a dalla c o r r i s p o n d e n z a fra Casati e Castagnette, il quale n o n rinunziava n e m m e n o all'arma del ricatto facend o b a l e n a r e l a minaccia d i u n ritiro d e l P i e m o n t e dalla guerra. Ma le complicazioni n o n si limitavano a Milano. La vitto173
ria delle barricate e poi l'intervento p i e m o n t e s e avevano a p piccato l'incendio in tutta Italia, ma n o n e r a facile capire in che direzione si propagasse. A Firenze la piazza aveva forzato la m a n o al G r a n d u c a obbligandolo ad a p r i r e gli arruolam e n t i e a consentire la p a r t e n z a delle p r i m e formazioni volontarie p e r la L o m b a r d i a . Il governo aveva resistito alla richiesta di dichiarare anch'esso g u e r r a all'Austria, ma aveva inviato u n a n o t a a l l ' a m b a s c i a t o r e d i V i e n n a i n cui diceva c h e n o n e r a i n g r a d o d ' i m p e d i r e «alle n o s t r e milizie d i p r e n d e r e p a r t e alla lotta in cui sono impegnati i loro fratelli di L o m b a r d i a » . Circa ottomila u o m i n i e r a n o già in marcia, fra i quali la l e g i o n e degli s t u d e n t i pisani al c o m a n d o di Montanelli. Molto p i ù c o m p l i c a t a e r a la situazione a R o m a , d o n d e Carlo Alberto aspettava la consacrazione della sua Crociata. Alla notizia dell'insurrezione milanese, i patrioti staccarono lo s t e m m a imperiale dell'Ambasciata d'Austria, lo trascinar o n o p e r il Corso attaccato alla coda d ' u n asino e lo bruciar o n o in piazza del Popolo. L'indomani furono aperti gli arruolamenti, e i volontari si misero in maixia, moltiplicandosi p e r strada specie q u a n d o giunsero in Emilia-Romagna. Li c o m a n d a v a il g e n e r a l e D u r a n d o , che aveva c o m e a i u t a n t e di c a m p o Massimo D'Azeglio. Il 27 arrivò da Torino il conte R i g n o n p e r c h i e d e r e a l P a p a , c o m e p a r t e c i p e della L e g a Italica, e anzi suo ispiratore, un a p p o g g i o materiale e m o r a le all'intervento p i e m o n t e s e . Il suo r a p p o r t o del 29 è somm a m e n t e istruttivo. D a p p r i m a - scrisse - aveva visto il Segretario di Stato Antonelli che «accolse le mie comunicazioni con tutta bontà», ma gli fece osservare che «il C a p o della Chiesa doveva n e c e s s a r i a m e n t e essere p i ù m i n i s t r o d i pace c h e d i g u e r r a » . L'indomani fu ricevuto da Pio IX che «si d e g n ò d'ascoltare con b e n i g n a attenzione le mie parole», qualificò «magnanima la risoluzione del n o s t r o Sovrano», disse che l'appoggio m a t e r i a l e l'aveva già d a t o c o n s e n t e n d o a D u r a n d o di cond u r r e le t r u p p e pontificie sul Po. Ma q u a n t o a quello m o r a 174
le, doveva pensarci. «Se potessi ancora firmare Mastai - aveva esclamato -, p r e n d e r e i la p e n n a e fra pochi minuti sarebbe fatto p e r c h é anch'io sono italiano. Ma d e b b o firmare Pio IX, e questo n o m e mi dà l'obbligo d'inginocchiarmi innanzi a Dio e di supplicare l'infinita Divina Sapienza che m'illumini.» L'illuminazione si tradusse d u e giorni d o p o in un p r o clama «Ai popoli d'Italia» che sull'Italia impetrava da Dio la concordia e la pace, cioè e s a t t a m e n t e il c o n t r a r i o di ciò che Carlo Alberto chiedeva. Fu u n a doccia fredda, ma c h e n o n riuscì a s p e g n e r e gli e n t u s i a s m i di chi voleva a t u t t i i costi serbarli. Il 5 a p r i l e D'Azeglio stilava a Bologna un appello ai soldati pontifici in cui seguitavano a r i s u o n a r e gli accenti di Gioberti e a n c h e - diciamo la verità - la sua bolsa retorica. R i c o r d a n d o i congiurati di Pontida b e n e d e t t i da Alessandro I I I , diceva: «Anche noi siam b e n e d e t t i dalla destra di un g r a n d e Pontefice. Egli santo, egli giusto, egli m a n s u e t o sopra tutti gli u o m i n i , conobbe p u r e che contro chi calpesta ogni diritto, ogni legge divina e u m a n a , la ragione estrema delle a r m i e r a la sola giusta, la sola possibile». Su t u t t e le furie, il P a p a fece ris p o n d e r e da un suo giornale: «Un o r d i n e del g i o r n o di Bologna ai soldati e s p r i m e idee e sentimenti, c o m e se fossero usciti dalla bocca di Sua Santità. Il Papa, q u a n d o vuole fare dichiarazioni, parla ex se, n o n mai p e r bocca di alcun subalterno». La verità è che Pio IX, che si rivelava s e m p r e p i ù somigliante al ritratto fattone da Montanelli, era in quel m o m e n to il bersaglio di u n a v e r a e p r o p r i a offensiva t e r r o r i s t i c a scatenata d i e t r o l e q u i n t e d e l l ' e l e m e n t o r e a z i o n a r i o . R a p porti dall'Austria e dalla G e r m a n i a , p r o b a b i l m e n t e concertati con u o m i n i di Curia, segnalavano che i cattolici di quei Paesi e r a n o in rivolta c o n t r o la Santa Sede accusata d'istigazione alla lotta antitedesca e facevano balenare il pericolo di u n o scisma. Impressionabile com'era, il Papa se ne atterriva e cercava in tutt'i m o d i di far macchina indietro. Inviò a Dur a n d o la proibizione di varcare il Po. Ma i ministri laici gli si 175
r i b e l l a r o n o dicendogli senza tanti c o m p l i m e n t i : «O Vostra Santità a c c o n s e n t e che i suoi s u d d i t i facciano la g u e r r a . O dichiara che n o n vuole che la g u e r r a si faccia. O finalmente dichiara che, volendo la pace, n o n p u ò impedire che la g u e r r a sia fatta». E a g g i u n s e r o che, nel caso in cui avesse disdetto la g u e r r a , si sarebbero dimessi. Il P a p a ci p e n s ò q u a t t r o g i o r n i , cioè finse di p e n s a r c i , p e r c h é in realtà s e m b r a che la sua famosa allocuzione d e l 29 aprile fosse p r o n t a da un pezzo. In essa si doleva delle accuse che gli v e n i v a n o rivolte di aver p r o v o c a t o gli sconvolgimenti avvenuti in E u r o p a e in Italia, e ne dimostrava, o cercava di d i m o s t r a r n e , l'infondatezza. Egli n o n aveva fatto, diceva, che c o n c e d e r e le riforme chieste al suo predecessore dalle G r a n d i Potenze del ' 3 1 . Q u a n t o alla parziale m o bilitazione delle sue t r u p p e , essa n o n aveva che scopo difensivo. Certo, aggiungeva, se qualcuno dei suoi sudditi voleva a c c o r r e r e in L o m b a r d i a , n o n c'era m o d o di trattenerlo. «Ma qui n o n possiamo tenerci di n o n r e p u d i a r e in cospetto di t u t t e le genti i subdoli consigli di coloro, palesati eziandio p e r g i o r n a l i e p e r vari opuscoli, i quali v o r r e b b e r o c h e il Pontefice r o m a n o fosse c a p o e presiedesse a costituire u n a cotal n u o v a R e p u b b l i c a degli u n i v e r s i p o p o l i d'Italia.» E s e m p r e sullo stesso t o n o aulico e u n t u o s o , o l t r e c h e nello stesso orribile italiano, concludeva: «In g r a n d e e r r o r e a d u n q u e si avvolgono coloro che p e n s a n o l'animo n o s t r o p o t e r essere dalla lusinghiera grandezza di un p i ù vasto t e m p o r a le dominio sedotto a gettarci in mezzo ai tumulti dell'armi». Molti storici t u t t o r a si d o m a n d a n o se con questa brusca ritrattazione Pio IX tradì il vero se stesso o lo ritrovò, e cioè se egli sconfessò la causa nazionale o p p u r e il mito che gl'italiani si e r a n o fatti di lui. Ma ci s e m b r a che a cogliere la verità meglio di c h i u n q u e altro sia stato Cattaneo: «Pio IX fu fatto da altri e si disfece da sé». N o n c'è d u b b i o che i liberali avevano i n t e r p r e t a t o la sua figura a m o d o loro, cioè nel modo che meglio conveniva ai loro fini. P r e s e n t a n d o l o c o m e il g r a n d e r i n n o v a t o r e della Chiesa, il Papa patriota e liberale, 176
essi avevano r a g g i u n t o il loro scopo: r o m p e r e il fronte conservatore, a t t r a e n d o n e la p a r t e migliore nelle loro fila. Facendola passare p e r consacrata dal Papa, la causa del Risorg i m e n t o aveva g u a d a g n a t o a sé molte delle più timorate coscienze cattoliche. E questo è il g r a n d e servigio che Pio IX rese all'Italia. Ma che volesse renderglielo, n o n ci c r e d i a m o . Certo, nato e cresciuto in u n a delle p o c h e famiglie di tradizione laica degli Stati pontifici ed e n t r a t o al servizio della Chiesa p i ù p e r calcolo, o p e r caso, che p e r vocazione, n o n e r a afflitto dalla congenita sordità dei veri u o m i n i di Chiesa alle vibrazioni del s e n t i m e n t o nazionale. T u t t e le testimonianze, anche le p i ù ostili, c o n c o r d a n o sulla sincerità di certi suoi entusiasmi patriottici. Il « m o m e n t o » lo aveva sentito. Ma lo aveva sentito a m o d o suo, cioè solo di pelle, p e r c h é sotto la pelle aveva b e n p o c o . L'insperata elezione al Soglio e gli o s a n n a della folla avevano fatto il resto. Più sensibile di tutti gli altri u o m i n i di C u r i a , egli lo e r a a n c h e alla p o p o l a r i t à , suggestionabile al massimo, e - diciamo il vero - di poca testa. Aveva r a g i o n e q u a n d o affermava c h e t a n t e cose e r a n o state dette c o m e se fossero uscite dalla sua bocca. Ma lui, lasciandole dire, le aveva fatte sue senza p r e v e d e r n e le conseguenze, e n ' e r a rimasto prigioniero. Senza d u b b i o , da p a r t e dei liberali, c'era stato tutto un giuoco - mezzo consapevole e mezzo no - p e r attribuirgli i n t e n d i m e n t i c h e n o n e r a n o suoi. Ma questo giuoco egli lo aveva secondato, o p e r lo m e no n o n lo aveva i m p e d i t o : o p e r c h é d ' i m p e d i r l o n o n aveva la forza, o p e r c h é n o n lo aveva c o m p r e s o , o forse p e r e n trambi i motivi. Sia intellettualmente che m o r a l m e n t e , il suo livello era modesto. Raccogliendo applausi, i m p a r t e n d o benedizioni, giocando a biliardo e d i s t r i b u e n d o b a t t u t e scherzose aveva messo in m o t o , da malaccorto a p p r e n d i s t a stregone, delle cose molto più g r a n d i di lui. E q u a n d o se ne accorse, era o r m a i t r o p p o tardi. L'allocuzione p o n e v a fine al mito del Papa liberale e patriota, in cui si e r a cullato e di cui si era n u t r i t o tutto il p e n 177
siero neo-guelfo. Mazzini aveva a v u t o r a g i o n e nel d e n u n ziarne l'assurdità. Un m o v i m e n t o di unità nazionale capeggiato da u n a Chiesa che da più d ' u n millennio lo avversava e impediva, n o n p o t e v a essere c h e un i n g a n n o . Ma q u e s t o i n g a n n o aveva servito. Molti cattolici che, c r e d e n d o l o consacrato, si e r a n o arruolati nel Risorgimento e o r m a i vi milit a v a n o sia p u r e sulle posizioni p i ù m o d e r a t e , vi r i m a s e r o , a n c h e se la constatazione che l'Italia n o n si poteva fare che contro la Chiesa o a l m e n o senza di essa, c o m p o r t a v a p e r alcuni di loro un grosso t u r b a m e n t o di coscienza. Vista in r e t r o s p e t t i v a , q u e s t a crisi fu benefica p e r c h é s g o m b r ò il c a m p o da un insidioso e paralizzante equivoco. Ma lì p e r lì gettò lo scompiglio tra le forze che lottavano p e r il riscatto nazionale e contribuì moltissimo al loro insuccesso. D o p o la fallita missione di R o m a , R i g n o n p r o s e g u ì p e r Napoli, e la t r o v ò a s o q q u a d r o . A n c h e q u i i p a t r i o t i a v e v a n o staccato dall'Ambasciata d'Austria e bruciato lo s t e m m a imperiale, e p e r p r o t e s t a l'Ambasciatore e r a p a r t i t o . Il governo p r o i b ì le dimostrazioni, e la folla rispose i n s c e n a n d o n e di più grandiose e c h i e d e n d o la formazione di un nuovo Ministero. Il Re a d e r ì e d i e d e l'incarico al vecchio generale Pignatelli c h e chiese la c o l l a b o r a z i o n e del liberale T r o y a , c h e chiese quella d e l r a d i c a l e Saliceti, il q u a l e p o s e c o m e c o n d i z i o n e l'adesione del R e a m e alla L e g a e l'invio dell'esercito in L o m b a r d i a . Pignatelli r i n u n z i ò p r o p o n e n d o al proprio posto Guglielmo Pepe, rientrato in patria dopo ventisett'anni di esilio. Ma n e a n c h e costui riuscì, e l'incarico fu affidato in definitiva a Troya. Molti trovavano incomprensibile l ' a t t e g g i a m e n t o remissivo di F e r d i n a n d o . Ma esso era d o v u t o a d u e motivi. Anzitutto, la sua g r a n d e p r e o c c u p a z i o n e in quel m o m e n t o n o n e r a n o le barricate, il Papa, Carlo Alberto, ma la Sicilia. Essa aveva c o n s u m a t o la sua secessione p r o c l a m a n d o d e c a d u t a la dinastia b o r b o n i c a . A P a l e r m o , gli a v v e n i m e n t i di L o m b a r d i a n o n suscitavano alcuna eco. Solo La Masa e pochi al178
tri c h i e d e v a n o u n a p a r t e c i p a z i o n e alla g u e r r a d ' i n d i p e n d e n z a . Per i siciliani, l'unica g u e r r a d ' i n d i p e n d e n z a e r a quella da Napoli, dalla quale n o n volevano d i s t r a r r e forze. Il P a r l a m e n t o decise l'adozione del tricolore, ma con l'emb l e m a della Trinacria, e la partecipazione alla Lega. Ma n o n concesse a La Masa più di cento volontari. Ma un altro motivo della passività del Re e r a la sua fiducia nella regola del «tanto peggio, t a n t o meglio» che aveva così b e n funzionato nelle crisi del '12 e del ' 2 1 , q u a n d o i Costituzionali a v e v a n o p r o v o c a t o tale confusione d a r e n d e r e inevitabile e accetto il r i t o r n o all'assolutismo. Per q u e s t o Troya gli a n d a v a a pennello. Bravissimo u o m o , ma vecchio, m a l a n d a t o e un p o ' fuori dal m o n d o , egli stesso confidò più tardi a un amico inglese: «Allora, c o m e oggi, e r o inchiodato in p o l t r o n a dalla gotta. Conoscevo poca g e n t e e n o n mi curavo d'altro che della Storia». B e n altro polso ci sarebbe voluto p e r r i m e t t e r e o r d i n e in quella città dove o g n u n o faceva quel che voleva e n e s s u n o voleva quel che faceva l'altro. Ad a l i m e n t a r n e i bollori e r a s o p r a g g i u n t a a n c h e Cristina Belgioioso, la bella Principessa milanese, che da a n n i e r a diventata, o credeva di essere diventata, qualcosa di mezzo fra la M a d a m e de Staèl e la Giovanna d'Arco del Risorgimento. Amica di Mazzini, aveva v e n d u t o i gioielli p e r finanziare la Giovine Italia, a Parigi aveva t e n u t o un salotto f r e q u e n t a t o da H u g o , T h i e r s , Liszt, Giorge S a n d , C h o p i n . H e i n e e De Musset e r a n o stati i n u t i l m e n t e i n n a m o r a t i di lei, c h ' e r a inn a m o r a t a - c r e d i a m o - solo della sua p a r t e di Eroina. E ora, a m m a n t a t a di tricolore e con un cappello p i u m a t o in testa, arruolava a p r o p r i e spese volontari p e r la causa l o m b a r d a . Essa scrisse p i ù t a r d i che diecimila giovani e r a n o accorsi e, siccome il piroscafo da lei noleggiato n o n poteva o s p i t a r n e che d u e c e n t o , gli appiedati l'avevano inseguito p e r un b u o n tratto con le b a r c h e g r i d a n d o : «Anche noi, a n c h e noi!» Ma un inglese p r e s e n t e alla scena, L o r d Napier, la riferì altrimenti. S e c o n d o lui, a c h i e d e r e l'imbarco f u r o n o 120, forse m e n o , e sul molo n o n c'era n e s s u n o a salutarli. Q u a n d o ar179
r i v a r o n o a Milano, Casati scrisse a un amico: «È g i u n t a la Principessa Belgioioso con u n a t r u p p a d i c e n t o c i n q u a n t a avventurieri. T e m o che m'abbia fatto un cattivo regalo». F e r d i n a n d o n o n s'era o p p o s t o alla loro p a r t e n z a , che lo liberava da «questa scocciatrice», c o m e chiamava Cristina, e d a alcuni giovanotti t u r b o l e n t i . Per g u a d a g n a r t e m p o seguitava a fare il pesce in barile dicendo di sì a tutto, e il ministro p i e m o n t e s e Collobiano riferiva a Torino: «Questa sua disprezzante indifferenza p e r l'entusiasmo e la volontà del p o p o l o è r e c i p r o c a t a da u n a p e r f e t t a sconfidenza di q u e st'ultimo p e r il p r i m o . E quel che vi è di peggio si è che entrambi h a n n o senza d u b b i o motivo e ragione di sentir così». Fu in questi frangenti che Rignon sopraggiunse p e r chied e r e l'attiva partecipazione di Napoli alla g u e r r a . Già da un pezzo P e p e a n d a v a r i p e t e n d o al Re che la Sicilia si p o t e v a r i c o n q u i s t a r l a solo nelle p i a n u r e l o m b a r d e , cioè c o m e ric o m p e n s a dell'aiuto prestato alla causa nazionale. Sebbene, p u r a v e n d o l o t e n u t o t a n t i a n n i a l b a n d o , egli avesse u n a certa simpatia p e r quel vecchio moschettiere ammazzasette, è d u b b i o che F e r d i n a n d o se ne fosse lasciato convincere. Ma finì col d i r e di sì a n c h e a R i g n o n , e il 7 a p r i l e d i c h i a r ò la g u e r r a all'Austria con u n p r o c l a m a che t e r m i n a v a con u n appello al p o p o l o delle D u e Sicilie affinché ponesse t e r m i n e alle sue discordie intestine e si stringesse i n t o r n o al suo Sov r a n o . E r a c h i a r o a cosa m i r a v a : a r i c h i a m a r e sotto il suo scettro, con la scusa della causa nazionale, i dissidenti siciliani, che n o n se ne d e t t e r o p e r intesi e spinsero avanti i loro p r e p a r a t i v i militari n o n p e r c o m b a t t e r e l'Austria, m a p e r resistere a Napoli. D o p o d i c h é si diede a sabotare la formazione del c o r p o di spedizione che Pepe chiedeva p e r accorr e r e a Venezia. Il G e n e r a l e voleva q u a r a n t a m i l a u o m i n i . N o n gliene c o n c e s s e r o c h e diciassettemila, ma si d o v e t t e p e r d e r e m o l t o t e m p o p e r t r o v a r e degli ufficiali disposti a c o m a n d a r l i . « M e n t r e il m e s e successivo - scrisse P e p e con amarezza -, q u a n d o si trattò della spedizione in Sicilia, tutti supplicarono di venire utilizzati.» 180
Solo il 4 maggio il G e n e r a l e p o t è imbarcarsi con un prim o r e p a r t o . I n tasca recava u n o r d i n e s e g r e t o del R e c h e g l ' i n g i u n g e v a di attestarsi sul Po e di a t t e n d e r e lì, senza m u o v e r s i , le sue istruzioni. Così a n c h e l'aiuto n a p o l e t a n o , c o m e quello p a p a l i n o , si r i d u c e v a a p o c h e raccogliticce t r u p p e , c h e oltre t u t t o n o n s a p e v a n o s e e r a n o p a r t i t e p e r fare la g u e r r a o p e r fingere di farla. Ma il peggio doveva ancora venire. Alla fine di aprile si svolsero nel Reame - esclusa, si capisce, la Sicilia - le previste elezioni. L'affluenza alle u r n e fu scarsa, e questo consentì la vittoria dei m o d e r a t i , che tuttavia n o n lo e r a n o abbastanza p e r a p p r o v a r e la Costituzione di stampo orleanista, cioè autoritario e conservatore, c h ' e r a stata p r o m u l g a t a in febbraio. La seduta i n a u g u r a l e e r a stata fissata p e r il 15 m a g g i o , ma i D e p u t a t i si r i u n i r o n o il 13 a Monteoliveto p e r concertare un'opposizione ai Pari, cioè all'altro r a m o del P a r l a m e n t o di n o m i n a regia, che corrispondeva p r e s s a p p o c o al Senato italiano d ' a n t e g u e r r a . N o n vol e v a n o g i u r a r e un testo c h e affidava al Re il c o m p i t o di «svolgere» la Costituzione, e ne avevano b u o n motivo p e r ché nessuno sapeva cosa significasse quello «svolgere». Il Re ribadì l'obbligatorietà del g i u r a m e n t o a scatola chiusa, i Deputati la respinsero, il g o v e r n o d i e d e le dimissioni, e il p o polo scese in piazza. Cioè a s c e n d e r e in piazza n o n furono, p a r e , che un migliaio di p e r s o n e , p e r la m a g g i o r a n z a «cafoni», c o m e a Napoli c h i a m a n o quelli delle province i n t e r n e . Ma e r a n o gente decisa, specie quelli del Cilento, la zona più inquieta del R e a m e . Di fronte al loro minaccioso atteggiamento, sia il Re che i Deputati c e r c a r o n o un c o m p r o m e s s o . Ma a farlo fallire fur o n o p r o p r i o i dimostranti, i quali p o s e r o c o m e condizione che l'ordine pubblico venisse affidato alla G u a r d i a Nazionale e che m e t à dell'esercito fosse m a n d a t o in L o m b a r d i a a c o m b a t t e r e gli austriaci. I D e p u t a t i ne stavano d i s c u t e n d o col Re, q u a n d o r i m b o m b a r o n o i primi spari. Anche qui n o n si sa se ad a p r i r e il fuoco siano stati i militari o i dimostranti, 181
che o r m a i si e r a n o trasformati in insorti e avevano costruito b a r r i c a t e . Ma quella c h e d i v a m p ò fu u n ' a u t e n t i c a battaglia che in sette o r e seminò sul selciato oltre centocinquanta cad a v e r i . Il p o p o l i n o n a p o l e t a n o , i «lazzaroni», s t e t t e r o a g u a r d a r e . N o n sentivano n e s s u n a solidarietà coi «cafoni», e q u a n d o videro che la loro partita e r a persa, si misero dalla p a r t e delle t r u p p e ( s o p r a t t u t t o svizzere) p e r e n t r a r e nelle case ch'esse avevano e s p u g n a t e e saccheggiarle. La regola del «tanto peggio, tanto meglio» aveva funzionato. Stanca di quei subbugli, Napoli n o n batté ciglio q u a n do il Re, c o m p l e t a m e n t e d i m e n t i c o della C o s t i t u z i o n e , formò a testa sua un n u o v o g o v e r n o , sciolse la C a m e r a e la G u a r d i a Nazionale, e richiamò il c o r p o di spedizione di Pepe con la scusa delle esigenze di o r d i n e i n t e r n o . D o p o il Papa, a n c h e il B o r b o n e dissociava la sua causa da quella nazionale e c o n t r i b u i v a a m e t t e r e in crisi tutta l'ala m o d e r a t a dello s c h i e r a m e n t o liberale m e r i d i o n a l e , c h e si e r a illusa di p o t e r c o n t r i b u i r e alla lotta p e r l ' i n d i p e n d e n z a d ' a c c o r d o con lui. Anche questo, visto sulla l u n g a distanza, era la fine di un pericoloso equivoco. Ma p e r il m o m e n t o e r a a n c h e un colpo assestato alla speranza di raccogliere tutta l'Italia in un fronte patriottico. D i s e r t a n d o n e e t o r n a n d o in braccio alla reazione, sia il Papato che il B o r b o n e segnavano la p r o p r i a sorte. Ma questo valeva p e r il futuro. Per il p r e s e n t e la loro defezione c o n d a n n a v a al fallimento la Crociata che Carlo Alberto aveva sognato.
CAPITOLO DICIASSETTESIMO
CUSTOZA
Malgrado la solita ambiguità e irresolutezza di Carlo Alberto, la sua politica «fusionista» aveva nel frattempo registrato notevoli successi. E a facilitarglieli aveva m o l t o c o n t r i b u i t o p r o p r i o colui ch'egli considerava il suo mortale nemico. Mazzini e r a arrivato a Milano il 7 aprile. Alla frontiera fu riconosciuto e festosamente salutato dai doganieri, che tante volte avevano sequestrato pacchi di volantini della Giovine Italia c o n la sua effigie. N o n r i v e d e v a l'Italia da quasi vent'anni. Casati e gli altri m e m b r i d e l g o v e r n o p r o v v i s o r i o , c h e o r a m a i n o n e r a più il g o v e r n o della sola Milano, ma di tutta la L o m b a r d i a , dovettero t r e m a r e alla notizia del suo arrivo. Ma Mazzini provvide subito a rassicurarli. A un i n t e r m e d i a rio m a n d a t o g l i da Castagnetto dichiarò che se i l o m b a r d i si fossero p r o n u n c i a t i p e r l'annessione al P i e m o n t e accettand o n e la Monarchia, egli n o n avrebbe fatto ostacolo. Si riservava soltanto un diritto di opposizione, ma con mezzi legali. Era un a t t e g g i a m e n t o d e g n o d e l l ' u o m o e della sua onestà. Egli n o n credeva affatto in Carlo Alberto. Ma nel m o m e n t o in cui questi si batteva c o n t r o l'Austria p e r d a r e all'Italia ind i p e n d e n z a e unità, n o n i n t e n d e v a contrastarlo. Raggiunti quei d u e obbiettivi, avrebbe ripreso la sua battaglia, ma allo scoperto e nella sede a p p r o p r i a t a . Q u e s t o discorso p e r ò dispiacque a Cattaneo, che a n d ò a t r o v a r l o con alcuni suoi amici, fra cui F e r r a r i , un vecchio esule da poco rientrato a n c h e lui a Milano, filosofo e storico di notevole talento, ma di a s p r o carattere, angoloso e polemico. E stato lui a lasciarci il r e s o c o n t o di q u e l l ' i n c o n t r o . 183
Mazzini, egli dice, rifiutò la p r o p r i a p a r t e c i p a z i o n e a u n a c a m p a g n a d i o p i n i o n e p u b b l i c a p e r rovesciare i l g o v e r n o provvisorio e c o n v o c a r e u n ' a s s e m b l e a che sollecitasse l'int e r v e n t o politico e militare della Francia r e p u b b l i c a n a . Ma lo fece c o n p a r o l e così i m b a r a z z a t e che C a t t a n e o a v r e b b e esclamato: « Q u e s t ' u o m o è un venduto!» N o n ci c r e d i a m o p e r vari motivi. P r i m a di tutto p e r c h é Mazzini, a v e n d o s e m p r e sostenuto che l'Italia doveva «fare da sé», n o n poteva p r o v a r e nessun imbarazzo a dire che fra i piemontesi e i francesi, e r a n o più italiani, a n c h e se m o n a r chici, i p i e m o n t e s i . S e c o n d o , p e r c h é C a t t a n e o n o n e r a u o mo da p r o n u n c i a r e u n a simile calunnia. Terzo, p e r c h é Mazzini n o n e r a u o m o da ingoiarla senza r o m p e r e a l m e n o l'amicizia. E invece quest'amicizia rimase s e m p r e fervida, al di s o p r a dei contrasti ideologici: tanto che q u a n d o , di lì a p o co, C a t t a n e o si a m m a l ò in Svizzera, Mazzini corse a trovarlo, e i loro r a p p o r t i rimasero s e m p r e i m p r o n t a t i , a n c h e nel dissenso, a un'affettuosa reciproca stima. Quell'insulto a p p a r t i e n e al r e p e r t o r i o di Ferrari, c h ' e r a u n a specie di Buon a r r o t i in r i t a r d o , c o m e lui convinto che solo la Francia sapesse e potesse fare la rivoluzione a n c h e in Italia. Infatti subito d o p o t o r n ò a Parigi p e r r i m p a t r i a r e definitivamente solo d o p o il '60. Un contrasto tuttavia in quella r i u n i o n e ci fu, destinato a restare nel fronte democratico e a dividerlo negli a n n i successivi. Per i mazziniani, il fine s u p r e m o e r a n o l'unità e l'ind i p e n d e n z a , in n o m e delle quali essi e r a n o disponibili anche alla collaborazione col Piemonte sabaudo. Per Cattaneo e i suoi, il fine s u p r e m o e r a n o la repubblica e la democrazia, basate su forti a u t o n o m i e regionali. Riferito al m o m e n t o attuale, e r a logico che questo dissenso portasse Mazzini a sostenere il governo provvisorio, e q u i n d i a n c h e Carlo Alberto, come infatti fece, ma n o n fino al p u n t o di sacrificargli le sue convinzioni. E lo si vide q u a n d o Casati indisse p e r la fine di maggio il plebiscito sulla fusione col Piemonte. I n s i e m e a C e r n u s c h i , Visconti Venosta, T e n c a e altri, 184
Mazzini firmò un vivace manifesto di protesta c o n t r o questa decisione che in realtà violava l ' i m p e g n o p r e s o da Casati e dai suoi di r i m a n d a r e questa scelta a d o p o la vittoria. E sul suo giornale LTtalia del popolo motivò p o l e m i c a m e n t e questa o p p o s i z i o n e . La f o r m a z i o n e di un forte R e g n o Italico nel N o r d , scrisse, p r o v o c h e r à , p e r fargli da c o n t r a p p e s o , il coagulo di altri tre forti Stati nel C e n t r o e nel Sud, che s a r a n n o più difficili da unificare dei sei o sette deboli Stati attuali. Ma o r m a i Casati e i suoi si sentivano abbastanza forti p e r sfidare queste critiche e p o r t a r e avanti il loro p i a n o . Il 29 m a g g i o tutti i cittadini maschi m a g g i o r e n n i della L o m b a r dia f u r o n o c h i a m a t i alle u r n e . L'affluenza fu n o t e v o l e . 561.000 si p r o n u n c i a r o n o p e r la fusione, e soltanto 681 p e r il rinvio. M e n o agevole si p r e s e n t a v a la situazione del Veneto. A differenza di Milano, Venezia si e r a subito p r o c l a m a t a Repubblica, e il suo t i m o n e era nelle m a n i di un convinto r e pubblicano, Manin. In c o m p e n s o , le città di t e r r a f e r m a manifestarono subito la loro f e r m a volontà di seguire l'esempio l o m b a r d o un p o ' p e r il tradizionale a n t a g o n i s m o con la Serenissima, un p o ' p e r c h é esse e r a n o più esposte al pericolo di un r i t o r n o offensivo degli austriaci arroccati nel loro territorio. Esse r e c l a m a r o n o che il plebiscito del Veneto venisse abbinato a quello della L o m b a r d i a , M a n i n e T o m m a seo boicottarono la p r o p o s t a , si perse del t e m p o , e la L o m bardia fece da sé. Ma a p p e n a fu conosciuto il risultato di Milano, a n c h e Venezia dovette a r r e n d e r s i . L'affluenza del Veneto alle u r n e fu molto m i n o r e p e r c h é il nemico, oltre a Verona, occupava g r a n p a r t e delle province di Padova, Vicenza e Treviso. Ma la m a g g i o r a n z a favorevole alla fusione fu u g u a l m e n t e schiacciante. Nel frattempo la politica di Carlo Alberto aveva collezionato d u e altri grossi successi. P a r m a n o n era rimasta insensibile alle b a r r i c a t e di Milano che i n c h i o d a v a n o oltre Po le forze di Radetzky, e fin dal 20 m a r z o aveva i n g i u n t o al suo duca Carlo (ex-Ludovico) di c e d e r e i suoi poteri a u n a Reg185
genza che p r o m u l g ò la Costituzione. La piccola guarnigione austriaca che presidiava la città, r i c h i a m a t a in L o m b a r dia, v ' i n c o n t r ò b a n d e d'insorti che l a p r e s e r o p r i g i o n i e r a . Carlo preferì a n d a r s e n e , m e n t r e suo figlio - quello che sec o n d o Montanelli aveva p e r p r i m o inalberato a Lucca il vessillo della rivolta contro suo p a d r e - p r e n d e v a la via del Piem o n t e p e r a r r u o l a r s i nell'esercito di Carlo Alberto c h e gli d e t t e un foglio di via p e r la Francia. E r a n o u n a famiglia di strampalati, questi B o r b o n e , che passavano la vita a farsi dispetti gli u n i agli altri. Piacenza aveva i m m e d i a t a m e n t e a p p r o f i t t a t o di quel subbuglio p e r sottrarsi alla d i p e n d e n z a da P a r m a e votare p l e b i s c i t a r i a m e n t e l ' u n i o n e al P i e m o n t e . A n c h e a P a r m a n o n restava altro da fare, e lo fece infatti pochi giorni d o p o , a r r u o l a n d o tra l'altro u n a legione di mille volontari. A M o d e n a , Francesco V tentò di resistere. Ma q u a n d o il presidio austriaco fu richiamato anch'esso oltre Po, dovette a r r e n d e r s i e traslocare lasciando il p o t e r e a un g o v e r n o di m o d e r a t i che inviò a Carlo Alberto un c o r p o di spedizione di tremila u o m i n i , ma d a p p r i n c i p i o tentò di rinviare la fusione col P i e m o n t e . N o n ce la fece. La piazza volle il plebiscito e si p r o n u n c i ò massicciamente p e r il sì. In d u e mesi e quasi senza s a n g u e , C a r l o Alberto aveva d u n q u e o t t e n u t o ciò che nessun Savoia, p r i m a di lui, si era mai n e m m e n o sognato. Ma, p e r m a n t e n e r l o , ci voleva la vittoria militare. E p e r la vittoria ci volevano risolutezza, coraggio, capacità strategiche: p r o p r i o quello i n s o m m a che a lui mancava. N e l suo Q u a d r i l a t e r o , Radetzky n o n aveva p e r s o il suo t e m p o . Rinforzi n e aveva ricevuti p o c h i . N u m e r i c a m e n t e , restava i n f e r i o r e all'avversario, ma ne aveva già capito i p u n t i deboli: la m a n c a n z a di decisione e la lentezza di movim e n t i . Egli poteva s o r p r e n d e r l o s p o s t a n d o r a p i d a m e n t e il grosso delle p r o p r i e forze. E fu ciò che fece a fine m a g g i o u s c e n d o all'improvviso da Peschiera con 43 battaglioni e attaccando in u n a zona fra Mantova e C r e m o n a , dove sapeva 186
schierati r e p a r t i volontari di diversa p r o v e n i e n z a - toscani, n a p o l e t a n i , emiliani - e q u i n d i di difficile intesa fra l o r o . S f o n d a n d o qui, poteva attraversare il Mincio e cogliere alle spalle le posizioni piemontesi. Ma incontrò p i ù resistenza di q u a n t o p r e v e d e s s e . Da C u r t a t o n e e M o n t a n a r a riuscì a ricacciare i toscani, ma d o p o u n a battaglia di sette o r e , c h e m a n d ò all'aria la s o r p r e s a , su cui contava. Sia p u r e c o n la solita lentezza, i p i e m o n t e s i si a m m a s s a r o n o a Goito, d o v e gli austriaci f u r o n o c o n t r a t t a c c a t i e s a n g u i n o s a m e n t e r e spinti. Q u a s i nello stesso m o m e n t o u n a delle fortezze d e l Q u a d r i l a t e r o , Peschiera, cedeva alla m o r s a dell'assedio e si arrendeva. Poteva essere il g r a n d e m o m e n t o . Col m o r a l e alle stelle, i soldati acclamavano Carlo Alberto Re d'Italia e smaniavano di lanciarsi sul nemico in crisi. Ma Carlo Alberto ripetè quello c h e già aveva d e t t o (in francese) a P a s t r e n g o : «Pour aujourd'hui ily en a assez», p e r oggi basta. Pioveva c o m e Dio la m a n d a v a , e il R e g o l a m e n t o sconsigliava le o p e r a z i o n i in caso di m a l t e m p o . Così Radetzky p o t è ritirarsi indisturbato p r i m a su Mantova, poi su Verona e L e g n a g o , e un'altra occasione a n d ò p e r d u t a . Sebbene con la resa di Peschiera la sua inferiorità si fosse fatta più netta, il Maresciallo tentò subito la rivincita avvent a n d o trentamila u o m i n i su Vicenza, difesa da u n a composita g u a r n i g i o n e di m e r c e n a r i pontifici e di volontari r o m a gnoli agli o r d i n i di D u r a n d o . Fu u n a delle battaglie più sanguinose, che lasciò sul t e r r e n o circa cinquecento m o r t i e oltre d u e m i l a feriti. Ma alla fine gli austriaci riuscirono a impadronirsi del M o n t e Berico che d o m i n a la città, e a D u r a n do n o n restò che la resa. La c a d u t a di Vicenza c o m p o r t ò a u t o m a t i c a m e n t e quelle di Padova, di Treviso e di Mestre. E i n t a n t o dall'Austria sop r a g g i u n g e v a a m a r c e forzate il maresciallo Welden, alla testa di n u o v i rinforzi p e r Radetzky. In soccorso di Venezia isolata accorreva da Sud, coi suoi napoletani, il generale Pepe che aveva disobbedito all'alt di F e r d i n a n d o . Ma n o n gli 187
e r a n o rimasti che i pochi r e p a r t i volontari, coi quali riuscì a r a g g i u n g e r e la città p r i m a che restasse chiusa nella m o r s a dell'assedio. Carlo Alberto aveva s a p u t o d e l l ' i m m i n e n t e attacco su Vicenza, aveva riunito un consiglio di g u e r r a , ma c o m e al solito n o n aveva p r e s o n e s s u n a decisione. Solo d o p o il disastro, o r d i n ò u n ' a z i o n e su Verona c h e avrebbe d o v u t o sincronizzarsi con u n a rivolta d e i patrioti a l l ' i n t e r n o della città. Ma i n v a n o c o s t o r o a t t e s e r o i l segnale c o n c o r d a t o : u n g r a n d e falò. L'ufficiale che avrebbe d o v u t o accenderlo a Villafranca disse di n o n a v e r n e ricevuto l'ordine, i patrioti n o n si mossero, l'attacco fu i n t e r r o t t o a m e t à , e le t r u p p e ricevettero l'ordine di a r r e t r a r e sulla linea Rivoli-Pastrengo-Roverbella-Goito. Radetzky dovette t r a r r e un bel r e s p i r o di sollievo. Il p e r i o d o critico e r a finito, e il suo «ridotto» salvo. O r a poteva con t u t t o c o m o d o a m a l g a m a r e i suoi affaticati r e p a r t i con quelli freschi arrivati dall'Austria e m e t t e r e allo studio il piano della controffensiva. I n v e c e che d a v a n t i a sé, Carlo Alberto g u a r d a v a d i e t r o di sé. I plebisciti che avevano sancito l'annessione di tutta l'Alta Italia al P i e m o n t e i m p o n e v a n o , p e r forza di cose, u n a revisione delle s t r u t t u r e dello Stato. Era impensabile che u n a r e g i o n e vasta, popolosa ed e c o n o m i c a m e n t e p r o g r e d i t a come la L o m b a r d i a si lasciasse s e m p l i c e m e n t e a g g r e g a r e , come u n a colonia, al c a r r o piemontese. Essa chiese che, in attesa della Costituente destinata a d a r e allo Stato l'assetto definitivo, la sua Consulta, c o m e o r a si c h i a m a v a il g o v e r n o provvisorio, partecipasse alle s u p r e m e decisioni specie p e r q u a n t o r i g u a r d a v a i trattati internazionali. Q u e s t o mise in allarme il municipalismo dei piemontesi, i quali seguitavano a p e n s a r e all'Italia c o m e a u n a t e r r a di conquista. Si sparse la voce che la capitale stesse p e r essere trasferita a Milano; e di fronte a questo pericolo, quello di Radetzky passò in sec o n d a linea. Più tardi la p r o p a g a n d a m o d e r a t a rigettò le re188
sponsabilità della disfatta sui democratici, colpevoli di aver sollevato intempestivamente questi problemi. Ma si tratta di un falso. Questi p r o b l e m i n o n s a r e b b e r o n e m m e n o nati, se il Re avesse agito m i l i t a r m e n t e con risolutezza, s f r u t t a n d o l'irripetibile occasione d e l favorevole r a p p o r t o di forze col n e m i c o . E r a la sua indecisione che spingeva i l o m b a r d i e i v e n e t i a c e r c a r e q u a l c h e g a r a n z i a . Volevano p r e m u n i r s i contro il pericolo di essere a b b a n d o n a t i o v e n d u t i . Ma a r e n d e r e titubante Carlo Alberto contribuiva a n c h e un altro m o t i v o . Sin dalla fine di m a g g i o l'Austria aveva chiesto la mediazione inglese p e r u n a soluzione pacifica del conflitto. L e p r o p o s t e e r a n o allettanti. V i e n n a e r a p r o n t a ad accettare che la L o m b a r d i a e i Ducati di P a r m a e Modena decidessero la p r o p r i a sorte con un referendum, il cui responso in favore del Piemonte e r a scontato, e s'impegnava a istituire nel Veneto u n g o v e r n o a u t o n o m o . Q u e s t ' a r r e n d e volezza e r a d o v u t a alla s i t u a z i o n e i n t e r n a d e l l ' I m p e r o , in p i e n o m a r a s m a rivoluzionario. L'Ungheria era in rivolta, le p r o v i n c e t e d e s c h e m i n a c c i a v a n o la secessione, nella stessa Vienna la situazione e r a talmente precaria che l ' I m p e r a t o r e l ' a b b a n d o n ò p e r rifugiarsi a I n n s b r u c k , e l'esercito n o n sap e v a c o m e far fronte c o n t e m p o r a n e a m e n t e a t u t t e q u e s t e m i n a c c e . Ecco p e r c h é R a d e t z k y si e r a t r o v a t o in t a n t a ristrettezza di mezzi. Carlo Alberto aveva r i s o l u t a m e n t e rifiutato ogni transazione fin q u a n d o tutta l'Italia n o n fosse stata libera da t r u p pe s t r a n i e r e . Così aveva risposto a n c h e al P a p a , c h e a sua volta aveva c e r c a t o d ' i n t e r p o r r e i suoi b u o n i uffici. Ma ai p r i m i di luglio, in u n a lettera confidenziale al suo Ministro della G u e r r a , Franzini, scriveva ( s e m p r e in francese): «Credo d u n q u e in tutta coscienza che se, grazie alla mediazione d e l l ' I n g h i l t e r r a , noi p o t e s s i m o o t t e n e r e la cessione della L o m b a r d i a f i n o all'Adige coi d u e Ducati, a v r e m m o fatto u n a c a m p a g n a gloriosa, e che u n o Stato piccolo c o m e il n o stro d a v a n t i a un colossale I m p e r o c o m e q u e l l o a u s t r i a c o p o t r e b b e v a n t a r s i d i u n s u p e r b o successo. D e s i d e r a r e p i ù 189
sarebbe temerità, oso dire, quasi folle. Sarebbe come rischiare la perdita, la definitiva rovina della causa italiana, o almeno un intervento della repubblica francese...» Ecco il vero motivo del suo improvviso voltafaccia. La cosa che più il Re paventava era che la Francia rivoluzionaria gli strappasse l'iniziativa a c c o r r e n d o in aiuto delle forze insurrezionali l o m b a r d e e venete e d a n d o alla lotta p e r l'indip e n d e n z a u n ' i m p r o n t a repubblicana e democratica. Il pericolo n o n era affatto immaginario, a l m e n o in quel m o m e n t o . A fine m a g g i o il Ministro degli Esteri L a m a r t i n e aveva dichiarato alla Costituente che se i governi di Milano e di Venezia l'avessero chiamato in loro soccorso, l'esercito francese sarebbe i n t e r v e n u t o anche c o n t r o la volontà di Carlo Alberto. In m a n o ai moderati, i d u e governi avevano declinato l'invito. Ma essi potevano passar di m a n o e finire in quelle dei democratici. Era questo l'incubo del Re che tuttavia n o n p o t è svelare i suoi propositi. Il 10 luglio, a u n a i n t e r r o g a z i o n e della Cam e r a , il Ministro degli Esteri p i e m o n t e s e , P a r e t o , rispose s m e n t e n d o qualsiasi i n t e n z i o n e di a c c o r d o , e forse e r a in perfetta b u o n a fede p e r c h é ignorava la lettera scritta dal Re a Franzini. E o r a la situazione era c o m p l e t a m e n t e mutata. A n c h e n e i m o m e n t i d i p i ù g r a v e difficoltà, q u a n d o u n p o ' di risolutezza sarebbe bastata a Carlo Alberto p e r infliggergli un colpo decisivo, Radetzky si e r a o p p o s t o a u n a soluzione pacifica del conflitto. Il vecchio orgoglioso soldato n o n voleva t e r m i n a r e la sua c a r r i e r a con u n a disfatta, e la sua resistenza aveva d a t o a n i m o al partito militare di Vienna che invocava l'annullamento della Costituzione e il ricorso alla forza p e r d o m a r e le rivolte. Esso aveva trovato d u e capi forti e irriducibili, il maresciallo Windischgraetz e il bano croato Jelacic, che n o n esitarono a i m m e r g e r e l ' I m p e r o in un b a g n o di sangue. C o n l'aiuto del principe Schwarzenberg, che era dei loro e che stava p e r diventare Cancelliere, essi e s a u t o r a r o n o c o m p l e t a m e n t e l'inetto i m p e r a t o r e Ferdin a n d o , e di lì a p o c o lo a v r e b b e r o costretto ad abdicare in 190
favore del suo diciottenne nipote Francesco Giuseppe, il sov r a n o d e s t i n a t o a r e g n a r e quasi s e t t a n t ' a n n i e a v e d e r e il t r o n o degli A s b u r g o crollare n e l cataclisma della p r i m a guerra mondiale. C o n simili alleati alle spalle, Radetzky o r m a i si sentiva sic u r o di p o t e r liquidare la partita come a lui piaceva: cioè sul c a m p o di battaglia. C o n gli aiuti che gli avevano m a n d a t o , poteva contare su quasi 100.000 u o m i n i . E vero che doveva distrarne u n a b u o n a fetta p e r bloccare Venezia e presidiare le province venete riconquistate con la vittoriosa battaglia di Vicenza. Ma gliene restava abbastanza p e r controbilanciare le forze piemontesi, che p e r di più avevano assunto lo schier a m e n t o più adatto a favorire la sua azione offensiva. Q u e sto dispositivo e r a il frutto di u n o dei soliti compromessi fra il Re che, in cerca di un successo p e r motivi politici, pensava a un attacco su Mantova, e il suo capo di stato m a g g i o r e Bava che m i r a v a alla difesa della L o m b a r d i a . Per conciliare questi piani che si contraddicevano ed escludevano a vicenda, l'esercito e r a stato diviso p r a t i c a m e n t e in d u e t r o n c o n i scarsamente collegati fra loro. Fu in questo p u n t o i n t e r m e d i o che Radetzky il 22 luglio conficcò il suo c u n e o , e la sera del 23 aveva già fatto saltare la fragile saldatura delle forze n e m i c h e . Carlo Alberto corse ai ripari facendo convergere verso n o r d quelle schierate su Mantova p e r cogliere alle spalle gli austriaci i m p e g n a t i nel difficile p a s s a g g i o del Mincio. Poteva essere u n a brillante m a n o v r a , se il Re l'avesse p o r t a t a in f o n d o con tutti i suoi effettivi. Viceversa, p e r la sua solita indecisione, l'aveva intrapresa soltanto con u n a p a r t e delle t r u p p e che, d o p o aver inflitto un d u r o colpo a u n a brigata nemica, n o n furono in grado di sfruttare il successo fino al Mincio, e d i e d e r o tempo a Radetzky di r i a t t r a v e r s a r e il fiume e di p a r a r e la minaccia. Sull'altra s p o n d a c'era il generale savoiardo De Sonnaz, che n o n solo n o n fece nulla p e r ostacolarlo, ma anzi ripiegò su Coito d a n d o agio agli austriaci di sferrare il 25 un massiccio attacco su Custoza. La loro vittoria n o n era affatto 191
definitiva, ma lo diventò grazie al r i n u n c i a t a r i s m o dei piemontesi che a b b a n d o n a r o n o le loro posizioni senza t e n t a r e ulteriori resistenze. Il Consiglio di G u e r r a riunito a Goito il 27 decise di chied e r e un armistizio fissando sull'Oglio la linea di d e m a r c a zione fra i d u e eserciti. Radetzky esigette che la linea fosse a r r e t r a t a sulFAdda, che i Ducati venissero s g o m b r a t i e Venezia a b b a n d o n a t a alla sua sorte, cioè alla sorte dell'Austria. Carlo Alberto respinse le richieste, ma solo a parole, p e r c h é nei fatti le soddisfece r i p i e g a n d o dietro l'Adda senza n e m m e n o approfittare dei n u m e r o s i canali p e r allagare la piana l o m b a r d a e r i t a r d a r e così l'avanzata n e m i c a . Il C o m a n d o e r a paralizzato dalle solite rivalità p e r s o n a l i . Il g e n e r a l e S o m m a r i v a t r a s g r e d ì gli o r d i n i p r e n d e n d o l'iniziativa di u n a ritirata che apriva u n a falla nello schieramento, e Bava n o n lo p u n ì . Il Re n o n sapeva decidersi. Da u n a p a r t e voleva d i f e n d e r e Milano p e r riaffermarvi il suo prestigio, dall'altra voleva p o r f i n e a u n a g u e r r a c h e , p r o l u n g a n d o s i , a v r e b b e r i c o n d o t t o al p o t e r e gli «estremisti», cioè i d e m o cratici di Mazzini e di Cattaneo: u o m i n i capaci di organizzare u n a resistenza che, agli occhi di tutta l'Italia, avrebbe fatto a n c o r più risaltare l'inettitudine della M o n a r c h i a sabauda e del suo esercito. Senza c o n t a r e la solita minaccia dell'intervento francese che i democratici avrebbero sollecitato. Il 3 agosto le a v a n g u a r d i e di Radetzky c o m i n c i a r o n o a investire Milano. I p i e m o n t e s i r e s i s t e t t e r o con u n a certa e n e r g i a , ma s e m p r e r i t i r a n d o s i fin sui bastioni. A palazzo G r e p p i , Carlo Alberto t e n e v a il suo e n n e s i m o consiglio di g u e r r a , che si concluse con la capitolazione. L'indomani d u e G e n e r a l i , a c c o m p a g n a t i dai Consoli francese e inglese in qualità d ' i n t e r m e d i a r i , si p r e s e n t a r o n o al c o m a n d o di Radetzky a San Donato, e ne ricevettero il diktat. L'esercito piem o n t e s e doveva a b b a n d o n a r e tutta la L o m b a r d i a ripassando il vecchio confine del Ticino; coloro che volevano seguirlo p e r c h é c o m p r o m e s s i negli ultimi avvenimenti, e r a n o liberi di farlo fino alla sera del 6. Questi furono i termini del192
l'armistizio c h e v e n n e firmato il 9 dal g e n e r a l e Salasco, di cui nei registri della Storia p r e s e il n o m e . La p o p o l a z i o n e m i l a n e s e ne fu colta alla sprovvista, e q u a n d o lo s e p p e mise infuriata l'assedio a palazzo G r e p p i . Carlo Alberto dovette a t t e n d e r e la n o t t e p e r uscirne c o m e un l a d r o , inseguito dagl'insulti e dalle minacce della folla. Da Vigevano lanciò un p r o c l a m a che terminava con queste p a r o l e : «La causa d e l l ' i n d i p e n d e n z a italiana n o n è a n c o r a p e r d u t a » . La stessa cosa scriveva Mazzini, ma a g g i u n g e n d o : «La g u e r r a regia è finita. Comincia quella del popolo». E infatti c'era un u o m o che, alla testa di 1.500 disperati l'aveva già cominciata, o tentava di cominciarla m a r c i a n d o di p r o pria iniziativa su B e r g a m o : Garibaldi.
CAPITOLO DICIOTTESIMO
L'EROE DEI D U E M O N D I
La nave che un mese p r i m a aveva ricondotto in patria Garibaldi e la sua legione si c h i a m a v a Speranza, e m a i n o m e fu meglio apposto. Nel mito p o p o l a r e essa trasportava un esercito d'invincibili al c o m a n d o di un Achille senza tallone. Come s e m p r e , invece che in se stessi, gl'italiani si ostinavano a confidare nel D e m i u r g o , capace di trarli dai guai con un int e r v e n t o miracoloso. La l e g g e n d a di Garibaldi e r a n a t a sop r a t t u t t o da quell'attesa. Ma l ' u o m o vi aveva risposto con le gesta più adatte. A Rio, d o v ' e r a arrivato ai p r i m i del '36, egli aveva trovato molti vecchi c o m p a g n i , fra i quali C u n e o - il credente di T a g a n r o g -, molto più entusiasti di quelli di Marsiglia forse p e r c h é p i ù i g n a r i degli a v v e n i m e n t i d e l '34 e p i ù l o n t a n i dalle b e g h e che ne e r a n o derivate. La loro passione rianimò quella di Garibaldi, che forse era sbarcato laggiù col p r o p o sito di b a d a r e solo a se stesso e di costruirsi u n a n u o v a vita. Infatti ci si p r o v ò lanciandosi, con d u e compaesani, Picasso e Rossetti, in u n ' i m p r e s a di t r a s p o r t i , che d o p o p o c o fallì. «Il m o t i v o p r o v i e n e dalla n o s t r a fiducia in g e n t e c h e cred e m m o amica e che n o n i n c o n t r a m m o n i e n t e m e n o c h e ladra» scrisse in u n a lettera a C u n e o , che frattanto si e r a trasferito a Montevideo. Il fatto è che n o n aveva il genio degli affari, e tutte le volte che cercò di farne, si trovò raggirato e derubato. A r i p o r t a r l o alla sua v e r a vocazione fu la politica locale, in cui si trovò coinvolto grazie a un altro esule italiano, curioso miscuglio d'idealista e di a v v e n t u r i e r o : T i t o Livio Zambeccari. E r a u n C o n t e bolognese, f i g l i o d i u n pioniere 194
dell'aeronautica che, d o p o aver partecipato a tutti i t r a m b u sti italiani, si era a r r u o l a t o fra i rivoluzioni in Spagna, e di lì finalmente e r a a p p r o d a t o a Porto Alegre, capitale della p r o vincia brasiliana d i Rio G r a n d e d o Sul. Q u i e r a d i v e n t a t o intimo amico di B e n t o Gongalves, p o t e n t e e p r e p o t e n t e capateli di quella inquieta regione. Il Brasile e r a allora un I m p e r o , sul cui t r o n o sedeva il giovane D o m P e d r o I I , che aveva staccato il Paese dal Portogallo, di cui fin lì era stato colonia. Ricchissimo latifondista, B e n t o g o d e v a di largo prestigio in tutta la provincia e lo usava p e r t e n e r l a in subbuglio c o n t r o i l p o t e r e c e n t r a l e . Aveva p i ù s m a n i a d i p o t e r e c h e idee. Ma queste gliele fornì a p p u n t o Zambeccari t r a d u c e n do in p o r t o g h e s e q u e l l e r e p u b b l i c a n e e d e m o c r a t i c h e di Mazzini. La rivolta scoppiò nel '35, e la p r i m a ripresa si concluse con la sconfitta dei ribelli e la d e p o r t a z i o n e di Bento e Zambeccari in u n a prigione di Rio. E r a n o prigioni bonarie, dove gl'inquilini p o t e v a n o a n c h e ricevere visite. Zambeccari ne ricevette u n a di Rossetti e Garibaldi, cui p r o p o s e di mettersi al servizio del g o v e r n o rivol u z i o n a r i o r i o g r a n d e n s e c h e f r a t t a n t o si e r a ricostituito e aveva r i p r e s o la lotta. Garibaldi esitò, ma n o n p e r p a u r a . Gli sembrava, abbracciando la causa di Bento, di disertare quella italiana, e ih più lo tratteneva u n o scrupolo di legittimità caratteristico del suo t e m p e r a m e n t o . Garibaldi n o n e r a u n C a p o che sul c a m p o di battaglia. Su quello politico, cercava s e m p r e q u a l c u n o che «coprisse» le sue responsabilità. Poco p r i m a aveva scritto a Mazzini p e r sollecitare da lui delle «lettere di marca» che lo autorizzassero ad a r m a r e u n a flottiglia p e r attaccare le navi piemontesi di transito in quei p a r a g g i . A n c h e c o n l'avallo di Mazzini, s a r e b b e r o state azioni di g u e r r a corsara regolarmente punite con la c o n d a n n a a morte. Ma Garibaldi n o n le sollecitava p e r sottrarsi ai rischi o attenuarli. Le chiedeva p e r c h é e r a un soldato, sia p u r e di ventura, e c o m e tale voleva sentirsi «al servizio». Z a m b e c c a r i vinse le s u e p e r p l e s s i t à d i c e n d o g l i c h e i princìpi p e r cui si b a t t e v a n o i ribelli r i o g r a n d e n s i e r a n o 195
quelli p e r i quali si b a t t e v a n o i rivoluzionari italiani, che la vittoria degli u n i e r a q u i n d i u n a vittoria anche degli altri. E q u a n t o alle «lettere di m a r c a » , a v r e b b e p r o v v e d u t o lui a p r o c u r a r g l i e l e , e infatti gliele p r o c u r ò subito. E r a n o stilate dal galeotto B e n t o , la cui firma, agli occhi di qualsiasi tribunale, n o n sarebbe valsa più di quella del fuoruscito Mazzini. Ma a Garibaldi bastò p e r sentirsi «in servizio». E da quel m o m e n t o la sua vita si t r a s f o r m ò in un a u t e n t i c o r o m a n z o di c a p p a e spada, che noi d o b b i a m o contentarci di riassumere p e r sommi capi. Al c o m a n d o di u n a lancia, sequestrò un cargo austriaco, vi trasferì la sua c i u r m a di dodici u o m i n i e mise la rotta sul p o r t ò u r u g u a i a n o d i M a l d o n a d o , sicuro d i trovarvi b u o n a accoglienza p e r c h é l ' U r u g u a y in quel m o m e n t o e r a alleato dei r i o g r a n d e n s i . Ma d u r a n t e il viaggio il g o v e r n o cambiò, quello n u o v o c a m b i ò politica, Garibaldi d o v e t t e r i m e t t e r e p r e c i p i t o s a m e n t e la p r u a verso N o r d , e nello s c o n t r o con un lancione p o r t o g h e s e ebbe la gola trapassata da u n a pallottola. Fu salvato p e r caso, m e n t r e il suo legno a n d a v a alla deriva, da u n a goletta a r g e n t i n a che lo sbarcò a Galeguay dove un c h i r u r g o riuscì a estrargli il proiettile incistato a pochi millimetri dalla c a r o t i d e , e la polizia lo i n t e r n ò , ma lasciandolo a p i e d e libero. I n g a n n ò quei mesi di prigionia esercitandosi col cavallo, in poco t e m p o diventò un perfetto gaucho, tentò di fuggire, fu ripreso e t o r t u r a t o , ma alla fine riebbe la sua libertà, potè r a g g i u n g e r e Montevideo dove C u n e o e Rossetti lo avevano p r e c e d u t o , ma di lì ripartì alla volta di Rio G r a n d e , dove lo aspettava Bento, evaso a n c h e lui dal suo carcere e di n u o v o in rivolta c o n t r o D o m Pedro. B e n t o lo n o m i n ò G r a n d e Ammiraglio di u n a flotta che si riduceva a d u e barconi imbottigliati in u n o stagno dalla s q u a d r a p o r t o g h e s e . Garibaldi improvvisò un cantiere p e r costruirvi altre lance, le caricò su e n o r m i carri trainati da buoi, le v a r ò alle spalle degli assediami, scampò a un naufragio in cui p e r s e tutta la sua flottiglia e g r a n p a r t e degli e q u i p a g g i , e coi superstiti, a piedi, 196
r a g g i u n s e L a g u n a , dove trovò altre b a r c h e catturate ai governativi, e Anita. Anita era la moglie delusa di un p o v e r o calzolaio che in quel m o m e n t o militava con gl'imperiali, e n o n si è mai b e n saputo come nacque il suo idillio con Garibaldi. Si sa soltanto che a un certo p u n t o questi se la c o n d u s s e a b o r d o , e fu qui ch'essi trascorsero, vegliati dalla c i u r m a , la loro l u n a di miele. L'idillio fu i n t e r r o t t o dalle c a n n o n a t e della s q u a d r a brasiliana. N o n p o t e n d o d i f e n d e r e i suoi legni, Garibaldi l'incendiò, e alla testa dei suoi r a g g i u n s e via t e r r a il grosso dei ribelli a p r e n d o s i la strada a schioppettate. Anita, già incinta, lo seguiva. Essa n o n c o r r i s p o n d e e s a t t a m e n t e all'immagine oleografica che ne ha d a t o certa storiografia risorgim e n t a l e . Era u n a d o n n a incolta, senza particolari attrattive fisiche, proterva e gelosa, che condivise gl'ideali del suo comp a g n o n o n p e r c h é n e fosse p e r s u a s a , m a p e r c h é e r a n o del suo c o m p a g n o . I n t r e p i d a sotto le pallottole, viveva nel terrore di essere a b b a n d o n a t a da lui, q u a n d o in un combattimento lo p e r s e uscì quasi di senno, e da allora n o n volle più staccarsene, n e a n c h e q u a n d o fu in p r e d a alle doglie del p a r t o . Menotti n a c q u e d u r a n t e u n a sosta di quella «lunga marcia» n e l l ' i n t e r n o del Paese, fra un assalto e un'imboscata, e la sua culla fu la sella. Ma Garibaldi si rese conto che contin u a r e e r a insensato, a n c h e p e r c h é la sorte dei ribelli era segnata. Bento gli concesse il c o n g e d o , e a m o ' di liquidazione gli r e g a l ò un migliaio di bovini. G a r i b a l d i ridiscese v e r s o Sud spingendosi avanti quella m a n d r i a m u g g e n t e , che p e r ò si assottigliava ogni giorno. I troperos ch'egli aveva assoldato se ne v e n d e v a n o i capi p e r strada, ma lui n o n se n'accorgeva. Anita gli cavalcava a fianco col capezzolo infilato nella bocca del pargolo, a sera si faceva bivacco e si accendevano i fuochi: e r a la vita c h e aveva s e m p r e s o g n a t o . Q u a n d o arrivò alla frontiera u r u g u a i a n a , dei mille capi gli e r a n o rimaste trecento pelli che svendette r i c a v a n d o n e un centinaio di ducati. Mai generale s u d a m e r i c a n o si e r a contentato di p r o fitti di g u e r r a p i ù modesti. 197
A Montevideo si p r o v ò a fare il b u o n p a d r e di famiglia, e basta, come in fondo Anita desiderava. Regolarizzò con un m a t r i m o n i o la sua relazione con lei, facendone passare p e r m o r t o il m a r i t o che forse e r a a n c o r a vivo, affittò u n a casa, p r e s e delle r a p p r e s e n t a n z e di commercio, brigò perfino un p o s t o d ' i n s e g n a n t e di m a t e m a t i c a e geografia nelle scuole locali. Degli avvenimenti italiani lo informava C u n e o , semp r e indaffaratissimo a f o n d a r e e s e p p e l l i r e g i o r n a l i . Ma sembrava che n o n vi p r e n d e s s e più molto interesse. A r i a n i m a r g l i e l o fu A n z a n i , il p i ù serio e a u t o r e v o l e degli esuli italiani, che aveva c o m b a t t u t o p e r la libertà in Grecia e in S p a g n a . Le sue p a r o l e avevano g r a n peso a n c h e p e r c h é fra tutti q u e i chiacchieroni, ne p r o n u n z i a v a p o c h e . Il m o m e n t o , p e r l'Uruguay, era d r a m m a t i c o . L'Argentina gli aveva dichiarato g u e r r a , e con la sua flotta gli t e n e v a imbottigliata la capitale. Tutti gli stranieri di M o n t e v i d e o avevano f o r m a t o delle legioni p e r c o n t r i b u i r e alla difesa del Paese. A n z a n i disse a Garibaldi che un c o r p o di volontari italiani allenati a l c o m b a t t i m e n t o p o t e v a v e n i r b u o n o d o m a n i a n che p e r la causa nazionale. E a questo a r g o m e n t o Garibaldi si a r r e s e . Affidò all'amico il c o m p i t o di organizzare u n a legione, e assunse il c o m a n d o della s q u a d r a navale che il gov e r n o gli offriva. Il c o m p i t o che gli avevano affidato sembrava disperato. Si trattava di forzare il blocco e di risalire il P a r a n à p e r recare aiuto agli a r g e n t i n i di C o r r i e n t e s , insorti c o n t r o il loro g o v e r n o . L e s u e forze e r a n o n e l r a p p o r t o d i u n o a t r e rispetto a quelle a r g e n t i n e , c o m a n d a t e p e r di p i ù da un ammiraglio inglese, B r o w n , vecchia volpe cresciuta alla scuola di Nelson. T e m e r a r i a m e n t e , Garibaldi riuscì ad e l u d e r e la sua vigilanza, e a r a g g i u n g e r e il suo obbiettivo. B r o w n gli fu addosso q u a n d o i ribelli avevano già ricevuto i rifornimenti che aspettavano. Bloccato in u n ' a n s a del fiume, Garibaldi si difese coi denti, e rifece quello che aveva già fatto a L a g u n a . O r d i n ò ai suoi u o m i n i di annaffiare le tolde con l'acquavite 198
e di appiccarvi il fuoco. Insieme alle tolde, le indisciplinate c i u r m e si annaffiarono le gole e, u b r i a c h e , si rifiutarono di o b b e d i r e a l l ' o r d i n e di sbarco. Garibaldi le a b b a n d o n ò alla loro sorte. Fu u n a delle p o c h e volte, nella sua l u n g a vita di guerrigliero, in cui diede prova di fredda spietatezza, e forse fu u n a rivelazione a n c h e p e r lui. Nel suo eccezionale coraggio n o n c'era o m b r a di sadismo. Uccidere n o n gli piaceva, n e a n c h e il nemico, che trattò s e m p r e con g r a n d e u m a nità. B r o w n disse di lui: «E il p i ù generoso dei pirati che abbia mai incontrato». A Montevideo il giornale di C u n e o aveva d a t o alle gesta di Garibaldi il più enfatico risalto, magnificando la battaglia d i C o r r i e n t e s c o m e u n a sua g r a n d e vittoria. Vittoria n o n e r a p e r c h é il n i z z a r d o vi aveva p e r s o la sua piccola flotta. Ma la città, q u a n d o a piedi vi r i e n t r ò d o p o u n a l u n g a anabasi, Io accolse c o m e un t r i o n f a t o r e e gli rese tali o m a g g i , che la loro eco arrivò a n c h e in Italia, e fu così che il n o m e di Garibaldi cominciò a circolare nelle catacombe della cospirazione. Incalzata a n c h e da p a r t e di t e r r a , la capitale sembrava alla vigilia della capitolazione. Ma la notizia p e r Garibaldi più a m a r a fu quella c h e gli d i e d e Anzani: la legione italiana si e r a s b a n d a t a al p r i m o fuoco d a n d o di se stessa u n o spettacolo che giustificava in p i e n o le c o r b e l l a t u r e di cui tutti, e specialmente i francesi, la facevano segno. Garibaldi p a r l ò chiaro e d u r o ai volontari, ne e p u r ò i q u a d r i , i m p o s e u n a disciplina di ferro, e infine ebbe u n a geniale trovata, destin a t a a c o n t r i b u i r e n o n p o c o alla sua l e g g e n d a : la camicia rossa. Su q u e s t a camicia si s o n o r i c a m a t i r o m a n z i . Ma la sua storia invece è molto semplice, a d d i r i t t u r a prosaica, e assol u t a m e n t e priva dei sottintesi ideologici che le sono stati attribuiti. D a b u o n soldato, G a r i b a l d i e r a c o n v i n t o c h e p e r trasformare degli u o m i n i in combattenti u n a divisa n o n basta, ma ci vuole. La Legione n o n aveva soldi p e r distribuirne. Ma in q u e l m o m e n t o u n a fabbrica di M o n t e v i d e o , che 199
p r o d u c e v a g r e m b i u l o t t i rossi d e s t i n a t i ai saladeros, cioè ai macellai argentini, n o n p o t e n d o più smerciarli dato lo stato di g u e r r a fra i d u e Paesi, dovette venderli sotto costo. Garibaldi approfittò dell'occasione p e r i n c e t t a r n e u n a cospicua partita. E fu così, p e r p u r e ragioni di economia, che nacque la sua famosa uniforme. U n a volta che n'ebbe rivestito i suoi v o l o n t a r i , li r i p o r t ò in linea, e sotto il suo c o m a n d o gli ex-fuggiaschi d i v e n t a r o n o leoni, anzi lo d i v e n t a r o n o t r o p p o p e r c h é s i b u t t a r o n o t a l m e n t e avanti c h e , p e r r e c u p e r a r l i , l'esercito u r u g u a i a n o d o v e t t e a v a n z a r e le p r o p r i e linee, e p e r p o c o n o n si trovò aggirato. Ma questo a Garibaldi n o n i m p o r t a v a . A lui p r e m e v a soltanto a b i t u a r e i suoi u o m i n i a battersi, e ci stava r i u s c e n d o . Anche di questo episodio, deb i t a m e n t e m a g g i o r a t o dalla p r o s a trionfalistica d i C u n e o , l'eco giunse in Italia, ad alimentarvi il mito dell'Eroe dei Due mondi, c o m e già si cominciava a c h i a m a r l o . Lo stesso Garibaldi se ne rese conto dalle lettere che gli piovvero addosso dalla patria lontana. Ce n ' e r a n o a n c h e di Mazzini, calde di a m m i r a z i o n e e di affetto. E r a n o le p r i m e c h e riceveva da lui, e p o r t a v a n o la d a t a dell'agosto '46. Fra le stupefacenti notizie ch'esse recavano c'era a n c h e questa, più stupefacente di tutte: che i patrioti toscani avevano lanciato u n a p u b blica sottoscrizione p e r il d o n o d ' u n a s p a d a d ' o n o r e a Garibaldi quale «testimonianza di nazionale gratitudine», che le sottoscrizioni fioccavano, e che in P i e m o n t e l'iniziativa aveva ricevuto l'autorizzazione di colui che aveva c o n d a n n a t o a m o r t e Garibaldi: Carlo Alberto. T u t t o questo dovette rimescolargli il s a n g u e , ma n o n gli m o n t ò la testa. Garibaldi n o n era un esibizionista. La p o p o larità gli piaceva, come piace a tutti, ma n o n lo inebriava, e n o n le c o r r e v a d i e t r o . A fargliela e r a n o stati gli altri, n o n lui, c h e delle sue i m p r e s e p a r l a v a con m o l t a m o d e s t i a . In mezzo a tanta a m m i r a z i o n e , era rimasto l'uomo semplice di s e m p r e , senza cupidigia di p o t e r e e tanto m e n o di d e n a r o . C'era in lui il disinteresse di un e r o e da western, arrivato a posizioni di c o m a n d o solo in forza d ' i n n a t e qualità carisma200
tiche. Era diventato un capo p e r c h é gli u o m i n i s p o n t a n e a m e n t e lo seguivano, e senza mai a s s u m e r n e le pose gladiatorie. N o n era un invasato della disciplina. Solo in combattim e n t o la esigeva, ma n o n aveva quasi mai bisogno d ' i m p o r la. Gli obbedivano, affascinati dal suo calmo coraggio e, sebb e n e trattasse tutti con la m a g g i o r e familiarità, n e s s u n o se ne p r e n d e v a con lui. Anzani e r a u n o dei pochissimi che gli desse del tu. Gli altri gli d a v a n o del voi. Il Sud-America non lo aveva contagiato fino ad accendere in lui l'ambizione del Caudillo, ma aveva m o l t o influito sulla sua f o r m a z i o n e di c o n d o t t i e r o . Quella in cui Garibaldi eccelleva e r a la g u e r r a di b a n d e , fatta s o p r a t t u t t o d'intuito, improvvisazione e rapidità di movimenti. Ma c'era anche un'altra cosa in lui, che affascinava gli u o m i n i : la fiducia nella p r o p r i a stella. Molte cose gli riuscivano p e r c h é il n e m i c o e r a sicuro c h e n o n le avrebbe osate, sicché o g n i sua vittoria c o n t e n e v a degli elem e n t i d'incredibilità che ne m a g g i o r a v a n o gli effetti nella fantasia p o p o l a r e . Grazie a n c h e alla lontananza e alla magia degli esotici n o m i - Corrientes, La Piata, ecc. - in Italia se lo raffiguravano c o m e un qualcosa di mezzo fra Bolivar e Buffalo Bill. Ma t u t t o q u e s t o e r a a v v e n u t o senza ch'egli se lo proponesse: e r a un u o m o t r o p p o semplice, schietto e istintivo p e r c u r a r e le messinscene pubblicitarie: a n c h e la camicia rossa era stata u n a «trovata» involontaria. N e m m e n o in tutti quegli a n n i di c o n t i n u o g u e r r e g g i a r e al servizio di cause in cui si p o t e s s e r o riconoscere gl'ideali della sua giovinezza aveva mai dimenticato la patria. Ma forse n o n credeva più molto al suo riscatto. N o n aveva più seguito con molto interesse gli avvenimenti che vi si svolgevano a n c h e p e r c h é forse n o n ne afferrava il filo. Intellettualm e n t e rozzo e di scarsa cultura, anche se li avesse letti, n o n avrebbe mai p o t u t o c a p i r e i Gioberti, i Balbo, i D'Azeglio. Politicamente era rimasto alla contrapposizione frontale tra le d u e Italie: quella del t r o n o e dell'altare con le loro forche, e quella del p o p o l o con le sue barricate. Più che al suo cervello, le soluzioni «moderate» r i p u g n a v a n o al suo t e m p e 201
r a m e n t o , e dovevano apparirgli u n a m a s c h e r a t u r a della diserzione. Ma dal m o m e n t o in cui la patria si accorse di lui, lui n o n p e n s ò più che alla patria e al p r o p r i o r i t o r n o . Il g o v e r n o di Montevideo gli affidò il c o m a n d o s u p r e m o di tutte le forze a r m a t e , ma lui n o n lo t e n n e che p e r un paio di mesi anche p e r c h é o r m a i le o p e r a z i o n i l a n g u i v a n o e il Paese p o t e v a considerarsi salvo. U n a sera il ministro della g u e r r a Pacheco a n d ò a rendergli visita e lo trovò al buio p e r c h é n o n aveva n e m m e n o di che c o m p r a r s i le candele. Gli fece allettanti p r o p o s t e di sistemazione, ma Garibaldi le lasciò cadere. L'unica cosa p e r cui spasimava e r a u n a nave che lo riportasse in Italia, d o n d e g i u n g e v a n o notizie c h e r e n d e v a n o la sua ansia s e m p r e p i ù f r e m e n t e . Pio IX aveva concesso l'amnistia ai c o n d a n n a t i politici e teneva tali discorsi che Mazzini (Mazzini!) gli aveva scritto u n a lettera di omaggio e di plauso. Carlo Alberto dichiarava che n o n vedeva l'ora di lanciare il g r i d o d e l l ' i n d i p e n d e n z a nazionale. E lui n o n capiva come tutto questo fosse p o t u t o avvenire, ma aveva p a u r a che si compisse senza di lui. Scrisse a P i p p o che si spicciasse a m a n d a r g l i quella sospirata nave. Ma Pippo, che c o m e u o m o d'azione lo a m m i r a v a moltissimo, ma c o m e politico n o n lo voleva tra i piedi p a v e n t a n d o q u a l c h e suo colpo di testa in quella delicata c o n g i u n t u r a , gli rispose di stare tranquillo: al m o m e n t o o p p o r t u n o lo avrebbe richiamato. Garibaldi a n d ò su tutte le furie e si rivolse d i r e t t a m e n t e al N u n z i o Apostolico a Rio con u n a lettera in cui faceva al Papa offerta di se stesso e dei suoi legionari. Se lo aveva fatto Mazzini, p e r c h é n o n p o t e v a farlo a n c h e lui? Il N u n z i o diede u n a risposta evasiva in u n t u o s o stile prelatizio e Mazzini, p e r ricucire i r a p p o r t i con lui e p r e v e n i r e qualche sua altra incauta mossa, gli m a n d ò c o m e consigliere politico un suo fiduciario, Giacomo Medici. Ma niente più poteva t r a t t e n e r e Garibaldi, che aveva già i n d e t t o u n a sottoscrizione p e r il noleggio d ' u n piroscafo e spedito a Nizza Anita e i tre bambini che frattanto gli erano 202
nati. La sottoscrizione a n d ò a gonfie vele. Ma q u a n d o l'arm a t o r e ebbe intascato la cifra richiesta, disse che aveva fatto male i conti e chiese un s u p p l e m e n t o . I legionari si spogliar o n o di tutti i loro averi p e r fare fronte alle sue esose pretese. Ma al m o m e n t o della p a r t e n z a si avvidero c h ' e r a n o molti m e n o di quelli che s'erano messi in lista. Il loro esatto amm o n t a r e n o n s'è m a i s a p u t o . C'è chi dice settanta. C'è chi dice sessanta. I n o m i accertati sono c o m u n q u e q u a r a n t o t t o , e fra di essi figurano a n c h e d u e s t r a n i e r i : l ' u r u g u a y a n o Ignacio B u e n o , t e m e r a r i o c o m b a t t e n t e e fedelissima g u a r dia del c o r p o del c o m a n d a n t e , e il n e g r o Aguyar, d e t t o «il Moro di Garibaldi»: un b o n a r i o gigante d ' u n a fedeltà e dedizione a tutta prova, che combatteva con u n a lancia e u n a fune p e r p r e n d e r e i nemici al laccio, c o m e i cavalli. Medici era già p a r t i t o in avanscoperta p e r p r e d i s p o r r e lo sbarco e gli a c c a n t o n a m e n t i sulla costa fra Livorno e Viareggio. E fin a l m e n t e il 15 a p r i l e del '48 la Speranza levò le a n c o r e e sciolse le vele al vento, salutata dalla b a n d a e da un frenetico sventolìo di b a n d i e r e e fazzoletti. L'Eroe d ' u n m o n d o p a r t i v a alla c o n q u i s t a d e l l ' a l t r o mondo. Fino a Gibilterra, i m p i e g a r o n o sessanta giorni, e a p p e n a sup e r a t o lo stretto incrociarono u n a nave che batteva b a n d i e ra tricolore e lanciò alcuni elettrizzanti messaggi: «Milano insorta... Carlo Alberto attraversato il confine...» Sulla tolda i legionari si a b b a n d o n a r o n o a un pazzo g i r o t o n d o , m e n o Anzani, che nella sua cuccetta combatteva la sua ultima disperata battaglia con la tubercolosi, e Garibaldi che si struggeva: «Arriviamo ultimi, n o n facciamo in tempo...» Fu allor a che, c o m p l e t a m e n t e d i m e n t i c o d e l l ' a p p u n t a m e n t o con Medici, o r d i n ò di m e t t e r e la p r u a su Nizza. Anita gli v e n n e i n c o n t r o con u n a b a r c a all'ingresso del p o r t o , e mescolata alla folla in attesa sul molo c'era m a m m a Rosa coi n i p o t i n i p e r m a n o , m a senza p a d r o n D o m e n i c o , m o r t o a n n i p r i m a . A un ricevimento cui v e n n e subito invi203
tato, Garibaldi dichiarò: «Tutti quelli che mi conoscono sanno s'io sia mai stato favorevole alla causa dei Re. Ma questo fu solo p e r c h é i Principi facevano il male d'Italia. O r a invece sono realista e vengo a esibirmi al Re di Sardegna, che si è fatto il r i g e n e r a t o r e della nostra penisola». Pressappoco le stesse cose r i p e t è a Genova, dove a n d ò a n c h e p e r d i r e addio ad Anzani, o r m a i allo stremo. Anzani, che aveva risaputo le sue dichiarazioni, n o n gli disse nulla, ma gli fece capire la sua disapprovazione, e quel malinteso rese ancora più triste il triste c o n g e d o . Ma Anzani stesso volle dissiparlo dicendo in p u n t o di m o r t e : «Garibaldi è un p r e d e s t i n a t o , l'avvenire d'Italia è in sua mano». C a r l o A l b e r t o n o n fu dello stesso p a r e r e . Fra le t a n t e oleografie del Risorgimento, c'è a n c h e il «caloroso abbraccio» che i d u e u o m i n i si s a r e b b e r o scambiati a Roverbella, dove il Re, allora col vento in p o p p a p e r la ritirata austriaca, aveva il suo quartier generale. A p a r t e la congenita refrattarietà di Carlo Alberto ad alcunché di «caloroso», ecco la versione di Garibaldi nelle sue Memorie: «Lo vidi, conobbi diffid e n z a nell'accogliermi, deplorai nelle titubanze e incertezze di q u e l l ' u o m o il d e s t i n o m a l e affidato della n o s t r a p o v e r a patria». U n o dei pochi giudizi esatti che Garibaldi abbia mai azzeccato. Q u a n t o poco avessero simpatizzato, lo dimostrano i fatti. Al nizzardo, che gli chiedeva di essere subito impiegato coi suoi volontari, il Re consigliò di a n d a r e a Torino a p a r l a r n e col ministro della g u e r r a Franzini, cui si affrettò a c o m u n i c a r e «le impressioni n e t t a m e n t e contrarie» che in lui aveva suscitato «quel tale v e n u t o da Montevideo», c o m e lo chiamavano s p r e z z a n t e m e n t e i suoi ufficiali, e aggiungeva: «Siccome n o n c'è m o d o di a d o p r a r l o nella Marina come capo corsaro, e vietano la sua assunzione a g e n e r a l e dell'esercito gli antecedenti del 1834 e la sua famosa dichiarazione r e p u b b l i c a n a , si d e v o n o fornire a Garibaldi i mezzi n e cessari p e r dirigersi altrove». Per trarsi d'imbarazzo, Franzini lo fece ricevere dal ministro Ricci, che consigliò a Garibaldi di a n d a r e a fare un po' 204
di g u e r r a di corsa nella laguna di Venezia. Irritato e deluso, G a r i b a l d i r i m a s e a T o r i n o , e un g i o r n o , sotto i portici, incontrò Medici, che quasi lo aggredì. Medici si era sobbarcato a fatiche e rischi p e r p r e p a r a r g l i lo sbarco sulla costa tirrenica, c o m e c o n v e n u t o , e si sentiva beffato. Ma il litigio fu p a s s e g g e r o . E n t r a m b i si s e n t i v a n o a n c o r a p i ù beffati da Carlo Alberto, e decisero di trasferirsi a Milano p e r mettersi a disposizione del governo provvisorio. Fu lì che avvenne il s e c o n d o i n c o n t r o - se il p r i m o c'era effettivamente stato fra Garibaldi e Mazzini, ma n e m m e n o di questo si sa granché. Si sa soltanto che, accolto con entusiasmo dalla popolazione, n o n lo fu a l t r e t t a n t o dai g e r a r c h i milanesi e soprattutto dal m i n i s t r o della g u e r r a c h ' e r a u n p i e m o n t e s e , Sob r e r o , e diceva di lui: «E u n o sciabolatore, n o n un g e n e r a le!» In q u e l m o m e n t o p e r ò i g e n e r a l i n o n g o d e v a n o g r a n prestigio, d o p o le batoste subite a Custoza. L'elemento d e m o c r a t i c o rialzava la testa, cercava di r i a n i m a r e lo spirito battagliero delle Cinque Giornate p e r un estremo tentativo di resistenza p o p o l a r e al r i t o r n o di Radetzky, e c h i e d e v a l'immediato impiego di Garibaldi. Alla fine gli consentirono di organizzare u n a legione di volontari, ma come p e r scherno gli d i e d e r o p e r divise quelle di tela bianca che l'esercito a u s t r i a c o aveva lasciato n e i suoi m a g a z z i n i « S e m b r a v a m o un r e g g i m e n t o di cuochi» scrisse Medici. I più regolari a p parivano, con le loro camicie rosse, i c i n q u a n t a o sessanta di Montevideo, p r e c e d u t i dal gigantesco Aguyar col suo scudo e la sua lancia di g u e r r i e r o della foresta. Il 28 luglio p a r t i r o n o p e r B e r g a m o , a organizzarvi la difesa. E r a n o in t u t t o m i l l e c i n q u e c e n t o u o m i n i , fra i quali u m i l m e n t e si e r a a r r u o l a t o , c o m e semplice legionario, anche Mazzini. Ma e r a n o da p o c o arrivati che il C o m i t a t o di pubblica difesa, costituitosi p e r t e n t a r e il rilancio dell'insurrezione p o p o l a r e , li richiamò a Milano, o r m a i investita dalle a v a n g u a r d i e austriache. Le i n c o n t r a r o n o a Merate il 4 agosto, e i legionari n o n si p r o v a r o n o n e a n c h e ad affrontarle. Molti d i s e r t a r o n o , altri si avviarono verso la frontiera sviz205
zera, e fra questi c'era a n c h e Mazzini che di lì lanciò il suo p r o c l a m a : «La g u e r r a regia è finita. La g u e r r a del p o p o l o incomincia». Un altro p r o c l a m a lanciò Garibaldi p e r c h i a m a r e a raccolta i giovani di tutta Italia; ma n o n sortì risultati. Coi p o chi superstiti si trasferì p r i m a a C o m o , poi a A r o n a , sequestrò d u e barconi, vi caricò i suoi uomini, e con essi si dette a scorrazzare su e giù p e r il lago, facendo girare la testa agli austriaci che n o n riuscivano ad acciuffarlo. A n c h e i p i e m o n tesi gli d a v a n o la caccia p e r d i m o s t r a r e c h e n o n a v e v a n o n i e n t e a che fare con quel corsaro, ridiventato il g u e r r i e r o anfibio del P a r a n à . Garibaldi sperava che sul suo e s e m p i o tutta l'Italia si lanciasse in u n a g u e r r a di b a n d e , l'unica nella quale egli n o n aveva rivali. Invece rimase solo, e alla catt u r a sfuggì p e r miracolo, scivolando di n o t t e a t t r a v e r s o la frontiera svizzera e di lì r i e n t r a n d o sotto falso n o m e a Genova, dove lo elessero d e p u t a t o . «Io n o n ho che u n a s p a d a e la mia coscienza: ve le consacro» disse agli elettori. Ma in p a r l a m e n t o si rifiutò di m e t t e r piede. Il suo c a m p o di battaglia n o n era quello.
CAPITOLO DICIANNOVESIMO
LA FUGA DEL PAPA
Custoza aveva p r o v o c a t o in tutta Italia grossi contraccolpi, che tuttavia si manifestarono in m a n i e r a diversa da Stato a Stato. A r i s e n t i r n e m e n o di tutti fu N a p o l i , d o v e F e r d i n a n d o , con la feroce repressione del 15 maggio, aveva p r e c o r s o gli avvenimenti e dato il segnale della riscossa reazionaria. Nelle province i n t e r n e ci furono, da p a r t e democratica, dei tentativi di rivincita che come al solito si confusero con iniziative di banditismo e c o n t r i b u i r o n o soltanto al discredito della causa rivoluzionaria. A organizzare la resistenza furono sop r a t t u t t o i d e p u t a t i sfrattati da M o n t e o l i v e t o : Ricciardi, M a u r o , Musolino, Petruccelli, Carducci. Ma nessuno di loro si mostrò all'altezza del compito, e nel naufragio fu coinvolto a n c h e un ufficiale piemontese, Ribotti, che cercò di riunire sotto il suo c o m a n d o le b a n d e dei ribelli calabresi. A m e t à luglio i generali borbonici p o t e v a n o a n n u n z i a r e a Re Bomba che l'ordine - un o r d i n e basato sui cimiteri e le galere era ristabilito in tutto il R e a m e , fino allo stretto di Messina. In sospeso, restavano solo i conti con la Sicilia. Qui il n u o v o r e g i m e aveva a m p i a m e n t e deluso le aspettative. I m o d e r a t i che lo gestivano si e r a n o p r e o c c u p a t i sop r a t t u t t o di t r o v a r e un Re p e r c h é la p a r o l a Repubblica aveva p e r il loro palato un s a p o r e t r o p p o sovversivo. Avevano offerto la C o r o n a al Duca di Genova, s e c o n d o g e n i t o di Carlo Alberto. Ma il P r i n c i p e , d ' a c c o r d o col p a d r e , l'aveva rifiutata, c o m ' e r a logico, p e r c h é la vittoriosa Austria n o n gli a v r e b b e mai c o n s e n t i t o di cingerla. P e n s a r o n o di d a r l a al s e c o n d o g e n i t o del G r a n d u c a di Toscana, ma poi r i n u n z i a 207
r o n o p r e v e d e n d o la stessa risposta. In realtà, il vero u r g e n te p r o b l e m a dell'isola n o n e r a quello istituzionale, ma quello e c o n o m i c o e militare: lo Stato e r a in p i e n a b a n c a r o t t a e n o n aveva di che a p p r o n t a r e un esercito p e r difendersi dal r i t o r n o offensivo di quello b o r b o n i c o che già si p r e p a r a v a alla riconquista. Q u e s t a cominciò in s e t t e m b r e con u n a spedizione di ventimila u o m i n i appoggiati da u n a s q u a d r a navale c h e s o t t o p o s e Messina a un feroce b o m b a r d a m e n t o . D o p o t r e giorni la città c a d d e , e di lì le t r u p p e n a p o l e t a n e m o s s e r o su P a l e r m o . L'unico ostacolo che i n c o n t r a r o n o fu l a diplomazia anglo-francese, c h e i n t e r v e n n e p e r i m p o r r e u n a t r e g u a , in base alla quale fu stabilito che i borbonici limitassero la l o r o o c c u p a z i o n e al t r i a n g o l o Peloro-MilazzoScaletta, in attesa di ulteriori trattative, di cui è inutile seg u i r e le vicende. Esse f u r o n o intavolate in d i c e m b r e , fallir o n o , e si c o n c l u s e r o nella p r i m a v e r a successiva c o m e ormai la definitiva vittoria austriaca r e n d e v a inevitabile: cioè con la resa dell'isola e il suo r i t o r n o sotto lo scettro di Ferdinando. B e n diverse e r a n o state le reazioni della Toscana, più dir e t t a m e n t e i m p e g n a t a nella g u e r r a nazionale. Invece di demoralizzarli, la sconfìtta di Custoza r i a n i m ò i d e m o c r a t i c i che misero in crisi e costrinsero alle dimissioni il moderatissimo g o v e r n o Ridolfi. Gli successe C a p p o n i che tentò di allentare la tensione i n t e r n a con u n a più attiva politica estera, volta a un e n e r g i c o rilancio della L e g a con R o m a e il Piem o n t e , che l'incalzare degli eserciti austriaci r e n d e v a p u r a m e n t e velleitaria. Ad essa la pattuglia d e m o c r a t i c a o p p o s e l'iniziativa di u n a Costituente italiana, cioè di u n ' a s s e m b l e a eletta a suffragio universale in tutta la penisola, che tracciasse il p i a n o della lotta c o n t r o lo s t r a n i e r o e ne assumesse la guida. Q u e s t ' i d e a , a n c o r a p i ù velleitaria dell'altra, l'aveva già lanciata Mazzini sul suo giornale milanese. C o m e al solito, ad a d o t t a r l a c o m e sua b a n d i e r a fu l'irrequieta L i v o r n o , di cui C a p p o n i scriveva col d i s d e g n o dell'aristocratico fiorenti208
n o , che «fu g r a n d e i m p r e v i d e n z a del g o v e r n o l'averla cresciuta di gente e di case a n c h e più che n o n portassero le sue naturali condizioni, imperocché n o n vi è né p o t e n z a di m e morie, né stabilità di possessioni, né alcun vincolo cittadinesco; gli antichi d o t t o r i di scienza politica n o n la d i r e b b e r o città vera, ma ceto d ' u o m i n i congregati a caso e a t e m p o ; e sotto a questi u n a plebe ignorantissima e feroce, agitata di c o n t i n u o dalla disuguaglianza dei traffici e dalla incertezza dei g u a d a g n i , p e r c u p i d i t à o p e r miseria o p e r d i s p e t t o o p e r orgoglio p r o n t a s e m p r e ad arrischiare e a t e n t a r e ogni cosa». In realtà i fermenti rivoluzionari di Livorno e r a n o dovuti a u n a m a g g i o r e a p e r t u r a di q u e s t a città, g r a z i e alla sua c o n d i z i o n e di p o r t o franco, alle c o r r e n t i del p e n s i e r o m o d e r n o , specie quelle socialiste. I disordini che ne derivarono c o s t r i n s e r o F i r e n z e a m a n d a r v i in qualità di p a c i e r e Guerrazzi, cui tuttavia C a p p o n i , che lo detestava, n e g ò il titolo e i p o t e r i di g o v e r n a t o r e , s p i n g e n d o l o così dalla p a r t e dei ribelli. Fu in questa e m e r g e n z a che t o r n ò Montanelli, ferito a C u r t a t o n e e p e r un pezzo c r e d u t o m o r t o , m e n t r e e r a stato c a t t u r a t o dagli austriaci, che p o i lo r i l a s c i a r o n o in o m a g g i o alla sua qualifica di d e p u t a t o . Fu lui che C a p p o n i nominò governatore di Livorno anche perché Guerrazzi aveva dichiarato che solo a lui avrebbe lasciato il posto. E in q u e l l ' o c c a s i o n e , dice C a p p o n i , «mi fece q u a l c h e c e n n o di quella parola costituente ch'egli voleva m e t t e r e innanzi tostoché fosse in Livorno, ed io (lo confesso), t e n e n d o ciò c o m e vanità, lasciai che usasse quella parola c o m e un balocco: antico vizio ed insanabile è in me il n o n c r e d e r e q u a n t o si d o v r e b b e i n q u e s t o t o n d o p i a n e t a n o s t r o alla p o t e n z a delle stoltezze». Invece di quella stoltezza Montanelli era così infatuato e tanto ne parlava nei suoi discorsi che il p o p o l i n o - dicono finì p e r c r e d e r e che la Costituente fosse il n o m e di sua m o glie. Per q u a n t o si basasse su un p r e s u p p o s t o impossibile - quello di un a c c o r d o fra i vari Stati italiani di d e l e g a r e o 209
sottomettere i loro p o t e r i a un p a r l a m e n t o nazionale di cui essi e r a n o i più irriducibili negatori - la p r o p o s t a suscitò tale e n t u s i a s m o in t u t t a Italia e p a r t i c o l a r m e n t e in Toscana, che a C a p p o n i n o n rimase che lasciare il suo posto di p r i m o ministro e ministro degli esteri a Montanelli, il quale in ott o b r e formò u n n u o v o g o v e r n o con G u e r r a z z i . Costui alla C o s t i t u e n t e ci c r e d e v a q u a n t o C a p p o n i , ma si g u a r d ò dal dirlo a n c h e p e r c h é prevedeva che il p r o g e t t o sarebbe caduto da sé, p e r la renitenza degli altri governi. Ma intanto esso aveva tratto dal suo isolamento e rilanciato il partito d e m o cratico, il quale o r a chiedeva con impazienza che la Toscana desse l'esempio e l e g g e n d o i r a p p r e s e n t a n t i da inviare alla Costituente, q u a n d o si fosse costituita. Sotto minaccia di dimissioni, il governo costrinse il G r a n d u c a ad accettare la discussione della p r o p o s t a in p a r l a m e n t o . M o n t a n e l l i la sostenne con appassionata eloquenza, e a un m o d e r a t o che gli chiedeva cosa sarebbe successo se la Costituente avesse deciso di togliere la c o r o n a a L e o p o l d o , rispose che L e o p o l d o avrebbe dovuto rassegnarsi. L e o p o l d o , che p e r le sue passate i n d u l g e n z e verso i liberali temeva un castigo da p a r t e degli austriaci tornati in forze, con la rioccupazione dei Ducati centrali, sui confini toscani, decise di anticipare quella scadenza. Nel g e n n a i o (del '49) si trasferì a Siena, dove scrisse a Montanelli u n a lettera in cui dichiarava di n o n p o t e r f i r m a r e la legge sulla Costit u e n t e p e r c h é questa era stata sconfessata dal Papa. Poi p r o seguì p e r Porto S. Stefano, e qui s'imbarcò su un piroscafo inglese che lo condusse a Gaeta, dove lo aspettava il più illustre di tutti gli esuli: Pio IX. A F i r e n z e si costituì un g o v e r n o p r o v v i s o r i o sotto il triumvirato di Montanelli, Guerrazzi e Mazzoni, che si trov a r o n o i m m e d i a t a m e n t e in disaccordo fra loro. Guerrazzi si o p p o s e risolutamente - e vittoriosamente - alla p r o p o s t a di M o n t a n e l l i di p r o c l a m a r e la R e p u b b l i c a e di f o n d e r l a con quella r o m a n a . Perché a n c h e a R o m a , ora, c'era la R e p u b blica. 210
Il g o v e r n o M a m i a n i che si e r a costituito subito d o p o l'alloc u z i o n e del 29 aprile (del '48) aveva o p e r a t o p e r tre mesi senza l ' a p p o g g i o del Papa, e s c o n t r a n d o s i c o n t i n u a m e n t e con la Segreteria di Stato, o r m a i d o m i n a t a dal cardinale Antonelli, che p r e t e n d e v a sovrapporglisi. Il dissidio verteva sop r a t t u t t o sulla g u e r r a d ' i n d i p e n d e n z a , in cui il g o v e r n o si considerava i m p e g n a t o visto che le sue t r u p p e combattevano in Veneto accanto a quelle piemontesi, m e n t r e la Segreteria si p r o c l a m a v a n e u t r a l e . Q u a n d o in g i u g n o si a p r ì il P a r l a m e n t o , M a m i a n i p r e p a r ò , c o m e voleva la Costituzione, il discorso della C o r o n a che il Papa avrebbe d o v u t o p r o n u n c i a r e . I l P a p a v ' i n t r o d u s s e delle modificazioni c h e n e c a p o v o l g e v a n o il senso, e M a m i a n i minacciò le dimissioni. Si giunse a un c o m p r o m e s s o , ma il Parlamento n o n ne tenne conto e ribadì il suo i m p e g n o a militare contro l'Austria. « O r a m a i a R o m a ci sono d u e p o t e r i che agiscono in senso d i a m e t r a l m e n t e opposto» scriveva l'ambasciatore p i e m o n t e se al suo governo. A m e t à luglio, fra i tanti sviluppi della controffensiva austriaca, ci fu a n c h e l ' o c c u p a z i o n e di F e r r a r a . M a m i a n i e i suoi amici s p e r a r o n o che il Papa reagisse a questa provocazione, ma furono delusi: tutto si ridusse a u n a protesta blanda e p u r a m e n t e formale. Q u a n d o g i u n s e la notizia di C u stoza, il P a r l a m e n t o votò m i s u r e di e m e r g e n z a che il P a p a respinse. In questo atteggiamento di capitolazione insistette anche q u a n d o gli austriaci p e n e t r a r o n o in forze - contro gli o r d i n i dello stesso Radetzky - in Emilia e R o m a g n a . Il gov e r n o si dimise, e Antonelli cercò di f o r m a r n e un altro col c a r d i n a l e Soglia e Fabbri. C o s t o r o t e n t a r o n o di a g g i r a r e l'opposizione del P a r l a m e n t o a g g i o r n a n d o l o al 15 n o v e m bre. Ma bisognava d o m a r e la piazza in fermento d o v u n q u e , specialmente a Bologna, e p e r questo ci voleva un u o m o forte e risoluto, c h e il P a p a c r e d e t t e di t r o v a r e in Pellegrino Rossi. Rossi era un toscano della Lunigiana, ma solo all'anagrafe. C o m e f o r m a z i o n e e m e n t a l i t à , a p p a r t e n e v a a n c o r a a 211
quel tipo di apòlidi che l'Italia del Settecento sfornava doviziosamente e che, n o n t r o v a n d o in patria un t e r r e n o p e r i l o r o talenti, a n d a v a n o da m e r c e n a r i a investirli all'estero. Professore d ' U n i v e r s i t à a p o c o p i ù di v e n t ' a n n i , poi c o m missario di M u r a t al t e m p o del suo infelice tentativo di unificare l'Italia sotto il suo scettro, e r a l'unico cattolico cui l'Accademia calvinista di Ginevra avesse mai affidato u n a cattedra. Il g o v e r n o francese di Luigi Filippo lo chiamò alla Sorb o n a , lo fece Pari, cioè Senatore, e m e m b r o della sua prestigiosa Accademia. Tutti questi titoli li doveva n o n soltanto alla vasta c u l t u r a e alla lucidissima intelligenza, ma a n c h e al fiuto politico e al t a t t o d i p l o m a t i c o . B e l l ' u o m o , e l e g a n t e , p a r l a t o r e forbito, n o n alieno dall'intrigo, fece p r e s t o a ent r a r e nelle grazie di Guizot, l'onnipotente ministro di Luigi Filippo, che finì p e r affidargli u n o dei più delicati problemi del m o m e n t o . L'opinione pubblica francese e r a in rivolta c o n t r o i Gesuiti, che n o n a v e v a n o mai smesso d ' i n t e r f e r i r e nelle q u e stioni di Stato, e ne reclamava la cacciata. Luigi Filippo era in u n a situazione difficile. Salito sul t r o n o grazie alle b a r r i cate che ne avevano rovesciato il Sovrano legittimo, n o n p o teva mettersi contro le forze democratiche cui doveva la Corona, ma n o n voleva n e m m e n o alienarsi quelle conservatrici e cattoliche, m e n o r u m o r o s e , ma p i ù p o t e n t i delle altre. N o n c'era d u n q u e che u n a soluzione: p e r s u a d e r e il Papa a r i c h i a m a r e di sua volontà i Gesuiti dalla Francia. E questa missione v e n n e affidata a Rossi, in qualità d'inviato speciale a Roma. Fin dal suo arrivo, nella p r i m a v e r a del '45, i Gesuiti scaten a r o n o contro di lui u n a di quelle c a m p a g n e di diffamazion e , di cui sono gl'insuperati maestri. Dissero ch'era stato carb o n a r o , che forse lo era ancora, e che aveva fornicato coi calvinisti fra i quali s'era scelto anche la moglie (il che era vero). Rossi incassò maldicenze e sgarbi senza reagire, e invece che a controbattere i suoi avversari, mirò a disarmarli. Lo stesso p a p a G r e g o r i o , che lo aveva accolto con diffidenza, rimase 212
conquistato dalle sue argomentazioni, e nel febbraio del '46 accettò la transazione che fruttò a Rossi la n o m i n a ad Ambasciatore presso la Santa Sede e il titolo di C o n t e : «Il C o n t e dello Spirito Santo» lo c h i a m a r o n o a Roma. Il prestigio che aveva acquistato in C u r i a gli p e r m i s e di seguire da vicino i successivi avvenimenti, dei quali r e n d e v a c o n t o in lettere a Guizot che ne c o n t e n g o n o la p i ù acuta e limpida testimonianza. Fu sin da principio un fautore di Pio IX fino a p a r t e c i p a r e di p e r s o n a alle manifestazioni popolari in suo favore, ma vide subito la pochezza e ambiguità dell'uomo e ne d e n u n z i ò i pericoli. Q u a l c u n o dice che, trovandosi in mezzo alle cose italiane, l'amor di patria r i n a c q u e in lui e lo spinse a m e t t e r s e n e al servizio. Ma p r o b a b i l m e n t e la verità è un'altra, p i ù p e d e s t r e . Ai p r i m i del '48 il «Re delle barricate» fu scacciato da altre barricate, con lui c a d d e Guizot, Rossi si t r o v ò senza p r o t e t t o r e , a u t o m a t i c a m e n t e ne cercò un altro, e q u a n d o il Papa, fiducioso nelle sue qualità politiche, gli p r o p o s e di e n t r a r e al p r o p r i o servizio costit u e n d o un g o v e r n o che ristabilisse l ' o r d i n e e l'autorità, accettò. «Il C o n t e Rossi - scriveva l'inviato di Venezia a R o m a - è tollerato dai r e t r o g r a d i poiché essi, c o n o s c e n d o di n o n p o ter richiamare il passato i n t e r a m e n t e , s p e r a n o di poterlo alm e n o richiamare in p a r t e ed essere garantiti dagli eccessi di cui t r e m a n o ancora (v'ha p e r ò qualche p r e t e che va cercando nei suoi libri di economia politica qualche principio d'eresia, e s p a r g e n d o che i suoi figli sono educati nella religione protestante). E rispettato dai costituzionali p e r c h é lo cred o n o sapientissimo in q u e s t a f o r m a di g o v e r n o e s p e r a n o che p o n g a un argine allo sviluppo dei princìpi democratici. Dai repubblicani invece è aborrito.» Personalmente, aggiungeva, egli è convinto «che la causa dell'italiana i n d i p e n d e n za è p e r d u t a senza riparo» e c h e «l'elemento p o p o l a r e o è i m p o t e n t e o rovinoso, e q u i n d i si deve o t r a s c u r a r e o combattere». Era u n a diagnosi esatta. Per p a r a r e il pericolo della Co213
stituente di Mazzoni e Montanelli che seguitava a suscitare i più g r a n d i entusiasmi, Rossi rilanciò l'idea della Lega Italica, ma d a n d o l e un c a r a t t e r e s q u i s i t a m e n t e c o n s e r v a t o r e e m a n o v r a n d o sotto banco p e r attrarvi la reazionaria Napoli c o m e c o n t r a p p e s o al P i e m o n t e liberale. E con questo senza d i r l o a p e r t a m e n t e , p r e n d e v a posizione c o n t r o l a g u e r r a d ' i n d i p e n d e n z a . Nello stesso t e m p o , a p p r o f i t t a n d o della vacanza p a r l a m e n t a r e , infittiva le m i s u r e di polizia facendole controfirmare da u n a p e r s o n a che, p e r il suo passato, i patrioti n o n p o t e v a n o discutere: quel generale Zucchi che aveva organizzato gl'insorti emiliani e romagnoli nel '34 e l'aveva scontata con u n a l u n g a prigionia in Austria; ma che, oramai o t t a n t e n n e , p r o p e n d e v a p e r soluzioni conservatrici. Tutto questo, invece di sedare, a g g r a v ò la tensione. Alla vigilia della r i a p e r t u r a del P a r l a m e n t o , tutti e r a n o convinti che, se questo gli avesse d a t o voto contrario, Rossi lo avrebbe sciolto p e r i n d i r e n u o v e elezioni e manipolarle, c o m e d o veva avere i m p a r a t o alla scuola di Guizot, o p p u r e avrebbe tentato un colpo di Stato p e r revocare la Costituzione e res t a u r a r e il vecchio r e g i m e assolutista. Egli stesso d i e d e credito a queste voci facendo a r r e s t a r e alcuni fuorusciti n a p o letani, c h i a m a n d o a R o m a rinforzi di g e n d a r m e r i a e pubblic a n d o sulla Gazzetta un articolo intimidatorio. S e m b r a c h e fosse stato avvertito dei pericoli che lo minacciavano. Ma il 15 n o v e m b r e egli si recò senza scorta né altre misure di sicurezza al palazzo della Cancelleria dove il P a r l a m e n t o aveva sede. L'atrio era p i e n o di folla eccitata in mezzo alla quale facevano g r u p p o a sé u n a sessantina di volontari reduci da Vicenza, dove avevano c o m b a t t u t o agli ordini di D u r a n d o . Q u a n d o il ministro fu in mezzo a loro, u n o gli afferrò il braccio facendolo voltare, m e n t r e un altro dalla p a r t e o p p o s t a gl'inferse u n a stilettata alla gola. Tutti, come su c o m a n d o , a v e v a n o alzato le braccia p e r n a s c o n d e r e l'attentatore, che infatti n o n v e n n e identificato. U n a istruttoria d u r a t a a n n i si concluse nel '54 con la c o n d a n n a a m o r te di un t e n e n t e G r a n d o n i , che n o n aveva n e m m e n o parte214
cipato alla c o n g i u r a , e di u n o scultore Costantini che, p u r a v e n d o v i p a r t e c i p a t o , n o n e r a d i c e r t o l'omicida. Solo i n t e m p i recenti si è p o t u t o a p p u r a r e con quasi assoluta sicurezza che il colpo e r a stato p e r p e t r a t o da Luigi B r u n e t t i , il figlio di Ciceruacchio, già fucilato dagli austriaci nel '49 insieme al p a d r e e al fratello. Q u a l c u n o dice c h e si t r a t t ò di un «annerimento», c o m e in gergo c a r b o n a r o si chiamava il castigo inflitto al «cugino» t r a d i t o r e . Ma l ' a p p a r t e n e n z a di Rossi alla C a r b o n e r i a n o n è mai stata provata, e tutto lascia c r e d e r e che in lui si volle colpire b e n altro t r a d i m e n t o : quello della g u e r r a d ' i n d i p e n d e n z a e della causa nazionale. Rossi spirò p o c h i m i n u t i d o p o , e il P r e s i d e n t e della Cam e r a n o n ebbe i l coraggio d i d a r n e pubblico a n n u n z i o tem e n d o ch'esso scatenasse la g u e r r a civile. Il Papa, atterrito, cercò di formare un n u o v o g o v e r n o , chiamandovi Minghetti, che rifiutò. La notizia la d e t t e al Circolo P o p o l a r e Ciceruacchio (il che conferma la sua corresponsabilità), che convocò p e r l ' i n d o m a n i il p o p o l o a u n a g r a n d e dimostrazione davanti al Q u i r i n a l e . Migliaia di p e r s o n e , molte delle quali e r a n o a r m a t e , c i r c o n d a r o n o il palazzo e c o n t r o le sue p o r t e a p p u n t a r o n o un c a n n o n e fornito dalla G u a r d i a Civica. Nel suo studio, il Papa teneva convulsi consulti col ministro degl'interni del g o v e r n o dimissionario, Galletti, sulle richieste che il Circolo P o p o l a r e aveva f o r m u l a t o : formazione di un n u o v o g o v e r n o con Mamiani, convocazione della Costituente, partecipazione alla g u e r r a d ' i n d i p e n d e n z a . Il Papa fece dire che ci avrebbe pensato, ma la risposta fu un crepitìo di fucileria. C o m p a r v e Galletti a d i r e che il P a p a s'inchinava alla volontà del p o p o l o e c o n c e d e v a il richiesto Ministero, cui conferiva libertà di decisione su tutto il resto. Placata, la folla si disperse senza s u b o d o r a r e i n g a n n i . La sera d o p o Pio IX convocò il c o r p o diplomatico stran i e r o p e r avvertirlo, sotto i m p e g n o d i assoluta segretezza che, essendogli stato i m p o s t o , egli n o n a v r e b b e a p p r o v a t o gli atti del n u o v o g o v e r n o , da c o n s i d e r a r e p e r t a n t o provvisorio e senza base legale. E la n o t t e del 24 n o v e m b r e , trave215
stito da semplice p r e t e , p a r t ì in carrozza, a c c o m p a g n a t o dal c o n t e S p a u r e da sua moglie. Sia l'ambasciatore s p a g n o l o che quello francese gli avevano offerto l'ospitalità dei loro rispettivi Paesi, e il P a p a n o n l'aveva declinata. Ma poi seg u ì il consiglio d e l l ' A u s t r i a , c h e p r e f e r i v a m e t t e r l o sotto p r o t e z i o n e di u n a p o t e n z a reazionaria di più sicuro affidam e n t o , e si lasciò c o n d u r r e a Gaeta, f e u d o di F e r d i n a n d o di B o r b o n e . Scrisse Mazzini al suo amico Accursio: «Pio IX è fuggito: la fuga è u n ' a b d i c a z i o n e : p r i n c i p e elettivo, egli n o n lascia d i e t r o di sé dinastia. Voi siete d u n q u e di fatto r e p u b b l i c a , p e r c h é n o n esiste p e r voi, dal p o p o l o i n fuori, s o r g e n t e d'autorità. U o m i n i logici ed energici ringrazierebbero il cielo del consiglio ispirato a Pio IX». Ma gli u o m i n i cui si rivolgeva n o n e r a n o né logici né energici. Sebbene la popolazione avesse accolto con calma la notizia, il n u o v o g o v e r n o si affrettò a m a n d a r e messaggeri al fuggiasco p e r assicurarlo della sua devozione e sollecitarne gli ordini. I suoi m o d e r a t i c o m p o n e n t i preferivano ancora r e s t a r e sottomessi al P a p a c h e p r i g i o n i e r i della piazza. Tuttavia n o n p o t e r o n o esimersi dall'avallare il p r o g e t t o della Costituente, ma dicendo che i r a p p r e s e n t a n t i da m a n d a r vi sarebbero stati eletti in ogni Stato «nel m o d o che il governo e i corpi legislativi di esso d e c i d e r a n n o » , cioè senza nessun i m p e g n o di suffragio p o p o l a r e . La risposta del Papa fu la n o m i n a di u n a Commissione a cui il governo avrebbe d o v u t o sottoporsi. Il P a r l a m e n t o replicò che quell'atto m a n c a n d o di tutti i requisiti di autenticità e costituzionalità, se il Papa voleva affidare il p o t e r e esecutivo a un altro o r g a n o , tornasse a R o m a a costituirlo. Ma la d e p u t a z i o n e incaricata di recare questo messaggio fu ferm a t a al confine dai d o g a n i e r i borbonici, dovette inoltrarlo p e r lettera, e se ne t o r n ò con q u e s t a risposta di Antonelli: che il P a p a n o n i n t e n d e v a m u o v e r s i e n o n aveva nulla da a g g i u n g e r e a q u a n t o già detto. Q u e s t a o t t u s a resistenza sortì un solo effetto: quello di 216
spingere dalla p a r t e dei rivoluzionari a n c h e molti di coloro che p a r t e g g i a v a n o p e r la conservazione del p o t e r e t e m p o rale. I m o d e r a t i fecero a n c o r a un ultimo sforzo: costituirono u n a «Provvisoria e S u p r e m a G i u n t a di Stato», d i c e n d o ch'essa avrebbe g o v e r n a t o «in n o m e del Pontefice», p r o n t a a rimettergli tutti i p o t e r i a p p e n a questi fosse t o r n a t o . E r a un tentativo di salvare a l m e n o il principio della c o n t i n u i t à istituzionale, ma il P a p a lo fece fallire c o n la sua i n t r a n s i genza. A m e t à d i c e m b r e si r i u n ì a Forlì l'assemblea dei Circoli Politici, ai quali in tutte le città faceva capo la pubblica opin i o n e più i m p e g n a t a . Essa fece sua la tesi di Mazzini che la fuga del Papa equivaleva ad abdicazione e che l'unica fonte di u n a legittima autorità n o n poteva o r m a i essere che un'Assemblea eletta a suffragio universale, la quale avrebbe d a t o definitivo o r d i n a m e n t o allo Stato «salvi i diritti della Nazione u n i t a in C o s t i t u e n t e Italiana» s e c o n d o il p r o g e t t o di Montanelli. E r a v a m o o r m a i alle corte. A R o m a affluivano i patrioti di tutt'Italia. E r a n o arrivati Cernuschi, Mameli, Masina. E r a a r r i v a t o s o p r a t t u t t o G a r i b a l d i . M a m i a n i t e n t ò u n ' u l t i m a resistenza sulle posizioni m o d e r a t e p r o p o n e n d o l'espulsione dei «forestieri pericolosi». Ma n o n glielo consentirono. E a dargli il colpo di grazia fu lo stesso Papa, che fulminò l'istituzione della Giunta definendola «sacrilega». La G i u n t a rispose c h i a m a n d o il p o p o l o alle u r n e p e r l'elezione di u n ' A s s e m b l e a N a z i o n a l e , c h e fu il p r i m o p a r l a m e n t o italiano eletto a suffragio universale e dotato di pieni poteri. Mamiani aveva lasciato u n o spiraglio al c o m p r o m e s so d i c h i a r a n d o che, fino all'elezioni, la G i u n t a avrebbe gov e r n a t o «integri lasciando i diritti di chicchessia». Ma il Papa respinse la m a n o tesa lanciando a d d i r i t t u r a la scomunica contro gli autori di quella legge e r e n d e n d o così inevitabile che il p r i m o g r i d o a r i e c h e g g i a r e , q u a n d o l'Assemblea si riunì il 5 febbraio, fosse: «Viva la Repubblica!» Sebbene l'afflusso degli elettori fosse stato il p i ù alto fin allora registrato in Italia, specie in Emilia e R o m a g n a (an217
daremo a votare in 250 mila), i democratici - fra i quali c'era a n c h e Garibaldi, eletto a M a c e r a t a - n o n a v e v a n o la m a g gioranza, ma e r a n o i p i ù decisi, e soprattutto p o t e v a n o contare sul più p o t e n t e degli alleati: il Papa, che seguitava a lanciare a n a t e m i e ad offendere il sentimento nazionale a n c h e dei patrioti più tiepidi. Sicché n o n trovò quasi opposizione un p r o g e t t o di legge che dichiarava d e c a d u t o di fatto e di diritto il g o v e r n o t e m p o r a l e e proclamava la Repubblica. Alla c e r i m o n i a d ' i n a u g u r a z i o n e in C a m p i d o g l i o , G a r i b a l d i , paralizzato dai reumatismi, si fece p o r t a r e a spalla da Ignacio B u e n o e p r e s e la p a r o l a p e r c h i e d e r e l ' i m m e d i a t o gemellaggio di R o m a con Venezia, che tuttora resisteva all'assedio a u s t r i a c o e c o n la Sicilia in lotta c o n t r o il B o r b o n e ; m e n t r e M a m e l i s p e d i v a a Mazzini un m e s s a g g i o : «Roma! Repubblica! Venite!» E o r a t o r n i a m o al Piemonte che restava tuttavia il protagonista di questa p r i m a fase della g u e r r a di liberazione.
CAPITOLO VENTESIMO
IL FALLIMENTO DI GIOBERTI
A T o r i n o , la situazione e r a fra le p i ù confuse. L'armistizio Salasco aveva c o m p o r t a t o quasi a u t o m a t i c a m e n t e le dimissioni del g o v e r n o Casati, istituito c o m e p r o v a di b u o n a volontà verso i lombardi. Al suo posto fu chiamato il m a r c h e s e Cesare Alfieri, un m o d e r a t o della vecchia g u a r d i a savoiarda, che offrì un posto di ministro a Gioberti. Ma costui pose c o m e condizione che venisse p r o c l a m a t a la irrinunciabilità al R e g n o dell'Alta Italia, cioè all'annessione delle p r o v i n c e l o m b a r d e e venete, che l'Austria aveva ri occupato: il che significava far n a u f r a g a r e in p a r t e n z a le trattative di p a c e e r i p r e n d e r e la g u e r r a . Su q u e s t o p u n t o , n e s s u n o aveva il c o r a g g i o di p a r l a r chiaro. A u n a ripresa della g u e r r a i m o d e r a t i p e n s a v a n o con s g o m e n t o , p e r c h é n e s s u n o di loro - a cominciare dal giovane C a v o u r - aveva fiducia nella rivincita. Ma essi sentivano c h e , se fosse d i v e n t a t a irrevocabile, la disfatta militare sar e b b e d i v e n t a t a la disfatta politica del m o d e r a t i s m o , e che l'iniziativa sarebbe passata ai democratici. Ecco p e r c h é Gioberti, che del m o d e r a t i s m o era il g r a n d e c a m p i o n e e ispirat o r e , si m o s t r a v a così i n t r a n s i g e n t e . D o p o a v e r rifiutato di entrarvi, egli n o n dette pace al g o v e r n o con le sue critiche e lanciò u n a p r o p o s t a di Confederazione Italiana, che t e n n e a Torino un r u m o r o s o congresso con la partecipazione di delegati da tutte le parti d'Italia. Sembrava ch'egli si fosse imp r o v v i s a m e n t e convertito a un r i v o l u z i o n a m m o di s t a m p o m a z z i n i a n o . I n r e a l t à q u e l suo p r o g e t t o , c h e m i r a v a alla creazione di un o r g a n o di r a c c o r d o fra i vari Stati della p e nisola, era di n a t u r a essenzialmente conservatrice, e con es219
so Gioberti voleva soltanto s b a r r a r e il passo alla Costituente di M o n t a n e l l i e riaffermare la funzione di Stato-guida del Piemonte. T u t t o questo r e n d e v a p r a t i c a m e n t e impossibile un pacifico r e g o l a m e n t o di conti con Radetzky, che a n c h e il govern o d o v e v a f i n g e r e d i a v v e r s a r e p e r n o n p e r d e r e l a faccia nei confronti dei democratici. Costoro seguitavano a contare su un i n t e r v e n t o militare francese. Ma e r a p r o p r i o q u e sto che p a v e n t a v a n o i m o d e r a t i , i quali perciò t r a s s e r o un r e s p i r o di sollievo q u a n d o la d i p l o m a z i a di Parigi offrì di s e c o n d a r e quella inglese nel tentativo di mediazione. L'ultima p r o p o s t a di T o r i n o fu q u e s t a : il V e n e t o all'Austria, la L o m b a r d i a libera di d e c i d e r e la p r o p r i a sorte con un plebiscito, sul cui risultato n o n ci p o t e v a n o essere d u b b i . Ma nel t r a s m e t t e r e questa richiesta a Radetzky, i diplomatici francesi gli fecero capire che, in caso di rifiuto, la Francia si sar e b b e lavata le m a n i della faccenda, ed era p r o p r i o ciò che il Maresciallo voleva. Il suo «no» fu reciso. E da q u e l m o m e n t o a tutti fu chiaro che la parola spettava di n u o v o agli eserciti. La riorganizzazione di quello p i e m o n t e s e e r a stata condotta con notevole energia. Ma fra le t r u p p e demoralizzate p e r m a n e v a un grosso motivo di disagio: la sfiducia nei capi. Tutti e r a n o convinti che le sconfitte fossero d o v u t e princip a l m e n t e alla loro incapacità, e lo stesso C a v o u r reclamava n e l suo Risorgimento u n ' i n c h i e s t a c h e facesse luce sulle responsabilità dei c o m a n d i . P u r senza dirlo a p e r t a m e n t e , le accuse chiamavano in causa lo stesso Re e lo ferivano a sang u e p r o p r i o in ciò ch'egli aveva di più vulnerabile: l'orgoglio militare. Carlo Alberto credeva di essere soprattutto un g r a n d e condottiero. Le disfatte lo avevano p r o s t r a t o al p u n to che, d o p o Custoza, aveva manifestato l'intenzione di abd i c a r e . Le p r e g h i e r e dei suoi fedeli, e forse p i ù a n c o r a la s p e r a n z a di u n a rivalsa, lo a v e v a n o t r a t t e n u t o . Ma l ' u o m o e r a fisicamente e m o r a l m e n t e stroncato. Sul finire di s e t t e m b r e sua n u o r a , moglie di Vittorio 220
E m a n u e l e , scriveva al marito che i tipografi della stamperia reale lavoravano in g r a n segreto a qualcosa ch'essa n o n sapeva cosa fosse. E r a n o certe Memorie e osservazioni sulla camp a g n a del '48 che il Re aveva scritto p e r giustificare la p r o p r i a azione di c o m a n d o . Ne fece t i r a r e a l c u n e centinaia di copie da distribuire «ai suoi Generali e alle p e r s o n e di sua confidenza», ma p o i n o n ne e b b e il coraggio e le fece seppellire negli archivi. E n e m m e n o ebbe la forza di o p p o r s i alla decisione del g o v e r n o di c e r c a r e all'estero un G e n e r a l e cui affidare il c o m a n d o s u p r e m o . Ma se ne sentì - e con ragione - p r o f o n d a m e n t e umiliato. Per p r i m i , f u r o n o interpellati dei Generali francesi, cui p e r ò le loro autorità n e g a r o n o il consenso. Poi, su consiglio di un colonnello Zamoysky, la scelta c a d d e su un polacco di avventurosa e peripatetica carriera, Chrzanowsky che, d o p o aver militato sotto N a p o l e o n e e poi nell'esercito zarista, aveva guidato gl'insorti di Varsavia, ed o r a viveva esule in Germania. Più che un g u e r r i e r o , era un intellettuale della guerra, ferratissimo in strategia, ma poco dotato di qualità carismatiche a n c h e p e r il suo aspetto fisico decisamente scoraggiante. N o n conosceva l'Italia, n o n sapeva u n a parola d'italiano e gl'italiani n o n s a p e v a n o p r o n u n c i a r e il suo n o m e . Perciò fu deciso di n o m i n a r l o C a p o di Stato Maggiore, m e n tre il c o m a n d o delle t r u p p e sarebbe stato affidato al g e n e r a le Bava. Questi, d o p o il p r i m o incontro con Chrzanowsky, scrisse al colonnello Della Rocca: «Si figuri che mi h a n n o m a n d a t o ieri u n polacco, u n o s c i m m i o t t o , piccolo, b r u t t o , c o n u n a voce da musico, p e r farmi da C a p o di Stato Maggiore in caso di ripresa delle ostilità. L'ho ricevuto molto f r e d d a m e n t e e l'ho m a n d a t o all'albergo». Ma a n c h e il polacco e r a stato freddo con lui, e fece subito rilevare che la carica di C a p o di Stato Maggiore gli andava benissimo, ma in un esercito agli ordini del Re, n o n di «un Bava qualunque». Fu Bava stesso ad a p p i a n a r e il dissidio autoeliminandosi con u n a mossa malaccorta. A n c h e lui, c o m e il Re, volle dir 221
la sua sulle responsabilità di Custoza. Ma, al c o n t r a r i o del Re, p u b b l i c ò il suo esplosivo r a p p o r t o in cui ce n ' e r a p e r tutti, sollevando un'indignazione che p e r ò ricadde su di lui. I p i e m o n t e s i n o n e r a n o a n c o r a abituati ai G e n e r a l i c h e , sconfitti sul c a m p o di battaglia, cercano rivincite nei m e m o riali. Scrisse Cavour: «Il generale Bava ha involontariamente r e s o al maresciallo R a d e t z k y un servizio, di cui difficilm e n t e si p o t r e b b e esagerare l'importanza». E Carlo Alberto n a t u r a l m e n t e n e approfittò p e r c h i e d e r e l ' e s o n e r o del cal u n n i a t o r e e la restituzione del c o m a n d o s u p r e m o . Ma la m a n o v r a gli fu contrastata da Alfieri, che d o p o un b r u s c o scontro con lui si dimise e fu sostituito da P e r r o n e . Questi, n o n o s t a n t e la sua devozione, si rifiutò di a d e r i r e alle richieste del Re. E allora, p e r venire a c a p o di tutte q u e ste resistenze, Carlo Alberto n o n esitò a intavolare trattative con l'opposizione d e m o c r a t i c a su consiglio di u n o dei p i ù screditati p e r s o n a g g i dell'epoca: quell'Enrico Misley, che la voce pubblica accusava come il vero responsabile della fallita insurrezione di M o d e n a nel '31 e della m o r t e di Ciro Menotti, e che d o p o un l u n g o p e r e g r i n a r e all'estero era a p p r o dato a Torino. Fu questo c a m p i o n e del d o p p i o giuoco a suggerirgli di ricevere Brofferio, il capo della sinistra democratica più intransigente, che a sua volta suggerì al Re di liquid a r e tutta la vecchia g u a r d i a politica e militare, affidando il g o v e r n o a M a n i n , il c a p o della Repubblica di Venezia che t u t t o r a resisteva all'assedio austriaco, e i c o m a n d i militari a Generali di p r o v e n i e n z a e formazione rivoluzionaria come Garibaldi e R a m o r i n o . L'operazione M a n i n - che n o n sapeva nulla di quei man e g g i - e r a impossibile. Ma, p e r g a r a n t i r s e n e l ' a p p o g g i o , Carlo Alberto decise di accogliere l'altra richiesta di Brofferio, e dei d u e Generali da lui proposti, scelse n a t u r a l m e n t e il p e g g i o r e : R a m o r i n o , a s s e g n a n d o g l i il c o m a n d o della legione dei volontari lombardi. C o m e i democratici potessero fidarsi di q u e s t ' u o m o che nel '34 aveva clamorosamente tradito Mazzini, n o n si capisce. Ma si capisce come un Genera222
le serio c o m e D a b o r m i d a preferisse d a r e le dimissioni da ministro della g u e r r a . L'intrigo n o n si f e r m ò qui. Il 27 s e t t e m b r e Eopinione rivelò i segreti m a n e g g i fra il Re e Brofferio. Si dice che l'indiscrezione fosse p a r t i t a dallo stesso Re p e r avvertire il gov e r n o c h e , in caso di r e s i s t e n z a alle s u e p r e t e s e , egli e r a p r o n t o ad accordarsi con gli avversari. Il gabinetto m o d e r a t o resse fino a d i c e m b r e c e r c a n d o d i s p e r a t a m e n t e d i c o n d u r r e i n p o r t o u n a c c o r d o con Radetzky che consentisse di salvare la faccia con u n a p a c e o n o r e v o l e e liquidasse così il p o m o di discordia col Re. A n c h e il Maresciallo aveva i suoi guai. N o n poteva s p e r a r e aiuti da Vienna, che doveva v e d e r s e l a c o n gli u n g h e r e s i n u o v a m e n t e insorti. Ma il vecchio soldato e r a convinto di n o n a v e r n e b i s o g n o : l'unica cosa che gli faceva p a u r a e r a un i n t e r v e n t o francese, ma o r a che q u e s t o pericolo e r a dileguato, si sentiva sicuro del fatto suo. Il ministero P e r r o n e c a d d e su u n a questione secondaria, ch'era soltanto un pretesto, e il Re chiamò Gioberti. Lo aveva s e m p r e detestato. Lo chiamava «lo spretato», «l'apostata» e, p e r s c h e r n o , «Il Sommo». Ma o r a il c a m p i o n e del m o d e ratismo e r a diventato, grazie ai suoi atteggiamenti d e m a g o gici e g u e r r a f o n d a i , l'idolo dei democratici, e p e r di più si mostrò subito disposto a r e i n t e g r a r e il Re nel sospirato com a n d o s u p r e m o , a c c a n t o n a n d o il Bava. Scrisse il c a p i t a n o Petitti: «Vuoisi che u n a delle condizioni che vinsero la renitenza del Re ad a b b a n d o n a r s i alla democrazia sia quella che l'armata v e r r à n u o v a m e n t e affidata alla sua scienza strategica. Anche di questo gongolerà il Radetzky. Il ministero p r o gressista fu in ciò più d i p e n d e n t e dalle voglie reali che n o n il cosiddetto r e t r o g r a d o » . Così ci si p r e p a r a v a alla g u e r r a : con l'esercito affidato a un Re nelle cui capacità più n e s s u n o credeva, ai piani strategici di un Generale straniero che n o n conosceva né le t r u p p e né il t e r r e n o , e a dei Generali come R a m o r i n o illustratisi fin allora, se n o n nel t r a d i m e n t o , alm e n o nella disobbedienza. 223
Gioberti p e r ò eira convinto che a tutto avrebbe rimediato il suo genio politico. C o m e p r i m a cosa, sciolse il P a r l a m e n t o e indisse n u o v e elezioni, che d i e d e r o u n a s o n a n t e vittoria ai d e m o c r a t i c i s u cui o r m a i egli i n t e n d e v a a p p o g g i a r s i p e r realizzare il suo g r a n d i o s o p i a n o . Dava p e r sicuro c h e il n u o v o g o v e r n o francese, o r a capeggiato da quel Luigi Bon a p a r t e , che abbiamo già incontrato tra le fila dei carbonari italiani nelle rivolte del ' 3 1 , n o n avrebbe lesinato il suo a p poggio militare, e che tutti gli altri Stati italiani si sarebbero stretti i n t o r n o al Piemonte, e forse p i ù ancora a lui Gioberti. Ecco p e r c h é , p e r realizzare q u e s t o suo d i s e g n o , n o n volle n e a n c h e servirsi dei diplomatici di c a r r i e r a e preferì m a n d a r e fiduciari suoi che dimostrassero il carattere p e r s o n a l e delle sue iniziative: l'ex-mazziniano Giovanni Ruffini a Parigi, Rosellini e B e r g h i n i a R o m a , M a r t i n i a Gaeta, Plezza a Napoli. Fu u n a collezione di fiaschi. Luigi N a p o l e o n e accolse con molta simpatia l'emissario p i e m o n t e s e , ma ne respinse le offerte, n é p o t e v a fare d i v e r s a m e n t e c o m e P r e s i d e n t e neo-eletto di u n a Repubblica che si reggeva soprattutto sulle forze conservatrici e cattoliche: cosa che anche da Torino si doveva v e d e r e abbastanza c h i a r a m e n t e . A Gaeta, il Papa sollevò obbiezioni perfino al riconoscimento della missione di Martini e poi la condizionò alla rinunzia da p a r t e di Torino di un riconoscimento ufficiale della Repubblica R o m a n a , facendo così n a u f r a g a r e il p i a n o di Gioberti c h ' e r a quello di porsi a m e d i a t o r e fra il Pontefice e i suoi ribelli sudditi e di far accettare ad e n t r a m b i un presidio p i e m o n t e s e nelle Legazioni, che sbarrasse il passo agli austriaci. Il P a p a pianse (le lacrime e r a n o il suo forte) q u a n d o Martini gli dipinse a foschi colori gli effetti che avrebbe sortito sugl'italiani il fatto che il P a p a preferisse t o r n a r e a R o m a sulla p u n t a delle «barbare e mimiche» baionette austriache piuttosto che con la f r a t e r n a scorta d e i p i e m o n t e s i . Ma n o n si a r r e s e . «Che vuole? - disse. - E t r o p p o tardi.» Più comprensivi si m o s t r a r o n o i r o m a n i . Essi accettarono 224
il presidio p i e m o n t e s e nelle province di frontiera finché su di esse incombeva la minaccia austriaca. Ma questo n o n interessava p i ù a Gioberti che, n o n a v e n d o in q u e l r e g i m e n e s s u n a fiducia, aveva p u n t a t o tutte le sue carte sul Papa e sperato di riconquistarlo alla causa s a b a u d a spianandogli il r i t o r n o nell'Urbe. Lo dimostra u n a sua lettera a Berghini in viaggio p e r Gaeta: «Offrì d u n q u e al Santo P a d r e tutte le forze p i e m o n t e s i , e digli che se da p r i n c i p i o il n o s t r o Re né il suo G o v e r n o gli fece q u e s t e offerte, ciò n a c q u e c h e finché M a m i a n i fu al p o t e r e c r e d e m m o possibile u n ' a m i c h e v o l e conciliazione e n o n necessario il concorso delle armi». Per q u a n t o rivestito di p a n n i democratici, Gioberti restava l'abate a u t o r e del Primato che auspicava la crociata nazionale b e n e d e t t a da un P a p a liberale e patriota. E p e r riportarlo a R o m a , e r a p r o n t o a s p a r a r e a n c h e sui r o m a n i . La proclamazione della Repubblica e la scomunica che Pio IX lanciò su di essa fecero c r o l l a r e le s u e s p e r a n z e . C o n t r o il P a p a che, p e r r e c u p e r a r e i suoi Stati, chiedeva l'aiuto di t u t t e le P o t e n z e cattoliche escluso il P i e m o n t e , scrisse incollerito: «Non si accorge di r i p u d i a r e le massime di Cristo p e r quelle di Maometto». Ma o r m a i la partita e r a persa. U n o smacco n o n m e n o c o c e n t e subì a N a p o l i il Plezza, che il Re n o n volle n e m m e n o r i c e v e r e . E p r o b a b i l e c h e a q u e s t o affronto avesse c o l l a b o r a t o lo stesso a m b a s c i a t o r e p i e m o n t e s e , Collobiano, che Gioberti n o n aveva n e m m e n o informato dell'arrivo di Plezza. Nobile e diplomatico di carriera, Collobiano n o n accettava di essere scavalcato da quel borghesuccio senza blasone né esperienza, e lo disse in u n a lettera risentita a l s u o M i n i s t r o , c h e d o v e t t e m a n d a r e u n Duca di rinforzo a quel suo p o v e r o emissario trattato c o m e un l e b b r o s o . R e s p i n t o a n c h e lui a t u t t e le p o r t e , il D u c a trovò alla fine un p e r t u g i o p r e s s o il s e g r e t a r i o p a r t i c o l a r e del Re. Ma q u a n d o a n d ò a i n f o r m a r n e Plezza, questi aveva già inviato al Ministro degli Esteri n a p o l e t a n o u n a n o t a in cui diceva che, col suo c o m p o r t a m e n t o ingiurioso, il governo delle D u e Sicilie doveva considerarsi responsabile della 225
r o t t u r a delle relazioni diplomatiche fra i d u e Stati. Il poveretto si mise a r i n c o r r e r e in tutti gli uffici quella intempestiva comunicazione, ma n o n riuscì a fermarla p e r c h é era già sotto gli occhi del Re. Il q u a l e , invece che a lui, r i s p o s e a Collobiano che n e p r e n d e v a atto. Così, con u n a mezza dic h i a r a z i o n e di g u e r r a , si e r a conclusa, al t e r m i n e di u n a c o m m e d i a degli equivoci, quella missione che aveva p e r scopo l'alleanza fra i d u e Stati. Risultati n o n diversi sortirono gli approcci con la Toscana. A n c h e qui Gioberti p u n t a v a s o p r a t t u t t o sul G r a n d u c a u n p o ' p e r a t t a c c a m e n t o a l p r i n c i p i o legittimista, u n p o ' p e r c h é c o n s i d e r a v a m o l t o p i ù pericoloso M o n t a n e l l i con quella sua idea di Costituente. Convinto che L e o p o l d o p r e ferisse la tutela piemontese a quella austriaca, lo esortava ad allineare la sua politica a quella di T o r i n o p e r c h é , diceva, «Roma e la Toscana d e b b o n o c o n d i s c e n d e r e alle necessità del P i e m o n t e , n o n il P i e m o n t e assoggettarsi alle b r a m e di Toscana o di Roma» (il che forse e r a v e r o , ma n o n a n d a v a d e t t o , o a n d a v a d e t t o in altro m o d o ) . E la p r i m a di quelle necessità, secondo lui, era di difendere la Toscana n o n solo dalla minaccia degli austriaci, ma a n c h e da quella della rivoluzione. P r o p o n e v a perciò a Firenze un'alleanza, che in realtà era un i m p e g n o di sottomissione coloniale. La Toscana doveva n o n soltanto c e d e r e le s u e basi all'esercito piem o n t e s e , ma a n c h e far cessare le critiche della s t a m p a alla politica di T o r i n o , togliere o g n i s p e r a n z a di successo ai repubblicani, t r o n c a r e ogni relazione ufficiale col g o v e r n o di R o m a , e infine modificare la c o m p a g i n e governativa chiam a n d o v i u o m i n i c o m e il C a p p o n i . Un vero e p r o p r i o ultimatum, che n o n si limitò alle p a r o l e . Mettendogli a disposizione un c o r p o di s p e d i z i o n e , G i o b e r t i stava i s t i g a n d o il G r a n d u c a a liberarsi a n c h e c o n le cattive di G u e r r a z z i e Montanelli, q u a n d o L e o p o l d o p r e f e r ì a b b a n d o n a r e il suo scomodo t r o n o e ritirarsi a n c h e lui a Gaeta. Fu la goccia che fece traboccare il vaso. A quell'ennesimo smacco, la rabbia di Gioberti esplose. Egli p r o p o s e al Gabi226
netto di d a r e il via alla spedizione p e r riportare il G r a n d u c a al p o t e r e e creò, p e r giustificarla, un incidente di frontiera. Più che la d u r a replica di Montanelli, che minacciava di den u n z i a r e a tutta l'opinione pubblica italiana «l'enormità del fatto», a provocare la caduta di Gioberti furono gli equivoci, ormai venuti al pettine, in cui si dibatteva la sua politica, che cercava di mobilitare le forze democratiche al p e r s e g u i m e n to di fini conservatori. Sullo svolgimento della crisi, esistono d u e versioni. Gioberti disse in seguito che la sua p r o p o s t a d ' i n t e r v e n t o a r m a t o in Toscana aveva avuto l'approvazione di tutti: del G r a n d u c a , di Carlo Alberto e del Consiglio dei Ministri. Il Rattazzi, che di quel Consiglio faceva p a r t e , scrisse che il Consiglio aveva a p p r o v a t o p e r c h é quel giorno lui e altri Ministri democratici e r a n o assenti, e che il Re era stato informato a decisione già presa. C o m u n q u e , q u a n d o si trattò di m a n d a r l a a effetto, il G a b i n e t t o chiese d ' i n t e r p e l l a r e Chrzanowsky, che diede p a r e r e negativo. Gioberti era a casa, malato. Rattazzi, che a n d ò a recargli la notizia, ebbe con lui u n a vivace discussione e si dimise. Anche Gioberti si dimise, convinto che il Re lo avrebbe incaricato di formare un n u o v o g o v e r n o e d ' i n d i r e n u o v e elezioni, da cui si aspettava u n a più forte maggioranza. Siccome il Re esitava, promosse sotto banco clamorose dimostrazioni p o p o l a r i in p r o p r i o favore, che d i s g r a z i a t a m e n t e p e r lui s o r t i r o n o l'effetto o p p o s t o a quello ch'egli si p r o p o n e v a . Stizzito, Carlo Alberto c h i a m ò Chiodo e diede l'incarico a lui. Gioberti, furente, dichiarò alla C a m e r a che l'interesse di Stato gli vietava di rivelare i retroscena della manovra, ma che il giorno in cui li avesse resi noti i suoi avversari ne sarebbero arrossiti di vergogna. Rattazzi lo sfidò a farlo subito rivelando il piano della spedizione in Toscana. La notizia fece e n o r m e impressione, e un d e p u tato della sinistra chiese l'incriminazione di Gioberti p e r abuso di p o t e r e . Ma la faccenda fu insabbiata anche p e r c h é nel frattempo il G r a n d u c a , sottoposto a Gaeta a un energico lavaggio del cervello da p a r t e degli austriaci, aveva fatto sapere che n o n desiderava affatto l'intervento piemontese. 227
Tutti uscivano m a l e d a quell'aggrovigliata vicenda. N e usciva male il Re c h e , d o p o essersi servito di Gioberti p e r farsi r e s t i t u i r e il c o m a n d o dell'esercito, lo aveva giuocato p r i m a d a n d o e poi s m e n t e n d o il p r o p r i o avallo alle sue iniziative. Ne usciva m a l e Rattazzi, c h e aveva manifestato la sua opposizione solo d o p o aver capito dal veto di Chrzanowsky c h e a n c h e il Re la c o n d i v i d e v a . Ma ne usciva m a l e sop r a t t u t t o Gioberti. Il suo neo-guelfismo aveva reso g r a n d i servigi. Ma sul suo impasto di contraddizioni e di assurdità storiche, nessun p r o g r a m m a politico si poteva r e g g e r e , né il p e r s o n a g g i o aveva la stoffa p e r c o m p e n s a r n e i difetti. Di g r a n d e , come u o m o di Stato, Gioberti aveva soltanto la p r e sunzione, e fu questa a spingerlo in un giuoco s p r o p o r z i o n a t o alla sua statura. Per imbrigliare le forze d e m o c r a t i c h e italiane e strumentalizzarle ai fini di u n a g u e r r a nazionale sotto il vessillo di Casa Savoia, un Gioberti n o n bastava. Ci voleva un Cavour.
CAPITOLO VENTUNESIMO
NOVARA
C h i o d o a n d ò al p o t e r e p e r n o n esercitarlo. La parola o r m a i era alle armi, p e r c h é ad esse c o n d u c e v a n o i fatti e gli uomini. Le r e n d e v a n o inevitabili il fallimento della m e d i a z i o n e anglo-francese e l'appello rivolto dal P a p a e dal G r a n d u c a di Toscana agli austriaci p e r c h é venissero a reinsediarli nei loro Stati, e il P i e m o n t e n o n poteva subire il loro intervento senza p e r d e r e il suo residuo prestigio agli occhi di tutta Italia. Le r e c l a m a v a Radetzky p e r l i q u i d a r e i conti nella maniera più congeniale al suo carattere di soldato. Le reclamav a n o i m o d e r a t i p e r m a n t e n e r e l'iniziativa del riscatto nazionale. Le r e c l a m a v a n o i democratici p e r strappargliela e r i a n i m a r e lo spirito rivoluzionario delle masse. Ma soprattutto le voleva Carlo Alberto, ora che aveva r i o t t e n u t o il com a n d o dell'esercito. Dai suoi atti e dalle sue parole, n o n traspariva alcuna fiducia nella vittoria. Ma malato e p r e s e n t e n do prossima la fine, voleva c h i u d e r e in bellezza c a d e n d o sul c a m p o di battaglia o a b d i c a n d o p e r salvare l ' o n o r e e il credito della dinastia. N o n sono supposizioni. Risulta dai fatti. Ma se sulla g u e r r a a Torino e r a n o tutti o quasi tutti d'acc o r d o , n o n a l t r e t t a n t o lo e r a n o sul m o d o di farla. La q u e stione del c o m a n d o , d o p o l u n g h e diatribe, e r a stata risolta così: quello s u p r e m o , ma nominale, r i m a n e v a al Re; Chrzanowsky avrebbe esercitato quello effettivo col g r a d o di Maggior G e n e r a l e ; m e n t r e lo Stato M a g g i o r e e r a affidato a La Marmora. N o n è vero che questo o r g a n i g r a m m a , come oggi si d i r e b b e , c o m p o r t a s s e equivoci e dualismi p e r c h é C h r z a nowsky, fin da principio, era stato il più sfegatato partigiano del Re. Ma q u e s t o a p p u n t o e r a il g u a i o . I n g a g g i a t o p e r
c o m p e n s a r e i difetti del S o v r a n o , egli invece li s e c o n d a v a p e r c o n s e r v a r e la sua benevolenza. Ne derivava, fra i d u e , un perfetto accordo; ma un accordo basato sulla quiescenza del polacco alle idee, c o m e al solito imprecise e indecise, di Carlo Alberto. Insieme essi r i t e n n e r o o p p o r t u n o rispettare le clausole dell'armistizio che prescrivevano un preavviso di otto giorni p e r la r i a p e r t u r a delle ostilità. E in questo avevano r a g i o n e . Su un attacco di sorpresa n o n c'era da c o n t a r e p e r c h é Radetzky o r m a i se lo aspettava, e quindi n o n avrebbe sortito altro effetto che l'indignazione della pubblica opin i o n e e u r o p e a p e r i l suo c a r a t t e r e p r o d i t o r i o . L a r o t t u r a della t r e g u a fu decisa l'8 m a r z o , e il 12 l'annuncio fu ricevut o dal C o m a n d o a u s t r i a c o , d o v e p r o v o c ò u n o s c o p p i o d i gioia. Le b a n d e militari r u p p e r o i timpani dei milanesi gelidi e muti, e fra gli urrah! dei soldati, Radetzky lanciò la parola d ' o r d i n e : A Torino! Negli otto giorni che ancora m a n c a v a n o allo scadere della t r e g u a , Chrzanowsky mise a p u n t o il suo s c h i e r a m e n t o , ch'era frutto - tanto p e r cambiare - di un c o m p r o m e s s o . Gli altri G e n e r a l i s i e r a n o p r o n u n c i a t i p e r u n a g u e r r a - l a m p o da c o n d u r r e con un'azione offensiva l u n g o il Po in direzione di Piacenza e Mantova p e r p r e n d e r e Io schieramento austriaco a rovescio da S u d e risolvere la partita con u n a battaglia c a m p a l e . Ma il polacco, c e r t a m e n t e su s u g g e r i m e n t o del Re, preferiva limitarsi d a p p r i m a alla difensiva p e r poi s f e r r a r e u n c o n t r a t t a c c o s u Milano i n m o d o d a i m p e d i r e - sono p a r o l e sue - «che la p o p o l a z i o n e , s p a r a n d o m a g a r i qualche colpo di fucile sul n e m i c o in ritirata possa c r e d e r e di essersi liberata da sola», che e r a l'incubo di Carlo Alberto, fedele al suo c o n c e t t o di g u e r r a dinastica. Ne e r a v e n u t o fuori un ibrido, che ripeteva esattamente l ' e r r o r e di Custoza c o n d a n n a n d o le forze piemontesi a restare divise in d u e tronconi, m a l a m e n t e collegati tra loro. E disgrazia volle che la loro saldatura venisse affidata a R a m o r i n o che, con le sue t r u p p e a cavallo sul Po, ricevette l'ordine di spostarle tutte sulla sinistra d i s t r u g g e n d o a n c h e il p o n t e in caso di perico230
lo. Si prevedeva che Radetzky sferrasse il suo attacco su N o vara, d o v e Chrzanowsky aveva chiesto l ' a p p r o n t a m e n t o di u n c a m p o t r i n c e r a t o , m a n o n gliel'avevano concesso. Sul t e r r e n o , se n o n sulla carta, i d u e eserciti avevano p r e s s a p poco la stessa consistenza: circa 75 mila u o m i n i . Ma gli austriaci avevano più artiglieria, e migliori servizi logistici e di collegamento. Radetzky uscì da Milano il 18 e, da vero vecchio l u p o di g u e r r a , i n g a n n ò l'avversario c o n u n a serie d i m o v i m e n t i che n o n consentirono n e a n c h e ai suoi Generali di capire su quale direttrice intendeva sviluppare la sua m a n o v r a . Aveva fretta p e r c h é n o n si sentiva le spalle affatto sicure: a n c h e lui, c o m e C a r l o Alberto, p a v e n t a v a u n ' i n s u r r e z i o n e . Il 20 Chrzanowsky a n d ò col Re ad aspettarlo sul p o n t e della Buffalora sul Ticino, e n o n incontrò nessuno. Gl'informatori gli dissero c h e la via di M a g e n t a e r a s g o m b r a , ma n o n ci credette. Tese l'orecchio p e r sentire se il c a n n o n e r o m b a v a sulle posizioni di R a m o r i n o , ma nessuna eco gli giunse e se ne sentì sollevato. R a m o r i n o e r a l'unico Generale italiano ch'egli conosceva abbastanza b e n e p e r c h é Io aveva avuto ai suoi o r d i n i nelle lotte d ' i n d i p e n d e n z a in Polonia, a p p u n t o perché lo conosceva n o n se ne fidava affatto, e gli avvenimenti si affrettarono a dargli ragione. I c a n n o n i di R a m o r i n o n o n a v e v a n o t u o n a t o n o n p e r c h é gli austriaci n o n avessero attaccato, ma p e r c h é il G e n e r a l e aveva disobbedito r e s t a n d o sene con le sue t r u p p e sulla destra del Po, convinto che Radetzky a v r e b b e m a r c i a t o da quella p a r t e e c h e C h r z a n o w sky, di cui reciprocava il disprezzo, n o n avesse capito nulla dei suoi movimenti. Chrzanowsky lo destituì, ma n o n fece n i e n t e p e r r i p a r a r e la falla attraverso la quale o r a il nemico dilagava verso Mortara. Secondo gli storici militari, egli avrebbe p o t u t o n e u t r a lizzare l'avanzata austriaca lanciandosi risolutamente su Milano, visto che la via di M a g e n t a e r a libera e s c a t e n a n d o v i l'insurrezione: ma questo era p r o p r i o ciò che Carlo Alberto n o n voleva. O p p u r e poteva c o n v e r g e r e su Pavia cogliendo 231
l'avversario sul fianco e nelle r e t r o v i e . L'unica cosa che in quelle c o n d i z i o n i n o n p o t e v a fare e r a a s p e t t a r e , e invece rinviò le decisioni all'indomani. L'indomani, 2 1 , le p r i m e notizie che giunsero da quel di M o r t a r a e r a n o b u o n e . A Borgo S. Siro e alla Sforzesca i piemontesi avevano fermato e vigorosamente contrattaccato gli austriaci, grazie a n c h e alla personale iniziativa del G e n e r a l e Bes, c h e n o n aveva a s p e t t a t o gli o r d i n i p e r a c c o r r e r e d i rinforzo con la sua brigata. Chrzanowsky considerò conclusi con quel p r o m e t t e n t e successo i combattimenti di quella sec o n d a g i o r n a t a , e ne d i e d e notizia al Re, c h e p e r la p r i m a volta fu visto s o r r i d e r e e trascorse la notte all'addiaccio. Ci vollero d u e o r e p e r t r o v a r l o , confuso tra i soldati, q u a n d o bisognò informarlo che le cose si e r a n o messe altrimenti. Contrariamente a quanto Chrzanowsky pensava, quella sera stessa Radetzky aveva investito Mortara. E - cosa incredibile - sebbene n o n ne distasse più di dodici chilometri, il quartier generale p i e m o n t e s e lo s e p p e solo q u a n d o la città era già caduta. Fu riunito nel c u o r della notte un consiglio di g u e r r a . La ritirata s'imponeva, ma offriva un'alternativa: quella su Vercelli, p i ù a r d u a , ma c h e g a r a n t i v a il c o n t a t t o c o n la base dell'esercito, Alessandria; o quella su Novara, p i ù facile, ma che dalla base tagliava fuori le t r u p pe. Carlo Alberto scelse la seconda strada p e r i soliti motivi politici. La p r i m a a v r e b b e t r a s f o r m a t o la g u e r r a di movim e n t o in g u e r r a di posizione, d a n d o agio alle forze d e m o cratiche di Torino e di Milano d'intervenire e m a g a r i di ass u m e r e l'iniziativa. La decisione era t a l m e n t e illogica, che Radetzky n o n volle crederci e, p u r facendo avanzare u n a p a r t e delle sue forze a n c h e su Novara, col grosso si b u t t ò su Vercelli, convinto che il nemico fosse lì. Q u e s t o e r r o r e avrebbe p o t u t o costargli caro, se Chrzanowsky avesse saputo approfittarne con risolutezza. P u r t r o p p o , la risolutezza e r a la d o t e che p i ù gli mancava. Sicuri di n o n aver davanti a sé che un b r a n d e l l o dell'esercito p i e m o n t e s e , gli austriaci a t t a c c a r o n o N o v a r a 232
con p o c h e forze e molta leggerezza. Nel p r i m o assalto alla posizione che d o m i n a la città, la Bicocca, r i m a s e r o inchiodati sul t e r r e n o e si t r o v a r o n o col v u o t o alle spalle, in u n a posizione molto critica. Se Chrzanowsky li avesse contrattaccati p r i m a che arrivassero i rinforzi, avrebbe p o t u t o a n n i e n tarli. Così scrisse nel suo r a p p o r t o il Generale Schònals: «La spossatezza delle n o s t r e t r u p p e era g i u n t a al colmo: a n c h e ai p i ù coraggiosi c a d e v a n o le a r m i di m a n o . Se il n e m i c o , già vittorioso, avesse r i n n o v a t o l'attacco, a v r e m m o d o v u t o cedere». Ma il nemico sembrava che avesse p a u r a della vittoria, e n o n si mosse. L'indomani, 2 3 , i rinforzi austriaci a r r i v a r o n o : Radetzky aveva capito l ' e r r o r e , n o n aveva p e r s o t e m p o a r i m e d i a r l o , e p e r i piemontesi la g r a n d e occasione era sfumata. La battaglia d i v a m p ò su un fronte di q u a t t r o chilometri, ed ebbe p e r e p i c e n t r o la Bicocca, p e r d u t a e ripresa p i ù volte. Ci fur o n o episodi di autentico e r o i s m o . Il g e n e r a l e Passalacqua m o r ì in un assalto alla baionetta. Il generale P e r r o n e , c h ' e r a stato a n c h e P r e s i d e n t e del Consiglio p r i m a di Gioberti, si fece p o r t a r e m o r e n t e davanti al Re p e r salutarlo. Il Duca di Genova, secondogenito di Carlo Alberto, che alla testa della sua Divisione si era c o m p o r t a t o n o n solo con g r a n d e coraggio, m a a n c h e con g r a n d e perizia, d o v e t t e c a m b i a r e d u e volte cavallo p e r c h é gliel'avevano ucciso. Ma alla sera tutto era finito. In tre giorni Radetzky aveva liquidato la partita. La l e g g e n d a vuole c h e C a r l o A l b e r t o avesse cercato la m o r t e sul c a m p o di battaglia, e questo è u n o dei rari casi in cui l e g g e n d a e verità coincidono. In u n a lettera a Brofferio il generale D u r a n d o racconta che p i ù volte dovette p r e n d e re il Re p e r un braccio e trascinarlo via, ma a c u t a m e n t e ann o t a che il suo coraggio e r a solo r a s s e g n a z i o n e : «Mai u n o slancio, da p a r t e sua, mai u n a parola d'incitamento ai soldati, niente i n s o m m a di ciò che trascina e sostiene nel m o m e n to del pericolo». Anche p r i m a che la disfatta si profilasse, il suo volto n o n era stato, p e r chi lo guardava, un'iniezione di entusiasmo. Chiuso nella sua tristezza, n o n rivolgeva parola 233
a coloro che gli cavalcavano a fianco, e m e n t r e ancora i suoi u o m i n i si accanivano sulla Bicocca, n o n faceva che m o r m o r a r e : «Tutto inutile, è finita...» A p p a r v e tranquillo e come rilassato solo q u a n d o fu finita davvero, segno - dice Cibrario ch'egli aveva già p r e s o le sue decisioni. Le a n n u n z i ò la sera stessa nel palazzo Bellini di Novara, subito d o p o il r i t o r n o dell'emissario che tre o r e p r i m a aveva m a n d a t o a l Q u a r t i e r G e n e r a l e austriaco p e r c h i e d e r e u n a t r e g u a . D o p o aver letto le condizioni, che p r e v e d e v a n o l'occ u p a z i o n e di A l e s s a n d r i a e d e l t e r r i t o r i o fra il T i c i n o e la Sesia, disse che solo suo figlio aveva la possibilità d ' i n d u r r e il nemico a mitigarle, abdicò in suo favore, e all'una di notte, m e n t r e tutti o r m a i d o r m i v a n o , uscì dal palazzo con un p a s t r a n o da viaggio b u t t a t o sulle spalle. Lo seguiva un cam e r i e r e senza livrea che con lui p r e s e p o s t o su un calesse, accanto al cocchiere. Senz'altra scorta si mise in viaggio, e p e r d u e volte fu fermato dagli austriaci che o r m a i circondav a n o la città, r i s c h i a n d o di e s s e r n e p r e s o p r i g i o n i e r o . Si qualificò c o m e u n c o l o n n e l l o i n p e n s i o n e i n t r a n s i t o p e r Nizza, e p e r sua fortuna n o n v e n n e riconosciuto n e m m e n o d a l g e n e r a l e T h u r n c h e assisteva a l l ' i n t e r r o g a t o r i o . Sulla destinazione n o n aveva dubbi: O p o r t o , in Portogallo. Si vede che a n c h e questa scelta l'aveva già fatta da un pezzo. In quel m o m e n t o i p a r l a m e n t a r i piemontesi - C a d o r n a e Cossato - , t o r n a t i a l c o m a n d o a u s t r i a c o p e r c h i e d e r e u n a t r e g u a , e r a n o in attesa di essere ricevuti da Radetzky, che a n c o r a n o n sapeva n u l l a d e l l ' a b d i c a z i o n e . L a notizia n o n s e m b r ò a m m o r b i d i r l o . Ribadì le d u r e condizioni di p r i m a , e concesse u n a t r e g u a di sei ore p e r l'inizio delle trattative. Ai d u e inviati ne occorsero q u a t t r o p e r r i n c o r r e r e il n u o v o Re da Novara a Oleggio, da Oleggio a Novara, da Novara a M o m o , nella calca dei c a r r i a g g i a b b a n d o n a t i e dei soldati sbandati, che avevano p r e s o la via di casa s e n z ' a s p e t t a r e il c o n g e d o . «Paghi Pio IX, p a g h i n o i ricchi, p a g h i chi vuole la guerra» urlavano. N o n v e d e n d o t o r n a r e i d u e emissari, che dal canto loro 234
n o n s a p e v a n o d o v e t r o v a r l o , Vittorio E m a n u e l e n e aveva m a n d a t o u n altro p e r c o n t o suo a l g e n e r a l e austriaco suo dirimpettaio, e p p o i a n d ò da lui di p e r s o n a a dirgli che aveva s e m p r e d i s a p p r o v a t o quella g u e r r a e l'acquiescenza di suo p a d r e a quell'imbecille di Chrzanowsky, a g g i u n g e n d o p e r ò che aveva ancora cinquantamila uomini da gettare nella mischia. N o n fu un felice d e b u t t o . Gli austriaci sapevano benissimo che quei cinquantamila u o m i n i esistevano solo sulla carta e rimasero male impressionati da quel Sovrano che sconfessava suo p a d r e e tutti i suoi collaboratori. Tuttavia, quando mancava u n ' o r a alla scadenza della tregua, Radetzky decise d ' i n c o n t r a r s i con lui, e fissò l ' a p p u n t a m e n t o p e r le q u a t t r o e mezzo a Vignale. Anche di questo incontro la leggenda risorgimentale s ' i m p a d r o n ì , e stavolta a tutto scapito della verità. Si disse che il Maresciallo offrì a d d i r i t t u r a un pezzo di L o m b a r d i a al giovane Sovrano a patto che questi abolisse la Costituzione e la b a n d i e r a tricolore, e c h e Vittorio E m a n u e l e rifiutò s d e g n o s a m e n t e . Di qui prese avvio il mito del «Re galantuomo». Ma i fatti si svolsero in tutt'altro m o d o . Il Re abbracciò e baciò il Maresciallo che gli era v e n u t o i n c o n t r o . «Era agitato, aveva la b a r b a l u n g a e un c o n t e g n o p o c o regale» a n n o t ò u n ufficiale austriaco p r e s e n t e alla scena. E n t r a r o n o nel cortile di un cascinale, e solo il g e n e r a l e Hess assistette al loro colloquio che si svolse in piedi. Il Re disse c h ' e r a b e n deciso a l i q u i d a r e il g o v e r n o e il p a r t i t o d e m o c r a t i c o c h e aveva spinto il p a d r e a quella insensata a v v e n t u r a , ma che p e r questo aveva bisogno di d u e cose: un p o ' di t e m p o e un po' di c o m p r e n s i o n e da p a r t e dell'Austria che, i m p o n e n d o condizioni t r o p p o gravose, avrebbe discreditato la M o n a r chia e lasciato libero c a m p o , a n c h e in P i e m o n t e , alle forze rivoluzionarie. Nel d a r n e notizia al suo g o v e r n o , Radetzky scriveva: «Questi motivi sono t a n t o veri che io n o n p o t e i metterli in dubbio, perciò cedetti e credo di aver fatto b e n e , p e r c h é senza la fiducia del n u o v o Re e la tutela della sua di235
gnità, nessuna situazione nel Piemonte p u ò offrirci garanzia di tranquillità p e r il prossimo avvenire». Di Costituzione e di b a n d i e r a n o n si era quindi parlato, e le condizioni v e n n e r o mitigate senza n e s s u n a contropartita, n o n tanto forse p e r generosità del Maresciallo, q u a n t o p e r calcolo politico. Restava la t e m p o r a n e a occupazione del territorio fra Sesia e Ticino, ma ad Alessandria la g u a r n i g i o n e a u s t r i a c a a v r e b b e coabitato c o n quella p i e m o n t e s e , e Radetzky si riservava di rinunziarci se la b u o n a volontà di Tor i n o fosse a p p a r s a evidente. Rinunziava anche a richiamare il trattato del 1815, cui aveva alluso il suo p r i m o diktat, e che avrebbe sollevato nel P a r l a m e n t o di Torino chissà quale p u tiferio. Fu p u r e modificato, e p e r le stesse r a g i o n i , l'art. 7, che negava alle C a m e r e il diritto di discutere il trattato. N o n e r a m o l t o , m a e r a qualcosa. A l t e r m i n e del colloquio, Hess disse: «Ora Sua Maestà d a r à la sua parola d'onore che la convenzione sarà lealmente eseguita». Ma il Maresciallo lo i n t e r r u p p e : «La semplice parola di Sua Maestà vale più che tutte le parole d ' o n o r e , ed io mi fido i n t e r a m e n te». Poi baciò la m a n o al Re risalito a cavallo, e il Re si curvò p e r abbracciarlo di n u o v o . «Povero ragazzo!» disse il vecchio soldato g u a r d a n d o l o allontanarsi.
CAPITOLO VENTIDUESIMO
LA R E P U B B L I C A R O M A N A
R a d e t z k y aveva a v u t o i suoi b u o n i motivi di far le cose in fretta. Q u a n d o , d o p o Custoza, aveva r i o c c u p a t o M i l a n o , n o n ci aveva t r o v a t o che m e t à d e i suoi 150 mila abitanti. L'altra m e t à aveva p r e s o la strada dei monti, o della Svizzera, o di T o r i n o . E r a chiaro che, m e n t r e la massa c o n t a d i n a accettava la rioccupazione austriaca e in certi casi la desiderava, quelle u r b a n e - e n o n soltanto i nobili e i borghesi, ma anche gli artigiani e gli o p e r a i - e r a n o g u a d a g n a t e alla causa nazionale. Il Maresciallo sapeva che in tutte le città della L o m b a r d i a e del Veneto c ' e r a n o , alla macchia, comitati rivoluzionari. Alcuni di essi facevano capo a Mazzini, esule a L u g a n o . M a l a m a g g i o r a n z a p r e n d e v a n o o r d i n i d a Torino con cui e r a n o c l a n d e s t i n a m e n t e collegati. I p r i m i t e n n e r o s e m p r e desto lo spirito rivoluzionario, che nell'ottobre del '48 esplose nei tentativi insurrezionali di C h i a v e n n a e di Val d'Intelvi, facilmente domati. I secondi m i r a v a n o n o n solo a c o o r d i n a r l o con l'azione dell'esercito p i e m o n t e s e , q u a n d o la g u e r r a fosse stata ripresa, ma a n c h e a controllarlo, nel solito ostinato t i m o r e che le forze p o p o l a r i p r e n d e s s e r o il sopravvento e dessero alla g u e r r a di liberazione u n a svolta democratica e r e p u b b l i c a n a . Del R i s o r g i m e n t o e dei suoi insuccessi n o n si capisce nulla, se n o n si tiene c o n t i n u a m e n t e presente questa antinomia. Q u a n d o fu decisa la ripresa delle ostilità, i comitati lomb a r d i a T o r i n o o t t e n n e r o che u n a c o l o n n a di p a r t i g i a n i al c o m a n d o del bergamasco Camozzi penetrasse nella regione dei laghi e si spingesse fino a Brescia d i s t r i b u e n d o a r m i e suscitando ribellioni. Camozzi partì il 20 m a r z o e in q u a t t r o 237
g i o r n i o c c u p ò Varese, C o m o e B e r g a m o quasi senza colpo ferire p e r c h é le g u a r n i g i o n i a u s t r i a c h e e r a n o state richiam a t e da Radetzky sul Ticino. D o p o d i c h é mosse su Brescia, d o v e il fiduciario di T o r i n o , Gualla, aveva già t u t t o p r e d i sposto, e poteva anche c o n t a r e su u n a b a n d a di 350 armati, organizzata e c o m a n d a t a da un p a r r o c o di m o n t a g n a , Don Pietro Boifava, che il Gualla descriveva «rozzo nel p a r l a r e , piuttosto sporco nel vestito, che n o n ha p i ù il c a r a t t e r e sacerdotale, ma c a m m i n a tre giorni senza m a n g i a r e e b e r e e invoca lo Spirito Santo p r i m a di far scoccare lo stuzzen... Mille miglia al di sopra del teatrale Garibaldi». Q u a n d o Camozzi s i collegò c o n q u e s t o p r e t e b r i g a n t e , Carlo Alberto aveva già p e r d u t o e abdicato, ma n e s s u n o a Brescia ne sapeva nulla, anzi si e r a s p a r s a la notizia c h e i p i e m o n t e s i vincitori fossero in a r r i v o . Gualla a s p e t t a v a informazioni p i ù precise p e r sollevare la piazza, di cui n o n voleva restare a n z i t e m p o prigioniero. Ma la piazza si sollevò p e r suo conto, q u a n d o gli austriaci i m p o s e r o alla città u n a multa. E da quel m o m e n t o a p r e n d e r e l'iniziativa furono i d e m o c r a t i c i C o n t r a t t i e Cassola, n o n o s t a n t e la p r o t e s t a di Gualla che «di u n a causa sola se ne volessero far due». La rivolta scoppiò il 2 3 , p r o p r i o il g i o r n o della caduta di Novara, ma invano gli austriaci fecero affiggere il trionfale a n n u n z i o di Radetzky. I bresciani n o n ci c r e d e t t e r o , o meglio n o n vollero c r e d e r c i , e s ' i m p a d r o n i r o n o della città, o b b l i g a n d o la g u a r n i g i o n e austriaca a rinchiudersi nel castello. Q u a n d o il generale N u g e n t accorse a darle m a n forte, gl'insorti guidati da Tito Speri n o n solo gli resisterono, ma lo contrattaccar o n o fuor delle m u r a infliggendogli gravi p e r d i t e , m e n t r e altre gliene c a u s a v a n o a tergo e ai fianchi i g u e r r i g l i e r i di Boifava. Per dieci l u n g h e giornate Brescia resistette con indomita energia alle artiglierie del castello e agli attacchi di N u g e n t . N o n si a r r e s e n e m m e n o q u a n d o la notizia del disastro piem o n t e s e fu c o n f e r m a t a , o g n i s p e r a n z a di ricevere soccorsi d i l e g u ò , e sulla città p i o m b ò , alla testa di u n a divisione, il 238
maresciallo H a y n a u , che la voce pubblica chiamava «il macellaio». Alla sua intimazione di resa, che fu letta dal balcone del m u n i c i p i o , il p o p o l o che assiepava la piazza rispose s u o n a n d o a martello le c a m p a n e e imbracciando i fucili. Altrettanto a martello piovvero sulla sua testa le b o m b e . Il Com i t a t o d o v e t t e m e t t e r c e l a t u t t a p e r i n d u r r e gl'insorti alla resa, c h e H a y n a u p r e m i ò s c a t e n a n d o la sua soldataglia al saccheggio. La popolazione ebbe, p a r e , un migliaio di m o r ti, e gli austriaci oltre cinquecento: più di quanti ne fosse costata la battaglia di Novara. Q u e s t o sacrificio di s a n g u e d i m o s t r a v a n o n solo q u a n t o o r m a i l'idea nazionale fosse p e n e t r a t a a l m e n o nelle masse u r b a n e dell'Alta Italia, ma a n c h e quale partito avrebbe potuto t r a r n e Carlo Alberto, se n o n si fosse lasciato condizion a r e dagl'interessi dinastici che gl'impedivano di fare ad esse appello. E n o n era finita. L a r e s t a u r a z i o n e a u s t r i a c a p r o c e d e t t e senza i n t o p p i nei Ducati centrali che, sotto il saldo controllo delle b a i o n e t t e di Radetzky, f u r o n o restituiti ai l o r o titolari. Ma a n c h e in Toscana n o n fu m o l t o laboriosa. O l t r e ad aver poco seguito, G u e r r a z z i e Montanelli litigavano fra loro, e ad aver la meglio fu il p r i m o , più rozzo, ma a n c h e p i ù s p r e g i u d i c a t o e d o t a t o di senso politico. D o p o la notizia della disfatta di Novara, egli si fece conferire dall'Assemblea p i e n i p o t e r i e li usò p e r liberarsi a n z i t u t t o del suo i n c o n c l u d e n t e rivale ancora t e n a c e m e n t e attaccato alla sua utopica Costituente, affidandogli u n a vaga missione a Parigi, dove e r a destinato a restare esule p e r dieci a n n i . D o p o d i c h é cercò di allacciare contatti col G r a n d u c a , t u t t o r a a Gaeta, p e r i n d u r l o al ritorno. Ma p e r realizzare questo p i a n o squisitamente m o d e r a to, aveva bisogno di restare al p o t e r e ; e p e r restare al p o t e re aveva bisogno dei suoi squadristi livornesi c h ' e r a n o p r o prio l'antitesi della m o d e r a z i o n e . Ci riuscì p e r tre settimane. Poi i m o d e r a t i veri - C a p p o n i , Serristori ecc. - n o n solo 239
10 disarcionarono, ma lo fecero r i n c h i u d e r e in fortezza, costituirono un g o v e r n o provvisorio e m a n d a r o n o u n a delegazione a L e o p o l d o , con cui e r a n o m o l t o p i ù qualificati a trattare. Di suo, L e o p o l d o avrebbe accettato il loro invito al ritorn o . Ma, essendosi in febbraio rivolto all'Austria p e r aiuto, o r a ne era p r a t i c a m e n t e prigioniero, e l'Austria il suo ritorno a F i r e n z e n o n lo voleva p e r c h é i n t e n d e v a r i p o r t a r c e l o coi suoi soldati. Essa aveva s a p u t o che il g o v e r n o provvisorio aveva sollecitato, p e r r e s t a u r a r e il G r a n d u c a sul suo trono e nello stesso t e m p o sottrarlo al vassallaggio di Vienna, un i n t e r v e n t o p i e m o n t e s e e anglo-francese. E aveva deciso di sventare questa m a n o v r a o r d i n a n d o a Radetzky di p r e p a r a r e la s p e d i z i o n e in Toscana. Q u e s t a fu la notizia c h e L e o p o l d o diede a Serristori, che lo aveva r a g g i u n t o a Gaeta e che, t o r n a n d o a Firenze, n o n ebbe il coraggio di c o m u n i carla. Gli austriaci scesero in aprile, e resistenze ne t r o v a r o n o solo a L i v o r n o , d o v e f u r o n o p r e s i a fucilate e fucilarono i capi della rivolta. Il G r a n d u c a , che si e r a trasferito a Napoli, 11 supplicò di r i s p a r m i a r e Firenze, ma gli austriaci n o n se ne d e t t e r o p e r intesi. E la c o n s e g u e n z a fu questa: che q u a n d o nel luglio t o r n ò , L e o p o l d o n o n trovò collaboratori n e a n c h e fra i m o d e r a t i e dovette affidarsi u n i c a m e n t e a dei reazionari, che rimisero l'orologio del G r a n d u c a t o indietro di parecchi a n n i r e v o c a n d o la Costituzione e r i p r i s t i n a n d o lo Stato assoluto. Liquidata a n c h e questa p e n d e n z a , s u o n ò l'ora di Roma. Ma qui l'operazione si rivelò assai più a r d u a p e r la presenza di d u e u o m i n i di s u p e r i o r e statura: Mazzini e Garibaldi. Mazzini e r a arrivato a R o m a il 5 m a r z o , già d e p u t a t o (lo avevano eletto pochi giorni p r i m a in u n a elezione suppletiva). E n t r ò n e l l ' U r b e , r a c c o n t a egli stesso, «trepido e quasi a d o r a n d o » . E nel discorso che fra g r a n d i acclamazioni p r o n u n c i ò all'Assemblea, espose un v e r o e p r o p r i o p r o g r a m 240
m a d i g o v e r n o . N o n c'era, disse, t e m p o d a p e r d e r e con l e Costituzioni: a q u e s t o si s a r e b b e p e n s a t o p i ù t a r d i . O r a ci voleva u n p o t e r e p r o v v i s o r i o , m a d i t t a t o r i a l e , c h e facesse della rivoluzione r o m a n a l'esempio e la g u i d a della rivoluzione italiana. Se Carlo Alberto avesse r i p r e s o l'iniziativa, bisognava secondarlo, ma c o n t r a p p o n e n d o a quella monarchica u n a soluzione democratica e repubblicana del p r o b l e m a nazionale. E r a n o le sue idee di s e m p r e . Il p o t e r e in quel m o m e n t o e r a nelle m a n i di un t r i u m v i r a t o Mazzurelli-Axmellini-Saffi. Ma il p r i m o , d o p o la notizia di Novara, cedette il posto a Mazzini, che diventò in realtà il v e r o e unico dittatore. C o n g r a n d e sorpresa di quanti - ed e r a n o quasi tutti - lo c o n s i d e r a v a n o soltanto un visionario, Mazzini si rivelò u o mo d ' a z i o n e efficiente e di g r a n d e e q u i l i b r i o . R e f r a t t a r i o c o m ' e r a a ogni manifestazione di d e m a g o g i a e di esibizionismo, in pubblico si mostrava poco, e il balcone n o n lo spalancò mai. Si e r a a c q u a r t i e r a t o in u n a piccola stanza, quasi u n o s t a m b u g i o , del Q u i r i n a l e , assegnandosi u n o s t i p e n d i o di t r e n t a d u e lire al mese, e lì lavorava diciott'ore al g i o r n o sostenendosi a furia di sigari e di caffè, e c o n c e d e n d o s i a sera, come unico svago, la strimpellatina sulla chitarra. Le difficoltà che doveva affrontare e r a n o grosse. Le casse dello Stato e r a n o vuote e la costituzione dell'esercito ostacolata dalla secolare r e n i t e n z a della p o p o l a z i o n e alla leva, che n o n fu possibile b a n d i r e . C o n molti sforzi si riuscì a mettere insieme 10 mila u o m i n i , fra cui un battaglione di studenti, e il p r o b l e m a grosso fu l ' a r m a m e n t o p e r c h é industrie che ne p r o d u c e s s e r o n o n ce n ' e r a n o , e di fuori, coi confini presidiati da austriaci e borbonici, n o n giungeva nulla. Ma i pericoli più gravi venivano dalla situazione i n t e r n a zionale. L'appello lanciato dal Papa a tutte le p o t e n z e cattoliche p e r c h é lo restaurassero sul suo t r o n o n o n e r a rimasto senza risposta. Dal Sud era in marcia un esercito borbonico. La S p a g n a stava a r m a n d o u n a spedizione navale. Radetzky aspettava solo di a v e r u l t i m a t o la r i o c c u p a z i o n e del L o m 241
b a r d o - V e n e t o e liquidato le p e n d e n z e in Toscana, p e r scagliare i suoi u o m i n i sull'Urbe. N o n c'era che u n a s p e r a n z a , la solita speranza: la Francia. Finché aveva militato sui banchi dell'opposizione, il dep u t a t o Luigi N a p o l e o n e B o n a p a r t e , m e m o r e della sua part e c i p a z i o n e alle i n s u r r e z i o n i nello Stato pontificio, aveva manifestato tutta la sua simpatia p e r la rivoluzione r o m a n a . Ma o r a c h ' e r a Presidente della Repubblica e si p r e p a r a v a a t r a m u t a r l a in I m p e r o , aveva m u t a t o atteggiamento p e r n o n alienarsi le forze conservatrici e cattoliche. Tuttavia, dovendo t e n e r conto anche di quelle liberali, si rifugiò nel d o p p i o giuoco. Respinse l'invito di V i e n n a a un i n t e r v e n t o a r m a t o a u s t r o - f r a n c e s e , m a s ' i m p e g n ò col N u n z i o Apostolico a d agire, e lo fece nella m a n i e r a più ambigua: dicendo agli austriaci che avrebbe o c c u p a t o R o m a p e r r e s t a u r a r v i il Papa, d i c e n d o ai piemontesi che lo faceva p e r c r e a r e un c o n t r a p peso all'Austria, e d i c e n d o agl'inglesi e all'opinione pubblica e u r o p e a che ci a n d a v a da paciere p e r i n d u r r e il Pontefice e il g o v e r n o rivoluzionario a un c o m p r o m e s s o . Fu r e c a n d o questo messaggio di mediazione che il gener a l e O u d i n o t sbarcò c o n u n a n a v e d a g u e r r a a Civitavecchia, al c o m a n d o di un p r i m o distaccamento di t r u p p e . Le a u t o r i t à locali ci c r e d e t t e r o , o finsero di credervi, e la città v e n n e occupata. L'indomani, 26 aprile, un colonnello Le Blanc si p r e s e n t ò a Mazzini e gli disse che i francesi intendev a n o i m p i a n t a r s i a R o m a p e r favorire un a c c o r d o del gov e r n o con Pio IX e p r e v e n i r e u n a spedizione punitiva austro-borbonica. Mazzini convocò l'Assemblea e le pose il dil e m m a : si doveva c r e d e r e ai francesi e lasciarli e n t r a r e in città senz'aura garanzia che la loro parola, o p p u r e resistergli a oltranza? Alla quasi u n a n i m i t à , l'Assemblea si p r o n u n ciò p e r la resistenza e conferì a Mazzini poteri assoluti. L'emergenza p o r t ò sul p r o s c e n i o Garibaldi. P a v e n t a n d o le sue i m p e n n a t e , il g o v e r n o fin allora lo aveva t e n u t o ai margini dandogli un grado di tenente-colonnello e mand a n d o l o coi suoi legionari s u d - a m e r i c a n i ed altri che gli si 242
e r a n o aggregati p e r strada a Macerata, di dove glielo avevan o restituito d e p u t a t o . D o p o u n o sconclusionato discorso all'Assemblea, fu rispedito a Rieti con l'incarico di r e p r i m e r vi il b r i g a n t a g g i o . Ma n e l l ' u d i r e dello sbarco francese, p i o m b ò di n u o v o a Roma, in t e m p o p e r p a r t e c i p a r e alla sua difesa e d i v e n t a r n e anzi il protagonista. I francesi a t t a c c a r o n o il 30 a p r i l e c o n seimila u o m i n i , convinti c h e «gl'italiani n o n si battono», c o m e scrivevano i loro g i o r n a l i . I l p i a n o e r a stato p r e p a r a t o s u u n a vecchia carta topografica che indicava, c o m e il passaggio p i ù facile, P o r t a P e r t u s a , che d a t e m p o e r a stata m u r a t a . Arrivati lì, dovettero fare u n a conversione su Porta Cavalleggeri e Porta S. Pancrazio s c o p r e n d o il fianco ai difensori che li presero d'infilata s t e n d e n d o sul t e r r e n o 250 morti. Senz'aspettare ordini, Garibaldi avventò la sua Legione contro di essi in u n o spericolato assalto alla b a i o n e t t a , e Dio sa fin d o v e avrebbe incalzato il nemico in rotta se, con suo g r a n d e mal u m o r e , n o n lo avessero richiamato. N e s s u n o si e r a accorto c h ' e r a stato ferito. «E che n e s s u n o se n'accorga» raccom a n d ò al d o t t o r e che gli medicava l ' a d d o m e . Era f u r e n t e con Mazzini che gli aveva impedito di p r o s e g u i r e l'azione e che, p e r placarlo, lo m a n d ò a Palestrina a pararvi la minaccia di un c o r p o di spedizione borbonico p r i m a di un r i t o r n o offensivo d e i francesi e d e l l ' a r r i v o degli austriaci, già in marcia dalla Toscana su R o m a . In realtà i borbonici e r a n o lì soltanto p e r figura p e r c h é O u d i n o t li aveva avvertiti che n o n avrebbe tollerato un loro intervento. Ma Garibaldi, che o r a aveva ai suoi ordini anche M a n a r a e D a n d o l o , accorsi coi loro a g g u e r r i t i e disciplinati reparti, li attaccò, li mise in rotta, e al loro i n s e g u i m e n t o era già p e n e t r a t o nel territorio n a p o l e t a n o q u a n d o a n c o r a u n a volta fu fermato da un o r d i n e del generale Roselli, cui il governo aveva affidato il c o m a n d o s u p r e m o . Stavolta la collera di Garibaldi scoppiò, e fra i d u e ci fu perfino minaccia di duello. «Garibaldi è un diavolo, u n a p a n t e r a » scriveva Man a r a a sua m a d r e . E D a n d o l o : «Somiglia p i ù a un c a p o di 243
t r i b ù i n d i a n a che a un G e n e r a l e » . Ma i soldati c r e d e v a n o solo a lui, Ciceruacchio gli baciava le m a n i , il p o p o l o lo acclamava q u a n d o , con la camicia rossa, il poncho sulle spalle e un p i u m a t o cappello da brigante calabrese in testa, passava sul suo cavallo bianco p e r le vie dell'Urbe p r e c e d u t o dal gigantesco Aguyar con t u r b a n t e e lazo. Perfino gli artisti stranieri residenti a R o m a , affascinati da lui, si e r a n o arruolati sotto la sua b a n d i e r a . Ad a p p i a n a r e il suo contrasto con Roselli, più che i b u o n i uffici di Mazzini, disgustato da quei personalismi, provvidero gli a v v e n i m e n t i . U n a s p e d i z i o n e s p a g n o l a , sbarcata a Gaeta, avanzava su Terracina. Gli austriaci e r a n o in marcia su Ancona. E O u d i n o t , ricevuti i rinforzi che aveva chiesto, si p r e p a r a v a alla rivincita. Q u a t t r o eserciti m u o v e v a n o d u n q u e sulla Repubblica, o r m a i ridotta alla sola R o m a . Mazzini sapeva c h ' e r a finita, ma voleva che finisse b e n e , e p e r finir b e n e Garibaldi era l ' u o m o che ci voleva. A m e t à maggio si p r e s e n t ò in Quirinale il plenipotenziario francese De L e s s e p s - l ' u o m o c h e d o v e v a p a s s a r e alla Storia c o m e l ' i d e a t o r e d e l C a n a l e di Suez - a p r o p o r r e u n ' o c c u p a z i o n e pacifica della città con garanzia di rispetto della popolazione e del suo diritto di scegliere il suo regime politico. Rivelandosi abilissimo negoziatore, Mazzini arrivò a un c o n c o r d a t o p e r cui i r o m a n i s ' i m p e g n a r o n o ad accogliere da fratelli i francesi, i quali rinunziavano a e n t r a r e in città e la garantivano dall'intervento di altri eserciti. S e m b r a che De Lesseps avesse agito in perfetta b u o n a fed e . Ma gli avvenimenti lo fecero passare da t r a d i t o r e , perché O u d i n o t - col p i e n o consenso del suo g o v e r n o - stracciò quella convenzione, e inviò un secco dispaccio a Mazzini p e r avvertirlo che il 4 giugno avrebbe p r o c e d u t o all'occupazione de la place. Oltre che dal brusco rovesciamento di posizioni, Mazzini fu d i s o r i e n t a t o da quella p a r o l a , forse v o l u t a m e n t e ambigua. Place poteva significare piazza, o piazzaforte, cioè il cent r o ; o p p u r e t u t t a l a città. Q u e s t a s e c o n d a i n t e r p r e t a z i o n e 244
parve a tutti la più probabile, sicché gli ordini di operazione furono redatti in vista di quella data. Il 2, ancora in dissidio con Roselli, Garibaldi chiese pieni poteri in c a m p o militare; Mazzini lo supplicò di n o n sollevargli altre difficoltà. Garibaldi, irremovibile, p r o p o s e di r i p r e n d e r e il discorso l'indomani. Ma alle tre di notte, il c a n n o n e t u o n ò . A t t r i b u e n d o a place il significato di centro, i francesi si e r a n o creduti in diritto di stabilire con v e n t i q u a t t r ' o r e di anticipo degli avamposti sulle posizioni di periferia, che a quei t e m p i c o r r e v a n o tra Gianicolo, villa Pamphili e villa Corsini. Q u a n d o Garibaldi accorse coi pochi legionari che riuscì a racimolare nel buio, il nemico era già arroccato lassù. Le c a m p a n e s u o n a v a n o a stormo e tutta la popolazione era p e r le strade intasandole. Via via che in quel caos riusciva a costituire un plotone, Garibaldi lo g u i d a v a all'assalto di villa Corsini, c h ' e r a la posizione-chiave. Tutto il g i o r n o seguitò a farlo o s t i n a t a m e n t e , d i s p e r a t a m e n t e , e a n c h e d i s s e n n a t a m e n t e p e r d e n d o v i il meglio dei suoi u o m i n i . C a d d e r o D a n d o l o , Masina, Daverio. Mameli, ferito, morì poco d o p o . Villa Corsini fu ripresa e ripersa tre volte. Ma i francesi avevano smesso di dire che «gl'italiani n o n si battono». Per giorni e giorni la città assediata fu sottoposta al b o m b a r d a m e n t o . D u e volte G a r i b a l d i r i m a s e sotto le m a c e r i e dei rifugi in cui si e r a a c q u a r t i e r a t o . Ma q u a n d o Mazzini, che delle «mura» aveva u n ' i d e a eroica e l e t t e r a r i a , gli ordinò di riconquistare quelle che formavano la cinta di Papa Urbano, si rifiutò. Si era convinto che la difesa era impossibile e che bisognasse r i s p a r m i a r e gli u o m i n i p e r c o n t i n u a r e la lotta fuori di R o m a . Siccome Roselli si o p p o n e v a , minaccio di a n d a r s e n e con la Legione p e r p r o p r i o conto, ma n o n ne ebbe il t e m p o . Nella notte fra il 29 e il 30 g i u g n o O u d i not sferrò l'attacco decisivo, che si risolse in un m a s s a c r o . Cadde M a n a r a . Morì, sotto u n a b o m b a , Aguyar. A mezzogiorno Garibaldi fu convocato sul C a m p i d o g l i o d o v e l'Assemblea era riunita. Vedendolo e n t r a r e con la camicia strap245
p a t a e i m b r a t t a t a di s a n g u e e lo sciabolone spezzato, tutti balzarono in piedi e lo acclamarono. Mazzini aveva esposto con la consueta lucidità la situazione e le prospettive ch'essa offriva: capitolazione, resistenza fino al suicidio collettivo, e v a c u a z i o n e dell'esercito p e r la c o n t i n u a z i o n e della lotta. Garibaldi si p r o n u n c i ò n a t u r a l m e n t e p e r la terza soluzione, che era a n c h e quella di Mazzini. Ma l'Assemblea adottò, sia p u r e addolcendola con retorici eufemismi, la p r i m a , cioè la capitolazione. Sdegnato, Mazzini rassegnò le dimissioni, ma n o n p r i m a di aver firmato delle «lettere di marca» p e r Garibaldi che lo a u t o r i z z a v a n o a p r o s e g u i r e il c o m b a t t i m e n t o . Garibaldi a d u n ò i suoi a piazza S. Pietro. Aveva accanto Anita che, incinta, lo aveva r a g g i u n t o pochi giorni avanti. Disse: «Io esco da Roma. Chi vuol c o n t i n u a r e la g u e r r a contro lo straniero, venga con m e . N o n offro n é paga, n é q u a r t i e r e , n é provvigioni; offro fame, sete, m a r c e forzate, battaglie e morte». Lo s e g u i r o n o in q u a t t r o m i l a , fra i quali c ' e r a n o Ciceruacchio con d u e suoi figli, e il p a d r e b a r n a b i t a Ugo Bassi. Ma d o p o qualche giorno di marcia e r a n o già ridotti alla metà. Il piano di Garibaldi era di r a g g i u n g e r e Venezia, che seguitava a resistere all'assedio. Ma si trattava di b a t t e r e centinaia di chilometri e l u d e n d o i borbonici che incalzavano da s u d e gli austriaci che calavano dal n o r d . Per sottrarsi alla loro tenaglia, finse di dirigersi verso l'Abruzzo, fece spargere la voce che p u n t a v a su Civitavecchia, invece p e r T e r n i e Todi si p r e s e n t ò a Orvieto. N o n tutte le città lo accolsero ben e : Arezzo gli chiuse le p o r t e in faccia, e la t r a v e r s a t a dell ' A p p e n n i n o fu d u r a . Marciavano di notte p e r sfuggire agli avvistamenti, ma nella valle del Foglia gli austriaci riuscirono a imbottigliarli. G a r i b a l d i se la cavò c o n u n o d e i suoi stratagemmi da guerrigliero sud-americano, e riprese la sua d i s p e r a t a a n a b a s i . Ma la L e g i o n e o r m a i e r a r i d o t t a a un b r a n d e l l o , u n g i o r n o n e s c o m p a r v e a n c h e i l fedelissimo Ignacio B u e n o , che mise su p e r suo conto u n ' i m p r e s a privata di brigantaggio, e Anita era allo stremo delle forze. 246
Era u n ' o r d a inselvatichita quella che, incalzata dalla cavalleria n e m i c a , il 31 luglio si p r e s e n t ò a San M a r i n o p e r c h i e d e r e ospitalità. D o p o avergliela a c c o r d a t a , il C a p i t a n o R e g g e n t e t r a t t ò con gl'inseguitori le condizioni della resa. P u r c h é c o n s e g n a s s e r o le a r m i , i l e g i o n a r i s a r e b b e r o stati amnistiati e riaccompagnati ai luoghi di origine. Garibaldi li lasciò liberi d i accettare, m a p e r c o n t o suo p r e f e r ì t e n t a r e a n c o r a l'avventura di Venezia, e scivolò fra le pattuglie n e miche con Anita e d u e c e n t o c i n q u a n t a c o m p a g n i . Sempre marciando di notte, raggiunsero Cesenatico, s ' i m p a d r o n i r o n o di alcuni bragozzi e p r e s e r o il m a r e . Ma f u r o n o avvistati d a u n b r i g a n t i n o a u s t r i a c o , c h e c a t t u r ò mezza flottiglia e costrinse l'altra m e t à a cercare scampo nelle p a l u d i di Comacchio. Garibaldi e Anita f u r o n o tra quelli che r i u s c i r o n o a toccar t e r r a . P a d r e Bassi c a d d e subito in m a n o ai g e n d a r m i e fu fucilato insieme a Livraghi. La stessa sorte toccò a Ciceruacchio e ai suoi d u e figli, u n o tredicenn e . Fra c a n n e t i e canali, G a r i b a l d i riuscì a sfuggire trascin a n d o a braccio Anita, s e m p r e più livida, s e m p r e p i ù gonfia, e c o n d u e fili di saliva agli angoli della bocca: d o v e v a p o r t a r s i nel v e n t r e un b a m b i n o m o r t o che la stava avvelen a n d o . La p o v e r a d o n n a spirò in u n a cascina presso Ravenna, d o v e a v e v a n o t r o v a t o rifugio, e G a r i b a l d i n o n e b b e n e a n c h e il t e m p o di seppellirla: gli austriaci stavano p e r sopraggiungere. C o n l'unico c o m p a g n o rimastogli, ma con l'aiuto dei patrioti che se lo p a s s a v a n o dagli u n i agli altri facendogli da guida, riuscì ad attraversare l ' A p p e n n i n o tosco-emiliano e a r a g g i u n g e r e la M a r e m m a , dove trovò imbarco p e r Chiavari. Il generale La M a r m o r a , commissario p i e m o n t e s e in Liguria, lo p r e s e in « h o n o r a t a militare custodia», e chiese al suo g o v e r n o cosa doveva f a r n e . Gli r i s p o s e r o di dargli un sussidio e s p e d i r l o in A m e r i c a . G a r i b a l d i rifiutò e r i m a s e agli arresti. Ma la stampa e il p a r l a m e n t o di Torino insorsero e i m p o s e r o il rilascio del prigioniero. Questi a n d ò a Nizza a salutare sua m a d r e , e p p o i s'imbarcò p e r la Tunisia. 247
Mazzini, d o p o le sue dimissioni dal g o v e r n o e la c a d u t a della Repubblica, aveva voluto restare a R o m a , e a viso scop e r t o . Era la risposta alla s t a m p a reazionaria d ' E u r o p a che l o accusava d i a v e r i n s t a u r a t o u n r e g i m e d i t e r r o r e . E r a p r o n t o a difendere il suo o p e r a t o in tribunale, ma i francesi n o n e b b e r o il coraggio di trascinarvelo. Soltanto il 12 s'imb a r c ò a Civitavecchia su u n a n a v e còrsa che lo c o n d u s s e a Marsiglia, e di lì p r o s e g u ì p e r Ginevra. N o n voleva allontanarsi t r o p p o dall'Italia, dove t u t t o r a u n a fiammella di rivoluzione lampeggiava: Venezia.
CAPITOLO VENTITREESIMO
LA DIFESA DI V E N E Z I A
Poco p r i m a di Custoza, i veneziani avevano votato la fusione col P i e m o n t e , e a q u e s t o i m p e g n o e r a n o rimasti fedeli anche p e r c h é , p e r sopravvivere, avevano bisogno della flotta piemontese, accorsa in loro aiuto. Alla testa della città c'era un Triumvirato, e alla testa del Triumvirato c'era M a n i n , che aveva scritto a T o r i n o : «Il n o s t r o è un g o v e r n o p u r a m e n t e provvisorio e di conservazione». Per questo, sebbene r e p u b b l i c a n o , egli si e r a rifiutato di p r o c l a m a r e la R e p u b blica. Voleva assicurare alla città libertà di scelta secondo le circostanze. In c u o r suo, quella che più vagheggiava era u n a soluzione federalistica c h e g a r a n t i s s e al Veneto u n ' a m p i a autonomia; ma era p r o n t o a n c h e a e n t r a r e in un R e g n o dell'Alta Italia, se questo riusciva a costituirsi. Sebbene gli avessero affidato pieni poteri, M a n i n era un u o m o discusso. Molti lo c o n s i d e r a v a n o un malaccorto m a neggione, un improvvisatore d i g i u n o di p r o b l e m i economici e militari, b r a v o soltanto ad attribuirsi i meriti degli altri. Secondo T o m m a s e o , c h ' e r a fra i suoi p i ù insidiosi diffamatori, il p o t e r e gli aveva d a t o «una scossa da intorbidargli la m e n t e e far più grave e manifesta la sua inesperienza». U n f o n d o d i v e r o , i n q u e s t e critiche, c'era; m a solo u n fondo. E vero che di strategia e finanza, M a n i n capiva poco. Figlio di un avvocato e b r e o c o n p o c h i clienti (il s u o n o m e d'origine era Medina), e avvocato egli stesso, n o n aveva avuto altra e s p e r i e n z a che quella forense che l'occupava t u t t o per s o p p e r i r e ai bisogni della famiglia p a t e r n a ridotta quasi a ospedale. Ma questo n o n gli aveva i m p e d i t o di militare fin da giovanissimo, e con molto coraggio e coerenza, nei movi249
m e n t i patriottici, anche se si e r a s e m p r e rifiutato d'iscriversi a società segrete. I n t e l l e t t u a l m e n t e , n o n e r a al livello di un Mazzini o di un C a t t a n e o . Ma era, c o m e loro, inattaccabile sul p i a n o m o r a l e . E, in m a n c a n z a di un vero e p r o p r i o p o t e r e carismatico, esercitava sulle folle un n o t e v o l e fascino p e r la sua gioviale e arguta «venezianità». Parlava s e m p r e in dialetto con b a t t u t e raccattate sulla bocca dei gondolieri, e a n c h e nel d r a m m a p o r t a v a un pizzico di Goldoni. I suoi limiti li conosceva, e n o n è vero che l'autorità gli avesse dato alla testa, c o m e diceva T o m m a s e o che diceva male di tutti. Anzi, la esercitava b o n a r i a m e n t e e cercava di circondarsi di u o m i n i validi che sopperissero alla sua incompetenza. Qualc u n o lo scelse b e n e , come il friulano Cavedalis cui affidò la difesa terrestre. Q u a l c h e altro lo scelse male, c o m e Graziani, c h ' e b b e in a p p a l t o la m a r i n a e vi si rivelò - dice s e m p r e T o m m a s e o , ma stavolta con ragione - «marinaro d a p p o c o e peggior soldato e pessimo cittadino». Per sé t e n n e la diplomazia e le finanze. Di queste ultime avrà a n c h e capito poco, ma capiva b e n e q u a n t o contassero: «Il nostro p r i m o e più u r g e n t e bisogno è il d e n a r o - disse -. Venezia resisterà l u n g a m e n t e solo se avrà d e n a r o , m o l t o e presto». T r o v a r n e in u n a città senza risorse e c o m p l e t a m e n te tagliata fuori dal m o n d o era u n ' i m p r e s a disperata. Qualc u n o avanzò perfino la p r o p o s t a di v e n d e r e a privati e banche straniere i capolavori d'arte della città, e T o m m a s e o caldeggiò l'idea: «De' Canaletti e d e ' T i n t o r e t t i , che fuori son cosa ghiotta, voialtri ne avete tanti, che col t e m p o scadranno di valore p e r il raffinarsi del gusto...» E n o i oggi ci lam e n t i a m o - e g i u s t a m e n t e - d e l l ' i n c u r i a in cui è t e n u t o il p a t r i m o n i o artistico! A q u e i t e m p i p e r f i n o i T o m m a s e o lo disprezzavano. M a n i n scartò il p r o g e t t o , ma il p r o b l e m a restava, e p e r risolverlo ci voleva un genio della finanza. Manin lo trovò in u n altro e b r e o , Pesaro M a u r o g o n a t o , a u t o r e d i u n a operazione di prestito così ben c o n g e g n a t a da ispirare (e in quella situazione e r a un autentico miracolo) la massima fiducia ai 250
veneziani che sottoscrissero senza esitare. Aggiunto a quello del fisco, q u e s t o gettito s u p e r ò i c i n q u e milioni, cifra p e r quei t e m p i colossale, e mise al sicuro la città dal collasso economico. M i n o r successo e b b e M a n i n c o m e d i p l o m a t i c o . Capiva che solo la Francia e l'Inghilterra p o t e v a n o gettare su Venezia il loro m a n t e l l o p r o t e t t o r e i n c l u d e n d o l a nel loro p i a n o di mediazione fra Torino e Vienna, e a Parigi m a n d ò , a n c h e p e r liberarsene, il T o m m a s e o . Ma siccome n o n se ne fidava, ci m a n d ò a n c h e , e senza n e p p u r e avvisarlo, M e n g a l d o e Pasini: il c h e c r e ò fra l o r o u n a g u e r r i g l i a di c o m p e t e n z e ed equivoci e m a l u m o r i . Ma la missione e r a di p e r se stessa c o n d a n n a t a al fallimento. Il g o v e r n o austriaco e r a stato fin d a p p r i n c i p i o categorico: la sorte di Venezia n o n e r a n e g o ziabile: città ribelle d e l l ' I m p e r o , a l l ' I m p e r o doveva t o r n a r e . Di fronte a questo rifiuto, Francia e I n g h i l t e r r a consigliavano la r i n u n c i a alla difesa e trattative dirette fra le d u e p a r t i p e r u n a m a g g i o r e a u t o n o m i a . N o n restava d u n q u e che l a speranza nella ripresa della g u e r r a e nella vittoria di Carlo Alberto. Secondo gl'impegni presi nell'armistizio Salasco, la flotta piemontese avrebbe d o v u t o ritirarsi da Venezia. C'era invece rimasta, ma a settembre (del '48, si capisce) fu richiamata. F u u n b r u t t o m o m e n t o p e r c h é Graziani n o n aveva p r e disposto n u l l a p e r p a r a r e u n e v e n t u a l e attacco dal m a r e . Fortuna volle che gli austriaci fossero in quel m o m e n t o paralizzati dalla rivolta d ' U n g h e r i a , e c h e a n o v e m b r e i piemontesi tornassero con la scusa che l'Austria aveva anch'essa trasgredito agl'impegni tenendosi un p a r c o di artiglierie che a v r e b b e d o v u t o restituire. Il blocco funzionava q u i n d i soltanto dalla p a r t e di t e r r a , e molti r i m p r o v e r a v a n o a Manin di n o n far nulla p e r r o m p e r l o o alleggerirlo. Q u e s t e critiche v e n i v a n o s o p r a t t u t t o dal Circolo italiano cui facevano capo gli esuli delle altre parti d'Italia. Ce n'erano molti e molto irrequieti, che r e c l a m a v a n o u n a specie di supervisione sul g o v e r n o a c c u s a n d o l o d ' i n d e c i s i o n e e di 251
m u n i c i p a l i s m o . D i c e v a n o c h e M a n i n , l u n g i d a l servire la causa nazionale se ne serviva p e r i m p a d r o n i r s i di Venezia e operava solo nell'interesse di u n a Camera nera, conventicola di uomini che con la scusa del patriottismo m a n i p o l a v a n o il pubblico d e n a r o senza r e n d e r n e conto a n e s s u n o . M a n i n s o p p o r t ò questi attacchi finché r i m a s e r o bisbigli. M a q u a n d o e s p l o s e r o i n c l a m o r o s e r e q u i s i t o r i e a n c h e sui giornali, o r d i n ò l ' a r r e s t o e l'espulsione d e i p r i n c i p a l i r e sponsabili dalla città, e stavolta a n c h e T o m m a s e o gli d e t t e r a g i o n e . Tuttavia, da accorto politico, volle l ' a p p r o v a z i o n e dell'Assemblea, la quale gli r i n n o v ò i pieni poteri, e lui se ne avvalse p e r p r e n d e r e un'iniziativa che c o n f o n d e s s e e sbugiardasse i suoi avversari. Le forze a r m a t e veneziane e r a n o c o m p o s t e d i v o l o n t a r i d i o g n i p a r t e d'Italia: r o m a n i che avevano disobbedito all'ordine di r i e n t r o del Papa, lombardi che n o n volevano t o r n a r e sotto l'Austria, toscani sbandati, napoletani che avevano seguito il loro Pepe. A costui Man i n aveva affidato il c o m a n d o s u p r e m o , ma solo n o m i n a l m e n t e . Il vero responsabile e r a Cavedalis, che di quella Babele e r a riuscito a fare u n a t r u p p a quasi r e g o l a r e . Fu a lui che Manin o r d i n ò un'azione di sorpresa contro le posizioni austriache di Cavallino e di Mestre. Il p i a n o fu t e n u t o segreto a n c h e al c o m a n d a n t e in capo che doveva c o n d u r r e l'operazione. N o n che si dubitasse della lealtà di Pepe, il d e c a n o dei guerriglieri della libertà. Con la sua gigantesca statura, col suo maschio p o r t a m e n t o , con la sua pittoresca e gesticolante loquela, a Venezia aveva conquistato tutti, specie le d o n n e , e questo e r a il guaio p e r c h é alle d o n n e n o n n a s c o n d e v a nulla, n e a n c h e i piani di guerra. Perciò lo avvisarono soltanto q u a n d o tutto era già p r o n to, e n o n gli restava altro t e m p o che quello di r a g g i u n g e r e e di mettersi alla testa delle t r u p p e in marcia. Il colpo a n d ò a s e g n o , e in esso si distinsero alcuni ufficiali che r i t r o v e r e m o ai posti di c o m a n d o nell'esercito piem o n t e s e e in quello g a r i b a l d i n o di dieci a n n i d o p o : Ulloa, Cosenz, e un p r e t e spretato, Sirtori, che considerava la mili252
zia u n a c o n t i n u a z i o n e del sacerdozio e vi p o r t a v a lo stesso p u r i t a n o zelo. C'era a n c h e Rossaroll, l'attentatore graziato da re F e r d i n a n d o . E c'era anche Felice Orsini, che di lì a p o co sarebbe a n d a t o a t i r a r e u n a b o m b a a N a p o l e o n e rimettendoci la vita e m e t t e n d o a repentaglio tutta l'opera di Cavour. Gli austriaci, che d i s p o n e v a n o di p o c h e forze, furono colti di sorpresa e si ritirarono in disordine lasciando sul terr e n o 300 morti, 600 prigionieri, sei c a n n o n i e interi magazzini di munizioni. Pepe redasse un bollettino d e g n o di Austerlitz. Venezia si p a r ò a festa. F u r o n o distribuite molte m e daglie. E M a n i n chiuse la bocca agli avversari e indisse n u o ve elezioni c h e s e g n a r o n o il suo trionfo e la c o n f e r m a dei pieni poteri. N o n p e r questo d i s a r m ò l'opposizione democratica, o r a capeggiata da T o m m a s e o e Sirtori, e n t r a m b i d e p u t a t i , che volevano un m a g g i o r e controllo dell'Assemblea sul g o v e r n o e u n a più attiva p a r t e c i p a z i o n e di Venezia alle vicende italiane e specialmente al p r o g e t t o di Costituente caldeggiato da M o n t a n e l l i . Ma q u e s t o e r a il fatto: c h e M a n i n g o d e v a l'incondizionato a p p o g g i o della p o p o l a z i o n e p e r c h é ne incarnava gli u m o r i municipalisti, e n o n poteva e n o n voleva tradirli. Al p r o g e t t o di C o s t i t u e n t e a d e r ì b e n s a p e n d o che s a r e b b e r i m a s t o sulla carta, e sia a F i r e n z e c h e a R o m a m a n d ò r a p p r e s e n t a n t i , m a a v v e r t e n d o l i sotto b a n c o c h e n o n stringessero t r o p p o i r a p p o r t i con quei governi, p e r c h é l'unica carta su cui si doveva p u n t a r e e r a il Piemonte col suo esercito e la sua flotta. Q u a n t o ai controlli dell'Assemblea, rispose Cavedalis con la sua soldatesca rudezza: «Non di lib e r t à o r a è p a r o l a , ma di sopravvivenza». Sirtori gli d e t t e sulla voce, e la d i a t r i b a traboccò in piazza, d o v e n a c q u e r o incidenti fra le o p p o s t e fazioni. Per sedarle, dovette intervenire di p e r s o n a Manin accolto da clamorose ovazioni. «Gho fato a n c u o - disse fingendosi a d d o l o r a t i s s i m o - u n a b r u t a esperienza, ma b r u t a assae. G h o scoverto che vu altri no me amè. Vu altri disè sì con la boca, ma no col cor. Ve intimo de a n d a r via. Chi no va via, no xe mio amigo, e xe n e m i g o de 253
l'Italia». Q u e s t o era Manin, e p e r questo lo a m a v a n o a n c h e «col cor». Via via che si avvicinava la r i p r e s a della g u e r r a sul Ticin o , le questioni politiche cedevano il passo a quelle militari. P e p e inviò a Carlo Alberto un p i a n o g r a n d i o s o : q u a n d o il P i e m o n t e fosse sceso di n u o v o in c a m p o , egli si sarebbe gettato con 30 mila u o m i n i sulle terga degli austriaci accendendo rivolte o v u n q u e e p o i p u n t a n d o s u l l ' U n g h e r i a . Ma Cavedalis parlò all'inviato di Torino un altro linguaggio: Venezia, disse, p o t e v a b a d a r e alla p r o p r i a difesa e fare m a g a r i qualche sortita, ma n o n oltre Mestre. Il ruvido friulano n o n c r e d e v a in q u e l c h e faceva, ma lo faceva con p r o f o n d a coscienza. Volentieri aveva consentito al r i m p a t r i o dei riottosi legionari r o m a n i col loro generale Ferrari, il quale «non lasciò che m e m o r i e di spreco, di disordine, di contumelie», e aveva i n q u a d r a t o i v o l o n t a r i l o m b a r d i e n a p o l e t a n i in r e p a r t i organici e disciplinati. Ma quelli su cui p i ù c o n t a v a e r a n o i c i n q u e m i l a v e n e t i di t e r r a f e r m a fuggiti a Venezia p e r sottrarsi alla coscrizione b a n d i t a dall'Austria. I n t u t t o aveva sotto m a n o un 15 mila u o m i n i addestrati c o m e t r u p pa regolare p e r c h é di quella basata sul volontarismo e l'improvvisazione aveva convinto M a n i n che n o n c'era da fidarsi. T a n t ' è vero che in n o v e m b r e questi aveva scritto a Tommaseo: «Siamo minacciati dall'arrivo del Garibaldi e d e ' suoi g r e g a r i : n o n v o r r e s s i m o c h e ci t u r b a s s e r o la q u i e t e interna». Cavedalis n o n li voleva tra i piedi: a far confusione, sec o n d o lui, Pepe bastava, e ce n'era d'avanzo. L a r i p r e s a della g u e r r a sul T i c i n o r i e m p ì Venezia d i gioiosa trepidazione. Dal balcone, M a n i n parlò a u n a piazza g r e m i t a di folla e c o p e r t a di b a n d i e r e a n n u n z i a n d o un «marzo radioso». Le p r i m e notizie e r a n o esaltanti, ma p u r t r o p p o a n c h e infondate. Manin s e p p e la verità da u n a lettera di H a y n a u che dirigeva il blocco della città e le ingiungeva la resa, ma n o n ebbe il coraggio di c o m u n i c a r e la notizia alla popolazione. Q u e s t a l'apprese il 1° aprile dai giornali di Milano che r i p r o d u c e v a n o il testo dell'armistizio di Novara 254
e dalla c i u r m a di u n a nave p i e m o n t e s e arrivata quel g i o r n o con l'annuncio dell'abdicazione di Carlo Alberto. E r a la fine di tutte le speranze. A b b a n d o n a t a a se stessa, solo su se stessa la città poteva contare. M a n i n convocò i d e p u t a t i in comitato segreto, che redasse questa risposta p e r H a y n a u : «L'Assemblea dei r a p p r e s e n t a n t i dello Stato di Venezia, in n o m e di Dio e del p o p o l o u n a n i m e m e n t e d e c r e t a : Venezia resisterà all'austriaco ad o g n i costo. A tale scopo il P r e s i d e n t e M a n i n è investito di p o t e r i illimitati». U n a bella risposta, e finalmente senza retorica. Per il m o m e n t o , gli austriaci n o n si mossero: tutte le loro forze e r a n o c o n c e n t r a t e sul Ticino, e M a n i n ne a p p r o f i t t ò p e r m a n d a r e la sua flottiglia a incettare q u a n t e p i ù vettovaglie p o t e v a sulle coste della l a g u n a , le cui bocche di p o r t o e r a n o state frattanto imbottigliate dalla s q u a d r a austriaca, ora sotto il c o m a n d o di un capacissimo ammiraglio d a n e s e . Dalla p a r t e dell'Adriatico il blocco e r a assoluto e rivelava tutta l'inefficienza di Graziani, i cui vecchi legni n o n e r a n o n e m m e n o in g r a d o di t e n e r e il m a r e . Alla fine di aprile, a n c h e quello di t e r r a e r a c o m p l e t a t o grazie all'arrivo di 30 mila u o m i n i , e Radetzky v e n n e di persona a p r e s e n z i a r e l'attacco a M a r g h e r a , c o n v i n t o c h e la p e r d i t a di quella posizione avrebbe indotto la città alla resa. A quei t e m p i la gittata delle artiglierie n o n s u p e r a v a i d u e mila metri. Per assistere allo spettacolo, i veneziani s'inerpic a r o n o sui tetti e c o p r i r o n o di g o n d o l e la l a g u n a . Gli a u striaci v e n n e r o avanti, c o m e allora si diceva, «a parallele», cioè scavando u n a linea di trincee, p o r t a n d o v i i c a n n o n i con cui battere le posizioni nemiche, e al coperto di questo fuoco scavando u n a linea di trincee p i ù avanzata. N o n abituati a un simile g r a n d i n ì o di b o m b e , gli artiglieri veneziani d a p p r i m a furono colti dal panico, ma i loro c o m a n d a n t i Ulloa e Cosenz s e p p e r o tenerli in p u g n o , e le loro batterie d i e d e r o al n e m i c o u n a d u r a replica. Per t r e s e t t i m a n e gli austriaci dovettero conquistarsi il t e r r e n o p a l m o a p a l m o e p a g a n d o lo a d u r o p r e z z o . Solo il 24 m a g g i o p o t e r o n o sferrare l'at255
tacco decisivo che fu terrificante. Il 27 e n t r a r o n o in Marg h e r a , cioè i n quello c h e restava d i M a r g h e r a , m a n o n c i t r o v a r o n o che rovine e cadaveri. C o n la consueta cavalleria, Radetzky scrisse nel suo r a p p o r t o : «Allorché i nostri bravi soldati videro quell'orribile q u a d r o di desolazione, n o n p o t e r o n o t r a t t e n e r e u n a n i m i p a r o l e d ' e n c o m i o a l valore dei loro avversari». I veneziani avevano s e m p r e s a p u t o che M a r g h e r a e r a intenibile, e l'evacuazione si e r a svolta - u n a volta tanto sul serio - «secondo i piani prestabiliti». La resistenza doveva servire soltanto a infliggere p e r d i t e al nemico e aveva assolto il suo compito: 700 di essi e r a n o fuori c o m b a t t i m e n t o . Il Maresciallo capì che i suoi preventivi e r a n o sbagliati e, n o n p o t e n d o r i n n o v a r e un invito alla resa c h ' e r a già stato respinto, lasciò il passo p e r un n u o v o tentativo al ministro Bruck, ven u t o a p p o s t a da Vienna. Manin, che a sua volta si r e n d e v a conto della impossibilità di u n a vittoria, accettò di trattare, e m a n d ò in segreto d u e p a r l a m e n t a r i a Verona. B r u c k disse che il suo governo era p r o n t o a «tutte le concessioni compatibili c o n l'integrità della M o n a r c h i a austriaca». E r a u n ' a p e r t u r a vaga, ma p r o m e t t e n t e , che Manin, m a l g r a d o la sua qualità di d i t t a t o r e , volle s o t t o p o r r e all'Assemblea. Q u e s t a chiese la continuazione del negoziato p e r i n d u r r e l'avversario a scoprire le sue intenzioni, e a fine g i u g n o i p a r l a m e n tari t o r n a r o n o a V e r o n a , d o v e f u r o n o accolti da b e n altro linguaggio. V i e n n a aveva accusato di cedevolezza n o n soltanto Bruck, ma anche Radetzky, e ingiungeva la resa p u r a e semplice secondo i t e r m i n i dettati dal Maresciallo. Così la parola fu restituita al c a n n o n e . Siccome la flotta n o n poteva e n t r a r e nella laguna, presidiata dalle artiglierie dei suoi robusti forti, la conquista della città n o n poteva farsi che l u n g o il p o n t e ferroviario che a n c o r o g g i collega Venezia alla t e r r a f e r m a e c h e gli stessi austriaci avevano costruito nel '46: e r a n o 3.600 metri su 222 arcate, di cui i veneziani, ritirandosi da Marghera, ne avevano già d i s t r u t t e u n a ventina. Fu su q u e s t a l i n g u a di t e r r a , 256
larga in m e d i a u n a t r e n t i n a di metri, che si c o m b a t t e r o n o le ultime d i s p e r a t e battaglie. Il fuoco delle artiglierie austriache c o n t i n u ò p e r t u t t o g i u g n o , m a n o n d e t t e risultati a p prezzabili. Un colpo di m a n o tentato su B r o n d o l o fallì. Nel clima di speranze suscitato da questi successi, n a c q u e e p r e se c o r p o la voce che un esercito l i b e r a t o r e fosse in a r r i v o d a l l ' U n g h e r i a dove aveva trionfato la rivoluzione, che p r o p r i o in quel m o m e n t o invece era stata d u r a m e n t e soffocata. Q u e l l a g u e r r a di u s u r a logorava gli assediati, na a n c h e gli a s s e d i a m i . O l t r e che di feriti, gli ospedali austriaci traboccavano di malati febbricitanti p e r la malaria: a fine luglio ce n ' e r a n o dodicimila, quasi la m e t à degli effettivi. Q u e s t o li spinse a t e n t a r e un'azione di sorpresa n o t t u r n a sulle batterie veneziane di S. Antonio a m e t à del p o n t e . I difensori si lasciarono s o r p r e n d e r e nel sonno e si d i e d e r o alla fuga, ma Cosenz con un miracolo di energia li riportò al contrattacco e riprese la posizione. Fu allora che gli austriaci fecero il p r i m o - c r e d o - esper i m e n t o di b o m b a r d a m e n t o a e r e o della Storia, l e g a n d o palle di c a n n o n e a palloni aerostatici affidati al vento nella speranza che questo soffiasse in direzione di Venezia. Soffiò invece in t u t t ' a l t r o senso, e i veneziani appollaiati sui tetti si d i v e r t i r o n o moltissimo a v e d e r volteggiare in cielo quegli aggeggi, alcuni dei quali r i c a d d e r o sulla testa di chi li aveva lanciati. Ma p a g a r o n o quel piacevole diversivo la notte fra il 28 e il 29 luglio, q u a n d o sulla città si abbatté u n a g r a n d i n e di proiettili. Il panico fu g r a n d e p e r c h é , p e r arrivare col suo fuoco fin lì, voleva d i r e che il n e m i c o aveva c o n q u i s t a t o il p o n t e , o a l m e n o b u o n a p a r t e di esso. Invece n o n e r a così. Gli austriaci n o n avevano g u a d a g n a t o un p a l m o di t e r r e n o . Avevano soltanto modificato i fusti dei loro pezzi p o r t a n d o ne l'inclinazione fino a 45 gradi in m o d o da a u m e n t a r n e la gittata fino a cinquemila metri. I loro proiettili, ora, arrivavano nel c e n t r o della città, ma stanchi e privi di effetti distruttori: alle b o m b e quel m e t o d o n o n era applicabile. Ventiquattro giorni d u r ò il flagello a un r i t m o , p e r quei 257
t e m p i vertiginoso, di oltre mille colpi al g i o r n o . Ma i veneziani fecero p r e s t o ad abituarcisi a n c h e p e r c h é si avvidero subito della inefficacia di quel diluvio, il quale b u t t ò all'aria q u a l c h e tetto e c o r n i c i o n e , ma n o n p r o v o c ò che un ferito. Alla prova, il m o r a l e della popolazione resistette benissimo. A scuoterlo furono d u e altre j a t t u r e , contro cui n o n c'era rim e d i o : la fame e il colera. Ai p r i m i di luglio, i d u e terzi delle b o t t e g h e di commestibili e r a n o chiuse p e r m a n c a n z a di m e r c e e la commissione a n n o n a r i a a p p u r ò che, p u r r i d u c e n d o al m i n i m o le razioni, le scorte di g r a n t u r c o bastavano a p p e n a p e r sedici giorni e p e r v e n t o t t o quelle d i f r u m e n t o . F u i n q u e s t a e m e r g e n z a che si decise di r i c o r r e r e alla flotta p e r un tentativo di forzat u r a del blocco. L'8 agosto la s q u a d r a veneziana, composta di q u a t t r o corvette, tre brick e a l c u n e imbarcazioni m i n o r i , uscì dalla laguna p e r affrontare quella austriaca che si limitò a tenerla a distanza coi suoi c a n n o n i . Gli austriaci n o n volevano affondare quei legni che p r i m a o poi sarebbero caduti in m a n o loro, e il c o m a n d a n t e veneziano n o n ebbe il coraggio di costringerli al c o m b a t t i m e n t o . Bastò lo scirocco p e r i n d u r l o a t o r n a r e indietro, e fu la fine dell'ultima speranza. Propiziato dalla d e n u t r i z i o n e , scoppiò il colera, che in u n a settimana mietè oltre cento vittime. M a n i n si p r e s e n t ò all'Assemblea e fece il p u n t o della situazione, s p e r a n d o che q u a l c u n o avanzasse u n a p r o p o s t a di r e s a ch'egli n o n aveva il c o r a g g i o di f o r m u l a r e . Siccome n e a n c h e i d e p u t a t i o s a r o n o farlo, f u r o n o alcuni cittadini a p r e n d e r n e l'iniziativa con u n a petizione che recava anche la firma del Patriarca Monico. Era un avallo scelto male perché i sentimenti filo-austriaci del Presule e r a n o noti alla popolazione che inscenò c o n t r o di lui u n a violenta manifestazione di protesta. T e m e n d o che questa fosse l'inizio di più gravi disordini, M a n i n si r i p r e s e n t ò all'Assemblea. «Siamo alla fame - disse -. La fame è sopportabile, ma fino a un dato p u n t o : c o n s u m a t o a n c h e l'ultimo p a n e , n o n c'è più fame, ma morte.» E siccome l'ascetico Sirtori, che ai d i g i u n i era 258
abituato, lo contestava, rispose: «Sia stanchezza od altro, io ho il doloroso coraggio di d i r e che n o n ho p i ù alcuna speranza». Ribatté Sirtori: «Manin è insufficiente a g o v e r n a r e il p a e s e nelle attuali gravi circostanze». Ma l'Assemblea rinnovò i pieni poteri al Dittatore. La sera d o p o i partigiani della resistenza a oltranza fecero risacca contro il palazzo ducale c h i e d e n d o la leva in massa. M a n i n fece p o r t a r e in piazza un tavolo e u n a sedia e invitò i t u m u l t u a n t i a fare d o m a n d a di a r r u o l a m e n t o . A firmarla, furono in diciotto, e a n c h e Pepe e Ulloa c o n v e n n e r o che la leva in massa n o n avrebbe risolto nulla. Di fuori, n o n a r r i v a v a n o c h e notizie scoraggianti: il P i e m o n t e aveva firm a t o con l'Austria u n a p a c e c h e a b b a n d o n a v a Venezia a l suo destino, il capo degl'insorti u n g h e r e s i si era arreso, Garibaldi in ritirata da Roma aveva d o v u t o r i n u n z i a r e al tentativo di r a g g i u n g e r e Venezia. M a n i n cercava di riallacciare u n a trattativa con gli a u striaci e di ricostituire l ' u n a n i m i t à su q u e s t o r a g i o n e v o l e p r o g r a m m a . A ostacolarlo s o p r a v v e n n e u n ' a l t r a sciagurata iniziativa del Patriarca che p u b b l i c a m e n t e lo invitava a porre fine a quella inutile resistenza p e r evitare che un d a n n o irreparabile venisse recato alla religione e alla m o r a l e «dall'ammassamento e dalla fortuita promiscuità di tanti individui diversi di condizioni e di sesso». Di tutta quella tragedia, la sola cosa che lo p r e o c c u p a v a era che le ragazze restassero vergini e le mogli fedeli. Manin scrisse al Bruck, ch'era rimasto a Milano, chiedendogli di r i p r e n d e r e il n e g o z i a t o . La risposta fu d u r a : «Il p r o l u n g a m e n t o ingiustificato della resistenza n o n r e n d e o r a possibile c h e u n a resa i n c o n d i z i o n a t a » . S a l t a n d o l'Assemblea, il D i t t a t o r e si affacciò al b a l c o n e : «Sto n e g o z i a n d o - disse -, lo sapete tutti. Ma è viltà s u p p o r r e che Venezia mi chieda u n a viltà, e se me la chiedesse n o n p o t r e i farle q u e sto sacrificio». Sperava d ' i n g a n n a r e il nemico sulle reali condizioni della città. Ma q u a n d o il 18 agosto Cavedalis si p r e sentò al q u a r t i e r g e n e r a l e austriaco con d u e colleghi e coi 259
consoli di Francia e d ' I n g h i l t e r r a , questi ultimi f u r o n o r e spinti e la trattativa assunse il tono del diktat. Venezia doveva c o n s e g n a r e i forti e le a r m i . C h i u n q u e volesse lasciarla e r a libero di farlo, compresi i capi della rivolta. Piena amnistia era garantita alla popolazione e a n c h e ai soldati e ai sottufficiali che avevano militato nel suo esercito. C o n g e d a n d o s i d a i suoi (e c o m e al solito s b a g l i a n d o il t e m p o d e i verbi), M a n i n disse: «Checché avvenisse, d i t e : q u e s t ' u o m o si è i n g a n n a t o ; ma n o n dite mai: q u e s t ' u o m o ci ha ingannato», e svenne. S'imbarcò su un piroscafo francese, seguito da Pepe, Ulloa, T o m m a s e o , Sirtori e tutti gli altri m a g g i o r i e s p o n e n t i della rivolta, m e n o Cavedalis. Nella città prostrata, Radetzky fece solenne ingresso il 30, festeggiato soltanto dal Patriarca, che celebrò un Te Deum p e r ringraziare in n o m e del b u o n Dio chi aveva restituito la città al suo legittimo Sovrano. Le parole n o n e r a n o convenzionali: gli salivano p r o p r i o dal c u o r e . U n o straniero, che n o n aveva simpatizzato p e r la causa d e g l ' i n s o r t i , Blaze de Bury, scrisse: «Rattristato e silenzioso, il p o p o l o di Venezia assisteva allo spettacolo delle celebrazioni, e su quei volti smagriti dalle sofferenze di un l u n g o assedio, su quei tratti induriti e d e c o m p o s t i dalla febbre e dall'odio, si p o t e v a n o l e g g e r e le stesse cose che avevano ispirato u n a violenta apostrofe scritta or n o n è molto sui m u r i di Pavia: "Vattene, tedesco, perché l ' u o m o cui questa t e r r a a p p a r t i e n e , ti odia dal p r o f o n d o dell'anima. Ti odia oggi, ti odierà d o m a n i e s e m p r e . Tu ridi e io p i a n g o , ma b a d a che le mie lacrime, b a g n a n d o t i , n o n ti avvelenino"». Così si chiuse il p r i m o capitolo della lotta italiana p e r l'ind i p e n d e n z a . Molte cose e r a n o m a n c a t e . Molti e r r o r i e r a n o stati commessi. Molti equivoci e r a n o rimasti. Molti uomini, quasi tutti, si e r a n o rivelati impari ai loro compiti e responsabilità. Ma p e r la p r i m a volta si e r a n o visti dei p o p o l a n i scendere in c a m p o p e r la causa nazionale e portarvi un soffio autenticamente rivoluzionario. N o n esageriamone la portata: ciò era accaduto solo in alcune città: la g r a n d e mas260
sa contadina, che costituiva il settanta p e r cento della p o p o lazione, vi e r a rimasta estranea, q u a n d o n o n a d d i r i t t u r a avversa. Ma era c o m u n q u e accaduto. E questo segnava, rispetto al passato, qualcosa di più che un passo avanti. Segnava u n a vera e p r o p r i a svolta.
CAPITOLO VENTIQUATTRESIMO
CONSUNTIVO
A p r i m a vista, sembrava che tutto fosse caduto nel nulla, come d o p o i moti del '21 e del ' 3 1 . Sulla carta geografica n o n c'erano stati cambiamenti. I vecchi Stati si e r a n o ricostituiti nei vecchi confini, e la reazione r e n d e v a ancora più grintosi e vessatori i loro regimi polizieschi. Il L o m b a r d o - V e n e t o p e r s e il p o ' di a u t o n o m i a che fin lì aveva salvato, e fu lasciato in a p p a l t o a n c h e c o m e g o v e r n o civile a Radetzky. La r e p r e s s i o n e d a p p r i n c i p i o fu d u r a e p o r t ò alla fucilazione di parecchi cittadini trovati in possesso di a r m i . Si allentò con la concessione di un'amnistia, da cui f u r o n o escluse solo un centinaio di p e r s o n e f o r t u n a t a m e n t e già fuggite all'estero. Ma il r e g i m e rimase di s t a m p o militare, inasprito da un giro di vite fiscale, che mise in crisi p a r e c c h i e i n d u s t r i e , a c o m i n c i a r e da q u e l l a della seta. Quasi i n t e r a m e n t e agraria, l'economia veneta ne risentì m e n o . Ma p e r quella l o m b a r d a s'iniziò un d e c e n n i o di stasi, se n o n a d d i r i t t u r a d'involuzione. A n c h e il p r o m e t t e n t i s simo sviluppo ferroviario si a r r e s t ò o p r o c e d e t t e alla fiacca. E n o n p a r l i a m o di quello c u l t u r a l e . U n a c e n s u r a o t t u s a e puntigliosa tagliò fuori dalle g r a n d i c o r r e n t i d ' i d e e sia Milano che Venezia, che n ' e r a n o state fra le p i ù alacri fucine. Ci volle del t e m p o p r i m a che vi si riaccendessero dei focolai di p e n s i e r o . Carlo II abdicò al suo D u c a t o di P a r m a e Piacenza, e al suo posto salì il figlio Carlo I I I che di lì a poco fu ucciso da un sellaio. In n o m e d e l l ' e r e d e m i n o r e n n e , la R e g g e n z a fu assunta dalla vedova che, e s s e n d o francese, cercò alla m e glio di frenare le interferenze austriache. Francesco V vice262
versa rifece di M o d e n a u n a roccaforte dell'assolutismo e n o n p e r s e occasioni p e r m o s t r a r e la sua fedeltà a Vienna. In Toscana, il G r a n d u c a tentava invano di ristabilire coi suoi sudditi i cordiali r a p p o r t i che la dinastia L o r e n a aveva istaurato. Aveva commesso l ' e r r o r e di r i e n t r a r e a Firenze al seguito dell'esercito austriaco e d o p o essersi i m p e g n a t o con Vienna a t e n e r l o nel G r a n d u c a t o e a m a n t e n e r v e l o . Sebbene fosse stata r e i n t r o d o t t a la p e n a di m o r t e , questa n o n fu applicata c o n t r o n e s s u n o , e l'unico a subire u n a vera e p r o pria persecuzione fu Guerrazzi, che fu c o n d a n n a t o all'ergastolo, ma p o i ebbe un foglio di via p e r esulare (Montanelli era già a Parigi). Ma la Costituzione fu revocata, ripristinata la censura, e ciò bastò ad alienare da L e o p o l d o tutti quegli elementi liberal-moderati alla Ridolfi, Serristori e C a p p o n i , che fin allora a v e v a n o c o l l a b o r a t o con lui. C a p o q u a d r i e Mazzei che a c c e t t a r o n o di f o r m a r e un g o v e r n o d i e d e r o le dimissioni p o c h i mesi d o p o , e da q u e l m o m e n t o il r e g i m e n o n p o t è c o n t a r e c h e s u B a l d a s s e r o n i , efficiente a m m i n i stratore, ma nulla di più. Egli riuscì a far q u a d r a r e i conti, cosa n o n facile d a t o il costo dell'occupazione austriaca che d u r ò fino al ' 5 5 , e a p o r t a r e avanti lavori pubblici di considerevole mole c o m e le bonifiche di Bientina e della M a r e m ma e la costruzione di nuovi tronchi ferroviari. Ma la vita di Firenze si avviò a d i v e n t a r e davvero un «mortorio» - c o m e l'aveva c h i a m a t a T o m m a s e o q u a n d o n o n lo e r a -, e tale rimase p e r il successivo d e c e n n i o . E p p u r e l a Toscana e r a a n c o r a u n p a r a d i s o i n confronto agli Stati pontifici. Avendo s e m p r e detto che a n d a v a n o a Roma p e r ristabilirvi la pace, i francesi n o n p e r s e g u i t a r o n o gli u o m i n i della Repubblica: lo stesso Mazzini p o t è tranquillam e n t e restare u n paio d i settimane, e p p o i a n d a r s e n e senza ricorrere a falsi d o c u m e n t i . Ma a p p u n t o p e r questo il P a p a n o n volle tornarvi, si trasferì a Napoli ospite di Re Bomba, e lo Stato l'affidò a tre Cardinali - Altieri, Della G e n g a e Vannicelli - che i r o m a n i c h i a m a r o n o «il triumvirato rosso». Da quel m o m e n t o cominciò u n a tale caccia all'uomo che Luigi 263
N a p o l e o n e , sebbene n e l l ' i m m i n e n z a del suo colpo di Stato avesse particolarmente bisogno di essere sostenuto dalle forze cattoliche, si sentì in dovere di m a n d a r e u n a lettera al Generale che c o m a n d a v a il corpo di spedizione a R o m a p e r dep l o r a r e quei p r o c e d i m e n t i . Su suo o r d i n e , la lettera doveva essere comunicata ai giornali, ma i giornali la rifiutarono, e a pubblicarla fu solo lo Statuto di Firenze. Il Papa reagì a n n u n ziando da Napoli che n o n avrebbe rimesso piede nell'Urbe se i francesi n o n rinunziavano ad ogni interferenza, e in un mota proprio dettò il suo p r i m o p r o g r a m m a di governo. Abolita la Costituzione, ripristinata la più severa censura, sciolti tutti gli o r g a n i elettivi, d ' o r a in p o i t u t t e le m a g i s t r a t u r e , c o m p r e s e quelle comunali, sarebbero state n o m i n a t e da lui. Veniva concessa un'amnistia, ma dai suoi benefici escluse categorie così vaste e indefinite che nessuno sapeva se ci sarebbe rientrato o no: il che costrinse all'espatrio anche quei mod e r a t i che p i ù a v e v a n o cercato l'accordo col Pontefice. Q u a n d o vi t o r n ò nell'aprile del '50, Pio IX trovò u n a R o m a b e n diversa da quella che staccava i cavalli della sua carrozza p e r portarla a braccia. Ad applaudirlo n o n c'erano che alcuni nobili e alcuni teppisti. Era chiaro che il suo unico presidio e r a n o i r e g g i m e n t i francesi c h e o c c u p a v a n o la città e quelli austriaci che occupavano Ancona e le Legazioni. Colui che tutta l'Italia aveva osannato c o m e il più italiano di tutt'i Papi e il più illuminato di tutti gli innovatori, era o r a esecrato come il nemico n° 1 della patria e il più infame di tutti i tir a n n i . L'equivoco neo-guelfo di u n o Stato nazionale sotto l'egida di u n a Chiesa liberale, già crollato d o p o l'allocuzione del 29 aprile '48, era definitivamente sepolto. L'irrigidimento poliziesco ributtò i patrioti nelle catacombe della cospirazione, m e n t r e la miseria d o v u t a alla totale inefficienza del r e g i m e p r o v o c ò u n sensazionale rilancio del b r i g a n t a g g i o . Anche qui fu costruita qualche ferrovia, ma solo grazie all'iniziativa e ai capitali d ' i m p r e n d i t o r i p i e m o n t e s i , francesi e spagnoli. Nella corsa al fanalino di coda del progresso italiano, gli Stati pontifici b a t t e r o n o anche quelli borbonici. 264
F e r d i n a n d o infatti cercava di d a r e al suo assolutismo u n a vernice illuministica di operosità nel c a m p o delle cosiddette «infrastrutture». Alcuni lavori furono intrapresi a Napoli e d i n t o r n i , ma solo qui. Solo qui si svilupparono i cento chilometri di ferrovie che il regime costruì; m e n t r e in tutto il resto del R e a m e continentale - sono cifre r i p o r t a t e da C a n d e loro - su 1.800 c o m u n i , 1.500 e r a n o privi di strade. Già grave, il divario fra la capitale e l ' i n t e r n o si a p p r o f o n d ì . Solo nel '57 la Banca di Stato sentì il bisogno di a p r i r e u n a succursale a Bari. Nelle altre città n o n c'erano n e m m e n o le solite Casse di Risparmio. Il fatto è che quasi tutto il r e d d i t o era assorbito dalle spese militari. Di tutti i Sovrani italiani, F e r d i n a n d o era l'unico che, p e r p u n t e l l a r e il suo r e g i m e , n o n aveva avuto bisogno degli austriaci. Questo lo r e n d e v a più i n d i p e n d e n t e da loro, ma l'obbligava a n c h e a p r o v v e d e r e alla sua difesa soltanto con le sue forze, e i fatti avevano dimostrato che ce ne volevano molte p e r t e n e r e in freno lo spirito di rivolta ogni p o co in eruzione. Sciolta la C a m e r a e abolita la Costituzione, il Re p r e t e n d e v a fare tutto da sé. Più che assolutistico, il suo era un r e g i m e personalistico, in cui i ministri fungevano soltanto da esecutori d'ordini. Anche la repressione poliziesca fu lui a dirigerla, e n o n ci a n d ò con m a n o leggera. Tutto il meglio del p e n s i e r o liberale e d e m o c r a t i c o di N a p o l i - da Spaventa a Poerio a Settembrini a Nisco - finirono nelle prigioni, che stavolta n o n e r a n o quelle attrezzate a salotto dei t e m p i di Del C a r r e t t o , e ci r i m a s e r o fino all'arrivo di Garibaldi. Il ministro inglese Gladstone, c h e capitò in quel p e riodo a Napoli, rimase inorridito di quei metodi e li d e n u n ziò con parole di fuoco in u n a lettera che scosse la coscienza di tutta E u r o p a . In Sicilia, p e r p r e v e n i r v i altri tentativi di secessione, la polizia fu ancora più implacabile grazie anche allo zelo e all'astuzia del suo direttore Maniscalco, u n a specie di prefetto Mori avanti lettera, esentato da ogni r e m o r a di legalità. Filangieri, che aveva r i c o n q u i s t a t o l'isola, facilitò la fuga dei 265
rivoluzionari p i ù c o m p r o m e s s i , scagionò gli altri i n d u c e n doli a firmare un atto di ritrattazione, e tentò di assicurare a i siciliani u n g o v e r n o abbastanza a u t o n o m o . M a a p p u n t o p e r questo fu richiamato a Napoli. Per a u t o n o m i a F e r d i n a n do i n t e n d e v a degli o r g a n i amministrativi speciali, ma semp r e strettamente d i p e n d e n t i da lui. E in questo senso riformò il g o v e r n o dell'isola. Tutto questo ebbe le c o n s e g u e n z e che doveva avere. Come tutti i regimi volti u n i c a m e n t e a g a r a n t i r e l'ordine, quello di F e r d i n a n d o mummificò il Mezzogiorno a g g r a v a n d o irr i m e d i a b i l m e n t e il suo r i t a r d o sul S e t t e n t r i o n e e c r e a n d o i p r e s u p p o s t i di un disordine di cui l'Italia n o n ha ancora cessato di p a g a r e il c o n t o . Fu p e r q u e s t o c h e q u a n d o , di lì a dieci a n n i , Garibaldi si p r e s e n t ò col suo s p a r u t o d r a p p e l l o di disperati, tutto l'edificio borbonico a n d ò in frantumi quasi senza resistenza. Chissà se, q u a n d o decise di c o n f e r m a r e la Costituzione, Vittorio E m a n u e l e si rese conto che questo gesto lo differenziava da tutti gli altri Sovrani italiani e faceva a u t o m a t i c a m e n t e del P i e m o n t e il faro e lo Stato-guida della penisola. Ma cert a m e n t e lo c a p i r o n o i suoi consiglieri più avveduti, c o m p r e si quelli che p e r la Costituzione n o n avevano particolari tenerezze. La carta e i a arrischiata p e r c h é in tutta E u r o p a la causa della libertà e della democrazia appariva persa. Oltre che in Italia, la rivoluzione e r a stata sconfitta in U n g h e r i a , in Germ a n i a e a n c h e in Francia, d o v ' e r a sboccata in un I m p e r o basato s o p r a t t u t t o sulle forze conservatrici. S e m b r a v a p r o p r i o u n a ripetizione del '21 che, c o m e il ' 2 1 , n o n lasciasse altra p r o s p e t t i v a che u n l u n g o p e r i o d o d ' i n v o l u z i o n e reazionaria. Invece n o n era affatto così, e cerchiamo di c a p i r n e i m o tivi. Nel '48, di rivoluzioni n o n ce n ' e r a stata u n a sola, ma d u e : quella d'ispirazione b o r g h e s e che m i r a v a alla creazione delle p a t r i e nazionali, e quella d ' i s p i r a z i o n e p r o l e t a r i a 266
che mirava alla formazione di u n a società socialista. Le cinq u e giornate di Milano avevano c h i a r a m e n t e mostrato q u e sti d u e filoni, che C a t t a n e o si e r a i n v a n o sforzato di fonder e . Ma esse avevano d i m o s t r a t o a n c h e u n ' a l t r a cosa: che la c o m p a r s a di u n a forza proletaria r o m p e v a il fronte di quella borghese, g e t t a n d o n e p e r p a u r a u n a p a r t e , e forse la p i ù cospicua, in braccio alle forze a r i s t o c r a t i c h e e d i n a s t i c h e . Q u e s t o n u o v o fronte, d i s p o n e n d o di poteri costituiti, eserciti, b u r o c r a z i e , finanza, e r a p i ù forte di quello rivoluzionario. E p e r c i ò la r e a z i o n e aveva vinto. Ma q u e s t a r e a z i o n e , che nel '21 era stata fatta u n i c a m e n t e dalle forze retrive, o r a era gestita a n c h e , anzi soprattutto, da quelle borghesi, molto p i ù i n t r a p r e n d e n t i , efficienti e a p e r t e . Esse n o n volevano la sovversione, e p e r c i ò d a v a n o u n a m a n o allo s g o m b e r o delle barricate. Ma n o n volevano n e m m e n o il r i t o r n o a un tipo d i società feudalesca, e d e r a n o i n g r a d o d ' i m p e d i r l o , p e r c h é l ' E u r o p a del 1850 era l ' E u r o p a della borghesia capitalista in p i e n o d i r o m p e n t e sviluppo. A n c h e se p e r ragioni di c o m o d o questa si e r a alleata con le forze aristocratiche e dinastiche e con esse divideva il p o t e r e , vi p o r t a v a u n o spirito assai diverso, volto p i ù ad assorbire che a combattere le dissidenze populiste. Il Paese dove meglio lo si vide fu la Francia. C e r t a m e n t e quelle che p e r m i s e r o a Luigi N a p o l e o n e d ' i n s t a u r a r e , sullo scorcio del ' 5 1 , il Secondo I m p e r o , e r a n o forze conservatrici. E p p u r e n o n p o t e r o n o fare u n a politica c o n s e r v a t r i c e p e r c h é i g r a n d i borghesi che ne formavano i q u a d r i n o n int e n d e v a n o r i n u n z i a r e né alle istanze liberali di cui e r a n o i figli né al d i n a m i s m o tipico del loro ceto. I veri p a d r o n i del r e g i m e e r a n o i g r a n d i b a n c h i e r i Rothschild, Laffitte, Talabot, Pereira, i quali n o n si contentavano di conservare i loro capitali; volevano a n c h e moltiplicarli. Fu q u e s t o loro bisog n o di u n a politica estera attiva e i n t r a p r e n d e n t e c h e fornisse occasioni d ' i n v e s t i m e n t i e di speculazioni a spingerli ad a p p o g g i a r e la rinascita di un I m p e r o , che Io stesso n o m e di colui che lo incarnava - N a p o l e o n e - vocava all'espansio267
n i s m o e p e r f i n o a l l ' a v v e n t u r a . D o p o aver m a n d a t o i suoi soldati in aiuto al Papa p e r cattivarsi le simpatie dei cattolici, N a p o l e o n e n o n volle c o n t r o f i r m a r n e la politica reazionaria. N o n poteva. Gliel'impedivano le forze borghesi che lo cond i z i o n a v a n o e che i n t e n d e v a n o assicurare alla Francia un r u o l o di Stato-guida nella conquista borghese dell'Europa. Tutto questo ebbe un riflesso a n c h e sul p i a n o dei r a p p o r ti internazionali, r i b a l t a n d o n e il sistema. Fin allora la reazione aveva trovato il suo puntello nel fronte tripartito Austria-Russia-Prussia. Ma la Prussia n o n p o t è restarvi n o n o stante l'autoritarismo dei suoi Re H o h e n z o l l e r n p e r c h é , facendolo, avrebbe p e r s o il controllo e la guida del movimento unitario tedesco, tutto d'ispirazione liberal-borghese. Deg n o c o n t i n u a t o r e di M e t t e r n i c h , il C a n c e l l i e r e a u s t r i a c o Schwarzenberg riuscì p e r qualche t e m p o a t e n e r cucito il sistema e a farvi p a r t e c i p a r e a n c h e N a p o l e o n e , c o m e aveva d i m o s t r a t o la s p e d i z i o n e francese in aiuto d e l P a p a . Ma, m o r t o lui nel '52, questo r e s i d u o di Santa Alleanza si sfasciò. Rimase d a p p r i n c i p i o l'intesa austro-russa. Essa aveva egreg i a m e n t e funzionato nel '49, q u a n d o lo Zar aveva m a n d a t o il suo esercito a schiacciare la rivolta u n g h e r e s e . Ma o r a i d u e I m p e r i stavano p e r e n t r a r e in collisione nella corsa all ' a c c a p a r r a m e n t o della famosa e r e d i t à t u r c a su cui Balbo aveva fondato le sue speranze. E questo significava la definitiva r o t t u r a d e l f r o n t e r e a z i o n a r i o e il c o n s e g u e n t e isolam e n t o dell'Austria. Ecco i d u e fattori c h e differenziavano la r e s t a u r a z i o n e del '49 da quelle del '21 e del ' 3 1 . Essa o r a n o n aveva altro p u n t e l l o che Radetzky e r a p p r e s e n t a v a u n ' a n o m a l ì a nello sviluppo politico e u r o p e o , s e m p r e più d o m i n a t o da forze liberal-borghesi, fra loro abbastanza solidali e d o v u n q u e tese alla creazione degli Stati nazionali. Tutto ciò n a t u r a l m e n t e i c o n t e m p o r a n e i n o n p o t e v a n o ved e r l o con la chiarezza con cui lo v e d i a m o noi p o s t e r i che, col distacco del t e m p o , abbiamo sotto gli occhi tutto il p a n o 268
r a m a . Ma i p i e m o n t e s i a g i r o n o c o m e se lo v e d e s s e r o . Restando, unico Sovrano italiano, fedele alla Costituzione e affidandosi a g o v e r n i m o d e r a t i , Vittorio E m a n u e l e inserì il P i e m o n t e nella storia d ' E u r o p a , l a d d o v e gli altri Stati ne p e r d e v a n o il passo e si avviavano a diventare dei fossili. O r a il giuoco politico, p e r q u a n t o difficile, diventava abbastanza chiaro. A c o n d u r l o , anche in Italia, e r a n o tre forze finalmente riconoscibili nei loro caratteri: quelle reazionarie, quelle liberal-moderate, e quelle democratico-rivoluzionarie. L e p r i m e d o m i n a v a n o , c o n d a n n a n d o l a all'immobilis m o p e r c h é esse stesse immobilistiche e q u i n d i fuor della storia, tutta la penisola, eccetto il Piemonte. Le seconde, ricche di f e r m e n t i e in p i e n o s v i l u p p o , soltanto in P i e m o n t e e r a n o al p o t e r e e di q u e s t o facevano l'unico Stato italiano agganciato al c a r r o d e l l ' E u r o p a e della sua evoluzione. C'era lotta fra di esse e all'interno di o g n u n a . Ma era a p p u n t o questo il contrassegno della loro vitalità, e fu il fatto di consentire il libero svolgimento di questa dialettica che fece del Piemonte il protagonista del Risorgimento. Vediamo come, p e r quali t a p p e e grazie a quali uomini.
CAPITOLO VENTICINQUESIMO
IL «RE G A L A N T U O M O »
D'Azeglio diceva che il vero Vittorio E m a n u e l e era m o r t o a Firenze b r u c i a t o nella sua culla q u a n d o aveva d u e a n n i , e che colui che ne aveva p r e s o il posto e o r a saliva sul t r o n o era il figlio del macellaio fiorentino Tanaca che, a v e n d o la stessa età del piccolo Principe, gli era stato s e g r e t a m e n t e sostituito. In questa storia da «Trovatore» perfettamente intonata al gusto m e l o d r a m m a t i c o degl'italiani un fondo di vero c'era. Effettivamente q u a n d o Carlo Alberto si trovava con la famiglia in esilio a Firenze, ospite del G r a n d u c a suo suocero, il b a m b i n o aveva corso rischio di m o r i r e nel suo letto involont a r i a m e n t e i n c e n d i a t o dalla n u t r i c e che, p e r salvarlo, a tal p u n t o s i e r a u s t i o n a t a d a m o r i r e poco d o p o . Più t a r d i , a d avvalorare la leggenda, contribuì anche la scarsa somiglianza fra p a d r e e figlio sia nel fisico che nel m o r a l e : l'uno longilineo ed esile, chiuso, malinconico, i n t r o v e r s o , indeciso; l'altro tracagnotto, sanguigno, e s u b e r a n t e e fin t r o p p o sicuro di sé. Ma che si tratti di leggenda, n o n c'è dubbio. E a dim o s t r a r l o , basta u n a l e t t e r a della r e g i n a M a r i a T e r e s a al p r o p r i o p a d r e G r a n d u c a in cui, p a r l a n d o del piccolo Vittorio e della sua vivacità, diceva: «Io n o n so v e r a m e n t e di d o ve sia uscito codesto ragazzo. N o n assomiglia a n e s s u n o di noi, e si direbbe v e n u t o p e r farci d i s p e r a r e tutti quanti»: cosa, c h e se il b a m b i n o n o n fosse stato figlio suo, si s a r e b b e b e n g u a r d a t a dallo scrivere. Si sa poco della giovinezza del futuro Re. Fino alla seconda g u e r r a m o n d i a l e e alla proclamazione della Repubblica, egli è stato oggetto di un culto, che n o n consentiva di fruga273
re negli archivi; e q u a n d o s'è p o t u t o farlo, n o n ci s'è trovato quasi nulla, p e r c h é il meglio ha seguito nell'esilio il suo ultimo successore. S o t t r a e n d o l o alla Storia e i m b a l s a m a n d o l o nel suo mito di «Padre della Patria», n o n gli h a n n o reso un b u o n servigio. Il pietoso velo con cui si sono c o p e r t i i suoi e r r o r i e debolezze serve solo a i n d u r c i nel sospetto ch'essi siano stati più grossi di q u a n t o forse furono. E in ogni caso ha c o n d o t t o a q u é s t o bel risultato: che, dei q u a t t r o g r a n d i artefici del Risorgimento, egli è il più ignoto: la g e n t e lo riconosce solo dai b r u t t i m o n u m e n t i in cui lo h a n n o effigiato. C h e fosse d o t a t o di u n a forte personalità, lo d i m o s t r a il fatto che resistette all'ambiente in cui crebbe e alla p e d a g o gia cui fu sottoposto. L'uno e l'altra s e m b r a v a n o fatti a p p o sta p e r d i s t r u g g e r e in lui freschezza, entusiasmi, gioia di viv e r e . U n p o ' d i t e n e r e z z a l'ebbe solo dalla m a d r e , m a mai da suo p a d r e che n o n ne e r a capace con nessuno, e che caso m a i gli preferiva il fratellino F e r d i n a n d o , di d u e a n n i p i ù giovane. I precettori cui fu dato in custodia e r a n o mediocri p a r r u c c o n i , rigidi e formalisti, scelti soltanto in base al loro zelo p e r il t r o n o e l'altare. L'orario che gl'infliggevano e r a da caserma e da seminario: in piedi - estate e i n v e r n o - alle cinque e mezzo, tre o r e di studio, u n ' o r a di equitazione, altre tre o r e di studio, u n ' o r a p e r la colazione, poi scherma e ginnastica, poi altre tre o r e di studio, mezz'ora p e r il p r a n z o e p e r la visita di etichetta alla m a d r e , altra m e z z ' o r a p e r le p r e g h i e r e . Siccome a un certo p u n t o fu chiaro - e n o n aveva che dieci a n n i - c h e i profitti n o n e r a n o p a r i agli sforzi, C a r l o A l b e r t o lo c o n v o c ò di f r o n t e a un n o t a i o p e r fargli p r e n d e r e i m p e g n o scritto, con t a n t o d i bollo, d i m a g g i o r e applicazione. N o n gli fece m a i u n a carezza. Solo d u e volte al g i o r n o - la mattina e la sera - gli dava la m a n o da baciare dicendo: C'est bon. E p e r saggiarne la maturità, gl'ingiungeva di r i s p o n d e r e p e r iscritto a quesiti di q u e s t o tipo: «Può u n Principe p r e n d e r e p a r t e i n contratti d i c o m p r a - v e n d i t a di cavalli?» A questo tentativo di soffocamento il ragazzo si sottrasse 274
grazie alla sua vitalità fisica e alla sua i n a p p e t e n z a intellettuale. Sui libri ci stava, ma solo p e r finta, e basta v e d e r e gli e r r o r i di g r a m m a t i c a e di sintassi che s e m p r e infiorarono la sua prosa scritta e parlata. Le u n i c h e materie in cui riusciva abbastanza b e n e e r a n o la calligrafia e il r e g o l a m e n t o militar e . Viceversa e r a t a l m e n t e p r i v o d ' o r e c c h i o e allergico a o g n i senso m u s i c a l e , c h e d o v e t t e fare degli s t u d i a p p o s t a p e r i m p a r a r e a d a r e i c o m a n d i p e r c h é s t o n a v a a n c h e in quelli. A undici a n n i , suo p a d r e lo n o m i n ò Duca di Savoia, e a quindici gli d i e d e da leggere e m e d i t a r e i p r o p r i pensieri politici, fra cui c'erano massime c o m e questa: che, in caso di rivoluzione, un Re deve restare « p a d r o n e degli avvenimenti». C o m e d i r e che, p e r vincere la malinconia, basta conservare il b u o n u m o r e . Evasioni, in quella Corte c u p a e conventuale, accudita da gentiluomini che si facevano vanto di n o n aver mai letto un libro, e in cui o g n i gesto e r a r e g o l a t o da un meticoloso rituale, ce n ' e r a n o p o c h e : con tutti, il Duca di Savoia e r a ten u t o a c o m p o r t a r s i da Duca di Savoia. E fu p r o b a b i l m e n t e in r e a z i o n e a q u e s t o tirocinio ch'egli fece in s e g u i t o tanti s t r a p p i all'etichetta. Gli unici intermezzi di gioia glieli p r o curava la stalla, q u a n d o poteva scapparci, e ci scappava ogni volta che poteva p e r a m o r e n o n soltanto dei cavalli, ma anche degli stallieri, coi quali poteva p a r l a r e in dialetto ed essere q u e l c h e e r a : franco, schietto, m a n e s c o , p r e p o t e n t e , grossolano negli scherzi, coraggioso, fanfarone, smanioso di moto d'azione e di aria libera. Precocemente, fu un perfetto cavaliere e un instancabile cacciatore. Q u a n d o gli affidarono il c o m a n d o d ' u n r e p a r t o , toccò il cielo con un dito: n o n solo p e r il c o m a n d o , che r a p p r e s e n t a v a la sua s u p r e m a ambizione, ma a n c h e p e r c h é esso segnava la fine dei t o r m e n t i cui lo avevano sottoposto nell'inutile tentativo di dargli u n a cultura. Delle p l u m b e e , interminabili o r e trascorse a tavolino sotto la ferula di precettori accigliati e ottusi, aveva p r o fittato b e n poco. Ma in c o m p e n s o e r a rimasto i n t e g r o : u n a forza della n a t u r a d i s o r d i n a t a e senza finezze, ma g u i d a t a 275
d a u n istinto sicuro, d a u n b u o n fiuto e d a u n q u a d r a t o b u o n senso. A diciannove a n n i il p a d r e lo e m a n c i p ò ufficialmente con regolare cerimonia (tutto lo era, in quella Corte), ma a questo n o n corrispose nessuna delega di poteri. C o m e in seguito doveva dire Vittorio E m a n u e l e I I I , «in Casa Savoia si reg n a u n o alla volta», e di questa regola Carlo Alberto fu u n o dei più rigidi zelatori. Il giovane Principe fu t e n u t o rigoros a m e n t e estraneo agli affari di Stato: alla vigilia del '48, cioè un a n n o p r i m a del suo avvento al t r o n o , egli scriveva al gen e r a l e D a b o r m i d a : «Sento p a r l a r tanto di g u e r r a , e io n o n so nulla». Nel '42 - aveva v e n t i d u e a n n i -, gli d e t t e r o moglie. I soliti agiografi dicono che si trattò di un m a t r i m o n i o d ' a m o re, e c o m e p r o v a a d d u c o n o il fatto c h e la prescelta fu u n a Principessa di quella dinastia austriaca Asburgo, c o n t r o cui il P i e m o n t e si p r e p a r a v a a s c e n d e r e in c a m p o . In realtà il P i e m o n t e in q u e l m o m e n t o n o n vi si p r e p a r a v a affatto e, d a t o il r e g i m e vigente in Casa Savoia, è a s s o l u t a m e n t e impensabile che il giovane Principe abbia p o t u t o p r e n d e r e di sua testa quella decisione. Forse un p a r e r e gli v e n n e chiesto, ma n i e n t e di p i ù . Figlia d e l l ' a r c i d u c a R a n i e r i , Viceré del L o m b a r d o - V e n e t o , la sposa M a r i a A d e l a i d e e r a p r i m a c u g i n a dello sposo p e r c h é sua m a d r e e r a sorella d i Carlo Alberto. Si trattava d u n q u e d ' u n o di quei m a t r i m o n i dinastici in cui l'amore, q u a n d o c'entra, c'entra p e r accidente, e questo n o n fu il caso: lo d i m o s t r a n o le a v v e n t u r e che Vittorio E m a n u e l e cominciò, o ricominciò a c o r r e r e subito d o p o il m a t r i m o n i o . E r a n trascorsi pochi mesi, che Maria Adelaide lo s o r p r e n d e v a nel giardino di Moncalieri con u n a diva del teatro, L a u r a Bon, ma si g u a r d ò dal farne un d r a m m a . P e r f e t t a m e n t e e d u c a t a al m e s t i e r e di R e g i n a , essa sapeva che la rassegnazione alle infedeltà ne è p a r t e imprescindibile, e le s o p p o r t ò s e m p r e con g a r b o e dignità. Subito d o p o la B o n , che stancò p r e s t o il Re con le sue m e l o d r a m m a t i c h e pose, fu la volta di Rosa Vercellana, «la bella Rosina», u n a 276
florida p o p o l a n a , figlia d ' u n t a m b u r i n o militare, molto m e glio tagliata ai suoi gusti grossolanotti di s e d u t t o r e da pagliaio. Per c o m o d i t à e senza n e s s u n r i g u a r d o alle p i ù elem e n t a r i convenienze, l'alloggiò in u n a casetta d e n t r o il parco del castello di Stupinigi, residenza preferita della Regina, insieme ai figli. Il diplomatico francese Ideviìle racconta c h e u n g i o r n o M a r i a Adelaide n e i n c o n t r ò u n o e l o p r e s e t r a le b r a c c i a col volto i n o n d a t o di l a c r i m e , ma senza d i r nulla. Dalla stessa fonte s a p p i a m o che il Re preferiva la p r o le bastarda a quella legittima e che un giorno indicandola a un cortigiano, gli disse: «Guardate che bei p r o d o t t i si otteng o n o q u a n d o si mescola il nostro s a n g u e a quello del p o p o lo!» A n c h e alla Rosina il Re fu infedele: un p o ' p e r e s u b e r a n z a fisica, un p o ' p e r vanità: delle sue i m p r e s e galanti si vantava con e s e m p l a r e indiscrezione, spesso i n v e n t a n d o l e come faceva con quelle militari. Però le rimase s e m p r e affezionato a n c h e p e r c h é essa, d o n n a semplice, n o n lo i m p o r tunava, gli consentiva di starsene in pantofole e m a n i c h e di camicia al canto del fuoco, e gli p r e p a r a v a con le sue mani i piatti contadini ch'egli prediligeva. Vittorio E m a n u e l e si rifiutò s e m p r e di assaggiarne altri. Ai b a n c h e t t i ufficiali p a r tecipava r a r i s s i m a m e n t e , s e m p r e di pessimo u m o r e , e n o n toccava cibo, m e t t e n d o a disagio tutti i convitati. Nel '59, rimasto vedovo, allogò la Rosina e i figlioli nella t e n u t a della M a n d r i a , la p r o m o s s e Contessa di Mirafiori e, in p u n t o di m o r t e , la sposò. Balbo, allora Presidente del Consiglio, racconta che u n a sera, alla vigilia della g u e r r a del '48, fu fermato p e r s t r a d a da un u o m o i n t a b a r r a t o , e lì p e r lì t e m e t t e un'aggressione. Era Vittorio E m a n u e l e che di nascosto veniva a chiedergli cosa aveva deciso il Re e se a lui sarebbe stato affidato un com a n d o : suo p a d r e n o n gli aveva n e m m e n o c o m u n i c a t o l e sue volontà. Il c o m a n d o gli v e n n e affidato, e il Principe dim o s t r ò di m e r i t a r l o . Egli n o n c o m p ì affatto le «epiche gesta» che gli agiografi gli a c c r e d i t a n o e ch'egli stesso, g r a n fanfarone, si attribuiva. Ma alla testa della sua Divisione si 277
c o m p o r t ò v a l o r o s a m e n t e , a Goito e a Pastrengo caricò con i m p e t o e vigore il nemico e, ferito da u n a pallottola di striscio, n o n se ne fece n e m m e n o accorgere. P r o p r i o in questi episodi si vide la differenza fra lui e suo p a d r e . Anche Carlo Alberto sapeva sfidare il pericolo; ma lo faceva con u n a specie di rassegnata tristezza che, invece d ' i n f o n d e r e coraggio ai soldati, glielo toglieva. Quello di Vittorio E m a n u e l e era, al contrario, spavaldo e contagioso: i suoi ordini, il suo viso, la sua voce incutevano fiducia. Talenti strategici, p e r allora, n o n ebbe m o d o di rivelarne; e q u a n d o il destro più tardi gli se ne offrì, dimostrò che n o n ne possedeva: il meglio di sé lo dava alla testa del reggim e n t o , il r e p a r t o tagliato sulla sua m i s u r a . Tuttavia aveva sulla situazione dell'esercito p i e m o n t e s e idee m o l t o p i ù chiare di suo p a d r e , e lo d i m o s t r a n o certe sue lettere al generale Bava nell'imminenza della ripresa della g u e r r a : «Noi c r e d i a m o di avere un esercito, ma n o n l'abbiamo, e q u a n d o v e r r à il g i o r n o di marciare, n o n m a r c e r a n n o che alcuni rep a r t i p r o n t i a versare il s a n g u e fino all'ultima goccia, ma il grosso si dissolverà p r i m a a n c o r a di v e d e r e il nemico». Ne dava la colpa agli «avvocati», cioè agli u o m i n i politici, e part i c o l a r m e n t e a quelli di estrazione d e m o c r a t i c a : e q u i sbagliava. Ma la realtà la coglieva, ed e r a con la certezza della disfatta che aveva attraversato p e r la seconda volta il Ticino. Cosa pensasse di Chrzanowsky e del suo piano, n o n lo disse p e r c h é n e s s u n o glielo chiese: fino all'ultimo suo p a d r e lo t e n n e e s t r a n e o alle g r a n d i decisioni. Il suo f u r o r e esplose q u a n d o si trovò in mezzo agli austriaci a Vignale, e avrebbe fatto meglio a t r a t t e n e r l o . Ma q u e s t o era l ' u o m o : r u v i d o e impulsivo. Radetzky tuttavia aveva b u o n i motivi p e r d i r e : «Povero ragazzo!» Pochi Re h a n n o mai i n a u g u r a t o il loro R e g n o in condizioni peggiori. C o m e abbiamo già detto, egli n o n ebbe affatto bisogno di difendere la Costituzione p e r c h é il Maresciallo n o n gli chiese di revocarla. Ma in che conto la tenesse, lo d i m o s t r ò dimenticandosi di c o m u n i c a r e l'accaduto al 278
suo Governo. Questo, sebbene n o n distasse che p o c h e diecine di chilometri da Novara, p e r tre giorni i g n o r ò la disfatta, l'abdicazione di Carlo Alberto, l'avvento al t r o n o di suo figlio e la conclusione dell'armistizio. Ai suoi messi fu impedito l'accesso al Q u a r t i e r Generale, e se qualcosa riuscì a sapere fu solo grazie all'indiscrezione di un valletto. Alla fine il Presidente del Consiglio C h i o d o e i suoi ministri m a n d a r o no a Vittorio E m a n u e l e un m e s s a g g i o : «Sire, i sottoscritti sono o r m a i da t r e giorni privi di notizie, e n o n conoscono q u i n d i ufficialmente gli avvenimenti della g u e r r a in questo intervallo... N o n è noto loro in m o d o officiale l'avvenimento al t r o n o di Vostra Maestà e n o n conoscono le Regie Vostre intenzioni...» La risposta la p o r t ò di p e r s o n a il Re, p i o m b a n d o a Torino l ' i n d o m a n i . S a p e v a che vi s a r e b b e stato m a l e accolto: gliel'aveva scritto sua moglie r a c c o m a n d a n d o g l i di venire di notte e di nascosto. Ma Vittorio E m a n u e l e considerò il sotterfugio i n d e g n o di un Re e preferì affrontare l'ostilità della popolazione. La situazione e r a tesa. Nei giorni p r e c e d e n t i , alla C a m e r a che ansiosamente chiedeva informazioni, il min i s t r o d e g l ' I n t e r n i Rattazzi aveva d o v u t o r i s p o n d e r e c h e n o n ne aveva, e questo aveva scatenato la furia dell'opposizione d e m o c r a t i c a . La polemica e r a dilagata sui giornali e nelle piazze, e c'era chi parlava di Repubblica. Il Re accolse le dimissioni che, in seguito al cambio della g u a r d i a sul t r o n o , il g o v e r n o era t e n u t o a p r e s e n t a r e , e diede m a n d a t o di f o r m a r n e u n o n u o v o a un nobile savoiardo d'idee n o t o r i a m e n t e reazionarie, De Launay, r a c c o m a n d a togli i n p u n t o d i p a r t e n z a d a suo p a d r e . N o n c i m a n c a v a che questo p e r attizzare la collera e le diffidenze dei d e m o cratici. Q u a n d o si s e p p e che De L a u n a y si e r a scelto c o m e ministro d e g l ' I n t e r n i il Pinelli, n o n m e n o reazionario di lui, il timore si diffuse che il Re volesse revocare la Costituzione. Q u e s t o timore n o n era del tutto infondato. A un ritorno all'assolutismo, Vittorio E m a n u e l e fu tentato dalla violenza dei democratici che, col loro congenito massimalismo - u n a 279
malattia infantile di cui n o n sono guariti n e a n c h e da vecchi -, c h i e d e v a n o l'impossibile: il r i p u d i o dell'armistizio e la rip r e s a di u n a g u e r r a a oltranza, p e r la quale m a n c a v a n o tutte le condizioni. Ma poi su di lui prevalsero più ragionevoli consigli. I l 2 9 r i u n ì l e d u e C a m e r e , d i fronte a d esse p r o n u n c i ò il g i u r a m e n t o di fedeltà allo Statuto e un b r e v e discorso p r o g r a m m a t i c o , d o p o d i c h é le sciolse i n d i c e n d o n u o ve elezioni, di cui tuttavia n o n fissò la data. E v i d e n t e m e n t e sperava di riuscire nel f r a t t e m p o a risolvere, senza l'imbarazzo dell'opposizione, i d u e p r o b l e m i che p i ù l'angustiavan o : la rivolta di Genova e la pace con l'Austria. Genova era insorta all'indomani di Novara, q u a n d o si sparse la notizia c h e i p i e m o n t e s i l'avevano a b b a n d o n a t a a Radetzky. Ma la voce fu soltanto un p r e t e s t o all'esplosione di a n t i c h i u m o r i r e p u b b l i c a n i e m a l u m o r i municipalisti. D u e ufficiali p i e m o n t e s i f u r o n o uccisi i n u n t u m u l t o . L a G u a r d i a Nazionale costrinse le t r u p p e regie a sloggiare e ne p r e s e in c o n s e g n a i forti p e r p r o v v e d e r e alla difesa della città. L'agitazione toccò il colmo q u a n d o da Torino g i u n s e r o i p r i m i richiami, n o n tanto p e r ciò che dicevano q u a n t o p e r l a f i r m a c h e p o r t a v a n o : D e L a u n a y e r a stato g o v e r n a t o r e militare di G e n o v a e vi aveva lasciato pessimi r i c o r d i . Per acclamazione p o p o l a r e fu istituito un Triumvirato, in cui la f i g u r a d i m a g g i o r e spicco e r a Avezzana. T o r i n o r e a g ì ing i u n g e n d o al g e n e r a l e La M a r m o r a di m a r c i a r e con le sue t r u p p e sulla città e di ristabilirvi l'ordine, a n c h e col cannon e . Il c a n n o n e ci volle p e r c h é Avezzana si rifiutò di a r r e n dersi, e p e r un p o ' si temette che Genova diventasse la Brescia del Piemonte. Poi il fronte i n t e r n o si sfaldò, fu trovato il solito c o m p r o m e s s o e le t r u p p e p o t e r o n o e n t r a r e , ma si abb a n d o n a r o n o a saccheggi e devastazioni che fecero c o r r e r e altro sangue. C o m u n q u e , b e n e o male, quella partita era liquidata. Le trattative di pace, al c o n t r a r i o , intavolate a Milano ai p r i m i di aprile, d o p o d u e settimane e r a n o già rotte. I delegati piemontesi vi si e r a n o presentati con la certezza di tro280
varvi lo stesso spirito di c o m p r e n s i o n e che aveva aleggiato a Vignale. Viceversa quello spirito Vienna lo aveva r i p u d i a t o , r i m p r o v e r a v a a Radetzky di n o n aver p i a n t a t o b a n d i e r a a T o r i n o , e p e r i m p o r r e la m a n i e r a forte aveva m a n d a t o come suo plenipotenziario quel Bruck che abbiamo già incont r a t o nelle trattative di Brescia: un m e r c a n t e triestino che, fatto b a r o n e d a l l ' I m p e r a t o r e , voleva sdebitarsene con lo zelo. I piemontesi, che offrivano un risarcimento di 50 milioni di franchi, se ne videro c h i e d e r e 200, e lasciarono c a d e r e il negoziato. E gli austriaci risposero p r o c e d e n d o all'occupazione di Alessandria. Il contraccolpo a T o r i n o fu violento. N o n p o t e n d o l o alla C a m e r a , o r m a i chiusa, i d e m o c r a t i c i s c a t e n a r o n o u n a r u m o r o s a offensiva sui giornali con la p r o p o s t a di u n a leva in m a s s a e di u n a g u e r r a di p o p o l o a m e z z o di b a n d e p a r t i giane. I n t u t t o q u e s t o n o n c'era g r a n c h é d i serio. M a u n a seria c o n s e g u e n z a ci fu: il Re, che p r o b a b i l m e n t e e r a rientrato a T o r i n o con la f e r m a decisione di t e n e r fede all'imp e g n o p r e s o con Radetzky di p r a t i c a r e , sia p u r e e n t r o i limiti costituzionali, u n a politica conservatrice che tenesse ai m a r g i n i i d e m o c r a t i c i e sviluppasse con l'Austria r a p p o r t i di b u o n vicinato, p r o p r i o dall'irrigidimento austriaco si vide costretto a r i n u n c i a r e a q u e s t o p r o g r a m m a e q u i n d i ad avvicinarsi, se n o n p r o p r i o ai d e m o c r a t i c i , a l m e n o a quei m o d e r a t i che, p u r disposti a molti c o m p r o m e s s i , su d u e cose n o n t r a n s i g e v a n o : sulla C o s t i t u z i o n e e sul p r o g r a m m a nazionale. E p e r costoro, n a t u r a l m e n t e , De Launay n o n era più l'uomo adatto. C o m e successore, il Pinelli indicò Gioberti, che frattanto era stato riassunto in servizio e m a n d a t o in missione speciale a Parigi. Ma Gioberti ne aveva subito approfittato p e r dettare di là la sua politica estera e i m p a r t i r n e lezioni a tutti. Di sua iniziativa, p r o p o s e al g o v e r n o francese di o c c u p a r e Gen o v a p e r c o n t r o b i l a n c i a r e l'occupazione austriaca di Alessandria. Poteva anch'essere u n a b u o n a idea. Ma Gioberti la sostenne sul t o n o di chi n o n è disposto a discuterla: «Io che 281
in politica n o n ho mai sbagliato... Io che vedo molto più lontano di tutti voi...» scriveva nei suoi r a p p o r t i d a n d o sui nervi a tutti, c o m p r e s o il Re. O u e s t i e r a sull'orlo del collasso. «Ho l a v o r a t o n o t t e e giorno - scriveva a La M a r m o r a -, ma se c o n t i n u a così ci lascio la pelle che avrei preferito lasciare sul c a m p o di battaglia.» Per un u o m o c o m e lui, d i g i u n o di esperienza, refrattario al tavolino e senza nessuna p r e p a r a z i o n e politica, quel p r i m o mese d i R e g n o doveva essere stato t r a u m a t i z z a n t e . Petitti di R o r e t o assicura che avrebbe a d d i r i t t u r a abdicato, se il p a d r e gli avesse lasciato di che vivere: «Che Maestà e Maestà - g r i d ò un g i o r n o a un suo subalterno -, mi chiami p u r e Monsù Savoia con u n a moglie e cinque figli da m a n t e nere». Fra le m a n o v r e di corridoio e gl'intrighi di partito, si p e r d e v a . Il g o v e r n o dei suoi sogni e r a n o u n a diecina di Gen e r a l i da t e n e r e sull'attenti e c o m a n d a r e a b a c c h e t t a . Ma ebbe il b u o n senso di sfuggire alla tentazione. Scartato Gioberti, gli s u g g e r i r o n o D'Azeglio, che aveva c o m b a t t u t o nella c a m p a g n a del '48 coi r e p a r t i pontifici di D u r a n d o , era stato ferito abbastanza g r a v e m e n t e a Vicenza, e o r a si trovava in convalescenza alla Spezia. Fu qui che lo r a g g i u n s e r o suo fratello e Pinelli, che gli r e c a v a n o l'offerta del Re. «Ne ho voglia c o m e di b u t t a r m i dal t e r z o piano» scrisse alla moglie, e p e r alcune o r e o p p o s e un netto rifiuto. Se fosse del tutto sincero, forse n o n lo sapeva n e a n c h e lui; ma e r a n o c e r t a m e n t e fondati i motivi che a d d u c e v a : la rip u g n a n z a a fare il c a p r o espiatorio degli e r r o r i altrui e a firm a r e u n a pace u m i l i a n t e . Alla fine si rassegnò, ma sottolin e a n d o che si trattava p r o p r i o di un sacrifìcio e p o n e n d o delle condizioni: p r i m a che p i e m o n t e s e , disse, si sentiva italiano, e c o m e tale i n t e n d e v a c o m p o r t a r s i . La sua designazione sollevò consensi quasi u n a n i m i : con lui, la Costituzione e r a salva e, anche se r i m a n d a t a sine die, la lotta p e r l'indip e n d e n z a nazionale restava il g r a n d e t r a g u a r d o della politica piemontese. Un episodio s o p r a v v e n n e tuttavia a t u r b a r e la distensio282
n e . Il g e n e r a l e R a m o r i n o veniva c o n d o t t o davanti al tribunale di g u e r r a , e sul suo caso l'opinione pubblica si divideva e le passioni si accendevano. Sin d a p p r i n c i p i o fu chiaro che gli alti c o m a n d i i n t e n d e v a n o scaricare tutte le responsabilità della disfatta su di lui, che a l c u n e ne aveva, ma n o n t u t t e . C o m e p o i risultò a d u n a p i ù obbiettiva d i s a m i n a dei fatti, egli n o n a v r e b b e p o t u t o in n e s s u n caso s b a r r a r e il passo a Radetzky, a v r e b b e solo p o t u t o r a l l e n t a r l o , e c o m u n q u e la sua m a n c a t a resistenza n o n e r a stata d e t e r m i n a n t e . Determ i n a n t i e r a n o stati gli e r r o r i e le indecisioni del c o m a n d o s u p r e m o , d o m i n a t o più dalle p r e o c c u p a z i o n i politiche che dall'esigenze strategiche. Ma u n o che pagasse p e r tutti a tutti faceva c o m o d o , e R a m o r i n o aveva i requisiti p e r essere il prescelto. Oltre che u n m e r c e n a r i o m o r a l m e n t e tarato, era a n c h e il «Generale dei democratici», n a t u r a l m e n t e inviso a quelli di carriera, che fecero coro alle accuse c o n t r o di lui. Quella di t r a d i m e n t o fu smontata da Brofferio che lo difese con a p p a s s i o n a t a e l o q u e n z a e forse s a r e b b e riuscito a salvargli la testa, se R a m o r i n o o qualche suo amico n o n avesse fatto c o r r e r e la voce che a spingerlo alla disobbedienza era stato Vittorio E m a n u e l e , d e s i d e r o s o d i u n a disfatta c h e spingesse suo p a d r e all'abdicazione e spianasse a lui la via del t r o n o . Pare impossibile che u n a simile dicerìa avesse attecchito. Ma essa c o m u n q u e metteva il Re nell'impossibilità di c o n c e d e r e la grazia. Il g e n e r a l e fu fucilato il 22 m a g g i o . E in fondo, a n c h e se inflitta p e r un motivo sbagliato, e r a la fine che più gli si addiceva: lo stesso Mazzini gliel'aveva p r o nosticata e auspicata. Per un m o m e n t o si t e m e t t e c h e il Re lo seguisse nella tomba. Da qualche settimana lottava contro u n a broncopolm o n i t e , e i medici d i s p e r a v a n o di salvarlo. D'Azeglio aveva le m a n i nei capelli p e r c h é se g o v e r n a r e col Re era difficile, g o v e r n a r e senza di lui e r a impossibile. Gli austriaci e r a n o ad Alessandria, il negoziato di pace i n t e r r o t t o , le casse dello Stato vuote, e la pubblica o p i n i o n e in subbuglio reclamava n u o v e elezioni. 283
Tuttavia a m e t à giugno, q u a n d o il Re fu dichiarato fuori pericolo, il P r i m o Ministro p o t è recargli b u o n e novità: d u e inviati austriaci si e r a n o p r e s e n t a t i a T o r i n o e a v e v a n o lasciato capire che Vienna era disposta a r i d u r r e le sue p r e t e se di risarcimento da 200 a 75 milioni di franchi. S e n o n c h é o r a a t e m p o r e g g i a r e e r a D'Azeglio che scriveva al suo a m basciatore a Parigi: «La g r a n voglia di pace degli altri deve farla passare a noi». Egli capiva che l'ostinata resistenza di Venezia e la ripresa della rivolta u n g h e r e s e r e n d e v a n o l'avversario impaziente di concludere, e voleva sfruttare questo vantaggio. Solo a m e t à g i u g n o r i m a n d ò i plenipotenziari a Milano, ma le trattative d u r a r o n o a n c o r a un mese e mezzo e n o n si conclusero che il 6 agosto. I p u n t i fondamentali del trattato e r a n o : s g o m b e r o da p a r t e austriaca di tutti i territori occupati, c o m p r e s a Alessandria; ristabilimento dei vecchi confini, risarcimento all'Austria di 75 milioni di franchi. Poco p r i m a la Regina aveva p e r s o n a l m e n t e o t t e n u t o dall'imp e r a t o r e Francesco Giuseppe, suo cugino, la concessione di un'amnistia a tutti i cittadini del Lombardo-Veneto implicati nelle rivolte, m e n o c e n t o c i n q u a n t a p e r s o n e c h e poi Radetzky ridusse a ottantasei. Il Piemonte se l'era cavata abbastanza b e n e , e il g o v e r n o aveva b u o n i a r g o m e n t i p e r difend e r e il p r o p r i o o p e r a t o davanti alla n u o v a C a m e r a . U n o dei p r i m i gesti d e l Re, a p p e n a r i e n t r a t o nelle sue funzioni, era stato d'indire le elezioni p e r il 15 luglio. Cont r a r i a m e n t e alle aspettative l'affluenza alle u r n e fu scarsa: 30 mila su quasi 90 mila iscritti, e i risultati n o n furono quelli che D'Azeglio sperava. Anche se m e n o schiacciante di prima, i democratici conservavano la maggioranza. «S'aprirà la C a m e r a - scriveva il P r i m o Ministro alla moglie - che p a r e piuttosto rossa: se n o n capisce la r a g i o n e , la m a n d e r e m o a casa». Così i n t e r p r e t a v a n o la prassi p a r l a m e n t a r e a n c h e i più strenui paladini della Costituzione, quale D'Azeglio cert a m e n t e era. D o p o il discorso della C o r o n a che i n a u g u r a v a la n u o v a Legislatura, cominciò la discussione sul trattato di pace. E 284
qui si vide subito che l'opposizione, p e r q u a n t o maggioritaria, e r a c o n c o r d e solo in u n a cosa: nel desiderio di evitare il dibattito sulla ratifica in m o d o da lasciarne tutta la r e s p o n sabilità al g o v e r n o . Era u n o sfregio alla Costituzione, di cui i d e m o c r a t i c i a v r e b b e r o d o v u t o essere gli zelatori, p o i c h é l'art. 5 dello Statuto attribuiva al Re il p o t e r e di fare trattati di pace, di alleanza eccetera, ma r i c h i e d e v a l'assenso del P a r l a m e n t o p e r quelli che c o m p o r t a s s e r o modifiche di territorio o o n e r i alle finanze, e quest'ultimo era p r o p r i o il caso del t r a t t a t o di Milano. Ma la C a m e r a lasciò c h e il Re lo rendesse esecutivo nello spazio di quattordici giorni, c h ' e r a la scadenza fissata da u n a delle sue clausole, p e r c h é temeva, a p p r o v a n d o l o , di p a s s a r e p e r complice di ciò ch'essa chiamava «capitolazione»; ma temeva a n c h e , d i s a p p r o v a n d o l o , di a s s u m e r s i la responsabilità di u n a r i p r e s a della g u e r r a , ch'essa stessa sapeva impossibile. Si riservò di discutere più t a r d i i m o d i di p a g a m e n t o d e l l ' i n d e n n i z z o . Ma i n t a n t o il trattato passò. E con esso fu liquidata la più scabrosa di tutte le p e n d e n z e . La pace e r a fatta. Cominciava, p e r il P i e m o n t e e p e r l'Italia, un capitolo nuovo.
CAPITOLO VENTISEIESIMO
I L M I N I S T E R O D'AZEGLIO
«Qui tutto procede con u n a certa sonnolenza. Il Re s'annoia d'essere Re e il Presidente del Consiglio d'essere Presidente del Consiglio» scriveva Borsieri a un amico. Ma n o n era vero. Quella del R e n o n e r a noia, m a soltanto l'impazienza d ' u n u o m o smanioso d'aria aperta, refrattario al lavoro di scrittoio e spaesato nelle m a n o v r e parlamentari. Q u a n t o a D'Azeglio, la noia era u n a maschera cui teneva molto p e r certe sue civetterie d'intellettuale e u o m o di m o n d o costretto a un mestiere che implicava anche procedimenti da mestatore. «Vorrei avere - scriveva alla moglie - un legno verde da u n a m a n o e dall'altra quel birbone che ha inventato la Presidenza del Consiglio.» Ma la verità è che alla Presidenza ci aveva preso gusto, anche se p e r nasconderlo seguitava a frequentare, con un'assiduità che da molti gli veniva r i m p r o v e r a t a , il teatro e più ancora - dicevano - i camerini delle attrici. Le trattative con l'Austria le aveva c o n d o t t e b e n e , con pazienza e fermezza, senza m a i t r a n s i g e r e sui p u n t i fondamentali: «Non f i r m e r ò u n trattato dove l'Austria n o n riconosca il principio della nazionalità italiana, dove n o n vi sia qualche stipulazione in favore dei fratelli lombardi... Finché c o m a n d o io, il Piemonte, piccolo e rovinato com'è, n o n farà certo pazzie, ma voglio che tenga la crestina ritta, come quei galletti che s t a n n o sulla p u n t a del t i m o n e nell'aia, e che il c o n t e g n o e s p r i m a quest'idea: cedo p e r c h é son piccino, ma n o n d o m a n d o p e r d o n o p e r c h é h o ragione». Sia p u r e con l'aiuto delle circostanze internazionali che avevano costretto l'Austria a r i d u r r e le sue pretese e a conc e d e r e l'amnistia, c'era riuscito. Gli aspri giudizi di Gioberti 286
sulla sua incapacità politica e r a n o solo lo sfogo di un'ambizione d e l u s a e r a n c o r o s a . Gli r i m p r o v e r a v a di n o n a v e r e i d e e a u d a c i e g r a n d i o s e , ed e r a v e r o . Ma lui, c o n le sue g r a n d i o s e e audaci idee, n o n aveva conosciuto che fiaschi; m e n t r e D'Azeglio realizzava il suo p r o g r a m m a , che n o n era poi tanto m o d e s t o . Voleva restare in E u r o p a , cioè avvicinare s e m p r e p i ù il P i e m o n t e all'Occidente liberale, e q u e s t o n o n r i c h i e d e v a soltanto u n a n o t e v o l e abilità d i p l o m a t i c a . R i c h i e d e v a a n c h e u n a fedeltà alle istituzioni, che u n p o ' l'opposizione d e m o c r a t i c a col suo massimalismo, un p o ' il soldatesco autoritarismo del Re, un p o ' lo scarso allenamento della classe dirigente m o d e r a t a alla battaglia p a r l a m e n t a re e alle sue insidie, r e n d e v a n o piuttosto a r d u a . La discussione sul t r a t t a t o di p a c e aveva m e s s o a d u r a p r o v a i n e r v i di D'Azeglio che si a s p e t t a v a l ' u n a n i m i t à , o quasi, dei consensi. Quella C a m e r a che n o n osava né ratificare né r e s p i n g e r e il testo, ma lo p r e n d e v a a bersaglio di critiche senza c o s t r u t t o e a p r e t e s t o di d e m a g o g i a patriott a r d a , lo m e t t e v a in grosso i m b a r a z z o n e i c o n f r o n t i della vecchia g u a r d i a reazionaria, che n o n vedeva l'ora di liquid a r e il r e g i m e r a p p r e s e n t a t i v o . A n c h e alcuni m o d e r a t i com i n c i a v a n o a c o n d i v i d e r e q u e s t a tesi. «Bisogna - scriveva Farini a D'Azeglio - sciogliere subito codesta C a m e r a di pazzi e p r e p a r a r e loro la camiciola di forza se, disciolti, vogliono t u m u l t u a r e . E bisogna poi c h i u d e r e circoli, infrenare la s t a m p a e r i f o r m a r e la legge elettorale.» Il grosso pericolo era che queste opinioni prevalessero sull'animo del Re, che già di suo vi e r a p r e d i s p o s t o . A sentire D'Azeglio, egli n o n a c c e n n ò mai ad atti di forza. «E leale e franco - scriveva a Salvagnoli -, ha gusto a fare il Re come io a fare il ministro, e n o n ha affatto il dispotismo nel sangue.» Ma l'ambasciatore austriaco Apponyi e il belga Desmaisières, i quali avevano con lui u n a c e r t a dimestichezza, riferivano che Vittorio E m a n u e l e , q u a n d o si parlava di C a m e r a e di democratici, diventava rosso di stizza e manifestava l'intenzione di «cacciare a p e d a t e questo b r a n c o di canaglie». 287
D'Azeglio n o n si lasciava i n g a n n a r e da q u e s t o l i n g u a g gio. Sapeva che il Re a m a v a le parole grosse: u n a volta anc h e a lui aveva d e t t o c h e i l o r o r a p p o r t i d o v e v a n o e s s e r e quelli che c o r r e v a n o fra il Sultano e il G r a n Visir, ma n o n e r a n o c h e f a n f a r o n a t e . P e r ò sapeva a n c h e c h e l a R e g i n a era, da b u o n a austriaca, reazionaria, che reazionario era tutto l'ambiente di Corte, e che se si fosse arrivati a u n a crisi il n u o v o capo del g o v e r n o sarebbe stato Sallier de la Tour, un vecchio arnese dell'assolutismo. Era questo che il P r i m o Ministro cercava di far capire all'opposizione democratica e che questa n o n voleva c a p i r e . Per addolcirla, le sacrificò il ministro degl'interni Pinelli, ma n o n bastò. Tentò un accordo sotto b a n c o con gli avversali p i ù ragionevoli c o m e Rattazzi e Lanza, ma n o n riuscì. N o n restava d u n q u e che sciogliere la C a m e r a , ma - si affrettò ad a g g i u n g e r e - p e r elegg e r n e subito u n a nuova. E il Re, a n c h e se in cuor suo forse avrebbe preferito n o n a v e r n e più n e s s u n a fra i piedi, seguì il suo consiglio. D'Azeglio n o n si stancava di ripetergli che se agli occhi di chi la g u a r d a v a da vicino la C a m e r a offriva u n o spettacolo mortificante, p e r tutti gli altri italiani che la v e d e v a n o di l o n t a n o essa r a p p r e s e n t a v a il simbolo e il d o c u m e n t o d i u n r e g i m e libero e m o d e r n o , c h e faceva d e l P i e m o n t e lo Stato m o d e l l o della penisola. C h e e r a la p u r a verità. Il giuoco tuttavia p r e s e n t a v a i suoi rischi. Se l'elettorato avesse ribadito il responso di luglio e confermato u n a magg i o r a n z a d e m o c r a t i c a , difficilmente il Re a v r e b b e resistito alla tentazione di liquidare il regime. Bisognava d u n q u e far di tutto p e r mobilitare la pubblica opinione, e di tutto fu fatto. Senza molto r i g u a r d o dei p r o p r i limiti costituzionali, il Re i n t e r v e n n e di p e r s o n a nella c a m p a g n a elettorale col famoso «proclama di Moncalieri» in cui accusava i democratici di «aver mosso u n a g u e r r a fuor di r a g i o n e a quella politica che i miei Ministri lealmente seguivano e che e r a la sola possibile»; r i m p r o v e r a v a ai cittadini il loro assenteismo, e li a m m o n i v a che, senza il loro aiuto, n o n avrebbe p o t u t o man288
t e n e r e le istituzioni. L'intervento era pesante, e Lanza aveva b u o n e ragioni di d i r e che violava lo Statuto. Ma r a g g i u n s e l'effetto. Alle u r n e stavolta a n d a r o n o in 80 mila, che m a n d a r o n o alla C a m e r a u n a m a g g i o r a n z a m o d e r a t a d i funzionari, ufficiali e preti. «Iddio ci ha voluto aiutare» scrisse D'Azeglio a un'amica. Ma in realtà I d d i o c'entrava molto m e n o delle massicce pressioni esercitate sul c o r p o elettorale. Tutti gl'impiegati e r a n o stati p r e c e t t a t i con minaccia di destituzione se avessero disertato o votato «male». Lo riconosceva, c o n un c e r t o c a n d o r e , lo stesso D'Azeglio: «Agl'impiegati l'abbiam cantata chiara, e a vari eseguita chiarissima: li abbiamo destituiti». Ma forse, d a t o il costume politico di quei tempi, di a n o r m a l e e scandaloso c'era solo questa sua franchezza. D o p o la c o n c l u s i o n e della p a c e c o n l'Austria l'avvento della n u o v a C a m e r a segnava la definitiva r o t t u r a col passato. E a r e n d e r l a ancora più evidente, ai p r i m i d ' o t t o b r e c'era stato il solenne addio di Torino a colui che di quel passato e r a l'incarnazione: Carlo Alberto. Uscito quella notte da N o v a r a e d o p o esser d u e volte cad u t o nelle m a n i degli austriaci, aveva i m p i e g a t o quasi u n mese p e r a r r i v a r e in incognito e senza scorta alla sua mèta. A Tolosa l'aveva r a g g i u n t o u n a delegazione p i e m o n t e s e p e r fargli firmare l'atto di abdicazione che si e r a dimenticato di lasciare. E l'ultima t a p p a aveva dovuto, p e r il pessimo stato delle strade spagnole, batterla a cavallo. A O p o r t o era giunto t a l m e n t e s t r e m a t o che, p r e s o alloggio in un alberghetto d i p e s c a t o r i , a v e v a n o d o v u t o sistemargli u n letto a l p i a n o t e r r e n o p e r c h é n o n aveva la forza di salire le scale. Poi si e r a trasferito in u n a piccola villa ma proibì alla moglie e alla mad r e di r a g g i u n g e r l o . N o n aveva mai ricambiato il loro affetto: ne era incapace. L'unico che avrebbe voluto r i v e d e r e era il s e c o n d o g e n i t o F e r d i n a n d o , ma n o n fece in t e m p o . U n a commissione della C a m e r a e u n a del Senato di Torino venn e r o a rendergli omaggio. Le ricevette da Re, m a s c h e r a n d o con un s u p r e m o sforzo di volontà la spossatezza e le soffe289
r e n z e di cui e r a p r e d a . Il s u o vecchio a m i c o C o l l e g n o gli chiese di restargli vicino. N o n volle. T r a s c o r s e gli u l t i m i g i o r n i a p r e g a r e , a g u a r d a r e l ' o n d a l u n g a dell'Atlantico frangersi sulla spiaggia, forse a r i p e n s a r e i suoi v e n t ' a n n i di r e g n o , i sogni di gloria, la crociata fallita. Morì, solo, il 28 luglio. E se con quel triste esilio si era p r o p o s t o di riscattare i p r o p r i e r r o r i e di rialzare il prestigio della dinastia, c'era p e r f e t t a m e n t e riuscito. Q u a n d o il suo feretro arrivò a Torin o , la l e g g e n d a si e r a già i m p a d r o n i t a del p e r s o n a g g i o , trasfigurandolo nel m a r t i r e della Causa nazionale. Un i m m e n so corteo di p o p o l o seguì la sua bara, e anche i suoi più accaniti detrattori condivisero la generale commozione. Forse l'unico che n o n vi partecipò fu Vittorio E m a n u e l e , che n o n ebbe p e r lui p a r o l e di affetto e n e m m e n o di pietà. La n u o v a C a m e r a d i m o s t r ò subito a D'Azeglio c h e , se la m a g g i o r a n z a democratica e r a scomoda, quella conservatrice e r a pericolosa. In essa, a c c a n t o ai m o d e r a t i di sincera ispirazione liberale, s'erano insinuati altri elementi che nel p a r l a m e n t o v e d e v a n o n o n il p u n t e l l o del r e g i m e , ma il n e mico da c o m b a t t e r e e d i s a r m a r e . Costoro e r a n o disponibili ad intese sotto banco con la pattuglia reazionaria, al r e g i m e d i c h i a r a t a m e n t e avversa, a n c h e p e r c h é questa intesa avrebbe trovato larghi a p p o g g i nel Senato, nell'esercito, nella b u rocrazia, nella diplomazia, nella m a g i s t r a t u r a e - q u e l che e r a p e g g i o - n e l l ' a m b i e n t e di C o r t e c h e esercitava u n a diretta influenza sul Re. F u forse p e r p r e v e n i r e q u e s t o pericolo che u n n u o v o d e p u t a t o di n o m e C a v o u r s u g g e r ì a D'Azeglio di m e t t e r e in cantiere la riforma della legislazione ecclesiastica, su cui era p r e v e d i b i l e c h e i r e a z i o n a r i si s a r e b b e r o trovati isolati. E così fu. S f r u t t a n d o la d e v o z i o n e di C a r l o A l b e r t o , Solaro della M a r g a r i t a aveva r e g o l a t o i r a p p o r t i c o n la Chiesa in m o d o tale da fare del clero p i e m o n t e s e il p i ù p o t e n t e d'Italia d o p o quello dello Stato pontificio. Esso aveva a n c o r a i suoi tribunali in c o n c o r r e n z a con quelli dello Stato e p o t e 290
va c o n c e d e r e diritto d'asilo ai delinquenti. Ai p r i m i del '48 i Gesuiti che, c o m e al solito, avevano abusato di questi privilegi, furono cacciati a furor di p o p o l o , e a R o m a la Curia, in p r e d a alla g r a n v e n t a t a liberale, si e r a dichiarata disposta a r i v e d e r e l'accordo. Poi e r a s o p r a g g i u n t a l'allocuzione del 29 aprile, la fuga del P a p a a Gaeta, e tutto e r a rimasto c o m e p r i m a : con un P i e m o n t e che, p o n e n d o s i a c a m p i o n e di p r o g r e s s o civile e di spirito laico m o d e r n o , si trovava par a d o s s a l m e n t e soggetto, in c a m p o ecclesiastico, alla legislazione p i ù arcaica. Alla fine del '49 un alto magistrato, Siccardi, fu m a n d a t o da D'Azeglio a R o m a p e r c h i e d e r e l'allontanamento dell'Arcivescovo di T o r i n o , F r a n s o n i , e i n t a v o l a r e un n e g o z i a t o . Più t a r d i la C u r i a disse c h ' e r a stato lui stesso a farlo fallire con la sua intransigenza. Ma si t r a t t a di u n a sfacciata m e n zogna. A Siccardi fu di proposito d a t o c o m e interlocutore il p r e l a t o più retrivo, intransigente e scostante, Caterini, e Siccardi capì benissimo che l'ostacolo, insormontabile, n o n era nelle questioni da risolvere, ma nella r i p u g n a n z a del Papa a t r a t t a r e con u n r e g i m e costituzionale: l o r i c o n o b b e a n c h e Gioberti nel suo giornale. Al r i t o r n o , s e m p r e su consiglio di Cavour, D'Azeglio n o m i n ò Siccardi ministro della Giustizia, e gli commissionò un d i s e g n o di legge, anzi di t r e leggi, c h e alla fine di febbraio fu p r e s e n t a t o in p a r l a m e n t o , e lì si vide q u a n t o giusto fosse stato il calcolo politico del suggeritore. Esse furono combattute da Revel e dagli altri reazionari. Ma n e s s u n m o d e r a t o - salvo il Balbo - si sentì di avversare u n a riforma che aboliva odiosi privilegi come il foro ecclesiastico e il diritto d'asilo, riduceva le feste religiose che la Chiesa seguitava a inflazionare con grave d a n n o dell'economia, e assegnava precisi limiti alle eredità e ai donativi in favore degli enti morali, sia laici che ecclesiastici. Avallate da un m e m o r a b i l e discorso di Cavour, le leggi f u r o n o a p p r o v a t e con 130 voti c o n t r o 26. Era u n a m a g g i o r a n z a formata da democratici e m o d e r a t i fin a l m e n t e concordi, che isolava i reazionari. 291
La Curia r o m a n a , invece di processare m o n s i g n o r Caterini che, bloccando la trattativa, aveva i n d o t t o il Piemonte a fare da sé, tentò un'obliqua m a n o v r a , che dimostrava la sua congenita i n c o m p r e n s i o n e dei princìpi sui quali si fonda un r e g i m e laico costituzionale. Incaricò l'arcivescovo C h a r v a z d i a g i r e d i r e t t a m e n t e sul Re, p r o f i t t a n d o d e l fatto c h e n e e r a stato il precettore. Il Re, che a Charvaz e r a affezionato e n o n voleva m a n c a r g l i d i r i g u a r d o , fece p r o b a b i l m e n t e u n p o ' di d o p p i o giuoco. Propose a D'Azeglio d'indire u n a riun i o n e d i g a b i n e t t o col p r e l a t o , c o m e questi c h i e d e v a . M a q u a n d o D'Azeglio rispose c h e il g a b i n e t t o , p i u t t o s t o che t r a t t a r e c o n lui, avrebbe d a t o le dimissioni, allargò le braccia e disse all'Arcivescovo che lo Statuto n o n gli consentiva d'insistere. Perché, q u a n d o gli faceva c o m o d o , dello Statuto e r a u n o scrupoloso osservante, e in quel caso glielo faceva p e r c h é Vittorio E m a n u e l e a n d a v a a messa tutte le d o m e n i che; ma, a differenza di suo p a d r e , diffidava dei preti e n o n tollerava le loro interferenze. Firmò le leggi il giorno stesso in cui a n c h e il S e n a t o le a p p r o v ò , e D'Azeglio scriveva: « H a n n o fatto fuoco sott'acqua, tutto il p a r t i t o assolutista di d a m e e cavalieri fossili, vescovi, cortigiani ecc. p e r decidere il Re a g u a d a g n a r s i il Paradiso m a n d a n d o al diavolo noi e lo Statuto». N o n e r a finita, n a t u r a l m e n t e . Vecchio patrizio genovese, l'arcivescovo Fransoni, che alla tracotanza nobilesca e all'intransigenza pretesca accoppiava u n a testa - diceva Bersezio «strettina strettina», e che nel '48, p e r protesta c o n t r o la Costituzione, aveva a b b a n d o n a t o la sede a n d a n d o a fare il fuoruscito a Ginevra, e m a n ò u n a circolare in cui proibiva ai sacerdoti della sua diocesi di c o m p a r i r e , senza suo p e r m e s s o , davanti ai tribunali civili. E la Magistratura, senza tanti complimenti, Io fece a r r e s t a r e e lo c o n d a n n ò a un mese di prigione p e r istigazione alla ribellione. Da R o m a , il C a r d i n a l e di Stato Antonelli minacciò la scomunica, u n ' a r m a che ancora a q u e i t e m p i tutti i g o v e r n i p a v e n t a v a n o . E infatti in quello di T o r i n o ci f u r o n o dei t e n t e n n a m e n t i c h e forse 292
a v r e b b e r o c o n d o t t o a u n a crisi, se n o n fosse s o p r a v v e n u t o un clamoroso episodio che ricreò il fronte anticlericale n o n solo in p a r l a m e n t o , ma in tutto il Paese. In p u n t o di m o r t e , il ministro dell'Agricoltura Santarosa chiamò il confessore che gli n e g ò l'assoluzione se p r i m a n o n ritrattava il consenso dato alle leggi Siccardi. La scena fu riferita da Cavour sul suo giornale: «L'infermo, sfinito di forze, d o p o aver scongiurato invano p e r o t t e n e r e i sacramenti e d o p o essersi sentito r i p e t e r e l'ultima minaccia del rifiuto di sepoltura, volgendosi alla moglie e agli astanti che, piangenti, lo circondavano e p o r t a n d o le m a n i t r e m a n t i al capo, esclamò: "Ah, Dio s a n t o , mi d o m a n d a n o cose alle quali la mia coscienza n o n p u ò piegarsi! H o q u a t t r o f i g l i : essi n o n a v r a n n o dal p a d r e u n n o m e disonorato"». E p i ù t a r d i Cav o u r a g g i u n s e che, l u n g i dall'aver esagerato, aveva taciuto alcuni particolari p e r n o n r e n d e r e «vieppiù odioso» il confessore. L'infame ricatto sollevò u n ' o n d a t a d'indignazione. Ci volle il ricorso alla forza pubblica p e r s o t t r a r r e F r a n s o n i alla furia p o p o l a r e . E forse fu a n c h e p e r g a r a n t i r n e l'incolumità che la Magistratura lo fece di n u o v o a r r e s t a r e e poi lo b a n d ì dal R e g n o . Il Re se ne felicitò a p e r t a m e n t e . E il g o v e r n o rispose ai fulmini di Antonelli m i n a c c i a n d o la pubblicazione d i alcuni d o c u m e n t i segreti, d a cui risultava u n c o m p l o t t o ordito da Fransoni con Vienna p e r abbattere in P i e m o n t e il r e g i m e costituzionale. N o n si è mai s a p u t o se questi docum e n t i esistessero d a v v e r o . Ma qualcosa ci d o v e v a essere p e r c h é la reazione di Antonelli si a m m o r b i d ì sebbene il m e d e s i m o castigo si abbattesse subito d o p o a n c h e sull'arcivescovo di Cagliari. D'Azeglio aveva condotto quella battaglia con molto senso della m i s u r a . E r a riuscito a c o n v e r t i r e alla p r o p r i a tesi anche il g o v e r n o francese che, sollecitato dal Papa, ne aveva p r e s o d a p p r i m a le p a r t i . Ma il successo n o n gli aveva d a t o alla testa. C o n v i n t o c h e u n a c c o r d o con R o m a bisognasse tuttavia trovarlo, ci aveva m a n d a t o Pinelli. Ma q u a n d o sep293
pe c h e a n c h e lui aveva i n c o n t r a t o la stessa accoglienza di Siccardi, lo richiamò p e r d i m o s t r a r e che all'accordo n o n int e n d e v a sacrificare la d i g n i t à d e l P i e m o n t e . E p p u r e , l'impressione generale e r a ch'egli avesse fatto il suo t e m p o . Ness u n o gli c o n t e s t a v a il m e r i t o di a v e r l i q u i d a t o le passività della sconfitta e di aver i m p e g n a t o in questa i m p r e s a e n e r gia e c o r a g g i o a s s u m e n d o s i gravi r e s p o n s a b i l i t à e p e r s e g u e n d o i suoi fini con puntigliosa tenacia. Ma dicevano che tutta la sua carica l'aveva sfogata in quei p r i m i mesi di lotta, o r a n o n ne aveva p i ù , e un p o ' di v e r o c'era. E t e r n o dilett a n t e - sia p u r a nel senso p i ù alto e nobile della p a r o l a -, D'Azeglio aveva p o r t a t o nella politica lo stesso p a s s e g g e r o entusiasmo che metteva nella sua p i t t u r a e nella sua letterat u r a , g r e m i t e di «incompiute». F i n c h é la politica e r a stata lotta, l'amor p r o p r i o , l'orgoglio, il senso del d o v e r e lo avev a n o s o s t e n u t o . Ma o r a c h e si avviava a d i v e n t a r routine, questi p r o p e l l e n t i lo a b b a n d o n a v a n o , e l'indolenza r i p r e n d e v a in lui il s o p r a v v e n t o . «Il mio c a r a t t e r e - scriveva egli stesso al fratello - è di n o n p e r d e r e il s o n n o p e r le cose che n o n posso i m p e d i r e . Se n o n se la p r e n d e il Signore, che è il p a d r o n e , me n'avrei a p r e n d e r e io?» Infatti se la p r e n d e v a così p o c o c h e - s t a n d o a q u e l c h e riferisce sua c o g n a t a molto spesso, in Consiglio dei Ministri, si rifiutava di r e n d e r r a g i o n e d i c e r t e m i s u r e p e r c h é i g n o r a v a c h e fossero state p r e s e . Aveva p r e f e r i t o a n d a r s e n e a t e a t r o o nello s t u d i o d ' u n pittore. Finché l'accusa d'inerzia gli veniva dagli avversari, poco male. Ma un giorno, sia p u r e con molto garbo, gliela mosse un u o m o della sua stessa p a r t e m o d e r a t a , che fin allora lo aveva s e m p r e secondato: Cavour. In un abilissimo discorso alla C a m e r a , egli difese il g o v e r n o d i c e n d o c h ' e r a stato scrup o l o s a m e n t e fedele allo S t a t u t o , m a r i m p r o v e r a n d o g l i d i n o n avergli d a t o sostanza con u n a coraggiosa o p e r a riform a t r i c e . D'Azeglio replicò, m a d e b o l m e n t e , u n p o ' p e r c h é c o m e o r a t o r e valeva m e n o dell'avversario - che valeva moltissimo -, un p o ' p e r c h é e r a a corto di a r g o m e n t i . E allora 294
cercò di sbarazzarsi di lui con u n a m a n o v r e t t a suggeritagli da La M a r m o r a : c h i a m a n d o l o nel Ministero al posto di Santarosa. A fare resistenza fu il Re, che di Cavour sapeva poco, ma quel p o c o gli bastava p e r diffidarne, e disse a D'Azeglio di p r o p o r g l i «un n o m e p i ù simpatico». Dovette intervenire La M a r m o r a , che del Re godeva la fiducia e ne r i p o n e v a moltissima in Cavour. E il Re alla fine si a r r e s e , ma b r o n t o l a n d o : «Ca guarda, General, che cól lì aj butarà tuti con't le congie a'nt l'aria, g u a r d i G e n e r a l e , che quello lì li b u t t e r à tutti con le g a m b e all'aria». Così dice Chiala. Ma s e c o n d o F e r d i n a n do Martini dalla cui bocca l'ho raccolta, e che a sua volta diceva di averla raccolta dalla bocca di Minghetti, l'espressione fu a n c o r a p i ù incisiva e pittoresca: «E va bin, coma ch'a veulo lor. Ma ch'a stago sicur che col lì an poch temp an lo fica an't el prònio a tuti, e va b e n e , c o m e vogliono loro. Ma stiano sicuri che quello lì in poco t e m p o lo m e t t e nel c. a tutti». U n a versione che somiglia di più al personaggio e al suo vocabolario, m a che d e n o t a a n c h e u n c e r t o f i u t o degli u o mini.
CAPITOLO VENTISETTESIMO
CAVOUR
Cavour era nato nel 1810 a Torino da u n a tipica famiglia di quella nobiltà p i e m o n t e s e , che integrava le r e n d i t e t e r r i e r e col servizio di Stato. Il p a t r i m o n i o di famiglia versava in pessime condizioni, q u a n d o la sua amministrazione fu assunta da Filippina de Sales, n o n n a di Camillo: u n a savoiarda discendente dal famoso Santo, ma p e r nulla bigotta, anzi allevata alla scuola del migliore e p i ù s p r e g i u d i c a t o I l l u m i n i smo francese, e dotata di molto senso pratico. Il figlio Michele, che da lei aveva ereditato il culto dell'efficienza e il genio degli affari, era ufficiale q u a n d o Napoleone o c c u p ò il P i e m o n t e e ne i n c o r p o r ò l'esercito in quello francese. Alcuni agiografi dicono che Michele accettò di servire il n u o v o p a d r o n e controvoglia e solo su o r d i n e del suo Re, Carlo E m a n u e l e , che cercava d'ingraziarsi il vincitore; combatté c o n t r o gli austriaci sotto quel vessillo straniero; e fu ferito a Verona. Ma lo storico Rosario R o m e o , cui si d e vono gli studi più approfonditi su Cavour e la sua famiglia, fornisce degli avvenimenti un'altra versione. Michele effettivamente militò sotto N a p o l e o n e , ma ferite n o n ne riportò; e q u a n d o il Piemonte fu definitivamente annesso alla Francia, preferì e m i g r a r e con un suo zio p r i m a a Firenze, e poi a Ginevra. Al n u o v o r e g i m e era avverso n o n p e r c h é straniero, ma p e r c h é democratico, e q u i n d i sovvertitore del vecchio o r d i n e su cui l'aristocrazia basava i suoi privilegi. T a n t ' è v e r o che q u a n d o , salito sul t r o n o i m p e l l a l e , N a p o l e o n e gl'impresse u n a svolta conservatrice richiamando i nobili ai loro posti di c o m a n d o , Michele s'affrettò a torn a r e e a r i p r e n d e r e quello suo. Egli fu u n o di q u e i tenaci 296
sostenitori dell'antico r e g i m e assolutistico che a c c e t t a r o n o la r e a l t à del n u o v o m o n d o b o r g h e s e , vi s ' i n s e r i r o n o e ne profittarono largamente. S'iscrisse alla Massoneria, che r a p presentava u n o dei maggiori pilastri del «sistema»; fu in prima fila fra coloro che resero omaggio a N a p o l e o n e q u a n d o questi, nel 1805, v e n n e in visita a Torino. E di queste m a n i festazioni collaborazionistiche fu c o m p e n s a t o col titolo di «Barone d e l l ' I m p e r o » e con la concessione di molti favori, fra cui un grosso prestito che gli consentì di affittare la g r a n de t e n u t a della M a n d r i a p e r istallarvi un allevamento di merinos, le p e c o r e australiane che p r o d u c e v a n o la lana più p r e giata. Poco p r i m a s i e r a sposato c o n u n a r a g a z z a d i G i n e v r a , conosciuta al t e m p o del suo esilio in quella città: Adele de Sellon. E i motivi di quella scelta li spiegò in u n a lettera allo zio, sincera fino al cinismo: di Adele n o n e r a affatto i n n a m o r a t o , diceva, ma gli facevano gola i soldi e le «aderenze» dei Sellon, u n a famiglia calvinista di origine francese, da p o co nobilitata, e q u i n d i snob c o m e tutte quelle di fresco blasone, ma ricchissima e i m p a r e n t a t a con le più forti dinastie della finanza svizzera. Ma, aggiungeva, oltre a quella d e p o sitata in banca, Adele aveva a n c h e altre doti: u n a m o r a l e rigorosa e un alto senso del d o v e r e , cioè quelle virtù tipicam e n t e b o r g h e s i che la vecchia aristocrazia aveva p e r s o da un pezzo. Essa fornì al m a r i t o vaste «aperture» nel m o n d o degli affari, e d u e figli: Gustavo e Camillo. La R e s t a u r a z i o n e fu, p e r Michele, u n a catastrofe. Per il suo collaborazionismo coi francesi la polizia lo aveva sched a t o c o m e «giacobino», la C o r t e lo t e n e v a a distanza, e la concessione della M a n d r i a gli v e n n e revocata. «Ma - scriveva sua sorella con realistico b u o n senso - bisogna attaccarsi a quel che c'è, visto che c'è, m e n t r e il resto n o n c'è più.» E fu con a l t r e t t a n t o realismo che Michele iniziò la m a r c i a di riavvicinamento al n u o v o regime, ch'era poi quello vecchio. Riuscì a c a t t u r a r e l'amicizia di Carlo Alberto che n o n poteva serbar r a n c o r e a chi aveva servito N a p o l e o n e p e r c h é da ra297
gazzo lo aveva fatto anche lui, ed ebbe l'accortezza di restargli fedele a n c h e nel l u n g o d e c e n n i o della disgrazia, d o p o i moti d e l ' 2 1 . Q u a n d o il Principe t o r n ò a Torino, r e i n t e g r a t o nei suoi diritti alla successione, l'ostracismo politico pesava a n c o r a su Michele, ma la sua posizione economica si era riassestata, grazie anche ai d e n a r i della moglie e alle sue relazioni. Aveva acquistato la g r a n d e t e n u t a di Leri e ne aveva fatto u n a fattoria-modello, su cui aveva a n c h e scritto u n a monografìa. C o n l'aiuto delle b a n c h e svizzere aveva c o n d o t t o i n p o r t o q u a l c h e b u o n a s p e c u l a z i o n e , e aveva s t r e t t o r e l a z i o n e col g r u p p o d e g l ' i m p r e n d i t o r i l o m b a r d i capeggiato da Confalonieri e P o r r o - L a m b e r t e n g h i . Ma a vere e p r o p r i e iniziative industriali era rimasto e s t r a n e o : le considerava p r e m a t u r e in un Paese così a r r e t r a t o . Ed era p r o p r i o questo a differenziarlo dal figlio, il quale invece pensava che il Paese e r a arretrato a p p u n t o p e r c h é n o n vi fiorivano iniziative industriali, di cui v o r r à d a r e egli stesso l'esempio. Q u e s t o f i g l i o n o n lasciava, p e r i l m o m e n t o , p r e s a g i r e nulla di b u o n o . Lo a v e v a n o c h i a m a t o Camillo in o n o r e di Camillo B o r g h e s e , il m a r i t o di Paolina B o n a p a r t e , c h e lo aveva t e n u t o a battesimo, e che le male lingue gli attribuivan o c o m e p a d r e n a t u r a l e (ma n o n e r a che u n a diceria n o n suffragata da n e s s u n e l e m e n t o , e anzi smentita dall'austera m o r a l e di Adele). Tutte le speranze della famiglia e r a n o investite in Gustavo, un p o ' p e r c h é e r a il p r i m o g e n i t o , un po' p e r c h é passava p e r un genio. Studioso e diligente, i professori lo consideravano «promettentissimo», e tale sarebbe rimasto, senza m a n t e n e r e , p e r tutta la sua vita di m e d i o c r e filosofo, postillatore e c o m m e n t a t o r e di Rosmini. Camillo invece era ribelle a tutto, c o m p r e s o l'alfabeto. E fu p e r questo che a dieci a n n i lo r i n c h i u s e r o all'Accademia Militare, che a n c h e allora veniva considerata il rifugio dei somari. Il ragazzo fu subito in g u e r r a col r e g o l a m e n t o di disciplina e d i v e n t ò un ospite a b i t u a l e della c o s i d d e t t a « s q u a d r a franca», costretta p e r castigo a passare l u n g h e o r e in ginoc298
chio e in silenzio e a s u b i r e le v e r g a t e del s e r g e n t e . Ma lo spirito di e m u l a z i o n e lo spinse a c e r c a r e u n a rivincita n e l profitto. In p o c h i mesi colmò le l a c u n e della sua p r e p a r a zione, o t t e n n e la m e n z i o n e d ' o n o r e e fu insignito della «cifra reale». N o n p e r q u e s t o il suo c a r a t t e r e m i g l i o r ò , anzi. Protervia, orgoglio, insolenza, sarcasmo, s m a n i a di s u p r e mazia e di c o m a n d o lo r e n d e v a n o inviso n o n soltanto ai superiori, ma a n c h e ai c o m p a g n i . A quattordici a n n i il p a d r e gli p r o c u r ò la n o m i n a a «paggio» di Carlo Alberto. Era l'incarico più ambito dagli accademisti. Ma Camillo n o n lo a p prezzò. Anzi, disse che n o n vedeva l'ora di liberarsi di quella «livrea da gambero». Le insolenti parole furono riferite al Principe, che d e n u n z i ò il ribelle al re Carlo Felice chiedendogli di d e g r a d a r l o . Il Re, che avrebbe preferito d e g r a d a r e lui, n o n ne fece di nulla, e lasciò c h e Camillo t e r m i n a s s e l'Accademia. La t e r m i n ò a sedici a n n i con esami splendidi in t u t t e le m a t e r i e , m e n o l'italiano. Lo parlava male p e r c h é la lingua di casa Cavour era il francese, lo scriveva peggio, e in seguito a v r e b b e d o v u t o molto faticare p e r i m p a d r o n i r s e n e . Per tutta la vita, a n c h e da Primo Ministro dell'Italia unita (e unita da lui), egli seguiterà a p a r l a r e e a scrivere in italiano trad u c e n d o dal francese, e in francese a p a r l a r e e a scrivere in privato. C o m e del resto facevano tutti gli altri della sua famiglia e del suo ambiente. C'è, di questi tempi, in u n a lettera - anch'essa in francese - di Michele alla m o g l i e , q u e s t o r i t r a t t i n o di Camillo: «Nostro figlio è un b e n curioso tipo. Anzitutto, ha così o n o rato la mensa: grossa scodella di z u p p a , d u e belle cotolette, un piatto di lesso, un beccaccino, riso, patate, fagiolini, uva e caffè. N o n c'è stato m o d o di fargli m a n g i a r altro! Dopodiché mi ha recitato parecchi canti di Dante, le canzoni di Petrarca, la g r a m m a t i c a di Corticelli, Alfieri, Filicaja, Ortis. E tutto questo passeggiando a g r a n d i passi in vestaglia, con le m a n i affondate nelle tasche». Tale e r a il g i o v a n e C a v o u r : estroverso, a n i m a t o da u n a d i r o m p e n t e vitalità, i n g o r d o di 299
tutto, e n o n soltanto di cibi, donnaiolo, e accanito giuocatore di whist e di goffo. Fu b u o n p e r lui che, come Sottotenente del Genio, lo destinassero ai lavori di fortificazione di Ventimiglia e più tardi a Modane, dove n o n c'erano né casinò, né occasioni di avvent u r e galanti. Ma nel '30 lo trasferirono a Genova, dove trovò tutt'altra aria. L'antica Dominante si rassegnava male alla parte di provincia, e al gretto spirito m o n t a n a r o dei funzionari piemontesi contrapponeva quello libero e m o d e r n o della sua borghesia mercantile. Cavour n o n stentò a inserirsi in quell'ambiente, in cui si sentiva più a s u o agio che in caserma. N o n è da escludere che abbia incontrato anche Mazzini nella libreria Doria, che e n t r a m b i f r e q u e n t a v a n o . E diventò assid u o del salotto in cui si raccoglievano gl'intellettuali liberali. Lo teneva A n n a Schiaffino, figlia del Console di Francia, a n d a t a sposa al Marchese Giustiniani. Intelligente, colta, r o mantica, inquieta e spregiudicata, essa n o n si era mai intesa con quel marito di vecchia nobiltà, ma i n d o l e n t e e cinico, e cercava evasioni nella l e t t e r a t u r a e nella politica. Un r a p p o r t o della polizia segnalava a T o r i n o che, invece di p r e n d e r e il lutto p e r la m o r t e del re Carlo Felice, c o m ' e r a rigor o s a m e n t e prescritto all'aristocrazia del R e g n o , la Marchesa era a n d a t a a teatro e si e r a espressa con poca reverenza nei confronti del d e f u n t o . Per castigo, la famiglia la confinò in u n a casa di c a m p a g n a , e fu al suo r i t o r n o che Cavour la con o b b e e se ne i n n a m o r ò , o a l m e n o le fece la corte. N o n ebbe bisogno d'insistervi molto: tre a n n i più anziana di lui, A n n a aveva già al suo attivo a l c u n e a v v e n t u r e e n o n doveva vincere ostacoli né da p a r t e della sua coscienza, né da p a r t e del suo indifferente marito. Fu u n a liaison basata s o p r a t t u t t o sulle affinità d ' i d e e p e r c h é C a v o u r in q u e l m o m e n t o e r a o r i e n t a t o verso un c e r t o e s t r e m i s m o . A contribuirvi era in p r i m o luogo l'asfissiante atmosfera della cas e r m a e del circolo militare: l'epurazione seguita ai moti del 1821 aveva privato l'esercito delle sue teste migliori e vi aveva instaurato il conformismo più p l u m b e o . 300
Ma c'era a n c h e altro. Negli ultimi t e m p i si e r a n o svegliati in C a v o u r forti interessi culturali. La s c o p e r t a di a u t o r i c o m e Guizot, Constant, B e n t h a m aveva dilatato i suoi orizzonti e impresso un n u o v o corso ai suoi pensieri. Q u a l c u n o dice c h ' e r a a n c h e tribolato dal p r o b l e m a religioso, m a n o n è v e r o . U n a religione C a v o u r l'aveva, ma e r a solo trascendenza, cioè convinzione che la vita di un u o m o acquista un senso solo q u a n d o si m e t t e al servizio di qualcosa che sta al di sopra di lui e dei suoi immediati e personali interessi. Di questo n o n d u b i t ò mai, tanto che nel suo Diario trascrisse la massima di Constant: «Ci sono dei popoli religiosi che h a n no p o t u t o diventare schiavi. Ma n o n c'è nessun p o p o l o irreligioso che sia riuscito a r e s t a r e libero»: c o m ' è logico, visto che la stessa libertà n o n è che u n a religione. A questo principio C a v o u r r i m a s e s e m p r e fedele, m a senza t u r b a m e n t i né esitazioni fra u n a confessione e l'altra. I suoi interessi e r a n o tutti di o r d i n e politico e sociale. Liberista in e c o n o mia, egli concepiva la politica come un o r d i n a t o sviluppo di u n a società volto a r i d u r r e «i n a t u r a l i squilibri», ma senza coartazioni né soprusi. T u t t o q u e s t o l o r e n d e v a a s p r a m e n t e critico d e l r e g i m e p i e m o n t e s e che, invece di favorire lo sviluppo della società, t e n d e v a a mummificarla nelle sue anacronistiche s t r u t t u r e . E, i m p u l s i v o c o m ' e r a , lo diceva, anzi lo u r l a v a . U n a volta v e n n e a diverbio con alcuni suoi colleghi che elogiavano la politica di Metternich. E q u a n d o nel '31 da Parigi arrivò la notizia della r i v o l u z i o n e di luglio, c h e aveva scacciato dal t r o n o la dinastia assolutista dei B o r b o n e , g r i d ò in p i e n o Circolo Militare: «Viva la Repubblica!» Ce n ' e r a d'avanzo p e r c h é venisse segnalato al Ministero c o m e «infido e capace di t r a d i m e n t o » . Q u e s t o n o n gli p r e cluse la n o m i n a a T e n e n t e . Ma egli stesso c o m p r e s e che p e r lui n o n c ' e r a p o s t o n é nell'esercito n é i n a l t r e c a r r i e r e d i Stato. Gli a v v e n i m e n t i p a r i g i n i e i moti di M o d e n a e degli Stati pontifici avevano provocato a Torino un irrigidimento poliziesco. Il n u o v o re Carlo Alberto si m o s t r a v a in questo 301
molto p i ù rigido di Carlo Felice, che tanto lo aveva sospettato di liberalismo, e p a r e c c h i intellettuali, fra cui Brofferio, e r a n o stati arrestati. Ma la vigilanza e r a p a r t i c o l a r m e n t e severa nelle c a s e r m e , d o v e nel '21 si e r a s v i l u p p a t o il movim e n t o p e r la Costituzione. Dalla Val d'Aosta dove lo avevano trasferito - forse a n c h e p e r allontanarlo dalla pericolosa Genova -, Cavour scrisse al p a d r e : «Non posso c o n t i n u a r e a servire con coscienza: rischierei di t r o v a r m i in u n a posizione molto difficile». A n c h e Michele se ne convinse, e n o n si o p p o s e alla sua d o m a n d a di c o n g e d o dall'esercito, che gli fu concesso allo scadere dell'anno. Dovette r i e n t r a r e i n famiglia, p e r c h é c o m e c a d e t t o n o n aveva nulla di suo. Per dargli qualcosa da fare, Michele gli affidò l ' a m m i n i s t r a z i o n e di 200 e t t a r i c h e aveva in fitto a Grinzane, un villaggetto di 350 a n i m e , di cui diventò a n c h e sindaco. Fu q u e s t o il suo d e b u t t o sia in a g r i c o l t u r a c h e in politica. E vi s ' i m p e g n ò a f o n d o , ma n a t u r a l m e n t e senza trovarvi di che placare la sua ansia d'azione. Poco a poco riprese le sue abitudini di libertino. Giuocava. Correva avvent u r e galanti. Ma era talmente scontento di sé e di tutto che, a q u a n t o dicono alcuni biografi, tentò di suicidarsi. E fu forse p e r sollevarlo da quello stato di depressione che il p a d r e gli finanziò un viaggio all'estero. Cavour n o n fu n e a n c h e sfiorato dall'idea di a n d a r e a ved e r e c o m ' e r a fatta l'Italia di Milano, di R o m a , di Venezia, di Napoli. Non ne sentì mai la curiosità. Solo d o p o il '60, cioè d o p o l'unificazione, s c e n d e r à a visitare Bologna, Firenze e Pisa, ma oltre l'Arno n o n a n d r à mai, e al r i t o r n o dirà al suo segretario: «Meno male che a b b i a m o fatto l'Italia p r i m a di conoscerla...» E n o n aveva visto che l'Emilia e la Toscana. Figuriamoci cosa avrebbe detto se fosse arrivato a Palermo. In c o m p a g n i a dell'amico S a n t a r o s a - il f u t u r o ministro cui i preti avrebbero n e g a t o l'assoluzione p e r via delle leggi Siccardi -, d o p o u n a sosta a Ginevra p e r rinsaldarvi le vecchie relazioni di famiglia, a n d ò a Parigi e vi rimase tre mesi, affascinato dalla città, dai suoi salotti, dai suoi teatri, dai suoi 302
ritrovi, m a a n c h e dal suo P a r l a m e n t o , d i cui seguì con a p passionato interesse i dibattiti. E forse fu qui che gli si rivelò a p p i e n o la vocazione alla politica, cioè a q u e l tipo di politica, basata sui p r o b l e m i concreti e sulle reali forze del Paese, n o n sugl'intrighi di C o r t e e sui giuochi di a n t i c a m e r a . Con o b b e tutte le p e r s o n e che m e r i t a v a n o di essere conosciute, lesse r a p p o r t i , visitò i n d u s t r i e e aziende agricole, ma senza mai trascurare la m o n d a n i t à , i tavoli da giuoco, le belle d o n nine. Il p o v e r o Santarosa era a d d i r i t t u r a s t r e m a t o dal r i t m o che i m p r i m e v a alla loro vita quel suo instancabile travolgente c o m p a g n o , che voleva v e d e r e e sapere tutto. L o n d r a , dove subito d o p o si trasferì, gli p i a c q u e m e n o . Forse all'impressione negativa contribuì a n c h e un certo dispetto p e r il m o d o in cui l'orgogliosa società inglese accolse, o m e g l i o n o n accolse lo sconosciuto C o n t e p i e m o n t e s e . Il c o r d i a l e b e n v e n u t o di L o r d E l p h i n s t o n e «è stato - scrisse stizzosamente - la sola cortesia che ho ricevuto qui». Anche i dibattiti alla C a m e r a dei C o m u n i lo delusero. «Tutti col cappello in testa e p i u t t o s t o sbracati - scrisse scandalizzato -. Salvo q u a n d o p a r l a un pezzo grosso, è tutto un viavai e un confuso chiacchiericcio in cui le p a r o l e d e l l ' o r a t o r e si p e r dono.» Alcune cose p e r ò le capì, ed e r a n o quelle f o n d a m e n tali. «L'Inghilterra è a n c o r a abitata da u n a razza maschia e gagliarda, g r a n d e nel b e n e c o m e nel male. I suoi moti p r o pulsori sono radicati nel p r o f o n d o : alla superficie n o n si colg o n o facilmente. Discutono senza litigare e h a n n o un grande rispetto di t u t t e le o p i n i o n i individuali.» Attraverso Senior, c o n o b b e Tocqueville, il p i ù g r a n d e saggista politico d e l l ' O t t o c e n t o di cui tuttavia, p i ù che il genio, s e m b r a che lo colpissero il t r a t t o s g r a d e v o l e e la m a n c a n z a di c a l o r e u m a n o ; e in p a r l a m e n t o vide all'opera il g r a n d e Peel, lo statista cui in seguito doveva egli stesso più somigliare. Osservò sul vivo gli sviluppi della rivoluzione industriale. S'incontrò con Gioberti. Poi, p e r Belgio, G e r m a n i a e Svizzera, r i e n t r ò a Torino. Coi fuorusciti italiani n o n aveva p r e s o n e s s u n c o n t a t t o , 303
a n c h e p e r c h é ciò che ne aveva s a p u t o lo aveva reso furiosam e n t e avverso a loro, alle loro idee e ai loro m a n e g g i : «Sono un b r a n c o di pazzi imbecilli fanatici dissennati, di cui farei volentieri c o n c i m e p e r le m i e barbabietole» scrisse. Ma questo n o n bastò a sospingerlo fra i reazionari, di cui diceva pressappoco lo stesso. Il suo modello politico o r m a i lo aveva trovato: e r a quello dei juste milieu, il giusto mezzo, al quale s'ispiravano i Dottrinari francesi alla Guizot, che c e r c a v a n o di conciliare la libertà con la legittimità in un r e g i m e a p p o g giato soprattutto sulle classi m e d i e , ma disponibile a coraggiose riforme sociali. Ed e r a questo a distinguerlo dai «moderati», che in quel m o m e n t o cominciavano a organizzarsi in partito. F o n d a m e n t a l m e n t e , a n c h e lui era, c o m e loro, un conservatore. Ma m o l t o p i ù illuminato, coraggioso, a p e r t o al progresso, e soprattutto m e n o provinciale. All'opposto di l o r o , egli accettava il m o n d o m o d e r n o , p u r c o n tutti gli scompigli che provocava: u r b a n e s i m o , sindacati eccetera. E questo lo r e n d e v a a n c o r a p i ù ostile al chiuso e parrocchiale tradizionalismo p i e m o n t e s e . Le s u e scontentezze le sfogava in l e t t e r e a N i n a Giustiniani, con cui aveva ripreso la sua relazione. L'aveva rivista, p r i m a di p a r t i r e p e r il suo viaggio, e aveva passato con lei tre giorni. Q u a n d o t o r n ò , essa fuggì di casa p e r r a g g i u n g e r lo a T o r i n o . Ma ad Asti fu f e r m a t a e m e s s a in q u a r a n t e n a p e r c h é e r a s c o p p i a t a u n ' e p i d e m i a di colera, C a v o u r si g u a r d ò b e n e dal r a g g i u n g e r l a . E R o m e o , f r u g a n d o negli epistolari, offre di q u e s t a «relazione» un q u a d r o p i u t t o s t o s c o n c e r t a n t e e in n e t t a antitesi col r o m a n t i c o alone che gli agiografi le i m p r e s t a n o . Della sua tresca, C a v o u r n o n faceva misteri con nessuno. Ne parlava s p r e g i u d i c a t a m e n t e n o n solo con gli amici del Circolo del whist, ma a n c h e col p a d r e , il quale lo esortava a p r e n d e r l a c o m e u n piacevole p a s s a t e m p o , m a senza i m p e gnarcisi t r o p p o , visto che N i n a aveva figli e t r e a n n i più di lui. Camillo seguiva i s u g g e r i m e n t i a n c h e p e r c h é in q u e l m o m e n t o aveva u n ' a l t r a r e l a z i o n e c o n la m a r c h e s a di Ca304
stelletto, della cui c o n c o r r e n z a aveva i n f o r m a t o N i n a . Ma costei n o n poteva molto p r o t e s t a r e p e r c h é anch'essa aveva a Milano un altro a m a n t e , di cui Cavour era a sua volta al corr e n t e e , n o n s a p e n d o c o m e districarsi t r a i d u e , c h i e d e v a consigli al marito, che con un disinteresse p a r i soltanto al cinismo, gli dava quello di tenerseli e n t r a m b i con u n a b e n d o sata distribuzione di orari e di entusiasmi. Il fatto è c h e q u e s t o , p a s s a t o alla storia c o m e il g r a n d e a m o r e d i C a v o u r , tale n o n f u n é p e r lui n é p e r N i n a . D a quel che si p u ò capire di lei, malata di nervi, insoddisfatta, forse frigida, essa n o n e r a capace n e a n c h e di passioni, ma solo d ' i n f a t u a z i o n i c e r e b r a l i , c h e la s p i n g e v a n o da u n ' a v v e n t u r a all'altra, e la lasciavano scontenta di tutte. Per d u e volte tentò di suicidarsi, e alla fine nel '41 ci riuscì lanciandosi d a u n t e r z o p i a n o . Per Cavour, c h e allora aveva p e r amica Emilia N o m i s di Pollone, n o n risulta che sia stato un rimorso, e forse n e m m e n o un r i m p i a n t o . Da vero libertino, alle d o n n e chiedeva soltanto il piacere, né mai volle né concesse di più. La sua unica vera a m a n t e era la politica; la sua passione, il p o t e r e . Nel '35 suo p a d r e , che aveva c o n d o t t o a t e r m i n e la sua marcia di riavvicinamento alla C o r t e , fu n o m i n a t o d i r e t t o r e g e n e r a l e della polizia, u n a carica i m p o r t a n t e , c h e p e r ò lo e s p o n e v a all'odio dei liberali. «Più realista del r e , p i ù gesuita d ' u n P a d r e della C o m p a g n i a , p i ù cattolico dell'Arcivescovo, più intollerante dell'Inquisizione» lo definì Bersezio. Ma il giudizio è senz'altro tendenzioso. Il g r a n torto di Michele fu di fare della polizia u n o s t r u m e n t o efficientissim o , m a n o n risulta ch'egli l'abbia u s a t o p e r o p p r i m e r e e perseguitare. Le n u o v e mansioni n o n gli lasciavano t e m p o da dedicare alla pesante azienda di Leri. E siccome Gustavo si dimostrava s e m p r e più allergico ai p r o b l e m i pratici, essa v e n n e affidata a Camillo, c h e ci s ' i m p e g n ò con a r d o r e . Quello era fin a l m e n t e un c a m p o in cui poteva sfogarsi la sua d i r o m p e n te smania di fare. L'ottimismo e la fiducia nella vita, che da 305
un pezzo Io a v e v a n o a b b a n d o n a t o , gli t o r n a r o n o di colpo. Dimentico del giuoco e delle d o n n e - che in fondo r a p p r e sentavano p e r lui soltanto un'evasione e un s u r r o g a t o -, in stivali e cappello di paglia, batteva dalla m a t t i n a alla sera i suoi campi, pascoli e risaie, s o r r i d e n t e , e s u b e r a n t e , instancabile. N o n si c o n t e n t a v a di a m m i n i s t r a r e . Voleva trasform a r e la fattoria in u n a vera e p r o p r i a «impresa», e p e r questo t o r n ò in Svizzera e in Francia p e r studiare le n u o v e tecniche agricole e le condizioni del mercato e u r o p e o in cui int e n d e v a inserirla. Ma p e r le a t t r e z z a t u r e ci volevano forti capitali, e C a v o u r cercò di procurarseli con speculazioni in borsa. Michele, allarmato, gli r a c c o m a n d ò p r u d e n z a . Ma alc u n i colpi f o r t u n a t i s p i n s e r o Camillo - che aveva la stoffa del giuocatore d ' a z z a r d o e doveva restarlo p e r tutta la vita a n c h e in politica - a t e n t a r n e di p i ù grossi. F i u t a n d o u n a g u e r r a tra la Francia e l'Egitto, giuoco al ribasso, la g u e r r a n o n v e n n e , i titoli rialzarono, e fu il disastro. «Ciò che avevo g u a d a g n a t o in tre a n n i - scrisse -, l'ho p e r s o in un giorno, e o r a mi trovo debitore di 45.000 scudi: o pagarli, o farsi sàitare le cervella.» Li p a g ò il p a d r e , senza far t r o p p o pesare al figlio la p r o pria generosità, ma n o n senza a m m o n i r l o : «Hai molte doti, ma hai a n c h e t r o p p a fiducia in te stesso. A t r e n t ' a n n i , ti credi già m a t u r o p e r fare il ministro, l'industriale, il b a n c h i e r e . C o n t e n t a t i d i essere Camillo d i Cavour». A p p u n t o p e r c h é p a c a t a e discreta, la lezione b r u c i ò la pelle dell'orgoglioso g i o v a n o t t o , ma p r o d u s s e i p i ù salutari effetti. «In p o c h i giorni, sono invecchiato di dieci anni» scrisse. T o r n ò alle sue m a n s i o n i di agricoltore con più umiltà. E a n c h e se n o n rin u n z i ò ad a l t r e iniziative, lo fece senza a s s u m e r v i rischi t r o p p o grossi. Fu tra i p r o m o t o r i di u n a ferrovia in Savoia p e r conto di u n a c o m p a g n i a di azionisti che lo n o m i n a r o n o amministratore delegato. C o m e tutte le i m p r e s e pionieristiche, a n c h e questa e b b e la vita difficile e n o n finì b e n e . Ma consentì a lui di f r e q u e n t a r e ancora più assiduamente Parigi e di allargarvi la cerchia delle sue relazioni, n o n soltanto 306
nel m o n d o industriale e finanziario. C o n o b b e D u m a s , Sainte-Beuve, Cousin, M é r i m é e , T h i e r s , Michelet, e strinse amicizia con Pellegrino Rossi, il professore italiano fatto C o n t e e Pari di Francia p e r i servigi resi a Guizot c o m e consigliere politico, e destinato poi a diventare il P r i m o Ministro di Pio IX. S e m p r e più a m a v a e a m m i r a v a quel Paese in cui si sentiva più a suo agio che a Torino. E p p u r e q u a n d o la sua amica Melania Waldor, che lo chiamava t e n e r a m e n t e «l'italiano dalle g u a n c e rosee e dal sorriso di bambino», gli consigliò di trasferirvisi e p r e n d e r n e la cittadinanza, rispose: «Felice o infelice, la mia p a t r i a avrà tutta la mia vita: n o n la tradirei n e m m e n o se fossi sicuro di trovare costà un'esistenza più facile e un destino p i ù brillante». A differenza di tanti italiani di quel t e m p o , n o n era un apolide, lui. La fama che si e r a g u a d a g n a t o d ' i m p r e n d i t o r e spericolato, ma efficiente e m o d e r n o , gli aveva valso l'ingresso nella commissione governativa p e r la statistica e in quella p e r le ferrovie. Ma politicamente seguitavano a tenerlo in disparte c o m e e l e m e n t o infido. Tale lo consideravano n o n soltanto i Solaro e i F r a n s o n i , allora o n n i p o t e n t i , ma lo stesso Carlo Alberto che n o n aveva d i m e n t i c a t o l'insolenza del p a g g i o . Per farsi largo, dovette perciò imboccare un'altra strada. Nel '41 egli fondò l'Associazione Agraria che, nata c o m e u n a specie di Accademia dei Georgofili sul modello di quella fiorentina, diventò b e n presto il p u n t o di raccolta dei più illuminati terrieri piemontesi: u o m i n i che n o n volevano certo la rivoluzione, ma che rifiutavano l'immobilismo del regime e avevano a n c h e un giornale p e r combattere la loro battaglia intesa a p r o m u o v e r e u n a liberalizzazione di scambi c o m e p r e m e s s a alla liberalizzazione di t u t t o . Presidenti ne furono p r i m a Alfieri, poi Gabaleone, e n t r a m b i amici di Cavour, che ne restava l'anima. Il Re capì l'antifona e impose il Collobiano, ma C a v o u r seguitò a d i r i g e r e d i e t r o le q u i n t e , scrivendo p e r il giornale gli editoriali più significativi e impegnativi. Li scriveva in un italiano c h e n o n d e n u n z i a v a la fatica, 307
ma che gliene costava molta, e la sua prosa asciutta, all'osso e tutta cose, faceva u n a grossa stecca in u n a pubblicistica come quella nostra, bavosa, evasiva e piena di fronzoli. Sarebbe i n t e r e s s a n t e r i c o s t r u i r e gli sforzi che C a v o u r deve aver fatto p e r piegare la lingua italiana al suo pensiero che d'italiano aveva così p o c o . C o m u n q u e , ci riuscì sia da scrittore che da o r a t o r e . C a v o u r n o n fu mai riconosciuto maestro di e l o q u e n z a . N o n p o t e v a esserlo i n u n Paese d i r e t o r i t u t t o fumo e niente arrosto. Brofferio, c h ' e r a di questi, così lo dipinse: «Nuoeevagli il volume della persona, il volgare aspetto, il gesto ignobile, la voce i n g r a t a . Di l e t t e r e , n o n aveva traccia; alle arti profano; di ogni filosofia digiuno; raggio di poesia n o n gli balenava n e l l ' a n i m o ; istruzione pochissima; la p a r o l a gli usciva di bocca gallicamente smozzicata; tanti e r a n o i suoi solecismi che metterli d ' a c c o r d o col dizionario della lingua italiana sarebbe a tutti sembrata impossibile impresa». A chi l'italiano lo scriveva e Io parlava a questo m o d o , e r a logico c h e quello l i n e a r e e senza orpelli di C a v o u r dovesse s e m b r a r e barbarico. C r e d e n d o di aver d i p i n t o Cavour, Brofferio aveva invece r i t r a t t o se stesso e la p r o p r i a goffaggine. Nel '46 Cavour pubblicò sulla Revue nouvelle di Parigi cinq u e lettere che, p r e n d e n d o pretesto da un libro di Petitti di Roreto sulle ferrovie - e p e r d e n d o l o di vista d o p o pochi paragrafi -, r a p p r e s e n t a r o n o un vero e p r o p r i o manifesto politico e un decisivo passo avanti sulla strada già a p e r t a da Gioberti e da Balbo. C o n sottile ipocrisia, egli lodava sperticatam e n t e Carlo Alberto a t t r i b u e n d o g l i il p r o p o s i t o di riforme cui il Re n o n pensava n e a n c h e di lontano, e così t e n t a n d o su di lui la stessa o p e r a z i o n e che i liberali cattolici stavano p e r compiere su Pio IX. Carlo Alberto lo lesse, n o n si sa se ne fu lusingato o irritato, ma c o m u n q u e n o n i m p e d ì a Cavour di fondare il giornale destinato a diventare lo s t r u m e n t o della sua battaglia, e il cui p r o g r a m m a era già implicito nella testata: // Risorgimento. Fu attraverso di esso che Cavour si fece conoscere dal g r a n d e pubblico, il che gli permise di presentar308
si c a n d i d a t o nella lista m o d e r a t a , q u a n d o il Re si decise nel '48 a concedere la Costituzione e a convocare un Parlamento. Fu eletto nelle elezioni suppletive alla vigilia di Novara, perse il seggio in quelle successive indette d o p o la disfatta da Gioberti, a p e r t o favoreggiatore della lista democratica, ma 10 riconquistò pochi mesi d o p o , grazie al rilancio m o d e r a t o provocato da Vittorio E m a n u e l e col proclama di Moncalieri. E da allora lo conservò sino alla m o r t e . I suoi debutti p a r l a m e n t a r i tuttavia furono cauti, data la delicatezza della sua posizione. Per quelli di sinistra, egli era p u r s e m p r e un nobile della vecchia g u a r d i a legittimista, e p e r di p i ù il figlio del p r e f e t t o di polizia. Per quelli di d e stra, era l ' u o m o che nel '31 aveva gridato «Viva la Repubblica!», che aveva d o v u t o d a r e le dimissioni dall'esercito, e che nei r a p p o r t i confidenziali veniva qualificato «giacobino». Fu 11 dibattito sulle leggi Siccardi e poi la d e n u n z i a sul suo giornale dell'infame ricatto tentato dall'Arcivescovo sul m o r e n t e Santarosa che lo p o r t a r o n o p r e p o t e n t e m e n t e alla ribalta e lo a c c r e d i t a r o n o a n c h e agli occhi dei p i ù ragionevoli esponenti della sinistra. Da allora n o n aveva più p e r s o occasioni p e r attirare l'attenzione su di sé e p e r differenziarsi dalla frangia reazionaria del suo p a r t i t o , in cui finì p e r trovarsi alla testa di u n a specie di «corrente». Egli era p e r il g o v e r n o D'Azeglio e in tutte le occasioni lo difese, ma con riserve critiche che si facevano s e m p r e p i ù marcate via via che cresceva il peso della sua autorità, e alla fine sboccarono nel famoso discorso del 2 luglio (del '50) che, q u a n t o ad abilità e ambiguità, faceva c o n c o r r e n z a a quello di Marc'Antonio sul cadavere di Cesare. A n c o r a u n a volta difese il g o v e r n o p e r quello che aveva fatto, ma lo c e n s u r ò p e r quello che n o n aveva fatto. E concluse d i c e n d o c h e gli a v r e b b e r i t i r a t o l ' a p p o g g i o , se esso n o n avesse p r o c e d u t o a certe riforme. Fu allora che D'Azeglio cercò di b a t t e r e in furberia il rivale p r o p o n e n d o l o c o m e successore di S a n t a r o s a , e c h e il Re rispose come rispose.
CAPITOLO VENTOTTESIMO
IL «CONNUBIO»
La prospettiva di e n t r a r e nel g o v e r n o aveva teso allo spasimo i nervi di Cavour. E p p u r e , q u a n d o D'Azeglio gliene fece la proposta, finse di n o n esserne affatto lusingato e pose alc u n e condizioni, fra cui il licenziamento del Ministro della Pubblica Istruzione, Mameli. «Si comincia male, caro Alfonso» scrisse D'Azeglio a La M a r m o r a . Per fortuna n e m m e n o lui a m a v a Mameli, che dal canto suo n o n a m a v a fare il ministro e ci rinunciò senza sforzo. Cavour chiese ancora tempo p e r riflettere, e forse n o n p e r finta. C o m e scrisse egli stesso, d o p o la posizione p r e s a col discorso del 2 luglio, n o n gli restava che «o accettare il m i n i s t e r o , o rovesciarlo», ma n o n e r a affatto sicuro quale alternativa gli convenisse. Alla fine, scrisse ancora, «dopo tre giorni d'angosciose incertezze, ho d o v u t o c e d e r e alle istanze del Re, e più a n c o r a alla gravità delle condizioni in cui versa lo Stato». Così, nell'ott o b r e del '50, a s s u n s e il portafogli del C o m m e r c i o e della Marina. Ma p r i m a di e n t r a r e in carica volle p r e n d e r s i qualche giorno di riposo sui laghi. E fu qui, in casa del Rosmini, che i n c o n t r ò M a n z o n i , il quale scrisse di lui all'amico Berchet: «E un o m i n o che p r o m e t t e b e n e assai». A n c h e dal b a n c o del g o v e r n o , C a v o u r d a p p r i n c i p i o si c o n d u s s e con molta discrezione, t a n t o c h e D'Azeglio se ne mostrava entusiasta, n o n o s t a n t e gli a m m o n i m e n t i di Pantaleoni: «Bada che è il solo ambizioso fra voialtri; b a d a che più presto o più tardi v o r r à d o m i n a r e . T i e n l o in rispetto fin d'ora...» Ma questo era più facile a dirsi che a farsi. E n o n già p e r c h é Cavour volesse di proposito sopraffare, ma p e r c h é a questo era c o n d a n n a t o dallo spazio che gli lasciavano gli al310
tri, e specialmente il s e m p r e più svogliato D'Azeglio. C o m e Ministro del C o m m e r c i o , era sovente costretto a sostituirsi a quello delie Finanze, Nigra, u o m o d a b b e n e , ma talmente tim i d o e irresoluto che n o n osava p a r l a r e alla C a m e r a , dove si faceva r a p p r e s e n t a r e da un d e p u t a t o Arnulfo, suo fiduciario. Alla fine, s p a z i e n t i t o , C a v o u r d e n u n z i ò l'assurdità della situazione e, senza che Nigra facesse resistenze, ne rilevò il Dicastero, a g g i u n g e n d o l o a quelli d e l C o m m e r c i o , della Marina e dell'Agricoltura che già deteneva. «L'onniministro» lo chiamava il giornale democratico Progresso. Ma c'è di più. Essendo l'unico, fra tutti quei suoi colleghi un po' dilettanti, che lavorava, c o m e oggi si dice, «a t e m p o pieno», egli e r a a n c h e l'unico che conosceva tutti i p r o b l e m i del Paese, a n c h e quelli di p e r t i n e n z a n o n sua, e che q u i n d i ne aveva la più esatta visione globale. Q u e s t o faceva a u t o m a t i c a m e n t e di lui il p o r t a p a r o l a del g o v e r n o alla C a m e r a , al posto di D'Azeglio, poco informato e p o c o efficace c o m e oratore. N o n mancava u n a seduta, vi p r e n d e v a la parola anc h e sette o otto volte, s e m p r e d o m i n a n d o il d i b a t t i t o p e r l'altezza dei suoi argomenti e c o n f o n d e n d o gli avversari p e r la p a d r o n a n z a della m a t e r i a e la ricchezza dei dati, e tutti c o m i n c i a r o n o a g u a r d a r e a lui c o m e al v e r o leader della maggioranza, tanto che D'Azeglio c o m m e n t a v a fra il sorriso e il ghigno: «Con quest'ometto qui, faccio c o m e Luigi Filipp o : r e g n o e n o n governo». Ma, s e m p r e g r a n gentiluomo, a chi criticava la p r e p o t e n z a di Cavour, r i s p o n d e v a : «E p r o prio il gallo da c o m b a t t i m e n t o che ci abbisognava». Tuttavia d o v e t t e accorgersi c h e il Re aveva visto giusto. D o p o aver eliminato Mameli e Nigra, Cavour volle a n c h e la testa di Gioia, ministro della Pubblica I s t r u z i o n e , p e r rimpiazzarlo con Farini. Farini e r a u n m e d i c o r o m a g n o l o che in g i o v e n t ù aveva militato nelle fila m a z z i n i a n e , e p e r c i ò aveva d o v u t o a n d a r s e n e in esilio. Era tornato nel '46, grazie all'amnistia concessa da Pio IX. E, convertito o r m a i al m o deratismo, e r a stato ministro d e g l ' I n t e r n i dello Stato pontificio e collaboratore di Pellegrino Rossi. N o n volle a d e r i r e al 311
r e g i m e repubblicano di Mazzini, ma n e m m e n o a quello restaurato dal P a p a e da Antonelli, e preferì e m i g r a r e p r i m a in Toscana, poi a Torino, dove D'Azeglio, che lo aveva conosciuto a Roma, Io protesse, e dove scrisse u n a Storia dello Stato romano dal 1815 al 1850, c h e r i p o r t ò un largo successo (Gladstone la tradusse in inglese). Cavour era stato fra i primi a capire e a p p r e z z a r e i talenti di q u e s t ' u o m o i m p e t u o s o e g e n e r o s o ; t a n t o c h e , q u a n d o e r a d i v e n t a t o m i n i s t r o , gli aveva affidato il Risorgimento. E o r a lo voleva al suo fianco nel g o v e r n o . La n o m i n a di Farini fu avversata c o n varie scuse. In realtà ciò che gli si r i m p r o v e r a v a era di n o n essere p i e m o n tese, e Cavour lo disse chiaro, bollando con parole di fuoco questo a t t e g g i a m e n t o xenofobo. Rischiando grosso e senza consultare D'Azeglio, pose a d d i r i t t u r a la questione di fiducia, cioè d i c h i a r ò c h e , se la C a m e r a n o n avesse a p p r o v a t o quella designazione, il g o v e r n o avrebbe dato le dimissioni. E q u a n d o si passò ai voti, si vide u n a cosa curiosa: alcuni deputati della destra, che facevano p a r t e della m a g g i o r a n z a di cui il governo era l'espressione, v o t a r o n o contro; m e n t r e alcuni della sinistra, che e r a n o all'opposizione, v o t a r o n o a favore, e fu grazie ad essi che il g o v e r n o si salvò. Fu u n a sorpresa p e r tutti, salvo che p e r Cavour, il quale p r o p r i o su q u e s t o aveva g i u o c a t o . Il m i n i s t e r o si r e g g e v a sull'alleanza di d u e forze, l ' u n a di c e n t r o , l'altra di destra, che si chiamavano e n t r a m b e «moderate», ma che del m o d e r a t i s m o r a p p r e s e n t a v a n o d u e a n i m e diverse e fra loro inconciliabili. La p r i m a e r a s i n c e r a m e n t e liberale, cioè ferma nel r i p u d i o del vecchio assolutismo, e b e n decisa a rispettare e a far r i s p e t t a r e le istituzioni r a p p r e s e n t a t i v e concesse dallo Statuto. La seconda, n o . Formata da u o m i n i di marca «illuminista», essa voleva le riforme; ma p e r realizzarle, era p r o n t a a n c h e a t o r n a r e a un r e g i m e a u t o r i t a r i o , solo che desse garanzie di efficienza. Q u e s t a c o n t r a d d i z i o n e e r a già esplosa. Fin dal t e m p o delle leggi Siccardi, Cavour si era accorto che, sulle questio312
ni, c o m e oggi si dice, «di fondo», i m o d e r a t i di d e s t r a alla M e n a b r e a e alla Revel si trovavano più vicini agli oppositori della frangia reazionaria alla La T o u r che n o n ai m o d e r a t i di c e n t r o , cui lui e D'Azeglio a p p a r t e n e v a n o ; m e n t r e u n a identica disgregazione si stava o p e r a n d o anche nell'opposizione di sinistra, dove u n a pattuglia di democratici guidati da Rattazzi si avvicinava s e m p r e di p i ù al c e n t r o , isolando all'estrema i massimalisti di Brofferio e di Valerio, e formando (fin d'allora!) un centro-sinistra, con cui i m o d e r a t i veri p o t e v a n o intendersi e formare u n a n u o v a maggioranza. Fu questo l'obbiettivo che C a v o u r p e r s e g u ì , sin dal m o m e n t o in cui e n t r ò al g o v e r n o . Già ai p r i m i del ' 5 1 , egli dichiarava che a v r e b b e visto volentieri l'ingresso di Rattazzi nel ministero, se le circostanze n o n avessero reso quella man o v r a « i n o p p o r t u n a e p r e m a t u r a » . Rattazzi gli rispose fac e n d o spesso e l o g i a r e dal suo g i o r n a l e le iniziative di Cav o u r e schierandosi dalla sua p a r t e nell'affare Farini. Fra i d u e n o n c'era esplicita intesa, ma c'era il c o m u n e desiderio di arrivarci, e a ritardarla furono solo gli avvenimenti internazionali. Il 2 d i c e m b r e del ' 5 1 , Luigi N a p o l e o n e s ' i m p a d r o n ì con un colpo di Stato del p o t e r e assoluto in Francia in attesa di ripristinarvi l'anno d o p o l ' I m p e r o , e l'avvenimento diede il via in tutta E u r o p a a u n ' o n d a t a reazionaria. In I n g h i l t e r r a il g o v e r n o passò ai c o n s e r v a t o r i , a V i e n n a il C a n c e l l i e r e S c h w a r z e n b e r g c r e d e t t e di p o t e r r i p r e n d e r e , e con più oltranzismo, i m e t o d i di Metternich, e gli staterelli italiani satelliti dell'Austria si s e n t i r o n o incoraggiati ad a c c e n t u a r e il loro assolutismo poliziesco. Col suo r e g i m e costituzionale e il suo r i s p e t t o delle libertà, il P i e m o n t e si t r o v ò isolato, e questo gli valse l'ammirazione di Palmerston che lo chiamava «il faro dell'Europa», ma rese la vita molto difficile a chi voleva che restasse tale. Vittorio E m a n u e l e fu sottoposto a violente pressioni perché liquidasse Costituzione e Parlamento. Gliele fecero n o n soltanto gli emissari di V i e n n a e di Berlino e i r a p p r e s e n 313
tanti della Toscana e di Napoli, ma a n c h e gli e s p o n e n t i più retrivi della sua Corte. Bisogna d a r e atto al Re ch'egli s e p p e resistere all'assedio, a n c h e q u a n d o gli fecero b a l e n a r e la minaccia di un accordo fra Austria e Francia p e r la spartizione del suo R e g n o . Forse, p i ù che la fedeltà alle istituzioni, agì in lui l'orgoglio, ferito dalle intromissioni s t r a n i e r e . Ma in q u e s t a occasione d i m o s t r ò di m e r i t a r e quella qualifica di «galantuomo» che a Vignale gli avevano g r a t u i t a m e n t e attribuito. «La condizione in cui versa il vostro Stato - rispose seccamente all'Ambasciatore di N a p o l i - vi autorizza p i ù a sollecitare consigli che a d a r n e . In quello mio n o n ci sono né traditori né spergiuri.» Ed e r a n o parole d e g n e di un Re. Tuttavia qualcosa bisognava fare p e r r o m p e r e l'isolamento. E il g o v e r n o lo fece d a n d o q u a l c h e soddisfazione alla Francia, che p r o t e s t a v a p e r gli attacchi dei giornali d e m o cratici piemontesi al suo n u o v o regime. Per impedirli, fu varata u n a n u o v a legge sulla s t a m p a che n o n ne revocava la libertà, ma faceva dell'offesa ai Capi di Stato stranieri un reato p e r s e g u i b i l e d'ufficio, m e n t r e p r i m a lo e r a solo su d e nunzia dell'interessato. Era il m e n o che si potesse concedere, e p p u r e la misura fece scandalo e provocò in p a r l a m e n t o un tempestoso dibattito, di cui Cavour fu subito il vero p r o tagonista. C o n s u p r e m a abilità, egli rovesciò i t e r m i n i del p r o b l e m a d i f e n d e n d o la nuova legge, ma d i c e n d o ch'essa n o n poteva né doveva essere i n t e r p r e t a t a c o m e un c e d i m e n t o a quegli e l e m e n t i c h e , p u r c h i a m a n d o s i m o d e r a t i , e r a n o i n realtà d'ispirazione reazionaria e che m a n t e n e v a n o il loro a p p o g gio al g o v e r n o solo nella s u b d o l a s p e r a n z a di spostarlo su posizioni di destra assolutamente incompatibili con le istituzioni liberali e p a r l a m e n t a r i . Così, p u r facendosi p a l a d i n o del Ministero, Cavour faceva un'altra a p e r t u r a a Rattazzi. I d u e si e r a n o già segretamente incontrati, sebbene la data del loro colloquio sia controversa. Rattazzi la colloca fra il dicembre del '51 e il gennaio del '52. Chiala, alla vigilia della discussione alla C a m e r a . Forse R o m e o , q u a n d o si deciderà a 314
darci il s e c o n d o v o l u m e del suo Cavour, c h i a r i r à il piccolo m i s t e r o . C o m u n q u e , l ' i n c o n t r o e r a stato p r e c e d u t o d a u n l u n g o negoziato fra tre i n t e r m e d i a r i : Martini e Castelli p e r p a r t e di Cavour, Buffa p e r p a r t e di Rattazzi. L'accordo, dice Castelli, fu p r e s t o c o m b i n a t o sulla base di q u a t t r o princìpi: Monarchia, Statuto, Indipendenza e progresso politico e civile. E naturalmente si tratta di un m o d o di dire per non dire: u n ' a r t e in cui i nostri politici e r a n o destinati ad eccellere. Per affermare princìpi così vaghi, i d u e n o n avevano bisogno di p r e n d e r e precauzioni da cospiratori. Se si a m m a n t a r o n o di tanto segreto e se essi stessi lo rispettarono a n c h e in sede di diari e di m e m o r i e , fu p e r c h é si trattò di u n a vera e p r o p r i a c o n g i u r a , intesa a rovesciare il g o v e r n o D'Azeglio e a form a r n e un altro basato su u n a m a g g i o r a n z a diversa: insomma la stessa o p e r a z i o n e che ai nostri t e m p i si è c h i a m a t a «apertura a sinistra». Tant'è vero che e n t r a m b i si g u a r d a r o no b e n e dall'informarne i colleghi, cosa che a Rattazzi fu in seguito a s p r a m e n t e r i m p r o v e r a t a dai suoi. C a v o u r se ne confidò solo con Farini, e la sera d o p o , a u n a riunione di gabinetto in casa D'Azeglio, si limitò a dire che avrebbe volentieri fatto a m e n o d e l l ' a p p o g g i o di M e n a b r e a e Revel. Ma questo lo ripeteva da un pezzo, e n o n allarmò nessuno. L ' i n d o m a n i ricominciò la discussione alla C a m e r a . Cavour riprese, ampliandola, la sua tesi, e disse che si a u g u r a v a u n a cosa sola: che Rattazzi spiegasse d'ora in poi, «nel difend e r e i l m i n i s t e r o , a n c h e u n a sola p a r t e del m o l t o i n g e g n o che fin qui ha spiegato nel combatterlo», e con questo apriva all'alleanza di centro-sinistra. Per r i p u d i a r e quella col c e n t r o - d e s t r a , a g g i u n s e : «Forse q u e s t a mia d i c h i a r a z i o n e sarà tacciata d ' i m p r u d e n z a , poiché d o p o di essa il ministero deve aspettarsi di p e r d e r e in m o d o assoluto il debole a p p o g gio che da qualche t e m p o esso riceveva dall'onorevole Men a b r e a e dai suoi amici... (i quali), a c r e d e r mio, si preoccup a n o delle idee di conservazione a tal p u n t o da dimenticare i g r a n d i princìpi di libertà». M e n a b r e a rispose che «se il sig n o r Ministro vuol far vela verso altri lidi p a r l a m e n t a r i e ab315
b o r d a r e altre rive, è b e n p a d r o n e di farlo». Ma n e s s u n o lì p e r lì afferrò il vero senso delle parole di Cavour. Esso fu rilevato solo d u e giorni d o p o da Revel. «Io - disse - rispetto le opinioni di tutti. Ma, a p p u n t o p e r c h é ne ho u n a anch'io, la dico: questo incidente indica che il governo ha cambiato politica. Esso ci a n n u n c i a un n u o v o connubio.» E così coniò il t e r m i n e con cui doveva passare ai posteri quell'operazione, destinata a sconvolgere il corso della Storia italiana. Q u a n d o D'Azeglio - che come al solito n o n aveva seguito il dibattito - seppe dell'attacco di Cavour a M e n a b r e a , ne fu indignato. Per r i m e d i a r e e p e r r i p r e n d e r e in m a n o le redini, rispose lui a Revel, dicendo che n o n era il g o v e r n o che si spostava sul centro-sinistra, ma il centro-sinistra che si avvicinava al g o v e r n o , e C a v o u r fìnse di accettare q u e s t a tesi. Sapeva benissimo che agli occhi dei regimi reazionari d'Eur o p a u n a svolta in quella direzione sarebbe a p p a r s a p r o v o catoria, e forse e r a d ' a c c o r d o con Rattazzi a d i l a z i o n a r n e i t e r m i n i . Ma c o n t i n u ò a e r o d e r e il m i n i s t e r o dal di d e n t r o p r o v o c a n d o la c a d u t a del ministro d e g l ' I n t e r n i , Galvagno, nemico suo e del connubio, e la n o m i n a di Rattazzi alla vicepresidenza della Camera. Questi colpi a s o r p r e s a che m e t t e v a n o c o n t i n u a m e n t e il g o v e r n o di fronte al fatto c o m p i u t o avevano esaurito la pazienza di D'Azeglio. «Cavour è fatto a p p o s t a - scriveva - p e r m e n a r e affari e p a r l a m e n t o , ma è d e s p o t a c o m e un diavolo.» Lo scontro era inevitabile e avvenne in maggio q u a n d o il Presidente della C a m e r a , Pinelli, morì, e p e r la successione C a v o u r p r o p o s e Rattazzi. D'Azeglio si o p p o s e forse n o n tanto p e r ragioni ideologiche, q u a n t o p e r antipatia p e r s o nale. Diceva che Rattazzi, capo effettivo del governo al tempo di Novara, e r a il responsabile della disfatta. Ma forse la sua antipatia nasceva da b e n altro: dal disprezzo del g r a n sig n o r e che di tutto, anche della politica, faceva un passatemp o , p e r l'avvocatuccio di provincia, che invece della politica faceva un mestiere adattandosi al d o p p i o giuoco, alla m e n z o g n a , al servilismo p u r di g i u n g e r e al p o t e r e . E q u i n o n 316
e r a del tutto obbiettivo. Rattazzi era a n c h e questo, ma n o n soltanto questo. Certo, n o n e r a u o m o da giuoco g r a n d e come Cavour. Ma in quel piccolo, e r a un m a n o v r a t o r e accorto, un tattico pieno di risorse, un negoziatore paziente e tenace. Q u a n t o alla sua responsabilità nella disfatta, C a v o u r diceva giustamente che si trattava di un'invenzione dei veri colpevoli, cioè dei Generali. Ma D'Azeglio rimase fermo nel rifiuto, e alla c a n d i d a t u r a di Rattazzi oppose quella di Bonc o m p a g n i . Alle u r n e , la C a m e r a dette la vittoria a Rattazzi, sia p u r con un solo voto di m a g g i o r a n z a . E D'Azeglio, disgustato, rassegnò le dimissioni. Il Re, che si trovava a Racconigi, lo p r e g ò di soprassedere, rientrò a Torino e convocò il Consiglio dei Ministri. D'Azeglio si disse p r o n t o alla riconciliazione; ma Galvagno, che detestava Cavour, n o n s e p p e astenersi dal rinfacciargli le sopraffazioni. C a v o u r picchiò i p u g n i sul tavolo, disse c h ' e r a stanco del m a l a n i m o di cui era fatto segno da p a r t e dei colleghi, a n n u n c i ò le dimissioni, e a b b a n d o n ò la sala senza salutare nessuno. Bersezio, che riferisce la scena, si d o m a n d a se quello scoppio di collera fosse sincero o p r e o r d i n a t o . Ce lo d o m a n d i a m o a n c h e noi. Di collere, Cavour e r a capace. Ma era capace anche di fìngerle, q u a n d o gli facevano c o m o d o , e q u e sto era a p p u n t o il caso. C o n s i d e r a n d o esaurito il ministero D'Azeglio, n o n vedeva più nessuna convenienza a restare su u n a b a r c a c o n d a n n a t a al naufragio. Il c o n n u b i o o r m a i e r a fatto. Per vararlo, bastava aspettare l'occasione, e le sue dimissioni l'avrebbero affrettata. L ' i n d o m a n i il Re lo c h i a m ò . A q u a n t o p a r e , lo ricevette con e s t r e m a freddezza, «in p i e d i , vicino alla p o r t a , c o m e avrebbe fatto con un postulante volgare». Poi, pentito, l'abbracciò, ma gli disse: «Voi, s i g n o r C o n t e , avete centocinquantamila lire di rendita, e perciò qualsiasi cosa vi accada, vi è indifferente. Ma sappiate che io n o n voglio a n d a r e a finire dov'è finito mio padre». Forse n o n è vero, ma è verisimile: quelle frasi facevano p a r t e del suo r e p e r t o r i o . 317
D'Azeglio ricucì alla meglio il p r o p r i o Ministero, ma era come se questo avesse perso l'anima. Dal suo banco di d e p u tato, Cavour n o n gli diede fastidi, anzi in diversi frangenti lo soccorse col suo appoggio. «Per il m o m e n t o bisogna subirlo - scrisse all'amico de La Riie -. Ma, superata la crisi, D'Azeglio dovrà ritirarsi, e allora s'imporrà la scelta: o Revel, o io.» Ma sapeva benissimo che sarebbe toccata a lui, e ne prevedeva anche la data: «Sarà p e r novembre» disse a Farini. Per meglio p r e n d e r e le distanze e sincerarsi della situazione internazionale, decise di a n d a r e a L o n d r a e a Parigi. E il Re suggerì a D'Azeglio di facilitargli il viaggio affidandogli u n a vaga missione diplomatica: «Meglio tenercelo amico, questo furbacchione» disse. D'Azeglio ne convenne. Di Cavour, p e r quanto scomodo si fosse dimostrato, sentiva la mancanza, sperava di recuperarlo, e anzi p r e g ò addirittura il ministro degli Esteri inglese, Malmesbury, d ' i n t e r p o r r e la sua mediazione. Cavour ne fu più infastidito che lusingato, si sottrasse a ogni i m p e g n o p u r riaffermando il suo rispetto e affetto p e r D'Azeglio; ma d o p o aver visto anche Palmerston e altri uomini di governo, si convinse che il rivale godeva a L o n d r a di un credito che sconsigliava di abbatterlo. «Il novantacinque p e r cento degli uomini politici inglesi n o n conoscono che lui e a lui solo attribuiscono tutto il bene che si è fatto in Piemonte» scrisse a Castelli raccomandandogli di n o n precipitare le cose. Subito d o p o si trasferì a Parigi, dove aveva dato a p p u n t a m e n t o a Rattazzi, e con lui si fece ricevere da N a p o l e o n e , c h e si a p p r e s t a v a a farsi p r o c l a m a r e I m p e i - a t o r e . Più che mai egli era convinto che il destino dell'Italia era nelle mani della Francia e che il destino della Francia era nelle m a n i di q u e l l ' u o m o . Voleva s o n d a r n e le intenzioni, cattivarsene la simpatia, dimostrargli che Rattazzi n o n era il pericoloso sovversivo che gli avevano descritto, e nello stesso t e m p o dimos t r a r e a Rattazzi c h e lui solo e r a in g r a d o di a c c r e d i t a r l o presso i «padroni del vapore» e u r o p e i . Ci riuscì fin t r o p p o b e n e . N a p o l e o n e , che li t r a t t e n n e a cena con g r a n d e affabilità, simpatizzò p i ù c o n Rattazzi che con lui. «M'avevano 318
detto ch'è u n a testa esaltata - disse -. E invece l'ho trovato ragionevolissimo.» I d u e v i d e r o molti altri u o m i n i politici, poi C a v o u r a n d ò da Gioberti, che n o n aveva cessato di far profezie, ma stavolta ne aveva azzeccata u n a giusta: «Come energia e perizia - aveva scritto -, Cavour è molto s u p e r i o r e a D'Azeglio. Solo lui p o t r e b b e d a r e sostanza a u n ' a z i o n e di governo». C a v o u r lo trovò «il solito g r a n d e ragazzo di genio, che potrebb'essere a n c h e un g r a n d ' u o m o se avesse un po' di senso comune». E fu l'ultima volta che si videro perché Gioberti m o r ì di lì a tre mesi. D u r a n t e il viaggio, C a v o u r n o n aveva smesso di tenersi in stretto contatto coi suoi fiduciari di Torino - Castelli, Far m i , La M a r m o r a , Ponza di San M a r t i n o - che lo t e n e v a n o informato di tutto. Era d u n q u e p e r f e t t a m e n t e a giorno della situazione, q u a n d o t o r n ò , il 15 ottobre. Sapeva che il min i s t e r o e r a attaccato da t u t t e le p a r t i p e r il s u o immobilismo, e prevedeva che il Re gli avrebbe p r o p o s t o di rientrarvi, c o m e infatti a v v e n n e su p r e g h i e r a di D'Azeglio. «Per q u a n t o - questi scrisse a Pantaleoni - conoscessi le spine della convivenza con Cavour, m ' e r o r a s s e g n a t o a r i p r e n d e r l o p e r collega. Ma p e r fare all'amore bisogna essere in d u e . E se m ' e r o r a s s e g n a t o io, n o n s'è r a s s e g n a t o lui.» C a v o u r infatti aveva c o r t e s e m e n t e rifiutato, b e n deciso ad a s p e t t a r e che il frutto cadesse dal r a m o , ma n o n era p i ù tanto sicuro che questo sarebbe avvenuto in n o v e m b r e . D'Azeglio, diceva ai suoi amici, ha ancora dalla sua d u e forze con cui bisog n a fare i conti: la d i p l o m a z i a e u r o p e a e il Re. Ma questi conti, fu p r o p r i o D'Azeglio a sbagliarli. La diplomazia e u r o p e a su cui egli fidava era soprattutto quella inglese. Ma p r o p r i o allora in I n g h i l t e r r a il p o t e r e passava ai conservatori, che con D'Azeglio simpatizzavano m e n o dei liberali. D'Azeglio e b b e il t o r t o di r i s e n t i r s e n e , e s p u l s e u n giornalista inglese e d e b b e u n i n c i d e n t e con l ' a m b a s c i a t o r e di L o n d r a , d o v e il suo p r e s t i g i o s c a d d e di colpo. Subito d o p o s o p r a v v e n n e r o i dissapori col Re p e r via delle leggi Siccardi. 319
Q u e s t e p r e v e d e v a n o l ' i n t r o d u z i o n e del m a t r i m o n i o civile, con tutti gli effetti che ne d e r i v a v a n o , fra cui il divorzio. Il d i s e g n o di legge e r a già p r o n t o , ma c o n t r o di esso i n s o r g e v a l ' E p i s c o p a t o . Per p l a c a r l o , D'Azeglio aveva inviato a R o m a un p l e n i p o t e n z i a r i o , Sambuy, a n e g o z i a r e un a c c o r d o col Vaticano, che n o n volle s a p e r n e . Il P a p a si rivolse d i r e t t a m e n t e al Re con d u e lettere che lo t u r b a r o n o p r o f o n d a m e n t e . Vittorio E m a n u e l e n o n aveva e r e d i t a t o la bigotteria di suo p a d r e , anzi e r a sostanzialmente laico. Ma p e r l a C h i e s a aveva u n c e r t o r i s p e t t o r e v e r e n z i a l e , forse a n c h e p e r le pressioni che su di lui esercitavano la m a d r e e la moglie, e n t r a m b e devotissime. Si consultò con monsig n o r C h a r v a z che n a t u r a l m e n t e avallò le tesi d e l P a p a . E allora, d e r o g a n d o alla n o r m a costituzionale, i n t e r v e n n e di p e r s o n a nella q u e s t i o n e c o n v o c a n d o un Consiglio dei Ministri e d i c h i a r a n d o che « p r o n t o a qualsiasi sacrificio, salvo quello della mia coscienza», n o n avrebbe mai firmato quella legge. D'Azeglio n o n si sentì d'ingaggiare battaglia. Era stanco. D o p o tre a n n i di governo, la sua r i p u g n a n z a al p o t e r e , che d a p p r i n c i p i o era stata soltanto u n a civetteria e u n ' o s t e n t a zione, era diventata realtà. «Colla mia g a m b a , - scriveva al nipote - colla vita che fo, più a letto che in piedi, e colla depressione che ne consegue pel fisico e pel morale, ho la coscienza di fare p i ù di q u a n t o mi c o n s e n t o n o le mie forze.» Ai triboli della ferita, che n o n gli si era mai del tutto rimarginata, si a g g i u n g e v a n o quelli della gotta. Ma forse ancora più d e t e r m i n a n t e e r a n o la coscienza di aver esaurito il suo compito e il desiderio di «chiudere in bellezza», cioè p e r u n a causa che gli facesse o n o r e . La difesa delle leggi Siccardi e del m a t r i m o n i o civile faceva p r o p r i o al suo caso di campione del liberalismo. E p e r restare fino in fondo fedele ai p r o p r i i m p e g n i di g r a n signore - qual era - p r o p o s e egli stesso, come successore, Cavour. Questi, in attesa degli eventi, si era rintanato a Leri. Bruciava d'impazienza. E p p u r e q u a n d o il Re, d o p o molte esita320
zioni, lo convocò e gli offrì l'incarico a patto che s'impegnasse a risolvere quella p e n d e n z a d'accordo con la Santa Sede, o p p o s e un rifiuto, e invano il Re cercò di p e r s u a d e r l o m a n d a n d o g l i Charvaz. Sicuro di avere o r m a i il giuoco in m a n o , Cavour consigliò al Re di rivolgersi a Balbo, che condizionò la p r o p r i a accettazione a quella di Revel. Ma il reazionario gentiluomo si dimostrò molto più gentiluomo che reazionario e p i ù attaccato alle istituzioni p a r l a m e n t a r i di p a r e c c h i democratici. «Devo riconoscere - rispose - che nella C a m e ra, che è l'espressione legale della pubblica o p i n i o n e , n o n p o t r e i o t t e n e r e la maggioranza.» E declinò l'offerta, trascin a n d o nel ritiro a n c h e Balbo. Il Re doveva r i m p i a n g e r e di essersi cacciato in quell'impiccio, che o r a n o n sapeva p i ù c o m e risolvere. Il g i o r n a l e L'opinione p o n e v a il d i l e m m a in t e r m i n i chiari: «O si vuol ced e r e d i n a n z i a R o m a e c o m p r o m e t t e r e lo Stato, e si scelga La Tour; o si vuol sostenere i diritti e l'onore del Paese, e si scelga Cavour. N o n c'è via di mezzo». Era p r o p r i o l'alternativa di cui C a v o u r aveva p r e v i s t o la s c a d e n z a q u a n d o e r a uscito dal governo. Il 2 n o v e m b r e il Re lo richiamò, e gli fece la solita p r o p o sta condizionata. Parlò fuor dei d e n t i , e C a v o u r c o m p r e s e che un n u o v o fiasco avrebbe p o t u t o spingerlo a qualche colpo di testa c o n t r o le istituzioni p a r l a m e n t a r i . Invece di o p p o r r e u n s e c o n d o netto rifiuto, p r o p o s e u n c o m p r o m e s s o : il g o v e r n o avrebbe p r e s e n t a t o la legge senza p o r r e la cosiddetta «questione di fiducia», cioè d e c l i n a n d o n e la responsabilità. C a m e r a e Senato e r a n o liberi di e s p r i m e r e il loro voto: il g o v e r n o se ne lavava le m a n i c o m e di cosa n o n sua. Il Re accettò la scappatoia, e l ' i n d o m a n i C a v o u r gli p r e s e n t ò la lista dei Ministri. E v i d e n t e m e n t e , l'aveva in tasca da un pezzo. Così nacque, il 4 n o v e m b r e del '52, quello che poi v e n n e chiamato «il g r a n d e Ministero», destinato a restare in carica fino al c o m p i m e n t o d e l l ' u n i t à n a z i o n a l e , di cui fu il vero protagonista. 321
Cognasso dice ch'esso fu il frutto della «prima m a n o v r a di corridoio della nostra vita p a r l a m e n t a r e » , e su questo giudizio, che suona a discredito di Cavour, molti altri storici conc o r d a n o , a n c h e Mack Smith. C h e ci sia del vero n o n si p u ò negarlo, ma bisogna intenderci. C a v o u r era anche un m a n o vratore, m a n o n e r a soltanto u n m a n o v r a t o r e , c o m e Rattazzi. U o m o politico completo, della politica egli accettava tutto, a n c h e gli aspetti d e t e r i o r i : gli o p p o r t u n i s m i , i d o p p i giuochi, i colpi bassi. N o n c'è d u b b i o che con D'Azeglio si c o m p o r t ò i n m a n i e r a a m b i g u a , c o l l a b o r a n d o c o n lui p e r scalzarlo e falciargli l'erba sotto i piedi. Lo fece fin dal p r i mo g i o r n o dell'ingresso nel suo ministero, s e g u e n d o un piano f r e d d a m e n t e calcolato, e senza p r o v a r n e n e s s u n t u r b a m e n t o di coscienza. Ma il suo n o n e r a volgare arrivismo. Cavour n o n si p r o p o n e v a il p o t e r e p e r il p o t e r e . Se lo p r o p o n e v a c o m e lo s t r u m e n t o necessario a realizzare un d i s e g n o , la cui g r a n dezza e nobiltà giustificavano qualsiasi e s p e d i e n t e . Aveva p e r f e t t a m e n t e capito c h e il P i e m o n t e e la sua M o n a r c h i a e r a n o impegnati in u n a lotta col t e m p o : se n o n fossero riusciti ad a t t i r a r e e a r r u o l a r e sotto le l o r o b a n d i e r e i movim e n t i democratici e rivoluzionari italiani, a v r e b b e r o p e r s o l'iniziativa dell'unificazione n a z i o n a l e . Ecco p e r c h é aveva fretta. Nell'ultimo viaggio a Parigi aveva p r e s o contatti con alcuni fuorusciti. Forse seguitava a p e n s a r e di loro c h ' e r a n o un b r a n c o di pazzi fanatici d i s s e n n a t i , di cui volentieri a v r e b b e fatto concime p e r le s u e barbabietole, c o m e aveva scritto tanti a n n i p r i m a . Ma o r a n o n lo diceva più. Capiva che doveva strumentalizzarli, e perciò aveva «aperto a sinistra». Il senso del famoso connubio e r a questo. Forse di Rattazzi p e n s a v a , sotto sotto, ciò c h e ne p e n s a v a D'Azeglio, e infatti finì col d i r n e a n c h e di p e g g i o . Ma l'alleanza con lui serviva a r o m p e r e l'opposizione democratica, isolandone la p u n t a massimalista alla Brofferio, che infatti da allora n o n contò più nulla. C a v o u r sapeva che di u n a simile operazione D'Azeglio e r a incapace, n o n c h é di farla, perfino di con322
cepirla. Per questo bisognava strappargli le redini di m a n o . Certo, la m a n o v r a di corridoio c'era stata, e sporca. Ma Cav o u r n o n era, come il suo rivale, un dilettante della politica. Era un professionista, che della professione accettava tutto, a n c h e le sporcizie. «E stato il p i ù bell'atto della mia vita» diceva del connubio. E di questa s p r e g i u d i c a t e z z a t r o v e r e m o conferma ad ogni svolta della sua favolosa carriera, insieme a quella della sua irriducibile tenacia, della sua instancabile i m m a g i n a z i o n e , del suo t e m e r a r i o coraggio. Si è d e t t o che ebbe anche fortuna. Certo. Ma nessuno seppe provocarla c o m e q u e s t o spericolato g i u o c a t o r e d ' a z z a r d o , d i s p o s t o a tutto, a n c h e al bluff, e qualche volta persino al b a r o . Lo stesso D'Azeglio si r e n d e v a conto delle superiori qualità dell'«empio rivale», c o m e lo chiamava fra il serio e il faceto, ma p i ù sul faceto che sul serio. Tant'è vero che n o n gli serbò mai r a n c o r e . N e m m e n o la sconfitta era riuscita ad a p p a n n a r e l'eleganza m o r a l e di quel g r a n signore un po' svogliato, ma diritto e onesto fino al c a n d o r e . Sapeva di n o n essere p i ù l ' u o m o del m o m e n t o . Ma sapeva a n c h e di esserlo stato e di aver reso al Paese un grosso servigio t r a e n d o l o dal m a r a s m a della disfatta, p r o c u r a n d o g l i u n a onorevole pace, r i a l z a n d o n e il credito internazionale e avviandolo alla ricostruzione. E questo gli bastava. Q u a n d o Vittorio E m a n u e l e gli offrì, in p r e m i o della sua o p e r a , il Collare dell'Annunziata, che f o r m a l m e n t e lo avrebbe reso «cugino» del Re, lo rif i u t ò d i c e n d o che u n R e n o n p o t e v a avere p e r c u g i n o u n o che d i p i n g e v a e vendeva q u a d r i , né lui si sentiva di r i n u n ziare a questa lucrosa attività o r a che il suo p a t r i m o n i o e r a a n d a t o a m a l e : «Li v e n d o b e n e - disse - p e r c h é q u a d r i di un ex-Presidente del Consiglio, in tutto il globo ci sono soltanto io a farne». All'amico R e n d u scrisse a n n u n z i a n d o g l i il suo r i t i r o : «Lascio il m i o b a n c o di g o v e r n o a un altro, che voi conoscete. È d'un'attività diabolica e rotto a tutto, di corpo e di spirito. Eppoi, ci si diverte tanto!»
CAPITOLO VENTINOVESIMO
LA DIASPORA D E M O C R A T I C A
Cavour aveva b u o n e ragioni di p r e o c c u p a r s i del m o v i m e n to democratico rivoluzionario. Le repressioni seguite in tutti gli Stati italiani - salvo il P i e m o n t e - ai moti del '48 e del '49 ricacciavano i patrioti nelle società segrete, li spingevano all'estremismo, e Mazzini era b e n deciso ad approfittarne. Già nei dieci giorni che aveva trascorso a R o m a d o p o la c a d u t a della Repubblica, egli aveva gettato le basi di un'Associazione Nazionale, che doveva sostituire la Giovine Italia. Poi, a p p e n a r i e n t r a t o a Ginevra, si e r a messo al lavoro col consueto febbrile i m p e g n o p e r raccogliere sotto la sua direzione tutte le forze che si richiamavano ai princìpi unitari e repubblicani. Le ultime esperienze lo avevano convinto che in tutta E u r o p a c'era un forte spirito rivoluzionario che aveva bisogno soltanto di coordinazione. «Noi oppressi - scriveva - siamo più forti degli oppressori. Se alla lega dei Principi, riusciamo a c o n t r a p p o r r e u n a Santa Alleanza dei p o poli, abbiamo vinto.» C o n questa certezza si diede a costituire un Comitato Democratico E u r o p e o , da cui le singole Associazioni Nazionali avrebbero d o v u t o d i p e n d e r e . Il suo compito doveva essere l a pianificazione d i u n ' i n s u r r e z i o n e g e n e r a l e , c h e i m p e gnasse nello stesso m o m e n t o tutte le forze repressive in mod o c h e q u e s t e n o n p o t e s s e r o soccorrersi l ' u n a c o n l'altra, c o m e avevano fatto francesi, austriaci e borbonici c o n t r o la Repubblica R o m a n a . A farne parte Mazzini chiamò un francese, un tedesco, un polacco, e con essi redasse un Manifesto illustrativo del p r o g r a m m a . Ma a questo p u n t o sorsero le p r i m e difficoltà. I fuorusci324
r i delle varie nazionalità, c h e a v r e b b e r o d o v u t o p e r p r i m i a d e r i r e , c o n t e s t a r o n o sia il c o n t e n u t o del Manifesto c h e i n o m i degli autori. C e r t a m e n t e c'erano di mezzo quelle rivalità e b e g h e personali che h a n n o s e m p r e a m m o r b a t o tutti i fuoruscitismi. M a c ' e r a n o a n c h e d e i sostanziali c o n t r a s t i ideologici, di cui Mazzini c o m m e t t e v a l'errore di n o n p r e n d e r e atto o di sottovalutare l'importanza, tacciando ogni dissenso di «fazione». L'attacco più velenoso gli v e n n e da M a r x ed Engels, i quali n o n concepivano altra lotta che quella di classe e consideravano quella p e r l'unità nazionale predicata da Mazzini u n a «truffa borghese». Ma a n c h e negli ambienti italiani l'opposizione fu vivace, ed e r a logico, p e r c h é a n c h e in essi certe idee socialiste erano p e n e t r a t e in forza degli stessi avvenimenti. Nelle rivoluzioni del '48 e del '49 u n a c o m p o n e n t e classista c'era stata. Le masse p o p o l a r i che vi avevano p r e s o p a r t e , specialmente a Milano, e r a n o insorte n o n soltanto contro gli austriaci, ma a n c h e c o n t r o i «sciuri», c o n t r o i signori, a g g i u n g e n d o a quella patriottica un'istanza giustizialista, cui Mazzini seguitava a restare piuttosto s o r d o . N o n che la respingesse. Anzi. Ma la s u b o r d i n a v a a quella nazionale, l'unica p e r cui il suo c u o r e seguitasse a p a l p i t a r e . E lo si sentiva b e n i s s i m o n e l Manifesto che p e r gl'italiani egli lanciò da L o n d r a alla fine del '50, con le solite p a r o l e d ' o r d i n e : Libertà, I n d i p e n d e n za, Unificazione. Il p r i m o a ribellarglisi fu Ferrari, che gli scrisse: «Vidi con dolore i vostri manifesti. Mesi fa vi dicevo che temevo di ved e r r i c o m p a r i r e nuovi Balbo e n u o v i Gioberti con altri n o mi e sotto a l t r e f o r m e . O g g i il n u o v o G i o b e r t i , ve lo dico francamente, si chiama Mazzini». Forse sotto queste p a r o l e ricicciava a n c h e la vecchia r u g g i n e lasciata dal litigio di Milano. Ma n o n solo questa. Ferrari, che viveva in Francia da tanti a n n i e ne aveva p r e s o a n c h e la nazionalità, le idee socialiste le aveva assorbite e m a t u r a t e in un suo p r o p r i o sistema, incompatibile con quello di Mazzini. Secondo lui, «la libertà, la sovranità, l ' i n d i p e n d e n z a n o n sono che m e n z o g n e 325
là dove il ricco schiaccia il povero». Ma poi, aggiungeva, com e t e n t a r e u n a rivoluzione n a z i o n a l e i n u n Paese d o v e d i nazionale n o n c'è nulla? Gli Stati italiani si sono formati, ciascuno secondo un processo storico suo p r o p r i o , o r m a i irreversibile. La rivoluzione va fatta all'interno di o g n u n o di essi p e r istituirvi delle repubbliche socialiste, che in un futuro più o m e n o l o n t a n o p o t r a n n o anche unirsi, ma questo è del t u t t o s e c o n d a r i o . Tale d o v r e b b ' e s s e r e il p r o g r a m m a di un «partito sociale» che parli alle masse il l o r o linguaggio, ma che n o n deve illudersi di «fare da sé». Perché Ferrari, c o m e B u o n a r r o t i , era convinto che l'iniziativa rivoluzionaria spettasse, p e r u n a specie di divina investitura, alla Francia, e che la Francia del '51 stesse infatti p e r riassumerla. La Francia gli rispose plebiscitando N a p o l e o n e p r i m a Presidente della Repubblica, e p p o i , a n c o r a più massicciamente, I m p e r a t o r e . Ma Ferrari t e n t ò u g u a l m e n t e di lanciare insieme a C e r n u schi il suo partito, e ne offrì la g u i d a all'uomo che considerava più vicino alle s u e idee e c h e godeva in c a m p o d e m o cratico di maggior prestigio: Cattaneo. C a t t a n e o , d o p o le C i n q u e G i o r n a t e , si e r a r i t i r a t o nel C a n t o n Ticino e dirigeva la Tipografìa Elvetica di Capolago, che fu forse la più i m p o r t a n t e fucina editoriale in lingua italiana di questo p e r i o d o . Anche Mazzini si era rivolto a lui sollecitandolo a e n t r a r e nel suo Comitato. Ma Cattaneo, p u r manifestandogli la sua simpatia e d a n d o g l i alcuni consigli, se n ' e r a s c h e r m i t o . E d o p o aver letto il Manifesto, scrisse a Cernuschi: «Io, fo da sé. Mazzini ha s e m p r e s a p u t o mettersi sull'altare. Ha il m e r i t o della probità, della perseveranza, e del sapersi sedere sulla p r i m a scranna. Ma n o n sa variare; è u n a predica continua. Spero che Ferrari venga qui per la stampa delle sue cose». Ferrari accorse subito, convinto che l'amico avrebbe aderito al suo partito, ma a n c h e lui lo trovò r e n i t e n t e . Cattaneo n o n r i t e n e v a i m m i n e n t e la r i v o l u z i o n e in E u r o p a e t a n t o m e n o in Francia, e n o n si sentiva affatto tagliato al lavoro organizzativo. «Se mi avvolsi nel diavolezzo dei cinque gior326
ni - aveva scritto a Gustavo M o d e n a - fu p e r lo s d e g n o che mi fece la d a p p o c a g g i n e dei m a g g i o r e n t i e dei loro barbieri, e p e r c h é mi vi tirò p e r i p a n n i quel buttafuori di Cernuschi, e mi mise in p u n t o di far l'eroe p e r 48 ore.» La missione che si assegnava e r a u n ' a l t r a : un r i e s a m e storico-politico degli ultimi a v v e n i m e n t i p e r cercarvi u n a diversa i m p o s t a z i o n e del p r o g r a m m a democratico. Ma a questi motivi se n ' a g g i u n g e v a un altro, più sostanziale: ed e r a la divergenza delle sue idee da quelle di Ferrari. E n t r a m b i e r a n o federalisti c o n t r o l'unitarismo di Mazzini. Ma la Federazione la v e d e v a n o in m a n i e r a assai diversa. Ferrari accettava gli Stati italiani quali e r a n o , e mirava solo a un c a m b i a m e n t o di r e g i m e i n t e r n o . C a t t a n e o li rifiutava, m i r a n d o a un'organizzazione alla svizzera di «Cantoni» p o co p i ù che municipali. Ma c'era di più e di peggio: m e n t r e F e r r a r i e r a socialista, C a t t a n e o n o n lo e r a affatto, anzi e r a p r o p r i o il contrario. Secondo lui - e qui sta l'essenza del suo p e n s i e r o e la sua attualità -, l'Italia doveva t u t t o r a c o m p i e r e la sua rivoluzione capitalista, di cui l ' i n d i p e n d e n z a n o n sar e b b e stata c h e u n a t a p p a , e n o n la p i ù u r g e n t e . Il socialismo, diceva pressappoco, insorge nei Paesi nei quali il capitalismo ha svolto ed esaurito il suo processo, di cui il socialismo r a p p r e s e n t a la fase conclusiva. Farlo in un Paese in cui q u e s t o sviluppo n o n c'è stato, significa n o n solo m e t t e r e il c a r r o davanti ai buoi, ma avviarlo al fallimento. U n a società precapitalista è fatalmente u n a società sottosviluppata, fatta di masse miserabili e analfabete incapaci d ' i n t e n d e r e qualsiasi messaggio, a n c h e socialista. Lasciamo q u i n d i che il capitalismo p r i m a le riscatti, le m a n d i a scuola, dia l o r o u n a coscienza, a l m e n o di classe: s a r a n n o esse a fare il socialismo, q u a n d o c a p i r a n n o cos'è. F e r r a r i n o n si d i e d e p e r vinto, e cercò di a t t i r a r e nelle sue reti Montanelli, esule a Parigi d o p o il fallimento della sua Repubblica Toscana. Sapeva che a n c h e lui aveva rifiutato l'adesione al C o m i t a t o di Mazzini, sapeva che a n c h e lui e r a federalista, sapeva che a n c h e lui aspettava il «la» dalla 327
Francia. Ma M o n t a n e l l i , g r a n g a l a n t u o m o e ricco d ' i n g e g n o , n o n lo era altrettanto di carattere. I d e e ne aveva, anzi ne aveva t r o p p e ; ma, facilmente suggestionabile, finiva semp r e p e r a d o t t a r e quelle dell'ambiente in cui viveva. A Parigi, aveva a n n o d a t o strettissima amicizia con L a m e n n a i s , che si era messo a capo di u n a c o r r e n t e ereticale del m o v i m e n t o d e m o c r a t i c o , e c o n lui aveva fondato un C o m i t a t o L a t i n o , che si c o n t r a p p o n e v a a quello di L o n d r a e che pubblicò anch'esso il suo b r a v o Manifesto: un d o c u m e n t o n e b u l o s o e a m b i g u o che Mazzini qualificò, con ragione, «un pasticcio». Tutti questi contrasti fecero fallire il tentativo di raccogliere in un unico p a r t i t o le forze d e m o c r a t i c h e dissidenti da Mazzini. Lo stesso Cernuschi se ne stancò, lasciò la politica, p r e s e la cittadinanza francese, speculò in borsa, fece un mucchio di quattrini, e diventò b a n c h i e r e . Però, sebbene arr o v e n t a t o da a n i m o s i t à e m e s c h i n e a m b i z i o n i di p r i m a t o personale, quel dibattito a qualcosa era servito: a ribadire e a meglio chiarire che, se n o n si trovava il m o d o d'interessare alla causa nazionale le masse popolari, il m o v i m e n t o dem o c r a t i c o a v r e b b e d o v u t o p e r forza di cose r a s s e g n a r s i a u n a posizione subalterna nei confronti delle forze m o d e r a t e e mettersi al r i m o r c h i o della loro iniziativa c o m e difatti poi avvenne. Anche se il socialismo n o n serviva, c o m e sosteneva Cattaneo (e q u a n t o avesse ragione, lo avrebbe dimostrato di lì a p o c o il sacrificio di Pisacane), un a g g a n c i o con q u e s t e masse b i s o g n a v a t r o v a r l o . Lo stesso Mazzini lo c o m p r e s e . Egli seguitò ad a n t e p o r r e quello dell'unità e d e l l ' i n d i p e n d e n z a nazionale ad ogni altro obbiettivo. Ma con p i ù chiarezza avvertì l'esigenza di a t t r a r r e nel m o t o i ceti popolari. E la perseguì a n c h e nell'azione pratica. Gli attacchi di cui e r a stato bersaglio a v e v a n o a v u t o un riflesso a n c h e nel s u o C o m i t a t o d i L o n d r a . Sirtori n e e r a uscito accusando Mazzini di dittatorialismo, e Saliceti lo aveva seguito. Ma di q u e s t e b e g h e fra fuorusciti si e r a s a p u t o poco in Italia, dove il prestigio d e l l ' u o m o , d o p o la R e p u b blica R o m a n a , era fortemente risalito. Per q u a n t o facessero 328
e dicessero i suoi avversari, la «presenza» di Mazzini aveva b e n altro peso, e fra poco sarebbe stato chiaro a tutti ch'essa e r a la sola da potersi c o n t r a p p o r r e a quella di Cavour. L'uno g a u d e n t e , spregiudicato, realista, l'altro ascetico, puritan o , idealista, a n c h e sul p i a n o u m a n o i d u e r a p p r e s e n t a v a n o un'antitesi. Ma in c o m u n e avevano la dedizione alla Causa, e la capacità di c o n c e n t r a r v i inesauribili energie. E n t r a m b i e r a n o parecchie s p a n n e al di sopra degli altri e dello stesso Paese che volevano costruire. Mazzini d u n q u e ricostituì il suo C o m i t a t o c h i a m a n d o v i altri u o m i n i e allacciò contatti con gli e s p o n e n t i di quei m o vimenti rivoluzionari stranieri che, al p a r i del suo, miravano p i ù al riscatto nazionale che a quello di classe, come quello polacco e quello u n g h e r e s e . Il colpo di Stato di Napoleone, lungi dal d e l u d e r l o , gli forniva b u o n e a r m i p e r confond e r e i Ferrari, i Montanelli e q u a n t i si ostinavano a s p e r a r e nell'iniziativa rivoluzionaria francese. «L'iniziativa di F r a n cia è spenta, spenta dal 1815 in poi. L'iniziativa e u r o p e a vive oggi nell'alleanza dei popoli che h a n n o bisogno di farsi o rifarsi Nazioni», scriveva. Attraverso la centrale di G e n o v a che poteva agire abbastanza liberamente, riuscì a richiamare sotto le p r o p r i e b a n diere quasi tutte le forze democratiche e a ricostituirne l'organizzazione. Questa si rivelò abbastanza forte a R o m a e n e gli Stati pontifici, dove la r e p r e s s i o n e e r a p a r t i c o l a r m e n t e feroce e alimentava il r i m p i a n t o della Repubblica, nel L o m b a r d o - V e n e t o , e p e r la p r i m a volta m e t t e v a salde radici in Toscana. A n c h e con la Sicilia furono stabiliti b u o n i collegamenti. L'unico che n o n rispose all'appello fu il Mezzogiorno continentale, dove la cospirazione si e r a di n u o v o rintanata nelle sètte c a r b o n a r e o derivate dalla Carboneria. Nel '52 Mazzini c r e d e t t e di a v e r e a b b a s t a n z a forze p e r t e n t a r e un colpo, e p r e s e accordi con Kossuth, il suo equivalente u n g h e r e s e , esule a n c h e lui a L o n d r a , p e r coordinare le d u e insurrezioni. L'estendersi della organizzazione n o n poteva sfuggire alle polizie cui n o n bisognava d a r e il t e m p o 329
di scompaginarla. Specie nel Lombardo-Veneto c'erano già state delazioni, r e t a t e e fucilazioni. Bisognava d u n q u e far p r e s t o . Ma q u a n d o si trattò di fissar date, sorsero contrasti col Comitato di G u e r r a istituito a Genova. In esso figuravano alcuni degli u o m i n i che più si e r a n o illustrati nella difesa di R o m a e di Venezia: Medici, Cosenz, Pisacane. D'accordo con altri influenti patrioti, come Bertani e Mordini, essi contestarono la decisione del C a p o e t e n t a r o n o di portargli via le t r u p p e d a n d o vita a un n u o v o m o v i m e n t o d e m o c r a t i c o . Ma contro di loro si schierarono le «fratellanze» artigiane e o p e r a i e di Milano, e q u i si vide a p p u n t o q u a l e successo avesse riportato Mazzini con la sua n u o v a impostazione sociale, a n c h e se n o n socialista. M e n t r e gli elementi borghesi si m o s t r a v a n o scettici e restii all'azione, e r a n o stati p r o p r i o questi p o p o l a n i a sollecitarla a s s i c u r a n d o che avevano tremila uomini p r o n t i a i m p u g n a r e le armi. Mazzini accorse a L u g a n o p e r r e n d e r s i conto della situazione. C a p ì c h e , d a t a la discordia degli a n i m i , il tentativo e r a azzardato. Ma capì a n c h e che la rinunzia o il rinvio sar e b b e r o stati catastrofici, e fissò il «via» al 6 febbraio (del '53). I B a r a b b a , c o m e si c h i a m a v a n o gli o p e r a i di Milano, d o v e v a n o assalire a l l ' a r m a b i a n c a i c o r p i di g u a r d i a delle caserme q u a n d o i soldati e r a n o in libera uscita, i m p a d r o n i r si delle armi e, d o p o averne occupati i p u n t i strategici, sollevare la città. La consegna fu rispettata, ma senza la necessaria decision e . Sfiduciati dalla renitenza dei borghesi, solo alcune centinaia di kamikaze si g e t t a r o n o nella mischia. La zuffa fu violenta. U n a sessantina di austriaci r i m a s e r o sul selciato, tra m o r t i e feriti. Agl'insorti, le maggiori p e r d i t e le inflissero le forche drizzate nei giorni successivi in tutta la L o m b a r d i a . Q u i n d i c i p o p o l a n i vi f u r o n o a p p e s i , a Belfiore salirono il patibolo Tito Speri, Carlo M o n t a n a r i e il sacerdote Grazioli, le c o n d a n n e a vita e ai lavori forzati n o n si c o n t a r o n o . Ma a n c o r a u n a volta il p o p o l o aveva d a t o s e g n o della sua p r e senza nella lotta p e r l'indipendenza. 330
Sulla testa di Mazzini, che alla frontiera di Chiasso aveva invano atteso di esser chiamato a Milano, si scatenò la tempesta. Le accuse che gli v e n n e r o lanciate e r a n o le solite: il p a d r e t e r n i s m o , l'improvvisazione, la d i s i n v o l t u r a con cui giuocava col s a n g u e altrui. Ma esse forse ne sottintendevano un'altra: di aver voluto cambiare cavallo affidandosi più alle forze p o p o l a r i che a quelle borghesi. In seno all'Associazione le scissioni piovvero. E stavolta si verificarono n o n più sulla sinistra dello schieramento democratico c o m ' e r a avven u t o d u e a n n i p r i m a con F e r r a r i , M o n t a n e l l i e tanti altri, ma sulla d e s t r a , d o v e u n a n u t r i t a p a t t u g l i a saltò il fosso e s ' i m b r a n c ò coi m o d e r a t i , c h e f u r o n o i veri beneficiari di quel fallimento. Mazzini rimase l'irreducibile Mazzini di s e m p r e . Alle accuse rispose in un o p u s c o l o Agl'Italiani c o n c o n t r o a c c u s e , i m p u t a n d o il fiasco alla renitenza di chi si era dissociato dalle «fratellanze» (alludeva s o p r a t t u t t o al C o m i t a t o di G e n o va), sciolse la sua organizzazione di L o n d r a , e a n n u n c i ò la nascita di un n u o v o partito, il Partito d'Azione, a p e r t o solo a chi d i a g i r e p r e n d e s s e i m p e g n o senza riserve. I n v e c e d i combatterla, accettava d u n q u e la dissidenza, c o m e u n a b e nefica p u r g a . Ai molti incerti preferiva i pochi decisi p e r farne la forza t r a e n t e della rivoluzione. E fra questi pochi, malg r a d o il fallimento del 6 febbraio, rimase u n a pattuglia abbastanza folta di o p e r a i e artigiani. Per q u a n t o i suoi avversari dicessero della sua sordità ai p r o b l e m i sociali, Mazzini era ancora l'unico agitatore italiano che avesse, sia p u r e modesto, u n seguito p o p o l a r e . A r r i v a t o a L o n d r a , c o m e s e m p r e gli a c c a d e v a d o p o le forti tensioni, crollò. Si sentiva «maledetto da tutti», n o n voleva uscir di casa, e i suoi amici t e m e t t e r o che si suicidasse. Solo gli Ashurst avevano accesso a lui, e furono soprattutto loro che lo trassero da quella crisi. L o r o e la chitarra.
CAPITOLO TRENTESIMO
N A P O L E O N E E LO ZAR
Q u a n d o N a p o l e o n e , sulla fine del '52, c o m p ì il suo colpo di Stato p r i m a a s s u m e n d o p e r dieci a n n i i pieni p o t e r i c o m e P r e s i d e n t e della Repubblica, e poi p r o c l a m a n d o s i I m p e r a tore, i governi e u r o p e i s ' i n t e r r o g a r o n o inquieti. A far p a u ra n o n e r a l'uomo, ma il n o m e che p o r t a v a e ciò ch'esso p o teva risvegliare nel c u o r e dei francesi che lo avevano e n t u siasticamente plebiscitato. Si p r e p a r a v a n o alla rivincita di Waterloo? N a p o l e o n e c a l m ò subito l e a p p r e n s i o n i , s c h i e r a n d o s i dalla parte dei regimi conservatori e assicurandoli che il suo obbiettivo era la pace e il m a n t e n i m e n t o dell'ordine c o n t r o ogni tentativo rivoluzionario. Lo stesso Cavour, d o p o aver p r a n z a t o con lui insieme a Rattazzi, scrisse a un amico: «Siamo a l l ' I m p e r o , e per ora a un I m p e r o pacifico». N a t u r a l m e n t e n o n ne e r a affatto c o n t e n t o p e r c h é tutte le sue sper a n z e di p i e m o n t e s e e r a n o riposte nell'iniziativa diplomatica e militare francese. Ma, a salvarle, c'era quelle?- ora. In realtà, e r a diffìcile p e n e t r a r e le i n t e n z i o n i di q u e l complesso e sfuggente personaggio che n o n p e r nulla chiam a v a n o «la sfinge». C h e nelle sue vene scorresse s a n g u e napoleonico, è dubbio. All'anagrafe, risultava figlio dell'ex-Re d ' O l a n d a Luigi B o n a p a r t e , fratello del g r a n d e condottiero. Ma p a r e che sua m a d r e , Ortensia, d e g n a figlia di Giuseppina, lo avesse avuto da un a m a n t e . Era stato allevato in Svizzera nella religione del g r a n d e zio, ma n o n ne e r a considerato il legittimo successore, p e r c h é nella lista dei p r e t e n d e n ti a questo titolo figurava al terzo posto. Al p r i m o veniva nat u r a l m e n t e il Duca di Reichstadt, l ' e r e d e che N a p o l e o n e 332
aveva avuto da Maria Luigia d'Austria e che Metternich teneva sequestrato a Vienna. Al s e c o n d o c'era il suo p r o p r i o fratello maggiore, che si chiamava anch'egli N a p o l e o n e . Ma e n t r a m b i m o r i r o n o giovanissimi. E questo fece di lui il principe ereditario della dinastia e l'indiscusso capo del p a r t i t o bonapartista. Dalla Svizzera si e r a trasferito in Italia, dove lo abbiamo già i n c i d e n t a l m e n t e i n c o n t r a t o , fra R o m a e R o m a g n a , d u r a n t e i moti del ' 3 1 . Più che p e r simpatie ideologiche, forse si era imbrancato fra gl'insorti p e r spirito di avventura, ma più ancora p e r mettersi in qualche m o d o in luce agli occhi dei francesi e far p a r l a r e di sé. Il g o v e r n o di Luigi Filippo era a d d i r i t t u r a ossessionato dal fantasma bonapartista, e ne aveva b u o n i motivi. Q u e l n o m e esercitava un magico fascino su un Paese s e m p r e più stanco del piatto benessere borghese c h e il r e g i m e gli assicurava. N a p o l e o n e lo sapeva, e perciò coglieva tutti i pretesti p e r ricordare ai francesi la sua presenza. Nel '36, c r e d e n d o che il m o m e n t o fosse m a t u r o , r i e n t r ò c l a n d e s t i n a m e n t e in p a t r i a a t e n t a r v i u n a sollevazione. Il colpo fallì, ma Luigi Filippo, c h e n o n voleva far di lui un m a r t i r e , si limitò a espellerlo. N a p o l e o n e ci r i p r o v ò nel '40, fallì di n u o v o , e stavolta fu r i n c h i u s o nel castello di H a m . Vi rimase sei a n n i , e fu quella - c o m e egli stesso ebbe a d i r e p i ù t a r d i - la sua Università. Più che da p r i g i o n i e r o , vi fu trattato da ospite di lusso. Ma la solitudine sviluppò a n c o r a di più in lui la p r o p e n s i o n e alla fantasticheria. N a p o l e o n e fu p e r tutta la vita un a u d a c e architetto di piani grandiosi, ma s e m p r e abbozzati all'ingrosso. Q u a n d o si trattava di rifinirli e p o r t a r l i sul p i a n o c o n c r e t o , la sua azione si faceva esitante e c o n t r a d d i t t o r i a . Si sentiva un p r e d e s t i n a t o , e ne aveva visto la c o n f e r m a nella s c o m p a r s a d e l c u g i n o e d e l fratello. N o n si sa se fosse stato v e r a m e n t e affiliato alla C a r b o n e ria. Ma i r a p p o r t i che ebbe coi cospiratori italiani e il tirocinio che fece nelle loro fila gli avevano lasciato addosso il gu333
sto della segretezza e dell'intrigo. Fisicamente, n o n faceva n e s s u n a impressione, anzi ne faceva u n a sgradevole: i tratti e r a n o quelli, u n p o ' volgari, d e l francese m e d i o , l a figura e r a piuttosto curva, il sorriso a m b i g u o , l'occhio o p a c o . Ma chi lo avvicinava restava i n c a n t a t o d a l suo t r a t t o c o r d i a l e , dalla sua brillante conversazione e a n c h e da quel che di misterioso e indecifrabile egli sembrava covare. La sua intellig e n z a e r a fatta s o p r a t t u t t o d ' i m m a g i n a z i o n e , m a u n c e r t o fiuto politico lo aveva, e ne aveva d a t o p r o v a con d u e o p u scoli in cui aveva cercato di c o n d e n s a r e il p r o g r a m m a del n a p o l e o n i s m o . Sul p i a n o ideologico, v a l e v a n o p o c o , anzi nulla: e r a n o un grosso pasticcio di democrazia e di autoritarismo a r g o m e n t a t i alla bell'e meglio. Ma fornivano del grande zio u n ' i n t e r p r e t a z i o n e che consentiva ai francesi di rimp i a n g e r l o c o m e l ' u o m o c h e aveva fatto l a g u e r r a solo p e r d a r e all'Europa la pace, ma u n a pace francese, c o m e ai francesi è s e m p r e piaciuto, fino a De Gaulle: basata sulla «Santa Alleanza dei p o p o l i c o n t r o i Re in antitesi a quella d e i Re c o n t r o i popoli» - u n o slogan pescato nel sacco di Mazzini con un suo bravo p r o g r a m m a di riforme d'ispirazione nett a m e n t e socialista a b b o n d a n t e m e n t e condita di demagogia. I n s o m m a , n o n aveva t r a s c u r a t o n e s s u n o d e g l ' i n g r e d i e n t i necessari ad a l i m e n t a r e nel c u o r e dei francesi la speranza di u n a Francia a n c o r a u n a volta protagonista della storia d'Eur o p a n o n soltanto nel c a m p o diplomatico e militare, ma anche ideologico. Q u a n t o ci fosse riuscito, lo dimostrava la r a p i d i t à e facilità del suo successo. Rientrato in Francia nel '48 alla caduta di Luigi Filippo, i m m e d i a t a m e n t e d e p u t a t o , nel '51 un plebiscito lo designava a schiacciante m a g g i o r a n z a Presidente della Repubblica con pieni p o t e r i p e r dieci a n n i , e un altro l'anno d o p o lo consacrava I m p e r a t o r e . Q u e s t o successo tuttavia aveva d o v u t o m e r c a n t e g g i a r l o con le forze conservatrici. D o p o aver sostenuto Luigi Filipp o , queste lo avevano a b b a n d o n a t o p e r n o n essere coinvolte nella sua caduta, e così avevano p o t u t o m a n t e n e r e le leve 334
del p o t e r e s o p r a t t u t t o e c o n o m i c o . T i m o r o s e d i u n r e g i m e repubblicano che poteva ad ogni m o m e n t o s b a n d a r e in senso socialista, avevano favorito la r e s t a u r a z i o n e d e l l ' I m p e r o c o m e il m i n o r e dei mali. Ma n a t u r a l m e n t e c h i e d e v a n o , come g a r a n z i a , la r i n u n z i a a q u a l u n q u e a v v e n t u r a . E N a p o leone l'aveva d a t a a n c h e p e r c h é la situazione internazionale, che vedeva i conservatori al p o t e r e quasi d o v u n q u e e b e n decisi a m a n t e n e r e l'assetto che i trattati di Vienna del 1815 avevano dato all'Europa, a v v e n t u r e n o n n e consentiva. Ma qui e r a a p p u n t o la c o n t r a d d i z i o n e in cui il n e o - I m p e r a t o r e si dibatteva, e che C a v o u r aveva i n t u i t o . Egli e r a asceso a l t r o n o s u u n ' o n d a t a d i e n t u s i a s m o p o p o l a r e p e r tutto ciò c h e il suo n o m e evocava e che e r a p r o p r i o il cont r a r i o d e l l ' o r d i n e a t t u a l e , i m p o s t o c o n t r o la Francia dalle Potenze vincitrici della Francia; e agli occhi dei francesi incarnava la rivincita che da trentasette a n n i essi aspettavano. Q u e s t o e r a il vero senso del plebiscito. E il p r i m o a c r e d e r e in questa sua missione era p r o p r i o lui, ossessionato dal ricordo e dalla gloria del g r a n d e zio. Ne aspettava solo l'occasione, e l'aspettava c o n i m p a z i e n z a , p e r c h é aveva q u a r a n t a n n i , u n ' e t à a cui il g r a n d e zio aveva già vinto sette g u e r r e e conquistato mezza E u r o p a . Q u e s t a occasione gliel'offrì u n a l t r o p e r s o n a g g i o , n o n m e n o di lui inquieto, ambizioso e avventuroso: lo zar Nicola I di Russia. S o v r a n o p i ù assoluto di q u a n t o lo fossero i Sovrani assoluti d ' E u r o p a a n c h e p e r c h é a quello t e m p o r a l e ass o m m a v a il p o t e r e spirituale c o m e capo della Chiesa o r t o dossa, d e l l ' E u r o p a e del suo o r d i n e costituito egli si considerava l'alto p a t r o n o . Nel '48-'49 e r a stato lui a schiacciare con le sue a r m a t e le rivolte d ' U n g h e r i a e di Polonia, salvando il t r o n o d e l l ' I m p e r a t o r e d'Austria e p u n t e l l a n d o quello del Re di Prussia, che considerava o r m a i p e r s e m p r e legati al suo c a r r o . Parlava un linguaggio biblico p e r c h é a n c h e lui si credeva p r e d e s t i n a t o da Dio a g r a n d i imprese, e a n c h e lui ne aspettava soltanto l'occasione. Q u a n d o N a p o l e o n e c o m p ì il suo colpo di Stato i m p a d r o 335
n e n d o s i della Repubblica, Nicola ne fu c o n t e n t o v e d e n d o v i u n a vittoria della reazione. Ma la restaurazione di un I m p e ro, che p e r di più si richiamava al n o m e del terribile nemico che q u a r a n t a n n i p r i m a aveva invaso la Russia, lo i n d i g n ò . Di tutti i Sovrani, egli fu l'unico che, rivolgendosi al n u o v o v e n u t o nella famiglia dei M o n a r c h i , invece della formula: «Mio signor Fratello», usò quella di «Sire, amico mio»: che, nel galateo dei Re, suonava offesa. N a p o l e o n e rispose indir e t t a m e n t e p o c o d o p o , q u a n d o a n n u n c i ò a l S e n a t o i l suo m a t r i m o n i o con u n a ragazza di s a n g u e n o n reale, E u g e n i a de Montijo: « Q u a n d o in faccia alla vecchia E u r o p a si è saliti in forza di un n u o v o principio all'altezza delle dinastie tradizionali, n o n ci si deve far da esse accettare r e n d e n d o antico il p r o p r i o s t e m m a e c e r c a n d o d'includersi ad ogni costo nella famiglia dei Re; ma ricordandosi s e m p r e della p r o p r i a o r i g i n e , s e r b a n d o il p r o p r i o c a r a t t e r e e a c c e t t a n d o a viso a p e r t o la c o n d i z i o n e dì parvenu: titolo glorioso, q u a n d o si acquista col libero suffragio di un g r a n d e popolo». Ma p r e s t o , a questi dissapori di o r d i n e p e r s o n a l e , si agg i u n s e r o quelli politici. Il g o v e r n o francese sollecitò il ricon o s c i m e n t o di u n a specie di p a t r o n a t o sui cattolici di Palestina, e quello t u r c o , cui la p r o v i n c i a a p p a r t e n e v a , glielo concesse. I m m e d i a t a m e n t e lo zar reclamò un altrettale pat r o n a t o sui greco-ortodossi n o n soltanto di Palestina, ma di t u t t o l ' I m p e r o d e l S u l t a n o , e basta g u a r d a r e la c a r t a geografica p e r capire che cosa questa pretesa implicava. In strag r a n d e m a g g i o r a n z a g r e c o - o r t o d o s s i e r a n o i p o p o l i della penisola balcanica che l ' I m p e r o t u r c o inglobava quasi p e r intero. Riconoscere un p a t r o n a t o dello Zar su di essi significava chiamarlo arbitro dei suoi p r o b l e m i interni. Lo Zar si era indotto a questa mossa p e r un e r r o r e di calcolo. « Q u a n d o sono d ' a c c o r d o con l ' I n g h i l t e r r a - diceva -, gli altri n o n m ' i n t e r e s s a n o . » E q u e s t o a c c o r d o c r e d e v a di averlo r a g g i u n t o in u n a r e c e n t e visita a L o n d r a . «L'Europa ha sulle spalle un u o m o malato» aveva detto agli statisti inglesi a l l u d e n d o alla Turchia, e li aveva invitati a i n c a m e r a r e 336
Egitto e Creta, lasciando a lui il resto. Opposizioni, diceva, n o n c'era da t e m e r n e , p e r c h é l'Austria e la Prussia e r a n o legate al suo carro. Restava la Francia. Ma cosa poteva da sola? Gl'inglesi n o n dissero di sì, ma n o n dissero n e m m e n o categoricamente di no, e questo bastò a spingere lo Zar sulla via dell'avventura. R u p p e le relazioni diplomatiche con la T u r c h i a , e nel '53 fece o c c u p a r e i Principati d a n u b i a n i di Moldavia e Valacchia, che c o r r i s p o n d e v a n o p r e s s a p p o c o all'attuale Romania. I m m e d i a t a m e n t e Francia e Inghilterra inviarono le loro flotte nei Dardanelli. N o n e r a la g u e r r a , era solo u n ' a m m o nizione. Ma q u a n d o , sulla fine del ' 5 3 , la s q u a d r a russa del Mar N e r o sorprese quella turca a Sinope e la distrusse, Parigi e L o n d r a scesero risolutamente in c a m p o c o n c l u d e n d o fra loro un'alleanza a p e r t a a tutte «le p o t e n z e d ' E u r o p a che d e s i d e r e r a n n o entrarci». L'offerta era rivolta s o p r a t t u t t o all'Austria, c h ' e r a la più interessata a i n d i g a r e l'avanzata russa verso Occidente. Ma l'Austria n o n aveva più, alla guida della sua politica, uomini della l e v a t u r a di un M e t t e r n i c h o di u n o S c h w a r z e n b e r g . L ' i m p e r a t o r e Francesco G i u s e p p e aveva v e n t ' a n n i , e il suo ministro degli Esteri, Buoi e r a u n a figura di mezza tacca che si destreggiava male fra le o p p o s t e influenze. Gli ambienti viennesi e r a n o infatti divisi. I progressisti v e d e v a n o nell'es p a n s i o n i s m o r u s s o un p e r i c o l o m o r t a l e . Ma i r e a z i o n a r i , fra i quali m i l i t a v a n o i p i ù g r a n d i capi militari c o m e Radetzky, m e m o r i dell'aiuto che lo Zar aveva loro prestato nel '48 e nel '49 c o n t r o i rivoluzionari d ' U n g h e r i a e di Germania, vedevano in lui il puntello della conservazione. Per sottrarsi a quella diffìcile scelta, Buoi cercò di assumere u n a parte di mediatore convocando a Vienna una conferenza di Ambasciatori delle d u e parti, che n o n concluse nulla. Poi s e m b r ò orientarsi verso un'alleanza con gli occidentali, ma senza convinzione e con interminabili mercanteggiamenti. C o m e contropartita, l'Austria chiedeva l'impeg n o , da p a r t e della Francia, a n o n p r o v o c a r e m u t a m e n t i in 338
Italia, cioè in p a r o l e p o v e r e a n o n fomentarvi ribellioni e a n o n aiutare il Piemonte. E la Francia diede questa garanzia. Ma p r o p r i o in quel m o m e n t o Buoi cambiava idea e operava s o n d a g g i p e r la costituzione, i n s i e m e alla Prussia, di un g r a n d e blocco n e u t r a l e che s'impegnasse a m a n t e n e r e l'ord i n e e u r o p e o . D'accordo con la Turchia, c o n c e n t r ò grosse forze militari ai confini della R o m a n i a o b b l i g a n d o i russi a sloggiarne e p r e n d e n d o n e il posto. E così ficcò un c u n e o tra gli eserciti turco e russo, s p e r a n d o che ciò l'inducesse a un accordo. Ma q u e s t o n o n a v v e n n e , e il c o r p o di s p e d i z i o n e anglo-francese sbarcò in C r i m e a p e r c o m b a t t e r e il n e m i c o sul suo territorio. Buoi r i p r e s e la sua m a n o v r a di avvicinamento agli occidentali e s'impegnò a intervenire p e r i m p o r r e allo Zar la rinuncia al p r o t e t t o r a t o sulla R o m a n i a e a quello sui sudditi greco-ortodossi del Sultano, s e m p r e p o n e n d o c o m e condizione la solita garanzia dei possessi austriaci in Italia. E ancora u n a volta la garanzia gli fu data con u n a convenzione, la quale stabiliva che «le Corti d'Austria e di Francia si obbligano m u t u a l m e n t e ad usare tutti i loro mezzi d'influenza a p r e v e n i r e i tentativi c h e p o t e s s e r o essere diretti in Italia contro l'integrità territoriale degli Stati che la c o m p o n g o n o , m e n t r e consacrano i loro sforzi a risolvere, nell'interesse generale dell'Europa, le complicazioni sorte in Oriente». S e n o n c h é questi sforzi, da p a r t e austriaca, n o n si videro. Buoi seguitò a fare il pesce in barile. E fu questa irresolutezza che c o n s e n t ì a C a v o u r d'inserirsi, al suo p o s t o , nell'alleanza. R i v e d i a m o d u n q u e le cose d a l l ' a n g o l a t u r a di Torino.
CAPITOLO TRENTUNESIMO
LA C R I M E A
S e c o n d o i l Massari, u n a m a t t i n a del g e n n a i o ' 5 4 , C a v o u r disse al Re: «Non p a r e a Vostra Maestà che d o v r e m m o trovar m o d o di p a r t e c i p a r e alla g u e r r a che le p o t e n z e occidentali dichiarano alla Russia?» E il Re, senza pensarci d u e volte: «Se n o n posso andarci io stesso, m a n d e r ò mio fratello». Forse la bellicosità di Vittorio E m a n u e l e e r a frutto p i ù del suo t e m p e r a m e n t o che di un meditato disegno politico. Ma è c o m u n q u e assodato che fin d a p p r i n c i p i o il p i ù interventista di tutti fu lui. Cavour si mostrò molto più cauto anche p e r c h é doveva vedersela con un Consiglio dei Ministri, un P a r l a m e n t o e u n a pubblica opinione e s t r e m a m e n t e divisi e incerti. Molti a v e v a n o s p e r a t o c h e quella g u e r r a fosse un definitivo r e g o l a m e n t o di conti fra il m o n d o progressista e quello reazionario. Ma era difficile dire quale fosse l'uno e quale l'altro, p e r c h é in realtà il conflitto m e t t e v a di fronte d u e regimi - quello russo e quello turco - u g u a l m e n t e assolutisti e oppressori delle nazionalità. Per i liberali n o n c'era d u b b i o : convinti c h e l'Austria si s a r e b b e schierata a fianco della Russia, il blocco reazionario lo v e d e v a n o nella loro alleanza. I democratici e r a n o divisi. Molti di loro, fra i quali Mazzini, r i c o r d a n d o Santarosa e altri volontari italiani morti c o m b a t t e n d o con gl'insorti greci c o n t r o i Turchi, vedevano in costoro la barbarie. E il fatto che dalla loro p a r t e stesse N a p o l e o n e - l'assassino della R e p u b b l i c a francese e di quella r o m a n a - ribadiva questo convincimento. Cavour, che si faceva g u i d a r e n o n dall'ideologia, ma dalla ragion di Stato, si limitava a seguire il giuoco diplomatico in attesa delle occasioni che questo poteva offrirgli. La noti340
zia che la Francia, p e r g u a d a g n a r s i l'appoggio dell'Austria, si era i m p e g n a t a a g a r a n t i r e il suo d o m i n i o in Italia, sembrava p r e c l u d e r e ogni speranza e toglieva ogni a r m a ai fautori dell'intervento. L'unico che seguitava a sostenerne l'opp o r t u n i t à era il Re, cui la g u e r r a piaceva p e r la g u e r r a . Ma C a v o u r e r a t a l m e n t e agitato e d e p r e s s o c h ' e b b e perfino la t e n t a z i o n e di ritirarsi, o a l m e n o cercò di farlo c r e d e r e ai suoi amici francesi e inglesi. Poco d o p o , in qualità di a m b a s c i a t o r e , v e n n e a T o r i n o l'inglese H u d s o n , affezionatissimo al P i e m o n t e e all'Italia. Disse a C a v o u r che l'Austria n o n si d e c i d e v a a i n t e r v e n i r e p e r c h é temeva che il Piemonte ne approfittasse p e r t e n t a r e q u a l c h e c o l p o sulla L o m b a r d i a . Ma a g g i u n s e : «Il vostro esercito è forte di 45.000 u o m i n i . Se vi si chiedesse di diminuirlo di un terzo, voi vi rifiutereste e avreste r a g i o n e . Ma nell'ipotesi che l'Austria, nel d i c h i a r a r e g u e r r a alla Russia, chieda c o m e garanzia della vostra condotta in Italia che voi m a n d i a t e un terzo del vostro esercito a c o m b a t t e r e sul Danubio insieme al suo e ai nostri, voi lo fareste?» «Sì» rispose Cavour senza esitare. A n c o r a u n a volta giuocava d ' a z z a r d o . Egli n o n p o t e v a c e r t a m e n t e i g n o r a l e quali e q u a n t e opposizioni avrebbe suscitato l'idea di m a n d a r e dei soldati piemontesi a combattere insieme a quelli austriaci. Ma capiva che n o n c ' e r a n o alternative. A n c h e nel caso in cui l'Austria avesse partecipato all'alleanza, il P i e m o n t e doveva entrarci. R e s t a n d o n e escluso, si c o n d a n n a v a all'isolamento e n o n a v r e b b e p o t u t o difendere n e m m e n o il suo r e g i m e liberale. «Dopo di me - diceva agli amici in q u e i g i o r n i d ' a n s i a -, p r e p a r a t e v i a Revel.» Lo diceva p e r c h é ne e r a convinto, ma a n c h e p e r convincerli a sostenerlo. Q u a n t o difficile fosse la sua posizione, lo constatò lo stesso H u d s o n , che p r i m a di s p e d i r e il suo r a p p o r t o con la testuale risposta di Cavour, volle m o s t r a r l o al Ministro degli Esteri D a b o r m i d a . Costui allibì. Ma n o n volendo, da persona corretta, manifestare a u n o straniero il p r o p r i o dissenso 341
dal suo P r i m o Ministro, rispose che forse egli ne aveva un p o ' frainteso le p a r o l e , e chiese l ' i m m e d i a t a convocazione del G a b i n e t t o . C a v o u r si trovò di fronte a u n a vera e p r o pria levata di scudi. Di tutti i colleghi, solo Cibrario condivise la sua tesi, ma solo p e r c h é era a n c h e la tesi del Re. Tutti gli altri furono ostili, a n c h e il fido La M a r m o r a , a n c h e Rattazzi, da poco n o m i n a t o Ministro d e g l ' I n t e r n i . E Cavour d o vette b a t t e r e in ritirata, p r e g a n d o H u d s o n di c o r r e g g e r e il dispaccio. T u t t o q u e s t o avveniva p o c h i g i o r n i p r i m a del 10 aprile '54, q u a n d o francesi e inglesi conclusero l'alleanza a p e r t a «a tutte le Potenze d ' E u r o p a che d e s i d e r a n o entrarci». Q u a n do i r a p p r e s e n t a n t i di L o n d r a e di Parigi ne m o s t r a r o n o il testo a D a b o r m i d a , questi formulò voti p e r il loro successo, ma redasse u n a n o t a di netto rifiuto. Il Re a n d ò su tutte le furie, convocò di p e r s o n a l'Ambasciatore francese G u i c h e , gli espresse il p r o p r i o s d e g n o p e r i suoi ministri e i loro «pasticci», e alla fine gli dichiarò t o n d o t o n d o : «Voglio e n t r a r e nella vostra alleanza, e così sarà. E p e r mio o r d i n e che Cav o u r ne ha p a r l a t o , e se b i s o g n e r à c a m b i a r e i Ministri, li c a m b i e r ò : lasciate fare a m e . Mi f a n n o r i d e r e con le loro p a u r e . U n a volta c h e i nostri soldati s a r a n n o mescolati ai vostri, io me ne r i d o dell'Austria». Così a l m e n o riferì Guiche nel suo r a p p o r t o . Venne l'estate. La situazione p e r gli anglo-francesi in Crim e a si fece critica, oltre che p e r la resistenza della fortezza di Sebastopoli, p e r il colera scoppiato nelle loro fila, e l'Austria seguitava a nicchiare. Il giuoco di Parigi e L o n d r a con Torino e r a chiaro: esse facevano caute a p e r t u r e al Piemonte, n o n p e r c h é r e a l m e n t e lo volessero nell'alleanza, ma per agitare questa minaccia agli occhi di V i e n n a e deciderla ad entrarvi. Cavour dava m a n o libera a D a b o r m i d a , come se la q u e s t i o n e n o n l o interessasse. I n realtà, a m m a e s t r a t o dal fiasco, aspettava il m o m e n t o o p p o r t u n o p e r far prevalere il suo p u n t o di vista. Il 10 d i c e m b r e (del '54) g i u n s e la notizia c h e l'Austria 342
aveva aderito all'alleanza anglo-francese, e l'opposizione all'intervento p i e m o n t e s e si fece nella stampa ancora più violenta. «I nostri soldati n o n d e v o n o essere alleati degli alleati dell'Austria» scriveva la Gazzetta del Popolo. R i s p o n d e v a la governativa Opinione: « Q u a n d o la Russia sarà abbattuta, sia p u r e con l'aiuto dell'Austria, dove s a r a n n o più i validi sostegni dell'assetto t e r r i t o r i a l e del 1815?» Ma, c o m e slogan, il p r i m o e r a p i ù orecchiabile, facile, e q u i n d i efficace del secondo. Cavour restava fermo nelle sue idee, «ma - confidava all'amico de La R ù e - d e b b o tirare il c a r r o dello Stato su u n a via fiancheggiata di precipizi». Aveva s m o n t a t o l'opposizione di La M a r m o r a facendogli b a l e n a r e la s p e r a n z a del com a n d o del c o r p o di spedizione in Crimea. Ma doveva fare i conti con gli altri Ministri, e s o p r a t t u t t o con D a b o r m i d a , il p i ù intelligente dei G e n e r a l i p i e m o n t e s i , m a p u r s e m p r e G e n e r a l e a n c h e lui. G r a n g a l a n t u o m o e ringhioso mastino degl'interessi del Paese, del suo o n o r e , della sua dignità, egli era convinto che gli alleati avessero bisogno del Piemonte e che q u i n d i il P i e m o n t e potesse m e r c a n t e g g i a r e il p r o p r i o c o n t r i b u t o . M e n t r e , s e c o n d o Cavour, il c o n t r i b u t o e r a già r i p a g a t o dal fatto che, grazie ad esso, il P i e m o n t e s a r e b b e sfuggito a un catastrofico isolamento. Il 14 dicembre, H u d s o n recò nuove proposte. L o n d r a chiedeva al Piemonte n o n un'alleanza, ma u n a parte del suo esercito c h e a v r e b b e c o m b a t t u t o al soldo e sotto b a n diera inglese. All'idea che soldati piemontesi dovessero battersi da m e r c e n a r i , D a b o r m i d a sobbalzò. Ma gl'inglesi si resero subito conto della sconvenienza della richiesta, e d'accordo coi francesi la r i t i r a r o n o p r o p o n e n d o l'alleanza p u r a e semplice. In consiglio dei Ministri, C a v o u r si dichiarò p e r l'accettazione senza m e r c a n t e g g i a m e n t i . D a b o r m i d a , spalleggiato da Rattazzi, p o s e c o n d i z i o n i . Se v o l e v a n o il Piemonte, la Francia e l ' I n g h i l t e r r a d o v e v a n o a l m e n o p r e m e re sull'Austria p e r c h é revocasse l'ostile m i s u r a da essa p r e s a poco p r i m a : la confisca dei b e n i dei cittadini l o m b a r d o - v e 343
neti che, emigrati in P i e m o n t e , ne avevano p r e s o la cittadinanza. Secondo: esse dovevano i m p e g n a r s i a r i p r e n d e r e in considerazione, d o p o la fine della g u e r r a , la situazione dell'Italia. D a b o r m i d a riuscì a i m p o r r e la sua tesi, le c o n t r o p r o p o ste furono p r e s e n t a t e , ma le risposte di L o n d r a e di Parigi furono evasive. Il 2 g e n n a i o del '55, Guiche t o r n ò da Parigi dove aveva avuto un l u n g o colloquio con l ' I m p e r a t o r e . Recava parole piene di simpatia e allettanti promesse, perfino quella d e l l ' a n n e s s i o n e al P i e m o n t e dei d u e Ducati centrali (quello di P a r m a e Piacenza, e quello di M o d e n a e Reggio). Ma i m p e g n i , n e s s u n o . D a b o r m i d a lo fece rilevare a Cavour, c h e stavolta scoprì le c a r t e , cioè le r i p r e s e in m a n o . Disse che l'unica condizione su cui si doveva insistere era la revoca delle confische p e r c h é questa e r a necessaria a s m o n t a r e l'opposizione i n t e r n a . T u t t o il resto e r a c h i m e r a . E su questo colloquio, c h e a s s u n s e i t o n i d e l d i v e r b i o , si profilò la r o t t u r a fra i d u e . C a v o u r p r o p o s e di r i m e t t e r e la diatriba a u n a specie di giurì f o r m a t o da u o m i n i fuori della mischia, c o m e D'Azeglio, Collegno e Alfieri. Ma n e a n c h e in questa sede si riuscì a p r e n d e r e u n a decisione. Il 7 D a b o r m i d a s'incontrò con H u d s o n e Guiche, i quali lo i n f o r m a r o n o che i loro governi rifiutavano le c o n t r o p r o poste piemontesi: l'alleanza a n d a v a firmata senza condizioni, o p r e n d e r e o lasciare. D a b o r m i d a r e a g ì i n d i g n a t o : «Si p u ò i m p o r r e a d u n a p o t e n z a i n d i p e n d e n t e d'impegnarsi i n u n a g u e r r a dalla quale n o n le si p r o s p e t t a n e s s u n risultato utile ai suoi interessi? N o n si p u ò restar neutrali?» Solo app a r e n t e m e n t e la d o m a n d a era fondata perché neutrale il P i e m o n t e n o n poteva restare, e Guiche si affrettò a farglielo o b l i q u a m e n t e capire. «Certo - rispose -, n e s s u n o p u ò impedirvi di r e s t a r n e u t r a l i . Ma, pensateci b e n e , n o i d o b b i a m o g a r a n t i r c i che la vostra c o n d o t t a n o n ci sollevi imbarazzi. Possono s o r g e r e p e r voi q u e s t i o n i delicate, p e r e s e m p i o quella della vostra s t a m p a che c'insulta quotidianamente...» D a b o r m i d a p e n s ò che Guiche, n o t o p e r le sue convinzio-
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ni reazionarie e p e r il suo p r e p o t e n t e c a r a t t e r e , si fosse lasciato t r a s c i n a r e dalla collera, c o m e spesso gli capitava, a quelle o s c u r e m i n a c c e . M a n o n e r a così. P o c h e o r e p r i m a Guiche aveva visto il Re. Lo aveva trovato sconvolto p e r le gravi condizioni in cui versavano la m a d r e e la moglie, q u e st'ultima r e d u c e da un a b o r t o ; ma a n c o r a p i ù deciso a far piazza pulita dei suoi Ministri, se ancora si ostinavano a tergiversare. «L'Imperatore ed io - gli aveva dichiarato - ci siamo scambiati assicurazioni formali d'amicizia: lui ha la mia p a r o l a , io ho la sua, e mi basta. Se quelli là n o n v o g l i o n o marciare, ne p r e n d e r ò degli altri che marceranno.» N o n si trattava delle solite velleità. E r a lo scoppio di un furore l u n g a m e n t e represso. Il Re detestava Cavour, intendeva a p p r o f i t t a r e dello strascichìo di quei negoziati p e r lib e r a r s e n e , e aveva già s e g r e t a m e n t e convocato, p e r la formazione di un n u o v o Ministero, Revel e Charvaz, o r a Arcivescovo: il p r i m o disposto all'intervento in Crimea, il secondo g a r a n t e di un accordo con la Chiesa. Cavour, n a t u r a l m e n t e , era all'oscuro della c o n g i u r a , ma doveva s o s p e t t a r n e qualcosa p e r c h é la m a t t i n a d e l 9 c o n vocò D'Azeglio e gli fece u n a strabiliante p r o p o s t a : r i p r e n d e r e il suo posto di P r i m o Ministro e Ministro degli Esteri, lasciando a lui le Finanze, c o m e p r i m a del c o n n u b i o . D'Azeglio si consultò con Collegno. «Ha bisogno di te - questi gli disse - p e r cavarsela. D o p o , ti giuocherà come l'altra volta.» E D'Azeglio, che n'era già persuaso di suo, rifiutò. La sera di quel g i o r n o C a v o u r e r a alla C a m e r a , q u a n d o gli si avvicinò il d e p u t a t o Salmour, p a r e n t e di Guiche, e gli riferì t u t t o ciò che costui gli aveva d e t t o del suo colloquio col Re. N o n si è mai saputo se fosse stato lo stesso Guiche a incaricarlo della confidenza. C o m u n q u e , C a v o u r n e c o m prese i m m e d i a t a m e n t e la gravità, e corse ai r i p a r i . Si p u ò anche sospettare che lo abbia fatto p e r salvare il «posto», ma r i t e n i a m o p i ù f o n d a t a l ' i n t e r p r e t a z i o n e d i O m o d e o : Cavour, che il posto aveva dimostrato di essere p r o n t o a cederlo, sia p u r e t e m p o r a n e a m e n t e , a chi poteva c o n t a r e su u n a 345
maggioranza p a r l a m e n t a r e e r i s p e t t a r n e i voleri, c o m p r e n deva che un rovesciamento attuato di forza dal Re colpiva a m o r t e la Costituzione e a p r i v a la p o r t a a un r e g i m e b o n a p a r t i s t a di r e a z i o n a r i e di p r e t i . E r a u n a minaccia p e r lui, ma a n c h e p e r il Paese e p e r il credito che questo si era guad a g n a t o di «oasi della libertà» in Italia e in E u r o p a . Bisognava a tutt'i costi sventarla. Ma era u n a questione di ore. La stessa n o t t e convocò p r e s s o di sé G u i c h e , H u d s o n , D a b o r m i d a , La M a r m o r a e Rattazzi. Fu u n a seduta t e m p e stosa. D a b o r m i d a insisteva p e r le condizioni. Cavour p r o p o se di m a n d a r e La M a r m o r a a Parigi p e r sollecitare l'ultima parola d e l l ' I m p e r a t o r e . Guiche picchiò i p u g n i sul tavolo: si dubitava forse che questa p a r o l a egli la tradisse? «Tenetevi p u r e la vostra neutralità» disse f a c e n d o l'atto di alzarsi. «Non si t r a t t a di q u e s t o - r e p l i c ò C a v o u r -. La n e u t r a l i t à n o n esiste più: questa discussione d i m o s t r a che o r m a i l'abb i a m o abbandonata.» E avanzò un'altra richiesta, che aveva l'aria di essere fatta solo p e r salvare la faccia: che in un p r o tocollo a p a r t e venisse fatta la storia di t u t t o il n e g o z i a t o , cioè delle richieste p i e m o n t e s i e dei motivi p e r cui gli anglo-francesi l e a v e v a n o d e c l i n a t e . D o p o q u a l c h e r i p e n s a m e n t o , i d u e Ambasciatori a c c e t t a r o n o e si r i t i r a r o n o p e r c o n c o r d a r e il d o c u m e n t o . Q u a n d o t o r n a r o n o , verso mezzanotte, t r o v a r o n o u n a situazione cambiata. Oltre a La M a r m o r a , a n c h e Rattazzi ora e r a p e r l'intervento senza condizioni: C a v o u r se l'era guad a g n a t o p r o m e t t e n d o g l i il p i e n o a p p o g g i o a certi suoi disegni di legge sui c o n v e n t i , di cui d i r e m o . A t r o v a r s i isolato stavolta era D a b o r m i d a , il quale si chiuse in un silenzio che H u d s o n definì «feroce». C a v o u r capì che n o n avrebbe aderito e perciò chiese agli astanti di r i m a n d a r e la firma all'ind o m a n i . Guiche disse che c o m p r e n d e v a la necessità di mett e r n e p r i m a al c o r r e n t e il Re. Cavour afferrò l'insinuazione, e vi reagì vivacemente. «Il Re n o n e n t r a in queste faccende - disse asciutto -, e io solo sono giudice di quel che devo dirgli.» 346
A n d ò da lui difilato, sebbene fossero le d u e del mattino. Il Re, c h e o r m a i aveva fatto la bocca a Revel e a C h a r v a z , forse n o n fu molto soddisfatto dell'accaduto, ma dovette fingersi tale, a p p r o v a r e l'operato del suo Primo Ministro e affidargli a n c h e il portafogli degli Esteri, reso vacante dalle inevitabili dimissioni di D a b o r m i d a che le dava, disse Cavour, «per u n o scrupolo forse eccessivo, ma che lo onora». L'indomani, 10 g e n n a i o , tutto e r a concluso: il P i e m o n t e entrava nell'alleanza e contribuiva alla g u e r r a con un c o r p o di s p e d i z i o n e di 15.000 u o m i n i c h e le navi b r i t a n n i c h e avrebbero trasportato in Crimea. Per le spese avrebbe provv e d u t o l ' I n g h i l t e r r a con un prestito di un milione di sterline a b u o n e condizioni d'interesse e di a m m o r t a m e n t o . L'unico i m p e g n o che o g n u n o dei tre c o n t r a e n t i p r e n d e v a nei confronti d e l l ' a l t r o e r a di c o m b a t t e r e fino alla vittoria rin u n z i a n d o a paci s e p a r a t e e a i n g r a n d i m e n t i territoriali. I d u e Ambasciatori, che la m a t t i n a alle otto a n d a r o n o a ricevere la comunicazione da Cavour, lo t r o v a r o n o fresco e sorridente. «Il G e n e r a l e D a b o r m i d a - disse - era molto stanco da parecchio t e m p o , e il Re ha voluto c h i a m a r m i a sostituirlo.» Poi, r i v o l g e n d o s i a G u i c h e : «Dimenticate, vi p r e g o , il n o s t r o dialogo d i s t a n o t t e . Siamo d u e avvocati che h a n n o p e r o r a t o ciascuno p e r la p r o p r i a causa. E o r a facciamo come loro: a n d i a m o c e n e stasera a p r a n z o insieme». Q u a n d o fu comunicata alla stampa, la notizia vi provocò il finimondo. «Per p u r o a m o r e del portafoglio, C a v o u r ha v e n d u t o la patria all'Inghilterra», scrisse il giornale clericale, il q u a l e a v r e b b e v o l u t o che la v e n d e s s e all'Austria. E Brofferio, dall'altro e s t r e m o : «Il g o v e r n o ha o r m a i ufficialm e n t e disertato la causa d'Italia, ed è a C a v o u r che lo dobbiamo». La reazione più violenta fu quella di Mazzini in u n a «lettera aperta» a Cavour in cui si leggevano frasi di questo genere: «I tre colori d'Italia sventoleranno sugli stessi campi m a r m o n i a fraterna col giallo e n e r o dell'Austria, coi colori che sventolano sulle fortezze dove si uccidono e si bastonano i p r i g i o n i e r i italiani dell'Austria». U n ' a l t r a a n c o r a p i ù 347
v e e m e n t e la indirizzò ai soldati p i e m o n t e s i : «Quindicimila di voi s t a n n o p e r essere deportati in Crimea. Voi n o n avrete o n o r e di battaglia. M o r r e t e senza gloria, senza a u r e o l a di s p l e n d i d i fatti da t r a m a n d a r s i p e r voi...», e via di q u e s t o passo. M a n o n p r e n d i a m o abbagli. L'opposizione d i Mazzini n o n e r a quella di Brofferio, che del giuoco di C a v o u r n o n aveva capito nulla. C o m e d i m o s t r a n o i suoi scritti - pubblici e privati - di questi t e m p i , Mazzini invece aveva capito tutto. Aveva capito che C a v o u r si legava alle p o t e n z e occidentali p e r fare l'Italia col loro aiuto. Egli aveva d u n q u e deciso di affidarsi alla diplomazia e alle a r m i di Francia e Inghilt e r r a invece che agl'italiani e al loro spirito rivoluzionario. C o n questa scelta, egli strappava definitivamente l'iniziativa al m o v i m e n t o d e m o c r a t i c o e avviava il p r o b l e m a italiano a u n a soluzione monarchica e conservatrice. Il contrasto fra i d u e e r a insanabile p e r c h é e n t r a m b i e r a n o nel vero. L o era C a v o u r q u a n d o diceva che l'Italia n o n p o t e v a n o farla i pochi italiani che la volevano, p e r c h é dietro di loro n o n avevano le masse p o p o l a r i . E Io e r a Mazzini q u a n d o diceva che un'Italia fatta con la diplomazia e le a r m i straniere e r a inutile farla p e r c h é con quel mastice n o n avrebbe t e n u t o . I fatti d o v e v a n o d i m o s t r a r e che avevano r a g i o n e e n t r a m b i . L'Italia si fece c o m e aveva voluto Cavour p e r c h é n o n c'era m o do di farla altrimenti. Ma il mastice si rivelò debolissimo, come aveva previsto Mazzini. I contrasti della pubblica o p i n i o n e e b b e r o il loro riflesso nella C a m e r a , dove il dibattito fu l u n g o e accanito. Gli assalti v e n n e r o c o n c e n t r i c a m e n t e dalla sinistra e dalla destra, a n o m e della quale a n c h e Revel espresse la sua opposizione. Era un e r r o r e che fra poco gli sarebbe costato caro, e di cui C a v o u r subito approfittò, r i l e v a n d o c o m e l'avversario, già dichiaratosi favorevole all'intervento, se fatto da un governo c o n s e r v a t o r e , o r a lo combattesse solo p e r c h é deciso da un g o v e r n o liberale. Ancora u n a volta egli riuscì a c o n d u r r e l'aspro duello a suo piacimento obbligando Revel ad accen348
t u a r e la p r o p r i a posizione neutralista. Lo scopo e r a chiaro: screditarlo agli occhi del bellicoso Re e additarlo agli Alleati come il nemico dell'alleanza. Parlò p a c a t a m e n t e a n c h e p e r c h é dall'opposizione aveva poco da t e m e r e . Lo Statuto attribuiva al Re il diritto di conc l u d e r e t r a t t a t i : il P a r l a m e n t o p o t e v a rifiutare solo quelli che c o m p o r t a s s e r o oneri finanziari o m u t a m e n t i territoriali. Ma C a v o u r voleva u g u a l m e n t e il successo e lo cercò a p p e l landosi a tutte le forze m o d e r a t e sia di destra che di sinistra. L'alleanza, disse, «è il solo m o d o di giovare all'Italia nelle attuali condizioni d ' E u r o p a . L'esperienza degli a n n i scorsi e degli scorsi secoli d i m o s t r a q u a n t o p o c o a b b i a n o all'Italia giovato le congiure, le t r a m e , le rivoluzioni ed i moti incomposti» che le avevano alienato le simpatie d e l l ' E u r o p a . Per riconquistarle n o n c ' e r a n o che d u e m o d i : «provare all'Eur o p a che l'Italia ha abbastanza s e n n o civile p e r governarsi e reggersi a libertà, e che il suo valore militare è p a r i a quello degli avi suoi». Era p r o p r i o il r i n n e g a m e n t o dei m e t o d i cospiratori e insurrezionali di Mazzini. Il 10 febbraio fu messa ai voti l'unica p a r t e del trattato su cui la C a m e r a poteva p r o nunciarsi, quella finanziaria. Ma e r a logico che la bocciatura avrebbe significato opposizione all'intero trattato, cioè alla politica d e l g o v e r n o . Q u e s t a invece fu a p p r o v a t a a larga maggioranza: 101 contro 60. E di scarto p r e s s a p p o c o u g u a le fu il voto del Senato: 63 sì c o n t r o 27 n o . I preparativi della spedizione furono portati avanti alacremente: Cavour aveva fretta che i piemontesi si battessero accanto ai francesi e agl'inglesi. M a p e r lui n o n c'era p a c e . Vinta quella battaglia, d o v e t t e subito a f f r o n t a r n e u n ' a l t r a , a n c o r a p i ù d u r a e pericolosa, che infatti lo condusse a un pelo dalla sconfitta. Per t r a r r e dalla sua Rattazzi, che o r a e r a Ministro della Giustizia e q u a l c h e soddisfazione ai suoi doveva darla, Cavour gli aveva promesso, come abbiamo detto, p i e n o a p p o g gio a un p r o g e t t o di legge p e r la soppressione di alcuni con349
venti. Esso s'ispirava al vecchio principio illuminista, ereditato dai liberali, che i b e n i ecclesiastici a p p a r t e n e v a n o allo Stato, i l q u a l e p e r t a n t o p o t e v a d i s p o r n e , sia p u r e p e r f i n i religiosi, ma p u r c h é questi a n d a s s e r o a beneficio della collettività, c o m e l'istruzione e l'assistenza. I conventi che n o n r i s p o n d e v a n o a tali requisiti dovevano essere chiusi e il loro p a t r i m o n i o devoluto a u n a Cassa Ecclesiastica, amministrata da funzionari statali. La reazione dell'Episcopato era violenta e, c o m e al solito, si serviva di t u t t o : a n c h e delle gravi malattie da cui e r a n o state colpite la m a d r e e la moglie del Re p e r i n s i n u a r e c h ' e r a il castigo scagliato da Dio c o n t r o i responsabili di tanta empietà, come s p u d o r a t a m e n t e scrivevano i giornali clericali. Ci credesse o n o n ci credesse, il Re e r a sconvolto e n o n i n t e n d e v a firmare quella legge che la C a m e r a aveva già a p p r o v a t o a forte m a g g i o r a n z a . Il 9 febbraio, m e n t r e t u t t o r a si discuteva il trattato di alleanza, egli scrisse al Papa: «Sappia la Santità Vostra che sono io che n o n lasciò (sic) votare la legge sul m a t r i m o n i o in Senato, c h e sono io che o r a farò il possibile p e r n o n lasciare votare quella sui conventi. Forse tra p o c h i giorni q u e s t o Ministero C a v o u r cascherà, n e n o m i n e r ò u n o della d e s t r a e m e t t e r ò p e r condizione sine qua non che mi si venga al più presto ad un totale aggiustamento con R o m a . (Mi faccia la carità di a i u t a r m i ) io p e r p a r t e mia ho s e m p r e fatto quel che ho p o t u t o . (Quelle p a r o l e al P i e m o n t e n o n ci a n d a v a n o adesso, ho p a u r a che mi guasti tutto.) G u a r d e r ò che la lege (sic) n o n passi, ma mi aiuti poi S a n t o P a d r e . B r u c i q u e s t o pezzo di c a r t a p e r farmi piacere». Q u e s t o p i a c e r e aveva r a g i o n e d i c h i e d e r g l i e l o p e r c h é quello scampolo epistolare offendeva la Costituzione quasi q u a n t o la sintassi e l'ortografia. Forse in quel m o m e n t o Vittorio E m a n u e l e n o n e r a del tutto in sé: sua m a d r e e r a morta il 12 gennaio, il 21 sua moglie, e p r o p r i o quel g i o r n o era e n t r a t o in agonia suo fratello F e r d i n a n d o , cui era legato da un p r o f o n d o affetto. Fosse a n c h e stato r e f r a t t a r i o alla su350
perstizione - e n o n lo era -, quel susseguirsi di sventure n o n poteva m a n c a r e di scuoterlo. S p e r ò che il Senato respingesse la legge, e p e r i n d u r v e l o fece sua la p r o p o s t a a v a n z a t a dal Vescovo di Casale, C a l a b i a n a : che fosse l'Episcopato a p a g a r e la s o m m a p e r i « s u p p l e m e n t i di c o n g r u a » stanziata dalla legge, p u r c h é q u e s t a venisse ritirata. I n u t i l e a d d e n trarsi nella spiegazione del dettaglio tecnico, che in sé aveva poca i m p o r t a n z a . Ciò che stava a c u o r e all'Episcopato e r a d'infirmare il principio della disponibilità dei beni ecclesiastici da p a r t e dello Stato: un principio o r m a i accettato e praticato in tutti i Paesi d ' E u r o p a , m e n o l'Italia. Il Re n o n Io capì, o finse di n o n capirlo, e convocò Cavour p e r dargli «la graditissima notizia» che la soluzione era stata trovata. Cavour, che già ne e r a al c o r r e n t e , n o n condivise il suo entusiasmo. Disse che la parola o r m a i era al Senato, e che in quella sede egli si riservava di p r e n d e r e le sue decisioni. In realtà le aveva già p r e s e , e le espresse il g i o r n o stesso i n t e r v e n e n d o nel dibattito col coraggio e la risolutezza che gli e r a n o soliti q u a n d o e r a n o in giuoco i princìpi. F i n g e n d o di p a r l a r e ai Senatori, ma in realtà rivolgendosi al Re, egli r i c o r d ò la vicenda della dinastia inglese degli Stuart, che avevano p e r s o la corona, e u n o di loro addirittura la vita sul capestro, p e r essersi opposti, su istigazione dei Gesuiti, alle idee di libertà e di p r o g r e s s o . E concluse: «Io s p e r o c h e , istruiti dalla lezione della Storia, simili e s e m p i n o n a c c a d r a n n o fra n o i , né c h e il v e n e r a b i l e clero voglia imitare gli esempi da me indicati». Sapeva di a n d a r e incontro alla crisi. Ma n o n poteva evitarla, e forse n o n voleva: se avesse accettato l'iniziativa del Re, ad a n d a r e in pezzi n o n sarebbero stati soltanto il governo e la politica del connubio, ma anche le prerogative del Parlamento. Però era al Re che voleva lasciare la responsabilità. Il Re se l'addossò esigendo che la p r o p o s t a Calabiana fosse p o r t a t a in Senato e così violando la n o r m a dello Statuto che n o n riconosceva questa iniziativa a corpi sprovvisti di personalità giuridica c o m e il clero. C a v o u r rispose p r e s e n 351
«Usa**»»-.
t a n d o le dimissioni insieme a quelle di tutti gli altri Ministri. Per sostituirlo, il Re aveva in testa il solito Revel. Ma costui o r m a i si e r a i r r i m e d i a b i l m e n t e b r u c i a t o con l'opposizione a l l ' i n t e r v e n t o in C r i m e a , e la sua n o m i n a s a r e b b e stata un'offesa agli Alleati. Il Re si rivolse a dei m o d e r a t i , ma ness u n o accettò. Sollecitò il generale D u r a n d o , che c o m e Ministro della G u e r r a aveva p r e s o i l p o s t o d i L a M a r m o r a i n p a r t e n z a p e r la Crimea. D u r a n d o chiese consiglio a Cavour che gli d e t t e quello di accettare, e ci si p r o v ò c e r c a n d o un c o m p r o m e s s o con l ' E p i s c o p a t o . M a q u e s t o , c r e d e n d o d i aver vinto, si m o s t r ò irreducibile, e D u r a n d o restituì il m a n dato. Il Re e r a furente, ma a n c o r a più furente e r a la pubblica opinione che, sollecitata dalla stampa, attribuiva la crisi alle p r e p o t e n z e sue e alle i n g e r e n z e dei preti. Massari racconta che Vittorio E m a n u e l e m a n d a v a a tastare il polso della gente famigli e familiari, dai quali v e n n e a s a p e r e c h e lo chiam a v a n o baloss, birbante, e che un battaglione della G u a r d i a Nazionale si e r a rifiutato di g r i d a r e «Viva il Re!» Un g i o r n o ricevette u n a richiesta d ' u d i e n z a da p a r t e di D'Azeglio. N o n volle riceverlo p e r c h é gli avevano riferito che si e r a dichiarato p r o n t o a «scendere in piazza col popolo» p u r d'impedire un g o v e r n o di destra. Era vero. Nella sua lealtà e cavalleria, D'Azeglio n o n aveva esitato a schierarsi a fianco dell'«empio rivale» nel dibattito alla C a m e r a p e r il trattato di alleanza, e o r a c o r r e v a al suo soccorso p e r r i m e t t e r l o in sella. Respinto dal Re, gli si rivolse con u n a lettera che rivela la sua franchezza e i n d i p e n d e n z a : «Maestà, in S p a g n a e r a proibito di toccare il Re sotto pena di m o r t e . Ve ne fu u n o al quale p r e s e fuoco la veste: ness u n o s'arrischiò a toccarlo, e il Re m o r ì a b b r u c i a t o . Ma io, dovessi rischiare la testa, o anche p e r d e r e totalmente la Sua grazia, mi c r e d e r e i il p i ù vile degli u o m i n i se in un m o m e n to c o m e questo n o n Le dirigessi u n a parola in iscritto, visto che V.M. n o n mi dà facoltà di p a r l a r e . Maestà, n o n vada più avanti nella strada che ha presa. E ancora in t e m p o . Ripren352
da quella di p r i m a . Un intrigo di frati è riuscito in un giorno a d i s t r u g g e r e l'opera del Suo R e g n o , ad agitare il Paese, scuotere lo Statuto, oscurare il Suo nome...» Se sia stata questa lettera a piegare il Re, è difficile sapere. Ma è probabile che abbia c o m u n q u e contribuito a fargli cap i r e a l c u n e cose: che, d o p o sette a n n i di r e g i m e costituzionale, il Piemonte ci s'era affezionato, e revocarglielo avrebbe c o m p o r t a t o seri inconvenienti; e che, c o m e D'Azeglio diceva, «il d o m i n i o dei preti n o n è p i ù possibile senza bòtte». Vittorio E m a n u e l e , che p e r d e v a malvolentieri, tentò ancora di mobilitare la pubblica o p i n i o n e lanciandole un a p pello e i n c a r i c a n d o D u r a n d o d i r e d i g e r l o . M a D u r a n d o , c h ' e r a u n a p e r s o n a c o r r e t t a , volle p r i m a m o s t r a r l o a Cavour che, in attesa del n u o v o governo, era a n c o r a in carica, e che lo respinse con sdegno. «Finché io sono Presidente del Consiglio, n e s s u n o farà proclami» disse. F u r i b o n d o , il Re fece p u b b l i c a r e il m e s s a g g i o d a l s i n d a c o di T o r i n o . Ma la popolazione, c o m p r e n d e n d o cosa vi era in giuoco, reagì in m o d o del t u t t o o p p o s t o a quello ch'egli s p e r a v a . L'ultimo colpo all'ostinazione del Re p a r e (ma n o n è accertato) che lo desse La M a r m o r a : il q u a l e , già a G e n o v a p e r i m b a r c a r s i , r i e n t r ò precipitosamente p e r annunziargli che, se n o n restituiva l'incarico a Cavour, egli avrebbe r i n u n z i a t o al c o m a n do del c o r p o di spedizione. Per q u e l S o v r a n o a u t o r i t a r i o , orgoglioso e i m p e t u o s o , dovett'essere u n a t r e m e n d a mortificazione richiamare quel suo p r o t e r v o P r i m o M i n i s t r o c h e gli t e n e v a testa fino alla d i s o b b e d i e n z a , e restituirgli il m a n d a t o . C o m e s e m p r e q u a n d o vinceva, C a v o u r si c o m p o r t ò da g r a n signore, e n o n m e n ò vanto del p r o p r i o trionfo n e m m e n o nelle lettere confidenziali. Anzi, delle sue disavventure discolpò il Re dicendo c h ' e r a n o stati «quei signori a t e n t a r e di fuorviarlo con la loro ostinazione, ma senza riuscirci» e che da lui e r a stato ricevuto «con tale b u o n a grazia da farmi d i m e n t i c a r e i b r u t t i quarti d ' o r a che questa m a l e d e t t a legge m i h a p r o c u r a t o » . Ma di questa b u o n a grazia d u b i t i a m o assai. 353
Per aiutarlo a salvare la faccia egli concesse al Re qualche piccolo e m e n d a m e n t o che n o n intaccava il principio c o n t r o cui l'Episcopato si era così o t t u s a m e n t e battuto, e il 28 m a g gio la legge passò a n c h e in Senato con 95 voti contro 2 3 . Tre giorni d o p o egli p r e s e n t ò il n u o v o Ministero, c h ' e r a quello vecchio r i m p a s t a t o c o n Rattazzi trasferito dalla Giustizia agl'Interni, Cibrario agli Esteri, D u r a n d o alla G u e r r a . Ma la cosa più i m p o r t a n t e era che a n c h e il Re avesse ripreso il suo p o s t o di Re e r i n u n z i a t o a quello di P r e s i d e n t e del Consiglio.
CAPITOLO TRENTADUESIMO
IL PRIMATO PIEMONTESE
In Crimea, più che coi russi, i piemontesi dovettero vedersela col colera, che si p o r t ò via 1.300 u o m i n i , fra cui il generale Alessandro La M a r m o r a , fratello del c o m a n d a n t e in capo. Di veri e p r o p r i combattimenti, ne sostennero u n o solo, alla Cernala, nell'agosto del '55, e ci rimisero quattordici morti e 170 feriti. Checché ne dica la storiografia risorgimentale, il loro contributo alla g u e r r a fu quindi modesto. Però fornirono u n a b u o n a prova di disciplina e di capacità logistiche, che valse loro il rispetto degli Alleati. Poco d o p o la fortezza di Sebastopoli cadde, e il nuovo zar Alessandro II, molto m e n o guerrafondaio del p a d r e , iniziò cauti sondaggi di pace. Per n o n esserne colto alla sprovvista, Cavour decise un sopralluogo a Parigi e a L o n d r a facendo invitare il Re in queste d u e capitali, mettendosi al suo rimorchio, e chiamando nel seguito anche D'Azeglio, il cui credito presso gli occidentali era rimasto intatto. N a p o l e o n e accolse m o l t o b e n e gli ospiti italiani, ma gli disse chiaro e t o n d o che a n c h e lui voleva la pace, n o n soltanto in Crimea, ma in tutta E u r o p a , e q u i n d i anche in Italia. Tuttavia, p r e n d e n d o i n d i s p a r t e Cavour, a g g i u n s e : «Scrivete confidenzialmente a Walewski cosa c r e d e t e che io possa fare p e r il Piemonte». Walewski era un figlio vero, anche se illegittimo, del g r a n d e N a p o l e o n e , nato dai suoi a m o ri con u n a Contessa polacca, e a p p u n t o p e r questo l ' I m p e r a t o r e se l'era p r e s o c o m e Ministro degli Esteri. L'invito a scrivergli n o n significava i m p e g n o , ma dimostrava tuttavia un certo interessamento, e Cavour affidò a D'Azeglio il compito di r e d i g e r e un m e m o r i a l e . D o p o d i c h é p r e s e col Re la via di L o n d r a p e r u n a visita alla regina Vittoria. 355
Q u e s t o viaggio aveva anche u n o scopo matrimoniale, su cui allora e poi fu m a n t e n u t o da p a r t e italiana il massimo ris e r b o , ma che r e c e n t e m e n t e è stato svelato con dovizia di particolari dallo storico inglese Mack Smith. E molto p r o b a bile c h e , p a g o della sua Rosina, Vittorio E m a n u e l e n o n avesse molta voglia di risposarsi. Ma le circostanze dinastic h e lo consigliavano, ed egli aveva deciso di scegliersi la n u o v a moglie nella Casa Reale d ' I n g h i l t e r r a . C a v o u r gli aveva fatto u n a l u n g a lezione sul m o d o di c o m p o r t a r s i in q u e l l ' a m b i e n t e p u r i t a n o e formalista, e il Re cercò di a d e guarvisi. Acconsentì a scorciarsi i baffi di dieci centimetri, a i n d o s s a r e p a n n i m e n o rozzi del solito e a m a n g i a r e quello che gli veniva servito nei p r a n z i ufficiali. Ma coi suoi m o d i b r u s c h i offese il P r i n c i p e c o n s o r t e Alberto, e q u a n d o gli chiesero cosa, di L o n d r a , lo avesse più colpito, fece il n o m e di u n a damigella della regina Vittoria. Costei ne fu scandalizzatissima e scrisse n e l suo d i a r i o c h e quello n o n e r a un Re, ma un avanzo di caverne medievali. In seguito p e r ò corresse il giudizio riconoscendo al suo ospite doti di franchezza e a t t r i b u e n d o le sue goffaggini a un fondo di timidezza. Ma d e l m a t r i m o n i o n o n si fece nulla. Al r i t o r n o da quel viaggio, Vittorio E m a n u e l e disse a Minghetti che aveva molto p e n a t o a r e s p i n g e r e gli a d e s c a m e n t i della p r i m o g e n i t a della Regina, che si era i n n a m o r a t a di lui. Ma le cose stavan o b e n a l t r i m e n t i . L a p r i m o g e n i t a aveva a p p e n a quindici a n n i ed e r a già p r o m e s s a al f u t u r o I m p e r a t o r e di G e r m a nia. La Principessa che Vittorio E m a n u e l e aveva corteggiato e r a u n a cugina di Vittoria che, sebbene in cerca di sistem a z i o n e , n o n volle s a p e r n e di lui t r o v a n d o l o grossolano e incolto. Per r e n d e r l o inoffensivo, il rifiuto fu a d d e b i t a t o a motivi religiosi. Il Re d o v e t t e e s s e r n e u g u a l m e n t e ferito p e r c h é la cosa fu t e n u t a gelosamente nascosta. Ma forse anc h e se ne sentì sollevato: u n a moglie inglese e r a la m e n o adatta ai suoi costumi e abitudini coniugali. R i e n t r a t o a T o r i n o , C a v o u r vi trovò u n a b r u t t a notizia: l'Austria aveva lanciato un ultimatum alla Russia costringen356
dola a i n t a v o l a r e trattative e così d i v e n t a n d o in un c e r t o senso la protagonista della pace. La conferenza che doveva stabilirne i termini era convocata a Parigi p e r il febbraio (del '56), e n o n si sapeva se il Piemonte vi sarebbe stato a m m e s so a parità di diritti con le altre Potenze. Cavour ci a n d ò di p e r s o n a e, n o n o s t a n t e l'opposizione di Buoi, o t t e n n e di partecipare. Nelle s e d u t e , n o n abusò di questo suo diritto; ma dietro le q u i n t e svolse un intenso lavoro p e r i n d u r r e il Congresso a occuparsi a n c h e del p r o b l e m a italiano. D a p p r i m a pensò d'impostarlo sul piano dinastico offrendo sotto banco un baratto di troni. Propose di assegnare al P i e m o n t e i Ducati di P a r m a e di M o d e n a t r a s f e r e n d o i l o r o titolari n e i Principati d a n u b i a n i di Moldavia e Valacchia. Era un'applicazione della tesi esposta da Balbo dieci a n n i p r i m a nelle sue Speranze d'Italia. Il p i a n o c a d d e p e r complessi motivi di parentele e di contrappesi, ma il Congresso accettò di discutere la questione italiana in u n a r i u n i o n e aggiuntiva d o p o la firma della p a c e . A volerlo fu N a p o l e o n e , con cui C a v o u r era riuscito a stabilire personali r a p p o r t i alle spalle del conservatore Walewski, p i ù p r o p e n s o all'amicizia con l'Austria che a quella col Piemonte. La discussione si svolse l'8 aprile, e di positivo n o n risolse nulla. Ma il ministro inglese C l a r e n d o n p r o n u n c i ò u n ' e n e r gica requisitoria contro il r e g i m e del Papa e quello dei Borb o n e di Napoli, che mise Buoi in grave imbarazzo. «Non si poteva s p e r a r e - scrisse l ' i n d o m a n i C a v o u r al suo ministro degli Esteri C i b r a r i o - c h e qualcosa di effettivo uscisse da una conferenza in cui l'Austria la fa da mediatrice. Ma la sua ostinazione ha p r o f o n d a m e n t e irritato l ' I m p e r a t o r e . » Egli ora n o n r i m p i a n g e v a più che il baratto dei Ducati fosse stato respinto. S'era p e r s u a s o che la questione italiana n o n p o teva essere risolta con le solite c o m b i n a z i o n i d i n a s t i c h e , e aveva r i s o l u t a m e n t e i m b o c c a t o la s t r a d a c h e doveva c o n d u r r e alla g u e r r a . A n d ò a p a r l a r n e con C l a r e n d o n , che nella conferenza si era mostrato il più caldo p e r la causa italiana. «Come vede, 357
dalla diplomazia n o n c'è nulla da spelare», gli disse, e Clar e n d o n s i m o s t r ò d ' a c c o r d o . C a v o u r t o r n ò d a lui p o c h i giorni d o p o , e p a r l ò in t e r m i n i ancora più risoluti. Gli disse c h e al P i e m o n t e n o n r e s t a v a n o c h e d u e vie: o a c c o r d a r s i con l'Austria lasciandola definitivamente a r b i t r a dell'Italia e r i p r i s t i n a n d o a n c h e a Torino l'assolutismo, o s c e n d e r e in g u e r r a con essa. Il colloquio fu riferito dallo stesso C a v o u r in u n a lettera al suo ambasciatore a L o n d r a , E m a n u e l e D'Azeglio, nipote di Massimo, e in un'altra a Rattazzi, che nella sostanza c o i n c i d o n o , a n c h e se differiscono in alcuni p a r t i colari. «Dissi a C l a r e n d o n che la g u e r r a n o n ci spaventava a n c h e p e r c h é , p e r p o c o c h e d u r a s s e , gl'inglesi s a r e b b e r o costretti ad aiutarci. " C e r t a m e n t e , c e r t a m e n t e , rispose Clar e n d o n , lo f a r e m m o di t u t t o c u o r e e con la p i ù g r a n d e energia".» Più t a r d i C l a r e n d o n n e g ò d i a v e r p r o n u n c i a t o queste p a r o l e . E, t r a t t a n d o s i di u o m i n i politici, n o n s a p r e mo mai chi fu, dei d u e , a m e n t i r e . Ma se C a v o u r p o t e v a a v e r e q u a l c h e i n t e r e s s e a farlo c o n Rattazzi, n o n si v e d e p e r c h é a v r e b b e d o v u t o i n g a n n a r e il suo a m b a s c i a t o r e a L o n d r a , c h e su q u e l colloquio d o v e v a tessere t u t t a la sua azione diplomatica. C o m u n q u e , Cavour ebbe p e r u n m o m e n t o l'illusione che l'Inghilterra volesse a s s u m e r e il p a t r o n a t o della causa italiana, sia p u r e con l'aiuto della Francia, e p e r q u e s t o a n d ò a L o n d r a a p a r l a r n e col P r i m o Ministro Palmerston. Ma Palm e r s t o n , forse a n c h e p e r c h é colpito p r o p r i o in quei giorni d a u n g r a v e lutto, s i m o s t r ò m o l t o m e n o caldo d i C l a r e n d o n . E a questa delusione se ne aggiunse subito un'altra: la firma di un accordo tra Austria, Francia e I n g h i l t e r r a contro qualsiasi violazione del t r a t t a t o di Parigi. C a v o u r l'apprese dai giornali d u r a n t e il viaggio di ritorno, e rimase offeso di n o n esserne stato n e m m e n o avvisato. Ma a Torino ricevette la visita del n u o v o ambasciatore russo, che veniva a ristabilire le relazioni diplomatiche fra i d u e Stati, interrotte dal '48. «I nostri d u e Paesi - disse l'ambasciatore - n o n sono divisi d a n e s s u n i n t e r e s s e , m a s o n o a c c o m u n a t i d a molti 358
rancori.» L'oggetto di questi rancori e r a n a t u r a l m e n t e l'Austria, cui la Russia n o n p e r d o n a v a di a v e r r i c a m b i a t o con l'ultimatum l'aiuto portole sette a n n i p r i m a p e r schiacciare la rivolta u n g h e r e s e . «In fondo - scrisse Cavour a D'Azeglio -, questo a c c o r d o t r i p a r t i t o n o n mi dispiace: esso innalza fra l'Austria e la Russia u n a b a r r i e r a insormontabile.» Il 6 m a g g i o si p r e s e n t ò alla C a m e r a p e r r e n d e r l e conto d e l l ' o p e r a svolta al tavolo della p a c e . Fu u n o dei suoi p i ù magistrali discorsi. «I nostri plenipotenziari e quelli dell'Austria - disse -, d o p o aver seduto p e r d u e mesi a fianco, si sono separati senza ire personali, giacché io d e b b o qui r e n d e re testimonianza al p r o c e d e r e cortese del capo del g o v e r n o austriaco, ma con l'intima convinzione essere la politica dei d u e paesi più lontana che mai da un accordo. Q u e s t o fatto è grave, n o n p o s s i a m o n a s c o n d e r l o . . . m a p e r l a p r i m a volta nella nostra storia la questione italiana è stata p o r t a t a e discussa d a v a n t i a un c o n g r e s s o e u r o p e o , al t r i b u n a l e della pubblica o p i n i o n e . La lite p o t r à essere l u n g a , le p e r i p e z i e s a r a n n o forse molte; ma noi fidenti nella giustezza della nostra causa a s p e t t e r e m o l'esito finale.» L'eco di questa relazione, che C a m e r a e Senato a p p r o v a r o n o quasi plebiscitariamente, fu e n o r m e in tutta Italia. E questo e r a il vero successo di Cavour. Sul p i a n o diplomatico la g u e r r a di C r i m e a n o n gli aveva fruttato quasi nulla. Ma sul p i a n o i n t e r n o gli aveva p r o c u r a t o u n a grossa vittoria. Ora tutto il m o v i m e n t o patriottico italiano, a n c h e quello che sin lì aveva militato sotto le b a n d i e r e di Mazzini, g u a r d a v a al Piemonte e ne accettava la funzione di Stato-guida sotto il segno della dinastia s a b a u d a . La soluzione m o n a r c h i c a e «moderata» aveva la meglio su quella democratica e rivoluzionaria. Questa vittoria C a v o u r n o n la doveva soltanto ai suoi successi diplomatici, ma a n c h e ai fattori economici, militari e istituzionali. Grazie alla sua politica liberistica, il P i e m o n t e era di g r a n l u n g a , fra gli Stati italiani, il p i ù florido, il m e 359
glio a m m i n i s t r a t o e il p i ù efficiente. Alcuni m e r i d i o n a l i s t i h a n n o sostenuto e sostengono che questo p r i m a t o spettava al R e g n o delle D u e Sicilie con le sue industrie e il suo bilancio in attivo, e citano a r i p r o v a il fatto c h e fu N a p o l i , n o n T o r i n o , a i n a u g u r a r e la p r i m a ferrovia. Q u e s t a ferrovia p e r ò , che si snodava p e r p o c h e diecine di chilometri, rimase unica o quasi, m e n t r e il P i e m o n t e ne costruiva p e r 850 chilometri. Q u a n t o al bilancio, m e n t r e Napoli badava a tenerlo in attivo con u n a politica di tesaurizzazione che lasciava il Paese senza s t r a d e , senza scuole, senza servizi, T o r i n o aggravava il disavanzo, ma p e r p o t e n z i a r e l'agricoltura e amm o d e r n a r e l ' i n d u s t r i a r e n d e n d o l a c o m p e t i t i v a con quelle straniere. Il n a p o l e t a n o Scialoja, che vi e r a e m i g r a t o , p u b blicò un interessante raffronto fra le politiche e c o n o m i c h e dei d u e Stati, e p r e v i d e con esattezza ciò che sarebbe avven u t o i l g i o r n o dell'unificazione: s o s t e n u t e s o l t a n t o d a u n ferreo r e g i m e doganale, che le teneva al r i p a r o da qualsiasi c o n c o r r e n z a , le i n d u s t r i e meridionali s a r e b b e r o state spazzate via da quelle piemontesi che, grazie al r e g i m e competitivo instaurato da Cavour col libero scambio, fornivano p r o d o t t i m o l t o migliori e p i ù a b u o n m e r c a t o . L'agricoltura avrebbe p o t u t o cavarsela, ma solo r i s p a r m i a n d o sui costi di lavoro, cioè r e n d e n d o a n c o r a p i ù miserabile la condizione di un c o n t a d i n o già sfruttato all'osso. A che serve, diceva Scialoja, un bilancio in p a r e g g i o , se d r e n a le risorse dei citt a d i n i i m p e d e n d o il r i s p a r m i o e q u i n d i gl'investimenti, e n o n si t r a d u c e in g r a n d i o p e r e pubbliche - o, c o m e oggi si c h i a m a n o , «infrastrutture» - che p r o m u o v a n o la p r o d u z i o ne e q u i n d i siano fonte di più g r a n d e ricchezza? Era questa seconda strada che C a v o u r aveva imboccato, e lo dimostrava la r a p i d a ascesa dei consumi. Q u e s t a a sua volta provocava, è vero il rialzo dei prezzi, cioè q u e l fenom e n o che oggi si c h i a m a «inflazione strisciante». Ma coi prezzi salivano i salari e si moltiplicavano i posti di lavoro. Cavour n o n si p r e o c c u p a v a d e l l ' a u m e n t o del debito pubblico da 120 a 750 milioni nel giro di dieci a n n i . B a d a v a sol360
tanto agl'indici di p r o d u z i o n e e al volume degli scambi con l'estero c h e salivano a r i t m o incalzante. Nascevano le Banche, che diffondevano le loro succursali in tutte le città del R e g n o . Nascevano le Borse di Torino e di Genova, che tratt a v a n o titoli di t u t t a E u r o p a . Nascevano a S a m p i e r d a r e n a gli arsenali Ansaldo, p r i m o nucleo d'industria p e s a n t e , con 500 operai. Nascevano i cantieri O d e r ò e quelli dell'esule siciliano O r l a n d o . Il saggio di sconto, fissato d a p p r i m a al dieci p e r cento, fu r a p i d a m e n t e abbassato al q u a t t r o d a n d o l'aire a n u o v e i m p r e s e . I n s o m m a quella del P i e m o n t e e r a l'unica politica economica da Stato m o d e r n o , che gli assicurava d i n a m i s m o ed efficienza. E questo già bastava ad esercitare un irresistibile richiamo sulle nascenti energie i m p r e n ditoriali di tutta la penisola, soffocate dai regimi locali, proibitivi e misoneisti. Ma c'era a n c h e un altro e l e m e n t o a fare di Torino la «capitale morale», oltre che politica, d'Italia: il fatto che, grazie ai suoi liberi o r d i n a m e n t i , essa e r a d i v e n t a t a il focolare di tutte le intelligenze italiane. N o n e r a più a Parigi, ma a Torino, che gl'intellettuali italiani ora e m i g r a v a n o p e r sottrarsi alla r e p r e s s i o n e poliziesca di casa l o r o . Ce n ' e r a n o circa 30.000, di t u t t e le regioni e di t u t t e le professioni: giuristi, scienziati, economisti, storici, giornalisti: tutta la futura classe d i r i g e n t e n a z i o n a l e e r a lì, a r e s p i r a r e q u e l l ' a r i a . I suoi r a p p o r t i con la popolazione locale n o n e r a n o s e m p r e facili, e C a v o u r e b b e il suo daffare p e r s m o n t a r e la l a t e n t e xenofobìa dei suoi c o m p a t r i o t i , i m p a u r i t i da quell'alluvione. L'integrazione fu lenta e difficoltosa. Ma già nel '57, secondo il siciliano La Farina, 2.300 rifugiati a v e v a n o o t t e n u t o pubblici i m p i e g h i , moltissimi altri la c i t t a d i n a n z a , e quasi tutti dei p e r m e s s i di soggiorno che venivano r e g o l a r m e n t e rinnovati. Alcuni, c o m e Farini, furono eletti d e p u t a t i . D u e , Fanti e Cialdini, e n t r a m b i m o d e n e s i , d i v e n t a r o n o Generali. U n o , il veneziano Paleocapa, fu a d d i r i t t u r a ministro. Moltissimi altri e b b e r o cattedre nell'Università che, liberata della censura pretesca, diventò il faro della cultura accademica 361
italiana. V ' i n s e g n a v a n o Scialoja, De Sanctis, Spaventa, Ferr a r a , Mancini, T o m m a s e o , B o n g h i , Amari: i n s o m m a , t u t t o il Gotha della cultura nazionale. Fu in questo crogiuolo che si formò il m o v i m e n t o m o n a r chico-unitario, collettore e p u n t o d ' i n c o n t r o del m o d e r a t i s m o c o n le diverse dissidenze del r i v o l u z i o n a r i s m o mazziniano. A darvi avvìo fu ancora u n a volta Gioberti col suo ultimo libro, Del rinnovamento civile d'Italia. Valeva m e n o del Primato, che già valeva poco. Ma i n t e r p r e t a v a un'esigenza in quel m o m e n t o assai sentita. Gioberti ribadiva la sua vecchia idea che la rivoluzione italiana doveva essere un capitolo di quella e u r o p e a sotto l'egida della Francia. Ma a g g i u n g e v a che la g r a n d e occasione gl'italiani l'avevano p e r s a nel '49, q u a n d o n o n s e p p e r o realizzare il loro p r o g r a m m a federalista, cioè q u a n d o respinsero quello suo, di Gioberti. O r a forse all'Italia n o n restava che u n a soluzione di ripiego: legare i p r o p r i destini a quelli della Monarchia p i e m o n t e s e p u r c h é q u e s t a abbracciasse r i s o l u t a m e n t e l'ideale n a z i o n a l e e d e mocratico. Il libro e b b e n o t e v o l e r i s o n a n z a , e p a r e c h e lo leggesse a n c h e il Re, ma di questo d u b i t i a m o assai. Il p r i m o a t r a r n e le conclusioni fu Pallavicino, l ' e x - p r i g i o n i e r o dello Spielberg, da un pezzo rifugiato a Torino. Di scarso cervello politico, i m p e t u o s o fino alla leggerezza, teatrale e un po' t r o p p o p o r t a t o a ostentare i suoi titoli di «martire», aveva fin allora militato sotto b a n d i e r a rivoluzionaria. Ma o r a scrisse a Pep e : «Armi occorrono, e n o n ciance mazziniane. Il Piemonte ha soldati e c a n n o n i : d u n q u e io s o n o p i e m o n t e s e . Il Piem o n t e , p e r antica c o n s u e t u d i n e , p e r genio e p e r dovere, oggidì è m o n a r c h i a : d u n q u e io n o n sono r e p u b b l i c a n o » . Da Parigi gli fece eco M a n i n con u n a pubblica lettera: «Il partito r e p u b b l i c a n o , sì a c e r b a m e n t e c a l u n n i a t o , fa n u o v o atto di abnegazione e di sacrificio alla causa nazionale. Convinto che a n z i t u t t o bisogna fare l'Italia, egli dice alla casa di Savoia: fate l'Italia, e sono con voi». Mazzini reagì, ma senza la c o n s u e t a grinta, e questo di362
mostrava q u a n t o debole fosse la sua posizione. «La Nazione - rispose - salvi la Nazione; la Nazione, libera ed u n a , decida d e ' suoi p r o p r i fati.» Cioè: p r i m a facciamo l'Italia col concorso di tutti, c o m p r e s o il Re del Piemonte; poi essa sceglierà fra Monarchia e Repubblica. Questa formula, che poi fu chiamata «bandiera neutra», p r o p o n e v a i n s o m m a un armistizio, che del resto n o n era n u o v o nella vicenda ideologica di Mazzini: anche nel '48 egli si era rifiutato di p r e n d e r e posizione contro Carlo Alberto, il che gli era valso il r a n c o r e dei F e r r a r i e dei C a t t a n e o . N e m m e n o stavolta p o t e v a fare d i v e r s a m e n t e p e r r e s t a r e nel g i u o c o e t r a t t e n e r e sotto le p r o p r i e b a n d i e r e le t r u p p e che gli restavano. Ma gliene restavano p o c h e . Garibaldi, di r i t o r n o dal suo s e c o n d o esilio in America, d o p o un incontro a L o n d r a con Mazzini, che si era risolto in u n o scontro, aveva già a d e r i t o al m o v i m e n t o di M a n i n e Pallavicino. Vi a d e r i v a , a n c h e se n o n ufficialm e n t e e con alcune riserve, il g r u p p o di Genova che faceva capo a Medici. Vi aderiva La Farina che gli dava a n c h e un giornale, il Piccolo corriere d'Italia, e u n o s t r u m e n t o organizzativo: la Società nazionale. C a v o u r capì subito q u a l e p a r t i t o p o t e v a t r a r n e . C o n l e sue diramazioni in tutti gli altri Stati italiani e negli ambienti d e l l ' e m i g r a z i o n e , q u e l m o v i m e n t o gli forniva u n a b a s e d'appoggio e un mezzo di controllo su tutte le forze patriottiche. Disse a La Farina: «Come Ministro del Re, n o n posso né d e b b o d i r e o far cosa che c o m p r o m e t t a avanti t e m p o la dinastia. Venga da me q u a n d o vuole, ma p r i m a di giorno, e che n e s s u n o lo veda e che n e s s u n o lo sappia. Se sarò interrogato in P a r l a m e n t o o dalla diplomazia, lo r i n n e g h e r ò come Pietro e dirò: n o n lo conosco». Da quel m o m e n t o , a sentir La Farina, s ' i n c o n t r a r o n o quasi ogni g i o r n o e ad u n o di questi antelucani abboccamenti fu p r e s e n t e a n c h e Garibaldi, v e n u t o s e g r e t a m e n t e da C a p r e r a p e r conoscere Cavour. In realtà i d u e si e r a n o già incontrati, e C a v o u r aveva fatto capire a Garibaldi che il m o m e n t o d'agire sarebbe v e n u t o , e p r e s t o . Se ne fosse p r o p r i o c o n v i n t o , n o n si sa. Ma certa363
m e n t e era o r m a i sicuro che agire nessuno poteva se n o n agli ordini del P i e m o n t e e suoi. E a formigliene la certezza provvide lo stesso Mazzini con la p i ù infelice di t u t t e le sue iniziative.
CAPITOLO TRENTATREESIMO
PISACANE
Ai fallimenti, Mazzini n o n era n u o v o , e n e s s u n o di essi e r a mai riuscito ad abbatterlo. Ma d o p o quello dei moti di Milano del '53, risalire la c o r r e n t e fu p e r lui u n ' i m p r e s a faticosa. Un t e m p o , p e r i patrioti n o n c'era alternativa: o la rivoluzione che, gira e rigira, e r a s e m p r e quella di Mazzini, o la rassegnazione. O r a Cavour ne offriva un'altra: la rivoluzion e senza rivoluzione, i n q u a d r a t a n e l l ' o r d i n e costituito del Piemonte liberale. Era con questo avversario, molto più p e ricoloso dell'Austria, che l'Esule doveva vedersela. Per c o m b a t t e r l o , il suo Partito d'Azione a d e g u ò il p r o g r a m m a alle circostanze. Poiché la r e p r e s s i o n e poliziesca che imperversava in tutti gli Stati r e n d e v a impossibile la cospirazione, occorreva rifarsi n o n più a dei missionari dell'Idea, ma a dei corpi combattentistici, p r o n t i a intervenire là dove ci fossero prospettive di successo p e r appiccarvi il fuoco dell'insurrezione che, secondo lui, covava in tutta Italia. E q u e s t o e r a l ' e r r o r e d ' i m p o s t a z i o n e che inficiava t u t t a la sua azione. Egli seguitava a c r e d e r e in un potenziale rivoluzionario che n o n esisteva, e n o n c'era smacco che riuscisse a d i s i n g a n n a r l o . Poco d o p o quello d i M i l a n o , egli t e n t ò u n colpo di m a n o sulla L u n i g i a n a lanciandovi u n a t r e n t i n a di uomini al c o m a n d o di Felice Orsini, che furono r a p i d a m e n te dispersi. Un altro, in C a d o r e , costò la testa a u n o dei suoi migliori seguaci: Pier F o r t u n a t o Calvi. L'anno d o p o , second o t e n t a t i v o i n L u n i g i a n a , seguito d a u n t e r z o nel ' 5 5 . C h i u n q u e altro si sarebbe scoraggiato. Ma Mazzini era Mazzini a p p u n t o p e r c h é n o n si scoraggiava. P u r t r o p p o si scor a g g i a v a n o i suoi, c h e s e m p r e p i ù n u m e r o s i a n d a v a n o ad 365
ingrossare le fila dei dissidenti. Fu p e r questo che a un certo p u n t o egli i n a l b e r ò la famosa «bandiera n e u t r a » di cui a b b i a m o già d e t t o , e che i più i n t r a n s i g e n t i fra i suoi seguaci gli r i m p r o v e r a r o n o c o m e un t r a d i m e n t o . In realtà si trattava soltanto di un a d e g u a m e n t o tattico p e r r e c u p e r a r e i t r a n s f u g h i , ai quali egli diceva p r e s s a p p o c o : «Abbracciate p u r e la causa del P i e m o n t e , ma abbracciatela da rivoluzion a r i , cioè d i v e n t a n d o n e la forza s t i m o l a n t e e t r a e n t e . Acc e n d e n d o delle insurrezioni, voi obbligherete il Piemonte a patrocinarle, e q u i n d i a uscire dal suo attendismo. A questo dovete dedicarvi a c c a n t o n a n d o p e r il m o m e n t o le diatribe ideologiche. U n a volta che l'Italia sia fatta, sia p u r e grazie alle a r m i piemontesi, se a trascinarle sarete stati voi, sarete a n c o r a voi a d e c i d e r e c o m e dev'essere. L ' i m p o r t a n t e è che restiate i protagonisti del processo unitario». Ma n e m m e n o questo valse a frenare l'emorragia, e tanto m e n o a r i c h i a m a r e i disertori, fra i quali figuravano i n o m i p i ù prestigiosi del '48 e del ' 4 9 : da M a n i n a Pallavicino, a Medici, a Cosenz, a Garibaldi, che restava il più prestigioso di tutti, l'unico che esercitasse un fascino anche sulle masse. U n o solo, che in passato con Mazzini aveva avuto seri contrasti, t o r n ò sotto le sue b a n d i e r e : Carlo Pisacane. Pisacane e r a un n a p o l e t a n o di famiglia blasonata, figlio cadetto del Duca.di San Giovanni che lo iscrisse al collegio militare della N u n z i a t e l l a p e r f a r n e u n ufficiale d i r e Ferdin a n d o , cui e r a egli stesso devotissimo. Era u n a b u o n a scuola, u n a delle migliori d'Italia, p e r c h é e r a all'Esercito che F e r d i n a n d o dedicava tutte le sue cure, convinto che bastasse a difendere il suo t r o n o . E invece p r o p r i o in quel collegio si f o r m a r o n o gli u o m i n i che, agli o r d i n i di Garibaldi, dovevano d a r e la spallata finale al R e g n o delle D u e Sicilie e alla sua dinastia: i d u e Mezzacapo, Ulloa, Cosenz. Il r a g a z z o p r o m e t t e v a b e n e n o n solo p e r il suo fisico a prova di qualsiasi sforzo e fatica, ma a n c h e p e r il suo talento p o r t a t o soprattutto alle scienze esatte. T a n t o che o t t e n n e in 366
p r e m i o la n o m i n a a paggio del Re, c o m ' e r a capitato a n c h e a Cavour, e lo rimase p e r q u a t t r o anni. Q u a l c h e suo biografo dice che fu questa esperienza, che lo mise a contatto con tutte le miserie della C o r t e a g e t t a r e in lui il seme della ribellione. Ma ne m a n c a qualsiasi prova, e t e m i a m o che si tratti di supposizioni a posteriori. A v e n t o t t ' a n n i , nel '46, egli e r a un brillante ufficiale del Genio i m p e g n a t o nella costruzione della n u o v a strada del Vomero, e n e m m e n o l'occhiutissima polizia borbonica lo sospettava di t e n d e n z e eversive. Parland o n e da m o r t o , Dall'Ongaro lo descrive b i o n d o , con dolcissimi occhi azzurri e «un n o n so che di mesto e rassegnato» e r r a n t e sulla «spaziosa fronte». Ma i pochi ritratti che di lui ci r e s t a n o lo m o s t r a n o invece t r a c a g n o t t o , lo s g u a r d o accigliato, le mascelle c o n t r a t t e in u n a smorfia imperiosa: connotati c h e , f r a n c a m e n t e , ci s e m b r a n o p i ù in c a r a t t e r e col suo carattere. A n c h e noi siamo convinti che in lui covava un ribelle, e di conferme, nella sua breve vita, ne t r o v e r e m o a josa. Ma a fornirgli la p r i m a occasione di rivolta fu u n a circostanza che n o n aveva nulla d ' i d e o l o g i c o . U n a n o t t e fu t r o v a t o sulla porta di casa, mezzo dissanguato da u n a gragnola di p u g n a late. I medici lo d e t t e r o p e r spacciato, ma la sua fortissima fibra ebbe la meglio. La polizia, alla quale aveva detto di essere stato a g g r e d i t o da un r a p i n a t o r e , i n d a g ò a l u n g o o forse n o n i n d a g ò affatto p e r c h é già sapeva di c h e si trattava. Pisacane aveva u n ' a m a n t e , Enrichetta di L o r e n z o . Si e r a n o conosciuti ragazzi, a v e v a n o s p e r a t o di sposarsi, p o i lei e r a invece a n d a t a in moglie a un grossolano riccone, un c e r t o Lazzari, da cui aveva avuto tre bambini. D o n n a leale e di severa educazione, aveva cercato di resistere alla passione p e r Carlo, ma n o n c'era riuscita. E le p u g n a l a t e r a p p r e s e n t a v a no c e r t a m e n t e u n a liquidazione di c o r n a da p a r t e del marito: u n a liquidazione che la polizia borbonica trovava legittima e q u i n d i n o n perseguibile. Carlo confessò la sua «colpa» in u n a lettera scritta ai familiari al m o m e n t o di p a r t i r e con Enrichetta, o r m a i costret367
ta dal «disonore» all'espatrio. E cominciò p e r loro u n a vita r a n d a g i a di miserie e di fughe, che trovavano c o m p e n s o solo nell'amore. Sbarcati a Livorno, dovettero subito sloggiarne p e r sottrarsi alla polizia toscana messa in allarme da u n a lettera p e r s o n a l e di F e r d i n a n d o , «nel suo reale a n i m o conturbato» dall'episodio e b e n deciso a farsi c o n s e g n a r e i peccatori p e r un e s e m p l a r e castigo. D o p o u n a lunga odissea, si rifugiarono a L o n d r a , male accolti dai fuorusciti italiani che in lui, figlio di Duca ed ex-ufficiale dell'Esercito b o r b o n i c o , sospettavano u n a spia. U n o solo gli si mostrò amico: Gabriele Rossetti, p a d r e del p o e t a , e b e n a m m a n i g l i a t o nella società inglese. Ma n e m m e n o lui riuscì a salvarlo dall'espulsione comminatagli dalla polizia su richiesta di quella n a p o letana. A Parigi li a r r e s t a r o n o , e l'Ambasciatore di Napoli, sollecitato a intervenire, lo fece m a n d a n d o alla prigione d u e pie e severissime d a m e p e r c h é convertissero Enrichetta e la riportassero sulla retta strada. E nelle lettere scritte nelle p a u s e di queste traversie che si c o l g o n o i p r i m i segni della rivolta di Pisacane c o n t r o la società. Rossetti gli aveva d a t o u n a lettera di p r e s e n t a z i o n e p e r un suo illustre c o m p a e s a n o , il generale Pepe. Fu costui a p r e s e n t a r e Pisacane nell'ambiente degli esuli frequentato a n c h e da illustri personalità francesi: L a m e n n a i s , Constant, L a m a r t i n e . E fu qui che il giovane n a p o l e t a n o cominciò ad allargare i suoi orizzonti culturali. Ma la sua condizione di paria bandito e braccato p e r motivi morali e di costume, lo r e n d e v a poco disponibile agl'ideali di Mazzini. Più che sulla liberazione dell'Italia, egli p o n e v a l'accento sulla r i g e n e r a zione di u n a società m u m m i f i c a t a nei suoi privilegi e p r e giudizi di classe, cui doveva la p r o p r i a persecuzione. P u ò s o r p r e n d e r e che u n u o m o delle sue idee chiedesse l ' a r r u o l a m e n t o nella Legione Straniera p e r u n a g u e r r a imperialista c o m e la conquista dell'Algeria. A spingervelo fur o n o c e r t a m e n t e il bisogno e la smania d'avventura. Lasciata Enrichetta presso degli amici a Marsiglia, s'imbarcò sulla fine del '47, ma arrivò sul posto q u a n d o ormai gli algerini si 368
e r a n o a r r e s i , e alla L e g i o n e n o n r e s t a v a n o che compiti di polizia. Più t a r d i si disse che il s o t t o t e n e n t e Pisacane riuscì u g u a l m e n t e a mettersi in luce con u n a serie di duelli e un r o m a n z o alla J a c o p o Ortis. Ma di tutto questo m a n c a qualsiasi traccia. E accertato soltanto che q u a n d o , tre mesi d o p o , si c o n g e d ò , ricevette dal C o m a n d o attestati di simpatia e di stima. Aveva deciso d i t o r n a r e p e r c h é a n c h e a d Algeri e r a n o giunte le notizie della «primavera italiana» del '48. A Marsiglia riprese Enrichetta, con lei corse a Milano tuttora ribollente di barricate e si mise in contatto con Cattaneo che, nemico delle improvvisazioni in tutto, anche nella rivoluzione, a p p r e z z ò moltissimo le sue qualità di professionista della g u e r r a . Da lui ebbe il c o m a n d o di u n ' o r d a di volontari accorsi un p o ' d a p p e r t u t t o , anche dall'estero, e riuscì alla bell'e meglio a trasformarla in u n a C o m p a g n i a di «Cacciatori», che tuttavia di selvaggina r i m a s e a corto p e r c h é fu esiliata nella z o n a m o r t a d i T r e m o s i n e , l o n t a n a d a i c a m p i i n cui, d o p o i vittoriosi scontri di Coito e Peschiera, Carlo Alberto si faceva b a t t e r e da Radetzky. Fu solo m e n t r e gli austriaci già marciavano su Milano che Pisacane p o t è affrontarne un piccolo r e p a r t o , riuscì a respingerlo e rischiò di p e r d e r e un braccio spappolatogli da u n a pallottola. Si precipitò al Comitato di Difesa p e r p e r o r a r e un p i a n o a u d a c e : s g o m b e r a r e le t r u p p e dalla città e a t t a c c a r e di s o r p r e s a il n e m i c o alle spalle fra B e r g a m o e Brescia. Ma a sostenerlo n o n c'era più Cattaneo, già ritiratosi in Ticino. Pisacane ve lo r a g g i u n s e poco d o p o con Enrichetta. E lì trovò a n c h e Mazzini che, colpito dalla sua «visione strategica», se lo p r e s e come consigliere militare. I d u e trascorsero giorni e notti, curvi sulle carte geografiche, a r e d i g e r e vasti piani di operazioni p e r un esercito che n o n c'era. Ma subito fra loro affiorarono anche i contrasti. A n t e p o n e n d o qualsiasi altra istanza a quella d e l l ' u n i t à e i n d i p e n d e n z a nazionale, Mazzini p u n t a v a a n c o r a sulla riscossa del P i e m o n t e ed e r a p r o n t o a collaborare con Carlo Alberto. Pisacane, al contra369
rio, pensava che l'iniziativa della rivincita n o n potesse venire che dalle tre Repubbliche di Venezia, della Toscana e di Roma, le uniche in g r a d o di capeggiare u n a g u e r r a di popolo. Gli avvenimenti, a l m e n o lì p e r lì, s e m b r a r o n o dargli ragione. Sceso di n u o v o in g u e r r a , il P i e m o n t e si faceva definitivamente b a t t e r e a Novara. E Pisacane, accorso a R o m a , si d i e d e a n i m a e c o r p o alla realizzazione del suo d i s e g n o : f o n d e r e i n u n u n i c o esercito quelli delle t r e R e p u b b l i c h e , attirandovi tutte le forze rivoluzionarie italiane. Ma Venezia e r a c o m p l e t a m e n t e bloccata, la Toscana si riprese, senza o p porgli resistenze, il suo G r a n d u c a , e R o m a n o n p o t è c o n t a r e che su Roma. I suoi apologeti dicono che Pisacane fu il vero a n i m a t o r e della resistenza d e l l ' U r b e . Ma dalle furiose p o l e m i c h e che poi i m p e r v e r s a r o n o fra i r e d u c i e di cui Pisacane fu u n o dei preferiti bersagli, si ha tutt'altra impressione. M e m b r o della Commissione di Difesa e dello Stato M a g g i o r e , c e r t a m e n t e Pisacane d i m o s t r ò di a v e r e i d e e p i ù c h i a r e sia di Mazzini, che del Ministro della G u e r r a Avézzana, del generale Roselli e dello stesso G a r i b a l d i , coi quali fu s u b i t o in r o t t a . Ma queste idee p r e s u p p o n e v a n o u n esercito b e n e i n q u a d r a t o , o r g a n i z z a t o e disciplinato, l a d d o v e i n v e c e n o n c ' e r a c h e u n ' a r m a t a b r a n c a l e o n e fatta di tutto un p o ' fuorché di soldati veri: g e n t e a cui si p o t e v a n o affidare a n c h e le i m p r e s e p i ù spericolate, ma n o n certo le g e o m e t r i c h e m a n o v r e che Pisacane si ostinava a p r o g r a m m a r e . Voleva c o n t r o i francesi u n a g u e r r a di m o v i m e n t o a n c h e a costo di s g o m b r a r e la città, e p e r questo ebbe d u r i scontri con Mazzini, che invece sosteneva - e con p i e n a ragione - il valore politico e morale della difesa a o l t r a n z a . Si mise in r o t t a con Garibaldi r i n v p r o v e r a n d o g l i indisciplina e avventatezza. E dei rancori che suscitò si fece portavoce Guerrazzi, che nel suo Assedio di Roma lo d i p i n g e i n g i u s t a m e n t e c o m e un b u r o c r a t e pignolo e irresoluto. Q u a n d o la città fu allo stremo, Pisacane r i p r o p o se di giuocare la carta della battaglia campale e poi di forza? re il confine del R e a m e borbonico p e r suscitarvi la rivolta. 370
T u t t e le sue idee furono bocciate. Ma egli seguitò a p r o p u g n a r l e sul giornale di Mazzini, q u a n d o con lui si ritrovò esule a L u g a n o , affibbiando p a t e n t i di s o m a r o a coloro che le a v e v a n o avversate, c o m p r e s o Garibaldi. Il c a r a t t e r e aggressivo e attaccabrighe n o n gli facilitava i r a p p o r t i con gli altri rifugiati. A n d ò a L o n d r a a cercarsi un lavoro, n o n lo trovò, t o r n ò a L u g a n o , finalmente chiese asilo all'odiato Piem o n t e . E a queste traversie si aggiunse il d r a m m a sentimentale con Enrichetta. Rimasta i n t r e p i d a m e n t e al suo fianco nel p e r i o d o r o m a n o , essa era o r a a Genova, sola e afflitta dal d u b b i o di essere di peso a quel suo inquieto c o m p a g n o . Lì trovò Cosenz, vecchio amico e commilitone di Carlo, che, sebbene alla vigilia delle nozze, s ' i n n a m o r ò di lei. E n t r a m b i leali fino allo scrupolo, sfogarono i loro sentimenti in l u n g h e lettere a Carlo, e ne n a c q u e u n a c o r r i s p o n d e n z a a tre del più p u r o stile r o mantico. C o n molta civiltà, invece di m a l e d i r e e recriminare, Carlo ragionò, riconobbe i p r o p r i torti, i m p a r t ì all'amico e all'amante consigli disinteressati, e alla fine rimase p a d r o ne del c u o r e di lei che n o n si sentì di lasciarlo. Accorse a Genova, deciso stavolta a fare il b u o n m a r i t o e p a d r e di famiglia, abbracciò Cosenz con cui m a n t e n n e i suoi fraterni r a p p o r t i , e si d i e d e a c o m p l e t a r e la stesura di un saggio sulla g u e r r a del '48-'49. Sebbene gli avesse n e g a t o il p e r m e s s o di soggiorno, la polizia n o n lo i m p o r t u n a v a , e a facilitargli l'esistenza p r o v v e d e v a n o gli amici e i c o m p a g n i di esilio, che a v e v a n o il l o r o p u n t o di r i t r o v o nella casa della «Scià Maria», la m a d r e di Mazzini. Ci v e n i v a n o a n c h e le sorelle Ashurst, le g r a n d i protettrici dell'Esule a L o n d r a , di cui Enrichetta diventò amicissima. Q u a n d o il libro fu p r o n t o , Pisacane lo m a n d ò in visione a Cattaneo che lo trovò eccellente, e a Mazzini che lo definì «buono», ma p r o p o s e alcuni tagli p e r «evitare vespai e discussioni dove il paese n o n li richiede». Pisacane n o n se ne d i e d e p e r inteso e la p r e v i s i o n e si a v v e r ò . Si a v v e r ò a tal p u n t o che, d o p o un duello con R a m o r i n o , gli amici dovet371
t e r o m e t t e r c e l a t u t t a p e r r i s p a r m i a r n e a Pisacane u n ' a l t r a dozzina, e nel p o l v e r o n e delle r e c i p r o c h e accuse passò del t u t t o inosservato il senso v e r o d e l l ' o p e r a : la d e n u n z i a dell'intrinseca debolezza delle forze rivoluzionarie italiane p e r m a n c a n z a d i a p p o r t o p o p o l a r e . E r a i l p r i m o passo v e r s o quell'esigenza di contenuti sociali che dovevano diventare il credo di Pisacane. Al suo attacco, Roselli reagì con un altro opuscolo in cui ce n'era p e r lui, ma ancora di più p e r Garibaldi, che gli m a n d ò i p a d r i n i . E come Mazzini aveva t e m u to, tutte queste diatribe r e s e r o ancora più diviso il litigiosissimo c a m p o democratico. Allo scoppio della g u e r r a di Crimea, Cattaneo suggerì a Pisacane di andarci p e r aggiornarvi le sue concezioni strategiche e tattiche. Ma Pisacane rifiutò un p o ' su consiglio di Mazzini, un p o ' p e r c h é n o n voleva più t u r b a r e la sua quiete familiare o r a c h e gli e r a n a t a u n a b a m b i n a , u n p o ' p e r c h é era i m p e g n a t o a scrivere quei Saggi storico-politici-militari sull'Italia c h e f u r o n o pubblicati p o s t u m i in q u a t t r o v o l u m i e che r a p p r e s e n t a n o un p o ' la sua summa. Nonostante i dissap o r i di R o m a e il contrasto ideologico sul socialismo, seguitava ad a m m i r a r e Mazzini p e r la sua altezza m o r a l e e si teneva in contatto con lui attraverso Emilia Ashurst. Ad accom u n a r l i era la fede nella «scintilla», cioè nella forza trascinatrice e incendiaria dell'esempio individuale. D o p o il fallimento dei moti tentati in Lunigiana e a Milano, Pisacane avanzò la p r o p o s t a di ripetere l'operazione nel Sud. L i d e a n o n era sua, ma di Fabrizi, che da quasi v e n t a n ni seguitava a tessere c o n g i u r e nel R e a m e . In Sicilia q u e st'opera qualche frutto lo aveva dato, grazie al diffuso odio c o n t r o N a p o l i e i B o r b o n i , e sulla fine del '56 un b a r o n e B e n t i v e g n a i n s o r s e a Cefalù, a c c e n d e n d o le s p e r a n z e d e i p a t r i o t i in esilio. Essi p r o g e t t a r o n o u n a spedizione di socc o r s o , cui d a p p r i n c i p i o si d i m o s t r ò favorevole a n c h e Cavour, m a che n o n p o t è attuarsi p e r c h é poco d o p o Bentiveg n a fu catturato coi suoi u o m i n i e fucilato. Del Mezzogiorno, Mazzini n o n si era mai m o l t o c u r a t o , 372
convinto che di potenziale rivoluzionario ce ne fosse poco, o c o m u n q u e m o l t o m e n o c h e nelle p r o v i n c e c e n t r o - s e t t e n trionali. Pisacane pensava e s a t t a m e n t e il contrario. Proprio le loro condizioni di arretratezza, diceva, p r e d i s p o n e v a n o le masse c o n t a d i n e meridionali alla rivoluzione, solo che questa accogliesse le loro rivendicazioni. Essa i n s o m m a doveva b a n d i r e u n a crociata n o n solo nazionale, ma a n c h e e soprattutto sociale, n o n solo c o n t r o i Borboni, ma a n c h e contro i baroni. C o m e p o i si vide, il calcolo era c o m p l e t a m e n t e sbagliato. Nelle condizioni di miseria e di analfabetismo in cui versavano, quelle masse c o n t a d i n e n o n p o t e v a n o i n t e n d e r e questi richiami, e c o m u n q u e avevano bisogno di capi che solo la b o r g h e s i a p o t e v a f o r n i r e . M a q u e s t a b o r g h e s i a che, p e r m a n c a n z a d ' i n d u s t r i e , aveva investito tutti i suoi capitali in t e r r e , n o n i n t e n d e v a affatto secondare u n a rivolta che fatalm e n t e gliele avrebbe espropriate. Di tutto questo, n e m m e n o Mazzini ebbe u n a chiara percezione. E fu a n c h e col suo assenso, o p e r lo m e n o senza il suo dissenso, che Pisacane si diede a p r e p a r a r e un colpo di m a n o nel Sud, d'accordo con Fabrizi e con un certo Fanelli, che dirigeva il C o m i t a t o i n s u r r e z i o n a l e clandestino di Napoli. Il suo p i a n o s'intrecciò con un altro ideato da Garibaldi, B e r t a n i e Medici p e r liberare, con un'azione a sorpresa, Poerio, S e t t e m b r i n i , S p a v e n t a e altri patrioti rinchiusi nel c a r c e r e di S a n t o Stefano. Ma p o i q u e s t ' u l t i m a i m p r e s a fu a c c a n t o n a t a , m e n t r e Pisacane m a n d ò avanti l a sua. Nel maggio del '57 Mazzini lo raggiunse a Genova mettendogli a disposizione i fondi che aveva raccolto p e r u n a insurrezione in Toscana. Il p i a n o era di coordinare con quella del Sud u n a rivolta a G e n o v a e a L i v o r n o d o v e il Partito d'Azione era abbastanza forte. Il 6 g i u g n o l'esule siciliano Rosolino Pilo con altri pochi c o m p a g n i caricò a r m i e munizioni p e r traghettarle a Sapri e di qui m u o v e r e su Napoli, dove Pisacane e Cosenz, sbarcati c l a n d e s t i n a m e n t e , a v r e b b e r o p r e d i s p o s t o con Fanelli la ri- 373
volta. Ma ci fu il solito imprevisto. Investita dalla tempesta, la goletta di Pilo dovette gettare il carico a m a r e e r i e n t r a r e sconquassata a Genova. P r e v e d e n d o il disastro, Enrichetta scongiurò il suo c o m p a g n o di r i n u n c i a r e e, n o n riuscendovi, lo convinse a fare un sopralluogo a Napoli, nella speranza che si r e n d e s s e conto dell'assurdità dell'impresa. Pisacane se ne rese c o n t o , ma n o n r i n u n c i ò . R i e n t r a t o a G e n o v a d o p o q u a t t r o giorni di colloqui con Fanelli e altri congiurati, consultò Mazzini e con lui decise di t e n t a r e u g u a l m e n t e . Il 24 g i u g n o c o n s e g n ò alla giornalista inglese Jessie White, g r a n pasionaria della causa rivoluzionaria italiana, il suo testamento che rivela insieme le sue convinzioni socialiste e la sua certezza di m o r i r e . «Il p r i m o dovere di un patriota - diceva - è quello di agire. Se n o n riesco, disprezzo profondam e n t e l'uomo ignobile e volgare che mi c o n d a n n e r à . Se riesco, a p p r e z z e r ò assai poco i suoi applausi. O g n i mia ricompensa la troverò nel fondo della mia coscienza.» L'indomani s'imbarcò con ventiquattro compagni, fra cui Giovanni Nicotera e Falcone, su un piroscafo di linea diretto a Cagliari. Poche ore d o p o la partenza, rinchiusero il capitano nella sua cabina, e costrinsero l'equipaggio a p u n t a r e su Ponza. Ma ancora u n a volta Pilo n o n si p r e s e n t ò all'appunt a m e n t o fissato p e r caricare le a r m i . Aveva p e r s o l'orientam e n t o e sbagliato rotta. Rimediarono coi fucili e le munizioni trovate nella stiva del v a p o r e , che b a s t a r o n o p e r r i d u r r e alla ragione il piccolo presidio borbonico che nell'isola m o n tava la g u a r d i a alle prigioni. Dei 323 d e t e n u t i che v e n n e r o liberati, solo u n a dozzina e r a n o c o n d a n n a t i p e r motivi politici. Ma a n c h e gli altri - disertori e criminali c o m u n i - si arr u o l a r o n o nella spedizione, che proseguì per Sapri. C o m e d ' a c c o r d o , il 27 Mazzini p r e a n n u n c i ò telegraficam e n t e a Fanelli lo sbarco di Pisacane. Ma Fanelli e gli altri congiurati, p r i m a di muoversi, vollero sapere come era stato accolto dalla popolazione. Era l'eterna storia delle insurrezioni italiane che n o n s c o p p i a v a n o mai p e i x h é o g n u n o aspettava l'iniziativa dell'altro e il suo successo. 374
La p o p o l a z i o n e di Sapri, dove Pisacane aveva gettato le a n c o r e , io aveva accolto c o m e quella di Pizzo aveva accolto Murat, cioè voltandogli le spalle. Messo in allarme dal colpo di m a n o su Ponza, il g o v e r n o di Napoli aveva sparso la notizia che quella in arrivo e r a u n a b a n d a di d e l i n q u e n t i evasi dalle g a l e r e e minacciato severissime r a p p r e s a g l i e c o n t r o chi avesse con essa solidarizzato. I n v a n o Pisacane cercò di spiegare i p r o p r i moventi. Forse p e i x h é n o n gli c r e d e t t e r o , o forse p e r c h é gli c r e d e t t e r o , n e s s u n o gli d e t t e u n a m a n o , anzi si affrettarono a segnalare i suoi m o v i m e n t i alle a u t o rità. Nella speranza che Fanelli vi avesse scatenato la rivolta, egli decise di p u n t a r e su Napoli. Ma il 1 ° luglio a Padula ebbe un d u r o scontro con un r e p a r t o b o r b o n i c o e vi p e r s e la m e t à dei suoi u o m i n i . Sull'altra m e t à , che cercava s c a m p o verso il Cilento, si a v v e n t a r o n o p r o p r i o quei contadini che Pisacane i n t e n d e v a sollevare, i m p r e s t a n d o l o r o e n e r g i e e idealità rivoluzionarie. Ferito, preferì uccidersi con un colpo di pistola, Falcone lo imitò, e Nicotera finì con alcuni altri sopravvissuti davanti al tribunale militare. Il processo n o n fu, p e r la causa patriottica, u n a p a g i n a gloriosa. Nicotera rivelò tutto l'ordito della congiura, e forse fu p e r questo che la sua c o n d a n n a a m o r t e fu c o m m u t a t a nella prigione a vita, che si ridusse a tre a n n i p e r c h é nel '60 fu liberato da Garibaldi. Fanelli, su cui egli scaricò t u t t e le responsabilità, e che si era messo in salvo con u n a tempestiva fuga, risultò dall'inchiesta un inetto c o d a r d o . E tutto l'apparato insurrezionale p e r s e in quella vicenda il poco credito di cui ancora godeva. N o n d i v e r s a m e n t e a n d a r o n o i colpi p r o g r a m m a t i d a Mazzini in a p p o g g i o a quello di Pisacane. Sia a Genova che a Livorno la polizia ebbe presto ragione dei pochi che scesero in piazza. Quasi tutti gl'indiziati finirono al fresco, compresa Jessie White, alcuni ci r i m a s e r o p e r parecchi mesi, e Mazzini, sfuggito - o forse lasciato fuggire - di m i s u r a , fu per la seconda volta c o n d a n n a t o a m o r t e in contumacia. L'eco di q u e s t o fallimento fu i m m e n s a . Mazzini d o v e t t e 375
difendersi coi denti dall'accusa di giuocare con la pelle degli altri t e n e n d o al sicuro la sua, e r i n u n z i a r e al t e n t a t i v o di conservare l'iniziativa grazie alla famosa «bandiera neutra». Il g r u p p o che faceva capo al trio Medici-Bertani-Cosenz si staccò ancora di più dal suo Partito d'Azione, cui n o n aveva m a i a d e r i t o , ma di cui r a p p r e s e n t a v a un'ala, sia p u r e dissid e n t e . E la falange r e p u b b l i c a n a si ridusse a u n a smilza pattuglia di cospiratori da c a t a c o m b a o r m a i fuori del giuoco. Lo scriveva e s u l t a n t e Foresti a Pallavicino: «Il p r o f e t a ha p e r d u t o l'ultima scintilla del suo fatale prestigio. A Mazzini politico si p u ò cantare il Requiem aeternam». Ma sul piano u m a n o , la vera e p i ù g r a n d e vittima fu Enrichetta. Di Carlo n o n gli rimase nulla, n e m m e n o un riverb e r o della sua gloria, q u a n d o la pubblicazione dei suoi scritti p o s t u m i lo rivelò a n c h e saggista politico originale e di alto livello. Schedata dalla polizia n o n come la vedova, ma come la «druda» di Pisacane, tutti si d i m e n t i c a r o n o di lei, che appassì in s o l i t u d i n e v i v e n d o u n i c a m e n t e di sua figlia e dei suoi ricordi.
CAPITOLO TRENTAQUATTRESIMO
PLOMBIÈRES
La sera del 14 g e n n a i o 1858, m e n t r e N a p o l e o n e e l'imperatrice E u g e n i a si recavano all'Opera, tre b o m b e scoppiarono sotto la loro carrozza, lasciando illesi i Sovrani, ma p r o v o c a n d o otto m o r t i e c e n t o c i n q u a n t a feriti. A lanciarle e r a n o stati q u a t t r o rivoluzionari italiani: Pieri, Di Rudio, Gomez e Felice Orsini, organizzatore del colpo. Orsini e r a un intellettuale r o m a g n o l o , u n a specie di cavaliere e r r a n t e d e l l ' I d e a l e , c h e nella vita e n e l l a politica avrebbe p o t u t o farsi largo a n c h e senza ricorso alle b o m b e . «Anima di fuoco in u n a t e m p r a di ferro», fin da giovanissimo aveva militato nella C a r b o n e r i a a s s u m e n d o v i le i m p r e se p i ù rischiose, aveva svolto i m p o r t a n t i c o m p i t i politici e militari d u r a n t e l a R e p u b b l i c a R o m a n a , s i e r a a r r u o l a t o nell'esercito a u s t r i a c o p e r s p a r g e r v i il s e m e della cospirazione e, a r r e s t a t o , e r a riuscito a e v a d e r e dalla fortezza di M a n t o v a in m a n i e r a r o m a n z e s c a . Esule a L o n d r a , aveva scritto un libro di m e m o r i e c h e fu p u b b l i c a t o d o p o la sua m o r t e e d o c u m e n t a la sua p r o n t a intelligenza, il s u o m a schio t e m p e r a m e n t o , u n a notevole c u l t u r a e un a n c o r p i ù notevole esibizionismo. Da Mazzini si e r a staccato p e r avvicinarsi al g r u p p o di Medici e Bertani, e aveva scritto a Cavour chiedendogli un permesso di soggiorno a Genova. C a v o u r e r a r i m a s t o colpito d a quella l e t t e r a «nobile e d energica», ma n o n aveva risposto. E Orsini, rimasto isolato, aveva finito p e r i m b r a n c a r s i coi fuorusciti francesi che cospiravano c o n t r o il r e g i m e . Si disse che il colpo gli fu ordinato dalla C a r b o n e r i a p e r castigare il «tradimento» di Napoleone, suo antico affiliato. E, sebbene n i e n t e lo provasse, 377
anzi tutto provasse il contrario, lo stesso N a p o l e o n e lo credette, o lo temette. Q u a n d o l'eco d e l l ' a t t e n t a t o g i u n s e a T o r i n o , C a v o u r si mise le m a n i n e i capelli. Di a t t e n t a t i N a p o l e o n e ne aveva già subiti d u e , s e m p r e ad o p e r a d'italiani: di Pianori nel '55, e di Tibaldi nel '57. Q u e s t o di Orsini, con la strage che aveva provocato, rischiava di diventare l ' a r g o m e n t o più efficace nelle m a n i dei nemici dell'Italia, c h ' e r a n o tanti e potenti, d a l l ' I m p e r a t r i c e a Walewski, al clero, agli a m b i e n t i conservatori della finanza e della diplomazia. E infatti lo si vide subito. Al g e n e r a l e M o r o z z o della Rocca, c h e Vittorio E m a n u e l e s p e d ì a Parigi p e r recargli le sue felicitazioni p e r lo scampato pericolo, N a p o l e o n e rispose b r u s c a m e n t e che n o n p o t e v a c o n s i d e r a r e amico un Paese che d a v a asilo ai complottatori e agli assassini, e la cui s t a m p a n o n faceva che ins u l t a r e lui e la Francia. E a g g i u n s e m i n a c c i o s a m e n t e : «Mi basterebbe alzare un dito, e p r o v v e d e r e b b e il mio esercito a sloggiare i delinquenti d o v u n q u e si trovino». In Vittorio E m a n u e l e il senso della dignità prevaleva su ogni calcolo e p a u r a . Invece di spaventarsi di quel messaggio, se ne i n d i g n ò e, sotto d e t t a t u r a di Cavour, c h e a n c h e delle i n d i g n a z i o n i sapeva servirsi, rispose a M o r o z z o : «Se quelle che mi trasmettete sono le p a r o l e testuali d e l l ' I m p e r a t o r e , ditegli nei t e r m i n i che vi s e m b r e r a n n o p i ù a p p r o priati c h e d e s i d e r o r e s t a r e suo amico, m a che imposizioni n o n ne accetto da n e s s u n o , del mio o n o r e r i s p o n d o solo a Dio e al mio p o p o l o , e che n e s s u n o farà abbassare la testa a un Savoia, abituato a portarla alta da ottocentocinquant'anni». Cavour aggiunse un tocco di suo, s u g g e r e n d o a Morozzo di n o n cercare affatto t e r m i n i più a p p r o p r i a t i , ma di mostrare a l l ' I m p e r a t o r e la lettera così com'era. Il giuoco e r a rischioso, ma si rivelò psicologicamente indovinato. N a p o l e o n e , che le doti u m a n e sapeva apprezzarle, rimase colpito da quella virile risposta, e consegnò a Morozzo u n a replica in cui si diceva dispiaciuto che le sue parole fossero state fraintese: la sua n o n e r a stata u n a mfnac378
eia, ma solo un a m i c h e v o l e s u g g e r i m e n t o . E a g g i u n g e v a : «Sono p r o n t o a sostenere la vostra causa. Vi c h i e d o solo di m e t t e r e i vostri avversari dalla p a r t e del torto». Era l'inizio di un clamoroso c a p o v o l g i m e n t o , cui Orsini collaborò, sia p u r e involontariamente, da g r a n d e attore. In tribunale, egli trasformò il banco degl'imputati in palcoscenico e il processo in d r a m m a a s s u m e n d o la piena responsabilità dell'attentato e s p i e g a n d o n e i motivi ideali, ma senza a c c e n n a r e a p e n t i m e n t i e r i t r a t t a z i o n i . Il suo c o r a g g i o , la sua facondia, il suo a t t e g g i a m e n t o g l a d i a t o r i o , la sua m a schia bellezza c o n q u i s t a r o n o la platea d a p p r i m a ostile e la m a n d a r o n o in visibilio. «Tutte le g r a n d a m e - a n n o t a v a cos t e r n a t o l'Ambasciatore a u s t r i a c o nel suo d i a r i o - h a n n o perso la testa p e r lui. La stessa I m p e r a t r i c e si è entusiasmata di questo assassino in guanti gialli.» N a p o l e o n e seguiva i d i b a t t i m e n t i con un i n t e r e s s e c h e q u a l c h e s u o c o l l a b o r a t o r e trovava m o r b o s o . «Sembra c h e p a r t e g g i p e r colui che voleva ucciderlo.» Un g i o r n o gli fu recapitata u n a lettera di Orsini. «Le deposizioni che ho già rese c o n t r o me stesso - diceva - r e n d o n o inevitabile la mia c o n d a n n a a m o r t e , e io la subirò senza c h i e d e r e clemenza, sia p e r c h é mai mi umilierò dinanzi a chi ha soffocato la nascente libertà della m i a infelice p a t r i a (alludeva ovviamente alla Repubblica Romana), sia p e r c h é nella situazione in cui mi trovo la m o r t e r a p p r e s e n t a un sollievo.» Ma, aggiungeva, la sicurezza d e l l ' E u r o p a «e a n c h e quella di Vostra Maestà sar a n n o s e m p r e in forse fin q u a n d o gl'italiani s a r a n n o schiavi. Vi s c o n g i u r o , Maestà, di r e n d e r e alla mia p a t r i a l'indip e n d e n z a che i suoi figli h a n n o p e r d u t o p e r m a n o dei francesi. Ve lo chiede un patriota sulla soglia del patibolo». Napoleone volle che questa lettera fosse letta al processo, la fece pubblicare sul giornale del r e g i m e , il Moniteur, e q u a n d o la s e n t e n z a di m o r t e fu p r o n u n c i a t a c o n t r o O r s i n i e Pieri (gli altri d u e furono c o n d a n n a t i ai lavori forzati), i ministri dovettero mettercela tutta p e r impedirgli di p r o n u n c i a r e la grazia. Ma n o n p o t è frenare la p r o p r i a a m m i r a z i o n e p e r il 379
d i n a m i t a r d o che n e a n c h e nell'ultima scena, la p i ù difficile, p e r s e il suo stile. Sul palco della ghigliottina salì con passo fermo i n t o n a n d o il vecchio i n n o dei Girondini: « Q u a n d o si m u o r e p e r la patria...» e, curvandosi sotto la m a n n a i a gridò: «Viva l'Italia! Viva la Francia!» Aveva lasciato un testamento politico. N a p o l e o n e volle leggerlo. Poi lo m a n d ò a C a v o u r con p r e g h i e r a di p u b b l i c a r l o sulla Gazzetta piemontese. Cav o u r si affrettò a contentarlo, p u r facendo p r e c e d e r e questo c o m m e n t o : «Riceviamo da fonte sicura gli ultimi scritti di Felice O r s i n i . Ci è di conforto il v e d e r e com'egli, sull'orlo della t o m b a rivolgendo i pensieri confidenti all'Augusta Volontà che riconosce propizia all'Italia...» A n c h e gli storiografi che p i ù t e n d o n o a e s c l u d e r e l'elem e n t o psicologico dalle motivazioni degli avvenimenti, dev o n o riconoscere che in q u e s t o caso esso fu d e t e r m i n a n t e . Le b o m b e di Orsini, a n c h e se n o n lo avevano scalfito, avevano tuttavia colpito N a p o l e o n e c o m e un minaccioso memento. Era con le cospirazioni ch'egli aveva d e b u t t a t o , ed e r a grazie alle barricate che aveva conquistato il suo t r o n o . Agli ambienti rivoluzionari si sentiva tuttavia legato da un complesso s e n t i m e n t o di solidarietà, p a u r a , nostalgia e r i m o r s o . Quelle b o m b e e r a n o il richiamo a u n a missione fin lì tradita, e che ora bisognava r i p r e n d e r e . C h e ve lo costringesse la situazione politica, è escluso dal fatto stesso ch'egli p r e s e le sue decisioni nel più assoluto segreto, b e n s a p e n d o che tutti i suoi ministri e consiglieri le a v r e b b e r o o s t e g g i a t e c o m e contrarie agl'interessi suoi e della Francia. Di lì a p o c h e settimane, egli invitò Cavour a raggiungerlo di nascosto a Plombières. Era t e m p o . Dall'elezioni del '57, Cavour era uscito g r a v e m e n t e indebolito. Esse avevano quasi dimezzato la m a g g i o r a n z a su cui il suo g o v e r n o si reggeva - da 140 a 95 d e p u t a t i - e portato alla C a m e r a ottanta u o m i n i della Destra p i ù retriva, quella che si richiamava n o n a Revel e a M e n a b r e a , ma addirittura a Solaro della Margarita. A questi si a g g i u n g a n o la ventina 380
di seggi c o n q u i s t a t i d a l l ' o p p o s i z i o n e di sinistra. «La m a g gioranza - scriveva D'Azeglio - è talmente ristretta che il voto diventa u n a questione di raffreddori o di flussioni di d e n ti: se d u e o tre d e p u t a t i n o n p o s s o n o s e d e r e , siamo fritti. C o n q u e s t ' i s t r u m e n t o in m a n o , si p o t r à forse vivere m i n i stri; g o v e r n a r e , no.» Q u e s t i risultati e r a n o stati u n a s o r p r e s a p e r tutti, a cominciare da C a v o u r che, d o p o il g r a n d e successo r i p o r t a t o al ritorno dal congresso di Parigi, credeva di avere con sé la pubblica o p i n i o n e . Ma il suo discorso aveva acceso delle sper a n z e , che i fatti n o n a v e v a n o c o n f e r m a t o e n o n p o t e v a n o c o n f e r m a r e . D o p o p o c h i mesi glielo disse b r u t a l m e n t e , in piena C a m e r a , Brofferio: «O è vero che i plenipotenziari di Parigi e di L o n d r a facessero esplicite dichiarazioni a quello nostro di aiuti efficaci e poi con mala fede li ritirassero, e in questo caso egli n o n meritava lode di accorto negoziatore; o queste dichiarazioni n o n v e n n e r o fatte, e le parole del Ministro furono solo parole sue, e in questo caso avrebbe stranam e n t e a b u s a t o della n o s t r a credulità». E r a u n d i l e m m a sommario e grossolano, ma che a p p u n t o p e r il suo semplicismo faceva presa sulla pubblica opinione. Esso mise in grave imbarazzo Cavour, il quale n o n poteva rivelare il sotterr a n e o lavorìo che stava c o n d u c e n d o p e r i n d u r r e N a p o l e o ne a d a r e concretezza alle sue v a g h e p r o m e s s e . L'accenno che vi fece nella replica scatenò le ire di Pallavicino che, n o nostante il suo filo-piemontesismo, n o n amava Cavour: «La rivoluzione! - gridò - Ecco il solo alleato sul quale possa far a s s e g n a m e n t o , r a g i o n e v o l m e n t e , il P i e m o n t e italiano. I m p l o r a r e il p a t r o c i n i o d e i p o t e n t a t i s t r a n i e r i s a r e b b e viltà; sperare in quello, demenza». Ma l'offensiva più risoluta ed elettoralmente efficace e r a v e n u t a dalla D e s t r a clericale, che si e r a fatta p o r t a v o c e di tutte le scontentezze, e ce n ' e r a n o . Il risentimento p i ù vivace era quello xenofobo, provocato dall'alluvione degli esuli. Da secoli chiuso nelle sue m o n t a g n e , il p i e m o n t e s e e r a - e tuttora è - a n i m a t o da un forte spirito municipalistico, e 381
c o n s i d e r a v a i n t r u s i tutti q u e i forestieri, c h e d i s t u r b a v a n o abitudini e u s u r p a v a n o «posti». Q u e s t o e l e m e n t o influì moltissimo nella svolta del ' 5 7 , ma n o n fu il solo. Ci fu a n c h e quello economico. Il c o n t r i b u e n t e p i e m o n t e s e e r a abituato al bilancio in pareggio, e credeva che questo fosse la condizione della b u o n a salute delle p u b b l i c h e finanze. Cavour, c h e aveva u n a c o n c e z i o n e m o l t o p i ù m o d e r n a , n o n aveva esitato ad accettare i disavanzi p u r di d o t a r e il Paese d'infras t r u t t u r e che ne consentissero lo sviluppo. Sotto di lui il P i e m o n t e aveva fatto un grosso balzo e ora si allineava fra le Nazioni più p r o g r e d i t e di E u r o p a . Ma il p i e m o n t e s e vedeva soltanto la dilatazione del debito pubblico ed e r a convinto che questo n o n fosse che il p r o d r o m o di u n collasso, d i cui tutti p a r l a v a n o c o m e d i u n a i m m i n e n t e inevitabile scadenza. A tale timore si aggiunse quello provocato dal tentativo insurrezionale di Genova, che si tradusse a d d i r i t t u r a in p a n i c o p e r c h é fu gabellato c o m e u n a d i m o strazione di lassismo, da p a r t e del g o v e r n o , se n o n addiritt u r a di abdicazione alla rivoluzione. A sfruttare questo stato d ' a n i m o furono soprattutto i p r e ti, i quali n o n esitarono a fare dei loro pulpiti altrettanti podi di p r o p a g a n d a elettorale, e di t u t t o si s e r v i r o n o p u r di p r e n d e r s i la sospirata v e n d e t t a c o n t r o le leggi Siccardi e la c h i u s u r a dei c o n v e n t i . Alcuni dei più bei n o m i della m a g gioranza m o d e r a t a , c o m e Farini e C a d o r n a , furono trombati. Rattazzi e Lanza riuscirono solo nel ballottaggio. La Marm o r a , bocciato nel suo collegio, fu eletto in quello di Biella, di cui aveva rifiutato la c a n d i d a t u r a . Un vero massacro. Cavour corse ai ripari. Redasse p e r il Re, che lo approvò senza esitare, un discorso d ' i n a u g u r a z i o n e della n u o v a Legislatura in cui la fedeltà alla Costituzione e r a riaffermata in t e r m i n i c h e t o g l i e v a n o ai r e a z i o n a r i qualsiasi s p e r a n z a di revisione. D o p o d i c h é o r d i n ò u n a verifica degli scrutini da eseguirsi «con occhio di lince», e i Magistrati a cui v e n n e affidata i n t e r p r e t a r o n o la direttiva nel senso più lato. Lo stesso L a n z a riconobbe che gli scrutatori a n d a r o n o in qualche 382
occasione «oltre il limite della legalità». Ma C a v o u r disse che bisognava p o r r e fine alla trasformazione «dei presbiteri in c o n g r e g h e elettorali» e «all'impiego abusivo delle a r m i spirituali nel c a m p o politico». D o p o a s p r a battaglia, la C a m e r a a p p r o v ò il principio della incompatibilità fra la c u r a d'anime e il m a n d a t o p a r l a m e n t a r e , a n n u l l a n d o l'elezione di parecchi sacerdoti. Così il g o v e r n o ebbe un p o ' più di respiro. Ma, s u p e r a t a questa difficoltà, ne insorse subito un'altra: la r o t t u r a con Rattazzi. Q u a n t o poco il contrasto avesse d'ideologico, lo dimostra il fatto che la formula del «connubio» n o n subì alterazioni. Ministro d e g l ' I n t e r n i , Rattazzi era bersagliato dall'opposizione di destra c o m e il m a g g i o r r e s p o n sabile dei fattacci di Genova. Ma Cavour n o n avrebbe sacrificato l'antico alleato, se questi n o n fosse ricorso a oblique m a n o v r e p e r accattivarsi la benevolenza del Re f a v o r e n d o ne i d i s e g n i m a t r i m o n i a l i c o n la Rosina. A questi disegni, Cavour si o p p o n e v a in m a n i e r a risoluta. Giunse fino a insin u a r e nel Sovrano qualche sospetto sulla fedeltà della favorita. Il Re affidò a Rattazzi l'incarico d ' i n d a g a r e e il sospetto si rivelò, a q u a n t o p a r e , fondato. Ma Rattazzi c o m p r e s e che n e m m e n o q u e s t o avrebbe staccato il Re dalla sua a m a n t e e preferì g u a d a g n a r s i l a g r a t i t u d i n e d i e n t r a m b i s m e n t e n d o l'informazione. Da quel m o m e n t o egli divenne il confidente del Re, di cui aveva a n c h e sposato u n a ex-favorita e lo strum e n t o d'intrighi che Cavour n o n poteva tollerare. Siccome anche N a p o l e o n e aveva p r e s o in uggia il Ministro d e g l ' I n terni r i t e n e n d o l o responsabile della tolleranza verso i rivoluzionari, C a v o u r lo mise fuori dal g o v e r n o e ne assunse int e r i n a l m e n t e il p o s t o . Ma il d e m o c r a t i c o L a n z a passò alle Finanze, e q u i n d i il c o n n u b i o col centro-sinistra rimase, anche se n o n e r a p i ù quello di p r i m a . Più sicuro sul p i a n o i n t e r n o , C a v o u r riprese il suo giuoco diplomatico con l'occhio fisso agli spostamenti delle forze e u r o p e e . D o p o la pace di Parigi, il vecchio fronte alleato si era rotto: Russia e Francia si e r a n o riaccostate, e p e r ragioni di c o n t r a p p e s o o r a si riaccostavano I n g h i l t e r r a e Austria. 383
L'aiuto n o n p o t e v a d u n q u e v e n i r e che d a l p r i m o dei d u e blocchi, cioè d a N a p o l e o n e , m a questi evitava o g n i i m p e g n o . Buoi, che se ne r e n d e v a conto, p e n s ò di approfittarne p e r isolare d e f i n i t i v a m e n t e il P i e m o n t e facendolo p a s s a r e p e r «il focolare della peste rivoluzionaria». Ma questa oper a z i o n e a v r e b b e richiesto il tatto vellutato di M e t t e r n i c h , n o n il p u g n o spigoloso e grossolano di Buoi. Questi azzeccò u n a b u o n a mossa m a n d a n d o come Viceré nel Lombardo-Veneto l'Arciduca Massimiliano a inaugurarvi u n a politica distensiva. I sequestri v e n n e r o revocati, molti prigionieri rimessi in libertà, allentate la pressione poliziesca e quella fiscale. Anni d o p o , Cavour avrebbe detto a Idéville c h e mai aveva avuto t a n t a p a u r a dell'Austria c o m e in quel m o m e n t o in cui essa m o s t r a v a agl'italiani un volto così clem e n t e . Ma q u a n t o più addolciva la p r o p r i a azione nel governo delle sue p r o v i n c e , t a n t o p i ù Buoi la irrigidiva nei confronti del Piemonte sottoponendolo a un b o m b a r d a m e n t o di minacce e di ricatti. Cavour ebbe il g r a n d e merito di n o n perd e r e i nervi, lasciando che il suo avversario si mettesse dalla p a r t e del torto. Buoi abboccò avanzando u n a serie d'ingiunzioni che r a p p r e s e n t a v a n o altrettante interferenze nella politica interna piemontese minacciando, in caso di rifiuto, la rott u r a delle relazioni diplomatiche. Anche gl'inglesi, che fin allora lo avevano appoggiato, d e p l o r a r o n o quell'avventato passo, e l'Ambasciatore austriaco a Parigi scrisse: «Si direbbe che facciamo il possibile p e r riuscire antipatici a tutti». Le relazioni diplomatiche furono rotte senza che nessuno potesse darne colpa al Piemonte, e fu l'Austria, che voleva isolarlo, a restare isolata davanti alla pubblica opinione e u r o p e a . Cavour ne approfittò p e r rimettersi a tessere la sua tela con Napoleone senza lasciarsi scoraggiare dalla sua indecisione. Le cose e r a n o a questo p u n t o q u a n d o , a farle precipitare, s o p r a g g i u n s e r o le b o m b e di Orsini. C a v o u r n o n p e r s e t e m p o a sfruttare il m u t a m e n t o avvenuto nell'animo d e l l ' I m p e r a t o r e . C o n o s c e n d o il suo oscillante 384
carattere, voleva i m p e g n a r l o p r i m a che in lui sopravvenisse q u a l c h e r i p e n s a m e n t o . E un p o ' p e r c h é n o n si fidava della d i p l o m a z i a , u n p o ' p e r c h é s a p e v a c h e a N a p o l e o n e piaceva il segreto, istaurò con lui un r a p p o r t o s o t t e r r a n e o attraverso un suo giovane e fidato collaboratore, Costantino Nigra. Nigra, che n o n aveva n e s s u n a veste ufficiale, s'incontrò più volte con l ' I m p e r a t o r e , e a p p u r ò subito che questi accarezzava il sogno di stabilire un legame di p a r e n t e l a fra la dinastia B o n a p a r t e e quella Savoia. Egli e r a p a r t i c o l a r m e n t e affezionato a un suo c u g i n o , G e r o l a m o N a p o l e o n e , d e t t o Plon-Plon: u n a specie di play-boy quasi q u a r a n t e n n e , intelligente e brillante, ma libertino e senz'arte né p a r t e da q u a n do aveva p e r s o il r a n g o di Principe Ereditario in seguito alla nascita di un figlio d e l l ' I m p e r a t o r e . Questi voleva a l m e n o accasarlo c o n u n a p r i n c i p e s s a di Casa r e g n a n t e , e aveva messo gli occhi sulla figlia q u i n d i c e n n e di Vittorio E m a n u e le, Clotilde. C a v o u r l o s a p e v a digià: gliel'aveva d e t t o u n b a n c h i e r e genovese residente a Parigi: Alessandro Bixio, fratello di Nino. Ma n o n credeva che l ' I m p e r a t o r e annettesse a quel matrimonio tanta i m p o r t a n z a . Nigra gli riferì che si trattava invece di u n a scelta decisiva p e r il successo del n e g o z i a t o . E Cavour invitò a T o r i n o , p e r t r a t t a r e la faccenda, il m e d i c o di fiducia di N a p o l e o n e , C o n n e a u , c h ' e r a a n c h e amico suo. C o n n e a u ne p a r l ò a l l ' I m p e r a t o r e , e questi gli c o n f e r m ò la serietà delle p r o p r i e intenzioni: m a t r i m o n i o tra G e r o l a m o e Clotilde e alleanza militare tra Francia e P i e m o n t e p e r cacciare l'Austria dalla penisola e istaurarvi un R e g n o dell'Alta Italia che riunisse L o m b a r d i a e Veneto sotto lo scettro dei Savoia. Fu con queste p r o p o s t e che C o n n e a u giunse in giugno (del '58) a Torino, e a n n u n z i ò a Cavour che l ' I m p e r a t o re tra poco sarebbe a n d a t o a fare u n a c u r a termale a Plombières, dove lo attendeva p e r m e t t e r e a p u n t o l'accordo. Da p a r t e francese, solo C o n n e a u e r a al c o r r e n t e della manovra. Da p a r t e piemontese, oltre a Nigra, solo il Re n'e385
ra i n f o r m a t o . Ma alla vigilia della p a r t e n z a , C a v o u r se ne confidò a n c h e con La M a r m o r a . «Prega il cielo c h ' i o n o n faccia m i n c h i o n e r i e in questo s u p r e m o m o m e n t o » gli scrisse. D o p o u n a diversione d'itinerario p e r far p e r d e r e le p r o prie tracce, giunse a Plombières il 20 luglio, e il 21 fu ricev u t o d a l l ' I m p e r a t o r e . Il colloquio d u r ò q u a t t r ' o r e , p o i fu p r o s e g u i t o p e r altre q u a t t r o d u r a n t e u n a gita i n c a r r o z z a nel bosco. E l'accordo fu r a g g i u n t o su queste basi: L a g u e r r a n o n doveva a v e r e n e s s u n c a r a t t e r e «rivoluzionario», e b i s o g n a v a che a p r o v o c a r l a in q u a l c h e m o d o fosse l'Austria. Il suo scopo era la liberazione dell'Italia dall'Austria, ma n o n la sua unificazione. Insieme al P i e m o n t e , la L o m b a r d i a , il Veneto, le Legazioni e le R o m a g n e avrebb e r o f o r m a t o u n u n i c o Stato sotto l a c o r o n a d e i Savoia. U m b r i a e M a r c h e s a r e b b e r o state u n i t e alla T o s c a n a p e r f o r m a r e u n R e g n o d e l l ' I t a l i a C e n t r a l e . Q u e l l o delle D u e Sicilie s a r e b b e r i m a s t o i n a l t e r a t o p e r n o n d i s p i a c e r e allo Zar che lo teneva sotto sua protezione. I tre Stati a v r e b b e r o formato u n a confederazione, di cui il Papa avrebbe assunto la p r e s i d e n z a p e r r i p a g a r s i della m u t i l a z i o n e subita. All'ap e r t u r a delle ostilità ( s e m p r e da p a r t e austriaca), la Francia avrebbe messo in c a m p o d u e c e n t o m i l a u o m i n i , il P i e m o n t e centomila, e il c o m a n d o s a r e b b e stato a s s u n t o dallo stesso I m p e r a t o r e . I c o m p e n s i c h e questi chiedeva, p e r giustificarsi di fronte all'opinione pubblica francese, e r a n o Nizza e la Savoia. Q u e s t e e r a n o , all'ingrosso, le condizioni concordate. Ma nella l u n g a relazione con cui da B a d e n ne dava notizia al Re, C a v o u r diceva che ce n ' e r a n o delle altre. Gli e r a p a r s o di capire che N a p o l e o n e i n t e n d e v a destinare il R e g n o dell'Italia Centrale a suo cugino Gerolamo. Q u a n t o a Nizza, su cui Cavour si era mostrato esitante. N a p o l e o n e aveva accettato di r i m a n d a r n e a più tardi la discussione dicendo che in fondo si trattava di trascurabili dettagli. Quella su cui invece si m o s t r a v a e s i g e n t e era la p r o v o c a z i o n e austriaca, di cui avevano anche discusso i pretesti. Il migliore, p e r il m o m e n 386
to, s e m b r a v a q u e s t o : s f r u t t a r e il m a l c o n t e n t o di Massa e C a r r a r a p e r spingerle a c h i e d e r e l'annessione al P i e m o n t e . Il Re a v r e b b e rifiutato, ma n o n senza u n a i n g i u n z i o n e al Duca di M o d e n a p e r c h é cambiasse m e t o d i di g o v e r n o , talm e n t e ultimativa da obbligarlo a r e a g i r e c o n le a r m i , che e r a n o le a r m i austriache. Ma c'era t e m p o di p e n s a r e a n c h e a qualcosa di meglio. «Il solo p u n t o n o n definito - scriveva lo stesso g i o r n o C a v o u r a La M a r m o r a - è il m a t r i m o n i o della principessa Clotilde. Il Re mi aveva autorizzato a conc l u d e r e solo n e l caso che l ' I m p e r a t o r e ne avesse fatto u n a c o n d i z i o n e sine qua non dell'alleanza. L ' I m p e r a t o r e n o n a v e n d o spinto tant'oltre le sue istanze, n o n ho assunto imp e g n i . Ma s o n o r i m a s t o c o n v i n t o che esso m e t t e a q u e s t o m a t r i m o n i o u n a g r a n d i s s i m a i m p o r t a n z a e che da esso dip e n d e , se n o n l'alleanza, l'esito suo finale. Sarebbe e r r o r e , ed e r r o r e gravissimo, l'unirsi a l l ' I m p e r a t o r e e nello stesso t e m p o fargli un'offesa ch'egli n o n d i m e n t i c h e r e b b e mai. Ci sarebbe poi di d a n n o i m m e n s o l'avere a lato suo, nel seno dei suoi Consigli, un n e m i c o implacabile (il principe Gerolamo), t a n t o p i ù da t e m e r s i che gli c o r r e nelle v e n e s a n g u e còrso. Ho scritto con calore al Re, p r e g a n d o l o a n o n p o r r e a c i m e n t o la p i ù bella i m p r e s a dei t e m p i m o d e r n i p e r alcuni scrupoli di rancida aristocrazia. Ti p r e g o , ove ti consultasse, di g i u n g e r e la t u a voce alla mia.» Quello di Plombières fu forse il più bel g i o r n o nella vita di Cavour. Ma a l e g g e r e le s u e lettere, u n a cosa balza agli occhi: che a l m e n o p e r il m o m e n t o n e a n c h e lui si p r o p o n e v a l'unificazione dell'Italia. Per facilitare l'impresa, contava di m e t t e r e in subbuglio tutta la penisola grazie all'azione della Società Nazionale. Ma quest'impresa doveva fermarsi al Reg n o dell'Alta Italia. E così infatti ne scriveva al Re, p e r o r a n do la tesi napoleonica di u n a federazione di q u a t t r o Stati, e p o c o o p u n t o o b b i e t t a n d o a un R e g n o dell'Italia C e n t r a l e sotto u n a dinastia B o n a p a r t e , che a v r e b b e i m p e d i t o , o com u n q u e a l u n g o ritardato, il processo unitario. Cavour t o r n ò a Torino il 31 luglio. Nessuno sapeva anco387
ra nulla dell'accordo. Ma la notizia dell'incontro cominciava a circolare, p i e n a d'interrogativi, negli ambienti diplomatici e u r o p e i . «Plombières mi p e r s e g u i t a g i o r n o e n o t t e - a n n o tava l'Ambasciatore austriaco a Parigi -. Cosa a v r a n n o deciso tra di loro quei d u e cospiratori?»
CAPITOLO TRENTACINQUESIMO
IL GRIDO DI DOLORE
C o m i n c i a r o n o , p e r Cavour, g i o r n i d i t r e p i d a z i o n e , a m o m e n t i angosciosa. Doveva, m o b i l i t a n d o n e t u t t e le risorse, p r e p a r a r e il Paese alla g u e r r a senza dirglielo. Doveva incoraggiare le iniziative della Società Nazionale in tutti gli altri Stati, e nello stesso t e m p o frenarle in m o d o da n o n allarmare l'alleato e da n o n suscitare p r e m a t u r i incidenti. Doveva inasprire il dissidio con l'Austria, ma senza p r o v o c a r n e l'aggressione p r i m a che il trattato fosse stato concluso. E a q u e sto trattato bisognava ancora arrivarci: il che, con un interlocutore o n d e g g i a n t e c o m e N a p o l e o n e , presentava s e m p r e le sue incognite e p r e s u p p o n e v a l'assenso del Re al famoso m a t r i m o n i o . N o n è vero che Clotilde accettò subito di sacrificarsi alla r a g i o n di Stato, c o m e vuole certa storiografia risorgimentale. D a p p r i m a si ribellò, e ci volle tutta la forza, e a n c h e la p r e p o t e n z a di C a v o u r - il quale accusava Vittorio E m a n u e l e di essere «debole a n c h e c o m e p a d r e » - p e r costringerla. La mobilitazione del Paese e dell'esercito cominciò p e r g r a d i e sotto i più svariati pretesti p e r n a s c o n d e r n e le vere finalità. Q u a n t o alla Società Nazionale, C a v o u r fu abilissimo nel dirigerla dietro le spalle di La Farina e lasciando che a e s p o r s i fosse soltanto lui. Al c o r r e n t e dei d i s e g n i f u r o n o messi soltanto i m o d e r a t i : Giulini, D a n d o l o , Visconti Venosta a Milano; Ricasoli, C a p p o n i , Ridolfi a Firenze; Minghetti e Pasolini nelle Legazioni e R o m a g n e : tutti u o m i n i insomma più da «pronunciamento» che da rivoluzione. Fu messo i n a l l a r m e a n c h e G a r i b a l d i c o n cui C a v o u r e b b e p a r e c c h i incontri p e r c h é lo considerava il p i ù utile, ma a n c h e il p i ù 389
alaste»***™.
pericoloso di t u t u . E un'intesa fu r a g g i u n t a a n c h e con Medici e B e r t a n i c h e , p u r staccatisi da Mazzini, n o n a v e v a n o aderito alla Società. Le trattative con N a p o l e o n e a n d a r o n o lisce fin q u a n d o Walewski ne fu t e n u t o all'oscuro e t u t t o p o t è svolgersi «in quel clima di grandioso complotto che tanto piaceva all'Imperatore». Questi t e n n e il segreto finché potè, e lo rivelò solo p e r allusioni. Il giorno di c a p o d a n n o del '59, ricevendo il c o r p o diplomatico, disse all'Ambasciatore austriaco: «Mi dispiace che i nostri r a p p o r t i n o n siano b u o n i q u a n t o vorrei, ma vi p r e g o di scrivere a Vienna che i miei personali sentim e n t i verso l ' I m p e r a t o r e sono immutati». E bastò p e r p r o vocare un ribasso in borsa in tutta E u r o p a . Pochi g i o r n i d o p o g i u n s e a Parigi il testo d e l discorso c h e Vittorio E m a n u e l e doveva p r o n u n c i a r e il 10 g e n n a i o p e r l ' a p e r t u r a del P a r l a m e n t o . Cavour, che lo aveva r e d a t to, lo sottoponeva all'approvazione d e l l ' I m p e r a t o r e . Questi t r o v ò che il p a s s a g g i o «... costanti n e l f e r m o p r o p o s i t o di c o m p i e r e , c a m m i n a n d o sulle o r m e segnate dal m a g n a n i m o mio G e n i t o r e , la missione che la Divina P r o v v i d e n z a ci ha affidata» era «un p o ' forte», e p r o p o s e questa rettifica: «Tuttavia, p u r r i s p e t t a n d o i t r a t t a t i , n o n p o s s i a m o r e s t a r e insensibili al g r i d o di d o l o r e che da tante parti d'Italia si leva verso di noi». C a v o u r si stropicciò gli occhi. «Ma come? scrisse a N i g r a - l ' I m p e r a t o r e trova t r o p p o forte il n o s t r o ultimo p a r a g r a f o e ce ne p r o p o n e un altro cento volte più forte? Fategli p r e s e n t e che quel g r i d o di d o l o r e scatenerà il f i n i m o n d o . » M a N a p o l e o n e r i m a s e d e l s u o p a r e r e forse p e r c h é voleva che il finimondo si scatenasse p r i m a che le forze c o n t r a r i e all'alleanza e alla g u e r r a p r e n d e s s e r o la controffensiva. O r a infatti le trattative e r a n o giunte a m a t u r a z i o n e , n o n restava che metterle n e r o su bianco, e q u i n d i bisognava investirne i p l e n i p o t e n z i a r i . Pochi g i o r n i d o p o a r r i v a v a n o a T o r i n o il g e n e r a l e Niel e il p r i n c i p e G e r o l a m o : l ' u n o p e r c o n c l u d e r e il n e g o z i a t o , l'altro p e r r i t i r a r n e il c o m p e n s o , 390
cioè il «sì» di Clotilde, il che dimostra l ' i n t e r d i p e n d e n z a delle d u e operazioni. C o m e dice O m o d e o , la Principessa e l'all e a n z a «furono scambiate d i m a n o i n m a n o , s i m u l t a n e a mente». Il m a t r i m o n i o fu celebrato il 30, m e n t r e si redigeva il testo dell'accordo, da tenersi tuttora segretissimo. Rispetto alle condizioni concordate a Plombières, esso introduceva qualche novità. L'alleanza «offensiva e difensiva» tra i d u e Paesi nel caso di «un atto aggressivo dell'Austria», aveva p e r scopo la cacciata degli austriaci dalla penisola d o ve si sarebbe costituito un «Regno dell'Alta Italia» n o n m e glio specificato, ma di circa undici milioni di abitanti, quali e r a n o , sommati insieme, quelli di Piemonte, Lombardo-Ven e t o , L e g a z i o n i e Ducati C e n t r a l i . Q u e s t o R e g n o a v r e b b e p a g a t o tutte le spese di g u e r r a e c e d u t o alla Francia Nizza e la Savoia. Sembrava fatta. Ma alla p r i m a v e r a , che i contraenti consideravano la stagione più propizia all'attuazione del p i a n o , m a n c a v a n o parecchi mesi. In Italia, le difficoltà le frappose Mazzini nel disperato tentativo di conservare qualche iniziativa alle s u e forze rivoluzionarie. C o m e Cavour p r e v e d e v a , il g r i d o di d o l o r e aveva avuto u n ' e c o immensa. Torino era diventata subito la Mecca di tutti gli e s p o n e n t i del m o d e r a t i s m o italiano, che vi si recavano a p r e n d e r e o r d i n i e concertare azioni. Ma un effetto ancora più visibile era l'afflusso di volontari da tutte le altre regioni della penisola. Alla fine di m a r z o ce n ' e r a n o già oltre 20.000. I migliori furono a r r u o l a t i nell'esercito regolare; gli scarti v e n n e r o i n q u a d r a t i in u n a brigata di «Cacciatori delle Alpi» sotto il c o m a n d o di G a r i b a l d i , i n q u a d r a t o a sua volta col g r a d o di G e n e r a l e . Q u e s t i u o m i n i entusiasti e r a n o stati u n a volta gente sua, di Mazzini, che o r a se li vedeva sfuggir di m a n o p e r a c c o r r e r e sotto le b a n d i e r e di un Re, il quale si p r e p a r a v a a u n a g u e r r a n o n di «liberazione», ma di «conquista». C ' e r a n o tutti, a n c h e Medici e Cosenz arruolatisi c o m e Colonnelli; a n c h e Bertani, capo dei servizi di 391
sanità. Tutti smaniosi di m e t t e r s i agli o r d i n i del Re. C o m m e n t a v a Massari: «Nel '48 c'era la m a n i a del c o m a n d o , nel '59 c'è la frenesia dell'obbedienza». Mancava solo Cattaneo, c h e d a l suo rifugio di L u g a n o d e n u n c i a v a l'inutilità di un c o r p o volontario destinato, in u n a g u e r r a di eserciti regolari, a un ruolo subalterno. Mazzini n o n condivideva questo atteggiamento rinunciatario. Spingeva i suoi a fare, ma a «fare da sé», c o m ' e r a semp r e stata sua divisa. «Non possiamo, senza apostasia - scriveva in u n a l e t t e r a agli amici di G e n o v a - r i u n i r c i in u n a g u e r r a p r o m o s s a da Luigi N a p o l e o n e . Il concetto - e lo so p o s i t i v a m e n t e - n o n è se n o n l ' a g g i u n z i o n e d ' u n a z o n a L o m b a r d a al P i e m o n t e , e la concessione della Savoia e di Nizza alla Francia: la pace, sulla offerta della quale contano, a b b a n d o n e r e b b e tutto il Veneto all'Austria.» Mazzini scriveva q u e s t o il 4 g e n n a i o , q u a n d o il t r a t t a t o a n c o r a n o n e r a stato concluso, e lo stesso M i n i s t r o degli Esteri francese n o n ne sapeva nulla, o ne sapeva poco. Come faceva a saperlo lui? In u n a lettera a N a p o l e o n e , Cavour diceva che Mazzini e r a stato i n f o r m a t o da amici francesi e da un suo ex-seguace italiano, R e m o r i n o . E sia. Ma la previsione che l ' I m p e r a t o r e , contro gl'impegni presi, avrebbe lasciato a mezzo la g u e r r a e il Veneto all'Austria, ha del sorprendente. «Unico r i m e d i o è il s o r g e r e - p r o s e g u i v a la l e t t e r a di Mazzini -, q u a n d o si sorge col g r i d o u n a n i m e , d ' o g n i ora, di Viva l'Italia! Viva la Nazione! Unità! Roma! tanto che il car a t t e r e dell'iniziativa diventi nostro. Guai se g r i d a n o : Viva il Piemonte!» Su q u e s t o p r i n c i p i o il Partito d'Azione redasse alla fine di febbraio u n a Dichiarazione. Ma essa n o n raccolse che 140 firme, e quasi tutte di fuorusciti senza addentellati né prestigio nel Paese. Mazzini stesso si r e n d e v a conto della inanità del tentativo. «Ahimè, a h i m è ! - scriveva a un'amica inglese - t e m o che quest'ultima scintilla di attività n o n abbia alcun risultato. Le masse sono i n g a n n a t e . Esse v e d o n o fra i partigiani del Piemonte gli u o m i n i che u n a volta sono stati i 392
loro migliori: Garibaldi, Medici e altri. E c r e d o n o ch'essi vigileranno a i m p e d i r e qualsiasi t r a d i m e n t o . La colpa, o piuttosto il delitto, va ricercato p i ù in alto: in quegli amici che, d o m i n a t i incessantemente dal t e r r o r e di doversi sottomettere al mio c o m a n d o , preferiscono c e d e r e la loro i n d i p e n d e n za al volere di un Re.» Ma seguitava a battersi p e r la sua causa. « N o n si t r a t t a - scriveva in un articolo - di d i s c u t e r la g u e r r a ; si tratta d'accettarla, d'accelerarla, di nazionalizzarla» s o t t r a e n d o il P i e m o n t e all'alleanza c o n N a p o l e o n e e s p i n g e n d o l o a s p o s a r e la r i v o l u z i o n e . «Bisogna a l l a r g a r e , italianizzare la guerra» diceva. Cavour n o n impediva che i suoi scritti circolassero. Anzi, li collezionava p e r m o s t r a r l i a l l ' I m p e r a t o r e e fargli meglio c o m p r e n d e r e che n o n c'era scelta: la liberazione dell'Italia o la facevano nell'ordine - e p e r conservarlo - gli eserciti di Francia e del P i e m o n t e sotto la g u i d a dei rispettivi Sovrani, o la facevano gl'italiani con barricate che si sarebbero contagiate in tutta E u r o p a . Anche di questo a r g o m e n t o aveva bisogno p e r c h é , via via che il suo segreto p e r d e v a i veli, i nemici interni dell'alleanza c o r r e v a n o ai r i p a r i p e r r e n d e r l a i n o p e r a n t e , e la diplomazia e u r o p e a affilava a questo scopo tutte le sue armi. Napoleone aveva molto contato sull'appoggio della Russia, assetata di v e n d e t t a sull'Austria. E la Russia infatti m o s t r ò molta c o m p r e n s i o n e p e r la causa italiana. Ma i m p e g n i n o n volle p r e n d e r n e , n e m m e n o quello d i r o m p e r e , i n caso d i g u e r r a , le relazioni con Vienna. L ' I m p e r a t o r e fece s o n d a r e le i n t e n z i o n i di L o n d r a , ma n e m m e n o qui trovò i n c o r a g g i a m e n t i . I n I n g h i l t e r r a c'erano, grazie anche a Mazzini, molte simpatie p e r l'Italia, ma il g o v e r n o aveva o p e r a t o un riavvicinamento all'Austria e sop r a t t u t t o n o n voleva complicazioni i n E u r o p a , i m p e g n a t a c o m ' e r a a d o m a r e le rivolte dell'India. Per conciliare questi d u e atteggiamenti, essa si offrì come mediatrice, ed era questa l'iniziativa che C a v o u r p i ù p a v e n t a v a . N a p o l e o n e n o n poteva rifiutarla, pressato c o m ' e r a da Ministri e consiglieri 393
in massa ostili alla g u e r r a . E tutto rischiava di finire in u n o dei soliti c o m p r o m e s s i . D'altra p a r t e a n c h e il P i e m o n t e d o veva a l m e n o fingere di n o n volere la g u e r r a . E perciò Cav o u r p r e p a r ò un l u n g o memorandum in cui, p a r l a n d o a n o me di tutta l'Italia, ne elencava le rivendicazioni: g o v e r n o a u t o n o m o nel L o m b a r d o - V e n e t o , r i p r i s t i n o della Costituzione in Toscana, r i n u n c i a dell'Austria al p r o t e t t o r a t o milit a r e su M o d e n a e P a r m a : t u t t e p r e t e s e inaccettabili, ma avanzate a p p u n t o p e r c h é inaccettabili. Il 5 m a r z o il Moniteur pubblicò un articolo di chiara ispirazione governativa in cui si diceva che l ' I m p e r a t o r e aveva p r o m e s s o al Piemonte di aiutarlo in caso di aggressione austriaca, m a n o n i n t e n d e v a affatto p r o v o c a r e u n conflitto specie nel m o m e n t o in cui era in atto un'iniziativa che poteva risolvere t u t t e le p e n d e n z e . L'iniziativa e r a la p r o p o s t a , lanciata dalla Russia, di un C o n g r e s s o p e r risolvere globalm e n t e la questione italiana. Q u a n d o Cavour s e p p e che questa p r o p o s t a ai russi l'aveva suggerita N a p o l e o n e , ebbe u n a crisi di sconforto. In realtà la situazione si faceva d r a m m a t i ca. I v o l o n t a r i s e g u i t a v a n o ad affluire, t u t t a l'Italia e r a in fermento e t e n e r n e le piazze sotto controllo diventava semp r e p i ù difficile. Se il Piemonte, d o p o averle aizzate, le deludeva lasciandosi irretire dalla diplomazia, il destino del Paese cambiava cavallo e l'iniziativa tornava a Mazzini. Cavour corse a Parigi, ebbe d u e colloqui con l ' I m p e r a t o re, nei quali passò dal t o n o della supplica a quello del ricatto facendogli b a l e n a r e la minaccia della p u b b l i c a z i o n e del trattato, t u t t o r a segreto. Visto che n o n riusciva a p e r s u a d e r lo, gli chiese di esigere a l m e n o dall'Austria che a n c h e il Piem o n t e fosse a m m e s s o a l C o n g r e s s o . L ' I m p e r a t o r e n o n l o p r o m i s e , ma sollecitò l'aiuto inglese p e r i n d u r r e Vienna ad accettare. V i e n n a impose u n a condizione: che p r i m a il Piem o n t e disarmasse. E N a p o l e o n e incaricò il segretario dell'Ambasciata francese a T o r i n o , d'Aquin, di c o m u n i c a r l o a Cavour e d ' i n d u r l o a rassegnarsi. Fu lo stesso d'Aquin, che si recò da lui nel c u o r della not394
te, a raccontare la scena. Cavour c a d d e bocconi sul letto singhiozzando: «Non mi resta che farmi saltare le cervella con un colpo di pistola...» E forse ci pensava davvero. Ma sta di fatto che p o c h e o r e d o p o scriveva a Corio, a m m i n i s t r a t o r e della sua a z i e n d a agricola di Leri: «Non si dia p i ù fastidio p e r l a v e n d i t a d e i b u o i grassi, giacché p a r e c h e l a g u e r r a più n o n si faccia. Salveremo le vacche». S e m b r a v a infatti c h e n i e n t ' a l t r o ci fosse da salvare. Ma Cavour e r a l'uomo che poco p r i m a aveva detto a L o r d Russell: «Vedrà: io costringerò l'Austria a dichiararci la g u e r r a » . E siccome il visitatore si mostrava incredulo, aveva a g g i u n to: «Verso la p r i m a settimana di maggio». Si trattasse di sue segrete informazioni, o di presagio, o di semplice bluff, fatto sta che gli avvenimenti c o n f e r m a r o n o p u n t u a l m e n t e e clam o r o s a m e n t e le sue previsioni: p r o p r i o nel m o m e n t o in cui d'Aquin gli recava quella terribile notizia, a V i e n n a l ' I m p e r a t o r e e B u o i d e c i d e v a n o di l a n c i a r e un ultimatum al Piem o n t e che li metteva, senza possibilità di equivoci, dalla p a r te degli aggressori. S e m b r a che a questo m a r c h i a n o e r r o r e contribuissero l'in e s p e r i e n z a di Francesco G i u s e p p e , c h e n o n aveva a n c o r a t r e n t ' a n n i , e l'ottusità dei militari, convinti di p o t e r a n n i e n tare il P i e m o n t e p r i m a che la Francia fosse in g r a d o d'intervenire. Ma un p e s o d e t e r m i n a n t e lo ebbe di c e r t o a n c h e Buoi, «un b u o n u o m o - diceva il suo Ambasciatore a Parigi -, fedele servitore dello Stato, ma di cervello corto, sprovvisto d ' i n t u i t o politico, i g n o r a n t e c o m e u n a s c a r p a , sarcastico, s p r e z z a n t e e i n t i m a m e n t e p e r s u a s o della p r o p r i a infallibilità», c h e a p e r t a m e n t e p a r l a v a d i N a p o l e o n e c o m e d i u n m e s t a t o r e , e di C a v o u r c o m e di «una p u l c e da schiacciare p r i m a che m o r d a » . Alla notizia di q u e s t a decisione, C a v o u r fece u n a scena opposta a quella che aveva fatto con d'Aquin: balzò dal letto e intonò a squarciagola un motivo d ' o p e r a s t o n a n d o maled e t t a m e n t e . Sul suo tavolo già affluivano i r a p p o r t i dalle altre capitali. A L o n d r a , la regina Vittoria aveva definito «paz395
zia» e «cieca brutalità» il gesto dell'Austria. A Berlino, sul cui aiuto Buoi contava, si parlava di «guerra p e r s a p r i m a di essere dichiarata». A P i e t r o b u r g o si diceva c h e stavolta l'Austria avrebbe invano aspettato, p e r trarsi dai guai, le divisioni russe. Ma la reazione più i m p o r t a n t e la segnalava Nigra da Parigi. L ' u l t i m a t u m aveva f o r n i t o a N a p o l e o n e , c h e la g u e r r a la d e s i d e r a v a , l ' a r g o m e n t o p e r r i d u r r e al silenzio i suoi Walewski e p o r t a r e dalla sua la pubblica o p i n i o n e , fin allora mostratasi p i u t t o s t o ostile a l l ' i n t e r v e n t o . I n s o m m a , diceva D'Azeglio, «è stato u n o di quei terni al lotto che capit a n o u n a volta in un secolo». C a v o u r accolse i d u e p l e n i p o t e n z i a r i austriaci c h e gli p o r t a v a n o l'ingiunzione di d i s a r m a r e c o m e i p i ù graditi degli ospiti, quali infatti p e r lui e r a n o . Li colmò di cortesie nei tre giorni che il d o c u m e n t o gli concedeva p e r la risposta, e nel compilarla usò le forme più r i g u a r d o s e , ma p e r respingere con a r g o m e n t i ineccepibili le intimazioni. Q u a l c h e volta, p u r c h é d u r a s s e p o c o , sapeva fare a n c h e la p a r t e dell'agnello. E o r a la parola e r a agli eserciti.
CAPITOLO
TRENTASEIESIMO
LA G U E R R A
Quello militare e r a il c a m p o in cui m e n o si e r a esercitato il genio innovatore di Cavour. Egli lo aveva lasciato in appalto a La M a r m o r a , r i m a s t o i n i n t e r r o t t a m e n t e M i n i s t r o della G u e r r a , salvo la p a r e n t e s i della C r i m e a , un p o ' p e r c h é e r a suo amico, un p o ' p e r c h é era amico del Re, di cui e r a stato anche p r e c e t t o r e . L a M a r m o r a e r a u n bravo soldato, coraggioso, fedele, onesto, e a n c h e discreto organizzatore. Aveva b e n c u r a t o l ' a r m a m e n t o dell'Esercito, ne aveva migliorato i servizi, m a n o n n e aveva d i c e r t o fatto u n a m a c c h i n a d i g u e r r a comparabile a quella p r u s s i a n a che si e r a p r e s a p e r modello. C o n la sua mentalità di caserma teneva in m a g g i o r conto l'esercitazioni dei soldati in o r d i n e chiuso che la loro p r e p a r a z i o n e a battaglie m a n o v r a t e . «Quella che conta - diceva - è la solidità delle t r u p p e e la loro disciplina, n o n la strategia.» E i q u a d r i si e r a n o formati su q u e s t o p r i n c i p i o . La l u n g h e z z a del p e r i o d o di f e r m a - cinque o sei a n n i , secondo le specialità - aveva consentito la p r e p a r a z i o n e di autentici professionisti, che p e r ò n o n p o t e v a n o c o n t a r e su riserve a d e g u a t e . Infatti la forza complessiva e r a inferiore a quella dell'esercito del '48: circa 60.000 u o m i n i , c o m p r e s i i volontari. E questo p e r c h é tutte le riforme e r a n o partite dal p r e s u p p o s t o c h e la p r o s s i m a g u e r r a il P i e m o n t e l'avrebbe combattuta n o n più da solo, ma con l'aiuto della Francia.
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L'elemento n u o v o e r a l ' a p e r t u r a dei c o m a n d i c o m p r e s i quelli alti, a ufficiali di p r o v e n i e n z a n o n p i e m o n t e s e e di passato politico n o n s t r e t t a m e n t e o r t o d o s s o . Di c i n q u e com a n d a n t i di Divisione, b e n q u a t t r o avevano c o m b a t t u t o da fuorusciti in Spagna, e tre (Cialdini, Fanti e Cucchiari) era397
no m o d e n e s i . C o n ciò s'intendeva affermare il carattere «italiano» della g u e r r a , ma si e r a a n c h e offeso l'esclusivismo castale della vecchia g u a r d i a s a b a u d a , gelosissima delle p r o p r i e p r e r o g a t i v e militari. Il c o m a n d o s u p r e m o fu a s s u n t o n a t u r a l m e n t e dal Re, assecondato dallo stesso La M a r m o r a in qualità di Ministro della G u e r r a «al campo», e da Morozzo della Rocca, C a p o di Stato Maggiore, che di strategia ne capivano q u a n t o lui, cioè nulla. Secondo i patti, a n c h e il Re avrebbe d o v u t o subordinarsi a N a p o l e o n e , q u a n d o questi fosse s o p r a g g i u n t o . Ma nei prim i g i o r n i d o v e t t e v e d e r s e l a d a solo c o n u n avversario che d i s p o n e v a di forze quasi d o p p i e di quelle sue e che poteva c o n t a r e sui massicci rinforzi in arrivo dal Q u a d r i l a t e r o . Le c o m a n d a v a il maresciallo Gyulai, un cavalleresco soldato, che tuttavia n o n possedeva la grinta e il «mestiere» del vecchio Radetzky, m o r t o da p o c o . L'ordine che d i e d e alle sue t r u p p e , nel!'attraversare il Ticino, fu di astenersi da r a p p r e saglie, limitare al m i n i m o le requisizioni e «non r o v i n a r e i gelsi così preziosi in questa stagione». Q u a n d o alcuni contadini p i e m o n t e s i v e n n e r o a dirgli che lì a d u e passi c'era un bel colpo da fare sui b u o i grassi del C o n t e Cavour, proibì di toccarli. Il 29 aprile aveva p r e s o l'iniziativa dell'avanzata p e r c h é le direttive di V i e n n a e r a n o di m e t t e r e in ginocchio il Piem o n t e p r i m a c h e N a p o l e o n e s o p r a g g i u n g e s s e . M a l o fece senza convinzione poiché era p e r s u a s o che la Prussia sarebbe scesa in c a m p o e che la g u e r r a si sarebbe risolta sul Ren o . Per cui, varcato il Ticino, esitò fra un attacco diretto su T o r i n o e u n a p u n t a t a c o n t r o Alessandria, base dell'esercito nemico. Alla fine decise di attestarsi in Lomellina fra la Sesia e il Po, dove rimase inattivo p e r tre settimane, d a n d o così il t e m p o ai francesi di a c c o r r e r e e schierarsi. Gli unici scontri furono quelli che sostenne Garibaldi. Coi suoi «Cacdatori» questi si lanciò su Varese, l'occupò di sorpresa, batte > e volse in fuga u n a brigata austriaca, dirottò un suo reparto, su C o m o , e marciò su Laveno. :
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Il 14 m a g g i o , N a p o l e o n e a s s u n s e il c o m a n d o e mise a p u n t o il p i a n o di o p e r a z i o n i . Un attacco a u s t r i a c o fu brill a n t e m e n t e rintuzzato a Montebello dalla fanteria francese e dalla cavalleria piemontese. Poi i d u e eserciti iniziarono la l o r o m a r c i a sulla d i r e t t r i c e N o v a r a - M i l a n o , e fu la p r i m a volta che le ferrovie v e n n e r o utilizzate c o m e «tradotte». Gyulai, c o n v i n t o c h e q u e s t a m a n o v r a n e m a s c h e r a s s e un'altra c o n t r o il grosso delle sue forze, le ritirò dietro il Ticino. A sua volta convinto che a n c h e questa fosse u n a finta e che il grosso austriaco fosse a n c o r a di là dal fiume, p r o n t o ad attaccarlo sul fianco, N a p o l e o n e o p e r ò il p a s s a g g i o in d u e p u n t i e con tale lentezza, che il 4 g i u g n o i pochi r e p a r t i t r a g h e t t a t i presso M a g e n t a si t r o v a r o n o alla m e r c è di p r e p o n d e r a n t i forze n e m i c h e , e ne s a r e b b e r o stati inesorabilm e n t e schiacciati, se all'ultimo m o m e n t o n o n fosse arrivato Mac M a h o n , passato dall'altro t r a g h e t t o . I n s o m m a fu u n a c o m m e d i a o, se preferite, u n a t r a g e d i a ( p e r c h é s a n g u e ne corse a fiumi) degli equivoci, in cui finì p e r decidere il caso. N a p o l e o n e n o n aveva i m p e g n a t o nella battaglia che u n terzo delle sue forze, e n o n si capisce p e r c h é con quelle fresche n o n si gettò all'inseguimento del nemico che, in disordine e demoralizzato, si ritirava verso il Q u a d r i l a t e r o . Cioè lo si capisce benissimo: voleva fare a Milano un ingresso che ricordasse quello del suo g r a n d e zio e che difatti, c o m e accoglienze, lo s u p e r ò . I m p e r a t o r e e Re sfilarono p e r le strade della città sotto un'alluvione di fiori e di b a n d i e r e . Dopodiché r i p r e s e r o la loro avanzata verso il Veneto. Gyulai e r a stato destituito, e il c o m a n d o era stato assunto dall'imperatore Francesco G i u s e p p e in p e r s o n a , che si p r e parava alla rivincita sul Mincio, fra Solferino e San Martino. A Solferino, il 24 g i u g n o , 8 0 . 0 0 0 francesi a t t a c c a r o n o 90.000 austriaci e n ' e b b e r o r a g i o n e d o p o dieci o r e di accanitissima lotta. A San Martino, 30.000 piemontesi si scontrar o n o con un nemico di forza p r e s s a p p o c o uguale, e anch'essi riuscirono a sloggiarlo dalle sue m u n i t e posizioni. Ma ancora u n a volta gli austriaci p o t e r o n o ritirarsi indisturbati e 399
chiudersi nel loro Q u a d r i l a t e r o di Mantova, Verona, Legna go e Peschiera. I vincitori passarono il Mincio sei giorni d o p o , m e n t r e le loro flotte c o n g i u n t e in Adriatico m e t t e v a n o il blocco a Venezia. Tutto sembrava q u i n d i avviarsi, nel più favorevole dei m o d i , alla definitiva resa d e i conti c o n l'Austria, q u a n d o si sparse la notizia che N a p o l e o n e aveva inviato, a mezzo di un suo Generale, u n a lettera a Francesco Gius e p p e p e r p r o p o r g l i un armistizio e un i n c o n t r o fra loro a Villafranca. Cos'era successo? Secondo certi memorialisti francesi, fu l ' o r r e n d o spettacolo dei m o r t i e dei feriti sui c a m p i di battaglia di Magenta e Solferino a sconvolgere N a p o l e o n e , che della g u e r r a era un a p p a s s i o n a t o s t u d i o s o , m a n o n n e aveva m a i c o m b a t t u t e . E p u ò darsi che a n c h e questo e l e m e n t o abbia influito sulle sue decisioni o meglio sulle sue indecisioni. Ma i motivi veri fur o n o altri. Il p r i m o era di o r d i n e p u r a m e n t e militare. Sloggiare gli austriaci dal loro Q u a d r i l a t e r o e r a u n ' o p e r a z i o n e difficile, che avrebbe a n c o r a richiesto molto t e m p o e m o l t o s a n g u e . F i n c h é e r a n o state r a p i d e , l a p u b b l i c a o p i n i o n e francese aveva accolto le vittorie in t r i p u d i o , poco b a d a n d o ai sacrifici ch'esse e r a n o costate. Ma, a m m a e s t r a t o dall'esperienza di Sebastopoli, l ' I m p e r a t o r e sapeva che gli entusiasmi popolari sono di corta d u r a t a . E questo gli consigliava di sfruttarli con un trionfale r i t o r n o , finché e r a n o ancora caldi, anche a costo di lasciare a mezzo l'impresa. Un'altra ragione era l'improvviso a g g r a v a m e n t o della sit u a z i o n e i n t e r n a z i o n a l e . La Prussia si agitava. Per il m o m e n t o essa p o n e v a al p r o p r i o i n t e r v e n t o a r m a t o in favore dell'Austria delle condizioni che questa n o n poteva accettare: il riconoscimento della sua funzione di Stato-guida nella C o n f e d e r a z i o n e G e r m a n i c a , t u t t o r a f o r m a l m e n t e subordin a t a a Vienna. Ma, se si fosse trovato con l'acqua alla gola, Francesco G i u s e p p e poteva a n c h e cedere. L'Inghilterra, che 400
p u r s i m p a t i z z a n d o p e r l a causa italiana, e r a p r e o c c u p a t a dall'espansionismo francese, aveva accolto la p r o p o s t a russa di u n a mediazione, che poteva anche tradursi in termini d'ingiunzione e risolversi, p e r i francesi, in umiliazione. Ma un motivo a n c o r a p i ù p e r e n t o r i o e r a la piega che le cose stavano p r e n d e n d o in Italia. Il fine c h e N a p o l e o n e si p r o p o n e v a n o n era di r e n d e r l a u n a e i n d i p e n d e n t e , ma di sostituire all'egemonia austriaca quella francese. Egli pensava di esercitarla n o n solo attraverso un R e g n o dell'Alta Italia satellite della Francia, ma a n c h e a g g i u d i c a n d o quello dell'Italia C e n t r a l e a suo c u g i n o G e r o l a m o , e, se possibile, quello di N a p o l i a un M u r a t . Q u e s t i e r a n o i frutti ch'egli pensava di raccogliere sui c a m p i di battaglia lombardi, e di cui Nizza e la Savoia n o n r a p p r e s e n t a v a n o che u n a trascurabile briciola. Ma questo p i a n o e r a o r m a i s u p e r a t o dagli avvenimenti, che si e r a n o messi in m o t o da soli. I toscani n o n a v e v a n o n e m m e n o a s p e t t a t o c h e i f r a n c o - p i e m o n t e s i v a r c a s s e r o il Ticino p e r i m p o r r e al G r a n d u c a di unirsi a loro. L e o p o l d o preferì a b b a n d o n a r e il Paese, che rimase in m a n o ai m o d e rati. N o n tutti e r a n o favorevoli all'annessione al P i e m o n t e ; ma lo e r a l ' u o m o di p i ù forte personalità, Ricasoli, che chiese a Vittorio E m a n u e l e di a s s u m e r e la dittatura p e r la d u r a ta delle ostilità. Cavour, che disegni sulla Toscana allora n o n ne aveva e aveva b e n capito le segrete ambizioni di N a p o leone di cui n o n voleva p e r d e r e i favori, si consultò con lui e su suo consiglio rispose c h e il Re poteva a s s u m e r e soltanto u n m o m e n t a n e o p r o t e t t o r a t o militare. Poco d o p o Gerolam o sbarcò c o n u n d i s t a c c a m e n t o a L i v o r n o , c e r t a m e n t e mandatovi d a l l ' I m p e r a t o r e p e r d a r e m a n forte agli a u t o n o misti e o t t e n e r e da loro u n ' i n v e s t i t u r a . Ma, a v e n d o capito che il v e n t o o r m a i soffiava in t u t t ' a l t r a d i r e z i o n e , d i c h i a r ò che a n c h e lui e r a p a r t i g i a n o d e l l ' a n n e s s i o n e al P i e m o n t e . I n v a n o l ' I m p e r a t o r e si affrettò a c o n t r a d d i r l o d i c e n d o che \ «se mio cugino ha effettivamente p r o n u n c i a t o le parole che jj gli v e n g o n o attribuite, lo ha fatto c o n t r o le istruzioni ricevu-
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te». O r m a i gli annessionisti avevano partita vinta, e lo dimos t r a r o n o a r m a n d o e avviando in L o m b a r d i a u n a divisione di volontari che n o n fece in t e m p o a combattere p e r c h é arrivò all'indomani dell'armistizio. Ma e r a chiaro o r m a i che la Toscana, o a l m e n o le s u e forze t r a e n t i , di un R e g n o i n d i p e n d e n t e n o n volevano più sentir p a r l a r e , sotto n e s s u n a dinastia. Il contagio si estese subito al Ducato di M o d e n a e a quello di P a r m a . N o n ci f u r o n o rivoluzioni p e r c h é i titolari rin u n z i a r o n o , come L e o p o l d o , ad o p p o r r e resistenza, e tutto si limitò ad o p e r a z i o n i di «vertice» che c u l m i n a r o n o nella n o m i n a , come commissari di governo, di Farini a M o d e n a e di Pallieri a Parma: e n t r a m b i u o m i n i del Piemonte e devoti a Cavour. Le Legazioni furono le ultime a muoversi p e r c h é e r a n o presidiate da guarnigioni austriache. Ma q u a n d o queste, ai p r i m i di g i u g n o , furono ritirate, sia a Bologna che a Ferrara, R a v e n n a e Forlì f u r o n o istituite delle «Giunte» con le quali si schierò a n c h e u n a p a r t e delle milizie pontificie. Il P a p a s e m b r a v a r a s s e g n a t o alla p e r d i t a di quelle p r o v i n c e . Reagì invece c o n rabbia, cioè con le solite s c o m u n i c h e , ai «pronunciamenti» (perché in n e s s u n caso si trattò di vere e p r o p r i e rivoluzioni) delle M a r c h e e dell'Umbria, e Perugia fu messa a sacco dai m e r c e n a r i svizzeri. Ma anche in queste province n o n c'erano dubbi: il moto annessionista era inarrestabile. Solo con la forza, N a p o l e o n e avrebbe p o t u t o opporvisi. Ma, oltre che la diplomazia e u r o p e a , la stessa p u b blica opinione francese gliel'avrebbe impedito. Ecco p e r c h é il 5 luglio egli invitò Francesco G i u s e p p e a i n c o n t r a r s i c o n lui. E r a m e g l i o risolvere d i r e t t a m e n t e le p e n d e n z e che farlo sotto la p r e s s i o n e di altre Potenze che p o t e v a n o a p p r o f i t t a r n e p e r i loro interessi. Francesco Gius e p p e accettò la p r o p o s t a . T r e g i o r n i d o p o i Capi di Stato Maggiore dei tre eserciti firmarono un t e m p o r a n e o armistizio. E i d u e I m p e r a t o r i si d e t t e r o convegno p e r I T I a Villafranca, dove stabilirono questo accordo di massima: 402
L'Austria cedeva la L o m b a r d i a a l l ' I m p e r a t o r e che a sua volta l'avrebbe c e d u t a a Vittorio E m a n u e l e . Accettava che il P i e m o n t e incorporasse il Ducato di Parma. Ma il Ducato di M o d e n a e il G r a n d u c a t o di Toscana dovevano t o r n a r e ai rispettivi titolari dietro i m p e g n o di p r o m u l g a r e un'amnistia e di c o n c e d e r e la Costituzione. Il Veneto restava sotto sovranità austriaca, m a con u n suo g o v e r n o a u t o n o m o a v r e b b e p a r t e c i p a t o a u n a C o n f e d e r a z i o n e di Stati Italiani, la cui p r e s i d e n z a s a r e b b e stata assunta dal P a p a d i e t r o i m p e g n o di c o n c e d e r e a n c h e lui le indispensabili riforme. Tutti q u e sti p u n t i sarebbero stati meglio specificati e a p p r o f o n d i t i in negoziati di p a c e c h e si s a r e b b e r o svolti p r o s s i m a m e n t e a Zurigo. La previsione di Mazzini si era p u n t u a l m e n t e avverata. Le p r i m e notizie dell'armistizio, C a v o u r le ebbe il g i o r n o 8 d a d u e l e t t e r e confidenziali, u n a d i L a M a r m o r a , u n a del principe G e r o l a m o , che cercavano di minimizzare l'avvenim e n t o , ma senza riuscirci. I n q u i e t o e p r e o c c u p a t o , p a r t ì il 9, il 10 ebbe a D e s e n z a n o la notizia che i d u e I m p e r a t o r i si s a r e b b e r o i n c o n t r a t i l ' i n d o m a n i a Villafranca, e lo stesso g i o r n o p i o m b ò al Q u a r t i e r G e n e r a l e del Re a M o n z a m b a no. Il colloquio fu, a detta di un testimone, «animatissimo», ma c r e d i a m o che si tratti di un eufemismo. Per Cavour, l'armistizio e r a a n c h e u n a p e r s o n a l e bancarotta. Ad amici e collaboratori aveva s e m p r e detto che la partita con l'Austria o la si vinceva tutta, o n o n la si vinceva più: se n o n si riusciva a cacciarla definitivamente di là dalle Alpi, tutto sarebbe stato ogni m o m e n t o da ricominciare. Il suo p i a n o n o n era, p e r il m o m e n t o , di unificare la penisola; ma la voleva alla m e r c è di un R e g n o dell'Alta Italia che solo se liberato da ogni interferenza austriaca avrebbe p o t u t o svolgere la sua funzione di Stato-guida. Q u e s t o ci s e m b r a c h e risulti in m a n i e r a chiarissima n o n solo dai suoi gesti e discorsi, ma a n c h e dagli scritti dei memorialisti più a lui vicini. Il Re e r a p r o n t o a c o n t e n t a r s i a n c h e di m e n o . Da b u o n 403
Savoia, egli considerava l'Italia «un carciofo da m a n g i a r e foglia a foglia», e quella che N a p o l e o n e gli offriva - la L o m b a r d i a , sogno proibito di tutti i suoi a n t e n a t i -, a l m e n o p e r il m o m e n t o gli bastava. Ma a r e n d e r l o ancora più docile alla volontà r i n u n c i a t a r i a del suo alleato e p r o t e t t o r e c'era a n che la s p e r a n z a che l'armistizio gli fornisse il p r e t e s t o di lib e r a r s i di q u e l suo p r e p o t e n t e P r i m o M i n i s t r o , il q u a l e si p e r m e t t e v a a n c h e d ' i n t e r f e r i r e nella sua vita p r i v a t a . L e p r o v e n o n m a n c a n o . Pochi g i o r n i p r i m a aveva scritto u n a lettera a Rattazzi, d i v e n t a t o o r m a i il suo fiduciario, in cui, o l t r e a i n g e n e r o s e critiche a l l ' o p e r a t o di Cavour, si legge questa frase: «Ora è t e m p o di demolire». Su chi dovesse essere l'oggetto di quella demolizione, il contesto della missiva n o n lascia d u b b i . E a n o n a v e r n e n e s s u n o e r a p r o p r i o C a v o u r che p o c h i giorni d o p o confidava a Massari: «Il Re volle l'armistizio, a ciò spinto da Rattazzi». Più che animato, il colloquio fra i d u e dovett'essere a d d i r i t t u r a d r a m m a t i c o . C a v o u r supplicò il Re di p r o s e g u i r e , se necessario, la g u e r r a da solo. Ma la risposta fu tale, c h e il d i a l o g o s ' i n t e r r u p p e bruscamente. S p e r a n d o di t r o v a r e in lui un alleato, C a v o u r corse dal p r i n c i p e G e r o l a m o , ma q u e s t i si strinse nelle spalle e gli consigliò di rivolgersi d i r e t t a m e n t e a l l ' I m p e r a t o r e in p a r tenza p e r Villafranca. C a v o u r lo r a g g i u n s e al suo Q u a r t i e r G e n e r a l e di Valeggio, e le parole che corsero fra i d u e furono tali che, al r i t o r n o dal suo i n c o n t r o con Francesco Gius e p p e , N a p o l e o n e m a n d ò a c h i a m a r e Vittorio E m a n u e l e p e r i n f o r m a r l o dei risultati, m a r a c c o m a n d a n d o g l i d i n o n portarsi dietro Cavour, che infatti rimase a M o n z a m b a n o . C o m e il Re accogliesse i t e r m i n i d e l l ' a c c o r d o n o n è accertato. Più tardi, a sua discolpa, v e n n e diffusa la leggenda, ch'egli rimase vittima di un i n g a n n o di N a p o l e o n e , il quale lo mise di fronte al fatto c o m p i u t o c o n t r o cui cercò invano di ribellarsi dicendogli: «Voi avete p a u r a di p e r d e r e il vostro t r o n o . I o , no». M a q u e s t o n o n solo n o n risulta d a n e s s u n d o c u m e n t o e testimonianza, ma r e n d e r e b b e incomprensibi404
le l'atteggiamento t e n u t o il g i o r n o p r i m a con Cavour, ed è in flagrante contraddizione con ciò che poco d o p o egli scrisse a suo g e n e r o : « Q u e s t o armistizio io lo d e s i d e r a v o » . Lo desiderava p e r sbarazzarsi di Cavour. Q u e s t i , q u a n d o il Re gli m o s t r ò la bozza d e l t r a t t a t o , esplose. Se l'Austria - disse - e n t r a a far parte, grazie al Veneto, della Confederazione Italiana, ne resta la p a d r o n a . E, afferrando la m a n o del Re, gli gridò: «Se Lei firma, è dison o r a t o p e r sempre». N o n si conosce la replica del Re. Ma si sa che, l i b e r a n d o la m a n o da quella stretta, firmò, sia p u r e con u n a formula cautelativa: «Ratifico questa c o n v e n z i o n e p e r t u t t o ciò che mi concerne». E C a v o u r p r e s e n t ò s e d u t a stante le dimissioni. Rientrò a Torino l'indomani dopo un freddo congedo del S o v r a n o cui aveva d a t o gloria, vittoria e g r a n d e z z a . Q u a n d o questi arrivò insieme a l l ' I m p e r a t o r e , a n d ò a riceverli alla stazione c o m e capo del g o v e r n o t u t t o r a in carica. Il Re finse di n o n vederlo. L'Imperatore volle ancora un colloquio con lui e gli p r o m i s e di fare il possibile, al tavolo della pace, p e r o t t e n e r e che Toscana, M o d e n a e Legazioni p o tessero d e c i d e r e del p r o p r i o destino. Anche il Re si d e g n ò , poco d o p o , d i riceverlo, m a n o n n e sortì che u n n u o v o diverbio. La M a r m o r a e Rattazzi avevano già avuto l'incarico di c o m p o r r e un n u o v o Ministero, che v e n n e varato il 19 luglio. Da Pallanza, d o v e si e r a ritirato, C a v o u r scrisse alla sua a m a n t e Bianca Ronzani: «Sento un tale spossamento che mi r e n d e avvertito essere o r m a i p u r t r o p p o cominciata p e r m e la vecchiaia; vecchiaia p r e m a t u r a , cagionata da dolori m o rali d ' i m p a r e g g i a b i l e a m a r e z z a » . N o n aveva a n c o r a cinquantanni.
CAPITOLO TRENTASETTESIMO
LE A N N E S S I O N I
La pace di Villafranca fu, dice C a n d e l o r o , l'ultimo tentativo c o m p i u t o d a P o t e n z e s t r a n i e r e d i d a r e all'Italia u n a sistem a z i o n e politica senza c o n s u l t a r e gl'italiani. E v e r o . Ma lo stesso N a p o l e o n e si r e n d e v a conto della sua inanità. E p e r ciò nell'articolo che r i g u a r d a v a l'impegno di restituire la Toscana e M o d e n a ai loro vecchi titolari, aveva cercato d'introd u r r e q u e s t a f o r m u l a : «I d u e S o v r a n i (cioè lui e Francesco Giuseppe) f a r a n n o tutti i loro sforzi, salvo il ricorso alle armi, p e r c h é i D u c h i di Toscana e di M o d e n a r i e n t r i n o nei loro Stati». Francesco G i u s e p p e aveva rifiutato di m e t t e r e n e r o su bianco questo i m p e g n o di r i n u n z i a alla forza, ma N a p o leone aveva ribadito v e r b a l m e n t e che n o n avrebbe tollerato interventi armati. Q u a n d o , al p r i n c i p i o di agosto, si a p r ì la c o n f e r e n z a di Zurigo p e r la definitiva liquidazione delle p e n d e n z e , i governi stranieri avevano già assunto u n a posizione che toglieva all'Austria ogni possibilità di agire. N o n solo l'Inghilterra, ma a n c h e , s e b b e n e con p i ù cautela, la Russia e la Prussia, si m o s t r a v a n o p r o p e n s e ad accettare le volontà, che già si d e l i n e a v a n o c h i a r a m e n t e , dei toscani e degli emiliani. A fare qualche difficoltà, n o n p e r i m p e d i r e , ma p e r rallentare l'operazione, fu p r o p r i o N a p o l e o n e , p e r tre motivi. Primo: p e r c h é n o n aveva ancora del tutto r i n u n z i a t o alla speranza d'istallare suo cugino a Firenze. Secondo: p e r c h é , p e r quanto r i g u a r d a v a le L e g a z i o n i , d o v e v a v e d e r s e l a col P a p a , di cui n o n voleva p e r d e r e l'appoggio p e r n o n p e r d e r e a n c h e quello delle forze cattoliche francesi. Terzo: p e r c h é doveva t u t t o r a risolvere il p r o b l e m a di Nizza e della Savoia. Il Pie406
m o n t e si e r a i m p e g n a t o a c o n s e g n a r g l i e l e in c a m b i o d e l Lombardo-Veneto. Essendo egli v e n u t o m e n o ai patti con la p a c e di Villafranca, che il Veneto lo lasciava all'Austria, il P i e m o n t e poteva considerarsi e s e n t a t o dal p a g a m e n t o p e r i n a d e m p i e n z a di contratto. E l ' I m p e r a t o r e intendeva obbligarvelo m e r c a n t e g g i a n d o sulle a n n e s s i o n i dell'Italia C e n trale. Se a Torino ci fosse stato Cavour, il p r o b l e m a sarebbe stato risolto r a p i d a m e n t e . Ma c'era Rattazzi: un u o m o che di u n a cosa sola si p r e o c c u p a v a : d ' i m p e d i r e il r i t o r n o di Cavour al p o t e r e . La situazione era delle più favorevoli. Tutto il m o t o a n n e s s i o n i s t a dell'Italia C e n t r a l e e r a s a l d a m e n t e nelle m a n i dei m o d e r a t i , che da lui aspettavano soltanto ordini. Ma Rattazzi n o n osava d a r n e nessuno senz'aver p r i m a interpellato N a p o l e o n e , che n a t u r a l m e n t e faceva da freno, ma senza molto costrutto: ormai le cose a n d a v a n o avanti di forza p r o p r i a . A Firenze, Ricasoli aveva indetto le elezioni che, abilment e m a n i p o l a t e , m a n d a r o n o alla C a m e r a u n a schiacciante maggioranza m o d e r a t a : Guerrazzi era stato escluso dalle liste con un pretesto a l q u a n t o specioso, e Montanelli, divenuto nel frattempo bonapartista, si trovò quasi del tutto isolato. Q u e s t o P a r l a m e n t o n o n p e r s e t e m p o a v o t a r e la decadenza della dinastia dei L o r e n a e u n a richiesta di annessione al Piemonte, r a c c o m a n d a t a alla benevolenza di Napoleone e ai b u o n i uffici delle altre G r a n d i Potenze. Farini, che aveva riunito sotto la sua «dittatura» M o d e n a e Parma, a n d ò a n c h e p i ù in là, i n d i c e n d o nell'agosto un plebiscito che diede 63 mila voti favorevoli all'annessione e solo 500 c o n t r a r i . Esso rimase p e r il m o m e n t o senza effetto, ma servì come p r o v a generale di quello che si sarebbe t e n u to qualche mese d o p o , nel '60. Il p r o b l e m a più grosso e r a n o le Legazioni. Le guarnigioni a u s t r i a c h e le a v e v a n o e v a c u a t e . Ma a Villafranca i d u e I m p e r a t o r i n o n ne avevano parlato. E questo silenzio faceva s u p p o r r e ch'essi intendessero restituirle al Papa, le cui mili407
zie p o t e v a n o i r r o m p e r v i da un m o m e n t o all'altro, c o m e già avevano fatto a Perugia. Torino aveva n o m i n a t o Commissario Straordinario p e r le R o m a g n e D'Azeglio, che con quelle t e r r e aveva u n a vecchia dimestichezza. Ma la carica fu subito d o p o soppressa, e il p o t e r e v e n n e t e m p o r a n e a m e n t e affid a t o a un colonnello còrso, Cipriani, che aveva dalla sua il vantaggio di u n a stretta amicizia personale con N a p o l e o n e . Anche lui indisse l'elezioni che si risolsero in u n ' a l t r a grande vittoria dei m o d e r a t i , guidati da Marco Minghetti. All'ap e r t u r a del P a r l a m e n t o , essi v o t a r o n o u n d o c u m e n t o che, sebbene lardellato di omaggi al Papa, dichiarava d e c a d u t o il g o v e r n o t e m p o r a l e e chiedeva l'annessione al Piemonte. Subito d o p o Firenze, M o d e n a , P a r m a e Bologna costituir o n o u n a «lega militare» e ne offrirono il c o m a n d o a Garibaldi. Questi chiese al Re il p e r m e s s o di a s s u m e r l o , e il Re glielo d i e d e r a c c o m a n d a n d o g l i la più g r a n d e p r u d e n z a . Ma q u a n d o giunse sul posto, i m o d e r a t i si e r a n o già pentiti della scelta, e Minghetti, accorso a Torino, o t t e n n e che Garibaldi fosse posto in sottordine al generale Fanti. Garibaldi p r o testò, ma finì p e r a c c e t t a r e il fatto c o m p i u t o . E Fanti, che n o n e r a privo di qualità, riuscì a m e t t e r e insieme un esercito di 50 mila u o m i n i . I n t a n t o a n c h e Ricasoli e r a a n d a t o a Torino p e r presentare al Re il voto dell'annessione. Il Re si trovò nell'imbarazzo. Accettando, temeva d'inimicarsi N a p o l e o n e . Rifiutando, sapeva di p e r d e r e prestigio agli occhi n o n solo dei toscani, ma di tutti gl'italiani. M a n d ò a Parigi il C o n t e Arese a sond a r e le intenzioni d e l l ' I m p e r a t o r e . E questi gli rispose con u n a lettera in cui diceva che, sebbene f e r m a m e n t e deciso ad a i u t a r e la causa italiana, n o n poteva n o n t e n e r c o n t o della volontà dell'Austria cui era legato; che perciò si riprometteva di p o r t a r e t u t t o il p r o b l e m a italiano d a v a n t i a un congresso e u r o p e o ; e che nel f r a t t e m p o gli consigliava di n o n d e l u d e r e il voto delle popolazioni che lo volevano loro Re, ma di n o n c o m p i e r e gesti avventati. Il Re si a t t e n n e al consiglio. R i s p o n d e n d o a Ricasoli, dis408
se ch'egli accoglieva il desiderio dei toscani e si p r o p o n e v a di p e r o r a r l o presso le p o t e n z e e u r o p e e e s o p r a t t u t t o presso il m a g n a n i m o I m p e r a t o r e dei francesi. Ricasoli rimase un p o ' deluso, ma a r i n c u o r a r l o provvide Cavour, che lo c h i a m ò a colloquio. «Io n o n sono Ministro - gli disse -, e sono un p o ' i m p r u d e n t e . Ma vi dico di scegliere la i n t e r p r e t a z i o n e più larga e di agire in conseguenza.» Ricasoli n o n se lo fece rip e t e r e . R i e n t r a t o a Firenze, o p e r ò un piccolo ritocco al discorso del Re t r a d u c e n d o Vaccoglimento in accettazione, e cominciò ad agire in conseguenza. Modenesi e p a r m e n s i imit a r o n o l'esempio. Anch'essi p o r t a r o n o il voto dei loro concittadini a Torino, e anch'essi, d o p o che il Re lo ebbe accolto, lo c o n s i d e r a r o n o accettato. Un p o ' p i ù difficile fu l ' o p e r a z i o n e p e r i d e l e g a t i delle R o m a g n e . Per s m i n u i r e la solennità del loro messaggio, invece che a Torino, il Re li ricevette nella villa reale di Monza, e gli disse: «Principe cattolico, s e r b e r ò in o g n i e v e n t o profonda e inalterabile reverenza verso il S u p r e m o Gerarca della Chiesa. Principe italiano, d e b b o ricordare che, l'Europa riconoscendo e p r o c l a m a n d o che le condizioni del vostro Paese r i c h i e d e v a n o p r o n t i e d efficaci p r o v v e d i m e n t i , h o contratto con esso formali obbligazioni». Prima di p r o n u n ciare queste parole, aveva m a n d a t o a R o m a il suo cappellano p e r spiegare al Papa che a suggerirgliele era stato N a p o leone. Questi più tardi smentì, ma è poco credibile che Vittorio E m a n u e l e , p e r q u a n t o avventato, avesse commesso un falso di quella portata. C o m u n q u e , il Papa reagì r o m p e n d o le relazioni diplomatiche col P i e m o n t e e tacciando Vittorio Emanuele d'empietà. Il 10 n o v e m b r e si chiuse la c o n f e r e n z a di Z u r i g o senza nulla decidere sulla sorte dell'Italia Centrale e della Confed e r a z i o n e a u s p i c a t a a Villafranca, e le cose s e g u i t a r o n o a rotolare p e r la c h i n a su cui si e r a n o messe, ma n o n senza qualche c o m p l i c a z i o n e . Q u a l c h e s e t t i m a n a p r i m a s ' e r a n o riuniti Ricasoli, Farini, Cipriani, Minghetti e Audinot, il r a p presentante delle R o m a g n e , e avevano deciso di sollecitare 409
al Re la n o m i n a di un unico R e g g e n t e che lo r a p p r e s e n t a s s e nei q u a t t r o Stati. Ancora u n a volta Vittorio E m a n u e l e chiese consiglio a N a p o l e o n e , che si d i m o s t r ò c o n t r a r i o . Ma la p r o p o s t a fu messa u g u a l m e n t e allo studio. A m o r d e r e il freno p e r tutte queste dilazioni n o n era solt a n t o Garibaldi, ma a n c h e Fanti e Farini, già da t e m p o in contatto coi patrioti delle M a r c h e , che n o n volevano essere escluse dalle annessioni, ma n o n p o t e v a n o e s p r i m e r n e il voto p e r c h é tuttora presidiate dalle t r u p p e pontificie. I tre decisero di t e n t a r e un colpo di m a n o , ma Ricasoli e C i p r i a n i ne videro tutti i pericoli e si a p p e l l a r o n o al Re p e r c h é intervenisse. Il Re c h i a m ò G a r i b a l d i a T o r i n o , ma n o n riuscì a p e r s u a d e r l o , e allora suggerì a Fanti di d a r e le dimissioni e di r i p r e n d e r e il suo posto nell'esercito regolare, lasciando il c o m a n d o tosco-emiliano a Garibaldi in m o d o che su costui ricadessero le responsabilità, ma forse a n c h e nella speranza c h e Garibaldi, p r o m o s s o a l c o m a n d o s u p r e m o , s e n e contentasse e stesse quieto. Cavour, q u a n d o lo s e p p e , corse da La M a r m o r a p e r c h é fermasse la lettera del Re a Fanti. Considerava u n a follia affidarsi a Garibaldi, ma sospettava anche qualcosa di peggio: e cioè che il Re, p u r evitando di a s s u m e r s e n e i rischi, desiderasse quell'avventata spedizione, che poteva sconvolgere tutto il giuoco. Ma La M a r m o r a n o n era u o m o da o p p o r s i al Re. La lettera partì. Fanti diede le dimissioni. Ma, a p p e n a arrivato a Torino, ricevette l'ordine di ritirarle e di t o r n a r e a M o d e n a . D ' a c c o r d o c o n Farini r i c h i a m a t o a n c h e lui alla p r u d e n z a , riuscì a p e r s u a d e r e Garibaldi a desistere dal tentativo. Ma questi poco d o p o , in seguito alla falsa notizia che l e t r u p p e pontifìcie stavano p e r e n t r a r e i n R o m a g n a , ord i n ò alle sue di mettersi in marcia p e r le Marche. Fanti lanciò un c o n t r o r d i n e invitando gli ufficiali alla disobbedienza e fra i d u e G e n e r a l i , c h e si d e t e s t a v a n o , seguì «una scena violenta e d r a m m a t i c a » , che si concluse con la p a r t e n z a di Garibaldi p e r T o r i n o , dove e b b e u n s e c o n d o colloquio col Re. Questi lo invitò a «mettersi un poco da p a r t e p e r qual410
che mese». G a r i b a l d i , dice C i b r a r i o , « d a p p r i m a p a r v e c h e resistesse alle istanze. Infine, voltosi a Vittorio E m a n u e l e , gli disse: " I o n o n rispetto al m o n d o altri che Dio e Voi. Vi ubbidirò"». Ubbidì fino a un certo p u n t o p e r c h é subito d o p o si mise a lanciar proclami incendiari, e Dio sa cosa avrebbe inventato se p r o p r i o in quel m o m e n t o n o n si fosse i n n a m o r a t o com e u n r a g a z z o d i u n a nobile giovinetta, G i u s e p p i n a Raim o n d i , c o n o s c i u t a d u r a n t e la g u e r r a e r i m a s t a fin allora s o r d a al suo c o r t e g g i a m e n t o . «Ti a m o , fammi tua» essa gli scrisse improvvisamente. E Garibaldi corse verso quella che d o v e v a t r a p o c o rivelarsi la p i ù s f o r t u n a t a di t u t t e le s u e conquiste, ma che lì p e r lì n o n gli concedeva di p e n s a r e ad altro. La crisi dell'Italia Centrale era p e r il m o m e n t o superata, ma aveva d i m o s t r a t o che, p r o l u n g a n d o s i quella fase di stallo, la situazione poteva a n c h e incancrenire. Garibaldi e r a la posta di un serrato giuoco di cui, nella sua semplicioneria, n o n si accorgeva. Era stato p e r catturarlo e scatenarlo che i d e m o cratici avevano p r o p a l a t o la falsa notizia dell'invasione p o n tificia nelle R o m a g n e . E r a l'unico m o d o p e r «italianizzare» la g u e r r a , d a n d o l e un c a r a t t e r e rivoluzionario e p o p o l a r e , come voleva Mazzini. Questi n o n aveva con Garibaldi r a p porti diretti: Garibaldi chiamava Mazzini «l'imperatore della dottrina», e Mazzini considerava Garibaldi un grosso cap o r a l e confusionario, ma r i c o n o s c e n d o le sue qualità carismatiche, cercava di strumentalizzarle ai p r o p r i fini. Nelle fila del G e n e r a l e c'erano degli u o m i n i come Medici, Bixio e Bertani che, p u r a v e n d o secessionato d a Mazzini, avevano in lui le p r o p r i e radici ideologiche e con lui avevano s e m p r e m a n t e n u t o contatti. Anch'essi volevano r i p r e n d e r e la g u e r ra e italianizzarla. Il colpo, p e r il m o m e n t o e r a fallito. Ma poteva riuscire u n ' a l t r a volta, a n c h e p e r c h é poteva contare, almeno fino a un certo p u n t o , su un complice di altro ed alto b o r d o : il Re. 411
Affrancato dal severo controllo di Cavour, Vittorio Eman u e l e dava sfogo alla sua smania di fare u n a politica p e r s o nale alle spalle di Ministri e P a r l a m e n t o . Intrallazzava anche con Brofferio, che gli aveva recato u n a lettera di Mazzini in cui questi lo invitava a liberarsi della tutela di N a p o l e o n e e a m e t t e r s i alla testa di u n a crociata n a z i o n a l e spos a n d o n e la causa rivoluzionaria. N a t u r a l m e n t e il Re n o n ci p e n s a v a n e m m e n o . M a m a n t e n n e i c o n t a t t i c o n Mazzini, convinto di potersi servire di lui c o m e e n t r a m b i cercavano di servirsi di Garibaldi. E t u t t e queste m a n o v r e - di cui La M a r m o r a e Rattazzi e r a n o all'oscuro, e a n c h e se n o n lo fossero stati, n o n avrebbero mai avuto il coraggio di opporvisi c o m p o r t a v a n o grossi rischi. A c c e n d e r e moti r i v o l u z i o n a r i q u a e là e r a m e n o difficile che t r a t t e n e r e Garibaldi dall'accorrervi, e questo avrebbe giustificato un i n t e r v e n t o austriaco agli occhi di u n ' E u r o p a sostanzialmente conservatrice anche là d o v ' e r a n o al p o t e r e i liberali. Fu soprattutto questo pericolo che spinse Cavour a rient r a r e nell'agone. Poche settimane di ritiro sul lago e in camp a g n a e r a n o bastate a r i t e m p r a r e le sue e n e r g i e e a trarlo dallo sconforto in cui d o p o Villafranca e r a p i o m b a t o . Contro La M a r m o r a e Rattazzi n o n fece nulla, anzi li sostenne e li fece sostenere dai suoi, p r e f e r e n d o a s p e t t a r e che si logorassero da soli. La loro inefficienza saltava agli occhi. L'uno p e r militaresco scrupolo di disciplina, l'altro p e r servilismo, n o n e r a n o che p u p a z z i nelle m a n i del Re, che p r e t e n d e v a trattare i partiti come fazioni di Corte e i Ministri c o m e port a o r d i n i . «La sua debolezza - scriveva H u d s o n di La Marm o r a - d i v i e n e di g i o r n o in g i o r n o p i ù manifesta, e tutti p r e d i c o n o la dissoluzione del suo Ministero. Q u e s t a n o n avviene s e m p l i c e m e n t e p e r c h é il Re trova g r a d e v o l e giocare al g o v e r n o con Rattazzi e la Rosina, e Rattazzi e la Rosina trovano gradevole giocare ad anatra e p a p e r o con una g r a n d e questione nazionale». Spaventati dal r i t o r n o di C a v o u r a T o r i n o , i d u e finanz i a r o n o - c e r t a m e n t e col b e n e p l a c i t o e il d e n a r o del Re 412
un g i o r n a l e , Lo Stendardo, p e r attaccare e s c r e d i t a r e l'esecrato nemico affidandosi alla p e n n a di Guerrazzi e di Brofferio. E in questa m a n o v r a d'interdizione r i e n t r ò a n c h e un n u o v o approccio con Garibaldi, cui il Re p r o p o s e il c o m a n do della G u a r d i a N a z i o n a l e L o m b a r d a . H u d s o n ne fu all a r m a t o , consigliò di r e v o c a r e la n o m i n a , e lo stesso Garibaldi, s e m p r e p i ù i n f a t u a t o e alla vigilia delle n o z z e con G i u s e p p i n a , r i n u n z i ò . C o n t r o Cavour, il Re i n t r i g ò a n c h e con Walewski, che n a t u r a l m e n t e vedeva in lui il p i ù grosso ostacolo alla sua politica di r a v v i c i n a m e n t o all'Austria. Ma stavolta aveva sbagliato la carta p e r c h é Walewski stava p e r essere liquidato. Il segno del colpo di b a r r a che N a p o l e o n e stava p e r d a r e alla sua politica fu la p u b b l i c a z i o n e , ai p r i m i di d i c e m b r e (del ' 5 9 , si capisce) di un o p u s c o l o intitolato «Il P a p a e il Congresso». S e b b e n e a n o n i m o , si s e p p e subito c h e a scriverlo e r a stato un cattolico militante, ma deviazionista, La G u é r o n n i è r e , su ispirazione dell'Imperatore. Sosteneva questa tesi: che, p e r esercitare liberamente il suo p o t e r e spirituale, al P a p a occorreva a n c h e un p o t e r e t e m p o r a l e , cioè u n o Stato. M a q u a n t o p i ù piccolo q u e s t o fosse, t a n t o p i ù g r a n d e sarebbe stata l'autorità m o r a l e del Pontefice. In parole povere: R o m a coi suoi d i n t o r n i poteva bastargli. L'opuscolo suscitò l'entusiasmo n o n solo dei liberali italiani (Cavour Io c h i a m ò «la Solferino del Papa»), ma a n c h e della p u b b l i c a o p i n i o n e inglese, da s e m p r e avversa alla Chiesa, e a p p u n t o p e r questo N a p o l e o n e l'aveva fatto p u b blicare. Alla vigilia del congresso che avrebbe d o v u t o risolvere la questione italiana, l ' I m p e r a t o r e aveva deciso di riaccostarsi a l l ' I n g h i l t e r r a , e a farne le spese fu Walewski, c h e venne sostituito c o m e Ministro degli Esteri da T h o u v e n e l . Subito d o p o i governi di Parigi e di L o n d r a si a c c o r d a r o n o su questi p u n t i : che le popolazioni dell'Italia Centrale fossero libere di d e c i d e r e il p r o p r i o d e s t i n o , che p e r t a n t o in quelle province n e s s u n a Potenza, n e a n c h e il Piemonte, dovesse i n t e r v e n i r e , e che le t r u p p e francesi evacuassero Ro413
ma d o p o aver messo il g o v e r n o pontificio in g r a d o di provv e d e r e da sé alla p r o p r i a difesa. Il congresso fornì a Cavour il pretesto p e r rimettersi ufficialmente in corsa. Era c h i a r o che a r a p p r e s e n t a r v i il Piem o n t e n o n poteva essere che lui, la figura di g r a n l u n g a più prestigiosa sia all'interno che all'estero. Ma il Re e Rattazzi capivano che affidargli quella missione significava a p p u n t o riconoscere, di fronte all'Italia e all'Europa, che il vero capo e r a a n c o r a Cavour. E p e r c i ò , n o n o s a n d o o p p o r s i alla sua n o m i n a , m a n o v r a r o n o p e r c h é l a bocciasse N a p o l e o n e e , n o n r i u s c e n d o n e m m e n o a questo, s c a t e n a r o n o i loro giornali contro di lui. Ma fu p r o p r i o l'asprezza di questa campag n a di stampa che spinse tutte le forze m o d e r a t e a far quad r a t o i n t o r n o a Cavour e a passare alla controffensiva: n o n soltanto a T o r i n o , ma a n c h e nell'Italia C e n t r a l e che si p r e p a r a v a all'annessione. D'Azeglio, Farini, Ricasoli esercitarono u n a tale pressione che il Re dovette a r r e n d e r s i alla nom i n a di Cavour. Questi, sentendosi o r m a i p a d r o n e della sit u a z i o n e , pose c o m e c o n d i z i o n e che fossero a n c h e i n d e t t e n u o v e elezioni. La M a r m o r a e Rattazzi c e r c a r o n o di o p p o r si, e C a v o u r li affrontò in u n a scena violenta. E r a n o stati vecchi amici, m a C a v o u r n o n e r a u o m o d a sacrificare u n p r o g r a m m a politico ai sentimenti: q u a n d o un alleato cessava di servirgli, lo stracciava. Fu lo stesso La M a r m o r a c h e , p r e s e n t a n d o al Re le dimissioni del g o v e r n o , gli consigliò di r i c h i a m a r e Cavour. Il Re cercò di p u n t a r e i p i e d i : il r i t o r n o di C a v o u r e r a u n o schiaffo al suo orgoglio e la rinunzia a svolgere u n a politica personale. Ma n o n aveva scelta. Anche su pressione di H u d son, che p e r la sua azione diplomatica aveva bisogno di un i n t e r l o c u t o r e c h e contasse qualcosa, convocò C a v o u r e gli affidò l'incarico di f o r m a r e un n u o v o Ministero, che e n t r ò in carica il 21 g e n n a i o . E da quel m o m e n t o le cose presero subito un altro andazzo. C a v o u r aveva p e r f e t t a m e n t e capito che l'annessione degli Stati Centrali aveva un prezzo: Nizza e la Savoia. Anche 414
se n o n lo diceva p e r n o n suscitare la reazione delle G r a n d i Potenze ostili a un i n g r a n d i m e n t o territoriale della Francia, N a p o l e o n e , se n o n avesse o t t e n u t o quel c o m p e n s o , avrebbe seguitato a sabotare l'operazione. Bisognava d u n q u e trovare un accordo diretto con lui p r i m a che il congresso si aprisse, e anzi p e r fare in m o d o c h e del c o n g r e s s o n o n ci fosse più bisogno. Sollecitato, l ' I m p e r a t o r e fece in t e r m i n i p e r e n t o r i le seg u e n t i richieste: a n n e s s i o n e al P i e m o n t e solo di M o d e n a e Parma, Toscana a u t o n o m a sotto la c o r o n a di un Savoia, Legazioni sotto il g o v e r n o di Vittorio E m a n u e l e c o m e Vicario del Papa, che così ne avrebbe conservato la sovranità formale, Nizza e Savoia alla Francia. Sebbene formulate c o m e un u l t i m a t u m , C a v o u r respinse queste p r o p o s t e , b e n s a p e n d o che l'Inghilterra lo avrebbe spalleggiato e che N a p o l e o n e le avanzava solo p e r salvare la faccia con Vienna e con R o m a : lo scrisse il suo segretario A r t o m a Nigra. E p e r farle n a u fragare senz'assumersene la responsabilità, fece firmare dal Re, che la trovò «curiosissima», u n a lettera al Papa, con cui gli p r o p o n e v a di cedergli il g o v e r n o n o n solo delle R o m a gne, ma a n c h e delle M a r c h e e dell'Umbria, p u r «conservando al S u p r e m o Pontefice l'alto Suo d o m i n i o » . «E u n ' i d e a n o n savia» rispose Pio IX, dandogli p r e s s a p p o c o del matto, e con qualche ragione. Ma matto n o n e r a Cavour, che voleva s e m p l i c e m e n t e far c a p i r e a N a p o l e o n e l'impraticabilità del suo p i a n o , e ci riuscì. C o n t e m p o r a n e a m e n t e al rifiuto delle sue richieste, Cavour comunicò a l l ' I m p e r a t o r e la disponibilità del P i e m o n t e a trattative p e r l'immediata cessione di Nizza e della Savoia alla Francia. E lo stesso g i o r n o partì p e r Bologna e Firenze l'ordine a Farini e Ricasoli di b a n d i r e i plebisciti in Emilia e Toscana. Q u e s t a e r a la strategia di Cavour: un abile dosaggio di «no», di «sì» e di fatti compiuti. Il rischio dei plebisciti n o n e r a il risultato: n o n solo p e r ché t u t t e le c o m p o n e n t i del m o v i m e n t o patriottico, a n c h e quelle d e m o c r a t i c h e , e r a n o o r m a i p e r l'annessione, m a an415
che p e r c h é la d o m a n d a agli elettori e r a formulata in m o d o piuttosto capzioso. Essi e r a n o invitati a d i r e se volevano far p a r t e della « M o n a r c h i a costituzionale di Vittorio E m a n u e le», o p p u r e di un «Regno separato», di cui n e s s u n o sapeva se sarebbe stato quello di p r i m a sotto la vecchia dinastia, o u n o n u o v o . E n a t u r a l m e n t e tutti preferivano il certo all'inc e r t o . Il rischio e r a n o le astensioni, s o p r a t t u t t o delle camp a g n e . Sebbene negli ultimi a n n i si fosse n o t e v o l m e n t e dilatato, il m o v i m e n t o patriottico e r a restato un fatto di m i n o r a n z e borghesi. Le masse, e specialmente quelle c o n t a d i n e , vi r i m a n e v a n o e s t r a n e e là dove n o n a d d i r i t t u r a ostili, sotto l'influenza c o m ' e r a n o di p a r r o c i reazionari e sanfedisti. Era facile p r e v e d e r e c h e c o s t o r o n o n a v r e b b e r o osato battersi c o n t r o l ' a n n e s s i o n e ; m a p o t e v a n o favorire u n ' a s t e n s i o n e che, se avesse r a g g i u n t o certe dimensioni, avrebbe inficiato, agli occhi d e l l ' E u r o p a , il significato politico del p r o n u n c i a mento. Direttive d r a c o n i a n e furono i m p a r t i t e dai governi provvisori. Ricasoli, c o n u n a «Circolare» ai Prefetti, d e c r e t ò la mobilitazione in massa dei fattori, che stanassero i contadini, con le b u o n e o con le cattive, dalle loro case, e li c o n d u cessero indrappellati alle u r n e . L'operazione v e n n e condot- J ta a fondo con m e t o d i da r e g i m e totalitario, e lo si vide dai | risultati. In T o s c a n a votò p i ù d e l 7 3 % degli e l e t t o r i e p e r J l ' a n n e s s i o n e f u r o n o 367 mila c o n t r o 20 mila. In Emilia 1 a n d ò a n c h e meglio: votò l ' 8 1 % , 4 2 6 mila p e r l'annessione, 1 1500 contro. .i «Un trionfo» scrisse c o r a l m e n t e la s t a m p a , e aritmetica- § m e n t e lo era. Ma solo aritmeticamente. In realtà i sistemi a m cui si era dovuti r i c o r r e r e d i m o s t r a v a n o che le masse italia--m n e , le quali si e r a n o s e m p r e rifiutate di fare l'Italia, trovava- J no q u a l c h e difficoltà p e r f i n o ad accettarla. E q u e s t o \ M d'origine e r a destinato a pesare fino ai nostri giorni - nostri Jj giorni c o m p r e s i - sulla vita della Nazione. L'Italia nasce\a* Jj ma solo dal genio di un g r a n d e statista e dal sopruso di fl| piccola m i n o r a n z a su u n a m a g g i o r a n z a assente e inerte JH u n a
c n e ,
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n o n a v e n d o c o l l a b o r a t o alla sua f o r m a z i o n e , vi si sentiva estranea e p i ù soggetta che partecipe. C o m u n q u e , C a v o u r n o n p e r s e t e m p o a cogliere i frutti del successo. L'Emilia fu i m m e d i a t a m e n t e a n n e s s a al Piem o n t e e ne adottò la legislazione. La Toscana, p e r aver m o do di a d e g u a r v i la sua, conservò a titolo t e m p o r a n e o un gov e r n o a u t o n o m o sotto la L u o g o t e n e n z a del Principe di Car i g n a n o , cugino del Re. Subito d o p o furono i n d e t t e le elezioni generali, che d i e d e r o al partito di Cavour, in cui confluivano l ' U n i o n e liberale e la Società Nazionale di La Farina, u n a s o n a n t e vittoria. La destra reazionaria era spazzata via; l'opposizione di sinistra, di cui o r a facevano p a r t e a n che i rattazziani, ridotta a p o c h e diecine di seggi. La notizia dei plebisciti fu comunicata a Parigi insieme a quella c h e Vittorio E m a n u e l e aveva firmato il d o c u m e n t o che sanciva la cessione alla Francia di Nizza e della Savoia: Cavour, che aveva il culto delle coincidenze e n o n ne p e r s e mai u n a , c o n u n a m a n o p r e n d e v a e con l'altra offriva. II trattato p r e v e d e v a che a n c h e l'annessione di queste regioni e r a c o n d i z i o n a t a a un plebiscito, e p e r il m o m e n t o doveva essere m a n t e n u t o segreto. Ma n o n lo rimase che p o c h e settimane, p e r c h é sia Cavour che N a p o l e o n e avevano interesse a far p r e s t o . Il p r o c l a m a della cessione fu lanciato a nizzardi e savoiardi il 1 ° aprile del '60, vigilia dell'inaugurazione di una Camera numericamente dominata da deputati lombardi, emiliani e toscani, il cui c u o r e n o n palpitava molto p e r quelle d u e periferiche p r o v i n c e . Infatti la festa n o n ne fu m i n i m a m e n t e turbata. Solo il 12 ci fu un'interpellanza. L'aveva p r e s e n t a t a Garibaldi che, c o m e d e p u t a t o di Nizza, protestava c o n t r o la d e cisione definendola incostituzionale, e aveva r a g i o n e : l'articolo 5 dello Statuto prevedeva, p e r le modifiche territoriali, l'approvazione del P a r l a m e n t o . Infatti la replica di C a v o u r fu insolitamente imbarazzata e fiacca. Il 22 Garibaldi t o r n ò all'attacco, e stavolta con un v e e m e n t e discorso c o n d i t o di tali sfondoni storici, logici e sintattici, che i suoi stessi amici 417
ne f u r o n o c o s t e r n a t i e u n o di essi, P o e r i o , a d d i r i t t u r a lo rimbeccò. Amareggiato dall'insuccesso che si aggiungeva a u n a cocente delusione coniugale, Garibaldi p e n s ò p e r u n m o m e n to di t o r n a r e a Nizza p e r suscitarvi u n a rivolta. Ma p r o p r i o allora giunsero i risultati del plebiscito nella sua città: su 25 mila votanti, solo 160 si e r a n o dichiarati c o n t r a r i all'annessione, e in Savoia n o n e r a a n d a t a a l t r i m e n t i . Per protesta. Garibaldi si dimise da d e p u t a t o . A un amico scrisse: «Tutto mi schiaccia ed a t t e r r a . L'anima m i a è p i e n a di l u t t o , c h e d e b b o fare? A b b a n d o n a r e questo ambiente che mi soffoca e r i p u g n a fino alla n a u s e a ? Lo farò p r e s t o , assai p r e s t o , p e r r e s p i r a r e più libero, c o m e un prigioniero che rivede alfine la luce di Dio...» N o n lo sfiorava n e a n c h e il p r e s e n t i m e n t o che di lì a pochi giorni si sarebbe imbarcato p e r la p i ù romanzesca e gloriosa delle sue avventure.
CAPITOLO TRENTOTTESIMO
I L C R E P U S C O L O DEI B O R B O N E
Nel m o m e n t o in cui Vittorio E m a n u e l e e N a p o l e o n e cacciavano gli austriaci dalla L o m b a r d i a , a Napoli moriva Ferdin a n d o I I , l'esecrato Re Bomba. D o p o la crisi del '49, egli aveva d a t o libero sfogo alla p r o pria n a t u r a dispotica, f a c e n d o e d i s f a c e n d o Ministeri, ma s e m p r e con mezze figure che n o n g o d e v a n o di altra libertà che quella di servirlo. P u r e , delle terribili accuse c h e gli muovevano i patrioti e di cui lo statista inglese Gladstone si era fatto il portavoce, n o n tutte e r a n o fondate, o p e r lo m e no n o n tutte lo e r a n o nella stessa misura. C h e il suo r e g i m e si basasse u n i c a m e n t e sull'esercito e sulla polizia, era i n d u b bio: gli oppositori e r a n o tutti finiti in galera o in esilio. Nella r e p r e s s i o n e la sua m a n o e r a rozza e p e s a n t e . Ma n o n è vero ch'egli fosse un servitorello di Vienna. Anzi. Basata sul più rigoroso isolazionismo, la sua politica estera consisteva nel n o n farne nessuna con nessuno, n e m m e n o con l'Austria di cui r e s p i n g e v a c a p a r b i a m e n t e , e spesso villanamente, le ingerenze. Se avesse p o t u t o , p e r esserne ancora più p a d r o ne e governarselo a m o d o suo, avrebbe rinchiuso il suo Reame d e n t r o u n a m u r a g l i a cinese. Il suo modello, più che di Re assoluto, e r a quello del Patriarca che a m m i n i s t r a p e r s o nalmente la giustizia sotto l'albero di fico e mozza la testa a c h i u n q u e la viola. A l l ' a m m o n i m e n t o di M e t t e r n i c h c h e «è inutile c h i u d e r e i cancelli alle i d e e : le i d e e li scavalcano», non aveva c r e d u t o . Ma n o n e r a un satrapo inteso u n i c a m e n t e a bagordi, come molti lo dipingevano. Nella vita privata si conduceva a n da b u o n p a d r e di famiglia, e di u n a famiglia che da sola 21
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bastava a dargli p a r e c c h i o da fare. La sua s e c o n d a moglie, Maria Teresa d'Asburgo, gli aveva snocciolato b e n undici figli, di cui nove e r a n o tuttora in vita, oltre quello che gli aveva dato la p r i m a , Francesco, destinato a succedergli sul tron o . Moglie e m a r i t o a v e v a n o p r e s s a p p o c o gli stessi gusti. Partecipavano alle cerimonie d'obbligo, e anzi n o n a m m e t t e v a n o sgarri all'etichetta, ma le d e t e s t a v a n o . Avevano introdotto a Corte un r e g i m e semplice e severo, e la maggior p a r t e d e l l ' a n n o la p a s s a v a n o nel palazzo r e a l e di Caserta, nelle cui m a r m o r e e sale il Re si aggirava con un b a m b i n o in collo tra fila di m u t a n d e e camiciole stese ad asciugare. A tavola era lui che faceva le porzioni, e i cibi e r a n o quelli grossolani della povera gente: maccheroni, pizza, c a p o n a t a e sop r a t t u t t o cipolle, del cui o d o r e era s e m p r e appestato, anche p e r c h é si lavava p o c o . Più largo che l u n g o , a q u a r a n t a c i n q u ' a n n i ne dimostrava p i ù di sessanta: «Ha l'aria d ' u n macellaio benestante» scrisse u n a visitatrice svedese. A differenza del suo o m o n i m o n o n n o , il «lazzarone», lavorava molto p e r c h é voleva s a p e r e e v e d e r e tutto. Ma, come lui, mescolava alla p a d r o n a l e imperiosità u n a certa bonomia e anche un rozzo u m o r i s m o , che si sfogava in lazzi e nomignoli dialettali. Il suo a m o r e p e r i sudditi e r a sincero, a n c h e se lo manifestava o p p r i m e n d o l i , e abbastanza ripagato: più che un Re, i n a p o l e t a n i lo consideravano un «guappo», e in fondo n o n sbagliavano p e r c h é del g u a p p o egli aveva infatti le p r e p o t e n z e e le generosità. Ma negli ultimi t e m p i e r a c a m b i a t o , e la voce p o p o l a r e ne faceva risalire la causa a un t r a u m a . Sulla fine del '56, m e n t r e passava in rivista la t r u p p a , un soldato uscì dai ranghi e gli vibrò u n a baionettata. Il Re rimase impassibile anche p e r c h é la lama, deviata dalla sella, n o n gli aveva inferto che u n a scalfittura. Ma l'episodio lo aveva scosso, sebbene l'inchiesta a p p u r a s s e c h ' e r a d o v u t o soltanto al ghiribizzo d e l l ' a t t e n t a t o r e , un certo Agesilao Milano. Da allora si era fatto più inquieto, c u p o e sospettoso, e s o p r a t t u t t o crebbe, sino a d i v e n t a r e m a n i a , la sua s u p e r s t i z i o n e . T a p p e z z ò le 420
sue stanze d'immagini di santi, c o r n a e altri amuleti, e mise al b a n d o c h i u n q u e fosse indiziato di j e t t a t u r a , e Dio sa a Napoli q u a n t i ce n ' e r a . Forse, p i ù che l'effetto d e l l ' a t t e n t a t o , questo d e t e r i o r a m e n t o di u m o r e era il p r ò d r o m o della misteriosa malattia che di lì a poco doveva c o n d u r l o alla tomba. Ma fatto sta che a ridargli pace e fiducia n o n bastò n e a n che il misero fallimento di Pisacane, che dimostrava la sordità dei suoi sudditi a ogni sollecitazione rivoluzionaria. S e m p r e fedele al m o t t o : «Amico di tutti, n e m i c o di nessuno», nella g u e r r a del '59 si e r a a t t e n u t o alla p i ù stretta n e u t r a l i t à , d i c e n d o c h e la cosa «non lo r i g u a r d a v a » , e il guaio è che lo credeva v e r a m e n t e . I n v a n o suo fratello Leopoldo, C o n t e di Siracusa, cercò di convincerlo che il processo di unificazione nazionale coinvolgeva a n c h e le sorti del R e a m e , e che r e s t a r n e assenti significava lasciare l'Italia in appalto ai Savoia. F e r d i n a n d o n o n sentiva «il grido di dolore» p e r c h é n o n sentiva l'Italia e seguitava a considerarla, come Metternich, «un'espressione geografica». Se n o n mise al b a n d o L e o p o l d o p e r quelle sue idee «liberali», fu solo p e r ché, p u r c o n s i d e r a n d o l o la p e c o r a n e r a della famiglia, aveva un debole p e r lui, n o n o s t a n t e la diversità di carattere, o forse p r o p r i o p e r questa. S p r e g i u d i c a t o , g a u d e n t e , libertino e dissipatore, L e o p o l d o gli dava c o n t i n u a m e n t e grosse preoccupazioni n o n soltanto p e r le sue idee liberali, ma anche p e r la sua condotta privata. Dava feste sontuose, passava da u n ' a v v e n t u r a all'altra e si circondava d'intellettuali sospetti alla polizia. Il suo filopiemontesismo veniva attribuito al fatto che aveva sposato u n a Savoia-Carignano, sebbene il m a t r i m o n i o fosse subito n a u f r a g a t o p e r colpa di lui. Ma F e r d i n a n d o , che p e r molto m e n o aveva m a n d a t o in esilio e teneva alla fame l'altro suo fratello, il Principe di C a p u a , a Leopoldo le p e r d o n a v a tutte, perfino le simpatie p e r la causa nazionale, p e r Vittorio E m a n u e l e e p e r la Costituzione. E Leopoldo ne approfittava e abusava p e r fare il progressista m u n a Corte reazionaria. Nel g e n n a i o del '59, m e n t r e C a v o u r stringeva i r a p p o r t i 421
con N a p o l e o n e p e r la conquista del Lombardo-Veneto, Ferd i n a n d o li strinse col Duca di Baviera p e r d a r e u n a moglie a suo figlio Francesco. D o p o d i c h é si mise con tutta la famiglia in viaggio p e r Bari, ad incontrarvi la n u o r a Maria Sofia, sposata p e r p r o c u r a a M o n a c o . Ma nel lasciare il palazzo, racconta Acton, vide d u e frati cappuccini, segno - secondo lui - di cattivo a u g u r i o . L'indomani il m a l t e m p o costrinse la reale c a r o v a n a a fermarsi ad A l i a n o , dove l'unico alloggio disponibile e r a il palazzo del Vescovo, n o t o j e t t a t o r e . Sebbene colto da un accesso di febbre, anzi p r o p r i o p e r questo, il Re volle subito p r o s e g u i r e p e r Foggia. Ma n o n si reggeva in p i e d i , e il s u o volto e r a c a d a v e r i c o . Tuttavia solo a Lecce chiese un medico. Gliene p r o p o s e r o d u e : u n o bravo, ma lib e r a l e ; l'altro s o m a r o , ma c o n s e r v a t o r e . La R e g i n a volle il secondo, che diagnosticò un forte raffreddore. Rassicurato, il Re a n d ò a teatro, un locale gelido e p i e n o di spifferi. Ogni tanto nel suo palco si alzava in piedi, c o m ' e r a solito, p e r tirarsi su le b r a c h e ; e tutti gli spettatori, c r e d e n d o che volesse a n d a r s e n e , lo imitavano. La notte, la febbre riprese accomp a g n a t a da violenti d o l o r i in t u t t o il c o r p o . Ma il Re volle p r o s e g u i r e p e r Bari, dove la sposa e r a in arrivo. E di lì n o n riuscì più a muoversi. Per r i p o r t a r l o a Napoli, dovette venire a prelevarlo u n a nave, da cui sbarcò già mezzo cadavere.' N e s s u n o capì di cosa si t r a t t a v a . II m o r e n t e diceva c h ' e r a stata la lama di Milano ad avvelenarlo, e forse c'era del vero in q u a n t o i sintomi e r a n o di un'infezione streptococcica. I flebotomi n o n facevano in t e m p o a incidergli un ascesso che altri dieci se ne riformavano sul v e n t r e e sulle gambe. Pochi g i o r n i p r i m a della f i n e , r a c c o n t a Acton, F r a n c e s c o e n t r ò nella sua c a m e r a a n n u n z i a n d o : «Papà, h a n n o cacciato zi Popò!» «Quale zi' Popò?» «Zi' Popò di Toscana» (alludeva al G r a n d u c a definitivamente d e f e n e s t r a t o dai patrioti). «Che coglione!» disse il Re. E n t r ò in agonia il giorno in cui a Moiitebello i franco-piemontesi infliggevano agli austriaci la pnsr ma disfatta. C h i a m ò Francesco e gli fece g i u r a r e che avreb* be seguito la sua politica, amico di tutti, nemico di nessuno* 422
senza lasciarsi coinvolgere in q u e l c h e succedeva fuori del R e a m e e che perciò «non lo riguardava». Francesco aveva ventitré anni, e anche fisicamente e r a l'antitesi di suo p a d r e . Il p o p o l i n o lo c h i a m a v a «il figlio della Santa», ma i fratellastri lo a v e v a n o ribattezzato «lasagna» p e r il p a l l o r e d e l suo volto triste e cavallino. S e b b e n e n o n l'avesse conosciuta, e r a vissuto nella v e n e r a z i o n e della mad r e , di cui aveva ereditato la pietà. Le malelingue dicevano che gliel'aveva coltivata, a t t r a v e r s o il confessore, la m a t r i gna, p e r estraniarlo s e m p r e di più dalle cose t e r r e n e fino a farlo r i n u n z i a r e al t r o n o , e m e t t e r c i u n o dei figli suoi. Da certe lettere di lei, p i e n e di tenerezza p e r il figliastro, semb r e r e b b e il contrario. Ma è certo ch'essa tentò di d o m i n a r l o e, rimasta vedova, n o n fece che intrigare c o n t r o di lui. Francesco n o n reagì n e m m e n o q u a n d o il suo Primo Ministro Filangieri gliene p o r t ò le p r o v e . «Era la moglie di mio padre» disse. La cosa che più lo aveva impressionato e r a stata la dissep o l t u r a di Maria Cristina p e r la p r i m a cerimonia della beatificazione. II cadavere intatto e m a n a v a un gradevole profum o , e tutti ci v i d e r o un miracolo, lui p e r p r i m o . Da allora egli schivò i contatti con le d o n n e , nessuna sembrandogli all'altezza di sua m a d r e , e crebbe casto, solitario e sognatore. N o n conosceva Maria Sofia, che fu l'ultima Principessa, nella storia d ' E u r o p a , sposata p e r p r o c u r a . Q u a n d o la vide a Bari, ne r i m a s e fra estatico e intimidito, e ne aveva di che. Era u n a bellissima creatura, fresca, gaia, semplice, n a t u r a l e , e c o n q u e l pizzico di s a t a n i s m o c h e caratterizzava t u t t a la sua famiglia. Bella c o m e lei, la sorella Elisabetta, i m p e r a t r i ce d'Austria, la famosa Sissi, doveva m e t t e r e lo scompiglio nell'austera Corte di Vienna e finire p u g n a l a t a da un anarchico italiano. Suo cugino, Luigi II di Baviera, era destinato alla follia e al suicidio in un lago; il n i p o t e Rodolfo a u n a tragica e misteriosa fine a Mayerling. Per lei, r o m a n t i c a e cresciuta in g r o p p a a un cavallo, 423
quello sposo dall'aria di seminarista fu u n a delusione, che a q u a n t o p a r e diventò a n c o r a p i ù cocente q u a n d o li rinchiusero in camera. De Cesare dice che Francesco, spaventatissim o , si raccolse nelle p r e g h i e r e e c o n t i n u ò a biasciarne fin q u a n d o la sposa n o n fu a d d o r m e n t a t a . D o p o d i c h é si r a n nicchiò in un angolo del letto e d o r m ì a n c h e lui. Poi ci fu il r i t o r n o a Napoli, la l u n g a a g o n i a di F e r d i n a n d o , e infine l'incoronazione del n u o v o Sovrano, che p e r Maria Sofia significò u n a cosa sola: la liberazione dal giogo di Maria Teresa che p r e t e n d e v a c o m a n d a r e a bacchetta anche lei. Ma p e r Francesco il t r o n o era un carico di responsabilità, cui si sentiva del t u t t o i m p a r i . S e b b e n e t u t t o r a abbastanza quieta, a n c h e Napoli e r a rimasta scossa dalle vittorie franc o - p i e m o n t e s i e le aveva salutate c o n e n t u s i a s t i c h e d i m o strazioni davanti alle Ambasciate delle d u e Potenze. Subito il giovane Re si trovò tra l'incudine dell'ambiente reazionario di C o r t e capeggiato dalla m a t r i g n a , che voleva un inas p r i m e n t o del r e g i m e poliziesco, e il m a r t e l l o liberale capeggiato dallo zio L e o p o l d o che fomentava un'alleanza con Vittorio E m a n u e l e p e r togliergli l'esclusiva del m o v i m e n t o patriottico nazionale e arrivare a u n a spartizione della penisola con lui. A questo spingevano l'ambasciatore p i e m o n t e se su o r d i n e di Cavour, e tutto il liberalismo m o d e r a t o locale su o r d i n e di La Farina: e n t r a m b i p e r p r e v e n i r e scoppi rivoluzionari e s b a r r a r e la strada a i m p r e s e garibaldine. Sballottato fra le o p p o s t e pressioni e p r e s e n t e n d o l'emerg e n z a , Francesco c h i a m ò alla testa del g o v e r n o u n u o m o che nella pubblica o p i n i o n e passava p e r un t a u m a t u r g o : Filangieri. Era un vecchio ufficiale m u r a t t i a n o , che si era guad a g n a t o i galloni di G e n e r a l e c o m b a t t e n d o sotto le bandiere di N a p o l e o n e in S p a g n a e Russia, aveva m a n t e n u t o il suo g r a d o nell'esercito borbonico, lo aveva p e r s o p e r la partecip a z i o n e ai moti del 1821, ma poi vi e r a stato r e i n t e g r a t o e aveva offerto i n d u b b i e p r o v e di fedeltà alla C o r o n a r e p r i m e n d o d u r a m e n t e le i n s u r r e z i o n i del ' 4 8 - ' 4 9 in Sicilia, dov'era rimasto L u o g o t e n e n t e p e r sette a n n i . O r a ne aveva 424
settantacinque e dichiarava a tutti che la politica lo disgustava. Viceversa spasimava p e r il p o t e r e , e q u a n d o Francesco glielo diede, lo esercitò in m o d o da far dire alla g e n t e : «Fin o r a a v e v a m o un Re c h e faceva il M i n i s t r o . O r a a b b i a m o un Ministro che fa il Re». I suoi apologeti sostengono che, se avesse p o t u t o fare ciò che voleva, avrebbe salvato il R e g n o dandogli un r e g i m e costituzionale e a v v i a n d o l o sulla via delle r i f o r m e . In r e a l t à egli fece, nei p o c h i mesi in cui rimase in carica, quello c h e volle, m i n a c c i a n d o le dimissioni o g n i volta c h e i n c o n t r a v a q u a l c h e resistenza. Ma quello che volle e r a n o soltanto dei palliativi, e n o n tutti a proposito. C o n un'amnistia consentì il r i t o r n o a centinaia di esuli, che alla causa b o r b o n i c a n o n g i o v a r o n o di certo. Ma il p r o v v e d i m e n t o p i ù g r a v e e cont r o p r o d u c e n t e lo p r e s e licenziando i m e r c e n a r i svizzeri, che costituivano gli unici r e p a r t i fedeli, disciplinati e a g g u e r r i t i dell'esercito n a p o l e t a n o . Il Re n o n voleva, ma Filangieri ne fece u n a q u e s t i o n e di orgoglio nazionale, e l'Ambasciatore p i e m o n t e s e scrisse a C a v o u r : «Senza gli svizzeri, l'esercito n a p o l e t a n o versa in condizioni disastrose». Nelle sue Memorie, il G e n e r a l e dice che ai p r i m i di s e t t e m b r e egli p r e s e n t ò a n c h e un p r o g e t t o di Costituzione, ma che il Re n o n volle n e m m e n o l e g g e r l o p e r c h é aveva g i u r a t o al p a d r e , sul suo letto di m o r t e , che n o n l'avrebbe mai concessa. Ma di q u e sto p r o g e t t o , nulla risulta dai d o c u m e n t i . Poco d o p o Filangieri p r e s e u n l u n g o c o n g e d o a d d u c e n do motivi di salute. In realtà e r a spaventato dal precipitare di u n a situazione in cui n o n voleva restare coinvolto. Il m o to unitario dilagava a chiazza d'olio; Ducati Centrali, Romag n e e Toscana, d o p o a v e r scacciato i l o r o Principi, si p r o nunciavano p e r l'annessione, e Filangieri sentiva che a n c h e il R e a m e sarebbe stato travolto da quell'ondata. Nel m a r z o del '60 rassegnò definitivamente le dimissioni, e il Re lo sostituì col Principe di Cassaro che aveva o t t a n t ' a n n i , il quale n o m i n ò Ministro della G u e r r a il g e n e r a l e W i n s p e a r e , che ne aveva o t t a n t a d u e . 425
Ai p r i m i di aprile, lo zio L e o p o l d o scrisse al n i p o t e u n a lettera che finiva c o n q u e s t a esortazione: «Una sola via rim a n e a salvare il Paese e la dinastia minacciata da grave pericolo: la politica nazionale che, r i p o s a n d o sopra i veri interessi dello Stato, p o r t a n a t u r a l m e n t e l'interesse del R e a m e a collegarsi con quello dell'Italia Superiore». N o n c'è d u b b i o c h e q u e s t a lettera fosse stata s u g g e r i t a da Cavour, con cui L e o p o l d o si t e n e v a in c o n t a t t o : essa r i s p o n d e v a p e r f e t t a m e n t e ai piani del P r i m o Ministro piemontese. Ma il Re n o n fu il solo a leggerla p e r c h é , nel m o m e n t o in cui gliela recapitavano, la ricevevano e la pubblicavano a n c h e i giornali. U n ' a l t r a l e t t e r a g i u n s e subito d o p o a Francesco. Gliela scriveva il «caro cugino» di Torino, Vittorio E m a n u e l e , che avanzava la p r o p o s t a di s p a r t i r e la penisola in d u e p o t e n t i Stati, quello del Sud e quello del N o r d , arricchiti delle spoglie di quello Pontificio che doveva r i d u r s i alla sola R o m a con la sua provincia. Q u e s t a soluzione, diceva Vittorio Eman u e l e , gl'italiani p o t e v a n o a n c o r a accettarla p u r c h é le d u e politiche fossero b e n coordinate e o n e s t a m e n t e seguite. Ma «se p e r m e t t e r à a qualche mese di passare senza p o r r e in atto il mio a m i c h e v o l e s u g g e r i m e n t o , Vostra Maestà sperim e n t e r à forse l'amarezza delle terribili parole: troppo tardi». Era un ultimatum. E in seguito si disse che, accettandolo, Francesco avrebbe salvato il suo R e g n o . Ma queste n o n sono che fantasie. Lo avrebbe p e r s o u g u a l m e n t e , sia p u r e in altro m o d o . L o a v r e b b e p e r s o a n c h e suo p a d r e , t a n t o più risoluto di lui. La notizia dello sbarco di Garibaldi e r a talm e n t e attesa che, q u a n d o arrivò, d o p o essere stata a più rip r e s e diffusa e smentita, provocò a Napoli m e n o sensazione che in tutto il resto d ' E u r o p a .
CAPITOLO
TRENTANOVESIMO
I MILLE
Fra il 3 e il 4 aprile (del '60) u n a rivolta scoppiò a Palermo, capeggiata da un artigiano, Riso. Le forze b o r b o n i c h e n o n p e n a r o n o molto a liquidarla con esecuzioni s o m m a r i e , ma subito d o p o dovettero accorrere in altri p u n t i dell'isola p e r soffocarvi n u o v i focolai. N o n si trattava di u n a vera e p r o pria insurrezione, ma piuttosto di u n a delle solite esplosioni di m a l c o n t e n t o e di protesta, che tuttavia d e t e r m i n ò un'imp o r t a n t e svolta politica. Il m o t o patriottico siciliano aveva s e m p r e conservato u n a colorazione speciale. Grazie alla m a g g i o r e solidità dell'impalcatura feudale, l'aristocrazia, secondata dalla n u o v a borghesia t e r r i e r a , riusciva t u t t o r a a c o n v o g l i a r e l'odio delle masse p o p o l a r i c o n t r o il g o v e r n o b o r b o n i c o , cui e r a n o addebitate tutte le colpe della miseria e dello sfruttamento. Ecco p e r c h é in Sicilia n o n c ' e r a n o mai state reazioni sanfedistiche in favore del t r o n o . Il b a r o n e era riuscito a p e r s u a d e re il c o n t a d i n o che ad affamarlo n o n era lui col suo «gabellotto», ma Napoli col suo fisco. Q u e s t o d e t e r m i n a v a fra loro u n a certa solidarietà e facilitava la partecipazione p o p o l a r e a u n m o v i m e n t o che p e r ò n o n m i r a v a all'unità nazionale, ma a l l ' a u t o n o m i a dell'isola, la q u a l e a v r e b b e consentito al b a r o n e di sfruttare ancora di più il c o n t a d i n o , come s e m p r e era avvenuto. Q u e s t a situazione si rifletteva a n c h e nell'ambiente degli esuli. Quelli che si e r a n o stabiliti a Torino, p e r q u a n t o favorevoli all'annessione al Piemonte, lo e r a n o s e m p r e con la riserva di u n ' a m p i a a u t o n o m i a che salvasse le loro prerogative. Ma il m o t o unitario sviluppatosi fra il '59 e il '60 in tutto 427
il resto d'Italia e culminato con le annessioni di Emilia e Toscana aveva rafforzato il loro filopiemontesismo nella stessa m i s u r a in cui le rivolte c h e si a c c e n d e v a n o nell'isola atten u a v a n o il loro a u t o n o m i s m o . Capivano che da soli n o n sar e b b e r o p i ù riusciti a f r o n t e g g i a r e le c a m p a g n e in s u b b u glio e che solo u n o Stato forte avrebbe p o t u t o g a r a n t i r e i loro privilegi. L'uomo che meglio incarnava questo rivolgimento di opin i o n e era La Farina, già da un pezzo legato a d o p p i o filo a Cavour. Era lui che m a n t e n e v a i contatti coi Comitati siciliani p e r manovrarli in senso m o d e r a t o , cioè p e r fare in m o d o che l'azione rivoluzionaria seguisse i m o d i e gli o r a r i dettati da Torino e soprattutto n o n sfuggisse dalle m a n i delle classi alte e m e d i e . C a v o u r n o n p e n s a v a ad a n n e t t e r e la Sicilia. Pensava soltanto di t e n e r l a in stato di agitazione p e r spav e n t a r e il re Francesco e i n d u r l o ad accettare u n ' a l l e a n z a che in pratica si sarebbe risolta nella subordinazione del suo R e g n o a quello di Vittorio E m a n u e l e . Il giuoco si svolgeva p r e s s a p p o c o su questa linea, q u a n do a turbarlo s o p r a v v e n n e un n u o v o protagonista, Francesco Crispi. Era un avvocato di Ribera, m a t u r a t o nelle cospirazioni, di matrice democratica e repubblicana, esule dal '48 p r i m a a Malta e poi a L o n d r a , d o v e aveva s t r e t t o i n t i m a amicizia con Mazzini. Nel '59 era tornato clandestinamente in Sicilia e vi aveva o r g a n i z z a t o C o m i t a t i r i v o l u z i o n a r i in c o n c o r r e n z a con quelli di La Farina, col quale poi si era incontrato a Torino p e r cercar di c o o r d i n a r e un'azione comun e . Crispi p r o p o n e v a d i scatenare i m m e d i a t a m e n t e un'ins u r r e z i o n e nell'isola che fornisse al P i e m o n t e il p r e t e s t o d'intervenire, e Rattazzi lo spalleggiava. Ma La Farina, che 10 detestava a n c h e p e r motivi di rivalità personale, respinse 11 s u o p i a n o , Rattazzi gli ritirò il suo a p p o g g i o . E Crispi, d'accordo col suo compatriota Rosolino Pilo, decise di rivolgersi a Garibaldi. Questi si trovava allora, tra febbraio e marzo, a Caprera, in p i e n a crisi politica e s e n t i m e n t a l e . Nella c a m p a g n a del428
l'anno p r i m a , alla testa dei suoi raccogliticci «Cacciatori delle Alpi», n o n aveva p o t u t o fare g r a n c h é , e la pace di Villafranca lo aveva sorpreso p r o p r i o nel m o m e n t o in cui si p r e parava a marciare su Venezia. Ma nei mesi successivi gli era capitato a n c h e di peggio: aveva c o n d o t t o all'altare Giusepp i n a R a i m o n d i e, u s c e n d o di chiesa, e r a stato avvertito - n o n si sa b e n e da chi - che la sposa era incinta di un altro u o m o . Giuseppina n o n aveva negato, ed egli l'aveva lì p e r lì r i p u d i a t a d o p o u n a d r a m m a t i c a scena, che si era risaputa in tutta Italia e vi aveva p r o v o c a t o risate e c o r b e l l a t u r e . Per questo si era rifugiato nella sua isola, e di lì rispose a Pilo e a Crispi che nella rivoluzione siciliana n o n ci credeva. Per d i s s i p a r e il suo scetticismo, Pilo p a r t ì c l a n d e s t i n a m e n t e p e r P a l e r m o ad a c c e n d e r v i la scintilla. Ma il m a r e n o n gli p o r t a v a fortuna. Anche quella volta la sua nave perse la rotta, rischiò il naufragio e lo sbarcò a Messina, q u a n do già la scintilla e r a stata scoccata da Riso e soffocata dai g e n d a r m i . I n q u e l m o m e n t o l a notizia e r a già p e r v e n u t a , con le solite maggiorazioni, a Crispi e a Bixio, che corsero a Torino, dove Garibaldi era da poco rientrato. Garibaldi a n d ò a p a r l a r n e al Re p e r a v e r n e quelle «lettere di inarca» c h ' e r a n o s e m p r e la sua ossessione. I d u e u o m i n i s'intendevano b e n e p e r c h é avevano in c o m u n e molte cose. E n t r a m b i a m a v a n o lo sciabolone p i ù d e l l ' o m b r e l l o , le c o n t a d i n o t t e più delle g e n t i l d o n n e , le battaglie più della politica e della diplomazia; e d e n t r a m b i s o p r a t t u t t o d e t e s t a v a n o Cavour. Ma m e n t r e la devozione di Garibaldi e r a sincera e disinteressata, n o n altrettanto lo e r a l'amicizia del Re, che di lui intendeva servirsi p e r le p r o p r i e m a n o v r e alle spalle dei suoi Ministri e c o n t r o di loro. Accorgendosi che n e a n c h e il Generale era convinto dell'impresa, prese t e m p o p e r consultare Cavour e Fanti, che vi si d i c h i a r a r o n o n e t t a m e n t e avversi. E Garibaldi a b b a n d o n ò senza resistenze l'idea p e r c o r r e r dietro a u n ' a l t r a , suggeritagli da un a v v e n t u r i e r o inglese: suscitare u n ' i n s u r r e z i o n e a Nizza, contro la cui cessione aveva frattanto p r o n u n z i a t o alla C a m e r a i suoi famosi discorsi. 429
A t r a t t e n e r l o f u r o n o Medici, Bixio e B e r t a n i , c h e d'acc o r d o con Crispi già p r e p a r a v a n o la spedizione, e p e r fargliene accettare la guida lo sottoposero a un vero e p r o p r i o lavaggio del cervello. Ospite a Q u a r t o di un suo amico che faceva p a r t e della c o n g i u r a , G a r i b a l d i li lasciava fare, ma senza convinzione. Per vincere le sue esitazioni, Crispi d o vette a d d i r i t t u r a falsificare un t e l e g r a m m a dalla Sicilia che d a v a p e r fallita l ' i n s u r r e z i o n e , facendola invece a p p a r i r e trionfante. E r a la fine di a p r i l e , e i v o l o n t a r i affluivano da t u t t e le p a r t i . S e b b e n e lo facessero alla chetichella, la polizia n o n poteva ignorarlo. E il fatto che n o n facesse nulla p e r i m p e dirlo, è stato a d d o t t o da certi storici a r i p r o v a c h e C a v o u r favoriva sotto b a n c o l'impresa. Ma si tratta di un falso. Cavour, sebbene ne fosse informato, n o n e r a in g r a d o di p r e v e n i r e la spedizione p e r c h é , i n d e b o l i t o c o m ' e r a il suo gov e r n o dalla q u e s t i o n e di Nizza e della Savoia, n o n p o t e v a permettersi il lusso di a r r e s t a r e Garibaldi. Ma n o n p e r questo rinunciò a m a n o v r a r e contro di lui accusandolo di essere in c o m b u t t a con Mazzini. Si trattava di u n a scusa p e r c h é sapeva benissimo che fra i d u e u o m i n i la r o t t u r a era insanabile. La vera c o m b u t t a che C a v o u r n o n p e r d o n a v a a Garibaldi e r a quella col Re, della q u a l e sapeva di essere lui il bersaglio. Per sbarrargli la strada, p r o p o s e al g e n e r a l e Ribotti di a n d a r e in Sicilia a d a r e m a n forte ai ribelli con rep a r t i r e g o l a r i camuffati da v o l o n t a r i . Ma il Ministro della G u e r r a Fanti mosse obbiezioni, e Ribotti declinò. Allora Cavour si rivolse a La Farina p e r c h é fermasse Garibaldi, o p e r lo m e n o ne condizionasse i movimenti. I rapp o r t i che ricevette da lui lo r a s s i c u r a r o n o solo a mezzo. Di m a z z i n i a n o e r e p u b b l i c a n o , scriveva il suo fiduciario, in q u e l l ' i m p r e s a n o n c'era n e a n c h e Crispi, il quale aveva accettato il m o t t o di Garibaldi: «Italia e Vittorio Emanuele». Ma p r o p r i o questo c o n f e r m a v a le m e n e del Re, che infatti aveva m a n d a t o a Garibaldi un suo ufficiale d ' o r d i n a n z a per s u b o r n a r l o contro il P r i m o Ministro. Questi ne era talmente 430
e s a s p e r a t o c h e voleva d a r le dimissioni, e se n o n lo fece fu solo p e r c h é c o m p r e s e che u n a crisi in quel m o m e n t o poteva riuscir fatale al Paese. N o n p o t e n d o i m p e d i r e la p a r t e n z a dei volontari, m a n o v r ò in m o d o che partissero a corto di armi e m u n i z i o n i . D o p o d i c h é o r d i n ò all'ammiraglio Persano d'incrociare con la sua s q u a d r a l u n g o le coste della S a r d e gna, e di f e r m a r e lì la spedizione, se vi avesse fatto sosta, ma n o n in alto m a r e . Pochi g i o r n i d o p o scriveva a Ricasoli: «Non d i s c o n o s c o g l ' i n c o n v e n i e n t i della linea m a l definita che seguiamo, ma p u r e n o n saprei segnarne un'altra che n o n ne p r e s e n t i di p i ù gravi e pericolosi». Capiva che si e r a messa in m o t o u n a forza ch'egli poteva, al massimo, controllare; fermare, n o n più. T u t t o infatti si stava svolgendo in un m o d o che sembrava r e c a r e i segni d e l d e s t i n o . Vinte le u l t i m e esitazioni, Garibaldi aveva p r e s o l'abbrivo infilando camicia rossa e poncho, senza lasciarsi scoraggiare dagli ostacoli che gli seminavano p e r strada (ci si mise anche un c o n t r a b b a n d i e r e che dileguò con un carico di 200 carabine). La sera del 5 maggio o r d i n ò a Bixio di a c c o r d a r s i n o n c o n l ' a r m a t o r e R u b a t t i n o , c o m e poi si è s e m p r e d e t t o , ma col suo p r o c u r a t o r e Fauché, p e r un colpo di m a n o su d u e piroscafi della loro flottiglia, il Piemonte e il Lombardo. U n a q u a r a n t i n a di volontari se n'impad r o n i r o n o pacificamente, vi caricarono tutti gli altri, a n d a r o n o a p r e l e v a r e il G e n e r a l e a Q u a r t o , e con lui p r e s e r o il largo. A n c o r a si discute su q u a n t i fossero / Mille, c o m e in seguito v e n n e r o chiamati. Pare che s o m m a s s e r o a 1088 p i ù u n a d o n n a , Rosalia M o n t m a s s o n , moglie di Crispi. Fra di essi c'era d i t u t t o . C ' e r a u n a v v e n t u r o s o giornalista francese, M a x i m e du C a m p , che in seguito doveva rivelarsi scrittore di vaglia e lasciare d e l l ' i m p r e s a u n a icastica testimonianza. C'era un giovinetto pallido e timido, di cui si diceva che fosse un poeta, ma di cui n e s s u n o a n c o r a conosceva i versi: I p polito Nievo. C ' e r a n o d u e figli di p a d r i illustri: Menotti Garibaldi e Giorgio M a n i n . C ' e r a perfino un c a n o n i c o , Bian431
chi, mezzo p r e t e e mezzo soldato. Ed e r a n o vestiti nelle fogge p i ù strane: Crispi in stiffelius, Sirtori in p a l a n d r a n a n e r a e cilindro, altri g r o n d a v a n o di p e n n a c c h i c o m e p e r s o n a g g i di Rubens. Il grosso e r a formato di l o m b a r d i , in prevalenza b e r g a m a s c h i . Q u a n t o a c o n d i z i o n e sociale, e r a la stessa di tutte le i m p r e s e risorgimentali: u n a m a g g i o r a n z a di b o r g h e si intellettuali e u n a m i n o r a n z a di artigiani. Garibaldi, q u a n d o gli fecero la c o n t a , r i m a s e s o r p r e s o . «Eh, q u a n t a gente!...» disse. N o n sapeva a n c o r a dove sarebbe s b a r c a t o né c h e r o t t a a v r e b b e s e g u i t o . Alla fine decise u n a sosta a T a l a m o n e in M a r e m m a , p e r prelevarvi un p o ' di a r m i . Ci trovò qualche diecina di vecchi fucili, tre cannoncini, e u n a colubrina del Seicento. A t e r r a lasciò u n a sessantina di u o m i n i al c o m a n d o di un certo Zambianchi con l'ordine di p e n e t r a r e negli Stati pontifici e accendervi la rivolta. Zambianchi, c h ' e r a un m a r i u o l o , si limitò a saccheggiare alcuni pollai, poi s b a n d ò il suo m a n i p o l o che a scaglioni raggiunse più tardi la Sicilia. Per m o l t o t e m p o si c r e d e t t e e si disse c h e G a r i b a l d i sbarcò a Marsala in seguito ad accordi presi con l'Ambasciatore inglese a Torino, H u d s o n , che gli aveva p r o m e s s o l'appoggio della flotta britannica. E falso. D u e navi britanniche a Marsala effettivamente c ' e r a n o . Ma Garibaldi n o n sapeva di che nazionalità fossero, e scelse q u e l l ' a p p r o d o solo p e r c h é e r a stato avvistato d a vascelli d a g u e r r a b o r b o n i c i che gli s b a r r a v a n o il passo. P e r ò è v e r o c h e le d u e navi inglesi gli fecero da p a r a v e n t o i m p e d e n d o a quelle b o r b o n i c h e di a p r i r e il fuoco su di lui. Solo a sbarco ultimato, i napoletani c a t t u r a r o n o e r i m o r c h i a r o n o il Piemonte e i n c e n d i a r o n o il Lombardo c h e si e r a a r e n a t o . E ora, senza p i ù possibilità di scampo sul m a r e , a Garibaldi n o n restava che u n a scelta: o vincere, o m o r i r e . Gl'inizi n o n f u r o n o p r o m e t t e n t i . L'unico c h e d i e d e u n caldo b e n v e n u t o ai volontari fu il Console inglese. La p o p o lazione si chiuse in casa. E lo stesso vuoto i n c o n t r ò la colonna l'indomani, q u a n d o si mise in marcia. Solo a Salemi Ga432
ribaldi fu accolto c o n e n t u s i a s m o p e r c h é a lui si u n ì u n a b a n d a di «picciuotti» c o m a n d a t a dal b a r o n e S a n t ' A n n a . Se un «pezzo da novanta» c o m e lui si schierava con Garibaldi, voleva dire che su costui c'era da fare assegnamento. Il Generale p e r n o t t ò lì e l'indomani lanciò alcuni proclami in cui si definì « c o m a n d a n t e in capo delle Forze Nazionali in Sicilia» e «Dittatore nel n o m e di Vittorio E m a n u e l e , Re d'Italia». Poi riprese la marcia su Calatafimi, dove gli avevano segnalato la p r e s e n z a di forze borboniche. Il loro s u p r e m o c o m a n d o era affidato al generale L a n d i , che era rimasto s o r p r e s o dalla notizia dello sbarco p e r c h é il g o v e r n o di Napoli, sebbene fosse informato della spedizion e , n o n gliel'aveva s e g n a l a t a . Egli aveva ai suoi o r d i n i 2 5 . 0 0 0 u o m i n i . Ma, p r i m a d i m u o v e r s i col grosso, n e m a n d ò in ricognizione circa 2000 al c o m a n d o del m a g g i o r e Sforza. Il q u a l e , q u a n d o si rese c o n t o delle p o c h e forze di Garibaldi, decise di attaccarlo. Appollaiato su u n a collina, col sigaro in bocca, Garibaldi lo attese o r d i n a n d o ai suoi di n o n s p a r a r e c h e a b r u c i a p e l o . I b o r b o n i c i a v a n z a r o n o su p e r l'erta g r i d a n d o : «Mo' v e n i m m e , m o ' v e n i m m e , straccioni, c a r o g n o n i , malandrini!...» Q u a n d o furono a pochi passi, G a r i b a l d i c o m a n d ò l'assalto alla b a i o n e t t a , e da q u e l m o m e n t o tutto si ridusse a u n a serie di c o r p o a corpo, di cui è impossibile ricostruire il tracciato tattico. Garibaldi n o n p o teva fare altrimenti p e r a n n u l l a r e il vantaggio di cui godeva i l n e m i c o g r a z i e a l suo s u p e r i o r e a r m a m e n t o . L e p e r d i t e p r e s s a p p o c o si bilanciarono: u n a t r e n t i n a di m o r t i e un centinaio di feriti sia da u n a p a r t e che dall'altra. Ma a ritirarsi f u r o n o i b o r b o n i c i , sopraffatti dal m a g g i o r i m p e t o e a r d i m e n t o dei loro avversari. Ed e r a questo c h e contava. A un certo m o m e n t o le cose p e r Garibaldi si e r a n o messe talmente male che perfino l'intrepido Bixio gli aveva consigliato di ritirarsi. «Dove?» aveva gridato il Generale. Sulle petraie circostanti aveva scorto dei «picciuotti», s c h i o p p o in spalla, in attesa dell'esito dello scontro, e aveva capito che si sarebbero schierati col vincitore p e r gettarsi c o m e avvoltoi sul vin433
to. A n c h e se n o n p r o n u n c i ò la famosa frase: «Qui si fa l'Italia o si m u o r e » , c e r t a m e n t e la pensò. E i fatti gli d e t t e r o ragione. Per r i e n t r a r e a Palermo, L a n d i dovette aprirsi a cann o n a t e la strada tra b a n d e di ribelli che gli calavano a d d o s so da tutte le parti e che poi a n d a v a n o a ingrossare le scarse falangi garibaldine. Così, p e r q u a n t o di m o d e s t e dimensioni, la vittoria di Calatafimi sortì effetti decisivi. A N a p o l i p e r s e r o la testa. C o n s u l t a t o d ' u r g e n z a , Filangieri suggerì di togliere il c o m a n d o a L a n d i p e r affidarlo a Lanza. L a n z a conosceva molto meglio la situazione p e r c h é era siciliano, ma aveva a n c h e lui passato la settantina, e p e r m u o v e r s i , obeso c o m ' e r a , aveva b i s o g n o d ' u n a c a r r o z z a . Q u a n d o a r r i v ò a P a l e r m o , G a r i b a l d i già vi si avvicinava a m a r c e forzate. Le s u e t r u p p e e r a n o sfinite e le m u n i z i o n i scarseggiavano, m a l ' e s p e r t o g u e r r i g l i e r o aveva a n c o r a i n serbo le sue astuzie s u d a m e r i c a n e . Q u a n d o s e p p e che contro di lui marciava con 3000 u o m i n i il colonnello Von Mechel che, essendo svizzero, e r a il miglior ufficiale napoletan o , distaccò u n a piccola colonna su Corleone, e Mechel, cred e n d o che fosse il grosso, si gettò al suo i n s e g u i m e n t o perdendosi nell'interno. All'alba del 27 m a g g i o i volontari scesero dal passo di Gibilrossa e investirono la Porta Termini, c h ' e r a la più sguarnita. A s f o n d a r n e le fragili b a r r i c a t e furono Bixio e Nullo. Poco d o p o , a cavallo, giunse Garibaldi col grosso, accolto da c l a m o r o s e ovazioni e dalle c a m p a n e a m a r t e l l o . U n a volta d e n t r o l'abitato, capiva di avere la partita in p u g n o , perché, p e r sloggiarlo a l n e m i c o n o n r e s t a v a c h e b o m b a r d a r e l a città dai suoi forti di C a s t e l l a m m a r e , e il b o m b a r d a m e n t o a v r e b b e p r o v o c a t o la furia p o p o l a r e . E p p u r e , fu p r o p r i o quello che L a n z a fece. I suoi c a n n o n i i m p e r v e r s a r o n o p e r tre giorni, s e m i n a n d o fra i civili oltre 600 inutili vittime. Poi, r e n d e n d o s i egli stesso conto dell'inutilità di quella reazione, invitò Garibaldi a un negoziato a b o r d o di u n a nave inglese ancorata nel p o r t o . Fu firmato un armistizio che doveva scad e r e l'indomani, m a che poi f u p r o r o g a t o d i tre giorni, p 0 1
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di altri tre, al t e r m i n e dei quali Lanza accettò di s g o m b r a r e la città coi suoi ventimila soldati c o n s e g n a n d o l a ai mille garibaldini, dai quali p e r ò pretese in italico stile «gli onori delle armi». M e n t r e sfilava d a v a n t i ai suoi u o m i n i schierati, u n o di questi gli gridò: «Eccelle', g u a r d a t e q u a n t i siamo. E d o b b i a m o s c a p p a r e accussì?» «Statti zitto, 'mbriacone!» rispose l'Eccellenza. Q u a n d o arrivò a Napoli, il Re gli proibì di sbarcare e lo confinò a Ischia in attesa di un processo davanti al t r i b u n a l e di g u e r r a , che n o n fece in t e m p o a celebrarsi. E il vecchio G e n e r a l e si consolò risposandosi. O r a p e r ò , liberata mezza Sicilia, bisognava cominciare a governarla. E a questo, Garibaldi n o n e r a p r e p a r a t o . La rivoluzione ch'egli ci aveva in p a r t e trovato e p i ù a n c o r a suscitato, n o n e r a quella ch'egli si aspettava. Essa n o n aveva nulla, o quasi nulla, di patriottico e nazionale. Le sue vere c o m p o n e n t i e r a n o l'odio p e r i n a p o l e t a n i , l'aspirazione all'autonomia e la fame di t e r r a del g r a n d e proletariato agrario. In t u t t a l'isola i m p e r v e r s a v a u n a s a n g u i n o s a jacquerie. Dopo aver linciato alla spicciolata i presidi borbonici, i contadini c o m i n c i a r o n o ad avventarsi sui «galantuomini», cioè sui p r o p r i e t a r i . E così, nella improvvisa dissoluzione dello Stato, e nella carenza di forze dell'ordine che potessero farvi argine, la questione sociale si mescolava e s o v r a p p o n e v a a quella politica. Poco allenato ad affrontare e risolvere questi p r o b l e m i , Garibaldi li d i e d e in a p p a l t o a Crispi c h e , c o n la carica di S e g r e t a r i o di Stato, costituì un g o v e r n o provvisorio. Ma a questo p u n t o t o r n ò in scena Cavour. Preso di c o n t r o p i e d e dal folgorante successo della spedizione, ch'egli aveva definito «una scappata», C a v o u r voleva ora a p p r o p r i a r s e n e i n d i c e n d o i m m e d i a t a m e n t e in Sicilia un plebiscito c h e sancisse la sua a n n e s s i o n e al P i e m o n t e . Sul piano diplomatico, l'aveva già p r e p a r a t a : gl'inglesi vi si m o stravano favorevoli; e q u a n t o a N a p o l e o n e , questi aveva fatto c a p i r e che a v r e b b e p r o t e s t a t o solo f o r m a l m e n t e , d a n d o o r d i n e alla s t a m p a di «non d i r e t r o p p o male di Garibaldi». 435
S p e d ì q u i n d i a P a l e r m o il solito La F a r i n a col c o m p i t o di p r e p a r a r e l'operazione, che tuttavia si rivelò subito più difficile del p r e v i s t o . G a r i b a l d i r i b a d ì la sua fedeltà al m o t t o lanciato al m o m e n t o dello sbarco: «Italia e Vittorio E m a n u e le». Ma n o n si mostrò p u n t o disposto a r i n u n c i a r e alla dittat u r a sull'isola, di cui voleva fare u n a base di operazioni p e r successive spedizioni su Napoli e sugli Stati pontifici, come Crispi gli suggeriva. Il dissidio scoppiò subito, a n c h e p e r c h é La Farina era la p e r s o n a m e n o a d a t t a a s m u s s a r l o . L i n g u a c c i u t o , vanaglorioso e autoritario, trattava tutti da subalterni; e Crispi, autoritario q u a n t o lui, n o n e r a u o m o da sopportarlo. Fra i d u e d i v a m p ò u n a lotta alla siciliana, cioè senza esclusione di colpi. La Farina fondò un giornale, il cui p r o g r a m m a e r a già nel titolo, Eannessione. E tale fu la c a m p a g n a lanciata contro il suo avversario, che questi fu costretto a dimettersi. Ma il v e r o motivo p e r cui le tesi annessionistiche p r e n d e v a n o il sopravvento e r a che i «galantuomini», n o n sentendosi abbastanza p r o t e t t i dalle deboli forze di G a r i b a l d i , si stavano c o n v e r t e n d o in massa alla causa del P i e m o n t e . Il giuoco p e r ò restava a p e r t o , e lo si vide il 7 luglio q u a n d o d'improvviso il Giornale officiale di P a l e r m o a n n u n z i ò l'arresto e l'espulsione di La Farina e di d u e còrsi, definiti «di coloro che trovano m o d o di arruolarsi negli uffici di tutte le polizie del continente». Lo schiaffo, oltre che a La Farina, era a Cavour, il quale tuttavia dovette incassarlo e piegarsi alla volontà di Garibal-. di che gl'ingiungeva di m a n d a r e , c o m e suo fiduciario, Depretis. Cavour disistimava p r o f o n d a m e n t e questo avvocato di Stradella un po' p e r le sue origini mazziniane, un po' perché lo considerava un m a n e g g i o n e disposto a qualsiasi comp r o m e s s o . Ma forse p r o p r i o p e r questo, cioè p e r dominarlo, Crispi lo aveva suggerito a Garibaldi c o m e prodittatore. E infatti la p r i m a condizione che gl'impose e gli fece accettare fu di n o n p a r l a r e di annessione fin q u a n d o il Generale n o n la decidesse. 436
Il G e n e r a l e n o n la decideva p e r c h é , intenzionato a portare avanti la sua impresa, più che mai aveva bisogno della Sicilia. Nel f r a t t e m p o i suoi Mille si e r a n o moltiplicati: n o n già grazie al concorso dei siciliani che fu piuttosto scarso n o n o s t a n t e il b a n d o di coscrizione, ma p e r l'arrivo di sostanziosi rinforzi dal continente, al c o m a n d o di Medici. Fu p r o prio Medici a investire l'ultimo caposaldo borbonico, Milazzo, e fu la battaglia p i ù s a n g u i n o s a fra quelle c o m b a t t u t e nell'isola. Un migliaio di u o m i n i r i m a s e r o sul t e r r e n o . Ma come al solito, sebbene avessero subito le maggiori p e r d i t e , furono i garibaldini a r e s t a r n e p a d r o n i . Da quel m o m e n t o , Garibaldi n o n e b b e p i ù di fronte a sé che un ostacolo: lo Stretto di Messina. Atterrito dalla prospettiva che riuscisse ad attraversarlo, C a v o u r scrisse a P e r s a n o , c h e incrociava con la sua flotta nelle acque siciliane: «Conviene i m p e d i r e ad ogni costo che Garibaldi passi sul c o n t i n e n t e da un lato, e dall'altro p r o m u o v e r e un m o t o in Napoli. Se questo ha esito felice, si p r o clamerebbe senza i n d u g i o il g o v e r n o di Vittorio E m a n u e l e . Questo a c c a d e n d o , dovrà i m m e d i a t a m e n t e p a r t i r e con tutta la s q u a d r a p e r Napoli». E r a l'ultima carta che gli restava da g i u o c a r e d o p o aver tentato e perso tutte le altre. Grazie all'aiuto della diplomazia francese, era riuscito a i n d u r r e re Francesco a c o n c e d e r e la C o s t i t u z i o n e e a f o r m a r e un g o v e r n o di m o d e r a t i , che sperava di legare al suo c a r r o p e r il tramite del Conte di Siìacusa. R i m a n d ò a Napoli a n c h e tutti gli esuli p e r c h é collaborassero a questo fine. Ma era u n ' o p e r a z i o n e a lunga portata, e q u i n d i d i s a d a t t a all'incalzante r i t m o degli eventi. N o n restava d u n q u e che u n m o t o rivoluzionario che, sbalzando dal t r o n o i B o r b o n e e p r o c l a m a n d o l'annessione, tagliasse la strada (e le gambe) a Garibaldi. Ma n e a n c h e il m o to scoppiò p e r c h é i m o d e r a t i , che avrebbero d o v u t o p r o v o carlo, volevano l ' a n n e s s i o n e a p p u n t o p e r i m p e d i r e i moti da cui si sentivano essi stessi minacciati. C h e potesse riuscire a fermare Garibaldi, n o n c'era che il Re, ritirandogli le «let437
tere di marca». E fu a p p u n t o al Re che Cavour si rivolse suggerendogli di scrivere al Generale. La lettera fu recata al destinatario da un aiutante di campo di Vittorio E m a n u e l e , Litta Modignani. Diceva: «La consiglio di r i n u n z i a r e all'idea di p a s s a r e colla sua valorosa t r u p p a sul continente n a p o l e t a n o , p u r c h é il Re di Napoli si i m p e g n i a s g o m b r a r e tutta l'isola e lasciare liberi i siciliani di deliberare e d i s p o r r e delle loro sorti... Generale, p o n d e r i il mio consiglio e v e d r à che è utile all'Italia...» Ma Garibaldi rispose, sia p u r e o s s e q u i o s a m e n t e , con un rifiuto: «L'Italia mi chiederebbe conto della mia passività, e c r e d o che ne deriverebbe i m m e n s o d a n n o . Al t e r m i n e della mia missione, 10 d e p o r r ò ai piedi di Vostra Maestà l'autorità che le circostanze mi h a n n o conferito e sarò b e n fortunato d'ubbidirla p e r il resto della mia vita». Così la Storia avallò la versione che Garibaldi attraversò lo Stretto c o n t r o la volontà del Re che cercava d'impedirglielo, come lo stesso Generale d'allora in poi n o n p e r s e occasione di confermare. Ma nel 1909 fu scoperto nell'archivio di Litta e pubblicato un biglietto autografo di Vittorio E m a n u e l e , che diceva: «Ora, d o p o aver scritto da Re, Vittorio E m a n u e l e le suggerisce di r i s p o n d e r e presso a poco in questo senso. Dire che 11 Generale è p i e n o di devozione e riverenza pel Re, che vorr e b b e p o t e r seguire i suoi consigli, ma che i suoi doveri verso l'Italia n o n li p e r m e t t o n o di i m p e g n a r s i a n o n soccorrere i n a p o l e t a n i q u a n d o questi facessero appello al suo braccio p e r liberarli da un G o v e r n o nel quale gli u o m i n i leali ed i b u o n i Italiani n o n possono avere fiducia. N o n p o t e r e d u n q u e a d e r i r e ai d e s i d e r i d e l Re v o l e n d o s i r i s e r v a r e t u t t a la sua libertà d'azione». Su q u e s t o «giallo», n o n si è a n c o r a smesso di discutere. Q u a l c u n o dice che a n c h e quel biglietto fu scritto d'accordo con Cavour, ma questa ipotesi ci sembra da scartare senz'alt r o p e r c h é in n e t t o c o n t r a s t o con t u t t a l'azione svolta dal P r i m o Ministro e d o c u m e n t a t a a n c h e nei suoi carteggi privati; m e n t r e l'ipotesi o p p o s t a è p e r f e t t a m e n t e in t o n o col 438
c a r a t t e r e del Re e con la sua p r o p e n s i o n e all'intrigo. Resta da s a p e r e se quel biglietto Garibaldi lo lesse, p e r c h é fu trovato col sigillo intatto. Forse Litta glien'espose a voce il cont e n u t o . Forse n o n fece n e m m e n o q u e s t o , c o n s i d e r a n d o l o superfluo, vista la decisione del G e n e r a l e ad a n d a r e avanti ad ogni costo. Ma questa decisione attingeva c e r t a m e n t e alla consapevolezza che il Re e r a sostanzialmente d ' a c c o r d o : fra i d u e u o m i n i , decisi ad o p e r a r e alle spalle di C a v o u r e c o n t r o di lui, c'era tutto un viavai d'intermediari. «Non aiuti il passaggio di Garibaldi sul c o n t i n e n t e ; anzi v e d a di r i t a r d a r l o p e r via i n d i r e t t a il p i ù possibile» aveva scritto C a v o u r a Persano. «Per via indiretta» significava lasciare che le navi b o r b o n i c h e incrociassero l u n g o lo Stretto, e P e r s a n o si g u a r d ò dal d i s t u r b a r l e . Ma nella n o t t e dell'8 agosto un p r i m o scaglione di 200 garibaldini riuscì a eludere la loro g u a r d i a e sbarcare sulla costa calabra. D u e giorni d o p o , Garibaldi lo r a g g i u n s e col grosso p a r t e n d o da Taormina, e n o n si s a p r à mai c o m e fecero i n a p o l e t a n i a n o n accorgersene. A questo e n n e s i m o successo, C a v o u r si arrese. «Se d o m a ni entrassi in lotta con Garibaldi - scrisse a Nigra, suo Ambasciatore a Parigi -, è probabile che avrei dalla mia la m a g gioranza dei vecchi diplomatici, ma l'opinione pubblica eur o p e a sarebbe c o n t r o di m e , e con p i e n a ragione p e r c h é Garibaldi h a r e s o all'Italia i p i ù g r a n d i servigi c h e u n u o m o potesse r e n d e r l e : ha d a t o agl'italiani fiducia in se stessi e ha dimostrato a l l ' E u r o p a ch'essi s a n n o battersi e m o r i r e p e r riconquistarsi u n a patria.» Parole d i u n g r a n d e s i g n o r e che sapeva riconoscere i meriti dell'avversario, ma a n c h e di un g r a n d e politico p r o n t o ad accettare la realtà, a n c h e se sgradevole, e ad adeguarvisi. Da quel m o m e n t o egli n o n p e n s ò più a boicottare l'impresa, ma solo a controllarne gli sviluppi in m o d o c h e n o n p r o v o c a s s e r o un caos, c h e a sua volta poteva p r o v o c a r e u n i n t e r v e n t o straniero. Fra i pericoli c h e si profilavano c'era quello di B e r t a n i , c h ' e r a riuscito a m o b i l i t a r e quasi 10.000 u o m i n i p e r u n a 439
s p e d i z i o n e c o n t r o gli Stati pontifici. Q u e s t a iniziativa e r a l'incubo di Cavour: p r i m a di tutto p e r c h é si svolgeva sotto il s e g n o del Partito d'Azione, s e c o n d o p e r c h é s a r e b b e stata c o n s i d e r a t a p r o v o c a t o r i a d a N a p o l e o n e , l e cui t r u p p e seg u i t a v a n o a p r e s i d i a r e R o m a e se ne p o r t a v a n o g a r a n t i . Molto a b i l m e n t e egli p e r s u a s e B e r t a n i a t r a s p o r t a r e i suoi u o m i n i in Sicilia col pretesto che p a r t e n d o di lì l'attacco n o n a v r e b b e c o m p r o m e s s o il g o v e r n o . Poi le cose si svolsero in m o d o che solo u n a p a r t e delle t r u p p e s'imbarcarono e, u n a volta a r r i v a t e a P a l e r m o , r i m a s e r o al s e g u i t o di G a r i b a l d i che le fece t r a g h e t t a r e in Calabria. O r a il Generale disponeva di un vero e p r o p r i o esercito, che stava p a s s a n d o di vittoria in vittoria. Alla fine di agosto aveva già occupato C a t a n z a r o e Cosenza. Il 6 s e t t e m b r e era a S a l e r n o , d o v e lo r a g g i u n s e un messaggio indirizzato «all'invincibile G e n e r a l e Garibaldi, Dittatore delle D u e Sicilie». Glielo spediva il M i n i s t r o d e g l ' I n t e r n i Liborio R o m a n o , e c o n t e n e v a l'invito d i p r o s e g u i r e p e r N a p o l i , a n c h e senza scorta, e p r e n d e r n e pacifico possesso. Poche ore p r i m a , re Francesco aveva lasciato la città. Tutti lo avevano a b b a n d o n a t o , a cominciare da suo zio. Liborio R o m a n o , p r i m a a n c o r a di telegrafare a Garibaldi, gli aveva m a n d a t o c o m e suo fiduciario Alessandro D u m a s , che si trovava a Napoli col suo c o m a n d a t o d a u n a «lolita» vestita da ammiraglio. Avventuroso e a v v e n t u r i e r o , lo scrittore francese e r a un vecchio amico di Garibaldi, in cui riconosceva un p e r s o n a g g i o in t u t t o d e g n o d e i suoi r o m a n z i , e n o n si sbagliava. D o n Liborio lo aveva incaricato di d i r e al. G e n e r a l e che si teneva a sua disposizione p e r sventare i piani degli alleati di C a v o u r che volevano impedirgli di diventare Dittatore c o m e lo e r a stato a Palermo. E D u m a s era felice di ficcar le m a n i in quell'intrigo, a n c h e quello d e g n o dei suoi r o m a n z i . S e n t e n d o d o v u n q u e puzzo dì t r a d i m e n t o , Francesco era a n d a t o a n c o r a u n a volta a sollecitare Filangieri. Il vecchio u o m o era a letto fingendo la solita malattia, o a l m e n o esage?
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r a n d o l a , c o m e alibi della sua renitenza. Il g e n e r a l e Pianell, Ministro della G u e r r a , d o p o avere i n v a n o consigliato u n a battaglia campale, d i e d e le dimissioni e partì p e r la Francia, d o n d e r i e n t r ò d o p o sei mesi p e r r i p r e n d e r e i suoi g r a d i nell'esercito di Vittorio E m a n u e l e . Tutti si «allineavano». Francesco e Maria Sofìa p a r t i r o n o che già gli scalpellini stavano scancellando dai frontoni gli stemmi reali. A salutare la c o p p i a c ' e r a n o soltanto, in ginocchio e l a c r i m e , i d o mestici. E)ei cortigiani, n o n e r a rimasto che il Marchese I m periali, e il Re ne fu così c o m m o s s o c h e gli conferì su d u e piedi l ' O r d i n e di S. F e r d i n a n d o , la più alta onorificenza del R e g n o . Sulle c a r r o z z e i d u e Sovrani n o n a v e v a n o caricato che gli «effetti personali» e q u a l c h e piccolo o g g e t t o d'affezióne. N o n solo le collezioni d'arte e l'argenteria, ma anche il conto in banca del Re - undici milioni di ducati - fu lasciato a disposizione dei successori. Arrivato a Gaeta, Francesco fece il conto dei suoi soldati. E r a n o 5 0 . 0 0 0 e b e n e a r m a t i . I n q u e l m o m e n t o Garibaldi, che aveva p e r c o r s o in t r e n o l'ultimo tratto del viaggio, sbarcava alla stazione di Napoli con Cosenz, Bertani e u n a dozzina di legionari. N o n contò i napoletani che si accalcavano nelle s t r a d e e nelle piazze p e r v e d e r l o . Ma e r a n o c i n q u e centomila.
CAPITOLO QUARANTESIMO
TEANO
C o m e tutti i conquistatori di Napoli che lo avevano preced u t o , Garibaldi a n d ò subito a r e n d e r e omaggio a San Genn a r o e assistette in cattedrale a un Te Deum celebrato da un frate Pantaleo imbrancatosi in Sicilia coi Mille, che esaltò il messaggio d ' a m o r e d i Cristo p a l p a n d o s i u n p i s t o l o n e che portava alla cintura. L'indomani, 8 settembre, era la festa di Piedigrotta, e il G e n e r a l e a n d ò a inginocchiarsi nel santuario della M a d o n n a che ne p o r t a il n o m e , come s e m p r e avevano fatto i B o r b o n e . Poi lo p o r t a r o n o al t e a t r o San Carlo, dove lanciò da un palco il grido: «Viva Vittorio Emanuele!» I Mille, diventati nel frattempo più di ventimila, stavano affluendo p e r p r o s e g u i l e verso il Volturno, dove i cinquantamila di Francesco si p r e p a r a v a n o alla resistenza e alla controffensiva. La p r i m a misura presa da Garibaldi fu l'ordine alla flotta n a p o l e t a n a d ' i n t e g r a r s i con quella p i e m o n t e s e c o m a n d a t a da Persano, e fu da questa fusione che n a c q u e la Marina italiana. Il Generale volle offrire u n a prova di lealtà al Re nella speranza che questi la reciprocasse sostenendolo nella sua lotta contro Cavour. D o p o d i c h é formò un governo, composto in m a g g i o r a n z a di m o d e r a t i già g u a d a g n a t i alla causa p i e m o n t e s e , ma affidandone la Segreteria a Bertani con gli stessi compiti e p o t e r i di cui Crispi era investito a Palermo. E infine spedì d u e fiduciari a Vittorio E m a n u e l e con d u e lettere. In u n a gli chiedeva di m a n d a r g l i come p r o d i t t a t o r e Pallavicino. La s e c o n d a diceva: «Vostra Maestà sa con che affetto io ami l'Italia e Vittorio E m a n u e l e , q u i n d i mi farei un delitto di c h i e d e r l e cose che n o n fossero nell'interesse 442
suo e del mio Paese e di s c e n d e r e a miserabili personalità. Io tacqui sino a q u e s t o m o m e n t o t u t t e le t u r p i c o n t r a r i e t à da me sofferte da Cavour, Farini ecc., oggi p e r ò che ci avviciniamo allo sviluppo del g r a n d r a m m a italiano, io devo imp l o r a r e dalla Maestà Vostra p e r il b e n e della Santa C a u s a ch'io servo, lo allontanar lento di quelli individui». Il Re u n a volta aveva detto che avrebbe preferito Garibaldi a C a v o u r a n c h e c o m e Primo Ministro, e Garibaldi lo sapeva. Ma ignorava che il Re «diceva tutto quello che gli passava p e r la testa» - s o n o p a r o l e di N a p o l e o n e - s e c o n d o gli u m o r i d e l m o m e n t o e l'interlocutore che aveva di fronte. E soprattutt o ignorava che C a v o u r n o n e r a u o m o d a potersi liquidare con u n a lettera. C o m e se la presentisse, tre giorni p r i m a che questa arrivasse a destinazione, il Primo Ministro e r a a n d a t o con Farini dal Re a dirgli che, se voleva cambiare Ministero p e r compiacere Garibaldi, lo facesse p u r e , ma p r i m a che il contrasto fosse reso di pubblica ragione; e il Re, messo con le spalle al m u r o , aveva d o v u t o r i s p o n d e r e che n o n ci pensava n e m m e no. Mentiva. Ma Cavour aveva posto l'alternativa p a r t e n d o da u n a posizione di forza che toglieva a Vittorio E m a n u e l e ogni a r m a di m a n o . D o p o lo sbarco di Garibaldi in Calabria, aveva r i n u n z i a t o alla vecchia idea di p r e v e n i r e la sua conquista p r o v o c a n d o un colpo di Stato a Napoli che conducesse al p o t e r e dei m o d e r a t i in g r a d o di d e c r e t a r e l'annessione p r i m a del suo arrivo. E aveva posto m a n o a un altro piano: battere Garibaldi sul t e m p o , m a n d a n d o l'esercito p i e m o n t e se in suo «soccorso», in realtà a fermarlo, p r i m a che potesse i n t r a p r e n d e r e la m a r c i a sugli Stati pontifici e passare così, davanti alla pubblica opinione, c o m e il vero artefice e protagonista della unificazione nazionale. Fu q u e s t o l ' a r g o m e n t o con cui c o n v i n s e N a p o l e o n e a consentirgli d ' i n v a d e r e e di a n n e t t e r e le M a r c h e e l'Umbria, s t r a p p a n d o l e al Papa, di cui l ' I m p e r a t o r e si atteggiava ancora a p r o t e t t o r e . «E t r o p p o tardi» gli disse, o meglio gli fece d i r e da Cialdini e Fanti, m a n d a t i a recargli il messaggio 443
«per i m p e d i r e a Garibaldi d'arrivare a Napoli e farsi proclam a r e Dittatore. N o n si p u ò più combatterlo su questo terren o . Bisogna fermarlo n e l l ' U m b r i a e nelle M a r c h e se n o n si vuole che il processo unitario sfugga alle m a n i e al controllo del Re e si trasformi in un m o v i m e n t o rivoluzionario capace di a p p i c c a r e il fuoco a tutta E u r o p a . F a r e m o s c o p p i a r e in queste p r o v i n c e u n ' i n s u r r e z i o n e che ci dia il p r e t e s t o d'intervenire e di gettare in m a r e Lamoricière, p u r p r o c l a m a n do tuttavia l'inviolabilità di Roma.» C o m e s e m p r e , C a v o u r aveva toccato i tasti giusti. N a p o leone detestava il generale Lamoricière, vecchio arnese del reazionarismo, che a p p u n t o p e r questo aveva preferito mettersi al servizio del P a p a . N o n si sa se alla richiesta di Cav o u r abbia v e r a m e n t e risposto: «Fate, ma fate presto». Q u e sto fu ad ogni m o d o il senso delle sue parole. Ed era con tale viatico che Cavour si era p r e s e n t a t o al Re, m e t t e n d o l o alla scelta fra lui e Garibaldi, cioè togliendogli la possibilità di scegliere. Q u a n d o la lettera del Generale arrivò, il Re rispose a volta di c o r r i e r e : « C a i o G e n e r a l e , v e n g o di ricevere Trecchi e Brambilla e di l e g g e r e le sue lettere. Il p r o g e t t o del Ministero è impossibile e c o n t r a r i o al b e n e della causa c o m u n e , così p u r e dico della sua spedizione sopra Roma», e di questa missiva m a n d ò copia a Cavour. In quel m o m e n t o Fanti e Cialdini, alla testa di 30.000 uomini, e r a n o già p e n e t r a t i negli Stati pontifici. Solo prò forma, Cavour aveva fatto p r e c e d e r e l'invasione da un ultimatum ad Antonelli che p o r t a v a la d a t a del 7 s e t t e m b r e , ma in realtà e r a stato s p e d i t o IT 1, con l'inaccettabile i n g i u n z i o n e di licenziare le milizie straniere, unico presidio di quello Stato. C a v o u r si sentiva abbastanza garantito dagli aperti incoraggiamenti dell'Inghilterra e dal tacito assenso di Napoleone, c h e solo p e r finta p r o t e s t ò . La c a m p a g n a d u r ò in tutto diciotto giorni e fu risolta p r a t i c a m e n t e da u n a sola battaglia, a Castelfidardo, dove le t r u p p e di Cialdini b a t t e r o n o quelle di Lamoricière. Così l'iniziativa tornava nelle m a n i dei piemontesi e dei m o d e r a t i . 444
Il contraccolpo a Napoli fu i m m e d i a t o . Stizzito dalla risposta del Re, Garibaldi fece pubblicare sui giornali u n a sua lettera a un amico di Genova: «Voi mi assicurate che Cavour dia ad i n t e n d e r e d ' e s s e r e d ' a c c o r d o c o n me e a m i c o m i o . Posso assicurarvi che, disposto come sono stato s e m p r e a sacrificare sull'altare della patria q u a l u n q u e risentimento personale, n o n p o t r ò riconciliarmi mai con u o m i n i che h a n n o umiliato la dignità nazionale e v e n d u t a u n a provincia italiana». Fu u n a mossa malaccorta che gli attirò le critiche di tutta la s t a m p a m o d e r a t a , c h ' e r a i q u a t t r o quinti della s t a m p a nazionale, e mise in difficoltà i suoi amici del Parlamento di T o r i n o p r o p r i o q u a n d o C a v o u r stava p e r r i p r e s e n t a r v i s i con quel vistoso successo in tasca. Il G e n e r a l e si trovava nell'occhio di un ciclone che metteva a d u r a p r o v a le sue scarse qualità politiche. A Palermo, Depretis stava attivamente lavorando p e r affrettare l'annessione, e Garibaldi gli aveva dato il suo consenso. Ma Bertani, che su di lui esercitava u n a forte influenza, lo p e r s u a s e che, r i n u n c i a n d o alla Dittatura in Sicilia, avrebbe d o v u t o rinunciarvi a n c h e a Napoli, e lo indusse a far macchina indietro. I suoi c o n t r a d d i t t o r i o r d i n i si t r a d u s s e r o in un a s p r o conflitto fra Depretis e Crispi, che si concluse con le dimissioni di Depretis. Il Generale n o m i n ò al suo posto Mordini, corse a Palermo, riaffermò in un pubblico discorso la sua int e n z i o n e di m a r c i a r e su R o m a , e r i e n t r ò a N a p o l i d o v e si profilava lo stesso p r o b l e m a . Spaventati dal dilagare del brigantaggio e a n c h e dal pericolo di u n a controffensiva dell'esercito borbonico, quasi tutti i Ministri volevano l'annessione, e a spalleggiarli c'era lo stesso p r o d i t t a t o r e che Garibaldi aveva chiesto: Pallavicino. Ma Bertani, che vi si o p p o n e v a r e c i s a m e n t e , e r a a sua volta s o s t e n u t o dai p i ù a u t o r e v o l i e s p o n e n t i del Partito d'Azione accorsi in q u e i giorni a Napoli da ogni p a r t e d'Italia. C ' e r a n o Saffi e Saliceti. C ' e r a n o i d u e santoni del federalismo, F e r r a r i e C a t t a n e o , quest'ultimo invitato dallo stesso Garibaldi c o m e c o n s u l e n t e . C'era Jessie White, la suffragetta inglese che, a furia di bazzicare i 445
rivoluzionari italiani, ne aveva sposato u n o , Alberto Mario, p r e s e n t e anche lui. C'era, r e d u c e dalla galera, Nicotera. E il 19 era giunto lo stesso Mazzini. Cavour, q u a n d o lo seppe, disse subito al Re che lo aveva c h i a m a t o Garibaldi p e r fare la Repubblica. In realtà i d u e n o n e b b e r o c h e u n p a i o d i colloqui, a l t e r m i n e dei quali Mazzini scrisse alla sua amica V e n t u r i : «La debolezza di q u e l l ' u o m o ha del favoloso». E alla Ashurst: «Le cose v a n n o come peggio n o n p o t r e b b e r o . Garibaldi, d o p o molti o n d e g giamenti e passi verso di noi, ha c e d u t o al Re e ai m o d e r a t i di qui. N o n a n d i a m o a R o m a ; n o n a n d i a m o a Venezia. Avremo i piemontesi, l'immediata annessione, faremo tutto ciò c h e il Re e C a v o u r o r d i n e r a n n o , m a n d a n d o al t e m p o stesso m a l e d i z i o n i ai Ministri scellerati e al Re vassallo dello straniero. A n c h e B e r t a n i sta p e r essere sacrificato da lui ai moderati». Q u e s t o n o n e r a v e r o p e r c h é anzi p r o p r i o i n q u e l m o m e n t o B e r t a n i aveva a s s u n t o m a g g i o r i p o t e r i e d e r a stato affiancato da Crispi. E n t r a m b i p e r s u a s e r o Garibaldi a insistere presso il Re p e r c h é si sbarazzasse di Cavour, ed ebbero un a p p o g g i o orale da p a r t e di Rattazzi. Il G e n e r a l e scrisse un'altra lettera a Vittorio E m a n u e l e , di cui n o n si conosce il c o n t e n u t o p e r c h é n o n è stata p i ù rintracciata, m a s e m b r a che contenesse la sua rinuncia alla spedizione su R o m a p u r ché il Primo Ministro venisse licenziato, e l'affidò a Pallavicino p e r c h é la recasse al destinatario. Il Re, abilmente montato da C a v o u r c o n t r o il p r e t e s o a c c o r d o Garibaldi-Mazzini, se la mise in tasca senza leggerla e rispose b r u s c a m e n t e al m e s s a g g e r o : «Faccia subito l'annessione, o si ritiri». Subito d o p o p a r t ì p e r A n c o n a p e r mettersi alla testa delle t r u p p e in marcia sul Volturno. Il popolino n a p o l e t a n o , il quale aveva intuito la lotta che si svolgeva dietro le quinte e da che p a r t e p e n d e v a la bilancia, e n t r ò in scena facendo dimostrazioni in favore di Vittorio E m a n u e l e e dell'annessione, in u n a delle quali a n d ò a fischiare Mazzini sotto le sue finestre. Altrettanti fischi furono 446
lanciati c o n t r o D u m a s , che in c o m p e n s o dei suoi servigi era diventato S o v r i n t e n d e n t e alle Belle Arti e aveva o t t e n u t o la direzione di un giornale. E questi e r a n o fischi anche contro Garibaldi, suo p r o t e t t o r e . Il v e n t o aveva cambiato direzione. Nel mito p o p o l a r e l'Eroe era diventato «il ribelle», e Cav o u r ne p r e n d e v a atto con soddisfazione in u n a lettera a Nigra: «L'immensa m a g g i o r a n z a della p o p o l a z i o n e è con noi: l ' a p e r t u r a d e l P a r l a m e n t o lo p r o v e r à . G i a n d u i a è furioso c o n t r o Garibaldi. Se ce ne fosse bisogno, la G u a r d i a Nazionale di Torino m a r c e r e b b e c o n t r o di lui. I soldati di Fanti e di Cialdini n o n d o m a n d a n o di meglio c h e di sbarazzare il Paese dalle camicie rosse. Il Re è deciso a farla finita, e io stesso n o n esiterei». G a r i b a l d i e r a d u n q u e alla scelta: o l ' a n n e s s i o n e , c h e lo avrebbe privato di tutti i poteri, o l'insubordinazione p e r il p r o s e g u i m e n t o di u n a g u e r r a di p o p o l o fino a R o m a contro la Francia e a Venezia contro l'Austria, c o m e suggeriva Mazzini. Sebbene sprovvisto di senso politico, doveva capire che qui e r a n o in giuoco d u e diverse soluzioni del p r o b l e m a nazionale italiano; ma il b u o n senso gli suggeriva che la seconda, democratica e rivoluzionaria, aveva - checché ne dicano gli storici di quell'estrazione ideologica - b e n p o c h e p r o b a bilità di successo, anzi p u n t e . A fargliela scartare forse influì a n c h e la situazione militar e , c h e n o n si p r e s e n t a v a di t u t t o r i p o s o . Sulla fine di sett e m b r e i borbonici avevano dato segno di riscossa attaccando i garibaldini a Caiazzo e infliggendo loro u n o smacco, sia p u r e parziale. Più t a r d i , d a alcuni disertori del c a m p o n e mico, Garibaldi aveva saputo che quello era stato soltanto il p r e l u d i o di u n a massiccia controffensiva. I ventimila Mille continuavano ad averne di fronte cinquantamila n e t t a m e n te s u p e r i o r i specie in fatto di artiglieria e di cavalleria, ed e r a n o distesi l u n g o un fronte da Santa Maria C a p u a Vetere a Maddaloni, s p r o p o r z i o n a t o alle loro forze. In c o m p e n s o , i c o m a n d a n t i garibaldini e r a n o u o m i n i cresciuti all'unica valida scuola di g u e r r a : la g u e r r a . C'era l'irruente Bixio, l'uo447
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mo dell'assalto alla baionetta, d ' u n coraggio a t u t t a p r o v a , implacabile col nemico e talvolta perfino sanguinario. C'era il malinconico e x - p r e t e Sirtori, che della g u e r r a aveva fatto u n a mistica e sul c a m p o sembrava che officiasse. C'era Cosenz, il vecchio commilitone di Pisacane alla Nunziatella, un meridionale flemmatico, silenzioso, un p o ' irsuto, che consid e r a v a la battaglia u n a scienza esatta, e di cui i s u b a l t e r n i dicevano r i d e n d o che avrebbe preferito u n a sconfitta ragionata a u n a vittoria casuale. C'era Tiirr, un u n g h e r e s e transfuga dall'esercito austriaco, l'unico che venisse da un serio tirocinio professionale. E infine c'era Medici, il più completo, alla testa del r e p a r t o meglio organizzato, e il più autorevole presso il Generale: l'unico che gli desse del tu. I borbonici passarono all'offensiva il 1 ° ottobre, consci di giuocare la carta decisiva: in caso di sconfitta, sarebbero rimasti nella m o r s a di Garibaldi e delle forze piemontesi che scendevano da N o r d . Tutti i Principi della famiglia reale, a c o m i n c i a r e d a Francesco, scesero i n c a m p o . N o n s a p e n d o in che p u n t o avrebbero attaccato, Garibaldi si era t e n u t o di riserva u n forte c o n t i n g e n t e a l c o m a n d o d i T u r r i n m o d o da lanciarlo p e r linee i n t e r n e dove si fosse profilata la minaccia. I borbonici sfondarono su Caserta Vecchia, ma vi rimasero isolati p e r c h é Bixio ricacciò Von Mechel che doveva m a n t e n e r e i c o l l e g a m e n t i col g r o s s o , m e n t r e T u r r faceva m u r o a Sant'Angelo e Santa Maria. A sera, fra m o r t i e feriti, circa tremila u o m i n i e r a n o rimasti sul t e r r e n o . I più e r a n o garibaldini. Ma i borbonici avevano d o v u t o r i p i e g a r e sulle posizioni di partenza. La battaglia del V o l t u r n o , la p i ù s a n g u i n o s a di tutta la, c a m p a g n a , e a n c h e la più «da manuale», toglieva a Francesco le ultime speranze di riconquista, e dimostrava che il per i p a t e t i c o g u e r r i g l i e r o di scuola s u d a m e r i c a n a sapeva ca^ varsela a n c h e in fatto di g u e r r a m a n o v r a t a e dai suoi raccogliticci volontari e r a riuscito a selezionare dei q u a d r i e u n o Stato Maggiore abbastanza seri e capaci. N o n p e r nulla infatti i Sirtori, i T u r r , i Cosenz, i Medici, u n a volta travasati448
nell'esercito r e g o l a r e , vi fecero miglior figura dei Generali usciti dall'Accademia di Torino. Ma p r o p r i o nello stesso giorno u n a battaglia l'aveva vinta a n c h e C a v o u r che, convocato il P a r l a m e n t o , lo aveva p o s t o alla scelta che p o c h e settimane p r i m a aveva imposto al Re: o lui, o Garibaldi. La discussione fu i m p o s t a t a sul p r o b l e m a dell'annessione delle Due Sicilie e raggiunse toni molto vivaci, ma dimostrò che l'opposizione democratica era più debole di q u a n t o lo stesso Cavour immaginasse. N e m m e n o la vittoria del V o l t u r n o riuscì a d a r fiato alle sue t r o m b e , a n c h e p e r c h é c o n insigne slealtà l a s t a m p a m o d e r a t a n e attribuì g r a n parte del merito a un piccolo r e p a r t o piemontese sbarcato pochi giorni p r i m a a Napoli, e il cui contributo era stato pressoché insignificante. Un i n t e r v e n t o di Bertani, accorso alla seduta, fece spicco solo p e r la sua fiacchezza e inconclud e n z a . L'unico attacco a fondo c o n t r o il p r o g e t t o di a n n e s sione immediata e incondizionata lo fece Ferrari, ma fu u n a voce nel d e s e r t o . Alla votazione, la C a m e r a d i e d e l ' u n a n i mità a un o r d i n e del giorno di ringraziamento a Garibaldi e 290 sì contro 6 no al disegno di legge sull'annessione, che di Garibaldi comportava il licenziamento. Q u e s t i si r a s s e g n ò e d i e d e carta b i a n c a al p r o d i t t a t o r e Pallavicino, che subito ne approfittò p e r i n g i u n g e r e lo sfratto a Mazzini. «Anche n o n v o l e n d o l o - gli scrisse c o n p o c o g a r b o -, voi ci dividete.» Mazzini gli rispose con un rifiuto veemente: «L'ingratitudine degli u o m i n i n o n è ragione perch'io d e b b a soggiacere alla loro volontà, e sancirla». Ma la sua o s t i n a z i o n e n o n sortì alcun effetto. A n c h e M o r d i n i , a Palermo, aveva d o v u t o scendere coi m o d e r a t i a un c o m p r o messo, che p r a t i c a m e n t e r a p p r e s e n t a v a u n a capitolazione: a d e c i d e r e dell'annessione s a r e b b e stata l'Assemblea, ma il suo voto sarebbe stato i m m e d i a t a m e n t e sottoposto a plebiscito. Tuttavia Pallavicino respinse, p e r Napoli, a n c h e quella soluzione, e firmò il decreto di plebiscito su questa d o m a n da: «Volete l'Italia u n a e indivisibile con Vittorio E m a n u e l e Re costituzionale e i suoi legittimi discendenti?» 449
LT1 ottobre egli fu convocato a Caserta da Garibaldi, affiancato da Crispi, C a t t a n e o e altri e s p o n e n t i democratici. Più che u n a discussione, fu un processo al p r o d i t t a t o r e che rassegnò le sue dimissioni. L'indomani gli annessionisti ins c e n a r o n o u n a g r a n d e dimostrazione di piazza, avallata da un p r o n u n c i a m e n t o della G u a r d i a Nazionale e della Polizia. A n c h e T ù r r si espresse p e r l'annessione, e p r o b a b i l m e n t e anche Medici, c o m e lascia s u p p o r r e il titolo di Marchese del Vascello, di cui fu p o c o d o p o insignito. N o n c'era nulla da fare. Garibaldi p r e g ò Pallavicino di restare in carica, e i plebisciti f u r o n o b a n d i t i p e r il 21 o t t o b r e . I risultati f u r o n o quelli che già si presagivano, a n c h e se sui m e t o d i usati p e r realizzarli sarà meglio n o n i n d a g a r e . Nelle province continentali votò quasi l'ottanta p e r cento degl'iscritti nelle liste, i sì f u r o n o un milione e 300.000, i no 10.000. In Sicilia i votanti furono il 75 p e r cento, i sì 430.000 i no m e n o di 700. I n q u e l m o m e n t o Vittorio E m a n u e l e g i u n g e v a i n vista del Volturno. Garibaldi e r a già in contatto con lui e, d o p o avergli dato l'annunzio della vittoria riportata sui borbonici, lo aveva invitato a venire a fare, al c o m a n d o di u n a division e , «una passeggiata» a Napoli. Chissà se quella p a r o l a l'aveva scritta con malizia p e r sottolineare che il conquistatore e p a d r o n e di casa era lui. Ma, data la sua totale refrattarietà all'umorismo, ne s a r e m m o stupiti. Lo aveva a n c h e avvertito che sarebbe v e n u t o a riceverlo a mezza strada «per presentarle i miei omaggi e ricevere o r d i n i p e r le ulteriori operazioni»: dal c h e si d e d u c e c h e p e n s a v a di p o t e r n e svolgere ancora. Il 25 ottobre, saputo che il Re era in arrivo, attraversò il fiume con un n u t r i t o r e p a r t o , che all'alba dell'indomani avvistò, presso Vairano, le a v a n g u a r d i e piemontesi. Centinaia di oleografie h a n n o r i p r o d o t t o lo storico i n c o n t r o , che avv e n n e p o c h e o r e d o p o . Ma tutto è falso, a cominciare dalla località, che n o n fu precisamente Teano, ma - a q u a n t o pare - Taverna di Catena. Queste edificanti raffigurazioni mostrano un Vittorio E m a n u e l e che, in u n ' a u r a di festa, quasi 450
abbraccia Garibaldi a sancire il m a t r i m o n i o fra l'Italia del Re e quella del popolo. In realtà le cose si svolsero in tutt'altro m o d o . Garibaldi, c h e si e r a staccato dalla t r u p p a e si r i p o s a v a sotto un albero insieme a Missori, Canzio, Alberto Mario e pochi altri, fra cui Abba, testimone e n o n imparziale m e m o rialista della scena, u d ì la fanfara reale e salì a cavallo. E r a vestito al solito suo m o d o , camicia rossa e poncho. Ma il fazzoletto, invece di p o r t a r l o al collo come s e m p r e , gli scendeva di sotto il cappelluccio di feltro in d u e b a n d e a n n o d a t e sotto la gola. Nel piccolo seguito del Re figuravano Farini e Fanti, cioè d u e fra gli u o m i n i che più odiavano Garibaldi e che Garibaldi più odiava. Garibaldi die di s p r o n e togliendosi il c a p p e l l o e r e s t a n d o con la pezzòla c o m e u n a vecchia massaia. «Saluto il p r i m o Re d'Italia!» g r i d ò . «Saluto il mio migliore amico!» avrebbe risposto il Re. Ma secondo certuni invece rispose soltanto: «Grazie!» Il G e n e r a l e si mise alla sinistra del Sovrano e, cavalcando al suo fianco, gli chiese l'onore di p a r t e c i p a r e coi suoi uomini all'attacco contro le ultime posizioni borboniche. Il Re rifiutò asciuttamente dicendo che i volontari dovevano essere t r o p p o stanchi e bisognosi di riposo. In realtà voleva entrare a Napoli sulle ali di u n a vittoria, sia p u r e a b u o n mercato, ma tutta sua.. N o n si dissero altro, e n t r a m b i imbarazzati. All'ingresso di Teano, il Re invitò Garibaldi a colazione. Garibaldi rispose, m e n t e n d o , che aveva già mangiato, e si cong e d ò . Poco d o p o si fermò davanti alla chiesetta d ' u n villaggio, chiese un p o ' di p a n e e cacio, e si mise a m a n g i a r e , sed u t o su un g r a d i n o . Gli altri fecero cerchio i n t o r n o a lui, e c o n s u m a r o n o q u e l m a g r o p a s t o s e n z ' a z z a r d a r s i a far d o mande. Il b o m b a r d a m e n t o di C a p u a , ultima piazzaforte b o r b o nica, cominciò il 1 ° n o v e m b r e e fece più vittime tra la p o p o lazione che fra le t r u p p e . «Povero Re, vedete cosa gli fanno fare!...» c o m m e n t ò Garibaldi, s e m p r e t e n e r o p e r il Sovrano. La resa v e n n e il giorno d o p o , fu strombazzata come u n a pa451
gina di gloria, e fu nel fumo di questo incenso che il 7 il Re fece il suo ingresso a Napoli. Sfilando in carrozza al suo fianco, Garibaldi gli offrì di n u o v o i suoi servigi. Il Re rispose che n o n poteva accettarli senza p r i m a consultarsi con Farini: ch'era un rifiuto, e il più sgarbato, visto che Farini si vantava con tutti di n o n aver mai stretto la m a n o a Garibaldi. Tuttavia Vittorio E m a n u e l e cercò d ' i n d o r a r e la pillola offrendo al Generale un titolo di Duca, un castello e u n a p e n sione. «Sono qui p e r fare l'Italia, n o n u n a carriera» rispose il G e n e r a l e . C o m e mancia, chiese soltanto che il Re gli facesse l'onore di p a r t e c i p a r e alla rivista di addio con cui si sar e b b e accomiatato dai suoi volontari. Il Re promise, ma poi n o n m a n t e n n e , e lasciò che l'ordine del giorno di ringraziam e n t o alle Camicie Rosse che gli avevano r e g a l a t o un Reg n o lo firmasse il suo aiutante di c a m p o , Della Rocca. L'8, q u a n d o nella sala del t r o n o di palazzo Reale il Re v e n n e ufficialmente i n f o r m a t o del risultato dei plebisciti e investito dei poteri sovrani su Napoli e la Sicilia, gli ufficiali del suo seguito n o n s c a m b i a r o n o c h e u n gelido saluto coi v o l o n t a r i r a g g r u p p a t i i n t o r n o al l o r o G e n e r a l e . Q u e s t i si c o n g e d ò dai suoi u o m i n i da solo e senza squilli di t r o m b a p e r c h é Farini aveva perfino proibito il famoso I n n o . E p e r quell'ultima notte a n d ò ad alloggiare all'Albergo d'Inghilt e r r a , dove v e n n e r o a salutarlo i pochi amici rimastigli. Abbracciò con affetto M o r d i n i ; ma a Pallavicino, c h ' e r a stato insignito del Collare d e l l ' A n n u n z i a t a , disse con disprezzo: «Vergogna, voi, un prigioniero dello Spielberg, che credevo s u p e r i o r e a codesti gingilli!» Venne anche, di nascosto, Mazzini, spinto dall'eterna speranza di r e c u p e r a r e alla causa rivoluzionaria il d e m i u r g o deviazionista. Parlarono del m o d o di r i p r e n d e r e la lotta p e r R o m a e Venezia, e Garibaldi disse che se ne s a r e b b e r i p a r l a t o nella p r i m a v e r a d e l ' 6 1 , come aveva promesso nel proclama di addio ai suoi volontari. Ma poi aggiunse che ci voleva il Re alla testa di mezzo milione di soldati. E Mazzini se n ' a n d ò scoraggiato p e n s a n d o eh era s e m p r e il solito u o m o delle «lettere di marca». 452
Farini vietò al Giornale officiale di d a r e notizia della partenza di G a r i b a l d i p e r C a p r e r a . Solo L'indipendente di Du mas ne diede conto, elencando le p r e d e belliche che il con quistatore si portava al seguito: un sacchetto di sementi, al cimi barattoli di caffè e zucchero, u n a balla di stoccafissi, t u n a cassa di maccheroni.
CAPITOLO QUARANTUNESIMO
L'UNITÀ
L'incontro del Re con Napoli n o n fu dei più fortunati. Arrivò con un acquazzone, e di sotto gli ombrelli i napoletani che assistevano al suo passaggio videro la pioggia sgrondargli sul petto in rivoletti azzurrini scolorendogli la b a r b a e i baffi tinti. Q u a n d o essi c e r c a r o n o di staccare i cavalli dalla carrozza per c o n d u r l a a braccia, fece u n a scenata. Rifiutò il b a c i a m a n o , qualificandolo gesto servile, e n e s s u n o lo vide mai distribuire ai p o p o l a n i buffetti sulle g u a n c e e n o m i g n o li scherzosi come facevano i B o r b o n e . N o n passò molto tempo che nelle straducole dei rioni p o p o l a r i cominciò a echeggiare il grido: «Viva Franceschiello!» Per r e p r i m e r l o , il Ministro d e g l ' I n t e r n i Liborio R o m a n o scatenò la polizia nella quale i piemontesi s c o p r i r o n o con o r r o r e c h ' e r a n o stati reclutati i più autorevoli c a p o r i o n i della c a m o r r a . E Cavour v e n n e avvertito che q u a n t o p r i m a il Re fosse t o r n a t o a Torin o , t a n t o meglio sarebbe stato p e r tutti. Il p r e t e s t o p e r richiamarvelo fu l'inaugurazione della n u o v a Legislatura dopo l'elezioni del g e n n a i o ' 6 1 . A Palermo, il p o t e r e era stato affidato, con la carica di L u o g o t e n e n t e , a M o n t e z e m o l o . A Napoli rimase, lo stesso titolo, nelle m a n i di Farini, che scriveva al Primo Ministro: «Altro che Italia! Q u e s t a è Africa. I b e d u i n i , a riscontro di questi cafoni, sono fior di virtù civile». Era con questo a n i m o che i «fratelli» del N o r d si dispon e v a n o all'integrazione con quelli del Sud. L a g u e r r a n o n e r a a n c o r a f i n i t a : tre cittadelle borboniche seguitavano a resistere: Messina, Civitella del Tronto e Gaeta, dove t u t t o r a si asserragliava Francesco. Ma Cavour n o n aspettò la loro capitolazione, che avvenne tra febbraio e 454
m a r z o , p e r d a r e avvio all'unità e p r e d i s p o r n e le s t r u t t u r e . Già in ottobre egli aveva fatto a p p r o v a r e u n a legge elettorale che p o r t a v a le circoscrizioni da 30 a 5 0 . 0 0 0 abitanti, in m o d o da r i d u r r e il n u m e r o dei d e p u t a t i : n o n si fidava di quelli m e r i d i o n a l i . I collegi e r a n o u n i n o m i n a l i , cioè in o g n u n o di essi vinceva il c a n d i d a t o che aveva r i p o r t a t o in via assoluta p i ù suffragi, e il diritto di voto e r a riservato ai cittadini maschi che avessero c o m p i u t o 25 a n n i e pagassero a l m e n o 40 lire d ' i m p o s t e all'anno. Era, nell'Italia di allora, u n a limitazione gravissima che riduceva il c o r p o elettorale a m e n o del d u e p e r cento dell'intera popolazione. E a questo d u e p e r cento il N o r d contribuiva in m i s u r a p r e p o n d e r a n te, date le disagiatissime condizioni economiche del Sud. La c a m p a g n a e l e t t o r a l e fu c o n d o t t a dal g o v e r n o con mezzi massicci e n o n s e m p r e leali, ma gli stessi avversari n o n p o t e r o n o a d d u r r e p r o v e di brogli o di violenze. A giuocare in favore dei m o d e r a t i fu anzitutto il fatto che, liquidate nel m o d o che s a p p i a m o le p e n d e n z e con Garibaldi, essi d e t e n e v a n o d o v u n q u e il p o t e r e e avevano p r e s o la m a n o ad usarlo. I democratici del Partito d'Azione n o n avevano u n o s t r u m e n t o organizzativo che potesse far fronte alla Società Nazionale e d o v e t t e r o s u b i r n e l'iniziativa, c o m ' e r a s e m p r e a v v e n u t o in t u t t o il p r o c e s s o u n i t a r i o . Ma a n c h e un altro e l e m e n t o giuoco a favore di C a v o u r : la s t o r d i t a g g i n e d e i preti che incitarono all'astensionismo. «Né eletti né elettori» fu la p a r o l a d ' o r d i n e lanciata dal l o r o g i o r n a l e L'armonia. «La lotta verte oggi tra C a v o u r e Garibaldi - esso scrisse -, tra coloro che c o m b a t t o n o il Papa con le ipocrisie, e coloro che vogliono combatterlo a p e r t a m e n t e con l'empietà e colla d e m a g o g i a . Noi d i c i a m o : " N é l ' u n o , n é l'altro; s o n o tutti della stessa buccia". E ci asterremo.» Infatti si a s t e n n e r o . E così, in tutta Italia, dei 418.000 iscritti al voto, n o n se ne p r e sentarono che 240.000, cioè poco più della metà. Il successo g o v e r n a t i v o fu trionfale. Dei 4 4 3 d e p u t a t i usciti dalle u r n e del 27 g e n n a i o e dai ballottaggi del 3 febbraio, quelli dell'opposizione democratica n o n s u p e r a v a n o 455
gli 80; m e n t r e , grazie alla diserzione dei cattolici, scompariva quasi del tutto l'opposizione della destra reazionaria, alla Chiesa legatissima. Q u e s t o provocò u n ' a u t e n t i c a rivoluzione sia nella topografia del Parlamento che nella sua n o m e n clatura. Esso diventò p r a t i c a m e n t e bipartitico, cioè articolato su d u e sole forze, c o m e t u t t o r a lo s o n o quello inglese e quello americano; e i liberali m o d e r a t i di Cavour, che fin allora si e r a n o atteggiati a partito di centro, d i v e n t a r o n o nella c o m u n e accezione «la Destra». Al successo elettorale s e g u i r o n o , s e b b e n e scontatissimi, quelli militari. La flotta francese che N a p o l e o n e aveva dislocato a g u a r d i a di Gaeta n o n p e r p r o t e g g e r e la cittadella, ma p e r salvare la faccia, si ritirò, e a Francesco n o n rimase che la capitolazione e l'esilio a R o m a . N o n m o l t o t e m p o d o p o a n c h e le altre d u e roccheforti si a r r e s e r o . E questo spianò la strada alla p r o c l a m a z i o n e dell'unità e alla consacrazione di Vittorio E m a n u e l e . La legge che la sanzionava si c o m p o n e v a di un unico articolo così c o n c e p i t o : «Il Re Vittorio E m a n u e l e II a s s u m e p e r sé e i suoi successori il titolo di Re d'Italia», e fu oggetto di u n a vivace discussione. Mazzini e i suoi r e s i d u i seguaci chiedevano che quel p r i m o P a r l a m e n t o funzionasse in pratica da Costituente e redigesse un solenne patto fra la Corona e la Nazione, fra il Re e il popolo. Cavour sostenne che questa fase e r a o r m a i s u p e r a t a in q u a n t o il p o p o l o aveva già espresso coi plebisciti la v o l o n t à di affidarsi alla Dinastia senza c h i e d e r e n e s s u n p a t t o . «L'iniziativa, signori - disse -, n o n è stata né del g o v e r n o né del P a r l a m e n t o ; l'iniziativa è stata p r e s a dal p o p o l o , che a quest'ora ha già salutato ed int e n d e salutare p e r s e m p r e Vittorio E m a n u e l e I I c o m e R e d'Italia.» Il p r o b l e m a n o n era soltanto di forma giuridica. Del patto che i mazziniani invocavano, il P a r l a m e n t o sarebbe stato il depositario e garante, e questo gli avrebbe dato u n a grossa a r m a p e r frenare le interferenze del Re in campi che n o n gli c o m p e t e v a n o , e a n c h e p e r r i m e t t e r n e in discussione il 456
p o t e r e s o v r a n o se q u e s t o avesse e s o r b i t a t o . Viceversa, la consacrazione d i r e t t a p e r plebiscito attribuiva alla M o n a r chia un carattere bonapartesco, cioè autoritario, e infatti era al plebiscito che N a p o l e o n e aveva attinto la sua investitura, c o m e un secolo d o p o ve l'avrebbe attinta De Gaulle. Ma anche stavolta Cavour vinse. Un'altra vivace discussione ci fu sul n u m e r o ordinale del titolo di Re, e a n c h e questa n o n era di p u r a forma. I d e m o cratici volevano ch'egli assumesse quello di Vittorio E m a n u e l e I , p e r meglio p u n t u a l i z z a r e c h e l'Italia n o n e r a u n semplice i n g r a n d i m e n t o del vecchio R e g n o s a r d o - p i e m o n tese. C'è da chiedersi se Vittorio E m a n u e l e afferrasse la differenza e ciò ch'essa c o m p o r t a v a . C o m u n q u e , in ossequio alla tradizione s a b a u d a e all'ordine dinastico, n o n volle sap e r e di q u e l c a m b i a m e n t o , e n o n c'è da meravigliarsi che C a v o u r lo abbia secondato. All'idea unitaria egli si e r a convertito solo negli ultimi t e m p i e spintovi dalle circostanze. Ma la sua impostazione mentale restava quella di un u o m o d i Stato p i e m o n t e s e , che concepiva l'Italia c o m e u n a conquista d e l P i e m o n t e , e i m p l i c i t a m e n t e lo d i c h i a r ò nel suo discorso: «Io mi unisco alle e l o q u e n t i p a r o l e d e l r e l a t o r e della Commissione q u a n d o egli p r o c l a m a la p a r t e che tutti gl'italiani h a n n o avuto nel g r a n d r a m m a del nostro Risorgim e n t o . Ma mi sembra p u r lecito di dirlo e proclamarlo con p r o f o n d a convinzione: l'iniziativa fu s e m p r e p r e s a dal gov e r n o del Re. Fu il governo che p r e s e l'iniziativa della guerra di C r i m e a ; fu il g o v e r n o del Re che p r e s e l'iniziativa di p r o c l a m a r e il diritto d'Italia nel C o n g r e s s o di Parigi; fu il g o v e r n o del Re c h e p r e s e l'iniziativa dei g r a n d i atti del 1859, in virtù dei quali l'Italia si è costituita». Q u a l c u n o lo criticò p e r i suoi accenti trionfalistici. Ma bisogna riconoscere che ne aveva qualche diritto. In m e n o di d u e a n n i la L o m b a r d i a , i Ducati di P a r m a e M o d e n a , il G r a n d u c a t o di Toscana, gli Stati pontifici, il R e g n o delle D u e Sicilie si e r a n o fusi con quello s a r d o - p i e m o n t e s e , con cui o r a formavano u n a sola Nazione. E n e s s u n o poteva n e 457
gare che di questo miracolo il massimo artefice era stato lui. Mancavano a n c o r a al c o m p i m e n t o dell'unità nazionale Roma col suo e n t r o t e r r a ridotto o r m a i al Lazio, e Venezia. In un discorso t e n u t o in o t t o b r e , nella fase acuta del suo conflitto con Garibaldi, il Primo Ministro si era i m p e g n a t o , u n a volta risolto quello del M e z z o g i o r n o , ad affrontare i m m e d i a t a m e n t e questi d u e problemi. Su quello di Venezia m e n tiva, b e n s a p e n d o che Venezia p r e s u p p o n e v a u n a impossibile g u e r r a con l'Austria. Su R o m a diceva la verità, anzi n o n la diceva tutta p e r c h é fin d'allora aveva avviato con la Santa Sede delle trattative, di cui n o n e r a n o al c o r r e n t e n e m m e n o i suoi colleghi di g o v e r n o , salvo Minghetti. Un suo fiduciario r o m a n o , il d o t t o r Pantaleoni, gli aveva riferito che d o p o il crollo dei B o r b o n e e il consenso tacitam e n t e d a t o da N a p o l e o n e all'annessione di U m b r i a e Marche, u n a p a r t e della C u r i a si r e n d e v a c o n t o c h e , invece di ostinarsi a combatterlo con a n a t e m i e scomuniche, e r a m e glio cercare un a c c o r d o col n u o v o Stato italiano. E Cavour aveva deciso di avanzare u n a precisa proposta: rinunzia della Chiesa al p o t e r e t e m p o r a l e su R o m a e i m p e g n o dello Stato italiano alla salvaguardia d e l l ' i n d i p e n d e n z a del Papato e al ripristino di molti p o t e r i e privilegi del clero che gli e r a n o stati confiscati. I n s o m m a , un anticipo di quella che d o p o il '70 sarebbe stata la «legge delle guarentigie». Di questo passo, egli avvisò subito N a p o l e o n e , che a Rom a s e g u i t a v a a t e n e r e u n a g u a r n i g i o n e francese, m a più volte aveva espresso il desiderio di ritirarla e di essere esentato dall'ingrata p a r t e di t u t o r e di un p o t e r e t e m p o r a l e , di cui egli stesso avvertiva l ' a n a c r o n i s m o . Se egli avesse caldeggiato il p r o g e t t o di Cavour, il P a p a si sarebbe sentito abb a n d o n a t o a se stesso e costretto a n c h e controvoglia al negoziato. N a p o l e o n e si d i c h i a r ò «incantato» dell'iniziativa e disse che le a u g u r a v a il più completo successo, ma che n o n ci credeva. E avanzò un c o n t r o p r o g e t t o , la cui tortuosità rivelava c h i a r a m e n t e la f e r m a i n t e n z i o n e di far fallire le trattative. 458
N o n si è mai s a p u t o con precisione quali motivi ve lo spingessero. Forse voleva avversare il c o r o n a m e n t o del processo unitario, che il trasferimento della capitale a R o m a avrebbe i r r e v o c a b i l m e n t e s a n z i o n a t o , p e r r i p r o p o r r e l a soluzione ch'egli aveva s e m p r e caldeggiato: quella di u n o Stato confed e r a l e c h e , sia p u r e d o m i n a t o dal R e g n o dell'Alta Italia, a v r e b b e offerto m a g g i o r c a m p o all'influenza francese. Ma da certi accenni di suo cugino G e r o l a m o a Nigra, si p o t r e b be a n c h e p e n s a r e ch'egli mirasse a far assegnare al Papa la S a r d e g n a p e r istallarvisi egli stesso da p a d r o n e in veste di p r o t e t t o r e . C o m u n q u e i «falchi» della Curia r o m a n a , capeggiati dal Segretario di Stato Antonelli, ebbero netta la sensazione di p o t e r contare sul suo a p p o g g i o . Le trattative e r a n o continuate, e p e r spingerle avanti Cav o u r aveva affiancato a Pantaleoni, u o m o intelligente e ben e i n f o r m a t o , m a u n p o ' a v v e n t a t o e i m p e t u o s o , u n altro m e d i a t o r e : l'ex-gesuita lucchese P a d r e Passaglia, altissima a u t o r i t à in c a m p o teologico e m o l t o i n t r o d o t t o p r e s s o gli e l e m e n t i m o d e r a t i del Sacro Collegio, quelli c h e o g g i si c h i a m e r e b b e r o «le colombe», p e r f e t t a m e n t e coscienti c h e l'intransigenza avrebbe solo r i t a r d a t o , ma a n c h e reso traumatica, u n a soluzione che si p o t e v a invece c o n c o r d a r e con v a n t a g g i o di tutti. P a r e che C a v o u r c o m m e t t e s s e a q u e s t o p u n t o u n grosso e r r o r e i n t r o d u c e n d o nel negoziato, all'insaputa dei suoi d u e fiduciari, altri tre agenti segreti con l'incarico di c o r r o m p e r e Antonelli. Ma n o n se ne ha la certezza p e r c h é da altre fonti s e m b r e r e b b e che sia stato Antonelli a c o r r o m p e r e u n o di questi p e r s o n a g g i facendogli d e n u n c i a re il p i a n o e a sua volta d e n u n c i a n d o l o al P a p a p e r p r o v o carne l'indignazione. Il Papa, c o m e al solito, fin allora aveva tergiversato. Ma p r o p r i o in q u e l m o m e n t o gli a r r i v ò in casa, fuggiasco da Gaeta, il «figlio della Santa» Francesco di B o r b o n e . I m p r e s sionabile com'era, si commosse al racconto delle sue sventure, e da allora n o n volle p i ù sentir p a r l a r e di negoziati con gl'infami che avevano cacciato dal t r o n o quel p o v e r o ragaz459
zo. P r o p r i o il g i o r n o in cui a T o r i n o veniva p r o m u l g a t a la legge che conferiva a Vittorio E m a n u e l e il titolo di Re d'Italia, in un'allocuzione ai Cardinali egli dichiarò g u e r r a n o n solo allo Stato italiano ma a tutta la civiltà m o d e r n a , «madre e p r o p a g a t r i c e f e c o n d a d'infiniti e r r o r i e d ' i n t e r m i n a b i l i mali», c h e «dà libero varco alla m i s c r e d e n z a , accoglie nei pubblici uffici gl'infedeli, a p r e ai loro figli le pubbliche scuole» e via farneticando. «Era - scrisse Pantaleoni a C a v o u r in tale stato di passione e di agitazione che gliene c a d d e lo zucchetto di testa.» E così, p e r u n o dei suoi soliti soprassalti emotivi, Pio IX fece n a u f r a g a r e il tentativo di avviare a pacifica convivenza Stato italiano e Chiesa cattolica e di sanare nella coscienza degl'italiani la frattura fra d o v e r e civile e d o vere religioso. Fu, fra tanti clamorosi successi, l'unico insuccesso di Cavour. Ma ancora di più lo fu del Papa. Era a p p e n a nata, che già l'Italia cominciava a contestare se stessa, e n o n ha più smesso di farlo. A u n a storiografia aulica, che p r e s e n t a il Risorgimento c o m e u n a gloriosa e p o p e a intessuta solo di eroismi e sacrifici, si c o n t r a p p o n e quella radicaleggiante che lo p r e s e n t a c o m e u n a «rivoluzione fallita» o «tradita». N o n vogliamo e n t r a r e in questa polemica. Vogliamo solo chiarire, a m o ' d'epilogo, p e r c h é l'Italia fu fatta, c o m e e da chi fu fatta, e cosa fin d a p p r i n c i p i o ne derivò. N o n c'è alcun dubbio che protagoniste del processo unitario finirono p e r essere le forze m o d e r a t e , che riuscirono a d a c c a p a r r a r s e n e l'iniziativa a n c h e q u a n d o questa veniva assunta da quelle democratiche, c o m e fu il caso dell'impresa g a r i b a l d i n a nel M e z z o g i o r n o . Nel '48-'49 n o n e r a stato così, o p e r lo m e n o n o n lo e r a stato in m a n i e r a a l t r e t t a n t o e v i d e n t e . Per un c e r t o p e r i o d o , sia p u r b r e v e , a Milano, a Brescia, a Venezia e poi a Roma, l'iniziativa era stata d e m o cratica e rivoluzionaria, c o m e dimostrava la sua professione di fede repubblicana. Ma d'allora in poi a t e n e r banco furono i moderati. E i motivi della loro vittoria in questa che n o n 460
fu soltanto u n a lotta di liberazione dall'Austria, ma a n c h e u n a g u e r r a civile fra italiani, sono abbastanza chiari. Il p r i m o e f o n d a m e n t a l e è ch'essi e b b e r o dalla loro un p o t e r e costituito e - misurato sul p i a n o italiano - di notevole efficienza: lo Stato sardo-piemontese col suo esercito e la sua diplomazia, sul quale p o t e r o n o coagularsi e fare p e r n o . Ma ce n'è a n c h e un altro, che C a n d e l o r o m e t t e molto b e n e in luce: la loro m a g g i o r e o m o g e n e i t à sociale. In tutta Italia i m o d e r a t i a p p a r t e n e v a n o a classi b e n definite: nobiltà e borg h e s i a g r a n d e e m e d i a . C ' e r a n o fra l o r o delle differenze ambientali, ma l a r g a m e n t e c o m p e n s a t e da u n a solida comun a n z a d'interessi. Sia nel C e n t r o - N o r d , dove si trovava il lor o n u c l e o n u m e r i c a m e n t e e d e c o n o m i c a m e n t e p i ù forte, c h e n e l S u d , c o s t i t u i v a n o u n a c a t e g o r i a d i «notabili» c h e a v e v a n o a n c h e u n a c e r t a p r a t i c a di pubblici affari e c h e q u i n d i e r a n o a u t o m a t i c a m e n t e candidati a dirigerli nei m o m e n t i di crisi. B e n d i v e r s a e m o l t o p i ù c o n t r a d d i t t o r i a e r a la falange democratica in cui confluivano elementi della più disparata estrazione: studenti, intellettuali, piccoli borghesi di categoria mercantile, artigiani, qualche o p e r a i o . E r a diffìcile fond e r e q u e s t e d i s p a r a t e forze c h e i n c o m u n e n o n a v e v a n o n e m m e n o le rivendicazioni. Mazzini n o n riuscì mai a tenerle u n i t e né sotto la « b a n d i e r a n e u t r a » né sotto quella d e l Partito d'Azione, e i «gruppuscoli» in cui si dissolsero n o n p o t e r o n o resistere alla forza fagocitatrice dei loro avversari. U n a sola cosa avrebbe p o t u t o c e m e n t a r l e : un forte seguito p o p o l a r e , ma fu p r o p r i o questo che m a n c ò p e r i motivi che a b b i a m o già illustrato. Mazzini fu s e m p r e r e n i t e n t e a d a r e un c o n t e n u t o sociale alla sua d o t t r i n a , e tutti i tentativi di costituire alla sua sinistra qualche forza politica in g r a d o di attirare le masse fallirono. Perfino nell'influenza su di esse i m o d e r a t i r i p o r t a r o n o la vittoria: n o n c e r t o p e r c h é il l o r o p r o g r a m m a fosse p i ù a v a n z a t o d i quello d e m o c r a t i c o , m a p e r c h é i loro «notabili» p o t e v a n o c o n t a r e su «clientele» p i ù forti. 461
Ma di motivi mi s e m b r a c h e ce ne sia a n c h e un a l t r o , piaccia o n o n piaccia agli storici che n e g a n o la d e t e r m i n a n te i m p o r t a n z a dei valori individuali: il fatto che i m o d e r a t i t r o v a r o n o un Cavour, cioè un autentico u o m o di Stato in un Paese c h e , d a t a la sua storia, da secoli n o n riusciva p i ù a p r o d u r n e . L'Italia, dirà qualcuno, si sarebbe fatta a n c h e senza di lui. Certo. Pure l'America sarebbe stata scoperta anche senza Colombo. Ma se l'Italia fu fatta in quegli a n n i e a quel m o d o , lo si deve in g r a n p a r t e a Cavour, cui i democratici n o n p o t e r o n o c o n t r a p p o r r e che u n grosso u o m o d'azione senza cervello, Garibaldi, e un grosso cervello senza qualità d ' u o m o d'azione, Mazzini. C h e il Risorgimento «moderato» n o n sia senza pecche né lacune, è vero. Ma se fu m o d e r a t o , lo fu p e r merito (o p e r colpa) di Cavour. I vizi d'origine dello Stato che ne risultò si rispecchiavano in d u e caratteri facilmente riconoscibili. Primo, il centralismo delle sue strutture, che r a p p r e s e n t a a n c h e u n a curiosa inversione ideologica. I m o d e r a t i n o n e r a n o partiti dall'ideale dell'unità, che anzi r a p p r e s e n t a v a il p a t r i m o n i o e l'orgoglio dei democratici mazziniani. E r a n o tutti o quasi tutti autonomisti, e la soluzione a cui m i r a v a n o era u n a confeder a z i o n e di Stati, sia p u r e sotto la c o r o n a dei Savoia. E in questo senso e r a n o orientati p a r t i c o l a r m e n t e quelli del Sud, che nello spazio di pochi mesi d i v e n t a r o n o invece i più accesi fautori dell'unitarismo. A convertirli fu, c o m e abbiamo già detto, l'agitazione contadina, da cui c o m p r e s e r o che solo u n o Stato forte, basato sull'autorità dei Prefetti e dei Carabinieri, poteva garantirli. Da allora essi d i v e n t a r o n o più realisti del Re, cioè più unitari di Mazzini, e lo dimostrarono r i f i u t a n d o la Costituente da lui p r o p o s t a e p r o c e d e n d o con la tecnica delle annessioni p e r plebiscito, che comportavano la p u r a e semplice estensione a tutta Italia dello Statuto albertino e della legislazione piemontese. II s e c o n d o c a r a t t e r e , a n c h ' e s s o c o n s e g u e n z a di q u e s t o t e r r o r e della rivolta p o p o l a r e , fu la costituzione di u n a chiusa oligarchia. D o p o averlo fatto, i m o d e r a t i confiscarono lo 462
Stato, e p e r qualche d e c e n n i o s e g u i t a r o n o a trasmetterselo di generazione in generazione come un b e n e di famiglia da n o n d o v e r s i d i v i d e r e con n e s s u n o . Del R i s o r g i m e n t o , cui q u e s t o m o n o p o l i o attingeva la sua legittimazione storica e m o r a l e , fecero un culto coi suoi sacerdoti e i suoi riti, cui solo gl'iniziati p o t e v a n o partecipare. Solo parecchio più tardi, a t t r a v e r s o q u e l l ' o p e r a z i o n e c h e poi si c h i a m ò «trasformismo», l'integrazione fu allargata un p o ' a tutti i ceti b o r g h e si, ma con e s t r e m a cautela. Le masse ne f u r o n o del t u t t o estraniate fino a Giolitti: e Io d i m o s t r a n o sia il sistema scolastico che p r a t i c a m e n t e fece dell'istruzione un a p p a n n a g g i o di classe, sia le riforme elettorali che allargarono il diritto di voto con u n a lentezza che sapeva di renitenza. Questo era il lascito dei moderati. Essendo stati essi a fare l'Italia, e avendola fatta a quel m o d o , era fatale che la gestissero c o m e un f e u d o di classe. Ma a l t r e t t a n t o fatale e r a che le masse, rimaste aliene alla sua formazione, continuassero a sentirsi tali, identificando lo Stato nella borghesia; e che, così a l u n g o e o s t i n a t a m e n t e r i t a r d a t o , il l o r o inserim e n t o n o n potesse avvenire senza le crisi, i t r a u m i e le scosse provocate dal r a n c o r e p e r l'antico ostracismo. E la storia di oggi. Ma cominciò allora.
CAPITOLO QUARANTADUESIMO
VERDI
Molti si s t u p i r a n n o che un p e r i o d o così i n t e n s o di avvenim e n t i e di passioni c o m e il t r e n t e n n i o risorgimentale sia stato, nel c a m p o della l e t t e r a t u r a e dell'arte, piuttosto sterile. Effettivamente esso n o n diede nulla da potersi raffrontare a un Manzoni o a un L e o p a r d i . Ma il p e r c h é mi s e m b r a evid e n t e : fu la politica a i m p e g n a r e e risucchiare tutte l'energie degl'italiani. Nati mezzo secolo p r i m a (o mezzo secolo d o p o ) , un D'Azeglio sarebbe stato soltanto r o m a n z i e r e e pittore, Ferrari u n o storico, Cattaneo un sociologo. Lo furono u g u a l m e n t e , ma a mezzo servizio e s e m p r e in funzione del m o m e n t o politico, che li c o n d i z i o n ò e attrasse nell'azione. La g r a n d e impresa dell'indipendenza e dell'unità nazionale aveva bisogno di loro. U n o solo g r a n d e g g i ò , nella musica. Ma vi g r a n d e g g i ò a p p u n t o p e r c h é col R i s o r g i m e n t o s'identificò d a n d o g l i i suoi slanci, i suoi ritmi, i suoi inni, i suoi cori. G i u s e p p e Verdi era un compositore di razza, che in qualsiasi epoca e Paese avrebbe svettato. Ma n o n c'è dubbio che al suo i m m e n s o successo molto contribuì la sua capacità d ' i n t e r p r e t a r e come nessuno i sentimenti e gli entusiasmi del t e m p o . Era la musica di Verdi che scaldando gli animi degli spettatori trasformava gli spettacoli della Scala e della Fenice in manifestazioni di patriottismo. Ed e r a c a n t a n d o Verdi che i volontari si avviavano ai campi di battaglia. A tal p u n t o il Risorgimento s'identifica in lui da s e m b r a r e un suo m e l o d r a m m a , urlante di t r o m b e e r u l l a n t e di t a m b u r i . Ma questo n o n sminuisce la grandezza dell'artista. La caratterizza soltanto. E r a di u n a frazione di Busseto in q u e l di P a r m a , e fin 464
quasi da a d u l t o credeva di essere n a t o il 9 o t t o b r e del '14, come gli aveva detto sua m a d r e . Invece era n a t o il 10 ottob r e del ' 1 3 , e già q u e s t o rivela l'umiltà d ' u n a famiglia che n o n sapeva t e n e r e n e m m e n o i conti anagrafici. Suo p a d r e aveva u n a botteguccia di g e n e r i alimentari, e p e r farlo studiare a Busseto lo mise a pensione da un ciabattino, cui pagava u n a r e t t a di t r e n t a centesimi al g i o r n o . A dieci a n n i , q u a n d o il suo maestro d ' o r g a n o morì, G i u s e p p e ne prese il posto p e r bastare a se stesso, e lo t e n n e fino ai diciotto. Un g i o r n o v e n n e a sentirlo un facoltoso d r o g h i e r e , Barezzi, che aveva la passione della musica, m a n t e n e v a a p r o p r i e spese la b a n d a locale, e p o s s e d e v a un p i a n o f o r t e . Lo mise a disposizione del r a g a z z o p r e n d e n d o s e l o in casa, e lungi dall'indignarsene favorì l'idillio che subito n a c q u e fra lui e sua figlia M a r g h e r i t a . Volle soltanto che il suo f u t u r o g e n e r o diventasse q u a l c u n o , e p e r d a r g l i e n e il d e s t r o n o n esitò a m a n d a r l o al C o n s e r v a t o r i o di Milano a g g i u n g e n d o di tasca p r o p r i a un sussidio a quello stanziato dal Monte di Pietà locale, che n o n smise mai di rinfacciarlo a G i u s e p p e p r o v o c a n d o n e il risentimento. Ancora t r e n t ' a n n i d o p o , già ricco e famoso, Verdi scriveva dei bussetani: «So benissimo che molti, p a r l a n d o di m e , van s u s s u r r a n d o u n a frase, che n o n so più se ridicola o i n d e g n a : Eabbiam fatto noi... Se mi si rinfaccia questo benefizio, posso ancora r i s p o n d e r e : Signori, ho ricevuto quattro anni di pensione, 25 franchi al mese, 1200 in tutto. Ho portato con onore il vostro nome in tutte le parti del mondo. Ciò vale bene 1200franchi!» Ma al Conservatorio lo bocciarono p e r «mancanza di attitudini», e dovette a n d a r e avanti con lezioni private p a g a t e dal b r a v o Barezzi, fin q u a n d o a Busseto m o r ì l'organista della Cattedrale, e Verdi concorse al suo posto. Per un intrigo di preti gli fu preferito u n o strimpellatore baciapile. Ma nel p a e s e s c o p p i ò u n a mezza rivolta, che aveva a n c h e u n s o t t o f o n d o politico. I «coccardini», c o m e si c h i a m a v a n o i fautori di Verdi, a g g r e d i r o n o quelli del suo rivale che si chiamavano «codini», ci furono tafferugli e b a s t o n a t u r e per465
fino in chiesa, e dovette i n t e r v e n i r e la duchessa Maria Luigia, cui G i u s e p p e si e r a p e r s o n a l m e n t e a p p e l l a t o . Essa gli diede ragione, ma q u a n d o già al giovanotto si e r a n o a p e r t e altre prospettive. Rientrato a Milano, un giorno era capitato al Teatro Filodrammatici, dove si provava un O r a t o r i o di H a y d n . Il m a e stro c o n c e r t a t o r e , c h e doveva a c c o m p a g n a r e l'orchestra al piano, n o n si p r e s e n t ò , e Verdi fu p r e g a t o di sostituirlo. Trascinato dalla musica, c o n t i n u a n d o a s u o n a r e con u n a m a n o , con l'altra cominciò a d i r i g e r e , e lo fece in tale m o d o che i mecenati presenti, entusiasti, gli affidarono l'esecuzione del concerto che fu eseguito, con i m m e n s o successo, davanti all'arciduca Ranieri e all'Arciduchessa. Fin allora nessuno si e r a accorto di quel giovanotto alto e filiforme, col volto pallido incorniciato da u n a b a r b e t t a nera, e rivestito di p a n n i contadini, anche p e r c h é lui, selvatico e scontroso, n o n aveva fatto nulla p e r richiamare l'attenzione. Di colpo si trovò famoso, tanto che il Direttore del Filod r a m m a t i c i gli c o m m i s s i o n ò u n ' o p e r a . Q u e s t o gli tolse la voglia di t o r n a r e a B u s s e t o . A v r e b b e p r e f e r i t o l'incarico d'organista nella cattedrale di Monza, oltre tutto molto m e glio retribuito. Ma il suo rifiuto p r o v o c ò a Busseto un'altra sollevazione che p r e s e a bersaglio il p o v e r o Barezzi. E fu p e r t o g l i e r e d a i g u a i il suo b e n e f a t t o r e , c h e Verdi si riaccasò presso di lui e sposò Margherita, «la Ghita dai bellissimi capelli». M e n t r e lei gli metteva al m o n d o u n a b a m b i n a , che m o r ì p o c o d o p o , e un m a s c h i e t t o , egli c o m p o n e v a il suo p r i m o m e l o d r a m m a , Oberto, Conte di S. Bonifacio. C ' i m p i e g ò d u e a n n i . Poi, con lo spartito in tasca, si ritrasferì a Milano, convinto di aver o r m a i in p u g n o il p r o p r i o destino. Cominciar o n o le p r o v e . Ma sul p i ù bello si a m m a l ò il p r o t a g o n i s t a , c h ' e r a il g r a n d e N a p o l e o n e M o r i a n i , d e t t o «il t e n o r e della bella morte», n o n soltanto p e r c h é n e s s u n o sapeva c o m e lui s p i r a r e sulla scena, ma a n c h e p e r il cadaverico pallore del suo volto incavato, assoluta rarità fra i tenori s e m p r e piutto466
sto obesi e rubicondi. L'opera dovett'essere rinviata sine die e forse n o n sarebbe stata mai p i ù r a p p r e s e n t a t a , se la p r i m a d o n n a , G i u s e p p i n a S t r e p p o n i , n o n ne avesse reclamato l'inclusione nel «cartellone» della successiva stagione d ' a u t u n no alla Scala. E r a la salvezza, ma a quella d a t a b i s o g n a v a a r r i v a r c i , e Verdi n o n sapeva c o m e . Lo a i u t ò il s u o c e r o m a n d a n d o g l i qualche soldo. Lo aiutò soprattutto Ghita i m p e g n a n d o senza dirgli nulla le sue p o c h e gioie al M o n t e di Pietà. Era u n a d o n n a dolce, sottomessa, attaccata al suo u o m o n o n p e r c h é era un genio, ma p e r c h é era il suo u o m o . Fu lei a sostenerlo e a i n c o r a g g i a r l o , q u a n d o a n c h e il b a m b i n o m o r ì . Finalm e n t e ( n o v e m b r e del ' 3 9 ) YOberto a n d ò in scena e, a n c h e se n o n fu il trionfo che Verdi si aspettava, fu tuttavia un successo, c h e valse a s c u o t e r l o dalla d e p r e s s i o n e in cui e r a p i o m b a t o . L'editore Ricordi gli c o m p r ò lo spartito p e r d u e mila lire, e l'impresario Merelli gliene offrì dodicimila p e r altre tre o p e r e da c o m p o r r e in otto mesi. Q u e s t o Merelli, che fu insieme la fortuna e la sfortuna di Verdi, e r a un curioso p r o d o t t o del m o n d o teatrale d'allora. Nativo di Bergamo, aveva d e b u t t a t o c o m e librettista del suo c o m p a e s a n o Donizetti, m a l a m a g g i o r p a r t e del t e m p o l a passava a giuocare nelle bische e a escogitare espedienti p e r p a g a r e i debiti. Su questi espedienti n o n sottilizzava, tant'è vero che un g i o r n o lo scoprirono a r u b a r e posate d'argento in casa dei Conti Moroni, di cui suo p a d r e e r a amministrat o r e . Il p o v e r u o m o riuscì a i m p e d i r e c h e il figlio fosse d e n u n z i a t o , ma dietro i m p e g n o di trasferirlo a Milano. Q u i il m a r i u o l o , che d o n i di simpatia doveva a v e r n e , si fece assum e r e c o m e scopino in un'agenzia teatrale, di cui d o p o poco diventò direttore. E di lì spiccò il volo alla carica d'ispettore g e n e r a l e d e g l ' I m p e r i a l i e Regi Teatri c o n u n o s t i p e n d i o astronomico e poteri p r a t i c a m e n t e assoluti in fatto di lirica. C h e di questa molto s'intendesse c'è da d u b i t a r n e p e r c h é la p r i m a o p e r a che commissionò a Verdi, d o p o averlo legato con quel c o n t r a t t o , fu u n ' o p e r a buffa, a s s o l u t a m e n t e in467
compatibile col genio di lui. Verdi l'aveva a p p e n a t e r m i n a ta, che Ghita s'ammalò di meningite e d o p o pochi giorni gli spirò fra le braccia. Q u e s t e sciagure che in poco t e m p o avev a n o d i s t r u t t o la sua famiglia lo a v e v a n o a tal p u n t o t r a u matizzato che n o n riusciva più a r i c o r d a r n e la successione, e ancora tanti anni d o p o , r a c c o n t a n d o la sua giovinezza a Ricordi, oltre alla data di nascita, confondeva a n c h e quelle dei suoi lutti e diceva che moglie e figlioli gli e r a n o m o r t i nello spazio di d u e mesi. Fu il suo p e r i o d o più n e r o . L'opera c a d d e in u n o scroscio di fischi che a lui p a r v e r o u n ' i r r i s i o n e alle sue s v e n t u r e . Amareggiato, t o r n ò a Busseto e si rinchiuse in casa del suocero g i u r a n d o che n o n avrebbe mai più composto. Passava il suo t e m p o a v a g a b o n d a r e p e r la c a m p a g n a e a l e g g e r e b r u t t i r o m a n z i d ' a v v e n t u r a . A Milano t o r n ò solo p e r liquid a r e la casa e ritirare i pochi mobili con cui l'aveva a r r e d a ta. Ma poi ci rimase, in u n a stanzuccia d'affitto, d a n d o lezioni p r i v a t e p e r t i r a r e avanti. Amici n o n ne aveva, e n o n ne cercava. Spesso, p e r n o n uscire, si nutriva di u n a galletta inz u p p a t a nell'acqua. U n g i o r n o , g i r o v a g a n d o nella nebbia, i n c o n t r ò Merelli che gli ricordò il contratto e gli ficcò in tasca, quasi di forza, un libretto, di cui Verdi s'impegnò a fare u n a torcia p e r acc e n d e r e il fuoco. «Strada facendo - raccontò più tardi -, mi sentivo a d d o s s o u n m a l e s s e r e indefinibile, u n a tristezza somma, un'ambascia che mi gonfiava il cuore. Mi rincasai, e con un gesto quasi violento, gettai il manoscritto sul tavolo, f e r m a n d o m i in piedi davanti. Il fascicolo, c a d e n d o sul tavolo, si e r a a p e r t o : senza s a p e r c o m e , i miei occhi fissano la pagina che stava a me innanzi, e mi si affaccia questo verso: Va', pensiero, sull'ali dorate!» Secondo qualche biografo, quel verso lo lesse già solfeggiandolo e con la certezza che quello sarebbe stato l'inno del Risorgimento. Be', lasciamo a n d a r e . Può anche darsi che la melodia la trovasse subito, o quasi. Q u a n t o al Risorgimento, n o n risulta che Verdi ci avesse mai pensato. La cosa è molto 468
p i ù semplice: di q u a n t i g l i e n ' e r a n o fin allora capitati, quel libretto di Solerà, c h e s'intitolava Nabucco, e r a quello c h e meglio si adattava alla sua vocazione p e r i testi biblici. Verdi era un compositore da g r a n d e affresco, bisognoso di movim e n t i scenici di massa, che gli fornissero pretesto ad a m p i , gagliardi, unisoni cori. E questo degli Ebrei che dal lontano esilio p i a n g o n o la p a t r i a p e r d u t a faceva vibrare le sue più autentiche corde. Si mise al lavoro con l'impeto che gli e r a p r o p r i o , q u a n do nel l a v o r o ci c r e d e v a . Le sue p a u r e c o m i n c i a r o n o alle p r o v e . Verdi sapeva che, se a n c h e stavolta avesse fatto fiasco, nessun impresario avrebbe più voluto sapere di lui. Ma a n c h e stavolta i n c o n t r ò il suo a n g e l o c u s t o d e : G i u s e p p i n a Strepponi, s e m p r e p u n t u a l e agli a p p u n t a m e n t i di Verdi col destino. Fu lei a dirgli che l'opera e r a un capolavoro, e qui era sincera. Un p o ' m e n o forse lo era nel pronosticargli un g r a n d e successo. Le predilezioni del pubblico a n d a v a n o anc o r a a l l ' o p e r a settecentesca, t u t t a d u e t t i , m e r l e t t i , cipria, frizzi e sospiri. Era difficile p r e v e d e r e come questo pubblico avrebbe reagito al n u o v o linguaggio verdiano declamatorio e gladiatorio, t u t t o muscoli e urli, senza s f u m a t u r e né riccioli. «Un musicista c o n l'elmo in testa» lo definiva sprezz a n t e m e n t e Rossini. E invece fu un trionfo, come se da un pezzo la gente n o n aspettasse altro. Già Mazzini aveva auspicato l'avvento di un musicista che innalzasse «il coro dalla sfera secondaria e passiva che gli è oggi assegnata alla r a p p r e s e n t a n z a solenne ed intera dell'elemento popolare». Il Va', pensiero compiva p r o prio questo miracolo. Orecchiabile com'era, gl'italiani lo fecero subito loro a d a t t a n d o l o alla p r o p r i a condizione d'esiliati in patria. Q u a n d o l'opera fu data alla Fenice di Venezia tutto il pubblico, in piedi, lo r i p r e s e a p i e n a voce a g i t a n d o b a n d i e r i n e tricolori verso i palchi gremiti di ufficiali austriaci. E a Milano gli organetti di barberia lo s u o n a v a n o p e r le s t r a d e , p r o v o c a n d o v i tali i n g o r g h i che p i ù volte la polizia dovette sgomberarle di forza. 469
«Con q u e s t ' o p e r a si p u ò d i r e c h ' e b b e p r i n c i p i o la m i a c a r r i e r a artistica» scrisse Verdi p i ù t a r d i . Q u e l c l a m o r o s o successo gli spalancò - ed era il '42 - tutte le p o r t e : n o n solo dei teatri, ma a n c h e della società. Le g r a n d i d a m e dell'aristocrazia - la Morosini, la Maffei, la Somaglia, la Soranzo, la Papadopoli - corsero c o m e falene i n t o r n o al n u o v o astro, e se lo d i s p u t a r o n o . Verdi si c o n d u s s e n e i l o r o salotti senza nessun «complesso»: era l'uomo di s e m p r e , rustico e schietto. E n o n sdegnò le grazie, sia p u r e un p o ' appassite, di Gius e p p i n a A p p i a n i «dalle forme fidiache, sospiro dell'Hayez» - scriveva Barbera -, la quale a q u a n t o p a r e le divideva imp a r z i a l m e n t e fra lui e Donizetti. Passare dal m a s c h i o a m plesso dell'uno alle sospirose carezze dell'altro doveva essere u n a ginnastica eccitante. Ma dalla m o n d a n i t à Verdi n o n era u o m o da lasciarsi travolgere. S'era già tuffato in un n u o v o d r a m m a di p o p o l i e di religioni, / Lombardi alla prima Crociata che oltre tutto gli forniva pretesto a un altro coro di patriottico r i m p i a n t o come quello degli Ebrei. E a n c h e q u e s t o e n t r ò subito nell'orecchio degl'italiani, e il successo di Nabucco si r i n n o v ò . Così cominciò p e r lui quel «facchinaggio artistico» che lo p o r t ò a c o m p o r r e quindici o p e r e , e quasi tutte fondamentali, in dieci anni: i dieci «anni di galera» come lui li chiamava con ipocrita rassegnazione. Perché in realtà si sentiva i n t e r a m e n t e se stesso, e felice, solo al pianoforte. Il d e n a r o e il successo li amava. Ma n o n era né p e r cupidigia né p e r ambizione che restava g i o r n a t e e s e t t i m a n e i n t e r e chiuso in casa a cercar motivi e a trascriverli, sibbene p e r un bisogno quasi fisiologico. Di musica era turgido: più che comporla, se ne liberava. A distanza di pochi mesi l'uno dall'altro, sulla tavola dell'editore Ricordi si a m m u c c h i a r o n o gli spartiti di Emani, I due Foscan, Giovanna d'Arco, Alzira, Attila, Macbeth, I Masnadieri, Il Corsaro, La battaglia di Legnano, Luisa Miller, Stiffelio. O r a m a i il t e a t r o lirico italiano e r a Verdi, che ne occupava tutta la scena, e n o n soltanto p e r c h é Rossini era stato ridotto al silenzio dalla sua t o r m e n t o s a malattia e Donizetti mori470
va nel '48. Niente e nessuno poteva resistere alla forza devastatrice di Verdi, al suo scrosciante r o m a n t i c o empito. S e b b e n e o r m a i ricco e trionfante, seguitava a vivere da s t u d e n t e p o v e r o , in un alloggetto d i s a d o r n o e senza conforti. E b u o n p e r lui che ad accudirlo fosse s o p r a v v e n u t o un suo giovane c o m p a e s a n o , Muzio, a n c h e lui allevato da Barezzi p e r farne un musicista. Musicista n o n diventò p e r c h é di talento era totalmente sprovvisto. Ma in c o m p e n s o possedeva sconfinate riserve di umiltà e di dedizione, che mise al servizio del M a e s t r o e di cui il M a e s t r o profittò con esemplare egoismo. Gli faceva far di tutto, da segretario, da cuoca, da lavandaia, ma soprattutto da infermiere. Verdi aveva u n a salute di ferro. Ma nei m o m e n t i di tensione - e in questo p e r i o d o di f o r s e n n a t a creatività lo f u r o n o tutti, senza p a u s e -, i nervi gli si ribellavano e gli p r o c u r a v a n o mali di gola e c r a m p i di stomaco. Allora diventava irascibile e se la rifaceva col p o v e r o «testa rossa», c o m e aveva r i b a t t e z z a t o Muzio p e r via dei suoi fulvi capelli. N o n m e n o imperioso, esigente e d u r o era nei r a p p o r t i di lavoro con editori e impresari: lo dimostra la sua corrispond e n z a con loro, da cui t r a p e l a n o la scaltrezza, la diffidenza e la taccagneria del contadino. Ma si trattava di legittima difesa p e r c h é il m o n d o del teatro era in m a n o ad autentici furfanti che, a lasciarli fare, a v r e b b e r o s p o l p a t o e schiacciato a n c h e lui. Merelli, che ne e r a il c a m p i o n e , n o n esitava p e r e s e m p i o a tagliare pezzi di o p e r a o ad a g g i u n g e r v e n e altri di altro a u t o r e e, p u r g u a d a g n a n d o fior di quattrini coi lavori di Verdi, stintignava sulla messinscena, sui cori, sull'orchestra. D o p o la p r i m a di Attila, Muzio scriveva a Barezzi: «Il sole si è a l z a t o p r i m a che fosse s e g n a t o dalla musica. Il m a r e , invece di essere burrascoso e in tempesta, era placido e senza u n ' o n d a increspata. Attila ha fatto b a n c h e t t o senza lumi nella scena del convito. E q u a n d o viene la b u r r a s c a e il t e m p o r a l e , il cielo è r i m a s t o s e r e n o e l i m p i d o c o m e in un più bel giorno di primavera». Infuriato da tanta disonestà e negligenza, Verdi ebbe con 471
Merelli scontri m e m o r a b i l i , e si rifiutò di dargli Macbeth. Preferì r a p p r e s e n t a r l o a Firenze, dove diventò amico di Ricasoli, C a p p o n i , Niccolini e Giusti. Q u e s t i gli consigliò di a b b a n d o n a r e i soggetti stranieri e di rifarsi a temi nazionali che interpretassero «quella specie di d o l o r e che occupa o r a gli a n i m i di n o i italiani». E siccome il suo librettista Piave n o n si decideva a fornirglielo, Verdi ne commissionò u n o a C a m m a r a n o , che p e r lui scrisse La battaglia di Legnano. La sua fama aveva o r m a i varcato i confini. Lo vollero a L o n d r a p e r I Masnadieri, c h e fu un successo, c o m e oggi si dice, soltanto «di stima». Poi a Parigi p e r il Jerusalem, ch'era un r i a d a t t a m e n t o dei Lombardi. Era in un p e r i o d o poco felice, p r o s t r a t o da u n a r e c e n t e crisi reumatica, stanco e svuotato. Ma, come s e m p r e gli capitava, n o n s e p p e resistere agli adescamenti di un editore locale che gli offriva 24.000 franchi p e r un n u o v o spartito, e p e r lui c o m p o s e il Corsaro. Fu un m e m o r a b i l e fiasco, il secondo della sua luminosa carriera. Ma la sua solita fata t u r c h i n a e r a lì, soccorrevole e confortatrice. Il Nabucco, che aveva d a t o avvio alla gloria di Verdi, aveva s e g n a t o il declino della stella di G i u s e p p i n a S t r e p p o n i . S e b b e n e allora avesse solo t r e n t ' a n n i , aveva c o m i n c i a t o a soffrire di abbassamenti di voce e di deliqui, che poco d o p o l'avevano costretta ad a b b a n d o n a r e le scene. La sua salute era rimasta scossa d a u n d r a m m a sentimentale, s o p p o r t a t o con estrema dignità, ma fra indicibili tormenti. C o n la solita sciocca timoratezza, i nostri biografi h a n n o sorvolato il particolare facendovi solo delle allusioni, che p e r di p i ù e r a n o sbagliate. Essi c r e d e v a n o che il destinatario della sua passione, cui Giuseppina si riferiva con l'iniziale M. nei rari sfoghi che faceva p e r lettera all'impresario fiorentino Lanari, fosse Merelli. C'è voluto u n o studioso inglese, Walker, p e r a p p u r a r e che si trattava invece di Moriani: il quale, r e g o l a r m e n te ammogliato, n o n si e r a più curato né di lei, né dei d u e figli ch'essa gli aveva d a t o . U n a terza gravidanza, i n t e r r o t t a da un aborto, l'aveva definitivamente stroncata e costretta a 472
ritirarsi a Parigi, dove dava lezioni di canto p e r m a n t e n e r e , oltre ai d u e bambini, la m a d r e vedova, d u e fratelli e u n a sorella malata di etisìa. N o n o s t a n t e i trionfi m i e t u t i in g i o v e n t ù , q u e s t a d o n n a coraggiosa e d u r a m e n t e p r o v a t a dalla vita n o n e r a affatto «diva». Anzi, sapeva stare al suo posto, e lo preferiva di sec o n d o p i a n o . Quella c h e n a c q u e fra lei e Verdi n o n fu u n a passione, e forse n e m m e n o un a m o r e , ma un'amicizia che p i a n o p i a n o si trasformò in un affetto p r o f o n d o e d u r a t u r o . Verdi e r a un solitario c h e aveva b i s o g n o di c o m p a g n i a , e n e s s u n o sapeva fargliela come Giuseppina, che intuiva i suoi u m o r i e vi s'intonava docilmente. Lo liberava da tutti i fastidi, e specialmente dalla c o r r i s p o n d e n z a : le lettere di Verdi che r i e m p i o n o c i n q u e grossi volumi, sono in realtà lettere di Giuseppina, che oltre al resto e r a più colta e sapeva scriv e r e meglio di lui. Essa s e p p e a n c h e s o p p o r t a r n e le d e b o lezze e meschinerie. Verdi, che p e r mentalità e r a un piccolo-borghese, p e r molti a n n i si v e r g o g n ò della sua relazione con questa d o n n a di t e a t r o m a d r e di d u e bastardi, e la nascose agli occhi del m o n d o p e r p a u r a delle maldicenze. Maldicenze infatti ce ne furono specie a Busseto, dove i d u e si rifugiarono. Tutti g r i d a r o n o allo scandalo e trattarono Giuseppina c o m e un'appestata, c o m p r e s o Barezzi. Verdi si ritirò in c a m p a g n a r o m p e n d o a n c h e con lui, ma lo screzio fu di breve d u r a t a , e ad aggiustarlo fu p r o p r i o Giuseppina. L'antico benefattore fu conquistato da lei tanto che p r e s e a chiamarla «la mia quasi figlia». P u r e , d o v e t t e r o t r a s c o r r e r e dodici a n n i p r i m a che Verdi si decidesse a sposarla. Più tard i q u a n d o lui, o r m a i s e s s a n t e n n e , s ' i n n a m o r ò d i Teresa Stolz, l'interprete di Aida e, quel che è peggio, ne fece ostentazione, G i u s e p p i n a s o p p o r t ò in silenzio l'affronto, e n o n certo p e r indifferenza. «La t u a lettera di m a r t e d ì - gli scrisse a Milano - e i miei p r e s e n t i m e n t i mi consigliano di declin a r e l'offerta che mi fai di venire ad assistere alle p r o v e della Forza del Destino. Tollera d u n q u e che il mio c u o r e esacerbato trovi la dignità del rifiuto, e Dio ti p e r d o n i l'acutissima 473
e umiliante ferita che mi hai recato.» Verdi rispose p o r t a n dole in casa la rivale, e Giuseppina l'accolse con g r a n d e cordialità qualificando «infami e stolte dicerie» le voci che corr e v a n o sul c o n t o di lei e di suo m a r i t o . Ma alla sua amica Maffei confidava: «Non c r e d o più n i e n t e e n e s s u n o . Q u a n do q u a l c u n o dice di volermi b e n e , rido». Nei p r i m i t e m p i l'unione era stata perfetta, e Verdi si era t a l m e n t e affezionato a quella vita di c a m p a g n a i n s i e m e a G i u s e p p i n a c h e n o n voleva p i ù lasciarla. «Verrà il g i o r n o - brontolava - che smetterò di scrivere o p e r e p e r dedicarmi ai cavoli.» Ma i n t a n t o le o p e r e seguitavano ad assorbirlo, e anzi fu in q u e s t o p e r i o d o di q u i e t e che c o m p o s e i suoi tre c a p o l a v o r i . Q u a n d o s e p p e che Verdi lavorava a u n m e l o d r a m m a che aveva p e r protagonista un gobbo, il sovrintend e n t e della «Fenice» di Venezia s ' i m p a u r ì . «E p e r c h é no? - rispose p e r lettera Verdi, cioè G i u s e p p i n a . - Io trovo a p p u n t o bellissimo r a p p r e s e n t a r e q u e s t o p e r s o n a g g i o estern a m e n t e d e f o r m e e ridicolo, e i n t e r n a m e n t e appassionato e p i e n o d'amore.» A M a n t o v a c'è un palazzotto che viene indicato alla curiosità dei turisti c o m e la casa di Rigoletto. In realtà il librettista Piave aveva attinto il suo intreccio alla Corte del Re di Francia Francesco I. Trasferito in un a m b i e n t e italiano, quel soggetto fu definito dalla c e n s u r a degli Stati italiani, compresa quella dello Stato pontificio affidata a Gioacchino Belli, « d ' u n a r i b u t t a n t e i m m o r a l i t à e o s c e n a trivialità». Ma il p u b b l i c o n o n fu dello stesso p a r e r e e d e c r e t ò a l l ' o p e r a il trionfo. Col Trovatore, Verdi t o r n ò ai suoi abituali centoni medievaleschi, con cui o r m a i a n d a v a sul sicuro, t a n t o ci aveva la m a n o . Ma con la Traviata sapeva di rischiar grosso. N o n solo p e r c h é u n a p r o t a g o n i s t a cortigiana n o n si e r a mai vista. Ma a n c h e p e r c h é , assuefatto all'alone della l e g g e n d a e alla magia dei costumi, e r a difficile p r e v e d e r e c o m e il pubblico avrebbe reagito a un d r a m m a m o d e r n o , con p e r s o n a g g i vestiti c o m e quelli di tutti i giorni e che avevano la pretesa di 474
vivere u n a vicenda di tutti i giorni. Eppoi, c'era a n c h e il p e ricolo c h e q u e s t o p u b b l i c o trovasse q u a l c h e a n a l o g i a t r a Violetta e G i u s e p p i n a , t r a Alfredo e Verdi, fra G e r m o n t e Barezzi. P e r c h é , s e c o n d o alcuni biografi, e r a n o state p r o prio queste analogie a far scegliere a Verdi quel soggetto e a fornirgli l'ispirazione. Il pubblico infatti reagì male e fischiò, ma solo la p r i m a sera. Via via che le repliche si susseguivan o , i fischi furono s e m p r e p i ù sommersi dagli applausi, che alla fine c u l m i n a r o n o a n c h e stavolta nelle ovazioni. Verdi n o n e r a lì a soffrire e a g o d e r e quella c o n t r a s t a t a vittoria. Insieme a Giuseppina, era t o r n a t o a Parigi, in tempo p e r assistere all'ascesa di N a p o l e o n e p r i m a alla Presidenza della Repubblica e poi al t r o n o imperiale. Ma e r a n o avv e n i m e n t i che sulla sua pelle scivolavano senza lasciarvi seg n o p e r c h é della politica afferrava solo ciò che si traduceva in suggestione collettiva e in vibrazione di entusiasmi. I suoi c o n t e n u t i ideologici gli sfuggivano c o m p l e t a m e n t e . Nel '48 e r a stato r e p u b b l i c a n o p e r c h é a L o n d r a aveva conosciuto Mazzini e d'ispirazione repubblicana e r a n o le «Cinque Giornate» di cui s'era trovato testimone. O r a , c o m e tanti altri italiani, si stava c o n v e r t e n d o alla causa del P i e m o n t e m o n a r chico forse a n c h e p e r c h é il pubblico acclamava in V . E . R . D . I . la sigla di Vittorio E m a n u e l e Re d'Italia: u n a c o i n c i d e n z a che contribuì di certo ai suoi clamorosi successi. Il g r i d o di «Viva Verdi!» che riecheggiava in tutte le platee e che la p o lizia n o n p o t e v a r e p r i m e r e , n o n e r a soltanto consenso alla sua musica, ma a n c h e manifestazione di sentimento patriottico e professione di fede politica. Q u e s t o grido lo lanciarono a n c h e i r o m a n i p e r la p r i m a di Un ballo in maschera che v e n n e r a p p r e s e n t a t a nel '59 p r o p r i o m e n t r e p i e m o n t e s i e francesi ricacciavano gli austriaci dalla L o m b a r d i a . Verdi, c h ' e r a lì ad allestire l'opera, accorse a Busseto p e r seguire p i ù da vicino gli avvenimenti, e fu tra i delegati del Ducato di P a r m a che p o r t a r o n o a Torino i risultati del plebiscito in favore d e l l ' a n n e s s i o n e al P i e m o n t e . Fu l'Ambasciatore inglese H u d s o n c h e lo p r e s e n t ò a Cavour, il q u a l e lo volle a 475
tutti i costi d e p u t a t o nel p r i m o P a r l a m e n t o italiano che si riunì nel ' 6 1 . Verdi cercò di sottrarsi, poi accettò contro voglia, ma alla C a m e r a n o n prese mai la parola. Tutta la sua attività politica consistette nell'alzarsi q u a n d o C a v o u r si alzava e nel sedersi q u a n d o C a v o u r si sedeva. «Dovendo fare la mia biografia come m e m b r o del P a r l a m e n t o - scrisse a Piave quattr'anni d o p o -, n o n vi sarebbe altro che i m p r i m e r e in mezzo di un bel foglio di carta: i 450 n o n sono v e r a m e n t e che 449 p e r c h é Verdi c o m e d e p u t a t o n o n esiste.» Alla fine p r e ferì a n d a r s e n e a P i e t r o b u r g o ad allestirvi La forza del Destino, e nel '65, q u a n d o scadde la legislatura, si rifiutò di ripresentarsi c a n d i d a t o p e r quella successiva. L'unico che avrebbe p o t u t o indurvelo, Cavour, o r m a i e r a m o r t o . Aveva finalmente sposato G i u s e p p i n a , e s e m b r a v a che p i ù nulla gli m a n c a s s e : e r a ricco, celebre, e r o e n a z i o n a l e . Ma aveva l'impressione che il pubblico, p u r t e n e n d o l o sull'altare, gli voltasse le spalle c o m e se, conclusa l'età eroica del Risorgimento, avesse furia di sbarazzarsi a n c h e del suo c a n t o r e . N o n e r a v e r o : il p u b b l i c o gli restava fedele. Ma qualcosa stava effettivamente c a m b i a n d o nei gusti dell'elite che, sensibile al richiamo della n u o v a musica sinfonica tedesca, considerava l ' o p e r a lirica sorpassata e lui, che ne r a p p r e s e n t a v a l'incarnazione, un c o m p o s i t o r e t r o p p o «facile», anzi facilone. Suscettibile com'era, Verdi se ne sentiva offeso, e dalla sua casa di c a m p a g n a a n n u n c i a v a a tutti propositi di ritiro. Poi la passione e l'orgoglio e b b e r o il sopravvento. Rielaborò il Macbeth facendovi u n o sfoggio di mezzi tecnici che lasciò confusi i suoi detrattori, e nel '67 p o r t ò sulle scene di Parigi il Don Carlos che sbalordì i critici p e r la sapienza dell'orchestrazione. Ma n e m m e n o quella rivincita bastò a ridargli la gioia di vivere. P r o p r i o quell'anno m o r i v a n o suo p a d r e e Barezzi, e il suo c a r a t t e r e diventava s e m p r e più suscettibile e o m b r o so. Restituì la C o m m e n d a della C o r o n a d'Italia, di cui era stato insignito, al Ministro Broglio che aveva d e p l o r a t o la 476
decadenza del m e l o d r a m m a italiano d o p o Rossini, e r u p p e i r a p p o r t i col maestro Mariani, suo devoto amico, n o n solo p e r c h é aveva d i r e t t o il Lohengrin, ma a n c h e p e r c h é aveva avuto u n a relazione con Teresa Stolz, l'ultimo suo a m o r e e il p i ù t e m p e s t o s o . Q u a n d o di lì a p o c o M a r i a n i m o r ì , roso d a u n c a n c r o , c o m m e n t ò f r e d d a m e n t e : «Per l'arte, è u n a perdita». Il trionfo del Lohengrin, cui aveva assistito di nascosto, nel r e t r o di un palco, lo aveva m a n d a t o fuori di sé. «L'unico p r o g r e s s o è il r i t o r n o all'antico» disse furente. E fu p e r dimostrarlo coi fatti, ma a n c h e p e r d a r e alla Stolz la p a r t e più c o n g e n i a l e a i suoi possenti mezzi c a n o r i , c h e p o s e m a n o all'Aida. A n c h e q u e s t ' o p e r a fu un trionfo sia al Cairo, dove p e r p r i m a fu data, che alla Scala. Ma n e m m e n o questo bastò a dissipare la tristezza di Verdi: la relazione con Teresa tanto p i ù lo t u r b a v a q u a n t o m e n o G i u s e p p i n a gliela faceva pesare. La m o r t e di M a n z o n i lo colpì p r o f o n d a m e n t e . Lo chiamava «il Santo, g r a n d e , assoluto, indiscutibile», e il p e r c h é di t a n t a a m m i r a z i o n e lo si capisce facilmente. I ritmi della poesia di M a n z o n i («S'ode a destra u n o squillo di tromba») sono quelli delle sue melodie («Sì, vendetta, t r e m e n d a vendetta»). Alla Contessa Maffei aveva scritto poco p r i m a : «Io, timidissimo un giorno, o r a n o n lo sono più. Ma avanti Manzoni mi sento così piccolo (e notate b e n e che sono orgoglioso come Lucifero) che n o n trovo quasi mai la parola. Q u a n do lo v e d e t e , baciategli la mano». Ma, c o m e al solito, il suo dolore lo sfogò al pianoforte c o m p o n e n d o in o n o r e del suo idolo quella Messa da Requiem che basterebbe da sola a smentire le accuse di faciloneria rivolte a Verdi e che r a p p r e s e n t a u n o dei più g r a n d i capolavori musicali di tutti i tempi. C o n quest'ultimo trionfo considerava conclusa la sua carriera. S'era ritirato definitivamente in c a m p a g n a , e q u a n d o lo n o m i n a r o n o Senatore, tardò un a n n o a presentarsi per prestare g i u r a m e n t o , chiese di essere p e r s e m p r e dispensato dalle s e d u t e , e infatti n o n ci mise mai becco né p i e d e . Per 477
fortuna, i r a p p o r t i con Giuseppina si addolcivano via via che quelli con Teresa a s s u m e v a n o i toni di un'affettuosa amicizia. Essa veniva spesso dai Verdi, faceva l u n g h i soggiorni presso di loro, e Giuseppina n'era contenta p e r c h é l'aiutava a d i s t r a r r e q u e l l ' u o m o s e m p r e più taciturno e imbronciato. Il fatto è che Verdi n o n sapeva come r i e m p i r e le sue giornate. Altri interessi, fuorché la musica, n o n aveva. N o n leggeva, n o n seguiva gli a v v e n i m e n t i politici, e l'unico capriccio che un p o ' lo teneva occupato era u n a collezione di autografi. O g n i tanto veniva Ricordi a sollecitarlo a r i p r e n d e r e il lavoro, ma n o n incontrava che rifiuti, e spesso anche sgarbati. Un g i o r n o del '79 lo invitarono a dirigere a Milano la sua Messa a beneficio delle vittime d ' u n ' i n o n d a z i o n e . Ci a n d ò contro voglia, ma le accoglienze furono tali da incrinare anche la sua scontrosità. L'albergo Milan d o v e alloggiava e r a decorato da un i m m e n s o «Viva Verdi!» di fiori e via Manzoni traboccava di g e n t e o s a n n a n t e . Q u a n d o si affacciò al balcone p e r ringraziarla, un'orchestra a d u n a t a dal maestro Faccio gli rispose i n t o n a n d o la sinfonia del Nabucco e il p r e ludio del terzo atto della Traviata. Verdi e r a sopraffatto dalla c o m m o z i o n e . E se ne accorse n o n solo Ricordi, ma a n c h e un certo Arrigo Boito, intimo di Faccio, con cui aveva combinato quella manifestazione. Boito e r a u n o di quegli «avveniristi», c o m e allora si chiamavano i compositori d ' a v a n g u a r d i a , c o n t r o i quali Verdi più tuonava e che p i ù avevano t u o n a t o c o n t r o Verdi. A n n i p r i m a , aveva fatto un brindisi all'arte italiana «perché la scappi fuori un m o m e n t i n o - dalla cerchia del vecchio e del cretino», e all'oltraggioso distico aveva aggiunto questi altri versi: «Forse già n a c q u e chi s o p r a l'altare - rizzerà l'arte, v e r e c o n d o e p u r o , - su quell'aitar b r u t t a t o c o m e un m u r o - di l u p a n a re». Verdi ci aveva visto un insulto p e r s o n a l e , q u a l e r a , e aveva iscritto il n o m e di Boito sul suo libro n e r o che di nomi e r a g r e m i t o : quelli di tutti gli amici che aveva via via rip u d i a t o , m a g a r i p e r u n a sciocchezza, p e r c h é Verdi di amici n o n ne voleva; voleva soltanto dei servitori, come Muzio. 478
Da allora e r a n o passati p a r e c c h i a n n i , e Boito, a u t o r e d e l l ' o p e r a i n s i e m e p i ù a p p l a u d i t a e p i ù fischiata di tutti i t e m p i - Mefistofele - si e r a r i c r e d u t o sul conto di Verdi. Ma n o n Verdi su quello di Boito, n o n o s t a n t e i tentativi di r a p pacificazione fatti dalla Contessa Maffei, amica di e n t r a m b i , e dallo stesso Faccio che, d o p o la m o r t e di Mariani, e r a div e n t a t o il p i ù g r a n d e i n t e r p r e t e di Verdi. O r a Boito stava c o m p o n e n d o faticosamente un'altra o p e r a , Nerone (cui lavor e r à p e r tutta la vita e che sarà data solo d o p o la sua m o r t e , nel '24), ma la sua g r a n d e a m b i z i o n e era di d i v e n t a r e il librettista di Verdi. A m m o r b i d i t o dalle accoglienze milanesi, il r a n c o r o s o e cocciuto vecchio accettò di discutere con lui qualche p r o g e t to. Ma con la solita p r u d e n z a c o n t a d i n a volle p r i m a metterlo alla p r o v a con un lavoro di m i n o r e i m p e g n o : il r i m a n e g g i a m e n t o di Simon Boccanegra. Rimase sorpreso dagli effetti che s o r t i r o n o i ritocchi a p p o r t a t i da Boito al libretto. Ai libretti, Verdi n o n aveva mai dato peso, e i loro autori - C a m m a r a n o , Piave, S o m m a , Solerà - ne a v e v a n o a p p r o f i t t a t o p e r lardellarli di versi c o m e «Sento l'orma dei passi spietati» o «così furtiva palpita la gioia nel dolor», o «attenuato come u n o scheletro». Verdi n o n ne avvertiva il grottesco, e n o n se ne curava. Per lui le p a r o l e n o n e r a n o che vocali accentate da t r a s f o r m a r e in n o t e musicali. Q u a n t o ai p e r s o n a g g i che le p r o n u n c i a v a n o , si contentava dei grossolani archetipi, dei manichei manichini che gli fornivano: il b u o n o (quasi semp r e il t e n o r e ) c o n t r o il cattivo (quasi s e m p r e il b a r i t o n o ) , e in mezzo il s o p r a n o , i n n a m o r a t a del p r i m o e vittima del sec o n d o . Limata da Boito e p u r g a t a delle sue grossolanità, l'op e r a acquistò u n ' i n t e n s i t à d r a m m a t i c a e accenti di verità u m a n a che sbalordirono Verdi e gli fecero d ' u n tratto capire quale e r r o r e aveva commesso t r a s c u r a n d o i testi. Boito ne aveva p r o n t o u n o tratto da u n a delle più celebri tragedie di Shakespeare: Otello. Verdi ne fu insieme tentato e spaurito. L'eroe n o n era dei soliti, e n o n solo p e r il colore della p e l l e , m a a n c h e p e r l a complessità d e l c a r a t t e r e : d i 479
b u o n i c h e s i facevano u c c i d e r e p e r a m o r e n e aveva avuti tanti p e r l e m a n i ; m a q u e s t o che p e r a m o r e uccideva, p u r r e s t a n d o b u o n o , gli riusciva assolutamente n u o v o . E p p u r e , quel personaggio lo tentava. Cominciò a lavorarci, smise, ricominciò. La p a r t i t u r a di quell'opera fu la sua gioia e il suo tormento per cinque anni, dall"81 all"86. Ma q u a n d o la m a n d ò a Boito, fu invaso dalla tristezza. Si era affezionato al «cioccolatte», c o m e c h i a m a v a il suo e r o e , c o m e a un figlio difficile e ribelle. «Povero Otello! N o n t o r n e r à più qui!» scrisse. «Sarà Lei - rispose Boito - che a n d r à a trovarlo alla Scala. Otello è. Il g r a n s o g n o s'è fatto realtà.» Se l'era già suonato al pianoforte e aveva capito ch'era il n u o v o capolavoro di un Verdi nuovo. Lo capì anche il pubblico che gli decretò il trionfo. Verdi c o m p a r v e sulla scena t e n e n d o p e r m a n o Boito, e a n c h e i più arrabbiati avveniristi dovettero mescolare i loro applausi a quelli della platea e del loggione. La critica, u n a n i m e , parlò di «prodigio» e riconobbe che Verdi aveva dimostrato di «avere ancora molto da dire». Verdi n o n era dello stesso p a r e r e . «La mia lunga carriera è chiusa» scrisse al sindaco Negri, e ancora u n a volta, tornato nella sua casa di c a m p a g n a , fu alle p r e s e con vuote e lente g i o r n a t e . Quasi tutti i protagonisti del suo t e m p o e r a n o morti: Cavour, Vittorio E m a n u e l e , Mazzini, Pio IX, Garibaldi. E r a n o m o r t i i suoi amici: C l a r i n a Maffei, la Somaglia, Giulio C a r c a n o , O p p r a n d i n o A r r i v a b e n e , e o r a stava p e r a n d a r s e n e anche Muzio che aveva seguitato a fargli, più che da segretario, da a t t e n d e n t e . Ma a rimpiazzarli tutti, o r a c'era Boito con un altro libretto in m a n o : u n ' o p e r a buffa. D a p p r i m a Verdi n o n volle n e a n c h e leggerla. L'opera buffa evocava in lui il ricordo più d r a m m a t i c o della sua vita: il fiasco di Un giorno di Regno che aveva rischiato di precludergli la carriera di compositore e fatto dire a Rossini che Verdi era un musicista da lavori pesanti, cui e r a n e g a t a la grazia. Ma Boito lo convinse che p r o p r i o q u e s t o giudizio doveva smentire, e tanto fece l a v o r a n d o sul suo orgoglio e tanto lo 480
aizzò alla rivalsa, che alla fine gli fece leggere il suo Falstaff. Q u e l p e r s o n a g g i o p a n c i o n e con le sue c o m a r e l l e gli piacque, e p e r la p r i m a volta egli gustò il piacere, cui si credeva d a m a d r e n a t u r a n e g a t o , d i u n a musica bisbigliata, invece che urlata, e tutta s p u m a , invece che cateratta. Forse la p r o va gli riuscì p e r c h é gli e r a capitata al m o m e n t o o p p o r t u n o , q u a n d o l'età aveva s m o r z a t o il suo g o r g o g l i a n t e e m p i t o d r a m m a t i c o la sua p r e p o t e n z a . I m p i e g ò d u e a n n i a finire la partitura, e il trionfo di Otello si ripetè. M a stavolta e r a p r o p r i o l'ultimo, s e b b e n e o r m a i tutti avessero smesso di crederci. Il p a n c i o n e girava il m o n d o dov u n q u e acclamato. I critici si scervellavano a spiegare il miracolo di q u e l l ' o t t a n t e n n e q u e r c e che ad ogni stagione rinnovava le sue f r o n d e . Sul suo tavolo si accatastavano teleg r a m m i di felicitazioni e di omaggio. Ma Verdi era triste: la musica aveva smesso d i z a m p i l l a r e d e n t r o d i lui. Q u a n d o s e p p e che il Re voleva dargli il Collare dell'Annunziata, lo p r e g ò di astenersene. E q u a n d o il Conservatorio di Milano gli chiese il p e r m e s s o di fregiarsi del suo n o m e , rifiutò: n o n aveva a n c o r a d i g e r i t o la b o c c i a t u r a di s e s s a n t a n n i p r i m a , e p p o i tutto questo baccano lo infastidiva. Aveva terribilmente sofferto q u a n d o s e m b r a v a c h e il p u b b l i c o s e d o t t o dalla n u o v a musica wagneriana, gli voltasse le spalle. O r a che tornava in massa a lui, n o n sapeva che farsi dei suoi osanna. E n e a n c h e dei soldi sapeva che farsi. Ne aveva accumulati tanti a furia di n o n s p e n d e r e . C o m p r ò un vasto t e r r e n o alla periferia di Milano p e r erigervi u n a Casa di Riposo p e r i musicisti p o v e r i e anziani. Destinò g r a n p a r t e dei suoi diritti d ' a u t o r e all'ospedale di Villanova d'Arda. Anche fisicamente declinava. «Sono mezzo sordo, mezzo cieco, parlo a stento...» Ai p r i m i del '97 ebbe un l u n g o svenimento che fece p e n sare a l p e g g i o . M o r ì invece G i u s e p p i n a , s t r o n c a t a d a u n a p o l m o n i t e . Fu un colpo terribile p e r il vegliardo: p r o p r i o a tutti, oltre che a se stesso, era d u n q u e c o n d a n n a t o a sopravvivere? Il t e m p o passava più lento che mai nella sua vuota 481
casa di c a m p a g n a . Si ritrasferì a Milano nel solito albergo di Via M a n z o n i . E qui, nel g e n n a i o del 1 9 0 1 , fu colto da u n a paralisi che gl'immobilizzo il lato destro. Spirò sei giorni dop o , senz'aver r i p r e s o conoscenza. «Per i funerali, b a s t e r a n no d u e preti, u n a candela e u n a croce» aveva lasciato scritto. E la sua volontà fu rispettata. Ma un mese d o p o , q u a n d o la sua salma fu traslata, insieme a quella di Giuseppina, dal Cimitero M o n u m e n t a l e alla cripta della Casa di Riposo, tutta Milano era lì, e furono le vere esequie del Risorgimento. Un coro intonò: «Va', pensiero, sull'ali dorate». Lo dirigeva un giovane maestro suo quasi c o m p a e s a n o : A r t u r o Toscanini, che a n c h e noi abbiamo fatto in t e m p o a conoscere e a p plaudire a lungo. N o n s e m b r a ieri. Lo è.
CRONOLOGIA
1 8 3 1 - Nasce a Marsiglia la «Giovine Italia». 1 8 3 2 - Gennaio. A Cesena e Forlì scoppiano sollevazioni contro il malgoverno pontificio. 1 8 3 2 - Febbraio. I francesi sbarcano ad Ancona. 1 8 3 4 - Febbraio. In Savoia fallisce la prima impresa mazziniana. 1 8 3 9 - Si inaugura a Pisa il I Congresso degli scienziati. 1 8 3 9 - Ottobre. Inaugurazione della prima ferrovia Napoli-Portici. 1 8 4 3 - Fallimento dei moti mazziniani in Romagna. 1 8 4 4 - Luglio. In Calabria vengono fucilati i fratelli Bandiera. 1 8 4 5 - Settembre. Moti insurrezionali di Rimini. 1 8 4 6 - 1° giugno. Muore Gregorio XVI. 1 8 4 6 - 16 giugno. Viene eletto Papa il cardinale Giovanni Mastai Ferretti, che assume il nome di Pio IX. 1 8 4 7 - 5 luglio. Pio IX concede la creazione della Guardia civica. 1 8 4 7 - 1° settembre. Insurrezione a Messina ed a Reggio Calabria. 1 8 4 7 - 8 settembre. Appello di Mazzini a Pio IX per l'unità d'Italia. 1 8 4 8 - 12 gennaio. Insurrezione a Palermo. 1 8 4 8 - 11 febbraio. Il Re delle Due Sicilie, Ferdinando II, concede la Costituzione. 1 8 4 8 - 17 febbraio. Il Granduca di Toscana promulga la Costituzione. 491
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1 8 4 8 - 4-5 marzo. Carlo Alberto promulga lo Statuto. 1 8 4 8 - 18-23 marzo. Cinque giornate di Milano. 1 8 4 8 - 22 marzo. Viene proclamata la Repubblica di San Marco. 1 8 4 8 - 23 marzo. Il Piemonte dichiara guerra all'Austria. 1 8 4 8 - 25 luglio. I Piemontesi vengono sconfitti à Custoza. 1 8 4 8 - 9 agosto. Armistizio di Salasco. 1 8 4 8 - 15 novembre. Viene ucciso a Roma Pellegrino Rossi. 1 8 4 8 - 24-25 novembre. Pio IX fugge a Gaeta. 1 8 4 9 - 5 febbraio. Leopoldo II abbandona la Toscana. 1 8 4 9 - 9 febbraio. Viene proclamata la Repubblica Romana. 1 8 4 9 - 23 marzo. Novara. Carlo Alberto abdica in favore del figlio Vittorio Emanuele II. 1 8 4 9 - Maggio. Ferdinando II abolisce la Costituzione. 1 8 4 9 - 7 maggio. Primo Ministero D'Azeglio. 1 8 4 9 - 11 maggio. Ritorno in Toscana di Leopoldo III. 1 8 4 9 - 6 agosto. A Milano si conclude la pace tra l'Austria e il Piemonte. 1 8 5 0 - 12 aprile. Pio IX rientra a Roma. 1 8 5 0 - 11 ottobre. Cavour entra nel Ministero D'Azeglio. 1 8 5 2 - Febbraio. Cavour annuncia alla Camera l'alleanza parlamentare detta il «connubio». 1 8 5 2 - 11 maggio. Rattazzi presidente della Camera. 1 8 5 2 - 4 novembre. Primo Ministero Cavour. 1 8 5 4 - 10 aprile. Alleanza franco-inglese contro la Russia. 1 8 5 5 - 10 gennaio. Adesione del Piemonte all'alleanza franco-inglese. 1 8 5 5 - 16 agosto. Truppe sarde partecipano alla guerra di Crimea. 492
1 8 5 6 - 24 maggio. Gli austriaci si ritirano dalla Toscana. 1 8 5 7 - 16 aprile. Rottura dei rapporti diplomatici tra Austria e Regno Sardo. 1 8 5 7 - Luglio. Carlo Pisacane e i suoi compagni vengono trucidati a Sapri. 1 8 5 8 - 14 gennaio. Attentato di Orsini contro Napoleone III. 1 8 5 8 - 21 luglio. Incontro a Plombières tra Napoleone III e Cavour. 1 8 5 9 - 10 gennaio. Il «grido di dolore». 1 8 5 9 - 24 gennaio. Trattato segreto di alleanza tra Piemonte e Francia. 1 8 5 9 - 28 aprile. L'Austria dichiara la guerra. 1 8 5 9 - 8 giugno. I franco-piemontesi entrano a Milano. 1 8 5 9 - 8 luglio. Armistizio di Villafranca. 1 8 5 9 - 12 luglio. Dimissioni di Cavour. 1 8 5 9 - Agosto-settembre. Le assemblee costituenti della Toscana, di Modena, di Parma e delle Legazioni votano l'annessione al Piemonte. 1 8 6 0 - 21 gennaio. Cavour riprende la direzione del governo. 1 8 6 0 - 22 aprile. Savoia e Nizza sono cedute alla Francia. 1 8 6 0 - 5 maggio. Partenza dei Mille da Quarto. 1 8 6 0 - 15 maggio. Vittoria di Garibaldi a Calatafimi. 1 8 6 0 - 20 agosto. Garibaldi passa lo Stretto di Messina. 1 8 6 0 - 7 settembre. Garibaldi entra a Napoli. 1 8 6 0 - 18 settembre. Vittoria dei piemontesi sui pontifici a Castelfidardo. 0
1 8 6 0 - 1 ottobre. Garibaldi sconfìgge le truppe di Francesco II al Volturno. 1 8 6 0 - 26 ottobre. Vittorio Emanuele II e Garibaldi s'incontrano a Teano. 1 8 6 1 - 17 marzo. Proclamazione del Regno d'Italia.