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Ernesto Balducci
Storia del pensiero umano Volume terzo
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Edizioni Cremonese
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Capitolo 1
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IL ROMANTICISMO TEDESCO, p. 2 - 1.1 La Germania dell'eta romantica, p. 2 -1.2 La nostalgia dell'archetipo, p. 4 - 1.3 Estetica e religione, p. 7 - 1.4 Le premesse dell'idealismo, p. 9 FICHTE, p. 12 - 1.5 L'idealismo, una rivoluzione, p. 12 - 1.6 L'infinita dell'Io, p. 14 - 1.7 Idealismo etico, p. 15 - 1.8 11 problema di Dio e Ia 'svolta' di Fichte, p. 17 - 1.9 Lo Statn, p. 18 - 1.1 0 La nazi one nella storia dell'umanita, p. 19 SCHELLING, p. 20 - 1.11 L'itinerario filosofico, p. 20 - 1.12 La filosofia dell'identita, p. 22 - 1.13 La filosofia della natura, p. 24 - 1.14 La filosofia dello Spirito, p. 26 - 1.15 L'arte, organo della filosofia, p. 27 1.16 La 'svolta' mistica, p. 28- 1.17 La filosofia positiva, p. 30
Capitolo 2 HEGEL: LA PREPARAZIONE, p. 32 - 2.1 ltinerario formativo, p. 32 - 2.2 La Fenomenologia dello Spirito, p. 36 HEGEL: LO SPIRITO SOGGETTIVO, p. 40 - 2.3 La logica, p. 40 - 2.4 Filosofia della natura, p. 44- 2.5 Filosofia dello Spirito soggettivo, p. 46 HEGEL: LO SPIRITO OGGETTIVO, p. 47 - 2.6 Filosofia dello Spirito oggettivo, p. 47- 2.7 Lo Spirito oggettivo: lo Stato, p. 49 HEGEL: LO SPIRITO ASSOLUTO, p. 51 - 2.8 La filosofia dello Spirito assoluto, p. 51 - 2.9 Lo Spirito assoluto: l'arte, p. 51 - 2.10 Lo Spirito assoluto: la religione, p. 53 - 2.11 Lo Spirito assoluto: la filosofia, p. 53 HEGEL: LA VERITA' COME STORIA, p. 54 - 2.12 Filosofia della storia, p. 54 - 2.13 L' eurocentrismo, p. 55
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Capitola 3
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L'INGHILTERRA TRA CONSERVAZIONE E RIVOLUZIONE, p. 60- 3.1 La rivoluzione sociale, p. 60 - 3.2) Critica della rivoluzione politica, Burke, p. 61 - 3.3 L'utilitarismo mof;ale. Bentham. Mill, p. 63 - 3.4 Utilitarismo economico. Malthus. Ricardo, p. 66 - 3.5 L'utopia sociale. Owen, p. 70 - 3.6 La reazione romantica. Coleridge. Carlyle, p. 72 LA FRANCIA TRA RIVOLUZIONE E CONSERVAZIONE, p. 74- 3.7 Gli ideologi, p. 74 - 3.8 Tra storia e interiorita: Maine de Biran, p. 77 - 3.9 I tradizionalisti, p. 78 - 3.1 0 11 populism a apo~:::alittico di Lamennais, p. 81 3.11 Gli utopisti: il socialismo di Saint-Simon, p. 82 - 3:12 Gli utopisti: il 'mondo amoroso' di Fourier, p. 84 - 3.13 Gli utopisti: la societa autogestita di Proudhon, p. 86 -3.14 I filosofi del 'giusto mezzo', p. 89
Capitola 4 SCHOPENHAUER, p. 94 - 4.1 Un disertore dell'occidente, p. 94 - 4.2 Derivazione da Kant, p. 95 - 4.3 11 mondo come Volonta, p. 97 - 4.4 Le idee e i concetti, p. 98 - 4.5 La soteriologia, p. 99 - 4.6 Le vie della salvezza: l'arte, p. 100- 4.7 Levie della salvezza: l'ascesi, p. 101 K!ERKEGAARD, p. 103 - 4.8 La metafisica della soggettivita, p. 103 - 4.9 La dialettica qualitativa, p. 107 - 4.10 I tre stadi dell'esistenza, p. 109 4.11 11 paradosso cristiano, p. 111 - 4.12 La malattia 'inortale, p. 112 4.13 11 cavaliere della fede, p. 114 NIETZSCHE, p. 115 - 4.14 Dioniso e Apollo, p. 115 - 4.15 La malattia storica, p. 120 - 4.16 11 rovesciamento dei valori, p. 122 - 4.17 La morte di Dio, p. 125 - 4.18 11 nichilismo, p. 126 - 4.19 La volonta di potenza. Superuomo o oltreuomo? p. 127 - 4.20 L'eterno ritorno, p. 129
Capitola 5 MARX: IL ROVESCIAMENTO DI HEGEL, p. 134 - 5.1 La sinistra hegeliana, p. 134 - 5.2 Dalla riconciliazione alla rivolta, p. 137 - 5.3 L'umanesimo di Feuerbach, p. 139- 5.4 Hegel alla resa dei conti, p. 141 MARX: IL COMUNISMO COME UMANISMO, p. 144 - 5.5 La questione dei 'Manoscritti', p. 144 - 5.6 Critica dell'economia borghese, p. 145 - 5.7 L'aliemtzione religiosa. L'ateismo, p. 147 - 5.8 La dialettica in Hegel e in Marx, p. 149 - 5.9 L'umanismo marxiano, p. 150 - 5.10 11 comunismo, p. 151 MARX: IL MATERIALISMO STORICO, p. 153 - 5.11 11 1845: epilogo e prologo, p. 153 - 5.12 Marx fa parte per se stesso, p. 154 - 5.13 Le 'Tesi su Feuerbach': la filosofia della prassi, p. 156 - 5.14 La base storica delle idee: l'ideologia, p. 157 - 5.15 La sintesi del'Manifesto', p. 159
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MARX: L'ECONOMIA POLITICA, p. 162 - 5.16 La fase scientifica, p. 162 5.17 La teoria del valore, p. 164- 5.18 Aile radici della alienazione: il plusvalore e il fet:kismo, p. 166 - 5.19 Tra scienza ed escatologia, p. 168 ENGELS, p. 170 - 5.20 Marx-Engels, p. 170 - 5.21 II materialismo dialettico, p. 173 Capitola 6
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IN ITALIA: L'EREDITA' DELL'ILLUMINISMO, p; 176 - 6.1 L'Italia e !'Europa, p': 176 - 6.2 Romagnosi: i fattori dell"incivilimento', p. 177 - 6.3 Leopardi: l'eroismo etico, p. 178 - 6.4 Cuoco: il ritorno di Vico, p. 180 6.5 Galuppi: il confronto con Kant, p. 181 IN ITALIA: LA RESTAURAZIONE METAFISICA, p. 183 - 6.6 Rosmini: l'idea dell' essere e Ia nuQva sintesi a priori, p. 183 - 6.7 Rosmini: la metafisica e la morale, p. 186 - 6.8 Rosmini: la societa civile, p. 187 - 6.9 Gioberti: 1' ontologia, p. 188 - 6.10 La formula ideale, p. 191 - 6.11 L'ontologia ,in funzione ideologica: il Primato, p. 191 - 6.12 Gioberti: Ia fase hegeliana, p. 192 IN IT ALIA: IL PENSIERO LAICO, p. 194 - 6.13 Mazzini: dai diritti ai doveri, p. 194 - 6.14 Cattaneo 'le inenti associate', p. 198 - 6.15 L'idealismo partenopeo, p. 200 Capitola 7 COMTE, p. 204 - 7.1 L'utopia della societa organica, p. 204 - 7.2 La Iegge dei 'tre stadi', p. 206 - 7.3 L'Enciclopedia delle scienze, p. 206 7.4 La fisica sociale e Ia 'politica positiva', p. 207 - 7.5 II misticismo umanitario, p. 208 STUART MILL, p. 209 - 7.6 La logica, p. 209 - 7.7 La coscienza come funzione, p. 212 - 7.8 L'utilitarismo qualitativo, p. 213 - 7.9 II liberalismo, p. 214 DARWIN, p. 215 - 7.10 La rivoluzione copernicana della biologia, p. 215 - 7.11 La selezione naturale, p. 218 - 7.12 L'origine dell'uomo, p. 220- 7.13 II darwinismo sociale, p. 221 SPENCER, p. 222 - 7.14 L'evoluzionismo come metafisica, p. 222 - 7.15 L'antropologia evoluzionistica, p. 224- 7.16 L'evoluzione superorganica,p.225 ARDIGO', p. 226 - 7.17 L'evoluzionismo psicologico, p. 226 - 7.18 L'indistinto, p. 228- 7.19 La morale sociale, p. 229 Capitola 8 IL MARXISMO TRA REVISIONISMO E ORTODOSSIA, p. 232 - 8.1 La seconda Internazionale (1889-1914), p. 232 - 8.2 Il revisionismo di Bernstein, p.
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233 - 8.3 L"ortodossia' di Kautsky, p. 235 - 8.4 Il marxismo in Italia: Antonio Labriola, p. 237 - 8.5 Il marxismo in Russia: Plechanov, p. 239 IL MARXISMO RIVOLUZIONARIO, p. 241 - 8.6 Rosa Luxemburg, p. 241 8.7 Lenin, p. 243 - 8.8 Antonio Gramsci, p. 248 - 8.9 Stalin e lo stalinismo, p. 251 IL 'MARXISMO OCCIDENTALE', p. 253 - 8.10 La terza Intemazionale, p. 253 - 8.11 Korsch: il recupero di Hegel, p. 254 - 8.12 Lukacs: storia e coscienza di classe, p. 257 - 8.13 Lukacs: il realismo critico, p. 260 8.14 Bloch: il 'principio speranza', p. 262 ' Capitolo 9
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LO SPIRITUALISMO FRANCESE, p. 267 - 9.1 Il positivismo spiritualista, p. 267 - 9.2 Boutroux: il contingentismo, p. 269 - 9.3 Blonde!: la metafisica dell'azione, p. 271 BERGSON, p. 275 - 9.4 Tempo e durata, p. 275 - 9.5 L'Io: determinismo e liberal, p. 277 - 9.6 Materia e memoria, p. 277 - 9.7 L'evoluzione creatrice, p. 279 - 9.8 Istinto, intelligenza, intuizione, p. 282 - 9.9 Morale e religione, p. 283 IL PERSONALISMO CRISTIANO IN FRANCIA, p. 285 - 9.10 Il clima bergsoniano, p. 285 - 9.11 Maritain: l'umanesimo integrale, p. 288 - 9.12 Mounier: la rivoluzione personalista e comunitaria, p. 291 - 9,13 Marcel: il mistero ontologico, p. 294 - 9.14 Teilhard de Chardin: dall'universo alia persona, p. 297 SARTRE, p. 301 - 9.15 L'esistenzialismo, filosofia dell'impegno, p. 301 - · 9.16 La struttura della coscienza, p. 303 - 9.17 La triplice dinamica della coscienza, p. 305 - 9.18 La ragione dialettica, p. 306 Capitolo 10 IN GERMANIA: LA FILOSOFIA DELLA VITA, p. 310 - 10.1 Il quadro storicoculturale, p. 310 - 10.2 Dilthey: la critica della ragione storica, p. 312 - 10,3 I filosofi della vita, p. 315 - 10.4 Weber: il disincantamento del mondo, p. 318 IN GERMANIA: LA FILOSOFIA DELL'ESSENZA, p. 322 - 10.5 La fenomenologia, p. 322 - 10.6 Husser!: dalla matematica alla logica, p. 324 - 10.7 Husser!: il metodo fenomenologico, p. 326 - 10.8 Husser!: la riduzione eidetica, p. 328 - 10.9 Husser!: intenzionalita e costituzione del reale, p. 329- 10.10 Husser!: la crisi dell'occidente, p. 331 IN GERMANI A: LA FILOSOFIA DELL'ESISTENZA, p. 332 - 10.11 Heidegger: dalle essenze all'esistenza, p. 332 - 10.12 Heidegger: l'esistenza tra inautenticita e autenticita, p. 335- HU3 Il secondo Heidegger: storia e tramonto della metafisica, p. 337 - 10.14 Jaspers: lo scacco della scienza, p. 340- 10.15 Jaspers: lo scacco della filosofia, p. 342 - 10.16 Jaspers: il 'naufragio' nel trascendente, p. 344
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Capitola 11
IX
Pag. 346
L'IDEALISMO ANGLOAMERICANO, p. 347 - 11.1 L'idealismo inglese: Bradley, p. 34 7 - 11.2 L'idealismo americana: Royce, p. 350 IL PRAMMATISMO AMERICANO, p. 352 - 11.3 Una nuova filosofia per una nazione nuova, p. 352 - 11.4 Peirce: il prammatismo logico, p. 355 11.5 James: il prammatismo volontaristico, p. 357 - 11.6 James: l'esperienza religiosa, p. 360 IL NATURALISMO UMANISTICO DI DEWEY, p. 363 - 11.7 II nuovo illuminismo, p. 363 - 11.8 Equivalenza tra esperienza e storia, p. 365 - 11.9 Lo strumentalismo logico, p. 367 - 11.10 La totalita dell'esperienza umana, p. 369- 11.11 Democrazia ed educazione, p. 372 Capitola 12
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CROCE: ITINERARIO, p. 377 - 12.1 Croce e la cultura italiana, p. 377 12.2 Dalla filologia alia filosofia, p. 379 - 12.3 La dialettica dei distinti, p. 381 CROCE: IL SISTEMA, p. 382 - 12.4 L'estetica, p. 382 - 12.5 La logica, p. 385 - 12.6 L'attivita pratica, p. 386 - 12.7 La storia come pensiero e come azione, p. 388 GENTILE: L'IDEALISMO SENZA IDEE, p. 390 - 12.8 Gentile e la cultura italiana, p. 390- 12.9 La riforma di Hegel, p. 392 GENTILE: L'ATTUALISMO, p. 394 - 12.10 La teoria dell'atto puro, p. 39412.11 Logica dell'astratto e logica del concreto, p. 395 - 12.12 Identita tra storia e filosofia, p. 397- 12.13 La pedagogia, p. 398 GENTILE: LE FORME ASSOLUTE, p. 400 - 12.14 La dialettica dell'atto, p. 400- 12.15 Lo Stato etico, p. 402 Capitola 13 LOGICA E MATEMATICA, p. 405 - 13.1 I fondamenti della matematica, p. 405 - 13.2 Russel e la crisi dei fondamenti, p. 409 - 13.3 L'algebra della logica, p. 412 - 13.4 Le geometrie non-euclidee, p. 413 - 13.5 II formalismo di Hilbert e l'intuizionismo di Brouwer, p. 415 LA CRISI DELLA SCIENZA CLASSICA, p. 417 - 13.6 Poincare: il convenzio'!. nalismo, p. 417- 13.7 Avenarius e Mach: l'empiriocriticismo, p. 419 LA NUOVA FISICA, p. 422 - 13.8 La fine dell'universo newtoniano, p. 422 - 13.9 Einstein: la 'relativita ristretta', p. 423 - 13.10 Einstein: la 'relativita generale', p. 426 - 13.11 Valore filosofico della relativita, p. 428- 13.12 La meccanica quantistica e i suoi sviluppi, p. 429 IL POSITIVISMO LOGICO, p. 432 - 13.13 II 'Circolo di Vienna', p. 432 13.14 L'analisi del linguaggio, p. 433 - 13.15 II 'fisicalismo' di Carnap e di Neurath, p. 435 - 13.16 La fase americana, p. 436 - 13.17 Wittgenstein: il 'Tractatus', p. 437 - 13.18 Wittgenstein: i 'giochi linguisti-
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ci', p. 440 - 13.19 Popper: la scienza come 'congettura', p. 442 -13.20 La storicita della scienza, p. 445 Capitola 14
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FREUD: LA PSICANALISI, p. 450 - 14.1 La rivoluzione psicologica, p. 450 - 14.2 Freud prefreudiano, p. 452 - 14.3 La scoperta dell'inconscio, p. 454 - 14.4 La teoria della 'libido', p. 456 - 14.5 La metapsicologia e la 'nuova topica', p. 457 - 14.6 Gli enigmi del mondo, p. 459 - 14.7 Lacan: l'inconscio come linguaggio, p. 462 ADLER: LA PSICOLOGIA INDIVIDUALE, p. 464 - 14.8 L'individuo indivisibile, p. 464 - 14.9 La teoria della 'inferiorita d'organo', p. 466 - 14.10 Il ruolo dell'aggressivita, p. 467 - 14.11 La protesta virile, p. 469- 14.12 Il sentimento comunitario, p. 470 · JUNG: LA PSICOLOGIA ANALITICA, p. 471- 14.13 Comprensione come coinvolgimento, p. 471 - 14.14 La personalita, p. 474 - 14.15 La teoria dei complessi, p. 475 - 14.16 La teoria degli archetipi, p. 477 - 14.17 Anthropos, p. 480- 14.18 Hillman: la psicologia archetipica, p. 481 Capitola 15 SCUOLA DI FRANCOFORTE, p. 485 - 15.1 Storia di un lstituto, p. 485 15.2 Marcuse: l'uomo a una dimensione, p. 488 - 15.3 Habermas: il feudalesimo tecnologico, p. 491 LA PLURALITA' DEI MARXISM!, p. 493 - 15.4 La fine dell'ortodossia, p. 493 - 15.5 Garaudy: dalla scomunica al dialogo, p. 494 - 15.6 Schaff: il personalismo marxista, p. 497 - 15.7 Althusser: il marxismo strutturalista, p. 499 -15.8 Il dibattito marxista in Italia, p. 501 CRISI DEL MARXISMO NELLA NUOVA CONDIZIONE STORICA, p. 503 - 15.9 Il marxismo in un contesto extraeuropeo: Mao-Tse-tung, p. 503 - 15.10 Crisi o dissoluzione del marxismo? p. 506 - 15.11 Il post-marxismo di Kolakowski, p. 507 - 15, 12 Heller: una nuova 'teoria dei bisogni' p. 508- 15.13 Sweezy: il Terzo mondo, nuovo soggetto rivoluzionario, p. 511 Capitola 16 LA LINGUISTICA, p. 514 - 16.1 Scienze umane e semiologia, p. 514 16.2 La linguistica struttu.rale di de Saussure, p. 516 - 16.3 La grammatica generativa di Chomsky, p. 517 L'ANTF,OPOLOGIA CULTURALE, p. 518- 16.4 L'antropologia come scienza umana, p. 518 - 16.5 L'antropologia evoluzionistica, p. 520- 16.6 Il relativismo antropologico, p. 522 - 16.7 L'antropologia sociale, p. 525 16.8 L'antropologia funzionale. Malinowski, p. 530 L' ANTROPOLOGIA STRUTTURALE, p. 534 - 16.9 Tra funzionalismo e strutturalismo. Radcliffe-Brown, p. 534 - 16.10 Levi-Strauss: il metoda
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strutturale, p. 535 - 16.11 Levi-Strauss: i sistemi di parentela, p. 53 8 16.12 .Levi-Strauss: la struttura dei miti, p. 539- 16.13 Foucault: la fine dell'umanesimo, p. 540 IL DETERMINISMO ANTROPOLOGICO, p. 544 - 16.14 L' etologia. Lorenz, p. 544 - 16.15 La sociobiologia. Wilson, p. 546 Capitolo 17
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LA TEOLOGIA PROTESTANTE, p. 550 - 17.1 Teologia e pensiero filosofico, p. 550- 17.2 Harnack: la teologia liberale, p. 553- 17.3 Barth: la teologia dialettica, p. 554 - 17.4 Tillich: la teologia della correlazione, p. 557 - 17.5 Bultmann: la demitizzazione, p. 559 - 17.6 Gogarten: l'avvento della civilta secolare, p. 562 - 17.7 Bonhoefer: il cristianesimo post-religioso, p. 563 LA TEOLOGIA CATTOLICA, p. 566 - 17.8 La restaurazione tomista, p. 566 - 17.9 La crisi modernista, p. 567 - 17.10 Il rinnovamento nella Germania tra le due guerre, p. 569 - 17.11 Il rinnovamento in Francia. Le teologie della realta terrena, p. 570 - 17.12 Rahner: la svolta antropologica, p. 572 - 17.13 Il Concilio Vaticano II: un nuovo inizio, p. 573 ' LE TEOLOGIE ERMENEUTICHE, p. 574- 17.14 Il ritorno alle fonti, p. 57417.15 Ermeneutica e storia, p. 576 - 17.16 Teologia e analisi del linguaggio, p. 577- 17.17 Ricoeur: ermeneutica e simbolo, p. 578 LE TEOLOGIE DELLA PRASSI, p. 579 - 17.18 La teologia della secolarizzazione, p. 579 - 17.19 La teologia politica, p. 581 - 17.20 Le teologie .della liberazione, p. 583 - 17.21 La teologia della liberazione latinoamericana, p. 584 Capitolo 18 L'ISLAM CONTEMPORANEO, p. 589 - 18.1 L'eta coloniale, p. 589 - 18.2 Il pensiero iraniano, p. 592 - 18.3 Il modernismo islamico, p. 594 - 18.4 L'integrismo islamico, p. 596 - 18.5 Le ideologie di tipo occidentale, p. 598 - 18.6 Le vie autonome del pensier;o critico, p. 600 L'INDIA CONTEMPORANEA, p. 602 - 18.7 La duplice memoria, p. 602 18.8 Il ritorno ai Veda, p. 604 - 18.9 L'armonia tra i due mondi, p. 607 - 18.10 Il tradizionalismo rivoluzionario, p. 610 - 18.11 Il pensiero indiano 'occidentale', p. 613 LACINA CONtEMPORANEA, p. 614- 18.12 Contatti tra Cina e occidente, p. 614 - 18.13 I riformisti confuciani, p. 616 - 18.14 L'assimilazione della filosofia occidentale, p. 617- 18.15 L'introduzione del marxismo dialettico, p. 619- 18.16 Da Confucio a Mao, p. 620
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LEGENDA 0 I rimandi intemi al testa sono indicati dai numeri fra parentesi (che non siano quelli cronologici), di cui il prima indica il capitola del volume, il secondo il paragrafo. Quando il rimando e ad uno degli altri due volumi, se ne da indicazione con il numero romano premesso ai due numeri arabi. Per esempio, l'indicazione (II.l2.9) vuol dire: volume secondo, capitola dodicesimo, paragrafo nono. 0 L'asterisco apposto ad un termine in neretto indica che ad esso e dedicata una scheda, collegata all'interno della stesso paragrafo, o, quando il caso lo richiede, in uno dei paragrafi immediatamente successivi. 0 Nella trascrizione dei termini delle lingue non occidentali, per non appesantire il testa, abbiamo seguito il criteria della massima semplificazione, adottando una grafia italianizzata nella misura consentita dall'uso non specialistico. Per i termini cinesi, dato che la riforma con cui, nel 1958, la Repubblica Popolare Cinese ha introdotto nell'insegnamento e nella stampa l'uso dell'alfabeto latina (sistema Pinyin: Mao Zedong, invece che Mao tsetung) ha avuto in occidente scarsa diffusione, ci siamo attenuti al sistema di trascrizione detto Wade-Giles, da noi piit no to. E nei casi in cui sia invalsa in occidente una grafia difforme (ad esempio, Lao tse), l'abbiamo preferita a quella piu rigorosa (Lao tzu).
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Sommario. Con la fine del Settecento, in seguito alla rivoluzione kantiana, la Germania divenne il teatro di una grandiosa esplosione del pensiero filosofico, che a molti sembro come la compensazione astratta delle condizioni di arretratezza sociopolitica in cui il paese si trovava (1.1). L'Atene della Germania romantica e Weimar, in cui 'signoreggia' Wolfgang Goethe, il genio che coniuga tra loro il romanticismo letterario e quello filosofico e pone con chiarezza il problema, lasciato aperto da Kant, del principia di identita tra il mondo della necessita (fenomeno) e quello della liberta (noumeno) (1.2), che Schiller cerco di risolvere nell'esperienza della morale estetica e Schleiermacher nel sentimento religioso (1.3). Con diretto riferimento ai temi filosofici posti dalle tre Critiche kantiane, Jacobi, Reinhold, Schulze e Maimon svolsero un dibattito che servi a preparare le vie all'idealismo (1.4). Il rifiuto della cosa in se da parte di Fichte e l'atto di nascita dell'idealismo: Fichte lo avverti come l'equivalente della presa della Bastiglia (1.5). Tutta Ia realta e riducibile all'Io, il quale non ha dinanzi a se l'oggetto, rna lo pone lui stesso, come proprio limite. Per un verso, l'Io e infinito, rna per l'altro, in quanto pensa se stesso, l'Io si delimita all'interno di se in un io empirico e in un non-io, da origine cioe al mondo della molteplicita ( 1.6 ). Se l'Io tende a determinarsi nelle coscienze finite e le coscienze finite tendono all'Infinito, e perche la profonda natura dell'Io non e ne teoretica ne pratica, rna etica. .Opponendo a se stesso un limite, l'Io lo supera davvero soltanto nell'atto morale. Questa posizione del limite av:yiene ad opera di una immaginazione produttiva che, all'interno dell'Io infinito, pone l'intero universo naturale. E tutto avviene, per determinazioni tra !oro dialetticamente connesse, all'interno dell'Io puro e assoluto (1.7). In una seconda fase della sua attivita, Fichte sviluppa Ia dottrina dell'Io in quanto assoluto, nella cui realta non si ha accesso se non per fede: Ia filosofia si tramuta in mistica di tipo teosofico (1.8). AI posto della chiesa Fichte pone una 'comunita dei dotti' in cui dovrebbe trovare il suo sbocco superiore Ia vita associata, regolata dallo Stato. Lo Stato di Fichte tenta di conciliare le istanze etiche con le esigenze di una borghesia allo stato nascente (1.9). Ma il nucleo vivo del suo pensiero politico e nel concetto di 'nazione' quale vero soggetto storico destinato a raggiungere Ia meta finale della liberta. 0 meglio, non il soggetto, rna una pluralita di soggetti, le nazioni, fra le quali quella tedesca, allora in Iotta contro Napoleone, ha un ruolo primario (1.10). Dall'idealismo di Fichte prese le mosse, per poi seguire una sua strada, Friedrich Schelling, artefice dapprima di un sistema centrato non sui soggetto, come quello fichtiano, rna sull'indifferenza tra il soggetto e l' oggetto ( 1.11 ). Il sistema schellinghiano si pone come luogo di risoluzione dei due opposti 'monismi': quello fichtiano, in cui l'intera realta e dedotta dal soggetto, e quello spinoziano, in cui l'intera realta (anche l'io) e dedotta dall'oggetto: il vero Assoluto e nell'indifferenza tra il Soggetto e l'Oggetto (1.12). Dall'Assoluto cosi inteso, quale primordiale indistipzione tra Soggetto e Oggetto, trae origine innanzi tutto Ia natura, nel cui sviluppo e infatti rintracciabi!e una trama razionale (1.13), che si fara cosciente di se quando l'Assoluto, superando Ia natura, diventera Spirito: Ia naturae Spirito inconscio e lo Spirito e natura cosciente (1.14). La conoscenza dell'Assoluto non potra aversi ne perle vie teoriche ne per quelle pratiche, in quanto in
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ambedue i casi resta insuperata la dualita tra soggetto e oggetto, rna solo in quell'intuizione che conduce l'uomo oltre la biforcazione tra oggettivita e soggettivita, nell'Indistinto originario. Ecco perche l'Arte e il vero organo della filosofia (1.15). In un secondo tempo questo ruolo di organo della conoscenza dell'Assoluto viene attribuito da Schelling alia religione (1.16), e non proprio a quella cristiana, rna all'intero universo religioso, che si identifica con la tradizione spirituale dell'umanita (1.17).
II romanticismo tedesco 1.1 La Germania dell'eta romantica. Se tutti riconoscono agli inglesi il dominio dei mari e ai francesi quello della terra, ai tedeschi si dovra riconoscere «l'impero dell'aria». Questa di Jean Paul Richter (1763-1825) potrebbe non essere sol tanto una. battuta, rna una maniera arguta di porre un problema serio: come si spiega che una delle piu grandiose rivoluzioni del pensiero - quella avvenuta nel quarantennio (tav. 1) che va dalla pubblicazione della Critica della ragion pura di Kant ( 1781) alia pubblicazione della Filosofia del diritto di Hegel (1821)- sia stata compiuta da una nazione sotto tutti gli aspetti molto piu arretrata dell'Inghilterra e della Francia? Il problema se lo posero alcuni protagonisti del 'miracolo' e a lora modo lo risolsero: Friedrich Schiller, ad esempio, sosteneva, nel suo poema sulla Grandezza tedesca (scritto per l'appunto dopa la pace di Luneville, del 1801, disastrosa per la Germania), che la nazione tedesca era stata scelta dallo Spirito per promuovere il perfezionamento della cultura umana, e Wilhelm von Humboldt si dice'\ra convinto che i tedeschi erano stati chiamati a diventare, proprio come i Greci nel mondo antico, lo specchio delle umane possibilita_ Ma forse, invece che appellandosi a misteriose investiture, una risposta piu convincente potrebbe venire da una semplice analisi delle condizioni sociali e politiche della Germania di fine Settecento, quando il terremoto politico della vicina Francia sembro minacciare Ia stabilita del vecchio edificio costruito alia fine della Guerra dei Trent'anni con la pace di Westfalia del 1648. Fu allora, nel 1648, che Ia Germania venne divisa in 350 Stati. Dopa un secolo e mezzo, essi erano rimasti presso a poco tali e quali nel numero, nei confini e nella struttura feudale. L'Aufklarung non ebbe, come invece ebbe l'illuminismo in Francia e in Inghilterra, una vera incidenza nel corpo sociale, resto un fenomeno delle universita_ Ma anche se producevano qua e la qualche libero pensatore, le universita producevano soprattutto una burocrazia seria e numerosa, come richedeva una cosi fitta congerie di Stati. La qualita necessaria ai burocrati era non lo spirito critico, rna un forte sensa etico delloro compito, o meglio - non si dimentichi che la Germania era un paese prevalentemente luterano e cioe 'senza chiesa' - del sacra compito della Stato, strumento di Dio. Questi rappresentanti della razionalita amministrativa erano lontanissimi da ogni idea di rivoluzione, anche nei rari casi in cui avevano salutato con simpatia il trionfo dei giacobini al di la del Reno. Si accesero anche in Germania dei focolai liberali che vagheggiavano Ia razionalizzazione dell'istituto monarchico e in alcuni casi perfino ordinamenti giuridici di tipo democratico, cioe egalitario. Si trattava comunque di focolai dispersi, in dialo-
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go e magari in contrasto l'uno con l'altro, rna, per usare il vocabolario di Jean Paul, a mezz'aria, al di sopra della societa, che restava generalmente ferma alla cultura preborghese. n che spiega, tra l'altro, il grande peso che continuava ad avere in Germania- e lo avra anche ai tempi di Karl Marx- la questione religiosa. La societa tedesca nel Settecento e attraversata da quell'onda di religiosita a carattere sentimentale e intimistico che gli storiografi chiamano pietismo. Le centrali culturali del pietismo erano le universita di Halle e di Tubinga, rna il fenomeno aveva alimentazione spontanea nelle tendenze della societa e sostegni non altrettanto puri rna efficaci nella ragion di stato dei principi. E' in questo complesso intreccio di spinte di diversa natura la spiegazione della polemica anti-illuministica che e il tratto distintivo, se non la rnolla originaria, del movimento romantico. «Liberta, uguaglianza: niente di piu insensato si puo concepire; questo spirito e proprio il piu potente e il piu dannoso che Satana possa mandare sulla terra per corrompere gli uomini» 1 scriveva lungStilling, nel 1793, in un suo saggio antirivoluzionario. Nel pietismo, sotto la veste religiosa, agiva infatti la ripulsa irrazionale degli ideali il cui trionfo era una cosa sola con la rovina della vecchia societa ancora chiusa in se stessa, ostinatamente ignara della nuova eta che l'uomo aveva ragiunto, l"eta della maturita' com'e detto nella definiziow.: kantiana dell'Aufkliirung. Su questa pregiudiziale antimodema si trovava alleato con il pietismo anche il costume delle pratiche e delle dottrine dell' occultismo, che avevano la roccaforte nella Massoneria, specie in quella sua obbedienza che va sotto il nome di Rosacroce. Uno dei bersagli dei Rosacroce, molto attivi in Prussia, era infatti l'illuminismo. Non e un caso che nella stessa primavera del ) 792 il govemo prussiano entro in guerra contro la Francia rivoluzionaria e proibi la pubblicazione della seconda parte dell' opera di Kant, La religione nei confini della ragione. Ma tra le elites illuminate dell'Aufkliirung e la societa, tutta chiusa neUe sue tradizioni, c'e una 'terza Germania', disseminata nelle piccole citta, magari capitali di piccoli Stati. In questi centri, appartati rna vitali, si sviluppa un umanesimo individualistico che, al riparo dai crudi confronti con la realta, costruisce a se stesso un mondo immaginario e lo considera il vero mondo, in cui trovano soluzione le contraddizioni che lacerano il mondo reale. Tra questi piccoli Stati merita particolare menzione il ducato di Weimar. Era uno Stato minuscolo, con meno di 100.000 abitanti. La capitale era un villaggio di 6.000 abitanti, rna era sede della Corte e di una Corte fortunata perche ospito per mezzo secolo Wolfgang Goethe. Poco distante da Weimar (25 chilometri) c'era Jena, che sara l'Atene del romanticismo tedesco. Come a Weimar cosi altrove, nella Corte o nelle universita, il filosofo e i letterati avevano pieno agio di far fruttificare i loro talenti, costruendo nuovi mondi secondo ragione e secondo immaginazione, a condizione che non entrasse in crisi la loro sottomissione al principe. Non si trattava di una sottomissione imposta per arbitrio. Sulla base di un largo consenso, essa sanciva e tutelava l'estraneita della societa ai sillogismi dei filosofi e ai sogni dei poeti. Alia ragione e all'immaginazione non restava, dunque, che sollevarsi nelle sfere dell'astratto, compensandosi cosi delle ristrettezze del concreto con dilatazioni nell'infinito. Come scrive Louis Bergeron, «al potere dello Stato, subito per inclinazione o per rassegnazione, l'elite sfugge preferendo alia riforma
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delle istituzioni il progresso verso la perfezione individuale, sostituto temporale della salvezza personale. E' la scelta esplicita di un Goethe, di uno Schiller, di un Wilhelm von Humboldt che difendono orgogliosamente il primato della vita interiore, il ripiegamento sul campo di battaglia delle idee». 1.2 La nostalgia dell'archetipo. Nell'impossibilita di render canto, in questa sede, sia pure in modo sommario, del romanticismo tedesco nelle sue espressioni letterarie, ci limitiamo a ricordare gli aspetti e i momenti salienti che esso conobbe nel suo centro piu importante, il ducato di Weimar, la cui capitale, dopa che, nel 1775, Wolfgang Goethe (1749-1832) vi si insedio come educatore e poi come 'braccio spirituale' del granduca Karl August, divenne, «grande e piccola come Betlemme in Giudea», meta preferita degli intellettuali tedeschi, e non solo tedeschi. Su invito di Goethe vi giunse Herder nel 1775 e nel 1787 vi fisso la sua dimora Friedrich Schiller, lasciando il suo pasta di professore a Jena, dove era stato suo alunno il poeta Navalis. Fu per opera di Goethe che sulla cattedra di filosofia di Jena si susseguirono Fichte, Schelling e Hegel. A Jena abitavano e si incontravano i fratelli Humboldt e i fratelli Schlegel, Hoelderlin e Tiek. Quando Friedrich Schlegel ruppe i rapporti con Schiller e si stabili a Berlino per fondare, nel 1798, insieme al fratello August Wilhelm, la rivista ufficiale del romanticismo, Athaeneum, pago le conseguenze del suo gesto: dopa due anni la rivista era gia marta. In un frammento autobiografico, scritto quando era gia vecchio, Goethe ricorda con nostalgia !'ultimo decennia del Settecento: «cia che in quello stesso tempo e nel successive mi hanna data i Fichte, gli Schelling, gli Hegel e i fratelli Humboldt e Schlegel andrebbe sviluppato in futuro con sensa di gratitudine». Fu proprio in l}uel decennia che il romanticismo tedesco divenne maturo, superando la semplice polemica contra l'illuminismo e la fase esagitata della Sturm und Drang, il movimento letterario preromantico di cui lo stesso Goethe, con i Dolori del giovane Werther (1774), era stato il maestro riconosciuto. Ci voleva la scossa della rivoluzione francese a favorire, nella cerchia di quegli spiriti di eccezione, con una rapida alternanza di simpatia e di rigetto, la coscienza della propria originalita. Secondo Georgy Lukacs, il momenta risolutivo di questa presa di coscienza e chiuso tra due date: «la prima data decisiva e il 1794, la caduta di Robespierre e la fine dei tentativi di dare alla Rivoluzione francese un compimento democratico-plebeo; la seconda e il 1799, la caduta del governo provvisorio francese, il Direttorio e l'inizio della dittatura militare di Napoleone prima console». Avremo modo di riscontrare i riflessi della parabola della rivoluzione francese nei massimi pensatori del romanticismo. Ma tra le cause che provocarono in profondita questa presa di coscienza, ce n'e una piu direttamente filosofica e del tutto interna alla storia della spirito tedesco: la pubblicazione, nel 1790, della Critica del giudizio di Immanuel Kant (~112.19-22). Nel frammento autobiografico sopra citato, Goethe ricorda l'entusiasmo con cui lesse l' opera del «Vecchio di Koenigsberg», un entusiasmo pari
'l'av. 1 - Quarant'anni del miracolo tedesco. Schema sinottico.
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Avvenlmentl polltlcl
1780 1781 Kant: Critica della ragion pura 1783 Kant: Prolegomeni 1784 Herder: Idee per una filosofia della storia dell'umanitd 1785 Jacobi: Lellere sui/a filosofia di Spinoza 1786-87 Reinhold: Lettere sui/a filosofia di Kan I 1787 Kant: Critica della ragion pratica 1787 Jacobi: Jdealismo e realismo
1781 Schiller: I Masnadieri
1786 Mozart: Nozze di Figaro 1787 Schiller: Don Carlos. M~zart: Don Giovanni
1789 Francia. Inizia Ia rivoluzione
1790 1790 Kant: Critica del giudizio 1792 Schulze: Enesidemo
1791 Mozart: Flauto magico. Morte 1791 Francia: Assemblealegislativa 1792 Francia: guerra contro Ia prima coalizione. Convenzione. Proclamazione della Repubblica. 1793.Schiller: Sulla grazia e dignitd 1793 Francia: Robespierre. ll Terrore
1793 Kant: La religione entro i confini della semplice ragione Hegel: Religione di popolo e cristianesimo. 1794 Flchte: Dottrina della scienza 1795 Schiller: Le/lere sulla 1795 Kant: Per Ia pace perpetua Hegel: Vita di Gesil. Schelling: De/l'io educazione come principia della filosofia. 1796 Fichte: Fondamento del dirillo naturale. Schelling: Lettere filosofiche 1797 Kant: Metafisica dei costumi 1797 Holderlin: lperione Schelling: Idee per una filosofia della natura. Hegel: Lo spirito del .cristianesimo. Frammemo sull'amore. 1798 Fichte: Sistema della dottrina 1798 La rivista Athaeneum. Novalis: Fede e a more morale 1800 1800 Fichte: Lo stato commercia/e. 1800 Novalis: Inni alia nolle Schelling: Sistema dell'idealismo trascendentale. Hegel: Frammento di sistema. 1801 Schiller: !l!aria Stuarda 1801 Schellin&:Esposizione del mio sistema filosotico. Hegel: Differenza fra i sistemi di Fichte e Shelling. Logica jenese. 1802 Hegel: Fede e sapere. Schelling: Bruno. 1803 Schelling: Lezioni sui/a filosofia dell'arte. · 1804 Schelling: Filosofia e religione. 1804 Beethoven: Terza Sinfonia Muore Kant. Schleiermacher traduce Platone. 1806 Beethoven: II Fidelia 1806 Fichte: Introduzione alia vita beata 1807 Fichte: Discorsi alia nazione tedesca. Hegel: Fenomenologia del/o spirito
1810
1812 Hegel: Scienza della logica (I) 1813 Schopenhauer: La quadruplice radice del principia di ragion sufficient e.
1808 Goethe: Faust (prima parte). Beethoven: Sesta sinfonia. F. Schlegel: Sui/a lingua e sapienza degli indiani 1810 M.me de Stae!: Della German;,
1794 Francia: Reazione termidoriana 1795 Francia: II Direttorio
1797 Prussia: sale al trono Federico Guglielmo ITI 1798 Germania meridionale: moti repubblicani.
1801 Pace di Luneville: si dissolve J'impero germanico
1804 Napoleone imperatore. Codice napoleonico 1806 Pace di Presburgo. Confederazione del Reno. Napoleone entra in Berlino. Fine del Sacro Romano Impero. 1807 Pace di Tilsit. La Prussia entra nel sistema napoleonico. Riforme sociali in Germania: fine del feudalesimo.
1812 Campagna napoleonica in Russia 1813 Sconfitta di Napoleone a Lipsia 1814-15 Congresso di Vienna. La Santa Alleanza
1817 Hegel: Enciclopedia. 1818 Nasce Marx. 1819 Schopenhauer: II mondo come volontd e rappresentazione.
1819 Prussia: Svolta reazionaria di Guglielmo ITI 1820 Von Humboldt: Sullo studio comparato delle lingue·
1821 Hegel: Filosofia del diritto.
1821 Muore Napoleone
6 D 1 - II romanticismo tedesco alla freddezza con cui aveva letto, anni prima, la Critica della ragion pura. E' lo stesso Goethe a spiegarci la ragione dell'entusiasmo, condiviso d'altronde dai maggiori rappresentanti del nuovo movimento. Egli aveva sempre sospettato che tra l'arte e la scienza dovesse esserci una stretta parentela, ed ecco che Kant gli dimostrava come «l'arte poetica e lo studio comparato della natura fossero cosi strettamente apparentati, entrambi sottostando ad una medesima facolta di giudicare». Per Kant le due prospettive, quella del giudizio determinante, di cui si avvale la scienza, e quella del giudizio estetico si unificano, si, rna non in una facolta propria dell'uomo. La lora unificazione si da solo in un 'intelletto archetipo' e cioe intuitivo, non vincolato alle nostre necessita discorsive ne aile determinazioni formali delle categorie (II.l2-9). Insomma, nell'intelletto di Dio. Goethe riconosce a se stesso di aver costantemente ricercato, e in certa misura raggiunto, se non l'intelletto di Dio, quel punta di vista unificante che e il 'luogo' trascendentale in cui coincidono Ia potenza produttiva della natura e quella creativa della spirito umano. La dottrina romantica del 'genio' non rimanda anch'essa all'archetipo ipotizzato da Kant? E cos'e il romanticismo filosofico se non la ricerca di quella regione inaccessibile dell'identita, dove l' oggetto e il soggetto, Ia natura meccanica e lo spirito libero so no una sola cosa? L'unita spirituale dell'epoca romantica va riposta, appunto, in questa comune ricerca del principia unificante, condotta o col sentimento, com'e nella natura dei poeti, o con la ragione, com'e neUe regale della filosofia, o con l'uno e con l'altra, in un dosaggio diversissimo che va dalla poesia filosofica di Novalis alia filosofia poetica di Schelling. I poeti e i filosofi sembrano spesso parlare Ia stessa lingua, e anche quando ciascuno usa Ia sua, e cioe quando il concetto si fa astratto e l'immagine si fa pregnante del proprio enigma allusivo, puo comprendere il messaggio solo chi e capace di compiere per suo canto lo scambio delle forme espressive, e cioe di tradurre il concetto in immagine e l'immagine in concetto. La rigorosa tutela della sfera razionale da ogni intrusione, specie da quella dell'immaginazione - Ia 'pazza di casa'- era stata la premura massima dell'eta cartesiana, una premura che in qualche modo aveva ottenuto il suo sigillo nella Critica della ragion pura di Kant. Ma Kant e come Giano, ha due volti. Da una parte, egli determina con rigore i confini entro i quali la ragione domina senza ingerenze, rna dall'altra non pretende che quei confini siano i confini stessi della realta. Anzi, il fondamento incondizionato delle case conosciute dalla ragione sta, per Kant, oltre quei confini, sotto il vela del fenomeno. Alzare il vela e l'aspirazione del romanticismo, cosi come l'ascolto dei messaggi che giungono dalla realta che dietro il vela si nasconde e l'aspirazione della coscienza religiosa. I gradi del conoscere - scienza, filosofia, poesia, mistica - si confondono e si scambiano, governati da una sola Iegge di gravitazione, che non ha nulla in comune con le leggi conoscibili dell' esprit de geometrie. ll romanticismo tedesco non rigetta l'eredita dei 'lumi', rna alla metafora della 'luce' preferisce quella della 'scintilla elettrica', della folgorazione che scaturisce dal centro della realta. D'altronde, l'illuminismo di tipo cartesiano non aveva mai avtito grande udienza in Germania, dove non si era mai del tutto interrotta Ia linea genealogica che potremmo far partire da Meister Eckart (I 12.2). ll mistico domenicano del Trecento aveva posto Dio al punta di incontro tra l'Essere e il Nulla e aveva esaltato la 'scintilla' della divinita nascosta in ogni anima. E, dopa di lui, Paracelso aveva coniugato fede cristiana, tra-
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dizione neoplatonica e naturalismo magico; Keplero aveva fatto tutt'uno dell'astronomia e dell'astrologia, e Jacob Boehme aveva dissolto i principi dogmatici della teologia biblica in un vibrante panteismo. Insomma, il proprio del genio tedesco e stata sempre la volonta di tenere nella stessa mano ambedue le chiavi della conoscenza, e cioe, per tomare alia citazione di Goethe, quella del giudizio scientifico e quella del giudizio estetico, la chiave che apre la porta del giomo e quella che apre la porta della notte. Gli Inni alia notte di Novalis (1772-1801) sono un momenta alto del romanticismo del 'decennia' fatale. E' nella notte che si nasconde il «fiore azzurro» ricercato da Heinrich, il protagonista di un romanzo di Navalis rimasto incompiuto (Heinrich von Ofterdingen). Il «fiore azzurro» e la cifra che spiega tutto. La cifra e in noi: «noi siamo il Segreto». «Un uomo riusci a sollevare il velo della dea di Sais (lside). E che vide? Miracolo dei miracoli, vide se stesso». 1.3 Estetica e religione. Se in Novalis l'identita tra finito e infinito, tra soggetto e oggetto, sgombra di ogni determinazione concettuale e di ogni movimento dialettico, diventava 'idealismo magico' - nel senso che le cose sono pervase da un'anima infinita che solo il poeta, il vero mago, riesce ad evocarenel suo maestro Friedrich Schiller (1759-1805), anche lui poeta, rna dotato di piu sicuro nerbo filosofico, quell'identita viene fondata in un quadro di precisi riJerimenti alia dottrina kantiana della tre Critiche, anzi come suo necessario sviluppo. L'uomo quale risulta dall'analisi di Kant e in se stesso scisso in ragione; volonta e sentimento. La via che puo condurlo a sperimentare la sua radicale unita e la via della morale estetica, e cioe di una morale in cui la sensibilita si adegua spontaneamente alia forma etica e la forma etica unifica in se, senza conflitto, il molteplice sensibile. L'armonia tra liberta e sensibilita, se frutto non della sforzo etico, rna della spontaneita estetica, produce le 'anime belle'. E' quanto Schiller dice nel suo saggio Sulla grazia e la dignitd (1793), scritto nell'intento di correggere il concetto rigoristico del dovere kantiano. Ma il tema era troppo centrale, nel dibattito romantico, perche Schiller non si sentisse stimolato a svilupparlo in una vera e propria visione della storia umana, a partire dall'antica Grecia, dove l'accordo tra natura e liberta sembro realizzarsi una volta per sempre. Mentre il suo amico Goethe, riprendendo il mito di Faust, ne fara una tragica metafora della condizione dell'uomo, destinato a tendere verso l'infinito e ad infrangersi contro i propri limiti, Schiller ritiene possibile attingere la pienezza della felicita, da intendere come riflesso dell'armonia tra natura e liberta, e lo ritiene possibile anche nel mondo moderno, dove le condizioni dell'antica Grecia sono per sempre scomparse. Le Lettere sull'educazione estetica (1795) sono, appunto, oltre che una ricostruzione della storia dello spirito umano sotto la categoria del bello, la proposta utopica di una nuova forma di educazione improntata alla conciliazione tra la necessita e la liberta. Che il 'gioco' possa diventare il momento simbolico del vero fine della storia umana e una intuizione di Schiller destinata a riprendere vigore nelle eta successive (si ritrova perfino in Marx), in particolare nella seconda meta del nostro secolo. · Una seconda via per conciliare, senza far ricorso alia dialettica razionale, i due opposti metodi della necessita e della liberta fu tracciata da un collaboratore dell'Athenaeum di Schlegel, Friedrich Daniel Ernst Schleiermacher (1768-
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1834), pastore protestante a Berlino. Fu per consiglio di Schlegel che egli comincio a pubblicare, nel 1799, i suoi Discorsi sulla religione. Dopo una parentesi come professore di teologia e di filosofia a Halle, con la fondazione dell'Universita di Berlino (181 0) divenne professore di teologia in questa universita e tale rimase fino alia morte. Si e gia visto come la spinta latente che guidava l'itinerario dello spirito romantico fosse la fuga dai 'lumi' del razionalismo del secolo, in nome di una totalita da raggiungere per altre vie che queUe della ragione. Questa vocazione 'notturna' del romanticismo sara interrotta bruscamente da Hegel, come vedremo. E fu in polemica, per lo pili sottintesa, con Hegel che Schleiermacher nego la possibilita di raggiungere la totalita per le vie della ragione o per quelle della morale: la prima, infatti, cerca di spiegare l'universo attraverso le determinazioni finite, la seconda tende a perfezionarlo attraverso l' esercizio della volonta. La religione non e ne ragione ne volonta, e intuizione e sentimento dell'infinito. Mentre la ragione e la morale non vedono nell'universo altro che l'uomo, la religione vede nell'uomo l'infinito, che nell'uomo si determina rna insieme anche lo trascende. E lo trascende aprendosi all'universo, nei confronti del quale l'umanita nel suo insieme e quello che l'individuo e in rapporto all'umanita. In questa definizione della religiosita Schleiermacher si incontra con Spinoza, peril quale la virtu massima e l'amore per l'universo in quanto questo e una sola cosa con Dio (11.7.7). Ma da Spinoza si distacca, perche la facolta che guida l'uomo all'infinito non e, per lui, la ragione, e nemmeno l'amore intellettuale, e il sentimento puro, privo di ogni altra funzione che non sia quella della pura espansione di se. Voler distinguere nella totalita in cui il sentimento si espande cio che e naturale e cio che e miracoloso, cio che e conosciuto e cio che e rivelato, e perfino cio che e Dio e cio che non e Dio, significa fraintendere la pura essenza della religione, il cui oggetto vero e, appunto, la totalita. Non che diventi inutile Ia chiesa: l'individuo pervaso dal sentimento religioso avverte il proprio limite e, col proprio limite, la necessita di scambiare con gli altri la propria percezione. Da questo scambio di com unicazioni nasce la chiesa. La chiesa di Schleiermacher perde il suo proprio particolarismo, e perfino il suo rapporto con una determinata religione, nel senso che tutte le religioni non sono che determinazioni della religione infinita. AI limite, ogni uomo ha la sua religione, che e vera a condizione che egli sia cosciente della sua finitezza e la trascenda aprendosi alia religione infinita, della quale le singole religioni sono manifestazioni parziali. Schleiermacher tenta anche una tipologia delle religioni, e non per scartarne alcune e accettarne altre, rna per mostrare come, nel loro insieme, esse costituiscano la religione infinita. Ci sono le religioni per le quali il mondo e un caso alla merce degli idoli o del fato; ci sono le religioni che raffigurano le forze fondamentali della natura in divinita distinte, e ci sono religioni - e tra queste il cristianesimo ha il prima posto - nelle quali l' essere e concepito come totalita, in cui si ha, come in Gesu, Ia piena coincidenza tra la finitezza umana e l'infinita della divinita. Questa interpretazione di Gesu Cristo come luogo di identita tra l'infinito e il finito la ritroveremo in Hegel. Ma mentre in Hegel questa identita raggiungeva Ia propria verita nel momento filosofico, che assorbiva in se e superava la religione, in Schleiermacher la totalita realizza se stessa soltanto nel sentimento religioso. Non e che la ragione e
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l'etica vengano da Schleiermacher negate a vantaggio dell'assolutezza autosufficiente del sentimento, anzi esse costituiscono le fasi di una dialettica senza della quale il sentimento si fa vuoto e privo di rapporti veri con la totalita. La Dialettica di Schleiermacher (la sua opera piu importante, uscita postuma) non e derivata dalla dialettica di cui il collega Hegel faceva sfoggio, e ripresa da Platone, dei cui Dialoghi egli offri la traduzione piu prestigiosa degli ultimi secoli. E' facile capire quanto di simile ci sia nella dottrina platonica dell' eros e in quella schleiermacheriana del sentimento: termine questo - e bene rilevarlo - che va inteso nel senso forte del lessico tedesco (Gefuhl) e non in quello convenzionale messo in voga dal romanticismo letterario. In quest'ultima accezione, il sentimento si esplica al di fuori degli ambiti della ragione e della volonta; nell'accezione di Schleiermacher e invece l'identita tra il pensare e il volere, in quanto non si da pensiero che non sia anche volonta di comunicazione e non c'e atto di volonta che non implichi in se una determinazione del pensiero. n passaggio dal pensare al volere e viceversa si da all'interno di un'autocoscienza immediata, che e appunto il sentimento, che ha per oggetto l'essere assoluto. Questa autocoscienza, che e l'essenza stessa della religione, non va identificata con l'Io, che e un'autocoscienza riflessa, circoscritta nelle - determinazioni del pensare e del volere, cosi come non si deve confondere la totalita che le fa da oggetto con il Dio della religione. Sia l'Io che Dio sono determinazidni del sentimento dell'infinito o, come meglio si direbbe, dell'incondizionato, di cui l'Io, Dio, il mondo non sono che determinazioni inadeguate. 1.4 Le premesse dell'idealismo. Lo svolgimento del pensiero di Schleiermacher, nonostante che la sua cattedra fosse accanto a quella di Hegel, resto ai margini della storia maggiore - quella dell'idealismo - che dette un volto definitivo al pensiero tedesco. E per quanto tutte le sistemazioni storiografiche siano da ritenere provvisorie, non c'e dubbio che la stagione romantica, esplosa in Germania negli anni della rivoluzione francese, trovo il suo sbocco naturale in quella metafisica soggettivistica che ebbe per maestri Fichte, Schelling e Hegel. Come vedremo distintamente, la dinastia degli idealisti ha in Kant il padre riconosciuto, cosi come ha la sua problematica di avvio in quell'insieme di questioni che le tre Critiche kantiane non erano riuscite a risolvere. Si e gia detto, sulla scorta di una pagina di Goethe, come il dualismo kantiano tra fenomeno e noumeno avesse svegliato la nostalgia dell"intelletto archetipo', e cioe di un punto di vista che fosse in grado di cogliere l'unita dei due emisferi del reale. L'intera problematica che "collega Kant all'idealismo, e che si svolge negli ultimi due decenni del Settecento, si aggira proprio su questa linea di confine tra fenomeno e cosa in se, tra mondo sensibile e mondo sovrasensibile, tra ragion pura e ragion pratica, tra giudizio determinante e giudizio teleologico. Il primo nome che occorre fare a riguardo e quello di Friedrich Heinrich Jacobi (1743-1819), che nel1785, con una sua Lettera sulla dottrina di Spinoza a Mose Mendelssohn, sollevo un dibattito dalle larghe risonanze. Nel dibattito, oltre che Herder, interverra anche Goethe, per il quale Spinoza era sempre stato il filosofo per eccellenza. La tesi di Jacobi prende le mosse dalla Critica della ragion pura che, a suo giudizio, ha dimostrato definitivamente la non conoscibilita scientifica del sovrasensibile. Ogni tentativo di dimostrare l'esistenza del sovrasensibile non puo concludere che con la identificazione tra Dio e
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mondo, tra incondizionato e condizionato, a tutto vantaggio, naturalmente, del mondo, del condizionato: Dio diventa una sola cosa con la natura. Ogni filosofia che voglia essere fino in fonda razionale non puo che essere a tea. Non c' e che una via per uscire da questa vicolo cieco: il riconoscimento che tantol'esistenza del mondo esterno, da cui deriva la sensazione, quanta resistenza del mondo sovrasensibile sono oggetto di fede. Jacobi si rifa alla parola belief usata da Hume, rna piegandola a un significato che Hume non avrebbe fatto suo. E nemmeno Kant poteva riconoscersi in una 'fede' ridotta a espressione del sentimento (<mel mio cuore c'e luce, rna quando voglio portarla nella mia testa, essa si spegne», diceva Jacobi) e tuttavia capace di generare certezza. Come Kant stesso ricordo, intervenendo nel dibattito, la fede non puo che fondarsi su di un postulato della ragion pratica, e come tale non puo generare vere e proprie certezze, rna solo la verosimiglianza. Kant rimase sempre un rigido tutore dei confini che aveva tracciato alia ragione, non gia per sminuime le possibilita rna per fondarle su basi sicure. Se Jacobi aveva messo in questione, sia pure per via indiretta, i confini tra fenomeno e mondo sovrasensibile, Karl Leonhard Reinhold ( 1758-1823) porto al centro del dibattito il nesso tra rappresentazione fenomenica e cosa in se, aprendo cosi la via all'iclealismo. Difatti, il disconoscimento della cosa in se equivale alia soppressione degli argini posti all'intelletto. E senza quegli argini tutta la realta viene a identificarsi col soggetto. Prima gesuita, poi barnabita e finalmente illuminista massonico in terra protestante, Reinhold divenne professore di filosofia a Jena, dove gli succedera l'amico Fichte, come vedremo. Dapprima antikantiano, divenne poi un divulgatore del criticismo con le Lettere sulla filosofia kantiana (1786-1787). Piu che un fedele espositore, Reinhold e in realta un interprete, che modifica in punti nevralgici il pensiero kantiano. Kant aveva scontato, per cosi dire, la profondita del suo pensiero rinunciando alla pretesa di una unificazione sistematica delle sue parti, corrispondenti aile tre Critiche (al tempo delle Lettere di Reinhold non era ancora uscita la Critica del Giudizio). Succube, piu di quanta allora non sembrasse, dell'impostazione filosofica prekantiana, Reinhold ricerca, tra gli elementi dell'analisi della ragione, un elemento che possa, alia maniera dell"io penso' cartesiano, unificare in se tutti gli altri. Egli e convinto di averlo trovato nella 'coscienza', intesa come facolta della rappresentazione. Ogni rappresentazione e distinta, nella coscienza, sia dal rappresentante (soggetto) che dal rappresentato (oggetto). Forma e materia, soggetto e oggetto sono elementi intrinseci alia rappresentazione, di cui il prima e spontaneita determinante, l'altro e un data che presuppone recettivita sensibile. Ma allora, si da realmente una cosa in se, esterna alla rappresentazione? Reinhold si trova imprigionato nel suo punta di partenza, che e l'analisi della rappresentazione, dalla quale si puo giungere alia cosa in se in quanta rappre-· sentata, rna non alla cosa in se come dato extramentale. Nelle sue mani, la dottrina kantiana, invece che piu semplice e piu trasparente, si faceva piu complicata che mai. n che favoriva evidentemente l'opposizione scettica al kantismo, ferrna piu o meno aile conclusioni dell'epistemologia di Hume. E proprio sulla linea della scetticismo, ebbe grande importanza, nel determinare il trapasso da Kant all'idealismo, uno scritto apparso anonimo nel 1792
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col titolo Enesidemo, il cui autore era Gottlieb Ernst Schulze (1761-1833), che si merit<\ cosi, l'appellativo di Enesidemo Schulze. La forza del saggio e nel mettere allo scoperto tutti i presupposti dommatici di cui, secondo Schulze, e viziata la filosofia kantiana, che pure presume di sottoporre a giudizio il dommatismo razionalistico. Come facevano gli scolastici, Kant, partendo da cia che deve essere pensato come necessaria, ne deduce che dunque proprio cosl stanno le case: il necessaria nell'ordine del pensiero e anche oggettivamente reale. Ad esempio: l'universalita della conoscenza e garantita solo se si da un giudizio sintetico a priori, dunque questo tipo di giudizio si da effettivamente. Per quanto riguarda poi Ia cosa in se, il dommatismo kantiano e evidente. Da una parte, Kant sostiene che la categoria di causa vale solo all'interno dell'esperienza, dall'altra, egli se ne serve per affermare l'esistenza della cosa in se quale condizione dell'esperienza. Si capisce, allora, il sottotitolo dell'Enesidemo: difesa della scetticismo contra l'arroganza della Critica della ragione. Si deve a Schulze se la questione della cosa in se - una vera e propria questione-ponte tra kantismo e idealismo - occupa il centro del dibattito. E nel dibattito entra, in modo geniale, un errabondo ebreo polacca, Salomon Maim on ( 1754-1800). Precocissimo conoscitore della Bibbia e del pensiero ebraico, Maimon lascia la sua terra perche ritenuto eretico e, dopo aver menato vita randagia, trova rifugio e protezione a Berlino. E da Berlino egli invia a Kant un suo Saggio sulla filosofia trascendentale. Kant riconobbe che nessun oppositore lo aveva mai compreso cosl a fondo. Basta questa apprezzamento perche Maimon potesse pubblicare (1790) il suo saggio e intraprendere una intensa attivita di studio e di pubblicazioni. II suo contribute essenziale al dibattito su Kant tocca, appunto, il problema della cosa in se cosi come lo aveva posto Reinhold. Maimon lo risolve senza bisogno di far riferimento a una condizione extramentale. Aveva ragione Reinhold nel sostenere che Ia cosa in se non poteva essere dedotta dalla coscienza, in quanta Ia coscienza Ia sperimenta come 'data', non come 'prodotta' da se. Utilizzando Ia dottrina di Leibniz sulle 'piccole percezioni', che sono, si, reali, rna entrano nella coscienza non in quanta singole bensi nel !oro insieme, Maimon aggiunge al concetto di 'coscienza completa', e doe di coscienza che produce cia che constata in se stessa, il concetto di 'coscienza incompleta', che e Ia coscienza il cui contenuto appare come venuto non si sa da dove, comunque dal di fuori del cerchio della coscienza stessa. Tra l'una e l'altra coscienza non c'e contrapposizione netta, rna una specie di gradualita, per cui si scende dal pensiero chiaro e distinto alia sensazione confusa. Si potrebbe dunque dire che Ia 'cosa in se' e la materia della rappresentazione, Ia cui genesi rimane sconosciuta alia coscienza stessa. E cosi viene meno Ia necessita di presupporre UJ;l mondo esterno ai processi della coscienza. La soglia dell'ioealismo e gia varcata.
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Fichte 1.5 L'idealismo, una rivoluzione. E bene dir subito che per capire il pensiero di Johann Gottlieb Fichte • bisogna prendere le distanze dalla sistemazione che ne ha dato la storiografia, a partire da Hegel: Fichte sarebbe un anello, necessaria, rna niente piu che un anello, nel trapasso dal kantismo all'idealismo nella sua forma compiuta, quella hegeliana. Una valutazione del genere ha portato a dar peso quasi soltanto al momenta di massima fecondita e risonanza della produzione fichtiana, quella che va dal 1794 al 1799, lasciando in ombra gli sviluppi successivi, nei quali il pensiero fichtiano avrebbe preso una piega da considerare una svolta o addirittura una deviazione_ Oggi non si e piu cosi sicuri che il Fichte di Berlino, la cui produzione completa venne conosciuta, per opera del figlio, solo qualche decennia dopo, sia in contraddizione col Fichte di Jena, sia, cioe, il Fichte conservatore che prende il posto del Fichte rivoluzionario_ La tendenza attuale e di leggere Fichte al di fuori della pregiudiziale hegeliana, col risultato che viene alia luce, a dispetto di non poche contraddizioni, l'unita e la coerenza del suo pensiero in tutto l'arco del suo svolgimento.
La vita di Johann Gottlieb Fichte fa blocco col suo pensiero e viceversa, tanto da darci l'impressione, come nel caso di Spinoza, di trovarci davanti a due dimensioni non separabili tra lora. Di famiglia povera (faceva il pastorello di ache, quando fu conosciuto dal suo mecenate), e in continua Iotta con le difficolta della vita. A dodici anni, nel 1774 (era nato, prima di otto figli, a Rammenau, nel 1762), entra nel collegia di Pforta_ Terminata Ia prima preparazione, nel 1780 inizia i suoi studi teologici a Lipsia. Finiti gli stud~ passa un periodo di incertezze e, per manteners£ si adatta a fare il precettore (dal 1788 al 1790 a Zurigo, dove conosce Giovanna Rahn che diverrd sua moglie) in case private. Richiesto di lezioni private sulla filosofia kantiana, Fichte affronta Ia lettura del grande filosofo, rimanendone conquistato: «da quando ho letto la Critica della ragion pratica, egli scrive, vivo in un mondo nuovo... Anche se prigioniero di una situazione precaria, ho vissuto i giomi piu belli della mia vita». Decide di andare a incontrare Kant e difatti il 4 luglio 1791 si presenta a lui, a Konigsberg. Ma vuole che il fi!osofo lo conosca bene e in un mese di lavoro febbrile scrive un saggio, la Critica d'ogni rivelazione, e lo invia come manoscritto a Kant. Otto giomi dopa, il 26 agosto, Kant invita il giovane a pranzo. La vita di Fichte cambia, anche economicamente, nel momenta in cui Kant gli trova, oltre che un pasta di pr~cettore, anche un editore, lo stesso che ha pubblicato le sue opere. Di qui un equivoco: essendo apparso senza nome di autore, l'opuscolo di Fichte viene ritenuto di mana di Kant. Il successo e grande. Kant stesso chiarisce l'equivoco, rna tanto e bastato perche Fichte diventi uno dei pensatori piu in vista del paese. Nel maggio 1794 comincia i suoi corsi all'Universitd di lena. Vi resta fino al 1799, circondato da ammirazione crescente. Le dispense dei suoi corsi diventano il suo capolavo-
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ro: Fondazione dell'intera dottrina della scienza. Tra il 1796 e il 1797 esce la Fondazione del diritto naturale e nel 1798 ll sistema della dottrina morale. Proprio nel '98 l'incidente che cambia la sua vita. Pubblica un articolo in cui identifica Dio con l'ordine morale e viene denunciato da un anonimo per ateismo. Gli basterebbe poco per salvarsi, ma egli e sicuro di se, sicuro dell'appoggio dei colleghi e degli alunni Il governo di Weimar gli toglie l'insegnamento senza gravi reazioni di nessuno. Amareggiato, si reca a Berlino, accolto con calore dal gruppo dei grandi romantici, tra i quali primeggia Friedrich Schlegel Qui riprende la sua opera fondamentale, la Dottrina della scienza, e ne prepara una prima (1801) e una seconda (1804) rielaborazione, che documentano un netto mutamento, o quanta meno un singolare approfondimento del suo pensiero. Divenuto professore a Erlangen, la sua intensa attivita didattica si intreccia con quella politico.. Le vittorie napoleoniche gli offrono l'occasione per scrivere dei saggi ispirati al sensa della nazionalita tedesca: i Discorsi alla nazi one tedesca (1808). Il nuovo orientamento del suo pensiero e documentato dalla Introduzione alla vita beata e da L'essenza del datto. La guerra porta con se anche il flagella di un' epidemia di tifo. La mag lie di Fichte si dedica alla cura dei malati e resta contagiata. Fichte la cura a lungo con amore e mentre la moglie guarisce, il morbo colpisce lui e lo conduce alla tomba il 2 9 gennaio 1814. Quando muore, Fichte non e piu un idolo come lo era venti anni prima, a lena. Il suo pensiero non ha grande risonanza, sopraffatto da quello di Hegel, che inserira nel proprio sistema il momenta idealistico di Fichte, quello di lena, e ignorera il Fichte 'mistico'dell'etd berlinese.
Quelle contraddizioni si spiegano, se lo sviluppo del pensiero fichtiano viene collocato nel suo tempo. E cioe in quel periodo della storia tedesca che conobbe una tumultuosa fecondita in tutti i campi delle attivita della spirito e insieme una drammatica vicenda di mutazioni politiche e sociali. I protagonisti di questa 'stato nascente', a cominciare da Goethe, sono tutti resi ambigui, se non contradditori, dalla compresenza del vecchio e del miovo, delle ragioni della ragione e delle 'ragioni del cuore', della difesa dell'ordine costituito e dell'ammirazione per la rivoluzione francese. Proprio quando usci, presso l'editore di Kant, il saggio giovanile di Fichte, la Critica di ogni rivelazione (1792), giunsero in Prussia le notizie della battaglia di Valmy: con Kant e con Goethe, anche Fichte saluto con entusiasmo quell'evento, vedendovi un trionfo della ragione universale destinata ad avere la meglio sul particolarismo autoritario. Ma quella fiammata giacobina non deve ingannarci. La liberta che fa da fulcra al sistema di Fichte non e altra cosa dall'impulso etico, che si esprime, in netto contrasto con l'ideologia giacobina, nella dottrina dei doveri piu che in quella dei diritti, piu nella dedizione a un ideale ritagliato nell'ethos di una nazione che nell'abbattimento delle bastiglie. Nel 1795 Fichte scrive: «Come la Francia \ libera l'uomo dalle catene esterne cosi il mio sistema lo libera dai ceppi delle cose in se». Ouella di Fichte e dunque una rivoluzione silenziosa, che si consuma nelle sfere della struttura gnoseologica, senza nessuna prospettiva di
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sbocchi politici. Certo e, comunque, che in questa rivoluzione gnoseologica la liberta ha il suo peso, nel sensa che e proprio l'opzione della liberta che da fondamento non solo all'attivita conoscitiva, rna ad ogni attivita della spirito.
1.6 L'infinita dell'Io. Infatti, il discepolo di Kant ripropone la questione del rapporto tra soggetto e oggetto in un modo radicale, che chiama in causa, al di la dell'analisi della ragione, un pronunciamento di ordine morale. Una delle due, egli dice: o dinanzi all'io che pensa c'e - come continuava a sostenere Kant - una cosa in se che gli preesiste, e allora, si dica quel che si vuole, rna l'attivita del pensiero deriva dalla cosa in se, allora e l'essere che pone il pensiero; o niente c'e che limiti, nella sua spontaneita, l'io che pensa, nemmeno la cosa in se noumenica, e allora tutto cia che noi diciamo reale deve essere dedatto dall'attivita del pensare. La prima e la via del realismo, la seconda e la via dell'idealismo. Quale delle due scegliere? Non e la ragione che pua sciogliere il problema. L'opzione fondamentale sta prima del ragionamcnto, e il riflesso della qualita etica dell'uomo. La scelta di una filosofia dipende da quel che si e come uomo, perche un sistema filosofico non e una inerte suppellettile, che si possa prendere o lasciare a piacere, rna e animato dallo spirito che l'uomo ha. Un carattere fiacco per natura o infiacchito e piegato dalle frivolezze, dal lusso raffinato e dalla schiavitu spirituale non potni mai elevarsi all'idealismo.
Elevarsi all'idealismo vuol dire optare per quel sistema filosofico che deduce tutte le realta, quella detta soggettiva e quella detta oggettiva, dai procedimenti necessari della coscienza, come dire dall'io. Tutta la realta, e dunque anche la cosa in se, che invece per Kant era come un data e percia come un limite opposto al soggetto, un data e un limite che entravano in sintesi col soggetto, non creatore, rna semplice costruttore della realta fenomenica. Fichte, rifiutato ogni residuo di realismo, deduce geneticamente l'intera realta dall'io, cosi come Spinoza l'aveva dedotta dall'idea di sostanza. II punta di partenza Fichte lo trova nella formula piu elementare della logica, quella aristotelica del principia di identita: A = A. Questa affermazione, contra quanta si ritiene comunemente, non ha nessun carattere di necessita, e meramente ipotetica. A e veramente uguale ad A solo nell' ipotesi che io pensi · ad A: ad esempio, a una linea retta. In tal caso, una linea retta e uguale a una linea retta. Ma questa identita formale non e che l'espressione ipotetica, empirica, di un'altra identita. questa, si, davvero necessaria, tale cioe che non si pua non porre, e che difatti anticipa e fonda ogni altra identita: l'Io e uguale all'Io. Solo nel caso in cui A e l'Io stesso, l'identita e assoluta e necessaria. Non si da scienza se non la dove si da necessita. Ebbene, la scienza che Fichte sviluppa e appunto 1' esposizione dei processi necessari che soggiacciono anche a cia che sembra relativo e contingente, processi che non appartengono alla cosa in se (e come, in questa caso, se ne potrebbe avere coscienza?), rna all'Io stesso, considerato nella sua incondizionatezza. Certo, come Kant riconosceva, la coscienza ha un limite, quello stesso limite che ogni io avverte nel momenta del pensare. Ma questa limite e esso stesso un portato del movimento della coscienza, che e, insieme, infinita, cioe senza limiti, e finita, determinata da limiti. In che modo?
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La deduzione di tutta la realta dall'io viene esposta da Fichte con tre formule che, oltre a definire i tre momenti della deduzione, li raccordano tra loro in un rapporto che egli chiama dialettico (e lui che inaugura l'accezione idealistica dell'antico termine platonico), in quanta e «sintesi degli opposti per mezzo della determinazione reciproca» . .1. «L 'Jo pone se stesso» (tesz). Lo abbiamo detto sopra: ogni affermazione logica rimanda a una identita primordiale, fondante, che e quella dell'Io con se stesso. L'Io non puo affermare nulla senza affermare, in primo luogo, la propria esistenza. Nel porre qualsiasi cosa determinata, l'Io pone se stesso, in quanta ogni conoscenza e interna a una autocoscienza nella quale l'Io e presente a se. Si tratta, qui, non dell'io empirico, di questa o quella persona, rna di un Io puro, sgombro cioe di qualsiasi determinazione. E la Sostanza di Spinoza, capovolta pero in soggettivita assoluta, in autocoscienza nella quale trovano unita l'ordine delle cose e l'ordine delle idee. 2. «L 'Ia pone nell 'Ia il Non-lo» (antitesz). In quanta attivita di pensiero, l'Io e attivita di rappresentazione, ha dunque bisogno di rappresentarsi una cosa quasi fosse davanti a se (oggetto), anzi come un limite di se, un Non-Io. Questa sedia, questa foglio, questa macchina da scrivere sono contenuti del pensiero in quanta sono suoi limiti. Anche i miei stati d'animo e i miei ricordi, in quanta li penso, stanno davanti a me come oggetti, come limiti, di cui l'io deve prendere atto. Ma questa sdoppiamento tra l'id~a e la cosa, tra l'Io e il Non-Io, non rimanda a due mondi tra loro dissociati. Data l'unita tra la coscienza di se e la coscienza della cosa osservata, la contrapposizione avviene all'interno dell'Io. 3. «L 'Io oppone, nell'Jo, al Non-/a divisibile un Io divisibile» (sintesz): formula astrusa che pero, a questa punta, non dovrebbe essere difficile capire. Infatti, come si e vista, l'attivita dell'Io e il pensiero, e il pensiero non si attua se non come pensiero di qualcosa, di un oggetto, di un Non-Io determinato. II Non-Io, in quanta entra nel processo conoscitivo, e sempre questa o quella cosa, e sempre cioe divisibile. In correlazione col Non-Io, anche l'Io e sempre una coscienza determinata, la mia, la tua. Questa determinazione reciproca tra, soggetti e oggetti, tra l'Io-divisibile e il Non-io-divisibile, rimanda, come a un vero luogo di unificazione, all'Io assoluto. Ma questa luogo supremo di unificazione non potra mai essere oggetto di scienza, appunto per quanta si e detto: se fosse oggetto, sarebbe divisibile, mentre in quanta luogo di sintesi e indivisibile, assoluto. La coscienza fichtiana si colloca consapevolmente tra due autolimitazioni: non si da scienza dell'Io che pone se stesso, perche questa autoposizione dell'Io e un momenta necessaria, rna solo come condizione del processo, ne dell'Io che risolve in se stesso (sintesi) le coscienze empiriche e gli oggetti molteplici, perche e questa il momenta della totalita, di cui non puo darsi cognizione determinata. E facile scoprire in questi due limiti, agli inizi e al termine del processo, l'istanza 'mistica' che dominera il Fichte berlinese. 1. 7 Idealismo etico. L'Io si trova ad essere, dun que, infinito e finito: infinito, in quanta pone se stesso come identita originaria e come totalita che tutto risolve in se; finito, in quanta diviso in innumerevoli coscienze (tante quanti sono gli uomini) dal suo contrapporsi al Non-io, cioe al mondo delle cose. Ecco perche l'Io e attivita perenne: in quanta infinito, l'Io tende a determinarsi nelle
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coscienze finite; in quanta e coscienza finita, tende a realizzarsi come infinito. La spinta che determina questa perenne inquietudine e nella natura etica dell'Io, riguardo alla quale il rapporto conoscitivo e solo una funzione. Il momenta teoretico dipende, infatti, dall'azione del Non-io sull'Io. Nell'atto in cui lo conosco, l'oggetto (quell'albero, quella casa) e il Non-io che mi determina, mi condiziona, costringendomi alla passivita. Una passivita sui generis, tuttavia: e pur sempre l'Io che pone qualcosa non in se, rna fuori di se, nel Non-io. E giusto dire che e l'oggetto a deterrninare il soggetto, rna purche non si dimentichi che e stato il soggetto, l'Io, a porre come estern a a se l' oggetto. Per non cadere in equivoco, si tenga: presente che qui Fichte assume il termine Io, o soggetto, in due significati diversi: quello che conosce l'oggetto determinato (l'albero, la casa) e l'io finito o empirico; quello che pone dinanzi a se l'oggetto in quanta appartenente al Non-io e l'Io infinito, la coscienza indeterminata Il momenta etico consegue a quello teoretico, ne e anzi la vera ragione. E giusto infatti domandarsi per quale ragione l'Io opponga a se stesso un Non-io. La risposta di Fichte e che solo cosi l'Io realizza se stesso come eticita, come imperativo morale. Senza un limite da vincere, l'infinita dell'Io sarebbe astratta, cosi come - si passi il paragone - la bravura di un grande alpinista resterebbe astratta se non ci fossero montagne da scalare. Se nel momenta teoretico e il Non-io che condiziona l'Io, nel momenta morale e l'Io che ha la meglio sull'oggetto, vincendone la resistenza e affermando se stesso contra ogni limite. Potremmo domandarci, a questa punta, perche noi non siamo minimamente coscienti del fatto che il Non-io e posto dall'Io. Nel momenta teoretico, noi ci troviamo 1' oggetto gia bell' e posto dinanzi a noi; nel mom en to etico, noi lo neghiamo mediante la volonta morale: nell'uno e nell'altro caso, esso ci appare estraneo all'io. Per spiegare questa estraneita, Fichte introduce la dottrina dell' immaginazione produttiva. E l'immaginazione che, in modo inconscio, pone dinanzi all'Io il mondo del Non-io. Il termine 'immaginazione produttiva' era stato adottato da Kant per distinguere l'immaginazione che propane (in qualche modo, produce) l'immagine di un oggetto, prima ancora che se ne abbia esperienza, dall'immaginazione che ci ripropone l'immagine dell' oggetto dopo averne avuto l'esperienza. In Fichte, la funzione dell'immaginazione e, per dir cosi, metafisica, in quanta essa produce, all'insaputa dell'Io, tna sempre per cura dell'Io, l'intero universo naturale. Un concetto, questa, che avra una grande rilevanza nel romanticismo. In coerente fedelta alla sua impostazione critica, Kant si era limitato a constatare l'esistenza di diverse regioni della spirito, (la scienza, la morale, l'estetica), tutte riferibili alle forme a priori del soggetto, rna tutte radicate in una realta, nella cosa in se, non coincidente col fenomeno. La fondazione del sapere era in lui una sola cosa con la precisa determinazione della sua validita e del suo limite. Invece in Fichte la trama kantiana delle condizioni a priori del conoscere e dell'agire si- tram uta in una articolata determinazione della realta e, in ultima istanza (ed e qui, per Fichte, il fondamento), nella unificazione degli opposti - il soggetto e le cose - nella Soggettivita assoluta. La gnoseologia diventa metafisica. Ma la metafisica non e piu, alla maniera antica, una scienza dell'essere, e una scienza del dover essere, dell'Io come infinita possibilita. Il primato della ragion pratica diventa, qui, potenza fondativa dell' etica, nel sen so
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che e nell'imperativo morale che trova significato l'intero universo dell'esperienza umana. Fichte si pone dinanzi agli orizzonti della morale come Robespierre dinanzi agli orizzonti del suo programma politico, quale soggetto che non tollera ostacoli, che li sopprime tutti. La soppressione fichtiana degli ostacoli e totale, rna - occorre dirlo - perche e astratta, perche si apre e si chiude nella sfera del conoscere e non in quella dell'agire empirico. Si direbbe, quasi, che la sua filosofia disegni spazi infiniti di liberta, proprio perche, sui piano concreto, non si clava nessuno spazio di liberta. E la contraddizione su cui cadra la sferza di Marx. 1.8 II problema di Dio e Ia 'svolta' di Fichte. E tuttavia, l'idealismo etico di Fichte, almena nella sua prima impostazione, cioe quale risulta nei suoi scritti del periodo di Jena, intende il destino dell'uomo come totalmente inscritto nell'ordine del mondo, senza prospettive di trascendenza. Il destino dell'uomo e di realizzare in modo compiuto la sua liberta, che e Ia totale indipendenza dalla natura, una indipendenza che, per quanta grande sia la virtu morale dell'individuo, nonl puo essere compito esclusivo di un singolo, e il compito comune dell'umanita. Nell'impegno morale e dunque esplicita la certezza che tale impegno non e vano, che esiste un ordintrsovrasensibile in cui trova senso ogni atto ispirato all'imperativo categorico}Quest'ordine sovrasensibile e Dio stesso. Dio non e una sostanza particolare, e nemmen,o una realta trascendente che sia altra da quella del mondo in cui vive l'uomo. Dio e lo stesso ordine sovrasensibile, di cui le coscienze finite sono la parziale e molteplice manifestazione. E quanta Fichte scrisse nel presentare, in una rivista filosofica, il saggio di un suo alunno, dedicato appunto al tema del 'fondamento della fede'. Fu propio questa lo scritto che determino il suo allontanamento da Jena. Lasciata Jena, Fichte non assunse affatto, com'era naturale aspettarsi, le posizioni del ribelle che, colpito ingiustamente nella sua liberta di pensiero, sviluppa le sue tesi portandole al limite. La vicenda lo porto, invece, a restituire al tema religioso un posto centrale nella sua riflessione. Ci fu chi, come Schelling, parlo di una svolta. Fichte era invece convinto di muoversi dentro lo stesso progetto che aveva sviluppato nella sua Dottrina della scienza. E infatti, come sopra abbiamo indicato, il sistema fichtiano si prestava a due sviluppi, ambedue legittimi, anche se con sbocchi tra lora antitetici: lo sviluppo della dottrina della scienza secondo le implicazioni della finitezza dell'io (e quanta avviene nella fase jenese), e lo sviluppo della scienza secondo le implicazioni dell'infinita dell'Io (e quanta avviene nella fase berlinese). Il primo sviluppo obbedisce alia stessa esigenza che aveva guidato Kant nella stabilire i confini del conofocere, e non solo di quello scientifico. Per Fichte, come per Kant, non si da la possibilita di un discorso sull'infinito. La riflessione berlinese adotta, invece, come campo suo proprio, quello dell'Io infinito, recuperando tutta la tradizione mistica, a cominciare dal Vangel a di Giovanni, al pun to che c' e chi chiama 'giovannea' questa fase del pensiero fichtiano. Le due rielaborazioni della Dottrina della scienza (del 1801 e del 1804) mostrano un Fichte impegnato a sviluppare i momenti della sua dottrina che toccavano appunto, l'infinito, in quanta non si esaurisce nel finito e resta come
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orizzonte dinanzi all'io empmco. II nome di Dio toma, e non soltanto per esprimere, alia maniera jenese, I' ordine morale esistente nel mondo, rna per esprimere, sebbene non in modo inequivocabile, una realta superiore allo stesso Io assoluto. L'equivoco e nel diverso sensa che ha l'idea di Dio, in una visione, come quella evangelica, che fa derivare da Lui le case per creazione, e in un sistema in cui il rapporto tra Lui e le case e quello della deduzione. Nella Dottrina della scienza la deduzione aveva come suo punta di partenza l'identita originaria (Io = Io). Ora Fichte avverte che questa soggettivita assoluta, gia nel suo porsi rimanda a una oggettivita assoluta e che le due assolutezze (l'assoluto Soggetto e l'assoluto Oggetto) stanno, prima della !oro divaricazione, in una unita compatta, l'unita di 'sapere' e di 'essere'. Ma questa unita non e indifferenziata. In essa l'essere e il limite del sapere, nel sensa che l'essere,-nella sua infinita profondita, e al di la del sapere, il quale sapere, a sua volta, coglie se stesso nella propria origine quando intuisce il proprio limite nell'essere. Il pensiero di Fichte si fa astruso, incline aile fumosita della teosofia, indulgendo lungamente al linguaggio simbolico. In qualche modo, Fichte subi- · see !'influenza di Schelling, che proprio in quegli anni polemizzava contra l'identita fichtiana tra Assoluto e Soggettivita pura. Fichte sposta l'Assoluto al di la del soggetto, rna senza dissolverlo nella pura indistinzione di Schelling (1.12), nel sensa che il suo Assoluto riduce a unita, rna senza annullarle, le due specificita del puro Sapere e del puro Essere. In questa chiave, egli reinterpreta, nella Introduzione alla vita devota (1806), il prologo di Giovanni: «In principia era il Verb9 e il Verbo era Dio... )). In principia e il Sapere e il Sapere e Dio stesso, anche se Dio non e esaurito nel Sapere. Vivere sara, per il datto, fare della propria vita una manifestazione di questa sapere, una manifestazione armoniosamente inserita nella multiforme rivelazione che Dio fa di se stesso nella storia, mediante la comunita dei dotti. Tale comunita non si sostituisce allo Stato e alla chiesa (istituzioni nelle quali e legittima la limitazione della· liberta), rna e il risultato della fedelta con cui i dotti vivono la propria missione, rivendicando, per questa scopo, una piena liberta di pensiero. 1.9 Lo Stato. La comunita dei dotti dovrebbe rendere visibile, e in qualche modo garantita da ogni ingerenza estranea, la convergenza delle coscienze, o meglio di quelle coscienze che sono in grado di riconoscersi e di sostenersi reciprocamente nella incessante Iotta contra il Non-io, in vista della totale indipendenza dell'Io dalla natura. L'impulso interiore che agisce nella molteplicita delle coscienze e l'infinita dell'Io indivisibile. Si ricordi che Fichte visse gli esordi giacobini della Rivoluzione francese con viva solidarieta, anzi con la convinzione di essere, in qualche modo, il filosofo che avrebbe fomito di quell'atto politico Ia motivazione universale. E fu negli anni di Jena che egli, in vari scritti, rna soprattutto nella Fondazione del diritto naturale del 1798, tento di stabilire un raccordo tra etica e politica. Negli anni berlinesi approfondi questa sua ricerca in pagine che, come si e detto, saranno pubblicate postume. Il mom en to giuridico nasce la dove le. coscienze si trovano, nel loro comune impulso verso l'indipendenza, l'una di fronte all'altra. Esse hanna tutte il diritto al massimo di liberta, anche nella sfera delle azioni esteriori. Di qui la ne-
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cessita di determinare !'ambito della liberta del singolo. Il carattere proprio del diritto e, appunto, quello di costringere ciascuno a rispettare la sfera della liberta dell'altro. Questa forza coattiva non puo essere affidata ai singoli rna all'insieme della comunita, che per questo aspetto si costituisce come comunita statale. In questo senso, lo Stato si pone, in rapporto al diritto naturale, non come un ostacolo, rna come una garanzia. E siccome il diritto non e che il risvolto esterno della Iegge morale che impone ai singoli e alla comunita il perfezionamento all'infinito, lo Stato non puo mai opporsi alle regole del progresso, che possono richiedere anche una sua modificazione. La sfera morale e quella giuridica propria dello Stato non hanno 1o stesso diametro: quella giuridica si inscrive dentro quella morale, nee un'espressione e uno strumento. Come si vede, l'impostazione liberale della dottrina dello Stato viene corretta da Fichte con una rigorosa subordinazione del diritto alle finalita morali della vita umana. Ad esempio, egli annovera fra i diritti originari che lo Stato deve far valere anche quello di proprieta. Ma che senso avrebbe uno Stato, argomenta Fichte, che si limitasse alla difesa della proprieta dei possidenti, lasciando a se stessi quei cittadini che sono privi di beni? II compito dello Stato e che tutti i cittadini abbiano sia la proprieta che il lavoro. Mentre per i liberali, e anche per Kant, la proprieta e una condizione necessaria per essere considerati cittadini attivi, per Fichte il semplice fatto di essere cittadino fonda il diritto. alla proprieta. Nel trattato lo Stato commerciale chiuso (1800), egli giustifica l'espediente protezionistico delle frontiere chiuse verso l'esterno con la necessita di una organizzazione economica destinata a suddividere il profitto in parti uguali fra i cittadini. II curiosa socialismo fichtiano mirava a conciliare le esigenze etiche con quelle economiche di una borghesia, quale quella tedesca, ancora debole e certamente non in grado di affrontare la concorrenza con le pili robuste borghesie inglese e francese.
1.10 La nazione nella storia dell'umanlta. Ma quando toccava temi economici, la riflessione di Fichte usciva, si puo dire, fuori dell'ambito suo proprio, che era quello dell'idealismo morale. E difatti, ·immerso come fu, durante gli anni berlinesi, nell'occhio del ciclone napoleonico e in diretto rapporto con le prime reazioni nazionalistiche, egli trasse ispirazione dalle vicende del tempo per approfondire due idee fondamentali, che fanno di lui il profeta, drammaticamente ambigud, del popolo tedesco e, pili in genere, uno dei creatori dei miti del romanticismo politico. Lo Stato non e che la forma politica di un soggetto storico la cui sostanza e spirituale: la nazione. I confini di uno Stato, cosi come il suo territorio, sono natura, appartengono al Non-io. L'unita della n~zione (o della patria) e, al contrario, un prodotto di quella storia dei valori soggettivi in cui si e espresso il genere umano nel suo progressivo perfezionamento. La vita terrena del genere umano - scrive Fichte ne I fondame11tali tratti caratteristici dell'eta presente (1806) -· si divide innanzi tutto in due eta ed epoche principali, !'una in cui Ia specie vive ed esiste senza avere ancora organizzato i propri rapporti con liberta secondo ragionc, e l'altra in cui realizza con liberta questa organizzazione razionale.
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Fichte utilizza il mito biblico dell'Eden facendo partire il viaggio della specie da un originario stato d'innocenza. n punta d'arrivo sara anch'esso uno stato d'innocenza, rna non come quello delle origini, che era anteriore alla liberta. La perfezione finale sara frutto di liberta. I popoli devono educarsi in vista di quell'ultima meta. Questa appello di Fichte ai popoli non era un astratto vagheggiamento di stampo settecentesco, era il suo modo di far fronte alla congiuntura della sua patria, divenuta, col 1806, schiava del tiranno Bonaparte. La - tradizione romantica, che nel suo paese aveva sviluppato, a partire dallo Sturm und Drang, non pochi temi nazionalistici, trovo il suo punta di fusione negli infuocati Discorsi alla nazione tedesca, che Fichte tenne a Berlino tra il 1807 e il 1808. Le visioni universalistiche sul futuro della specie si condensano, sotto la spint? della passione, .in esortazioni di puro stampo nazionalistico. Proprio perche i tedeschi sono stati sconfitti e ridotti in estrema miseria, proprio per questa essi saranno liberi da ogni gravame di materialismo e utilitarismo e potranno ricongiungersi facilmente con la propria origine. Essi infatti, come di. mostra la loro lingua, non si sono mescolati ad altri popoli, hanna la purezza potenziale dei popoli primitivi. Come Lutero riporto il cristianesimo alla purezza delle origini, come Kant libero il pensiero filosofico da ogni legame con tradizioni particolaristiche, sollevandolo alla purezi?:a dell'analisi trascendentale, come la poesia romantica stilVa tornando all'immediatezza creativa del popolo, cosi la nazione tedesca doveva considerarsi, nel consesso dei popoli, la nazione eletta, che avrebbe dovuto aprire all'umanita intera le vie della grandezza spirituale. E qui, nella svegliare dentro la nazione la coscienza ancora assonnata, la missione del datto. In un suo saggio del 1805, Machiavelli come scrittore, che incontro il plauso del barone Karl Von Clausewitz (il piu famoso teorico dell' arte militare ), Fichte dichiara di far suo i¥ principia del Segretario fiorentino: chiunque vuol fondare un principato deve ricordarsi che gli uomini sono cattivi. E ne trae due regale fondamentali: cogliere senza indugi ogni occasione per fortificarsi nelle sfere della propria influenza; non fidarsi mai delle parole di un altro. E concludeva: «nei rapporti con gli altri Stati non c'e ne Iegge ne diritto se non e il diritto del piu forte)). Se si congiunge l'apoteosi della nazione tedesca con l'esaltazione del realismo politico machiavelliano, e difficile difendersi dall'inquietante impressione che la profezia di Fichte abbia messo i piedi sulla terra piu di un secolo dopo, con Hitler. La fecondita delle idee non ricalca sempre le intenzioni dei loro autori. Pochi altri casi ce ne danno una prova cosi convincente.
Schelling 1.11 L'itinerario filosofico. Nel 1793 - l'anno in cui a Parigi il Terrore faceva funzionare a pieno ritmo Ia ghigliottina - ci fu una ispezione nel collegia Stift di Tubinga. Era stato il duca Carlo Eugenio a ordinaria, perche nell'ambito dell'Universita locale erano successi dei disordini: era stato piantato l'albero della liberta ed era stata diffusa una traduzione della Marsigliese. Fra gli inquisiti ci furono tre eccezionali compagni di stanza: Georg Hegel, Holderlin e il
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diciottenne Friedrich Schelling, il traduttore dell'inno rivoluzionario. In realta, i tre non erano dei rivoluzionari, come non lo era - e lo abbiamo gia vista Johann Gottlieb Fichte. In Francia, la rivoluzione giacobina fu il manifestarsi di un soggetto collettivo, la borghesia, lo stesso che, dopa lo smarrimento del Terrore, l'avrebbe ripresa nelle mani per volgerla a proprio vantaggio. Nella Germania di fine secolo (1.1), l'ansia di novita si faceva strada in un quadro ancora feudale e, proprio per questa, prendeva uno slancio puramente mentale e cioe utopico, senza avere a disposizione le mediazioni economiche e pelitiche per diventare realta storica. A parte Holderlin, destinate alla poesia e alia follia, Hegel e Schelling saranno, a diverso titolo, dei pensatori alieni, in diversa misura, da ogni tentazione di sovvertire l'ordine esistente. Schelling, anzi, fece a tempo a misurarsi col 1848, l'anno delle rivoluzioni liberali, e fu per lui una misura troppo ardua. Potremmo distinguere, nel lungo itinerario filosofico di Friedrich Schelling•, due momenti di relativa stabilita, in cui egli ha offerto due distinte sintesi del suo pensiero, precedute ciascuna da una fase critica caratterizzata da una estrema mobilita di ricerca e di interessi. 1. La prima sintesi schellinghiana, proposta attomo al 1800, e quella che potremmo chiamare della filosofia dell'identita, ed e la sintesi con cui si confrontera, per ridurla a momenta del proprio processo, Georg Hegel. 11 periodo preparatorio di questa culmine era stato inaugurate dall'incontro con Fichte, a Tubinga, un incontro che lo aveva deciso ad abbandonare la prospettiva della carriera ecclesiastica. 2. Col 1809 (l'anno della morte della moglie Carolina e della pubblicazione delle Ricerche), Schelling entra in una fase nuova, dominata dall'interesse religiose con sfumature teosofiche. Invece che dell'Io, Schelling si occupa di Dio.
Quando viene coinvolto nell'episodio rivoluzionario di Tubinga Friedrich Wilhelm Joseph Schelling ha solo 18 anni, un mostro di precocita. Nella stesso anna viene in visita a Tubinga Fichte, che si e appena messo in luce con la Critica di ogni rivelazione. Schelling fa i primi passi in filasofia come fichtiano; segue, tramite le dispense, l'insegnamento del professore di lena e nel 1795, appena ventenne, pubblica le Lettere filosofiche sul dogmatismo e il realismo, in cui le tesi di Fichte vengono esposte gia con un 'implicita presa di distanza. Anche per l'appoggio di Fichte e di Goethe, nel 1798 viene chiamato come professore a lena. Durante il viaggio verso la nuova sede fa sosta a Dresda, dove incontra il gruppo dei romantici e tra essi August Wihlelm Schlegel con la moglie Carolina. Ha inizio Ia relazione con Carolina che, lasciato lo Schlegel, diverra sua moglie e, per certi versi, collaboratrice. Come insegnante Schelling sviluppa il suo sistema, dove la matrice fichtiana e quasi sopraffatta dalla Yilosofia della natura; che rimane il suo grande contributo all'idealismo tedesco. NeZ 1800 ha inizio la rottura con Fichte, che diventa definitiva e formale nel 1806. NeZ 1801 e stretto collaboratore di Hegel, ma anche da Hegel egli si allontanera quasi subito; sara Hegel stesso a formalizzare Ia rottura nellintroduzione della Fenomenologia della Sp)l'#q{1807). /}'
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NeZ 1803 fascia lena per Wiirzburg, e poi, nel 1806, accetta la carica di Segretario dell'Accademia delle scienze di Monaco. Il trionfo di Hegel gli fa ombra, ma non intralcia la sua fecondita di pensiero, sebbene egli non publichi nulla. Il suo itinerario e ormai di tipo misticheggiante, in radicale contrasto col razionalismo hegeliano. Dopa la morte di Hegel, l'ambiente intellettuale berlinese e attraversato da spinte massimalistiche che preoccupano il monarca Federico Guglielmo TV. Schelling viene chiamato alla cattedra che era stata di Hegel e ottiene, sulle prime, un grande successo. Tra i suoi uditori Bakunin, Engels, Kierkegaard. Ma, anna dopa anna, il suo pubblico diminuisce, !'interesse peril suo pensiero e spazzato via dal prevalere di nuovi orientamenti (sono gli anni del Marx giovane) e il venerando pensatore si ritrae in se stesso, senza amarezze, ma cercando riposo nelle stazioni termali (a Karlsbad ha un incontro con Metternich, col quale si intende a meraviglia) e nella famiglia patriarcale che gli era cresciuta intorno dopa un secondo matrimonio. Muore a Ragaz, in Svizzera, nel 1854. Come si e detto, l'attivita produttiva di Schelling si arresta praticamente nel 1809. Dopa le Lettere filosofiche del 1795, le sue opere piu importanti sono: Idee per una filosofia della natura, del 1797; Sull'anima del mondo, del 1798 (un libra che entusiasmo Goethe); Primo abbozzo di un sistema di filosofia della natura (1799); Sistema dell'idealismo trascendentale, del 1800, forse la piz~ organica delle sue opere; Esposizione del mio sistema di filosofia (1801) e Bruno o il principia divino e naturale delle cose, del 1802; Filosofia e religione, del 1804; Esposizione del vero rapporto della filosofia della natura con la dottrina migliorata di Fichte (1806), l'atto formale di rottura col maestro; Ricerche filosofiche sull'essenza della liberta umana, del 1809. Gli altri suoi scritti saranno pubblicati tutti postumi: Lezioni monachesi sulla storia della filosofia modern a; Esposizione dell' empirismo filosofico, e le ultime due grandi opere: Filosofia della mitologia (1842-45) e Filosofia della rivelazione (1854).
A partire dal 1827, e cioe con la ripresa dell'insegnamento prima a Monaco (1827-1841) e poi a Berlino (1841-1848), la sua filosofia si fa profondamente nuova, centrata, da una parte, sul tema dell'infinito e, dall'altra, sui tema dell' esistenza (gli esistenzialisti del nostro secolo si rifaranno allo Schelling di questa periodo, che non per nulla ebbe tra i suoi ascoltatori anche Kierkegaard, il padre lontano dell' esistenzialismo ). Proprio in ~iferimento al sec on do tern a, quello sull'esistenza, Schelling chiamo positiva quest'ultima filosofia (1.17). 1.12 La filosofia dell'identita. II sistema schellinghiano viene denominato, per lo pili, filosofia della natura, rna la denominazione piu appropriata sarebbe quella di 'filosofia dell'identita'. Nella formula dell'identita - A e A -, che Fichte (1.6) aveva ricondotto alia formula l'Io e l'Io, l'essenza non e indicata dai due termini dell'identita, rna dalla copula, cioe dal legame che li collega tra loro e che, in se considerato, e la totale indifferenza nei confronti dell'uno e
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dell'altro. L'identita e l'indifferenza mutua di due termini. Fino a che uno dei due termini tiene sotto di se l'altro - Fichte fa del Non-io una posizione dell'Io, come Spinoza fa dell'Io un attributo del Non-io - si puo dire che l'Assoluto non e li. Se uno dei due termini, ad esempio l'Io, pone se stesso nella propria differenza specifica di soggetto, quasi fosse l'Assoluto da cui tutto e deducibile, allora lo sfondo ·indifferente ed eterno dell'Assoluto rimane come remota, e il sistema delle 'differenze' implicite nella differenza prima, cioe nel soggetto, lascia cad ere fuori di se l'intero sistema implicito nell' altro termine, il Non-io. E la linea soggettivistica del pensiero fichtiano. La linea oggettivistica spinoziana e simmetrica: si assume come assoluto l'Oggetto, la Sostanza, e se ne fa derivare l'intero sistema del reale, anche l'ordine soggettivo, che invece non e presente nel punta di partenza, l'Oggetto. La filosofia dell'identita risale invece al cuore dove i due termini, il Soggetto e l'Oggetto, coincidono nella lora identita, dove si puo dire che il Soggetto e l'Oggetto, oppure che l'Oggetto e il Soggetto, e dove, come si vede, l'essenza non e nel soggetto o nel predicato, che sono scambiabili, rna nella copula, nell' e, da intend ere come indifferenza reciproca tra i due termini. II diciannovenne Schelling aveva riconosciuto nell'idealismo di Fichte l'unica via per portare a compimento la rivoluzione di Kant. Pur attribuendo all'Io un compito di legislatore del mondo, Kant restava fedele alia consegna illuministica dell'accettazione del finito come spazio proprio della ragione. Abolendo i confini della cosa in se, o meglio radicando anche la cosa in se nell'infinito suolo della soggettivita, Fichte diventa il filosofo del romanticismo, e cioe di quell'atteggiamento della spirito che fa dell'infinito l'orizzonte suo proprio. Schelling e d'accordo: nel regno della filoS'ofia, l'albero della liberta lo ha piantato Fichte. Ma potremmo dire, sviluppando la metafora, che quella di Fichte rimaneva una rivoluzione parziale, esposta aile rivincite del vecchio regime. Per sottrarre la filosofia dell'infinito aile conseguenze della sua infondatezza occorrevano due condizioni. In prima luogo, occorreva tener canto che la separazione tra Io e Non-io non e una separazione originaria, nel sensa che l'atto di nascita del pensiero non e affatto la contrapposizione tra soggetto e oggetto, rna piuttosto l'intuizione in cui il soggetto e 1'oggetto non si distinguono tra lora. Per cogliere il fondamento prima della realta non e giusta Ia strada di chi lo identifica col soggetto (Fichte) ne quella di chi lo identifica con l'oggetto (Spinoza). Bisogna compiere un atto di astrazione, eliminando dall'intuizione sia l'intuente che !'intuito: quel che resta e appunto la to tale indifferenza sia all' oggetto che al soggetto In secondo )uogo, occorreva tener canto che l'oggetto non puo essere dedatto dal soggetto, perche in tal caso tutto cio che appartiene all'ordine dell'oggettivita, e cioe la natura nell'infinita ricchezza delle sue forme, risulterebbe vuoto di ogni significato autonomo, avrebbe soltanto, come in Fichte, il valore di contrapposizione dialettica all'Io. La verita e che ambedue gli ordini di esperienze, quelli della soggettivita e quelli dell'oggettivita, quelli dell'io con le sue forme mentali e quelli della natura con la sua inesauribile fecondita di forme vitali, derivano dal principia che li risolve in se e che e 'indifferente', nel sensa sopra spiegato, sia all'ordine og-
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gettivo che a quello soggettivo. I due ordini sono tra lora inconciliabili: la lora conciliazione avviene soltanto nell'Assoluto indifferente e indistinto che e la Ragione, da non identificare cartesianamente con l"Io pensante', perche il suo svolgimento abbraccia ambedue gli ordini. In questa tesi schellinghiana, che lo svolgimento delle case finite non e che l'articolata manifestazione della Ragione infinita, il pensiero di Hegel trovo il suo punta d'avvio e insieme il suo punto di distacco da quello di Schelling. E di questa diremo. Ma intanto e bene sottolineare che, proprio in virtu di questa comune radice, l'ordine delle case e l'ordine delle idee sono lo stesso ordine, con questa di diverso, che sul piano della conoscenza l'Assoluto si manifesta come accentuazione della soggettivita, mentre sul piano della natura si manifesta come accentuazione dell'oggettivita. Si tratta di due polarita opposte e correlative, come i due poli nel fenomeno elettrico. L"elettricita in se' e cia che resta, una volta che si sopprima sia il polo positivo che il polo negativo. E cosi l'Assoluto puo rivelarsi solo all'intuizione, in cui, soppresso il polo-soggetto e il polooggetto, si ha la piena coincidenza tra il conoscere e l' essere. Insomma: soppresso Spinoza e soppresso Fichte, resta Schelling. Anche in questa sistema di rapporti si svela l'indole dialettica del pensiero idealistico. Al termine del periodo di Jena, la dottrina di Schelling comprende due distinte filosofie: la filosofia della natura, che riguarda il mondo esterno al soggetto e tuttavia interno all'Assoluto, e la filosofia trascendentale o della Spirito, cioe la filosofia il cui oggetto e l'analisi delle forme dell'Io sulle quali si basa la possibilita del reale e che del reale sono il corrispettivo ideale, la condizione a priori nel sensa kantiano. E' in questa seconda filosofia che Schelling resta discepolo di Fichte, che a sua volta, come si e vista, provocato dalle critiche del discepolo, tentera di superare i limiti del suo soggettivismo di partenza.
1.13 La filosofia della natura. Ouell'immaginazione produttiva che in Fichte (1.7) fa si che l'Io, senza rendersene canto, ponga dinanzi a se il Non-io, la natura, diventa in Schelling un'attivita che ha radice nell'Identita ed e dunque anteriore sia al soggetto che all'oggetto, sia all'Io che alla natura. Si sopprime questa Identita ogni qualvolta si pretende di ridurre a sistema il reale, si tratti, come in Spinoza, di un sistema oggettivo che risolve l'Assoluto nella natura, si tratti, come in Fichte, di un sistema soggettivo che riduce anche la natura a Spirito. Una medesima intelligenza presiede all'origine e allo sviluppo della natura e all'origine e allo svolgimento dell'Io. La differenza e qui: nella natura, quell'intelligenza e inconscia, mentre nella Spirito e cosciente. Di qui la validita della via fichtiana, che ha dedotto la natura dall'Io, e cioe dalla coscienza. Ma se, come fa Fichte, si percorre la via solo nel sensa che va dal soggetto all'oggetto, la natura resta un vuoto involucra, senza significato autonomo. C'e an.che la via che va dalla natura v_erso il soggetto, percorrendo la quale si comprende come nella sua infinita varieta i1 mondo naturale e lo Spirito fattosi visibile, mentre lo Spirito umano e la natura fattasi invisibile. E' facile capire perche Schelling venga considerato il filosofo romantico per eccellenza. In lui, il mondo naturale, ridotto dalla filosofia meccanicistica del Sei e Settecento ad una combinazione tra quantita e movimento, si trasforma
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in una misteriosa 'odissea pietrificata', ripercorrendo la quale lo Spirito non fa che perlustrare la propria preistoria. Non era ancora stata formulata l'ipotesi evoluzionistica, che nell' ordine dei fatti avrebbe indicato nell' homo sapiens la punta emergente di una lenta trasformazione della materia (7.12). Pili lontana ancora era la teoria psicoanalitica, che avrebbe mostrato i rapporti tra coscienza e inconscio (14.3). E solo ai nostri giomi l'etologia e la sociobiologia fanno della ragione umana appena l'altra faccia di una ragione le cui strutture sono inscritte nella societa e, al di la della societa, nei meccanismi stessi della biologia animale ( 16.15). Ma, nei primi decenni del secolo scorso, il fascino di Schelling era tutto affidato alla capacita della sua filosofia di legittimare la passione dell'uomo romantico per il versante nottumo della condizione umana, in particolare per le affinita che stringono l'uno all'altro il mondo dei sentimenti e il mondo delle cose, un'affinita esplorabile con la poesia piuttosto che con la scienza. Schelling fu molto attento alle scoperte scientifiche del suo tempo, che, a suo giudizio, mostravano il limite della concezione scientifica di tipo cartesiano. Ad esempio, molto influi sugli indirizzi del suo pensiero la scienza chimica che, introducendo nella comprensione dei fenomeni la funzione della qualita, interrompe la linea meccanicistica, secondo la quale tutto cic che avviene in natura e solo quantita pili movimento: Nel 1793 Lavoisier aveva dimostrato che l'acqua, ritenuta per l'innanzi un elemento semplice, e invece il prodotto di ossigeno e idrogeno. Nella sintesi 'acqua' c'e perc qualcosa di piu che nella pura addizione di due elementi. Questo 'qualcosa' non e dell'ordine della quantita, rna della qualita. Riaffiora in Schelling la visione animistica dell'universo, che, entrata in crisi alla fine del Rinascimento, era stata spazzata via dalla rivoluzione cartesiana e galileiana. Non dovunque, perc. In Germania essa era ancora viva nell'ambito delle sette segrete, come la massoneria dei Rosacroce (1.1). Come dimenticare il laboratorio del Faust di Goethe, il grande poeta tedesco che, nel 1798, Schelling aveva entusiasmato con il suo opuscolo Anima del mondo? La natura e animata da un principio vitale che tutta l'attraversa e la organizza prima di piegarsi su se stesso e divenire coscienza. Nel suo ascendere dall'inorganico all'organico e dall'organico alla cosapevolezza spirituale, !'anima del mondo da luogo a tre ordini distinti di fenomeni - il magnetismo, l'elettricita, il chimismo - all'interno dei quali agiscono le due forze tra loro contrapposte, l'attrazione e la repulsione, che in ciascun ordine cambiano di nome. Nella fisica, ad esempio, l'attrazione si chiama gravitazione; nella chimica, si chiama affinita. L' am bizioso progetto di Schelling e di ordinare in una specie di enciclopedia tutte le scienze con i loro rispettivi risultati, per poi offrire di questi risultati una interpretazione unitaria. Non ci e possibile seguire, nemmeno . schematicamente, lo svolgimento che nei vari scritti Schelling offre di questo suo progetto (mai compiuto, peraltro, e sempre oscillante tra i due poli del suo pensiero, quello spinoziano e quello fichtiano). Ci bastera mettere in evidenza alcune delle sue tesi. 1. La prima e appunto quella della possibilita di sviluppare, accanto a una fisica empirica, una fisica speculativa. Potremmo dire, riprendendo un linguaggio tu.tt'altro che nuovo e che Schelling desunse da un filosofo a lui molto caro, Giordano Bruno, che la fisica speculativa studia la natura naturans, come dire la natura vista nelle sue possibilita, cioe come condizione a priori dei fenomeni
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che vengono studiati dalla fisica empirica, il cui ambito e appunto Ia natura naturata 2. A questi due livelli di approccio alia natura (quello speculativo, che ce ne da il congegno interno e quello empirico, che ce ne da Ia superficie, il lato esteriore) rispondono i due diversi modi di rendere ragione dei fenomeni, quello meccanicistico e quello finalistico. Nel meccanicismo, il fenomeno B'(effetto) viene di seguito al fenomeno A (causa). Secondo il finalismo, i rapporti non sono di successione, rna di reciprocita; l'organismo viene prima delle sue parti. L'organismo organizza se stesso. Nell'ordine delle case non c'e, dunque, una semplice combinazione meccanica tra quantita e movimento. Non c'e nemmeno un atto creativo che abbia impasto dall'esterno i fini che le cose debbono raggiungere. La verita e tra i due estremi: la forza creativa e interna al mondo, rna essa non e meramente meccanica, e finalistica. Ogni prodotto organico porta in se stesso Ia ragione della propria esistenza, giacche e causa ed effetto di se stesso 3. La filosofia della natura non e una filosofia a se stante; essa non puo concepirsi che come filosofia correlativa a quella trascendentale, come filosofia dell'ordine delle cose, che rimanda di per se all'ordine delle idee; e cioe come filosofia che, nel mostrare le ragioni della complessa organizzazione della natura, rimanda al momenta ideale in cui lo Spirito prende coscienza della com: plessa organizzazione di se stesso. Tra le due filosofie, c'e reciprocita. Ed e in questa necessaria reciprocita l'indicazione di un punta radicale in cui i due ordini, delle cose e delle idee, si unificano. 1.14 La filosofia dello Spirito. Nella filosofia della natura si parte dall'oggetto e, attraverso Ia sua analisi, si giunge al principia soggettivo; con Ia filosofia trascendentale, mediante l'analisi del principia soggettivo, seguendo il cammino opposto, si deduce l'intero ordine oggettivo. La prima delle due filosofie fa della natura un'intelligenza; la seconda fa dell'intelligenza una natura. In questa deduzione trascendentale, Schelling si ricongiunge a Fichte, del quale adotta la dottrina dell'Io come attivita con cui il Soggetto pone se stesso e oppone a se stesso l'Oggetto. Ma a questa confluenza con Fichte egli giunge reso diverso dalla sua 'fisica speculativa', e cioe dalla complessa comprensione del reale accumulata nel percorrere i misteriosi labirinti della natura, di quella natura che invece in Fichte restava ridotta alia semplice, astratta funzione di negazione dell'Io. Il momenta in cui lo Spirito intraprende il viaggio che lo porta a riprodurre, in modo cosciente, l'evoluzione- che la natura ha compiuto in modo inconscio, e J'intuizione sensibile, nella quale il soggetto e l'oggetto sono una sola cosa. II passo successivo e la riflessione, nella quale il soggetto diventa consapevole dell'oggetto come estraneo a se, come proprio limite. All'atto della riflessione, che e conoscenza del finito, si accompagna una tensione verso l'infinito, che porta lo Spirito a superare i limiti dell'oggetto per giungere alla piena identita di se con se, e cioe alia piena risoluzione della natura nella Spirito e della Spirito nella natura.
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Come si vede, aile origini dell'attivita teoretica non c'e, in Schelling, l'immaginazione produttiva di Fichte, c'e un'attivita inconscia, la cui sorgente non e l'Io (che e anch'esso un suo prodotto), rna quella Indifferenza tra l'Io e il Nonio, tra il soggetto e l'oggetto, tra lo Spirito e la natura che ha, nel sistema schellinghiano, il ruolo dell'Assoluto. Per questa, il suo e un idealismo oggettivo, o meglio realistico, in quanto il punto di partenza della deduzione non e il soggetto, rna l'Indistinto. Proprio per questa comune radice (come non pensare alia sostanza spinoziana con i suoi attributi, il pensiero e l'estensione?) i due svolgimenti, quello della natura e quello dello Spirito, sono simmetrici l'uno all'altro. Le tappe che la natura ha percorso, prima di giungere alia coscienza di se, sono le tappe di una odissea che lo Spirito, analizzando se stesso, ripercorre, scoprendo che non si da piena identita della natura se in quella identita non si integra lo Spirito (contro i materialisti settecenteschi), rna non si da nemmeno una vera identita dello Spirito se non si integra in essa anche la natura (contro l'idealismo spiritualistico di Fichte). Proprio per questa implicazione reciproca tra natura e Spirito, il sistema schellinghiano apparve come il sistema romantico per eccellenza, un sistema nel quale l'ansia dell'infinito si esplicava non nei cieli astratti dello spiritualismo, rna nei labirinti infiniti che corrono, al di sotto della soglia della coscienza, nell'organismo dell'uomo e nell'intero organismo dell'universo, che ha nell'uomo il suo centro universale. II mondo delle idee di Platone, abbandonata la sfera celeste, e dentro le fibre stesse del mondo, di modo che l'intelligenza del singolo uomo nulla arriva a sapere se non ricordando cia che e scritto nella propria storia e, al di la di essa, nell'intera storia dell'universo. C'e un momento in cui l'intelligenza, svincolandosi dai confini della sensazione (prima fase del suo itinerario) e poi da quelli della riflessione sulla sensazione (seconda fase), si fa oggetto di se stessa mediante l'astrazione trascendentale. E' questo il momento propriamente filosofico, nel quale, come si e detto, si riscopre, nelle forme pure dell'intelletto, l'universo intero con tutte le sue articolazioni, e si ritrova, nella luce dell'apriori, tutto quanto lo Spirito puo avere acquisito con I'esperienza, e cioe a posteriori. E' a questo punta che Schelling introduce, accanto alia facolta con.oscitiva, la facolta volitiva. La volonta e la facolta con cui l'intelligenza riesce a liberarsi da ogni contenuto empirico, per rispecchiarsi in se quale pura forma. Questa atto di autodeterminazione con cui l'Io annulla il limite degli oggetti farebbe dell'intelligenza una attivita illimitata, se non portasse in se anche il riconoscimento di altri centri di autodeterminazione, e cioe di altri soggetti in cui si rispecchia in egual modo, come nelle monadi di Leibniz, l'universo oggettivo.
1.15 L'arte, organo della filosofia. Una volta cosi determinati la natura e i limiti dell'intelligenza, resta da sapere in che modo essa puo giungere a conoscere l'Assoluto, e cioe quel principia che sta prima della divaricazione tra ordine oggettivo e ordine soggettivo. L'attivita teoretica come tale non e in grado di superare la biforcazione originaria. Infatti essa e, per definizione, un'attivita che presuppone un oggetto. L'Io che pensa implica l'oggetto pensato.
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L'attivita pratica, quella con cui, in base a sue proprie autodeterminazioni, e prigioniera del limite opposto: essa presuppone un soggetto in grado di modificare il mondo degli oggetti. La funzione teoretica mira a distruggere quella pratica in nome del dominio dell'oggetto sul soggetto; la funzione pratica mira a distruggere quella teoretica in nome del dominio del soggetto sull'oggetto. Come uscire dalla contraddizione? Quale potra essere l'organo supremo del sapere che consenta allo Spirito una presa diretta sul principia della realta? Le caratteristiche di questo organo sono deducibili dalla sua funzione: dovra essere, insieme, un organo ricettivo e produttivo, idoneo a riflettere in se cio che ha dinanzi a se e, insieme, a produrlo; totalmente libero, in quanto non condizionato da nessun oggetto, e totalmente conforme all'oggetto posto in essere dalla sua attivita produttiva; totalmente cosciente e totalmente inconscio: cosciente in quanto Spirito, inconscio in quanto natura. Un cosi miracoloso organo conoscitivo e detto da Schelling intuizione intellettuale, in quanto in essa si da totale coincidenza tra intuente e intuito. Cadute nel nulla tutte le determinazioni sia oggettive che soggettive, non e possibile definire in modo concettuale questa intuizione, che e un atto in cui l'Assoluto funge, nel medesimo istante, da soggetto e da oggetto, senza nessuna possibilita di distinzione. Ma, cosi definita, l'intuizione intellettuale sfugge alia nostra verifica, appunto perche ci introduce nel cuore dell'lndistinto. Nel suo atto supremo, la filosofia muore a se stessa, senza lasciare di se alcun documento fuori che quelli prodotti dall'arte. E difatti l'arte, che, in quanta 'intuizione dell'intuizione intellettuale', crea a se stessa il proprio inimitabile linguaggio, e il vero supremo organa della filosofia, e la riproduzione dell'Unita originaria, nella quale il singolo, frantumato nella conoscenza concettuale, condizionato dalla disciplina dello Stato, ritrova la sua unita organica, o meglio la sua trasparenza simbolica. Gia in Kant l'esperienza estetica aveva competenze conoscitive, rna parziali e circoscritte nella sfera emotiva, senza nessuna garanzia di oggettivita. In Schelling, invece, l'attivita artistica come tale e il momenta risolutivo della ricerca umana della verita. Il genio, questa figura che nella concezione romantica condensa in se il dinamismo della storia, ripete quanto abbiamo visto accadere nella natura e nella Spirito: la natura produce forme di vita che lo Spirito riconosce come sue, sia nella propria preistoria inconscia, sia nel loro libero progetto ideale. Il conscio e l'inconscio, che si sono separati nel lungo tragitto che va dalla materia all'uomo, tornano, dopo la separazione, nel genio, alloro stato di unita. L'opera dell'artista e infatti, per un verso, inconscia (il vero artista obbedisce all'ispirazione, e cioe a un afflato che viene dal di fuori di lui, dalla profonda pulsione vitale dell'universo) e, per l'altro, e cosciente, frutto di una elaborazione in cui ha peso l'abilita e l'intelligenza. In ogni prodotto artistico (la distinzione fra i diversi generi di arte non ha importanza) c'e l'infinito racchiuso in forme finite: ecco perche l'arte e sempre, in misura diversa, la rivelazione dell'Assoluto. il soggetto tende a modificare l'oggetto,
1.16 La 'svolta' mistica. Trasferendosi a W iirzburg, nel 1803, Schelling usci fuori dagli influssi di Goethe e di Hegel, che servivano a contenerlo in un orientamento segnato da una forte esigenza di razionalita (non vanificata
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nemmeno dalla sua dottrina sul primato dell'intuizione estetica), e venne lentamente catturato dal clima politicamente reazionario e culturalmente antiilluministico della Baviera. II suo libro Filosofia e religione, del 1804, e il documento di una svolta che, a dar retta alle tradizionali sistemazioni storiografiche, significo Ia morte culturale del grande filosofo, una morte culturale che precedette di mezzo secolo quella fisica. Questa sentenza storiografica non e stata senza appelli: di tanto in tanto si ravvivano gli interessi per il 'secondo' Schelling, la cui dottrina, peraltro, non e cosi documentata come quella del 'primo'. Fra i tratti curiosi del filosofo di dopo la svolta ci fu anche una ostinata riluttanza a pubblicare. In che consiste la svolta? In questo, detto semplicemente: non piu l'arte, rna la religione diventa l'organo della filosofia. Integrando nella sua visione del mondo apporti di varie epoche, da quello dei neoplatonici a quello della mistica tedesca e del panteismo rinascimentale italiano, Schelling, come si rivela gia nel suo successivo lavoro Ricerche filosofiche sull'essenza della liberta umana (1809), infrange quel confine, tutto sommato ancora razionale, che era la dottrina sulla Identita primordiale, in cui le contraddizioni fenomeniche, anche quella tra il bene e il male, trovano conciliazione, e introduce il conflitto nel cuore stesso dell'Assoluto. Schelling non aveva mai condiviso l'appiattimento di Dio sull'ordine morale dell'universo, come aveva fatto Fichte, guadagnandosi l'ostracismo di Jena (1.8). E nemmeno riesce a seguire l'amico Hegel in quello sviluppo dell'idealismo che lo portera a identificare Dio con l'ordine razionale dell'universo. Sia in Fichte che in Hegel, il dramma del male si diluisce in processi riconducibili dentro la sintesi positiva. Per Schelling, il dramma del male e della liberta sovrasta i confini dell'intelligibilita e ci costringe a risalire oltre la frontiera dell'Identita, in un Assoluto che abbia in se la contraddizione che noi sperimentiamo nella nostra esistenza quotidiana. Dio (Schelling riprende in uso la terminologia direttamente religiosa) ha in se l'antitesi a se stesso e questa antitesi e, in Dio, come l'oscuro fondamento da cui Egli emerge, affermandosi come amore. L'aver collocato aile origini della realta questo oscuro desiderio da cui proviene il male, e 1'aver fatto di Dio come il polo positivo in perenne tensione con quello negativo, come una luce d'amore che si libra sull'abisso insondabile, ha voluto dire, per Schelling, uno slittamento metafisico verso una visione irrazionale dell'universo, nella quale potevano trovare giustificazione le pratiche mistiche 0 addirittura teosofiche, e alla cui base c' e, trasferita in un registro del tutto filosofico, l'antica dottrina della caduta originaria. Come vedremo tra poco, Hegel aveva rimproverato alia dottrina schellinghiana sulla identita originaria di annullare le determinazioni dialettiche del reale per via di pura soppressione, come fa la notte, nella quale «tutte le vacche sono nere»., Schelling, in qualche modo, risponde alia obiezione hegeliana stracciando il velo dell'identita che copriva l'Assoluto e mostrando come anche nell'Assoluto vi sia una dialettica mai del tutto risolta e come quella dialettica, in quanto il mondo e un riflesso di Dio, attraversi e modelli tutta la storia. La divaricazione tra i due non poteva essere piu totale: Hegel affronta e sviluppa fino in fondo, senza mai uscirne, la visione dialettica della realta, Schelling Ia trova inadeguata a rendere conto del senso reale dei processi della natura e della storia e le volta le spalle nel misticismo.
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1.17 La filosofia positiva. Attomo al 1815 si apre una nuova fase nel pensiero di Schelling, sollecitato, per un verso, dalle vicende politiche, e pili particolarmente dalla piega reazionaria che esse presero col congresso di Vienna e con la Santa Alleanza (di cui Schelling fu convinto assertore), e, per l'altro, dall'antagonismo con Hegel, al culmine della sua egemonia che durera fino agli anni '30. Pili che di una svolta, si tratta di una chiarificazione del compito che, a giudizio di Schelling, deve avere la filosofia, quando voglia sul serio rendere · canto della realta e non della pura teorica possibilita, del quod, avrebbero detto i medioevali, e non del quid, del Was e non del dass, per usare lo stesso idioma di Schelling. C'e chi distingue in questa lunga stagione (40 anni) della 'filosofia positiva' periodi diversi, rna non e il caso di addentrarsi neUe complicate cadenze di questa metamorfosi, resa ancora meno perspicua sia dal fatto che resto affidata ad appunti e non ad opere organiche, sia dal fatto che, specie nella sua fase berlinese, a governarne lo svolgimento sembra essere non la necessita razionale, rna una patetica polemica con l' ex amico Hegel. Hegel infatti, agli occhi di Schelling, e I'incarnazione stessa della filoso'fia 'negativa', e cioe della filosofia totalmente affidata alla sufficienza della logica, totalmente commisurata al perimetro e alla articolazione dell'Idea, rna proprio per questo estranea ai processi reali della vita. Senza nulla rinnegare della filasofia grandiosa dei propri esordi, anzi con la pretesa di offrirne lo sviluppo, Schelling indica in Hegel l'aberrazione del pensiero che si pone come equivalente al reale (tutto cia che e reale e razionale), mentre lui, Schelling, aveva posto le basi di un idealismo 'realistico', in cui l'Assoluto e uno stato di indifferenza tra ordine delle idee e ordine delle cose, e dunque non puo mai essere identificato con nessuno dei due. Nel sistema hegeliano resta fuori proprio la realta. Si capisce perche tra gli uditori di Schelling a Berlino ci fossero uomini come Feuerbach e come Kierkegaard, e cioe uomini in posizione antihegeliana in nome del principia della realta non riducibile a ragione. Ma si capisce anche perche fossero proprio loro i primi ad abbandonare il vecchio maestro venuto ad occupare il nido di Hegel: il suo realismo non riusciva mai a planare davvero sulle cose. E' vero, si, che l'analisi dell'essenza non puo render tagione dell'esistenza, la quale deve avere, come fondamento di se, una ragione esterna alla pura essenza. Ma questa ragione esterna e, con delusione di Feuerbach, la creazione di Dio, la cui liberta non e vincolata a nessuna essenza. E questo Dio non e, con delusione di Kierkegaard, il Dio di Abramo e di Gesli Cristo, e il Dio generico delle religioni, la cui rivelazione progressiva e registrata non nella Bibbia soltanto, rna nell'intera tradizione spirituale dell'umanita. L'ultima fase del realismo schellinghiano fu, infatti, una ricerca sulla mitologia e sulla storia delle religioni. Quando arrivo il '48, con le sue rivoluzioni liberali, anzi con la prima rivoluzione proletaria, per la quale due seguaci di Hegel, Marx ed Engels, scrissero il Manifesto, Schelling, pur -cosi convinto d'aver riportato la ragione sui binari dell'esistente, non sene accorse nemmeno.
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Sommario. A differenza di Fichte e di Schelling, che hanno elaborato e proposto i loro sistemi con una straordinaria precocita, Hegel arriva alia sua costruzione con un Iento itinerario, scandito secondo tre successive permanenze: a Berna, a Francoforte e finalmente a Jena, accanto a Schelling: partita dai temi teologici, la sua riflessione giunge a far coincidere l'intera storia umana con le articolazioni formali del pensiero, il reale col razionale (2.1). Infatti, come egli spiega nel suo capolavoro, Ia Fenomenologia della Spirito, l'Assoluto non e un principia trascendente ne un principia da cui dedurre la trama del reale, rna e questa stessa trama, nel senso che e Ia ragione che concilia in se gli opposti in vista di una totalita nella quale le verita finite trovano Ia !oro piena verita. La storia, il fenomeno umano, trova la sua verita nel Logos, nell'Idea, e questa trova Ia sua verita nel fenomeno. Nella Fenomenologia sono gia posti tutti i temi che saranno via via svolti da Hegel piu analiticamente (2.2). L'impresa grandiosa di Hegel e la riduzione dell'intera realta dentro le maglie di un sistema il cui principia e l'identita tra il razionale e il reale, tra il modo di essere e il modo di pensare. La Logica e Ia descrizione della realta sotto l'aspetto della ragione, la quale, a differenza dell'intelletto, che conosce le cose secondo il criteria dell'identita, e una ragione dialettica, che procede cioe mediante la determinazione della tesi, della sua negazione (antitesi) e delle !oro conciliazione nella sintesi. La Logica e dunque Ia descrizione dell'Idea in se e per se (2.3). Invece la Filosofia della natura e la descrizione delI'Idea nel suo farsi esterna a se stessa, secondo un ritmo triadico: la meccanica, la fisica, Ia fisica organica (2.4). Tornando a se stessa dopo essersi estraniata da se nella natura, l'Idea non e, come in partenza, pura trama dell'intelligibilita del reale, e arricchita da tutte le determiJ!azioni concrete, e insomma coscienza del reale, e Spirito, e precisamente Spirito soggettivo (2.5). Lo Spirito soggettivo non e che Ia forma finita in cui lo Spitito infinito dispiega se stesso come Storia. Tale dispiegamento avviene nei tre momenti del diritto, della moralita e dell'eticita (2.6). L'eticita si fa concreta nelle situazioni che sono Ia famiglia, la societa e lo Stato. Lo Stato non e dunque il risultato di un contratto sociale, in quanta esso e anteriore agli individui (2.7). Negando se stesso come individuo per affermare lo Stato, l'uomo supera Ia propria finitezza e si apre all'infinita dello Spirito assoluto che si identifica con lo Stato (2.8), rna ha anche una vita a se, ha cioe delle espressioni che partecipano della sua assolutezza, come I'Arte, con la quale I'Assoluto si rivela a se stesso mediante immagini desunte dalla natura materiale (2.9), Ia Religione, con Ia quale I'Assoluto rappresenta se stesso come Dio, reale e trascendente (2.10), e Ia Filosofia, in cui !'Idea si svela pienamente a se stessa nel concetto (2.11). Tornata a se, I'Idea si rivela come una medesima cosa con la storia universale, col divenire della natura e dell'uomo. Lo Spirito assoluto e lo Spirito del mondo, cosi come si svolge nel divenire dell'umanita, il quale, a sua volta, si fa concreto nello spirito dei popoli, anzi nello spirito di que] popolo che volta a volta, nella dialettica delle guerre, emerge sugli altri (1.12). Questa dialettica, attraverso una fase orientale e una fase greco-romana, ha toccata Ia sintesi con la fase cristiano-germanica, il cui fulcro attuale e la Prussia, il cui pensiero, che in se tutto riassume, e quello di Hegel (2.13).
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Hegel: Ia preparazione 2.1 ltinerario formativo. La potenza creativa del genio tedesco nell'ultimo ventennio del Settecento e nel primo dell'0>ttocento e stata straordinaria (tav. 1), tanto da far pensare che in quel periodo lo 'Spirito del mondo' trovasse nella Germania, sebbene politicamente frantumata, il proprio luogo d'elezione (1.1). Di qui il ripetersi di coincidenze che appartengono, certo, alia perenne casualita degli eventi umani e che tuttavia lasciano trasparire, nel linguaggio allusivo del simbolo, una necessita inscritta nelle leggi universali del divenire dell'umanita. Una coincidenza del genere e, ad esempio, il fatto che nel giro degli stessi mesi, tra il 1806 e il 1807, mentre Napoleone celebrava le sue sconvolgenti vittorie, nella Germania sottoposta ormai al suo arbitrio, Beethoven componeva la sua sesta sinfonia, Goethe scriveva il suo Faust, Georg Hegel consegnava al suo editore la Fenomenologia della Spirito: tre opere che segnano i vertici assoluti rispettivamente della musica, della letteratura, della filosofia. Una coincidenza di tipo pili privata, rna anch'essa pregna di 'necessita', fu la coabitazione, nella medesima stanza del collegia Stift, di tre geni come H6lderlin, Schelling e Hegel. Si trattava di un Istituto teologico voluto da Lutero e Melantone per meglio preparare i pastori della chiesa riformata. I tempi erano maturi perche, nel solco stesso di una tradizione di alta serieta spirituale, esplodesse, in sincronia con la rivoluzione francese, una forma dello spirito su cui si e modellata in buona misura la coscienza modema, per quanto riguarda Ia sua visione del mondo. E cosi la Germania offri alia borghesia il terzo dei suoi trionfi, dopo quello economico in Inghilterra e quello politico in Francia. Marx deridera questa 'miseria della filosofia tedesca', e cioe questo suo modo di realizzare nell'astratto una rivoluzione che invece non riusciva nemmeno a sfiorare l'ordine delle cose (1.1). Quando da Tubinga si reco a Berna, nel 1793, Georg Hegel* non aveva ancora scoperto la sua vocazione filosofica: si considerava, per usare le sue parole, uno 'storico pensante', e cioe un ricercatore mosso da interessi sociali e politici. Solo nel 1801, di nuovo a fianco di Schelling, a Jena, egli formulera, se non proprio i1 suo sistema, almeno l'esigenza del sistema a cui obbedira per tutta la vita e che ben presto lo distacchera dai suoi maestri o compagni di strada. Di qui l'importanza della ricostruzione delle tappe del suo itinerario, dal 1793 al 1801, anzi al 1807, l'anno in cui apparve la Fenomenologia della Spirito, un vero 'giudizio di Dio' sulla storia passata, presente e futura. Questa rico. struzione e stata resa possibile dalla pubblicazione, avvenuta nel 1907, a cura di Herman Nohl, degli scritti giovanili di Hegel col titolo, piuttosto improprio, Georg Wilhelm Friedrich Hegel entra nella Stift nel 1788, proprio l'anno in cui Kant pubblica la sua Critica della ragion pratica. Viene da Stoccarda, dove e nato nel 1770, e viene con un bagaglio di cultura classica (Sofocle e la sua passione) e con buoni titoli per la carriera di pastore a cui lo destina la famiglia. Allo Stift egli si lega di amicizia con Holderlin e Schelling, il prima suo coetaneo, il secondo piu giovane di lui di cinque ann~ ma cosi precoce da diventargli, per alcuni ann~ quasi un maestro.
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Fra i tre c'e una specie di patto di tipo messianico, sebbene di stampo illuministico, che amana esprimere con le parole bibliche: «Venga il tuo regno e le nostre mani non restino inoperose». Finiti gli studi teologici e abbandonata !'idea della carriera ecclesiastica, si reca a Berna nel 1793, come precettore di un' agiata famiglia. I suoi interessi cultrrali sono di tipo storico-sociale. Scrive, senza pensare alia pubblicazione, una Vita di Gesu d'ispirazione kantiana e La positivita della religione cristiana, in cui fa sue, rna con originalita, le critiche illuministiche alia religione positiva, cristianesimo compreso. L 'arnica Holder/in gli procura un pasta di precettore in Germania, a Francoforte, dove si reca all'inizio de/1797. Gli interessi di Hegel si allargano in dimensione enciclopedica, e soprattutto sono sollecitati da una necessita interiore in cui gia e scritta la sua singolarita filosofica: la necessita di conciliare le contraddizioni, di rinserrare nel cerchio dialettico della ragione le conclusioni astratte e contraddittorie dell'intelletto. Questa indole hegeliana e documentata da un altro scritto giovanile, Lo spirito del cristianesimo, rna soprattutto nel Frammento di sistema, dell 800. Divenuto economicamente indipendente dopa la morte del padre, si trasferisce a lena, nel gennaio del 1801, e nell'estate della stesso an no vi ottiene Ia Iibera docenza. La sua carta di identita di filosofo la presenta, nella stesso 1801, col saggio Differenza tra i sistemi filosofici di Fichte e di Schelling, in cui fa sue le posizioni di Schelling, col quale fonda e dirige il Giomale critico della filosofia. Hegel vi pubblica dei saggi, ad es. Fede e sapere, nei quali prende corpo la sua progressiva diversificazione da Schelling. NeZ 1807, pubblica la Fenomenologia della Spirito, a cui fa precedere una Introduzione che esprime in modo netto il suo distacco dall'idealismo schellinghiano. Hegel entra di colpo sulla scena filosofica e l'occupa interamente, integrando il pensiero altrui (Kant, Fichte, Schelling) nel proprio come per un destino fissato da sempre. L 'anna successivo, il 1808, e chiamato a Norimberga per dirigere il Ginnasio locale. E' un periodo fecondo (tra l'altro si sposa con una nobile della citta). Pubblica i tre volumi della Scienza della logica tra il '12 e il '16 e lEnciclopedia delle scienze filosofiche in compendia, nel 1817. Quando pubblica lEnciclopedia, Hegel e a Heidelberg da un anno, come professore di filosofia nella locale universitiL NeZ 1818 e chiamato a Berlino, nella cattedra universitaria che era stata di Fichte. Il suo insegnamento raggiunge un prestigio e una risonanza che fanno di lui il 'maestro di pensiero' dell'intera nazione. Ne/1821 pubblica ['ultimo suo grande capolavoro, i Lineamenti di filosofia del diritto .. Muore all'improvviso nel 1831 per una causa accidentale, come Cartesio. 0 almena cosi sembra: il contagia lo colpi per aver mangiato un grappolo d'uva mallavata. Ancora una volta il caso si fece beffa della ragione. Una grande mole di appunti di cui si era servito per le sue lezioni venne pubblicata postuma dai discepoli, secondo alcuni temi: filosofia della storia e storia della filosofia, etica, estetica.
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Scritti teologici giovanili. La raccolta comprende, infatti, scritti di varia natura e di varia consistenza e compiutezza, da un frammento che risale all'ultimo periodo di Tubinga al Frammento di sistema, che risale al 1800, alla vigilia dell'insegnamento a Jena. Esaminati secondo Ia loro successione cronologica, essi ci consentono di determinare in Hegel tre periodi diversi. 1. Lo Hegel di Berna e ancora un teologo, cioe un pensatore che conserva come oggetto della sua ricerca Ia religione, rna si e gia parzialmente svincolato dal mondo delle tradizioni, in cui aveva respirato a Tubinga, a causa di alcune scelte: la scelta illuministica, secondo il magistero di Kant e di Fichte; la scelta politica, ispirata ai principi della rivoluzione francese; Ia scelta antropologica, che, al riparo dal radicalismo intellettualistico cosi in voga tra gli illuministi, lo tiene aperto alle funzioni sociali della religione, in base a una visione dell'uomo in cui non solo l'intelletto, rna anche la sensibilita e l'immaginazione hanno il loro peso. Si agitano insomma in lui istanze tra !oro non facilmente conciliabili. Gli scritti composti nel periodo be;rnese - Religione di popolo e cristianesimo, Vita di Gesu, La positivita della religione cristiana- sono ancora molto condizionati dal discorso di Kant e di Fi.chte sulla riduzione della rivelazione cristiana dentro i confini della ragione. Ma, mentre il postulato dei due maestri e che la religione trovera il suo compimento e Ia sua fine nella morale razionale, di cui il Vangelo di Gesu Cristo e una straordinaria anticipazione mitica, Hegel e dominato dalla premura della funzione politica che spetta alia religione, in quanto cemento di coesione popolare, e cioe in quanto Volksgeist, spirito del popolo. II dualismo posto dagli illuministi tra religione razionale e religione ecclesiastica non teneva conto di una terza realra, documentata dalla storia, e cioe della 'religione popolare', che non si lascia affatto identificare con quella dei ceti ecclesiastici. Anche se intessuta di credenze, miti, passioni, la religione popolare e potenzialmente .conciliabile con quella razionale del dotto, rna la conciliazione e un obiettivo storico lontano, non una realta del presente. Nel presente, la religione popolare e il principia vitale delle nazioni, come lo fu, e in modo esemplarissimo, dell'antico popolo ateniese. II romanticismo ellenizzante di questa fase rivela la comunanza di matrice culturale tra Hegel e Holderlin, una matrice che clara alimento anche alla dottrina di Schiller sull'anima bella, sulla conciliazione tra imperativo categorico e sensibilita (1.3). Sul piano collettivo, quella conciliazione si era data, secondo Hegel, nella Grecia antica, il cui eroe simbolico per eccellenza e Socrate. Come l'insegnamento di Socrate mirava a ricondurre l'uomo a se stesso, liberandolo da ogni falsa oggettivazione, cosi la democrazia ateniese aveva preso tutto neUe proprie mani, senza in nulla dipendere da poteri estranei alla volonta popolare. Su questo sfondo, la stessa immagine di Gesu si fa ambigua: per un verso, secondo la linea ermeneutica di Kant, Gesu e un precursore della religione razionale, il cui vero spazio e l'interiorita e la vita privata; per l'altro, opponendosi alia religione giudaica giunta all'estremo della degradazione legalistica, Gesu dovette adottare del giudaismo alcuni elementi positivi, come il diritto, il culto, la gerarchia, insomma dovette dar vita a una setta, all'interno della quale si stabilirono rapporti di dipendenza. La distinzione tra religione soggettiva (basata sui principia razionale della coscienza) e religione oggettiva (basata sull'obbedienza ai dogmi e alle autorita
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esterne) si sviluppa, negli anni di Berna, in una ulteriore distinzione tra religione popolare, come quella dell'antica Grecia, e religione positiva, come appunto quella ebraico-cristiana. Mentre nella religione popolare i tratti della razionalita sono presenti, anche se nell'involucro del sentimento e dell'immaginazione, nella religione positiva essi sono del tutto assenti o soffocati. In una religione positiva la fede e tutta volta all'al di la, e tutta imprigionata dalla sanzione del premia o castigo eterni. ll cristianesimo ha sviluppato di Gesu solo il nucleo positive, non quello razionale, che pure vi era luminosamente presente. Le chiese, senza distinzione tra quella cattolica e queUe evangeliche, esprimono e promuovono la religione positiva, non quella popolare, il cui esito vero e la formazione del buon cittadino, del citoyen animato totalmente da ideali terreni di liberta e di giustizia, senza leggi oppressive, senza ceti privilegiati, senza autorita a cui assoggettare la coscienza. L'allineamento di Hegel agli ideali della rivoluzione borghese, di stampo girondino e termidoriano, e gia evidente. La rivoluzione compiuta in Francia con la presa della Bastiglia e stata compiuta in Germania con la liberazione della coscienza dal dispotismo ecclesiastico avviata da Kant e da Fichte. II limite di Kant e di Fichte e stato di aver contenuto l'emancipazione nella sfera privata, di aver tenuto in sottordine la dimensione costitutiva dell'uomo, quella, appunto, del cittadino. 2. E' nel periodo di Francoforte che Hegel, liberandosi da troppo strette dipendenze da Kant e confrontandosi con il pensiero di Schelling, allora al massima del suo auge, porta a sviluppo alcune intuizioni gia vive in lui nel periodo bernese e destinate a fissare per sempre la sua identita. Ad esempio, e a Francoforte che la riflessione hegeliana, ancora illuministicamente bloccata nella contrapposizione tra il vero e il falso, cerca di recuperare anche il negative della storia, intendendolo come determinazione dell'infinito senza la quale l'infinito non e reale, rna astratto e vuoto di senso. Tomando al caso della religione, la positivita del cristianesimo e, si, la negazione della pura religione della coscienza insegnata da Gesu, rna senza quella negazione, in cui ha fatto sentire il suo peso l'opacita della condizione storica, la religione di Cristo si sarebbe dissolta nel puro nulla. La religione di Cristo e negata, si, dal cristianesimo rna, attraverso la negazione della negazione, essa ritrova se stessa nella sua piena verita. Nel saggio Lo spirito del cristianesimo e il suo destino, Hegel non vede piu nella religione kantiana l'espressione autentica dello Spirito, destinata a prendere il posto del cristianesimo, rna piuttosto un momenta teoricamente anteriore al cristianesimo, il quale, in quanta positivitd, e, si, negazione della religione pura (di Gesu e di Kant), rna, in quanta e religione dell'amore, e anche negazione della propria positivita e come tale e la sintesi concreta della contraddizione. Dovremo dire fra poco (2.3) della genesi e della natura del metoda dialettico in Hegel, rna intanto merita fermare un concetto, contenuto appunto nel saggio francofortese: il concetto di destino. Semanticamente, esso ci rimanda alia cultura romantica di un Holderlin e all'uso che ne fara in seguito Nietzsche. Ma il suo contenuto autenticamente hegeliano e un altro. E' la 'necessita' nel senso spinoziano, e la forza in virtu della quale cio che e reale e portato a negare se stesso, ad autodeterminarsi per trovare la propria verita attraverso la negazione di se. II punto critico della dialettica hegeliana nella sua fase francofortese e che il luogo della sintesi di tutte le contraddizioni del reale e
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ancora la religione, e il luogo di sintesi della contraddizione religiosa e, come abbiamo visto, l'amore, e cioe un principio extrarazionale. Ecco perche si e parlato di una fase mistica di Hegel. Certo, quella di Francoforte e la fase in cui egli fa tangente col pensiero di Schelling, del cui 'destino' irrazionalistico abbiamo appena detto. Ma il risvolto razionale nella 'conciliazione per via di amore' e, negli scritti giovanili di Hegel, il concetto di 'intero', di 'totalita', e la connessa distinzione tra l'intelletto, il cui compito e la determinazione del finito, e la ragione, che 'toglie' la negazione e ritrova cosi l'intero, la totalita. 3. Insomma, tutto e pronto perche, una volta a Jena, Hegel diventi totalmente se stesso. In un primo momento (si tenga conto che a Jena Hegel era solo uno dei dodici liberi docenti: la nomina a professore straordinario l'avra solo nel 1805), egli opera all' om bra di Schelling, di cui aveva sposato la causa contro Fichte. Il 'Giomale critico della filosofia' era composto praticamente solo da lui, anche se in piena concordia di obiettivi con Schelling. L' obiettivo principe era la critica a quelle che Hegel chiamava filosofie della riflessione (si ricordi il giudizio riflettente della terza Critica kantiana), e cioe le filosofie che riponevano nella soggettivita la facolta di raggiungere l'essenza delle cose. Sotto questo titolo rientrano tutte le filosofie che, da Kant a Fichte, affidano la riconciliazione delle contraddizioni o alia coscienza morale o al sentimento. Il merito di Schelling era di aver riferito le contraddizioni, a partire da quella tra soggetto e oggetto, a un Assoluto in cui i due ordini, il soggettivo e l'oggettivo, si risolvono in una indistinta unita. Ma il consenso di Hegel si fermava qui, per svolgere una critica sempre piu netta dell"idealismo oggettivo' di Schelling. La critica diverra ufficiale, e avra il senso di una rottura, nella Introduzione alia Fenomenologia dello Spirito. Fino a quel momento, Hegel apparira al gran pubblico come uno schellinghiano. Ma negli appunti che egli stendeva per i suoi corsi (e che furono pubblicati postumi con i titoli di Logica di lena e Filasofia del reale di lena) il divario tra 'la maschera e il volto' e gia netto. Limitandoci a una valutazione sommaria, possiamo dire che la tendenza di Hegel e di ridurre tutti i problemi a quelli della logica, nel senso che vedremo ampiamente tra poco. Vi appaiono gia messe a fuoco le strutture formali della sua 'dialettica', sostanzialmente diversificata da quella di Fichte. Di grande significato e anche l'attenzione dedicata al lavoro, quale forma particolare della dialettica tra soggetto e oggetto. La Bastiglia e lontana, rna la civilta industriale e, anche in Germania, alle porte. Hegel e gia il maestro della classe che dovra compiere, anche nel suo paese, la rivoluzione sociale. 2.2 La Fenomenologia dello Spirito. La stesura, o quanto meno il completamento, della Fenomenologia dello Spirito s'intreccio con le vicende che accompagnarono e seguirono la battaglia di Jena (8-14 ottobre 1806), che fece di Napoleone il signore della Germania. Hegel aveva assecondato, come si e visto, l'evoluzione della rivoluzione fino a condividere il Termidoro e la svolta del 18 Brumaio. Mentre Fichte, e con lui altri del gruppo romantico, reagi all'invasione napoleonica in nome della nazionalita tedesca fino a far causa comune con l'assolutismo monarchico, Hegel vide nel trionfo di Napoleone, e successivamente nell'applicazione anche alia Germania del codice napoleonico, un evento positivo della storia tedesca, per il semplice fatto che sotto la spada dell'imperatore erano cadute le vecchie strutture del feudalesimo. Il trionfo di Napoleo-
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ne equivaleva per lui, Iibera da ogni angustia particolaristica, al trionfo della ragione. Singolare coincidenza: aveva appena vergate le ultime parole della Fenomenologia, che e come l'epopea romanzata della Spirito Assoluto, quando vide coni suoi occhi Napoleone. Lo scrive in una lettera il13 ottobre 1806: Ho visto l'imperatore - quest'anima del mondo - attraversare a cavallo la citta per uscire in ricognizione; e in realta e un'impressione straordinaria vedere un uomo siffatto, che qui, concentrato in un punto, seduto a cavallo si protende sul mondo e lo domina ...
Quello di Hegel non e un 'servo encomia', e l'espressione immaginosa del concetto che fa da tema al suo grandioso lavoro: la coscienza infinita non e altra cosa che la coscienza finita, giunta alla piena consapevolezza di se. Anche il Faust di Goethe, la cui prima parte fu composta proprib in quegli anni, e lo svolgimento del medesimo tema: «E cia che all'intera umanita e dato in sorte I voglio nel mio intimo godere I .. e ampliare cosi il mio io sino a quello dell'umanita». Faust e Napoleone potrebbero dirsi gli pseudonimi dello Spirito Assoluto. Dietro questa 'trinita' c' e, come spiega Ernst Bloch, l'io borghese, che non ha, come i suoi colleghi in Francia e in Inghilterra, una realta effettuale pari ai suoi sogni, e che percio compie il suo viaggio negli spazi della filosofia e della poesia, come dire, per riprendere lo spunto sarcastico di Paul Richter (1.1), nel «regno dell'aria». Per la verita, lo slancio architettonico della Fenomenologia non va verso il «regno dell'aria». Al contrario, esso tende a chiudere in un medesimo cerchio l'ideale e il reale, come dice lo stesso titolo dell'opera: il fenomeno e il logos che lo spiega sono una medesima cosa. In una Introduzione densa e ardua, che compendia l'essenza del suo pensiero, Hegel comincia con lo sgombrare la strada dai rottami delle 'filosofie della riflessione', che, col ricondurre il mondo (l'oggetto) nella sfera della soggettivita ed ivi discioglierlo, lasciano al proprio destino la realta della storia con tutto il suo patrimonio di 'verita'. Il distacco di Hegel dal romanticismo e ormai totale. Il suo sforzo definitivo e il rigetto dell'idealismo oggettivo di Schelling, che, appena sei anni prima, Hegel aveva difeso contra Fichte. Quel che allora accomunava Schelling e Hegel era Ia critica alle filosofie della riflessione in nome di un Assoluto capace di fondare, senza annullarli !'uno nell'altro, i due ordini della soggettivita e dell'oggettivita. Ma l'Assoluto di Schelling - ecco quanta dice Hegel nella Fenomenologia - basato sul principia dell'identita (A = A) e quindi dell"Indifferenza' fra i due ordini del soggetto e dell'oggetto, aveva due livelli diversi di oggettivita: quello dell'Assoluto, raggiungibile solo con l'immediatezza dell'intuizione, che scarta ogni usa del concetto, e quello del molteplice, che pero rimane spoglio di ogni verita, rimesso alle cure di un intelletto empirico, classificatorio, come quello delle scienze della natura. Schelling faceva dell'Assoluto la coincidenza degli opposti, la conciliazione di tutte le contraddizioni, rna questa conciliazione avveniva secondo l'espressione sferzante di Hegel, nella <motte, dove tutte le vacche sono nere», come . dire, nella totale indeterminatezza. Il compito della ragione, invece, deve essere quello di mostrare come gli opposti si conciliano in ogni determinazione del
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reale, dentro i confini del finito in cui si svolge la storia dell'uomo. Racconta e commenta, con vivace linguaggio, Ernst Bloch: «'Qui e tutto da consumare', aveva esclamato il giovane Hegel in occasione di un banchetto a Jena ... II mangiare e il bere, per il fatto che cadono sotto i sensi, superano la cosi detta inafferrabilita dell'interiorita della natura, quindi tutti gli pseudoproblemi dell'agnosticismo. Contra il cosi detto insuperabile contrasto fra soggetto e oggetto, Hegel, con una robusta virata, ci presenta l'appetito degli animali quando si gettano senza esitazione sull' oggetto e lo divorano. La cosa in se viene afferrata con i denti. E se rimangono delle ossa che resistono al dente del concetto, vengono gettate via dall'orgogliosa ragione di Hegel come prive di valore e non venerate per la lora impenetrabilita». Questa 'consumazione' del reale e possibile solo se si intenda per Assoluto non un principia trascendente, altro dalla trama del molteplice, rna un principia interno a questa trama, anzi questa trama stessa, intesa quale perenne movimento della ragione, che concilia, dentro le determinazioni del finito, gli opposti messi in luce dall'intelletto, e, sospinta dall'esigenza di totalita, nega la conciliazione appena operata per poi superare questa negazione in un piu alto punta di conciliazione, in perenne movimento verso l'Intero. La verita e la totalita, da intendere non come inerte aggregato di tutte le case, rna come movimento verso il tutto. Movimento di chi? Della Spirito, dice Hegel, il quale e Assoluto in quanta risultato, rna anche in quanta itinerario verso il risultato. Denominando Spirito l'Assoluto, Hegel previlegia il momenta della coscienza: l'assoluto e la totalita divenuta cosciente di se. 0 meglio, e Ia coscienza che diviene autocoscienza, e lo diventa dopa aver percorso l'intera catena dei 'fenomeni' in cui consiste la storia dell'umanita. La Fenomenologia e, dunque, come la Divina Commedia dell'eta borghese. La coscienza dell'individuo percorre Ia storia delle grandezze e delle miserie della specie, per scoprire in essa il logos, la ragione che e ormai la sua ragione non piu vincolata ai modi concreti del suo divenire «consumati dal dente del concetto», rna pienamente padrona di se, in quanta padrona del 'sistema della verita'. Del sistema diremo tra poco. Tornando ora, in modo analitico, alla Fenomenologia, cerchiamo di determinare con chiarezza le tappe piu significative della Spirito, queUe che Hegel chiama 'figure' della ragione, e cioe momenti fenomenici, conservati nella memoria storica, nei quali si esprime, come per figura, la Iegge interna della ragione. 1. Dalla coscienza all'autocoscienza. La Fenomenologia comincia con l'analisi di come avvenga Ia conoscenza sensibile, il cui sbocco e l'autocoscienza. In una prima fase, si da appena Ia certezza sensibile che un soggetto e modificato da un oggetto, che questi sente questa. Ma sentire non e percepire. Nella secondafase, si ha la percezione vera e propria, che comporta un'attivita della coscienza che si rende canto dell'oggetto e della propria differenza da esso. Ma l'oggetto si rivela come un insieme di nessi costanti, che si impongono nella percezione, producono effetti nel soggetto (una zolletta di zucchero, salida, bianca, produce nel mio palata la sensazione del dolce) e chiamano in causa categoric come quella di causalita, di quantita, ecc. E' la terza fase, in cui Ia percezione si trasforma in atto dell'intelletto. Solo in quanta intelletto, la co-
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scienza si fa veramente tale, nel senso che distingue se dal mondo degli oggetti, si fa insomma coscienza di se, autocoscienza. 2. La contesa servo-padrone. L'autocoscienza e tale in base a due rapporti: con l'oggetto e con se stessa. Con l'oggetto, essa sperimenta l'estraneazione; coglie, cioe, nell'oggetto, cosi come lo ha determinate l'intelletto con le sue categorie, cia che ha rapporto con il suo appetito, sicche l'oggetto rispecchia la coscienza tutta estranea a se stessa nel suo desiderio di appagamento. In secondo luogo, l'autocoscienza e riconoscimento di se ed esigenza di riconoscimento da parte di altre coscienze. E' cosi che un individuo sorge dinanzi a un altro individuo, e cosi che l'autocoscienza, nel tomare a se dall'estraneazione, incontra nell'altra autocoscienza un possibile ostacolo. Nasce cosi il duello tra le autocoscienze, un duello che si risolve con l'assoggettamento di una delle due, la quale, per aver salva la vita, riconosce l'altra come vincitrice. In altre parole, si stabilisce il rapporto servo-padrone. Questo rapporto di dipendenza travolge anche il rapporto tra autocoscienza e cose. Infatti, il padrone ha della cosa il pieno godimento e percio essa non gli e piu estranea, anzi si immedesima con lui, mentre il servo, costretto a lavorare e cioe a modificare le cose per offrire al· padrone i frutti del suo lavoro, resta estraneo aile cose come queste restano estranee a lui. 3. La coscienza infelice. II servo vive, si, in uno stato di sottomissione al padrone, rna, a causa del suo contatto con le cose che plasma e modella secondo l'arbitrio del padrone, egli fa esperienza della propria signoria sull'oggetto, una signoria che lo sospinge verso una piena parita. Come si vede (ed e qui il lato progressista di Hegel), a dare impulso alia dinamica storica e il lavoro. E' proprio nel formare la natura che il servo forma se stesso secondo il modello della signoria sul mondo e trae la spinta a rivendicare la piena uguaglianza. Ma l'itinerario della piena uguaglianza e lungo e accidentato ed e contrassegnato da quelle che potremmo chiamare 'ideologie della liberta', e cioe da dottrine che, pur nel persistere dello stato di servitu, fomiscono al servo le condizioni graduali della propria emancipazione. Queste condizioni, in cui si scandisce l'esodo dallo stato di servitu, Jo Spirito le trova come depositate nella propria memoria, nel senso che sono gia state di fatto sperimentate nel mondo antico. Si tratta dello stoicismo, dello scetticismo e del cristianesimo. Con lo stoicismo, la coscienza si fa paga di se stessa, rinunciando al dominio sulle cose, il cui svolgimento le appare retto da una necessita che essa riconosce come divina. Sperimentato vano questo ideale della impassibilita, la coscienza si ripiega in se stessa rifiutando ogni pretesa di verita, venga da se stessa o da altre coscienze. L' atarassia dello scetticismo si basa sulla messa alIa pari di tutte le opinioni e sulla inesauribile confutazione di ogni opinione che si spacci per vera. La coscienza torna a se stessa liberata dalla condizione servile, in quanto rigetta ogni dipendenza dal mondo delle cose e dalle opinioni altrui. Ma una simile liberta e solo apparente. I due poli estremi, quello del 'servo' e quello del 'padrone', riemergono in essa non conciliati, divisi. Di qui la sua condizione di coscienza infelice, che ha trovato storicamente espressione nel cristianesimo. Da una parte, l'assolutizzazione del polo della 'signoria' si fa estemo a lei, trascendente, universale, e, dall'altra parte, la coscienza singola si fa totalmente dipendente dalla prima, in un rapporto che non e di pensiero, rna di devozione. Dio e il suo servo fedele non sono due realta, sono la proie-
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zione duplice della coscienza divisa, la quale contempla e vagheggia una totale riconciliazione, anzi identificazione tra padrone e servo, rna la contempla nell'al di la. Questo e il cristianesimo medioevale, la cui crisi comincio quando, col Rinacimento, l'io umano si attribui le stesse qualita di Dio e riconobbe come vero regno della riconciliazione l'operoso mondo della storia. La rivoluzione francese ha dato pienezza a questo processo di liberazione. 4. I 'cittadini' sono uguali fra loro nel momento in cui danno inizio al regno della liberta, dove l'autocoscienza di ciascun cittadino si identifica con la 'repubblica' di tutti. A questo mutamento di forma storica corrisponde il trapasso logico dall'intelletto alla ragione, cioe dal soggetto individuo, che esprime se stesso come totale liberta, come autocoscienza totalmente indipendente, alla ragione, e cioe all'autocoscienza che si rende conto di come l'intera realta non sia niente di diverso da lei: Ia ragione, scrive Hegel, e Ia certezza della coscienza di essere ogni realta. II resto della Fenomenologia e l'esposizione del viaggio che la Ragione compie per riconoscere se stessa nella totalita del reale e per ricondurre a se Ia totalita del reale in cui si era alimentata, per divenire, insomma, sapere assoluto. Questa parte della Fenomenologia sara ripresa e pili organicamente ordinata da Hegel nelle sue opere successive, che ci daranno in modo completo il suo sistema.
Hegel: lo Spirito soggettivo 2.3 La logica. Negli anni trascorsi a Norimberga (1808-1816), Hegel, svolgendo quanto gia aveva affidato, negli anni 1801-1802, a un manoscritto (quello che, si e detto, verra pubblicato postumo col titolo Logica jenese ) compone e pubblica la Scienza della logica, in tre volumi. E' il primo pilastro del sistema. Nell'inverno 1816-1817, durante il suo corso di insegnamento a Heidelberg, egli si serve di una Encicolpedia delle scienze in compendia, che ha gia composto e che pubblichera nel 181 7. E' questa breve opera (288 pagine) a dargli fama, fino ad aprirgli le porte dell'universita di Berlinci. Dieci anni dopo, 1' Enciclopedia esce in seconda edizione, quasi raddoppiata: 534 pagine, pili 42 di prefazione. Nel 1830 Ia terza edizione comprende 600 pagine, pili 58 di prefazione. E' questa !'opera a cui Hegel affida tutto se stesso. La sua Bibbia, si disse. Infatti, egli vi recupera, oltre che i temi fondamentali della Fenomenologia, da lui considerata come una larga introduzione al sistema, i tre volumi della Logica, ridotti ad essere la prima delle tre parti dell' Enciclopedia, come richiesto dalla limpida geometria dell'opera. La quale, per Ia verita, limpida non e, ne mai e sembrata, cosi fitta vi appare Ia vegetazione delle deduzioni, cosi smisurata la pretesa di racchiudere dentro le planimetrie concettuali tutto il tumulto della storia real e. Ma, nella sua ossatura portante, il sistema c' e, ed ha una semplicita cartesiana.
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Lo Spirito assoluto non e, come nella tradizione metafisica, un principia a se stante, estraneo al divenire, e invece una stessa cosa con la totalita del divenire, una totalita che implica dialetticamente tre momenti: 1. l'Idea in se e per se, studiata dalla Logica; 2. l'Idea nel suo farsi esterna a se stessa nella natura, studiata nella Filosofia della Natura; 3. l'Idea che dal suo alienamento ritorna a se stessa e si fa pienamente autocoscienza, studiata nella Filosofia dello Spirito. Prima di un approccio, sia pure sommario, alla Logica, e bene mettere in chiaro due 'originalita' dell'idealismo hegeliano, che ne fanno un termine di riferimento obbligato anche per chi si muove in orbite filosofiche del tutto diverse. Nel determinare come Spirito il principia assoluto, Hegel, mentre si rivolge (e lo vedremo fra poco) aile metafisiche classiche e alla tradizione teologica cristiana, prende le distanze, in modo netto, tanto dall'idealismo di Schelling quanto da quello di Fichte. Gli argomenti di questa presa di distanza li abbiamo gia visti ripetutamente. Resta da dire che la nozione di Spirito, sebbene si basi su quella di coscienza, e questa, a sua volta, appartenga, almeno nel suo senso immediato, al linguaggio della soggettivita, nella visione hegeliana non e affatto soggettivistica, in quanto lo Spirito non e la stessa cosa che l'Io fichtiano, cosi come il mondo dell'oggetto non e affatto il Non-io che fa da ostacolo all'Io. La dialettica fichtiana consiste nel rimuovere incessantemente la negazione del Non-io, rna in maniera che il Soggetto la tenga sempre fuori di se, altra da se. Solo cosi il suo compito di trascendimento puo procedere all'infinito. L'infinito fichtiano e, infatti, come una linea che non termina mai. E' insomma un progetto, un'aspirazione, non una realta. Invece l'infinito di Hegel e reale, perche e lo Spirito che genera se stesso ed e se stesso anche la dove s'incontra con la negazione di se. Anzi, la negazione e una condizione del suo essere concreto, nel senso che lo Spirito non ha altro luogo in cui essere che l'insieme delle sue determinazioni. E cosa e una determinazione, come dicevano anche gli antichi eleatici, se non una negazione? Facciamo un esempio: un albero e un albero in quanto e un insieme di determinazioni, ciascuna delle quali non e l'altra, ciascuna delle quali non e l'albero, e in tanto si da in quanto nega la determinazione che la produce. La gemma, il fiore, il frutto: il fiore e in quanta nega la gemma, e il frutto e in quanto nega il fiore. E l'albero e in quanto si identifica con l'insieme delle sue determinazioni (gemme, fiori, frutti, ecc.), che non sono pero immobili, bell'e date, rna divengono, in un continuo trascorrere da morte a vita e da vita a morte. Ebbene, lo Spirito e la totalita del reale, e il tutto che ha in se le parti ed e la parte che chiude in se il tutto, in quanto che, per essere quella che e, le occorrono le relazioni con tutte le altre parti. Questa concatenazione dinamica e come un teorema, che puo essere visto o dal punto di vista oggettivo, come ordo rerum, come ordine delle cose, o da un punto di vista soggettivo, come ordo idearum, come ordine delle idee. Tra i due ordini c'e totale identita: «cio che e reale e razionale e cio che e razionale e reale)), e il pili famoso (ed anche il pili inquietante) degli assiomi hegeliani. Il principia che unifica i due ordini e la contraddizione, la compresenza di due opposti che non possono tra loro conciliarsi se non nel movimento. Al li-
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vella della ragione, questa movimento si dice dialettica. E' un movimento circolare, nel sensa che si conchiude col ritomo al punta di partenza, rna puo anche raffigurarsi con un triangolo i cui tre lati, o meglio i tre angoli, sono i tre momenti del processo: tesi, antitesi e sintesi. Questi termini sono invalsi nell'uso scolastico, anche se Hegel preferisce servirsi di altre espressioni. 1. II momenta della tesi e sotto il segno del principia di identita: A = A; ed e il dominio proprio dell'intelletto, cioe della facolta astrattiva il cui compito e la definizione. Hegel non lesina elogi all'intelletto, in quanta senza la sua opera, da cui non e mai lecito prescindere, cadremmo fatalmente nella notte romantica, o peggio nel marasma della cognizione sensitiva. L'intelletto trae dal tessuto del reale il particolare, lo isola e lo solleva ai livelli della universalita astratta. Non si dimentichi che in Hegel il termine 'astratto' ha un significato diverso da quello corrente. Ad esempio, il concetto di un fiore, isolato dal contesta dell'albero, e dalle determinazioni a cui esso rimanda, e astratto, come, per tomare agli esempi eraclitei, e astratto il concetto di notte se isolato da quello di giomo. E cosi l'intelletto produce chiarezze ispide, l'una separata dall'altra nelle lora rispettive identita, fino a che non avvenga tra l'una e l'altra la relazione essenziale che permette alia ragione di pensare la contraddizione. 2. L'uscir fuori dalle strettoie delle identita dell'intelletto e il compito della ragione, che nella sua tensione verso la totalita («il Vero e l'intero))) Iibera lo Spirito dai confini dell'intelletto in due diversi momenti, uno negativo e l'altro positivo. Quello negativo e l' antitesi: la ragione mostra che, per pater davvero intendere un concetto posto dall'intelletto, bisogna che quel concetto si estranei da se, si rovesci nel suo opposto. II concetto di uno, ad esempio, non puo essere inteso se esso non si rovescia nel concetto di molti. E cosi il concetto di bene non si comprende se non rovesciandolo in quello di male. E' la ragione negativa, che 'toglie' la tesi, la elimina per negazione. Questa negazione determinata, che ha cioe come suo oggetto la determinazione positiva, e Ia molla del conoscere, come e Ia molla della realta. Anche il seme che e sottoterra porta i1 frutto purche muoia, venga cioe negato; il bambino diventa adulto solo se come bambino muore, e cosi via. 3. II momenta positivo della ragione e la sintesi, e cioe I'atto con cui i contrapposti vengono colti nell'unita delle lora determinazioni. Negate le pretese di autonomia che ciascuno degli opposti aveva, vengono conservati gli elementi che all'intemo di ciascuno miravano all'apertura verso J'altro. Queste due fasi della ragione, il 'togliere' e il 'conservare', costituiscono quell'operazione che Hegel chiama superamento (Aufhebung). Riprendiamo la famosa figura della Fenomenologia, quella del 'servopadrone'. II servo e Ia negazione (il 'toglimento') del padrone, rna l'uguaglianza nella societa democratica e la negazione di questa negazione, e cioe la conservazione di quanta di positivo si trova nella cultura del padrone e in quella del servo. La rivoluzione francese non e l'annientamento, rna il superamento della fase servile della storia umana. II 'terzo concetto', quello della sintesi, e ricco della ricchezza dei due concetti di cui e il superamento. Solo che, essendo anch'esso una determinazione finita, non potra non provocare il proprio opposto, Ia propria antitesi, dalla quale, per opera della ragione, si ascendera verso una sintesi piu ricca: a! limite, Ia totalita, che e, solo essa, il Vero.
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Si ricordi che il metodo dialettico non riguarda solo il modo di pensare, riguarda anche il modo di essere. La Logica, che e Ia scienza delle articolazioni che stringono, nella !oro unita e nel loro movimento, le forme del pensare, e, gia di per se, anche la scienza delle articolazioni che stringono in unita e nel !oro movimento le forme dell'essere. Essa non e dunque un 'organo conoscitivo' da mettere in pronto prima di poterlo usare. La logica si scopre nell'usarla, cosi come si impara a nuotare nuotando. E difatti basta porsi il problema del 'cominciare': II cominciamento non e il puro nulla, rna un nulla da cui deve uscire qualcosa. Dunque anche nel cominciamento e gia contenuto l'essere. Il cominciamento contiene dunque !'uno e l'altro, l'essere e il nulla: e I' unita dell'essere col nulla.
Infatti, il primo dei tre gradi della scala delle determinazioni logiche e quello dell' essere assolutamente indeterminato, di cui cioe niente si puo dire e che dunque si risolve nel Nulla, cosi come il nulla, anch'esso assolutamente indeterminato, si risolve nell'essere. Ma nel risolversi dialetticamente nell'essere, il nulla («che i buddisti, sentenzia Hegel, considerano principia, scopo finale e meta di ogni cosa») non si sperde nel puro vuoto, e divenire: nel divenire i due termini sono, come si e appena spiegato, 'tolti' e 'conservati', come e facile rendersi conto: nel divenire si da passaggio dall'essere al non-essere e dal nonessere all' essere. II secondo grado nella scala delle determinazioni e quello dell' essenza. Dall'essere si passa all'essenza quando l'essere determinato riflette su se stesso e scopre la propria identita come sistema di relazioni dialettiche: e cioe, Ia propria ragion d' essere (la ragion sufficiente leibniziana), Ia propria empiricita di fenomeno, e, quale sintesi tra i due momenti, la concreta realta in atto, in cui si unificano l'intemo (la ragion sufficiente) e l'estemo (l'insieme dei dati empirici). II terzo grado e il concetto. Nel farsi presente a se stesso nella totalita delle sue determinazioni, l'essere diventa concetto, il quale, visto nella mente che lo pensa, e soggettivo, visto nella realta, e oggettivo e visto nell'unita della sintesi, e Idea, e cioe piena autocoscienza. Si tenga conto che qui abbiamo indicato appena, per cosi dire, le giunture essenziali di un immenso organismo di determinazioni logiche che abbracciano tutto il reale. L'Idea, in cui abbiamo visto confluire l'intero processo logico, non e la rappresentazione di un oggetto chiaro e distinto, e la rappresentazione di tutti i singoli esseri nell'insieme delle loro relazioni reciproche, cosi come !'idea di albero si ha quando si ha la rappresentazione di tutte le singole parti dell'albero e di tutte le loro relazioni reciproche. II singolo per se non corrisponde, dice Hegel, a! suo concetto: questa limitatezza della sua esistenza costituisce Ia sua finita e Ia rovina del singolo.
La conoscenza, dunque, alia pari della realta, approdi:
e un
continuo processo senza
Tutto il resto e errore, torbidezza, opinione, sforzo, arbitrio e caducita; soltanto !'idea assoluta e essere, vita che non passa, verita di se conscia ed e tutta Ia verita.
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E' fin troppo scoperta la somiglianza di linguaggio e di concetto tra questa momenta della logica hegeliana e il neoplatonismo, specie quello tardo della scuola di Proclo (!.8.7), centrato sulla circolarita del processo con cui tutto viene dall'Uno e vi ritorna. Che la logica di Hegel rassomigli a una teologia non e del resto un rilievo dei suoi oppositori. Lo stesso Hegel, nell'introduzione alla sua Logica, aveva scritto che essa ha per argomento l'esposizione di Dio com'egli e nella sua eterna essenza prima della creazione della natura e di uno spirito finito.
Perche non si cada in equivoci, ricordiamo che nel sistema hegeliano non e pensabile nessuna creazione. La nozione biblico-cristjana e usata per indicare quel momenta - che preso a se e puramente astratto - in cui l'idea non si e ancora estraruata da se nella natura.
2.4 Filosofia della natura. Posta che Hegel abbia mai condiviso l'entusiasmo dei suoi amici romantici per la natura, quell'entusiasmo scomparve di sicuro nell'estate del 1796, poco prima che egli si recasse da Berna a Francoforte. A Berna, com'era gia nel costume, Hegel provo a fare l'escursionista di montagna, la solenne montagna svizzera. Leggiamo nei suoi diari: La ragione non trova, pensando alia durata di questi monti e alia particolare sublimita che si attribuisce loro, nulla che le incuta rispetto o provochi la sua meraviglia o ammirazione. La visione di queste masse eternamente prive di vita non mi ha fornito null'altro che la rappresentazione unilaterale e alia lunga noiosa: e cosi!
Viene a mente, per contrasto, la nota frase di Kant: «Due case riempiono l'anima di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente: il cielo stellato sopra di me e la legge morale in me». Anche le stelle, eruzione di luce, non sono per Hegel, in un passo della sua Enciclopedia, che lo sciame di bollicine rosse di cui a volte si macchia la pelle! A parte questa sordita estetica, Hegel ha per la natura una curiosita di tipo scientifico: non per nulla e membra, e attivo, di molte accademie. Ma si tratta, appunto, di curiosita erudita, data che per lui la natura in tutte le sue parti e 'deducibile' dall'idea. La natura, infatti, non e che «l'idea nella forma dell' esser altro», e l'idea uscita fuori di se. Perc he poi l'idea debba uscire fuori di se, quale sia la necessita interiore che fa da molla per questa esodo, Hegel ne lo dice ne permette di capirlo, anche se pro~/Jca la questione. Infatti, la natura, vista nell'idea, e divina, vista invece nell'eicVeriorita, che e la sua vera ragione, essa appare in larga parte impermeabile, proprio come le alpi bernesi. A Wilhelm Krug, un po' pedante, rna pur sempre successore di Kant nella cattedra di Koerugsberg, che aveva «sfidato una volta la filosofia della natura a fare il giuoco di destrezza di dedurre nient'altro che la sua penna da scrivere», Hegel rispose (e lui che racconta l'episodio nella sua Enciclopedia) che si sarebbe impegnato alla deduzione solo dopa aver affrontato tutto cio che d'importante c' e stat a in cielo e in terral Piu che una risposta, e una battuta. Sta di fatto che, per generale riconoscimento, nella grandiosa costruzione del suo sistema, Hegel ha incontrato proprio qui le maggiori difficolta: nel tener fede al suo principia della razionalita di tutto il reale. «In preda ad una accidentalita sregolata e sfrenata», la natura non si lascia sempre
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ordinare in concetti e in sistemi di concetti. Il concetto e, si, la sua forma, rna essa lo realizza in modo inadeguato. Questa impotenza della natura pone limiti alla filosofia, nel sensa che consente alla ragione di raggiungere poco piu che alcune determinazioni concettuali del mondo naturale: il resto rimane chiuso nella sua inesplicabile accidentalita. Non per nulla quella dedicata alla Filosofia della natura e anche la parte piu frettolosa e piu esigua della sua Enciclopedia. Si direbbe che Hegell'abbia svolta per necessita di sistema e che ad interessarlo sia il punto di raccordo tra le dinamiche della natura e la vita dello Spirito. Il concetto di vita e il punto di arrivo nella scala delle forme naturali, un punto di arrivo che, comunque, resta interno alle accidentalita della natura, ai suoi limiti biologici e individuali. La vera vita e al di la, e nella sfera il cui atto di nascita e la 'negazione' della natura. n trapasso dalla pura esteriorita (si e detto: la natura e «l'idea nella forma dell'esser altro))), di tipo kantiano o fichtiano, alla biologia degli organism! viventi si ha, naturalmente, secondo il ritmo triadico. 1. La meccanica considera l'esteriorita nelle forme astratte di spazio e di tempo. Lo spazio consiste nella giustapposizione delle parti secondo una elementare esteriorita; il tempo e la forma del divenire 'intuito', diverso dal divenire logico. In questo divenire, come si e detto, il momenta successivo conserva in se quello precedente. Nel tempo, che e «Ia forma astratta del corrodere)), la negativita e totale, perche esso procede negando e distruggendo il momenta precedente. I processi della natura si basano sulla materia e sul movimento. I1 movimento non e tuttavia puramente meccanico, nemmeno quello delle sfere celesti. Hegel rigetta Newton a vantaggio di Keplero, in ragione della razionalita deduttiva della cosmologia kepleriana. Il movimento dei corpi celesti non e un essere spinti di qua e di la, rna e il movimento libero; essi vanno, come gli antichi dicevano, come divinita beate. La corporeita celeste non e tale da avere fuori di se il principia del riposo e del movimento.
La polemica antinewtoniana e il segno piu evidente di quanta, al di la della sua attenzione viva e sincera alle conquiste della scienza del suo tempo, il rigetto dell'illuminismo abbia in sostanza messo Hegel fuori da quanto di grandioso stava avvenendo nei primi decenni del secolo. 2. La /isica e sicuramente la parte piu debole del sistema della natura, nel quale Hegel raccoglie tutto quanto l'evoluzione scientifica aveva accumulato, rna con la sola premura di distribuirlo secondo partizioni deduttive, a costo di incongruenze di cui profittarono, gia al suo tempo, i suoi avversari. Essa comprende la fisica della individualitd universale, che tratta degli elementi della materia, come l'aria, il fuoco, la luce, ecc.; la fisica della individualita particolare, che tratta della quantita della materia, come il calore, il suono, il peso specifico, la coesione; la fisica della individualita totale, che tratta dei processi chimici e magnetici che danno luogo al fenomeno organico. 3. La fisica organica studia la stessa natura geologica dell'universo, nel quale ogni parte sembra posta in vista di un tutto, e piu particolarmente l'organismo vegetale e quello animale. La malattia dell'animale e la sua inadeguatezza alla universalita. Esso si modella, si, sulla universalita, rna lo fa accumulan-
46 D 2 - Hegel: lo Spirito soggettivo do abitudini e automatismi che impngwnano la spinta vitale, che invece e eterna e universale. L'individuo si uccide da se, per cosi dire. La morte e una necessita della ragione: solo perche l'individuo muore, il logos, l'idea che si era estraniata da se, riprende coscienza di see diventa Spirito. 2.5 Filosofia dello Spirito soggettivo. Tomando a se stessa dopa essersi alienata nella natura, l'Idea non e, qual era in principia, astratta intelligibilita del mondo prima che il mondo fosse; toma a se stessa arricchita dalle determinazioni della natura, cosciente di se, e cioe Spirito. II termine, derivato dalla letteratura neotestamentaria e dal neoplatonismo, non indica in Hegel una sostanza a se stante, eternamente identica a se stessa e contrapposta alia materia come l'Essere e contrapposto al Non-essere. Lo Spirito -lo abbiamo gia vista e il divenire nella infinita scala delle sue determinazioni, cosi come l'albero non e una sostanza perennemente uguale a se, ne e le radici pili il tronco, pili le foglie, ecc., rna e l'insieme di tutti quegli elementi, che sono momenti non separabili del suo divenire. Anche lo Spirito procede per gradi, come la natura, rna, diversamente che nella natura, i suoi gradi non permangono l'uno accanto all'altro, come l'uno accanto all'altro permangono il sasso, l'albero e l'uccello, rna cif!scuno e compreso e risolto nel grado superiore. La triade pili universale e costituita da Spirito soggettivo, Spirito oggettivo e Spirito assoluto. I due primi, gradi rappresentano lo Spirito nel suo stato di finitezza e sono pertanto astratti: solo risolvendosi nell'Assoluto trovano Ia !oro verita. Lo Spirito soggettivo e la coscienza individuale che, come abbiamo vista, si accende al livello organico della natura: e l'individuo empirico, Pietro, Luigi, ciascuno degli esseri mortali, che sono tali proprio perche in essi l'Assoluto si esprime nelle forme della finitezza. Anche lo Spirito soggettivo si muove dialetticamente, e cioe in tre diversi momenti. 1. Anima (studiata nell'antropologia), da intendere non, alla maniera dualistica, come spirito contrapposto a! corpo, rna come complesso di determinazioni psicologiche che non avrebbero sensa alcuno se avulse dal corpo. Infatti, l'antropologia hegeliana studia i comportamenti psicologici come il sonno, Ia veglia, Ia follia, il genio, l'abitudine. E' proprio con l'abitudine che !'anima prende possesso del corpo e diventa coscienza. 2. Coscienza (studiata nella Fenomenologia: Hegel fa uso qui di quanta aveva gia esposto, appunto, nella Fenomenologia della Spirito): si sviluppa lungo un processo che comporta Ia distinzione di se dal proprio corpo, dall'ambiente naturale e sociale fino a raggiungere (si ricordi il conflitto servo-padrone) il riconoscimento dell'altro. E' nella reciprocita del riconoscimento che nasce la liberta tra gli uguali. 3. Spirito soggettivo (studiato nella Psicologia): sintetizza in se l'anima, come attivita psichica precosciente, e la coscienza come sapere. E' questa il momenta della ragione, che unifica in se il momenta pratico della Iibera volonta e quello teoretico dell'intelligenza: lo Spirito soggettivo non e soltanto libero (volonta), rna sa di essere libero (intelligenza). Questa idea della Spirito come liberta infinita e nata in occidente, a giudizio di Hegel, per opera del cristianesimo: ne la filosofia antica ne quella orientale erano in grado di far spuntare all'orizzonte del sapere umano Ia verita del
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valore infinito dell'uomo in quanta Spirito in cui si manifesta l'infinito Spirito di Dio. Anche qui Hegel (a parte i limiti della sua coscienza storica) trasferisce bruscamente nel suo registro i termini propri della teologia cristiana.
Hegel: lo Spirito oggettivo 2.6 Filosofia dello Spirito oggettivo. Ma l'infinito e nel finito, non fuori di esso. E il finito in cui lo Spirito dispiega se stesso e la Storia, piu precisamente quella determinazione spazio-temporale della storia che e la societa. Si e gia vista come, dagli ingenui entusiasmi giacobini di Tubinga, la coscienza di Hegel si districasse secondo una linea che lo allontanava sempre di piu dall'individualismo dei rivoluzionari francesi. Se egli saluto con parole esaltate la vittoria di Napoleone sulle coalizif:mi monarchiche, fu perche vedeva in quella vittoria l'opera della Spirito che spazzava via ogni residua feudale della societa tedesca. II feudalesimo e l'usurpazione di funzioni pubbliche da parte di ceti privati che ne fanno mercato a piacimento. Napoleone era, ai suoi occhi, lo strumento della ragione che, secondo avvicendamenti in cui si rif!etteva non l'arbitrio del despota rna la necessita della storia, andava assegnando i compiti direttivi alla nuova classe, la borghesia. In queste intuizioni della natura sociale della rivoluzione francese, che invece andava seppellendo se stessa con il deliria dell'idealismo individualistico, si svela il possente realismo di Hegel, che gia nel 1802, quando scriveva, a Jena, la sua Costituzione tedesca, additava quali figure rnadella per la politica moderna Machiavelli («un autentico genio politico, con un altissimo e nobilissimo scopo») e il cardinal Richelieu. Allora egli pensava all'Austria, piu che alla Prussia. Una volta insediato nella cattedra berlinese, che era stata di Fichte, e divenuto ben presto l'ideologo della monarchia di Prussia, Hegel sviluppo fino al limite il suo reali.smo, come appare dalla sua Introduzione ai lineamenti di filosofia del diritto, del 1821, che suscito non poco scandala. Eppure Hegel, che in queUe pagine si mostra un difensore della monarchia autoritaria, avversario della liberta di stampa e, piu in genere, di ogni pratica dei diritti politici e civili non consentita dallo Stato, non fece che svolgere con coerenza la sua lettura della rivoluzione francese fin dai tempi di Berna, quando seguiva, con crescente distacco critico, le cronache del Terrore. I limiti della rivoluzione francese sono, per Hegel, quelli della Spirito soggettivo: essa non e riuscita a sollevarsi al di sopra dei diritti dell'individuo. Ma l'individuo come tale e un'astrazione dell'intelletto. Per trovare !a piena verita di se stesso, l'individuo non deve pensarsi come soggetto a se stante, portatore di diritti da far valere nei confronti della Stato. L'individuo reale e una espressione della societa, nel concorde intreccio di scambi, di riconoscimenti, di contratti, di circolazione economica, morale, religiosa che della societa e la sostanza vera. Insomma, l'individuo non ha 'verita effettuale'. II trapasso alia verita effettuale, quella gia inscritta nella soggettivita, avviene dialetticamente per tre gradi: il diritto, la moralita e l'eticita.
48 0 2 - HegeL·lo Spirito oggettivo 1. ll diritto esprime il momento in cui lo Spirito soggettivo esce dal suo limite per realizzare la presa di possesso delle cose: erano antitetiche al soggetto, ed ecco, nel possesso, il soggetto le integra in se. Ma il dato di fatto del possesso richiede un riconoscimento da parte degli altri: il possesso, giuridicamente riconosciuto, diventa proprieta e il proprietario diventa 'persona'. Come si vede, l'uomo entra nella storia col passo del proprietario, la cui espressione elementare e il contratto. Sulla ·base del contratto si apre la dialettica tra il diritto e il torto, la cui riconciliazione si ha nella pena per la violazione del diritto: nella pena, dice Hegel, «il delinquente viene onorato come essere razionale». II diritto e una Iegge astratta, vuota: non si cura delle differenze. Esso si occupa degli individui in quanto proprietari, rna non conta i soldi in tasca a nessuno: «il diritto non si interessa delle differenze tra individui». Esso e pago del fatto che di fronte a se tutti sono dttadini, citovens. 2; II secondo grado dello Spirito soggetti~o e quello della moralita Proprio perche respinta dal mondo esterno, dove vige la reale e impersonale sovranita del diritto, la volonta rientra nella sfera sua propria, che e quella della liberta. II mondo interiore, al riparo da ogni ingerenza del diritto, e quello in cui la volonta si trova a diretto contatto col bene, senza mediazioni, e quindi in modo astratto, come e astratta, appunto, l'analisi che Kant ha fatto della vita morale. Il senso dell'obbligazione kantiana e che il bene e da una parte, come un assoluto che deve essere realizzato, e la coscienza e dall'altra, con la capacita di diventare buona o cattiva a seconda che realizza il bene o meno. Insomma, c'e un mondo ideale, un dover essere staccato dall' essere. Senonche, 1' essere e la storia intera, col suo spessore opaco, la sua materia resistente aile nobili intenzioni delle 'anime belle'. Indifferente al problema dell'efficacia, la morale kantiana, secondo Hegel, si esaurisce in una serie di massime negative, in formule di interdizione: non mentire, non uccidere. Formule vuote, che lasciano indeterminati gli oggetti della volonta. E cosi si ricade nel dualismo della coscienza infelice, non conciliata, e quindi rassegnata a vivere in un mondo pensando a un altro. 3. Dal dualismo si esce nel momento dell' eticita Infatti, la riconciliazione avviene solo negando la sfera soggettiva con la scelta concreta del bene, non del bene astratto, rna di quel bene reso possibile dalla tessitura 'del reale governata dalla necessita. L'individuo rinuncia al bene astratto e impossibile per misurare le sue scelte nell'intreccio vivo delle forze etiche che si sono gia concretamente realizzate nella storia. La morale che vuole dettar leggi al mondo e quella che fece funzionare la ghigliottina durante il Terrore! No, i fini da realizzare non sono fuori della storia, son gia scritti nella sua sostanza: e questo il punto in cui il sistema hegeliano rivela al massimo la sua qualita 'reazionaria'. Esso infatti si risolve, se non in una sacralizzazione, certo in una legittimazione dell' esistente. Le istituzioni, cosi come si sono determinate nel popolo in cui l'individuo vive, sono gli spazi e gli strumenti irrinunciabili della sua vita morale. Il massiccio razionalismo di Hegel va visto certamente nel suo contesto, rna, anche restituito alia sua identita storica, esso resta un eloquente documento di come la passione per la ragione possa condurre esattamente al suo contrario. La critica di Hegel al soggettivismo di un Kant o di un Rousseau si ca-
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povolge in una negazione totale del soggetto dentro il quadro della societa (e Ia societa che egli ha sottocchio e quella prussiana), dove, a suo giudizio, i modi istituzionali dell'eticita hanno gia raggiunto la loro maturazione storica. 2. 7 Lo Spirito oggettivo: lo Stato. L'innesto tra l'individuo e la realta esterna, intesa nella sua consistenza oggettiva, avviene in quell'istituzione biologicomorale che e la famiglia. E' proprio nell'amore familiare che il soggetto umano, mentre persegue il proprio appagamento, realizza una sua dimensione superindividuale, nel senso che assume come proprio principia il bene comune del gruppo biologico. Ma in virtu della dialettica, Iegge delle cose oltre che del pensiero, la famiglia, proprio mentre si realizza, mette in opera la propria dissoluzione: i figli crescono, si fanno economicamente. autonomi, accendono un proprio focqlare e Ia famiglia di partenza si estingue, aprendo attorno a se quella vaga comunione di affetti che si estende anche oltre Ia morte. La famiglia e reale solo quando nega se stessa nella propria particolarita, per affermare quella piu larga cornunita che e la societa civile. Mentre la comunita familiare nasce e si sviluppa in modo inconsapevole, nella misura in cui i membri obbediscono all'istinto e al sentimento, la societa civile nasce e si sviluppa a un livello pili alto di consapevolezza. E' vero, si, che il legame tra individuo e individuo nella societa civile viene intrecciato, 'alle spalle degli individui', dalla 'mano invisibile' di cui aveva parlato Adamo Smith, nel senso che l'incontro fra i diversi soggetti e provocato dal bisogno individuale, rna esso viene regolato dalla ragione mediante la divisione del lavoro, l'accumulazione del capitale, la costituzione delle corporazioni. E' vero, si, che gli individui cercano ciascuno il proprio tornaconto, rna e proprio qui che si manifesta il trionfo oggettivo della ragione, la sua 'astuzia': la realta economica, messa in mota da una pluralita di egoismi in conflitto tra loro, si risolve in una pili alta utilita comune. L'analisi che Hegel fa della societa borghese, anche se viziata da alcuni anacronismi (i riflessi della base produttiva sono, in lui, non le classi, rna le corporazioni, e cioe aggregazioni distinte in ragione della loro funzione, come i commercianti, i proprietari terrieri, gli industriali, i burocrati), e di straordinaria ricchezza: e, tra l'altro, il presupposto storico dell'analisi marxista. Hegel avverte gia il processo di reificazione tipico della societa industriale, dove tutto, perfino le prestazioni religiose, diventa merce, dove e quasi irrefrenabile la spinta che porta l'operaio a vendere tutto il suo tempo e tutta la sua produzione, rasentando cosi la condizione dell'antico schiavo. La differenza tra il lavoratore libero e quello schiavo e infatti solo nella diversa quantita di tempo libero. Particolarmente Iucida l'analisi del processo che collega tra loro l'accumulazione del capitale, da una parte, e la formazione della plebe dall'altra. Il dilatarsi della plebe, senza mezzi di sussistenza, senza dignita e senza pudore e una necessita della organizzazione borghese. Se si facessero lavorare i poveri a cura dello Stato, avremmo una pericolosa esuberanza di prodotti; se si mantenessero con l'elemosina, si offenderebbe Ia loro elementare dignita e si escluderebbero cosi dalla societa civile. Meglio fare, scrive Hegel, come in Scozia: abbandonarli alia !oro sorte e alla mendicita publica. Esempio eloquente di come in Hegel la ragione percorra senza tremiti i disegni fatali della necessita
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oggettiva. Quei disegni, nelle sue pagine, gia travalicano i confini della societa civile e si aprono aile prospettive della colonizzazione dei paesi extraeuropei. Ma la fuor.iuscita della societa civile da se stessa, per la spinta degli antagonismi che la percorre all'interno, avviene per via del tutto fisiologica, e cioe con la riconciliazione in un piano superiore mediante lo Stato. Contra le teorie contrattualistiche, Hegel ritiene che, lungi dall'essere una Iibera costruzione degli individui, lo Stato e anteriore agli individui, in quanto e la forma visibile dello Spirito assoluto. Tra societa civile e Stato c'e una distinzione dialettica, nel sen so che, mentre si oppongono tra loro, c' e tra loro una dipendenza reciproca. La societa civile e, come si e visto, un libero gioco di impulsi che trovano Ia !oro formalita razionale nel contratto. Ma il contratto lascia sopravvivere, nel concreto, gli antagonismi: dato il suo carattere necessariamente 'privato', esso non e in grado di assicurare gli obiettivi universali che sono invece la necessita che urge dentro i fenomeni, l'infinito che urge dentro il finito. La funzione maieutica che estrae l'infinito dalle viscere del finito, l'universale dalle viscere del particolare, e affidata allo Stato, volonta divina sulla terra.' Lo Stato non puo annullare, come voleva Hobbes, Ia societa civile, dato che l'individuo entra in rapporto con lo Stato non in maniera immediata, rna con Ia mediazione di istituzioni e corporazioni che danno sostanza alla sua personalita. Da una parte, dunque, il cittadino avverte lo Stato come forza esterna che lo subordina a se, lo necessita in modo imperioso, dall'altra, riconosce che esso e come il fine immanente da cui prende senso la sua vita di individuo, di membro della famiglia, di cittadino, soggetto libero della societa civile. Non e lui insieme agli altri, non cioe la moltitudine degli individui di cui consta empiricamente Ia societa, a dare sovranita allo Stato. La sovranita lo Stato la trae dalla sua stes~a sostanza. E difatti, esso e lo stesso Spirito assoluto che sta nel mondo come coscienza, come consapevolezza dei fini, cosi come nella natura, lo abbiamo visto, si trova altro da se, nella sua inconsapevolezza. E' vero che non c'e lo Stato, rna ci sono gli Stati, e tuttavia quel che conta e l'idea di Stato, o meglio il fatto che in ogni Stato avviene lo stesso indivisibile processo: avviene l'ingresso di Dio nel mondo. L' analisi hegeliana della natura dello Stato sconfina apertamente in teologia. Il senso della storia, secondo quanto ha insegnato Cristo, e di realizzare nell'ordine oggettivo lo Spirito assoluto che egli ha rivelato. Quell'ordine non e altro che una societa riconciliata mediante l'unita dell'universale e del particolare, dell'interiorita e dell' esteriorita. Era questo il com pi to della chiesa. Ma il cattolicesimo e rimasto imprigionato nell'esteriorita, durante il medioevo; Ia chiesa della Riforma, svalorizzando le opere e disprezzando il mondo, evapora nel nulla. Sara lo Stato a rimpiazzare le chiese, trasformando la religione nella comunita di uomini. Questa trasposizione della ecclesiologia in filosofia del diritto e tanto pili sorprendente in quanto Hegel non parla di uno Stato teoricamente concepito, parla di uno Stato reale, della Monarchia prussiana di Federico Guglielmo III di Hohenzollern. La forma perfetta di Stato e Ia monarchia ereditaria, proprio perche nel fatto della trasmissione del trono per semplici ragioni di nascita si manifesta la Iegge che nello Stato il potere non deriva da investiture democratiche. E' bene tener fermo questo concetto dell'origine 'trascendente' del potere dello
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Stato, e quindi della sua estraneita alle differenze dei gruppi e delle classi sociali. In questo senso, non ha fondamento chi vede nell'hegelismo il preludio dei moderni fascismi. E' nella natura stessa del fascismo, infatti, che i poteri dello Stato siano nelle mani di una porzione della societa, di un 'partite' nazionale: un controsenso per Hegel. E tuttavia, la dottrina hegeliana dello Stato etico, secondo la quale la volonta dello Stato ha, in tutti i casi, piu valore che Ia voce della coscienza personale, ha agito nella storia come la premessa giustificativa di non poche aberrazioni totalitarie ( 12.15).
Hegel: Lo Spirito assoluto 2.8 La fllosofia dello Spirito assoluto. In quanto cittadino, l'uomo sperimenta la conciliazione con se stesso solamente nello Stato. Condizioni di questa conciliazione sono, dunque, Ia negazione della propria vita immediata e l'immedesimazione con la sostanza infinita che vive nello Stato, e non nello Stato generico, rna in questo singolo Stato, nelle sue forme particolari di esistenza. Ma proprio perche lo Stato e reale nelle forme della finitezza, l'uomo avverte che i diritti e i doveri «hanno bisogno, nella !oro oggettivita come anche in relazione al soggetto, di una garanzia e sanzione piu alta». Questa garanzia e sanzione piu alta non possono essere fornite che da una sfera superiore, quella dello Spirito assoluto, quella in cui lo Spirito assoluto, che e pur sempre lo Spirito di questo o quel popolo, supera la propria finitezza e torna a se stesso 'per esprimersi in queUe forn1e che gli competono proprio in quanto assoluto, e cioe in quanto sciolto da ogni condizione di spazio e di tempo. Queste espressioni sono l'arte, la religione e la filosofia: l'arte, che esprime l'assoluto come intuizione sensibile, la religione, che lo esprime in quanto rappresentazione, e finalmente la filosofia, nella quale l'assoluto si fa totalmente trasparente a se stesso come concetto. Si noti come, in rapporto alia concreta vita dentro lo Stato, la sfera dell'assoluto abbia una funzione compensatoria, nel senso che consente al 11oggetto di sperimentare la fine di tutte le contraddizioni, anche se nel reale le contraddizioni continuano. Cio che l'uomo ricerca immerso da tutti i lati nella finitezza, e la ragione di una verita piu alta e piu sostanziale, in cui tutte le opposizioni e contraddizioni del finito possono trovare la !oro ultima soluzione e la liberta il suo pieno soddisfacimento.
L'arte, la religione e la filosofia sono appunto le forme che danno mobilita dialettica alla regione in cui lo Spirito, come Ulisse approdato ad ltaca, torna riconoscendola come sua patria, dopo essersi scosso di dosso ogni ombra di spazio e di tempo. 2.9 Lo Spirito assoluto: l'arte. L'arte e la forma in cui l'Assoluto si rivela a se stesso mediante immagini desunte, si, dalla natura materiale, rna in modo che esse non siano piu natura, perdano cioe il senso che la natura assegna lo-
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ro. Ecco perche Hegel (che tratta dell'arte oltreche nell'Enciclopedia anche in una serie di lezioni che vanno sotto il nome piu semplice di Estetica) rigetta la definizione dell'arte come imitazione della natura. E nemmeno accetta l'altra definizio~1c dassica dell'arte, che mette in prima piano la sua funzione catartica. La purificazione delle passioni e un fine estemo e non una qualita intrinseca dell'arte. E' proprio di ogni creazione artistica- e ·han importa se di architettura, di scultura, di pittura, di musica o di poesia - esprimere lo Spirito in un momenta di autocoscienza e di esprimerlo con segni sensibili. L'arte, dunque, rivela l'infinita, come dire la totale liberta della Spirito, svincolato da quelle determinazioni finite che sono la conquista, rna anche il limite, della conoscenza intellettiva. Nella contemplazione .dell'opera d'arte, il soggetto e l'oggetto si unificano, in quanta l'oggetto non si contrappone piu al soggetto, come invece accade nel momenta intellettivo, quale suo limite e sua estraneazione, rna si identifica con }:espressione stessa della soggettivita. Cia che da la misura della validita o meno di un'opera d'arte e il trionfo della forma (l'idealita universale della Spirito) sul contenuto, che e l'insieme "di elementi sensibili di cui l'opera e composta. Il fascino dell'opera d'arte, la sua stessa ineffabilita e appunto in questa tensione tra forma e contenuto, tra infinito e finito. Ed e questa presenza dell'infinita a porre !'opera d'arte al di sopra del tempo. C'e, si, una storicita dell'arte, rna essa riguarda gli aspetti della sua finitezza, come dire i modi dell'espressione e piu ancora il particolare rapporto che in ogni epoca si pone tra l'universalita della Spirito e i modi rappresentativi. In base a questa rapporto, e possibile distinguere tre forme fondamentali dell'arte: l'arte simbolica, tipica dell'Oriente: l'Idea infinita cerca di appropriarsi di una forma idonea a se stessa, rna, non trovandola, fa violenza agli elementi sensibili di cui si serve, li strapazza nel tentativo di adeguarli a se, e cosi facendo li riduce a simboli che ci trasmettono il sensa del sublime; l'arte classica, creazione del mondo greco: l'Idea trova la forma proporzionata a se. Nella perfetta armonia tra l'una e l'altra, la forma sensibile, sottratta alla finitezza pur restando finita, esprime l'assolutezza dell'Idea, e l'Idea, pur restando se stessa, splende nella misura del finito. Questa avviene perche la forma sensibile adottata dall'arte classica e la figura umana; l'arte romantica, tipica dell'eta germanica o del cristianesimo (le due qualifiche si equivalgono in Hegel), scompone !'equilibria tra forma e contenuto perche la forma umana determinata, mentre e idonea a rappresentarci Apollo o Venere, non e idonea a rappresentarci un Dio concepito come assoluto e come persona. Di conseguenza, l'Idea assume come sua forma non piu la fisicita corporea, rna J'interiorita sull'uomo. 11 mondo sensibile non viene rigettato, rna la sua evocazione resta interna alla legge dell'interiorita. La 'natura', nel romanticismo, e una dimensione dell'anima. La diversita tra l'arte classica e quella romantica appare dal fatto che, mentre al centro della prima c'e l'immagine apollinea dell'uomo, al centro della seconda c'e l'Uomo dei dolori, il Cristo. Inchiodato sulla croce - cosi Hegel si esprime - morente nel tormento di un'agonia lenta e atroce, egli non puo essere rappresentato con le forme della bellezza greca; in queste situazioni, cio che e supremo e la santita in se, la profondita dell'interiorita, l'infinita del dolore come momento eterno dello Spirito, !a sopportazione e Ia pace di;vina.
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2.10 Lo Spirito assoluto: Ia religione. La religione e la rappresentazione dell'assoluto come Dio reale e oggettivo, e dunque una forma di autocoscienza dello Spirito, con questo di particolare, che lo Spirito viene rappresentato come trascendente, come altro dall'uomo. Il nucleo della religione e appunto nel rapporto tra cosci~nza umana e Dio, un rapporto che si svolge secondo un movimento triadicd. Il primo momento e il sentimento, che e, si, una certezza immediata di Dio, rna non e in grado di renderne ragione, ed e accidentale e mutevole. Un passo avanti si ha con l'intuizione sensibile, che raffigura Dio mediante segni oggettivi, come avviene, appunto, nell'arte. L'immediatezza del sentimento si scinde qui in un soggetto che intuisce e un oggetto intuito. La vera unita tra soggetto e oggetto, tra coscienza e Dio, si ha solo nella rappresentazione, nella quale gli attributi di Dio vengono presentati nella loro molteplicita, l'uno accanto all'altro, senza Ia possibilita di percepirne l'unificazione. Cosi avviene quando ci si rappresenta l.)io come creatore, come provvidenza, come misericordia, come giustizia e cosi via. Nella loro pluralita, questi attributi rimandano verso un'essenza ritenuta inconcepibile. La comune coscienza si appaga della rappresentazione delle qualita divine nella loro molteplicita ed esteriorita, .rna la coscienza che mira ad attingere il centro inconoscibile in cui esse si unificano entra nell' esperienza della fede, che e gia il pun to di trapasso alla filosofia. Questa analisi hegeliana della struttura-religione non e astratta, e il modo con cui Hegel mira a rendere trasparente a se stessa la storia delle religioni che, a partire da una fase 'naturale', nella quale Dio appare come una sostanza assoluta della natura (e il caso della religione cinese, indiana e buddista), arriva alla fase della religione assoluta, quella cristiana, che assorbe in se la verita delle religioni precedenti (divenute tutte, dunque, inutili) e si propone alle coscienze come la religione definitiva. Il cristianesimo, infatti, e Ia religione dell'incarnazione e cioe del Dio-uomo e dell'uomo-Dio, della perfetta riconciliazione tra finito e infinito. Traducendo la dialettica di Proclo nel linguaggio teologico, Hegel spiega la riconciliazione come opera della Trinita: il regno del Padre e Dio prima della creazione; il regno del Figlio e il mondo nello spazio e nel tempo; il regno dello Spirito e il mondo riconsegnato da Cristo al Padre. Per quanto cosi assoluta, la religione cristiana non si pone di contro allo Stato come un'istanza totalmente autonoma, perche essa riconosce che solo nell' eticita dello Stato si da la conciliazione tra Dio e la realta. La vera conciliazione attraverso la quale il divino si realizza nel mondo consiste, dunque, nella vita giuridica ed etica dello Stato. Hegel non accetta l'impostazione laica dello Stato della tradizione liberale di origine giacobina. Lo Stato trova nel cristianesimo la manifestazione piu alta dell'eticita di cui esso, lo Stato, vive, divenendo, proprio per questo, la manifestazione terrena di Dio. ·La chiesa di Stato e lo strumento pili idoneo a realizzare i fini dell' una e dell'altro. Nel momento stesso in cui Hegel fa del cristianesimo la sintesi ultima di tutte le religioni, ne dichiara, in qualche modo, la fine, nel senso che la verita della religione assoluta rimanda al di la di se stessa, alla filosofia assoluta. 2.11 Lo Spirito assoluto: la filosofia. Il culmine del divenire dello Spirito e Ia filosofia, perche in essa finalmente, sciogliendosi dai limiti della rappresentazione religiosa, l'Idea si svela pienamente a se stessa nel concetto. II contenuto
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della religione e della filosofia e lo stesso. A distinguerle e solo il niodo di percepire l'Assoluto: nella religione, e un modo rappresentativo, nella filosofia, e un modo speculative. L'Idea pensa se stessa e pensando se stessa toglie ogni precedente forma della vita dello Spirito e insieme le rende giustizia, manifesta cioe Ia verita che stava a suo fondam'ento. E' la filosofia che giustifica Ia religione, e non il contrario, appunto perche solo nella filosofia l'infinito si riferisce a se stesso come infinito, senza mediazioni che non siano quelle, totalmente trasparenti, del concetto. Tornata a se stessa, l'Idea ricomprende, per intero, il proprio percorso nella sua necessita, e in questa comprensione della necessita essa celebra la sua liberta. La filosofia e infatti la stessa cosa che la Storia della filosofia. Si e gia visto come, tanto per l'arte quanto per la religione, Ia successione delle forme non: e avvenuta in modo confuso e ca9tico, come potrebbe apparire all'erudito che affastella notizie e nomenclature, e avvenuta secondo una necessita logica. E cosi e dei sistemi filosofici: la loro successione, come puo essere ricostruita mediante le opportune ricerche empiriche, e la stessa che si puo costruire deducendo dall'Idea le sue determinazioni logiche. Gli illuministi, per meglio affermare la verita, respingevano come frutto delle tenebre tutto cia che le tradizioni avevano accumulato prima dell'emancipazione del pensiero. Hegel, in questo nettamente antilluminista, riconosce in ogni fase del pensiero, e piu in genere in ogni fase della vita dell'umanita, una necessita logica, e dunque una verita parziale, che trova il suo pieno inveramento nell'interezza del sistema. La filosofia, che e, tra le forme dello Spirito, ultima nel tempo, e anche quella in cui si risolve in unita sistematica la pluralita delle forme del passato. «Niente si perde. tutti i principi si conservano; Ia filosofia e difatti Ia totalita delle forme)). E chi possiede, in quanto filosofo, Ia totalita nella sua sintesi suprema, puo abbandonare le forme imperfette di comprensione dell'Assoluto, come Ia religione, cosi come puo abbandonare, o meglio relegare al loro posto, nella «galleria degli spiriti nobilb>, i filosofi dell' oriente, precursori dei filosofi veri e propri, quelli della Grecia, per arrivare su su fino a Kant, a Fichte, a Schelling e finalmente a Hegel, ultimo filosofo anche nel senso che, dopo di lui, non potra esserci pili spazio per filosofare.
Hegel: Ia verita come storia 2.12 Filosofia della storia. «E' per me un compito assai interessante e piacevole, scriveva Hegel in una sua lettera del 1822, passare in rivista i popoli del mondo; e non so ancor bene come io debba percorrerli fino a questa nostra ultima eta dell'occidente». E difatti, le Lezioni sulla filosofia della storia furono la sua occupazione pili appassionata nel periodo berlinese. Non a caso. Esse intendono ricapitolare l'intero pensiero hegeliano e proiettarlo nel futuro come un legato per le generazioni avven:ire. Il tema e la razionalita della storia, e cioe Ia coincidenza, nel mondo creato dall'uomo, tra reale e razionale. La storia narra lo svolgimento della ragione secondo il tempo, cosi come Ia natura manifesta Ia ragione secondo lo spazio. E come, per riconoscere Ia razionalita
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della natura, bisogna spogliare i fatti e i dati naturali di cio che hanno di accidentale, cosi, per riconoscere i ritmi e le forme della ragione nel caotico avvicendarsi degli eventi, bisogna farsi largo attraverso le accidentalita e far luce sul dispiegamento del 'teorema razionale' della necessita, che lega i fatti fra loro e l'ilfsieme dei fatti a un fine. II fine e, appunto, quello della perfetta ricomposizione della circolarita razionale, che porta l'Idea al ritomo a se stessa, ricolma delle infinite determinazioni di cui si e arricchita durante il periplo. !ornata a se, l'Idea e lo Spirito autocosciente, e cioe pienamente libero. La liberta in Hegel e la coscienza della necessita, una coscienza che, quando si volge alla fluida sostanza del divenire storico, diventa anche possibilita di autodeterminazioni svincolate dalla catena delle cause e degli effetti. Ma per comprendere il rapporto tra necessita razionale e liberta, bisogna tener conto che, per Hegel, la storia ha come suo soggetto lo Spirito universale, ~d e pertanto, sempre e in tutti i casi, Storia universale (Weltgeschichte). Noi la conosciamo e la esponiamo secondo concetti generali, quali quelli di Stato, societa, feudalesimo, nazione e cosi via, e con riferimento a personaggi come Alessandro e come Napoleone. Ma, attraverso le nozioni generali e i personaggi singoli, e una unica storia che si svolge, quella appunto dello Spirito del mondo (Weltgeist), il quale a sua volta diventa sperimentabile nella sua piu concreta determinazione di Spirito del popolo (Volkgeist). Anzi: di Spiriti dei popoli, in quanto, nella dialettica storica, lo Spirito agisce in una pluralita di soggetti collettivi, ciascuno inteso a raggiungere il massimo di ricchezza, di potere e di egemonia sugli altri, rna tutti insieme guidati dall'astuzia della ragione, strumenti piu o meno inconsapevoli di un disegno universale. L'individuo e convinto di perseguire il proprio vantaggio, e invece non fa che servire un progetto che lo trascende. Si tratta di un progetto che si adempie secondo ragione, in ogni suo momento, anche quando l'individuo, nel suo idealismo, sogna un tempo diverso e inveisce contro la malvagita del tempo in cui vive. Gli individui in cui si vede, in maniera somma, questa coincidenza tra i propri obiettivi passionali e i risultati che sono di un avanzamento universale di un popolo e dell'umanita, sono quelli che Hegel chiama 'individui cosmici', come Alessandro, Cesare, Napoleone. Ad esempio, Cesare sovverti l'assetto tradizionale della Repubblica romana per soddisfare le sue ambizioni personali, e tuttavia, nel servire le proprie ambizioni, egli realizzo un destino necessaria nella storia di Roma e del mondo. Non diversamente, come si e visto, Napoleone anniento, nel suo despotismo imperialistico, i principi della ideologia giacobina che egli avrebbe dovuto servire, e tuttavia, spazzando, come fa un uragano, le strutture fatiscenti del feudalesimo, dilato all'Europa le conquiste della rivoluzione sociale borghese.
2.13 L'eurocentrismo. Ma non dobbiamo dimenticare che, per Hegel, l'organo normale dello Spirito del mondo e lo Stato, o meglio sono gli Stati, le cui forme vanno valutate in rapporto al livello di coscienza storica raggiunto dall'umanita in quel determinato periodo. Gli Stati nascono e muoiono, divorati dal tempo, rna nel loro avvicendarsi progredisce l'essenza dello Spirito del mondo, che e l'uguaglianza e la liberta degli uomini. In questo sviluppo, Hegel riconosce tre tappe fondamentali, I'orientale, la greca e la cristiano-germanica:
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Gli orientali non erano giunti alla conoscenza del fatto che lo Spirito l'uomo come tale - e Iibera e poiche non erano a conoscenza di cio, non erano liberi. Essi sapevano solo che un singolo e libero. Ma proprio per questa Ia liberta di questa singolo e solo arbitrio... Tale singolo e dunque solo un despota, non un uomo liberb. La coscienza della liberta sorse Ia prima volta fra i Greci, pertanto essi furono liberi, rna essi, cosi come i Romani, sapevano solo che alcuni ,sono liberi, non l'uomo come tale .. .I Greci pertanto avevano gli schiavi e tutta la lora vita e il mantenimento della !oro sfarzosa liberta erano in rapporto con l'istituzione della schiavitu... Le nazioni germaniche, sotto !'influenza del Cristianesimo, furono le prime a raggiungere la coscienza del fatto che l'uomo, come uomo, e libero; che e la liberta della Spirito a costituire la sua essenza.
1. Hegel non si preoc~upa di fare malta luce sulla fase orientale dell'organizzazione politica, segnata dal despotismo. Sull'oriente il suo giudizio e sempre sommario e negativo. La storia dei regni dispotid dell'Asia rientra, per lui, nel quadro degli avvenimenti di natura, costretti a ripetersi come le stagioni. 2. La fase grecoromana e quella della democrazia, cosi come fu elaborata e praticata dalla polis greca Solo che, per Hegel, Ia democrazia mal si concilia con l'autentica emancipazione degli uomini, perche la sua base e il suo valore assoluto e la comunita, da cui l'individuo non deve separarsi. Quando emerge, con Socrate, la coscienza soggettiva, e gia all'opera il nemico assoluto della democrazia, l'individuo come soggetto di ogni decisione. Socrate fu messo a morte e non poteva non esserlo, rna in quel momenta la citta rivelo di essere gia interamente posseduta dal principia distruttivo: a spingerla verso la sentenza capitale fu Ia paura. Resta pen) che Socrate era un pericolo. Il pensiero di un soggetto emancipato, infatti, non puo che essere un pensiero astratto, dato che egli non puo piu accettare l'ordine delle case cosi com'e. Solo col cristianesimo il soggetto emancipato pate trovare la forma concreta di organizzazione. 3. La fase cristip.no-germanica trovo il momenta supremo della sua realizzazione con Ia Riforma tedesca, che esalto il momenta della soggettivita contra ogni sopravvivenza pagano-cattolica dell'autorita. Nella Riforma <<non c'e piu distinzione tra preti e laici; non abbiamo piu una classe che possiede la sostanza della verita e tutti i tesori spirituali e temporali della chiesa». La forma-Stato in cui trova adempimento pieno Ia liberta introdotta nel mondo dal cristianesimo e Ia monarchia. Nella monarchia vi e un solo signore e nessun servo, poiche la servitu e da essa abrogata, in essa sono riconosciuti il Diritto e la Legge; essa e l'origine della vera liberta. Pertanto, nella Monarchia l'arbitrio degli individui e controllato ed e stabilito un solo interesse comune governativo.
La monarchia di cui parla Hegel e lo Stato borghese fortemente centralizzato, basato sui riconoscimento del diritto di tutti alia proprieta privata e sulla mediazione dei conflitti affidata alia Iegge. Come si vede, una specie di Stato di diritto, intimamente fuso con l'idea romantica della Stato quale organismo che assume nella propria uriita lo slancio vitale di un popolo, che e sempre strumento di un disegno universale. Le guerre tra gli Stati sono anch'esse da intendere come momenti necessari di questa dialettica, il cui scopo e l'instaura-
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zione della liberta universale. La visione hegeliana della storia e cupa, insanguinata. "'f
La Storia... non bianche.
e teatro
di felicita. I periodi di felicita sono in essa pagine
Come osservo sarcasticamente Nietzsche, e davvero sconcertante il fatto che la peregrinazione di Dio sulla terra trovi il suo luogo di autocomprensione nel cervello di Hegel, secondo il quale «il vertice e il punto terminale del processo del mondo coincidono con la sua esistenza berlinese». «Ma Hegel avrebbe dovuto dire, prosegue Nietzsche, che tutte le cose da venire andrebbero considerate come superflue. Non lo ha detto! Ha pen) iniettato nelle generazitlni da lui lievitate quell'ammirazione per la 'potenza della storia' che tramuta praticamente ogni istante in nuda ammirazione del successo e in idolatria dell'effettivo» e cioe, come diciamo oggi, dell'esistente. Non c'e dubbio che sono proprio queste le due intollerabili impressioni che suscita, in uno studioso di oggi, la filosofia della storia di Hegel: l'eurocentrismo, con l'accentuazione del primato prussiano, e la pretesa di aver raggiunto l'adempimento definitive delle potenzialita del pensiero umano. Quanta e fuori dei confini temporali e spaziali dell'Europa non ha piu rilevanza per lo Spirito. Del vecchio mondo, l'Asia e !'Africa sono come la tesi e l'antitesi di cui !'Europa e la sintesi. Quanta all'America del Nord, nemmeno essa rientra nell'area privilegiata in cui l'Assoluto muove la storia. Difatti, !'America del Nord con le sue migrazioni interne, con la sua fluidita di ceti e di classi, non e uno Stato. Potrebbe diventarlo quando «il suo immenso territorio fosse occupato per intero e la societa civile, rifluendo su se stessa, si fosse coiicentrata e agglomerata in se»: cosi scriveva Hegel nel 1830. E c'e ancora chi sostiene oggi, sulla scia di Hegel, che gli USA, per economicamente avanzati che siano, per quanta riguarda la forma Stato sono del tutto arretrati in rapporto all'Europa, proprio perche non vi hanno raggiunto determinazione strutturale dialettica le classi sociali. Per cui ancora oggi !'America del Nord rappresenta non il futuro rna il passato dell'Europa! Ma Hegel non aveva nessun interesse per il futuro, come d'altronde, nonastante le sue sfrenate esplorazioni, per il passato. La sua unica categoria storiografica e il presentc, che e poi la stessa cosa che l'eterno. Il nesso tra tempo e filosofia in Hegel e questione ancora controversa. Nell'Introduzione alia Fenomenologia, del 1806, Hegel considera la filosofia, o meglio la sua filosofia, come !'aurora di un tempo nuovo, come il «primo respiro del bambino appena nato», come l'inaugurazione e l' organa del futuro. Nella Filosofia del Diritto, 15 anni dopo, la filosofia, naturalmente la sua, e il crepuscolo, e la riflessione che si ripiega sulla storia nel momento in cui essa e compiuta. La «civetta di Minerva spicca il volo al cader del crepuscolo». La filosofia, dunque, non ha niente da annunciarci per il domani, ha solo da prendere coscienza dell'adeguatezza del pensiero con se stesso, della totale razionalita del reale: essa e giustificazione del presente cosi com' e. Nella Filosofia della Storia, dopo aver descritto la Restaurazione, scrive: «questa e il punta che la coscienza ha raggiunto». L'essere e il dover essere coincidono; il pensiero e la realta combaciano, senza
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piu margini di tensione. La filosofia del divenire diventa, paradossalmente, la filosofia della totale imf\lobilita. I
Nell'idea que! che sembra passato e conservato in etemo. L'idea e presente, lo spirito e immortale; non c'e alcun tempo in cui non sarebbe esistito e non esisterebbe; non e ne passato ne avvenire, bensi e assolutamente ora. Con cio e gia detto che il mondo attuale, l'attuale forma e autocoscienza dello Spirito, comprende in se tutti i gradi che si manifestano come antecedenti nella storia.
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Sommario. Se in Germania Ia rivoluzione borghese fu un fatto meramente filosofico, nell'area industrializzata dell'Europa fu innanzitutto un mutamento radicale dei rapporti di produzione (3.1). In Inghilterra, dove la rivoluzione sociale fu vissuta in anticipo, senza incontrare veri ostacoli nella monarchia costituzionale, i rivolgimenti della Francia giacobina provocarono riserve e critiche, di cui il piu illustre portavoce fu Edmund Burke. La sua tesi di fondo e che Ia natura procede non per salti bruschi, rna per cauti adattamenti (3.2). II modello inglese, che Burke aveva sott'occhio, non era immune da gravi contraddizioni, prima fra tutte quella tra mercato e ordinamenti giuridici. Per conciliare ·questa contraddizione occorreva ripensare su nuove basi l'etica sociale: lo fecero Geremia Bentham con I'utilitarismo e il suo collaboratore James Mill, che forni all'utilitarismo le basi epistemologiche (3.3). Solo partendo da queste premesse ideologiche sarebbe stato possibile affrontare con efficacia una contraddizione strutturale, che gla allora stava aprendosi nella societa industriale: quella tra !a crescita in progressione aritmetica dei beni prodotti e Ia crescita in progressione geometrica della popolazione. Per Malthus, l'unica via era contenere !a procreazione attraverso freni morali imposti ai poveri .. A dare ordine teorico al sistema economico industriale provvide soprattutto David Ricardo, che approfondi in modo definitivo alcuni principi chiave del capitalismo, come quello del valore della merce, del rapporto tra salario e profitto, della rendita (3.4). La teoria secondo cui Ia ricerca dell'utile personale, se fatta secondo ragione, produce di per se !'utile comune, venne contestata da utopisti come Owen, per il quale era vero il contrario: solo organizzando Ia societa in modo da mettere a! prima posto !'utile comune ne sarebbe derivato !'utile personale (3.5). Ma nei fatti Ia logica del capitale procedeva imperterrita, producendo non pochi dissesti, primo fra tutti quello urbanistico. La citta dell'uomo diventava sempre meno vivibile. A questa degenerazione tecnologica si oppose il romanticismo letterario, in nome di una citta ideale di stampo platonico, come in Coleridge, o in nome di una umanita affidata alla guida dei grandi genii, come in Carlyle (3.6). In Francia, quando Ia rivoluzione politica, spintasi fino al Terrore, mise in pericolo le conquiste sociali, Ia borghesia dette avvio a una reazione che culmino con l'impero napoleonico. Questa borghesia moderata riconobbe i suoi maestri in un gruppo di pensatori, detti 'ideologi', tra i quali ebbero particolare rilievo Destutt de Tracy e Cabanis (3.7). Dall'analisi del processo sensistico del conoscere passa invece a certezze metafisiche Maine de Biran, che riesce a mettere !'una accanto all'altra un'attivita pubblica e un'intensa attivita meditativa a carattere intimistico, che nei fatti e un vero e proprio contributo all'ideologia della Restaurazione (3.8). Piu decisamente schierati con Ia Restaurazione sono i tradizionalisti come de Bonald e de Maistre, che, sulla base di un giudizio radicalmente negativo della rivoluzione, ripropongono i modelli politici e sociali dall'ancien regime (3.9). L'idea di tradizione, se svolta in tutte le sue implicazioni, porta in se stessa il proprio opposto, nel sensa che, in quanto trasmissione della sapienza dei popoli, essa custodisce e fa maturare le speranze dell'umanita, aile quali le istituzioni, specie Ia chiesa, non possono essere sorde. In difesa di questo «cristianesimo della razza umana» Lamennais rompe con il «cristianesimo del papato», prospettando una universa-
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le emancipazione dei popoli (3.10). Cosi il tradizionalismo arriva a contatto con !'utopia socialista di Saint Simon che, sia pure con ammirazione per l'eta organica del medioevo, auspica una societa gestita dai ceti tecnocratici, che daranno alia scienza il ruolo che nel Medioevo ebbe Ia metafisica (3.11). A questa socialismo, troppo fiducioso nella forza umanizzante della tecnologia, Fourier oppone una societa basata sui principia naturale dell'attrazione, Jibera da ogni forma di inibizione (3.12). A svincolare !'utopia del socialismo dalle sfere della..soggettivita per impiantarla nell'analisi oggettiva dei rapporti di produzione e Proudhon, che in qualche modo puo dirsi il padre del socialismo scientifico, anche se il suo socialismo comunitario e venato di spontaneismo anarchico (3.13). II corso delle case non assecondo ne Je nostalgie ne le utopie, rna porto avanti l'egemonia sociale del mondo borghese secondo un criteria di conciliazione degli opposti che uni, sotto il segno del moderatismo, pensatori tra !oro diversissimi, come Mme De Stael, Constant, Tocqueville, Cousin (3.14).
L'Inghilterra tra conservazione e rivoluzione 3.1 La rivoluzione sociale. Da Kant a Hegel, lo svolgimento della linea di pensiero che aveva fatto dell'uomo illegislatore del mondo resta confinato nella sfera delle pure idee, senza scalfire quella delle cose, a cominciare dal sistema dei rapporti di produzione. E' ai filosofi di questa dinastia idealistica che Marx alludera nel dichiarare ormai giunta !'ora di porre fine a una filosofia impegnata nel descrivere il mondo, e di dare inizio alla filosofia capace di trasformarlo. Diversamente andavano le cose nell'area europea in cui, proprio durante il periodo del grande trionfo filosofico tedesco, la rivoluzione industriale aveva fatto un cammino portentoso, dilatandosi fino a cambiare il volto della societa e Ia radice stessa dell'esistenza dell'uomo. Non che nell'area della rivoluzione industriale - Inghilterra, Olanda e Francia --le cose vadano di pari passo con le idee. Specie in Francia, resta sconcertante il divario tra le dichiarazioni di intenti degli uomini politici, mutuate per lo piu dai sacri testi dell'illuminismo, e il procedimento effettivo dell'azione politica ed economica. Eravamo nel 1791 quando il deputato Isnard dichiaro all'Assemblea che <mel giomo in cui Ia filosofia aprira gli occhi, i popoli si abbracceranno al cospetto dei tiranni detronizzati, della terra riconsolata, del Cielo soddisfatto». Trent'anni dopo, nell'esilio di Sant'Elena, Napoleone sedvera nel suo Memoriale: «Avrei voluto fare di tutti i popoli dell'Europa un unico e solo corpo nazionale». In questo trentennio, l'arcobaleno della fratemita aveva continuato a inarcarsi sulla realta, senza disturbare in modo serio il gioco degli impulsi nazionalistici e della meccanica del capitale. Anche il nostro Ugo Foscolo saluto Napoleone, a capo della sua armata, come un 'Liberatore', per poi bollarlo come un tiranno nelle pagine del suo Jacopo Ortis. Che Napaleone non fosse ne un tiranno ne un Iiberatore lo aveva gia compreso Hegel, che, come abbiamo visto, si guardo bene dal prendere parte ai furori nazionalistici. Spogliato dei suoi significati contingenti e anche della maschera ideologica con cui si dissimulo agli occhi altrui, e forse anche ai propri, Napoleone fu lo strumento di una rivoluzione sociale che trasporto la borghesia dal ruolo di classe dirigente a quello di classe dominante. I due ruoli, si sa, non stanno
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necessariamente insieme. La dirigenza economica potrebbe anche non tradursi in dominio politico, cosi come il dominio politico potrebbe anche non avere solide basi nella dirigenza economica. Di questa ultima eventualita clara esempio l'Italia, che, dopo il processo unitario, adottera le forme politiche della democrazia borghese senza che ancora si fosse formata nel suo organismo la classe i.donea a darle realta effettiva. Anche la Francia realizzo prima la rivoluzione politica che quella sociale, a differenza dell'Inghilterra, dove le due rivoluzioni, iniziate nel Seicento, andarono avanti con un rapporto di relativa reciprocita. Schematicamente, potremmo dire che la classe borghese scrisse i suoi trionfi socio-economici in Inghilterra, quelli politici in Francia, quelli filosofici in Germania. I diversi livelli sono tra loro cosi interdipendenti che il ritardo dell'uno sull'altro genera inevitabilmente contraddizioni piu o meno gravi. In tutti i casi - rna riprenderemo questo tema nei prossimi capitoli - la struttura economica della societa borghese non puo non dare origine, contro se stessa, a una classe antagonistica, quella del proletariato. Tocchera al proletariato mettere allo scoperto come l'universalismo formale scritto nella parole d' ordine delle rivoluzioni borghesi - liberta, fratemita, uguaglianza - facesse da copertura a una ben precisa organizzazione di interessi di parte. Ma intanto qualcosa di nuovo avviene nella storia del pensiero. Fino alla rivoluzione industriale, il filosofo era una figura apolitica, della quale il potere riusciva anche a non preoccuparsi. Con la rivoluzione industriale, le cose cambiano. Il potere non e piu soltanto nei vertici delle istituzioni, e una qualita che corre dentro la trama dei rapporti economici, anzi dentro la trama dei rapporti primordiali tra uomo e natura. Prima che in questi rapporti si introducesse la mediazione della macchina, la storia procedeva secondo un ritmo di ripetizione. Se qualcuno, come Moro o Campanella, osava sostenere la possibilita di cambiare la societa, doveva per forza descrivere un mondo collocato in un Non-luogo, nell'Utopia. Ma con la macchina la modificazione delle cose diventa un'esperienza addirittura sensoriale. Il futuro come non-ripetizione, come libera creazione, diventa una dimensione inscritta nelle possibilita del presente. Questo nesso tra i modi di essere del presente e i modi di essere del futuro diverra un centro focale della riflessione umana. Il pensiero filosofico sara necessariamente pensiero politico, avra cioe rapporti diretti, confessati o meno, con le dinamiche con cui conservare o trasformare le societa. Il suo spazio non sara piu quello accademico, sara lo stesso spazio in cui entreranno in conflitto le classi sociali. 3.2 Critica alia rivoluzione politica. Burke. Da quando, nel 1764, James Watt aveva costruito la prima macchina a vapore e Hargreaves il filatoio a piu fusi, detto 'Jenny', l'Inghilterra aveva realizzato una rivoluzione sociale che non aveva avuto bisogno, per assecondare la propria spinta interiore, di sovvertire 1'ordine politico esistente. Le innovazioni tecniche non caddero in un contesto inadatto ad accoglierle, perche da quasi due secoli i mutamenti intercorsi, tanto nel costume quanto negli ordinamenti, erano di loro natura gia orientati verso il balzo di qualita reso possibile dalla macchina. L'assolutismo regio aveva distrutto il particolarismo feudale, fin dall'epoca dei Tudor; la monarchia costituzionale del 1688
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aveva aperto spazio politico alla borghesia; la piccola nobilta di campagna, attraverso le 'recinzioni' della terra, aveva dato il via a una agricoltura orientata al mercato e a fornire materia prima all'industria; il mercantilismo, e cioe le leggi protezionistiche applicate alia importazione e all'esportazione, aveva finito col rendere l'Inghilterra padrona indiscussa dei marl. ll mutamento del sistema produttivo fu vissuto senza scosse, perche le istituzioni politiche erano avvezze a modificarsi in modo prammatico, senza astrattismi dottrinari. Ecco perche la rivoluzione francese suscito nell'isola pochi entusiasmi e molta ostilita. punto di vista che prevalse, e venne anche largamente condiviso nel continente, fu quello di Edmund Burke (1729-1797). Non erano ancora passati 18 mesi dalla caduta della Bastiglia, quando, nel novembre del 1790, usci la sua prima opera, Riflessioni sulla rivoluzione francese, destinata a diventare il manifesto della controrivoluzione. In un solo anno ne uscirono 11 edizioni in Inghilterra; l'anno successivo, la traduzione francese ebbe quattro edizioni: un boom editoriale del tutto inconsueto. Burke non era un reazionario, anche se dei reazionari divenne il pili illustre portavoce. Era un whig e a suo tempo aveva difeso la causa dei coloni d'oltre Atlantica. Quel che non riusciva a tollerare era la 'filosofia dei lumi', cresciuta al di la della Manica, una filosofia basata, a suo giudizio, su di un concetto razionalistico di natura che era niente pili che un parto della mente. La natura e complessa e procede adattando con fatica e lentamente cia che e a cia che diviene. Questa regola diventa ancora pili intangibile quando si passa alla sfera dell'uomo come membra della societa. E' criminoso dedurre i diritti dell'uomo da una sua astratta natura, come facevano i costituenti francesi, mentre quei diritti maturano dentro il groviglio delle condizioni storiche concrete e possono essere soddisfatti non con Costituzioni da anno zero, rna con adattamenti legislativi come quelli conosciuti dalla tradizione inglese. In questa procedimento prende carne la collaborazione dell'uomo all'azione provvidenziale di Dio, le cui leggi sono scritte nel passato cosi come lo abbiamo ereditato. Quel che la Provvidenza ha fatto in secoli e in millenni, i rivoluzionari francesi alla Sieyes lo vogliono fare in pochi mesi, scarabocchiando le loro idee sulla realta quasi fosse una tabula rasa. Cosi la Francia sconta nelle sue sventure lo 'spirito del secolo', che per Burke e l'esaltazione della ragione individualista, incapace di comprendere le ragioni generali della collettivita, quelle ragioni che, si dica quel che si vuole, si trovano nascoste proprio nei detestati pregiudizi sociali. I pregiudizi sociali sono una specie di ragione ignara di se stessa, rna che ha pili dignita della ragione individualistica del rivoluzionario. La rivoluzione e legittima solo quando un sovrano sconsiderato distrugge diritti storici acquisiti, e cosi facendo oppone la sua ragione arbitraria contro la ragione solenne della storia. Burke mori in tempo per non vedere coi suoi occhi le nuove terribili sfide che la realta avrebbe lanciato contro la prassi legislativa inglese del cauto adattamento. Il centro produttivo si ando spostando, proprio in quel giro d'anni, dalla campagna e dalla bottega dell'artigiano alla fabbrica, e la fabbrica modifico con violenza le strutture della citta fino a fame una cintura di se stessa. Una massa enorme di uomini, donne e bambini fu trasformata nelle fabbriche in un ciurma di schiavi, con salari di fame e con orari praticamente illimitati. Una legge del 1802 contemplava una giomata lavorativa normale di
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quindici ore. Agli operai era severamente proibito di organizzarsi per Ia rivendicazione dei propri diritti. La piu ricca nazione del mondo era anche quella piu miserabile: un contrasto che non potra non provocare Ia riflessione di quegli int-ellettuali che, per quanta immersi nella nuova grandiosa fase industriale del loro paese, non potevano non interrogarsi sugli sviluppi futuri della rivoluzibne operata dalla macchina. 3.3 L'utilitarlsmo morale. Bentham. Mill. Vennero detti 'radicali' i filosofi che per primi misero in luce Ia contraddizione generata in seno alia societa inglese dalla rivoluzione industriale: da una parte, le leggi proprie delle forme di produzione inaugurate dalla macchina andavano modificando i rapporti concreti tra i cittadini, sottoponendoli all'economia di mercato; dall'altra, le espressioni giuridiche e morali di quei rapporti rimanevano quali le aveva formate e custodite la tradizione. Bisognava, per dirla in due parole, mettere d'accordo il mercato e il tribunale. La giustizia non deve essere dedotta dalla volonta di Dio o da principi immutabili, estranei alia sostanza istintiva della vita quotidiana; essa coincide con le regole che guidano indifferentemente il commerciante in cerca dell'utile, il libertino in cerca del piacere, il mistico in cerca di vita eterna. A ten tare. per prima questa conciliazione, che nei suoi intenti av,rebbe dovuto unificare l'universo dei fenomeni morali e politici, cosi come il principia newtoniano di gravitazione aveva unificato Ia visione del cosmo, fu Jeremy Bentham·. Egli riusci a creare intorno a se una 'riserva di cervelli' che forni alIa nuova societa inglese l'ideologia necessaria. Nell'ordine morale e politico, il principia 'newtoniano' e quello dell'utilitarismo (termine coniato proprio da Bentham, che aveva una passione per i neologismi), e cioe il principia secondo il quale le regale morali e giuridiche devono servire a procurare il massimo della felicita possibile al piu gran numero possibile di uomini. Una definizione del genere potrebbe, fuorviarci, chiamandoci alla mente il tema scolastico del 'bene comune' quale vero fine della morale e della politica. Ma in Bentham il termine felicita e sinonimo di piacere, come il termine infelicita e sinonimo di dolore. Collocata, cosi, dentro la sfera della sensibilita, la felicita diventa un bene misurabile, proprio come il valore della merce e del lavoro viene misurato dal denaro. Presa a sola, un'azione e assolutamente indifferente. Essa ha valore solo se messa in correlazione con altre azioni e con gli effetti che produce su altri soggetti agenti. Analizzata in questa rete di rapporti, essa si rivelera piu o meno feconda di piacere e di dolore. Piacere e dolore vanno rilevati, in prima istanza, riella collettivita, rna col presupposto, dato per ovvio, che Ia felicita comune deve refluire anche sul singolo soggetto. Anche l'economia liberale ha come sua unita reale il singolo produttore: e com binando insieme i beni offerti sui mercato dai singoli produttori che essa distribuisce di ritorno a ciascuno i vantaggi e gli svantaggi. Allo stesso modo, Bentham misura l'utilita di un'azione in base al di piu di felicita o al di meno di dolore che essa produce nel sistema di scambi tra individuo e societa. II piacere e il dolore sono quantificabili: Bentham arriva perfino a fornire una tavola per le misurazioni. A chi gli obiettava che il piacere e il dolore sono fenomeni soggettivi, che in quanta tali non si adattano a misure quantitative, Bentham rispondeva che anche la fisica studia
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fenomeni come il colore o come il calore e li risolve in quantita. E' vera, si, che il gaudente e l'asceta danno valore opposto a una medesima azione, rna resta il fatto che ambedue si servono degli stessi segni diacritici di 'utile' e 'dannoso' e rendono cosi Of\laggio allo stesso principia formale. Le differenze tra l'asceta e il libertino• scomparirebbero, se essi si decidessero ad applicare bene la ragione al proprio comportamento. Nella tavola elaborata da Bentham per aiutarli in questa compito, un piacere viene misurato nei suoi caratteri intrinseci: durata, intensita, prossimita nel tempo, certezza, fecondita, purezza e possibilita di estendersi ad altri soggetti. La virtu e il piacere coincidono sempre, basta eseguire bene i calcoli. Mentre il vizio e uno stupido sperpero di possibilita di piacere, la virtu e il sacrificio di un interesse minore ad un interesse maggiore, di un interesse momentaneo ad un interesse duraturci, di un interesse dubbio ad un interesse certo. La virtu e un prudente economo, che recupera con gli interessi cio che ha speso.
Sulla base di questa aritmetica degli interessi si unificano la morale privata e quella politica. Tutta la differenza che sussiste tra la politica e Ia morale, afferma Bentham, si riduce a questo, che la prima regola le operazioni dei governi, l'altra i processi degli individui; rna il loro oggetto comune e la felicita. Cio che e politicamente buono non potrebbe essere moralmente cattivo, a meno che le regole dell'aritmetica, che sono vere per i numeri grandi, non siano false per i numeri piccoli.
Bentham applica la sua aritmetica perfino al diritto penale, che egli studio alla luce dell'insegnamento di Cesare Beccaria. Un delinquente e un uomo che ha causato sofferenza: punirlo significa di per se aumentare nel mondo la somma delle sofferenze, a meno che la punizione inflitta non sia un mezzo per evitare una sofferenza pili grande o per aumentare la felicita generate. La pena, dunque, non mira a castigare il delinquente (e stupido, infatti, aumentare il dolore nel mondo) rna a fornire a lui e agli altri cittadini motivi efficaci per non incorrere nel crimine, e cioe per non causare altra sofferenza. Questa riduzione della morale ad aritmetica del piacere non poteva non sucitare scandala. Essa comunque rispondeva perfettamente aile leggi interne della nascente societa industriale, che richiedeva di spazzar via le remore della vecchia morale, intrisa di pregiudizi religiosi, per sostituirla con i principi dell'utilita. Fra questi principi rientrava, infatti, anche la conservazione delle diuguaglianze sociali. Ins~nare alia classe operaia la morigeratezza in tutti i campi (anche in quello sessuale: la prolificita degli operai destava preoccupazioni), in vista di una felicita distante nel tempo e di qualita pili alta, era contribuire a! benessere di tutti, a costa di dover pagare questa benessere con una costrizione della liberta. Il fine della societa non e la crescita della liberta, rna Ia crescita della felicita, e non sempre la liberta e necessaria alia felicita. Una specie di mostruosa traduzione simbolica di questa ideologia e il progetto - su cui Bentham riverso denaro, tempo e tranquillita - di una nuova forma di prigione, detta da lui panottico. Il termine, derivato dal greco, signifi-
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ca un edificio in cui e possibile vedere tutto da un solo centro di visuale. E difatti il carceriere, seduto a} centro del panottico benthamiano, poteva vedere, restando al suo posto, tutte le celle, disposte a cerchio e, dentro le celle, i detenuti, senza che questi potessero vedere lui. La stessa idea architettonica, a suo giudizio, poteva servire per le fabbriche, gli ospedali e le scuole (16.13). Il governo inglese lo prese sui serio, rna dopo qualche tempo lo licenzio con un indennizzo di 20.000 sterline. Era il 1813. Secondo alcuni, fu questa sordita del governo a spingere Bentham verso idee politiche piu radicali. Ma in quell'anno egli era gia entrato in collaborazione con James Mill* (1773-1876), le cui convinzioni democratiche erano molto piu robuste e molto piu coerenti. La 'conversione' di Bentham deve forse qualcosa a questa amicizia. II compito di Mill, una volta entrato nella fervida compagnia di Bentham, fu di .fomire all'utilitarismo del maestro la base epistemologica di cui aveva bisogno: la psicologia associazionistica, gia elaborata da David Hume (118.8). L'indagine di Mill presuppone infatti le conclusioni di Hume, rna si svolge con una piu minuta scomposizione della mente (nel sensa inglese del termine mind, che designa unitariamente tutte le facolta dell'animo umano), fino a ridurla agli 'atomi psichici' che costituiscono il suo flusso. L'atomo psichico fon-
Nato a Londra nel 1748, Jeremy Bentham rivela, fin da ragazzo, il suo spirito di indipendenza, di originalitil e di versatilitil. Avviata l'attivitil di avvocato, l'abbandona per meglio attendere ai suoi studi. Recatosi in Russia presso il fratello, ingegnere navale in servizio presso le forze della zar, progetta il Panottico, un sistema carcerario capace di garantire il massimo controllo dei detenuti. In Russia, sotto forma di lettere, scrive la Difesa dell'usura (1787): e il suo ingresso nei temi economici. Due anni dopa, nel 1789, pubblica la sua opera piu importante, lintroduzione ai principi della morale e della legislazione, che gli procura universale rinomanza, al punta che l'Assemblea legislativa di Parigi, nel 1792, lo proclama cittadino francese. Segue con entusiasmo i primi passi della rivoluzione, staccandosi dalle posizioni conservatrici di partenza, fino ad arrivare a visioni di radicalismo politico e religioso. Nel 1808 conosce James Mm che diviene il suo discepolo piu importante e insieme a lui (ai due si aggiungera in seguito il figlio di Mill, John Stuart) fonda e dirige Ia 'Westminster Review'. E' in quest'ultima parte della sua vita (muore nel 1832) che approfondisce le sue teorie sulla morale e sulla politica. Le premesse epistemologiche dell'utilitarismo di Bentham vengono sviluppate da James Mill. Nato nel 1773, dotato di grande spirito pratico (diviene alto funzionario della Compagnia delle Indie), sviluppa, a partire da Hume, una dottrina psicologica basata sui principia dell'associazionismo e la propane nella sua opera filosofica principale, Analisi dei fenomeni della mente umana (1829). Pres so il grande pubblico la sua celebritil e legata alIa Storia dell'India Britannica (1818), che egli scrive senza essere mai stato in India. Muore nel 1836, avendo accanto a se, come funzionario delle Indie, rna soprattutto come curatore ed erede del suo pensiero, il figlio John Stuart, di cui dovremo occuparci (7.6).
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damentale e la sensazione, la cui copia e I'idea, la quale, a sua volta, e semplice o complessa. Un insieme di idee da luogo a un processo. I processi sono regolati da tre principi., prodotti a loro volta dall'abitudine: Ia somiglianza, la contiguita nello spazio e nel tempo, la successione tra antecedente e susseguente, che da luogo al nesso causa-effetto. La Iegge dell'associazione vale parimenti nell'ordine morale, che anche per Mill e riducibile totalmente sotto la categoria dell'utile. L'idea di piacere ci richiama, per associazione, !'idea dell'azione necessaria per procurarcelo e !'idea degli effetti che essa produce. E' qui che si innesta l'aritmetica dell'utilita. L'azione buona e quella piu utile a procurare il massimo di felicita al maggior numero possibile di persone. La mente umana non e un'entita data una volta per sempre: essa e, per dir cosi, costruibile a partire dal criterio dell'utilita, che rimanda selettivamente aile idee che giovano a procurarsela e, in ultima istanza, aile s~ensazioni che originano le idee. La convinzione che Ia natura umana fosse una stoffa adatta alia lavorazione, non diversamente da quella uscita' dalla filanda, non poteva non incontrar successo. . I risvolti anche pedagogici di questa convinzione sono evidenti. Il figlio di James Mill, John Stuart (7.6), raccontera, nella propria Autobiografia, i rigidi metodi educativi a cui fu sottoposto dal padre in vista di uno sviluppo intellettuale ai limiti del tollerabile, perche a spese degli altri aspetti della personalita urn ana. Bentham e Mill hanno esercitato nel loro tempo un magistero efficacissimo, tanto che e imputabile a loro, nel bene o nel male, lo slancio etico e giuridico dell'industrialismo inglese, che trovera sbocco nel Reform Bill del 1832. Ma essi non erano soli a condurre l'opera di razionalizzazione della nuova civilta della macchina.
3.4 Utilitarismo economlco. Malthus. Ricardo. Non era piu possibile ragionare dell'uomo, e tanto meno dell'uomo in societa, senza tener conto che ormai nella struttura portante che lega l'uomo alia natura e l'uomo all'uomo si era introdotta la macchina. Nel 1793 apparve un libro del pastore William Godwin (1756-1836), dal titolo Ricerche sulla giustizia politica, ispirato a un ideale platonico di armonia sociale. Secondo Godwin, tutti i mali della societa derivano dalle sue istituzioni: sarebbe bastato rimettere i popoli alla guida spontanea della ragione, rinunciando all'idea di govemarli con la forza, perche ogni sofferenza sociale venisse bandita. Anche il problema del contenimento della crescita demografica avrebbe trovato spontanea soluzione nella naturale ragionevolezza dell'uomo, una volta Iiberato dalle costrizioni che lo snaturano. Dopo qualche anno, nel 1798, apparve un opuscolo anonimo dal titolo Saggio sul principia della popolazione. Era la risposta a Godwin, scritta, come si seppe in seguito, da un altro pastore, Thomas Malthus·, per dimostrare che tutti gli schemi utopici, come quello di Godwin o del francese Condorcet, sarebbero stati sconvolti dalla crescita della popolazione causata dalla prosperita della civilta industriale. L'opuscolo divenne, di edizione in edizione, un volume ponderoso, rna la tesi, fondata su di un crudo realismo, rimase la stessa. La possiamo esprimere con le parole dello stesso Malthus:
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Chiunque nasca in questo mondo gia oggetto di appropriazione privata e non ritragga i mezzi di sussistenza ne dai propri genitori ne dal proprio lavoro, non ha alcun diritto di essere mantenuto; in realta egli e inutile in questo mondo. Alia gran mensa della natura non c'e alcun piatto che lo attende. La natura gli comanda di andarsene e non tarda a mettere in esecuzione il suo ordine.
Si infrange, neUe pagine di Malthus, l'ottimismo storico con cui generalmente la cultura illuministica aveva guardato il futuro. Venti, trenta anni dopo la pubblicazione del saggio di Adam Smith Sulla ricchezza delle nazioni, (IT. 11.12), la fiducia nella 'mano invisibile' che regola i processi economici volgendoli al bene comune si e gia offuscata, e si e offuscata anche perche contraddetta dai primi fenomeni di lacerazione sociale prodotti dall'industrialismo. Basti pensare al fenomeno dell'urbanesimo. I paurosi squilibri sociali causati dall'economia liberistica non sono affatto, secondo Malthus, episodi destinati ad essere riassorbiti nel corso positivo della storia, sono i sintomi di una Iegge di natura contro la quale e vano dar di cozzo. L'ideologia del progresso che Condorcet aveva elaborato (II.l 0.11 ), a dispetto delle degenerazioni della rivoluzione francese della quale sara vittima dopo esserne stato uno dei padri, non riesce ad affermarsi, almeno nella prima fase della rivoluzione industriale. II successo di quella ideologia verra pili tardi, soprattutto per merito della cultura positivistica. Per ora, e cioe nei primi decenni dell'Ottocento, gli 'intellettuali organici' del cambiamento sociale non indulgono, per lo pili, all'utopia, almeno in Inghilterra. Gli utopisti come Godwin e come Owen, del quale diremo tra poco, fanno affidamento su risorse morali che non si ritrovano nella natura dell'uomo. L'uomo e strutturalmente egoista, rna il suo egoismo - ecco il paradosso malthusiano - lungi dall'essere esecrabile, e del tutto conforme alle intenzioni del «grande Fattore della natura>>: Facendo dell'amor di se stessi un sentimento di gran lunga piu forte che non il sentimento della benevolenza, egli ci ha, nello stesso tempo, spinto su quella linea di condotta che e essenziale alia preservazione della razza umana.
Se infatti, argomenta Malthus, tutto cio che nasce potesse essere adeguatamente nutrito, il huon Autore della natura avrebbe posto come istinto fondamentale dell'uomo quello della mutua benevolenza. Ma siccome e vero il contrario, e vero cioe che la terra non ha possibilita illimitate di nutrire gli esseri viventi, ecco che il Creatore ha posto nell'uomo come istinto fondamentale l'amore di se, la spinta ad assicurarsi il mantenimento, anche se questo comporta per gli altri la morte per fame. Niente di pili contrario a questo ordine di natura che i1 mito dell'uguaglianza vagheggiato da Godwin e da Owen: se davvero tutti gli uomini dovessero dividersi equamente i beni della terra, 1'esito sarebbe la morte universale. L'errore di simili utopisti e di addossare alle istituzioni, incentivando cosi anarchia e rivoluzione, la responsabilita delle disuguaglianze, che invece sono un portato della selezione naturale e, in ultima istanza, della Provvidenza di Dio.
68 D 3 - L 'Inghilterra tra conservazione e rivoluzione La novita della tesi di Malthus era soprattutto nell'apparato scientifico di cui si ammantava. Il 'principia della popolazione', che egli confortava con indagini condotte durante viaggi fatti in varie parti d'Europa, e formulabile come un rapporto costante tra risorse naturali e incremento demografico. Le risorse naturali, se tutto va bene, sono aumentabili in progressione aritmetica in ragione 2 (2+2=4; 4+2=6 e cosi via), mentre la popolazione progredisce in progressione geometrica in ragione 2 (2x2=4; 4x2=8 e cosi via), di modo che essa raddoppia nel giro di una generazione (25 anni). Se le case vengono lasciate a questa corso naturale, lo sbocco non potra essere che la rarefazione delle risorse e la minaccia di sopravvivenza per la specie. Fortunatamente - e Malthus che lo dice - la natura provvede, per canto suo, con carestie, epidemie, mortalita infantile e piaghe del genere. Ma i procedimentl della 1 natura sono crudeli : meglio sostituirli con altri, governati dalla Iegge morale. Com'e facile capire, non si tratta di procedimenti ispirati a benevolenza: niente di piu stolto che l'assistenza ai poveri. Alia pari della benevolenza assistenziale, e riprovevole anche l'aumento del salario agli operai, come era gia allora nelle richieste degli umanitari. L'aumento del salario al di sopra del limite della pura sussistenza avrebbe infatti prodotto un aumento della domanda del consumo, e quindi una ulteriore spartizione dei beni, con conseguente aumento demografico. La via giusta e un'altra, e quella preventiva stabilita dalla ragione. Essa si risolve nei 'freni morali', e cioe nella propaganda sia della castita volontaria (Malthus riteneva contra natura Ia contraccezione), sia del ritardo del matrimonio fino all'eta adulta. Particolare curiosa, su cui cosi si diverte Bertrand Russell: «Malthus ebbe tre figli nei primi quattro anni di matrimonio, e poi non ne ebbe piu, in grazia, si suppone, del «frena morale». Non si conosce l'opinione della Signora Malthus sulla teoria della popolazione». Inutile sottolineare la funzionalita del discorso di Malthus nel quadro della societa capitalistica in fase nascente. Tale funzionalita appare scopertissima nel tema del salario, di cui si e detto sopra, tema che collega Malthus a David Ri· car do • (1772-1823). Sviluppando e circoscrivendo a questioni piu specifiche la scienza economica avviata da Adamo Smith, Ricardo puo essere considerato (cosi fara, ad esempio, Marx) il teorico per eccellenza del capitalismo. Infatti, - 'mentre l'oggetto della ricerca di Smith era la produzione della ricchezza, quelli di Ricardo sono Ia sua distribuzione fra i vari soggetti sociali che la producono - proprietari fondiari, capitalisti, lavoratori - e la molla della sua riproduzione, che e il quoziente di profitto. Molte delle nozioni di Ricardo entreranno nella articolazione del dibattito degli economisti di ogni tendenza: non si capirebbe nemmeno Marx senza di lui. Precisiamone alcune. 1. Innanzi tutto, Ia determinazione del valore di scambio. Gia presente in Smith, essa viene ulteriormente elaborata da Ricardo. ll valore assoluto di una merce e determinato dalla quantita di lavoro necessaria a produrla. In questa quantita va computato anche il tempo lavorativo impiegato nella costruzione degli strumenti con i quali una merce viene prodotta o modificata, ad esempio i telai con cui si produce stoffa. Il valore di scambio tra due merci sui mercato
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e deterrninato dalla quantita di lavoro che esse hanno accumulato in se. Se il tempo di lavoro richiesto dalla produzione di ciascuna delle due merci raddoppia, il loro valore assoluto e mutato, rna sui mercato questa mutazione non si avverte. Sui mercato giocano le variazioni del valore relativo, ed e di queste che Ricardo si occupa. E difatti il sistema industriale di produzione introduce nella quantita-tempo modifiche crescenti, che si riflettono sui mercato determinando una concorrenza da cui trae stimolo la ricerca di innovazioni tecniche, che permettono di abbassare la quota tempo e dunque il costo di produzione. 2. II rapporto tra sa/aria e profitto sara tendenzialmente tale da riservare al salario la quota piu bassa possibile, fino al limite, che e quello della sussistenza: ali'operaio deve essere garantito un salario che gli consenta di riprodurre la propria energia lavorativa. Se, ad esempio, c'e un aumento di prezzo delle derrate alimentari, all ora c' e anche una diminuzione del salario reale (e cioe la capacita d'acquisto del salario nominale) e la necessita di aumentarlo, con conseguente diminuzione della quota profitto incamerata dal capitalista. Ecco perche Ricardo favori, mediante l'elaborazione degli appositi dazi, l'importazione del grano: un maggior afflusso di grano sui mercato avrebbe prodotto un abbassamento del suo prezzo e dunque una maggiore capacita di acquisto del salario, a tutto vantaggio della quota profitto destinata ai capitalisti. Chi ci ,avrebbe rimesso sarebbe stato il proprietario di campi. In questa battaglia, Ricardo si schien) accanto alia nuova borghesia industriale, contra i detentori della ricchezza fondiaria, giudicata da lui parassitaria. 3. La rendita fondiaria e determinata dallo scarto di capacita produttiva fra terre di prima qualita e terre di bassa qualita, che con l'aumento della popolazione vengono via via destinate anch'esse a produzione agricola. A uguale quantita di lavoro corrisponde una diversa quantita di produzione agricola di due terre di cui l'una sia piu fertile dell'altra. Il proprietario di quella piu fertile intasca una quota di guadagno molto maggiore di quella intascata dal proprietario dell'altra: la differenza e appunto la rendita. Che cosa succede se si facilita l'importazione di derrate? Che i capitali gia investiti in terreni scarsamente produttivi vengono riversati in investimenti industriali, con beneficia delle nuove forme di produzione capitalistica e con un abbassamento della rendita differenziale. La scientificita delle tesi di Ricardo· sara subito con testata, con maggiore o minore efficacia. Ma la conoscenza del meccanismo del capitale aveva trovato in lui la sua rifinitura necessaria. Bentham, Mill, Malthus e Ricardo, con una complementarieta non programmata rna comandata dalle cose, offrono alia nuova classe dirigente inglese, e piu largamente a quella europea, l'ideologia necessaria al consolidamento del suo potere e alia dilatazione delle sue conquiste. Thomas Robert Malthus nasce nel 1766 da una famiglia che ha rapporti di amicizia con Rousseau. Compie i suoi studi di teologia all'Universita di C,ambridge e, nel 1797, e curato di Albury, rna per breve tempo, perche opta quasi subito per la professione di insegnante. La lettura di Hume e di Smith sveglia in lui interessi di tipo socioeconomico. NeZ 1798 pubblica anonimo un opuscolo che, in esteso, si intitola: Saggio sul principia del-
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la popolazione riguardato sotto il profilo delle sue conseguenze sui progresso futuro della societa, con considerazioni aggiunte intomo alla speculazione di Godwin, Condorcet e altri autori. Per documentare La sua tesi, visita varie nazioni in Europa e, nel 1803, pubblica la secmtda edizione del suo saggio, arricchita di documentazioni. Altre quattro edizioni seguiranno prima della sua morte, avvenuta nel 1834. Di malta importanza per la formazione della teoria ricardiana sulla rendita e La sua Ricerca sulla natura e il progresso della rendita ( 1815), mentre si oppongono criticamente alia tesi ricardiana i Principi di economia politica (1820). Piu rapida e piu intensa e La carriera culturale di David Ricardo, nato nel 1772 da famiglia ebrea di origine portoghese e convertitos~ nel 1793, all'anglicanesimo. Abilissimo in affari, diviene ricchissimo ed entra a far parte della C(j;rchia dei filosofi radicali. E' James Mill a spingerlo a mettere in scritto le sue teorie economiche. Nel 1817 escono i Principi dell'economia politica e delle imposte. In precedenza aveva pubblicato L'alto prezzo del grano ( 1809) e il Saggio sull'influenza del basso prezzo del grano sui profitti del capitale (1815). Il successo della sua opera maggiore gli schiude le porte della Camera dei comuni, nel 1819. Muore nel1823.
3.5 L'utopia sociale. Owen. Malthus si guardo bene dal sostenere la reciprocita tra utile individuale e utile universale, e cioe dall'assumere i valori dotati di universalita, ad esempio la fraternita, l'uguaglianza e la liberta, come ragioni sufficienti a dare fondatezza all'azione umana. L'unica forma di amore Secondo ragione era per lui, come Si e appena dettO, l'amore di se, }'egoismo. La via opposta, quella che fa consistere la ricerca del proprio vantaggio nell'anteporre a ogni altra cosa, anche sui piano dell'organizzazione sociale, l'amore per gli altri e la via che sara detta del 'socialismo utopistico'. Ad additarla, prima coni fatti che coni suoi libri, fu Robert Owen· (1771-1858), un apostolo pieno di fascino e di contraddizioni, che inizio la sua attivita con fiducia illuministica nella ragione e la chiuse dedito aile pratiche spiritiche. Perfino Malthus, in una pagina del suo Saggio, si inchina riverente alia sua testimonianza di creatore di una cooperativa operaia, quella di Lanark, meta di un ininterrotto pellegrinaggio di curiosi, di studiosi e di principi. Quello di Owen non era il linguagio della scienza, era un linguaggio ispirato: II dominio della fede religiosa e cessato, il suo regno di terrore, di disunione, di separazione e di irrazionalita viene fatto a pezzi, come un vasa di terracotta... D'ora innanzi la carita presiede i destini del mondo. Il suo regno, ben radicato nei principi di una verita dimostrabile, e permanentemente fondato; e contro di esso !'inferno e Ia distruzione non prevarranno. Si, in questa giomo, il piu glorioso che il mondo abbia visto, Ia religione della carita, non connessa con Ia fede, viene stabilita per sempre. Viene assicurata all'uomo Ia liberta di pensiero, e da qui innanzi egli diverra un essere ragionevole e di conseguenza un essere superiore.
La transizione a questa nuova eta dell'uomo in cui, sciogliendosi dalla fede, !a carita prende le redini del mondo, non avviene per rivoluzione, avviene per educazione.
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Seguace, in questa, di Bentham e di Mill, dei quali fu arnica, Owen riteneva che l'uomo fosse un prodotto delle associazioni sensitive provocate dall'ambiente e quindi, in ultima istanza, dell'educazione. Inutile fare appello alla volonta: la volonta non c'e. L'uomo e il risultato delle circostanze esterne che dalla nascita alla morte agiscono su di lui. Le religioni e le istituzioni hanna fatto appello alia volonta per colpevolizzare l'uomo e per trasmettergli quei pregiudizi che finora hanna reso impossibile la solidarieta universale. Per liberare l'uomo da questa schiavitu mentale, fondamento di tutte le altre, niente vale quanta una educazione che prenda le masse dalla creazione di un mondo vitale, adatto a favorirgli esperienze nuove, improntate alia solidarieta e alia liberta. Anche la fabbrica puo essere un ambiente siffatto. Purche la fabbrica si organizzi a partire dal principia che Ricardo aveva dimostrato: la merce prodotta tanto vale quanta il lavoro che ha incorporate in se. E cioe: il profitto appartiene ai lavoratori e ad essi va redistribuito. E' la dottrina del diritto al reddito integrale del lavoro'. Owen, che miro sempre a tradurre in pratica i suoi coucetti, arrivo perfino, nelle cooperative da lui create, a sostituire il denaro con il denaro-lavoro, e cioe con buoni corrispondenti alle ore-lavoro effettivamente fatte, buoni che davano diritto all'acquisto di una certa quantita di merci. Non solo, rna, nel 1832, creo una Banca di Scambio, e cioe una Banca dove invece che il denaro si depositavano le merci prodotte, in vista di uno scambio diretto, senza la mediazione del danaro e delle tangenti di profitto che questa mediazione comporta. Tutte le iniziative di Owen fallirono. Ma il suo fervore lascio non poche tracce nella storia della legislazione sociale inglese e nella stessa storia del movimento operaio, che deve anche a Owen l'idea e la pratica della organizzazione sindacale a scopo di autodifesa.
Robert Owen nasce, di modesta famiglia, nel 1771 ed e costretto al lavoro fin dall'infanzia. Giovanissimo, diviene direttore di una filanda a Manchester. NeZ 1800 sposa la figlia del proprietario della filanda di Lanark, con duemila opera~ di cui cinquecento bambini E' qui che mette in alto le sue idee filantropiche, esposte in Una nuova concezione della societa (1813), e riesce a fare di Lanark una comunita operaia conosciuta in tutto il mondo. NeZ 1817, con un Indirizzo agli abitanti di New Lanark, presenta il programma del suo socialismo, ma il suo esperimento non ha seguito, perche finisce con lo stancare sia i filosofi radicali, che ripongono fiducia nelle riforme politiche, sia la classe dirigente, scandalizzata dalla sua polemica an ticle rica/e. Nel 1825 si reca negli Stati Uniti, dove fonda ex novo una citta operaia, New Harmony. Fa/lito anche questa esperimento, ne tenta altri in Inghilterra, senza peraltro abbandonare ne l'animazione delle lotte sindacali ne il giornalismo a sostegno della classe operaia. Muore ne/1858.
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3.6 La reazione romantica. Coleridge. Carlyle. In una pagina del suo romanzo La bottega dell'antiquario, uscito nel 1840, Charles Dickens descrive il quartiere operaio (in inglese slum) di una citta industriale: «... Strani congegni giravano e si contorcevano come creature torturate, scattando le catene di ferro, cigolando di tanto in tanto nel loro rapido roteare, come un tormento insopportabile, facendo tremare la terra con i loro spasimi... Uomini, donne e bambini, con lo sguardo spento e con gli abiti laceri, sorvegliavano le macchine, alimentavano i fuochi loro affidati, chiedevano 1' elemosina sulla strada o guardavano biechi e seminudi dalle case senza porte... » Fu proprio in reazione a spettacoli del genere che Owen si decise, come abbiamo visto, a progettare comunita operaie in cui il lavoro industriale non fosse una dannazione, rna una crescita com une. Cinque anni dopo l'uscita del romanzo di Dickens, Friedrich Engels (5.20), l'amico e collab6ratore di Karl Marx, pubblichera un saggio sulle condizioni del proletariate in Inghilterra, con questa tesi di fondo: la citta industriale ha disgregato in un primG tempo le unita familiari dei lavoratori immigrati dalla campagna, riducendoli a un ammasso dolorante di individui, rna in un secondo tempo essa ha favorite in questo ammasso una presa di coscienza che da origine alia classe operaia, al nuovo protagonista della storia. Due reazioni dunque: la prima 'utopistica', la seconda 'scientifica'. Ma l'industrialismo provoco anche una terza reazione, quella che alla degradazione della citta industriale oppose, con l'immaginazione poetica, uno spazio ideale in cui la natura tomava alia sua verginale bellezza e l'uomo vi camminava con l'immediatezza di un bambino, come nei primi giomi del creato. E' la reazione romantica, cui dettero voce poeti come Percy Bysshe Shelley ( 1792-1822), William Wordsworth (1770-1850) e Samuel Taylor Coleridge• (1772-1834), che fu, ' o voile essere, oltre che poeta, anche filosofo. L'influenza di Coleridge sul suo tempo fu immensa. Nel 1840, John Stuart Mill scrivera: Coleridge era solito dire che ogni uomo e nato platonico o aristotelico. Allo stesso modo si puo. affermare che ogni inglese del nostro tempo e, per induzione, o un benthamista o un coleridgiano... La teoria tedesco-coleridgiana e, dal nostro punto di vista, il risultato di una reazione. Essa esprime la reazione della mente umana contro la filosofia del settecento. E' ontologica perche questa era sperimentale; e conservatrice perche questa era rivoluzionaria; e religiosa perche una gran parte di questa era irreligiosa; e concreta e storica perche questa era astratta e metafisica; e poetica perche quest'ultima era positiva e prosaica.
Come gli altri rappresentanti della reazione romantica inglese, anche Coleridge ha riconosciuto nella Germania del tempo e specie in quella piu fedele alla tradizione kantiana, la sua vera patria filosofica, per quanto anche lui molto debba alla persistenza, in terra inglese, della tradizione platonica, che da sempre aveva alimentato la resistenza all' empirismo dominante. Alia spiegazione associazionistica della conoscenza Coleridge oppone quella trascendentale di Kant, con un correttivo pero - e qui l'innesto platonico - che gli basta per dischiudere all'uomo l'orizzonte metafisico precluso alia ragione kantiana: il soggetto umano, oltre che senso e intelletto, e anche ragione e la ragione, a sua volta, oltre che una funzione concettuale, come in Kant, ha anche una
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funzione intuitiva, che la mette in diretto contatto con le verita eterne, prima fra tutte Dio nella sua beatitudine e santita. Proprio per questo la religione, e cioe il regno infinito che si apre dinanzi alla ragione intuitiva, e il vero scopo della filosofia. La fede religiosa e l'attivita pili alta dello spirito. Ma perche non resti una pura espressione sentimentale, e, proprio per questo, esposta alle degenerazioni superstiziose, la religione, contro quanto riteneva Kant, deve essere anche religione rivelata, proposta all'uomo come un evento storico-positivo e come insieme di determinazioni dottrinali, in rapporto alle quali la fede diventa assenso non generico rna vincolante e idoneo a dar vita a una istituzione come la chiesa. Il romanticismo di Coleridge ha un fecondo raccordo con quello tedesco, in particolare con Schelling, che attribuisce all'arte una funzione conoscitiva e rivelativa, simmetrica alla potenza produttiva della natura (1.15). L'esperienza estetica, con la quale il Coleridge poeta cerco di fatto una salvezza dall'angoscia strutturale che lo tormento per tutta la vita, introduce l'uomo nel punto di innesto tra lo spirito e Ia natura, tra il mondo degli oggetti e il mondo del soggetto. E' questo il servizio che rende all'umanita il genio. La celebrazione del genio accomuna Coleridge all'altro esponente della reazione romantica inglese, Thomas Carlyle*. La critica all'illuminismo, che in Coleridge era restata nei limiti di una epistemologia centrata sulla ragione, sia pure con qualche cedimento schellinghiano, in Carlyle assume toni che qualcuno ha voluto assomigliare a quelli di Nietzsche. Nella sua polemica, Ia civilta industriale, dominata dal detestabile spirito della macchina, e il prodotto di un
Samuel Taylor Coleridge nasce nel 1772. Studia nella stesso College in cui, negli stessi anni, studia, rna con miglior successo, Thomas Malthus. Spinto,da una oscura inquietudine, fugge dal collegia e dopa varie peripezie abbandona gli studi accademici per dedicarsi alia poesia e alla ricerca filosofica, condotta pero senza vera disciplina, con estro irregolare. Non riesce mai a liberarsi dall'uso dell'oppio, a cui ha cominciato a far ricorso da giovane per vincere le sue angosce. Oltre che poesie e saggi critici, pubblica, nel1825, uno scritto filosofico, Aiuti alia riflessione. Muore ne/1834. Proprio in quest'anno apre casa a Londra Thomas Carlyle, che accoglie con grande ospitalita uomini di grande rilievo e delle piu diverse tendenze, . fra i quali anche il nostro Mazzini. Nato in una famiglia calvinista scozzese, nel 1795, Carlyle ha gia provato la povertQ, il fallimento del suo matrimonio e l'insuccesso letterario. Dotato di una forzll di carattere eccezionale, si dedica a tradurre la sua visione filosofica in biografie di eroi rappresentativi, come quella di Federico II, che ha enorme successo. La sua visione del mondo e affidata, in modo diretto, ad opere come il Sartor resartus, del 1834 e Gli eroi, il mito degli eroi e 1' eroico nella storia, del 1841. Il suo culto per l'eroismo lo porta a simpatizzare con la Germania di Bismark e, in genere, per i governi autoritari. Nella vecchiaia e circondato da ammirazione di ogni provenienza. Muore nel1881.
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razionalismo che non puo comprendere altro che la quantita. L'unica relazione che questa civilta puo concepire tra uomo e uomo e quella del «pagamento in contanti». La deviazione e cominciata nel momenta in cui si sono volute distinguere, nell'uomo, le diverse facolta, come l'intelletto, la volonta, il sentimento. Questa diversita e solo nominale. In concreto, l'uomo e una energia vitale indivisibile, che solo nell'azione, e non nella riflessione intellettuale, attua se stessa nella propria indivisibilita. II momento alto di questa manifestazione della sostanza dell'uomo e la vita dell'eroe. Ecco perche la filosofia consiste nella riflessione non sulle idee astratte rna sull' esperienza storica e cioe sulle azioni del passato, specie su quelle azioni in cui piu che il genio ha lasciato il segno della propria grandezza la figura secolarizzata del genio, che e l'eroe. Lo stile di Carlyle riflette in pieno questa ambiguita concettuale, ricco com'e di metafore, sorretto da una vena turgida in cerca di sublimita che spesso sconfina nella stravaganza. · Stravag1mza e, ad esempio, la stessa denominazione che Carlyle da aHa propria filosofia. La chiama 'filosofia degli abiti', perche l'essenza dell'uomo risiede nei suoi vestimenti, anche se ha la sua sorgente nella realta divina. I vestimenti sono le forme storiche - ricordiamo 1' avatar del pensiero induista - che l'idea divina prende nel tempo. La realta storica non e che l'apparenza simbolica di Dio. Ma i simboli invecchiano, diventano come maschere con gli occhi di vetro! E' I' eroe che strappa le vecchie maschere e crea nuovi simboli- nuovi vestimenti- in cui Ia vita possa di nuovo risorgere. Se Carlyle desto tanta eco nel suo tempo, fu perche, per un verso, egli respingeva le forme della modernita prodotte dalla tecnica, accarezzando cosi la diffusa nostalgia della civilta anteriore e cioe di quel Medioevo che Carlyle celebrava come molto piu conforme alla potenza istintiva della natura, e, per l'altro verso, proclamando l'invecchiamento dei 'vestimenti' storici, apriva il varco a chi vagheggiava, attraverso l'impeto creativo, un avvenire meglio rispondente alla nuova stagione della societa.
La Francia tra rivoluzione e conservazione 3. 7 Gli ideologi. Prima della reazione del 9 Termidoro (27 luglio 1794), la ghigliottina fece a tempo a far cadere sotto la sua mannaia le teste migliori fra quelle che avevano ereditato e propagato i 'lumi' di Voltaire, di Diderot e di Rousseau, soprattutto di Rousseau. Ma una pattuglia di philosophes, mimetizzata nei settori moderati dell'Assemblea o custodita nelle prigioni della repubblica, era riuscita a sopravvivere. Fu proprio questa pattuglia, una volta finito, con l'uccisione di Robespierre, il Terrore, a uscire allo scoperto e a prendere in mano le sorti culturali della rivoluzione. E' questo uno dei pochi casi in cui le istituzioni sono passate in mana ai filosofi. Cinquant'anni prima, i philosophes avevano toccata il culmine del !oro potere organizzandosi nella redazione dell' Encyclopedie, ora essi giungono fino a fondare, precisamente il 22 agosto 1795, l'Istituto Nazionale. Fu come se all'Accademia platonica fosse stata affidata la formazione culturale di Atene! L' Istituto (Napoleone sara tra i suoi mem-
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bri) si divideva in tre branche, la piu importante delle quali era quella delle Scienze morali e politiche, suddivisa a sua volta in sei sezioni: analisi delle sensazioni e delle idee; morale; scienze sociali e legislazione; economia politica; storia; geografia. Questo collegio di scienziati avrebbe dovuto diventare il 'Direttorio' della cultura francese, con lo scopo di diffondere nella societa il nuovo spirito da cui era nata la rivoluzione, che non doveva essere soffocato da immobilismo o da nostalgia del passato. L'ispirazione comune di questo collegio di scienziati era quella di cui era stato maestro Condorcet: la fede nel cammino irresistibile dello spirito umano verso il meglio. Con una riserva sot.tintesa, di ordine nazionalistico: la Francia non aveva bisogno di andare a scuola ne dalla Germania di Kant ne dall'Inghilterra di Hume. Aveva i suoi maestri, e tra questi particolarmente importante Condillac (II. 8.9), alla cui dottrina, rigorosamente sensistica, il gruppo dell'Jstituto nazionale si rifaceva come a dottrina comune. Si e visto che una sezione dell'Istituto era dedicata proprio all'analisi delle sensazioni e delle idee. Ecco perche i nuovi intellettuali, diversamente da quelli delle generazioni illuministiche denominati philosophes, vengono detti ideologues, ideologi: ideologia significa etimologicamente 'dottrina delle idee', che nel nostro caso sono una cosa sola con le sensazioni e i loro derivati astratti. Per quanto debitori dei philosophes, gli ideologi mostrano nei loro confronti, o meglio nei confronti delle loro verita metafisiche, un distacco critico pieno di sufficienza. Sgombri da ogni nostalgia per le visioni generali della realta, la loro consegna e la 'ricerca', ben delimitata nel suo oggetto, potremmo dire specialistica, anche se animata dal convincimento che il progresso generale della ragione e assicurato proprio dallo sviluppo delle ricerche molteplici in cui essa si ramifica. Politicamente, gli ideologi, che durante la rivoluzione avevano per lo piu militato fra i girondini, erano per la conservazione dei principi di democrazia conquistati dal 1789. II loro compito, nel nuovo ordine di cose inaugurato dal Direttorio, era appunto quello di una pedagogia nazionale di ispirazione democratica. Nel 1797, Napoleone era ancora uno di loro: durante la campagna d'Egitto firmo il suo proclama mettendo in mostra due qualifiche, quella di 'generale in capo' e quella di 'membro delllstituto'! La fiducia dei colleghi nel generale-filosofo non fu scossa nemmeno dal colpo di Stato del 18 Brumaio. Ma ben presto la logica del potere condusse Napoleone a scelte diametralmente opposte a quelle propugnate dagli idelogi. Ad esempio, il concordato con la chiesa, che ristabiliva i privilegi della religione. Aile prime avvisaglie di dissenso, Napoleone non nascose il suo disprezzo per gli ideologi, e fu questo disprezzo che fini col qualificare, nella comune accezione, il termine ideologia e i suoi derivati: E' all'ideologia - esclamera Napoleone nel Consiglio di Stato del 20 dicem bre 1812 - a questa tenebrosa metafisica, che cercando con sottigliezza le cause prime, vuole su queste basi fondare la legislazione dei popoli, anziche approntare le leggi sulla base della conoscenza del cuore umano e della storia, che si deve attribuire ogni male della nostra bella Francia.
Nel 1803, l'Imperatore aveva gia abolito la sezione delle 'Scienze morali e
76 0 3- La Francia rra rivoluzione e consen;azione politiche' deli'Istituto, disperdendone i membri nelle altre sezioni. ll nucleo piu vivo dell'Istituto si trovo cosi senza luogo di aggregazione: a sostituire le strutture pubbliche subentrarono i salotti di Mme Helvetius e di Mme Condorcet. I pensatori che meglio rappresentano, anche perche si integrano a vicenda, questa effimera stagione della cultura francese, sono Destutt de Tracy e Cabanis. Destutt de Tracy (1754-1836) veniva dall'esercito. Fu nelle prigioni del Terrore che riprese i suoi studi e si mise in grado di primeggiare, dopo la svolta del Termidoro, nel gruppo degli ideologi. Si deve a lui l'uso del termine 'ideologia' per indicare la scienza delle idee. Le idee, aveva spiegato Cartesio, sana di tre tipi: quelle innate,· queUe che ci facciamo da noi e quelle che ci vengono dal di fuori. Ebbene, per Destutt l'intero contenuto mentale deve ridursi a quest' ultimo tipo di idee, e cioe aile sensazioni, da intendere proprio nella pura emergenza fisico~psichica, tanto che, secondo una sua espressione, l'ideologia viene ad essere una branca della zoologia. Lasciando all'amico Cabanis, che era un medico, Ia trattazione del versante 'zoologico' dell'ideologia, Destutt ne analizza quello 'razionale', dimostrando come essa sia l'unica scienza dell'uomo, da sostituire aile vacue metafisiche del passato e da mettere alia base di ogni altra dottr-ina, anche di quella politica e di quella economica. Sulla linea di Condillac, Destutt tenta una instauratio magna non dissimile, in quanta a pretese, da quella baconiana. In deroga al rigoroso sensismo di Condillac, non tutte le attivita umane sana riducibili, per lui, a sensazioni della medesima elementarita psichica. Ma alia radice delle attivita psichiche ci sono 'specie particolari di sensibilita': sentire, ricordare, giudicare, volere, muoversi. Questi diversi momenti so no svolti, dopa una trattazione generale dedicata all' Ideologia (1801), in appositi trattati: la Grammatica generale, che studia lo strumentoparola di cui si serve il giudizio; la Logica, che studia la connessione delle idee, e il Trattato della volontd, che studia la morale e cioe le dimensioni sociali realizzate dalla volonta. Daile analisi di quest'ultimo trattato, rimasto interrotto, trasse non poche ispirazioni per i suoi romanzi Stendhal, per il quale Destutt era, insieme a Napoleone, il solo grande uomo che avesse incontrato. Pierre Cabanis (1757-1808) ottenne notorieta di filosofo quando, nel 1802, 'pubblico, raccolte in un volume dal titolo Rapporti tra il fisico e il morale dell'uomo, alcune memorie scientifiche. La sua formazione era avvenuta nel quotidiano confronto con i malati negli ospedali gia prima della rivoluzione, che lo vide nelle file dei girondini. Fu sugli stimoli ricevuti dall'esperienza che egli elaboro un programma le cui linee essenziali furono fatte proprie dal Direttorio. Uno degli obiettivi del programma era lo sviluppo della dimensione sociale della professione medica, anche mediante una com binazione tra ricerca scientifica e cura ospedaliera. Il suo tanto deprecato 'materialismo' non era che il supporto ideologico del suo proposito di emancipare l'arte medica da ogni inceppo metafisico, in modo che essa potesse risolversi in un servizio totale alia salute del malato e al suo sollievo in caso di malattia inguaribile. «Dammi la tua parola che non mi lascerai piu: voglio morire con un sentimento dolce», gli disse l'amico Mirabeau agonizzante. Di grande dirittura morale e di un'affascinante affabilita, egli rappresentava Ia nuova filantropia laica, intesa a coniuga-
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re il.lato umano della carita cristiana col rigore della scienza. La filantropia di Cabanis non e che il riflesso di una impostazione scientifica rigorosamente centrata sui gioco reciproco tra l'uomo interiore, e cioe il cervello, e l'insieme delle circostanze che lo modificano, come l'eta, il clima, la dieta, il sesso. Soprattutto il sesso, dato che, a suo giudizio, le malattie del basso ventre incidono profondamente sull'uomo intero. Di questa tesi di Cabanis si ricordera Sigmund Freud, il fondatore della psicoanalisi. Mori (tra le braccia dell'amico Destutt de Tracy) senza essere riuscito a mettere in ordine i suoi scritti, e quindi senza lasciare documenti culturali all'altezza del suo valore, che fu invece eccezionale, specie per lo zelo (a volte spinto fino alla pedanteria) nel coniugare passione morale e rigore scientifico. A questa metoda si attenne nella sua ricerca dei nessi che legano, nel fenomeno umano, il fisico e il morale. Si tenne al sicuro dai pregiudizi materialistici come da quelli spiritualistici, restando sempre dentro i confini della sperimentalismo, senza mai valicarli per negare o affermare cio che sta al di la dei dati dell'esperienza. Fu la Restaurazione a costruire di lui il profilo dissacrato che ha finito per prevalere nella storiografia piu diffusa. 3.8 Tra storia e interiorita: Maine de Biran. Nel 1797, viene a far parte del gruppo degli ideologi un nobile di provincia, vissuto fino allora appartato in una sua tenuta, nei pressi di Bergerac, e rivelatosi, durante la reazione termidoriana, un accorto amministratore. E' Fran~ois Pierre de Biran, detto poi, da una proprieta di famiglia, Maine de Biran ( 1766-1826). Le sue idee politiche si fanno, di anna in anna, piu distanti da quel tanto che della rivoluzione e rimasto nel moderatismo degli ideologi, per approdare, sotto Luigi XVIII, a una cauta condivisione dei nuovi ideali di restaurazione. Pochi si accorgono che questa integerrimo funzionario e, come nessuno, dedito a meditazioni di contenuto spirituale ed anche specificamente filosofico. Dopa aver pubblicato un saggio sull'Jnfluenza dell'abitudine sulla facolta di pensare (1802), accumula nel suo scrittoio un'opera sull'altra (fra di esse un Diario intima che fara pensare a Pascal), che rimarranno trascurate anche dagli eredi, fino a che non le rendera pubbliche, in una edizione un po' approssimativa, Victor Cousin, nel 1834. Si tratta di opere quanta mai originali, un vero vivaio di intuizioni destinate a maturare nella seconda meta del secolo. Ricordiamo, secondo la data di stesura, La scomposizione del pensiero ( 1805), Sui rapporti tra il fisico e il morale dell'uomo (1811); Saggio sui fondamenti della psicologia (1812); Fondamenti della morale e della religione (1818); Nuovi saggi di antropologia o della scienza dell'uomo interiore, rimasti incompiuti. Il pensiero di Maine de Biran si muove entro il perimetro tracciato dagli ideologi, quello della sensazione. Ma proprio dalla natura specifica del sentire Biran trae argomento per superare il sensismo. Tracy aveva riconosciuto che nell'atto del sentire il soggetto non e pura passivita. Senza una 'motilita' del soggetto, l'azione estema non produrrebbe nessuna sensazione. Sentire e agire. Sentire e sperimentare l'incontro tra lo 'sforzo', che e l'identita stessa del soggetto, e l'azione proveniente dal mondo estemo, avvertita come resistenza allo sforzo. L'errore dell'empirismo e di ritenere le sensazioni come puri e semplici eventi psichici, capaci di associarsi tra lora, senza che il soggetto abbia un ruo-
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lo suo. All'opposto, l'errore dell'idealismo di tipo platonico e di pensare che la conoscenza consista nella deduzione del reale a partire dalle idee innate. Nel sen tire 1'oggetto che io toe co si danno, allo stato indistinto, l'iniziativa muscolare della rriano che tocca e la resistenza dell'oggetto al movimento muscolare. Da qui, da questo evento primitivo, Biran prende le mosse per una analisi che, senza mai sboccare in esiti propriamente metafisici, discioglie il senso intima di se che si e consolidato nell'abitudine, fino a portare alla luce la linea di demarcazione tra l'oggett() e il soggetto e a fondare le certezze che invece gli ideologi lasciavano, nel migliore dei casi - lo. abbiamo detto di Cabanis (3.7) in sospeso, fuori dei margini della negazione e dell'assenso. Le certezze dell'Io, di Dio e della liberti1 come qualita essenziale del soggetto sono certezze che si impongono nei modi dell'evidenza interiore, senza nessuna necessita di far ricorso a dimos_trazioni discorsive. Quella di Biran e una filosofia della coscienza intesa come intreccio fenomenico tra passivita e attivita, tra fisiologia e psicologia, tra necessita e liberta, l'intreccio, cioe, in cui ha sostanza mobile la nostra vita interiore. Qualcuno lo ha chiamato il Kant francese. Di Kant egli condivide certamente la scelta dell'analisi del fenomeno interiore come punta di partenza della ricerca filosofica, rna non la pretesa di stabilire le strutture formali della soggettivita, di contro a un oggetto in se stesso inconoscibile. In Biran ci sono, da una parte, meno preoccupazioni metafisiche: il suo mondo e il fenomeno interiore, che si fa evidente a se stesso da se stesso e che non consente passaggi logici a cio che e oltre il proprio limite; dall'altra, nel suo pensiero la coscienza e essa stessa, in quanto evento primissimo del processo, un dato metafisico, che fonda in se stessa le determinazioni supreme, come quelle dell'anima e di Dio, che tracciano intorno ad essa, al di la e al di sopra del flusso mutevole dell'esperienza, l'orizzonte. Cosi nell'uomo si incontrano, senza confondersi, i tre mondi:· quello dell'animalita (il 'preesistente' inconscio), quello del 'sensa intima', e, mediato dalla coscienza, quello di Dio, dell'anima e della liberta morale. E' proprio in questa fondazione di uno spazio interiore su cui nulla puo la presa della storia con i suoi problemi sociali e politici, e proprio qui la funzione restaurativa del pensiero di Biran, che difatti, negli ultimi anni, volge le sue riflessioni spiritualistiche verso esiti non dissimili da quelli del misticismo cristiano, per quanta egli, alieno da ogni forma di confessionalismo religioso, copra addirittura il ruolo del Grand Orient della massoneria francese. Mantenendo indipendenti l'una dall'altra le due giurisdizioni dell'esistenza, quella dell'impegno pubblico e quella della interiorita, unica veramente importante, Maine de Biran e stato in grado di collaborare, senza conflitti ne esterni ne interni, con i piu diversi regimi, senza nessun pregiudizio per lo spontaneo svolgimento del suo pensiero. In questa sensa, il posto suo non e fra i tradizionalisti, che invece pongono al centro della loro attivita filosofica, o piu latamente culturale, un giudizio nettamente negativo sulla rivoluzione e sulla stagione illuministica che l'aveva preparata. 3. 9 I tradizionalisti. Il tradizionalismo vero e proprio ebbe il suo teo rico in Louis de Bonald (1754-1840), che era stato membra dalla Costituente rna che, nel 1791, essendo contrario alia Costituzione civile del Clero, scelse la via dell'esilio, rifugiandosi a Costanza. E proprio a Costanza pubblico la Teoria del po-
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tere politico e religioso nella societa civile (1796), che fu come la Bibbia degli antirivoluzionari. Quando Napoleone divenne imperatore, fattosi il clima piu conforme ai suoi principi, ritomo in Francia, dove, nel 1802, pubblico la Legislazione primitiva e, nel 1818, le Ricerche filosofiche sui primi oggetti delle conoscenze morali. La sua opposizione all'illuminismo e frontale, senza sfumature. I Voltaire, i Rousseau, i Diderot sono, a suo dire, 'uomini di immaginazione', non uomini di ragione, ed e stata sventura per la Francia aver voluto costruire la societa con uomini del genere. La Francia ha fatto quello che fa «Un proprietario che chiami il verniciatore per costruire la struttura di un edificio». L'errore di fondo degli 'uomini d'immaginazione' e d'aver posto aile origini della societa il contratto, Alle origini della ~ocieta non c' e una convenzione fra gli individui, c'e il potere, cosi come alle origini della famiglia non c'e la volonta dei figli, c'e il padre. Anche nella Famiglia Trinitaria, al Padre compete la prerogativa del principio di tutto. Come si vede, Bonald procede per schematismi ~ dommatici, senza il gusto delle sfumature. Tra la Famiglia Trinitaria e la comune famiglia umana c'e di mezzo la famiglia reale, depositaria del potere che le viene da Dio e proprio per questo, in quanto al di sopra della societa, garante dell'ordine e della ragione. Alla pari del contratto sociale e un non senso anche la sovranita popolare, da cui e derivata l'illusione teorica dei diritti dell'uomo. L'uomo non ha diritti, ha soltanto doveri: pensare il contrario significa, in religione, deviare nel protestantesimo, in politica, deviare nell'anarchia. La verita non si conquista con la ragione, si riceve per tradizione. Questa tesi, che sta a fondamento del tradizionalismo, ha la sua riprova nella genesi dellinguaggio, esposta da Bonald nella sua opera del 1818. Secondo un incisivo assioma bonaldiano, «l'uomo pensa la sua parola prima di parlare il suo pensiero». Non puo essere l'uomo, dunque, il creatore del proprio linguaggio, come volevano gli illuministi, che attribuivano tanto la Iegge quanto la parola · all'artificio della convenzione. La parola e stata rivelata all'uomo da Dio, che, fin dalle origini, insieme alla parola ha immesso nello spirito umano le verita fondamentali dell'ordine morale, religioso e civile. Trascinati dal loro risentimento contro l'illuminismo, i tradizionalisti finiscono col rendergli 1'on ore immeritato di essere una sola cosa con la ragione umana. n bersaglio dei tradizionalisti non e infatti la razionalita illuministica, e la ragione stessa. E cosi la loro opposizione alia rivoluzione non comporta nessuna concessione, nessuna attenuante: la rivoluzione e una sola cosa col male. La fine della rivoluzione «non sara una rivoluzione contraria, rna il contrario della rivoluzione»: e la formula in cui condensa il suo spirito reazionario Joseph de Maistre (1753-1821), che potremmo definire il Voltaire della conservazione. Nato in Savoia, rappresento il suo re presso lo Zar, dal 1803 al 1817. Le sue posizioni antirivoluzionarie si trovano gia nelle sue Considerazioni sulla Francia, del 1796, rna fu durante il soggiomo in Russia che egli stese le sue opere piu importanti: i1 Papa, del 1819, e le Serate di Pietroburgo, pubblicate postume. ll fascino di de Maistre non e solo nel suo stile - l'indignazione apocalittica tiene sempre accesa la sua immaginazione, proprio quella che i cartesiani chiamavano la 'pazza di casa' -, e soprattutto nella sua contrapposizione, per chiaroscuro, della societa gerarchica dell' ancien regime alla disastrosa so-
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cieta partorita dalla rivoluzione giacobina. Niente di astratto, in apparenza, nelle sue pagine attraversate dall'afflato e dall'ironia. L'astrazione c'e, invece, sebbene dissimulata, in radice, dalle sue rappresentazicini tessute di concretezza. Da una parte, dalla parte del Male, c'e l'illusione satanica che davvero l'uomo possa costruire da se la propria storia, di piu: che egli possa giungere da se alia verita. Di qui tutti gli orrori, che nella nomenclatura iraconda di de Maistre sono promiscuamente il protestantesimo, il giansenismo, l'illuminismo e cioe le varie tappe percorse dalla ribellione, il cui sbocco catastrofico sara, appunto, il Terrore. De Maistre non ha dubbi: la storia umana non e che una cavalcata dell'irrazionale, contro cui Dio ha posto la Chiesa - e cioe il Bene - generata dal sacrificio del Giusto e resa depositaria del patrimonio della verita. Nel cattolicesimo di de Maistre non c'e nulla di evangelico. Egli ama associare, come e stato rilevato, Dio e l'orribile, in simmetria all'altra associazione, quella tra l'uomo e l'iniquita. Non che de Maistre disconosca la validita della scienza. Ma la scienza e, per lui, un trastullo concesso all'uomo per gli obiettivi propri della sfera dell'utile; niente essa ha a che fare con la sfera della verita, dinanzi alia quale l'uomo e di per se inadeguato, come gli animali irrazionali sono inadeguati aile conoscenze scientifiche dell'uomo. La sfera della verita e quella che riguarda i fini inesplicabili della storia umana. In quella sfera, solo Dio abita, quel Dio che non si esprime col linguaggio dei filosofi, rna con quello del miracolo e del mistero, un linguaggio a cui l'uomo puo corrispondere solo con la preghiera e I' obbedienza. Il principia di autorita, che presiede ai rapporti tra coscienza umana e verita, e anche il pricipio su cui si regge l' ordine social e. E' del tutto insensata la pretesa di creare una costituzione che dia fondamento alia legittimita dello Stato. La 'regola generale~, che de Maistre applica non solo aile questioni del suo tempo rna alla storia intera, e che «l'uomo non puo creare una costituzione e nessuna costituzione legittima puo essere scritta». Difatti, una costituzione composta da individui e figlia di un artificio astratto, il quale, proprio perche artificio, cioe finzione, non tiene conto dei condizionamenti d'ogni genere, delle abitudini e delle esigenze che stanno prima della costruzione legale. La legittimita ha radici proprio in quel retroterra che la razionalita illuministica trascura. II luogo in cui davvero si armonizzano le forze molteplici da cui trae vita una societa e la suprema sovranita terrena, che trae da Dio il suo principia di legittimita: innanzitutto, la sovranita del Papa cattolico, «il grande demiurgo della civilta universale», e, accanto a lui, illegittimo monarca. Un mondo cosi descritto non aveva nessun riscontro nella realta, nemmeno nella Santa Russia, di cui de Maistre conserva un ricordo colmo d'ammirazione. Eppure si muoveva, all'interno di quella ostinata perorazione dell'impossibile, un'idea che avrebbe avuto in seguito il suo svolgimento per vie impensate. Era !'idea di una societa 'organica', da opporre a quella atomistica fondata sulla teoria dei diritti dell'individuo. Come vedremo tra poco, i precursori del socialismo obbediranno, sia pure con altri strumenti di analisi e con altre opzioni politiche, alla stessa necessita interiore.
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3.10 II populismo apocalittico di Lamennais. Questa ambivalenza del tradizionalismo fu incamata da un pensatore della generazione successiva a quella di de Bonald e di de Maistre, Felicite Robert de Lamennais (1782-1854), che nel 181 7 fece all'improvviso parlare di se con un entusiasmo senza precedenti per un suo ponderosa Saggio sull'indifferenza in materia di religione. Le tesi gia note con cui i tradizionalisti mettevano sotto accusa l'illuminismo venivano condotte da questa giovane prete all'estremo limite: lo spirito critico dell'illuminismo, a causa del suo impianto individualistico, non solo porta con se la distruzione di ogni principia morale e religioso, rna costituisce, gia di per st\ un'eresia contra il genere umano, in quanta colpisce nel cuore il solo criteria di verita che l'umanita conosca, il sensa comune. Si tratta qui evidentemente del sensus communis del genere umano, di una specie di verita implicita che si e svolta lungo i secoli, in modi multiformi, come tradizione universale anteriore alla stessa rivelazione biblica. II cristianesimo e come la somma organica di questa immemorabile svolgimento che parte dalle origini dell'umanita, nei confronti del quale la Rivelazione di Cristo non e una rottura, e un compimento. Come si vede, il concetto di tradizione si dilata in una specie di processo cosll)ico-storico che risolve in se ogni differenza tra verita di ragione e verita rivelata, tra popolo cristiano e umanita. Forte di queste convinzioni, Lamennais affidava alla chiesa un ruolo che trascendeva il suo apparato istituzionale e la sua politica di corto respiro, un ruolo misurato sugli orizzonti stessi del genere umano. Di qui il suo scandala nel constatare come, anche in quegli anni, i Papi si prestassero, in Francia e in Polonia, a compromessi con i potenti, svendendo cosi la primogenitura della lora responsabilita universale, legata, per divino mandata, non alle corone imperiali, rna aile aspirazioni dei popoli. E cosi nel 1829 egli ruppe con la causa monarchica e con la parte clericale della chiesa, che 'aveva a fulcra del suo programma l'alleanza fra trona e altare, per farsi promotore di un cristianesimo inteso come lievito nella crescita dei popoli, secondo gli ideali storici della fraternita e della liberta. La diffusione del programma venne affidata a un giomale, L :4.venir, col motto Dieu et la Liberte. Papa Gregorio XVI condanno con una enciclica il programma di Lamennais e della sua equipe. Lamennais reagi con un opuscolo, Parole di un credente (1833), che portava aile estreme conseguenze la conciliazione tra fede cristiana e ideali democratici. L'opera fu condannata da Roma con una apposita enciclica. La rottura si fece definitiva, rna, come preciso Lamennais, si tratto di una rottura col 'cristianesimo del papato', non col 'cristianesimo della razza umana'. Abbandonato da tutti, Lamennais visse in poverta, fedele al suo ideale di un cristianesimo congiunto, in nome del Vangelo, alle attese emergenti dei popoli oppressi. Anche se tenuto ai margini, la sua riflessione e il suo impegno continuarono. Le sue analisi sul salario furono utili anche a Marx, la sua solidarieta con la repubblica romana conforto, nel 1849, i mazziniani. Si puo dire oggi che c'era, in questa cristiano del prima Ottocento, troppo futuro. II sensa della sua vict:~nda, come si e detto sopra, e nel rovesciamento apparente delle posizioni tradizionaliste in un progetto rivoluzionario ben piu radicale di quello dei giacobini. E' che nei vagheggiamenti delle tradizioni c' era anche un rigetto della cultura dominante, di una cultura cioe che, sotto l'euforia della rivoluzione vittoriosa, portava in se i limiti dell'individualismo borghese.
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3.11 Gli utopisti: il socialismo di Saint-Simon. Nel 1815, dopo la restaurazione della monarchia con Luigi XVIII, il fallimento degli ideali della rivoluzione e ben espresso da questa dato di fatto: in Francia, su 30 milioni di abitanti, solo 90 rriila hanna diritto di voto. La nobilta e il clero riprendono in mano il potere, anzi, nel 1825, riprendono in mana anche il patrimonio, in virtu di una Iegge sui risarcimento delle confische subite. La politica protezionistica grava di nuovi dazi (1819) l'importazione del grana, con grande beneficia per gli operai - cosi argomenta un deputato del tempo - poiche questa «li costringe a lavorare con maggior zelo per pater vivere». Le illuminate osservazioni che sulla politica del grana va facendo in lnghilterra Ricardo proprio in quel giro di anni (3.4) non incontrano udienza nella Francia della Restaurazione, dove non ci si rende canto che privilegiare la rendita agraria equivale a mettere ostacoli allo sviluppo industriale, colpire cioe non solo la classe operaia, ina anche la nuova borghesia imprenditoriale. Fu proprio nel 1819 che Saint-Simon • prese partito «per le a pi contra i fuchi)), e cioe per la nuova societa industriale contra la vecchia societa parassitaria. «Se il paese perdesse in una volta sola queUe trentamila persone che costituiscono la parte predominante della stato attuale, cosi scriveva Saint Simon, i dignitari, i marescialli, i cardinali e i piu ricchi proprietari terrieri, l'avvenimento addolorerebbe sicuramente i francesi, perche i francesi sono buona gente, rna non recherebbe nessun danno alia nazione)). Se invece venissero meno gli industriels, la nazione resterebbe paralizzata. La novita della sociologia di Saint-Simon e sostanzialmente quella della individuazione di un nuovo soggetI
Claude Henri de Rouvroy, conte di Saint-Simon nasce nel 1760 da famiglia di antica nobilta (si vantava discendente di Carlo Magno) ma decaduta a modeste condizioni. Prende parte alla rivoluzione degli Stati Uniti, dove resta prigioniero. Tomato in Francia, si dedica con successo agli affari. Ne/1793, durante il Terrore, viene imprigionato. Liberato nel 1794, si dedica totalmente al suo programma di riforma sociale, che comprende anche grandiose opere di ingegneria, come un canale che avrebbe collegato Madrid al mare. Da fonda cosi al suo patrimonio, al punta che e costretto a guadagnarsi Ia vita come copista al Monte di Pietil. Le difficolta economiche non lo lasciano piil (nel 1823 tenta il suicidio), ma la sua attivita e sempre fervida e gli guadagna un gruppo di discepol~ tra i quali Augusto Comte. E circondato dai discepoli, ai quali affida la sua missione, muore nel 1825. I seguaci di Saint-Simon si rifaranno al Maestro come una vera e propria setta religiosa (i Sansimoniani), nella quale si possono distinguere i 'tecnici: che avranno malta influenza nella sviluppo tecnologico dell'Ottocento (a lora va attribuito il taglio dell'Istmo di Suez, nel 1869), e i carismatici,' con a capo il 'padre' Enfantin, che degenereranno nel fanatismo. Tra le opere di Saint Simon ricordiamo Lettere di un abitante di Ginevra ai suoi contemporanei, del 1803; Introduzione ai lavori scientifici del sec. XIX, del 1808; Del sistema industriale, del 1822; Il catechismo degli industriali, del1824, e il Nuovo cristianesimo, de/1825.
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to social~, appunto quello degli industriels, formatosi a ridosso della rivoluzione tecnologica, che, senza differenza tra imprenditori e semplici operai, porta su di se il peso delle nuove forme di produzione. L'idea che il futuro dell'umanit~ e affidato all'industria era chiara in Saint-Simon gia durante gli anni della rivoluzione, la cui inconcludenza era da attribuirsi, a suo giudizio, alia eccessiva fiducia dei giacobini nelle riforme politiche. La societa non cambia a causa del mutamento delle istituzioni politiche, rna a causa del mutamento dei rapporti sociali. II primato del sociale si inquadra bene nella visione della storia di SaintSimon, che adotta, si, il concetto di progresso elaborato da Condorcet, rna combinandolo con la.sua teoria sull'alternanza tra epoche organiche ed epoche critiche, nel divenire dell'umanita. Nelle epoche organiche dominano lo spirito associative e la fede · nei compiti della comunita umana, mentre nelle epoche critiche i vincoli giuridici ed ideali dell'epoca organica vengono distrutti, in vista di un piu alto livello di progresso nel quale si avra una nuova societa organica, analoga alia precedente. L'ultima epoca organica e stato il Medioevo (Saint-Simon condivide l'ammirazione per il Medioevo propria dei romantici), a cui ha fatto seguito, a cominciare con Lutero, la nuova fase critica, sfociata nella rivoluzione francese. Le conquiste tecniche promosse dalla scienza hanno condotto l'umanita aile soglie di una nuova eta organica, quella, appunto, di cui Saint-Simon si sentiva il profeta. Questa alto sentimento di se generava in Saint-Simon uno stato di permanente eccitazione. Ogni mattina il suo cameriere doveva svegliarlo dicendogli: «Si alzi, signor conte, lei ha grandi case da fare!» E fu proprio per queste 'grandi case' che egli accumulo rapidamente grandi capitali e altrettanto rapidamente li dissip<). Anche lo stile di vita lo rivelava come un uomo di due epoche, quella del sistema feudale di cui si sentiva figlio e quella del sistema industriale ormai gia cominciato nel processo delle case, che per trionfare chiedeva solo di essere organizzato. «La filosofia dell'ultimo secolo, egli scrive, e stata rivoluzionaria, quella del sec. XIX deve essere organizzatrice», e I'organizzazione deve essere affidata non al governo politico, cui altro non si puo chiedere che la tutela della liberta, rna alia collaborazione istituzionalizzata tra i cervelli che inventano e quelli che eseguono. Saint-Simon non e propriamente un socialista, sia perche prevede la proprieta privata dei mezzi di produzione, sia perche la sua societa non e egalitaria, rna gerarchica: al posto dell'aristocrazia dei 'fuchi' quella delle 'api'; al posto della scuola affidata al clero, una nuova scuola affidata ai tecnocrati, capace di assicurare a tutti i cittildini una formazione industriale. L'involucro politico puo anche rimanere quello che e; la monarchia ereditaria non fa problemi a Saint-Simon, e nemmeno - cosa piu strana -, il sistema elettorale basato sul censo. Quel che conta e l'egemonia dei ceti produttivi, fra i quali Saint-Simon non scorge nessuna dialettica di classe. L'unica dialettica sottolineata da lui con piglio moralistico e quella tra i cittadini che producono e gli oziosi, i 'fuchi', le 'sanguisughe'. Lo sviluppo dell'industria, in forza delle regale di collaborazione che di per se impone e del profitto che distribuisce, e in grado di annullare la divisione classista che nel passato ha sempre caratterizzato la storia umana. Negli ultimi anni di vita, Saint-Simon fu forse sfiorato dal dubbio che que-
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sta armonia fra le classi non poteva essere il semplice prodotto dell'organizzazione industriale, doveva essere alimentata da una ispirazione morale proporzionata. Questa ispirazione - cosi egli rispose al problema - non poteva venire che dal cristianesimo, non certo da quello fossilizzatosi nelle chiese e distaccatosi dal precetto dell'amore, a tutto vantaggio di elucubrazioni teologiche e di spiritualismi ultramondani, rna da un cristianesimo ricondotto al precetto fondamentale della solidarieta fraterna fra tutti gli uomini. Fino al sorgere dell'eta industriale, il precetto dell'amore trovava ostacolo nelle strutture feudali, e proprio per questo si riduceva a niente piu che a una esortazione rivolta alla coscienza personale. Ma ora, nell'eta industriale, Ia cui logica oggettiva e, secondo Saint-Simon, Ia creazione di una comunita mondiale, il precetto evangelico risponde perfettamente, con la sua universalita, aile leggi strutturali della storia. Particolare curioso: i destinatari del saggio Il nuovo cristianesimo, non sono gli industriels, sono addirittura i principi firmatari della Santa Alleanza! Segno anche questo dei limiti della dottrina sansimoniana: all'impeto idealistico che l'attraversa non fa riscontro nessuna vera analisi delle forze messe in moto dalla rivoluzione industriale, e quindi nessuna vera individuazione dei soggetti idonei ad assumersi la responsabilita del trapasso dall'eta feudale a quella industriale. Tanta ambiguita si riscontra nella doppia influenza che il sansimonismo esercito nella societa dell'Ottocento, in cui diffuse, insieme all'ideologia tecnocratica come ultima forma del progresso umano, anche una specie di fermentazione febbrile, che si esprimeva in visioni esaltate e in deliri apocalittici.
3.12 Gli utopisti: il 'mondo amoroso' di Fourier. Que! che mancava alla dottrina di Saint-Simon era una cognizione della vera natura dell'uomo su cui porre, come su solido fondamento, l'edificio della civilta nuova. Che Ia razionalita tecnocratica, assecondando !'indole propria della macchina, potesse davvero costruire una nuova umanita era, secondo Charles Fourier• (1772-1837) una 'mistificazione' e una 'ciarlataneria'. Dal 1808, cioe da quando aveva pubblicato Ia sua prima opera, egli andava dicendo, senza essere molto ascoltato, che Ia vera rivoluzione non e nel mutamento istituzionale e nemmeno nella forma di produzione e di distribuzione della ricchezza: e nel ritorno dell'uomo alla propria natura, uscita buona dalle mani del Creatore e divenuta corrotta per colpa della cosiddetta civilta. E' questo, per Fourier, il principia scientifico che, nell'ordine umano, ha lo stesso valore che nell'ordine cosmico ha il principia newtoniano della gravitazione. Il principia di Newton aveva permesso di scoprire un'armonia in que! moto dei corpi celesti e terrestri (si pensi solo alle maree) che prima di lui era spiegato con cause metafisiche o restava inesplicabile. Ebbene: per ricondurre all'armonia i comportamenti dell'individuo e della collettivita sarebbe bastato tenersi fermi al principia che la natura, e piu precisamente le passioni umane quali prorompono dalla natura, sono in se buone. Tocca all'uomo metterle in rapporto fra loro in modo che non si elidano a vicenda, rna si integrino secondo rapporti che sono anch' essi determinabili scientificamente. Il guaio e, osserva Fourier, che dei 'quattro movimenti' che governano le variazioni del mondo - materiale, organico, animale, sociale quest'ultimo, il sociale, e stato del tutto trascurato dall'analisi scientifica. Una
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simile negligenza non e inesplicabile. La civilta, per difendere se stessa dalle forme disumane in cui si e realizzata, non puo che reprimere le passioni, generando cosi nel mondo uno stato strutturale di infelicita. Usando il linguaggio che la psicoanalisi ha reso oggi consueto (Fourier va considerato un precursore di Freud), potremmo dire che il 'principia della realta', da cui dipende il nostro inserimento nella societa esistente, si e affermato a spese del principia del piacere, i cui impulsi, se assecondati, porterebbero gli esseri umani -rna questa e la convinzione di Fourier, non di Freud - alla felicita. Bisogna ricominciare da capo, bisogna prender le masse dalla potenza del desiderio, facendo affidamento sulle risorse creative inscritte dentro l'attrazione reciproca fra gli uomini. E' infatti sull'attrazione che va basata l'associazione, e non sulla legge della produzione, come stoltamente volevano Saint-Simon e Owen. L'importante e organizzare le passioni, applicare al lora mota, altrimenti confuso, una specie di aritmetica che le orienti verso un esito globale, quello dell'Armonia. L'ideale dell'Armonia delle passioni prende forma concreta nel progetto del Falansterio, e cioe di una struttura abitativa e operativa in cui sistemare una comune di 1.800 persone - Ia falange - suddivisa in gruppi da selezionare secondo il critero delle 'serie passionali', e cioe della combinazione di passioni fra lora corrispondenti, sia in rapporto alia collaborazione fra persone diverse, sia in rapporto al tipo di lavoro. «Per esempio, un uomo puo trovarsi alle 5 del mattino in un gruppo di pastori, alle 7 in un gruppo di contadini, alle 9 in un gruppo di giardinieri. L'impiego di due ore e la durata massima ammessa in armonia passionale». Avendo cura della distribuzione di compiti, di collaborazioni e di tempi, illavoro diventa piacevole come un gioco.
Fran~ois Marie Charles Fourier nasce nel 1772 a Besanr;on da una famiglia di commercianti. Marta il padre quando ha 9 anni, e allevato dalla madre e da tre sorelle. Finiti gli studi, si trova costretto a proseguire l'attivita paterna, ma esaurito, anche per l'inflazione, il patrimonio ereditato, a proseguirla nella forma prosaica e faticosa del rappresentante continuamente ,in viaggio. Gli anni della rivoluzione non incidono in lui, scarsamente interessato agli a5petti politici del cambiamento sociale. E' nel periodo della Restaurazione che, in perpetua latta contra le angustie materiali, egli espone il suo programma di riforma radicale della societti Nel 1808 aveva gia pubblicato la Teoria dei quattro movimenti. Del 1822 e il Trattato di associazione domestica e agricola, del 1829 il Nuovo mondo industriale e societario e del1836 La falsa industria. Negli ultimi anni della sua vita (muore nel 183 7), durante Ia monarchia di Luigi Filippo, partecipa al dibattito apertosi in Francia sulla riforma industriale. E' del 1831 un suo libello dal titolo prolisso: Mistificazione e ciarlataneria delle due sette di Saint-Simon e di Owen con le lora promesse di associazione e progresso. L 'anna dopa, da vita con i suoi discepoli alla rivista Il Falansterio, che nel 1836 sara sostituito da un nuovo periodico, La falange. Ma sana proprio questi gli anni del suo squilibrio men tale.
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Malta importanza il Fourier attribuisce alla passione sessuale, rimasta coartata e involgarita dall' etica monogamica, il cui vero fulcra e l' egoismo. Proprio in questa aspetto della vita, nell'amore, si opera la scissione tra privata e pubblico che sta alla base della cosiddetta civilta. Il trapasso all'amore libero, armonico e disinteressato e descritto da Fourier in un'opera, Il nuovo mondo amoroso, che i suoi discepoli non ebbero il coraggio di pubblicare e che ha vista la luce solo nel 1967, proprio alla vigilia dell'anno piu 'fourieriano' della storia occidentale, il 1968, l'anno in cui l'esplosione dell'eros sembro mandare in frantumi la civilta, secondo gli auspici del sognatore di Besan~on. Il quale, invece, non ebbe modo, durante la sua vita, di veder applicati i suoi principi: alcuni tentativi di dar vita al Falansterio andarono subito incontro al fallimento. Gli ci voleva un finanziamento, per ottenere il quale si era rivolto anche ai ministri di Napoleone e dei Borboni. Nei suoi scritti aveva dato ripetutamente l'appuntamento a qualche illuminato benefattore. L'ora dell'appuntamento era il mezzogiomo. Negli ultimi died anni della sua vita egli si tenne tutti i giomi in casa a quell'ora, nell'attesa che l'uomo del destino arrivasse. E invece il 10 ottobre 1837 arrivo la morte e lo trovo povero e abbandonato. I suoi discepoli, che non avevano la sua capacita di sognare l'impossibile, tentarono di ridimensionare l'insegnamento del maestro, che li aveva fatti eredi dei suoi scritt~ dentro i limiti del moderatismo. Erano dei 'borghesi dottrinari', secondo un severo giudizio di Marx, che invece ebbe un grande interesse per Fourier, nonostante la sua mancanza di scientificita. Il fourierismo ebbe comunque una sua ricca storia nell'Ottocento: nel 1844 fu persino costruito il prima Falansterio, in Romania, provocando la reazione della polizia, che mise in prigione i pionieri. Proliferazioni teoriche e pratiche del fourierismo si ebbero in Russia e soprattutto negli Stati Uniti, dove anche le recenti utopie califomiane, se hanna avuto come massimo maestro Herbert Marcuse, han tratto sicuramente qualche remota nutrimento da Charles Fourier. 3.13 Gli utopisti: Ia societa autogestita di Proudhon. Ma anche questi sviluppi, se analizzati nei loro momenti di esplosione e nel loro declino, dimostrerebbero che la scientificita del progetto di Fourier e niente piu che un ingenuo formalismo con cui il profeta del Falansterio cerco di dissimulame la natura irrimediabilmente soggettivistica. Appellarsi a Newton non era bastato a SaintSimon per dare impianto davvero scientifico alla sua costruzione, basata sulla fiducia che l'organizzazione tecnocratica della produzione avrebbe determinato, per canto suo, il trapasso alla nuova civilta organica, rna non bas to nem-meno a Fourier per trasformare l'universo soggettivo delle passioni in un sistema dinamico di 'mobili' governati da leggi matematiche. E' giusto, obiettera Marx, riprendere le idee sociali alia loro origine, rna la loro origine non e neUe zone passionali, in cui il soggetto, anche se non se ne accorge, riflette il mondo esterno a se, fino a diventargli subalterno, e nei rapporti di lavoro; non e nella sponda affettiva dell'esperienza, e in quella effettiva, in cui l'uomo e innanzi tutto un soggetto che trasforma la natura. A intuire per prima che il punto di partenza di una sociologia davvero scientifica dovesse essere non soggettivo rna oggettivo fu Pierre Joseph Proudhon", di una generazione posteriore a
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quella di Saint-Simon e di Fourier. Di questa sua qualita di pioniere si dichiaro consapevole nel presentare, con linguaggio acceso, all'Assemblea francese, dove era deputato nel 1848, il suo progetto di una Banca di scambio: Mi accingo a una impresa che non ha mai avuto ne avra mai l'uguale. Voglio modificare Ia base della societa, voglio spostare l'asse della civilta su altri punti. Per far cia basta che le relazioni fra lavoro e capitale vengano invertite in modo che il primo, il quale ha sempre obbedito, d'ora in poi comandi, e che il secondo, il quale ha sempre comandato, d'ora in poi obbedisca. Ho scelto come punto d'appoggio il nulla e come leva !'idea! Con questi strumenti avvenne Ia prima creazione del cielo e della terra. Cosi l'uomo, l'eterno emulo di Dio, deve creare il mondo dell'industria e dell'arte e procedere alia seconda creazione dell'universo! Diciamo subito che la Banca di scambio, congegnata presso a poco come quella gia ideata da Owen (3.4), venne bocciata dall'assemblea (i voti a favore furono due!) e che Proudhon si dovetie rassegnare a fondarla per proprio conto l'anno successivo, e doe l'anno in cui fu messo in prigione, con la conseguenza che, essendone proprio lui l'unico proprietario, la Banca fu chiusa per sempre. Ma se Proudhon, nonostante la sua esuberante soggettivita, non puo essere collocato in modo sbrigativo fra gli utopisti, e perche, e lo vedremo parlando di Marx (5.10), fu con lui che l'ideologia rivoluzionaria fece i primi passi per uscire dalle rosee nebbie del sogno, mettendo quanta meno la punta dei piedi per terra. Anche se i rapporti tra i due si guastarono per sempre nel 1846, e certo che Marx non avrebbe imboccato la sua via senza essere stato, per un momento, discepolo di Proudhon. A impedire a Proudhon una rigorosa coerenza col metodo scientifico era, fra l'altro, l'impeto morale che sta alle origini di tutte le sue battaglie, a cominciare dalla prima, quella contra la proprieta, iniziata nel suo scritto del 1840 in risposta a un concorso indetto dall'Accademia di Besan<;on. «Cos'e la proprieta?)}, diceva il bando di concorso. «Un furta)}, fu la risposta lapidaria di Pierre Joseph Proudhon nasce nel 1809 da famiglia plebea. A 17 anni deve lasciare gli studi per mantenersi col lavoro. Fa il tipografo e, fallita l'azienda, gira Ia Francia in cerca di lavoro. Una borsa di studio dell'Accademia di Besanr;on gli permette di continuare gli studi a Parigi, nel 1838. Nel1840 pubblica Che cos'e la proprieta? Ha contatti con Marx nel 1844, rna i rapporti si guastano due anni dopa, quando Proudhon pubblica il Sistema delle contraddizioni economiche o filosofia della miseria, a cui l'anno successive, nel 1847, Marx replica con la Miseria della filosofia. NeZ 1848 fonda il giomale Il popolo, partecipa alia rivoluzione e viene eletto alIa Costituente, dove rappresenta l'estrema sinistra. Nel 1849, per aver pubblicato violenti insulti contra Luigi Napoleone Bonaparte, e messo in carcere e ci resta per tre anni. Ne approfitta per scrivere lldea generale della rivoluzione del secolo XIX. Uscito, cerca di barcamenarsi col potere, ma nel 1858 la pubblicazione de La giustizia nella Rivoluzione e nella chiesa lo costringe a rifugiarsi in Belgio, dove pubblica La guerra e la pace. NeZ 1865, l'anno della sua morte, scrive un saggio contra il suffragio universale, dal titolo: La capacita politica delle classi operaie.
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Proudhon. Di per se la battuta e un circolo vizioso: non si da furta senza proprieta, ed era appunto la proprieta che andava definita. Ma Proudhon distingue la proprieta e il possesso: la proprieta, sancita dalla legge, e illegale, in quanta nasce ai danni del possesso delle cose, che compete soltanto a chi nelle cose ha trasferito il proprio lavoro. Due concetti chiave sono gia espliciti nel Proudhon del 1840: 1. La proprieta privata dei mezzi di produzione e nemica non solo del proletariato, rna anche dei piccoli produttori di livello artigianale, e nemica non solo dal punta di vista economico, rna anche dal punta di vista politico, perche il dominio economico e la base di quello politico. 2. I rapporti di proprieta (i 'rapporti di produzione', dira Marx) devono corrispondere alle 'forze produttive', e cioe, essen. do ormai la forma produttiva resa possibile dalla tecnica, una forma cooperativa, la proprieta dei mezzi di produzione non potra piu essere privata, dovra essere socializzata. La societa auspicata da Proudhon e una societa di piccoli produttori, stretti fra loro in associazioni libere, che avranno lo scopo di tutelare l'uguaglianza nei mezzi di produzione e l'equivalenza nella scambio. Tali associazioni sono dei soggetti collettivi non statali, i cui membri sono comproprietari indivisi di parti non trasmissibili che non potranno essere accumulate senza lavoro effettivo. E' per questa via che si arrivera a sopprimere la proprieta privata e non, come voleva Louis Blanc, mediante un 'socialismo governativo', cioe statale. Soppressa la proprieta privata, anche lo Stato dovrebbe scomparire. «Le rivoluzioni, anche le piu emancipatrici, sono sboccate costantemente in un atto di fede e di sottomissione ... non sono servite che a ricostituire la tirannia». Proiettato fuori dei lavoratori, il potere che doveva liberare la societa, invece di servire comanda, e diventa poliziesco. La liberta presuppone, dunque, un '1789' economico, e doe la dissoluzione del governo nell'anarchia economica. L'anarchia di Proudhon non e, come si vede, di tipo individualistico. Essa consegue dal principia che lo sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo e il governo dell'uomo da parte dell'uomo sono la stessa cosa e vanno aboliti nella stesso momenta. AI loro posto deve nascere e diffondersi la rete delle cooperative operaie, rette dal sistema economico della reciprocita, nel quale anche le banche, strumento nefasto del capitalismo, si trasformeranno in un 'economato del genere umano'. Questa pregiudiziale antipolitica guadagno a Proudhon grande popolarita fra gli operai, anche se, nel 1848, in seguito alla rivoluzione, egli accetto di essere eletto deputato dall'Assemblea. Ma l'anno dopo, in prigione, giudico quella rivoluzione un «attacco di febbre», una sommossa «suscitata da avvocati, compiuta da artisti, guidata da poeti» e risoltasi in una grande beffa per il popolo. La sua ostilita ai partiti politici divenne piu radicale: Tutti i partiti, senza eccezione, non appena aspirano a! potere, sono soltanto particolari forme di assolutismo e non ci sara liberta per il cittadino, ordine nella societa, accordo tra i lavoratori, fin tanto che nel nostro catechismo politico la rinuncia all'autorita non subentri al posto della fede nell'autorita. Nessun partito, nessuna autorita, assoluta liberta dell'uomo e del cittadino; queste tre parole d'ordine contengono la mia professione di fede politica e sociale.
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In questo ripudio Proudhon sconta la sua incapacita di integrare in una visione razionale, che non era nei suoi propositi, e forse nemmeno neUe sue capacita, il complesso processo di trasformazione della societa. La negazione pura e semplice della dimensione statale, sia pure come momenta di mediazione delle forze in campo, lo conduce a ritenere che gli antagonismi sociali si governino spontaneamente, in virtu di un'esigenza di giustizia immanente all'umanita. Egli accetta, sebbene in modo marginale, la spiegazione dialettica di quegli antagonismi, rna la sua dialettica si ferma al momento della verifica degli opposti. La sintesi, infatti, sarebbe, com'e in Hegel, lo Stato, appunto cio che Proudhon pregiudizialmente rifiuta. E allora egli affida la risoluzione del conflitto alla potenza demiurgica «dei principi, delle categorie che dormono in seno alia ragione impersonale dell'umanita». Il rilievo ironico e di Marx, che aggiunge: «Egli non comprende che gli uomini producono le idee in conformita ai loro rapporti sociali e che esse sono cosi poco eterne come le relazioni che esprimono». «Menzogna, avrebbe esclamato Proudhon nelleggere questo giudizio. Menzogna! E' precisamente cio che io dico!». Ed e sicuramente qui, nel dilemma sottinteso in questo diverbio, il Rubicone al di la del quale il metodo dell'analisi sociale diviene materialismo storico. Per Marx, Proudhon non aveva saputo varcare il Rubicone.
3.14 I filosofi del 'giusto mezzo'. Per non favorire l'impressione che lo svolgimento del pensiero in Francia, nella prima meta dell'Ottocento, sia stato del tutto polarizzato dalle nostalgie dei reazionari, a destra, e, a sinistra, dalle fughe in avanti degli utopisti, e opportuno completare il quadro accennando a un gruppo di pensatori, fra loro spesso molto diversi, rna accomunati dalla risultante programmatica della loro attivita di pensiero, che fu di salvare l'eredita della rivoluzione dell'89, tenendola al sicuro sia dalle tentazioni assolutistiche dei ceti rimessi in auge dalla Restaurazione, sia dalle pretese delle masse, mobilitate dai falsi profeti della rivoluzione operaia. Ricollegandosi, spesso anche per via di memoria autobiografica, all'eredita degli illuministi e, piu immediatamente, a quella degli ideologi (3.6), essi devono sempre di piu confrontarsi anche col mutamento sociale prodotto dalle forme produttive industriali, che si diffondono in Francia, con venti o trent'anni di ritardo sull'Inghilterra, nei primissimi dell'Ottocento, e dal peso crescente della classe che ne trae beneficia, la borghesia imprenditoriale e finanziaria. Nel loro pensiero si fa valere, in modo piu o meno cosciente, la necessita di un equilibria fra istanze opposte, o anche semplicemente estranee fra loro, rna in ogni caso bisognose di venir collocate in un nuovo orizzonte di dimensioni europee, divenuto ormai il naturale spazio di esperienza dopo le guerre napoleoniche. Uniti fra loro anche da una inquieta esperienza di amore sono Madame de Stael e Benjamin Constant, vissuti insieme per alcuni anni in un castella del lago di Ginevra, esuli dalla Francia napoleonica. Anne-Louise-Germaine de Stael-Holstein (1766-1817), come figlia del celebre ministro di Luigi XVI, il banchiere Jacques Necker, aveva respirato la rivoluzione nell'ultimo salotto letterario del secolo, quello tenuto aperto da sua madre, dove si davano conve-
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gno gli enciclopedisti ancora vivi. Riparata in esilio aile prime avvisaglie del Terrore, non assecondo Ia reazione termidoriana nel suo spirito antilluministico, rna cerco di mettere in luce, nei suoi scritti di larga risonanza, i valori perenni incarnati dalla Francia rivoluzionaria, almeno nei suoi momenti creativi. Fieramente avversata da Napoleone, la Stael reagi contrapponendo al disegno dispotico dell'imperatore l'immagine di una Europa emancipata dalla nuova rna anche dalle antiche tirannie e riconciliata con le proprie tradizioni nazionali, sui modello del romanticismo tedesco. L'opera Sulfa Gennania (1813), che Napoleone aveva fatto distruggere tre anni prima, quand'era ancora in fase di stampa, ebbe un' eco imm.ensa in tutta !'Europa, suscitando un vero rinnovamento culturale nelle diverse borghesie nazionali, compresa quella del nostro paese. Nell'ultimo suo scritto, apparso nel 1818, Considerazioni sui principali avvenimenti della Rivoluzione, Ia Stael addita ai paesi europei quale modello di autentica democrazia il sistema politico inglese. Teorico delliberalismo e anche Benjamin Constant (1767-1830), un avventuriero che seppe, con straordinaria abilita, adattarsi a tutti i climi politici. Come letterato, Constant ha arricchito il romanticismo francese, anzi europeo, di uno splendido capolavoro, Adolphe (1816), un romanzo breve di sapore autobiografico. E difatti, la sua idea della liberta politica, ripudiate le spiegazioni utilitaristiche alia Bentham, ha radici nella struttura profonda della persona umana, orientata di sua natura, secondo lui, ai valori supremi dello spirito. Quanto poi alla maniera politica di vivere Ia liberta, Ia tesi di Constant e del tutto allineata con quella del comune liberalismo europeo. A diversita degli antichi, egli dice, i moderni esercitano Ia propria liberta politica mediante Ia delega. Gli antichi, grazie agli schiavi, potevano dedicare alia politica tutto il !oro tempo, lusso questo che non e consentito al borghese di oggi, il quale, piu che la partecipazione al potere, cerca di ottenere garanzie per le liberta civili. Per la tutela di queste liberta Constant suggerisce alcuni accorgimenti di cui fara tesoro Ia Monarchia di Luglio, nata proprio l'anno della sua morte: contro il ri. schio che le masse volgano la democrazia a proprio vantaggio, occorre limitare il diritto di voto ai soli proprietari; contro le opposte degenerazioni assolutistiche o oligarchiche, bastano le garanzie costituzionali in uso in Inghilterra, come quelle basate sulla distinzione dei tre poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario) e sui rapporti di reciproco controllo tra le due camere. Constant rappresenta bene il sentimento che domino, nei primi decenni del secolo, Ia cultura liberale: la paura che l'idea di liberta diventi un pretesto per mandare in rovina gli equilibri fondamentali della societa. Di qui i complicati accorgimenti giuridici per sminuire, sui piano pratico, gli spazi della liberta che invece si celebrano sui piano teorico. Lo scrittore che meglio intuisce la portata epocale dell'idea democratica, e, pur nei panni di uno storico sereno e oggettivo, fa scorgere Ia novita degli orizzonti umani che essa ha aperto attorno a se, e Alexis de Tocqueville (18051859). Di famiglia nobile, si dedico alia magistratura e proprio come magistrato ottenne, nel 1831, di recarsi negli Stati Uniti per studiarvi il programma carcerario. Tomato in Francia, compose il suo capolavoro, La Democrazia in America (1835-1840), al quale fara seguito, nel 1856, L'antico regime e Ia rivoluzione. Per diversi che siano i due quadri sociopolitici, unico e il tema che vi e trattato, quello della liberta. Una liberta vista senza candore, con la sofferta coscien-
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za di aristocratico convertito alle idee della nuova classe egemone, rna appunto per questa con una lucidita e con un pathos che non si ritrovano in nessun altro scrittore francese del secolo. Ad esempio, egli guarda aile tribu di indios, che negli Stati Uniti ancora si ostinavano ad organizzare la propria segregazione, con la simpatia di chi ha conosciuto i gruppi di aristocratici ormai messi ai margini della storia, senza piu futuro. La democrazia di cui egli parla non e dedotta dalla natura umana, e un valore maturato dalla storia, destinato ad espandersi nel mondo e tuttavia minacciato, al suo interno, da una dialettica irriducibile, quella tra uguaglianza e liberta. Ciascuno dei due aspetti della democrazia sembra trovare nell'altro la propria garanzia, rna in realta vi trova anche la propria minaccia. Difendere la liberta vuol dire rifi.utare a chiunque, sia il re o sia il popolo, il crisma dell'onnipotenza. Ma allora dove cercare, fuori dell' ambito della sovranita popolare, le garanzie della liberta? Sembra giungere dal futuro lantana l'ombra di democrazie dispotiche del tipo di quella descritta da Orwell nel suo romanzo 1984. Per scongiurare le degenerazioni della democrazia, Tocqueville ritenne ottimo metoda quello di osservarla in quei popoli in cui essa ha raggiunto lo sviluppo piu completo e piu pacifica. La validita della democrazia americana e dovuta, a suo giudizio, ad alcune condizioni cui e strutturalmente affidata: il decentramento, la vitalita delle liberta locali, il libero associazionismo, la liberta di stampa, il rispetto delle fedi religiose. E tuttavia, nessuna di queste condizioni di struttura puo assicurare la sopravvivenza della liberta, perche essa non puo nascere da nessuna altra sorgente che dalla coscienza dell'uomo. «Quando io decido di disobbedire ad una Iegge ingiusta, scrive Tocqueville, io non nego affatto alia maggioranza il diritto di comandare, solo che io faccio appello alla sovranita del genere umano». Accanto a questa afflato, contenuto, peraltro, in uno stile che porta anch'esso il timbro della signoria della ragione, c'e una capacita di analisi sociale ricca di risultati sorprendenti, come quelli sulla costituzione di classi operaie dentro Ia medesima forma democratica, in anticipo su Marx, o come quelli sulla degenerazione connessa col diffondersi della condizione salariale e col conseguente sviluppo della partecipazione al consumo. Ma il vera padre spirituale della democrazia liberale francese fu il filosofo Victor Cousin (1792-1867), autore di un Corso di Storia della filosofia (1829) e di un Corso di Storia della filosofia moderna (1847) sui quali si e formata, si puo dire, l'intera classe colta della Francia ottocentesca, tanto piu che il Cousin aggiunse all'autorevolezza dello scrittore di gran successo anche l'autorita di direttore della Scuola Normale e di Ministro della pubblica istruzione. Ebbe malta influenza su di lui un rapporto diretto con i filosofi tedeschi del tempo e in particolare con Hegel, che frequento a Berlino diventandone arnica, senza peraltro penetrare appieno nella sua grande sintesi. L'indole propria della sua intelligenza, infatti, era quella di cogliere di ogni filosofo l'aspetto meglio inseribile in una specie di mosaico, il cui sensa complessivo avrebbe dovuto essere, nelle sue intenzioni, una filosofia perenne, costruita dall'umanita nella diversita del tempo e della spazio e dcstinata a diventare, ormai, un patrimonio comune degli uomini di oggi. Ritroviamo in lui, rna indebolita in un significato puramente eclettico, Ia dottrina hegeliana sulla identita tra filosofia e storia della filosofia. Solo che in (
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Hegel le diverse posizioni dei filosofi venivano mediate attraverso Ia tensione dialettica e il suo superamento nella sintesi, in Cousin esse rimangono giustapposte, in funzione di un'armonia che non e nel loro reciproco rapporto oggettivo, quale potrebbe risultare dalla ricostruzione storica di ciascuna di esse, rna e nell'assunto aprioristico dello storico Victor Cousin. L'assunto aprioristico e che il senso vero del divenire filosofico sta nel predominio dello spirito sulla materia, e cioe delle interpretazioni spiritualistiche della realta su quelle empirico-induttive. Anche se questa facilita nel mettere insieme eredita spirituali le piu diverse suscitava perplessita e risentimenti in quelli dei loro rappresentanti che si mostravano meno disposti ad accettare il criterio del compromesso, la classe dominante se ne sentiva generalmente appagata, dato che la strategia del compromesso era, nell'ordine pratico, l'unica possibile in un periodo reso inquieto dai primi segnali degli antagonismi di classe. E infatti, con la rivoluzione del '48, la luce di Cousin divenne fioca ed egli si ritiro in una vita appartata, senza piu rapporti con il dibattito politico.
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Sommario. Col romanticismo tedesco nasce in occidente !'interesse per la sapienza indiana, che diviene la fonte prima del pensiero di Arthur Schopenhauer (4.1), la cui pretesa e di coniugare i Vedanta con Kant, Iiberato dai fraintendimenti idealistici. II vero Kant e quello che riduce il mondo dell'esperienza a fenomerio, a rappresentazione (4.2); il suo limite e nell'aver negato l'accesso al noumeno, che invece l'uomo conosce in quanto e corporeita, cioe impulso muscolare, Volonta di vivere, da intendere come principio cosmico (4.3). Sia l'io individuale che i suoi oggetti non sono che rappresentazione. Tra la Volonta di vivere e la rappresentazione stanno le Idee, modelli etemi delle cose, da non confondere con i concetti, che sono astrazioni pratiche al servizio della Volonta (4.4). Nell'individuo, la Volonta si impone come altemanza di desiderio e di noia. Tutto e vano, nella storia degli uomini; unica via di salvezza e il viaggio a ritroso verso la 'Nolonta' (nirvana) (4.5). Ouesto viaggio puo compiersi per piu vie: ad esempio, l'arte (prima fra tutte, la musica), che solleva l'individuo alla contemplazione disinteressata, non dell'oggetto, rna della sua idea etema (4.6). Ma Ia via decisiva e l'ascesi, che nel suo culmine annulla nell'uomo Ia stessa Volonta di vivere (4.7). Dominato dallo stesso ripudio della storia, Soren Kierkegaard vede Ia perdizione nell'anteporre al singolo l'universalita oggettiva della Ragione. A Hegel, Kierkegaard oppone una 'metafisica della soggettivita' (4.8), basata sulla dialettica 'qualitativa', opposta a quella di Hegel che risolve nell'impersonalita dell'Assoluto il singolo, inteso come spirito soggettivo sottoposto alia logica della necessita, mentre Ia sua essenza e Ia 'possibilita' (4.9). La possibilita si attua in tre stadi diversi - l'estetico, l'etico, il religioso - e non per trapasso logico rna mediante salti 'qualitativi' (4.10). Lo stadio religioso si sdoppia in una religiosita razionale, il cui prototipo e Socrate, e in una religiosita incentrata sulla fede, il cui prototipo e Abramo, l'uomo della scelta assurda secondo l'etica razionale (4.11). La s'celta della fede ha il suo corrispettivo originario nell'innocenza di Adamo, da intendere come condizione in cui tutto e possibile. E' il divieto di Dio a suscitare questo sentimento della possibilita, cioe l'angoscia. Ogni scelta, in quanto necessariamente finita, e peccato (4.12). Dall'angoscia si esce soltanto col salto della fede, con Ia quale l'uomo esce dal tempo e si fa contemporaneo del Cristo. Entrando nel tempo, il credente non sara mai un professore di fede, sara un testimone (4.13). La vocazione filosofica di Nietzsche si precisa durante una ricerca filologica sui significato della grecita, che egli pose nel rapporto tra il principio dionisiaco e quello apollineo, che prevalse sui primo a partire da Socrate, per poi svilupparsi in tutta Ia storia della civilta occidentale (4.14). Dalla 'soglia' socratica ebbe inizio Ia malattia storica, e doe il ripiegamento dell'uomo sui suo passato, dietro Ia spinta del risentimento contro Ia vita; dalla malattia storica si esce solo con Ia 'storia critica' (4.15). Per smascherare il sistema della cultura dominante, Nietzsche segue il 'metodo genealogico', che mostra come alia radice dei valori ci sia il risentimento contro Ia Volonta di vivere, il Nichilismo distruttivo (4.16), che trova il suo culmine nella fede in Dio di cui sono svolgimenti successivi Ia metafisica e Ia verita scientifica (4.17). La morte di Dio e Ia fine, per autosuperamento, della menzogna nichilistica, che va ribaltata nel nichilismo attivo, da cui dovra nascere Ia nuova fase dionisiaca (4.18), che ha per emblema il superuomo o l'oltreuomo, il quale, spezzati i vincoli della morale degli schiavi, vivra secondo Ia volonta di potenza, e cioe secondo illibero gioco degli impulsi vitali (4.19). L'avvento del superuomo, il cui profeta e Zaratustra, non si colloca sulla ·linea evolutiva, esso si da nell'istante, perche e nell'istante che si risolve, volta a volta, Ia circolarita dell'etemo ritorno (4.20).
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Schopenhauer 4.1 Un disertore dell'occidente. Finora ci e stato possibile seguire lo sviluppo del pensiero filosofico europeo senza mai uscire dai confini etnici entro cui esso e ri uscito a mantenersi fin dai suoi esordi ellcmici. Gli sguardi gettati da alcuni illuministi oltre quei confini sono stati per lo piu modi indiretti, e a volte anche frivoli, di niettere in discredito le istituzioni e le tradizioni d'occidente, divenute ormai, a loro giudizio, involucri estranei ai bisogni vitali. Solo col romanticismo tedesco !'interesse per la sapienza indiana, finalmente provvisto del suo strumento filologico in seguito a una relativa diffusione del sanscrito, si fece piu autentico, anche se non immune da quei presupposti razzistici (come l'antisemitismo e il culto per la razza ariana) di cui il secolo XX avrebbe vista il tragico dispiegamento. · Nel 1808 apparve il saggio di Friedrich Schlegel Sulla lingua e Ia filosofia degli indiani, nel quale il pioniere del romanticismo, convertito da poco al cattolicesimo e agli ideali della Restaurazione, mette a frutto gli studi di sanscrito fatti a Parigi cinque anni prima. L'opera, che ebbe malta influenza anche su Schelling, contribui a mettere in crisi il culto della lingua greca. Nessuna lingua, ~ giudizio di Schlegel, uguaglia il sanscrito per esprimere concetti filosofici; lo studio dei greci senza lo studio degli indiani favorisce dannose unilateralita, dato che i due popoli sono, in radice, una sola famiglia. Arthur Schopenhauer· subi il fascino di queste tesi e lo tradusse in precise scelte quando l'orientalista Friedrich Meyer gli fece conoscere, in una traduArthur Schopenhauer nasce a Danzica nel 1788 da una ricca famiglia di commercianti e ·viene avviato precocemente alia professione paterna, anche con lunghi viaggi in Europa II padre, fervente repubblicano, lo manda a studiare a Le Havre in Francia (1797-1799). Dopa la morte del padre (nel 1805, per suicidio), divenuto economicamente agiato, Schopenhauer fascia if commercia e si da agli studi. La madre si stabilisce a Weimar e vi apre un sa/otto intellettuale, dove Schopenhauer, per quanta i suoi rapporti con la madre siano pessimi, ha modo di stringere non poche utili relazioni, fra le quali quelle con Goethe (1813) e con l'orientalista F. Meyer (1814) che lo introduce alia conoscenza della filosofia indiana. Molto accidentate_ le sue esperienze accademiche. Nel 1811 ascolta a Berlino le lezioni di Fichte ma ne rimane 'disgustato: Ottiene Ia docenza a lena (1813) e a Berlino (1820) e in quest'ultima universita si impegna nell'insegnamento per debellare il dominio assoluto di Hegel· fino al 1831, per 24 semestri, fa programmi di lezioni, ma solo per il prima semestre ha qualche alunno. Nel 1818 aveva pubblicato il Mondo come volonta e come· rappresentazione, con un totale insuccesso: gran parte delle copie andra al macero. Attorno a lui un muro di silenzio che durera trent'anni. NeZ 1840 partecipa a un concorso accademico sui tema La Sorgente e il fondamento della morale: unico concorrente, non gli viene assegnato il premia! PalZiti i suoi progetti universitari, vive dal 1833 a Francoforte, dove, nel 1848, parteggia per Ia repressione contra i moti rivoluzionari. La cintura del si-
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lenzio si infrange nel 1851, quando pubblica !'opera non accademica Parerga e Paralipomena, che ha un huon successo di critica, specie in Inghilterra. A farlo conoscere in Italia e Francesco De Sanctis, col suo famoso saggio Schopenhauer e Leopardi (1858), che ottiene lusinghieri apprezzamenti dallo stesso Schopenhauer. Muore nel 1860 a Francoforte, ormai celebrato da tutti e circondato da seguaci. Oltre a quelle gia ricordate, le sue opere piit significative sono: Sulla quadruplice radice del principia di ragion sufficiente (1813); Sulla volonta della natura (1836); Sulla liberta della volonta umana (1 839); I due problemi fondamentali dell'etica (1841, 1851).
zione latina, la parte filosofica dei libri Veda, le Upanishad (1.1.19). Il contatto con la sapienza indiana, confessa Schopenhauer nel proemio della sua opera maggiore, «e ai miei occhi il maggior privilegio che questa ancor giovine secolo puo vantare sul precedente, in quanta io ritengo che l'influsso della letteratura sanscrita non sara meno profondo che il rinascimento della cultura greca nel sec. XV». Nell"eccentrico' Schopenhauer, questa culto si combina con la convinzione, candidamente dichiarata, che molte sentenze delle Upanishad si potrebbero dedurre pari pari dal suo pensiero, mentre sarebbe impossibile !'inverso. La realta e che la conoscenza che Schopenhauer ebbe dell'India rimase sempre vaga, senza una vera aderenza alia variegata realta di un pensiero religioso e filosofico niente affatto riducibile ad alcune nozioni univoche. Del resto, come vedremo, fa parte della visione di Schopenhauer il rigetto delle dimensioni diacroniche proprie del sapere storico. Dentro un quadro di riferimenti unitario egli colloca Platone, i Vedanta, Berkeley, le Upanishad, Kant e i Purana. Un simile orientalismo gli permette di travestire le sue scelte di fonda, come l'ateismo e il rifiuto del cristianesimo. Sull"ateismo religioso', che accomuna Schopenhauer al buddismo, diremo diffusamente. Del suo rigetto del cristianesimo egli non offre ragioni ampie e convincenti. Molto ha voluto dire per lui il fatto che il cristianesimo sia nato dal ceppo del giudaismo, religione che, a suo giudizio, (Schopenhauer e un antisemita), e del tutto priva di eticita. Ma poi il cristianesimo e legato a un evento storico isolato nel tempo e nella spazio, e cioe alia vita di Gesu Cristo, mentre, secondo il buddismo, Buddha rinasce innumerevoli volte. In India - cosi scrisse Schopenhauer nei Parerga - non potranno mai mettere radice le nostre religioni: Ia sapienza originaria del genere umano non sara soppiantata dagli accidenti successi in Galilea. Viceversa toma !'indiana sapienza verso !'Europa e produrra una fondamentale mutazione del nostro sapere e pensare.
4.2 Derivazione da Kant. Una cosa e innegabile: la concezione filosofica di Schopenhauer e senza storia, nel sensa che appare, fin dalla sua prima espressione, bell'e compiuta. e per di piu senza le tortuosita ne le zone oscure dei sistemi di quei tre 'ciarlatani' che erano, a suo dire, Fichte, Schelling e Hegel. Con lora nemmeno polemizza. Preferisce rifarsi alia lora stessa sorgente, Im-
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manuel Kant, per derivare da lui, padre riconosciuto del nuovo corso del pensiero, Ia premessa e i termini del proprio argomento fondamentale. L' errore di fonda degli idealisti era la negazione pura e semplice del noumeno kantiano, quasi fosse davvero un caput mortuum da amputare, con la conseguenza che l'intera realta veniva ridotta al fenomeno. Con malta coerenza, Kant aveva condotto la sua analisi del reale a due livelli distinti. Nella prima Critica aveva dimostrato quali siano il fondamento e i limiti della conoscenza scientifica. Al centro, l'io che organizza l'universo in una rappresentazione soggetta al potere dell'uomo perche regolata da leggi in cui, in base alia sintesi a priori, sana una sola cosa i modi di essere e i modi di pensare. Da Cartesio a Berkeley a Kant, questa e il sensa del pensiero moderno: il mondo che conosciamo e un mondo-per-noi, non il mondo-in-se. E tuttavia Kant, rifiutando la soluzione idealistica, ha riconosciuto che, al di la del limite di questa rappresentazione, c'e un mondo non esplorabile dall'intelligenza con le sue categorie, il mondo della cosa in se. La vera. dialettica, e cioe il rapporto tra il fenomeno e il noumeno, tenuti saldi ambedue senza soppressioni indebite, e stata negata dagli idealisti e sostituita con una dialettica del tutto contenuta dentro l'ambito della ragione teorica, dentro la 'testa d'angelo' del puro pensiero. Ebbene, il vera kantiano e lui, Schopenhauer, che riprende la dialettica del maestro proprio la dove era rimasta interrotta e la sviluppa in modo diametraJmente opposto a quello degli idealisti. Per Schopenhauer, il fenomeno e il noumeno sana, l'uno e l'altro, reali, sebbene in sensa profondamente diverso. II fenomeno e reale in quanta, e solo in quanta, rappresentazione, nel sensa radicale con cui Berkeley aveva fatto coincidere la realta con la percezione. Non basta dire, con gli idealisti, che l'oggetto e una rappresentazione del soggetto, bisogna arrivare a riconoscere che sia l' oggetto che il soggetto, sia il non-io che l'io sana interni alia rappresentazione, sana due sue modalita. Nel mondo in quanta rappresentazione vigono le leggi della spazio e del tempo e quella della causalita, che delle dodici categorie kantiane e l'unica a sopravvivere nella concezione di Schopenhauer. L'intero versante kantiano della soggettivita trascendentale, e cioe l"io penso', le dodici categorie dell'intelletto e le forme a priori della sensibilita, si disciolgono nella trama fenomenica, sopravvivendo soltanto quali determinazioni della rappresentazione e insieme come suoi principi di ordinamento. Ad esempio, il principia di causalita non e il puro e semplice risultato delle nostre esperienze sensitive, un'abitudine, come voleva Hume, rna non e nemmeno un a priori inerente a un soggetto da intendere come condizione incondizionata del conoscere. Tutto cio che e del soggetto e tutto cio che e dell'oggetto si ritagliano dentro l'esile stoffa della rappresentazione, dentro un vela di Maya che e pura e semplice illusione. Che l'esistenza oggettiva delle cose sia determinata da qualche cosa che le rappresenti, e che per conseguenza il mondo oggettivo esista soltanto come rappresentazione non e un'ipotesi e tanto meno una sentenza arbitraria o addirittura un paradosso posto per amore di discussione; rna e la verita piu certa e piu semplice, la cui conoscenza viene resa piu difficile solo dalla sua troppa semplicita.
Ma perche questa rappresentazione? E se il mondo rappresentato
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illusorio, che c'e dietro al velo? In termini kantiani: se il mondo che noi conosciamo e solo fenomeno, che cos'e il mondo in se, al di fuori di questo rapporto col soggetto conoscente? L'errore di Kant e di avere ridotto la funzione conoscitiva a quella dell'intelletto, il cui prodotto e il cui confine e appunto Ia rappresentazione. C'e nell'uomq un'altra forma di conoscenza, che gli permetta di andare al di la del velo? 4.3 II mondo come Volonta. Non e vero che all'uomo e precluso l'accesso al noumeno: il varco per andare oltre la rappresentazione e nella stessa corporeita umana. In quanto oggetto di percezione, anche il corpo umano e fenomeno, e un frammento spazio-temporale della rappresentazione. Ma per l'uomo il corpo non e solo oggetto, e una profonda esperienza che fa tutt'uno con l'efficienza della propria soggettivita, prima ancora che essa oltrepassi Ia linea dello sdoppiamento soggetto-oggetto. II corpo e materia solo in quanto se ne prende coscienza mediante le forme spazio-tempo, rna in quanto si avverte come tensione muscolare e, piu radicalmente ancora, come volonta di vivere, esso e la 'cosa in se', rimasta misteriosa per Kant e abusivamente amputata dagli idealisti. Questo impulso radicale, Schopenhauer lo chiama Volonta, cosi come a volte si denomina il genere secondo !a sua specie piu eccellente, rna esso non va confuso con Ia facolta di cui tratta l'antropologia tradizionale. Intanto, non e la 'mia' o la 'tua' volonta, dato che la molteplicita dei soggetti di attribuzione appartiene al livello della rappresentazione e non alia cosa in se, che e universale e indivisibile. I suoi nomi mutano, cosi come mutano, per intensita e per i modi, le sue manifestazioni, rna essa e un principia cosmico onnipresente:
E la forza che fa crescere e vegetare Ia pianta e fa cristallizzare il minerale, che dirige !'ago della bussola verso il nord, ed e Ia forza di gravitazione che agisce con tanta potenza in ogni realta materiale e che attira Ia pietra verso Ia terra e Ia terra verso il sole. L'unico suo fine e Ia conservazione di se stessa: per questo puo essere detta Volonta di vivere. Mentre nell'ambito della rappresentazione tutto si regge in base alla ragion sufficiente, e dunque anche in base al principia di causalita, nella sf era noumenica, e cioe della Volonta in se considerata, non c' e nessun germe di ragione ne di finalismo: la piu assoluta liberta vi domina. Al contrario, tutto cia che avviene nell'ambito della rappresentazione e strumento cosciente o inconscio della Volonta di vivere. La natura fisica, dominata dalla necessita, e Ia natura spirituale, retta dalla liberta, si contrappongono, se viste dal di fuori, rna, se viste dal di dentro, esse - Ia pietra, il fiore, l'animale e l'uomo - non sono che un'unica realta, con questa di diverso, che solo dove si da l'uso di ragione essa diventa cosciente di se. La vita e un teatro dove gli uomini sono marionette piu o meno consapevoli del senso del dramma che stanno recitando sotto la regia della Volonta di vivere, che celebra, senza nessun freno e senza nessun obiettivo, la propria incondizionata onnipotenza. ll mondo e «come un inferno, che supera quello di Dante in questa, che ognuno e diavolo per l'altro». La storia umana e tutta qui: II motto della storia generalmente considerata dovrebbe essere: Eadem sed aliter. Quando uno ha letto Erodoto, egli, dal punto di vista della filoso-
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fia, ha gia studiato abbastanza storia. Quivi infatti si trova gia quello che costituira poi Ia storia del mondo: il muoversi, l'agire, iJ soffrire e il destino del genere umano, come risultato delle suddette qualita e della sorte terrena.
4.4 Le idee e l concettl. II limite di Kant era stato, secondo Schopenhauer, nel non accorgersi che la cosa in se non poteva essere ridotta a cio che dell'oggetto resta non assunto nelle forme dell'intelletto. La cosa in se e la realta metafisica che oggettiva se stessa tanto nel fenomeno esterno quanta nell'io e nelle strutture formali in cui l'io si articola. Resta comunque grande merito di Kant l'aver dimostrato il carattere meramente fenomenico della realta come si 'jJresenta all'uomo. Una volta che il soggetto razionale viene declassato da legislatore supremo del mondo fenomenico a semplice momenta interno alla rappresentazione, ad , un'onda nella superficie del grande oceano delle parvenze, rimane scoperto il problema da dove provengano allora le leggi che fanno il mondo cosi ricco di determinazioni stabili e tra loro gerarchicamente ordinate in diversi gradi. Questi diversi gradi, spiega Schopenhauer, non sono altra cosa che le idee di Platone ... Sotto iJ concetto di Idea io eomprendo ogni grado determinato e fisso dell'oggettivazione della volonta in quanto cosa in se e come tale estranea alia pluralita. Questi gradi appaiono negli oggetti particolari come le !oro forme eterne, come i !oro prototipi... Queste forme, e cioe le idee, sono come le specie degli animali e dei vegetali, nel.senso che costituiscono i modelli immutabili ed eterni delle cose sensibili, degli individui che nascono e periscono, sempre diventano e mai sono ... Tra le idee si ha una vera e propria gerarchia, culminante nell'idea di uomo come Ia piu alta e perfetta obiettivazione della realta.
Vedremo subito l'importanza di questa dottrina nella fondazione dell'estetica schopenhaueriana. Perche se ne percepisca con pili chiarezza il sensa, rna soprattutto perche meglio si valuti quanta l'epistemologia contemporanea debba a Schopenhauer, conviene far luce sul rapporto che egli pone tra idea e concetto. L'idea e l'unita differenziata che sta tra la volonta e il fenomeno (e nel fenomeno, ripetiamolo, si comprende anche l'individuo umano), una unita che si infrange nella pluralita dei particolari che insorgono nelle coordinate spazio-tempo; il concetto e l'unita che si ricostituisce dopo tale frantumazione, mediante il procedere astratto del nostro intelletto. L'unita dell'idea e ante rem, quella del concetto e post rem. II concetto somiglia a una inerte. custodia, nella quale viene effettivamente a giustapporsi ogni cosa che vi si ponga, rna da cui nulla puo essere tolto (mediante giudizi analitici) piu di quanto vi sia posto (mediante sintetica ri-. flessione). L'idea invece sviluppa, in quegli che l'ha afferrata, rappresentazioni che sono nuove rispetto al concetto omonimo: ella somiglia a un vivente, sviluppantesi organismo, dotato di forza generativa, il quale produce que! che non conteneva incasellato dentro di se.
La conoscenza che approda al concetto e opera dell'intelletto, cioe della strumento mediante il quale la volonta, come si e detto, plasma il fenomeno nella sua molteplicita e nei nessi che danno ordine al molteplice. La conoscenza scientifica e dunque soggetta anch'essa ai fini pratici, apertamente o occultamente, imposti dalla volonta.
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La volonta e l'intelletto sono, secondo un'immagine di Schopenhauer, nel loro reciproco rapporto, come il cieco che porta sulle sue spalle il paralitico che vede. L'intento dell'intelletto e di raggiungere la verita oggettiva, rna la volonta lo richiama al suo servizio. La nostra vera essenza e la volonta, l'intelletto invece e «Un puro accidente del nostro essere». Il servizio ideologico, con cui l'intelletto fornisce alla volonta di vivere la maschera dell'oggettivita e del disinteresse, si accompagna, nella epistemologia di Schopenhauer, con una funzione virtualmente liberatrice: l'intelletto, nato come uno schiavo, puo diventare un 'Iiberto' della volonta, se e in quanto riesce a dar sviluppo aile sue capacita di conoscenza oggettiva. Difatti, e proprio in virtu di questa riflessione critica dell'intelletto che la. volonta si fa cosciente di se, nello svelamento della menzogna. 4.5 La soteriologia. Anche per Schopenhauer, come per Kant, i confini dell'intelletto sono i confini del fenomeno: al di la, cessa il regno della molteplicita, perche cessa, con lo spazio e il tempo, il principia di individuazione, e dunque quella che noi chiamiamo storia, e sola sussiste, universale, indivisibile, insaziabile, la Volonta di vivere, che, come !'oceano che batte sui ciottolo della spiaggia, si manifesta, nell'individuo, con l'alterno movimento del desiderio che spinge verso gli oggetti e con la noia che nasce dalla sazieta. Ecco le due dimensioni complementari che definiscono la condizione umana all'interno del flusso incessante della Volonta di vivere, il desiderio e la noia: il desiderio delle classi povere e la noia delle classi ricche, il desiderio della vigilia del di di festa e la noia del giomo festivo, come nel Sabato del villaggio del nostro Leopardi. L'essenza dell'uomo sta nel fatto che Ia sua volonta aspira, viene appagata e torna ad aspirare, e sempre cosi continua: anzi sua sola felicita, solo suo benessere e che quel passare dal desiderio all'appagamento e da questo a un nuovo desiderio proceda rapido, poiche il ritardo dell'appagamento e dolore e il ritardo del nuovo desiderio e aspirazione vuota, languore, noia.
Niente e pili illusorio che il progetto di liberazione dal male del vivere proposto dai fautori del cambiamento politico. Alla radice della convivenza civica c'e la spinta che muove ogni uomo all'accumulo del maggior numero di soddisfazioni possibile: ecco perche l'uomo e davvero e senza rimedio un lupo per l'altro uomo. Sul piano fenomenico, la liberta e una pura illusione, come insegnano Hobbes e Spinoza. La liberta non e che la coscienza della necessita: se una pietra lanciata avesse coscienza di se, riterrebbe di essere Iibera nel suo percorso. L'unico compito della politica e contenere entro certi limiti gli effetti della guerra di tutti contro tutti, una guerra che pen'> non ha alternative. Quella di Schopenhauer e una rigorosa controutopia. Sullo sfondo di queste sue convinzioni diventa plausibile un episodio che viene spesso riportato a riprova delle sue posizioni politiche reazionarie. Durante i moti del '48, egli lascio entrare in casa sua una squadra di soldati che stava per massacrare i rivoluzionari e, se si deve credere a una sua lettera, offri all'ufficiale il suo binocolo da teatro perche tirasse meglio sui 'popolo sovrano'! Questo suo distacco (a dir poco!) dalle inquietudini politiche del suo secolo esercito un largo contagia, e non solo nei settori antihegeliani e poi antimarxisti della cultura, rna anche in uomini come Leone Tolstoi, sicuramente ispirati da grandi idealita mo-
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rali. E difatti Schopenhauer non fa numero con i reazionari che in Inghilterra e in Francia si opponevano al nuovo corso delle cose messo in moto dalla rivoluzione industriale e lo facevano in nome dell'ancien regime o in nome di una saggezza naturale aliena dalle rivoluzioni. Il suo ripudio del mutamento non e che un aspetto del suo ripudio globale della storia, che ai suoi occhi altro non e che una 'grande mascherata' o, come hanna riconosciuto tutti i grandi spiriti, dai maestri delle Upanishad a Shakespeare, un sogno, un vano sogno senza sostanza La via, o, se si vuole, le vie della salvezza sono queUe che risalgono a ritroso la cascata della Volonta di vivere, e non queUe che, come la politica o l'amore sessuale, ne assecondano la spinta. Anche il suicidio rientra nel numero delle vie illusorie: chi -si uccide, commette l' errore di identificare i mali che lo affliggono come individuo con il Male sostanziale che investe l'intera specie. Anche il suicidio e un atto di volonta; che incide sui fenomeno cancellando un individuo, rna aumenta il cumulo della sofferenza universale. La vera via della salvezza, quella tracciata dall'oriente, va verso il non essere mediante la vanifi' cazione della volonta, o meglio sostituendo alia Voluntas vivendi la Noluntas vivendi. La Nolonta (Noluntas) e un latinismo che esprime quel che i buddisti 'chiamano Nirvana. I cristiani non hanna fatto che proiettare nell'eterno i poli opposti tra i quali oscilla I'esistenza: l'Inferno e la somma di tutte le sofferenze, il Paradiso e la noia sterminata. Solo la saggezza orientale ha fermata il pendolo!
4;6 Le vie della salvezza: l'arte. Una prima via di salvezza e, come sopra abbiamo detto, quella con cui la ragione, svincolandosi dalla sua condizione servile, promuove l'autocoscienza della volonta, e quindi mette a nudo le sue menzogne e i meccanismi della sua astuzia. Non ci sono, per la ragione, che due ambiti: quello empirico, che coincide col fenomeno, e quello metafisico, che coincide con la Volonta di vivere. Voler collegare i due ambiti, come vogliono i dialettici, e pura illusione, da rilasciare ai 'ciarlatani'. La ragione ha la meglio sulla propria schiavitu quando da le spalle al fenomeno e ha dinanzi a se il mondo delle idee, e cioe le forme unificanti che stanno prima del momenta in cui la Volonta di vivere si frantuma nell'infinita congerie degli oggetti fenomenici. E' qui, ad esempio, che l'individuo umano si accorge che gli altri individui, contra cui l'egoismo lo spinge, non sono che lui, non sono che rami del suo stesso tronco. Questa contemplazione filosofica e gia, come insegnano i mistici di tutte le scuole, un calmante della volonta. Una seconda via e quella estetica. Quanta Kant e Schiller avevano detto sul carattere disinteressato della contemplazione estetica trova in Schopenhauer un ampio e profondo sviluppo, a partire da una determinazione tutta sua del rapporto che si stabilisce tra soggetto e oggetto nel momenta estetico. Nel rapporto teoretico, il soggetto conoscente e l'oggetto conosciuto sono pur sempre dentro la catena dei fenomeni, in un certo spazio e in un certo tempo. E difatti Ia conoscenza intellettiva, come sopra si e detto, rende un servizio alia volonta di vivere, ne asseconda le astuzie, salvo che nel inomento in cui l'intelletto diventa autocognizione critica della volonta. Ma nel momenta estetico Ia conoscenza avviene, per cosi dire, allo stato puro: il soggetto non e piu interno al mondo come rappresentazione, si solleva
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al di sopra, cioe allo stesso livello dell'oggetto, che a sua volta, in quanto interno alla fruizione estetica, non e piu un oggetto empirico come tale - un albe.ro, un volto, un paesaggio - rna e l'idea che sta dietro la molteplicita empirica. Quando, sollevati dalla potenza dello spirito, rinunciamo a considerare le cose secondo la maniera volgare e cessiamo di ricercarne soltanto le redproche relazioni, il cui ultimo termine e sempre Ia relazione con Ia nostra volonta, secondo gli aspetti del principia di ragione; quando non consideriamo piu il dove, il quando, Ia causa e l.a finalita delle cose, rna unicamente cia che esse sono; quando non permettiamo che s'impadroniscano della coscienza il pensare astratto, i concetti della ragione, rna, a! contrario, dedichiamo tutta Ia forza del nostro spirito all'intuizione, sprofondandoci in essa, e lasciamo che tutta Ia nostra coscienza sia riempita dalla tranquilla contemplazione dell'oggetto naturale, che ci sta dinanzi, sia esso un paesaggio, un albero, una roccia, un edificio o qualche altra cosa; quando, secondo un' efficace espressione, ci perdiamo completamente in quell' oggetto, ossia dimentichiamo !a nostra individualita, Ia nostra volonta e non rimaniamo nient'altro che soggetto puro, chiaro specchio dell'oggetto; come se l'oggetto solo esistesse, senza che nessuno lo percepisse, e non e piu possibile distinguere colui che intuisce dall'intuizione stessa, poiche sono diventati una sola cosa, essendo l'intera coscienza riempita e posseduta da una sola immagine intuitiva; quando dunque l'oggetto si e in tal modo Iiberato da ogni relazione con altri oggetti fuor di se stesso, e il soggetto si e Iiberato da ogni relazione con la volonta: allora cia che viene cosi conosciuto non e piu la cosa particolare in quanto tale, rna e !'idea, I' eterna forma.
Allora, per un attimo almeno, Ia volonta cessa e cessa l'oscillazione tra la sofferenza e la noia. A partire da questa comprensione dell'arte come momenta del processo di autoliberazione, Schopenhauer tenta una interessante classificazione delle arti. La piu elementare e l'architettura. Piu in alto, nel senso che si fa maggiore il loro 'disinteresse' contemplativo, Ia scultura e la pittura, e piu in alto ancora la poesia, tra i cui generi eccelle naturalmente la tragedia. Ma l'arte per eccellenza e la musica che, a diversita delle altre, non e immagine delle idee, rna e immagine della volonta stessa. Essendo al di la delle idee, la musica e, a fortiori, del tutto indipendente dal mondo fenomenico, al punto che potrebbe esistere, a differenza delle altre arti, anche se il mondo non esistesse! La sua e davvero una lingua universale, che non conosce frontiere geografiche o di classe, perche le realta di cui tratta sono le uniche realta che la volonta riconosca: la gioia e il dolore. Se l'artista e, per definizione, dispensato dal tener conto delle leggi del mondo fenomenico quale oggetto di conoscenza, tanto piu sara dispensato dalle regole della prassi, compresa quella politica, a cui gli altri uomini sono soggetti. Anche a Schopenhauer si deve la legittimazione teorica dell'artista decadente, alieno dagli interessi comuni, e soprattutto disimpegnato nei confronti dei problemi della citta. La dottrina del superuomo e alle porte! 4.7 Le vie della salvezza: r.!l.~C~Si. La liberazione estetica e, comunque, episodica, come l'elemosina che, gettata al mendicante, gli permette di sopravvivere un giomo! La vera liberazione consiste nel sottrarre alimento alla Volonta di vivere e
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non nel frapporre appena qualche pausa alla sua onnipotenza. Ordinata, appunto, ad attenuare la Volonta di vivere e la virtu morale, che ci porta a guardare al di qua di quel principia di individuazione che invece e il punto di appoggio assoluto dell'uomo malvagio. Non che l'azione morale possa minimamente modificare il flusso della realta. L'universo, compresa Ia storia dell'uomo, e per Schopenhauer un immenso orologio in cui ogni movimento e gia prefissato fin dalle origini. II libero arbitrio e un'illusione. Esso non e che un attributo dell'individuo, e quindi, come l'individuo, pura finzione della Volonta di vivere. II valore e i limiti della morale si capiscono se si fa una distinzione tra I' operari e 1' esse, e cioe tra le operazioni empiriche di cui l'uomo e soggetto e il suo intima essere. Nell' operari, domina assoluta Ia necessita, mentre la sfera dell' esse e quella della liberta. La quale, dunque, e una liberta trascendentale, nel senso che il suo svolgimento si esaurisce nell'ambito della conoscenza e del sentimento. Proprio per questa sua trascendentalita, essa non e insegnabile: velle non discitur, il volere (morale) non si impara! E' qui che Kant ha fallito, tanto nel ritenere che l'imperativo morale potesse incidere sui meccanismi del• Ia natura, quanta nel ritenere che la ragione fosse sufficiente a fondare la virtu morale. No, la ragione, come dimostra l' esperienza, puo benissimo convivere con la malvagita, e, al contrario, la virtu non e mai del tutto esente da una certa follia. Del resto, il momenta culmine della vita morale, la compassione, sebbene si appoggi sulla comprensione razionale di quella comune radice noumenica in cui Ia pluralita degli uomini si risolve in unita (tat twam asi: tu sei questa, dice la sapienza indiana), va ben al di la di questa fredda verifica del vero, diventa sentimento di solidarieta, condivisione delle sofferenze altrui fino a dimenticare le proprie. In questa compassione (etimologicamente, il termine indica il soffrire insieme), o pieta, o agape, si incontrano il filosofo, che ne capisce il fondamenta, il popolo, che ne intuisce il valore, le religioni come la cristiana e la buddista, che ne fanno illoro principia fondamentale. Secondo Schopenhauer, spogliati dei loro simboli e miti, il cristianesimo e il buddismo coincidono nel progettare 1' eliminazione del do lore dal mondo, e dunque nel riconoscere il massimo della esemplarita al genio ascetico, e cioe all'uomo che riesce in modo sommo ad annullare in se la Volonta di vivere. AlIa base dell'ascesi, c'e l'orrore per il mondo, divenuto finalmente orrore per quella Volonta di vivere che del mondo e la radice prima. Questa suo orrore l'asceta lo esprime nella smascheramento e nel ripudio della brama sessuale, veicolo privilegiato della Volonta di vivere che, proprio attraverso gli impulsi e le illusioni dell'amore, provvede a rinnovare il ciclo delle vite. Ma nel ripudio della volonta l'asceta percorre per intero il perimetro lungo il quale essa, tramutandosi in fenomeno, provoca la dualita tra soggetto e oggetto, tra brama e strumenti di appagamento: di qui il suo amore per la poverta, per l'astinenza, anzi per la macerazione del corpo e, al di la di tutto, per la morte, che e attesa come benevenuta. Ci sarebbe da chiedere a Schopenhauer (e gli venne infatti chiesto) perche in base alle sue convinzioni egli non abbia battuto, per suo canto, le vie dell'ascesi, le uniche che conducono alia- completa liberazione. La risposta di Schopenhauer e che lo stato di liberazione raggiunto dall'asceta, per perfetto che
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sia, non puo chiamarsi cognizione vera e propria, «perche non ha piu la forma del soggetto e dell'oggetto e inoltre e accessibile solo all'esperienza diretta, ne puo essere comunicato altrui)). \ Il compito del filosofo e piu modesto rna insostituibile, come, nei confronti dell' esperienza mistica, l'itinerario della filosofia razionale e stato sempre riconosciuto inadeguato rna .QL'Cessario. Come il Battista, il filosofo e un precursore che prepara le strade all'asceta. E' quanto dice Schopenhauer nel chiudere il suo capolavoro. Noi che restiamo fermi sui terreno della filosofia, dobbiamo qui contentarci della conoscenza negativa, paghi d'aver raggiunto illimite estremo della positiva. Avendo riconosciuto nella volonta l'essenza in se del mondo, non vogliamo punto sfuggire alia conseguenza: che con Ia Iibera negazione, con Ia soppressione della volonta, vengano anche soppressi tutti quei fenomeni e que! perenne premere e spingere senza meta e senza posa, nel quale e mediante il quale il mondo consiste, soppressa Ia varieta delle forme succedentisi di grado in grado, soppresso, con Ia volonta, tutto intero iJ suo fenomeno; poi finalmente anche le forme universali di quello, tempo e spazio; e da ultimo ancora Ia piu semplice forma fondamentale di esso, soggetto e oggetto. Non piu volonta, non piu rappresentazione, non piu mondo. Davanti a noi non resta invero che il nulla.
Kierkegaard 4.8 La metafisica della soggettivita. In una breve nota del suo Diario, in data 1848, Soren Kierkegaard* cosi accoglie i rumori di quell'anno fatale: Un governo di popolo e Ia vera immagine dell'inferno. Perche anche se uno avesse da sopportare le sue pene, sarebbe sempre un sollievo se potesse ottenere di essere solo: rna Ia pena e appunto che ci sono gli 'altri' a tiranneggiarlo.
Anche per Kierkegaard, come per Schopenhauer, il '48 e una 'catastrofe', anche per lui l'irruzione delle masse nella storia e un evento infausto, sia pure per ragioni - e doveroso notarlo - che non sono queUe contenute nelle gazzette della borghesia impaurita. Mai forse nella storia si e vista giungere cosi rapidamente Ia nemesi; nello stesso momenta in cui Ia borghesia tendeva decisamente a prendere il potere si e infatti sollevato il Quarto Stato. Certo si dira ora che Ia colpa e di quest'ultimo, rna cio non e vera: esso e semplicemente Ia vittima innocente, cui si clara addosso, che si fucilera e si maledira.
Agli occhi di Kierkegaard, il proletariato e vittima innocente non solo della classe antagonista, rna anche dei falsi apostoli che avevano seminato fra i diseredati speranze impossibili. La vera salvezza avrebbero potuto trovarla tutti, borghesi te proletari, ricorrendo a una verita che non e figlia del tempo, rna sta al di sopra degli avvicendamenti umani, indifferente ad ogni epoca. Uno di quei falsi apostoli, Karl Marx, aveva lanciato Ia parola d' ordine: 'Proletari di tutto il mondo unitevi'. Kierkegaard, negli stessi anni, ne proclama una
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sua, anch'essa, nelle sue intenzioni, antiborghese: 'uomini di tutto il mondo, ritrovate ciascuno la, vostra singolarit<'t'. La via della salvezza passa dalla cruna d'ago del singolo che si riconosce come tale. L'errore di Marx e nel rivolgersi all'essere umano in quanta membra della specie umana, non in quanta e singala. La ricerca delle riforme sociali va dunque nel sensa sbagliato. «
Soren Kierkegaard nasce a Copenhaghen nel 1813, poco prima che il Congresso di Vienna tolga alla Danimarca il territorio della Norvegia. «Il piccolo paese, scrivera Kierkegaard, e stata la mia sventura; Ia Danimarca basta appena per uno e quest'uno sana stato proprio io». La sventura lo insegue fino dalla nascita, anzi da prima. Il padre, rimasto vedovo senza figli, sposa la domestica, dalla quale ha un figlio dopa cinque mesi: segno che era stato infedele alla moglie adoratissima. Dominato dal rimorso, egli era arrivato a lanciare una bestemmia contra Dio. Una cupa religione del terrore lo possiede ed egli la riversa sul precocissimo Soren, ultimo di sette fratelli, cinque dei quali moriranno uno dopa l'altro prima ancora della morte del padre, avvenuta nel 1838. Nonostante l'inquietudine religiosa, il padre da poverissimo era diventato malta ricco: Soren eredita da lui 31.000 talleri, somma che gli potrebbe permettere di vivere di rendita. Net 1841, senza darne ragione a nessuno, rompe il fidanzamento con Regina Olse, piu giovane di lui di 9 anni, pur rimanendone intensamente innamorato. Pochi giorni prima, si era laureato con una tesi Sul concetto di ironia, con particolare riguardo a Socrate. Quasi per fuggire Ia disperazione conseguente all'abbandono di Regina, si reca a Bertino, dove segue il corso di Schelling (1.17) che ben presto lo delude. Torna in Danimarca e si dedica a una frenetica attivita di scrittore. Escono cosi, uno dopa l'altro, e con nomi d'autore fittizi, Aut-aut, Timore e tremore, La ripresa, tutti del 1843; Briciole di filosofia e Il Concetto dell'angoscia, del 1B44; Studi sul cammino della vita, del 1846, La malattia mortale del 1849 e Esercizio del cristianesimo del 1850. Col suo vera nome escono i Discorsi edificanti. Altri scritti, fra i quali di grande importanza il Diario, saranno pubblicati dopa la morte. L 'ultimo periodo della sua vita e dominato dalla polemica contra la chiesa ufficiale e in genere contra il cristianesimo mondano, in nome di una fede ricondotta alia sua qualita di scandala. Il 20 ottobre 1855 cade a terra nella pubblica via (muore in ospedale tre settimane dopa): aveva da poco ritirato dalla banca quanta gli rimaneva del patrimonio. Schopenhauer dovette aspettare la vecchiaia per ottenere Ia fama; Kierkegaard dovra attendere tre quarti di secolo, quando avra inizio quella che e stata detta Ia KierkegaardRenaissance.
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gioso, rna intanto ci vogliono dei martiri, dato che solo «dei possenti defunti» «sono in grado di ridurre all'obbedienza una folia impazzita, proprio perche questa folia infuriata ha potuto uccidere nella sua disobbedienza i martiri». C'e chi (ad es., Gyorgy Lukacs) spiega questa cecita politica con le condizioni economiche di Kierkegaard, che era anche lui, come Schopenhauer, un rentier. Qualcuno ha sottolineato anche una coincidenza: quando, colpito dal male mortale, cadde per strada, Kierkegaard aveva ritirato da poco quel che gli restava del deposito bancario, cosicche il suo spirito si spense in concomitanza col suo capitale! Ma sarebbe fuorviante insistere su questi risvolti biografici per render conto dello sviluppo di un· pensiero cosi tragicamente radicato nell'esperienza interiore. Oltretutto, Kierkegaard era uomo troppo Iucido per lasciarsi imprigionare in condizionamenti di basso prammatismo. Egli riconosce, ad esempio, che «se il rapporto economico si costituisce in modo da diventare una fonte di guadagno per un altro uomo, si giungera facilmente all'impudenza)). E, parlando di se stesso, aveva confessato: «Il fatto che io sia diventato scrittore va attribuito essenzialmente alia mia malinconia e al mio denaro». E altrove: «mi sento molto meschino a paragone di uomini che hanno saputo svolgere una vera esistenza spirituale in reale poverta». Forse egli pensava non solo a Spinoza, rna anche ai tre grandi dell'idealismo, Fichte, Scpelling e Hegel, che in giovinezza avevano dovuto mantenersi facendo gli istitutori. Circostanze del genere sono rilevanti, agli occhi di Kierkegaard, anche a riguardo della credibilita di un filosofo. Lo confessa indirettamente quando si domanda: «
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Berlino per ascoltare le lezioni di Schelling, salito sulla cattedra che era stata di HegeL per insegnarvi la sua filosofia positiva ( 1.17), e cioe, nei suoi intenti, la filosofia della realia. La filosofia positiva e, nello Schelling dell'ultima fase, la filosofia che parte dal reale, coho non nella sua identita col razionale, rna nella sua condizione originaria, che sta prima della divaricazione tra ordine del pensiero e ordine delle cose. L'inquieto alunno non poteva non rimanere deluso, perche la realta di cui parlava il vecchio professore era anch'essa una realta pensata. Ci si trova ingannati - annoto Kierkegaard - come quando si vede nella vetrina di un rigattiere un'insegna con su scritte le parole: 'Qui si lava'. Si sarebbe infatti delusi se si volesse portare dal rigattiere Ia propria biancheria a lavare. Quell'insegna e appesa Ia soltanto per essere venduta.
Anche la realta di Schelling, come quella di Hegel, - ed e contra Hegel che la polemica di Kierkegaard si esercita con ostinazione - rimane una realta pensata, un paragrafo di un trattato sistematico che ha per suo vero tema il pensiero oggettivo, le cui articolazioni esterne corrispondono a queUe formali del pensiero puro. II pensiero oggettivo esclude l'esistente, che e per definizione un soggetto (io, tu, lui. .. ), e il pensiero puro e, si, soggettivo, rna di una soggettivita trascendentale, astratta, non attribuibile a nessun concreto esistente. Per Hegel, il singolo non e che una determinazione dell' esser uomo, e cioe il particolare di un universale. «Ma allora, obietta Kierkegaard, se l'uomo universale sta fuori di me, nella mia vita non posso che adottare il metoda di spogliarmi di tutta quanta Ia mia determinatezza». Proprio l'opposto di quanta va fatto, dato che l'universale e nella inconfondibile singolarita, per quanta questa suoni paradossale. La singolarita di cui parla Kierkegaard coincide con l'individuo interiore considerato nella sua pura soggettivita, a prescindere dal contesto delle determinazioni sociali e culturali che, per quanta innervate in lui, gli restano sostanzialmente estranee. Siamo al polo opposto a quello di un altro antihegeliano, di Karl Marx, che faceva dell'individuo un centro di raccordo di componenti oggettive, in ultima istanza economiche, anche se, a sua volta, quel centro e in grado di agire sulle sue componenti e di modificarle. Per Kierkegaard, Ia realta umana e tutta nel suo residua soggettivo, nella cifra che resta dopo che si sono fatti tutti i calcoli per spiegare l'individuo con i processi reali che lo producono. Quella che egli progetta e una 'metafisica della soggettivita', nel senso che, invece di derivare la coscienza dall'essere, colloca l'essere - l'essere uomo, naturalmente - nella coscienza del singolo. II fondamento di questa ontologia soggettiva puo essere espresso in due form ule: 1. La soggettivita e la veritil, dato che il mondo oggettivo e sprovvisto di sen so («il mondo esterno mi da nausea... Affondo il dito nella vita: essa non odora di niente») e solo l'individuo e veramente, non l'individuo esteriormente vista come unita numerica della specie, rna l'individuo come uomo cosciente delle sue categorie esistenziali. · 2. La soggettivita e ['errore, se riferita alia trascendenza di Dio, senza della quale la soggettivita non ha fondamento e dinanzi alla quale la soggettivita e necessariamente nel peccato. E' su questa seconda formula paradossale che Kierkegaard resto impegnato per tutta la sua breve esistenza, con acume di filosofo e con estro di poeta.
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4. 9 La dialettica qualltativa. E' piu facile valutare in tutta la sua originalita la posizione di Kierkegaard, se la si mette a confronto con la metafisica dell'identita, sia quella classica, di edizione aristoteli<;a. sia quella hegeliana, che di Kierkegaard fu il costante bersaglio. Per diverse che siano, le due filosofie dell'identita prevedono la perfetta riconciliazione tra il pensare e l'essere: Aristotele l'attribuisce all'Atto puro, nel quale il pensiero e le essenze, oggetto del pensiero, sono una sola cosa; Hegel la pone al termine della dialettiq:a, nello Spirito assoluto, che e il reale nella sua totalita ed e insieme l'autocoscienza del reale. In ambedue le prospettive, il singolo come tale e un elemento dell'insieme e, in ultima istanza, una quantile negligeable: secondo AIJ
Alia radice dell'illusione sistematica c' e la messa fra parentesi di quanto ha diproprio l'individuo umano, il cui modo di essere non e la necessita, e Ia possibilitti E' qui, nella possibilita, la qualita non riducibile a quantita, e percio non disponibile al gioco delle mediazioni dialettiche. Tutto dipende - scrive Kierkegaard - dal saper distinguere tra dialettica quantitativa e qualitativa. Tutta la logica non e che dialettica quantitativa, ovvero modale, perche per essa tutto 'e' e il tutto e unita e identita. Nell'ambito dell'esistenza regna invece la dialettica qualitativa.
La dialettica quantitativa e vincolata a tre momenti: il passaggio da, ~n opposto all'altro, passaggio che si da nella conciliazione degli opposti, la quale conciliazione e necessaria. Nella dialettica qualitativa vale solo la prima regola, quella del passaggio da un opposto all'altro. Ma questo passaggio non avviene
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per conciliazione, e tanto meno'·per condliazione necessaria. Avviene per 'salti', e doe secondo un processo discontinuo. Cerchiamo di sciogliere il linguaggio enigmatico di Kierkegaard, a comindare dalla sua definizione dell' individuo come possibilitii Si e gia detto che, tanto in Aristotele come in Hegel, l'individuo si definisce con l'univ:ersale: l'individuo muore, il genere umano resta; lo spirito soggettivo scompare, lo spirito oggettivo resta. Un uomo, nel registro della spirito oggettivo, e un marito, ha una professione, e cittadino di uno Stato, ha un titolo di proprieta: ecco i 'modi' che danno identita all'individuo, che danno senso razionale all'esistenza. Dinanzi a questa menzogna, Kierkegaard diviene irascibile, come per un fatto personale. La verita, egli si ostina a dire, e nel'singolo, il senso vero dell'esistenza sta prima delle sue determinazioni storiche, sta nella possibilita di essere in un modo o in un altro, di essere o di non essere. Ad esempio, Kierkegaard si era gia fidanzato in vista del matrimonib: ha rotto il fidanzamento per rientrare nella sfera del possibile. Aveva studiato teologia per diventare pastore, ina non ha mai voluto diventare pastore, per poter esser cristiano secondo l'orizzonte della possibilita, che, come diremo, e l'orizzonte proprio della fed e. «Se dovessi dpmandare un epitaffio per la mia tomba, non chiederei che: 'Quel singolo'». Quel singolo che fu Kierkegaard, per rimanere se stesso, visse paradossalmente gli opposti - l'amore e il rigetto dell'amore; lo zelo evangelico e la rinunzia a farne la sua professione - mantenendo in tutta Ia sua tensione l'arco delle possibilita. L'esistenza non e, dunque, il coso di un'essenza, non e dedudbile, cioe, dalle note che caratterizzano un'essenza. Kant aveva detto che l'idea di cento talleri non e Ia stessa cosa che cento talleri in tasca. Ebbene: l'esistenza e i cento talleri in tasca. Mentre, secondo ]' etimologia, 1' ex-sistentia non e che J'emergere (ex) dell'essentia, per quanto riguarda J'uomo l'essenza e, Secondo Kierkegaard, la stessa esistenza, le cui determinazioni non sono gia inscritte da nessuna parte rna solo nel profondo della sua liberta, sono doe possibilita. Non si da dunque un parametro razionale in base a cui giudicare le scelte umane. Quasi a ostentare i1 suo disprezzo per la coerenza, Kierkegaard fece uso di pseudonimi (come Victor Eremita, Johannes Climacus, Anticlimacus,_ ecc.), che non erano maschere con cui mantenere !'incognito, erano un'ironica maniera di mostrare l'impossibilita di identificare se stesso con un'unica possibilita. Cosi intesa, 1' esistenza non si presta a una definizione univoca, rna piuttosto a una pluralita di approcci. Ce ne offre un ventaglio, in una condsa sintesi, Karl Lowith, facendo osservare come l'illustrazione kierkegaardiana dell' esistenza, oltre a contrapporsi frontalmente al sistema hegeliano, si propane come correttivo delle tendenze dell'epoca. «L'esistenza isolata in se stessa e, in primo luogo, la realta distinta ed unica di fronte al sistema, che abbraccia in ugual modo ogni cosa, ed appiana le differenze (tra essere e nulla, tra pensiero ed essere, tra universalita e singolarita) in un essere indifferente. In secondo luogo, e Ia realta del singolo di fronte alia universalita storica (della storia mondiale e della generazione presente, della folia, del pubblico e dell'epoca), per la quale l'individuo in quanto tale non conta nulla. Essa e, in terzo luogo, l'esistenza interiore del singolo di fronte all'esteriorita dei rapporti; in quarto luogo, un'esistenza cristiana di fronte a Dio, che si contrappone all' esteriorizzazione dell' esser-cristiani nel sen so della cri-
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stianita propagata storicamente. In quinto luogo, in mezzo a queste determinazioni, essa e anzitutto un'esistenza che si decide, pro o contra l'esser-cristiani». · Nonostante questa pluralita di prospettive, e possibile fissare alcuni tratti della dialettica esistenziale. I 1. L'esistenza ha in se le ragioni del suo divenire. Far scaturire il movimento dell'esistenza dalla contrapposizione tra Essere e Non Essere, e cioe tra due idee assolutamente vuote e indeterminate, e assurdo. n passaggio al divenire reale si da, rna solo perche questo divenire precede la contrapposizione astratta. Tra l'Essere e il Nulla si inserisce surrettiziamente l'esistente, e allora si che tutto si muove, rna solo perche l'esistente e prima. 2. Ca decisione che fa passare I'esistenza da una possibilita all' altra non e determin?ta da situazioni o decisioni precedenti: in rapporto alia situazione esistente, quella decisione e discontinua, e, appunto, un salta. Il passaggio da un opposto all'altro non si da per mediazione razionale. 3. Non c'e infatti una verita razionale a cui il singolo deve rispondere o che il singolo, come erroneamente pensava Socrate, puo estrarre dal suo profondo: la verita sta dinanzi a me, e diventa verita in quanta me ne approprio, ne faccio una 'verita per me'. La verita oggettiva, indipendente dalla situazione esistenziale, e una illusione. Una filosofia che non parta da un presupposto estraneo alia filosofia e impossibile: questa presupposto e la situazione esistenziale. L'esistenza e dunque, in un sol momenta, tema e situazione da cui si parte nell'affrontarlo. Quel che decide della verita e il progetto esistenziale in cui essa viene assunta. Senza 'passione' per la verita, non si da verita: e quanta ignorano gli uomini del sistema. La passione proporzionata alia verita di Dio, che alla ragione appare come assurda, si chiama fede. 4. La passione presuppone un interesse; quel che decide di tutto e !'interesse che anima l'esistenza. L'interesse per la verita di Dio annulla ogni altro interesse; la soggettivita dell'interesse assoluto annulla l'oggettivita della Storia in cui, come diremo subito, ha sostanza la scelta etica. Qui ha radice la ripugnanza di Kierkegaard per ogni forma di impegno associativo, che a suo giudizio finisce con l'appiattire il singolo sulla mediocrita della volonta generale, i cui obiettivi, se non sono materiali, sono alienanti perche menzogneri, come, per fare un esempio, l'obiettivo dell'uguaglianza in questa mondo Ia cui essenza e Ia disuguaglianza. 4.10 I tre stadi dell'esistenza. La filosofia, dunque, non e ricerca conoscitiva, e impegno ad esistere, e ad esistere dentro 1' orizzonte che ha al suo centro il singolo in quanta tale. Sospeso tra l'essere e il nulla, il singolo non puo non scegliere, e le sue scelte non possono hegelianamente addizionarsi (et-et), perche, in rapporto alia spinta fondamentale da cui il singolo e mosso, le scelte si presentano come esclusive una dell'altra (aut-aut). La spinta e l'angoscia, come vedremo subito diffusamente. La linea dirimente che determina due sfere distinte, o due stadi l'uno successivo all'altro, e quella etica: prima, nel versante dell'immediatezza irresponsabile, c'e l'uorho estetico, dopa (rna e un dopo che sottintende tina frattura, non una tranquilla transizione), c'e l'uomo etico. 1. Lo stadia estetico non riguarda propriamente l'arte come attivita o come prodotto. Kierkegaard chiama estetico l'atteggiamento che com_;;3iia la man-
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canza di implicazione nell"L·sistenza, il distacco. La piu perfetta espressione della stato estetico e il Don Giovanni di Mozart: puro abbandono al rapporto fruitivo con la realta, prima che vi scenda sopra l'ombra della legislazione morale o giuridica. 1 I tre personaggi archetipi della fase estetica sono: l. l'ebreo errante, l'uomo senza patt;a, che mai si arresta perche mosso dalla nostalgia della patria: ogni zolla che calpesta e una tappa verso un 'altrove' che di continuo si sposta; 2. Faust, che si avventura in modo demoniaco, emulo di Dio, nella ricerca del sapere, manomettendo, reso seduttore dal suo spirito corrotto, la fresca semplicita di Margherita; 3. D0J1 Giovanni, l'eroe mozartiano, l'avventuriero dell'eros, per il quale ogni donna non e ch~ una tappa della sua insaziabile ricerca della Donna in se . A qualsiasi tipo appartenga, l"uomo estetico' riduce l'esistenza a una successione di esperienze in cui il tempo si frantuma in istanti irrelati, in cui il divenire e fine a se stesso e la meta e dovunque e in nessun luogo. II risvolto vero dell' esistenza estetica e la disperazione. La fuga dalla noia, la cui matrice e la ripetizione, in cerca del sempre nuovo, si tramuta in un crescente senso della vanita delle cose. Quando questa frivolezza dell'esistenza e messa a contatto con la serieta dell'esigenza etica, quando il finito e messo a contatto con l'infinito, abbiamo l'ironia, categoria esistenziale che Kierkegaard ha molto studiato, facendone una specie di preludio etico all'interno della dissipazione estetica. Ma il passaggio allo stadia etico si ha con un salto di qualita, perche l'etica non e affatto un momenta piu alto (come nella dialettica quantitativa) dell'estetica, e il suo opposto. 2. Nello stadia etico, infatti, l'uomo sceglie di vivere l'infinito dentro il finito: Don Giovanni mette su casa! L'uomo etico e il marito, padre di famiglia, dedito al suo lavoro e ai suoi doveri civici. Col matrimonio, l'uomo stabilisce un'armonia tra la natura e la cultura. Qui Kierkegaard accetta la lezione di Hegel sul valore delle istituzioni che aprono al singolo lo spazio per accedere all'universalita dei valori morali. L'Assessore Guglielmo (nella finzione kierkegardiana e lui, questa tranquilla incarnazione dell'etica hegeliana, che ha la parola, in forma epistolare) e l'archetipo della serieta morale e civica. II tratto tipico dell'uomo etico e la sua decisione di porre in essere, con tutta Ia serieta, l'alternativa tra il Bene e il Male, mentre l'uomo estetico pretende di vivere al di la del Bene e del Male. Come l'ironia anticipava, nella sfera estetica, la severita della stadio etico, cosi 1' humour anticipa, nella vita morale, il rivolgimento radicale che si ha nello stadia religioso. L' humour nasce anch' esso dal sentimento del limite, rna senza la Iucida freddezza dell'ironia. Anzi, dentro l' humour c'e sofferenza e simpatia per l'oggetto su cui esso si esercita, e cioe per questa o quell'aspetto della realta etica in cui scorge i prodromi del fallimento. Difatti, il calore con cui Kierkegaard - l'uomo che non ha voluto ne il matrimonio ne la professione - sembra far sue le tesi di Hegel sullo Spirito oggettivo e un calore sospetto. La scelta di se e la vera sostanza della vita etica, la cui universalita e dunque pura parvenza! Prima o poi, la scelta di se finisce col generare il sensa di colpa e la prc~o2nsione al male.
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3. Lo stadio religioso e infatti reso possibile dalla coscienza della colpa, che prende forma concreta proprio in quella oggettivita finita in cui, nella fase etica, l'uomo si era illuso di realizzare l'infinito. La scelta religiosa e la nuova possibilita che si apre in risposta alla situazione di peccato. Kierkegaard distingue due tipi di teligiosita, che chiama 'religiosita A' e 'religiosita B', rappresentate rispettivamente da Socrate e da Gesu. La religiosita socratica e quella che presuppone la presenza della verita in ogni essere umano. Socrate, mediante I'ironia e la maieutica, porta all' evidenza cia che e gia nell'intimo dell'uomo, rna non fa dell'uomo un'altra persona, non lo tra#orma. La trasformazione avviene invece con la religiosita B: e cioe quando l'uomo riconosce Dio al di fuori di se, in Gesu Cristo. Hegel aveva risolto 0esu Cristo all'intemo del processo dello Spirito assoluto, il quale, in ultima !stanza, prendeva, nel suo sistema, il posto del Dio trinitario. In Hegel, in · ragione della sua filosofia dell'identita, Dio e tutto: «in questa maniera anche il cuculo puo essere Dio)). Ma un Dio siffatto e come quello di Socrate, non salva. Il Dio vero ha preso lui l'iniziativa di farsi avanti verso l'uomo, e di farsi avanti con un 'salto', inviando suo Figlio. Se la risposta religiosa e al livello di questa decisione di Dio, diventa fede. E nella fede l'angoscia e vinta. 4.11 II paradosso cristiano. La fede non va dunque confusa con la religiosita mistica o filosofica, nella quale Dio, o meglio l'idea di Dio, viene tratta maieuticamente dall'intimo dell'uomo: la fede e una scelta proporzionata al 'salto' discensivo di Dio, e proprio per questo comporta, a sua volta, un salto, che non e nelle possibilita dell'uomo, e anch'esso un prodotto dell'iniziativa di Dio. Il principia della fede sospende radicalmente ,il principia dell'ordine etico, come appare in tutta evidenza dal racconto biblico del sacrificio di Abramo. La situazione di Abramo in procinto di alzare il coltello sui figlio Isacco e diversa da quella dell"eroe tragico', come Agamennone, o, per restar nella storia giudaica, come Jefte, che sacrificarono l'uno e l'altro la figlia, in obbedienza a un voto fatto alla divinita. L'eroe tragico resta nella sfera etica, nel senso che il suo comportamento e conforme alla Iegge morale, sia pure intesa nel suo estremo limite di razionalita. Nell'episodio di Abramo, invece, la Iegge morale sopravvive al piu nelle viscere di Isacco, il figlio della promessa, che avrebbe potuto gridare al padre: 'Fermati, annienteresti tutto!'. Ma il gesto di Abramo scavalca lo stadio etico, nel senso che mette in sospensione la legge morale, in cui si fa precetto di non uccidere nessuno, tanto meno il figlio, e la mette in sospensione in nome di un rapporto assolutamente personale con l'Assoluto. Di fronte al tribunale dell'ordine etico, Abramo «avrebbe dovuto essere processato e condannato come un assassino)). E di fatto, il suo gesto rimane non giustificabile, assurdo: «io posso comprendere l'eroe tragico, rna Abramo io non posso comprenderlo, benche, in un certo senso pazzesco, io lo ammiri al di sopra di tutti gli eroi)). OgnL tentativo di mediare razionalmente la decisione di Abramo e vano: essa non potra mai essere giustificata, perche il principia che ne fa una decisione santa non rientra nella serie dei principi su cui si fonda l'ordine morale. Il fondamento di quel principia e nella sfera della fede, in cui nessuno entra mai in compagnia di altri: l'uomo vi entra solo, dinanzi a Dio solo. Nemmeno due uomini di fede potrebbero capirsi l'un l'altro: «l'uno farebbe un comico
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effetto sull'altro, poiche nessuno dei due potrebbe esprimere direttamente l'interiorita nascosta». L'incomunicabilita della fede e uno dei temi piu paradossali della appassionata polemica kierkegaardiana, che ha come bersagli principali coloro che presumono di far carriera con una professione che implica, gia di per se, l'eliminazione del paradosso, vale a dire la morte della fede, come quella di maestro di cristianesimo o di pastore. La solitudine non e solo una dimensione interiore dell' esperienza di fede, e, nei confronti del mondo, una radicale impossibilita di comunicarla per altra via che quella ddla testimonianza. Ma allora non si puo barare, come fece il pastore Ma:rten~en nel qualificare il defunto pastore Mynster come ((vero testimone della verita». Indignato, Kierkegaard protesto con un articolo in cui ricordava che i tesfimoni devono rassomigliare a Cristo, morto nudo, coperto di sputi, abbandonato da tutti. La sua polemica contro Ia chiesa danese, e piu in genere contro la chiesa divenuta un apparato sacro della societa, non conosce moderazione, specie nell'uso del sarcasmo: (<Sono in possesso di un libro, scrisse una volta, che in questo paese puo dirsi sconosciuto e di cui voglio quindi dare il titolo: 'il Nuovo Testamento di nostro Signore e Salvatore Gesu Cristo'». Lo scopo dei 'maestri' e dei 'pastori' e di conciliare Dio col mondo, ponendosi cosi sulla strada al cui sbocco estremo non c'e che Hegel: (
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,J:gnorandone le determinazioni, Adamo possiede il suo potere nella forma della pura possibilita: l'esperienza interiore di questa possibilita e appunto l'angoscia. L'angoscia non va confusa con la 'necessita' del fatalismo, antico e moderno, ne con la liberta astrattamente intesa, il libero arbitrio. Essa e compresenza, nello spirito, del poter essere e del poter non essere, con in pili la consapevolezza che ogni scelta, lungi dall'annullare l'angoscia, non fa che determinarne i modi e le ragioni, quale che sia Ia direzione della liberta, sia che Ia scelta, degradando verso la banalita o la volgarita, faccia pagare ]a diminuzione dell'angoscia con un rinsaldarsi della prigionia dell'uomo nella morsa delle circostanze passionali o sociali, sia che, aprendosi direttamente verso Dio, l'uomo riconosca la sua dipendenza da Lui e nello stesso istante la propria condizione di peccato. Di questa analisi, a volte dall'andamento piuttosto enigmatico, restera, come prezioso ingrediente della riflessione filosofica successiva, il nesso tra angoscia e possibilita. Per una coscienza banale, ecco l'idea kierkegaardiana ereditata dalla cultura, la realta sembrerebbe gravosa e la possibilita leggera. E' vero invece l'inverso: per grave che sia, la realta non lo sara mai come la possibilita. Anche la realta dei forni crematori di Auschwitz e meno grave del possibile che si para dinanzi all'uomo. L'angoscia emerge nell'orizzonte delle possibilita che raccordano l'uomo al mondo: quando essa riguarda il rapporto ddl'uomo con se stesso rliventa disperazione. La disperazione e il 'vivere Ia morte dell'io'. Infatti, essa insorge dal rapporto che l'io ha con se stesso, sia quando questo rapporto si orienta nel senso dell'autosufficienza, perche allora l'io urta contro la parete dell'impossibilita, sia quando si orienta verso l~nnientamento di se, perche anche questo sforzo si dimostra vano. E' qui la malattia mortale, dalla quale non c'e scampo, se non nel riconoscere la propria dipendenza da Dio. In questa dialettica prende rilievo e delimitazione un concetto di fondo della filosofia kierkegaardiana, quello di peccato. Si e detto, parlando di Adamo, che l'angoscia e il sentimento delle possibilita che si aprono attorno all'uomo. Ma l'uomo non vive nell'immobilita dell'eterno, vive nel tempo, nel fiusso della storia, che e trapasso da uno stato ad un ::>!tro. Questi stati non sono tra loro in rapporto di continuita: tra l'uno e l'altro insorge, come una verticale che taglia I'orizzontale, la presa di posizione verso la Trascendenza. Il peccato e la presa di posizione negativa, lo scegliere i contenuti finiti delle situazioni che si succedono sull'orizzontale. Questa negazione dell'eterno puo essere, a sua volta, negata, e allora abbiamo la scelta positiva. L'istante (altra categoria di gran rilievo in Kierkegaard) che tutto decide e nel punto di incrocio tra l'orizzontale del divenire storico e la verticale della Trascendenza: e in questo punto, di continuo posto dalle due dimensioni, che l'uomo vive la sua salvezza o la sua perdizione. Tra un momento e l'altro del divenire storico, Hegel poneva il luogo di conciliazione della sintesi, ritagliato anch'esso nella orizzontalita dell'immanenza; in Kierkegaard, tra un momento e l'altro non c'e conciliazione possibile se non nella verticale, lungo la quale avviene la trasformazione dell'angoscia in fede.
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4.13 II cavaliere della fede. La dialettica dell'esistenza nei suoi terrmm estremi si svolge, dunque, al di la della sfera etica, e ha il suo luogo di risoluzione nell'istante in cui dall'angoscia si trapassa alia fede nel Dio totalmente altro, resosi accessibile in Gesu Cristo. L' opposto del peccato non e la virtu, e la fede, la quale, a causa del nesso che la stringe al suo opposto, conferisce al peccato una densita che non e di tipo morale, rna esistenziale; il peccato e l'opzione del finito come contenuto dell'esistenza, e ~ggrapparsi del singolo ai modi della finitudine. In tal maniera, egli si illude di uscire fuori dell'orizzonte delle possibilita che generano angoscia e di posare i piedi sulla terra salida delle certezze storiche, scientifiche, razionali. Ma si tratta di una terra tutt'altro che salida: essa nasconde sotto di se il vuoto della perdizione. Solo nel salta della fede il singolo si salva, perche si afferra al principia di tutte le possibilita, che e Dio, per'il quale niente e impossibile. Non che si debbano chiedere a Dio le sicurezze che il finito non ha saputo darci: la zona in cui Dio abita e il rischio, e l'incertezza, e la solitudine del Cristo sulla Croce, 'abbandonato dal Padre'. Questa Dio non puo essere oggetto di dimostrazione, come lo e il Dio dei filosofi. Niente di piu sacrilego di quanta ha fatto Hegel quando ha tradotto gli eventi della fede in concetti del suo sistema, inserendo cosi i momenti della Rivelazione del Dio delle possibilita dentro le maglie della necessita. In tal modo, egli ha svuotato lo scandala della Croce, che invece e il punto saldo della fede ed e Ia misura dell'autentico cristianesimo. Kierkegaard considera se stesso, sui modello di Abramo, un 'cavaliere della fede', che deve abbattere gli idoli e spezzare, con netti fendenti, i legami che soffocano Ia fede dentro le bende della 'cultura cristiana', della 'filosofia cristiana' e della dogmatica. II pascola della fede e l'inverosimiglianza del mistero di Dio, Ia sua totale Diver_sita, che si incontra la dove non giungono i sentieri della ragione. Per Kierkegaard, nessuna mediazione ha sensa tra il singolo e il Cristo: non quella scientifica, messa in atto dall'indagine filologica sui sacri testi, non quella razionale, in uso tra i cattolici o peggio tra gli hegeliani, non quelia storica, che consiste nel ritornare a Cristo lungo i tramiti delle tradizioni custodite dalle chiese. «Non vi sono discepoli di seconda mano», cioe discepoli che entrano alia sequela di C1 isto sulla base delle indicazioni trasmesse dai suoi contemporanei. La fede si accende nell'istante che sta fuori del tempo, dato che, ecco il paradosso, «la verita eterna e nata nel tempo», e quindi attraversa i millenni annullandoli in se. Fuga dalla storia? Nell'analisi di Kierkegaard l'atto di fede consta di due momenti; nel primo, l'uomo, riconoscendo la sua situazione negativa, tende al positivo, si apre cioe al Dio di Gesu Cristo, emergendo dalla durata storica e lasciandosi cadere di dosso il mantello della temporalita; nel secondo, egli ritorna dalla verticale all'orizzontale, come Abramo che discese dal monte insieme ad Isacco per reinserirsi nella sua vita di sempre, con animo diverso. Dentro la ferialita del vivere quotidiano il credente diventa un testimone. Ma questa recupero della temporalita non e tale da ristabilire i valori della storia come se essi avessero in se consistenza, come se la loro trama fosse tessuta, secondo le pretese di Hegel, dalla ragione, in modo che i suoi i passaggi riproducano le articolazioni della logica. Se gli eventi, prima del loro accadere, sono soltanto possibili, e cioe contingenti, una volta accaduti restano tali: an-
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che. il passato e possibile, come dire che non ha nessun carattere di necessita e quindi non puo rientrare in una spiegazione razionale. Perfettamente coerente alia sua scoperta del 'singolo', Kierkegaard rigetta ogni pretesa di costruire una filosofia della storia. L'importanza di Kierkegaard non e, dunque, soltanto nell'aver condotto un implacabile attacco contra l'hegelismo, e anche nell'aver creato, per prima, una filosofia dell'esistenza che nel nostro secolo, nella fase di dissolvimento sia delle visioni sistemafiche del mondo che delle teologie dogmatiche, avrebbe trovato Ia stagione della sua massima fecondita.
Nietzsche 4.14 Dioniso e Apollo. Anche Friedrich Nietzsche*, come sant'Agostino, Lutero e Malebranchc, scopri la propria vocazione leggendo un libra: Un giorno trovai !'opera di Schopenhauer, Il mondo come volonta e come rappresentazione, nella bottega del vecchio Rohn. Non Ia conoscevo affatto: cominciai a sfogliarla. Non so che demone mi suggerisse: comprati il libro,
Friedrich Nietzsche nasce il 15 ottobre 1844 nel villaggio di Rocken, in Sassonia, dove il padre e pasture luterano. Morto il padre, Ia madre si sposta, con Friedrich appena cinquenne e la sorellina Elisabeth, a Naumburg. Nel 1858 egli inizia i suoi studi medi nel Collegia Nazionale di Pforta, terminati i quali, nel 1864, si iscrive, per volonta della madre, alia facolta teologica di Bonn. Interrompe gli studi di teologia e si iscrive a Filologia nell'Universita di Lipsia, dove ha per maestro il grande filologo Friedrich Ritschl e per condiscepolo Erwin Rohde. Nel 1869, non ancora laureato, ottiene, su proposta di Ritschl, la cattedra di filologia greca all'universita di Basi/ea. Non ha successo: alle sue lezioni sono presenti 4 alunni, fra cui un tappezziere digiuno di greco. In compenso, stringe importanti amicizie, come quella con Jacob Burckhardt, col teologo Franz Overbeck e soprattutto con Riccardo e Cosima Wagner, che abitano, in questa periodo, presso Lucerna. Nel 1872 esce il suo prima libra, La nascita della tragedia. L 'anna dopa ha inizio Ia misteriosa malattia il cui sintomo continuo e l'emicrania, che lo costringe a vagare alla ricerca di un cielo clemente, che per lo piil trova in ltalia. Nell'estate del 1876 le prime delusioni su Wagner, col quale rompe clamorosamente nel 1878, con la pubblicazione di Umana, troppo umano (1878). «L 'au tore, scrivera ad un amico, ha cambiato pelle». La salute peggiora e si dimette dall'universitil, che gli concede una pensione annua di 3000 franchi svizzeri. Nel 1882, a Roma, fa conoscenza con Lou Salome, una ventiquattrenne finlandese tanto intelligente quanto ambigua. Ne nasce un idillio di breve durata, nel cui fallimento ha il suo peso anche Ia gelosissima sorella Elisabeth. Per guarire dalla delusione seende da Lipsia a Santa Margherita Ligure dove, nella prima meta del gennaio 1883, compone, quasi ispirato, Ia prima parte di Cosl parlo
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Zaratustra. Seguo;;o anni di continui !J.Ilostamenti e di attivita creativa incalzante. NeZ 1888 soggiorna a Torino e se ne innamora. Il 3 gennaio dell'anno successivo, il prima accesso di demenza. Viene affidato alia madre, a Naumburg e, marta questa nel 1897, alia sorella Elisabeth a Weimar, dove muore il 25 agosto 1900. 1.
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Possiamo distinguere tre periodi nella sua attivita produttiva.· Il periodo che possiamo chiamare wagneriano:
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1872 - La nascita della tragedia 1873 - 1876 - Quattro considerazioni inattuali
2. Il periodo in cui predomina lo spirito scettico, antimetafisico, positivista.· 1878- Umano, troppo umano 1881 -Aurora 1882 - dtill Sfienza
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3. NeZ terzo periodo, all'atteggiamento critico si accompagna una crescente vivacita creativa: 1883- Cosi parlo Zaratustra 1886 - Al di la del bene e del male 1887 - Genealogia della morale 1888-11 caso Wagner Il crepuscolo degli idoli L' anticristo Ecce homo Appunti per la volonta di potenza
Gli ultimi libri escono postumi Finche non lo invade la notte della follia, Nietzsche non conosce nessun successo di pubblico (del Cosi parlo Zaratustra si vendettero, nel 1883, 60 copie!), ma negli ultimi anni del secolo il suo messaggio desta un 'eco crescente. A favorire una certa lettura di que! messaggio fu senza dubbio l'iniziativa della sorella Elisabeth, maritata Forster, un 'accesa germanofila, che ordino i 1067 frammenti scritti dal fratello nell'ultimo decennia di vita cosciente, e da lui destinati alia costruzione del suo capolavoro, con tagli e agg1ustamenti ispirati a un criteria di lettura espresso poi nel titolo dell'opera postuma, La volonta di potenza. Saggio di una trasmutazione di tutti i valori, uscita in forma definitiva nel 1906. E' questa il profilo di Nietzsche di cui si e servito il nazismo per far riconoscere in lui un suo precursore, ma di cui, in antitesi simmetrica, si e servito anche un geniale interprete come Georgy Lukacs nella sua Distruzione della ragione da posizioni ideologiche marxiste (8.12). Solo a partire dal 1956 (l'anno in cui uno studioso di Nietzsche, Karl Schlechta, pubblica i frammenti senza tener canto della manipolazione di Elisabeth) due filologi italiani, Giorgio Colli (nel frattempo defunto) e Mazzino Montinari, hanna avviato un'edizione critica di tutto Nietzsche, che sta uscendo simultaneamente in Germania, in Francia e in Italia e che dovra ricondurre Ia congerie dei frammenti a una piil esatta collocazione, con riflessi importanti, naturalmente, sulla comprensione dell'enigmatico filosofo del superuomo.
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Jortatelo a casa. Cosi feci, contro Ia mia abitudine di non comprare mai un libro avventatamente. A casa mi gettai sui sofa col tesoro conquistato e mi abbandonai all'azione di que! genio potente e cupo.
Era il 1865, !'anna in cui Nietzsche aveva iniziato a Lipsia i suoi studi filologici. La sua vocazione filosofica si scavo Ia propria strada dall'intemo delle questioni filologiche, anzi di una questione che sta a! punta d'incontro tra filologia e storia della cultura, quella sui significato della grecita. Nel libra di Schopenhauer c'e un passo che ha avuto probabilmente una sua efficacia rivelativa sui giovane filologo: Come sull'infuriante mare che, per tutti i lati infinito u.lulando montagne d'acqua innalza e precipita, siede in barca il navigante e se affida al debole naviglio; cosi siede tranquillo, in mezzo a un mondo pieno di tormenti, il singolo uomo, poggiando fidente sui principium individuationis.
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E' il brano riportato da Nietzsche nell'opera che inaugura Ia sua produzione filosofica, La nascita della Tragedia, per definire que! principia apollineo che, nel suo nesso col principia dionisiaco, ci da Ia chiave per intendere, appunto, la grecita. II singolo uomo, che se ne siede tranquillo sui suo naviglio nel mezzo del mare in tempesta, e Apollo, il clio nel quale hanno trovato espressione sovrana Ia fiducia imperturbabile nel principio di individualiia, la saggezza dell'apparenza e Ia bellezza delle forme. II naviglio in cui l'uomo siede tranquillo e fragile: basta che un'onda lo sovrasti, o che il vento investa le sue vele, perche il terrore assalga il navigante. Fuori metafora: quando hanno la meglio le regale con cui mette disciplina e finalismo nella realta facendone una rappresentazione centrata sui suo io ( sui 'principia di individuazione'), l'uomo e partecipe della serenita simboleggiata dagli antichi greci nello 'splendente Apollo'. · Ma la rappresentazione della realta non e la realta. La realta si conosce per immersione; tuffandosi nell'oscura potenza dell'oceano, e cioe nell'infinita della volonta di vivere, l'uomo apre i propri recessi interiori all'impeto degli istinti, e la natura festeggia il ritomo del figlio prodigo riversando su di lui, come sui carro di Dioniso, i fiori e i frutti della terra. «Si tramuti, scrive Nietzsche, l'Inno alia gioia di Beethoven in un quadro dipinto» e si avra la giusta imtmtgine della 'fascinazione dionisiaca'! E' «come se il velo di Maia fosse squarciato e svolazzasse non piu che in brandelli, davanti al mistero dell'Uno primigenio». II caleidoscopio delle immagini con cui Nietzsche descrive, quasi da ebbro, l'uomo dionisiaco, fa pemo su di un problema di ordine storiografico che ha accompagnato la cultura modema fin dalle sue origini: in che consiste la classicita grecolatina? E piu radicalmente: in che consiste la differenza specifica della cultura modema in quanta erede della cultura classica? A suo modo, Nietzsche risponde: andando a ritroso fino alia cultura dell'Ellade, ci si incontra con una soglia,che divide, al suo intemo, !'eta dionisiaca e quella apollinea, !'eta delle origini, che si chiude con la tragedia di Eschilo e di Sofocle, e !'eta della decadenza, che si apre con Euripide e Socrate. Prima, non si e ancora avverato lo stacco tra l'intelletto e la vita, tra la rappresentazione concettuale e Ia volonta di vivere. Per contestare Hegel e tutto cio che Hegel rappresentava, Schopenhauer
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aveva fatto pellegrinaggio sulle rive del Gange, anzi aile sorgenti dei fiumi sacri dell'India, dove nacque Ia cultura protovedica. Nietzsche Jo segue in questa fuga dall' occidente, e anche lui si abbandona al richiamo di quel continente della spirito che sta prima non solo della soglia socratica, rna anche dell'eta della tragedia greca. In una sua lettera all'amico Peter Gast, del 31 maggio 1888, Nietzsche fa questa confessione singolare: Devo a queste ultime settimane l'acquisto di una cognizione essenziale: ho scoperto le 'Leggi di Manu' in una tradu?ione francese, eseguita in India sotto il diretto controllo di eminenti sacerdoti e di eruditi indiani. Questa prodotto, squisitamente ariano, un codice sacerdotale di morale, basato sui Veda, sui concetto delle caste, e su antichissime tradizioni, non pessimista, per quantC':> sempre sacerdotale, completa in modo m~raviglioso le mie idee intorno alia religione. Confesso la mia impressione: tutto il resto che possediamo in fatto di legislazione etica mi pare ormai un'imitazione e talvolta una caricatura di queste leggi: anzitutto l'etica dell'antico Egitto. Ma persino Platone, in tutti i suoi concetti essenziali, mi sembra ormai semplicemente un huon alunno che un bramino abbia ammaestrato!! Gli ebrei mi appaiono come una razza di tschandala (paria) che apprende Ia sua morale dai dominatori; a sua volta una casta sacerdotale se ne impossessa e organizza il popolo. Anche i Chinesi direi che abbiano prodotto il !oro Confucio o il !oro Lao-tse sotto l'impressione di quest'antichissima classica raccolta di leggi. Quanto all'organizzazione mediovale mi pare un procedere a tastoni verso Ia riconquista di quei concetti su cui riposa saldamente l'arcaica societa indoariana, coll'aggiunta di valori pessimistici che trovano Ia !oro origine nella decadenza delle razze. Anche qui gli ebrei appaiono come 'intermediari': non inventarono nulla.
E' bene ricordare Ia data di questa lettera: siamo gia alla vigilia della follia, quando si accentuano in Nietzsche i sintomi di una mania euforica che lo spinge a simpatizzare con le espressioni della spirito radicalmente opposte alia civilta occidentale e al cristianesimo, a cui la lettera allude dove parla degli 'ebrei'. 11 viaggio di Nietzsche verso l'oriente - un viaggio in cui egli incontrera anche l'antico Zaratustra (1.1.23-24), facendone il proprio portavoce - non ha niente di scientificamente fondato, e soltanto la metafora di un altro viaggio, che avrebbe dovuto condurlo idealmente al di fuori della decadenza del mando di cui si era fatto l'araldo apocalittico. Mi sento l'erede di parecchi millenni, aveva scritto l'anno prima, nel 1887. L'Europa odierna non suppone neppure vagamente intorno a che terribili soluzioni si volga la mia persona; a qual ruota io sia avvinto e quale catastrofe, di cui soil nome, senza poterlo rivelare, si prepari per me.
La religione da cui prorompono messaggi come questa e, in apparenza, una religione orgiastica, che afferma la _vita senza nessun frena, alia maniera dei grandi del Rinascimento di cui Burkhardt aveva disegnato a tutto tondo la 'virtu', intesa secondo il codice di uno di lora, Niccolo Machiavelli. II principia dionisiaco e appunto in questa vitalita miticamente recuperata, al di Ia di ogni suo successivo imbrigliamento, in una mistica assolutezza, che e piuttosto un orizzonte della immaginazione che non un luogo della storia. Ma in realta il si rinascimentale aile passioni equivale, in Nietzsche, a una volutta della catastrofe delle strutture portanti della civilta esistente. «lo non sono un uomo, sono
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una dinamite» scrivera neli'Ecce homo. II disconoscimento di ogni limite umano, prima fra tutti quello della morte, equivale formalmente all'affermazione dell'infinito, rna in realta al dissolvimento delle categorie etico-razionali con cui l'uomo si rapporta al mondo. Di conseguenza, l'ottimismo dionisiaco si capovolge in un radicale pessimismo, il cui risvolto costitutivo e la polemica contra l'ottimismo della ragione, che basa il sensa della vita sui compito morale. Socrate, «questa ateniese, spirito maligno e ammaliatore», e il prototipo dell'ottimismo razionale, lui che sui punta di morte disse a Critone: 'Sono in debito di un galla ad Esculapio'. «Queste ridicole e terribili 'ultime parole' significano, per chi ha orecchi: '0 Critone, la vita e una malattia'». L'analogo di Socrate, sui piano della poesia, e Euripide, che rappresenta una societa gia organizzata secondo categorie morali che consentono una razionale distribuzione di identita. Con Socrate ed Euripide nasce l'uomo eticoteorico, l'uomo che costruisce un mondo con le misure della ragione e ne espelle tutto cia che in queUe misure non rientra. Nasce con lora la Grecia di maniera, quella a cui per solito ci si riferisce quando, sulla scia del Winkelmann, si cercano i modelli classici dell'arte e della filosofia. Guarita dalla follia, la Grecia entro allora sotto il segno della serenita apollinea. Da allora, scrivera Nietzsche nella premessa alia seconda edizione de La nascita della tragedia, del 1886, i greci si fecero sempre piu ottimisti, superficiali, istrionici e anche pm smaniosi per Ia logica e Ia logicizzazione del mondo, cioe, a un tempo, 'piu sereni', 'piu scientifici'. Non potrebbe essere forse Ia vittoria dell'ottimismo il predominio della razionalitii, l'utilitarismo pratico e teorico, come Ia democrazia stessa di cui esso e contemporaneo, un sintomo di forza declinante, di vecchiaia approssimantesi, di affaticamento fisiologico, a dispetto di tutte le 'idee modeme' e di tutti i pregiudizi del gusto democratico?
Ecco chiaramente posto il rapporto di continuita tra la Grecia socratica e l'Europa fine Ottocento, con le sue tavole di valori, prima fra tutti la democrazia. C'e stato un momenta, ammette Nietzsche, in cui questa continuita si incrino. Fu quello legato al binomio Kant-Schoperihauer: Alia prodigiosa valentia e sapienza di Kant e di Schopenhauer era riserbata Ia piu ardua vittoria, Ia vittoria sull'ottimismo, celato nell'essenza della logica, e che e, insieme, lo sfondo della nostra cultura. Laddove l'ottimismo, fondandosi sulla sua fede nelle veritates aeternae indiscutibili, aveva creduto alia conoscibilita e alia esauriente penetrazione di tutto !'enigma dell'universo, e aveva considerato lo spazio, il tempo e Ia causalita come leggi del tutto assolute, di valore universalissimo, Kant paleso che queste servono propriamente a niente altro che ad elevare il mero fenomeno, !'opera di Maia, ad ~unica e suprema realta e sostituirlo all'intima e vera essenza delle cose.
Ma, quando scrive la premessa all'edizione della Nascita della tragedia del 1886, Nietzsche ha gia abbandonato questa linea genealogica: Kant e Schopenhauer gli erano stati utili per dire case totalmente nuove e, riconosce Nietzsche, sicuramente estranee al lora pensiera e al lora gusto. La sua teoria della 'decadenza' ha gia subito una decisiva trasformazione.
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4.15 La malattla storica. Prima che Euripide introducesse, nella potente vitalita dei Greci dell'eta della tragedia, il vizio della distinzione tra il bene e il male, tra il lecito e l'illecito, e Socrate quello della pretesa di fermare la verita nel concetto, non era ancora venuta alla luce la qualita della spirito che noi chiamiamo 'sensa della storia'. La storia i Greci la facevano, con potenza plastica, assorbendo nell'attimo vitale il proprio passato, senza bisogno delle fredde e oggettive ricostruzioni della memoria. II rapporto che un uomo o un gruppo ha con il proprio passato e veramente utile quando e quello dell'oblio, dalla cui notte emerge, come mediazione conoscitiva, il mito. Il senso storico e vevuto dopo, come forma specifica della decadenza avviata nell'eta socratica. E' quanto Nietzsche spiega nella seconda delle sue · Considerazioni inattualz: uscita nel1874 col titolo Sull'utilitd e il danno degli studi storici per Ia vita. 11 senso storico, cosi come e stato inteso dalla Grecia classica fino a Hegel, e pili ancora fino agli storici positivisti del secondo Ottocento, e in se stesso nemico della vita, perche presuppone e produce il ripiegamento dell'io, individuale o collettivo, su se stesso, allo scopo di costruire una trama della memoria che abbia gli stessi tratti di oggettivita che la scien7.a costruisce con successo riguardo al mondo fisico. Ci si puo rivolgere al proprio passato in pili modi, e ciascuno di essi, osserva Nietzsche, da luogo a un particolare tipo di storia. Si ha' la storia di tipo monumentale, quando si intende creare qualcosa di nuovo di cui mancano i modelli nel presente e allora si ricercano nel passato. Si ha la storia antiquaria, quando ci si vuole attenere a cio che si venera per abitudine o per tradizione. «Soltanto colui che un'angoscia presente opprime e che vuole a tutti i costi liberarsi dal fardello, ha bisogno della storia critica, di una storia che giudichi e che condanni». Se l'uomo modemo «soffre di debolezza della personalita», cio e dovuto a una saturazione di cultura storica, prodotta dai primi due atteggiamenti. Supponiamo che una di queste 'enciclopedie ambulanti' da noi chiamate persone colte si venga a trovare, per incantesimo, fra i greci dell'eta presocratica: resterebbe inorridito dalla loro incultura e rozzezza; viceversa, se uno di quei greci venisse a trovarsi tra gli uomini d' oggi, cosi stipati di notizie sul passato e cosi scrupolosi nel distinguere queUe esatte da quelle infondate, non saprebbe trattenersi dalle risa. La soppressione degli istinti per mezzo del sensa storico ha reso gli uomini pure astrazioni, ombre vaganti: «nessuno osa pili esporre la propria personalita rna ciascuno prende la maschera di uomo colto, di datto, di poeta, di uomo politico». Si tratta, se giudicati secondo i parametri dominanti, di persone ragionevoli fino, se si vuole, all' eccellenza, «rna solo nel sen so in cui Schiller parla degli uomini ragionevoli: uomini che non vedono cio che anche un bambino vede, che non sentono cio che anche un bambino sente». In cinque riguardi - spiega Nietzsche in un denso passaggio - mi sembra che la saturazione di storia di un'epoca sia ostile e pericolosa per la vita: da un tale eccesso viene prodotto que! contrasto fra esterno e interno di cui si e finora parlato, e da esso la personalita viene indebolita; per questo eccesso un'epoca 9de nella presunzione di possedere la virtu piu rara, la giustizia, in grado piu alto di ogni altra epoca; da questo eccesso gli istinti del popolo vengono turbati, e al singolo non meno che alla totalita viene impedito di maturare; da questo eccesso viene istillata la credenza sempre dannosa
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nella vecchiaia dell'umanita, la credenza di essere frutti tardivi ed epigoni; per questo eccesso un'epoca cade nel pericoloso stato d'animo dell'ironia su se stessa e da esso in quello ancora piu pericoloso del cinismo; rna in tale stato d'animo un'epoca va sempre piu maturando verso una prassi furba ed egoistica, da cui le forze vitali vengono paralizzate e alfine distrutte.
Si puo reagire contra il soffocamento della vita da parte della storia, cioe contra la malattia storica, sviluppando due sentimenti: l'antistorico e il sovrastorico. Il sensa antistorico fu quello che modello la vita dei greci antichi nella loro fase creativa, ispirando loro l'arte del giusto oblio e del mito, chiudendo attorno a loro gli spazi smisurati della realta per concentrare in un orizzonte limitato Ia loro potenza vitale; sovrastorico e il sentimento di colui che distoglie lo sguardo dal divenire, volgendolo a cio che da all'esistenza il carattere dell'eterno e dell'immutabile: all'arte e alla religione. Invece, Ia mentalita scientifica si oppone di sua natura ad ambedue queste possibilita terapeutiche: essa infatti, mentre mira a distruggere criticamente le forze eternizzanti dell'arte e della religione, getta l'uomo nell'oceano del 'divenire conosciuto'. La scienza odia Ia vita. «Nessuno puo dubitarne: la vita e il potere piu alto, dominante, poiche una conoscenza che distruggesse la vita distruggerebbe nel contempo se stessa». Solo se subordina se stessa alle ragioni della vita, Ia storia diventa 'critica' ed assolve un compito positivo: La storia pensata come pura scienza, e divenuta sovrana, sarebbe una specie di chiusura e liquidazione della vita per l'umanita. L'educazione storica e invece qualcosa che e salutare e promette futuro solo al seguito di una forte corrente vitale nuova, per esempio di una cultura in divenire, cioe solo quando viene dominata e guidata da una forza superiore e non quando e essa stessa a dominare e guidare. La storia, in quanto sia al servizio della vita, e al servizio di una forza non storica, e percio non potra ne dovra diven" tare mai, in questa subordinazione, pura scienza, come per esempio lo e la matematica.
In questa tentativo di porre Ia conoscenza storica in una funzione subalterna alla vita, Nietzsche trova spesso occasione di pronunciarsi su di un tema destinato a diventare centrale nella cultura contemporanea, il tema della funzione ideologica della conoscenza. C'e un passo altamente suggestivo in un suo scritto minore, Sulla verita e la menzogna, che fornisce alia sua tesi il giusto senso cosmico-antropologico: In un qualunque remoto angolo dell'universo, diffuso in innumerevoli fiammeggianti sistemi solari, c'era una volta un astro sui quale degli accorti animali trovarono Ia conoscenza. Fu il minuto piu orgoglioso e menzognero della 'storia del mondo': rna un minuto soltanto. Dopo pochi respiri della natura, l'astro si irrigidi e gli accorti animali dovettero perire. In questo modo qualcuno potrebbe metter su una favola, rna non avrebbe con cio tuttavia mostrato a sufficienza come l'intclletto umano appaia nella natura misero, picno d'ombra, fuggevole, senza scopo ed arbitrario. Vi furono delle eternita in cui esso non era; quando sara passato sara come se nicntc fosse accaduto. Poiche per questo intellctto non c'e una piu ampia missione, che conduca al di Ia della vita umana.
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Confinato in cosi minuscola provvisorieta, come potrebbe l'intelletto dell'uomo presumere di pater raggiungere Ia verita in se? Di varcare, cioe, l'orizzonte rappresentativo che Ia volonta di vivere costruisce a se stessa con le proprie mani? Ogni conoscenza non e che in funzione della vita, cosi come storicamente questa si presenta fruibile. Ad esempio, e Ia situazione di classe nella gerarchia sociale che determina i concetti di morale e di diritto. Le nozioni di giusto e di ingiusto, di bene e di male, in uso nella classe dei signori, hanna per scopo di giustificare il !oro possesso, Ia !oro posizione di dominio. E <;osi le grandi idee di liberta, di giustizia e di uguaglianza non sono che 'specie - inascherate' della volonta di vivere dalla parte dei sottomessi. La verita dei signori non e la verita degli schiavi, ne e possibile risolvere il conflitto tra le due verita riferendosi a un vero in se, che stia al di la degli schieramenti a cui da luogo, nella societa, la volonta di vivere.
4.16 11 rovesciamento dei valori. In una lettera del 4 gennaio 1878, Nietzsche dichiara bruscamente l'impressione che gli ha fatto Ia partitura del Parsifal che Wagner stesso gli ha inviato: ... per me, troppo abituato a cio che e ellenico e universalmente umano, tutto e troppo cristianamente limitato e temporaneo; una psicologia tutta fantastica; niente carne e molto, troppo sangue ...
Sono le prime avvisaglie della rottura col grande Maestro, a cui aveva dedicato La nascita della tragedia proprio perche, ai suoi occhi, egli sembrava, allora, l'incarnazione della 'rinascita' della potente umanita anteriore alla decadenza. Il Sigfrido della Saga dei Nibelunghi non e forse un'edizione germanica del Dioniso greco? La musica di Wagner sembrava scatenare, in tutto il suo dinamismo, la tragica volonta di vivere nascosta sotto il velo della rappresentazione, proprio come aveva pronosticato un filosofo allora caro ad ambedue, Schopenhauer. Ma ora l'arte di Wagner sembra a Nietzsche divenuta, tradendo se stessa, troppo omogenea al nuovo spirito dominante nella Germania, ancora fresca degli allori della vittoria sulla Francia e avviata da Bismark verso un assetto nazionale e internazionale affidato alla grassa borghesia di 'filistei' nel cui codice morale i valori cristiani si sposano al principia germanico del 'diritto del pugno'. Proprio in quell'anno, Nietzsche avrebbe pubblicato Umana troppa umana. Nel leggerlo, Wagner capi che ormai il pensiero del giovane amico aveva preso altre vie e se ne indigno. La rottura fu irreparabile. Fu proprio in quell'anno che, per usare sue parole, Nietzsche cambia pelle, usci dall'illusione che toccasse all'arte provvedere alla rigenerazione dell'uomo moderno. La rivoluzione doveva essere ben piu radicale, doveva affrontare e scalzare le fondamenta della tradizione filosofico-religiosa. Con Umana trappa umana si apre, per Nietzsche, un breve periodo che qualcuno ha voluto chiamare illuministico perche al conflitto tra volonta di vivere e intelletto scientifico- il conflitto che sta al centro della Nascita della tragedia- Nietzsche sostituisce un rapporto di reciproca compenetrazione, col risultato che un qualche riflesso della fiducia positivista sem bra illuminare le sue pagine, pur sempre masse dal vento apocalittico.
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'Ponendosi in rapporto di continuita con il Kant della Critica della ragion pura, Nietzsche ne radicalizza la sintesi a priori, facendone un'attivita non gia dell'io come soggetto pensante, rna della volonta di vivere. Ed e cosi che Ia questione illuministica su che cosa sia la verita in se, si trasforma in quest'altra: qual e il valore della verita per Ia vita? Di per se, la verita in quanta rappresentazione non e che una finzione utile: in che senso e quando questa finzione e davvero utile? E siccome la verita-utile si dice 'valore', ecco il problema: quali sono i valori che assicurano Ia conservazione e lo sviluppo della volonta di potenza della nostra specie animale? Per rispondere alla questione, Nietzsche segue un metodo che egli dice 'genealogico', perche consiste nella ricerca delle cause che hanno generato i valori considerati tali dalla cultura dominante. Una ricerca del genere non puo non risolversi in uno smascheramento, .dato che la consistenza dei valori apparira fondata non sulla loro verita oggettiva, rna sulla )oro capacita di incrementare la vita. Non diversamente dalla chimica, che svela quali elementi reali stanno alla base delle trasformazioni dei composti, questa metodo arriva a mostrare come «i colori pili magnifici si ottengono da materiali bassi e persino spregiati». Cosi potremmo condensare, con un qualche ordine, l'analisi che nelle sue pagine Nietzsche espone, com'e nella natura del suo stile aforistico, in modo frammentario e non di rado contradditorio. 1. La prima menzogna da smascherare e quella che Hegel formula come coincidenza tra il razionale e il reale, e che risale alia tesi di Parmenide dell'identita tra Essere e Pensiero. Invece, quella dell'essere e quella del conoscere sono due sfere totalmente non comunicanti tra loro. Il conoscere e una funzione della vita: «La verita e la forma di errore senza la quale una certa specie di esseri viventi non potrebbe vivere». Le categoric logiche non corrispondono a nessun 'in se' delle cose. Noi 'crediamo' a una logica perche e in quanta essa risponde a dei bisogni: ad esempio, a! bisogno di stabilita, a cui risponde il principio di· causalita. Appare chiaro, gia da questo, che la conoscenza non e un mero rispecchiamento del reale, essa risponde a una strategia di conquista. II suo intento e di trasformare il Caos in Cosmo proprio per dominare le cose, per assimilarle con voracita inesauribile. 0 meglio: non e Ia conoscenza che domina, e, dietro la conoscenza, la volonta di potenza, la cui vera sede e il corpo, dai cui impulsi istintuali la coscienza emerge. 2. Oltre che la logica, la ricerca genealogica di Nietzsche mette a soqquadro anche la psicologia, o meglio quelle categoric psicologlche - l'io, l'individuo, la persona - che sono tutte riconducibili alla 'sostanza'. In realta, a fondamento della metafisica, e cioe della certezza circa l'esistenza della sostanza, c'e la grammatica, c'e la necessita formale del processo del pensiero, che ha bisogno di un soggetto e di un predicato. Cartesio fonda tutto il suo edificio sull"io penso', rna l"io' non e che un termine grammaticale, come d'altronde il predicato. L'errore di Cartesio e di fare dell'esperienza del cogito il processo con cui l'io scopre la sua coincidenza con la sostanza pensante, mentre, in realta, tale coincidenza e meramente rappresentativa e lascia del tutto alia sua sorte l'irraggiungibile flusso delle cose. Questa flusso non ha niente a che fare con la schematizzazione logica dell'io, mentre e di sicuro una sola cosa con quella totalita dinamica che noi chiamiamo corpo. «Noi siamo una molteplicita che si e
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costruita una unita immaginaria>>, una molteplicita di pulsioni che si e data un centro di coesione totalmente fittizio. Il filo conduttore del ragionamento filosofico e dunque il corpo, la sede 'delle pulsioni, del quale l'io non e che uno schema interpretativo. La psicologia si e sempre fermata ad esaminare i fenomeni della psiche, senza rendersi canto che la psiche - l'anima - non e che il punta terminale della molteplicita sconcertante che si agita al fonda dell'essere. 3. Questa ostinata ricerca della verita come punta fermo in mezzo al flusso dei fenomeni, se !etta come si deve, quale espressione di un bisogno vitale, basta a far luce sul perche della nostra esigenza del Vero. ll Vero come qualcosa _ ! di stabile e di immutabile diventa, se lo rapportiamo alla vita, il Bene. Ma se la vita e, come abbiamo appena detto, una molteplicita ricca di contraddizioni, la volonta del Vero - e, al di la del Vera, del Bene - e una forma dissimulata della volonta di morte, e espressione del nichilismo. Sul concetto di nichilismo torneremo presto. E' bene tuttavia sottolineare questa punta di approdo dell'analisi di Nietzsche: c'e in ogni conoscenza l'aspirazione segreta a collocarsi al di fuori di tutte le contraddizioni, e cioe nel nulla, nella morte. La volonta di potenza che sta alla radice dei valori si scinde in due poli antagonisti: 'la volonta di vita' e la 'volonta del nulla'. La fabbricazione dell'ideale come dover-essere, opposto all'essere, si svolge lungo la linea della 'volonta del nulla', la quale nasconde se stessa, il proprio nichilismo, sotto la ghirlanda dei valori. La morale, cioe la dottrina del dover-essere, e la creazione della volonta di morte. 4. La genealogia della morale comporta un processo scandito in gradi diversi. Alla radice c'e il risentimento. L'esistenza concreta, infatti, o e sostenuta da una volonta di vivere cosi efficace da avere la meglio sugli ostacoli, o e intimamente infiacchita da una segreta volonta del nulla, che si esprime nella debolezza dinanzi agli ostacoli, nella facilita alla capitolazione e all'inerzia, in una parola al niente. E' questa, in sostanza, l'istinto di decadenza a cui obbedi Socrate, quando oppose la verita alla vita e guardo alla morte con riconoscenza. La morale e una malattia, che in un tempo determinato e per determinati individui o gruppi umani, puo anche rappresentare un sistema difensivo contra le pulsioni di aggressivita o di sessualita tanto forti che non potrebbero essere esteriorizzate senza danno. La morale nasce, appunto, dalla proiezione della paura procurata da quelle pulsioni. Ma nasce anche dal risentimento di chi porta in se i limid dell'impotenza e guarda con invidia colora che si seggono come signori alla mensa della vita. La Iotta contra le pulsioni istintive ha il suo momenta piu significativo nella interiorizzazione delle interdizioni imposte dal risentimento o dalla paura. E' cosi che nasce un mondo ideale in rapporto al caos della vita e che finisce col sostituire la realta. Per Platone, la realta abitava nel mondo ultraterreno, come poi avverra, in modo trionfale, con il cristianesimo. II Crocefisso prendera il posto di Dionisio! La realta effettuale, con i suoi nutrimenti terrestri e con le sue esplosioni vitali, sara deprezzata come se fosse una pura illusione, mentre il mondo immaginario, estraneo a questa vita, sara affermato come l'unico proporzionato ai nostri desideri. E' la menzogna allo stato puro! Una menzogna dalla quale nemmeno Schopenhauer si e Iiberato del tutto, data che anche per lui conserva valore la rinunzia ascetica a questa mondo' e, piu radicalmente, l'eliminazione dell'io individuale, sorgente prima di sofferenza e punta d'appoggio delle metamorfosi dell'illusione.
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4.17 La morte di Dio. La soppressione ascetica dell'io non e che il punta d'appr'odo del risentimento. Mala negazione della vita procede oltre: L'uomo cerca un principia in nome del quale poter disprezzare l'uomo: egli inventa un altro mondo per poter calunniare e infangare questo mondo; di fatto egli non afferra mai che il nulla e fa di questo nulla un Dio, una Verita chiamata a giudicare e a condannare questa esistenza terrena.
La sostanza dell'ideale religioso e qui. Essa riesce a sopravvivere anche quando il ruolo della religione e ereditato dalla metafisica e perfino, come nell' eta moderna, dalla 'verita scientifica'. La menzogna della fede in Dio resta anche quando l'oggetto muta forma senza mutare il suo sensa di fonda, che e appunto lo svuotamento della vita dell'uomo. C'e un ateismo che non e ancora vera e proprio ateismo perche, prigioniero della stesso rigore morale di cui la religione e maestra, esso non fa che negare la forma mitica di Dio, conservandone comunque il nucleo menzognero, che e il proposito di fare della verita l'obiettivo della vita. E' quiche trova sensa la famosa pagina della Gaia scienza, II folie uomo balzo in mezzo a !oro e li trapasso con i suoi sguardi: 'Dove se n'e andato Dio?, grido. Ve lo voglio dire. Siamo stati noi ad ucciderlo, voi e io ! Siamo noi tutti i suoi assassini! Ma come abbiamo fatto questo? Come potemmo vuotare il mare bevendolo fino all'ultima goccia? Chi ci dette Ia spugna per strusciar via l'intero orizzonte? Che mai facemmo, a sciogliere questa terra dalla catena del suo sole? Dov'e che si muove ora? Dov'e che ci muoviamo noi? Via da tutti i soli? Non e il nostro un eterno precipitare? E all'indietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati? Esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto? Non si e fatto piu freddo? Non seguita a venire notte, sempre piu notte? Non dobbiamo accendere lanterne Ia mattina? Delio strepito che fanno i becchini mentre seppelliscono Dio, non udiamo dunque nulla? Non fiutiamo ancora il lezzo della divina putrefazione? Anche gli dei si decompongono! Dio e morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso!'
L'annuncio del folle non e una dichiarazione della non esistenza di Dio. La questione se Dio esista o no, in quanta appartiene alia sfera della ricerca della verita, e fuori dell'orizzonte nietzschiano, nel quale, anzi, l'ateismo filosofico resta anch'esso dentro la strategia di quella ricerca della verita, che e l'asse portante della religione. In un passo di Nietzsche leggiamo: «La confutazione di Dio: propriamente viene confutato soltanto il Dio morale». Come scrisse il pili nato degli interpreti di Nietzsche, Martin Heidegger (10.13): «Le parole 'Dio e morto' significano: il mondo sovrasensibile e privo di forza efficace. Non dispensa vita. La metafisica, vale a dire la filosofia occidentale intesa come platonismo, e al suo termine. Nietzsche concepisce la sua propria filosofia come il movimento antitetico alla metafisica, vale a dire al platonismm>. Ma, soprattutto, al cristianesimo, non in quanta fede in Gesu Cristo, rna, spiega Heidegger, «come apparizione storica c politico-mondana della chiesa e delle sue pretese nella formazione della civilta occidentale>>. Nessuno propriamente ha ucciso Dio: egli e morto per autosoppre~sione, e cioe per un superamento di se stesso dovuto al semplice fatto che la menzogna di partenza si e sviluppata fino al proprio limite, annientandosi per esaurimento.
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4.18 II nichilismo. La morte di Dio e lo svelamento, e quindi la fine, della
«nostra piu larga menzogna», rna e nel contempo la fine di ogni fede metafisica, anche di quella «SU cui riposa la nostra fede nella scienza», perche,. «anche noi uomini della conoscenza di oggi, noi atei e antimetafisici, continuiamo a prendere anche il nostro fuoco dall'incendio che una fede millenaria ha acceso, quella fede cristiana che era anche la fede di Platone, per cui Dio e verita e la verita e divina». La morte di Dio e percio l'avvento ultimo del nichilismo, l'epifania di quel puro vuoto che si nascondeva nella storia del pensiero, pur essendone il sensa segreto. Le implicazioni di questa epifania, di cui Nietzsche si considera il profeta, dovranno dispiegarsi, egli dice, nei prossimi due secoli. Se in questi ultimi anni del secondo millennia noi siamo testimoni di una Nietzsche-renaissance, e certo anche per Ia condizione storica in cui siamo, che ci mette nella possibilita di dar riscontro a certe inquietanti divinazioni del profeta del nulla: «... esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito nulla? ... ». Invece che aggredire nei suoi contrafforti il grande edificio platonicocristiano, come facevano ai suoi tempi i positivisti, nell'intento di sostituire una nuova fede alla vecchia fede, Nietzsche discende aile fondamenta dell'edificio per verificare che esse non poggiano sulla roccia rna sul vuoto. Il nichilismo non e dunque di per:-se l'esplodere di una crisi, e la condizione normale, anche se latente, dell'uomo post-socratico. In quanta 'stato patologico transitorio', il nichilismo e invece la crisi dell'uomo attuale, che si manifesta come pensiero critico che annulla tutti i significati, morali, religiosi, metafisici del vivere. Non c'e ne alto ne basso, ormai, tutto si equivale, il vero e il falso, il buono e il cattivo. E' cominciato il crepuscolo dei valori, cioe delle verita significative per l'esistenza dell'uomo. Il sole intelligibile si e eclissato, e, mentre la notte investe tutte le cose, fa la sua apparizione tragico-grottesca !"ultimo uomo'. Guardate! Io vi indico !'ultimo uomo. Che cos'e amore? Che cos'e creazione? Che cos'e desiderio? Che cos'e stella? cosl domanda !'ultimo uomo e ammicca. La terra sara allora divenuta piccola e saltellera su di essa !'ultimo uomo, che rende tutto piccolo. La sua schiatta e indistruttibile come Ia pulce sulla terra; !'ultimo uomo vive una lunghissima vita.
E' questa il nichilismo 'compiuto; cioe al suo stadia ultimo, punta di arrivo del nichilismo originario, che ebbe inizio con la scissione socratico-platonica tra realta e verita. Esso ha attraversato la storia, restando per lo piu allo stato latente, emergendo appena di tanto in tanto in quei periodi che, lungo la linea storica, contrassegnano le fasi di decadenza, come la fase alessandrina in rapporto alla Grecia classica, il cristianesimo in rapporto alla Roma imperiale e la Riforma luterana in rapporto al Rinascimento italiano. Ma le forme di questa nichilismo incompleto sono tante. Ad esempio, la morale kantiana, che anch' essa postula un altro mondo, «an cora il vecchio sole, in fonda, rna oscurato dalla nebbia o dal dubbio; l'idea divenuta sublime, pallida, nordica, konigsberghiana». 0 come gli ideali laici degli uomini-pulce che gremivano il proscenio storico in quella fine Ottocento, gli uomini della democrazia e del socialismo, devoti alla Felicita per tutti e al Progresso. Tutta la cultura europea «si muove da lungo tempo in una torturante tensione che cresce di decennia in decennia,
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come protesa verso una catastrofe)), afferma Nietzsche, che considera se stesso «come il primo compiuto nichilista europeo, che pen) ha gia vissuto dentro di se sino all'esaurimento il nichilismo stesso)). E proprio per questa, per aver portato al limite del possibile il nichilismo distruttivo, Nietzsche ribalta il disgusto della vita in una nuova volonta di esistere, in nichilismo attivo. Nel nichilismo distruttivo vengono meno tutte le discriminazioni metafisiche tra il bene e il male, tra il vero e i1 falso e tutto si fa apparenza, come dire rappresentazione del caos, nella quale, dissoltosi il principia di identita, i contrari possono benissimo convivere. Per arrivare a questo nichilismo 'estatico' (nel senso che fa uscire dalle regole dell'identita), bisogna passare dalla semplice constatazione della dissoluzione alia dissoluzione attiva: e Ia prospettiva 'dionisiaca' della gioiosa affermazione dell'unita dei contrari. Il limite di Schopenhauer, come dell'antico Buddha, e di essersi arrestati a! nichilismo distruttivo, mentre l'accettazione del nichilismo vissuto fino al limite della catastrofe genera necessariamente il trapasso a una specie di 'seconda innocenza', che mette al posto dei 'valori morali' nuovi valori, espressi direttamente dalla natura: Perche infatti e ormai necessaria l'avvento del nichilismo? Perche sono i nostri stessi valori precedenti, che traggono in esso Ia loro ultima conclusione, perchc il nichilismo e una logica, pensata fino in fondo, dei nostri grandi valori e ideali, perche dobbiamo prima vivere il nichilismo per accorgerci di que! che fosse propriamente il valore di questi 'valori'. Noi abbiamo bisogno, quando che sia, di nuovi valori
4.19 La volonta di potenza. Superuomo o oltreuomo? L"ultimo uomo', l'uomo-pulce, e il punto d'arrivo del nichilismo passivo. Nietzsche ne aveva sotto gli occhi un campionario che provocava al disgusto e al sarcasmo: erano i democratici e i socialisti. Sono stati ]oro che hanno esaltato Ia morale contro la volonta di potenza: 1. l'istinto del gregge contro i forti e indipendenti, 2. l'istinto dei sofferenti e dei mal riusciti contro i felici, 3. l'istinto dei mediocri contra le eccezioni. Con le loro teorie sull'uguaglianza, essi tentavano il ricatto contro gli uomini superiori e virtualmente miravano a impedire la nascita del 'vero uomo', che potremmo collocare al punto d'anivo del nichilismo positivo. Il vero uomo e chiamato da Nietzsche Uebermensch, tradotto per solito in Superuomo. Per evitare di legittimare l'accezione che dell' Uebermensch hanno dato il fascismo e il nazismo, specialmente il nazismo - due ideologic del 'superuomo' - potremmo anche tradurre il termine tedesco con 'oltreuomo', come fa qualcuno, o, svincolandosi da scrupoli troppo filologici, con 'uomo totale'. Infatti, l'uomo totale, nel linguaggio immaginoso di Nietzsche - che mai come su questo punto tiene in non cale la logica dell'identita - si riempie di una grande varieta di significati, distribuiti tra due estremi: da un lato, !'idea di uomo totale coincide con quella dell'uomo che ha portato a compimento tutte le sue possibilita, dall'altro, esso sembra implicare la fuoriuscita (ex-stasis) dai confini propri dell'umanita e l'inagurazione di una forma di esistenza piu alta, altemativa a quella che oggi e propria dell'uomo, di ogni uomo. Il termine 'superuomo' era entrato in circolo per merito dei discepoli di Hegel, che ne facevano uso per definire la realta di Gesu Cristo. In ogni caso,
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un retroterra messianico il termine nietzschiano sicuramente lo possiede. Probabilmente cade in err6re chi lo riempie di contenuti facendo consistere la differenza specifica dell' Uebermensch nel suo dominio sugli uomini e sulla natura. L'annuncio del superuomo, neUe pagine nietzschiane, sembra evocare un essere in cui avra piena manifestazione quella volonta di potenza che, al di la di tutte le parvenze, e la vera realta dell'universo. E' l'essere uscito da se stesso e divenuto dimentico di se. Questa 'oblio dell'essere' e, secondo Heidegger (10.13), il filo che si svolge nella storia della filosofia e giunge al suo bandolo estremo proprio in Nietzsche. Per quanta sia impossibile definirla in modo univoco, non sarebbe giusto identificare Ia volonta di potenza con una cieca vo' lonta di dominio e di sterminio, come farebbero pensare alcune espressioni di Nietzsche, specie quelle che esaltano gli uomini e le 'razze nobili' alla cui base vi e la 'magnifica bionda bestia che bramosamente ricerca la preda e la vittoria'. Il superuomo sta all'uomo come questa sta all'animale: il 'salto' e un postulato della volonta di potenza, che mira a realizzare se stessa. In quanta tale, il superuomo appartiene al futuro: gli uomini superiori, compreso lo stesso Zaratustra, non sono che i suoi profeti, i suoi Giovanni Battista. Il divario tra l'uomo e il superuomo introduce, perfino nella sponda ultima dell'esperienza umana, la distinzione, anzi l'antagonismo che, secondo Nietzsche, governa la storia intera, tra il volgare e il nobile, tra il gregario e il signore, tra lo schiavo e il padrone. Avendo ripudiato lo strumento espressivo che e il concetto; sospinto da un'ebrezza poetica che non da mai spazio al sereno ragionare, Nietzsche espone i punti saldi della sua escatologia scontando e facendoci scontare l'ineffabilita delle sue tesi. Le nozioni base di Nietzsche hanno un contenuto noetico che non puo essere mediato per via d'intelletto, rna con parabole e metafore, che svegliano e presuppongono una intelligenza immaginativa il cui vero alfabeto sia il sim bolo. Ad esempio, nella nozione di volonta di potenza, il termine volonta e improprio. La volonta di potenza per Nietzsche, come la volonta di vivere per Schopenhauer (4.3), e il vero essere su cui si stende il velo del fenomeno, non e una sottospecie della volonta, e qualcosa di molto piu essenziale, che 'sta sotto' lo spessore psicologico del volere, sta nella stessa struttura biologica del!'uomo, nella sua stessa corporeita intesa quale complesso di impulsi dinamici, come principia dionisiaco. Ma questa intuizione, che gia era al centro della prima opera di Nietzsche, si e fatta, nei frammenti che negli ultimi · anni egli accumula col proposito di comporre il suo capolavoro, molto piu ricca e cangiante. La de'finizione della volonta di potenza, come quella correlativa del superuomo, sembra aprirsi a significati ludici, come se, avendo spezzato in se e attorno a se i vincoli della morale degli schiavi, il superuomo potesse abbandonarsi a una specie di gaudiosa immediatezza, a una vita vissuta con passo di danza. Zaratustra, si e detto, non e il superuomo, rna il suo profeta. Anche lui 'saltella' nel mondo come l'uomo-pulce, rna la sua e piuttosto la danza che traduce, nei suoi movimenti senza scopo, la follia che sola e in grado di 'aprire la Strada al nuovo pensiero'. L'annuncio di Zaratustra e quello dell'uomo che dev'e venire, l'uomo nel quale l'indefinibile volonta di potenza diverra carne e sangue. L'uomo, quello che noi conosciamo, anzi che noi siamo, 'e qualcosa che deve essere superato':
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Che cos'e per l'uomo Ia scimmia? Un ghigno o una vergogna. E questo appunto ha da essere I'uomo per il superuomo: un ghigno o una dolorosa vergogna... L'uomo e un cavo teso tra Ia bestia e il superuomo.
L'uomo che deve essere superato vive integrato in una societa nella quale vigono principi gerarchici che giustificano il dominio dei forti sui deboli. Questa struttura e anche interna a lui; nel soggetto umano si aggrega una pluralita di principi, tra i quali alcuni dominano sugli altri. Gli uomini esistenti, anche gli uomini superiori che non sono ancora il superuomo, hanno in se un quoziente di schiavitu. II superuomo, invece, e Iegge a se stesso, in quanto ha abolito in se la subordinazione tra i principi soggettivi: la corazza interiore si e spezzata, l'impeto vitale sgorga senza ostacoli e senza costrizioni. La sua vita e come un gioco, simile a quella del divino fanciullo di cui parla Eraclito. 4.20 L'etemo rltomo. Pare che per ·qualche momento Nietzsche abbia pensato di dedicarsi allo studio delle scienze, per fornire un fondamento inoppugnabile aile sue intuizioni che i concetti della filosofia tradizionale non erano in grado di mediare. C'e anche chi suppone che l'idea di superuomo sia stata suscitata in lui dalle teorie evoluzionistiche di Darwin, che in quegli anni tenevano a rumore la cultura europea. Non e certo per caso che Nietzsche abbandono il progetto 'scientifico', posto che l'abbia avuto. Si e gia detto che, nella sua storia del nichilismo, la scienza positivista appare come 1'erede naturale della metafisica e della religione, in quanto anch' essa implica, a suo modo, la fede nella verita, lo sdoppiamento tra i fatti e le interpretazioni. Ma poi, nella nozione stessa di superuomo ogni riferimento a una specie umana piu alta di quella presente sarebbe del tutto incongruo. L'alternativa perorata da Zaratustra non puo ritagliare il proprio modello nel panorama fenomenico della storia, dove han senso il passato, il presente e il futuro e dove dunque ha senso l'idea di progresso. L'alternativa e gia potenzialmente presente nella 'pianta uomo', nei succhi vitali che la pervadono e che potrebbero produrre fiori e frutti, se si togliessero gli ostacoli alia volonta di vivere. Per questo Nietzsche saluto con giubilo l'attimo in cui gli venne l'idea dell"eterno ritorno': i primi d'agosto del1881, a Sils Maria, in Engadina. E' Lou Salome, a cui Nietzsche confido l'illuminazione, che ci ricorda come in quel periodo l'amico fosse vivamente interessato alla filosofia vedantica e in particolare a quella di Shankara (!.9.15.), su cui aveva scritto un'opera il suo condiscepolo Paul Deussen. In ogni caso, l'idea dell'eterno ritorno non era cosi peregrina, perche faceva parte del patrimonio della Grecia e precisamente, per non dire degli stoici, del presocratico Eraclito, da cui Nietzsche aveva preso l'immagine del divenire del mondo come un gioco cosmico del grande fanciullo, Zeus. In un altro frammento, Eraclito dice: «Ouesto cosmo nessuno degli dei lo fece, rna fu sempre ed e e sara, fuoco di eterna vita, che si accende con misura e si spegne con misura)). In un suo appunto del 1881, Nietzsche tenta di ancorare l'idea dell'eterno ritorno aile tesi cosmologiche di natura scientifica Egli dice che, essendo la misura del cosmo determinata, non infinita, anche se praticamente non misurabile, il numero delle combinazioni in cui consiste il suo divenire e anch'esso determinato, non infinito. Se il tempo scorresse lineare e fosse infinito, tutte le
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combinazioni possibili avrebbero gia dovuto darsi. Ne deriva che lo scorrere del_le cose non puo concepirsi che come circolare. Ma, in coerenza con l'insieme delle sue posizioni, Nietzsche non ha insistito su questa linea scientifica. AlIa pari della metafisica, anche la scienza era per lui un'espressione del nichilismo. La rievocazione dell'antico modello cosmologico e, in Nietzsche, un espediente immaginativo per dire altro: una specie di arcana metafora dai molti sensi che a noi tocca trascrivere in un codice razionale. Intanto, nell'idea dell'eterno ritorno e implicita l'esclusione di ogni causa trascendente della realta. II divenire determina se stesso da se stesso: la circolarita dei fenomeni che lo costituiscono inscrive in se stessa la catena delle cause e degli effetti. Non solo. la trascendenza religiosa risulta priva di ogni fondamento, rna anche quella ideologica del socialismo, che ripone nel futuro del mondo la soluzione delle ingiustizie presenti. Cio che e, e gia stato, come e gia stato quel che sara. Immaginarsi un altro mondo, e non importa dove questa alterita si colloca, in cielo o nel futuro, significa concedere ai vinti la consolazione della speranza e cioe significa dare alimento al nichilismo dei deboli. Se tutto ritorna, allora tutto e vano. Questa verita e intesa da Nietzsche come una 'prova', nel senso che essa discrimina i deboli dai forti, i vinti dai signori della terra. Infatti, se tutto ritorna, allora ogni istante gia si e dato, cosi come si dara infinite volte: in ogni istante si concentra la totalita del cerchio. I forti sono quelli che dicono di si all'istante, senza lasciarsi frastomare dalle nostalgic del passato o dalle speranze del futuro. I signori della terra sono gli uomini del si, che acconsentono alia necessita dell'istante avvertendolo in pieno come necessita. Ma se essi dicono si a un solo istante, dicono si a tutta 1'esistenza. Chi dice si a un istante di gioia, dice si anche al dolore che e immanente al cerchio del divenire, e chi dice si all'istante di dolore dice si anche alia gioia immanente al cerchio, perche tutte le cose sono tra loro concatenate, in modo che ciascuna di esse include tutte le altre. I deboli non sanno resistere a questa concatenazione, che sopprime ogni contingenza. Ma la 'religione' dell'etemo ritomo e pietosa con loro, perche non prevede nessuna dannazione: !'inferno dei deboli sara la stessa coscienza della vita fuggitiva. II forte, invece, vive l'ebrezza del meriggio, nel sensa che egli vive l'istante in quanta esso e l'emergenza estatica del circolo eterno, anulus aeternitatis, e percio accetta con ebrezza la prospettiva del ritomo. Non dunque con la rassegnazione degli antichi stoici, maestri di una morale il cui imperative era la conformita al Logos, alia ragione, rna con entusiasmo creative. Infatti il giro delle cose e senza scopo, e vuoto di sensa. Sono gli uomini del si che creano il senso del divenire. · Tutto cio che fu e frammento, enigma, caso spaventevole, finche la volonta creatrice aggiunge: cosi io volevo che fosse, cosi io voglio che sia, cosi io vorro che sia.
A loro modo, dunque, gli uomini. del si vivono secondo la legge dell'amore. Un amore che 'ha per oggetto niente altro che la necessita da cui e governato il passaggio dal passato al futuro, e cioe il Fato. La formula per la grandezza dell'uomo e amor fati; non voler nulla di diverso da quello che e, non nel futuro, non nel passato, non per tutta l'eternita. Non solo sopportare cio che e necessaria, rna amarlo.
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Ed e qui, nell'entusiasmo con cui la volonta assume liberamente il peso di una necessita irrazionale, e qui che si manifesta Ia sostanza dionisiaca del reale, e qui che Ia musica di Schopenhauer-Wagner si tramuta nella Sapienza poetica in cui ogni altra forma di sapere dovrebbe risolversi. A differenza del Sapere assoluto di Hegel, il Sapere assoluto di Nietzsche-Dioniso abolisce, al suo interno, tutte le categorie della logica, come quelle della possibilita, della contingenza o della necessita. L'eterno ritorno non e ne reale ne ideale, ne contingente ne necessario, rna unifica in se, per un paradosso che sconfigge Ia ragione ed apre il varco alia poesia, i contrari logici. Esso e una contingenza necessaria, e insieme caso e necessita, e assoluta incoerenza e assoluta coerenza, e Caos e Cosmos: II Caos universale che esclude ogni attivita orientata a un fine non e contraddittorio con !'idea di un movimento circolare: quest'ultimo non e appunto che una necessita irrazionale.
Incluso nella necessita del cerchio, il Caos non vi trova affatto, alla maniera hegeliana, una riconciliazione con la ragione. II Caos resta Caos e il cerchio resta il cerchio, l'assurdo resta assurdo e il razionale resta il razionale. L'eterno ritorno non e, dunque, che una interpretazione della realta, un cerchio tracciato dall'uomo sull'abisso dell'indefinibile, che resta eternamente quello che e. II circolo e il sigillo posto dall'uomo sui Caos, e la logica dell'essere che cerca di assumere in se, rna senza riuscirvi, il tumulto incoerente del divenire. E' il bambino-Zeus che sulla spiaggia del mare costruisce torri di sabbia e le atterra, con divino capriccio. Quella dell'eterno ritorno e la prospettiva suprema a cui puo giungere Ia volonta di potenza, che in tal modo riesce a sovrastare anche il ritorno inarrestabile del negativo: Imprimere a! divenire il sigillo dell'essere: questa e Ia forma suprema della volonta di potenza. Dire che tutto ritorna e avvicinare al massimo il mondo del divenire a quello dell'essere ...
Risolvere, come ha fatto Hegel, l'essere nel divenire e viceversa, in nome della logica, significa toccare i limiti del nichilismo, come si e detto. «Piu una cosa e conoscibile, piu e lontana dall'essere!)). Col mito dell'eterno ritorno, l'avvicinamento tra le due sfere, quella dell'essere e quella del conoscere, giunge al massimo, rna in modo tale che ogni pretesa della logica di far ponte tra le due sfere viene meno. In quella pretesa rientra anche il principia di identita. Ogni identita e una maschera intercambiabile dentro il gioco universale. Nelle sue ultime lettere. Nietzsche si firma, quasi a voler stringere in unita due maschere contraddittorie, ora 'Dionisio', ora 'Crocifisso'. Appena qualche giorno prima che la luce della sua ragione si spegnesse, aveva scritto a Burckhardt: Caro signor professore, alia fin fine avrei preferito essere un professore di Basilea piuttosto che Dio. Ma non ho osato spingere il mio personale egoismo fino al pur,tto di astenermi percio dalla creazione del mondo.
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Forse la sua follia non fu che un moltiplicarsi delle maschere oltre la misura del tollerabile. Era rimasto vittima della sua impresa, proprio mentre essa stava per ottenere il suo pie no successo. Aveva scritto a Georg Brandes, il 20 novembre 1888: «Vi prometto che fra un paio d'anni avremo messo il mondo a soqquadro. Io sono il Fato».
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Sommario. L'itinerario filosofico di Karl Marx inizia in diretto rapporto col gruppo della 'sinistra hegeliana', che di Hegel accetta il metoda dialettico, rna non il sistema (5.1). Le posizioni che piu sollecitano la riflessione di Marx sono queUe di Arnold Ruge, di Max Stirner, di Bruno Bauer e di D.F. Strauss (5.2), rna decisiva fra tutte e quella di Ludwig Feuerbach, che nella sua analisi del fenomeno religioso aveva fatto uso del concetto hegeliano di alienazione: l'illusione religiosa, alia pari di quella dell'idealismo hegeliano, ha la sua radice nella proiezione dei bisogni reali dell'uomo in un mondo immaginario (5.3). Da questa linea parte Marx nella sua critica alla concezione hegeliana dello Stato, nella quale si ha la stessa inversione tra soggetto e predicato che Feuerbach aveva messo in luce nell'illusione religiosa Nella Stato liberale, l'emancipazione dell'uomo non e reale, e astratta. L'emancipazione reale si avvera allivello dei rapporti economici e il suo metoda non e la critica, e Ia rivoluzione operata dal proletariato (5.4). Allo studio dei rapporti economici il giovane Marx si dedica con un orientamento ancora prevalentemente antropologico (5.5). L'economia borghese ha il difetto di essere troppo poco scientifica, perche parte da alcuni dati che fa passare per essenziali all'economia mentre sono propri di un particolare sistema, quello capitalistico. II lavoro e, nel sistema capitalistico, un lavoro alienato (5.6). Ed e proprio nel lavoro alienato che ha radice l'alienazione religiosa di cui aveva parlato Feuerbach: per superarla non basta la critica, ci vuole il mutamento dei rapporti economici. Soppresse le condizioni di sfruttamento, finiscono insieme la religione e l'ateismo (5.7). E' questa il modo con cui Marx usa la dialettica di Hegel. nella quale, invece, l'alienazione veniva data per necessaria, come una sola cosa con l'oggettivazione dell'Idea (5.8). E' in virtu del proprio metoda dialettico che Marx respinge sia l'Idea come principia da cui derivare la natura (come in Hegel), sia la natura come principia che genera l'Idea (come in Feuerbach); la verita dell'uomo e che in lui natura e coscienza sono in costante reciprocita. E' qui l'umanesimo di Marx (5.9). II fattore che turba il rapporto tra coscienza e natura e !'assetto concreto delle forze produttive, basato sui principia della proprieta privata (5.10). II 1845 e l'anno in cui Marx fa i conti in modo definitivo con la sinistra hegeliana e, superata la fase umanistica, determina in modo scientifico l'oggetto della sua riflessione (5.11). Attraverso un'appassionata polemica contra Bauer, Stirner e Proudhon, egli precisa in modo definitivo Ia sua identita, che ha i suoi 'luoghi' essenziali nel materialismo storico e nella dottrina scientifica della rivoluzione (5.12). Anche con Feuerbach Marx regola i conti, stabilendo in undid tesi i punti di consenso e di distacco da lui: il distacco e soprattutto nella dottrina della prassi (5.13). II materialismo storico consiste nella spiegare ogni fase della societa mediante l'analisi dei rapporti tra base produttiva e ideologia, tra struttura e sovrastruttura (5.14). Questa feconda riflessione trova la sua vigorosa sintesi nel Manifesto (5.15). I fallimenti del 1848 portano Marx a intraprendere un grandioso programma di ricerca di economia politica, che sbocchera nel Capitale, in cui egli clara una ragione
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scientifica dell'alienazione che per l'avanti aveva analizzato nel suo aspetto antropologico (5.16). Il vizio di fondo dell'economia classica capitalistica e, per Marx, nella determinazione del valore della merce (5.17). L'economia classica trascura un'elemento essenziale nel processo produttivo, Ia forza lavoro, che entra sui mercato a! pari della merce ed e l'elemento occulto che determina, nel mercato, il plusvalore. A questa mercificazione della forza lavoro corrisponde un atteggiamento soggettivo, che e il feti,cismo (5.18). Da questa analisi scientifica derivano in Marx due atteggiamenti contraddittori per quanto riguarda Ia visione dello sviluppo storico: da una parte, Ia rivoluzione appa- · re come una necessita governata dalla dialettica strutturale, dall'altra, essa richiede Ia volonta organizzata del proletariato. L'instaurazione del comunismo avverra per gradi (5.19). Meritano attenzione i rapporti tra Marx ed Engels al livello della produzione filosofico-scientifica. In sintesi, si puo dire che il marxismo come visione scientifica della societa e opera di Marx e il marxismo come filosofia della natura e della storia (come materialismo dialettico) e opera di En9.els (5.20). Ma nonostante il suo tentativo di trasformare, col materialismo dialettico, I insegnamento di Marx in una specie di metafisica deterministica, Engels resta sostanzialmente fedele alle tesi che fra struttura e sovrastruttura non ci sono rapporti di dipendenza, rna di reciprocita (5.21).
Marx: il rovesciamento di Hegel 5.1 La sinlstra hegellana. ll principio costitutivo dell'hegelismo - l'identita tra il reale e il razionale - veniva fatto valere da Hegel e dai suoi discepoli piu diretti non come una critica alle realta concrete del presente, in nome di una razionalita in cui esse avrebbero potuto leggere il proprio dover essere, rna, al contrario, come una legittimazione del presente, in ultima istanza della monarchia prussiana, uno dei pilastri della Santa Alleanza. Hegel considerava se stesso come l'umile servitore dello Stato, con il compito di rendere esplicita Ia razionalita che nello Stato aveva carne e sangue. L'ondata rivoluzionaria del 1830 aveva svegliato in lui fastidio e malinconia. Il fastidio aveva per oggetto la 'saccenteria del dover essere', e cioe la presunzione diffusa che per rimediare ai mali del tempo si dovesse ricominciare da capo; Ia malinconia evaporava, per cosi dire, dalla stessa pretesa del suo pensiero di essere ormai un pensiero compiuto, il cui senso era di porre un sigillo sulla realta nella quale finalmente l'idea aveva chiuso il ciclo dell'identita con se stessa. Scomparsi nel 1831 Hegel e nel 1832 Goethe, lo Stato prussiano rimaneva come vuoto di quell'altera coscienza di se che era riuscita a contenere gli spiriti nel con sen so all' ordine esistente. La rivoluzione di Parigi del 1830 aveva scosso irrimediabilmente i prest1pposti politici della Restaurazione, della Santa Alleanza e del romanticismo conservatore. Nella grande cattedrak hegeliana si dissolse lo spirito di devozione e prese inizio il clamore del dibattito intemo. E' questo il clima inquieto della Berlino che Karl Marx· conosce nel 1836. Un anno dopo, il10 novembre 1837, egli scrive al padre: Avevo letto dei frammenti della filosofia di Hegel, la cui grottesca ed aspra dialettica mi infastidiva. Volevo ancora una volta immergermi in quel mare, rna con la ferma intenzione di trovare nella natura spirituale la stessa necessita e concretezza della natura materiale, di non ricorrere piu agli artifizi dialettici, bensi di esporre la pura perla alia luce del sole.
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Questa ambivalenza nei rapporti con Hegel, Marx la manterra fino alia fine: Io sono discepolo di Hegel, confessera nel Capita/e. Tuttavia mi sono preso Ia liberta di adottare verso il mio maestro un atteggiamento critico e di fargli subire un cambiamento profondo.
Karl Marx nasce a Treviri il 5 maggio 1818 da un padre di idee liberali che, per sottrarsi alle misure antisemite del governo prussia no (1815), si era convertito dall'ebraismo (nella sua famiglia come in quella di sua moglie c'erano stati rabbini) al protestantesimo. Nel battesimo aveva cambiato il nome di Hirschel in quello di Heinrich. Nel 1824 Karl e gli altri cinque fratelli vengono battezzati, la madre fara il passo l'anno seguente. Studia filosofia e diritto prima a Bonn e poi a Berlino, rna e a lena che si laurea, nel 1841, con una tesi sulla Differenza tra la filosofia della natura di Democrito e quella di Epicuro. Vorrebbe ottenere una cattedra di professore, rna Bruno Bauer, l'amico a cui si appoggia e che e !'anima della sinistra hegeliana, viene espulso dall'insegnamento. Marx sceglie la strada del giornalismo (1842) e diventa redattore capo della Gazzetta renana (Rheinische Zeitung), di tendenze democratiche rivoluzionarie (borghesi), che guadagna in prestigio e in lettori, rna viene chiusa dal governo prussiano perche troppo spinta nella critica allo Stato (1843). Celebrato il matrimonio con Jenny von Westphalen, si trasferisce a Parigi (ottobre 1843), dove ha contatto con gli esponenti delle prime organizzazioni operaie. Insieme a Ruge pubblica (1844) il primo (e ultimo!) numero degli Annali francotedeschi (Deutsch-franzosischer Jahrbiicher), dove appaiono (tra le altre firme, quelle di Heine e di Engels) due suoi saggi: Per la critica della filasofia del diritto di Hegel. Introduzione e La questione ebraica. Incontra Engels (settembre 1844) e con lui frequenta la Lega dei giusti, una organizzazione .comunista clandestina formata soprattutto da emigrati tedeschi. Conosce Proudhon. Le sue posizion~ sempre piil radicali, lo portano a rompere con Ruge e ad impegnarsi in serie ricerche economico-politiche: gli appunti accumulati durante queste ricerche saranno pubblicati postumi, nel 1932, col titolo: Manoscritti economico-filosofici del 1844. Insieme ad Engels compone La sacra famiglia, un pamphlet contra Bruno Bauer. Espulso dal governo francese su pressione di quello prussia no (1 845), Marx si rifugia a Bruxelles, dove si fa piil intenso il suo sodalizio con Engels. Qui compone le Tesi su Feurbach e lldeologia tedesca, che sara pubblicata anch'essa soltanto nel/932. Le sue posizioni teoriche, ormai del tutto autonome, lo portano a rifiutare sia il rivoluzionarismo settario, sia l'utopismo piccolo-borghese di Proudhon, contra il quale scrive la Miseria della filosofia (1847). In tanto insieme ad Engels riorganizza Ia ,Lega dei giusti, denominandola Lega dei comunisti. La Lega affida ai due leaders il compito di redigere un Manifesto. Scritto da Marx, il Manifesto del partito comunista viene pubblicato nel febbraio 1848. Il governo helga lo espelle, rna nello stesso tempo (marzo 1848) egli e invitato dal governo provvisorio uscito dalla rivoluzione parigina del febbraio. La rivoluzione scoppia anche in Germania e in aprile Marx e a Colonia, dove risuscita Ia Gazzetta renana (Neue reinische Zei- .
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tung), con la bandiera della democrazia. La controrivoluzione ha il sopravvento e Marx, espulso dalla Germania (1849), si rifugia a Londra, dove riprende l'organizzazione della Lega dei Comunisti e scrive alcuni saggi sulfa rivoluzione del 1848, che saranno raccolti in seguito col titolo Le lotte di classe in Francia. Si ritira sempre piu dalla vita attiva e, in mezzo a difficolta familiari di ogni genere (quattro figli gli muoiono di stenti), alle quali riesce a far fronte grazie alia generosita dell'amico Engels, intraprende, al British Museum, un grandioso programma di studio a carattere prevalentemente economico. Nel frattempo, pubblica Il diciotto brumaio di Luigi Bonaparte (1852), le Rivelazioni sul processo dei comunisti a Colonia (1853 ), Lineamenti fondamentali della critica dell' economia politica (185 9), Teorie sul plus valore (1862-1863 ). Nel 1864 nasce la Intemazionale (Associazione Internazionale dei Lavoratori), di cui Marx scrive lo Statuto. Ma non intende distrarsi dal suo lavoro: «io credo, egli scrive, di fare qualcosa di piu importante per Ia classe operaia che tutto cia che io potrei fare persona/mente in un qualsiasi congresso». NeZ 1866 intraprende Ia stesura del I libra del Capitale, che sara pubblicato nel 1867 ad Amburgo. Durante la guerra del 1870, scrive due Indirizzi sulla guerra franco prussiana e, l'anno dopa, fallita l'esperienza della Comune di Parigi, La guerra civile in Francia. La prima Internazionale entra in crisi a causa del dissenso tra Bakunin e Marx, che ne fa trasferire Ia sede a New York. Gli ultimi suoi scritti sana del 1875: Appunti sul libra di Bakunin 'Stato e anarchia' e Critica del programma Gotha (a Gotha si tenne, nel 1875 un congresso di unificazione del partito socialista tedesco). La malattia gli impedisce di portare a termine il suo capolavoro: i libri II e III del Capitate saranno pubblicati da Engels, sulfa base dei manoscritti e delle indicazioni di Marx. Muore nel1883.
Ai tempi della lettera al padre, Marx faceva parte di un Club di giovani hegeliani, con sede in un caffe della Franzosische Strasse, dove si lego d'amicizia con alcuni protagonisti della cosiddetta 'sinistra hegeliana'. Fu uno di loro, D.F. Strauss, a far uso per prima di questa denominazione, tratta dal linguaggio parlamentare della Francia di Luigi Filippo. L' esistenza di una sinistra comportava, naturalmente, anche l'esistenza di una destra (e di un centro, che perc:'> ebbe identita piuttosto sfumata), formata da hegeliani di stretta osservanza. Il pensiero del Maestro gia conteneva in se potenzialmente questa divaricazione, che piu tardi uno della sinistra, Friedrich Engels, identifichera con la contraddizione tra sistema e metoda. La destra era il sistema, per cosi dire. Essa condivideva di Hegel il fastidio per 'la saccenteria del dover essere' e l'appagamento per l'approdo raggiunto dall'Idea, che, sul piano teorico, significava conciliazione tra religione e filosofia - conciliazione di cui erano segno visibile le categoric teologiche che, sulla scia del Maestro, i vecchi hegeliani usavano largamente - e, sul piano concreto, significava la celebrazione della Stato prussiano come epilogo oggettivo della storia universale. Che in tal modo la storia fosse giunta, per cosi dire, a consumare se stessa, non turbava
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gli hegeliani dogmatici, per i quali la compiuta identita tra il reale e il razionale veniva a· dire che l'assetto concreto delle cose riposava solennemente sulle fondamenta della Ragione. Il fatto che alcuni giovani intellettuali del regno di Prussia, specie quelli della Renania, a diretto confine con la Francia, mostrassero entusiasmo per la rivoluzione democratico-liberale, con cui Parigi aveva posto fine alia Restaurazione, era un brutto sintomo che andava represso. Ma Hegel non puo essere identificato col suo sistema, obiettavano i giovani della sinistra. Lo stesso Hegel aveva osservato, una volta, che la sua formula sull'identita tra reale e razionale poteva anche voler dire che il reale doveva cercare il senso di se nella ragione, modificandosi, se il caso, fino a incarnarne le leggi. E' il principia fondamentale della dialettica che ogni sintesi, in quanto razionalmente determinata, diventi essa stessa il termine di una negazione, a partir dalla quale si apra · la prospettiva di un piu alto pun to di conciliazione tra la realta e la ragione. In parole sintetiche: il sistema e, in Hegel, conservatore, la dialettica, e cioe il metodo, e rivoluzionario. La mistificazione alia quale soggiace la dialettica nelle mani di Hegel scrivera Marx nel Capitale - non toglie in nessun modo che egli sia stato il prjmo ad esporre ampiamente e consapevolmente le forme generali del movimento della dialettica stessa. In lui essa e capovolta. Bisogna rovesciarla per scoprire il nocciolo razionale entro il guscio mistico.
5.2 Dalla riconciliazione alia rivolta. II rovesciamento non avvenne di colpo, nella testa di Marx, rna fu il risultato di un travaglio che fini per disperdere il gruppo della sinistra hegeliana nel cui seno aveva avuto inizio. II tratto comune di quel gruppo era il rigetto dell'identita tra Stato ideale e Stato reale, che nel concreto era lo Stato prussiano, uscito dalla bufera napoleonica con tutti i crismi della Restaurazione, primo fra tutti il riconoscimento del cristianesimo come proprio apparato ideologico. L'ambizione dei giovani hegeliani era di poter integrare nello Stato prussiano le conquiste della rivoluzione democratico-liberale che avevano preso forma, a partire dal 1830, nella Francia di Luigi Filippo. Un loro portavoce di prestigio era Amold Ruge (1820-1880), direttore degli Annali di Halle, da lui fondati nel 1838 a Halle, nella cui universita era professore. La tesi di Ruge e che lo spirito della liberta ha trovato in Francia, con la rivoluzione, la sua forma politica, e in Germania, con la filosofia di Hegel, la sua forma metafisica. Bisogna ormai liberare Hegel da se stesso mediante la critica del suo sistema, condotta in nome del presente, dato che, come Hegel stesso insegno, «il presente e la cosa suprema)). Le speranze di Ruge e dei suoi collaboratori (tra i quali figura Ludwig Feuerbach) si ravvivano quando sale al trono il giovane Federico Guglielmo IV, che invece imprime allo Stato un irrigidimento reazionario. La censura si fa piu implacabile. Ruge tenta di salvare il suo periodico cambiandogli titolo (dal 1841 si chiamera Annali Tedescht), finche non arriva, nel gennaio 1843, l'ordine di sospendere le pubblicazioni. E' in questa fase che Ruge ha contatti con Marx, a Parigi, in vista di una ripresa della pubblicazione del suo periodico col nuovo titolo di Annali francotedeschi. E difatti, il fascicolo esce (ed e un fascicolo doppio), rna per una sola
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volta, nel febbraio d~l 1844. Dopo questo labile incontro, le vie dei due giovani hegeliani prendono direzioni diverse, e alia fine addirittura opposte. Ruge non riuscira mai a superare gli orizzonti di una critica illuministica alia Stato e alia religione. ll suo merito e di aver sostenuto la necessita di una critica alia religione come prolegomena ad ogni critica politica, e di averla sostenuta come una esigenza posta implicitamente dallo stesso Hegel con Ia riduzione della fede cristiana al concetto filosofico. Nella stessa linea di individualismo rivoluzionario si muove, rna portando al limite le premesse, Max Stimer ( 1806-1856), il teorico del solipsismo anarchico. Anche in lui ha peso determinante Ia convinzione che Hegel sia l'ultimo dei filosofi, dopo il quale filosofare non ha piu alcun senso. Infatti, Hegel ha portato a compimento razionale Ia visione dell'uomo come soggetto dotato di un che di divino, di superiore a lui, chiamato, appunto per questo, a una missi6ne che - poco importa Ia qualifica - e sempre da intendere come un valore che sta oltre l'individuo, come un'esistenza ha il senso di se nell'essenza. Ma ormai, o Ia storia si ferma, o si riconosce che l'unica realta e l'individuo inteso come singolo, senza nessuna sovrastruttura, ne religiosa ne razionale. E' il tema dell' opera di Stirner L 'unico e la proprietil, che uscira dopo 1'eclissi della sinistra hegeliana, nel 1845. Marx riconoscera a Stirner il merito di una riduzione all'assurdo dell'ideologia della societa borghese. Nel suo 'movimento a trottola sui tacco speculativo', Stirner, dice Marx, assolutizza il privato e Ia proprieta privata, fino a dissolvere ogni necessita sociale e statuale. II libro di Stirner si apre significativamente con un motto di Bauer: «L'uomo so!tanto ora e scoperto». La vicenda di Bruno Bauer ( 1809-1882) e forse quella in cui maggiormente si inscrive Ia combustione e Ia riduzione in cenere del sapere teologico all'interno d.ella sinistra hegeliana. Come professore di teologia, egli parte da destra, difendendo le tesi di Hegel contro le deviazioni che serpeggiano tra i suoi giovani eredi e che avevano trovato voce nella Vita di Gesu, di D.F. Strauss. La sua svolta avvenne nel 1839 ed ebbe Ia manifestazione piu clamorosa con un libello del 1841, intitolato La tromba del giudizio universale contra Hegel ateo e anticristo. Ultimatum Fingendosi un ortodosso scandalizzato dalle dottrine di Hegel, Bauer dimostra che, nella sostanza, Hegel aveva combattuto il cristianesimo non meno di Voltaire, anzi in modo incomparabilmente piu decisivo, perche aveva identificato la religione di Cristo con un momento della storia dell'autocoscienza umana. Con la filosofia hegeliana, la coscienza dell'uomo torna in se stessa, come Ulisse torno a Itaca, per liberarsi di tutte le sue armature e per affidarsi soltanto alia forza implacabile del suo arco teso. n punto d'arrivo della filosofia e la coscienza critica, che incenerisce nel proprio fuoco ogni pretesa di sistema. Tutto questo implica, secondo Bauer, l'abbandono da parte dello Stato di ogni rapporto con la religione cristiana e, per i cristiani, il superamento della loro fede in una coscienza umanitaria, sgombra di ogni residuo teologico. Nessuna tolleranza per le minoranze ebraiche: esse non potevano trovare piena cittadinanza nello Stato se non abbandonando il proprio particolarismo mitico, in pieno ossequio alla ragione critica: obiettivo, questo, da cui erano molto piu lontani che gli stessi cristiani.
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A deterrninare questa centralita della questione religiosa all'interno del ' gruppo hegeliano era stata, come si e accennato, l'opera di David Friedrich Strauss (1808-1874), La vita di Gesu, del 1835. Strauss non fa che svolgere la tesi hegeliana che la religione, e in modo sommo il cristianesimo, e 1' espressione mitica di quella stessa verita che Ia filosofia esprime in forma concettuale. Cristo non e che il prodotto mitico della fede delle prime comunita cristiane, un prodotto che ormai vela del tutto il nucleo storico originario, e cioe la vita di un grande genio religioso che attribui a se stesso l'adempimento delle promesse del Dio biblico. La verita nascosta dentro l'involucro del Gesu mitico, l'Uomo-Dio, e che l'umanita e Dio sono Ia stessa cosa. In sostanza, l'operazione di Strauss andava in senso opposto a quella seguita da Hegel, che era salito dalla rappresentazione religiosa al concetto, per trovare qui Ia verita definitiva. Strauss invece ridiscende dal concetto alia rappresentazione religiosa per mostrarne l'infondatezza, e quindi per mostrare la necessita che Ia coscienza si liberi dalle bende del mito che le rendono impossibile Ia liberta. Le ripercussioni del libro di Strauss furono profonde e durature. Come spiega Roger Garaudy, «dissociando filosofia e religione, egli conduceva gli hegeliani di sinistra verso l'ateismo, dissociando Ia logica e la storia, e rendendo in tal modo alla storia Ia sua propria realta e Ia sua autonomia, conduceva gli hegeliani di sinistra a non circoscrivere il compito della dialettica, alia stessa maniera di Hegel, nella comprensione di cio che e, rna a estendere all'avvenire il movimento dialettico dell'idea, che Hegel aveva bloccato al presente. Ormai, per i giovani hegeliani - e sara questa Ia prima grande svolta della filosofia dopo Hegel - l'hegelismo non e piu una soluzione, rna un programma, e Ia loro parola d'ordine e la realizzazione della filosofia. La filosofia non e piu, come in Hegel, armonia con se, riconciliazione col mondo, e una rivolta contro il mondo». Dalla riconciliazione alla rivolta: ecco un primo aspetto del rovesciamento di Hegel.
5.3 L'umanesimo di Feuerbach. Se il rovesciamento dell'hegelismo ha inizio in Strauss e terrnina in Marx, il punto di rottura del vecchio equilibria e l'inizio del nuovo, e cioe il passaggio dall'idealismo al materialismo, si ha in Ludwig Feuerbach*, partito anche lui come hegeliano di destra e anche lui convinto che «la dottrina hegeliana, secondo cui Ia natura, o la realta, e posta dall'idea, non e altro che l'espressione, in termini razionali, della dottrina teologica». Ebbene (ed e questa Ia tesi di fonda del pensiero di Feuerbach), «l'inizio della filosofia non e Dio, non e Assoluto, non e l'essere come predicato dell'Assoluto o dell'Idea: l'inizio della filosofia e il finito, il determinato, il reale». L'intero sistema di Hegel si regge sui principia che Ia natura e una 'alienazione' della Spirito, e lo Spirito che si dissocia da se, oggettivandosi. Il vero punto di partenza e proprio l'opposto: e la natura che si aliena nello Spirito. Hegel si pone da un punto di vista che costruisce il mondo, io da un punto di vista che presuppone il mondo come esistente e che vuole presupporlo come esistente; egli discende, io salgo. Hegel pone l'uomo sulla testa, io lo pongo sui propri piedi, riposanti sulla geologia.
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Se si parte dall'uomo con i piedi in terra (<
Ludwig Feuerbach nasce nel 1804 in Baviera. NeZ 1824 si reca per i suoi studi a Berlino, dove subisce il fascino di Hegel. NeZ 1826 si laurea ad Erlangen, dove diviene docente di filosofia, rna suscita scandala per il suo ateismo. Lo scandala cresce quando si sa che e lui l'autore di un 'opera uscita anonima, i Pensieri sulla morte e l'immortalita (1830). NeZ libretto, oltre che un aperto materialismo, c'e un netto spirito di avversione al clima politico della Restaurazione. Perde l'insegnamento. La pubblicazione de La vita di Gesu da parte di Strauss incentiva nella Prussia ufficiale lo spirito antihegeliano, che riesce a fare assegnare la cattedra di Hegel a Schelling (1841). Intanto Feuerbach, che collabora agli Annali di Halle, diretti da Ruge, pubblica, mettendo la Germania a rumore, L'essenza del Cristianesimo. In altri scritti, specie nei Principi della filosofia dell'avvenire, del 1843, Feuerbach approfondisce il suo distacco da Hegel. Si occupa ancora della tematica religiosa, rna accentuando un taglio di ricerca sempre piu vicino al positivismo, come dimostra il suo scritto sullEssenza della religione. Vive sempre piu appartato e sempre piu isolato fino al 1872, anna della sua morte.
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religione cristiana e nella relazione con un Dio esteriore all'uomo, sia all'uomoindividuo che all'uomo-specie. A causa di questa deviazione costitutiva, Ia religione cristiana diventa fomite di fanatismo, e dunque di azioni immorali e disumane. L'amore e, si, in grado di unire i membri della stessa specie, a condizione pero che nessun Mediatore si frapponga fra l'Io e il Tu. L'amore, se e vero, annulla il bisogno del Mediatore. Il Cristo stesso non e che l'immagine dell'unita della specie, e cioe dell'amore che l'umanita ha per se stessa. Mae un'immagine che va soppressa, senza di che rimane soppressa I'essenza stessa dell' a more tra gli uomini. ' E' cosi che l'ateismo si fa davvero radicale, molto di piu che non l'antiteismo di uno Strauss o di un Bauer. Il compito della storia, che per Hegel era la realizzazione di Dio nell'uomo, per Feuerbach e Ia realizzazione dell'uomo nell'uomo, una volta che l'uomo abbia smesso di proiettarsi in Dio. Questa riconciliazione dell'uomo con l'uomo e l'umanismo perfetto, che Feuerbach chiama comunismo. Si tratta di un comunismo filosofico, da relegare nel numero delle utopie contra le quali Marx esercitera, in modo implacabile, la sua critica. Cio non toglie che Marx, letto illibro di Feuerbach, L'essenza del cristianesimo, apparso nel 1841 - egli era diventato dottore nell'aprile della stesso anna - vi trovasse il punta d'appoggio per liberarsi d'un colpo dalle confuse divagazioni hegeliane in cui ancora si sentiva irretito. «Per il momenta, scrivera Engels, divenimmo tutti feuerbachianh). E rivolgendosi ai teologi e ai filosofi speculativi, Marx dira lora con forza: «Non v'e altra strada che vi porti alla verita e alla liberta, se non quella che passa attraverso il Feuer-bach: il torrente di fuoco. Il Torrente-di-fuoco (in tedesco, Feuerbach) e il purgatorio dell'epoca presente)). 5.4 Hegel alia resa dei conti. Per quanta totale, Ia rivoluzione antihegeliana di Feuerbach si muoveva dentro lo stesso spazio teorico disegnato da Hegel. E' lo spazio teorico connesso alla nozione di alienazione, che possiamo considerare come la nozione cerniera attorno alia quale si muovono, distinguendosi, rna anche unendosi, Hegel, Feuerbach e Marx. In Hegel, il momenta dell'alienazione o dell'estraneazione e, per dir cosi, fisiologico, perche rappresenta, nel processo dialettico, il momenta in cui l'autocoscienza si fa oggetto di se stessa, diventa 'cosa', per poi sopprimersi come oggetto e tornare a se stessa resa piu ricca dalla contraddizione superata (2.3). L'alienazione contrassegna dunque ogni grado della grande circolarita che l'Idea percorre per giungere all'ultima identita con se stessa come Pensiero in se. In Feuerbach, invece, l'alienazione e un processo patologico da cui ha origine la menzogna religiosa e, per suo tramite, la radicale schiavitu dell'uomo. Si potrebbe dire che la dottrina marxiana dell'alienazione vorrebbe fonciere in unita le due posizioni, quella di Hegel, nella quale ogni ritmo della storia ha una sua oggettiva necessita, e quella di Feuerbach, secondo la quale lo smarrimento di se che l'uomo vive nel momenta religioso e un evento indebito, che deve e puo essere soppresso. E di questa ci occuperemo subito. Ma intanto, a ben fissare la traccia di questa prima parte del cammino teorico di Marx, giova ricordare come gia nella sua Tesi di dottorato (Differenze tra la filosofia della natura di Democrito e quella di Epicuro) egli abbia fatto
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uso del concetto di alienazione per indicare che la novita di Epicuro, in rapporto all'atomismo precedente, e proprio qui, nell'attribuire all'atomo anche le 'qualita': «Tramite le qualita, l'atomo ottiene un'esistenza che contraddice il suo concetto, viene posto come un essere alienato, diverso dalla sua essenza». Mentre in Democrito l'atomo e, dal principio alia fine, retto dalle inflessibili leggi della necessita, Epicuro, con l'introdurre nell'atomo una spontaneita creativa, quella del clinamen, e dunque un momento di alienazione, giunge a legittimare, nella storia, la componente della liberta. La deviazione dell'atomo, infatti, non ha cause esteme a se, e autonoma di fronte alia natura e di fronte agli dei. Epicuro, in contrapposizione al 'teologo Plutarco', e il distruttore dei miti greci. La filosofia. - scriveva Marx nella prefazione alia sua Tesi - gridera sempre, con Epicuro, ai suoi avversari: empio non e colui che allontana gli dei dal popolo, rna colui che adatta le idee della massa agli dei'. La filosofia non tace. La professione di fede di Prometeo: 'In una parola, io odio tutti gli dei', e Ia sua professione di fede, la sua sentenza contro tutti gli dei celesti e terreni, che non riconoscono l'autocoscienza umana come la divinita piu alta. Nessuno puo starle alla pari ... Prometeo e il primo santo e martire del calendario filosofico.
Epicuro, dunque, ha rappresentato, dopo i sistemi filosofici dell'antichita, Ia voce della ragione critica, proprio come Feuerbach dopo la grande impresa costruttiva di Hegel. II rischio e ora lo stesso che allora corsero gli epicurei e gli stoici: quello di cercare nella sfera soggettiva la felicita impossibile nel mondo oggettivo: ... Ia filosofia epicurea o quella stoica costituivano Ia felicita di quel tempo. Cosi Ia farfalla notturna, quando il sole di tutti e tramontato, cerca la luce nella lampada del privata.
Una 'farfalla nottuma' era, in quegli anni, Soren Kierkegaard (4.8), rna anche, in altro modo, Max Stimer. Lo stesso Feuerbach, che pure aveva compiuto il miracolo del capovolgimento della dialettica hegeliana ponendo la Natura al posto dell'Idea, non aveva tratto tutte le conseguenze dalla sua intuizione rivoluzionaria. Dopo il primo impeto, il suo 'materialismo' ando rassomigliando sempre piu a quello borghese illuministico, fino a ideil.tificarsi con il progressismo positivistico in auge dopo la meta del secolo. A impedire a Marx questa parabola, percorsa da quasi tutti i giovani hegeliani, valse anche la necessita che lo spinse a tentare l'esperienza giomalistica, durante Ia quale pote toccare con mana i meccanismi reali che davano movimento allo Stato, questa incamazione dello Spirito assoluto! Chiusa d'autorita, il 31 marzo 1843, ·la Gazzetta renana, Marx si rifugio presso la famiglia della fidanzata ed ivi compose, tra la primavera e !'estate di quell'anno, la Critica della filosofia del diritto pubblico di Hegel, che sara stampata solo nel 1927. E' con questo scritto - le cui idee saranno riprese alia fine dello stesso anno, a Parigi, nei due saggi La questione ebraica e Critica della filosofia del diritto di Hegel Introduzione - che Marx comincia, per dir cosi, a diventare marxista. La breve esperienza di pubblicista, che lo aveva tenuto a contatto con la realta della politica, lo aveva anche tenuto al riparo dagli sbandamenti
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degli amici della sinistra, ormai piu o meno prigionieri dell'individualismo anarchico. Era giunto il tempo di fare direttamente i conti col Maestro, non solo per mettere a nudo la contraddizione di fondo del suo pensiero, rna anche per far fruttificare la sua grande, irrinunciabile lezione circa il carattere necessaria dei processi storici, sui quali deve misurarsi, senza vani soggettivismi, chi voglia prenderne le redini. Sulle orme di Feuerbach, Marx mostra come e perche Hegel resti succube del meccanismo d'inversione tra soggetto e predicato, in base al quale lo Stato, che e prodotto dell'uomo, e quindi suo predicato, diventa una mistica sostanza della quale gli individui umani si fanno predicati irrilevanti, la cui verita coincide con la funzione che li raccorda allo Stato, sostanza universale fatta visibile, il cui bene e l'unico valore che va a tutti i costi salvaguardato. Marx e d'accordo . con Hegel nel distinguere la societa civile dallo Stato, rna mentre per Hegel la societa civile trova nello Stato il luogo di risoluzione dei suoi conflitti (e cosi lo Stato diventa come il Cielo dei cristiani), per Marx, al contrario, lo Stato non e che lo strumento di interessi particolari. In quanto cittadino, membro cioe dello Stato, l'individuo e uguale a ogni altro individuo, rna, in quanto membro della societa civile, l'individuo e e resta soggetto o oggetto di sfruttamento, del tutto immerso nelle disuguaglianze reali, che lo Stato non e affatto in grado di mediare. La sua mediazione, infatti, e astratta, nel senso che le determinazioni giuridiche con cui la realizza (dinanzi alia legge l'industriale e l'operaio sono uguali) non modificano in nulla le condizioni reali. L' emancipazione politic a, di cui va fiero lo Stato liberale, non e che una delle forme dell'alienazione dell'uomo, analoga a quella religiosa. Di qui, ad esempio, l'inconcludenza delle soluzioni proposte dalla pubblicistica liberale per definire la questione ebraica. Nello Stato prussiano, gli ebrei andavano rivendicando la parita dei diritti, manomessa proprio da quel decreto del 1816 che aveva colpito anche la famiglia Marx. Secondo Bauer, lo Stato avrebbe dovuto liberarsi dalla religione: in un sol momento, sarebbe cosi venuta meno la discriminazione tra cittadini ebrei e cittadini cristiani. Era per l'appunto la soluzione laica, adottata dagli Stati che avevano attuato la rivoluzione liberale. Ma per Marx quella era una soluzione mistificante, perche la fine dello Stato confessionale non e la fine del bisogno religioso dei cittadini. E, a sua volta, tale bisogno religioso non e la causa dell'infelicita umana, rna il sintomo. L'alienazione si toglie davvero solo mediante una emancipazione umana, come aveva dimostrato Feuerbach. Ma questa emancipazione non andava progettata - e qui Marx corregge Feuerbach in un punto decisivo - come un semplice risultato della ragione critica, alla maniera illuministica, e cioe a partire da una nozione astratta di natura umana, rna a partire dall'analisi dell'uomo storico, dato che le vere cause dell'alienazione si annidano nel contesto dei rapporti economici con cui l'uomo si trova a vivere. Restava solo da stabilire quali fossero le forze storiche capaci di aggedire e di modificare le cause prime dell'alienazione umana. Allora Marx avrebbe varcato il suo Rubicone. E' quaqto avvenne, nello stesso giro di mesi, durante l'indagine esposta nella Critica della filosofia del diritto di Hegel lntroduzione, il secondo saggio destinato agli Annali franco-tedeschi di Ruge. Per la prima volta appaiono, in quelle pagine, due tesi specificamente marxiane: quella sui proletariato quale
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soggetto investito della missione dell'emancipazione universale e quella della rivoluzione intesa non come violenza esercitata contro la societa, rna come adempimento di una tendenza inscritta nelle viscere stesse della storia: Apparira chiaro allora - aveva scritto a Ruge nel settembre 1843 come da tempo il mondo possiede il sogno di una cosa della quale non ha che da possedere Ia coscienza per possederla realmente.
E nello stesso anno, nella Critica alla filosofia del diritto di Hegel Introduzione, scrivera una pagina rimasta giustamente famosa: L'uomo non e altro che il mondo dell'uomo, lo Stato, Ia societa. Questo Stato, questa societa producono la religione, che e una conoscenza capovolta · del mondo, appunto perche essi costituiscono un mondo capovolto. La religione e Ia teoria generale di questa mondo, il suo compendia enciclopedico, Ia sua logica in forma popolare, il suo point-d'honneur spiritualistico, il suo entusiasmo, Ia sua sanzione morale, il suo solenne completamento, il fondamenta generale della sua consolazione e giustificazione. Essa e Ia realizzazione fantastica dell'essere umano, poiche l'essere umano non possiede una vera realta. La Iotta contro Ia religione e quindi, indirettamente, Ia Iotta contro que! mondo Ia cui quintessenza spirituale e Ia religione. La miseria religiosa e, da un Jato, l'espressione della miseria effettiva e, dall'altro, Ia protesta contro questa miseria effettiva. La religione e il gemito della creatura oppressa, !'animo di un mondo senza cuore, cosi com'e lo spirito di una condizione di vita priva di spiritualita. Essa e l'oppio per il popolo. La soppressione della religione quale felicita illusoria del popolo e il presupposto della vera felicita. La necessita di rinunciare aile illusioni riguardanti le proprie condizioni e Ia necessita di rinunciare a queUe condizioni che hanna bisogno di illusioni.
La posizione marxiana sulla religione e espressa in questa pagina con eccezionale chiarezza, e, per di piu, con un linguaggio che arieggia certi passi 'antireligiosi' dei profeti biblici. Dentro la trama dei suoi assiomi suggestivi, ce n'e uno che sembra aprire uno spiraglio sulle profondita a cui la religione attinge la sua forza piu vera: oltre che esprimere (come puro e illusorio rispecchiamento) la miseria effettiva, la religione e anche 'la protesta contro questa miseria effettiva'. E' su questo punto anti-illuministico, ad esempio, che il marxista Ernst Bloch (8.14), nei primi decenni del nostro secolo, ha costruito la sua antropologia dell' homo absconditus, dell'uomo inedito, il cui vero sen so e nel 'principia speranza' e la cui manifestazione storica non puo non essere la protesta utopica contra un mondo troppo al di qua degli orizzonti della speranza.
Marx: il comunismo come umanismo 5.5 La questione dei 'Manoscritti'. Chiusa, nei primi mesi del 1844, l'esperienza lampo degli Annali franco-tedeschi, Marx si trova a Parigi in un 'tempo vuoto', senz'altro impegno che quello, estremamente duro, di tirare avanti non piu solo, perche ha portato con se la moglie Jenny. Si infittiscono le amicizie piu o meno durature (con Heine, con Bakunin, con Proudhon), decisiva fra tutte quella con Friedrich Engels, che lo sprona ad affrontare anche lui i temi
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di fonda dell'economia politica. Nel giro di pochi mesi, Marx scrive un'opera la cui vicenda e davvero singolare nella storia del pensiero umano. Nell'intento di Marx, essa doveva essere appena la prima parte (dedicata, appunto, all'economia politica) di un complesso lavoro, che avrebbe dovuto esporre per intero il suo pensiero. E difatti, pur nelle condizioni di cospicuo frammento, l'insieme dei Manoscritti (al completo: Manoscritti economico-filosofici '44) ci offre di Marx quella che potremmo chiamare la 'visione del mondo', che fa da pendant, cronologicamente e qualitativamente, all'altro voluminoso scritto a cui soprattutto e rimasta affidata la sua fama, il Capita/e. Sui rapporti tra i Manoscritti e il Capitale, come momenti vertice dell'evoluzione del pensiero di Marx, esiste una complessa letteratura. I Manoscritti rimasero inediti fino al 1932, con la conseguenza che l'immagine di Marx, durante la sua vita e per mezzo secolo dopo la sua morte, fu quasi esclusivamente quella offerta dal Capitale, come se gli scritti anteriori fossero frammentarie preparazioni all' opera maggiore. La conoscenza dei Manoscritti ha reso possibile una rappresentazione del pensiero marxiano che potremmo dire umanistica, nel sensa che vi hanna predominanza i temi antropologici, la cui determinazione fa corpo con l'analisi critica del pensiero filosofico ed economico altrui. E' invalso l'uso, anche nell'area della cultura marxista, di rifarsi al 'Marx giovane', e in specie ai Manoscritti, per correggere, sui parametro di un umanismo dialettico dalle ampiezze totalizzanti - qualcuno direbbe utopiche -, le elucubrazioni di economia che fanno del Marx del Capitale un maestro troppo incastrato, ai nostri occhi, nella relativita di una fase storica - quella positivistica - ormai davvero lantana. Il Marx dei Manoscritti e ancora nel versante hegeliano, sul quale continuano ad aver senso le grandi questioni dell'esistenza individuale e dei fini della storia. Il ritomo al 'Marx giovane' ha dunque, in molti marxisti, il valore che per molti cristiani ha il ritomo al Nuovo Testamento: quello di un rigetto delle angustie scolastiche succedute al momenta creativo delle origini. Di contro, non mancano marxisti di prestigio (uno per tutti: Louis Althusser, 15.7), che tra i Manoscritti e il Capitale pongono una 'rottura epistemologica', come preciseremo tra poco (5.16), in ragione della quale il vera Marx sarebbe quello che, lasciate alle spalle le divagazioni sull'umanismo, ha imboccato le vie della scienza. Ma e molto piu fondata la tesi che potremmo esprimere con le parole di Leszek Kolakowski: «i Manoscritti costituiscono la prima stesura del libra che Marx avrebbe scritto per tutta la vita e di cui il Capitale rappresenta la versione finale. Esistono buone ragioni per asserire che questa ultima versione non sia la negazione della prima, bensi il suo sviluppo». 5.6 Critica dell'economia borghese. La prima delle tre sezioni fondamentali in cui si dividono i Manoscritti e dedicata alla critica dell'economia capitalistica, con una particolare insistenza sui carattere alienato del lavoro nella societa borghese. Era stato Engels, con un suo saggio apparso nel numero unico degli Annali franco-tedeschi, a stimolare Marx ad affrontare uno studio approfondito dell'economia politica. I temi che Marx sviluppa sono gia presenti nel saggio engelsiano, solo che, in seguito a una lettura dei grandi autori dell'economia borghese, da Smith a Ricardo (3.4), Marx ne svolge con estrema lucidita tutte le implicazioni, anche se in questa fase non vengono tenuti nella giusta distin-
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zione il discorso economico e quello antropologico, l'analisi tecnica dei processi produttivi e le sintesi umanistiche. La separazione tra le due prospettive, l'umanistica e l'economica, o meglio Ia caduta della prima a vantaggio dell'altra, avverra solo piu tardi, nella fase di composizione del Capitale. II giudizio di fondo che Marx da dell'economia borghese - un giudizio che sara ripreso e approfondito nel Capitale - e che, sotto il pretesto della sua scientificita, essa e troppo poco scientifica, perche costruisce le sue spiegazioni a partire da dei dati presi cosi come si presentano nella pratica reale, senza nessuna premura di spiegare perche ci sono e perche sono quelli che sono. Un esempio: il dato da cui l'economia politica parte, quasi si trattasse di una Iegge di natura, e quindi senza una adeguata ricerca delle sue cause, e la proprieta privata, dalla quale derivano, nell'eta industriale, il capitale da una parte e, dall'altra, l'opetaio salariato. Eludendo una comprensione critica dei dati, l'economia borghese li mette in rapporto tra loro, senza avvertire che il rapporto si pone tra 'apparenze', dietro le quali si nascondono le realta le cui effettive connessioni sono ben diverse da quelle stabilite dalla cosiddetta spiegazione scientifica. Marx porta I'esempio di Smith, che non fa distinzione alcuna tra la frazione di capitate sborsata come salario e la frazione sborsata per acquistare le materie prime. E invece, cio che e uguale nel registro di contabilita del capitalista e diversissimo nell'ordine delle cose. Nell'ordine delle cose, la frazione di capitale versata all'operaio come salario non e che un parziale ritomo dellavoro alia sua sorgente, dato che il capitale altro non e se non lavoro accumulato. In una pura e semplice descrizione del processo produttivo, il capitalista e l'operaio sono due soggetti, l'uno accanto all'altro, o magari l'uno in contrasto con l'altro, rna Ia verita e piu profonda. La verita e che il capitale nega il lavoro, nel senso che tende di sua natura ad abolime la necessita, in quanto il salario e di per se un limite al suo accumulo. Per il capitalista, il salario e capitale perduto. E cosi, a sua volta, il lavoro tende a negare il capitale, nel senso che la sua esigenza e di non venir espropriato del proprio prodotto, come invece avviene, in quanto sono altri che si appropriano del profitto della produzione. Ecco un caso tipico dell'applicazione della dialettica alia realta: il capitale e il lavoro si negano a vicenda, e tuttavia si richiamano a vicenda, dato che l'uno non puo stare senza l'altro. Di questo approfondimento della natura del lavoro Marx e debitore largamente alla Fenomenologia di Hegel, specie all'idea centrale del capitolo sulla contesa servo-padrone (2.2). E' merito di Hegel, dichiara apertamente Marx, aver riconosciuto che Ia dialettica e il motore della storia, e lo e in quanto l'uomo produce se stesso (tesi), e produce se stesso come alienazione (antitesi) e come soppressione di questa alienazione (sintesi). L'uomo di cui parla Hegel e l'autocoscienza, che si estrania da se stessa nel farsi oggetto di se (ecco il momento dell'alienazione) e toma a se stessa mediante Ia negazione dell'oggettivita. ll lavoro rientra in questa oggettivazione di se dell'Idea: il che vuol dire che l'essenza del lavoro e spirituale. Due sono i limiti che Marx denuncia nel processo dialettico hegeliano; il primo e la natura spirituale del lavoro considerato essenza dell'uomo; il secondo e il valore esclusivamente positivo del lavoro, la sua funzione di arricchimento dell'uomo. Tale positivita e pensabile solo
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se il lavoro di cui si parla e assunto astrattamente, a prescindere doe dal fatto che esso e sempre un lavoro compiuto da un soggetto immerso nelle relazioni sodali, e insomma un lavoro alienato, negato proprio nella sua essenza di lavoro. Hegel- rna in questo anche Feuerbach era rimasto hegeliano- non tiene conto che, svolgendosi in un contesto storicamente determinato, in cui i dati di rilievo sono la proprieta privata, la divisione dei compiti, lo scambio, il lavoro non e come se fosse inscritto in una natura immutabile. Esso e inscritto nella storia, e insomma anch'esso un prodotto dell'uomo in una particolare fase della sua evoluzione. Ecco perche e un lavoro alienato, estraniato, e doe stravolto nelle sue caratteristiche essenziali. Gli aspetti di questa alienazione sono diversi. n primo riguarda il rapporto tra il lavoratore e il prodotto del suo lavoro. La merce prodotta e lavoro oggettivato, rna essa non appartiene a chi l'ha prodotta, appartiene ad altri, al capitalista, e gli appartiene in base a un contratto. Quanto piu l'uomo lavora, tanto piu immane e impenetrabile si fa, dinanzi a lui, il mondo degli oggetti che ha prodotto. II secondo riguarda lo stesso processo produttivo, nel quale il lavoratore si aliena gia per il semplice fatto che non vi trova un' espressione di se, un soddisfacimento dei propri bisogni umani, vi trova il mezzo per soddisfare i bisogni animali, come il mangiare, il here, il procreare. Le attivita che gli appartengono come membro del genere umano, come 'essere generico', diventano strumenti per soddisfare le sue funzioni bestiali, come dire preumane. Di qui il paradosso: l'uomo «Si sente con se stesso quando e libero dal lavoro e lontano da se quando e allavoro». II terzo riguarda il rapporto tra l'uomo e l'uomo, tra l'uomo e la comunita. Negato come essere generico, e doe nei suoi bisogni propriamente umani, e ridotto aile funzioni animali, l'uomo si fa estraneo, oltre che a se stesso, anche all'altro uomo e alia stessa comunita umana. Divenuto dipendente dall'oggetto, egli non e in grado di stabilire uno scambio umano con l'altro uomo, anche lui a sua volta subalterno all'oggetto. La possibile trasparenza tra uomo e uomo, in vista di una vera comunita umana, e intercettata. Se illavoro di un operaio e fonte di godimento per gli altri, non potra essere per lui che fonte di sofferenza. II quarto riguarda il rapporto uomo-natura, che, a causa del lavoro alienato, diventa rapporto di estraneazione, nel senso che la natura viene considerata in se separatamente, e fatta oggetto di conoscenze, quelle sdentifiche, che si considerano del tutto oggettive, e cioe vie di accesso alia verita, a presdndere dal soggetto, cosi come il soggetto, assunto nella sua separatezza di soggetto che ha di contro la natura-oggetto, da luogo a una conoscenza di se di tipo teorico, la filosofia. Le due forme di conoscenza, la sdentifica e la filosofica, vivono nell'astrazione, nel senso che si costruiscono come sfere tra loro distinte e ambedue esterne alle contraddizioni, che sono invece la stoffa concreta della societa alienata in cui l'uomo reale vive.
5. 7 L'alienazione religiosa. L'ateismo. L'analisi del lavoro alienato conduce Marx alle radici di quell'alienazione religiosa il cui smascheramento era stato compiuto da Feuerbach (5.3) e che da Feuerbach Marx aveva accettato. Solo
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che a questa punto Marx e in grado di spiegare cio che Feuerbach si era limitato a constatare, e cioe in che senso e in base a quale processo il mondo religioso e la realizzazione meramente fantastica dell'essenza umana. Che l'uomo sia incline a realizzare la propria essenza in un mondo ultraterreno non e un dato della sua natura, come dire della sua struttura fisico-psichica astrattamente assunta, e l'effetto storico di una scissione dovuta, appunto, al lavoro alienato. La religione e il prodotto dell'irrazionalita dei rapporti reali quali si stabiliscono nell'economia dello sfruttamento. Per sopprimere la religione, non basta affatto - ed e qui il limite di Feuerbach - che l'uomo si accorga che la sostanza del suo mondo religioso e l'illusione, occorrera modificare l'ordine delle cose, in modo da renderlo conforme all'ordine di ragione. E qui Marx scavalca Feuerbach e torna discepolo di Hegel: il compito della storia e la coincidenza tra reale e razionale, da intendere non come coincidenza data, rna come progetto da realizzare. Di pili, staccandosi da Feuerbach, che era rimasto, tutto sommato, prigioniero dell'individualismo illuministico, Marx considera l'uomo reale come un essere sociale, e cioe come un soggetto integrato in una complessita la cui causa motrice e nell'attivita produttiva. Il processo storico porta in se, quasi nel proprio grembo, un fine da realizzare, che per Hegel e il sapere assoluto, e cioe l'uomo teoretico totale, mentre per Marx e l'uomo pratico totale, l'uomo comunista, di cui tra poco dovremo dire. A suo modo - in un modo alienato, appunto - la religione porta in se il sospiro di questa totalita. Come Marx aveva scritto in un passo, da noi citato (5.4), della Critica della filosofia del diritto di Hegel, la miseria religiosa e insieme l'espressione della miseria reale e la protesta contro la miseria reale. La religione e il sospiro della creatura oppressa, il sentimento di un mondo senza cuore, cosi come e lo spirito di una condizione senza spirito. Essa e l'oppio del popolo.
Si noti bene: l'oppio del popolo, non l'oppio peril popolo. E' il popolo che amministra a se stesso il narcotico che lo aiuta a sopportare la miseria. Perche la religione venga meno, e necessaria che venga meno la miseria di cui e il riflesso, che sia dato esaudimento reale, e non immaginario, alla protesta di cui e la voce inconsapevole. In un prima momenta, questa negazione della religione, sia pure per la via indiretta del cambiamento delle condizioni reali piuttosto che per la via diretta della lotta antireligiosa, apparira come ateismo. Ma l'ateismo e, per cosi dire, l'altra faccia della religione, e anch'esso un momenta non autentico, anche se necessaria, della mediazione tra l'uomo e se stesso. In quanta in tutto e per tutto prodotto dalla storia, l'uomo che sia divenuto totalmente trasparente a se stesso non ha bisogno nemmeno di porsi il problema di chi abbia creato questa mondo. Intemo com'e al mondo, l'uomo non puo staccarsene ponendo il mondo dinanzi a se per interrogarsi su chilo abbia creato. Gia la posizione del problema di Dio e un riflesso dell'alienazione. La problematica religiosa e commisurata alla fase in cui l'uomo e la natura permangono 'inessenziali': estranei a se. L'ateismo non e che la conferma capovolta dell'alienazione religiosa. Esso
e una negazione di Dio e pone l'esistenza dell'uomo mediante questa negazione. Ma il socialismo come tale non abbisogna piu di questa mediazione.
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Cosi nei Manoscritti. E nella Questione ebraica aveva gia precisato: L'uomo, anche se con Ia mediazione dello Stato si proclama ateo, cioe se proclama ateo lo Stato, rimane ancor sempre implicato religiosamente, appunto perche riconosce se stesso solo per via indiretta, solo attraverso un mezzo. La religione e appunto un riconoscersi dell'uomo per via indiretta. Attraverso un Mediatore.
La negazione di Dio, quale si ritrova in Marx, solo impropriamente viene identificata con I'ateismo. L'uomo totale, di cui Marx costruisce teoricamente la genesi storica, e quello che, nei suoi rapporti con se stesso, con la natura e con l'altro uomo, non ha bisogno di nessuna mediazione religiosa (ne filosofica, ne istituzionale, e cosi via), e nemmeno di quella mediazione 'religiosa' capovolta che e I' ateismo. In fonda, per Marx l'ateismo e l'ultimo grado del teismo, del riconoscimento borghese di Dio. 5.8 La dialettica in Hegel e in Marx. Anche in questa prospettiva di superamento dell'antitesi religione-ateismo, Marx e fedele al metoda dialettico di Hegel. La riflessione antropologica dei Manoscritti ha il suo fila conduttore nella ricerca di un superamento tanto dell'idealismo di Hegel che del materialismo di Feuerbach. II limite di Hegel e di aver collocato la dialettica a un livello, quello del pensiero, dal quale non e pili possibile attingere la natura, l'uomo naturale nella sua fisica corporeita. L'uomo e, per lui, autocoscienza; l'alienazione e l'autocoscienza che si fa estranea a se, si oggettiva, e la riconciliazione e Ia soppressione di quell'alienazione, che e, lo ripetiamo, soltanto l'oggettivita posta dalla coscienza, e insomma anch'essa intema alia coscienza. Questa movimento dialettico procede circolarmente, da se a se: il 'fuori di se' hegeliano e un atto del pensiero che fa della natura un momenta della autocoscienza, come dire un momenta astratto. Per far propria la Iegge dialettica del divenire storico, Marx ha bisogno di liberarla dal suo involucra idealistico, e a tale scopo fa ricorso a Feuerbach, che ai suoi occhi ha due meriti: 1. d'aver provato che Ia filosofia altro non e se non la religione espressa sotto forma di idee e sviluppata dal pensiero; anch'essa e dunque da condannare, come una delle tante forme di alitinazione dell' essenza urn ana; 2. d'aver fondato il vera materialismo e la scienza reale, data che Feuerbach fa del rapporto sociale dell'uomo con l'uomo anche il principia fondamentale della teoria. Solo che Feuerbach, a giudizio di Marx, non ha ben compreso la dialettica di Hegel, perche non ha tenuto canto, sia pure criticamente, della dimensione storica, che nella dialettica hegeliana e davvero fondamentale. Marx completa Feuerbach dimostrando che quella di Hegel, anche in quel capolavoro che e Ia Fenomenologia, e una dimensione storica in astratto, nel sensa che essa analizza non il processo reale del divenire storico, rna il processo della sua proiezione nel pensiero. In Hegel (2.3), il concetto e, nei confronti della realta, quel che e il denaro nei confronti della merce: ne fa le veci, rna mistificandola, e cioe integrando in se l'alienazione propria del processo produttivo. Nella dialettica
150 D 5 - Marx: il comunismo come umanismo di Hegel l'oggettivazione e una stessa cosa con l'alienazione; la 'fisiologia' assorbe in se, nascondendola, la patologia. La riconciliazione, per lui, si ha mediante la semplice negazione dell'oggettivazione. Marx invece distingue l'oggettivazione e quella sua degenerazione storica che e l'alienazione, doe lo stato in cui l'uomo vive separato da se stesso, dall'altro e dal proprio essere. Non avendo saputo cogliere questa differenza tra oggettivazione e alienazione, Hegel compie due errori: di lasciare intatta, come dire estranea alla presa di coscienza, l'alienazione sociale ed economica, e di aggiungervi un'alienazione supplementare, quella del sapere assoluto come luogo di riconciliazione delle contraddizioni. Questa alienazione supplementare sottintende il vizio di fondo del sistema hegeliano, quello che fa dello Spirito il soggetto reale della storia. Di conseguenza, la storia e tutta conchiusa nel movimento dialettico nel quale l'idea conosce se stessa e nel conoscersi si attua. A rigore, la storia hegeliana e senza tempo. In Marx, invece, la storia si decompone in due ere: quella in cui l'uomo, prigioniero dell'alienazione, non si appartiene, e quella veramente 'umanistica', alla quale si giunge attraverso due tappe: la tappa teorica, che comporta la soppressione dell'alienazione religiosa, e la tappa pratica, che comporta la soppressione dell'alienazione socio-economica.
5. 9 L'umanismo marxiano. E' stato detto giustamente che l'umanismo di Marx e un umanismo escatologico, nel senso che la pienezza umana vi e vista come di la da venire, come un evento futuro, per quanto gia contenuto nelle pieghe delle contraddizioni presenti e affidato, nella sua gestazione e nella sua nascita, alia causalita oggettiva di queste contraddizioni. Nel tratteggiare questa pienezza umana, Marx si sforza di tenersi al di la cosi dell'idealismo di tipo hegeliano come del materialismo feuerbachiano, e piu generalmente meccanicistica, di tipo settecentesco. ll SUperamento delle due unilateralita avviene, Secondo le regole della Aufhebung hegeliana, salvando le verita parziali delle due opposte concezioni, per ricomporle in una superiore verita In questa superiore verita sull'uomo, assume un'evidenza robusta e feconda il nesso uomo-natura. La spiegazione marxiana si colloca al termine dello sviluppo della filosofia classica tedesca circa il rapporto tra il soggetto umano e la natura. In Kant, la natura e totalmente estranea al soggetto, la cui identita e per intero nel versante cartesiano della cogitatio, del pensiero che pensa. Hegel aveva aperto al pensiero le vie-di una integrazione della natura dentro le praprie leggi ('cio che e reale e razionale'), rna secondo un equilibria che era a tutto vantaggia del pensiero, dato che al livello dell'Assaluta niente sopravvive se non il pensiero. Feuerbach ribalta l'equilibrio unilaterale di Hegel, rna la fa con un'altra unilateralita, panendo doe la naturalita dell'uomo come un prius da cui trae origine anche il mondo del pensiera. La soluziane di Marx non e ne idealistica ne materialistica, e dialettica, nel sensa forte del termine, e doe nel sensa che la totalita e dentro la dialettica, non fuari, ne al suo termine come epiloga che chiude definitivamente il cerchio. Da queste premesse si sviluppa l'umanismo marxiano. 1. In primo luogo, per Marx, l'uama e un essere di natura; la sua identita ha il suo primo supporta non nel riconoscimenta da parte della societa, come in Hegel, ne nella evanescenza sacra della specie, come in Feuerbach, rna nel-
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l'insieme dei suoi impulsi corporei e nell'insieme dei condizionamenti che fanno di lui un oggetto di forze estranee, al pari di una pianta o di un animale. Sotto il primo profilo, egli e un essere naturale attivo, che ha dinanzi a se gli oggetti appropriati ai suoi bisogni; sotto il secondo profilo, egli e un essere naturale passivo, nel senso che in lui si incrociano e si annodano causalita e bisogni estranei a lui. In ogni caso, l'uomo e innanzitutto «l'uomo reale, corporeo, piantato sulla terra ferma e tonda, quest'uomo che espira e aspira tutte le forze della natura)). Ma sarebbe un errore pensare che la natura sta dinanzi all'uomo bell'e formata, come un oggetto che attende soltanto di essere constatato e conosciuto. Se l'uomo naturale e un frammento della natura, a sua volta la natura e la creazione dell'uomo, un prodotto della sua attivita. Infatti, se l'uomo e un essere di natura, e anche, e inscindibilmente, un essere naturale umano: in lui, cioe, la natura e sempre umanizzata, prodotta dall'uomo stesso, cosi come l'uomo e prodotto dalla natura, senza nessun residua trascendente. Sbagliano quei materialisti che fanno dell'uomo in quanta coscienza un semplice rispecchiamento della realta estema. La natura e quella che e attraverso l'uomo, cosi come l'uomo e quello che e attraverso la natura. Questa reciprocita, che impedisce di pensare i due termini natura e uomo l'uno separato dall'altro, ha la sua viva base nel lavoro, nel quale e, si, la natura fisica che condiziona l'uomo, rna e anche l'uomo che modella la natura fisica. 2. L' essere naturale umano e anche, necessariamente, un essere sociale, nel senso che il legame sociale e dato dalla natura, rna questa legame non resta nell'uomo al livello in cui resta nelle formiche o nel branco, si umanizza, si attua, cioe, attraverso scelte consapevoli: «come la societa produce l'uomo in quanto uomo, cosi essa e prodotta da lui)). E' proprio qui, in questa reciprocita, che si innesta l'interferenza storica che produce l'alienazione. Difatti, in se e per se la societa dovrebbe portare a pieno adempimento tutto do che e inscritto, come possibilita, nella specie umana, e cioe nell'uomo generico, come, ad esempio, l'unione tra l'uomo e la donna, o come la condivisione dei beni della terra, o come la creativita del lavoro, e cosi via. Ogni individuo dovrebbe attuare in se l'essere generico. Ma questa e reso impossibile da un accidente storico, e cioe dalla forma di organizzazione del lavoro. Quando un uomo lavora, la sua umanita e abitata dall'intera storia della specie; il suo lavoro e l'espressione della sua 'vita generica', e cioe di tutte le ricchezze accumulate dal genere umano fino a lui. Ma fintanto che i mezzi di produzione sono in mano privata, tutto quel patrimonio e di fatto monopolizzato da alcuni individui, che dispongono a proprio vantaggio di tutto quanta il genere umano ha inventato e trasmesso lungo i millenni. 5.10 11 comunismo. Si capisce perche, dopo che nel 1932 vennero conosciuti i Manoscritti, il riferimento al Marx giovane sia diventato un costume culturale molto diffuso in certi settori della cultura militante, specie di ispirazione etico-religiosa. L'intreccio fra i temi economici e quelli antropologici e, nei Manoscritti, cosi fitto e cosi indissolubile che l'immagine del Marx ateo e avversario dei valori dello spirito, divulgata tanto dalla cultura borghese quanta da quella comunista piu strettamente condizionata dall'antagonismo politico o,
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come nell'est europeo, dallo Stato ideologica, appare come non adatta ad esprimere quanta c'e di originale nei momenti forti della sua meditazione. Le prospettive di liberta sono, nel Marx dei Manoscritti, tutte centrate sulla condizione storica futura, nella quale la realizzazione dell'uomo generico sara l'effetto non gia della fine dell'alienazione religiosa, rna della fine di tutte le menomazioni derivate dalla proprieta privata. La concidenza tra le potenzialita dell'uomo generico e la piena realizzazione di se dell'individuo puo avverarsi solo con la mediazione del lavoro, una volta che il lavoro si sia svincolato dalle leggi della proprieta privata. E' nel lavoro che si attua il nesso dialettico tra l'uomo e Ia natura e, in seconda istanza, tra l'uomo e l'uomo, in modo che Ia natura si umanizzi e l'uomo si naturalizzi. A causa della dominazione universale della categoria dell'avere, invece che mediazione costruttiva, in vista della crescita dell' essere, il lavoro e il luogo per eccellenza di tutte le alienazioni, che colpiscono non solo la classe operaia rna anche i capitalisti. Finche il vero mediatore tra uomo e uomo e tra uomo e natura sara quel simbolo-strumento della proprieta privata che e il denaro, piu un uomo si arricchisce e piu si fa manchevole di umanita. Per uscire dalla sua preistoria, come dire da una condizione che gli impedisce di essere in pieno se stesso, l'uomo deve uscire dal regime di proprieta privata, deve entrare cioe nella societa comunista. Al tema del comunismo Marx clara in seguito sviluppi molto ricchi. In questa fase, egli lo svolge con un'angolazione ancora feuerbachiana, come dire umanistica, anche se con un taglio in cui e predominante il tema economico, quello appunto della proprieta privata. E' proprio a causa di questa specificita che Marx rigetta come 'rozzo' il comunismo degli utopisti, compreso quello di Proudhon, perche si limita a combattere l'alienazione propria del mondo dellavoro senza avvertire i legami col regime di proprieta. Lungi dal propugnare l'abolizione della proprieta privata e del regime salariale, il 'comunismo rozzo' vorrebbe generalizzare la proprieta sotto forma di un salario uguale per tutti i cittadini. 11 livellamento economico modifica le forme dell'alienazione, rna non ne colpisce le cause. Ma nemmeno puo essere accettato il comunismo politico, che mira ad abolire lo Stato nella convinzione di poter abolire, solo per questa, l'alienazione. 11 comunismo umanistico di Marx pone invece, con lucidita, la condizione del superamento del regime privatistico della proprieta, e su questa base assegna grande importanza, anche con qualche indulgenza al linguaggio esteticoprofetico, aile implicazioni della coincidenza tra l'essere generico e la vita individuale, come dire tra l'essenza e l'esistenza dell'uomo. E' vero, si, che la morte segna la vittoria dell'essere generico sull'individuo determinato, rna un limite siffatto, in quanta intrinseco alia natura dell'uomo e non dovuto alla sua alienazione, non fa scandala e potra essere pacificamente accettato. Dentro i limiti terreni della vita si sperimentera, in compenso, la completa emancipazione di tutte le qualita umane, anzi di tutti i sensi dell'uomo: «l'occhio e divenuto occhio umano in quanta il suo oggetto e divenuto un oggetto sociale umano; dell'uomo e per l'uomo».
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Marx: il materialismo storico 5.11 II 1845: epilogo e prologo. Nell'itinerario di Marx, il 1845 e un anno decisivo, anche se non proprio, come vorrebbe Althusser, l'anno della 'rottura epistemologica', che farebbe da spartiacque tra la fase giovanile e quella della maturita. Certo e che nel giro di pochi mesi Marx porta a compimento il quadro teorico nel quale, rompendo via via con le forme culturali della fase formativa - da quella razionalistico-liberale degli anni della Gazzetta renana a quella del comunismo umanistico dei primi entusiasmi per Feuerbach -, delinea, in modo definitivo, la propria identita, a partir dalla quale (e non 'contro' la quale) gli sara possibile dedicarsi aile ricerche di scienza economica in vista della grande costruzione del Capita/e. Lo stesso Marx scrivera, anni piu tardi, nel 1859, introducendo il suo saggio Per la critica dell'economia politica, che nella primavera del 1845 intraprese, insieme ad Engels, un confronto critico con la filosofia tedesca - di fatto, con la sinistra hegeliana - e che questo confronto critico altro non era stato, in verita, per lui e per Engels, che un modo di fare i conti con la loro «coscienza antenore». Questo consuntivo critico rimase trascritto in «due grossi fascicoli in ottavo)) destinati alia pubblicazione. Sopravvennero difficolta e i due autori, paghi di aver raggiunto lo scopo principale, che era di veder chiaro in loro stessi, decisero di abbandonare il manoscritto «alla rodente critica dei topi)). Fortuna voile che i topi risparmiassero i due fascicoli. Pubblicati nel 1932, col titolo L'ideologia tedesca (5.14), essi sono da considerarsi come delle opere fondamentali di Marx. I temi sviluppati ne L'ideologia tedesca erano gia stati enunciati da Marx, nel febbraio dello stesso anno, in un appunto, anch'esso destinato ai topi se Engels non lo avesse pubblicato, nel 1888, in appendice al suo saggio su Feuerbach: sono, appunto, le Tesi su Feuerbach (5.13), un singolarissimo condensato di intuizioni, ciascuna delle quali plasma con potenza la fisionomia originale del marxismo. Le Tesi vennero buttate sulla carta proprio nel mese in cui usci peril pubblico un'altra opera, La sacra famiglia (5.12), un sarcastico e disuguale pamphlet contro gli hegeliani di sinistra, che facevano capo ai fratelli Bauer (Edgar e Egbert attomo a 'San' Bruno: di qui il titolo). ll saggio, per quanto tributario di situazioni effimere e troppo arrendevole al gusto giomalistico, ha pagine di grande importanza per una definizione del marxismo in via di maturazione. Nel diventare se stesso, Marx recide, uno dopo l'altro, i legami con i protagonisti del pensiero tedesco posthegeliano, con i Bauer, appunto, con Stimer, con lo stesso Feuerbach e finalmente, in un saggio polemico dell' ottobre 1846, dal titolo Mise ria della filosofia (5.12), anche con Proudhon. Il passato si ·era davvero fatto lontano e, nel contempo, erano maturate le condizioni per fondere in un messaggio ricco d'afflato le conclusioni di un cosi intenso dibattito filosofico. Il messaggio e quello del Manifesto (5.15), pubblicato proprio agli esordi della rivoluzione del '48. n fallimento delle speranze esplose in quell'anno apri per Marx, che si era immerso nell'avventura rientrando in Germania, un periodo di tribolazioni e di silenzio, quasi a segnare visibilmente uno stacco, anche se non una rottura, tra la stagione filosofica e quella piu nettamente scientifica.
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5.12 Marx fa parte per se stesso. Il gruppo di opere che va da La Sacra Famiglia alla Miseria della filosofia e che prepara il capolavora assoluto del Manifesto, oltre a costruire nei suoi termini filosofici essenziali l'identita del marxismb, porta a termine, con una vivacita polemica non priva di esuberanze, una specie di 'giudizio di Dio', celebrato da Marx, con o senza la collaborazione di Engels, nei confronti dei suoi compagni di strada vecchi e nuovi, da Bauer a Proudhon. Di fronte alia sua furia da iconoclasta, non ha scampo nemmeno Feuerbach, anche se Marx gli riserva un trattamento di tutto riguardo, in ragione del ruolo avuto nella sua transizione dalla ideologia razionalistico-liberale a quella comunista. Di quest'ultima autoliberazione di Marx diremo nel prossimo paragrafo. Gli altri imputati maggiori, contra i quali Marx pronuncia la sua requisitoria definitiva e, per lui, risolutiva, sono Bruno Bauer, Stimer e Proudhon. A Bauer, Marx (con Engels) rimprovera di voler dare una vernice di sinistra a Hegel, opponendo alla 'massa' inerte la funzione critica dell'autocoscienza, e cioe della Spirito assunto alla maniera di una sostanza assoluta (5.2). In tal modo Bauer, che pure riteneva di aver demolito la teologia, ne riproduce il vizio essenziale, che consiste nella dissociazione tra spirito e materia, tra Dio e mondo. Infatti, per Marx, e teologico qualsiasi metoda che ricerca le cause di un oggetto al di fuori dell'oggetto stesso. L'esame della condizione storica dell'uomo va condotto, a suo giudizio, mediante l'uso della coppia dialettica proprietari-proletari: la classe che possiede i mezzi di produzione (polo positivo, fattore di conservazione) e Ia classe che possiede sol tanto la forza lavoro (polo negativo, fattore di dissoluzione) rispecchiano in se la medesima alienazione; rna mentre la prima se ne compiace e ne trae profitto, la seconda se ne sente schiacciata e respinta nella miseria progressiva. Il proletariato, che soffre sulla sua pelle i1 meccanismo della disumanizzazione, tende a sopprimerlo col sopprimere se stesso come classe. La salvezza non e, dunque, opera della 'critica' dei filosofi, delle illuminate pragettazioni degli intellettuali funzionari della Spirito assoluto, e la missione del proletariato, che vive in se tutte le forme disumane della condizione storica, e si trova costretto dalla necessita pratica a rivoltarsi contra questa disumanita. Il mondo, reso disumano da una alienazione che coinvolge i possidenti e i proletari, ha gia nel proprio seno il suo salvatore; Bauer e i suoi consorti non possono capirlo, perche mancano della conoscenza piu elementare della scienza della naturae dell'industria. Le cause che muovono la storia sono materiali. Marx ha qui la prima occasione per definire il suo metoda storico-materialistico, presentandolo come lo · sbocco del materialismo umanistico. Per meglio chiarire il sensa del suo materialismo, Marx offre un excursus del materialismo illuministico, in cui distingue due correnti, la prima derivata da Cartesio, di tipo meccanicistico, l'altra da Locke, che conduce direttamente al socialismo, passando attraverso alcuni illuministi francesi come Helvetius. Il merito di questa secondo tipo di materialismo e di aver adottato l'immagine dell'uomo fomitaci dai sensi, che e l'immagine di un essere sensitivo, dotato di bisogni 'egoistici', rna capace di organizzare 1'egoism a senza illudersi di poterlo rigettare, come, sulla scia dei metafisici, ha preteso di fare Hegel e, dietro di lui, la 'sacra famiglia' della sinistra hegeliana, che riduce l'uomo aile funzioni mentali e la storia a una sem,I
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plice avventura del pensiero. II sano egoismo su cui si basa la dinamica della societa, e che postula una organizzazione conforme a ragione, non e da confonciere con l'egoismo piccolo borghese di Max Stimer (San Max), alia cui confutazione sono dedicate non poche pagine de L 'ideologia tedesca. La ribellione di Stimer contra lo Stato e contra tutte le istituzioni, in nome dell'Unico, si basa sulla convinzione che, se volessero, gli individui potrebbero sciogliersi dai vincoli sociali, facendo cosi morire d'un sol colpo tutte le strutture oppressive (5.2). L'ingenuita di Stimer sta nel riteqere che l'individuo possa sussistere senza gli altri, che i bisogni in cui si sostanzia la vita dell'uomo siano pensabili al di fuori delle reciprocita che essi di loro natura comportano. E' proprio a partire da questi bisogni che gli individui hanno creato la divisione del lavoro, lo scambio delle merci, il matrimonio, e cosi via. L'unica via di liberazione del singolo e quella proposta dal comunismo, che consiste nel restituire agli individui il dominio delle !oro relazioni oggettive e, al limite, la piena coincidenza tra essenza della specie ed esistenza individuate. II che vuol dire che il singolo non puo affermare se stesso mettendosi contro la collettivita e le sue istituzioni, rna inserendosi nella dialettica che govema il trapasso verso il comunismo: la dialettica tra proprietari e proletari. II resto e vana fantasia. La terza rottura, che per Marx significo una nuova emancipazione dal proprio passato, fu quella con Proudhon. Si e gia visto come, nel quadro del socialismo utopistico, quello di Proudhon si distinguesse per una particolare attenzione prestata ai rapporti di produzione, e in particolare al rapporto tra valore della merce e quantita di lavoro (3.13). La via imboccata da Proudhon era quella del socialismo scientifico. A tale scopo egli aveva ,anche adottato una spiegazione dialettica della storia. Marx si rimproverava, ricordando le lunghe discussioni con lui, di averlo contagiato con l'hegelismo, senza che egli fosse in grado di assimilarlo rettamente. Nell'ottobre del 1846 Proudhon aveva pubblicato La filosofia della miseria. Tra il dicembre del 1846 e il giugno del 1847 Marx compose la sua opera antiproudhoniana, La miseria della filosofia, avendo gia aile spalle Ia lunga meditazione dell' Ideologia tedesca. In queste pagine egli sviluppa alcuni temi di fondo della sua visione materialistica, in particolare i rapporti di distinzione e di connessione tra 'forze produttive', 'rapporti sociali' e 'produzione della coscienza'. Quel che Proudhon non capiva era che rapporti sociali e rapporti tra le forze produttive sono tra loro strettamente intrecciati. Per poter modificare le idee che governano i rapporti sociali - la coscienza -, bisogna mutare questi, e per mutare questi bisogna mutare i rapporti di produzione, i quali finalmente sono strettamente connessi con il livello di evoluzione tecnologica: ((il mulino a vento vi clara la societa col signore feudale e il mulino a vapore vi clara la societa col capitalista industriale>>. In fondo, anche Proudhon restava succube di residui teologici, nel senso che applicava direttamente le categorie morali alia realta sociale, mescolando le carte dell'essere con queUe del dover essere. Ad esempio, accettando la dialettica come schema di lettura della societa, egli si dimenticava che i due termini, la tesi e l'antitesi, andavano tenuti ben saldi, perche proprio dal loro contrasto avrebbe dovuto nascere lo scatto del superamento rivoluzionario. Invece Proudhon discriminava moralisticamente i poli della dialettica in buono e cattivo, e superava il loro contrasto con la semplice eliminazione del cattivo.
156 D 5 - Marx: il materialismo storico Con la critica a Proudhon, Marx aveva portato a termine, ..almena in linea formale, la costruzione della sua dottrina scientifica della rivoluzione. Aveva cioe completato il disegno delineato, due anni prima, nelle Tesi su Feuerbach. 5.13 Le 'Tesi su Feuerbach': la filosofia della pras,sl. Quando Engels pubblico le 11 Tesi, ne rivelo anche l'origine e ne sottolineo l'importanza: «Sono appunti per un lavoro ulteriore, buttati giu in· fretta, non destinati in nessun modo alla pubblicazione, rna d'un valore inestimabile come il prima documento in cui e deposto il germe geniale della nuova concezione del mondo». A parte l'enfasi comprensibile, non c'e dubbio che neUe brevi righe non solo e nettamente formalizzato il distacco di Marx da Feuerbach (di cui, appena mesi prima, ne La sacra famiglia aveva celebrato l'elogio), rna e vigorosamente enunciato il trapasso, che e poi il nucleo essenziale del pensiero marxiano, dalla filosofia come contemplazione del mondo alla filosofia come sua trasformazione, come prassi. ll nucleo sara svolto con ampiezza ne L 'ideologia tedesca, stesa proprio nei mesi successivi, nelle cui pagine Marx tornera ripetutamente su Feuerbach con un giudizio critico pili circonstanziato, e forse meno drastico, com'e giusto in chi si accinge ad accogliere in eredita quanta c'e nel patrimonio di pensiero che sottopone a giudizio. C'e una ragione che permette a Marx di collocare anche Feuerbach nel banco degli imputati posthegeliani: «A nessuno di questi filosofi, dira ne L 'ideologia, e venuto in mente di ricercare il nesso esistente tra la filosofia tedesca e la realta tedesca, il nesso tra la lora critica e il lora proprio ambiente naturale». Essi avevano disatteso, ne Feuerbach fa eccezione, la grande lezione di Hegel nella Fenomenologia, la lezione del metoda storico-dialettico. Anche il materialismo di Feuerbach, nella sua apparente radicalita, rimane interno alla cultura borghese, nel sensa che l'uomo vi viene rappresentato in astratto, e non nel concreto rapporto vicendevole tra uomo e uomo e tra uomo e natura, insomma, non come 'essere sociale'. Ma mentre degli altri hegeliani Marx si Iibera con la disinvoltura con cui si puo sgombrare il tavolo da fogliacci ormai usati, di Feuerbach egli non si Iibera, lo integra e, integrandolo, lo assume. Si sa che, sul piano empirico, Feuerbach continuo a vivere e anche a scrivere, rna nella storia del pensiero si puo dire che egli e morto nel febbraio del 1845 per rinascere sotto altro nome, quello di Marx, e proseguire cosi la sua funzione rivoluzionaria. Possiamo distinguere le Tesi in tre gruppi (con qualche intersecazione interna), tutti e tre connessi, quasi con funzione esegetica, alla tesi n. 11: «i filosofi hanna soltanto diversamente interpretato il mondo; si tratta di trasformarlo). 1. Nel prima gruppo (tesi 1, 2, 5, 8), di carattere gnoseologico, viene svolta una nozione centralissima nel pensiero marxiano, e cioe Ia nozione di prassi Nella prassi si integrano a vicenda Ia conoscenza e l'azione. Marx non nega affatto le attivita della spirito (anche se questa termine egli lo ha lasciato cadere del tutto), anzi, in qualche modo, le suppone, nel sensa che respinge sia Ia concezione idealistica del conoscere, che assorbe l'oggetto nell'attivita del soggetto fino a fame un prodotto del soggetto, sia Ia concezione del materialismo volgare, quello di cui Feuerbach resta prigioniero, Secondo cui e l'oggetto che modifica il soggetto nell'atto intuitivo. Nella conoscenza si da non un oggetto separato dal soggetto, rna Ia compresenza di ambedue nel momenta dell'espej
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rienza. La quale, a sua volta, non va intesa, secondo la tradizione empirica, come una modificazione del soggetto da parte dell'oggetto. Essa e, di sua natura, interna a un progetto, e, per cosi dire, prospettica, e dunque si identifica con l'azione. Va da se: con l'azione dell'uomo sociale, proteso a modificare il mondo, cioe con •l'azione lavorativa, nella quale l'uomo da la misura reale del suo potere sui mondo. Solo chi trasforma il mondo lo conosce. 2. II secondo gruppo (tesi 4, 6, 7, 9, 10), di carattere antropologico, illustra i limiti del ribaltamento feuerbachiano della teologia in antropologia: sono i limiti connessi alla_ ,gnoseologia 'contemplativa', di cui abbiamo appena detto. Feuerbach rivela che l'essenza religiosa ha origine nell'essenza umana, in quanto mostra che il mondo religioso nasce da una scissione dell'uomo da se stesso. Ma non avverte che l'essenza umana e, a sua volta, non l'individuo come tale, bensi l'individuo in quanto appartiene a una determinata forma sociale, che trova senso nel quadro dei rapporti di produzione. I misteri del misticismo trovano la loro soluzione razionale con la prassi che trasforma i1 mondo, e non con la conoscenza critica. 3. Un terzo gruppo (3, 9, 10) illustra i1 primato della prassi sociale. Nella prassi rivoluzionaria, l"educatore' e l"educato' sono la stessa cosa, nel senso che per trasformare la coscienza si devono trasformare le circostanze, e cioe l'ambiente sociale, e per trasformare l'ambiente sociale si deve trasformare la coscienza. La reciprocita e tale, che non si puo attribuire il primato a nessuno dei due momenti. In modo inequivocabile, Marx prende le distanze sia dai materialisti, che ritengono che si debba trasformare l'uomo soltanto agendo sulle strutture, sia dagli utopisti, che mirano allo stesso scopo attraverso una riforma morale della societa. II materialismo 'volgare', quello, cioe, che agisce sulle circostanze materiali senza rendersi conto che esse sono gia un prodotto dell'uomo, e del tutto omogeneo alla societa borghese, mentre il nuovo materialismo, quello dialettico, che connette tra loro, nella prassi, l"educatore' e l"educato', e cioe il mondo soggettivo e quello oggettivo, conduce a una societa umana e a una umanita sociale. E' proprio all'approfondimento di questo nesso dinamico tra le strutture economiche, da una parte, e i rapporti sociali, dall'altra, che Marx si dedica,· insieme ad Engels, a quella riflessione intensa e feconda di cui e documento L 'ideologia tedesca.
5.14 La base storica delle idee: l'ideologia. La struttura embrionale della nuova concezione del mondo trovo il suo dispiegamento nei due fascicoli de L 'ideologia tedesca, il cui tema costante, all'interno della scorribanda polemica della quale abbiamo gia reso conto, e la spiegazione materialistica della storia, nella quale i1 materialismo e strutturalmente connesso al metodo dialettico. Per convenzione storiografica, i1 termine dialettico restera riservato al materialismo sviluppato dall'ultimo Engels (5.21) e il termine storico servira a specificare i1 materialismo di Marx. II termine ideologico, come si e visto (3.7), era entrato in uso agli inizi del secolo con una accentuazione spregiativa che rimane, sia pure in un diverso registro di significati, anche in Marx. In seguito, fuori e dentro la stessa area marxista, il termine 'ideologia' acquisto il significato neutro di 'concezione del
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mondo' (il marxism a, in questa sensa, e anch' esso ideologia), rna in Marx esso ha un significato negativo, determinabile in due distinte accezioni. Nella prima il termine significa coscienza falsa, ne piu ne meno che l'alienazione religiosa; nella seconda, che sara usata da Marx in seguito, nel Per una critica dell'economia politica, esso indica quell'insieme di forme giuridiche, politiche, religiose, artistiche e filosofiche che, nella rappresentazione che la classe dominante si fa della storia, appare come causa motrice del divenire, mentre ne e solo il prodatto. In ambedue i casi, si tratta di un'anomalia del conoscere che si spiega soltanto con le anomalie della base materiale della coscienza. Il motore della storia e infatti, per Marx, nella sviluppo del processo reale di produzione, a partire dalla produzione materiale della vita immediata, in cui gli strumenti sono ancora quelli offerti dalla natura. Con gli strumenti artificiali si modifica la base produttiva, e di conseguenza si modificano i rapporti sociali e, in terza istanza, si modifica la coscienza. I rapporti sociali e la coscienza non sono pen) soltanto dei prodotti, essi agiscono a lora volta sui sistema di produzione e lo modificano, secondo una reciprocita dialettica che mette al sicuro da ogni piatto materialismo. I filosofi tedeschi e, al di sopra di tutti, Hegel riducono la ·storia reale a un susseguirsi di concetti e di avvenimenti spirituali. E' vero il contrario. E' vera che a determinare la storia degli uomini e il susseguirsi. dei regimi di produzione, di fronte ai quali l'uomo non e libero di scegliere. Essi sono 'dati', anche se poi, sulla base della situazione economica e sociale, gli uomini riescono a mutare quei dati e quindi a spostare a livelli diversi il conflitto dialettico. E sono proprio gli uomini in quanta forze produttive che creano le ideologie, il cui tratto comune e di essere separate dalla base reale della societit Questa spiegazione dell'origine delle ideologie e interna a una distinzione che ci introduce nel punta chiave della visione marxiana della storia: la distinzione tra struttura e sovrastruttura. Data una societa, e sempre possibile stabilirne la struttura: e il sistema di produzione piu il sistema dei rapporti sociali prodotti da quel sistema di produzione. Lo sviluppo delle forze di produzione e sempre accompagnato da un parallelo sviluppo dei rapporti sociali connessi alia divisione del lavoro. Le tappe di questa sviluppo sono caratterizzate da forme diverse di proprieta: tribale, demaniale, feudale, corporativa, capitalistica. La sovrastruttura e l'insieme delle forme ideologiche, sia coscienziali che istituzionali, giuridiche, politiche, religiose, artistiche o filosofiche, che riflettono e legittimano la struttura esistente. Ecco perche le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti; cioe, Ia classe che e Ia potenza materiale dominante della societa e in pari tempo Ia sua potenza spirituale dominante. Le idee dominanti non sono altro che l'espressione ideale dei rapporti materiali dominanti, sono i rapporti materiali dominanti come idee.
La storia si comprende non gia mettendo in rapporto tra lora gli aspetti della sovrastruttura, rna, al contrario, mostrando come ai mutamenti della struttura rispondano sempre, anche se non in modo meccanico, i mutamenti della sovrastruttura. E' questa il materialismo storico, che potremmo definire ./
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un rnetodo di comprensione della storia nel quale Ia chiave fondamentale di lettura e l'analisi dei rapporti di produzione, e cioe della base materiale di una societa: La morale, Ia religione, Ia metafisica e ogni altra forma ideologica e le forme di coscienza che ad esse corrispondono, non conservano oltre Ia parvenza 'della lora autonomia. Esse non hanna storia, non hanna sviluppo, rna gli uomini che sviluppano Ia lora praduzione materiale e le lora relazioni materiali trasformano, insieme con questa lora realta, anche il lora pensiero e i prodotti del lora pensiero. Non e Ia coscienza che determina Ia vita, rna la vita che determina la coscienza.
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Questo metodo di lettura del divenire storico ci porta a comprendere come le rivoluzioni non siano il prodotto volontario di questo o quel gruppo sociale, rna il risultato inevitabile di un processo oggettivo a struttura dialettica. La molla della storia e il rapporto tra i modi di produzione e i rapporti sociali esistenti: tipico il caso della Francia di fine Settecento, dove Ia produzione era ormai di tipo mercantile e industriale, mentre i rapporti sociali riflettevano il sistema economico della societa feudale, Ia cui sovrastruttura era formata da tre ordini, il clero, l'aristocrazia e la borghesia. La nuova classe, omogenea ai nuovi metodi di produzione, Ia borghesia, riusci a scuotersi di dosso con violenza il dominio delle altre classi, rna ci riusci perche quel dominio era ormai desueto, era diventato un ceppo per il dinamismo dei nuovi modi produttivi. Nel sistema di produzione industriale, la classe rivoluzionaria e il proletariato, la cui origine e il cui sviluppo e, alia fine, il cui trionfo hanno il carattere della necessita. E questa per il nesso dialettico proletariato-proprieta borghese: il proletariato produce la proprieta privata, che e di per se, nel suo illimitato sviluppo, la negazione del proletariato, il suo annientamento, e, a sua volta, Ia proprieta privata dei mezzi di produzione produce di sua natura il proletariato, cioe proprio l'elemento dell'annientamento della proprieta. Come si vede, il nesso e dialettico: proprieta e proletariato si implicano a vicenda e si negano l'un l'altro. La dialettica, vera molla della storia, funziona dentro un quadro di illimitata evoluzione, di sviluppo verso il meglio, che e il presupposto illumini~tico della storicismo marxiano. Le rivoluzioni sono, di loro natura, scatti verso il meglio, passi in avanti verso uno stadio assoluto e definitivo. Sia pure ribaltato, troviamo qui l'a priori hegeliano dello sbocco positivo della storia, del divenire come permanente passaggio dal finito all'infinito. II soggetto di questo passaggio dalla societa disumanizzata del capitalismo borghese alla societa finalmente Iibera dalle alienazioni e i1 proletariato. Questa investitura rivoluzionaria deriva al proletariato dalla logica immanente allo sviluppo produttivo, nel senso che nella fase capitalistica e legge l'espropriazione dei produttori, cioe dei lavoratori i quali non possono non avere di mira l'espropriazione degli espropriatofi. Nel far questo, Ia classe proletaria persegue, si, il suo interesse, rna anche !'interesse universale, a causa di una coincidenza oggettiva tra gli obiettivi della classe e gli obiettivi del genere umano. 5.15 La sintesi del 'Manifesto'. E' attomo a questa idea messianica - qualcuno ha chiamato in causa le reminiscenze rabbiniche di casa Marx sui 'servo
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sofferente' di Isaia - sottoposta a un poderoso sforzo di trasformazione in idea scientifica, che si costruisce Ia grande sintesi del Manifesto, nella quale rientrano, rna nella loro forma piu compiuta e disposti in ordine organico, i concetti che siamo andati esponendo nella ricostruzione dell'itinerario intellettuale di Marx. Il Manifesto non e un'opera da collocare, quale nuova tappa, sulla linea di una ricerca in sviluppo, e un opera d"occasione', perche commissionata a Marx e ad Engels dalla 'Lega dei giusti', con sede a Londra. Marx si trovava allora in esilio a Bruxelles, impegnato con un gruppo di comunisti tedeschi, collegati con associazioni simili, compresa la lega londinese che, alia fine del 1847, chiese a Marx e ad Engels di riordinare le idee programmatiche che circolavano in opuscoli tra gli associati. Marx ed Engels cominciarono col convincere la 'Lega' a denominarsi 'dei comunisti' e a mutare il motto: 'Tutti gli uomini sono fratelli' nel nuovo grido di battaglia: 'Proletari di tutto il mondo, unitevi'. Agli inizi del 1848 il Manifesto era gia stampato. E' bene dire che ebbe scarsa diffusione, e comunque non esercito nessuna influenza nei disordini dell"anno rivoluzionario'. Esso si fece strada lentamente, e solo alia fine del secolo arrivera ad imporsi iniversalmente come 'bibbia' della rivoluzione operaia. Piu che un riassunto, vorremmo darne qui una succinta esposizione dei concetti chiave, che nel loro insieme offrono una immagine completa del pensiero di Marx nel momento culmine della sua fase filosofica, prima che avvenisse Ia specificazione economicistica della sua ricerca. 1. La storia di ogni societa finora esistita e storia di lotte di classi. Come piu tardi spieghera Engels, questa Iegge non va applicata ne aile societa anteriori all'invenzione della scrittura ne ad ogni possibile futura societa. La nozione di Iotta di classe e sicuramente desunta da Hegel, rna e evidente Ia differenza tra Ia dialettica classistica di Marx e quella hegeliana del padrone e del servo (2.2): la Iotta all'ultimo sangue e, in Hegel, costitutiva della realta sociale in quanto tale, mentre in Marx la Iotta, in quanto intema al processo produttivo, non e un evento fondatore, e storicamente conseguente alia societa economica, quanto si voglia rudimentale. La dinamica storica, a partire dai primordi della civilta, va nel senso di una progressiva semplificazione, il cui cuimine e nella societa industriale, che vede schierati in due opposti campi la borghesia e il proletariato. 2. La borghesia industriale e il prodotto di una lunga serie di trasformazioni di modi di produzione e di scambio e, a sua volta, nella sua volonta di progresso economico, essa ha prodotto se stessa ingaggiando una Iotta contro la classe feudale, con un ruolo, dunque, eminentemente rivoluzionario. La dove e giunta la sua espansione, i vincoli dell'industria e del commercio si sono sostituiti al sistema feudale e patriarcale, laicizzando cosi il mondo della produzione. Tutto cio che vi era di stabilito e di rispondente ai vari ordini sociali si evapora, ogni cosa sacra viene sconsacrata e gli uomini sono finalmente costretti a considerare con gli occhi liberi da ogni illusione la loro posizione nella v'ita, i loro rapporti reciproci.
L'indole propria della borghesia industriale e infatti nel mutare di continuo gli strumenti di produzione, e di conseguenza i rapporti di produzione e i rap-
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porti sociali. Di qui l'internazionalismo della borghesia capitalistica, che abbatte tutte le frontiere, crea il mito della 'patria' e se lo lascia alle spalle. 3. II risvolto di questo epico slancio rivoluzionario e la potenza distruttiva della borghesia, che tutto sacrifica al profitto: riduce la famiglia a «Un semplice rapporto di affari» e trasforma «il medico, il giurista, il prete, il poeta, lo scienziato in suoi operai salariati». Anche lo Stato non e che una sovrastruttura politica al servizio della classe dominante, e «un comitato che amministra gli affari comuni di tutta la classe borghese». 4. Ma, come l'apprendista stregone, la borghesia non riesce a dominare le immani forze produtive accumulate dalla societa modema; cosicche essa prepara con le sue stesse mani la propria morte. Ad esempio: il potere di acquisto non riesce ad aumentare tanto da assorbire la crescente produzione dell'industria, e questo genera crisi periodiche, che e possibile superare solo con la distruzione degli stessi strumenti produttivi. Le crisi di superproduzione si aggraveranno fino a causare la rottura inevitabile. Ma oltre che le armi per la propria morte, la borghesia capitalistica produce anche gli uomini che dovranno maneggiarle, gli operai modemi, i proletari. 5. L'uso sempre piu diffuso delle macchine rende sempre meno utili le abilita del lavoratore e lo riconduce a pura forza lavoro, la quale, a sua volta, viene trattata come semplice merce, soggetta, alla pari di ogni merce, alia Iegge del mercato. Di qui, non solo l'impoverimento progressivo del proletariato, rna anche l'appiattimento sulle condizioni proletarie delle classi intermedie, disgregate e retrocesse dalla crescente concentrazione del capitale: il capitalista piu forte distrugge il capitalista piu debole. Ma i proletari non tardano a prendere coscienza della propria forza, si coalizzano per le loro rivendicazioni, clapprima su basi settoriali, e poi, in conseguenza di una presa di coscienza politica, su basi di classe. 6. Nasce cosi il proletariato, la sola classe autenticamente rivoluzionaria. La grande industria, infatti, finira col distruggere le altre classi per alimentare il suo prodotto diretto, il proletariato. Quella proletaria e, sulla linea storica, !'ultima rivoluzione possibile, perche il suo valore e universale e definitivo. Abolendo con la rivoluzione i vecchi rapporti di produzione, il proletariato «aholisce anche le condizioni d'esistenza dell'antagonismo di classe e le classi in generale, e quindi anche il suo proprio dominio di classe». 7. La societa post-classista e la societa comunista, nel senso che la sua caratteristica sara l'abolizione della forma capitalistica della proprieta, il cui principia costitutivo e lo sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo. Nella societa borghese, illavoro vivo, quello dell'operaio, non e che un mezzo per aumentare il 'lavoro accumulato', il capitale; nella societa comunista, illavoro accumulato sara solo un mezzo per sviluppare e promuovere l'attivita vitale degli operai. 8. In quanto superamento (nel senso hegeliano di Aufhebung) dell'antagonismo borghesia-proletariato, la societa comunista conservera in se quanto di positivo ha prodotto la cultura borghese, che diverra patrimonio del proletariato. Si muove in questo senso il fenomeno del trapasso degli intellettuali dalla parte del proletariato. 9. Proprio perche costruito sulla inevitabilita dei processi obiettivi, e dunque proprio perche scientifico, il comunismo si differenzia dalle varie forme di socialismo corrente, da quello feudale a quello cristiano, da quello utopistico di
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Saint-Simon a quello borghese di Proudhon, tutti piu o meno invischiati nella ideologia della classe dominante e incapaci di assegnare al proletariato quel ruolo a cui la storia stessa lo ha destinato. 10. Come il capitale, anche la Iotta contro il suo dominio non puo che essere intemazionale. Ma siccome «il proletariato di ogni paese deve fare i suoi conti anzitutto con la propria borghesia», anche la rivoluzione avra un avvio nazionale. Le lotte nazionali dovranno tenersi collegate tra loro, cosi come collegati tra loro sono i regimi di sfruttamento delle nazioni. «Con lo sparire dell'antagonismo fra le classi all'intemo della nazione, scompare l'ostilita fra le nazioni stesse». Nel movimento rivoluzionario i comunisti non sono un partito distinto, sono i portatori di una conoscenza scientifica del processo storico, e quindi rappresentano sempre !'interesse del movimento complessivo.
Marx: I' economia politica 5.16 La fase scientiftca. fl fallimento dei tentativi rivoluzionari del 1848 apre, nella vita di Marx, un lungo periodo di estraneazione dalla politica attiva e di un grandioso programma di ricerca, che acquista ai nostri occhi i tratti dell'impresa titanica, se si pensa che egli doveva altemare le strenue sedute al British Museum (dalle 9 di mattina aile 7 di sera) e le visite al Monte di Pieta, tallonato dalla malattia sua e dei suoi, dalla miseria e dai fomitori in credito. Senza un soldo in tasca, Marx indagava i segreti meandri del capitale e ne ricostruiva, autodidatta di genio, la genesi e lo sviluppo epico. Riempiva quaderni e quademi, vagheggiando in cuor suo la sua 'Divina Commedia', il capolavoro che vedra la luce, in mille copie, ad Amburgo, nel 1867: Il capita/e. Critica dell'economia politica. Si trattava solo del I libro. Negli anni successivi, tra difficolta di ogni genere, porto avanti I' opera con un II e un III libro, che pero rimasero informi e inediti, fino a che Engels non li riordino e pubblico, rispettivamente nel 1885 e nel 1894. Gli appunti preparatori, in cui aveva accumulato e interpretato una enorme massa di dati, rimasero inediti fino al 1939-41, quando vennero pubblicati a Mosca col titolo Lineamenti fondamentali (Grundrisse). La parte di questi appunti dedicata all'analisi della merce, l'aveva fatta pubblicare lo stesso Marx a Berlino, nel 1859, col titolo Per la critica dell'economia politica, con una Prefazione molto importante, anche in ragione del suo taglio autobiografico. Una cosi immensa mole di lavoro ha, come suo tema di fondo, il capitale, nella sua genesi, nella sua struttura e nei suoi riflessi sociali e politici. Si tratta dunque di un tema oggettivo, che certo ha a che fare con l'uomo, le sue passioni, i suoi ideali, rna viene assunto nella sua delimitazione di modello composito, govemato da leggi assimilabili a quelle che govemano i processi fisici. Ecco perche si e potuto parlare di un Marx scienziato che prende il posto del Marx umanista, di un Marx che, mettendo in secondo piano la sovrastruttura giuridica e politica della societa, colloca nel proprio raggio visivo la struttura del sistema di produzione in base al quale gli uomini entrano in rapporti determinati, necessari, indipendenti dalla loro volonta. A indizio di questa mutazione di Marx, potremmo indicare il correttivo da lui apportato alia formula .I
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famosa de L 'ideologia tedesca: «Non e la coscienza che determina la vita, rna e la vita che determina la coscienza». Tredici anni dopo, nel 1859, egli ripete la formula, rna sostituendo la parola 'vita' (Leben) con la parola 'essere' (sein). Ma questo innegabile cambiamento d'angolo d'osservazione e di linguaggio non basta a dar ragione a chi sostiene la tesi della 'frattura' (5.11). C'e tra il Marx 'umanista' e il Marx 'scienziato' il nesso di una medesima idea centrale, quella di alienazione, anche se il termine, nella fase scientifica, non compare piu. Il mutamento di linguaggio si spiega con la premura, sempre piu viva in lui, di non offrire alle spinte interclassiste del socialismo tedesco il supporto di un linguaggio dalle assonanze moraleggianti e di educare la classe operaia a una riflessione improntata alia serieta scientifica. Eppure, anche in questa fase, l'intento di Marx non e quello dello scienziato puro. La sua poderosa e complessa analisi del fatto economico e volta alla scoperta delle radici strutturali dell'alienazione, che egli identifica, da una parte, col ruolo che ha nell'economia capitalistica il valore di scambio, e, dall'altra, col fatto che tutta la produzione del profitto, Iegge suprema del sistema, si basa sulla vendita della forza-lavoro da parte della classe operaia. Il Marx economista illustra, per dir cosi, ex parte objecti, dalla parte dell'oggetto, quell'alienazione che il Marx giovane aveva illustrato ex parte subject~ dalla parte del soggetto. Ed e proprio sulla linea di questa esigenza di oggettivita, lungo la quale lo sbocco rivoluzionario del capitalismo acquistava l'evidenza di un ritmo di natura, e proprio su questa linea che Marx incontra di nuovo la necessita del metodo dialettico come unica via della ragione per comprendere il reale, senza cadere nella piatta razionalita di cui clava spettacolo il trionfante positivismo. La razionalita positivistica, infatti, portava a ritenere che lo sviluppo della scienza avrebbe assicurato per conto suo la redenzione della classe operaia dalla miseria (7.5). Un motivo, anche questo, per affidarsi al dinamismo dell'oggetto, alle sue intime virtualita, con una subordinazione all'esistente che incontrava il plauso delle nuove classi dirigenti. Al contrario, per Marx, come egli disse nell' Indirizzo di saluto nell'Internazionale del 1864, «sulla falsa base presente, ogni nuovo sviluppo delle forze produttive dellavoro, inevitabilmente, deve tendere a rendere piu profondi i contrasti sociali e piu acuti gli antagonismi sociali». Agli occhi di Marx la base sociale presente e 'falsa', non per effetto di un 'errore' che si sarebbe potuto evitare, rna perche essa e un momento necessario di un processo · dialettico che richiede e pre para il suo superamento mediante la negazione di se stesso. Niente di piu insipiente, ai fini della rivoluzione, che il volontarismo anarchico di Bakunin, al quale sfugge, appunto, il ritmo della necessita dialettica, che e la forza, rna anche la debolezza mortale, del capitale. Agisce potentemente in Marx l'immagine hegeliana della realta come 'totalita organica', che puo essere compresa non con la logica meccanicistica della causa e dell'effetto, rna con la logica dialettica, che scompone il reale mediante la determinazione delle sue forme finite e lo ricompone nell'unita sintetica, raggiunta mediante la negazione della negazione. Ad esempio, quando un Mazzini ('Teopompo', lo chiamava sarcasticamente Marx), o qualunque altro teorico romantico della rivoluzione parlava del 'popolo', Marx respingeva il termine, a dispetto delle sue utilizzazioni sinceramente rivoluzionarie, fino a che non se ne fosse superata l'astrazione recuperandolo dal basso mediante la
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nozione di classi sociali e, a loro volta, queste non fossero state raggiunte a partire dagli elementi semplici da cui risultano, come il lavoro salariato, il capitale e cosi via. E' da qui, da questi dati concreti, che occorre intraprendere il viaggio conoscitivo fino ad arrivare finalmente di nuovo alla popolazione, rna questa volta non come ad una caotica rappresentazione di un insieme, bensi come a una totalita ricca, fatta di molte determinazioni e relazioni.
E' per questa via che si conquista razionalmente la necessita di una forma storica come il capitalismo. Che non e, pen), in Marx, una necessita eterna, immanente, cioe, all'Idea nel suo naturale svolgimento, e una necessita storica, totalmente calata .nella contingenza, destinata ad essere superata per sempre. 5.1 7 La teoria del valore. II trapasso da una critica prevalentemente antropologica del capitalismo a una critica scientifica avvenne sulla base di una ricerca sulle origini del capitale, condotta sui testi della cosi detta 'economia classica', quella che si sviluppo in Inghilterra a partire da Adam Smith per concludersi con David Ricardo (3.4). Questa dottrina economica veniva detta classica per distinguerla da quella della nuova generazione, i liberisti - tra di essi primeggiava John Stuart Mill (7.8), i cui Principi di economia politica apparvero nel 1848 - che si occupavano del sistema capitalistico quasi fosse una conquista per sempre e senza la potenza critica dei suoi pionieri. L'autore con cui Marx piu direttamente si confronta e Ricardo, perche con la sua teoria del 'valore di scambio' egli aveva imboccato una strada giusta: sarebbe bastato arrivare fino in fondo, non solo per capire quale sia la meccanica costitutiva del capitalismo, rna anche per prevederne, con oggettivita scientifica, l'inevitabile crollo. In pochi casi come in questa appare chiaro che le conclusioni di una analisi sono predeterminate da una posizione pregiudiziale di natura non scientifica. Per Ricardo, il sistema economico sotto i suoi occhi aveva i tratti perenni della natura, dilatati e resi piu complessi dalla congiuntura della rivoluzione industriale, rna da sempre presenti nei rapporti tra gli uomini, da quando essi sono diventati rapporti di mercato. La proprieta privata dei mezzi di produzione - si tratti della terra o della fabbrica -, la destinazione di quei mezzi all'aumento del profitto, la possibilita di avere a disposizione, dietro un compenso salariale, un contingente di lavoratori erano, per l' economia classica, dei dati del tutto scontati. Allo stesso modo, erano da considerare senza rilevanza alcuna incidenti di margine come la disoccupazione, la creazione di monopoli, la sovraproduzione, e cosi via: la regola della libera concorrenza avrebbe, per conto suo, ricondotto negli argini della ragione simili dolorose evenienze. Per Marx, invece, il sistema non aveva nessun carattere di necessita, se non quello che gli derivava dall'essere una tappa nel cammino storico della specie. Hegel considerava il momenta dell'economia come una fase dell' estraneazione del soggetto, una fase che non richiedeva nessun intervento rivoluzionario, dato che la ricomposizione dell'unita dello Spirito avveniva nel momenta stesso in cui, negando l'oggetto, la ragione toma a se stessa. Marx, invece, vede nel sistema capitalistico un passaggio necessaria rna superabile, e superabile non fuori della sfera economica, nella mente, rna
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dentro lo stesso orizzonte del fenomeno economico. E contro Ricardo e gli economisti liberali egli vede nella forma-lavoro capitalistica non un dato originario della vita sociale, rna I'effetto di alcune scelte che potevano e dovevano essere modificate. La natura non produce da una parte possessori di denaro o di merci e dall'altra puri e semplici possessori della propria forza lavorativa. Ouesto rapporto non e un rapporto risultante dalla storia naturale e neppure un rapporto sociale che sia comune a tutti i periodi della storia.
Da questa relativizzazione della forma capitalistica deriva, per Marx, lanecessita di ridefinire i momenti in cui si articola il processo produttivo, in modo da integrare nella definizione la componente di storicita che ne spiega il sorgere e il deperire. Questo slittamento di significato, che in Marx subiscono i termini messi in uso dalla economia classica, si avverte subito fin dalla nozione-chiave, quella di merce. L'originalita dell'economia classica era stata proprio nell'identificare lo spazio economico non con la ricchezza in senso generico, rna con la merce. II suo errore, secondo Marx, e solo nel ritenere questa identita tra spazio economico e merce un dato assoluto, mentre essa vale soltanto all'intemo del sistema produttivo capitalistico, e cioe del sistema nel quale la ricchezza si presenta come una 'immane raccolta di merci' e la merce singola si presenta come la sua 'forma elementare'. Ecco perche, dice Marx, «la nostra indagine - quella de II Capitale - comincia con l'analisi della merce». Una analisi complicata, perche la merce, in apparenza cosa semplicissima, e invece <
Prima di render conto di questa 'terza cosa', bisognera fissare rapidamente alcuni concetti di fondo del lessico che Marx ha mutuato, con qualche variante, dagli economisti classici. I concetti di fondo sono due, quello di lavoro e quello di valore. 1. II lavoro e l'attivita generica (e cioe un'attivita che e propria dell'uomo in quanto genus) con cui l'uomo modifica la realta in modo da produrre oggetti idonei a soddisfare i suoi bisogni. Si dice lavoro vivo quello in atto, lavoro morto quello gia compiuto, che si e incorporato nella merce prodotta. II lavoro del falegname che sta facendo una sedia e il lavoro vivo; il lavoro che e stato necessaria per fare la sedia e il lavoro morto. La distinzione e importante per stabilire, ad esempio, il valore del macchinario in uso in una fabbrica: accanto al lavoro vivo dell'operaio, c'e il lavoro morto incorporato nella macchina di cui l'operaio si serve. Si dice concreto il lavoro volto a un prodotto determinato, come una sedia I
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o una macchina o una casa; astratto (la nozione e di gran peso, come vedremo subito) il dispendio di forza-lavoro di cui l'uomo, nella sua corporeita, e provvisto, indipendentemente dall'obiettivo preciso per cui essa viene usata. Spogliato delle sue determinazioni concrete, questa dispendio ha una rilevanza sociale che viene calcolata secondo una media matematica, come nel caso in cui si voglia stabilire - ecco l'astrazione - quante giornate lavorative ci vorranno per costruire una rete stradale. Nella media rientra il lavoro dell'operaio lento perche pigro e dell'operaio dotato di grande capacita produttiva. 2. Siamo in grado di affrontare ora il problema del valore di una merce, purche si distingua, anche qui, il valore d'uso e il valore di scambio. Serviamod della spiegazione intuitiva fornita da Paul-Dominique Dognin: «Il valore d'uso di un oggetto qualunque e l'utilita specifica che gli permette di soddisfare un bisogno determinato: il valore d'uso di un paio di scarpe e il servizio che esso rende all'uomo permettendogli di soddisfare piu facilmente il suo bisogno di camminare. Il valore di scambio di questa stesso oggetto e il rapporto quantitativa, la proporzione nella quale esso si scambia sia con un altro valore d'uso, sia con del denaro. Un paio di scarpe equivale, per esempio, a un certo numero di metri di tela o a un certo numero di lire: un paio di scarpe = x metri di tela; un paio di scarpe = z lire. Quando il valore di un oggetto e cosi espresso in denaro, cioe in oro, esso si chiama prezzo. 'II valore di scambio posto nella determinatezza del denaro, scrive Marx, e il prezzo'. Infatti, questa paio di scarpe si scambiera sempre, in media, con una quantita di tela o di denaro avente lo stesso 'valore', cioe, nella prospettiva marxiana, 'contenente' lo stesso numero di ore di lavoro in essi incorporato. Supponiamo, per esempio: 1) che ci vogliano dieci ore di lavoro per fabbricare un paio di scarpe; 2) che ce ne vogliano cinque per fabbricare un metro di tela; 3) che ci sia bisogno di un minuto per estrarre dalla terra l'oro rappresentato da un pezzo di 10 lire. ll valore di scambio del paio di scarpe si presented allora nel modo seguente: 1 paio di scarpe = 2 metri di tela (5 x 2 = 10 ore); o ancora: 1 paio di scarpe (10 ore)= 6.000 lire (1 /10 di minuto x 6.000 = 10 ore)». Come si vede, lo scambio si basa sulla quantita di lavoro necessaria per produrre le merci messe in confronto. Il lavoro a cui qui ci si riferisce e il lavoro astratto, e cioe quello misurato dalla societa sulla base di una pluralita di fattori, tra i quali, oltre la media matematica della forza-lavoro consumata per la produzione, hanna peso anche la componertte trasporto, quella commerciQ e perfino il quoziente di utilita che la societa in un determinato momenta attribuisce alia merce. In conclusione, il valore di scambio di una merce e, secondo Marx, ((il tempo di lavoro socialmente necessaria per fornire ad un prodotto il suo valore d'uso». 5.18 Aile radici della alienazlone: il plusvalore e il feticismo. Il fatto che, nella scambio delle merci, i proprietari, dopo aver pagato agli operai il lavoro necessaria alia loro produzione, traggano dalla vendita una ricchezza residua, un profitto, porta a sospettare che dietro l'astratta misura del lavoro ci sia, nel ciclo produttivo, un altro elemento, tenuto occulto. E c' e, difatti. E' la forza lavoro, che Marx definisce come (d'insieme della attitudini fisiche e intellettuali J
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che esistono nella corporeita, ossia nella personalita vivente di un uomo e che egli mette in movimento ogni volta che egli produce .valori d'uso di qualsiasi genere». Nell'economia classica, e particolarmente in Ricardo, la fonte del valore di scambio veniva identificata con la quantita di lavoro incorporate nella merce, senza prendere in considerazione che dietro il lavoro c' e un patrimonio, la forza lavoro, che e, appunto, l'unica ricchezza di cui i proletari dispongono. Nell'eta borghese, tutto farebbe pensare che, nei confronti delle eta precedenti, il lavoratore sia un soggetto finalmente libero, non soltanto perche non piu soggetto a vincoli sociali come lo era il servo della gleba, rna anche perche in grado di vendere la sua forza lavoro a chi e in grado di comprarla. Ed e proprio dietro lo schermo del 'libero contratto' che si annida il germe dell'alienazione. Infatti, il capitalista compra la forza lavoro come si compra qualsiasi altra merce. La forza lavoro, nel regime capitalista, e una merce il cui valore corrisponde al costo dei mezzi di sussistenza necessari per produrla. La somma necessaria all' operaio per recuperare la sua capacita lavorativa non e affatto identica alia somma che il capitalista trae dalla vendita della merce da lui prodotta. Fissiamo a 10 il ricavo di questa vendita e cioe il valore di scambio della merce e a 6 Ia somma necessaria all'operaio per mantenersi in efficienza. Dove vanno a finire gli altri 4/10? Supponiamo, per semplieita, chela giomata lavorativa duri 10 ore. II salario corrisposto all'operaio in questione copre solo 6/10 della giomata lavorativa: gli altri 4/10 sono 'in piu': sono il pluslavoro, sono quella porzione di dispendio di forza che si traduce nei 4/10 del ricavato di vendita finito neUe tasche del capitalista. Questi 4/10 del ricavato sono il plusvalore. Il plusvalore e dunque il lavoro non pagato che va ad aggiungersi al cumulo del capitale, reinvestibile in tanti modi, sia in valori d'uso a vantaggio personale del capitalista, sia per mantenere ed incentivare l'azienda nel suo capitale costante e nel suo capitale variabile: il primo e l'insieme dei macchinari, il cui valore e illavoro morto in essi accumulato (e dunque anch'esso, in ultima istanza, plusvalore); il secondo e il monte salari con cui viene compensato illavoro produttivo prestato dalla forza lavoro. Attomo a questo punto-chiave della dottrina di Marx e nata, gia ai suoi tempi, e si e sviluppata in seguito, una complessa casistica, della quale alcuni momenti saranno presi in considerazione nei prossimi capitoli. Una cosa e certa: la degradazione della forza lavoro a merce e, in Marx, l'asse della ricostruzione scientifica del processo di accumulo del capitale e, alla lunga, del suo fatale declino. A questo livello, ogni atteggiamento moralistico e religioso nei confronti della Iotta di classe appare, a dir poco, ingenuo, perche elude di quella Iotta la radice oggettiva, che e la tendenza del capitalista, anzi del sistema di cui egli non e che il titolare, a tener basso il piu possibile il valore di scambio della merce forza-lavoro (in altre parole, tener bassi i salari), e la contrapposta tendenza del lavoratore a ottenere salari meno taglieggiati dai meccanismi del plusvalore e giomate lavorative piu brevi. · Questa mercificazione della forza lavoro - in parole piu spicce, questa riduzione dei lavoratori a cose - e parallela ad un processo soggettivo di segno opposto, che Marx chiama significativamente feticismo. E' per questa via che finalmente Marx fomisce una definizione scientifica dell'alienazione, che negli scritti giovanili, sulla scorta di Feuerbach, egli aveva spiegato in termini antropologici. Lo stesso Marx, per illustrare il feticismo della merce, chiama in cau-
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sa, per analogia, l'alienazione religiosa, nella quale l'uomo prende per reali, dotate di vita propria, le figure create dal suo cervello. Non diversamente dai primitivi, che attribuivano a un feticcio quei poteri soprannaturali di cui non possedevano la spiegazione razionale, i cittadini della citta borghese sono portati a trasformare in feticcio il valore di scambio. In che modo? Invece che dalla sua produzione, Ia merce sembra trarre valore dal processo di scambio. Al rapporto merce-denaro-merce (M-D-M) si e sostituito il rapporto denaromerce-denaro (D-M-D), nel quale il denaro viene assunto come un valore, anzi come il val.ore per eccellenza. Tutto cia che di per se appartiene alla ricchezza soggettiva dei protagonisti della produzione si trasferisce aile merci e alla merce delle merci, il denaro: «Accumulate! Accumulate! Questa e Mose e i profeti». A giudizio del Marx del Capitale, secondo quanta scrive Leszek Kolakowski, <mel feticismo della merce si cela l'incapacita umana di concepire i propri prodotti come propri, ossia il consenso dell'uomo all'astrazione della forza umana che soggioga l'uomo invece di essergli sottomessa Tutti gli altri fenomeni dell'alienazione: l'emancipazione delle istituzioni politiche che si trasformano in fonti di oppressione, l'emancipazione dei prodotti della coscienza sotto forma di rappresentazioni religiose: in una parola, tutta la somma della schiavitu nella quale sono caduti gli uomini rispetto ai propri prodotti e contenuta in embrione nel fenomeno del feticismo.» 5.19 Tra scienza ed escatologla. Anche agli occhi del Marx scienziato, il capitale, protagonista assoluto della storia nell'eta borghese, ha quell'ambivalenza che gia gli veniva attribuita nelle pagine concitate del Manifesto: da una parte, nella storia dell'evoluzione umana la forma capitalistica della produzione ha il carattere della necessita, e dunque non puo essere imputata a nessun errore ne recente ne remota; dall'altra, essa e la causa e il prodotto di tutte le alienazioni umane: solo se sapra rimuoverla, l'uomo avra libero accesso nel regno della liberta. Questa duplice e indissolubile carattere di necessita e di contingenza giustifica le due prospettive marxiane sui futuro del capitalismo, che stanno tra loro in rapporto dialettico: quella della fine del capitalismo come inevitabile esito delle sue contraddizioni interne e quella della sua fine come effetto di una iniziativa rivoluzionaria, il cui soggetto, il proletariate, e gia stato preparato dallo sviluppo del modello di produzione basato sui libero mercato. Che la rivoluzione debba avere o meno carattere violento e questione secondaria, nel sensa che il suo compito non e mai di distruggere l'esistente, rna di estrarre dalle sue stesse viscere la societa postcapitalistica: la rivoluzione e la levatrice della storia. Proprio in base alia natura fisiologica del trapasso da una societa a un'altra, e di decisiva importanza coniugare la strategia rivoluzionaria e lo svolgimento delle contraddizioni oggettive che minano dall'interno il sistema capitalistico. 1. Una condizione mortale per il capitalismo e nella caduta tendenziale del saggio di profitto, che, al dire di Marx, «e, sotto ogni aspetto, la Iegge piu importante della moderna economia politica». Essa e legata all'incidenza delle innovazioni tecnologiche sul rapporto tra le due componenti del capitale, il capitale costante e il capitale variabile. La necessita di investire una quota sempre piu alta del plusvalore neUe innovazioni tecnologiche avrebbe diminuito la quota di profitto. In parole povere, i capitalisti avrebbero guadagnato sempre meno.
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2. Ma proprio per questa (ed eccoci a una seconda contraddizione), protesi a perfezionare la base della produzione con sempre maggiori investimenti, i capitalisti si trovano coinvolti in una concorrenza reciproca senza risparmio di colpi, con la conseguenza che i grandi distruggono e assorbono i piccoli. Di qui una sempre maggiore concentrazione del capitale. E, dall'altra parte, la tendenza a garantirsi la maggiore quota possibile di plusvalore obbliga i capitalisti a tenere i salari al livello della pura e semplice riproduzione della forza lavoro, con una duplice conseguenza: la massa proletaria si dilata, anche peril declassamento dei ceti superiori, e la sua capacita di consumo resta infima: la merce prodotta non trova un mercato proporzionato alla propria crescita. Di qui la crisi di sovraproduzione. La polarizzazione della societa - da una parte i magnati diminuiscono di numero, dall'altra ingrossa l'esercito degli sfruttati crea le condizioni oggettive peril ribaltamento. La centralizzazione dei mezzi di produzione e Ia socializzazione del lavoro raggiungono un punto in cui diventano incompatibili col !oro involucro capitalistico. Ed esso viene spezzato. Suona !'ultima ora della proprieta privata capitalistica. Gli espropriatori vengono espropriati.
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Il ribaltamento, si diceva sopra, non e un fatto meccanico, e il superamento dialettico del conflitto tra i rapporti sociali, che facevano da sovrastruttura alla forma economica capitalistica, e le nuove forze produttive che questa forma economica ha generato come negazione di se. L'azione rivoluzionaria e, proprio per questa, un'azione creativa, che inaugura una nuova societa, nella quale si ritrova, ricomposto in una nuova sintesi, quanta di positivo era contenuto nell'involucro della vecchia societa. 3. Una condizione 'soggettiva' indispensabile per questa trapasso e la coscienza politica del proletariate. Non si tratta di una coscienza derivata dall'alto, data che essa si sviluppa nel processo stesso con cui la classe operaia difende i propri interessi. In quanta gli interessi particolari della classe operaia irriplicano l'eliminazione delle cause stesse dell'alienazione della societa, il lora trionfo si risolve in un vantaggio universale. 4. A dispetto di tutte le rappresentazioni romantiche, la rivoluzione non si compie in un attimo, anche nel caso in cui l'occupazione del potere da parte del proletariate fosse un fatto fulmineo. Nel descrivere le fasi e i contenuti della svolgimento della rivoluzione, Marx procede tra molte incertezze e incongruenze, come documentano i suoi scritti successivi alle vicende della Comune di Parigi, importanti fra tutti La guerra civile in Francia (1871) e la Critica del programma di Gotha (1875). Alcuni tratti della nuova societa dovranno essere assicurati subito dopa l'atto rivoluzionario. a. Essendo proibito l'accumulo del plusvalore, lo scopo della produzione sara non il valore di scambio, rna il valore d'uso. Venuto meno il plusvalore, cadra anche la necessita del pluslavoro; come dire che la giomata lavorativa sara molto ridotta, misurata in rapporto alle necessita sociali. b. Sara abolita la divisione del lavoro, quella naturalmente che riflette in se la logica di produzione del plusvalore, e non la distribuzione del lavoro che meglio assicuri lo sviluppo delle capacita personali.
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c. La coincidenza tra vita personale e vita com unitaria sara sgombra di coercizioni, in quanto risultato di uno scambio personale nella piena trasparenza della ragione, senza piu nulla di misterioso, e percio senza nessuna fuga nella trascendenza. La societa sara allora al di la del tradizionale conflitto fra religione e ateismo. 5. Comunque, anche la societa fondata sulla proprieta comune dei mezzi di produzione dovra passare dalla fase 'inferiore', e cioe del socialismo, alla fase superiore, al comunismo. a. Nella fase inferiore, Ia societa senza classi conservera ancora alcune tracce della societa dal cui grembo e uscita. Ad esempio, i prodotti del lavoro saranno ancora messi in circolazione come merci, e illavoratore sara ancora compensato in denaro, in base al principia: 'ognuno secondo le sue capacita, a ognuno secondo il suo lavoro'. In questa fase permarranno anche le forme politiche dello Stato borghese, anche se, venute in mano alla classe operaia, esse dovranno servire alia progressiva liquidazione degli elementi borghesi della societa: e la fase della dittatura del proletariato. b. Nella fase superiore, il comunismo vero e proprio, non solo sara abolita del tutto Ia divisione del lavoro, compresa quella tra lavoro manuale e lavoro intellettuale, rna scomparita anche la forma di Stato ormai inutile. Solo allora l'angusto orizzonte giuridico borghese puo essere superato e Ia societa puo scrivere sulle sue bandiere: da ognuno secondo Ia sua capacita, a ognuno secondo i suoi bisogni.
Engels 5.20 Marx-Engels. In un suo articolo apparso su Robotnik, nel 1896, Lenin paragona l'amicizia tra Marx ed Engels a queUe raccontate nelle leggende antiche, come l'amicizia di Oreste e Pilade o di Eurialo e Niso. Ma in questo caso l'amicizia non appartiene solo alla storia dei sentimenti, perche essa fu la forma in cui presero sviluppo la dedizione comune a una causa e una collaborazione intellettuale destinata a incidere profondamente sui corso della storia. La comunanza di idee e di attivita intellettuale fu tale che non sempre e facile per noi distinguere quanto neUe opere, per solito attribuite a Marx o ad ambedue, sia il contributo dell'uno o dell'altro, anche se in ultima istanza si puo dire che il predominio intellettuale di Marx era di tale potenza da assorbire in se gli apporti di Engels. II quale, d'altronde, accettava di buon grado questa supremazia, al punto che,vivo Marx, egli passo per piu marxista dello stesso Marx. Questi dati di fatto non ci devono far ombra sui meriti di Friedrich Engels*: fu lui, fin dai tempi degli Annali di Ruge, a sollecitare in Marx l'esigenza della ricerca economica. Dopo la morte dell'amico, egli prese a pensare con molta originalita, affrontando, con un piglio poco corrispondente, per la verita, all'effettiva capacita speculativa, i grandi temi della metafisica, che invece Marx toccava con ritegno o per dir meglio con disdegno. Semplificando, si potrebbe dire che il marxismo come visione scientifica della societa e opera di Marx, mentre il marxismo come filosofia della natura e della storia e opera di Engels.
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E' proprio in virtu di questa prospettiva filosofica che Engels ebbe gran peso in Russia fin dai tempi di Plechanov e di Lenin, i quali, avvalorando la schematizzazione dei due, Marx ed Engels, facevano del primo lo scienziato e dell'altro i1 filosofo del marxismo. Saranno proprio Plechanov e Lenin a distinguere il materialismo storico, come metodo di interpretazione della storia umana e il materialismo dialettico (espressione mai usata, ne da Marx ne da Engels) come filosofia che riconduce a un principia primo materiale tutta l'evoluzione sia della natura che della storia. Alieno dalla ricerca dei 'principi primi', Marx si limitava ad applicare la dialettica alia sfera dei rapporti tra soggetto e oggetto, come dire alia sfera dell'uomo. Anche il suo materialismo non implica affatto un pronunciamento su quale sia, tra la materia e lo spirito, l'elemento primordiale da cui l'altro e derivato. E' vero che egli senti l'attrazione verso le teorie evoluzionistiche («Come Darwin scopri le leggi dello sviluppo della natura organica, cosi Marx scopri le leggi dello sviluppo della natura umana», scrivera Engels) fino al punto di scri-
Friedrich Engels nasce a Barmen, in Renania, nel 1820, da una famiglia di industriali tessili che ha filiali anche a Manchester, in Inghilterra. L'ambiente della sua infanzia e intensamente religioso, rna il giovane Friedrich e scandalizzato dalla cinica indifferenza dei suoi di fronte alia miseria operaia. La lettura de La vita di Gesu di Strauss lo porta a far gruppo con i giovani hegeliani. A Berlino parteggia per Hegel contro Schelling e si evolve in una direzione convergente a quella di Marx. L 'incontra con Marx avviene a Parigi nella redazione degli Annali di Ruge, nell'estate del 1844. Sta componendo un saggio su La situazione della classe operaia in Inghilterra (1845), traendo profitto dalla sua permanenza a Manchester come impiegato nell'azienda paterna. Vicino a Marx nel suo esilio in Belgio, compone con lui il Manifesto. Partecipa con lui alle lotte rivoluzionarie in Germania e con lui si stabilisce in Inghilterra, aiutandolo anche finanziariamente. E' merito suo se Marx si indirizza verso la ricerca economica. Anche II Capitale ingloba in se un consistente materiale informativo dovuto a Engels. Dopo la morte di Marx, attende all'improba decifrazione e riordinamento dei libri II e III de II Capitale. Vivo Marx, aveva pubblicato, con un capitola di lui, un saggio che diverra famoso: La rivoluzione scientifica del signor Eugen Diihring, detta piu semplicemente L' Anti-Diihring ( 1878). Di grande impegno teorico !'opera di etnologia L'origine della famiglia, della proprieta privata e dello Stato (1884). NeZ 1888 esce il suo Ludwig Feuerbach, in cui ripercorre le tappe della evoluzione sua e di Marx dall'hegelismo al socialismo. Lascia incompiuto un saggio di grande impegno speculativo che sara pubblicato so/tanto nel 1925: La dialettica della natura, di cui si varra moltissimo il marxismo sovietico di stampo staliniano. Importante il suo ruolo politico nella formazione dei partiti socialisti e nella loro strategia durante la prima e, dopo la morte di Marx, durante Ia seconda Internazionale. Muore nel1895.
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vere a Darwin per chiedergli (rna inutilmente) il permesso di dedicargli il Capitale. La simpatia di Marx per l'evoluzionismo non voleva dire, comunque, che egli intendesse estendere anche alia storia della specie i principi della dialettica. Egli si tenne fermo a una visione antropocentrica del reale, contenuta dentro i limiti di un immanentismo senza cedimenti ai problemi ultimi. Engels, specie dopo che la sua situazione economica divenne del tutto autonoma, si dedico con maggiore liberta e, se si vuole, con un certo quoziente di dilettantismo, ai grandi temi che, dopo il '60, l'esplosione scientifica stava rendendo di moda. Pur mutuando dal clima culturale l'ottimismo storico di fondo, e in particolare la fiducia nel futuro della scienza, Engels avvertiva il vizio intrinseco al pensiero positivistico, un vizio 'metafisico', che si rivelava in almeno due sintomi: la pretesa che l'oggetto della ricerca scientifica sia una sola cosa con la realta cosi come si trova dinanzi all'uomo, e la pretesa. che il sapere scientifico sia anch'esso un sapere definitivo e assoluto, per quanto suscettibile di infinita dilatazione. Engels mira a sconfiggere il positivismo per mezzo dello stesso positivismo, portandone al limite il presupposto epistemologico. Non dobbiamo dedurre dalla nostra testa, egli dice, i principi su cui si regge il mondo reale, rna dobbiamo costruirli a partire da cio che e. Per far questo, non abbiamo bisogno di nessuna filosofia, rna di conoscenze positive, dalle quali non puo risultare mai una vera e propria filosofia, rna una 'semplice concezione del mondo' (Weltanschahauung), che nel linguaggio di Engels non e una 'scienza delle scienze', rna semplicemente una conoscenza delle cose che ha la sua conferma nelle singole scienze reali. Per tal via egli si ricongiunge a una tesi di Hegel. Con Hegel ha fine, in modo generale, Ia filosofia; da una parte, perche egli nel suo sistema ne riassume tutta Ia evoluzione nella maniera piu grandiosa, dall'altra parte, perche egli, sia pure inconsapevolmente, ci mostra Ia via che da questo labirinto dei sistemi ci porta alia vera conoscenza positiva delmondo.
L' errore di Hegel era stato di fare della filosofia della natura un mom en to dello sviluppo dialettico dell'idea, svuotando cosi l'oggetto delle scienze di ogni vera oggettivita. Ma resta perenne il suo insegnamento che nulla mai di definitivo si da nella conoscenza che l'uomo ha di se stesso, durante il corso della storia. In ogni tempo, l'uomo e figlio della sua epoca e non e il caso di gettare sui passato, come fanno i positivisti, il verdetto dell'ignoranza e della superstizione. Anche la verita ha una sua storia. A giudizio di Engels, l'eredita della verita hegeliana e in mano della classe operaia tedesca. Gia qui si avverte una certa incongruenza nel discorso antipositivistico di Engels. Anche Marx parla di una estinzione della filosofia, rna nel senso che essa, con l'atto rivoluzionario, adempie se stessa, si traduce totalmente in prassi e cioe in perfetta coincidenza tra coscienza e essere, tra ideale e reale. La filosofia come pensiero separato e inutile. E invece in Engels la vera erede della filosofia e la scienza positiva. Anche per lui, certo, la conoscenza e prassi, nel senso che non si da una natura bell' e fatta dinanzi al soggetto, ne un soggetto con le sue categorie.bell'e pronte per assumere l'oggetto. L'interazione tra sog-
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getto e oggetto non permette di pensare una 'materia' come un dato in se compiuto, in attesa di esser compreso, ne lo spirito come una sostanza contrapposta alla materia. L'intera trama di cio che l'uomo conosce e tessuta di reciprocita tra soggetto e oggetto, contro l'unilateralita dello spiritualismo, da una parte, e del materialismo volgare dall'altra. Ma mentre Marx prospetta una perfetta adeguazione tra coscienza e realta non appena saranno rimosse le cause sociali dell'alienazione, Engels sembra additare alla rivoluzione un obiettivo conoscitivo in se distinto, quello di una 'filosofia nuova', una vera e propria visione del mondo, anche se ridotta a niente altro che alia conoscenza di alcune regole conoscitive e di coordinamento tra le diverse scienze positive.
5.21 II materialismo dialettico. La fondamentale di queste regole e la dialettica. La dialettica non e niente altro che la scienza delle leggi generali del movimento e dello sviluppo della natura, della societa umana e del pensiero.
Essa abbraccia, dunque, tutti e tre gli ordini del reale: la natura, la storia, il pensiero. Ecco in che senso Engels e piu marxista di Marx: egli ha esteso Ia dialettica oltre i confini della societa umana, nel mondo delle realta fisiche. Per lui, anche «l'acqua bolle dialetticamente)). Non che egli abbia voluto fare della storia umana un capitolo della storia della natura. Arizi, e proprio questo il vizio che egli rimprovera al materialismo volgare di tipo illuministico, tomato di moda con il positivismo di un Diihring, di un Buchner o di un Haeckel. n bersaglio di Engels e il positivismo della classe dominante, che, buttando al macer:o le vecchie leggi dello spiritualismo, adotta quelie dello scientismo piu piatto, squalificando ogni tentativo di comprensione teorica col pretesto che bisogna stare ai fatti. Ma i fatti cosi sbandierati non sono i fatti, sono i riflessi dei pregiudizi con cui essi, i positivisti, si accostano alia natura. L'approccio dialettico alia natura smaschera tutti i sistemi, sia quelli spiritualistici sia quelli positivistici, che ce ne vogliono dare una visione statica, priva di storicita, e ci introduce nei suoi processi reali. Che ci sia corrispondenza tra il modo di pensare e il movimento reale della natura non deve destar stupore, dato che il pensiero e una attivita del cervello, il quale e soggetto aile stesse forme di movimento da cui e retto il mondo reale, cioe quello della naturae quello della storia. Le leggi della dialettica, spiega Hegel, vengono ricavate per astrazione tanto dalla storia della natura come da quella della societa umana. Esse non sono, appunto, altro che le leggi generali di entrambe queste fasi dell'evoluzione e del pensiero stesso. Esse invero si riducono fondamentalmente a tre: la legge della conversione della quantita in qualita e viceversa; la legge della compenetrazione degli opposti; la legge della negazione della negazione.
Spieghiamoci con esempi addotti dallo stesso Engels: 1. La prima Iegge e essenziale nella chimica, che e Ia scienza delle variazioni qualitative dei corpi, variazioni derivanti dalle modificazioni della composizione quantitativa. 2. Della seconda Iegge e effetto il magnetismo, in cui coesistono l'attrazione e Ia repulsione. 3. Della terza Iegge e esempio il processo con cui un chicco di grano
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viene negato dalla nascita di una spiga, la quale a sua volta viene negata (negazione della negazione) dalla molteplicita dei chicchi che daranno origine a nuove spighe. E' evidente che l'intento di Engels, a dispetto delle sue dichiarazioni in contrario, e di costruire una nuova filosofia della natura, dotata di una sua staticita. La distanza dal pensiero di Marx, ad esempio da quello fissato neUe Tesi su Feuerbach, e evidente. Mentre nella linea ermeneutica che va da Plechanov a Stalin il Diamat (cosi viene siglato, in URSS, il materialismo dialettico) e inteso come dottrina comune a Engels e a Marx (non si dimentlchi che la Dialettica della natura venne pubblicata postuma, nel 1925, proprio a Mosca), alcuni maestri del cosidetto 'revisionismo', come Lukacs, Korsch e Gramsci, hanno messo in evidenza lo stacco tra Marx ed Engels. Di conseguenza, a seconda delle opzioni ermeneutiche, si avranno due fondamentali interpretazioni di Marx: quella che lo colloca, per cosi dire, nel versante engelsiano, e in tal modo lo assimila, in certa misura, alla qualita positivistica delle opere di Engels, e quello che lo colloca nel versante delle opere giovanili (come dire nel versante hegeliano), e in tal modo lo restituisce alla problematica umanistica contrassegnata dalle Tesi su Feuerbach Ma si farebbe torto ad Engels se, nel chiudere, non si ricordasse che il suo uso della dialettica ebbe non pochi effetti positivi nel contestare l'appiattimento positivistico del marxismo. Memorabile, anche perche diventata, in tempi recenti, un 'luogo' di numerosi confronti critici, la sua lettera a Joseph Bloch, del 21 settembre 1890: ... Secondo Ia concezione materialistica della storia il fattore che in .ultima istanza e determinante nella storia e Ia produzione e Ia riproduzione della vita reale. Di piu non fu mai affermato ne da Marx ne da me. Se ora qualcuno travisa le cose, affermando che il fattore economico sarebbe l'unico fattore determinante, egli trasforma quella proposizione in una frase vuota, astratta, assurda La situazione economica e Ia base, rna i diversi momenti della sovrastruttura - le forme politiche della Iotta di classe e i suoi risultati, le costituzioni promulgate dalla classe vittoriosa dopo aver vinto Ia battaglia, ecc., le forme giuridiche e persino i riflessi di tutte queste lotte reali nel cervello di coloro che vi partecipano, le teorie politiche, giuridiche, filosofiche, le concezioni religiose e Ia !oro evoluzione ulteriore sino a costituire un sistema di dogmi - esercitano pure Ia !oro influenza sui corso delle lotte storiche e in molti casi ne determinano Ia forma in modo preponderante. Vi e azione e reazione reciproca di tutti questi fattori ed e attraverso di esse che il movimento economico finisce per affermarsi come elemento necessaria in mezzo alia massa infinita di cose accidentali.
Una precisazione come questa basta a provare che, a conti fatti, il vincolo tra Engels e l'umanismo dialettico di Marx non si e mai veramente spezzato.
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Sommario. Agli inizi dell'Ottocento, l'Italia e culturalmente doq1inata dal pensiero francese e inglese e quasi senza nessun rapporto con quello tedesco 16.1). Fra i pensatori che, sulla scia degli ideologi francesi, cercano una via media tra il sensismo e l'innatismo emerge Giandomenico Romagnosi, che pone al centro della sua riflessione il tema dell'incivilimento (6.2). Agli ideologi si ispira, rna con esiti totalmente originali, anche il poeta Giacomo Leopardi, che rigetta il mito del progresso in nome di un materialismo antropologico a cui fa riscontro l'etica dell'eroismo morale (6.3). Un primo tentativo di richiamare la nostra cultura alia fedelta alia propria tradizione come a un ritorno al realismo storico di Vico e quello di, in questi primi anni del secolo, Vincenzo Cuoco (6.4). Dalla cultura napoletana, e precisamente da Pasquale Galluppi, viene compiuto il primo serio tentativo di un innesto del criticismo kantiano nella nostra tradizione filosofica (6.5). L'impostazione gnoseologica kantiana della ricerca metafisica e apertamente adottata da Antonio Rosmini. che propone una sintesi a priori in cui la funzione categoriale viene assolta dall'idea di essere (6.6), la quale, in quanto 'oggetto della mente', e il vero fondamento dell'oggettivita del conoscere e il vero tramite dalla gnoseologia alia metafisica, nonche la premessa di una morale non soggettivistica (6.7). Sull'idea dell'essere si basa la dottrina rosminiana della persona, da cui e derivabile una concezione della societa di tipo liberale (6.8). Anche Vincenzo Gioberti tenta la restaurazione della metafisica sostituendo all'idea dell'essere rosminiana, a suo giudizio irrimediabilmente soggettivistica, un intuito originario dell'essere, che precede la riflessione filosofica e le da fondamento (6.9). L'intuito originario puo essere espresso in una 'formula ideale', che spiega la derivazione del mondo fisico e storico da Dio e il suo ritorno a Dio (6.10). La metafisica di Gioberti fa da fondamento a una visione ideologica nella quale tocca all'Italia il compito di guidare il corso della storia nel suo ritorno a Dio; di qui la sua propasta di soluzione della questione risorgimentale (6.11). Nell'ultima fase del suo pensiero Gioberti si confronta con Hegel, del quale accetta, rna solo relativamente al mondo storico, il metodo dialettico (6.12). Dalla stessa matrice anti-illuministica, rna con presupposti del tutto immanentistici, muove il pensiero di Giuseppe Mazzini, che inquadra la questione nazionale in una visione della storia come incarnazione di Dio, la cui Iegge perenne e il progresso, affidato aile singole nazioni come momenti della indivisibile missione del genere umano (6.13). Nettamente ancorato all'illuminismo scientifico, e insieme ispirato alia lezione di Vico raccolta da Romagnosi, e Carlo Cattaneo, che oppone all'individualismo un'antropologia fondata sull"uomo sociale' e sull'indagine delle diverse civilta sgombra da astratti pregiudizi (6.14). II pensiero laico trova, nei primi anni dell'unita d'Italia, una nuova forma, destinata a grandi sviluppi, in un gruppo di pensatori napoletani, che adottano l'idealismo hegeliano dimostrando che in tal modo la filosofia, nata anticamente in ltalia, ritorna nella sua vera culla (6.15).
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In ltalia: l'eredita dell'Illuminismo 6.1 L'ltalia e l'Europa. Quando arrivarono le truppe napoleoniche a sconvolgere per sempre il suo ordinamento politico, l'Italia era piu segregata che mai dal resto dell'Europa. Anche i focolai di elaborazione autonoma di cultura illuministica (II.8.4), che nel secondo Settecento le avevano dato un qualche prestigio internazionale (basti pensare a Cesare Beccaria), si erano spenti o quasi. Gli eredi di quella stagione cosi promettente non avevano di meglio, ormai, che plaudire a Napoleone liberatore, salvo a ricredersi subito per inveire contro di lui come tiranno, senza rendersi conto che, in vari modi integrata negli ordinamenti sociali e giuridici della Francia napoleonica, l'Italia stava vivendo una sua rivoluzione sociale. Ma la stava vivendo quasi soltanto per trapianto, senza una vera e propria autonoma vitalita, perche non si era ancora formato, al suo interno, il soggetto adeguato ai nuovi ordinamenti, il Terzo Stato, che non si produce sui libri, rna nelle fabbriche, nel commercio, nelle universita e magari nell' esercito. Del resto, anche nel Settecento le aree in cui piu si era diffusa la cultura illuministica, come la Lombardia, la Toscana e il Napoletano, erano queUe neUe quali i governanti avevano i'ntrapreso le riforme adatte ad allinearle al moto di innovaziorie in corso in altri paesi d'Europa. Furono proprio queste le regioni in cui il verbo giacobino ebbe una meno effimera risonanza. In ogni caso, nulla di simile, in Italia, a quanto avvenne, ad esempio, nella Germania di Goethe e di Schiller, di Fichte e di Hegel. Anche il moto romantico, che reagi all'illuminismo giacobino con un ritorno al Medioevo, non ebbe niente di paragonabile alla intensa e originale elaborazione storiografica e ideologica del gruppo raccoltosi attorno all' Athaeneum dei fratelli Schlegel. La cultura era ancora in mano, tra noi, ai nobili e agli ecclesiastici e aveva ancora, come proscenio, le accademie di citta e di provincia. Nei casi in cui essa si apriva al nuovo, non riusciva a prendere contatto, spezzando le angustie elitarie, con la realta sociale, e slittava nel massimalismo anarchico o nella sconfortata frustrazione. «Siamo immaturi - scriveva, sul finire del Settecento, Pietro Verri, un esponente del glorioso illuminismo lombardo, confrontando l'Italia alla Francia- e non ancora degni di vivere sotto il regno delle virtu. A forza di voler essere furbi, siamo, al pari dei Greci, il rifiuto d'Europa dopo esserne stati i maestri». Circa vent'anni dopo, il gruppo di intellettuali che si raccolse attorno a 'll Conciliatore' ( 1818-1819) ten to di reagire a questa inerzia con un programma culturale ispirato al progressismo borghese di Inghilterra e di Francia, esortando, secondo il monito di Madame de Stael, ad aprirsi ai modelli della cultura .straniera. Secondo uno di loro, Ludovico Di Breme, l'Italia aveva bisogno «di ·conoscere l'immenso vero che raggia in Europa. Voi di libri europei non ne leggete, perche siete persuasi che tutto, tutto e dei nostri». Ma per gli intellettuali che facevano capo al glorioso periodico, ben presto soppresso dalla censura austriaca, l'Europa su cui irradiava Timmenso vero' era quella industrializzata di Francia e Inghilterra.
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L'eco della rivoluzione kantiana e del successivo sviluppo idealistico tardo a sorpassare le Alpi, e, quando le sorpasso, giunse fioca o deforrnata. Non e un caso che ad accoglierla per prima, in modo non del tutto inadeguato, sia stato non un Iombardo, rna un napoletano, di cui presto diremo, Pasquale Galluppi. Prima di lui, a render canto della filosofia di Kant era stato il padre somasco Francesco Soave (1743-1806) - autore di un manuale di filosofia che domino nelle nostre scuole per i primi decenni dell'Ottocento - con un saggio del 1803: La filosofia di Kant esposta ed esaminata. Ma l'illuminato seguace di Locke mostro di non aver ben compreso l'autore delle tre Critiche, non diversamente da Romagnosi, che confondeva le categorie della ragion pura con le idee innate. Del resto, per potere leggere in italiano le opere del filosofo di Konisberg, si dovette attendere l'immane fatica del medico di Pavia Vincenzo Mantovani, che nel 1822 pubblico l'ultimo dei suoi otto tomi, Della vita e delle opere di Kant, che portano tutti i segni della sua scarsa competenza, anche filologica. Insomma, mentre la Gerrnania, come si e vista a suo tempo, aveva reagito alia propria arretratezza economico-politica Qffrendo alia nuova eta borghese il contributo di una rivoluzione filosofica, l'Italia rimane fuori del cerchio del dibattito europeo, in stretta dipendenza dalla cultura franco-inglese. Ad esempio, il gia citato Francesco Soave tenta di innestare la tradizione metafisica cattolica nel sensismo di Condillac e di Locke; Melchiorre Gioia (1767 -1829) e tributario sia degli ideologi francesi, specie di Cabanis, sia dell'utilitarismo di Bentham, anche se cerca di ricomporre apporti cosi diversi attorno all'idea centrale di 'uomo sociale', che avra subito un significativo sviluppo in Giandomenico Romagnosi, il quale nell"uomo sociale', o meglio nell'uomo storicamente deterrninato, trova il punta d'incontro tra la lezione del sensismo europeo e quella, mai dimenticata in Italia, di Giambattista Vico; Giacomo Leopardi, accompagna la sua straordinaria vicenda poetica con una sofferta meditazione filosofica, in cui malta peso hanna gli ideologi di quae di la dall'Alpe. Su questi due ultimi conviene soffermarsi subito, all'apertura della breve rassegna degli esponenti pili rappresentativi del pensiero italiano agli inizi del secolo. 6.2 Romagnosi: i fattori dell"incivilimento'. Durante la prima meta del secolo scorso, quello di Giandomenico Romagnosi (I 761-1835) fu il nome pili illustre, nella repubblica intellettuale italiana. Quando Giuseppe Giusti, in risposta a Lamartine, che aveva chiamato l'Italia 'terra dei morti', valle dare un segno che, al contrario, l'Italia era viva, fece appunto il nome di Romagnosi. Molto giovo alia sua fama anche la particolare qualita del suo ingegno, che fu la capacita di mediare fra gli estremi, senza nessun pregiudizio pero per la sua linea di comportamento morale e civile, che fu di intemerata autonomia. Quando, finita la parentesi napoleonica, che lo aveva messo in luce come professore di diritto e come amministratore della giustizia, tornarono gli austriaci, egli conobbe la prigione e poi l'esclusione da ogni pubblica attivita. Ma seppe reagire, aiutato anche materialmente dagli amici, mettendo a frutto le sue capacita di pensatore rimaste nascoste o inibite dalla professione di giurista. Le opere che gli dettero fama, e che in questa sede ci interessano, appartengono infatti all'ultimo ventennio della sua vita di emarginato.
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11 suo metodo si ispira alle tesi haconiane degli 'assiomi medii', assume, cioe, come criteri di giudizio, quei principi che non si riducono ne al puro e semplice empirismo ne all'astratto razionalismo degli innatisti, rna nascono nell'uomo nel punto d'incontro tra l'attivita della mente e l'apporto dei sensi. In nome dell'empirismo egli respinge non solo «i catagoremi di Aristotele» rna anche «la filosofia critica di Kant e il teorismo di certi filosofi di oggidi», tra i quali egli annovera sia Hegel che Schelling. Ma contro gli empiristi che, come Condillac, tutto derivano dal senso (i sensualistz), egli sottolinea la partecipazione attiva del soggetto nel processo conoscitivo, mediante funzioni razionali che non so no pen) forme a priori, so no 1'espressione di un «potere occulto» della mente, da rassomigliare a quello che e il huon gusto in estetica e il huon cuore nella vita morale. La dottrina gnoseologica, alia quale aveva dedicato due saggi, Che cos'e la mente sana? (1827) e Vedute fondamentali sull'arte logica (1832), vale per Romagnosi come premessa per una <
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6.3 Leopardl: l'eroismo etlco. Per una ragione opposta, e cioe per la sua estraneita allo spirito del tempo, scarsa risonanza ehhe, negli stessi anni, l'opera di Giacomo Leopardi (1798-183 7); anzi, se ci si lim ita aile sue prose, si puo dire che la sua risonanza fu nulla. Basti dire che, presentate a un concorso indetto dall'Accademia della Crusca, le sue Operette morali, nate quasi tutte nel 1824, ehhero la peggio, nel 1830, con un voto quasi unanime, a favore della Storia d'Italia di Carlo Botta.
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E anche i piu sinceri estimatori del Leopardi, da Gioberti a De Sanctis, partivano dal presupposto, rimasto indiscusso fino ai tempi nostri, che nella sua opera poetica si dovessero tener distinti il contenuto filosofico, viziato da un pessimismo radicale teoricamente inconsistente, e la trasfigurazione lirica, in cui invece trovava forma originalissima Ia vena del sentimento. A parte il fatto che in tal modo si perdeva di vista Ia novita piu singolare della lirica leopardiana, che e, come l'autore stesso aveva indicato, nella tensione dialettica tra la cognizione lugubre del vero e il sentimento (tema questo che ora non ci riguarda), si perpetrava cosi un sommario rigetto di un poderoso impegno di riflessione filosofica, che aveva l'unico torto di non essere in linea con nessuna delle tendenze allora dominanti, ne con quella del progressismo laico, che si riconosceva in Romagnosi e in Mazzini, ne con quella del progressismo cattolico, piu direttamente preso a bersaglio dal poeta di Recanati. II quale, per tutta Ia vita, a partire dal 1817, aveva affidato le sue riflessioni ad appunti estemporanei (una mole di 4526 facciate), che verranno pubblicati, col titolo Zibaldone, solo nel 1898. Un piu attento studio di questo 'diario segreto', insieme a una nuova attenzione non meramente letteraria aile Operette morali, hanno consentito una revisione del giudizio tradizionale su Leopardi, anche come poeta, rna soprattutto come pensatore. Un pensatore sui generis, e vero, segnato, come nel corpo, in ogni moto del pensiero da un destino sventurato e tuttavia capace di trascendere Ia vicenda individuale in una contemplazione oggettiva della condizione umana e delle dinamiche cosmiche che la generano e Ia govemano. In un primo tempo, la sua riflessione non fa che sviluppare il tema di Rousseau, di una condizione originaria in se stessa perfetta che Ia civilta ha infranto per sempre, sostituendo alia ragione naturale, in pace con i sensi e con l'immaginazione, la ragione artificiale, che crea il progresso scientifico rna lo fa mediante Ia scomposizione analitica dell'unita originaria (Il11.6). Nel descrivere questa scomposizione, Leopardi utilizza Ia lezione degli ideologues del tempo: come in virtu della matematica si e passati dall'astrologia «piena di sogni e di congetture» all'astronomia scientifica, cosi con l'analisi dell'origine delle idee si e passati dalla metafisica alia filosofia modema, il cui senso unitario e Ia dimostrazione che l'ordine di natura non ha altro fine se non la conservazione di se stesso, non gia Ia conservazione della vita e tanto meno dell'uomo. E cosi, !'idea di natura come felice armonia fra l'uomo e le cose si dissolve, per lasciar posto a una visione materialistica, spoglia di qualsiasi teleologia, affine a quella di d'Holbach (II.8.11). In una simile concezione l'esistenza dell'uomo non ha piu rilevanza di quella della formica, e le illusioni che amministravano una qualche felicita ai primitivi sono diventate impossibili. Uscita dallo stato di integrazione con le altre facolta, la ragione umana tende a costruire una 'seconda natura', quella che noi chiamiamo civilta e che pen) e una illusione funesta. L'incivilimento decantato dal Condorcet e dal Romagnosi non e che fetido orgoglio, come le antiche metafisiche religiose; chi decanta 1e magnifiche sorti e progressive' dell'umanita si nasconde la lugubre verita delle cose, aiutato dal fatto che, chiuso in un breve segmento del tempo, gli ordini su cui il mondo si regge gli sembrano immutabili. Ma in realta il presente stato del mondo non e che un anello della catena che la materia, massa agitata, forma e distrugge:
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Venuti meno i pianeti, la terra, il sole e le stelle rna non la materia loro, si formeranno di queste nuove creature, distinte in nuovi generi e in nuove specie e nasceranno per le forze esterne della materia nuovi ordini delle cose e un nuovo mondo.
All'ottimismo dei 'nuovi credenti', sia cattolici che laici, Leopardi oppone la razionalita aliena dalle fole che, a partire dal Rinascimento sino all'illuminismo, era emersa dalla notte superstiziosa del Medioevo e che ora appariva ai suoi occhi tragicamente sopraffatta dalla mitologia del progresso. E' questa il punta d'arrivo della inesorabile meditazione che suggerira a Leopardi l'alto canto della Ginestra, il cui nucleo filosofico ci fa pensare alla polemica antihegeliana, e piu in genere antispiritualistica, a cui proprio alla fine di quel decennia clara voce Feuerbach. n riferimento e tanto piu opportuno in quanta l'antiprogressismo leopardiano non si risolve affatto, come sembrerebbe logico, in un ripiegamento nihilistico nell'interiorita. Anzi, sulla consapevolezza virile del vero, egli costruisce il messaggio dell'eroismo morale, fondato sulla universale solidarieta degli uomini, che ripudia come follia la guerra dell'uno contra l'altro, e fa sua Iegge l'aiuto reciproco, la corriune latta contra 'l'empia natura', il ristabilimento di quel patto sociale che nelle eta eroiche aveva dato origine alla convivenza basata sulla giustizia e sulla reciproca pieta. Si e gia detto dell'accostamento che Francesco De Sanctis stabili fra Leo- ' pardi e Schopenhauer (4.1). Ma a De Sanctis sfuggiva (non si dimentichi comunque che egli non conosceva lo Zibaldone) un tratto di Leopardi che lo differenzia dal filosofo della Volonta di vivere: la fiducia illuministica nella ragione e la conseguente ripugnanza per la metafisica di qualsiasi tipo. E a questa sua qualita intellettuale va congiunta una qualita morale: la disposizione attiva a stringere una 'catena sociale' contra 'il comun fato'. Nessun Lukacs, insomma, potrebbe mettere Leopardi fra i 'distruttori della ragione'.
6.4 Cuoco: il ritorno di Vico. Leopardi seppe tenersi distante sia da queUe forme dell'illuminismo che nascondevano, sotto il velo dell'universalismo razibnalistico, gli interessi della nuova classe ascesa al potere nelle nazioni industrializzate, sia dal romanticismo, che opponeva ai lumi della ragione la nostalgia per le 'epoche oscure'. Proprio per questa egli rimase estraneo alia cultura dominante del suo tempo, che aveva il suo centro di elaborazione nella Lombardia, e cioe nella regione dove il trapasso d' egemonia dalle vecchie classi alla borghesia trovava sostegno e stimolo neUe riforme gia avvenute nell'eta dell'assolutismo illuminato. La Lombardia non era l'Italia, ne la sua nuova cultura, cosi affine all'illuminismo d'oltralpe, poteva dirsi espressione di quella coscienza di se che avrebbe dovuto essere la condizione prima per qualsiasi progetto di unita nazionale. Le armi giacobine si trovavano a Milano in un ambiente abbastanza affine a quello della loro patria. Per scoprire il divario tra . la cultura francese e la cultura dominante nella nostra penisola, la situazione ideale era quella avveratasi a Napoli, dove ad accogliere i giacobini e a festeggiare l'albero della liberta fu appena la «parte colta» della citta «formatasi su modelli stranieri». «Alcuni erano divenuti francesi, altri inglesi e colora che
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erano rimasti napolitani e che componevano il massimo numero, erano ancora incolti». Cosi scrisse un testimone qualificato dell' effimera repubblica partenopea del 1799, Vincenzo Cuoco (1770-1827), nel suo Saggio storico sulla rivoluzione napolitana, scritto di getto appena egli giunse in esilio a Milano. In questo saggio, e in altri scritti pubblicati nei primi anni del nuovo secolo, Cuoco, insieme agli altri esuli napoletani, propane una via nuova alla nascente coscienza nazionale, una via propriamente italica, rimasta sommersa dalla cultura di importazione. Ad aprirla era stato Giambattista Vico, che, in anticipo sugli illuministi francesi e inglesi e sugli idealisti tedeschi, aveva descritto le tappe che l'uomo deve percorrere per sviluppare una civilta conforme ai propri bisogni. Ed e il bisogno, non il raziocinio, che muove i popoli nel loro cammino storico. Il quale, dunque, e un cammino positivo, ritagliato via via sui bisogni emergenti, e non dedotto dal dogma di Condorcet sulla 'perfettibilita infinita' dell'uomo. La lezione di Cuoco non rimase del tutto inascoltata nell'ambiente degli intellettuali Iombardi. «Non conoscevamo quasi il Vico, riconoscera Alessandro Manzoni, e furono gli emigrati napoletani che ce lo fecero conoscere». Non si puo dire, comunque, che quella lezione abbia avuto seguito, anche perche si chiuse nel giro di pochi anni e si chiuse, a Napoli, in malinconiche frustrazioni. Ma la verita 'vichiana' di Cuoco era di queUe destinate a riemergere, perche gettano luce sulle possibilita ancora vive alle origini di un processo, che in seguito le scarta o le soffoca, fino a che, esauritosi nelle proprie contraddizioni, non e costretto a richiamarle in vita, per dare a se stesso, se possibile, nuovi fondamenti. Fa parte di quella verita la tesi, che vorremmo quasi dire mandsta, della coniugazione tra universalita e bisogni concreti di un popolo, anche se questi bisogni sono letti da Cuoco con criteri non propriamente economicisti. Se la repubblica napoletana crollo cosi miseramente - ecco un esempio delle argomentazioni realistiche di Cuoco - fu anche perche il progetto di Costituzione, elaborato dal suo maestro Mario Pagano, era «troppo francese e poco napolitano»: «l'architetto e grande, rna la materia del suo edificio non e che creta>>. Il principia della conformita tra progetto politico e interessi reali Cuoco lo applica a tutti i livelli, anche allivello dell'equilibrio europeo, che non potra darsi se non sara attuata l'indipendenza italiana, «che tutte le potenze, quando seguissero piu illoro interesse che illoro capriccio, dovrebbero tutte procurare>>. In coerenza con questi principi, Cuoco riteneva necessaria all'unita e all'indipendenza della nazione la ricomposizione di una tradizione filosofica autenticamente italiana (della quale addito, nel romanzo Platone in ltalia, i gloriosi esordi nella Magna Grecia pitagorica) e un'istruzione statale per il popolo. Ed e in quest'ultima indicazione che Cuoco si rivela, anche lui, figlio del miglior illuminismo.
6.5 Galluppi: 11 confronto con Kant. Quel che mancava al pensiero italiano era un contatto diretto col pensiero tedesco, che in quei primi decenni del secolo stava svolgendo nelle sue implicazioni la rivoluzione gnoseologica operata da Kant. L'analisi dell'origine delle idee condotta dagli ideologi francesi derivava per linea diretta dal sensismo settecentesco, senza curarsi adeguatamente
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del vaglio critico a cui Kant lo aveva sottoposto. Ma la prosecuzione dell'indagine sulla formazione delle idee non era piu possibile senza tener conto di quanto Kant, e dopo di lui gli idealisti, avevano detto. Qualcuno in Francia se ne era accorto. Victor Cousin (3.14), fattosi per un certo tempo ascoltatore e arnica di Hegel, aveva tentato, in modo eclettico, una sintesi delle diverse tradizioni di pensiero, nel presupposto, derivato appunto da Hegel, della identita tra filosofia e storia della filosofia. Bene o male (piu male che bene), un confronto tra pensiero francese e pensiero tedesco era cominciato. A tentare qualcosa del genere fti in Italia il calabrese Pasquale Galluppi (1770-1846), che con Cousin fu in corrispondenza, dopo averne tradotto in italiano i Frammenti filosofici, guadagnartdosi la sua stima fino a ottenere, nel 1838, la nomina a membro dell'Istituto Francese. Anche Galluppi, come Cousin, sia pure in un contesto culturale tanto piu arretrato, aveva messo in programma una vasta ricostruzione storiografica del pensiero umano, di cui ci resta un vero e proprio gioiello del genere, Le lettere filosofiche, del 1827. E anche lui «dopa aver letto e studiato attentamente, come racconta nella Lettera XIV, le opere filosofiche di Condillac e quelle dei piu celebri sensualisti», lesse e studio «con malta fatica ed attenzione la Critica della ragion pura di Kant». Sulla ragione e i limiti di questa fatica ci informa lui stesso nella prefazione al Saggio sulla critica della conoscenza, in sei volumi: La rivoluzione Kantiana merita piu di quello che non si crede l'attenzione dei pensatori. Anche gli errori sono utili agli uomini, che sanno metterli a profitto. Malgrado la scarsezza dei libri su questa materia per un italiano, a cagion della lingua in cui sono scritti, e la necessita per me di dover intendere i modemi alemanni per mezzo degli interpreti francesi, credo di aver presentato la questione sotto un nuovo punta di veduta.
La mediazione degli ideologi francesi impedisce a Galluppi un corretto approccio al criticismo di Kant, di cui gli sfugge la questione di fonda, quella dei limiti della ragione e dunque della possibilita della metafisica come scienza. La possibilita della metafisica appare evidente, per Galluppi, non appena si compia nel modo dovuto l'analisi dell'origine della conoscenza. Questa origine si ha non nella sensazione in se presa, rna nella coscienza che l'accompagna. Sentire e sempre anche un sentire di sentire, e la coscienza di me che sento qualcosa. L'atto originario del conoscere e, dunque, una intuizione composita, nella quale occorre distinguere: a) la coscienza o sentimento b) del soggetto che sente qualcosa e c) del qualcosa sentito dal soggetto. Non e possibile revocare in dubbio cio che e attestato dall'esperienza originaria, e cioe l'esistenza di un io, l'esistenza di un oggetto ed anche quelle relazioni fondamentali che sono date alla coscienza e quindi precedono ogni analisi, come il nesso sostanza e accidente o quello causa ed effetto. Ed e poggiando sui nesso causa ed effetto che . Galluppi si apre il varco alia certezza di Dio, facendo uso del tradizionale argomento che un essere mutabile non puo essere causa di se stesso. Sull'esperienza primitiva l'uomo costruisce una esperienza secondaria mediante l'analisi e la sintesi. Nell'analisi, non facciamo che scomporre quanta ci viene fomito dall'intuizione sensibile, per poi ricostruire, al livello mentale, Ia stessa sintesi reale da cui ha avuto origine la sensazione. Gli elementi scompo-
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sti dall'analisi possono ricomporsi o secondo intenti pratici, e allora abbiamo le tecniche e le arti mediante le quali l'uomo modella a suo piacimento la natura, o secondo l'esigenza teorica di costruire una sintesi che rispecchi fedelmente, nella sfera della coscienza, la sintesi reale anteriore alia sensazione, che puo essere o sintesi fisica, se riguarda il mondo estemo, o sintesi metafisica, se riguarda il mondo interiore dell'io. 11 sottinteso della- costruzione gnoseologica di Galluppi e la restaurazione della metafisica, da contrapporre al dilagante scetticismo. L'impulso di questa posizione 'pregiudiziale' lo conduce a trarre dall'analisi del processo conoscitivo molto pili di quanta, a rigore, esso non contenga. Se all'atto conoscitivo originario non e gia presente un principia che di per se superi lo spessore psichico della sensazione, non sara possibile tirarsi fuori dalla prigione del soggettivismo scettico. E' quanta si propongono di dimostrare, nella stessa linea di Galluppi, i massimi rappresentanti della restaurazione metafisica, Rosmini e Gioberti.
In ltalia: Ia restaurazione metafisica 6.6 Rosmini: l'idea dell'essere e Ia nuova slntesl a priori. L'epiteto di 'Kant italiano' fu attribuito ad Antonio Rosmint• in forza della convinzione (6.16) che nella sequenza Rosmini-Gioberti si era riprodotta, in Italia, quella tedesca KantHegel. Si tratta di una semplificazione che certo non avrebbe incontrato il gradimento del filosofo di Rovereto, che considerava il suo omologo tedesco come uno dei responsabili del soggettivismo scettico, alla pari dei sensisti. Antonio Rosmini nasce a Rovereto, da nobile famiglia, nel 1797. Suo prima maestro e don Giulio Ors£ che gli fa conoscere, in una edizione latina, le opere di Kant. Compiuti gli studi teologici all'Universita di Padova, diviene sacerdote nel 1821. NeZ 1826 si stabilisce a Milano, dove ha rapporti di amicizia con Tommaseo e con Manzoni, mentre attende a un 'opera politica che abbandona per dedicarsi alla sua opera maggiore, che vedra la luce due anni dopa, il Nuovo saggio sull'origine delle idee (1830). Spinto da un bisogno ascetico, si ritira in solitudine nei pressi di Domodossola, dove, nel 1828, da vita a una congregazione religiosa: l'Istituto della Carita (detto dei Rosminiani). Per ottenere l'approvazione del suo Jstituto, nel 1830 si reca a Roma, dove pubblica il Nuovo saggio e le Massime di perfezione. Pur nei continui impegni connessi alia direzione e alia diffusione del suo Istituto, riesce a dare aile stampe, nel 1831, i Principi della scienza morale e compone, nella stesso periodo, un saggio intitolato Delle cinque piaghe della chiesa, che sara pubblicato solo nel 1848. Dopa alcuni anni passati nel Trentino, diviene sospetto al governo austriaco e nel 1836 si stabilisce a Stresa, dove compone altre opere, fra le quali lf\ntropologia in servizio della scienza morale (1838), la Fila sofia della politica (183 9) e la Filosofia del diritto (1841-5). La sua fama cresce e crescono i contrasti, ad esempio quello con Vincenzo Giobert£ che a Bruxelles pubblica (1841-44)
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!'opera Degli errori filosofici di Antonio Rosmini, alia quale, nel 1846, Rosmini replica con un saggio su Vincenzo Gioberti e il panteismo. Il '48 ha in Rosmini un protagonista di prima piano. Dopa la liberazione di Milano, pubblica, oltre Le Cinque Piaghe, la Costituzione secondo la giustizia sodale. Su consiglio di Gioberti, il governo piemontese gli affida una missione presso Pia IX A Roma, dove aveva incontrato positiva accoglienza (il Papa voleva farlo cardinale), e travolto dalla bufera: Pellegrino Rossi viene ucciso, Pia IX si rifugia a Gaeta, le sue due opere pubblicate l'anno prima vengono messe all'indice (1849). Ritiratosi a Stresa, si dedica agli studi e a intense conversazioni con visitatori illustri come Tommaseo, Gustavo di Cavour, Ruggero Bonghi e Manzoni. Assistito proprio dal Manzoni, che lo ammira come maestro e come santo, si spegne ne/1855. L'accostamento tra Rosmini e Kant regge davvero in un solo punto: nell'aver posto ambedue, come preliminare a ogni ricerca filosofica, l'analisi della conoscenza, allo scopo di verificarne la validita e il funzionamento. Anche Rosmini, come Kant, si trova davanti due tradizioni, quella sensistica e quella razionalistica, che egli chiama 'innatista'. I sensisti, nella spiegazione dell'origine delle idee, hanno peccato per difetto, nel senso che la loro spiegazione, come ben vide Kant, non riesce a fornire la causa sufficiente del carattere di universalita proprio della conoscenza umana; gli innatisti hanno peccato per eccesso, perche hanno collocato nella mente dell'uomo le idee universali indipendentemente dall' esperienza, come fecero, ad esempio, Platone e Leibniz. Per Rosmini, Kant rientra nella loro serie. Egli si propose, infatti, di trarre tutti i vantaggi possibili dalla dottrina del sensismo, rna poi, per tirarsi fuori dai limiti dell'intuizione sensibile, elaboro la dottrina delle categorie, nelle quali riposa il principia dell'universalita e della necessita del giudizio. Ma le forme a priori dell'intelletto sono pur sempre soggettive, in quanto ineriscono al soggetto come sue funzioni, e pertanto non possono far da fondamento della vera oggettivita, come lo stesso Kant e costretto a riconoscere quando relega le cose in se nel mondo dell'inconoscibile. C'e una sola via per evitare Scilla e Cariddi, il difetto dei sensisti e l'eccesso degli innatisti, quella di fondare, si, l'universalita del giudizio nella sintesi a priori, rna a condizione che la categoria che fornisce il predicato universale sia non soltanto una funzione della mente nella sua attivita di giudizio, rna, in prima istanza, un suo vero e proprio oggetto. Questa categoria - una sola, al posto delle diciassette che Kant e costretto a mettere in campo - e l'idea dell'essere. Si tratta di un'idea assolutamente indeterminata, che possiamo rappresentarci se da un oggetto determinato (questo albero, questa casa, e cosi via) togliamo una dopo l'altra tutte le determinazioni concrete. L'idea dell'essere non puo venirci dalle cose, per l'evidente ragione che essa e per l'appunto il presupposto della conoscenza di qualsiasi essere determinato, ne puo venirci da noi stessi, perche, per avere la conoscenza di me come essere esistente, ho bisogno ancora una volta di quell'idea. La quale puo anche essere detta 'innata', rna non nel senso che si trovi in noi come oggetto mentale in tutto e per tutto compiuto. E' innata in quanto e la condizione di ogni intelligibilita, una condizione indipendente sia dall'oggetto che dal soggetto, cosi come la luce che
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mi rende visibile questa foglio non e una proprieta del foglio, ne una proprieta dei miei occhi. n primo modo con cui l' essere ideale (cosi Rosmini chiama !'idea dell'essere) illumina la mente e quello del principia di contraddizione, in base al quale cio che e, e, e cio che non e, non e. Ecco perche !'idea dell'essere e la forma della verita: ogni affermazione e ogni negazione rimandano infatti, come a loro principia, a questa idea primordiale. Stabilita questa suprema condizione del conoscere, anche per Rosmini Ia conoscenza e un procedimento sintetico in due gradi, il sensitive e l'intellettivo. La percezione sensitiva e la sintesi tra la sensazione, che e una modificazione passiva del soggetto senziente, e il sentimento fondamentale. Non esistono, per Rosmini, le forme pure dell'intuizione sensibile poste da Kant (lo spazio e il tempo), esiste, come dato a prior~ il sentimento con cui il soggetto umano avverte se stesso in quanta pura corporeita, anteriormente a ogni sensazione, e nel quale si trascrivono, come in uno schermo, le sensazioni, in quanta modificano, in modi determinati, quella sensazione di se indeterminata. Senza lo stimolo esterno, il sentimento fondamentale rimarrebbe inerte, senza questa sentimento gli stimoli esterni resterebbero senza nessuna risposta. La percezione intellettiva e la sintesi tra quanta fomisce la percezione sensitiva e l'idea dell'essere. Essa si esprime nel giudizio, che e un atto della ragione (Rosmini distingue Ia ragione dall'intelletto, la cui proprieta e l'intuizione dell'essere ideale), mediante il quale l'essere indeterminate viene determinate a seconda dei contenuti offerti dalla sintesi percettiva, come quando dinanzi a una stella dico: «questa e un corpo luminosm>. Le competenze della ragione non si esauriscono nel pronunciare un giudizio in presenza di una sintesi percettiva, comprendono anche la capacita di isolare !'idea dagli altri elementi della percezione, in due maniere fondamentali, l'universalizzazione e l'astrazione. Si ha l'universalizzazione quando, per restare all'esempio, percepita una stella, io prescindo del tutto dal pensiero della sua sussistenza attuale e ne mantengo l'immagine considerandola come stella possibile, come esemplare di tutte le stelle che potrebbero essere realizzate dal Creatore; si ha 1' astrazione quando tolgo all'idea nata nella percezione quasi tutte le determinazioni eccetto alcune, come quando dall'idea di stella scarto tutte le determinazioni a partire da quella di sussistenza, come la grandezza, Ia forma, il grado di luminosita e cosi via. Cosa resta? Resta l'idea di stella, che non puo confondersi con l'idea di nessun' altra cosa. E' in virtu di queste sue competenze che la ragione stabilisce anche i principi del ragionamento, dedotti dall'idea dell' essere. Ad esempio, !'idea di causa deriva dal principia di non contraddizione: se conosco un'operazione (come lo stimolo sensitive), deve esistere anche una sua causa,· dato che cio che non esiste non e in grado di compiere operazioni. E' dunque nelle possibilita della ragione, facendo fulcra sull'oggetto primo dell'intelletto, l'essere ideale, trapassare dall'ordine gnoseologico all'ordine ontologico. L'essere ideale, infatti, non e l'essere sussistente, e Tessere in quanta intelligibile'. Se la nostra conoscenza fosse perfetta, noi conosceremmo l'essere sia come ideale che come reale, conosceremmo Dio. E invece, nella nostra intuizione resta nascosta Ia realta dell'essere ideale, che si fa accessibile solo negli esseri finiti. Essa si manifesta allorche applichiamo ad essi l'idea dell'essere. In quel momenta, non siamo noi a determinare l'oggettivita delle cose, sono le cose che si rivelano oggettive. E'
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cosi che Rosrnini sostiene di aver fondato razionalrnente la possibilita della rnetafisica, congiungendo alia prospettiva gnoseologica del pensiero rnoderno quella ontologica del pensiero classico. 6. 7 Rosmini: Ia metafislca e Ia morale. Niente in Rosrnini che rassornigli all"irnbarazzo' che Kant avverte una volta che, giunto a stabilire i confini della ragion pura, si trova davanti l'abisso che separa il sovrasensibile, come dire il rnetafisico, dal fenornenico. Con quell'irnbarazzo Kant paga il giusto scotto della sua scelta gnoseologica, che ha ridotto le categorie universali a mere funzioni del soggetto. Rosrnini, invece, ha nella nozione dell'essere la cerniera che unisce tra loro le diverse prospettive in cui l'essere puo considerarsi: quella della conoscenza, nella quale, come si e visto, l'essere viene percepito come ideale, e cioe come oggetto della mente; quella della realta, in cui l'essere viene conosciuto come extrarnentale, come reale; e quella dell'agire pratico, in cui l'essere viene riconosciuto come principia morale. Si hanno, dunque, tre forme di un solo essere: la forma ideale, la forma reale e la forma morale, ciascuna delle quali contiene, nel modo suo proprio, le altre due. L'essere ideale, non va confuso, come aveva fatto Hegel, con l'essere reale, che nella sua totalita e pienezza non e dato naturalrnente all'esperienza urnana: «l'uorno non puo sapere come Egli sia benche egli possa sapere che e in una guisa travalicante l'urnana intelligenza». Nella mente finita dell'uorno l'essere e presente come sernplice idea, come pura possibilita. L'essere ideale non e Dio, rna il 'divino in noi'. In tal modo Rosrnini, partito dal porto della rnoderna gnoseologia, ritiene di aver guadagnato le sponde della rnetafisica tradizionale. Non convinse tutti. Ad esernpio, non convinse Gioberti, che lo accusera di panteisrno. Certo e che la partenza 'soggettiva' consente al discorso rosrniniano una suggestiva cornbinazione tra la nuova terminologia gnoseologica e il ricco linguaggio dell'antropologia agostiniana, costruita sui riflessi simrnetrici tra la teologia razionale e quella rivelata, tra i trascendentali 'essere', 'vero', 'buono' e la Trinita delle persone divine. E' in questa trarna, dove l'essere, il vero e il bene sono tra loro convertibili, che ha fondarnento la dottrina morale di Rosmini: II bene non e che l'essere. L'essere si realizza, si attua, si sviluppa: nell'attuarsi, nello svilupparsi egli ha un ordine intrinseco e necessario, di che non si puo trovare la ragione se non in lui solo. Quest'ordine fa si, che una cosa ne chiami o ne escluda un'altra; come una radice chiama un tronco, il tronco chiama i rami, i rami le foglie e i frutti; ·con questi finalmente l'albero e completo. Quando una cosa ne chiama un'altra per l'ordine intrinseco del suo essere, quest'altra e a lei buona, quando Ia esclude e cattiva... Essere e bene sono dunque il medesimo; se non che il bene e l'essere considerato nel suo ordine, il qual viene conosciuto dall'intelligenza, che conoscendolo ne trae diletto.
Il bene e dunque l'essere nel suo rapporto con l'intelligenza in quanta essa percepisce le esigenze della natura nelle sue articolate disposizioni al suo fine ultimo, che e l'essere in see il bene in se. Si tratta, come si vede, di una morale oggettiva. Rosrnini ha voluto anche
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qui riassumerla, alia maniera di Kant, in una formula: (
E' qui, in questa sua qualita di nesso vivente e libero tra l'ordine oggettivo e quello soggettivo, tra il finalismo delle cose e il finalismo dell'amore per il bene, che ha il suo saldo fondamento la persona umana, il cui vera compimento e nel riconoscimento pratico del bene. L'uomo come persona e altra cosa dall'uomo come individuo, il cui bene e soggettivo, riguarda cioe l'appetito sensitivo. Fondata com'e sull'ordine dell'essere, alia persona compete la dignita degli enti che hanno ragione di fini e percio si differenziano dalle cose, che hanno ragione di mezzi. Essa «contiene un principia attivo, supremo e incomunicabile» che la tiene al di sopra dell' ordine di natura e ne fa il fondamento primo di ogni ordinamento giuridico. La dignita della persona infatti e una sola cosa con la sua capacita di percepire l'ordine dell'essere come fonte di obbligazione morale. E' dunque la ragione, in quanto riconosce da se !'idea dell'essere come fondamento della gerarchia oggettiva dei fini, il supremo legislatore a cui ogni altra Iegge deve sottostare. Anche la Iegge positiva. 6.8 Rosmini: Ia societit civile. In questa esaltazione dell'autorita della ragione come suprema, Rosmini si rivela in linea con le conquiste del pensiero illuministico. Ma nel suo derivare, per via deduttiva, l'ordine giuridico dalla dignita della persona, definita come «diritto umano sussistente», egli si vincola in modo stretto aile premesse della ideologia liberale, nella quale la funzione dello Stato e ridotta soltanto a fomir garanzie allo spazio di autonomia del cittadino nella sua naturale esigenza di perseguire la propria felicita. E' vero, si, che per Rosmini la persona non si identifica con l'individuo, soggetto di appetiti sensibili, rna il conflitto tra i due livelli dell'uomo egli lo lascia, in larghi limiti, all'etica personale e al libero gioco tra le persone, senza che lo Stato possa legittimamente produrre leggi positive che si sostituiscano all'autonomo confronto dei soggetti. Anche per Rosmini, come per Aristotele, e nella natura della persona il consociarsi con le altre in base alla comune razionalita e in vista del bene comune, e anche per lui, in questa convivenza, la proprieta privata e da considerarsi come un dato di partenza, su cui il legislatore puo intervenire solo come moderatore tra le parti disuguali. II diritto alia liberta individuale e, si, il principia formale di tutti i diritti, in quanto funge da criteria dirimente tra cio che nelle leggi positive e giusto 0 ingiusto, rna esso e storicamente mediato dal diritto di proprieta, e cioe dal diritto di disporre a piacimento, e con esclusione di ogni altro, delle proprie sostanze. L'ideale sarebbe, per Rosmini, che la natura dinamica della persona trovas-
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se il suo unico spazio di espansione nella famiglia e nel genere umano, senza bisogno che si istituisse, per volonta d'uomo, una particolare societa civile - e cioe lo Stato - con il compito di regolare Ia modalita del coordinamento reciproco dei diritti personali. Si potrebbe dire che per Rosmini lo Stato e un male necessaria, da contenersi in limiti il piu possibile angusti. Per questa egli e avverso, non solo allo statalismo hegeliano, e piu in genere a qualsiasi forma di positivismo giuridico (in base al quale ogni Iegge e giusta per il solo fatto che e emanata da chi ha la forza per farla eseguire), rna anche alle varie ideologie socialiste del momenta, che mirano ad affidare a un potere coercitivo il soddisfacimento dei diritti umani. Il vizio di fondo di queste ideologie e il 'perfettismo', e cioe l'illusione che sia possibile introdurre la perfezione nell'ordinamento sociale, sacrificando i beni presenti in nome di un bene futuro. In queste teorie egalitarie quel che piu ripugna a Rosmini e Ia parita economica, la cui attuazione non potrebbe aversi se non attraverso i1 'furto organizzato'. La disuguaglianza economica e un dato che precede e limita ogni ordinamento positivo. In deroga al rigore deduttivo che per lo piu lo distingue, Rosmini basa il diritto elettorale sui censo, appunto perche nella societa concreta non si da altro soggetto di diritto che i1 cittadino contribuente. A mettere in regola la sua coscienza cristiana Rosmini provvede proponendo una societa concretamente universale, che coincida cioe con lo stesso genere umano, nella quale abbiano pieno vigore i principi della fraternita e della giustizia, che sono i principi nei quali si fa visibile l'amore di Dio per le sue creature. Una specie di Regno di Dio, visto pen) come ideale storicamente proponibile, del quale, una volta che, liberandosi dalle sue 'piaghe', torni alla sua originaria ispirazione evangelica, la chiesa potrebbe essere l'incarnazione visibile. 6.9 Giobertl: l'ontologia. L'anno stesso in cui usci il Nuovo Saggio di Rosmini, e precisamente il 2 aprile 1830, Vincenzo Gioberti* scriveva a Giacomo Leopardi (di cui era diventato amico due anni prima, a Firenze) una lettera che fa luce non solo sulle posizioni filosofiche del grande poeta, rna anche sui-. l'evoluzione del pensiero del giovane 'abate' torinese, in quel giro di anni. Riferendosi alla conversazione avuta con l'amico, Gioberti ricorda che la loro «discrepanza» verteva sulla «questione psicologica della generazione e della natura delle idee». Io professava allora un puro teismo, e su di questa in tanto differiva dalle vostre opinioni filosofiche, in quanto voi tenevate che ogni concetto della mente umana nasca dalla sensazione, e si contenga in essa, e io credeva che vi siano concetti primitivi naturali, universali, che non si possono dedurre dalla sensazione, e ridurre agli elementi di essa.
Dunque, nella questione divenuta centrale nella filosofia a partire da Cartesio, Gioberti prende parte con gli innatisti, convinto che ogni altra posizione, compresa quella di Kant, non riesca ad evitare le conclusioni del soggettivismo scettico. Dieci anni dopo, nella sua Introduzione allo studio della filosofia, egli mette criticamente a fuoco il suo punto di vista, confrontandolo con la filosofia moderna, da lui ricondotta, da Cartesio a Hegel, a una costante soggettivistica, che egli denomina 'psicologismo'. Nella ricerca di un principia primo, che
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ci dia la chiave per intendere la realta tutta, la filosofia infatti giunge a un bivio: da una parte, c'e la 'prima cosa', il prima ontologico, dall'altra, la 'prima idea', il prima psicologico. Se si parte dal primo ontologico, si e in grado di render conto e dell'ordine delle cose e dell'ordine delle idee; se invece si parte dal primo psicologico, si resta irrimediabilmente chiusi nel cerchio del soggetto. Fra i moderni che hanno fatto la prima scelta, il piu illustre e senza dubbio Nicola Malebranche, negletto da' suoi connazionali, i quali antepongono le fantasie germaniche o le frivolezze di Descartes, aile dottrine del piu grande filosofo che Ia Francia abbia avuto finora. Non parlo di alcuni tedeschi che l'hanno risuscitata, rna solo in apparenza, alterandola e screditandola con le fole del panteismo.
Ha tentato di confutare la deviazione soggettivistica Antonio Rosmini, rna si e illuso di raggiungere lo scopo partendo dal 'primo psicologico', e cioe dall'idea dell'essere. Certo, Rosmini non intende affatto distinguere numericamente
Vincenzo Gioberti nasce nel 1801 a Torino, dove studia teologia e diviene sacerdote nel 1823. NeZ 1826 e nominata Cappellano di corte. Dal tradizionalismo di stampo francese si converte ben presto agli ideali democratici frequentando societa segrete di tendenze liberali. Intraprende viaggi che gli permettono di far conoscenza con Manzoni, a Milano, e, a Firenze, con Leopardi, che accompagna fino a Recanati. Ha simpatia per Mazzini e per la sua 'Giovine Italia: di cui accetta la formula 'Dio e popolo' . Sentendosi sospettato, il 9 maggio 1833 rassegna le dimissioni da Cappellano di corte, ma viene arrestato e alla fine di settembre accompagnato alla frontiera. Si stabilisce a Parigi, dove contrae molte amicizie illustri, ma resta deluso del clima culturale. Ottenuto un posto di insegnante a Bruxelles, vi rimane fino al 1845. E' qui che scrive llntroduzione allo studio della filosofia ( 1840) e il Primato morale e civile degli italiani (1843 ), due opere che lo rendono famoso in Italia. Nel 1848, scoppiata Ia guerra tra il Piemonte e !'Austria, toma a Torino, dove e nominata ministro del Govemo Casali. Alla fine dell'anno, tocca a lui formare il ministero. Nemmeno due mesi dopo, per dissensi con !'ala democratica, si dimette. Nel successivo governo ha incarichi diplomatici che lo obbligano a recarsi a Parigi. Per dissensi con la politica di 'raccoglimento' del suo governo, si dimette e si stabilisce, da privata, nella capitale francese, dove attende alle sue opere. Nel 1851 esce il suo secondo grande libra politico, Del rinnovamento civile d'Italia (1851 ). Muore per attacco cardiaco il 26 ottobre 1852. Sara il suo discepolo Giuseppe Massari a pubblicare postume le sue opere: Della riforma cattolica della chiesa (1856), Della filosofia della rivelazione (lo stesso anna) e Della protologia (185 7).
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l'essere ideale da quello reale, facendone due Assoluti. L'Assoluto per lui e uno solo, rna il nostro spirito, a suo parere, lo intuisce come essere ideale, e cioe come essere possibile e non come essere reale. La dottrina del Rosmini, conclude Gioberti, si puo ridurre a questa proposizione fondamentale: il Primo psicologico non e identico al Primo ontologico. In cio consiste sostanzialmente a parer mio, tutta Ia parte erronea del suo sistema.
Dal soggettivismo si esce soltanto facendo, gia sulla linea di partenza, un passo che ci conduca, fuori dalla psicologia, nell'ontologia. E Gioberti fa il passo: il pensiero e, nel suo atto prima, a contatto diretto con l' essere. Quel contatto, che in Rosmini era possibile soltanto attraverso le modificazioni del sentimento fondamentale, in Gioberti e anteriore ad ogni sensazione e ad ogni sintesi intellettiva, e insomma una intuizione originaria, dalla quale, e solo dalla quale, puo dispiegarsi la conoscenza di ogni ordine e grado. Possiamo cosi schematizzare, sulla scorta della pagina giobertiana, questa momenta sorgivo del conoscere. L' intuito originario ci da direttamente l'Essere, che e insieme condizione a priori della nostra conoscenza (prima psicologico) e principia costitutivo del reale (prima ontologico). L'oggetto dell'intuizione non e l'ente in se considerate, raccolto in se stesso, rna qual e realmente, e cioe causante, producente le esistenze. Insomma, l'intuizione ci da simultaneamente tre cose, tra loro inseparabili: l' Ente che crea le esistenze. Ai tre termini reali. corrispondono i tre termini ideali della conoscenza, dei quali nessuno puo porsi con la negazione degli altri. Nell'intuito originario ha fondamento la religione razionale, che dunque sta prima della filosofia, come dimostrano le pagine della storia. All'intuito succede Ia riflessione, e cioe la filosofia vera e propria. Difatti, il contenuto dell'intuito e l'Idea proporzionata all'essere, e cioe infinita, universale, e dunque senza proporzione col nostro intelletto, che e finito, particolare. Solo la riflessione determina, circoscrive l'idea e l'adatta alla nostra capacita conoscitiva. . Ma questa determinazione non e possibile senza una sua espressione concreta, senza le parole. Non si da pensiero senza linguaggio, e dunque l'origine del linguaggio non e di tipo empirico, artificiale, e consustanziale alla stessa manifestazione dell'essere che si ha nell'intuito originario. Ricollegandosi al tradizionalismo di de Bonald (3.9), Gioberti afferma che la conoscenza e impossibile senza la Parola e la Parola e impossibile senza la rivelazione divina. La rivelazione che qui Gioberti chiama in causa non e quella che sta a fondamento della fede cristiana, anche se non e facile, sulla base del suo ontologismo, tenere distinte la conoscenza naturale e quella soprannaturale, dominio proprio della teologia positiva. La tendenza di Gioberti e di fare del cristianesimo la forma compiuta della rivelazione dell'Essere. L'intuito originario non ci da una cognizione dell'Essere quale e in se, ci da di lui un'Idea indeterminata, che solo una rivelazione aggiuntiva potrebbe dischiuderci. E' quanta di fatto e avvenuto nel cristianesimo e continua ad avvenire nel cattolicesimo, che e Ia forma perfetta del cristianesimo. Ma di questi corollari diremo tra poco.
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6.10 La formula ideale. II contenuto dell'intuito e, dunque, un'idea che inchiude in se tre concetti distinti - l'Ente, la creazione, l'esistente - che formana tra loro un organismo ideale esprimibile nella formula: l'Ente crea l'Esistente. La riflessione filosofica non fa che sciogliere il nodo della formula, che e in se la fonte di tutto lo scibile, rendendone esplicito il contenuto. L'idea dell' Ente contiene in se un giudizio: l'Ente e necessariamente, che per<'> non e pronunciato dalla mente, come gli altri giudizi, con atto libero. La mente umana ne e semplicemente testimone, nel senso che e l'Ente a pronunciarlo, nell'atto stesso in cui si fa presente. L'idea di creazione afferma che le esistenze sono nell'Ente come in loro causa prima, rna, in quanto effetti, esse sono in se e dipendono da se, come sostanze e cause seconde. Nella confusione tra la sostanza prima e le sostanze second e. tra la causa prima e le cause seconde, sta I'errore del panteismo. L'idea di esistente indica derivazione e dipendenza (ex-sistere), indica cioe «la realta propria di una sostanza attuale, prodotta da una sostanza distinta, che la contiene potenzialmente in quanto e atta a produrla». Ecco perche la comprensione dell'esistente puo aversi solo in rapporto a una causalita immanente, che, nell'ordine reale, e principia di ogni cosa contingente e, nell'ordine ideale, principia della sua intelligibilita. Ma la formula ideale sdoppia se stessa in un'altra formula, che porta a compimento, nella riflessione, il senso implicito nei rapporti tra l'esistente e l'Ente e da fondamento all'etica, cosi come la prima formula da fondamento all'ontologia: l'Esistente ritorna all'Ente. Dal punto di vista formale, e fin troppo chiara, in questa dottrina del ritorno dell'esistente all'ente, la dipendenza di Gioberti dal neoplatonismo, specie da quello cristianizzato da Scoto Eriugena. Ma nell'uso che egli ne fa, la formula del 'ritorno' serve a Gioberti per ribaltare, in una fervida accettazione del concetto tutto moderno della storia come progresso, la valenza sostanzialmente tradizionalistica della prima formula. In netto distacco dal pessimismo storico della tradizione neoplatonica di qualsiasi tipo, Gioberti non solo riconosce legittimita a queUe discipline, come la psicologia, la cosmologia, l'estetica, la politica, che hanno illoro ambito specifico nelle cause seconde, dotate ciascuna di una sua autonomia, rna si spinge a celebrare l'uomo in quanto creatore di storia, artefice di un ciclo creativo potenzialmente infinito, iniziatore di una 'seconda creazione', di un 'nuovo cosmo'_ 6.11 L'ontologla ln funzione ldeologlca: ll Primato. II ruolo che Gioberti attribuisce alla 'Parola' nell'intuito originario porta allo scoperto il sottinteso ideologico della sua gnoseologia. Come la religione cristiana, cosi, sebbene in modo diverso, la filosofia e per Gioberti un di~corso in atto di Dio rivolto agli uomini. Potremmo anche chiamarla filosofia profetica, dato che il suo intento e di portare alla luce della riflessione il piano provvidenziale di Dio a cui devono ispirarsi i programmi d'azione degli uomini politici, che, nel nostro caso, sono poi gli uomini del 'partito guelfo'. Di qui l'afflato biblico delle pagine giobertiane, destinate, nelle intenzioni dell'autore, a incidere sulle masse e, di fatto, divenute per qualche anno fonte di ispirazione di larghi strati sociali che solo il verbo religioso poteva mobilitare alla causa italiana. Ma la concretezza profetica non e la stessa cosa della concretezza politica: la prima, pur adottan-
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do il linguaggio dell'immaginazione, ritaglia il proprio messaggio nel profondo della coscienza morale, l'altra costruisce i propri progetti a partire dall'analisi del reale. Nel caso di Gioberti, Ia tensione verso il concreto storico, risente, pili che dell'afflato profetico, di sua natura alieno da indicazioni programmatiche troppo addossate al gioco delle forze in campo, di un progetto ideologicopolitico, costruito col metodo delle generalizzazioni approssimative e delle deduzioni razionali che, senza i dovuti riguardi per il principia critico connaturato alia ragione, manomettono, secondo misure prestabilite, i termini stessi della . realta empirica. Quando pubblica il Primato, Gioberti ha gia svincolato se stesso da ogni legame con i maestri che un tempo aveva ammirato, da Rousseau a Mazzini, perche tutti viziati, a suo parere, di soggettivismo, in quanto facevano derivare l'autorita politica non dall'Ente rna dall'esistente. La sovranita non deriva ne dalla moltitudine ne dal principe, deriva dall"intelligenza sociale', dall'Idea, che si incarna nello Stato. Di qui la formula: il sovrano fa il popolo e il popolo diventa sovrano. La sovranita parte dal potere e, attraverso i sudditi, ad esso ritorna. Ecco perche i soggetti primi del Risorgimento italiano non possono essere che i detentori del legittimo potere. E' vero che, su questo punto, le idee di Gioberti non restano ferme: due anni dopo il Primato, e cioe nei Prolegomeni del 1845, pienamente deluso dal re e dal clero, le sue preferenze si spostano sulla classe media, proprio come insegnavano i liberali. Ma il momento alto della sua opera pili famosa, quello che in questa sede pili ci interessa, e nella coniugazione tra la formula ideale e la filosofia della storia. Come la filosofia dipende geneticamente dalla religione, cosi, sui piano storico, Ia civilta del genere umano trova nella religione il suo principia creatore. Ma, tra quante religioni ci sono state, solo il cristianesimo ha un diretto e costante rapporto col Verbo primitivo manifestatosi in Cristo. E, a sua volta, il cristianesimo sussiste nella sua pienezza solo nella chiesa cattolica, che pertanto puo essere definita come la stessa Idea «ohiettiva, estrinsecata e resa sensibile». Di qui una catena di equazioni: «Parola e Idea, Idea e chiesa, chiesa e genere umano sono nozioni indivise>>. Ecco perche l'Italia fu sede di tutti i grandi cicli di civilta, da quella pelasgica a quella della Magna Grecia, a quella romana; essa doveva essere la sede del principia primo di tutte le civilta, la chiesa, anzi il Papato. Con l'eta moderna, l'Europa «rinnovo il dissidio delle nazioni e delle stirpi gia composto dagli influssi cattolici». Dopo tre secoli di tante lacerazioni, culturalmente imputabili a Lutero e a Cartesio, «bisogna rifondare una seconda volta la civilta europea, richiamandola aile sue cristiane e cattoliche origini». E come il primo ciclo delle nazioni si puo definire con la formula «L'Italia crea l'Europa», i1 secondo puo esprimersi con la formula «L'Europa torna all'Italia». Un compito, questo, che, Secondo Gioberti, dovra riempire di se tutto il prossimo millennia, rna che intanto richiede la ricomposizione dell'Italia come nazione attorno al Papa. · 6.12 Gioberti: Ia fase hegeliana. Durante il suo breve secondo esilio (18491852) a Parigi, Gioberti, oltre a rimettere a fuoco, dopo la tumultuosa parentesi politica, la sua ideologia, accogliendo largamente la tesi di fondo del liberalismo, attende a dar compimento af suo originario programma filosofico, che
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prevedeva lo sviluppo delle implicazioni metafisiche della prima formula: l'Ente crea l'esistente. Dell'Ente in se si occupa Ia teologia, dell'esistente si occupano tutte le discipline che hanna per oggetto le attivita dell'essere finito. Il nesso che stringe tra loro l'Ente e l'esistente, e cioe l'atto creativo, e gravida di una problematica molto affine a quella che Hegel aveva risolto nel quadro della identita tra il reale e il razionale, tra l'esistente e l'Ente, tra il finito e l'infinito. Ed e soprattutto con Hegel che Gioberti si misura, accumulando foglio su foglio, in vista di un'opera a cui avrebbe voluto affidare, in forma compiuta, il nucleo centrale della sua intensa attivita speculativa. E invece la sua Protologia usci postuma, con tutti i segni, anche formali, dell'opera non filtrata da una revisione, e perfino con quel tratto della scrivere per se stesso, che e il gusto esoterico del linguaggio. E forse qui Ia ragione della disparita dei punti di vista fra gli interpreti dell'ultimo Gioberti. I due punti di vista che riassumono in se tutti gli altri sono, da una parte, quello cattolico, che Iegge !'ultimo Gioberti come una confutazione dell'identita tra finito e infinito, che e la pietra di volta dell'hegelismo, non conciliabile con !'idea di creazione; l'altro e quello degli hegeliani, i quali, invece, ritengono la difesa giobertiana del dogma della creazione come un incongruo tentativo di evitare tutte le conseguenze del tema di fonda della Protologia, che e l'identita tra il pensiero e l' essere. L'equivoco si annida gia nella posizione dell'argomento principe della Protologia, che e «l'analisi del principia costitutivo della spirito umano e della cognizione che abbiamo dell'essere nella stato immanente del nostro pensiero». Si e gia vista come, per Gioberti, il pensiero dell'uomo e costituito dall'atto in cui l'Essere gli si disvela. Questa fase del soggetto finito, '!'intuito' passivo determinato dall'azione della causa prima, non e transitoria, come se si limitasse all'attimo in cui l'Essere suscita nell'uomo l'attivita del pensare. E' invece una fase permanente, che accompagna il pensiero, in tutto il suo svolgimento, come la condizione stessa della sua attivita: e, cioe, immanente. Nessuna confusione tra l'Essere-oggetto e l'esistente-oggetto, che anzi, in base all'atto costitutivo di questa dualita, resta insuperabile l'alterita tra i due 'oggetti', anche se, - ed e qui il vincolo unificante, - nel pensiero dell'esistente l'Essere rimane in quanta Idea e in quanta principia a priori di ogni conoscenza. L'uomo e libero e attivo nella riflessione, e passivo, invece, e determinato nell'intuito che rende possibile Ia riflessione. Per Hegel, l'essere e pensiero; per Gioberti, l'essere crea il pensiero. Per Hegel, l'infinito e reale solo nel finito; per Gioberti, il finito e altro dall'infinito, ne si puo dire che ne e un limite, perche l'infinita di Dio non va intesa alia maniera estensiva, rna intensivamente. Dio e l'infinito intensivo. Nessuna dialettica, dunque, tra Dio e l'uomo. La dialettica - e qui l'ammirazione di Gioberti per Hegel e dichiarata - riguarda in tutta Ia sua estensione il mondo creato in quanta tale: «Ia dialettica e nel cosmo e nell'uomo, non in Dim>. Mentre !'idea di creazione esclude, gia di per se, l'identita dei due termini, Dio e cosmo, nel sensa che il prima trae dal nulla l'altro, Hegel ha posto tra di essi Ia relazione di identita: di qui il suo panteismo. Ma una volta sgombrato il campo da ogni insidia del monismo metafisico, Gioberti riconosce che nell'ordine finito ha pieno vigore l'identita tra il reale e Ia trama logica che ne costituisce l'intelligibilita. E questa trama logica si costruisce proprio mediante
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l'unita dei contrari. Il vero non e nei termini della relazione, e la relazione stessa, che e percio infinita, anche se i suoi termini sono finiti, necessaria, anche se i suoi termini sono contingenti. Ma questo accoglimento della dialettica trova un limite nella 'formula ideale', in cui risiede la definizione della totalita, nel suo duplice movimento discensivo e ascensivo. Per questo, Gioberti, in coerenza con la matrice neoplatonica della sua visione della totalita, designa le categoric della sua dialettica con termini desunti da Platone. La relazione in cui si coglie la razionalita del reale si dice metessi (cosi Platone chiamava la partecipazione delle cose alia razionalita delle idee); la difformita delle cose da Dio, pur nella rassomiglianza che esse conservano con la loro ragione prima, si dice mimesi (che in greco significa, appunto, rassomiglianza). Si potrebbe dire che la metessi e l'essenza, la mimesi e il fenomeno; la metessi e l'intelligibile, la mimesi e il sensibile. Sullo sfondo della formula, la mimesi e la spinta centrifuga, che disperde le cose nella molteplicita e nella regressione di morte; la metessi e la spinta opposta, del ritomo a Dio. La metessi sta prima delle cose, come loro possibilita razionale (e l'Idea della Logica hegeliana), e sta dopo la molteplicita delle cose, come loro ideale riunificazione in Dio (e l'unita hegeliana tra l'Idea e la Natura nello Spirito assoluto). In mezzo, ci sono la natura e la storia, nelle quali agisce il contrasto tra mimesi e metessi, in vista di una finale riconciliazione, che Gioberti chiama palingenesia, doe palingenesi, ri-creazione di tutte le cose. Nel descrivere il processo dialettico della storia, Gioberti subisce senza remore la suggestione hegeliana. Il corpo e mimesi, l'anima e metessi. La femmina e mimesi, il maschio e metessi. E, nella gerarchia delle razze, quella pelasgica (come dire, l'italica) e metessi, mentre, al limite opposto, quell~ nera, e mimesi: «La stirpe nera e la piu degenere delle tre schiatte umane, la meno intelligibile, la meno intelligente, la meno atta alia civilta». Ci sono, dunque, nel cattolicesimo di Gioberti, tutti i crismi del progressismo eurocentrico borghese, dissimulati, come gia in Hegel, dalla celebrazione del cammino storico dell'uomo verso la petfezione. Un cammino senza fine, perche la palingenesi e un orizzonte lontano dall'uomo come l'infinito e lontano dal finito. Ci imbattiamo, cosi; in un paradosso che merita sottolineare: una cosi piena identita tra religione cattolica e religione del progresso era, in realta, molto piu subalterna alia provvisoria ideologia del tempo di quanto non lo fosse, ad esempio, l'intransigente tradizionalismo dei 'gesuiti', contro cui l'ultimo Gioberti volse la sua polemica, piu passionale che ispirata, o di quanto non lo fosse lo stesso Rosmini, che Gioberti impietosamente giudicava, nella vita come nel pensiero, ((I' ultimo prete del medio evo».
In I tali a: il pensiero laico 6.13 Mazzini: dal dirittl ai doveri: A parte il mito del 'primato',- che pen'> rimasto nella tradizione italiana, fino al cataclisma della seconda guerra mondiale, come il rivestimento di una infantile volonta di potenza - il corso della storia d'Italia non si discosto di molto, nei suoi esiti, da quello auspicato da Gioberti. La rivoluzione 'borghese' ci fu, e ci fu soprattutto per opera di Cavour, sotto l'egida delta monarchia sabauda. Intransigente avversario di
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Gioberti, prima, e poi di Cavour fu Giuseppe Mazzini•, ai cui occhi l'autore del Primato altro non era che un «faccendiero dello spediente e del falso». Eppure ambedue avevano conosciuto l'esilio, presso a poco negli stessi anni. Anzi, come si e detto, Gioberti, quando nacque la 'Giovine Italia', si riconobbe negli ideali dell'agitatore genovese. A separarli sempre di piu fu il diverso apprezzamento dei pdncipi con cui si deve affrontare la realta della storia: relativi come tutto cio che rientra nei processi dell"esistente', per Gioberti, assoluti come l'imperativo categorico, per Mazzini. Anche la matrice culturale dei due massimi ispiratori del Risorgimento era stata presso a poco la stessa: Ia reazione all'illuminismo, in quanto individualismo basato sui primato dei diritti del cittadino. In Francia, questa reazione aveva trovato voci diverse, anche se concordi su questioni essenziali, in un Lamennais (3.1 0) e in un Saint-Simon (3.11), che alia rivoluzione rimproveravano di aver scatenato una spinta disgregatrice, avversa ad ogni principia associativo e, piu universalmente, a una visione unitaria del genere umano. II tema sansimoniano della nuova epoca
Giuseppe Mazzini nasce a Genova nel 1805. Dalla rigorosa religiosita giansenistica della madre riceve un'impronta spirituale che non verra mai meno. Si affilia alla carboneria nel 1827 e nel 1830 viene arrestato. Sceglie l'alternativa dell'esilio e si stabilisce a Marsiglia, dove fonda l'organizzazione Ia 'Giovine Italia' per rompere con gli 'uomini del passato; e cioe con l'individualismo elitario dei carbonari, e per stabilire, in forza di un ideale morale, un rapporto vivo tra rivoluzione e popolo_ La strategia dell'organizzazione e quella della guerra partigiana per bande. Fallito il primo tentativo della spedizione in Savoia e dell'insurrezione a Genova, si rifugia in Svizzera, dove, nel1834, fonda Ia 'Giovine Europa: Espulso anche dalla Svizzera, si reca a Londra, dove, nel 1839 ricostituisce la 'Giovine Italia' che si era disgregata da cinque anni e che e ora impostata, in modo piu deci.m, sulla partecipazione degli operai, pur nel netto rifiuto delle dottrine socialiste. La sua influenza subisce un arresto durante Ia fase moderata del nostro Risorgimento, egemonizzata da Gioberti Fallita Ia guerra regia e divampata Ia riscossa delle correnti democratiche, viene chiamato a far parte del triumvirato della Repubblica romana (marzo 1849). Tomato a Londra dopo Ia caduta dellaRepubblica, reagisce alle spinte contrastanti della sua organizzazione dando vita al 'Partito d'Azione: messo a dura prova da tentativi insurrezionali andati a vuoto e dal crescente prestigio di Cavour. A Londra, dove per lo piu risiede, si occupa attivamente delle organizzazioni operaie. Prende parte con Marx alia Prima Internazionale (1864), di cui pen) non condivide l'impostazione classistica. Non accetta Ia nuova realta italiana nata per opera di Cavour e di Garibaldi. NeZ 1872 rientra clandestinamente in Italia con falso nome e muore a Pisa nel marzo dello stesso anno. , Mazzini non ha lasciato nessuna opera sistematica. II suo scritto piu importante, dedicato agli 'operai italian( e Dei doveri dell'uomo (1841-60).
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organica, destinata a sostituire l'epoca' critica, e quello lamennesiano della tradizione come processo vitale, con cui il genere umano trasmette la ricchezza del passato alla generazione presente, si sciolgono, in Mazzini, in una tensione romantica il cui genere espressivo non e la filosofia, e l'eloquenza_ Di qui la difficolta nel determinare il suo pensiero in concetti chiari e distinti. Tra le cnunciazioni perentorie del suo progetto morale e i programmi d'azione che dovrebbero tradurlo, si distende un'argomentazione di respiro universale che pen'> non riesce mai a raggiungere le articolazioni logiche del discorso oggettivo e criticamente fondato. Certo, quello di Mazzini e un pensiero laico, nel sensa che rigetta sia i dogmi della religione positiva sia le prospettive della trascendenza metafisica, in nome di una religiosita immanentistica che ha per unica sorgente la coscienza dell'uomo e per ultimo orizzonte l'umanita riscattata da tutte le schiavitli. Il fascino di queste idee e tutto nella personalita del profeta in cui si incarnano e nell'avventura storica che se ne ispira e che, ad un certo punta, ha cessato di apparire come lo svolgimento di una singolare biografia per diventare il Jato perqente, rna nobile e rigoroso, di una vicenda nazionale in cui hanna avuto Ia meglio gli uomini di altra stoffa, gli uomini del realismo e del compromesso. II destino di Mazzini non poteva essere che un fallimento. Un uomo come Karl Marx, anche lui a suo modo a servizio dell'utopia, lo chiamava per schema 'Teopompo', inviato da Dio, alludendo certo, oltre che al timbro sacerdotale del suo discorso, anche alla sua ostinazione carismatica. Ne seppero qualcosa perfino i vescovi cattolici convocati da Pio IX («l'ultirno dei Papi» pronostico Mazzini) nel Concilio Vaticana I ( 1870). «ll vostro dogma - li apostrofo Mazzini - si compendia nei due termini Caduta e Redenzione; il nostro nei due: Dio e Progresso ... Noi crediamo nella Spirito, non nel Figlio di Dio ... Voi credete in un Eden collocato alla culla dell'Umanita e perduto per colpa dei nostri primi parenti; noi crediamo in un Eden verso il quale Dio vuole che l'Umanita, attraverso errori e sacrifici, innoltri sempre di pili». Un simile laicismo pentecostale e senza dubbio quanta di pili estraneo ci sia stato, in eta moderna, nella storia del pensiero italiano. E difatti non ebbe seguito. Dovendovi individuare alcuni nuclei pili riducibili al processo della ragione filosofica del suo tempo, potremmo limitarci ai seguenti: 1. I due criteri per raggiungere la verita sono la tradizione e la coscienza. La tradizione senza la coscienza conduce all'immoralita e al dispotismo; la coscienza senza la tradizione conduce all'anarchia. La sintesi tra coscienza e tradizione ci da la rivelazione del vera, su cui si basa l'educazione progressiva dell'umanita. «Dio e Dio, scrive Mazzini arieggiando il Carano, e l'umanita e il suo profeta». Dio non abita nella trascendenza, si incarna successivamente nell' umanita: la Iegge del progresso e appunto la Iegge del Dio che vive nella coscienza stessa dell'umanita. Questa idea della rivelazione progressiva accomuna, neli'Ottocento, correnti di pensiero tra lora diverse, come l'idealismo hegeliano, il romanticismo filosofico e letterario e i1 positivismo. 2. Dal positivismo sansimoniano Mazzini deriva la religione dell'umanita. 01tre che i due principi appena esposti, la tradizione e il progresso promosso dalla coscienza, la Iegge di Dio nella storia ne comporta un terzo: .l'associazione. «L'associazione e la sintesi, la divina sintesi, e la leva del mondo, il solo strumento di rigenerazione che sia dato all'umana famiglia». L'associazione del-
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l'uomo con l'uomo si esplica in tre sfere progressive: la famiglia, la nazione, l'umanita. L'uomo trova la propria verita solo se si mette in rapporto con queste tre sfere, perche solo cosi egli comp_rende che la sua vita e una missione e la sua Iegge e il dovere. Nella rivoluzione francese, invece, aveva trionfato 'il principia individuate', la cui Iegge e il diritto. 11 dovere e sintesi, il diritto e analisi. L'analisi e «stromento di pura critica». «Essa uccide, non genera»; promuove la latta dell'individuo per la difesa dei suoi diritti e percio e incapace di tradurre in atti quel pensiero sociale che peraltro le due rivoluzioni francesi dell'89 e del 1830 avevano intravisto. La religione del progresso dell'umanita e invece fondata sul dovere dell'individuo di sacrificare i suoi interessi per il bene superiore della famiglia, della nazione, del genere umano. 3. L'ideologia dei diritti porta con se fatalmente i1 materialismo, e eioe l'identificazione dei fini della vita con gli interessi dell'individuo. Per questa, Mazzini avverso sempre il socialismo e in particolar modo quello scientifico, con cui ebbe modo di scontrarsi ai tempi della prima Internazionale. Al comunismo, Mazzini, in un messaggio rivolto 'agli operai italiani' nel 1871, rim provera tre 'negazioni' in cui si esprime il suo rnaterialismo. La negazione di Dio, senza il quale «progresso e moralita non sono piu che fatti transitori senza sorgente» fuori che quella degli istinti; Ia negazione della patria, senza la quale vien meno il punta d'appoggio per operare a vantaggio di se e dell'umanita; la negazione della proprieta, senza la quale viene meno ogni altro stimolo al lavoro che non sia quello della mera e bruta sopravvivenza, data che la proprieta (una volta sottratta al disordine capitalistico) e il segno visibile del compimento della missione dell'uomo di trasformare e padroneggiare la natura. Anche se respinse la riduzione della nozione di popolo a quella di classe operaia, Mazzini, specie a partire dagli anni della seconda fase della 'Giovine Italia', non cesso mai di proporsi una rivoluzione sociale che fosse contestuale a quella politica. Proprio per questa si oppose costantemente alla linea moderata e liberale, come dire borghese, del nostro Risorgimento. Egli dette vita, in Inghilterra, ad associazioni di operai italiani (le prime, nella storia del nostro movimento operaio), volte alla difesa e alla rivendicazione dei diritti all'interno del mondo del lavoro. Ma, convinto che la divisione di classe fosse una deviazione conseguente alle menomazioni del principia associativo, egli subordinava il riscatto sociale a quello politico, e riponeva piena fiducia nella possibilita che le classi medie potessero spontaneamente accogliere le giuste richieste dei lavoratori. 4. Questa fiducia esprimeva, oltre che la sua presa di distanza dalla Iotta di classe, il suo punta di vista sulla rivoluzione, che doveva avere, si, come soggetto il popolo, rna non sarebbe avvenuta se non come risultato di un apostolato educ.ativo di grande respiro. Non si dimentichi che, per Mazzini, anche gli atti insurrezionali erano momenti dell'educazione delle masse, espressioni e incentivi, diremmo oggi, di una rivoluzione culturale. Per essere efficace, e per sottrarsi aile illusioni del classismo materialistico, la rivoluzione doveva essere condotta, in perfetta intesa tra lora, dalle moltitudini, dai ceti medi e dagli intellettuali. Proprio per questa sua dottrina sulla pedagogia delle masse come momenta rivoluzionario, Mazzini ha conosciuto, in questi ultimi decenni, una certa popolarita in seno ai movimenti di liberazione del Terzo Mondo.
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6.14 Cattaneo: 'le menU associate'. A suo modo, Mazzini rientra nel clima della restaurazione metafisica, anche se in lui Ia realta trascendente, a cominciare da Dio, si discioglie per intero nel compito storico dell'uomo, diventando come Ia cifra sacra della sua universalita. II pensatore che invece, pur rassomigliando a Mazzini nella passione morale e perfino, entro certi limiti, nel progetto politico, compie in modo netto il ribaltamento della metafisica in scienza positiva e dell'idealismo romantico in un realismo morale nutrito dalla lezione dei fatti, e Carlo Cattaneo*, l'alunno prediletto di Romagnosi. La sua aderenza alia lezione dei fatti e tale che lo porta a liberarsi anche di quel residuo metafisico che e possibile riconoscere in Romagnosi, e precisamente del suo metodo di render conto della concreta realta della storia a partire da principi anteriori ad essa. Perfino nel risalire, sulla scia del maestro, all'insegnamento di Vico, Cattaneo resta fedele al suo metodo positivo, rigettando della Scienza Nova Ia nozione di una 'comune natura delle nazioni' e quella conseguente di 'storia ideale ed etema'. Cattaneo si rivela, c.osi, come l'iniziatore, nel nostro paese, di quell'illuminismo che affida alla novita delle scoperte scientifiche Ia possibilita di una conoscenza sempre piu profonda dell'uomo, di una progressiva transizione dell'uomo dalla barbaric alia civilta. Vedremo subito, comunque, che anche riguardo all'idea di civilta il realismo antropologico di Cattaneo giunge a conclusioni sorprendentemente nuove peril suo tempo. Per quanto riguarda, invece, l'illuminismo di ascendenza cartesiana, il cui riflesso sociopolitico era l'individualismo giacobino, Cattaneo lo rifiuta, colpenCarlo Cattaneo nasce a Milano nel 1801. Laureatosi in giurisprudenza a Pavia, nel 1824, entra a far parte del gruppo dei discepoli del Romagnosi, a cui resta vicino fino alla sua morte (1835). In difesa del maestro, entra in polemica, nel 1836, con Rosmin~ del quale mette in ridicolo « le vecchie ministre d'Elea» e cioe il ritorno all'ontologia. Le sue ricerche e le sue produzioni hanna per oggetto temi tecnico-scientifici, nella prospettiva dello sviluppo economico e, a partire dal 1840, le culture romanza e indoeuropea. Nel 183 9 fonda il periodico 'II politecnico, repertorio mensile di studi applicati alla prosperita e cultura sociale', che resta in vita fino al 1844. La rivoluzione del 1848 lo vede come protagonista nel comitato di guerra milanese, nel quale si oppone alle tendenze filosabaude, in nome di una repubblica federale. Fallito il '48, dopa una breve sosta a Parigi per ragioni propagimdistiche, si ritira a Castagnola, nei pressi di Lugano, dove resta fino alta morte, avvenuta nel 1869. Era venuto in Italia nel '60 per conquistare Garibaldi, vittorioso nel napoletano, al suo ideate federativo. Non si era recato invece, pur avendo accettato la candidatura, a prendere il suo pasta nel parlamento subalpino, riunitosi in quello stesso anna 1860. Tra le sue opere piu importanti, Le interdizioni israelitiche (1836), Dell'India antica e modema (1845), Dell'insurrezione di Milano (1848), La citta considerata come principia ideale delle istorie italiane (1858), Psicologia delle menti associate (1863) e il Corso di filosofia, uscito postumo.
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dolo nelle sue premesse prime, quelle inscritte nella gnoseologia dell"io penso', alia quale si era opposto, con argomento incontestabile, Gianbattista Vico. Chi si rinserra «nella solitudine della sua coscienza», con Ia pretesa di conoscere in se Ia natura 'dell'uomo a prescindere da ogni riferimento agli altri, disconosce che la verita dell'uomo, anche semplicemente come soggetto pensante, e nel contesto storico-sociale in cui vive. Questa identita tra la verita e il fatto si arricchisce in Cattaneo della recente lezione di Saint-Simon, - che aveva ripreso la dottrina vichiana della 'storia ideale', liberandola pen) dalla Iegge dei corsi e ricorsi e inserendola nella prospettiva lineare del progresso - e di quella di Hegel, che aveva arricchito l'idea di progresso con quella del compito che nel progresso hanno le singole nazioni, ciascuna delle quali rifrange in se un aspetto dell'idea infinita. Se per Vico la filosofia doveva assumere a suo oggetto non la natura fisica rna la storia in quanta prodotto dell'uomo, per Cattaneo, che aveva ormai sotto gli occhi il dispiegamento del sapere in una moltitudine di discipline differenziate, la filosofia doveva ridursi ad essere «il nesso comune di tutte le scienze, l'espressione piu generale di tutte le varieta, la lente che adunando li sparsi raggi illumina ad un tempo l'uomo e l'universo». Vana e dunque la pretesa metafisica di Platone o di Kant di stabilire la verita sulla natura dell'uomo, senza tener conto se si tratti del cannibale o dell'europeo civilizzato. Tra il cannibale e il pensatore europeo si interpone una innumerevole serie di varieta dovute ai diversi tempi storici e alle diverse appartenenze etniche. Quale sara allora, nell'ordine conoscitivo e in quello morale, la 'natura umana? Non si compie un errore fatale quando si oggettiva in una astratta natura quel che invece e un prodotto di una determinata civilta? Noi non possiamo afferrare lo spirito umano - scrive Cattaneo in una pagina in tutti i sensi esemplare - non possiamo scrutarne l'essenza, non possiamo conoscerlo se non in quanto si manifesta con gli atti suoi e le sue elaborazioni. Se lo assumiamo quale Ia tradizione di molti secoli, ossia l'educazione, l'ha reso in noi, ci avventuriamo a mutilare le sue attitudini primitive, a confonder cio ch'e essenziale in lui con cio ch'e variabile e fortuito. E' dunque mestieri studiarlo in quante piu situazioni e piu diverse si possa. Quando avremo contemplato il poliedro ideologico nel massimo numero delle innumerevoli sue facce, allora i tratti comuni ad esse tutte ci segneranno Ia sua natura fondamentale e costante; li altri indicheranno il variato campo della sua perfettibilita. Ora codesti tratti stanno sparsi nelle istorie, nelle leggi, nei riti, nelle lingue; e da questo terreno tutto istorico ed experimentale deve surgere l'intera cognizione dell'uomo, Ia quale indarno si cerca nelle latebre della solitaria coscienza. Lo studio dell'individuo nel seno dell'umanita, l'ideologia sociale, e il prisma che decompone in distinti e fulgidi colori l'incerta albedine dell'interiore psicologia.
In questa passo, che risale al 1839, e gia chiaramente enunciata Ia dottrina che Cattaneo esporra nella sua piu importante opera filosofica, la Psicologia delle menti associate, del 1863. L'uomo singolo - ecco in sostanza la 'psicologia delle menti associate' - e incomprensibile se le sue idee, le sue azioni, i suoi comportamenti, i prodotti insomma della sua cultura non vengono situati nella societa in cui egli vive ed opera. La sensazione individuale non si svolge mai per conto suo, si connette subito con la 'sensazione sociale', e cioe con
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quel concreto modo di sentire e di rappresentarsi il mondo che e proprio della societa in cui l'individuo cresce. Da queste premesse prende sviluppo in Cattaneo una riflessione sull'idea di progresso, che ci appare oggi straordinariamente attuale. II tema vichiano della storia come unico luogo di lettura della verita dell'uomo si dilata in lui in una prospettiva non piu rigidamente eurocentrica, consapevolmente opposta a quella consacrata da Hegel e molto simile a quella resa oggi comune dall'antropologia culturale. Quando su l'immortale esempio di Vico, discopritore della nuova scienza, i minori ingegni avranno dato opera a dicifrare le altre particolari formule delle istorie dei popoli progressivi, e delli stanziali e dei retrogradi, allora, nel riassunto delle conclusioni, avremo frutto esperimentale e verace d'una scienza, alia quale non si puo pervenire per via delle arbitrarie preconcezioni e del metafisico romanzo.
Certo, il Cattaneo condivide l'idea che l"incivilimento' e prerogativa dell'uomo europeo, rna in lui l'idea si fa problematica, si compone col principia della pluralita delle civilta e della infondatezza del metoda di chi fa del modello europeo l'unico criteria di comprensione della storia dell'umanita. I saggi che egli ha scritto sulla lingua sanscrita e su L 'India antica e mode rna risen tono, e vero, delle sue intelligenti letture di quanto in Germania e in Francia si andava scrivendo sull'argomento, rna Ia 'simpatia' che egli rivela in queste perlustrazioni ci da il segno che Ia sua intelligenza, per quanto sostanzialmente conforme all'ideologia del progressismo borghese ottocentesco, era in grado di trascenderla criticamente, in virtu di un afflato umanitario del tutto restio aile facili evaporazioni misticheggianti di un Saint Simon e del positivismo del suo tempo. 6.15 L'idealismo partenopeo. Compiute, secondo le regole non profetiche rna lungimiranti dell'empirismo cavouriano, l'unita e l'indipendenza del paese, e scomparsi o rimasti ai margini i maggiori protagonisti dell'eta eroica del Risorgimento, a dare il tono alla cultura della nuova Italia fu un gruppo di filosofi napoletani, il cui tratto comune era l'ispirazione hegeliana. Uno di !oro, Silvio Spaventa (1822-1893), era stato alunno di Galluppi, che, come si e visto (6.5), aveva introdotto per primo in Italia Ia conoscenza di Kant e aveva adottato, per suo canto, l'impostazione filosofica del criticismo. D'altra parte, le condizioni sociopolitiche del meridione favorivano quella spinta aile compensazioni ideali che abbiamo gia vista operante, con effetti incomparabilmente piu ricchi, nella Germania prenapoleonica. II tema etnocentrico di una filosofia italica, a cui avrebbe attinto addirittura lo stesso Platone durante le sue peregrinazioni in Magna Grecia, dove gia prosperavano la scuola eleatica e quella pitagorica, era stato ripreso da Vincenzo Cuoco nel suo romanzo Platone in ltalia, che ebbe grande fortuna in Europa, rna aveva un suo lontano, prestigioso precedente in Giambattista Vico. II Primato di Gioberti aveva ravvivato questa mito, favoleggiando addirittura di una matrice pelasgica della filosofia antica e quindi della filosofia in assoluto. Restava da spiegare perche, da alcuni secoli, l'Italia fosse rimasta estranea al fecondo dibattito filosofico europeo, che ulti-
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mamente aveva trovato in Germania il punto d'arrivo e di universale irradiazione. La lezione di Cattaneo, cosi avv~rsa a simili manipolazioni apologetiche della storia, era rimasta e rimarra a l'ungo senza eco nel nostro paese. Al contrario, lo Stato nazionale appena costruito, e per di piu in contrasto con la chiesa che continuava ad esercitare nella societa una sua egemonia mal conciliabile con i principi stessi dell'ordinamento giuridico della Stato modemo, richiedeva un fondamento ideologico che gli desse coesioue morale e gli garantisse il consensa dei cittadini_ Il modello giacobino, col suo inguaribile individualismo, non era adatto allo scopo quanta lo era la dottrina hegeliana dello Stato etico, e cioe di uno Stato del tutto autonomo dalle istituzioni religiose rna dotato di una sua propria religiosita. Sono queste le condizioni sociopolitiche che spiegano Ia facilita con cui avvenne I'innesto di Hegel nella tradizione italiana per opera della scuola partenopea e l'incidenza che questa scuola (il termine va inteso in sensa lato) ebbe nei primi passi della nostra vita nazionale. Ne e un esempio Francesco De Sanctis ( 1818-1883), il maggiore storico della nostra letteratura, che in un suo famoso saggio aveva fatto conoscere Schopenhauer nel nostro paese e che, soprattutto nella sua Storia della Letteratura, offri, con largo uso di schemi hegeliani, un modello di ricostruzione della nostra storia nazionale destinato ad esercitare, sui livelli medi della nostra cultura, un durevole influsso. Fu proprio De Sanctis, in qualita di Ministro della pubblica istruzione, a chiamare, nel 1861, come professori all'Universita di Napoli Augusto Vera, che aveva trascorso gran parte della sua vita in Francia e in Inghilterra, e Bertrando Spaventa, fratello di Silvio e come lui fervido militante, insieme a Luigi Settembrini, nei gruppi dei patriotti partenopei. Augusto Vera (1813-1885) aveva conosciuto il pensiero tedesco, durante il suo soggiorno parigino ( 183 5-1852), tramite l'interpretazione deform ante che ne aveva fatto Cousin (3.14). L'interesse di Vera si era concentrato soprattutto sulla Logica hegeliana, di cui tento una lettura conciliabile con Ia sua professione di fede cattolica. L'idea hegeliana veniva ad avere in lui il ruolo che in Platone e nel neoplatonismo aveva il mondo intelligibile contrapposto al mondo sensibile e temporale, di cui rappresentava, rna senza nulla concedere al momenta negativo cosi importante nella dialettica hegeliana, l'orizzonte della totalita. Secondo Vera, il luogo in cui avviene la sintesi tra l'Intelligibilita dell'idea e il concreto e il pensiero dell'uomo, anzi, come spieghera Giovanni .Gentile (12.10), che in Vera riconoscera un suo precursore, l'atto del pensiero in quanta atto. Ma di gran lunga piu importante, nel gruppo dei filosofi napoletani, e Bertrando Spaventa (181 7-1883 ), anche perc he egli ricopri ruoli di primo piano nei ministeri della Destra e nel parlamento di piu legislature. Convinto che non si da unita nazionale se essa non e animata anche da una specifica coscienza filosofica, Spaventa si propane, secondo il metoda hegeliano della Fenomenologia, di ricostruire il percorso della filosofia italica come risvolto razionale delle vicende politiche della penisola. La filosofia del mondo modemo nasce italiana. Campanella precede Cartesio, Bruno precede Spinoza, e finalmente Vico, che porta a sintesi il soggettivismo del prima e l'oggettivismo del secondo, ha gia in se tutti i temi che saranno svolti dal pensiero tedesco. Finalmente, nel secolo in cui l'Italia risorge come nazione, il pensiero italico,
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rifugiatosi fuori della sua terra, vi ritoma. Antonio Rosmini, con Ia sua dottrina della conoscenza, e il nostro Kant, cosi come Gioberti, con Ia sua filosofia della storia intesa come perenne creazione, e il nostro Hegel. Inutile confutare questa ricostruzione storica, il cui impianto ideologico nazionalistico e fin troppo scoperto. Bastera anticipare che essa avra uno sviluppo, nel nostro secolo, per opera di due hegeliani di ben altra statura, Benedetto Croce e Giovanni Gentile. E bastera ricordare che, proprio com'e nella natura dei pensatori in cui l'Idea prende il posto delle cose, lo Spaventa fu in politica uno strenuo conservatore. E' vero, il marxista Antonio Labriola fu suo alunno. Ma anche Marx fu, in qualche modo, alunno di Hegel.
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Sommario. Durante Ia trasformazione industriale della Francia, Comte si propane di costruire una filosofia adatta a riconciliare i conflitti sociopolitici in una societa organica analoga a quella medioevale (7.1). Non si tratta di un progetto volontaristico, perche esso risponde alia Iegge che ha guidato il corso dell'umanita nei suoi tre stadi successivi: il teologico, il metafisico, il positivo (7.2). La caratteristica di quest'ultimo e che Ia conoscenza, lasciatisi aile spalle i problemi metafisici, si limita alia constatazione dei fatti e delle !oro relazioni costanti, secondo un metoda che permette finalmente di partare a maturazione le singole scienze e di organizzarle tra !oro secondo il criteria della crescente complessita e della decrescente generalita (7.3). La scienza rimasta in ritardo sulle altre e la 'fisica sociale', che ha per oggetto le istituzioni permanenti della societa e le leggi che presiedono al suo sviluppo: su questa scienza dovra basarsi la 'politica positiva' (7.4). E' qui che si rivela l'omogeneita tra Comte e Ia classe borghese, premurosa di ordine e di espansione, anche se nella sua ultima fase Comte si abbandona a un misticismo umanitario aperto a un futuro profondamente diverso dal presente (7.5). L'inglese John Stuart Mill estende la riforma positiva anche alia logica, che egli Iibera dal formalismo per basarla sull'induzione (7.6). Per tal via, egli supera i limiti dell'associazionismo sensistico, sia sui piano gnoseologico che su quello etico: la coscienza e, per lui, una 'funzione' permanente (7.7). E cosi egli modifica anche il criteria della morale utilitaristica, combinando al calcolo della quantita del piacere quello della qualita, fino a recuperare il valore della virtu (7.8). Allo stesso principia ottimistico della coincidenza tra interesse individuale e interesse comune si ispira il suo liberalismo, che ha lasciato una profonda impronta nell'indole della democrazia inglese (7.9). Nel quadro della filosofia positivistica ebbe un'incidenza rivoluzionaria la teoria di Darwin sull'origine delle specie, eleborata a partire .da un ricca raccolta di dati e da influenze di non pochi precursori (7.10). Alia base di questa teoria, c'e il principia della selezione naturale, secondo cui la varieta delle specie viventi e dovuta alla trasmissione delle variazioni biologiche favorevoli nella Iotta per la vita e alia eliminazione dei tipi meno adatti (7.11). La specie umana non fa eccezione. Le stesse facolta mentali derivano da modificazioni dell'istinto sulla base della massima utilita della specie (7.12). Gli stessi principi Darwin applica alia societa del suo tempo, fomendo in qualche modo legittimazione alle forme nascenti di imperialismo (7.13). Ma l'evoluzionismo come filosofia e opera di Spencer, che, in anticipo su Darwin, pone il principia del passaggio dall'omogeneo all'eterogeneo alia base della spiegazione dell'intera realta cosmico-storica (7.14). Partendo dalla biologia, egli mostra Ia continuita tra fisiologia e attivita psichiche, tra queste e le attivita intellettuali e morali, in una prospettiva di ulteriore, infinito miglioramento della specie umana (7.15). In questa prospettiva globale, acquista rilievo l'evoluzione 'superorganica', e cioe quella della societa, nella quale ha Ia sua garanzia il perfezionamento dell'individuo, vero fine dell'evoluzione (7.16). ll positivismo ha avuto una sua versione italiana con Ardigo, che, in coerenza con la tradizione filosofica del nostro paese, rifiuta l'associazionismo sensistico, in nome del data originario dell'esperienza interiore, preliminare alia distinzione tra l'io e il mondo estemo (7.17). Polemico con Ia dottrina spenceriana dell'Inconoscibile, Ardigo riconduce
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tutta Ia realta a fino alia 'santita' d'incontro tra il morale, con forte
una medesima Iegge, che attraversa la natura, Ia coscienza, e giunge morale (7.18). Egli crede di garantire Ia liberta collocandola nel punto caso e Ia necessita, te.nendo in primo piano il carattere sociale della sottolineatura del momento pedagogico (7.19).
Comte 7.1 L'utopia della societa organica. Nell'ultima lezione del suo Corso, Augusto Comte•, pur elogiando il sistema industriale, si mostra del tutto consapevole delle conseguenze negative della specializzazione sfrenata, causata dalla divisione tecnica del lavoro e, contrariamente al suo maestro Saint-Simon che auspicava e prevedeva la collaborazione tra industriali e produttori (3.11), si rende conto che la specificita della forma industriale capitalistica e proprio nel radicale antagonismo fra capitalisti e operai. Questa consapevolezza della irrevcrsibilita, peraltro carica di futuro, della nuova societa tecnologico-industriale gli fa escludere l'idea sansimoniana di correttivi parziali al sistema, e lo impegna nella costruzione di una filosofia (e in seguito di una vera e propria religione!) capace di sottrarre le relazioni industriali all'anarchia ed al conflitto e di regolarle secondo le leggi morali dell"armonia universale': Il nuovo regime potra essere instaurato soltanto dopo che sara stato concepito, prodotto, adottato un nuovo sistema di idee morali e politiche: Ia sola rivoluzione che ci compete e una rivoluzione filosofica, un mutamento di sistema nelle idee; Ia rivoluzione politica, ossia il rnutamento delle istituzioni, puo venire solamente dopo.
Augusto Comte nasce a Montpellier nel 1798, da famiglia cattolica e monarchica; dal 1814 al 1816 studia matematica e ingegneria presso !Ecole polytechnique. Nel clima della restaurazione postnapoleonica, egli condivide con intellettuali come Fourier, Saint-Simon, de Maistre, l'esigenza di una ricostruzione dell'ordine intellettuale e sociale sconvolto dalla rivoluzione. Sin dal 1817 diviene segretario e discepolo di Saint-Simon e lo aiuta nella stesura delle opere Del sistema industriale ( 1822) e Il catechismo degli industriali (1824). Ma gid nel 1822, con Ia pubblicazione da parte di Comte del Piano delle opere scientifiche necessarie per riorganizzare la societa, que! rapporto si incrina, per il peso che questi accorda alia riforma intellettuale. Nel 1824 si ha Ia completa rottura, con la pubblicazione del Sistema di politica positiva. I contrasti col maestro hanna Ia !oro parte in una grave depressione nervosa, che nel 182 7 lo conduce a un tentativo di suicidio. Dopa un breve periodo di insegnamento (di matematica) presso !'Ecole (vi aveva sempre aspirato), ne viene estromesso per i suoi contrasti col mondo accademico. Dal 1830 al 1842 si dedica quindi esclusivamente al Corso di filosofia positiva, in 6 volumi, mantenuto dai generosi sussidi di seguaci ed ammiratori che si fanno ben presto numerosi, specie in Inghilterra, grazie a J. Stuart Mill. Nel 1845 ha inizio un breve rna intenso rapporto sentimentale ed intel-
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lettuale con Clotilde de Vaux. Cia sposato, rna con il matrimonio andato a monte, Comte vive presso Clotilde, senza che essa gli conceda mai il suo amore, per un anno («l'anno senza pari») dal 1845 al 1846, quando Clotilde muore. Da allora, Comte le dedica una devozione eterna. Tre i suoi «angeli custodi»: Clotilde, Ia «sposa del cuore», Ia madre Rosalia, la figlia Sofia, che lo assiste con totale dedizione. A Clotilde attribuisce l'ispirazione umanitaria che va emergendo nella seconda fase del suo pensiero (che e all'origine del radicale dissidio con Stuart Mill) e che informa le sue ultime opere: il Sistema di politica positiva o trattato di sociologia che istituisce la religione dell'umanita (185154), il Catechismo positivista (1852) ed il Calendario positivista ( 1860, postumo), nel quale vengono stabilite le festivita e le regale del culto della nuova religione positiva. Muore a Parigi nel1857. Il programma di 'riorganizzazione' della societa procede di pari passo con la costruzione di una scienza sociale, che viene denominata 'sociologia', Ia quale, pero, per l'ambiente socio-culturale in cui matura (in Francia l'industrializzazione si avvia in ritardo), piu che presentarsi come proposta interpretativa della realta industriale, ha l'aspetto di un'incursione utopica in un possibile futuro in cui Ia societa industriale sara una 'societa organica', e cioe una societa nella quale si sara saldamente costituita un'armonia spontanea tra l'insieme e le parti del sistema sociale. L'utopia di una societa organica trae forza da un modello medioevale, non assolutizzato alia maniera di de Maistre (da cui pure e ripreso), rna storicizzato e relativizzato perche inserito nel quadro della successione storica sansimoniana fra epoche organiche ed epoche critiche. Il vigore storico della societa medioevale fu dovuto all'unione del 'potere spirituale, o papale e teologico', col 'potere temporale, o feudale e militare', Ia cui scissione, che ne avvio poi Ia decadenza, fu dovuta, nell'ambito civile e politico, all' 'affrancamento' dei comuni (con lo sviluppo della 'capacita industriale, o delle arti e mestieri') dalla proprieta terri era feudale; nell' ambito 'spirituale', invece, alia 'proclamazione del principia della liberta illimitata di coscienza' (iri seguito alia Riforma protestante ed alia introduzione delle 'scienze positive' in Europa da parte degli Arabi), che sostitui il 'potere di dimostrazione' al 'potere di rivelazione'. , All' epoca attuale, sostiene Comte, spetta il com pi to di non prolungare ulteriormente il 'regno della dottrina critica' che, per quanta abbia avuto un ruolo storico benefico (in Comte ha moho peso Ia teoria del progresso storico di Condorcet), e tuttavia all'origine dello 'smembramento generale del corpo politico' e del 'completo isolamento degli spiriti', dal momenta che non ha saputo fomire un criteria unitario che ricostruisse su nuove basi la societa. Da qui l'esigenza di un piano di organizzazione sociale, con una fase 'teorica o spirituale', che sviluppi !'idea madre del piano, cioe il nuovo principia, secondo il quale debbono essere coordinate le relazioni sociali e la formazione del sistema di idee generali destinato a servire di guida alia societa; ed una successiva fase 'pratica o temporale', che affronti poi il «modo di ripartizione del potere e l'insieme delle istituzioni amministrative piu conformi allo spirito del sistema>>.
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7.2 La Iegge dei 'tre stadi'. II positivismo sociale comtiano ha una fondazione storica, in quanto presuppone· che il corso storico sia retto da una interna legalita da scoprire sulla scorta delle indicazioni gia fomite da Montesquieu, che pen) aveva semplicemente accostato i fatti, in base ad ipotesi, invece di connetterli, e da Condorcet, che nel cammino progressivo dell'umanita aveva intravisto Ia concatenazione delle fasi successive secondo leggi naturali. La 'Iegge dei tre stadi' costituisce una sorta di 'compendia storico generale' dello spirito umano, perche caratterizza, da un lato, Ia successione storica dei sistemi sociali, dall'altro il complessivo processo gnoseologico dell'umanita, nonche quello relativo alle singole discipline scientifiche. I primi due stadi (o 'stati'), quello 'teologico o fittizio' e quello 'metafisico o astratto', entrambi 'transitori', rna 'preparatori', individuano altrettante forme sociali e di pensiero. Nella prima fase, quella teologica, le forme sociali e di pensiero si fondano sui principia di autorita e sulla avida e rassicurante ricerca di cause prime e finali per spiegare i fenomeni, dapprima feticisticamente assunti come prodotti di potenze esterne rna simili all'uomo e successivamente spiegati in termini politeistici e monoteistici. Nella seconda fase, quella metafisica, si affermano gradualmente i principi razionalistici, che tentano di spiegare l'origine dei fenomeni in modi non del tutto soprannaturali, rna facendo ricorso a entita o astrazioni personificate. Lo stadio metafisico ha accompagnato la nascita della civilta moderna, decomponendo gradualmente il sistema teologico con un piu diretto esercizio della ragione, rna nell'epoca attuale lo spirito umano e ormai maturo per rinunciare alle «ricerche assolute che non convengono che alia sua infanzia» e a limitare i suoi sforzi al campo, «d'ora in avanti rapidamente progressivo, della vera osservazione, sola base possibile delle conoscenze veramente accessibili, saggiamente adattate ai nostri bisogni reali». Nella fase scientifica o positiva, finalmente, e compito degli scienziati, avverte Comte nella prima lezione del Corso, scoprire e ridurre al minimo numero possibile le leggi naturali invariabili cui tutti i fenomeni sono assoggettati, tenendo conto della regola fondamentale secondo cui «ogni proposizione che non e strettamente riducibile alia semplice enunciazione di un fatto, particolare o universale, non puo presentare nessun senso reale ed intelligibile». L'aderenza comtiana ai fatti non conduce, d'altra parte, a un piatto empirismo acritico, sovrastato dalla caotica molteplicita dei fenomeni che si presentano all'osservazione: sulla scia di Hume, Comte ritiene, infatti, che Ia vera scienza consista nelle relazioni costanti istituite fra i fatti, i quali, «per esatti e numerosi che possano essere, fomiscono sempre solo indispensabili materiali» per organizzare una 'previsione razionale', capace poi di dispensare dall'indagine diretta: «vedere per prevedere», sulla base della Iegge di uniformita naturale, diventa quindi Ia formula comtiana. 7.3 L'Enciclopedia delle scienze. Ne emerge una concezione relativistica della conoscenza, che rinuncia programmaticamente alia soluzione dei problemi fondamentali della tradizione metafisica, e cio in linea col principia utilitaristico del pensiero borghese e scientifico-tecnologico. Questa consapevole autolimitazione del pensiero ai fatti ed aile loro relazioni costanti non diventa, co-
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me di recente ha scritto Marcuse, una «filosofia della rassegnazione» che impone a se stessa dei limiti nella sua produttivita teoretica e pratica: anzi, la proposta comtiana di una filosofia positiva, intesa come sistema generale delle concezioni umane aventi per oggetto, nei vari campi disciplinari, la coordinazione dei fatti osservati, si propone come filosofia 'costruttiva' dell'intero sapere scientifico e sociale. Il risultato piu duraturo del positivismo di Comte e l'individuazione di una unita metodica nelle procedure scientifiche, in base alla quale egli ritiene di poter fomire una genirchia enciclopedica (che perfeziona il progetto illuministico) delle scienze, che mette in luce, da un lato, il graduale e differenziato passaggio allo stadio positivo dell'unico metodo scientifico, dall'altro, l' ordine logico che connette le varie discipline (e che coincide con l'ordine storico da esse seguito per giungere aBo stadio positivo) secondo la 'complessita crescente' e la 'decrescente generalita' dei loro rispettivi oggetti. Il quadro delle scienze individuato va dalle scienze piu generali e astratte, indagate con il metodo deduttivo, come la matematica e l'astronomia, a quelle via via piu complesse, per le quali si ricorre a metodi specifici, come l'induttivo-sperimentale (fisica e chimica), il comparativo (biologia), lo storico (fisica sociale o sociologia). L'analisi matematica occupa il primo posto, insieme storico e sistematico (da notare che Comte rifiuto l'idea milliana di una preliminare logica delle scienze, distinta dalle metodiche impiegate dalle singole scienze nel corso delle ricerche). La matematica, isolata dall'osservazione della natura e limitata al puro calcolo, e una scienza puramente strumentale o di metodo, applicabile solo ai 'corpi bruti', i soli che presentino il grado di «semplicita e di fissita necessaria perche possano essere ricondotti a leggi numeriche)). Segue l' astronomia che, emancipatasi dalle ipoteche astrologiche, si dedica allo studio delle masse stellari dotate di forza di attrazione; viene poi la fisica, che, superata la fase magica, si occupa delle proprieta dei corpi (quantita, forza, qualita); delle modalita di composizione di materie qualitativamente diverse, rna con un grado minore di capacita di previsione dipendente dall'impossibilita di usare in quel campo la matematica, si interessa la chimica, una volta liberatasi dalle scorie alchimistiche. Infine, la biologia studia la vita come condizione dell'organizzazione della materia organica, nelle due versioni, fisiologica (che scopre la funzione conoscendo l'organo) e anatomica (che scopre l'organo conoscendo la funzione). Da notare che e proprio questa riduzione, senza residui, della funzione all'organo che conduce Comte alla negazione della psicologia come scienza autonoma. 7.4 La fisica sociale e Ia 'politica positiva'. Mentre per le scienze sopra enumerate lo stadio positivo e stato raggiunto, lo stesso pero non puo dirsi per la fisica sociale, nella quale le considerazioni teologiche e metafisiche hanno ancora largo campo: e allora necessaria, per la piena affermazione della filosofia positiva, colmare quella lacuna, dando vita a una 'statica sociale', che si soffermi sulle strutture sociali permanenti (famiglia, proprieta privata, linguaggio, religione, poteri spirituali e temporali) e a una 'dinamica sociale', che dia conto delle leggi che presiedono allo sviluppo della societa umana. Per la riuscita di questo compito e necessaria pen) dotarsi di un esprit d'ensemble, piu che di un esprit du detail: Comte ricorre cosi all'analogia biologica, grazie alla
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quale e possibile considerare la societa come un insieme organico che tende alia sua conservazione. Reintroducendo nella scienza sociale il metoda deduttivo, egli parla allora di 'inversione' del procedimento razionale ordinaria sopra delineato. La fisica sociale procede non dal particolare all'universale, rna dal generale al particolare: Tutte le classi dei fenomeni sociali si sviluppano simultaneamente e sotto !'influenza le une delle altre, di modo che e assolutamente impossibile spiegarsi il procedimento seguito da ciascuna di esse senza aver preliminarmente e generalmente compreso il modo di procedere dell'insieme.
La 'politica positiva', a sua volta, si deve uniformare ai tempi e ai ritmi del cammino della civilta: i soggetti individuali e collettivi devono assecondare, una volta individuatele con l'ausilio del inetodo positivo, le tendenze che vengono emergendo dal corso storico: Ogni azione politica e seguita da un effetto reale e duraturo quando si esercita nello stesso senso che Ia forza della civilta, quando si propone di operarne i mutamenti che questa forza attualmente ordina. L'azione e nulla o, per lo meno, effimera in ogni altra ipotesi. La politica positiva non deve piu pretendere di governare i suoi fenomeni piu di quanto le altre scienze governino i !oro rispcttivi fenomeni. Le scienze hanno rinunciato a questa ambiziosa chimera che ne caratterizzo l'infanzia, per limitarsi ad osservare i \oro fenomeni e a connettcrli. II progresso della civilta non avviene secondo una linea retta. Esso si compone di una serie di oscillazioni progressive, piu o meno estese e piu o meno lente, al di qua e al di Ia di una linea media. Queste oscillazioni possono essere. rese piu corte e piu rapide con istituzioni politiche fondate sulla conoscenza del movimento medio, che tende sempre a predominare. ·
E' questa fonda di realismo progressivo, diremmo, a spingere Comte a contrastare ogni accelerazione storica (egli penso agli esiti anarchici della 'direzione critica' illuministica, che aveva, a suo parere, troppo prolungato la sua azione) e a renderlo critico sia, in un prima tempo, del sansimonismo, sia, all'indomani della pubblicazione del Manifesto, dell"utopia del comunismo', anche se del comunismo, da lui distinto dalle 'numerose aberrazioni' indotte dalla 'nostra anarchia spirituale', egli riconobbe l''attitudine' a favorire l'affermazione della sociabilite (obiettivo ultimo della filosofia positiva), pur deprecandone le tendenze a muoversi su di una strada essenzialmente politica. 7.5 II misticismo umanitario. Filosofia sostanzialmente conservatrice quella comtiana, e stato detto da piu parti. Il giudizio e da condividere solo se ci si ferma ad alcune formule piattamente meccanicistiche sulla legalita dello sviluppo storico, oppure immediatamente politiche (si pensi a quella secondo cui solo il 'credo' positivo puo «soddisfare i poveri, rassicurando i ricchi»), fondamentalmente estrinseche rispetto al discorso comtiano; ovvero, come pure e stato prevalentemente fatto, qualora si istituisca una netta cesura fra il Comte scienziato (quello del Corso, per intenderci), di cui si ando progressivamente appropriando la borghesia francese, in ascesa dopa i sussulti rivoluzionari del 1830 e del 1848, e il Comte 'mistico' (del Sistema), ormai preda dell'infatuazione sentimentale ed emotiva seguita al suo rapporto con Clotilde de Vaux.
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Certo, le forme dell'immaginazione sociologica di Comte sono legate al suo tempo e alla sua particolare sensibilia\: cosi e per la sua 'sociocrazia', rigidamente quadripartita fra i filosofi, depositari della ragione, le donne, organa del sentimento interiore, capace di «far prevalere Ia socialita sull'individualita», gl'imprenditori, 'organa della nutrizione dell'organismo' e garanti dell'ordine, i proletari, 'organi dell'energia' e garanti del progresso. Lo stesso puo dirsi per le forme pili esteriori della 'religione dell'umanita', scandita da un calendario che riproduce, additandole come oggetti di culto e di pratiche rituali, le categoric fondanti Ia filosofia positiva: si pensi alla pedante suddivisione fra 'feste statiche' (matrimonio, paternita, filiazione, fraternita, domesticita), celebranti gli istituti della socializzazione, e 'feste dinamiche', deputate al ricordo delle fasi percorse dalla civilta umana e che preludono alia 'festa dell'avvenire'. E tuttavia, dall'ultima fase del pensiero comtiano, cui devono aver contribuito le speranze di rifondazione socio-culturale mosse dal 1848 («Ia situazione repubblicana assicura al positivismo la piena liberta che esige il suo compito attuale», scrive nel 1848 nel Discorso preliminare sull'insieme del positivismo), non puo non ricavarsi l'impressione di un progetto pienamente laicizzato di ricostruzione sociale e civile, nel nome di un'Umanita elevata a 'Grande Essere', che non e «un essere assoluto, isolato, incomprensibile, come quello dei teologi, Ia cui esistenza non comporta nessuna dimostrazione e respinge ogni confronto reale». ll Grande Essere rappresenta !'opera delle generazioni passate, presenti e future, che via via si affaticano nella formazione della civilta umana: nella sua adesione al Grande Essere, l'individuo non fa altro che conformarsi ai modelli di vita proposti dalla memoria della specie, perche informati al dovere pili alto - le vivre pour autrui (il vivere per gli altri) - fonte della piu grande felicita e principia della pili alta forma di dignita. Nella religione dell'Umanita viene in qualche modo esaudito anche il desiderio umano d'immortalita, in quanta, una volta perduta la consolazione egoistica dell'immortalita individuale, si acquisisce la speranza (foscoliana, potrebbe dirsi) di 'sussistere in altri', attraverso le nostre opere, assunte nel patrimonio intellettuale e morale dell'umanita.
Stuart Mill 7.6 La logica. Fu lo stesso John Stuart Mill*, in una lettera a Comte del 1841, a confessare che era stata la lettura del Piano comtiano, fatta nel 1828, a determinare Ia sua uscita dalla 'setta benthamista', che pure, come Comte riconosce nella risposta, aveva dato allo studio dei fenomeni sociali un'impostazione molto vicina al punto di vista positivo. L'utilitarismo di Bentham e di suo padre James (3.3) appariva al giovane Mill troppo asfittico, chiuso com'era nel suo impianto fondamentalmente giuridico-normativo e nella sua pretesa di derivare, in modo rigidamente deduttivo, regale e istituzioni dall'unico principia, intuitivamente evidente, della «massima felicita del maggior numero possibile di persone». L'esigenza di Mill era di introdurre nella nozione di felicita una componente non edonistica rna sentimentale. Era stata proprio questa esigenza
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John Stuart Mill nasce a Londra, nel 1806, da James Mill (3.3). Riceve dal padre una precocissima educazione intellettuale: a otto anni egli Iegge gia correttamente, in originale, i classici greci e Iatini. Dopo un viaggio di studio in Francia per tutto il 1820, da inizio ben presto alia sua attivita pubblicistica, seguendo l'indirizzo del padre, di cui segue le orme come funzionario della Compagnia delle Indie fino al suo scioglimento (1858). Nel periodo 1829-31 si colloca Ia crisi esistenziale ed intellettuale, che lui stesso considero salutare nella sua Autobiografia (uscita postuma nel 1873): leggendo Coleridge, Carlyle, Saint-Simon, Comte, egli pone in crisi il razionalismo utilitaristico paterna e benthamiano e comincia a elaborare l'idea di un nuovo utilitarismo, che, prendendo in esame l'intera natura umana, compt·esi i sentimenti e le passioni, sia capace di guidare l'uomo verso il perfezionamento individuale e sociale. Segue una nuova fase di impegno giomalistico, che, specie dalle colonne della nuova rivista radicale 'The London review', lo vede in prima fila in una serie di battaglie civili e politiche, quali Ia Iotta per l'estensione del suffragio elettorale, per Ia tutela delle minoranze, per l'uguaglianza dei sessi, per il controllo responsabile delle nascite, per Ia redistribuzione della ricchezza sociale. Nel contempo egli viene maturando il suo atteggiamento revisionistico nei confronti del benthamismo (il suo saggio Osservazioni sulla filosofia di Bentham del 1833 esce anonimo). La morte del padre, nel 1836, Iibera Mill da una tutela intellettuale ingombrante. Svanite le illusioni politiche, in seguito al compromesso fra whigs e tories che segnera poi l'intera eta ·vittoriana, egli si concentra nella composizione del suo capolavoro, il Sistema di logica raziocinativa e induttiva con una esposizione dei principi d'evidenza e dei metodi di investigazione scientifica, che pubblica ne/1843. Nel 1851 corona con il matrimonio il rapporto iniziato venti anni prima con Harriet Taylor, alla cui ispirazione e collaborazione egli attribuisce il merito del suo famoso saggio Sulla libertft (1859), in cui vengono fissate le frontiere invalicabili delle liberta individuali di fronte al potere pubblico. A que[ rapporto Mill e anche debitore per le sue battaglie in difesa dei diritti delle donne e per il suffragio femminile: si pensi ai suoi interventi parlamentari durante La sua breve esperienza alia Camera dei Comun~ tra il 1865 e il 1868, e all'opera Sulla soggezione delle donne (1869), un testo che circola molto in tutta Europa. Nei Principi di economia.politica (1848) e nelle Considerazioni sui governo rappresentativo (1 861) egli evidenzia i possibili campi di intervento per una politica riformatrice, sia sui piano sociale che su quello istituzionale. Opera di notevole impegno teoretico sono invece Utilitarismo (1861-63), Esame della filosofia di sir W. Hamilton e A. Comte e il positivismo, entrambe del 1865. Postumi uscirono, nel 1874, i Tre saggi sulla religione, in cui questa viene assimilata alia speranza in un mondo idea/e. Muore in Francia, ad Avignone, nel1873.
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a fargli apprezzare l'impresa comtiana di una ricostruzione del sapere. Solo che la riforma propugnata da Comte doveva, secondo Mill, investire in via preliminare le modalita del discorso scientifico, che andava emancipato dal peso eccessivo concesso alia logica della coerenza formale (e quindi sillogisticodeduttiva) rispetto a quello riservato alia logica della induzione, o, come dice Mill, della 'inferenza'. Nel suo Sistema di logica, Mill distingue preliminarmente tra una concezione tradizionale (di ascendenza aristotelica e scolastica) della logica come teoria della argomentazione sillogistica, che si cura solo delle regale che govemano il procedimento deduttivo (ossia «l'applicazione di un principia genenle a un caso particolare>>), e Ia sua idea di una logica come «scienza della prova o dell'evidenza>>, garantita da procedimenti induttivi o inferenziali radicati nell'esperienza: Oggetto della logica.. e quello di accertare come perveniamo a quella parte della nostra conoscenza (che e di gran lunga la maggiore) che non e intuitiva; e con quale criterio possiamo, in oggetti intrinsecamente non evidenti, distinguere fra cose provate e cose non provate, fra cio che merita e cio che non merita l'assenso.
Dopa l'esame della dottrina dei nomi e delle proposizioni, preliminare e indispensabile per delimitare il campo delle questioni formulabili, Mill concentra la sua attenzione sull'uso e sulla funzione delle proposizioni generali nel ragionamento, cercando di mostrare come la loro evidenza, apparentemente intuitiva nel sillogismo, vada pasta in discussione. Nel sillogismo «tutti gli uoinini sono mortali; il duca di Wellington e un uomo; dunqtie il duca di Wellington e mortale>>, la mortalita di Wellington viene ricavata da una premessa maggiore che appare infondata se non si ricorre all'osservazione di singoli casi individuali, che confermano via via la mortalita della specie umana. Ouello che pertanto sembra un passaggio dal generale al particolare si manifesta, in realta, come un passaggio da alcuni particolari osservati a un nuovo particolare, che ci si aspetta si conformi ai casi precedenti sulla base dell'assunto humiano dell"uniformita del corso della natura': cia che accade una volta, tomera ad accadere ogni volta che si presentino circostanze simili. Che ne e, a questa punto, delle proposizioni generali contenute nella premes~;a maggiore? Mill le considera come asserzioni abbreviate, riassuntive, doe, dei casi effettivamente osservati, le quali tuttavia contengono anche l'insieme dei 'casi non osservabili o suscettibili di osservazioni analoghe, e cia non per una petizione di principio, secondo cui tutto cia che e detto nella premessa maggiore si ritrova in tutti i soggetti, rna perche la premessa maggiore di un sillogismo e, secondo Mill, una semplice «formula per fare inferenze>> ragionando da «caso particolare a caso particolare)). «La conclusione non e una inferenza tratta dalla formula, ma una inferenza tratta secondo la formula)): l'inferenza allora consiste nel passaggio diretto dalla premessa minore («ll duca di Wellington e un uomo))) ad una conclusione («ll duca di Wellington e mortale))) non contenuta nella precedente proposizione: la conclusione non e, insomma, una pura trasformazione verbale, rna amplia il campo dell'informazione. La deduzione sillogistica, a rigore non indispensabile nel procedimento di inferenza reale, diventa una sua riprova nel momenta in cui le inferenze, per essere legittimate, «devono essere presentate
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in forma generalizzata»: ecco che allora la deduzione diviene la «garanzia collaterale della correttezza della generalizzazione stessa». II modello del metoda ipotetico-deduttivo milliano ricalca «quello universalmente accreditato dalla scienza moderna», rna da particolare rilievo alla compresenza di massime generalizzazioni, ottenute con «l'aiuto o la garanzia di metodi induttivi rigorosi» e successivamente sottoposte a verifica sperimentale. Tale modello subisce qualche modifica quando viene applicato all'ambito delle scienze sociali, nelle quali la serie delle variabili in gioco e talmente ampia da impedire <> e della civilta umana, quella dei tre stadi (una generalizzazione con un «alto grado di evidcnza scientifica derivante dal concorso delle indicazioni della storia» e «dalla costituzione della mente umana»), si applicano alle leggi empiriche 0 generalizzazioni approssimative, che esprimono concisamente cio che e comune a estese classi di fatti storici osservati con criteri storici. Si ha, in tal modo, una vcdfica storica, per esempio della tendenza della civilta umana all'industrializzazione, ricavandola da una determinata situazione storico-sociale, e nel contempo si ha la garanzia che i dati storico-statistici (relativi ai requisiti socio-ambientali che accompagnano lo sviluppo dell'industria), qualora risultino coerenti con Ia griglia teorica loro sovrapposta, possono senJire per individuare, in altre condizioni storico-geografiche, nuove situazioni di incipiente industrialismo. 7. 7 La coscienza come funzione. Come si vede, non e esatta l'immagine, codificata nella storiografia, specie italiana, di un Mill campione dell'empirismo. E' piu nel giusto probabilmente chi mette in rilievo una certa incoerenza di fondo nel pensiero di Mill, legato, da una parte, a una specie di patto di fedelta alla tradizione associazionistica di derivazione humiana, ravvivata dal padre, e, dall'altra, aperto a influenze di ben diversa natura, come quella dell'idealismo tedesco, recepito attraverso la discutibile mediazione di Coleridge (3.6), sui quale egli scrisse, nel 1840, un saggio ispirato a sincera ammirazione. L'indole propria del pensiero di Mill e, infatti, quella di un'apertura a tutte le posizioni filosofiche, anche lontane dalla sua, nell'esigenza di accoglieme quanta contenevano di assimilabile. Non di rado nei suoi scritti la tesi di partenza nitidamente posta si diluisce, strada facendo, in concessioni fatte aile tesi contrarie, in modo che nel punto d'arrivo i contomi della tesi appaiono molto sfumati, se non proprio cancellati. Cosi e avvenl;lto nella Logica:. l'empirismo induttivo di stampo benthamiano arri.va ad accogliere le regole del sillogismo deduttivo fin quasi a perdere i suoi connotati sensistici. Non diversamente accade nella psicologia. La sua tesi era rigorosamente contraria ad ogni concessione circa l'esi-
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stenza di un soggetto, inteso, secondo la tradizione metafisica, alla maniera della sostanza. Fedele alla tradizione associazionistica, che rifiutava qualsiasi discorso sulle facolta mentali, si era tuttavia interessato, diversamente da Comte che non si curava del rapporto tra i fatti e il soggetto percipiente (per lui questo era un problema metafisico), alla psicologia come 'scienza delle leggi elementari della mente', cioe delle 'uniformita di successione degli stati mentali' via via prodotti dal susseguirsi delle sensazioni, dei sentimenti, delle volizioni (leggi per le quali egli rimanda all'opera del padre). Ne risulta una concezione fenomenistica dell'esperienza, nella quale il mondo esterno si risolve in una possibilita permanente di sensazioni, traducibili in stati mentali e sentimentali del soggetto senziente, concepito non come sostanza, rna come funzione, vale a dire come «possibilita permanente di sentimenti»: la nozione dell'unita e identita dell'io, che nella tradizione dell'empirismo associazionistico, fino a Hume, era stata respinta, trova quindi in Mill una traduzione in termini funzionali, in grado di garantire un'idea della coscienza non come sostanza spirituale, rna come serie di stati mentali, reali o possibili, collegati dalla memoria e dall'aspettazione delloro costante ripetersi, secondo il principio dell'uniformita naturale. Questa concezione funzionale della coscienza serve a Mill per fondare la coscienza morale come fatto psicologico permanente, capace di discernere stati sentimentali, emozioni, volizioni. 7.8 L'utilitarismo qualitativo. La stessa ambivalenza riscontriamo in quella parte del pensiero milliano che ha suscitato, forse, i1 maggiore interesse. Anche per Mill i1 movente primo dell'individuo e il desiderio del piacere; anche per lui l'obiettivo dell'agire morale e la norma del bene sociale e la massima felicita di ciascuno e del maggior numero possibile di persone. Ma nel calcolo del piacere Mill introduce considerazioni qualitative accanto a queUe quantitative enumerate da Bentham. Per Bentham «una puntura di spillo equivale ad una poesia» se da a qualcuno lo stesso piacere; per Mill e meglio essere un Socrate insoddisfatto che uno sciocco soddisfatto. Egli sembra non avvertire quanto sia incongruente cercare una norma per misurare un'altra norma, nel presupposto che ambedue siano da intendere come supreme. A suo giudizio, la valutazione qualitativa integra in se quella quantitativa, cosl come !'idea di felicita integra in se quella di piacere. La felicita chiama in causa la coscienza morale, mentre i1 piacere si riferisce solo ai sensi. Ed e infatti la 'sanzione interna' del dovere, e non la sanzione esterna di tipo giuridico, la vera foote dell'obbligazione morale. Questa verita, in cui ben si traduce l'idealismo morale di Mill, sara, a suo giudizio, sempre piu largamente riconosciuta, man mano che si andra imponendo ai singoli e alia coUettivita quel senso di dignita che la memoria storica dell'umanita viene costruendo, con notevole 'forza psicologica', nel determinare gli orientamenti individuali. Il senso di dignita costituisce Ia regola universale e necessaria (per una sorta di evidenza induttiva, sancita dal giudizio della parte piu avvertita e piu saggia dell'opinione pubblica) del comportamento individuale e sociale, in quanto supera le angustie individualistiche e meccanicistiche del calcolo aritmetico del piacere, considerando come agire giusto quello che si ripromette di massimizzare il bene, anche da un punto di vista distributivo, coniugando con i1 princi-
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pio di utilita il principia di giustizia. Il raggiungimento della felicita individuate coincide all ora con l' obiettivo sociale della felicita generale: non esiste, nemmeno per Mill, il problema della trasformazione dell'egoismo in altruismo, come gia in Comte e come poi sara anche in Spencer: la volonta virtuosa viene come plasmata, grazie allo sviluppo della civilta, dal sistema educativo e dall'opinione corrente, che fanno apparire la virtu «in una luce piacevole e l'assenza della virtu in una luce spiacevole». L'associazione costante e ripetuta del piacere con il com.portamento retto e del dolore con quello scorretto, fa «avanzare quella volonta di essere virtuoso che agisce, una volta confermatasi, senza pili pensiero del piacere e del dolore»: il volere viene cosi svincolato dal puro e semplice raggiungimento del piacere individualistico e viene collegato, mediante motivazioni di tipo qualitativo, a valori sociali. L'utilitarismo qualitativo milliano ha una maggiore forza esplicativa, rispetto a quello classico: esso consente infatti di spiegare come mai determinate azioni vengono portate a termine prescindendo dal vantaggio immediato che puo trarsene, o anche dalle prevedibili conseguenze negative. Mill arricchisce insomma il quadro della vita felice, rispetto al ristretto calcolo della morale utilitaria, grazie a un principia di utilita pili ampio, fondato «sugli interessi permaneriti dell'uomo in quanto essere progressivo», aperto alla versatilita e pienezza di esistenza, nel quadro di un progetto di vita autonomo e indipendente, rna attento a non entrare in conflitto con gli interessi altrui. 7.9 II liberalismo. E cosi siamo entrati in pieno nei temi discussi nel piU famoso saggio milliano, Sulla Iiberto, nel quale vengono difesi con empito polemico (forse dovuto anche alla 'irregolarita' del suo rapporto con la Taylor) i diritti fondamentali dell'individuo, sempre pili minacciato, nella sua esistenza autonoma ed indipendente (nessun inglese amo mai come lui la privacy), dal conformismo tradizionalistico della societa vittoriana, da un lato, e, dall'altro, dal contagia della incipiente societa di massa, il cui sintomo p~u preoccupante era Ia «tirannia della pubblica opinione», cioe: Ia tendenza della societa ad imporre, con altri mezzi che quelli del codice penale, le proprie idee ed abitudini a coloro che se ne scostano, e ad impedire lo svolgimento e, se fosse possibile, anche Ia formazione d'ogni distinta individualita, obbligando tutti i caratteri a conformarsi al proprio modello. V'e un limite alia legittima azione dell'opinione collettiva sulla indipendenza personale:
Siamo di fronte a una concezione esclusivamente formale della liberta, com' e nella visione liberale dello Stato quale semplice tutore dell' ordine pubblico. Ma in Mill questa concezione si arricchisce di un timbro ottimistico, dato che la liberta e vista da lui come «fattore sicuro ed infallibile di progresso, giacche per essa possono aversi tanti centri indipendenti di progresso quanti sono gl'individui». Manca, nella sua prospettiva, qualsiasi cenno alia cohtemporanea proposta marxista di una liberta dal bisogno nel quadro della radicale critica della societa capitalistica come societa di classi contrapposte, dotate di una ineguale forza contrattuale. Pure, una volta scontato il diverso quadro di riferimento politico-culturale, si trovano nelle sue opere politiche suggerimenti attualissimi
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su come organizzare il rapporto potere-cittadini nella societa di massa: «il piu grande decentramento del potere che sia compatibile colla sua efficienza» e la «maggiore diffusione» dell'informazione dal centro alia periferia. Ed in piu una impressionante prefigurazione dei rischi di burocratizzazione degli apparati: Lo Stato che pospone lo sviluppo intellettuale degli individui alia vana apparenza di una maggiore regolarita nella pratica minuta degli affari, finira ben presto per accorgersi che grandi cose non si possono fare con piccoli uomini, e che il meccanismo, alla cui perfezione ha tutto sacrificato, non gli servira piu a nulla, per mancanza di quello spirito vitale che avra voluto sconsigliatamente distruggere per agevolarne i movimenti.
Come non pensare alla metafora weberian~ della 'gabbia di acciaio' (10.4)? In ogni caso, il contribute che Mill ha dato allo sviluppo degli aspetti migliori dell' etica politic a inglese e stato altissimo. Un no to storico delle dottrine politic he, George Sabine, riassume questo contribute in quattro capi fondamentali. Primo, la sua versione dell'utilitarismo libero quella forma di etica dal disseccamento cui essa era condannata finche la sua dottrina del valore morale si presentava in termini di un semplice calcolo di piaceri e di pene. L'idea morale centrale della sua etica eta infatti veramente, come quella di Kant, il rispetto degli uomini. Egli pensava al valore della personalita non come ~. un dogma metafisico rna come a qualche cosa da realizzarsi nelle condizioni effettive di una societa Iibera. Secondo, il liberalismo accetta la liberta politica e sociale come un bene in se, non perche contribuisca a un fine ulteriore, rna perche la liberta e la condizione di ogni essere umano responsabile. Terzo, la liberta non e solo un bene individuate, rna e anche un bene sociale. Imporre silenzio a un'opinione con la forza significa far violenza alia persona che la sostiene e defraudare la societa del beneficia che potrebbe trarre da un libero esame e dalla critica dell'opinione. Quarto, la funzione di uno Stato liberale in una societa Iibera non e negativa, rna positiva. Lo Stato non puo dare ai suoi cittadini la liberta semplicemente astenendosi dal legiferare, o pretendere che le condizioni della liberta esistano perche sono state abolite le incapacita legali. La legislazione dev'essere un mezzo per creare, aumentare, uguagliare le possibilita.
Darwin 7.1 0 La rivoluzione copernlcana della biologla. Come Copemico aveva bandito il pregiudizio antropocentrico dalla considerazione dei fenomeni dell'universo fisico, Charles Darwin* all'approccio razionalistico del fenomeno umano sostitui l'approccio storico, grazie al quale la specie umana, vista come un anello della catena evolutiva degli esseri viventi, veniva inserita nel tempo della storia della natura, oltremodo dilatato nei confronti del tempo della civilta: cosi un esponente del darwinismo tedesco di fine '800, Ernst Haeckel. Alla pari di ogni vera rivoluzione, anche quella di Darwin non avvenne d'improvvi-
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Charles Darwin, nato a Shrewsbury nel 1809, proviene da una famiglia legata per tradizione professionale alle scienze naturali· suo nonno, Erasmus Darwin (1731-1802), fisiologo, era stato l'autore di una Zoonomia (1794-96), in cui veniva avanzata l'ipotesi di una trasformazione della specie. Dopa aver studiato medicina a Edimburgo e teologia a Cambridge, apparentemente senza gran profitto, nel 1831, superando le resistenze paterne, s'imbarea come naturalista sul brigantino 'Beagle: con il quale tocca le coste orientali dell'America Meridionale e, passato poi nel Pacifico, le isole Galapagos, Ia Nuova Zelanda, !'Australia. Nel cor:..p di quell'esperienza, che dura cinque ann~ compie una serie di osservazwni naturalistiche e antropologiche, che troveranno una prima sistemazione nel Viaggio di un naturalista intomo al mondo (183 9). Sposatosi ne/1839 e trasferitosi nel1841 in una casa di campagna nel Kent, ove trascorreril il resto della sua vita, comincia a intrattenere con scienziati, allevatori e coltivatori di tutto il mondo una fittissima ca¥rispondenza, da cui trae un 'enorme quantita di dati per le sue ricerche. Grande impressione avevano suscitato in lui il Saggio sui principi della popolazione (1798) di Malthus, da cui trae l'idea della 'Iotta per l'esistenza', e i Principi di geologia (1830-33) di Lyell, che gli avevano spalancato il grande 'archivio naturale' dei fossili sui quali verificare l'infinita catena dei passaggi dalle specie estinte a quelle esistenti NeZ 1859 pubblica finalmente L'origine delle specie per selezione naturale o la preservazione delle razze privilegiate nella lotta per la vita, in cui, contestando !'idea, di ascendenza teologica, dell'immutabilita delle specie perche frutto di creazioni distinte, avanza l'ipotesi che, nell'ambito della Iotta per Ia vita, di fronte alia scarsita delle risorse, un meccanismo di 'selezione naturale' si sia preoccupato di conservare e di trasmettere ereditariamente, all'interno di ogni specie, tutte quelle variazioni di struttura rivelatesi utili all'individuo per la sopravvivenza. L'opera suscita violente reazioni negli ambienti della scienza ufficiale e dei teologi, che nelle idee darwiniane vedono una concreta minaccia cone tro le tesi creazionistiche e in generale contra !'idea di uno sviluppo teleologico insito nella natura. . L'origine dell'uomo e la selezione sessuale (1871) completa il progetto di Darwin: Ia specie umana discende, insieme con altri mammiferi, da un «progenitore comune» e anche le differenze mentali fra uonw e animali superiori, per quanta grandi, sono differenze «di grado e non di genere»: tutti i prodotti cu.lturali della civilta umana sono quindi frutto di meccanismi selettivi improntati all'utilitd sociale delle pratiche e dei comportamenti Nel 1873 esce L'espressione delle emozioni nell'uomo e negli animali, in cui Darwin cerca di stabilire una continuita psichica tra l'uomo e gli animali: testo che pone i primi fondamenti dell'etologia (16.14). Muore nel /882. Ne/1885 usd'O. postunw, /)\utobiografia.
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so. Come lui stesso riconobbe, essa era nell'aria. Gia nel 1852, Herbert Spencer, il filosofo positivista di cui stiamo per occuparci, aveva scritto un articolo, intitolato L'ipotesi evoluzionistica, in cui suggeriva una trasformazione delle specie basata sulla «sopravvivenza del pili adattm>. E nel 1858, proprio mentre attendeva a una sua poderosa opera sull'evoluzionismo (vi rinuncio proprio in seguito al fatto che raccontiamo), Darwin ricevette dall'Indonesia iln saggio di Alfred R. Wallace (1823-1913), anche lui un naturalista in viaggio di ricerca, nel quale la teorla dell'evoluzione in base alla selezione naturale era esposta in modo chiaro ed esauriente. ' Le prime avvisaglie del mutamento di prospettiva sull'origine delle specie viventi si ebbero, come a suo tempo abbiamo documentato (Il.8.11), durante l'illuminismo, in reazione alla grandiosa opera di sistemazione gerarchica degli esseri viventi proposta con grande successo d·allo svedese Carlo Linneo. Al fissismo di Linneo si opposero non pochi philosophes - ricordiamo Diderot, Maupertuis, d'Holbach e soprattutto Buffon - in nome della storicita della terra e degli esseri viventi, naturalmente senza quell'apparato di documentazione che sara la carta vincente di Darwin. La tesi di Buffon, che si dia una 'temporalita' nella comparsa degli esseri sulla terra, ebbe successo anche per una ragione non propriamente scientifica rna ideologica: essa metteva in crisi la concezione creazionista della natura, punto fermo delle chiese e della cultura tradizionale. II nonno di Charles, Erasmus, medico, fisiologo e poeta, era stato reso celebre da una sua Zoonomia, in cui si riecheggiano non pochi temi dell'evoluzionismo giacobino. II quale ebbe il suo teorico geniale, anche se confuso, in Jean Baptiste Lamarck (1744-1829), un naturalista un po' troppo versatile, a giudizio del suo collega George Cuvier (1769-1832), che invece, studioso accuratissimo e ligio alle ideologie del potere, rimane come il pili celebre sostenitore del creazionismo e della fissita della specil. Lamarck ottenne celebrita (rna perse anche le grazie dell'imperatore Bonaparte)' con la sua Filosofia zoologica, del 1809, e poi, dal 1815 al 1822, con la sua Storia degli animali invertebrati. Alia base della 'filosofia' lamarckiana c'e, si, il materialismo meccanicistico del secolo dei lumi, rna c'e anche, quale concessione incongrua al romanticismo, l'idea dell'evoluzione per cause interne: «La vita con le sue forze, egli scrive, tende continuamente ad accrescere la massa dei viventi, a dilatare le dimensioni delle parti che li compongono, fino ad un termine stabilito». Forse anche a causa di questi pasticci metafisici, Darwin non ebbe mai stima di Lamarck, i cui scritti giudicava, lui cosi moderato nel linguaggio, «vera spazzaturm>. Sta di fatto, pero, che con Lamarck le basi dell' evoluzionismo scientifico sono gia poste, nel senso che e solidamente dimostrata la trasformazione delle specie a causa delle modificazioni della crosta terrestre e a causa dell'eredita delle variazioni acquisite. Apertamente confessata, invece, e !'influenza avuta su Darwin dalle teorie di Malthus. Fu proprio nel leggere il Saggio sui principia della popolazione (1.4), nel 1836, che Darwin ebbe l'intuizione della spiegazione evoluzionistica come l'unica capace di render conto di quanto egli aveva osservato durante i suoi viaggi, in particolare nelle colonie britanniche, la cui economia si basava sull'allevamento e sulla selezione del bestiame. Fu combinando i principi del liberismo economico con le regole degli allevatori di bestiame domestico che Darwin formula la teoria della selezione naturale. Queste dipendenze non de-
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vono, comunque, fare ombra sulla originalita str:aordinaria della sua teoria. Essa e il frutto di una sterminata raccolta di dati e di osservazioni sperimentali, condotte a partire dagli anni '30. In quella teoria trovano la loro logica confluenza: la demografia e l'economia politica, che mettono in relazione, sulla scia di Malthus, la tendenziale sovrappopolazione con la scarsita delle risorse; la nascente antropologia, che svela i nessi tra razze e culture; la geografia, che mostra la distribuzione delle specie nei vari continenti; l'anatomia comparata, che permette di individuare le analogie fra le strutture dei diversi organismi; l'embriologia, che documenta in specie diverse embrioni simili; la paleontologia, che rivela gli elementi di somiglianza e di affinita fra specie estinte e specie esistenti; la geologia, che descrive le stratificazioni della crosta terrestre, introducendo, fra l'altro, una dimensione temporale molto pili estesa e complessa rispetto a quella della storia umana. Con un cosi ricco ventaglio di approcci sperimentali, Darwin tenta una reinterpretazione dei meccanismi insiti nell'economia naturale, lasciando da parte il Jato metafisico del problema biologico, e cioe l'indagine sulle cause della vita o Ia relazione fra la scienza della vita, la medicina e le scienze fisiche. 7.11 La selezione naturale. Il punto di attacco della costruzione darwiniana e Ia contestazione della staticita delle specie, quale emerge dal Systema naturae di Linneo, cioe dell'idea delle·specie come prodotti immutabili di atti distinti di creazione, nel quadro di una concezione finalistica della natura. A cio egli oppone l'ipotesi che le «forme attuali di vita discendano, attraverso un vero e proprio processo generativo, da forme che le hanno precedute)). In quest'ottica, egli presta maggiore attenzione, rispetto a quanto facdano i biologi sistematici, alle differenze fra gli individui all'intemo di quella che viene ritenuta una specie, perche quelle differenze sono «spie di minime varieta>> che possono condurre a una nuova specie. Darwin tematizza, dunque, la variabilita delle specie, cercando di penetrarne le leggi, senza curarsi delle cause. Nell'Origine delle specie egli prende le mosse dalle 'variazioni allo stato domestico' (utilizzando una miriade di osservazioni ed esperimenti compiuti da lui stesso e da molteplici allevatori e coltivatori con cui era in rapporto), gim.i.gendo alia conclusione che l'uomo compie una 'selezione cumulativa' delle variazioni che la natura evidenzia, facendole convergere verso direzioni a lui convenienti. Analogamente, nel mondo naturale, la Lotta per La vita, originata dal divario tra la crescita in progressione geometrica della popolazione e la crescita in progressione aritmetica delle risorse ambientali (e la Iegge di Malthus), presiede al meccanismo della seLezione naturale, secondo cui qualsiasi variazione, anche se lieve, qualunque ne sia l'origine, purche risulti in qualsiasi grado utile ad un individuo appartenente a qualsiasi specie, nei suoi rapporti infinitamente complessi con gli altri viventi e col mondo esterno, contribuira alia conservazione dell'individuo e, in genere, sara ereditata.
La selezione naturale, ovvero Ia conservazione delle variazioni favorevoli e la eliminazione di quelle nocive, serve a Darwin per contrapporsi, da un lato, all'idea lamarckiana della continua produzione, per generazioni spontanee, di
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forme nuove e semplici (nel quadro dell'innata e inevitabile tendenza di tutti gli esseri viventi verso la perfezione), dall'altro, all'ipotesi catastrofistica di Cuvier, secondo cui l'evoluzione del mondo naturale e dovuta a improvvise modificazioni della sua struttura, causate da cataclismi naturali. A questo proposito, Darwin e disposto a riconoscere il proprio debito metodologico con la 'modema geologia' di Charles Lyell (1767-1849), in base alla quale le trasformazioni geologiche devono essere spiegate (e anche qui e evidente la polemica· contro il 'catastrofismo') riferendosi alle cause che continuano a modificare la crosta terrestre (erosione dei venti e delle acque, azione vulcanica), e non pensando a improbabili eventi sconvolgenti, ritagliati sull'immagine biblica del diluvio universale. Nell"economia della natura' darwiniana (da notare che il termine 'ecologia' fu coniato, in ambito darwinistico, da Haeckel) le condizioni della selezione naturale sono molteplici. 1. Egli si sofferma preliminarmente sulla ereditarietit dei caratteri acquisiti, rna il suo e piu un postulato sulla trasmissione delle variazioni che una teoria genetica sulla tendenziale stabilita della trasmissione dei caratteri ereditari, che sara elaborata, nel 1866, da Gregor Mendel ( 1822-1884). In sec on do luogo, valgono, per Darwin, altri fattori come: l'isolamento geografico della specie, che impedisce il dissolversi dei nuovi caratteri emersi attraverso incroci; I'ampiezza di una regione in cui maggiori sono le possibilita di diffusione di una specie e dove piu dura e la lotta per l'esistenza, anche fra individui della stessa specie, bisognosi degli stessi alimenti ed esposti agli stessi pericoli; la divergenza dei caratteri, che, aumentando l'adattabilita all'ambiente, accresce le possibilita di sopravvivenza. 2. Un posto particolare Darwin assegna aHa selezione sessuale (cui dedica molto spazio ne L 'origine dell'uomo), in base alla quale, alcuni individui di un solo sesso, generalmente quello maschile, hanrio avuto Ia meglio nella Iotta con i rivali, e hanno cos) permesso che un numero maggiore di discendenti ereditasse la loro superiorita.
Un'ipotesi, questa, derivante dalla constatazione che alcuni caratteri sono limitati a un solo sesso (e quindi presumibilmente connessi alla riproduzione) e che si sviluppano solo nella maturita e solo nella stagione degli amori; che i maschi, poi, sono piu attivi nel corteggiamento e piu attraenti. La selezione sessuale e tuttavia inglobata da Darwin all'intemo della selezione naturale, la quale «dipende dal successo di entrambi i sessi, a tutte le eta, in relazione aile condizioni generali di vita» ed e finalizzata al «generale benessere della specie». 3. Nella originaria teoria darwiniana, quella che potremmo definire come la variabilita prevalentemente endogena delle specie necessita di tempi biologici estremamente lunghi, tali, cioe, da con tenere l' «infinita catena di varieta che colleghino, attraverso una serie di passaggi minutissimi», le varie forme di vita, e cio per escludere nella serie evolutiva ogni soluzione di continuita che potesse fomire spazio alle teorie creazionistiche o anche a quelle, piu 'Iaiche', di Lamarck o di Cuvier, che tendevano a mettere in primo piano !'influenza dell'ambiente per giustificare l'apparire di sempre nuove forme vitali. All'ipotesi darwiniana di una storia terrestre dilatata ad alcune centinaia di milioni di an-
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ni fu pen) opposto da William Thompson Kelvin ( 1824-1907), nel 1862, che il sole non poteva esistere da piu di cinquecento milioni di anni e che percio il periodo in cuj la temperatura terrestre poteva aver consentito lo sviluppo della vita doveva essere ridotto a circa venti milioni di anni. Darwin conseguentemente accelero i tempi evolutivi, sottolineando, piu di quanto prima non avesse fatto, }'influenza dei cosidetti fattori lamarkiani, coll'affiancare alia selezione naturale, «agente principale dei mutamenti», l'azione diretta dell'ambiente sulle modificazioni degli organismi (in particolare in rapporto all'uso o al disuso degli organi), nonche gli effetti ereditari delle abitudini contratte in particolari contingenze ambientali. 7.12 L'origine dell'uomo. Nella chi usa de L 'origine delle specie - «quando contempleremo ogni prodotto della natura considerandolo come qualcosa che abbia avuto una storia, ... le nostre classificazioni diventeranno... delle genealogie>> - era gia prefigurato l'epilogo de L 'origine dell'uomo: «l'uomo, con tutte le sue nobili qualita, ... porta impressa nella sua struttura fisica l'impronta indelebile della sua infima origine». L'uomo discende, insieme con altri mammiferi, da un progenitore comune. Guardando alia storia naturale in modo unitario, noi rintracciamo un'unica genealogia: l'uomo non e quindi frutto di un atto separato di creazione. Anche riguardo aile facolta mentali, non vi e alcuna differenza fondamentale (se non di grado) tra l'uomo e i mammiferi superiori. Afferma paradossalmente Darwin: «se non fosse che l'uomo ha classificato se stesso, non avrebbe mai pensato di creare un nuovo ordine per collocarvisi»! Nella scala delle facolta mentali (dall'emotivita, alia curiosita, all'imitazione, ali'attenzione, alia memoria, fino a giungere alia immaginazione, al linguaggio, all'astrazione, ali'autocoscienza ) ci sono, quindi, solo differenze di grado: gli istinti piu complessi sono frutto della selezione naturale di variazioni di azioni istintive piu semplici; anche i primi barlumi di intelligenza, dice Darwin, si sviluppano attraverso la moltiplicazione e il coordinamento di azioni nate su base istintuale. Certo, il sensa morale rappresenta la piu elevata forma di distinzione tra uomo e animale: rna la coscienza morale, intesa come capacita di correlare, valutandole, le azioni passate e future e i motivi che le originano, non e una forma a pribri, bensi il frutto di 'impulsi primari', quali l"istinto sociale' e la 'simpatia' che sottopongono «alia nostra attenzione l'approvazione e la disapprovazione degli altri» (e qui vale, per Darwin, la tradizione, tutta scozzese, della 'morale della simpatia' di Hume e Smith). In seconda istanza, la coscienza morale risponde, come aveva insegnato Bentham, al «principio della massima felicita per il maggior numero», rna, contrariamente a quanta avviene nelie teorie utilitaristiche, in cui quel principia e insieme motivo della condotta e criteria di valutazione, in Darwin esso perde ogni connotazione intenzionale e inteliettualistica, ed appare come la traduzione di emozioni e impulsi consolipati dall'istinto o dalla lunga abitudine e trasmessi ereditariamente. Su questo punta, egli condivide l'idea di Spencer (7.15) che la condotta giusta o sbagliata non ha sempre e solo Ia propria base nella esperienza individuale di utilita, rna si struttura sulla base delle esperienze utili alia specie, via via accumulate e trasmesse.
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7.13 11 darwinismo sociale. Anche nel mondo umano, e anche negli stadi piu avanzati della civilta, vige la selezione naturale, incentivata dal rapido tasso d'incremento della popolazione che, «sebbene conduca a molti danni ovvii, non deve essere troppo diminuito in alcun modo)): altrimenti verrebbe meno Ia competizione sociale, che premia i piu dotati nella Iotta per la vita e favorisce lo sviluppo delle attivita economiche e Ia diffusione dello spirito imprenditoriale: Senza accumulazione di capitale le arti non potrebbero progredire, ed e soprattutto mediante illoro potere che le razze civilizzate ... stanno ora ovunque estendendo illoro rango, in modo da prendere il posto delle razze inferiori.
II discorso di Darwin e quindi, in questo caso, organico all'ideologia del capitalismo imperialistico inglese, e anzi e fortemente critico nei confronti dell'impegno sociale e umanitario dei filosofi radicali alla Stuart Mil/,., che propugnano la limitazione delle nascite e una avanzata legislazione sociale. Egli parla, si, di contenimento delle nascite, rna limitatamente ai membri piu deboli della societa che, non potendo «evitare la poverta per i propri figli, dovrebbero evitare il matrimonio)), per non compiere un danno sociale propaganda Ia 'debolezza' della lora genia. Anche riguardo alla politica sociale dello Stato egli e ugualmente critico, perche le istituzioni assistenziali, originate dal nosq:o istinto di simpatia, non hanno altro effetto che quello di arrestare o di ritardare 'il processo di eliminazione' dei caratteri negativi della specie umana. Sono qui le premesse di que! 'darwinismo sociale' che avrebbe raggiunto i suoi sviluppi estremi dopo la morte del grande scienziato, il quale, pur in mezzo a furiose polemiche, tenute vive soprattutto dagli ambienti ecclesiastici, non perse mai la sua serenita, astenendosi dallo svolgere dalle teorie le implicazioni filosofiche e religiose. Divenuto da credente pieno di zelo, com'era agli inizi della sua carriera, tranquillamente agnostico, si astenne sia dall'accettare le provocazioni polemiche, sia dall'avallare gli sviluppi volgarmente antireligiosi che alcuni suoi seguaci dettero alle sue dottrine. D'altronde, questa sua signorile superiorita era resa piu facile dalla corrispondenza che i suoi principi avevano con l'ideologia della classe dominante, bisognosa di supporti culturali conformi al suo dinamismo imperialistico. Infatti, a differenza del glaciale pessimismo di Malthus, il messaggio implicito (rna nemmeno troppo) nelle opere di Darwin, specie ne L'origine dell'uomo, e attraversato da una prospettiva sostanzialmente ottimistica sul futuro della specie, a condizione che questo futuro resti affidato ai. ceti sociali 'selezionati' dall'evoluzione. Contro quanto sostenevano i filosofi radicali degli inizi del secolo, non basta l'educazione a trasformare un uomo. «Ogni darwinista deve sostenere che tra gli esseri umani ci sono differenze congenite neUe capacita intellettuali)), osserva Bertrand Russell. E prosegue, dicendo che Darwin «COn l'accentuare l'ereditarieta, diminui la fede degli uomini nell'onnipotenza dell'educazione e vi sostitui la convinzione che alcune razze siano per essenza superiori aile altre. Cio, a sua volta, porto ad una accentuazione del nazionalismo. E il riconoscere la guerra come mezzo di concorrenza sciolse il connubio tra concorrenza economica e pacifismo che era sempre stata una unione male as.~ortita, poiche
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il compagno naturale del pacifismo e Ia collaborazione». E' bene, ricordare in ogni caso, che sarebbe ingiusto addossare a Darwin gli smarrimenti ideologici di tutti coloro che, nella scienza o nella politica, in buona o mala fede, si facevano forti del suo nome.
Spencer 7.14 L'evoluzionismo come metafisica. A partire dal terzo ventennio dell'ottocento, Ia cultura dominante in Europa riconobbe nell' evoluzionismo di Herbert Spencer*, formatosi per via autonoma rispetto a Darwin e accolto sulle prime con freddezza, il proprio retroterra filosofico, Ia cui proiezione ideologicamente piu funzionale allo slancio creativo della borghesia industriale era l'equazione tra evoluzione e progresso. A Spencer si deve se Ia temia generale dell'evoluzione come quadro fondamentale della ricerca biologica (da Lamark a Darwin) si trasformo in 'evoluzionismo', e cioe in una visione del mondo che fa dell'evolu7~one il principia di spiegazione della realta tutta. Una chiara definizione di questo principia egli Ia fomi due anni prima che Darwin pubblicasse L 'Origine delle specie, in un saggio del 1857, intitolato significativamente Il progresso, sua Iegge e sue cause. Sia che si tratti dello sviluppo della terra, dello sviluppo della vita alia sua superficie, dello sviluppo della societa, del govemo, dell'industria, del commercia, dellinguaggio, della letteratura, della scienza, dell'arte, sempre al fondo di ogni progresso e Ia stessa evoluzione che va dal semplice al complesso attraverso differenziazioni successive. Dai piu antichi mutamenti cosmici di cui vi sia traccia, fino agli ultimi risultati della civilta, noi vedremo che Ia trasformazione dell'omogeneo in eterogeneo e l'essenza stessa del progresso.
Herbert Spencer nasce a Derby in Inghilterra, nel 1820. Dopo un curriculum di studi tecnico-scientifici, durante i quali si era soffermato, come capita anche a Darwin, sui Principi di geologia (1830-33) di Lyell, lavora per qualche tempo come ingegnere ferroviario. Lasciata fa professione nel 1846, e redattore della rivista 'The Economist' dal 1848 al 1853, pubblicando scritti di economia e di teoria politica, ai quali da una prima sistemazione nella Statistica sociale (1850), dove il paradigma evoluzionistico e gia operante, anche se il termine evolution viene adoperato, e per fa prima volta nella storia del pensiero filosofico, nel 1857, nel saggio Progresso, sua Iegge e sua causa. Ma e nei Primi principi (1862) che viene formulato il concetto di evoluzione, definita come « un'integrazione di "materia e una concomitante dissipazione di movimento; durante Ia quale la materia passa da una omogeneita indefinitq e incoerente ad una eterogeneita definita e coerente». Sulfa base di quest'assunto, Spencer organizza un monumentale Sistema di filosofia sintetica, di cui verranno via via a far parte, oltre che i Primi principi, vera e propria premessa metodologica, i Principi di biologia (1864-67), i Principi di Psicologia (1a ediz. 1855, 2a ediz. 1870-72),
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Principi di Sociologia (1877-96), i Principi di etica (1879-93). Ne risulta una concezione unitaria della realtd, che viene vista ottimisticamente proiettata (coerentemente con l'ideologia ufficia[e dei ceti benpensanti inglesi dell'etii vittoriana) verso un perfezionamento biologico, etico e socia[e: un 'idea, questa, che solo parzialmente viene scalfita, nell'ultimo Spencer, dalle implicazioni della seconda Iegge della termodinamica (Ia Iegge sull'entropia), che sembra intaccare Ia fede illimitata in un progresso senza scosse e senza limiti, a partire dal principia della dispersione dell'energia e della conseguente degradazione dell'ordine naturale; cosi come dagli sviluppi aggressivi e militaristici del capitalismo inglese, che spingono ver,~o uno statalismo tendenzialmente coercitivo e illiberale (che fa rimpiangere a Spencer l'epoca del liberismo e del liberalismo classici, come appare da L'uomo contro lo Stato, del1884). La sua Autobiografia, nella quale viene tracciato con dovizia di particolari il suo sviluppo intellettuale, esce un anna dopa la sua morte, nel 1904, · in due ponderosi volumi.
Spencer aveva tratto il suo princ1p10 di evoluzione universale dalla legge dello sviluppo enunciata da Karl Ernst von Baer (Storia della sviluppo degli animali, 1828 e 1837), secondo la quale gli animali si rassomigliano tutti all'inizio del loro sviluppo, quando non sono che dei piccoli ovuli, e solo nel processo della loro crescita appaiono fomiti di organi differenziati. Ebbene, secondo Spencer, questo passaggio progressivo dall'omogeneita all'eterogeneita di struttura e la legge di tutta la realta. A livello cosmico, la massa nebulosa originaria si e trasformata nei soli e nei pianeti dalle pili svariate dimensioni; al livello della Terra, agli inizi ci fu una massa in fusione che nel raffreddarsi ha dato origine alle forme attuali del pianeta. E nel pianeta, la vita si e anch'essa manifestata in modo sempre pili eterogeneo col passar del tempo. Lo stesso processo ha vissuto l'umanita, sia come specie sia come societa che dalla condizione primitiva di aggregato omogeneo e passata alia eterogeneita delle classi sociali e delle divisioni fondate sulla diversita delle funzioni. I monarchi erano, alle origini, preti, soldati e re, cosi come ciascuno dei loro sudditi era costretto a tutte le fonne di lavoro; l'evoluzione ha comportato divisioni di poteri e di mansioni. Perfino nel linguaggio si e dato il passaggio dal sistema di espressioni omogenee al sistema complesso di verbi attivi e passivi e di verbi ausiliari: un sistema in cui «la lingua inglese e superiore a tutte le altre». Larga parte del successo spenceriano e della sua acclimatazione nella cultura filosofica e teologica dominante (si pensi, per contrasto, alle feroci polemiche e al duro ostracismo riservato alle teorie darwiniane) si deve alla conciliazione, pili formale che sostanziale, che Spencer cerco di stabilke tra scienza e religione: la vera funzione della religione e di affermare il carattere imperscrutabile e misterioso dell'universo e delle sue leggi, di cui non deve presumere di fomire una conoscenza positiva; la scienza, da parte sua, ccmscia del «Ca· rattere necessariamente relativo della nostra conoscenza», si adopera per estendere sempre pili la conoscenza del relativo, rna senza mai pretendere di includere l'Jnconoscibile nel proprio ambito. Conciliazione formale, si diceva.
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Pili che di intesa e di collaborazione tra le due forme di conoscenza, si potrebbe parlare di stato di non belligeranza: Spencer pensa, kantianamente, ad una distinzione di compiti che, diversamente dall'andazzo scientistico di tanta parte del positivismo europeo, lasci liberta di movimento alla ricerca scientifica nel quadro di un relativismo agnostico, che rinuncia programmaticamente a indagare il noumeno, e cioe l'Inconoscibile. Vero antidoto sia contro lo scientismo che contro il riduzionismo scientifico e la filosofia, alia quale spetta il compito di dare una rappresentazione sintetica della realta, riducendo a unita l'insieme dei fenomeni e dei principi formulati nei diversi settori d'indagine e mostrando, nel contempo, l'unilateralita dei singoli approcci disciplinari; essa e «la conoscenza del pili alto grado di generalita» che pua essere estratto dalla considerazione unitaria delle verita scientifiche: proprio per questo la filosofia assume come suo materiale i principi piu generali, e cioe l'indistruttibilita della materia, la continuita del movimento, la persistenza della forza.
7.15 L'antropologia evoluzionistica. II primo campo di applicazione della 'ipotesi evolutiva' (Spencer pubblica nel 1852 un saggio omonimo, molto apprezzato da Darwin) fu la biologia, nella quale egli vede manifestarsi i progressivi adattamenti degli organismi aile condizioni ambientali: e l'esercizio continuato di reazioni determinate degli esseri viventi agli stimoli esterni a produrre la differenziazione degli organi, che poi viene trasmessa per via ereditaria. Insomma, la funzione crea l'organo. L'ipoteca lamarkiana e moho evidente anche nell'insistenza di Spencer sulla teoria ereditaria dei caratteri acquisiti, rispetto all'idea darwiniana della selezione naturale di variazioni anche casuali che spontaneamente si producono (che pure Spencer accetta, chiamandola «sopravvivenza del pili adatto»). Principia inforrnatore della biologia spenceriana e il nesso tra perfezionamento biologico e differenziazione degli organi e delle funzioni: cia e tanto pili vero riguardo all'uomo e alle sue facolta. A tal proposito, egli teorizza la continuita pili assoluta tra attivita fisiologica e attivita psichica. In quest'ultima egli vede il progressivo coagularsi delle impressioni indotte dalla molteplicita degli stimoli esterni, grazie a una struttura percettiva originaria, che funziona nell'individuo come un a priori, rna che risulta da categoric e da predisposizioni mentali che la specie umana e venuta producendo, selezionando e trasmettendo per eredita biologica. In tal modo, egli critica l'empirismo associazionistico (che non poteva spiegare l'attivita di correlazione delle sensazioni del soggetto conoscente, se non negando il proprio assunto di base), senza d'altra parte cadere nell'innatismo, in quanto i principi associativi sono, in Spencer, a priori rispetto all'individuo, rna a posteriori rispetto alia specie, sono, cioe, il prodotto o l'accumulazione nell'individuo di una serie indefinita di esperienze della specie, via via selezionate e trasmesse ereditariamente. L'approccio evolutivo conduce Spencer a una 'secolarizzazione della morale', in quanto gli permette di fondarla su basi naturalistiche: designando infatti come 'buono' cia che e utile e conforme al fine, egli rileva che nella coscienza della specie umana rimangono impresse le azioni utili per la specie stessa, le
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quali poi sono continuamente sottolineate per rinforzare quella memoria selettiva dei comportamenti vantaggiosi senza la quale si bloccherebbe l'evoluzione. Secondo Spencer, non esiste, quindi, un' opposizione insuperabile tra egoismo e altruismo, nell'ambito di una accezione unitaria della condotta umana, che «comprende tutti gli adattamenti di azioni agli scapi»: egli dissolve, cosi, ogni scala di valore o di priorita temporale tra l'istinto egoistico e l'istinto altruistico, che sono considerati dotati della medesima forza originaria. L'uso di 'buono' o di 'cattivo' non nasconde alcun significato prescrittivo: buona e la «condotta che giova alla vita, e cattiva quella che le fa ostacolo». Questa concezione dinamica della natura umana, come unico complesso biologicoculturale, oggetto di una vera e propria 'fisiologia morale', si pone in opposizione all'utilitarismo di Bentham e di Stuart Mill, attento solo agli effetti immediati delle azioni. Nonostante la correzione milliana dell'aritmetica morale benthamiana grazie alla combinazione del principia individualistico di utilita col principia di giustizia, Spencer non riesce a vedere nessun principia direttivo che ci metta in condizione di stabilire sempre cio che produce «la piu gran somma di bene sui male>>. Egli giunge cosi a .una 'morale relativa', cui non si puo chiedere altro che di individuare via via cio che appare «il minima dell'ingi ustizia)). Ma il relativismo etico spenceriano non giunge ad esiti scettici, dal momenta che alia morale relativa e giustapposta, con un consapevole riferimento a Kant, una morale assoluta, che fomisce un 'codice ideale' di condotta, un criteria regolativo che orienti l'umanita lungo il suo viaggio da uno stato patologico della moralita ad uno fisiologico, nel quale, superata finalmente la fase transitoria della moralita «impregnata dal disagio del mancato adattamento» all'ambiente, «male ed immoralita spariranno)) e «l'uomo diventera perfetto». 7.16 L'evoluzione superorganica. L'uomo si trova all'apice dell'evoluzione organica. AI di la di essa, si trova l'evoluzione 'superorganica', che ha il proprio campo di manifestazione nella sviluppo delle societa umane. Spencer utilizza qui, a piene mani, l'analogia biologica (arrivando addirittura a paragonare il sistema dei trasporti al sistema vascolare), rna, ciononostante, traccia una linea distintiva tra ambito biologico e ambito sociale: mentre nell'organismo biologico le parti sono finalizzate al funzionamento dell'intero, nella societa sono le singole unita individuali ad avere la preminenza rispetto all'organizzazione sodale, che ha come scopo costitutivo il benessere dei singoli. In questa principia individualistico, di ascendenza liberistica e utilitaristica, sta un forte elemento di distinzione rispetto all'organicismo sociale di Comte, di derivazione giacobina e statuale. Dall' omogeneita indifferenziata dell' orda primitiva aile differenziazioni funzionali della complessa societa industriale, la civilta umana si e progressivamente adattata all'ambiente esterno, traducendo via via in sistemi consolidati l'originario 'timore dei morti' (sistema religioso), il 'timore dei viv_i' (sistema regolativo o politico), l'insieme delle attivita di produzione e di distribuzione dei beni (sistema nutritivo). Le forme sociali prevalenti, cui l'interazione di quei sistemi ha data luogo, sono, per Spencer, quella militare, caratterizzata da un accentramento autoritario del potere, da una cooperazione forzata degli individui, da una produzione in funzione militare, da un clero gerarchiz-
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zato e da una religione di tipo vendicativo; e quella industriale, improntata a una piena autonomia contrattuale e politica dei soggetti sociali, a una democrazia diffusa, a una produzione in funzione civile, a una piena autonomia della sfera religiosa. Egli considera le due forme sociali come tendenzialmente escludentisi, vedendo incarnata la prima nella Germania bismarkiana e la seconda nella societa capitalistica inglese, di cui vede d'altra parte i rischi involutivi connessi all'egoismo esasperato della ricerca del profitto. Ma la sua fiducia neUe modaliti;; autonome di sviluppo del capitalismo, grazie al conflitto fisiologicamente espansivo delle classi sociali (da non turbarsi con altre forme di intervento dello Stato), gli impedisce di cogliere appieno gli sviluppi in senso aggressivo e D;lilitaristico del capitalismo coloniale inglese. Curiosamente, pen), le categoric spenceriane di sistema militare e sistema industriale hanno avuto un destino diverso: perche non rintracciarle al fondo dell'odierna espressione di 'complesso militare-industriale', con la quale si designano i sistemi socioeconomici che hanno originato la corsa agli armamenti delle grandi potenze americana e sovietica? Vero e che, a differenza di Comte, in cui la sociologia assorbiva nelle proprie leggi anche la morale, in Spencer il compito della sociologia e di descrivere lo sviluppo percorso, fino al momento, dalla societa e non di prevederne scientificamente lo sbocco finale: le mete e gli idcali dello sviluppo sono fuori della sua portata, mentre sono la sfera propria dell'etica. La caratteristica dello stato presente e il contrasto tra egoismo e altruismo. L'evoluzione morale va nel senso di una progressiva coincidenza tra la soddisfazione del singolo e la felicita altrui. Non e da escludere, in prospettiva, la nascita di un terzo regime, dopo quello militare e quello industriale: esso potrebbe porre, alla base della collaborazione degli individui, non i motivi egoistici, rna quelli altruistici, non l'obbligazione coattiva, rna la spontaneita. Col completo adattamento allo stato sociale, quell'elemento della coscienza morale, che e espresso dalla parola obbligazione, scomparira del tutto. Le azioni pili elevate, richieste per lo svolgimento armonico della vita, saranno fatti cosi comuni come lo sono ora quelle azioni inferiori a cui ci spinge il semplice desiderio.
Ma opesto SQirag}io di utoQia non deve ingannarci: l'ideologia del progresso proposta da Spencer e, nel suo insieme, profondamente reazionaria, ostile non solo al patemalismo della carita cristiana, rna anche alle prospettive del socialismo. II suo successo straordinario si deve anche a questa sua funzionalita nei confronti del capitalismo in espansione. Non a caso, le sue fortune si dissolsero alia fine della ,~elle epoque, con la catastrofe della prima guerra mondiale.
Ardigo 7.17 L'evoluzionismo psicologico. Se Spencer aveva tratto dalla biologia il suo principia evolutivo del passaggio dall'omogeneo all'eterogeneo, Roberto Ardigo • lo desume dalla normale esperienza psicologica del conoscere: o la filosofia - cosi egli dice - e psicologia (ed allora viene detta 'filosofia positiva'),
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oppure e 'metafisica bella e buona', spiritualistica 0 materialistica che sia, incapace sempre di pervenire all'unita inscindibile fra soggetto ed oggetto, all"unita psico-fisica', che puo essere colta, nel concreto, dall'esperienza psicologica. Egli si pone, cosi, nel solco di quella tradizione psicologica italiana di orientamenta associazionistico, come quella di Romagnosi (6.2), che, riformando il sensismo francese e inglese, non e disposta a risolvere in chiave immediatamente psico-fisiologica il processo gnoseologico, decisa a salvaguardare il principia di un'autonoma attivita interna della coscienza, intesa in senso funzionale e non sostanziale, capace di combinare e trasformare ('chimicamente', potrebbe dirsi) le impressioni sensibili:
Roberto Ardigo nasce a Casteldicone (Cremona) nel 1828. Avviato al sacerdozio (per il quale, dira pili tardi, aveva sempre manifestato «una inclinazione viva»), dopa aver compiuto gli studi teologici nei seminari di Milano e di Mantova, in quest'ultima citta viene ordinato sacerdote nel 1851. Dopa una brevissima esperienza di studio a Vienna, interrotta per l'insorgere di disturbi nervosi, si stabilisce a Mantova, dedicandosi all'insegnamento in seminario delle materie piu disparate. Nominata nel 1863 canonico della cattedrale di Mantova, passa a insegnare filosofia nel ginnasio pubblico. Gli studi filosofici lo rendono via via piu critico nei confronti della tradizione teologico-metafisica cattolica. Anche se egli affermera in seguito di non aver mai letto alcun libra di Comte e solo parzialmente Mill e Spencer, risulta permeato dal diffuso spirito positivo europeo. Nel suo Discorso su Pomponazzi, letto nel suo Iicea mantovano nel 1869, egli ne compie l'elogio come di Iibera pensatore. L'opera, che suscita enorme sealpore, anche perche utiliz?.ata in sensa anticlericale nel dibattito intorno a Roma capitale, viene immediatamente messa all'indice e Ardigo e sospeso a divinis. La rottura e completa: ne/1871 Ardigo sveste l'abito ecclesiastico. Continua a insegnare a Mantova fino a quando, nel 1881, il ministro dell'istruzione lo chiama a Padova, alia cattedra di Storia della filosofia, dove insegna fino al 1909. Da li si diffonde Ia 'filosofia positiva' ardigoiana, che permea di se l'intera cultura filosofica italiana di fine secolo. Nel 1913 e nominata Senatore. Muore suicida nel1920. Oltre all'opera fondamentale, La psicologia come scienza positiva (1870), ricordiamo La formazione naturale nel fatto del sistema solare (1877), in cui il processo di formazione della coscienza viene inserito nel piu ampio contesto naturalistico dell'evoluzione cosmica; L'inconoscibile di H. Spencer e il positivismo (1 883), in cui l"inconoscibile' spenceriano viene considerato un puro limite del pensiero umano che aspira comunque a una progressiva estensione del suo dominio; La morale dei positivisti e Ia Sociologia (1878-86), che mostrano come il concetto di idea/ita etica, prodatto dall'impulsivita psico-fisiologica delle idee, si muti in ideale sociale e civile attraverso i processi di formazione della persona/ita che si svolgono nell 'ambito della societa civile.
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La fisiologia non puo condurre se non ad un certo punto, oltre il quale non serve che l'osservazione diretta del pensiero, quale si presenta nella coscienza... L' esame degli organi cerebrali puo pres tare degli indizi... La coscienza attesta il fatto psicologico della associazione delle idee; e con cia dice al fisiologo: eccoti un tema di studio.
Nella nota espressione ardigoiana, «il fatto e divino e il principia e umano», che, riassumendo i suoi presupposti 'positivi', subordina all'irrefutabilita del dato le teorie e i sistemi scientifici, si rinvia quindi al 'fatto psicologico della sensazione', inteso come primwn assolutamente preliminare allo stesso atteggiamento scienttfico. Nella sensazione sono inclusi, come facce della stessa medaglia, 'il me' e' 'Il non me', cioe l'interiorita della coscienza e la esteriorita del mondo fisico, che non vanno percio intesi come mondi opposti, rna come fatto unico ed inseparabile. Viene cosi tolto il dualismo di relativo e assoluto, di sostanza e fenc)meno: nella sensazione, esperienza interna ed esperienza esterna confluiscono, strutturandosi in 'autosintesi' ed 'eterosintesi', sorta di funzioni mentali che, prendendo il posto del soggetto e dell'oggetto metafisici, vanno a costituire l'io e il mondo esterno: esse appaiono, insomma, come funzioni della 'sostanza psico-fisica' che si presenta come un tutto reale indivisibile .. ancora informe innanzi che, per l'abitudine del riferimento all'interno e all'esterno, siasi distinta e scissa (nella) rappresentazione del me (psichica) e del fuoti dime (fisica).
Nella sensazione si ha quindi la 'confluenza ritmica' (che si ripete, cioe, con una certa tipicita) tra le impressioni direttamente provocate dall'oggetto esterno sull'organo di senso e i dati associativi accumulatisi sulla base delle passate esperienze; rna quel processo non si traduce nella forma meccanicistica di una pura registrazione passiva. Grazie ad una intrinseca 'dinamica della psiche' (per la verita piu postulata che dimostrata), Ardigo fluidifica l'associazionismo, passando da un'associazionismo meccanico ad uno dinamico, capace cioe di vedere il prodotto mentale come sintesi eccedente rispetto ai puri dati associativi: «Ia forza indistinta dell'ambiente si trasforma nell'anima cosciente». Per Ardigo, e Ia via psicologica che apre l'accesso aile strutture ed al meccanismo di svolgimento dell'intero mondo naturale: il processo di distinzione delle sensazioni, attraverso cui una porzione progressivamente crescente della natura viene sperimentata e cosi sottratta all'ambito indistinto della natura non ancora sperimentata, ripete l'indefinita potenzialita attiva di distinzione deija natura dall"indistinto originario' (dalla formazione del sistema solare alla formazione delle societa umane). Si tratta di un ritmo che non risponde ad alcun piano provvidenziale, ne ad alcuna superiore razionalita, rna risulta da un «semplice lavoro meccanico» che tuttavia non e rigidamente predeterminato, rna e aperto a sviluppi imprevisti ·e contingenti: l"indistinto' e «infinito e avente infinita virtuaiita». 7.18 L'indistinto. L'evoluzione come Iegge universale e quindi concepita da Ardigo sul modello psichico del passaggio dall'indistinto al distinto della coscienza, e non su quello fisico-fisiologico, sostanzialistico, del passaggio dall'o-
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mogeneo all' eterogeneo spenceriano: Lo stesso Spencer confessa di essere stato condotto al suo concetto dell'omogeneo, come antecedente della formazione naturale, dai dati delle scienze fisiologiche, mentre io sono venuto a quello dell'indistinto dallo studio del fenomeno cogitativo.
Da qui la presa di distanza ardigoiana dai rischi metafisici connessi alia posizione spenceriana: l'Indistinto non rinvia, come in Spencer, a nessun residua Inconoscibile, rna solo a qualcosa di lgnoto, che non trascende l' esperienza, rna che e suscettibile di essere scomposto e chiarito nei suoi elementi costitutivi e quindi puo diventare conosciuto. Ne deriva un'affermazione decisa d'immanentismo, coerentemente con la sua costante polemica anti-teologica. La filosofia ardigoiana e stata pasta, in ambito idealistico (si pensi all'aspro giudizio di Gentile), su di un piano addirittura prefilosofico, per la sua incapacita di elevarsi al di la del crudo dommatismo della certezza immediata del fatto; mentre in ambito positivistico essa e stata considerata, nella sua farraginosa costruzione sistematica, una variante delle metafisiche del positivismo evoluzionistico. Ma forse l'originalita di Ardigo e nella posizione realistica che abbiamo cercato di delineare, una posizione che salvaguarda l'attivita unificante e distinguente della coscienza rispetto alle sensazioni, nel quadro di un'unita naturale di cui la coscienza e parte costitutiva: le forme della mente, che si strutturano sulla base dell'esperienza, non fanno altro che riprodurre l'universale ritmo di distinzione delle forme naturali. L' esito ultimo dell' effusione immane delle forze che Ia natura dispone e consuma e l'essere santo che lavora per fare il bene.
La 'santita' della vita e frutto dell'evoluzione sociale che con le sue norme e sanzioni induce negli individui una 'idealita anti-egoistica' che li fa aspirare alla giustizia. Da notare che l'affermazione di un simile ideale sociale colloca Ardigo in una prospettiva anti-utilitaristica (avvicinandolo all'ultimo Stuart Mill), nonche anti-cristiana ed anti-kantiana, per il suo rifiuto di qualsiasi approccio individualistico all'etica. 7.19 La morale sociale. Ardigo tenta di attenuare l'implicito determinismo della visione evoluzionistica facendo uso della categoria del caso: l'universo cosi come e non e che il prodotto dell'incontro, in un dato punta del tempo, di innumerevoli serie causali. Necessaria e determinata e ciascuna di quelle serie; casuale e invece il ]oro incontro, e quindi anche il prodotto del loro incontro. In questa sensa, il pensiero umano e casuale, n~n necessitato. II pensiero che oggi troviamo nell'umanita, e un pensiero che si e formato per Ia continuazione di accidentalita infinite, succedutesi e aggiuntesi a caso le une aile altre; per cui a tutto. diritto si puo chiamare, esso, il pensiero complessivo di tutta l'umanita, una formazione accidentale, ne piu ne meno della forma bizzarra di una nuvoletta, che in cielo porti un tratto, prima che sfurrii, il vento e indori il sole.
La stessa combinazione tra la serie delle concatenazioni causali e Ia casua-
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lita del loro incontro serve ad Ardigo per fondare la liberta della coscienza morale. La liberta dell'uomo, cioe Ia varieta delle sue azioni, e l'effetto della pluralita delle serie psichiche o degli istinti, se cosi vogliono chiamarsi. E che, se e immensamente piu che negli altri animali, cio dipende unicamente dal fatto che Ia complessita della sua costituzione psichica, sia per Ia disposizione intima, sia per i rapporti col di fuori, si presta ad un numero di combinazioni immensamente maggiore.
La vita morale ha senso solo se e inquadrata in una sociologia organicistica, attenta alia 'costituzione della societa civile' (considerata nel suo ruolo propulsive) e al progressive adeguarsi di quest'ultima all'ideale della 'giustizia'. Un momenta essenziale di questa attenzione finalizzata alia giustizia e la pedagogia positiva, che deve farsi carico della trasmissione al corpo sociale di orientamenti socialmente legittimati, capaci di rintuzzare gli eventuali comportamenti devianti. Ne risulta un notevole appannamento del concetto di responsabilita individuale nell'agire etico, a vantaggio dell'idea di responsabilita sociale, di cui, con una sensibilita sociologica e psicologico-sociale forse inaspettata per l'epoca di Ardigo, vengono indagati i modi della socializzazione e dell'interiorizzazione (per esprimerci con termini del dibattito socio-psicologico del '900); laddove evidente appare il successo della filosofia ardigoiana, anche per le sue immediate implicazioni politico-sociali, in una fase della storia italiana in cui preminenti, dopo l'unificazione politica, erano le esigenze di stabilizzazione e di omogeneizzazione sociale. Tuttavia, (:oerentemente col rifiuto di un rigido determinismo nella evoluzione naturale e sociale, da considerarsi invece aperta a sviluppi imprevedibili grazie alla creativita umana, il fatto che la societa dia sostegno e fondamento all'idea di giustizia non esclude che l'umanita possa farsi promotrice di possibilita di perfezionamento umano e sociale che vadano al di la delle linee evolutive tracciate e prevedibili. In questa modo Ardigo lasciava aperta la porta al mutamento sociale, anche radicale, rna sottolineando sempre, per es. di fronte al socialismo - ridotto, in maniera a dire il vero semplicistica, a puro determinismo economico - la 'primalita' della «attitudine psichica della dinamica sociale», che «genera i fatti come quello economico e gli altri, ... rna creandosi cosi poi degli ambienti nuovi, che reagendo su di essa, vi determinano atteggiamenti ulteriori)), creativamente aperti sui futuro.
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0 Sommario. La determinazione del marxismo come dottrina univoca (almena nelle pretese) e successiva a Marx, e coincide con Ia storia ideologica della seconda Internazionale, nell'ultimo scorcio dell'Ottocento, in pieno clima positivistico (8.1). Rientra nel quadro di questa scolastica marxista il 'revisionismo' di Bernstein, che affida l'avvento della societa comunista aile graduali riforme da perseguire all'interno del sistema borghese (8.2). A lui si oppone, in nome dell'ortodossia marxista, Kautsky, che, con una impostazione evoluzionistica della visione della storia, considera il comunismo come il portato della crisi inevitabile, e per lui evidente, del s'istema borghese (8.3). In polemica col revisionismo, rna alieno, nel contempo, dalle rigidezze deterministiche di Kautsky, e l'itali;mo Labriola, chc approfondisce con originalita il materialismo storico, da lui detto 'genetico' (8.4). Nella stesso periodo si forma, in Russia, il prima nucleo di marxisti, fra i quali primeggia Plechanov, che, ritenendo non separabili il materialismo storico e quello dialettico, da al marxismo una forte accentuazione deterministica (8.5). Fra i sostenitori della necessita della rivoluzione, emerge Rosa Luxemburg, che, rifiutando Ia strategia del compromesso con Ia societa borghese, pone al centro dell'iniziativa rivoluzionaria l'azione delle masse, e plaude alia rivoluzione sovietica, senza pen) aderire a! rigido centralismo di Lenin (8.6). Ma e solo con Lenin che il marxismo diventa realta storica. Unendo all'attivismo spregiudicato un'intensa riflessione teorica, Lenin sviluppa alcuni temi di fonda: Ia dottrina della conoscenza come rispecchiamento, Ia costruzione del partito rivoluzionario, con particolare attenzione al ruolo degli intellettuali, J'analisi della fase imperialistica del capitalismo, Ia funzione della dittatura del proletariato (8.7). Prcnde avvio, in questa periodo, Ia riflessione di Gramscj, svolta poi nel carcere fascista. Distanziandosi dal centralismo di Lenin, Gramsci affioa l'esito rivoluzionario alia progressiva egemonia culturale della classe operaia, organizzata in 'consigli' e munita di uno strumento, il partito, da intendere come 'intellettuale collettivo' (8.8). Ma sui piano storico, il marxismo rivoluzionario segue altre vie. Presentandosi come vera interprete di Lenin, Stalin fonda una rigorosa ortodossia sui materialismo dialettico, trasformato in visione totalitaria della natura e della storia, da far valere, anche con atti di forza, contra tutti i deviazionismi (8.9). Del centralismo ideologico staliniano e strumento inflessibile il Komintern (Ia terza Internazionale) che condiziona lo sviluppo del marxismo tra le due guerre, provocando Ia contrapposizione (o il cedimento) dei 'marxisti occidentali' (8.10), come Korsch, che rifiuta il domma leniniano della conoscenza come rispecchiamento e propone un marxismo ricongiunto alia sua matrice hegeliana (8.11). A Hegel (di cui rivaluta la fase giovanile) si rifa anche Lukacs, che elabora una visione della storia centrata sulla coscienza di classe, una coscienza che il proletariato e in grado di esprimere da se, senza attenderla dall'esterno, e che sola puo contrastare il processo di reificazione intrinseco a! capitalismo (8.12). Su questi principi Lukflcs costruisce i canoni estetici del realismo critico, in base ai quali recupera anche la grande arte borghese, che, se realistica, e omogenea alia visione della realta di cui la classe operaia e portatrice (8.13). In modo del tutto originale, rna ispirato anch'esso a! rapporto Hegel-Marx, Bloch svolge di Marx il nucleo utopico, identificandolo col 'principia speranza', che e anche Ia matrice dell'esperienza religiosa dei popoli, in specie di quella ebraico-cristiana (8.14).
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II marxismo tra revisionismo e ortodossia 8.1 La seconda Internazionale (1889-1914). Fu solo dopo la morte di Marx che nacque il 'marxismo', inteso come insieme di dottrine ben determinate, consegnate, a loro volta, a un corpo di opere che ne dovrebbero assicurare il significato autentico. Ma gia qui si rivela l'ambiguita del termine. Come abbiamo visto, non pochi scritti fondamentali di Marx sono stati pubblicati postumi, alcuni addirittura nel quarto decennia del nostro secolo (5.5). E poi, l'insieme delle opere di Marx non contiene affatto una dottrina univoca. Marx era ben lontano dal considerare le proprie posizioni teoriche come un organismo "dottrinale con cui confrontarsi a prescindere dalla prassi politica. Tanto piu era lontano dal far suo il termine 'marxismo'. «lo non sono marxista», disse una volta (eravamo nel 1882) a.l genero Lafargue, alludendo, per la verita, a un'ala del movimento operaio che si rifaceva al suo nome per legittimare le proprie posizioni settarie. Per designare il suo pensiero egli usava il temine 'socialismo materialistico critico'. Sara Karl Kautsky, massimo esponente del partito socialdemocratico tedesco, segretario e amico di Engels (rna Marx lo aveva giudicato «mediocre» e «saccente») a dare l'avvio a una determinazione oggettiva della teoria marxista che solo oggi, dopo un secolo, sembra conclusa. Kautsky fonda la rivista Die Neue Zeit (II tempo nuovo), destinata a svolgere un incomparabile ruolo culturale, proprio l'anno della morte di Marx, il 1883. Ma com'e nella natura del marxismo, il dibattito al suo interno piu che una vicenda fra intellettuali fu il riflesso teorico dei contrasti che accompagnarono fin dalle origini Ia seconda Internazionale. Fu allora che la corrente marxista del movimento operaio comincio a prevalere nei confronti delle altre, come quelle degli anarchici, dei proudhoniani e degli utopisti di vario genere, scongiurando, cosi, il fallimento che proprio in seguito aile lacerazioni ideologiche fra Marx e Bakunin aveva provocato la fine della prima Internazionale, nel 1872. Le condizioni sociali erano ormai diverse. Nel quadro di un'Europa sempre piu industrializzata, a cui si aggiungevano ormai anche gli Stati Uniti, il movimento operaio conobbe una rapida crescita e, con la crescita numerica, anche una piu viva esigenza di raccordi internazionali. Agli occhi di Engels e dei leaders del movimento operaio in Germania, questa esigenza offriva l'occasione per spezzare I'isolamento ideologico in cui versava la socialdemocrazia tedesca, sulla quale, dopo il sanguinoso epilogo della Comune di Parigi (1871), si erano ormai addossate le speranze del socialismo mondiale. Fu cosi che tra il 1889 e il 1891 nacque la seconda Internazionale, sulle prime come semplice quadro di coordinamento e poi, sulla spinta della maturazione dei partiti operai, come organismo di dibattito e di produzione ideologica, e cioe come 'intellettuale collettivo'. Cosi, ad esempio, quando, nel Congresso di Londra del 1896, si doveva rispondere al problema di chi avesse il diritto di diventar membro dell'Internazionale, il Congresso rispose fissando due condizioni: la sostituzione della proprieta e della produzione socialista alla proprieta e alia produzione capitalista; il riconoscimento dell'azione legislativa e parlamentare della democrazia borghese. Le due condizioni significarono praticamente il rigetto, a destra, dei riformisti e, a sinistra, degli anarchici. Attra-
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verso simili determinazioni teorico-operative, prendeva forma, in concreto, l'incontro tra la dottrina marxista e la realta della Iotta di classe, che per l'avanti erano restate, nonostante tutto, in dimensioni storiche diverse e quindi estranee l'una all'altra. In tal modo, il marxismo divento un fattore di formazione delle masse e di elevamento del livello di coscienza degli strati operai e popolari. Era fatale che, cosi divulgato, il marxismo contraesse l'impostazionc schematicamente ottimistica propria della cultura del tempo, che sul quadrante della storia civile era il tempo delle conquiste coloniali, delle invenzioni scientifiche e delle conseguenti rivoluzioni tecnologiche. Ecco perche il marxismo della seconda Internazionale sara di tipo positivistico, cioe fortemente influenzato dai modelli ideologici divulgati dal darwinismo (7.13) e dall' evoluzionismo spenceriano (7.16). Il socialismo - il sol dell'avvenir - appare come lo sbocco naturale e necessaria delle tendenze evolutive dell'eta capitalistica, come l'inevitabile conseguenza dei processi di accum ulazione descritti da Marx nel Capitale ( 5.19). Cosi contagiato dallo spirito del tempo, il socialismo, oltrechtY programma di emancipazione sociale e politica, diventa, svolgendo un orientamento gia avviato da Engels, una vera e propria concezione del mondo, che inquadra e spiega unitariamente la storia della natura e·la storia dell'uomo, dalla nascita del protozoa al trionfo del socialismo. E tuttavia, come stiamo per verificare analiticamente, il marxismo della seconda Internazionale non fu del tutto dominato dal determinismo positivistico, nemmeno nell'area dei marxisti 'ortodossi'. Nel suo ambito, si danno tensioni di carattere etico (anche all'insegna di un 'ritorno a Kant'), si sviluppa una rivalutazione della dialettica hegeliana, e soprattutto si fa vivacissima l'incidenza della tendenza 'rivoluzionaria', rappresentata da leaders di enorme prestigio, come Rosa Luxemburg e Lenin o come, in un'altra area o in un momenta diverso, Antonio Gramsci. Questi contrasti precipitano quando, nel 1914, i gruppi dirigenti della maggior parte dei partiti socialisti si schierano, spezzando le tavole di bronzo dell'internazionalismo, con le rispettive borghesie nazionali, in occasione della prima guerra mondiale: nel Reichstag tedesco i socialdemocratici votano i crediti di guerra. Contro questa atteggiamento si scaglia Lenin, che Iancia la parola d'ordine della 'guerra imperialistica' e, nel 1917, si pone a capo della Rivoluzione d'ottobre in Russia. Si apre un processo che portera alia formazione, nel 1919, di una nuova organizzazione del movimento operaio: la terza Internazionale (Komintern), di ispirazione sovietica. 8.2 II revisionismo di Bernstein. Negli ultimi decenni dell'Ottocento, il contrasto piu vivace, in seno al marxismo, fu quello tra 'revisionisti' e 'ortodossi'. L'ispiratore di maggior rilievo del prima schieramento fu Eduard Bernstein, • la cui opera di revisione della dottrina di Marx fu cosi radicale, da guadagnarsi gli attacchi, anche virulenti, degli ortodossi e dei rivoluzionari, e cioe delle correnti di cui intendiamo tracciare, in questa capitola, un panorama preciso, anche se sommario. Oggi che le posizioni di Bernstein sono tornate di attualita, e possibile riconoscere che il suo tentativo era, di liberare le intuizioni vitali di tvlarx e di En-
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gels dagli elementi caduchi e dogmatici con cui esse si intrecciano, nella loro opera. Del resto, nella fase piu matura della !oro produzione, essi si erano avveduti dei rischi connessi a una concezione deterministica della svolgimento della storia e delle leggi che governano Ia societa: (... ) In una lettera a Conrad Schmidt - scrive Bernstein - datata 27 ottobre 1886, Friedrich Engels ha acutamente dimostrato in che modo certe istituzioni sociali si trasformino, da prodotti della sviluppo economico, in fattori sociali che acquistano una loro autonomia di movimenlo, e come questi, a !oro volta, reagiscano su quello e possano spingerlo avanti, arrestarlo o indirizzarlo per altre vie (... ). II materialismo storico dunque non nega affatto che i fattori politici e ideologici abbiano un movimento autonomo. Esso contesta unicamente il carattere incondizionato di questa movimento autonomo ....
Eduard Bernstein nasce a Berlino nel 1850. Come esponente di rilievo del partito socialdemocratico tedesco, nel 1878, a causa delle leggi eccezionali antisocialiste allora in vigore, deve espatriare. Rifugiatosi a Zurigo, pubblica, col suo futuro avversario Kautsky, l'autorevole rivista Sozialdemokrat. Espulso dalla Svizzera nel 1888, si rifugia a Londra, dove diviene amico e segretario di Engels, di cui sara esecutore testamentario. Rientrato in Germania nel 1902, Bernstein viene piu volte eletto deputato. Sostenitore di una politica rifonnistica e revisionistica, e tra colora che nel 1914 votano i crediti di guerra, sostenendo che Ia socialdemocrazia tedesca deve assumere un responsabile atteggiamento nazionale e patriottico di fronte ai compiti posti dalla guerra. E' Ia fine dell'internazionalismo proletario teorizzato dalla seconda Internazionale socialista, destinata ormai a scontare una rottura irrimediabile e Ia conseguente scissione. Dopa la Rivoluzione d'Ottobre, Bernstein (autore oltre che de I protagonisti del socialismo e i compiti della socialdemocrazia (1893), di opere quali Per Ia storia e la teoria del socialismo e Ferdinand Lasalle) polemizza aspramente con il leninismo e critica le caratteristiche che va assumendo il nuovo stato sovietico. L 'elaborazione politica e teo rica di Bernstein ha un effetto dirompente e diviene, per molti, oggetto di scandala. Bernstein (che, nonostante le critiche e le opposizioni incontrate, manterra sempre un certo seguito e prestigio all'interno della socialdemocrazia tedesca) espone le sue tesi piu note in una serie di articoli, pubblicati tra il 1896 e il 1898 su Die Neue Zeit; in seguito tali articoli, il cui contenuto e ampliato e riveduto, vengono pubblicati nel volume I presupposti del socialismo e i compiti della socialdemocrazia, che puo essere considerato un autentico manifesto del 'revisionismo: Dopa Ia prima guerra mondiale, prende parte attiva alia formazione della Repubblica di Weimar. Muore w1 mese e mezzo prima dell'ascesa a! potere di Hit{er, ne/1932.
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All'interno di una visione della storia non deterministica, il socialismo non puo dunque essere un qualcosa di 'necessaria', ne di inevitabile', come ritiene il marxismo 'evoluzionistico' della seconda Internazionale; esso puo essere solo 'desiderabile', auspicabile da un punto di vista etico. Tesi questa largamente condivisa dall'indirizzo di pensiero neokantiano (1 0.1 ), che tendeva a sottolineare nuovamente il valore ed il peso del momenta soggettivo ed etico nel comportamento umano e nella dialettica sociale. Al contrario, la dialettica di origine hegeliana, proprio perche sottolinea gli elementi di ambiguita, di non-scelta e di duplicita presenti nell'uomo e nella storia, e considerata da Bernstein co· me l'«elemento infido del marxismo)). Per preparare nuove e piu accettabili condizioni di vita per il p'roletariato e gli altri ceti popolari, c'e una sola via da seguire, senza ambiguita: scartata ogni ipotesi rivoluzionaria (anche se ai proletari viene riconosciuto, in linea di principia, una sorta di estremo 'diritto alia rivoluzione'), non resta che una leota, graduale trasformazione sociale interna alla stessa societa borghese. E' Ia via della riforma della societa, che presuppone, sul piano politico, un lavoro all'interno delle istituzioni borghesi, che puo anche trasformarsi in vera e propria colla borazione. Respingendo l'ipotesi della costruzione della societa socialista per mezzo della dittatura del proletariato, Bernstein esalta il valore della democrazia, che e «... al tempo stesso, mezzo e scopo. E' il mezzo della Iotta per il socialismo ed e la forma della realizzazione del socialismm>. Proprio perche fa sua la struttura democratica della societa borghese e si propane non di distruggerla, rna semplicemente di fornirle un ordine nuovo, il movimento socialista non viene piu a contrapporsi alia migliore tradizione borghese ed al liberalismo; rna anzi vi si riallaccia positivamente. All'ipotesi democratica e 'gradualistica' cosi delineata, fa da corollario teorico la contestazione di alcuni temi del pensiero marxiano, come la previsione di un progressivo impoverimento del proletariato e la scomparsa tendenziale dei ceti medi dalla societa. Bernstein infatti (e si e trattato, in questa caso, di una visione storicamente lungimirante) sostiene che i ceti medi e le piccole-medie aziende tendono non a scomparire, rna a permanere, e in akuni casi ad acquisire importanza. 11 'revisionismo' di Bernstein giunge fino ad attribuire all'economia capitalistica Ia capacita di regolare, limitare e addirittura eliminare le proprie crisi. 8.3 L"ortodossia' di Kautsky. 11 socialismo non puo porsi come compimento e proseguimento del liberalismo, rna come suo superamento; limitarsi a una revisione del capitalismo, equivale ad attribuirgli la capacita di rigenerarsi e quindi a fame l'apologia: e questa l'argomento di fondo su cui si svolge Ia polemica antirevisionistica di Karl Kautsky,• considerato il fermo custode dell'ortodossia marxista e, sul piano del giudizio storico, il vero e propho organizzatore culturale del marxismo, specie attraverso Ia sua rivista Die neue Zeit. Pur respingendo la tesi, attribuita a Marx erroneamente, dell'impoverimento assoluto della classe operaia, Kautsky e coiwinto, con Marx, che il capitalismo non puo non portare ad un sostanziale peggioramento delle condizioni sociali dei proletari e degli altri lavoratori. Gli stessi strati intermedi della societa possono sopravvivere solo a prezzo della loro subordinazione alla logica e
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al predominio del grande capitale. 11 sistema capitalistico non puo dunque che approdare a uno stadia in cui si ponga oggettivamente l'esigenza del passaggio a un ordinamento diverso, di tipo socialista. Un tale approdo, nella concezione kautskyana (in un'ottica completamente rovesciata, rispetto alle posizioni di Bernstein) e ritenuto necessaria, sostanzialmente inevitabile. Due, pero, sono le implicazioni di questa marxismo 'oggettivo': la posizione attendista del proletariate, che dovrebbe accumulare forze ed acquisire una propria autonomia ideologica ed organizzativa, in attesa dell'avvento della nuova societa; una lettura della storia in chiave sostanzialmente evoluzionistica. E' bene ricordare che Kautsky era giunto al marxismo non attraverso Hegel, rna attraverso Darwin. La 'Iotta per la sopravvivenza', che Darwin pone alIa base dell'evoluzione biologica, ben si raccorda, per Kautsky, alla Iotta di classe. Ecco perche l'approdo al socialismo non e un postulate etico, come vorrebbero i neokantiani, rna il portato necessaria di un processo storico che si tratta di assecondare, sviluppando nella classe operaia indistruttibili istinti comunistici. Tali istinti, che si contrappongono agli 'istinti individualistici' del tutto inefficaci per l'emancipazione del proletariate, devono essere sollevati a una visione complessiva dei rapporti di classe e dei meccanismi di funzionamento della societa, visione che i proletari, da soli, non possono raggiungere. «La coscienza socialista - scrive Kautsky - e un elemento importato dall'esterno e non un qualcosa che si formi spontaneamente». A «portare)) alla classe operaia dall' esterno Ia «coscienza socialista», sono colora che in base al loro ruolo hanna Ia capacita di una lettura complessiva delle dinamiche sociali e di interpretazione del 'fine' e del 'sensa' della sviluppo storico. Sono gli intellettuali. Ripresa da Lenin (8.7) nel Che fare?, questa concezione sara gravida di conseguenze per lo sviluppo e le sorti del movimento operaio. L'attribuzione di un ruolo, in qualche modo preminente (anche se non egemonico), agli intellettuali che, teoricamente, dovrebbero porsi al servizio del proletariate, per rendergli chiari i fini e gli obiettivi politici, sara infatti - secondo l'interpretazione di molti critici della tesi leninista di diretta derivazione kautskyana - all'origine di molte deviazioni autoritarie e verticistiche dei movimenti di ispirazione Karl Kautsky nasce a Praga, nel 1854. Nel 1875 diviene membra del Partito socialista austriaco. Rifugiatosi a Zurigo, vi fonda, insieme a Bernstein, il giornale Sozialdemokrat (1880-1881). NeZ 1881, a Londra, diviene segretario di Engels e nel 1883 fonda, a Stoccarda, Ia rivista Die Neue Zeit. La rottura con Bernstein avviene nel congresso socialdemocratico del 1891, ma le posizioni dei due leaders si avvicineranno al momenta della scoppio della prima guerra mondiale, quando Kautsky sara in violenta polemica con Lenin. Durante Ia repubblica di Weimar, ricopre cariche pubbliche. NeZ 1934 si rifugia prima in Cecoslovacchia e poi a Vienna, dove e arrestato dai nazisti nel 1938. Fuggito ad Amsterdam, vi muore poco dopa. E' autore di numerosi saggi, tra i quali La questione agraria, La via del potere, Le dottrine economiche di Carlo Marx, II programma di Erfurt, La rivoluzione sociale, La concezione materialistica della storia.
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marxista. Va detto comunque che Kautsky non intende affatto attribuire agli intellettuali un ruolo predominante nella Iotta per il socialismo: nella sua visione, tocca al partito operaio unificare la componente proletaria (con il portato della sua esperienza di Iotta) e quella intellettuale (capace di produrre teoria). Feroce critico del revisionismo, Kautsky non e tuttavia un sostenitore della via insurrezionale al socialismo. Proprio in ragione della sua visione evoluzionistica della storia (di cui il socialism a e una tappa ineludibile ), egli si oppone alIa presa violenta del potere, che ammette, se mai, in condizioni diverse da quelle dell'Europa occidentale (ad es. nella Russia zarista). E come rigetta Ia violenza, cosi rigetta ogni idea di dittatura del proletariato. n socialismo, pur comportando l'abolizione della proprieta privata, dovra essere non solo <
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Turati ( 1857 -1932). che pen) preferisce dedicarsi pili alia attivita politica nei suoi risvolti concreti che non alia riflessione teorica. Un rilievo di primo piano, dal punto di vista teorico, viene ad assumere invece !'opera di Antonio Labriola*. All'espressione 'materialismo dialettico' egli preferisce quella di 'materialismo basato sui metodo genetico'. II metodo 'genetico', che il marxismo permette di applicare alia lettura della realta, rivela come le mutazioni <;toriche siano riconducibili (in maniera non meccanica ne rigidamente deterrhinistica) aile modificazioni della base economica. In questo senso vanno criticati gli empiristi, che pretendono di spiegare Ia realta storica in base all'analisi di singoli aspetti e singoli fenomeni (i 'fattori'). La storia puo essere invece !etta, in modo unitario, come storia di un 'organismo sociale' solo se si adottano i prindpi del materialismo storico. Allora essa si fa essenzialmente storia del 'lavoro' e storia della 'prassi'. Finora essa e stata essenzialmente storia di sfruttamento e oppressione: i movimenti socialisti, inserendosi nelle contraddizioni dello sviluppo capitalistico, possono aprire un futuro radicalmente diverso. Pur non ponendosi da un punta di vista rigidamente deterministico, Labriola rifiuta il socialismo 'etico' di derivazione neokantiana: «l'etica» consiste nel «mettere il pensiero scientifico al servizio del proletariat<>.» Anche se rivendica una visione unitaria della storia e ribadisce.l'importanza del metodo dialettico (o genetico), Labriola si rifiuta di volgere Ia dialettica a costruire una 'iperfilosofia' monisticamente intesa, che pretenda di «riscrivere a novo tutta l'enciclopedia filosofica». In questo senso Labriola prende le distanze da Engels (che per altri versi ammira molto e col quale mantiene una ricca corrispondenza epistolare) e dalle tendenze che da Engels traggono le premesse, per formulare una nuova filosofia generale, una nuova scienza «dello sviluppo della natura, della societa umana, del pensiera». Proprio in ragione di questa sua diffidenza per le interpretazioni chiuse e rigide del marxismo, egli simpatizza inizialmente con Bernstein, di cui apprezza lo spirito critico. Ma con la pubblicazione de I presupposti del socialismo e i compiti della socialdemoAntonio Labriola nasce a Cassino nel 1843. Sotto Ia guida di Bertrando Spaventa, studia Hegel e Spinoza. Divenuto professore all'Universita di Roma, nel 1874 aderisce al movimento socialista e solo successivamente, nel 1890, intraprende lo studio di Marx, avviando una ricca corrispondenza cun Engels. I suoi scritti - ricordiamo In memoria del Manifesto dei comunisti (1895 ), Del materialismo storico: delucidazione preliminare (1896), Disconendo di socialismo e filosofia (1 898) - contribuiscono a ristabilire una cognizione corretta del pensiero di Marx, mettendo in evidenza, ad esempio, il ruolo che vi ha il metoda dialettico. Importante e il rapporto di intensa collaborazione culturale col giovane Benedetto Croce, che perc) ben presto si distacca dal marxismo, di cui diventa un avversario di grande levatura ed efficacia, almena nell'orizzonte italiano. Non si dimentichi che a Labriola e a Croce molto deve anche Antonio Gramsci. Muore nel/904.
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crazia, in cui Bernstein chiarisce la portata revisionistica del suo pensiero, Labriola modifica in senso critico il suo atteggiamento, messo in guardia anche dalla strumentalizzazione antisocialista a cui di fatto si trovano esposte le tendenze revisionistiche. Non gli sfugge, certo, che l'evoluzione della societa, negli ultimi anni del secolo, non puo essere spiegata solo facendo riferimento ai principi elaborati dai fondatori del socialismo scientifico. E tuttavia si rifiuta di qualificare il travaglio, che nella nuova situazione attraversa il pensiero socialista, come 'crisi del marxismo', alia maniera di Sorel, di Croce e di Bernstein. In opposizione a giudizi troppo frettolosi e spesso male intenzionati, Labriola ribadisce Ia validita del pensiero basato sui 'comunismo critico' (espressione preferita a quella di 'marxismo', che Labriola utilizza solo in omaggio alla terminologia piu diffusa) e prende nettamente le distanze da coloro che (come i revisionisti di varia natura) «... non hanno il modo di mettere all'unisono il loro tempo psicologico (il che vuol dire, in prosa, Ia pazienza e lo spirito di osservazione) col ritmo del tempo delle cose, si stancano a mezza via e si mettono fuori dalle linee)).
8.5 II marxismo in Russia: Plechanov. Nei primi decenni della seconda meta dell' Ottocento niente in Russia avrebbe potuto far prevedere la nascita di un significativo movimento operaio di ispirazi:one marxista, ne tantomeno di un movimento capace di condurre a huon termine un'azione rivoluzionaria. In quei decenni, infatti, la Russia e dominata dall'autocrazia zarista, che continua a mantenere il paese in condizioni di eccezionale arretratezza: basti pensare che l'emancipazione dei servi della gleba e del 1861. 11 ritardo dello sviluppo capitalistico (fino al 1880 non si puo parlare di un reale avvio dell'industria) e la conseguente esiguita della componente proletaria nella societa, fanno si che anche i movimenti di opposizione assumano essenzialmente un carattere anarchico e populistico: fioriscono le teorie utopistiche, che, valorizzando la cornunita rurale (obscina), ipotizzano il passaggio a un socialismo comunitario che 'salti' lo sviluppo capitalistico, mentre le lotte contro l'autocrazia assumono assai spesso Ia caratteristica dell'atto terroristico ed esemplare, come nel caso delle azioni condotte dai membri della Liberta del popolo (Norodnaja Volja). Tuttavia il contatto degli intellettuali e dei rivoluzionari con Ia cultura europea, l'avvio e lo sviluppo - sia pure tardivi - dei primi processi di industrializzazione, i primi scioperi operai, pongono le condizioni per Ia diffusione del marxismo e per la nascita dei primi circoli socialisti. L'esponente piu autorevole di questo marxismo russo delle origini e Plechanov, • la cui immagine sara in seguito quasi del tutto oscurata da quella di Lenin. L'approccio di Plechanov al marxismo e di carattere fortemente deterministico, come appare nella sua opera dal titolo, gia di per se eloquente, di Sviluppo della concezione monistica della storia ( 1985). Contestando Ia tesi di chi ritiene che nella storia siano rintracciabili, con criteri di analisi sociologica, i singoli fattori che ne determinano lo svolgimento, Plechanov ha della storia una visione radicalmente unitaria in cui «... i fattori sociali si rivelano semplici astrazioni)). Infatti, «... gli uomini non creano storie distinte tra loro - una storia del diritto, una della morale, una della filosofia,
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ecc. - rna solo Ia storia dei loro propri rapporti sociali, che, in ogni dato tempo, sono condizionati dallo stato delle forze produttive)). In ultima analisi,
e nell'economia politica che va ricercata l'anatomia della societa civile. E' Ia condizione economica di un popolo che determina Ia sua condizione sodale e Ia condizione sociale di un popolo determina a sua volta i caratted politici, religiosi, e cosi via. La condizione economica degli uomini trae origine, secondo Plechanov, dalla Iotta che essi devono condurre contro Ia natura e le sue avversita. E' vero, si, che nella stona occupano un posto importante le grandi personalita dal ruolo di protagonisti, rna esse sono determinate da altre forze e, in ultima analisi, dalle cause di base, di ordine materiale e strutturale. Svolgendo, ndl'ambito del marxisino russo (e anche internazicinale), un ruolo di 'custode dell'ortodossia', in qualche modo paragonabile a quello di Kautsky, Plechanov polemizza contro il revisionismo di Bernstein, contro le tendenze teoriche neokantiane, contro Ia tendenza a ridurre il marxismo a sociologia e ad economia politica. Richiamandosi a Engels, egli difende l'impianto complessivo, rigorosamente coerente, del materialismo storico (come sistema filosofico capace di dire compiutamente una sua parola sui problemi dell'ontologia) e del materialismo dialettico (espressione che forse e stato proprio lui, Plechanov, a mettere in circolazione). All'interno di un tale sistema filosofico, rigorosamente unitario e coerente, Plechanov giunge a una definizione della materia e del rapporto soggettooggetto che anticipa Ia teoria del rispecchiamento di Lenin. Gli oggetti materiali, che esistono indipendentemente dalla nostra coscienza, suscitano le sensaGeorgij Valentinovic Plechanov nasce nel J86Z Contribuisce efficacemente alla diffusione del marxismo in Russia traducendo le opere dei classici del socialismo scientifico (sua e Ia traduzione del Manifesto del Partito Comunista di Marx, nel 1882). AI marxismo Pleclzanov era approdata, dopa una iniziale militanza nelle file del partito populista, durante il suo esilio in •occidente (dove costituisce, a Ginevra, il gruppo 'Emancipazione del Lqv.oro'). Attivamente partecipe delle vicende e del dibattito del nascente movimento operaio russo, e, con Lenin e Martov, tra i fondatori del giornale Iskra (La Scintilla). Piu tardi, nel 1904, si contrappone a Lenin nel dibattito sulla teoria del partito, clze egli vorrebbe organizzare alia maniera del partito socialista democratico tedesco e non secondo i criteri 'centralistico-democratici' leniniani. Le polemiclze allargano il solco clze lo separa da Lenin fino al punto clze, allo scoppio della Guerra Mondiale, si schiera con i socialisti 'patriottici; sostenendo che anche il movimento operaio deve fare la sua parte nella difesa nazionale e, in seguitq alla Rivoluzione di Febbraio del 1917, si schiera col governo democratico borghese di Kerenski. Muore l'anno dopa in Finlandia. Fra le sue opere, importanti, oltre a/ Saggib sulla concezione monistica della storia (1 985), il Saggio sulla storia del materialismo (1898) e Le questioni fondamentali del marxismo (1908).
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zioni che stanno alia base delle nostre rappresentazioni del mondo. Fedele a questa realism a, egli si oppone all' empiriocriticismo di Aleksandr Bogdanov (1873-1928) e, in modo anche piu radicale, alle teorie della 'costruzione di Dio' con le quali Anatoli Lunacarskij (1875-1933) e Maksim Gorkij (1868-1936) pensavano di pater completare il marxismo scientifico con un misticismo religioso di tipo umanistico.
II marxismo rivoluzionario 8.6 Rosa Luxemburg. Una delle espressioni piu limpide e piu coraggiose del radicalismo rivoluzionario all'interno del movimento operaio e Rosa Luxemburg*, che fu un'implacabile avversaria (molto piu di Kautsky) del revisionismo alla Bernstein. A suo giudizio, il difetto di fonda del revisionismo ·e l'assenza di una visione dialettica della realta. E' per questa che Bernstein non comprende che riforma e rivoluzione si escludono a vicenda. Nel suo cammino verso un esito rivoluzionario della Iotta (da non identificare, comunque, con la giacobina 'presa del potere', avvenuta in un determinato e preciso giorno, rna con una serie di momentanee sconfitte e di vittorie che la classe operaia deve prepararsi a gestire) il proletariato non puo fare affidamento sul moderno Stato borghese e sui metodi del parlamentarismo. Con tono sarcastico, la Luxemburg chiede a Bernstein se un trapasso epocale come quello da un assetto sociale capitalistico ad uho socialista puo essere realizzato seguendo i vuoti riti in auge neUe aule parlamentari: per la rivoluzionaria polac;ca non possono esservi dubbi sul fatto che il moderno Stato e lo Stato della borghesia. Si illudono, dunque, quei socialisti democratici che pensano che esso possa essere governato nell'interesse generale della societa e avviato verso trasformazioni radicali. La Iotta proletaria deve dunque basarsi, in questa attica, non sull'obiettivo della conquista della maggioranza parlamentare per av-
Nata in Polonia nel 1870, Rosa Luxemburg partecipa alle vicende del movimento socialista del suo paese, che deve per6 ben presto abbandonare per stabilirsi prima in Svizzera, dove conosce alami esponenti del marxismo come Plechanov, poi (nel 1896), definitivamente, in Germania. Da allora sara una delle figure piu prestigiose, singolari e brillanti della socialdemocrazia tedesca, all'interno delle cui file sara protagonista di dibattiti e scan tri vivacissimi. Allo scoppio della prima guerra mondiale, la Luxemburg e tra colora che criticano, aspramente la componente maggioritaria della socialdemocrazia, con Ia quale giunge ad una drammatica rottura, fondando un nuovo movimento rivoluzionario: Ia Lega di Spartaco. £' quale dirigente della Lega di Spartaco che, nel 1919, Ia Luxemburg viene arrestata e poi barbaramente uccisa da alcuni ufficiali del contingente militare inviato a reprimere un tentativo insurrezionale proprio da un governo a direzione socialdemocratica. Tra le opere della Luxemburg si ricordano: Riforma sociale o rivoluzionaria?; L'Accumulazione del capitale; La Rivoluzione russa.
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viare un 'socialismo di governo', rna sull'azione spontanea delle masse e principalmente sullo sciopero generale spontaneo di massa. Avendo presenti queste posizioni, si puo spiegare l'entusiasmo con cui la Luxemburg saluta il tentativo rivoluzionario avvenuto in Russia nel 1905, proprio a partire da grandi scioperi di massa. L'azione di massa in direzione di un nuovo assetto sociale e vista come l'unica alternativa all'imbarbarimento del sistema capitalistico, che da lungo tempo ha esaurito Ia sua funzione progressiva. E' Ia celebre alternativa fra 'socialismo' o 'barbarie' che Ia Luxemburg proclama accoratamente, rilevando che il «... dilemma dinanzi a cui si trova l'umanita si presenta cosi: o il tramonto nell'anarchia o Ia salvezza per opera del socialismo». Un'alternativa che si pone con drammatica urgenza in occasione della prima guerra mondiale, quando Ia contesa fra i diversi stati imperialistici (come nota Ia Luxemburg) distrugge, con migliaia di giovani vite, le forze migliori, piu intelligenti, piu valide, del proletariato mondiale. All'analisi del meccanismo e del funzionamento del capitalismo e dell'imperialismo la Luxemburg dedica Ia sua opera L 'accumulazione del capitale: il capitale per Ia sua riproduzione ha bisogno di espandersi in ambiti e in paesi non capitalistici, verso i quali si dirige la quota di plusvalore dedicata alia riproduzione del capitale medesimo. In questo modo i paesi non-capitalistici tendono pero a trasformarsi in capitalistici ed il capitalismo medesimo (venendo a mancare gli spazi vitali di espansione) tende ad andare verso Ia fine. Ci sono ancora territori basati su un modo non-capitalistico di produzione: la Iotta per impadronirsi di tali spazi (in cui si producono materie prime) e all'origine dell'imperialismo. E' comunque inevitabile che Ia Iotta per Ia conquista dei mercati - che tende ad eliminare i residui pre-capitalistici - conduca alia fine del capitalismo. Questa conclusione attira alia Luxemburg le critiche dei leninisti, i quali temono che Ia fiducia nel crollo automatico del sistema capitalistico generi, nel movimento operaio, un imbelle atteggiamento attendista. Sara anche la sua adesione ai principi della democrazia - vissuta peraltro in una dimensione radicalmente antiborghese - che portera Ia Luxemburg a differenziarsi, su molte questioni, dalle impostazioni di Lenin e del partito bolscevico. Di Lenin - con cui pure manterra sempre una forma di solidarieta critica - ella non puo condividere Ia concezione 'ultracentralistica' del partito, Ia sua impostazione 'verticistica' (l'importanza e il ruolo attribuito al Comitato centrale), Ia tendenza a portare dall'esterno Ia 'coscienza rivoluzionaria' alia classe operaia. E' partendo da questo retroterra politico e culturale che puo intendersi il complesso giudizio che la Luxemburg da della Rivoluzione d'Ottobre e del nuovo stato sovietico che va sviluppandosi a partire dal 1917. La Luxemburg non confondera mai Ia sua posizione con quella di Kautsky e di altri autorevoli esponenti socialdemocratici, che rimproverano a Lenin e ai bolscevichi di essere usciti dai binari della rivoluzione borghese, di aver fatto violenza allo svolgimento graduale di un equilibrato processo di sviluppo in Russia, andando cosi inevitabilmente verso una situazione di pesante autoritarismo. AI contrario, ella solidarizzera profondamente con i bolscevichi e comprendera appieno il grande valore storico della rottura rivoluzionaria in Russia. Se qualcuno ha qualcosa da rimproverarsi, dira in sostanza Ia Luxemburg,
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siamo noi, i socialdemocratici tedeschi, il proletariato occidentale, che la rivoluzione non e stato in grado di farla e che cosi fa venire a mancare un prezioso sostegno internazionale ai rivoluzionari russi. Anche in questo modo, con l'isolamento internazionale, con le difficolta della guerra, con le difficolta insite nella risoluzione dei problemi di un paese sottosviluppato, si possono spiegare gli errori dei bolschevichi. Errori che pure rimangono e che Rosa Luxemburg non esita a criticare, lamentando lo scioglimento dell'Assemblea Costituente e Ia soppressione di alcune fondamentali regole di vita democratica interna. «La liberta riservata ai partigiani del governo, ai soli membri di un unico partito ... non e liberta. Liberta e sempre e solo liberta di chi pensa diversamente», e un suo giudizio, notissimo, che assume un valore di epigrafe e che suona esemplare anticipazione di molte critiche che anche da sinistra saranno mosse, in seguito, a un socialismo divenuto burocratico ed autoritario. Tra Lenin e la Luxemburg, nondimeno, la polemica non e mai degenerata. Celebre e la definizione di Lenin: «... accade a volte alle aquile di scendere persino piu in basso delle galline, rna mai alle galline di salire allivello delle aquile.)) 8.7 Lenin. E' superfluo sottolineare l'importanza che riveste l'opeta di Vladimir Il'ic Ul'janov, detto Lenin, ( 1870-1924), che ha legato il suo nome alla rivoluzione sovietica del 1917. AHa causa rivoluzionaria e dedicata praticamente tutta Ia sua vita, segnata fin da giovanissima eta dal crudo episodio della fine del fratello, condannato a morte dal regime zarista per Ia sua appartenenza aile file dei nihilisti. La sua partecipazione all'attivita dei circoli operai, che si andavano allora diffondendo in Russia, e lo studio dei testi di Marx e di Engels (a livello teorico, avra per lui una grande importanza anche lo studio attento di Hegel) contribuiranno ad orientarlo decisamente verso il marxismo, di cui clara una lettura rivoluzionaria assai diversa da quella evoluzionistica ed economicistica diffusa all'interno della seconda Internazionale. Orientatosi ben presto verso la fondazione di un partito socialdemocratico in Russia, il suo bersaglio sono le tendenze anarchicheggianti del movimento operaio e il populismo. In un suo testo, Lo sviluppo del capitalismo in Russia (1899), con una acuta e precisa analisi della situazione sociale della Russia e della sua struttura economica, Lenin dimostra che il paese si sta ormai avviando (pur con i suoi enormi ritardi) a seguire lo stesso destino dell' occidente. II capitalisrno, egli sostiene, e destinato, nel suo sviluppo, ad avere (nonostante le sue caratteristiche di sfruttamento) un ruolo storicamente progressivo, rna solo in una fase assolutamente transitoria. Nella stessa Iotta democratica contro l'autocrazia - come Lenin piu volte sosterra, ad es. in polemica con Plechanov, dopo la rivoluzione del 1905 - il proletariato dovra prendere la guida del processo rivoluzionario, che sarebbe assurdo lasciare aHa debole, contraddittoria e, in definitiva, reazionaria borghesia russa. Nella Iotta anticapitalistica, non ci si puo affidare alla semplice spontaneita delle masse operaie. II partito rivoluzionario, che dovra essere un disciplinato e compatto partito di combattimento (formato da «uomini la cui professione sia l'azione rivoluzionaria)>), dovra tendere a superare il livello di coscienza puramente rivendicativa, per condurre gli sfruttad verso una coscienza politica e una visione complessiva dei rapporti sociali. La· maturazione della coscienza
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politica non puo dunque avvenire spontaneamente: essa, sostiene Lenin, riprendendo la concezione di Kautsky (8.3), deve essere portata alla classe operaia dall' esterno. La coscienza di classe puo essere portata all'operaio solo dall' esterno, cioe dall'esterno della Iotta economica, dall'esterno della sfera dei rapporti tra operai e padroni. II solo campo dal quale e possibile attingere questa coscienza e il campo dei rapporti di tutte Ie classi e di tutti gli strati della popolazione con lo Stato e con il governo, il campo dei rapporti reciproci di tulle Ie classi.
Il compito di elaborare la teoria socialista all'esterno della sfera immediata dei rapporti di produzione, sostiene Lenin in accordo con Kautsky, appartiene agli intellettuali: e una posizione che, esposta nel Che fare? (1902), suscitera molte polemiche e si attirera molte critiche, non solo da parte degli esponenti piu tradizionalisti e moderati della secunda Internazionale, rna anche da parte dei teorici e dirigenti rivoluzionari, come Ia Luxemburg, - lo abbiamo gia visto - e come, per un certo periodo, Lev Trockij (1879-1940), che peraltro sara a fianco di Lenin durante Ia Rivoluzione russa del 1917. A loro giudizio, la posizione di Lenin, a partire dalla giusta esigenza di un'organizzazione rivoluzionaria fortemente e rigorosamente caratterizzata dal punto di vista teorico e politico, rischiava di dare spazio a forme di autoritarismo e di verticismo, sia all'intemo del partito, sia nel rapporto tra dirigenti rivoluzionari e classe operaia. Questa polemica sui partito divise i socialdemocratici russi in una componente bolscevica (in russo 'di maggioranza') ed in una componente menscevica ('di minoranza'). Lenin si pose a capo della componente bolscevica, che puntava fortemente su un esito rivoluzionario della Iotta politica in Russia. II fallimento del tentativo rivoluzionario del 1905, in cui molto avevano operato i bolscevichi, getto nel disorientamento le file socialiste. Lenin intraprende un programma di intenso approfondimento critico, convinto della necessita di purtare avanti una serrata e argomentata polemica contro il neokantismo e l'empiriocriticismo la cui influenza sui movimento operaio e molto forte. E' a questu scopo che egli pubblica uno dei suoi testi piu significativi dal punto di vista filosofico: Materialismo ed empiriocriticismo (1908). In polemica con i marxistf che, come Bogdanov, paiono accogliere le posizioni di Mach e Avenarius (13.7), Lenin sostiene che J'alterhativa che si ha di fronte e netta: o si segue la linea del materialismo o si finisce per accogliere una visione idealistica. Rifacendosi ad Engels, Lenin sostiene che nell'analisi del reale il 'datu primordiale' da cui partire e la materia; la coscienza, il pensiero, Ia sensazione costituiscono invece un dato 'secondario'. Il concetto di materia non e messo in questione dalle scoperte di fine secolo (come quella delle particelle subatomiche), che sembrano in qualche modo rendere 'evanescente' e non piu definibile la materia stessa. Tali scoperte possono a! piu mettere in crisi chi ha una visione metafisica, immutabile, dogmatica del materialismo, ma non possono metteme in dubbio il dato fondamentale, quello dell'esistenza reale e oggettiva della materia, al di la delle nostre percezioni e sensazioni. Infatti «il mondo fisico esiste indipendentemente dagli uomini e dall' esperienza umana», anzi, esso esisteva «in epoche in cui non pot eva esservi ness una socialita», ness una «organizzazione» dell' esperienza urn ana.
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Sbagliano dunque, e cadono in una impostazione idealistica, colora che, riprendendo le tesi di Mach e di Avenarius, riducono il mondo ad una unita indissolubile di soggetto ed oggetto, che le sensazioni possono gradualmente disvelare. Tale impostazione «idealistica, radicalmente falsa» conduce fuori dal materialismo, apre la strada all'agnosticismo e restituisce dignita e credibilita alla stessa visione religiosa del mondo. Coloro che seguono l'indirizzo di Kant e di Hume (compresi, fra questi ultimi, Mach e Avenarius) chiamano «metafisici» noi, i materialisti, perche riconosciamo Ia realta obiettiva, che e per noi un dato dell'esperienza, perche riconosciamo che Ia fonte delle nostre sensazioni e obiettiva, indipendente dall'uomo. Con Engels, noi materialisti chiamiamo agnostici i seguaci di Kant e di Hume, perche negano Ia realta obiettiva delle nostre sensazioni (... ). Per il materialismo le nostre sensazioni sono l'immagine dell'unica e ultima realta obiettiva, ultima non perche sia conosciuta a fondo, rna perche non c'e e non puo esserci altra realta all'infuori di quella.
Nella visione materialistica leniniana, espressa in Materialismo ed Empiriocriticismo, il problema gnoseologico e inquadrato e spiegato con Ia teoria del rispecchiamento. La conoscenza avviene tramite il rispecchiamento della realta estema, oggettiva, nel cervello umano, tramite le sensazioni. Naturalrhente essa non ha un carattere assoluto e definito una volta per tutte, rna procede attraverso perfezionamenti e aggiustamenti cui contribuisce Ia conoscenza scientifica, in una permanente dialettica tra verita definitivamente acquisite e verita relative. E' cosi che Lenin prende Ia distanza da quegli scienziati che, per la difficolta di definire una 'verita assoluta' acquisita una volta per tutte, tendono a rimettere in discussione Ia stessa natura oggettiva del reale e a sviare nell'idealismo. La polemica che Lenin conduce in Materialismo ed empiriocriticismo va inquadrata nella particolare importanza che egli attribuisce alia 'Iotta teorica'. Non esistono teorie filosofiche o scientifiche che possano non essere sottoposte al giudizio politico. Esiste una teoria borghese (come l'idealismo, neUe sue varie versioni) e una teoria proletaria (il materialismo). Anche se ha costituito storicamente un potente strumento di demistificazione a livello teorico, questa impostazione ha avuto un ruolo funesto nell'eta staliniana, quando sono state piegate alia logica della 'verita rivoluzionaria', dogmaticamente definita, anche le piu genuine esigenze della ricerca scientifica: si pensi all'aberrante imposizione delle teorie pseudoscientifiche dell'agronomo Trofin Lysenko (n. 1898), che oppose una sua genetica materialistica a quella classica, basata sulla ereditarieta cromosomica, definita da lui come «reazionaria, metafisica idealistica e sterile». Gli scienziati fedeli alia genetica furono condannati da Stalin come nemici del popolo e, in alcuni casi, puniti con Ia prigione. La problematica filosofica trattata in Materialismo ed empiriocriticismo e ripresa e sviluppata nei Quaderni filosofici, un'opera costituita da una raccolta di riflessioni e note sistematiche, pubblicata postuma nel 1933, che ha come suo principale argomento Ia dialettica, intesa come Iegge fondamentale che regola e pervade tutta Ia realta, non solo Ia realta estema all'uomo, rna lo stesso funzionamento del pensiero umano, che e parte integrante della realta su cui riflette. · ·
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E' proprio su questo punto che le concezioni del materialismo dialettico, per la loro capacita di leggere il movimento e le contraddizioni del reale, si distinguono dal materialismo volgare, che finisce per avere una visione statica e metafisica del mondo. Riproponendo la sua teoria del rispecchiamento, Lenin chiarisce il carattere dialettico del rapporto tra oggetto e pensiero, all'interno del processo di conoscenza, e sostiene che il rispecchiamento della natura nel pensiero dell'uomo e da concepire non come 'morto', 'astratto', senza movimento e senza contraddizioni, rna nell'etemo processo del movimento del porsi e del risolversi delle contra~dizioni.
C'e chi ha voluto vedere una frattura tra il Lenin 'materialista' di Materialismo ed empiriocriticismo ed il Lenin piu spiccatamente hegeliano dei Quaderni. E' certo che, pur all'interno di una sostanziale continuita d'intenti tra le due opere, nei Quaderni fi/osofici si notano accenti nuovi: nuova e senza dubbio l'accentuazione con cui il mondo oggettivo viene riproposto come una realta segnata da' un carattere profondamente unitario e tuttavia mossa e dominata dalla contraddizione. In questa quadro, ha particolare rilievo la prass~ assunta come criteria capace di superare gli opposti unilateralismi teorici del razionalismo e dell'empirismo. Anche in questa caso, la riflessione di Lenin e in stretto rapporto con i problemi suscitati nel movimento operaio dalla condizione storica. Come Materialismo ed empiriocriticismo era stato scritto per mettere riparo allo sbandamento provocato nel movimento operaio dal fallimento della rivoluzione del 1905, cosi i Quaderni filosofici, con Ia loro riflessione sulla dialettica, sulle sue spinte interne e le sue leggi, nascono nella situazione di grande movimento determinata dallo scoppio della prima guerra mondiale, dal fallimento e dalla divisione della seconda Internazionale e dalle vicende della Rivoluzione d'Ottobre. Ed e alle esigenze poste dalla situazione storica che cercano di dare risposta altre importanti opere leniniane, come Imperialismo, fase suprema del capitalismo e Stato e Rivoluzione. La prima delle due opere esamina il sistema capitalistico nel suo trapasso dalla fase della Iibera concorrenza a un assetto di tipo monopolistico. Un ruolo fondamentale e assolto, in questo trapasso, dal sistema bancario, che rende sempre pit) stretta Ia dipendenza del capitale industriale dal capitale bancario. La tendenza capitalistica non tanto ad esportare merce, quanta ad esportare capitale, introduce un numero crescente di paesi all'interno del circuito capitalistico e determina una sempre maggior dipendenza dei paesi poveri da quelli piu dcchi, in una spirale drammatica che rende piu deboli coloro che deboli gia sono. Questa fase del capitalismo e la fase dell'imperialismo: . L'imperialismo e il capitalismo giunto a quella fase di sviluppo in cui si e formato il dominio dei monopoli e del capitale finanziario, J'esportazione dei capitali ha acquistato grande importanza, e incominciata Ia ripartizione del mondo fra i trusts internazionali, ed e gia compiuta Ia ripartizione dell'intera superficie terrestre fra i piu grandi paesi capitalistici.
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Polemizzando con la teoria dell'ultraimperialismo di Kautsky (8.4), Lenin sostiene che la tendenza delle potenze imperialistiche e quella della contrapposizione reciproca e della Iotta per l'accaparramento dei mercati internazionali in cui ha origine la guerra. E' qui che si precisa, neUe sue sottili distinzioni, la dottrina leniniana sulla guerra. In caso di guerra interimperialistica, i rivoluzionari non devono sostenere le borghesie delle rispettive nazioni, rna trasformare la «guerra imperialistica nella guerra civile» dei praletari di ogni paese contra le classi dominanti. In polemica con la Luxemburg, Lenin sostiene che e sbagliato dire che nella fase imperialistica del capitalismo non si devono piu appoggiare guerre nazionali: le guerre delle popolazioni coloniali contra le potenze imperialistiche sono guerre giuste; altrimenti «... dovremo dichiarare ai popoli oppressi che la lora guerra contra le nostre nazioni e impossibile». Come pure, nel caso (che e quello che storicamente si verifichera) della vittoria del socialismo 'in un paese solo, e giustificabile la guerra di difesa contra l'aggressione imperialistica. Con i compiti posti dalla rivoluzione vittoriosa, Lenin e i bolscevichi dovranno misurarsi: ed e sulle tematiche della Stato (dell'atteggiamento da assumere nei confranti della Stato borghese, delle caratteristiche di un nuovo Stato rivoluzionario) che Lenin si cimenta, in Finlandia, pochi mesi prima della Rivolu7ione di Ottobre, scrivendo Stato e Rivoluzione. Ogni Stato, questa Ia tesi leniniana, e la dittatura di una classe sull'altra: Ia democrazia borghese - contra quanta sostengono i menscevichi, Plechanov e Kautsky - e pur sempre oppressione e dittatura della borghesia sui praletariato. La macchina della Stato borghese, che pure si puo tatticamente sfruttare (ad esempio, partecipando alle elezioni e utilizzando il parlamento come una tribuna di propaganda), non puo essere trasformata e modificata in meglio; essa deve essere semplicemente distrutta. Alia dittatura borghese deve sostituirsi, secondo l'insegnamento di Marx (5.19), la dittatura del praletariato. Nella dittatura del proletariato, saranno i lavoratori a usare il lora potere e gli strumenti della coercizione sugli appartenenti alle vechie classi dominanti; e tuttavia lo Stato proletario non dovra essere un vera Stato, bensi un semistato, che gradualmente dovra estinguersi, quando dalla fase del socialismo (prima tappa della costruzione di una nuova societa) si passera al comunismo. C'e, in questa parte dell'opera di Lenin, un afflato utopico che non ha riscontro in altri scritti. Su di un punto egli e molto chiaro: Noi ci assegniamo come scopo finale Ia soppressione dello Stato, cioe di ogni violenza sistematica ed organizzata, di ogni violenza esercitata contro gli uomini in generale. Abbiamo Ia convinzione che gli uomini si abitueranno ad osservare le condizioni elementari della convivenza sociale senza violenza e senza sottomissione.
Nella societa comunista, dice Lenin in una sua celebre espressione, «anche le cuoche potranno governare». E' questa Ia parte delle previsioni leniniane che decisamente rnm si e avverata: in URSS, nella societa nata dalla prima rivoluzione socialista, lo Stato e andato non verso una sua estinzione rna verso un rafforzamento drastico dei suoi aspetti coercitivi.
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8.8 Antonio Gramsci. Ad una poslZlone altamente originale, all'interno del marxismo rivoluzionario, da voce Antonio Gramsci*. L'originalita di Gramsci si era manifestata in un articolo, og-gi spesso citato, scritto dopo la Rivoluzione d'Ottobre, intitolato molto significativamente La Rivoluzione contra il Capitale. Si tratta di un testo in cui Gramsci esalta l'evento rivoluzionario verificatosi in Russia come una rivincita del marxismo creativo contra gli schemi positivistici ed evoluzionistici di colora che avrebbero considerato impossibile Ia rivoluzione in un paese in cui non si era avuto un sufficiente sviluppo capitalistico: «i fatti - egli scrive - hanno superatp le ideologic. I fatti hanno fatto scoppiare gli schemi critici entro i quali Ia storia della Russia avrebbe dovuto svolgersi)). Si tratta di una significativa anticipazione dei motivi di quel pensiero che Gramsci andra sviluppando durante gli anni del carcere. Nella elaborazione teorica del rivoluzionario italiano c'e, infatti, un dato costante: l'accentuazione delle caratteristiche antipositivistiche ed antimeccanicistiche del marxismo. In quanto 'filosofia della prassi', il marxismo non e, per Gramsci, una concezione metafisico-materialistica, rna una teoria capace di inquadrare l'agire umano nel divenire storico. Le teorie vanno, dunque, relativizzate e interpreta-
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Nato a Ales, in Sardegna, nel 1891, Antonio Gramsci aderisce al movimento sociahsta durante il periodo in cui e studente a Torino, diventandone, in breve tempo, uno degli esponenti piu in vista; in seguito (1919) fonda !Ordine Nuovo (insieme a Tasca, Togliatti e Terracini), rivista che sostiene la necessita di sviluppare e fortificare i Consigli Operai, quali organismi fondamentali della democrazia proletaria. I Consigli hanna a Torino, nel 1919-1920, un effettivo sviluppo e danno vita ad un combattivo movimento. Nel 1921, Gramsci e tra i fondatori, a Livorno, del Partito Comunista d'Italia e, come rappresentante dei comunisti italianL partecipera a Mosca al IV Congresso del Komintern. In Italia intanto avanza il fascismo che, dopa il colpo di stato di Mussolini, consolida le sue posizioni fino a dar vita a un regime brutalmente totalitario: nel 1926 Gramsci e tra gli antifascisti arrestati e, nel giugno del 1927, viene condannato a 20 anni e 4 mesi di prigione. Dopa alcuni anni di carcere e confino, nel 1933, si consente a Gramsci, gravemente ammalato, di trasferirsi in clinica: lo stato di salute, gia fortemente co.mpromesso, Ia conduce a morte ne 1 193 Z Durante il processo, il procuratore del regime mussoliniano che sostiene che «bisogna inzpedire al cervello di quest'uomo (Gramsci) di funzionare per vent'anni)), non puo irnmaginare che avverra tutto il contrario: in carcere, infatti, il rivoluzionario italiano comporra, con tenacia e intelligenza, i suoi appunti (note di filosofia, cultura, politica) che, editi, nel secondo dopoguerra, col titolo di Quaderni del Carcere, avrebbero rivelato in Gramsci uno dei pensatori marxisti piu aperti e piil originali del XX secolo.
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te nel processo di trasformazione storica: non puo esistere, ad esempio, una 'concezione scientifica' nel senso in cui ne parla il marxismo di orientamento positivistico, che pare voler sottrarre la lineare progressione della 'scienza' al mobile gioco delle sovrastrutture. Il mondo esterno e la realta non possono essere ne descritti ne concepiti indipendentemente dall'uomo: Per sfuggire al solipsismo e nello stesso tempo aile concezioni meccanicistiche che sono implicite nella concezione del pensiero come attivita ricettiva e ordinatrice, occorre porre la questione 'storicisticamente' e nello stesso tempo porre a base della filosofia Ia 'volonta' (in ultima analisi l'attivita pratica e politica), rna una volonta razionale, non arbitraria, in quanto corrispondente aile necessita obiettive storiche (... )
Emerge qui Ia concezione gramsciana di uno storicismo assoluto in cm mquadrare i processi politici e culturali e le concezioni filosofiche, che non vanno analizzate astrattamente, rna poste in relazione alia prassi umana e storicamente constestualizzate. Ne deriva che non puo darsi una filosofia della natura concepita engelsianamente, dal momento che «la materia non e da considerare come tale, rna come socialmente e storicamente organizzata per la produzione, e quindi le scienze naturali come essenzialmente una categoria storica». Porre l'accento non sulle 'cose' rna sugli uomini e sulla !oro 'prassi', che relativizza gli stessi processi di conoscenza e le stesse concezioni che si hanno del reale, porta evidentemente a rimettere in discussione non solo le concezioni interne al marxismo di tipo positivistico, rna la stessa 'teoria del rispecchiamento' nella conoscenza (8.7). Una conseguenza molto importante dell'impostazione storicistica di Gramsci e che non si possono giudicare le diverse filosofie e concezioni del mondo inquadrandole come superate, astraendo dalla situazione storica in cui esse hanno operata, svolgendo spesso - nel tempo in cui si sono manifestate- un'evidente funzione progressiva. Nel pensiero gramsciano non esiste nessun rapporto di meccanica dipendenza fra struttura e sovrastruttura, anzi, al momenta sovrastrutturale (in quanto capace, nelle diverse situazioni storiche, di organizzare le forze sociali) e attribuita molta importanza. La battaglia politica e, per Gramsci, anche battaglia culturale, Iotta delle idee: si sbaglia, dunque quando si parla di teoria come 'complemento', accessorio della pratica, di teoria come ancella della pratica. Pare giusto che anche questa questione debba essere impostata storicamente, e cioe come un aspetto della questione politica degli intellettuali. Autocoscienza critica significa storicamente e politicamente creazione di una elite di intellettuali: una massa umana non si 'distingue' e non diventa indipendente per 'se senza organizzarsi .. e non c' e organizzazione senza intellettuali.
Alia questione della Iotta politica, che e, insieme, Iotta culturale, Gramsci connette il tern a - centrale nel suo pensiero - dell' egemonia. Si ha egemonia di una classe, quando essa riesce ad imporre all'insieme della societa, tramite i propri intellettuali, i suoi valori e Ia sua concezione del mondo. Allo stesso modo che la borghesia ha imposto come universali i propri valori, cosi il proletariato deve saper elaborare e rendere vincente un proprio sistema di valori, conquistando, a sua volta, l' egemonia nella societa. II concetto di egemonia, in
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Gramsci (come il dibattito teorico-politico a lui successivo ha confermato, richiamandovisi di frequente), e molto importante: vi si puo, infatti, individuare una concezione che inquadra il potere di una classe (e quindi anche il futuro potere della classe operaia) non come puro dominio imposto dalla forza, ma come ricerca paziente del consenso. L'egemonia intesa gramscianamente, se non e interpretabile in senso pluralistico. e comunque inquadrabile in una concezione che vede l'affermazione della dittatura proletaria come ·fatto democratico-rivoluzionario, basato sul sostegno attivo e sulla partecipazione convinta di larghe masse. Nella conquista dell'egemonia, la classe operaia trova uno strumento essenziale in quello che Gramsci (richiamandosi a Machiavelli) chiama il 'moderno principe', capace di guadagnarsi un ruolo dirigente nella societa: il partito comunista, che viene definito come un elaboratore collettivo di teoria, un 'intellettuale collettivo'. Che il partito debba avere un ruolo di formazione intellettuale nella sua azione e in Gramsci espresso chiaramente: Che tutti i membri di un partito debbono essere considerati come intellettuali, e una affermazione che puo prestarsi allo scherzo e alia caricatura; pure, se ci si riflette, niente di piu esatto.
La funzione del partito e, infatti, «direttiva, organizzativa, cioe educativa, doe intellettuale». Per Ia conquista dell'egemonia, Ia classe operaia deve basarsi sull'apporto degli 'intellettuali organici', cioe di quegli intellettuali (gli intellettuali, in Gramsci, che usa il termine in un'accezione molto pili ampia, non sono solo coloro che fanno un lavoro puramente intellettuale) che, collegandosi strettamente al proletariato, ne sappiano esprimere i valori e veicolarli all'interno della societa. II proletariato, riunendo teoria e prassi, favorisce anche la collaborazione degli intellettuali (intesi qui in senso pili specifico) con i 'semplici' della societa. Nella specifica situazione italiana, gli intellettuali (e qui Gramsci chiarisce il rapporto con un grande intellettuale che molto lo ha influenzato, Benedetto Croce) dovranno elaborare una cultura basata su di un nuovo storicismo, che rigetti quello che si e espresso idealisticamente nel pensiero di Croce. Croce, dice infatti Gramsci, ha avuto il grande merito di sprovincializzare gli intellettuali italiani, ma li ha contemporaneamente sradicati dalla loro base sociale, 01ientandoli sia in senso anticattolico, sia in senso antimarxista. Nella conquista dell'egemonia, il ruolo del 'moderno principe' e importante, ma per Gramsci non e il fondamento della futura dittatura proletaria, che va piuttosto individuato nel Consiglio di fabbrica. La dittatura proletaria puo incamarsi in un tipo di organizzazione che sia specifico dell'attivita propria dei produttori, e non dei salariati, schiavi del capitale. II Consiglio di fabbrica e Ia cellula prima di questa organizzazione.
Nell'accentuare il valore della diretta auto-organizzazione della classe nei consigli egli si differenzia da Lenin e si avvicina a Rosa Luxemburg. II problema delle affinita e delle differenziazioni tra Lenin e Gramsci e stato a lungo dibattuto, e tuttora non e pienamente risolto. E' certo che tra le
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impostazioni di Lenin e quelle di Gramsci si possono trovare elementi di comunione ed elementi di diversita: sia Gramsci che Lenin hanno combattuto il riformismo e il parlamentarismo e hanno creduto che il passaggio al socialisrilo dovesse basarsi su di una 'rottura rivoiuzi"onaria'; entrambi hanno creduto nell'importanza del ruolo del partito nell'attuazibne di tale rottura rivoluzionaria; rna, proprio sui ruolo del partito, sulla funzione degli intellettuali, sulla stessa concezione del potere, nonche su questioni filosofiche niente affatto secondarie, ci sono fra i due diversita tutt'altro che irrilevanti. Se rimane aperta Ia questione del rapporto tra il pensiero di Lenin e l'impostazione di Gramsci, quest'ultima appare invece chiaramente e radicalmente alternativa rispetto alia versione staliniana del marxismo-leninismo, che, dagli anni '20 in poi, si andava affermando all'interno del movimento operaio. Niente di comune; infatti, tra una concezione che mette al centro Ia categoria del dominio e un'altra che fa invece riferimento agli elementi di consenso e di democrazia indispensabili all'intemo di un processo rivoluzionario orientato, come Gramsci lo vuole, alia «riforma intellettuale e morale)> della societa. 8. 9 Stalin e lo stalinismo. Alia morte di Lenin, i problemi che il giovane Stato russo della prima rivoluzione socialista si trova di fronte sono enormi. A livello internazionale, l'ostilita delle potenze capitalistiche non accxnna a diminuire, mentre l'auspicata sollevazione del proletariato dei paesi occidentali o non si e verificata o non ha ottenuto successo (anzi, in Europa, sta soffiando il vento della reazione di destra e si annuncia Ia tragedia di cui saranno portatori i regimi fascisti). Sul piano interno, il nuovo regime deve combattere contro l'arretratezza del paese e contro Ia resistenza che il nuovo ordinamento sociale incontra in settori non irrilevanti della popolazione. Sui modo di affrontare questi drammatici nodi, nel partito bolscevico non c'e unita. AI rilancio della rivoluzione sui piano internazionale si contrappone Ia tesi staliniana, secondo cui il socialismo si puo costruire anche in un solo paese. Sui piano interno Trockij, sostenitore di una industrializzazione accelerata del paese, si scontra con Nicolaj Bucharin ( 1888-1938), che ritiene si debba invece lasciare spazio e ruolo ai contadini. In questa difficile situazione, nel 1924 diviene primo segretario del partito Josif Vissarionovic Giugasvili, detto Stalin (1879-1953), nonostante il parere contrario espresso da Lenin prima della morte. Stalin, alleatosi a Bucharin per sconfiggere Trockij e l'opposizione di sinistra, combatte poi lo stesso Bucharin, accusato di deviazionismo di destra. ll suo nome, legato certamente all'industrializzazione dell'URSS (rea]izzata con costi umani molto elevati) e alia sua trasformazione in paese sviluppato, e destinato, tuttavia, a rimanere nella storia come sinonimo di centralizzazione estrema del potere, di autoritarismo, di repressione generalizzata di ogni forma di opposizione. La collettivizzazione forzata delle campagne comporta Ia soppressione fisica di migliaia e migliaia di kulak (contadini ricchi) mentre i processi degli anni '30 portano praticamente all'eliminazione di tutta quanta Ia 'vecchia guardia' leninista. Quando Stalin muore, nel 1953, l'URSS - vinta Ia guerra antinazista - e ormai un grande e sviluppato paese, e, sotto il suo rigido controllo, altri paesi
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dell'Europa orientale hanna ormai un regime di 'democrazia popolare', rna i costi umani pagati lungo la strada appaiono ormai altissimi. Nel forte regime costruito da Stalin e impossibile ritrovare qualche traccia del progetto leniniano di Stato e Rivoluzione. Lo stalinismo rimarra, per lo stesso movimento comunista internazionale, una grave eredita di cui non gli sara facile liberarsi definitivamente. Oltreche sui piano politico, lo stalinismo ha avuto un peso sul terreno della elaborazione teorica e della 'battaglia delle idee'. Come vedremo tra poco, mentre nell'ideologia sovietica ufficiale sopravvivono ostinatamente alcuni capisaldi della 'ortodossia' teorica fissata nel periodo di Stalin, le correnti piu originali e piu creative del marxismo internazionale avranno, come loro prima obiettivo, quello di combattere il dogmatismo di derivazione staliniana. Fu Stalili. infatti, a stabilire con autorita i canoni dell'ortodossia contra i diversi tipi di 'deviazionismo'. Non aveva pretese di originalita. La sua unica pretesa era di essere il piu fedele interprete del pensiero di Lenin, che si sforzo di esporre in maniera piana e comprensibile. La critica antidommatica ha notato come, in realta, nelle opere staliniane sia presente non solo un notevole scolasticismo, rna anche un forte irrigidimento di alcune linee di tendenza effettivamente presenti in Engels e in Lenin. Nelle Questioni del leninismo, Stalin riafferma la possibilita di costruire il socialismo in un paese solo e ribadisce la necessita della dittatura del proletariato, saldamente diretta dal partito comunista, cui devono essere subordinati, come 'cinghie di trasmissione' verso i lavoratori, i vari organismi di massa: i sindacati, la gioventu comunista, i soviets. Nel suo stile caratteristico, Stalin enumera gli elementi costitutivi, i pilastri della dittatura proletaria: Dunque: i sindacati, in quanto organizzazione di massa del proletariato, che collegano il partito alia classe, soprattutto nel campo della produzione; i soviets, in quanto organizzazioni di massa dei lavoratori, che collegano il partito a questi ultimi, soprattutto nel campo dell'attivita statale; Ia cooperazione, in quanto organizzazion~ di massa, principalmente dei contadini, che collega il partito aile masse contadine (... ); Ia Federazione giovanile, in quanto organizzazione di massa della gioventu operaia e contadina, chiamata a facilitare all'avanguardia del proletariato l'edificazione socialista della nuova generazione (... ); e infine il partito, in quanto forza dirigente fondamentale nel sistema della dittatura del proletariato, forza chiamata a dirigere tutte queste organizzazioni di massa.
La caratteristica fondamentale di questa struttura piramidale della societa sovietica viene seccamente indicata da Stalin: «nessuna decisione importante delle organizzazioni di massa del proletariate viene presa senza le direttive del partito». Su questioni di natura strettamente filosofica, Stalin si sofferma in un breve e significative testa, Materialismo dialettico e materialismo storico, in cui sono portate aile estreme conseguenze alcune teorie, di derivazione engelsiana (5.21), a pro~osito della concezione del materialismo. La visione materialistica del marxismo si applica sia alla natura sia alla storia: si ha, nel prima caso, il materialismo dialettico, nel secondo, il materialismo storico. Materialismo dialettico e materialismo storico (in sigla, Diamat), costituiscono insieme una vi-
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sione strettamente unitaria della realta. Tra la visione materialistica della natura e la visione materialistica della storia c'e un processo di derivazione, di filiazione: la seconda viene fatta discendere logicamente dalla prima, dando per scontato che nella natura operino meccanismi in qualche modo analoghi (in ragione della dialettica) a quelli che agiscono nella societa: Contrariamente alia metafisica, la dialettica considera la natura non come un ammasso casuale di oggetti, di fenomeni staccati gli uni dagli altri, rna come un tutto coerente unico, nel quale gli oggetti, i fenomeni sono organicamente' collegati fra di loro, dipendono l'uno dall'altro e si condizionano reciprocamente. (Come nella natura) gli oggetti e i fenomeni implicano delle contraddizioni interne, poiche hanno tutti un lato positivo e un lato negativo, un passato e un avvenire, elementi che deperiscono ed elementi che si sviluppano nella societa ... La storia cessa di essere un cumulo di contingenze, giacche Ia storia della societa si presenta come uno sviluppo della societa secondo leggi determinate e lo studio della storia della societa diventa una scienza. Se e vero che i legami reciproci della natura e il !oro reciproco condizionamento rappresentano delle leggi necessarie allo sviluppo della natura, ne deriva che i legami e il condizionamento reciproco tra i fenomeni della vita sociale rappresentano, essi pure, non delle contingenze rna delle leggi necessarie dello sviluppo sociale.
Della visione materialistica Stalin difende e riprende la teoria leniniana del rispecchiamento, la tesi (pure leniniana) della realta materiale come dato primario e della coscienza individuale e sociale come dato derivato. Tesi questa, che, nata da un'interpretazione particolare del principia secondo cui la coscienza deriva dalla realta esterna, ne accentua la portata deterministica, relegando in secondo piano il ruolo della soggettivita umana: un ruolo su cui si tornera invece a riflettere all'interno delle correnti creative e antidommatiche del marxismo.
II 'marxismo occidentale' 8.10 La terza Internazionale. Nel marzo del 1919, per impulso di Lenin e in clima di febbre rivoluzionaria, nasce la terza Internazionale. Ne sono membri tutti i partiti comunisti disposti a collocarsi nella prospettiva della dittatura del proletariato, sotto la forma del potere def soviets, cioe dei consigli operai. L'anno successivo, la nuova Internazionale (che sara detta anche Komintern) fa sua l'analisi leniniana dell'imperialismo e individua le tre forze che dovrebbero realizzare la 'repubblica internazionale dei soviets': il movimento operaio dei paesi industrializzati, i movimenti di liberazione dei popoli oppressi e la Russia sovietica. E naturalmente e in Russia, il primo Stato proletario, che risiede il Comitato esecutivo dell'Internazionale, il Komintern. Comincia allora un rigido centralismo ideologico, che avra nello stalinismo la sua ortodossia e la prassi disciplinare per renderla effettiva, non solo nell'URSS, rna in ogni parte del mondo.
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In questa sede non interessano gli sviluppi piu propriamente politici di questa nuova fase del comunismo, interessano i riflessi che essa ha, al di fuori del conformismo dogmatico, nella riflessione filosofica che si rifa al marxismo e ne sviluppa, con liberta di interpretazione, il patrimonio dottrinale. In questo quadro merita attenzione quello che Maurice Merleau - Ponty chiamo 'marxismo occidentale'. Adottiamo la categoria di riferimento in senso molto ampio, per indicare pensatori diversi tra loro, rna accomunati dal tentativo di delineare una ricerca teorica fuori dalle piste ufficiali tracciate dall' ortodossia staliniana. Proprio per questa loro insubordinazione, essi conosceranno l'emarginazione e la vera e propria persecuzione, intrecciate in qualche caso a dei soprassalti di autocritica, nei quali saranno fin troppo evidenti gli effetti di un autoritarismo introiettato senza nessun riguardo per i movimenti del pensiero fedele aile proprie leggi. Nessuno puo negare, comunque, che uomini come Korsch, Lukacs, Bloch abbiano portato contributi molto fecondi, non solo allo sviluppo del marxismo, rna, piu in genere, a una trasformazione della cultura occidentale, almeno in quei settori che, -anche se non marxisti, seppero accogliere ed integrare in se questo o quell'elemento della loro riflessione critica. Tanto piu che essi, sebbene abbiano avuto il momento di massima fioritura nel periodo tra le due guerre, hanno continuato a svolgere il loro compito critico, in stretto contatto con le nuove provocazioni culturali, anche dopo l'ultima guerra, anzi, anche dopo la fine dello stalinismo. In rapporto aile questioni proprie della loro tradizione ideologica, i marxisti occidentali hanno alcune tematiche comuni, come la polemica contro le concez.ioni leniniane circa il problema gnoseologico, la contestazione, della dialettica della natura di derivazione engelsiana, l'importanza della categoria hegeliana della totalita, connessa con la valorizzazione piena della visione dialettica della realta, ed hanno finalmente una certa inclinazione all'afflato utopico e umanistico. Un sigillo paradossale a questa loro affinita di orientamenti possiamo trovarlo nei provvedimenti che, in modi e tempi diversi, furono presi nei !oro confronti dai tutori dell'ortodossia, in nome di alcuni dogmi storiografici: il carattere intrinsecamente reazionario dell'hegelismo; la netta diversita tra il Marx giovane, ancora inficiato di umanesimo soggettivistico, e il Marx maturo, accum una to aile posizioni engelsiane del materialismo dialettico, e finalmente il valore scientifico, nel senso positivistico del termine, della dottrina marxista. II caso piu clamoroso fu l'accusa contro Lukacs e Korsch, sollevata il 25 luglio 1924 dalla Pravda, che mise in luce soprattutto, in ambedue gli 'eretici', il rifiuto della tesi leniniana della coscienza-riflesso e cioe dell'«accordo della rappresentazione con gli oggetti che si trovano fuori di essa». Nello stesso anno, la terza Intemazionale, presieduta da Zinoviev, pronuncio la condanna formale. E' utile ricordare che anche il .socialdemocratico Kautsky, in coerenza con Ia sua dottrina della rivoluzione come prodotto oggettivo del processo capitalistico (8.3), riprovo la deviazione hegeliana di Lukacs e di Korsch. 8.11 Korsch: il recupero di Hegel. Nella concezione leniniana, come si e visto, i consigli operai (i soviets) devono sempre rapportarsi al ruolo dirigente del partito; ecco perche nel nuovo Stato sovietico non si e realizzata l'egemonia
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operaia: e questo il giudizio di Karl Korsch•, per il quale l'egemonia operaia potra davvero realizzarsi compiutamente solo se alia rivoluzione sovietica si aggiungeranno altre rivoluzioni, nell'ottica del perseguimento di una rivoluzione proletaria su scala mondiale. I consigli operai, che dovranno essere il soggetto di tale processo rivoluzionario (un soggetto che Korsch e accusato - da parte dei comunisti ortodossi - di sopravvalutare con ingenuita spontaneistica) non sono concepiti come organi di partecipazione all'interno della societa borghese. I 'diritti di compartecipazione' interni alla societa borghese trovano infatti il loro limite invalicabile nella natura classista di tale societa. Essi dunque non possono essere sviluppati oltre iJ limite tollerato dagli interessi di profitto della societa capitalistica. Per questa ragione oggettiva, essi sono costretti a impostare, in un'ottica rivoluzionaria, il problema del superamento dell'ordine sociale borghese, aspirando a porre tutti i rami dell'industria... sotto il controllo e, alia fine, anche sotto l'esclusiva amministrazione della classe proletaria, organizzata dal punto di vista economico e politico.
Ecco perche Korsch critica aspramente (in Marxismo e filosofia) il materialismo volgare, il determinismo e l'economicismo che sembrano pervadere quel tipo di marxismo che fa della realta economica la sola che conti nel processo storico. Tutto il resto (le strutture statali e giuridiche e le sovrastrutture ideali), nota Korsch, sembra essere solo un pallido e quasi meccanico riflesso di questo fondamentale aspetto del reale. In questo senso, osserva il teorico tedesco, si va verso una visione scissa, non unitaria della realta, per cui se, da un lato, esiste «Ia realta sociale» come «la sola a non essere in alcun modo ideologica», dall'altro abbiamo «la pura ideologia, assolutamente priva di oggetto e del tutto irreale». Tali concezioni non hanno niente a che vedere, secondo Korsch, con l'originale pensiero marxiano, cui non puo certo ricondursi la teoria del rispecchiamento, che vede l'ideologia, la coscienza, la cultura come un semplice risultato dei rapporti sociali. Contro tali posizioni, Korsch rivendica la necessita di una interpretazione
Karl Korsch, nato a Tasted nel 1886, aderisce inizialmente al partito socialdemocratico indipendente di Kautsky, ma, nel 1920, quando esso si scinde in due tronconi, aderisce al partito comunista tedesco. La sua militanza nelle file del movimento comunista 'ufficiale' non e destinata, tuttavia, ad avere lunga durata: dopa aver diretto Ia rivista Die Internationale, nel 1926 viene espulso dal partito comunista per le iesi esposte in quella che e forse Ia sua opera principale: Marxismo e filosofia (1923). Differentemente da Lukacs, Korsch non ritratta minimamente le proprie posizioni, che si vanno, anzi, progressivamente radicalizzando. La sua elaborazione teorica, che passa per la pubblicazione di opere come II materialismo storico ( 1929) e Karl Marx (1938), approda aile Dieci tesi sul marxismo oggi, dove viene approfondita Ia critica al marxismo cosi come si e storicamente espresso. Muore a Cambridge, nel Massachussets, ne/1961.
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unitaria del reale, che riconnetta, marxianamente, Ia cntiCa dell'ideologia alia critica dell'economia politica. La dialettica materialistica non puo infatti staccare l'uno aspetto dall'altro: entrambi fanno parte, socialmente e storicamente, di una stessa totalita concreta. Concetto centrale, questo, nell'elaborazione korschiana, ispirata dall' esigenza, di evidente ascendenza hegeliana, del recupero eli una visione unitaria della storia. La contrapposizione eli Korsch alia teoria leniniana del rispecchiamento e netta. La visione materialistica del r:eale, cosi come e esposta da Lenin in Materialismo ed Empiriocriticismo (poi ripresa e 'volgarizzata' nel leninismo della terza Internazionale), evitando di concepire il processo sociale come totalita reale, e riducendo il dato culturale e ideologico quasi a una pseudo-realta, finisce per regredire a una visione sostanzialmente idealistica, quasi metafisica, del reale, che si limita a sostituire a quell'unico principia ispiratore che e lo spirito, l'altro principia che e Ia materia. Tali posizioni rischiano di impostare il dibattito in maniera vecchia e superata, riportandolo al punto in cui era prima di Hegel e del criticismo di Kant. Dunque, osserva Korsch seccamente,
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Ia filosofia materialistica di Lenin, che e Ia base ideologica su cui si regge Ia teoria leninista, non e Ia filosofia rivoluzionaria del proletariato adeguata all'attuale fase di sviluppo.
Per altri aspetti, tuttavia, Korsch si riallaccia fortemente alia ispirazione rivoluzionaria eli Lenin, specialmente del Lenin di Stato e Rivoluzione. E' un'ispirazione radicale, utopica, che porta Korsch a concludere, consentendo con Lenin, che il marxismo e il movimento proletario da esso ispirato postulano Ia distruzione, non solo dello Stato borghese, rna di ogni forma di Stato. Un'impostazione analoga va data, secondo Korsch, al problema della filosofia: il marxismo non e una filosofia; anche se e nato dalla riflessione filosofica, esso si pone il compito di superare ogni filosofia, di giungere al superamento della filosofia in quanta tale. Porsi il problema del superamento della filosofia non vuol significare espungere Ia riflessione razionale e sistematica dal pensiero umano: si tratta, se mai, di andare oltre Ia filosofia, in quanta visione alienata del reale. II nocciolo di razionalita presente nella filosofia dovra, comunque, non solo essere conservato, rna arricchito e portato a un livello superiore, nell'ambito di un pensiero umano che si sviluppi piu intensamente e riccamente, in un contesto di generale superamento della alienazione. In Dieci tesi sui marxismo oggi, Korsch giungera e relativizzare lo stesso marxismo, anzi lo stesso contributo di Marx allo sviluppo del movimento operaio e socialista. II marxismo, egli sostiene, non puo piu avere la pretesa del monopolio della rappresentanza degli interessi proletari e della rivoluzione socialc della classe operaia. Lo stesso Marx, il cui apporto e stato certo fondamentale per lo sviluppo del movimento socialista, va vista solo come uno dei f ondatori di tale movimento, alia pari con Blanqui, Bakunin, i socialisti utopisti. Condizionato dalla situazione particolare della Germania e dell'Europa centrale, Marx ha sbagliato ad assumere Ia societa inglese quale modello per lo sviluppo di altre societa. II che non comporta, per Korsch, Ia liquidazione del pensiero eli Marx, rna Ia sua ripresa in, termini non dogmatici, nella prospettiva di una Iotta radicale per un assetto pianificato della societa, dit-etto dalla classe operaia.
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8.12 Lukacs: storia e coscienza di classe. E' opinione di molti che il pili grande pensatore marxista dopo Marx sia stato Gyorgy Lukacs·. Certo e, in ogni caso, che egli e stato il teorico che pili di ogni altro ha animato il dibattito culturale della prima meta del nostro secolo. Una volta, Thomas Mann disse che «solo quando Karl Marx avra letto Friedrich Holderlin, la Germania trovera Ia propria strada». Egli voleva dire che Ia vera risoluzione del conflitto intemo all'anima tedesca chiedeva la conciliazione tra razionalita scientifica e impulso romantico. A parte il pronostico sulla Germania, si potrebbe dire che Lukacs (ungherese, rna di cultura tedesca) e appunto il Karl Marx che ha letto Holderlin, e cioe e il marxista che ha portato alia luce Ia soggettivita intrinseca al marxismo e l'oggettivita sociale intrinseca a ogni opera d'arte. Non per nulla Ia sua attivita letteraria prende le masse dall'analisi strutturale dell'opera d'ar-
Gyorgy Lukacs nasce a Budapest nel 1885. Fin dagli anni dell'Vniversita si occupa di questioni letterarie e di attivita teatrale. Dopo Ia laurea, nel 1906, prosegue i suoi studi in Germania, a Berlino e a Heidelberg, dove ha contatti con i massimi pensatori del tempo, come Dilthey, Simmel e Husser! ed ha rapporti di amicizia con Max Weber e Thomas Mann. Le sue prime pubblicazioni, L'anima e le forme ( 1911) e la Teoria del romanzo (1916), riflettono gli interessi sociologici e letterari di questa periodo. Tomato a Budapest nel 1915, fa parte di un gruppo di intellettuali che, in opposizione alla guerra imperialistica, si alleano con il movimento operaio: nel 1918 aderisce al Partito comunista ungherese e l'anno successivo diventa commissario per Ia cultura popolare nell'effimera Repubblica comunista di Bela Kun. In esilio in Austria e in Germania, raccoglie le sue riflessioni in tre opere: Storia e coscienza di. classe (1 923), Lenin (1924), Mose Hess e Ia dialettica idealista (1926). La . prima di queste opere gli procura, come si e detto (8.1 0), la condanna della terza Internazionale. Contrariamente a Korsch che - come abbiamo visto - respinge con fermezza le accuse degli ortodossi, Lukacs non solo non difende apertamente le posizioni espresse nell'opera 'condannata: ma finisce per accettare Ia condanna medesima e per riconoscere Ia validita delle posizioni leniniane espresse in Materialismo ed empiriocriticismo. Anzi, egli stesso si autocritica per le posizioni assunte e ad una rivalutazione piena di Storia e coscienza di .classe non giungera mai. Molto piu tardi, quando lo stesso periodo staliniano sara ormai concluso da tempo, (in una prefazione a una edizione di Storia e coscienza di classe, del 1967) conferma ed esplicita pienamente i motivi della sua autocritica. Nel 1933 Lukacs si stabilisce in URSS. Finita Ia guerra, torna a Budapest come professore di Storia dell'arte e di estetica. Partecipa alia vita politica, ma se ne ritira nel 1951 per disaccordo con Ia linea staliniana. Nel 1956 partecipa alia rivoluzione ungherese, fallita Ia quale viene deportato in Romania. Ma 1'anno successivo, nel 1957, viene reintegrato nel suo ruolo ·universitario e, dieci anni dopo, nel Partito. Muore nel 1971, mentre attende alla Ontologia dell'essere sociale, che sara pubblicata postuma.
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te, e non per nulla, fin dai primi passi, egli rivela un particolare interesse per Hegel, il filosofo della totalita, della conciliazione tra soggetto e oggetto, un interesse che lo accompagnera per tutta la vita. AI centro della sua opera principale, Storia e coscienza di classe, c'e il rapporto tra Hegel e Marx sotto il profilo del problema della dialettica. Il metodo dell'analisi dialettica, secondo Luk~cs, puo esse.re applicato esclusivamente nell'indagine del processo storico sociale, perche solo all'intemo dei processi storico-sociali si da Ia vitale interazione soggetto-oggetto, in assenza della quale parlare di dialettica sarebbe puro non-senso, In polemica con gli empiristi e con i 'marxisti volgari', che leggono ogni fenomeno come factum brutum, Lukacs rivendica Ia possibilita e Ia necessita di interpretare Ia storia come un processo unitario: >. Tale conoscenza «prende le mosse dalle determinazioni semplici e pure che sono - nel mondo capitalistico - immediate e naturali, per procedere, a partire da esse, alia conoscenza della totalita concreta». La considerazione dialettica della totalita «e l'unico metodo per cogliere la realta. La totalita concreta e quindi la categoria autentica della realta». Da tale impostazione derivano conseguenze che vale Ia pena di inquadrare per comprendere appieno il carattere innovativo e antidommatico del pensiero di Lukacs. Prima fra tutte, una interpretazione non schematica del rapporto strutturasovrastruttura, dove Ia seconda (all'interno di un processo storico e sociale che va letto in modo unitario) non puo pili essere vista come pura derivazione dai fattori economici e materiali della societa: ne consegue una forte rivalutazione del ruolo della cultura, della battaglia delle idee, della soggettivita. In secondo luogo, non ha senso Ia frammentazione delle diverse scienze (economiche, storiche, ecc.) che interpretano il reale: tutte devono essere ricondotte a unita quali settori dell'unica scienza, storica e dialettica, che cerca di interpretare la totalita del processo storico. La scienza borghese, osserva Lukacs, studia i fatti e i fenomeni della societa dal punto di vista dell'individuo, che coglie solo aspetti parziali della realta. La totalita concreta puo essere colta solo da un soggetto che, a sua volta, sia un qualcosa di totale. Soggetti del genere sono, indubbiamente, le classi sociali. Solo la classe puo penetrare, mediante Ia prassi; Ia realta sociale e mutarla nella sua totalita. Protagonista della storia e, dunque, Ia coscienza di classe. Una coscienza di classe che non va pero intesa, fenomenicamente, come Ia somma del modo di sentire e di pensare dei singoli individui che compongono la classe. Infatti «l'agire storicamente significativo della classe come totalita viene determinato da questa coscienza e non dal singolo». Lukacs sembra qui idealizzare la coscienza di classe come un fattore impersonate e sovrapersonale. Nella misura in cui la coscienza viene riferita all'intero della societa si riconoscono queUe idee, sentimenti, ecc. che gli uomini avrebbero avuto in una determinata situazione di vita, se fossero stati in grado di cogliere pienamente questa situazione (... ). Ora, la coscienza di classe e la reazione ra-
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zionalmente adeguata che viene in questo modo attribuita a una determinata situazione tipica del processo di produzione.
Non sempre una classe e in grado di cogliere pienamente una situazione storica, ne di avere, di fronte ad essa, una reazione adeguata: lo provano le dolarose esperienze delle rivoluzioni proletarie fallite, nei primi anni '20. Ne tutte le classi possono giungere a una vera coscienza ·di classe. A una vera coscienza di classe non puo, ad esempio, giungere la borghesia, incapace di oltrepassare una visione parziale e limitata della realta. Prendere atto fino in fondo delle contraddizioni che caratterizzano l'ordinamento sociale borghese vorrebbe infatti dire, per la borghesia, rendersi conto della necessita del loro superamento e quindi accettare il carattere transitorio del capitalismo medesimo. Solo il proletariato, in quanta classe che non basa la sua esistenza sullo sfruttamento, e che non puo tendenzialmente accettare di sopprimersi come tale, e in grado di giungere a una coscienza storica pienamente dispiegata e di valore sostanzialmente universale. Per giungere a tale pienezza, tuttavia, il proletariato deve compiere un cammino lungo e tormentato, che comporta Ia Iotta, non solo contra i suoi avversari di classe, rna contro Ia rassegnazione e la degradazione che l'influsso dell'ideologia borghese induce al suo intemo. La Iotta non va quindi diretta solo contro la borghesia; essa e «anzitutto una Iotta del proletariato con se stesso, con gli effetti distruttivi e degradanti del sistema capitalistico sulla sua coscienza di dasse»'. All'intemo di tale cammino, la coscienza di classe del proletariato trova la sua oggettivazione nel partito rivoluzionario. La concezione del partito esposta dal filosofo ungherese si differenzia notevolmente da quella di Kautsky e di Lenin. Pur volendo evitare ogni forma di eccessiva fiducia nell'azione spontanea delle masse (che veniva di solito imputata aile concezioni luxemburghiane), Lukacs non ritiene che la coscienza debba essere portata alla classe operaia dall'esterno, da parte degli intellettuali rivoluzionari. Coerentemente con la sua impostazione teorica, Lukacs vede la coscienza di classe come qualcosa di immanente allo sviluppo storico, un qualcosa che, dunque, nessuno puo calare dall'alto. Pur non sottovalutando il ruolo politico-organizzativo del partito, il pensatore ungherese vede quindi nella classe il soggetto principale del processo storico. Molto importante, nel discorso lukacsiano, e la tematica della reificazione, che riprende e amplia l'analisi sviluppata da Marx nel Capitale (5.18), per cui, nel mondo capitalistico, i rapporti sociali mercificati fra colora che partecipano alla produzione si presentano come rapporti tra case. L'eliminazione del carattere personale del lavoro e la dissoluzione del prodotto unitario del processo produttivo conducono alla scissione tra soggetto e oggetto nella produzione: lo stesso lavoratore diventa una sorta di appendice meccanizzata e reificata all'interno del processo produttivo, che si svolge indipendentemente dalla sua coscienza e che egli, complessivamente, non padroneggia. Il processo di produzione e di divisione del lavoro perde, dunque, il carattere dell'intero e si presenta nei suoi singoli, frammentari momenti attraverso i quali e impossibile attingere aHa totalita. L'eliminazione del carattere personale e creativo del lavoro si connette, del resto, ai fenomeni di spersonalizzazione presenti in tutti i campi della vita sociale.
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La condanna della terza Internazionale non incontro in Lukacs la sdegnosa reazione che incontro in Korsch. Egli entro in una fase di penose reticenze, di abili dissimulazioni e di reiterate autocritiche (una del 1932, un'altra del 1937) che sono rimaste per sempre, anche dopo la fine di Stalin, non ritrattate, anzi, in certa misura, esplicitamente riconfermate. I punti essenziali del suo ripensamento sono il rapporto tra coscienza e oggetto, la categoria della totalita e il concetto di alienazione. Sui primo punto egli riconosce la validita della dottrina leniniana del rispecchiamento; sui secondo, egli ammette di avere errato assegnando rilevanza centrale alia categoria hegeliana della totalita invece che alia sfera economica; sui terzo, si incolpa di aver fatto tutt'uno tra alienazione e oggettivazione mentre, in un corretto marxismo, l'oggettivazione si fa alienazione solo se si realizza in ambito capitalistico. Le conseguenze di quest'ultimo fraintendimento, dice Lukacs, sono evidenti: se ogni oggettivazione e alienazione, allora si arriva all'esaltazione esistenzialistica della soggettivita, proprio come hanno fatto i filosofi che egli critichera nella sua Distruzione della ragione. E' facile capire perche la lettura dei Manoscritti economico filosofici '44 di Marx (5.5), pubblicati per la prima volta nel 1932, abbia prodotto in lui una commozione «sconvolgente)): essi contengono una precisa chiarificazione degli ultimi due dei tre errori che egli aveva ritrattato. «Mi fu chiaro, commenta Lukacs, che dovevo ancora una volta ricominciare dall'inizio». E difatti, anche per tenersi al sicuro dalla sorveglianza staliniana, si impegna (eravamo negli anni '30) nello studio di Hegel, componendo un'opera, Il giovane Hegel, che verra pubblicata solo dopo la guerra, nel 1948. La tesi di fondo dell'opera e che Hegel, fin dai giovani anni, lungi dall'essere - come volevano i marxisti ortodossi - uno spiritualista reazionario, ebbe una comprensione profonda della rivoluzione francese, !etta da lui come una irreversibile rivoluzione della borghesia. Se poi egli dette della rivoluzione e dei suoi effetti storici universali una versione idealistica, fu per le condizioni arretrate in cui si trovava allora la societa tedesca. Sta il.fatto, comunque, che a Hegel si deve la visione della storia come processo unitario, governato dalla razionalita dialettica. Se cosi stanno le cose, e chiaro che Hegel ebbe, nei confronti di Marx, il ruolo del precursore. Questo schema di interpretazione della storia del pensiero ritorna, rna con accentuata durezza, ne La distruzione della ragione (1954), che, partendo dalla distinzione netta tra razionalismo e irrazionalismo e dalla identificazione dell'irrazionalismo con la premessa ideologica dei fascismi europei, assegna a pensatori come Schopenhauer, Kierkegaard e Nietzsche la responsabilita di una oscura complicita con i processi di degenerazione e di decadenza della ragione e della societa borghese. 8.13 Lukacs: il reallsmo critico. Dopo le sue disavventure con la terza Internazionale, Lukacs si dedico soprattutto alia critica estetica, componendo opere di straordinaria ricchezza, come i Saggi sul Realismo, II marxismo e la critica letteraria, Thomas Mann e Ia tragedia dell'arte moderna (1953), Contributi alla stona dell'estetica (1959), fino alla monumentale Estetica (1953). Riallacciandosi alia originaria ispirazione del suo 'marxismo occidentale', Lukacs non crede che l'arte, in un periodo rivoluzionario, debba partire, per dir cosi, da zero. La cultura del proletariato eredita quanto di meglio ha
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espresso precedentemente l'arte borghese e quanto di meglio hanno espresso, per millenni, i piu creativi fra gli artisti e gli scrittori. Che e come dire, che la rivoluzione proletaria continua e sviluppa la rivoluzione borghese; del resto, non e forse vero che, sui piano teorico, Marx continua, in parte, pur rovesciandola e cambiandola di segno, I' opera di Hegel? Nella teoria lukacsiana dell'arte e della letteratura, l'assunto di base e che sia la scienza che l'arte riflettono la stessa r~alta oggettiva. II rispecchiamento estetico e tuttavia radicalmente diverso da quello scientifico. La scienza ha il compito di giungere, attraverso una serie di casi particolari o singolari, a una universalizzazione il piu possibile completa e comprensiva, mentre l'arte deve (al di la delle categorie di universalita e singolarita) rappresentare il particolare, (che e come dire la totalitd, colta in una sua parte significativa, forma estetica genuina di un determinato contenuto). In definitiva, l'arte e piu vicina alia vita che non la scienza, la quale «astraendo - nel meccanismo di generalizzazione - i vari momenti particolari ed individuali» rischia di assumere una caratterizzazione marcatamente adialettica. L'arte e «piu vicina alia vita» in quanto essa non separa fenomeno ed essenza, proprio perche si occupa del particolare, senza annullarlo nella ricerca di leggi e definizioni generali da sovrapporgli. Nel riprodurre un particolare della realta, l'arte non potra tuttavia rifarsi a un particolare qualunque, bensi a un particolare tipico. Specifica, infatti, Lukacs: «Realismo significa, a parer mio, la riproduzione fedele di caratteri tipici in circostanze tipiche». Fare riferimento al tipo o al tipico non significa rifarsi a qualcosa che ha a che vedere con la media statistica. Esso e, anzi, tutto il contrario: la 'media' (che Lukacs definisce come caput mortuum del processo evolutivo della societa) esprime infatti la banalita e la quotidianita; per questa strada non ci si solleva verso i «grandi e seri» problemi della vita e della societa. Nel tipo devono esprimersi in «contraddittoria unita, tutti i tratti salienti di quella unita dinamica in cui la vera lettera,tura rispecchia la vita». E dunque solo se «lo scrittore sa e intuisce esattamente e sicuramente che cosa e essenziale e che cosa e secondario, egli sara in grado, anche sui piano letterario, di configurare, a partire da un destino individuale, il destino tipico di una classe, di una generazione, di un'epoca intera». II tipo e in qualche modo un 'modello', la rappresentazione di un personaggio, delle sue vicende, dei suoi sentimenti in modo che attraverso la loro particolaritd essi sappiano gettare luce sulle tendenze di fondo, sui conflitti, sui moti significativi di una societa in un determinato periodo storico. A Lukacs non interessa una rappresentazione quale che sia, superficiale o, per cosi dire, fotografica della realta: per questa strada si arriva, anche partendo dalle migliori intenzioni, solo al naturalismo. La visione di Lukacs e invece orientata verso un realismo che sappia, intenzionalmente e selettivamente, cogliere il senso profondo e le implicazioni del pezzo di realta che vuole rappresentare. Nella valutazione dell'opera d'arte, in coerenza con questi principi, grande rilievo assumono le considerazioni di tipo contenutistico. II rapporto di uno scrittore con la sua opera d'arte e complesso e va analizzato attentamente. Sarebbe sbagliato, ad esempio, voler dedurre il carattere (progressivo o reazionario) di un'opera d'arte dalle opinioni politiche soggettivamente espresse dal suo autore. II caso di Balzac e, per Lukacs, evidente: pur dichiarandosi cattolico-
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tradizionalista e legittimista, egli riesce ad esprimere, con grande e crudo realismo, il travaglio e le contraddizioni della sua epoca. Si ha, nella concezione lukacsiana, una sostanziale convergenza tra realismo ed umanesimo popolare; Balzac, Stendhal, Tolstoj («specchio della rivoluzione russa») sono i 'realisti' per cui egli dimostra Ia massima considerazione. 8.14 Bloch: il 'principio speranza'. Nel gruppo dei marxisti occidentali, Ernst Bloch* si distingue per la sua originalita, che lascia un segno anche nel suo stile, in cui predominano il tono alto e magniloquente, quasi da profeta biblico, e insieme l'estro del paradosso e il guizzo dell'ironia. Le sue qualita nativamente 'eretiche' hanno riscontro perfino nei suoi interessi storiografici, dove hanno il primo posto le eresie cristiane, considerate come punte emergenti di una dinamica storica che coinvolge, nel moto verso l'adempimento delle speranze, perfino Ia materia. · Alcuni spunti fondamentali del marxismo originale e creativo di Bloch risalgono ad elementi acquisiti nel corso della sua formazione (elementi di derivazione biblica, improntati a un inequivocabile senso di escatologia messianica) e nel corso delle sue esperienze giovanili, che lo avevano avvicinato all'espressionismo e aile avanguardie artistiche. n suo e un marxismo accentuatamente utopico, che vuole inserire (o recuperare) all'interno della visione del socialismo scientifico (che per Bloch rimane un orizzonte ben definito ed acquisito: il suo pensiero non comporta, certo, una regressione aile impostazioni dell'utopismo pre-marxiano) gli elementi di quella utopia concreta che caratterizza, in molte sue manifestazioni, l'uomo storico. Recuperando le originali connotazioni umanistiche del Marx giovane, Bloch assegna una funzione centrale al principia speranza, impulso fondamentale che proietta l'uomo verso la costruzione Ernst Bloch nasce a Ludwigshafe, nel 1885. Laureatosi a Wiirzburg, frequenta Lukacs e Jaspers. Durante la prima guerra mondiale si rifugia in Svizzera, dove scrive Lo spirito dell'Utopia (1918); aderisce al marxismo e parlecipa alla Repubblica tedesca dei Consigli In seguito, dopo l'avvento del nazismo, per motivi politici e razziali (Bloch e di origine ebraica) e costretto ad emigrare, prima in vari paesi europe~ poi negli Stati Uniti Dopo la seconda guerra mondiale, si stabilisce a Lipsia, nella Repubblica Democratica Tedesca, dove comporra alcune delle sue opere piu importanti: Soggetto-Oggetto, Delucidazioni su Hegel (1 949); Avicenna e la sinistra aristotelica (1952) ed il ponderosa Principia Speranza, composto dal 1954 al1959. E' la pubblicazione di questa testa, insieme alle critiche che egli formula nei confronti del socialismo di ispirazione sovietica, che gli procura da parte delle autorita della Repubblica Democratica Tedesca - l'accusa di deviazionismo e idealismo. Nel 1961 Bloch lascia [a Germania dell'Est per stabilirsi a Tubinga, nella Repubblica Federate Tedesca. Nell'Vniversita di Tubinga, insegnera per molti ann~ componendo altre fondamentali opere quali.· Ateismo nel Cristianesimo ( 1968) ed ll problema del materialismo: storia e so stanza (1972). Muore a Tubinga nel 1975.
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del futuro. Compito del marxismo non e soltanto di tener ferma Ia critica negativa dell' economia capitalistica o di sviluppare positivamente il progetto. di una economia socialista. Lungi dal lasciarsi ridurre a puro rivendicazionismo economico, il marxismo deve farsi interprete delle aspirazioni umane verso il regno della libertd. Il marxismo non e all'altezza dei propri compiti se rimane chiuso in una visione piattamente positivistica, dimenticando I'elemento utopico che storicamente, nell'arte, nella religione, nella filosofia si e espresso in forme che non solo non vanno disprezzate o ignorate, rna vanno recuperate e rielaborate, quali espressioni dell'ansia verso il nuovo e verso il futuro. La tensione verso il futuro, verso qualcosa di radicalmente nuovo (qualcosa, cioe, che non puo essere facilmente previsto ne predeterminato) inducono ad una visione ottimistica del reale, non basata pero sulla fiducia in deterministiche leggi scientifiche (come nel caso delle concezioni positivistiche ed evoluzionistiche), ne sulla credenza filosofica o religiosa in un qualche Essere perfettissimo posto nell'aldila. Quello a cui Bloch allude e l'ottimismo militante, fondato sulla speranza, che e certa nel suo aspetto soggettivo, rna anche esposta autenticamente al rischio. Il fondamento filosofico di tale ottimismo militante Bloch lo ricerca in Hegel, che per primo ha tentato il superamento di una visione contemplativa della storia, legata esclusivamente al passato, col mettere a fuoco - tramite Ia dialettica - Ia storia come processo che va avanti. Ma anche nella dialettica hegeliana va eliminato l'aspetto contemplativo che in essa si annida, in quanto il reale vi e considerato come un qualcosa di gia concluso, che il pensiero deve solo ripercorrere e «ricordare)), facendo coincidere Ia fine del processo con il suo inizio. A svelare il carattere contemplativo della dialettica idealistica e il marxismo, in quanto unita vivente di teoria e prassi, e proprio per questo portatore delle istanze dell'uomo artefice della propria storia. La 'totalita' dialettica nel marxismo non si configura come gia prestabilita e chiusa in se, rna come aperta al novum: dunque, come totalita utopica. All'interno di questa sua originale impostqzione dialettica, Bloch ridiscute i concetti di progresso e di tempo. L'idea di progresso e certo fondamentale anche per Bloch, purche non se ne abbia una concezione ingenuamente lineare. Progresso non e infatti un semplice spostamento in avanti. Si puo avanzare anche verso qualcosa che non ha necessariamente connotazioni positive, come, per l'uomo, una malattia che progredisce o, per la societa, uno sviluppo di tipo imperialistico. Rientra nel 'progresso pervertito' anche uno sviluppo delle forze produttive cui Ia sovrastruttura non solo non tiene dietro «rna e talvolta persino contraria, con particolare danno per Ia cultura)). Ma come l'idea di progresso, va sottoposto a critica anche il tentativo (rintracciabile in pensatori come Spengler o Toynbee) di definire cicli culturali chiusi per ogni civilta: da questa impostazione al razzismo, egli avverte, il passo e breve. Rappresentare Ia storia universale come una successione di periodi e senza dubbio moho piu facile che rappresentarla nella contemporaneita di luoghi e nella pluralita delle sue voci; questa concetto topografico esige, infatti, perlomeno quando si presenta come storico-universale, un multiversum, anche nel tempo.
264 08- Il'mar;dsmooccidentale' II soggetto indivisibile della storia deve, cioe, essere rintracciato in piu tempi e in piu luoghi, nella pluralita delle esperienze e delle culture. Trova senso, qui, la critica per ogni impostazione culturalmente eurocentrica: Per essere giusti verso il gigantesco materiale extraelu-opeo, non si puo piu lavorare secondo una linea retta, senza curve nella serie (... ). Le vive culture extraeuropee possono essere rappresentate, secondo un concetto storico-filosofico, senza violenza europeizzante o anche soltanto senza il tentativo di livellamento di quel che hanno prodotto per la ricchezza della natura umana.
La contestazione della linearita del concetto di progresso si accompagna alIa ridefinizione del concetto di tempo. Anche il tempo non puo essere visto come un indifferenziato ed indifferente continuum: e vero, dice Bloch, esiste il tempo orario, caratterizzato da una costante ed uniforme densita, sempre monotamente uguale a se stessa, rna, accanto ad esso, esiste il tempo storico, che corrisponde piu a criteri qualitativi che non a criteri quantitativi. II tempo storico, di densita variabile, non puo essere, infatti, misurato con criteri piattamente quantitativi: istituendo un suggestivo paragone, chi potrebbe infatti dire che il tempo in cui l'acqua, per migliaia di anni, batte le stesse fredde pietre, in cui le onde battono sempre allo stesso modo sulla riva, sia davvero piu lungo e piu denso del breve anno russo 1917 ? All'interno di questa visione del mondo, assolutamente non lineare, non deterministica ne evoluzionistica, Bloch si pone il problema concreto di un 'senso' della storia, di un 'eschaton' come punto finale del progresso, ossia di un humanum verso cui tendere, senza che esso sia gia «garantito dal risultato umano gia manifesto». Questa tensione verso la realizzazione piena dell' homo absconditus, che ognuno porta in se, non e monopolio esclusivo del marxismo o del socialismo scientifico. II marxismo, anzi, per Bloch, deve essere capace di rivalutare quanta di vivo hanno espresso altre culture, quanta ha espresso la stessa religione. Nella convinta rivalutazione che Bloch compie del momento religioso puo rnisurarsi il grado di eterodossia da lui raggiunto rispetto al marxismo scolastico e tradizionale, che inquadra la religione come alienazione, come 'oppio del popolo'. In realta, osserva Bloch, Marx non ha mai aderito a tale visione semplificata del fenomeno religioso: La frase dell'oppio del popolo sta in un contesto molto piu profondo di quanta non vogliano e non tollerino i marxisti volgari; essi l'hanno staccata, isolandola completamente.
Nel testo di Marx (5.7), egli precisa, si leggono altre e ben piu articolate definizioni, per cui «la miseria religiosa e insieme l'espressione della reale miseria e la protesta contro di essa», ed anche: «Ia religione e il sospiro della creatura oppressa, l'anima di un mondo senza cuore». Accanto alla dimensione dell'alienazione sta, dunque, in ogni genuina esperienza religiosa, la dimensione della protesta contra uno stato di cose intollerabile: una protesta da riprendere e valorizzare. E' giusto, comunque, rilevare che la valorizzazione blochiana della religione resta pur sempre profana e mondana: nel momenta religioso egli ricerca, orizzontalmente, il momenta escatologico (della speranza in un mondo nuovo, proiettato nel futuro del mondo) e non il momento della trascendenza (la dimensione verticale proiettata verso un Dio trascendente o un'esistenza ultraterrena).
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In quest'ottic;l, che pervade Ateismo nel cristianesimo. Per una religione dell'esodo e del Regno, Bloch propane una lettura escatologica della Bibbia, in cui, tolti gli elementi che fanno di Dio un sovrumano ed onnipotente Monarca, risaltino invece tutti gli elementi che profeticamente annunciano Ia liberazione dei diseredati e degli oppressi. E' questa il 'filo rosso' che va fatto risaltare nella lettura del testa biblico, dove, invece che la trascendenza divina, va ricercata «Ia trascendenza senza trascendere», ossia l'anelito dell'uomo ad essere veramente uomo, e cioe ad essere come Dio. E l'utopia religiosa (che non si contenta di vedere le cose come sono, rna cerca di vederle per come saranno) apre un importante spiraglio in questa direzione: nella direzione di un 'avvento' pienamente umano, quando «cio che e implicata nel concetto di Dio diventera finalmente uomo!». Nel rintracciare nel testa biblico la prospettiva escatologica della liberazione, Bloch propane un incontro tra marxismo e cristianesimo non basato su un banale 'dialogo' o su un compromesso: un incontro tra un cristianesimo purificato dagli elementi alienati e 'teocratici' e un marxismo Iiberato dalle pastoie del meccanicismo e del positivismo. Va detto che l'impostazione di questa marxista 'teorico della speranza' ha ispirato effettivamente, come vedremo, vari teologi e pensatori cristiani, sia cattolici che protestanti (17.19), tra cui Wolfhart Pannenberg e Jiirgen Moltmann, il quale ha elaborato, prendendo spunto dalle posizioni blochiane, una teologia della speranza. L'interesse di molti pensatori cristiani per Ia dimensione escatologica della fede, che Bloch ha posto in evidenza, ha procurato, anche fra i credenti, consensi e simpatie all'eterodosso pensatore marxista. Ma questi applausi teologici non devono far dimenticare che la concezione di Bloch resta saldamente basata sull'ateismo: nel momenta stesso in cui egli appassionatamente esalta il cristianesimo e Ia religione, li secolarizza in modo radicale_ In ultima istanza, il principia dinamico che percorre tutta !'opera di Bloch e schiettamente materialistico. Aile origini della realta onnicomprensiva, c'e la materia, come 'fondamenta totale del mondo'. La concezione di Bloch e, comunque, ben diversa da quella espressa da Engels nella Dialettica della· natura, in cui Ia realta materiale appare costituita da ripetitiva meccanicita. In Bloch, Ia materia e intesa «come possibilita reale orientata a tutte le forme che sono latenti nel suo gremho»; essa e, dunque, gestazione del futuro e del nuovo. I termini di natura e futuro, di materia e di anticipazione non andranno pili tenuti separati, in nome di una autentica ontologia, che non e «ontologia dell'essere fino ad ora esistente, rna ontologia dell'essere del non ancora esistente». Recuperando un antico concetto aristotelico, Bloch, in sostanza, vede la materia come qualcosa che puo potenzialmente dispiegarsi, svilupparsi, cambiare, proiettandosi in avanti, in una continua tensione verso il cambiamento e la trasformazione e verso la realizzazione di possibilita inedite. E' in questa tensione che hanna illoro vero posto l'uomo e la sua storia. Ridursi a leggere tale processo, ricco di potenzialita, in maniera piattamente positivistica ed evoluzionistica significa, per Bloch, rinchiudersi all'interno di quel marxismo dommatico, che egli chiama corrente fredda del marxismo, in contrapposizione a quella corrente calda a cui e stato proprio lui a fornire uno dei pili stimolanti contributi.
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Sommarlo. Nel panorama sociale, egemonizzato dalla borghesia, prende rilievo, nella Francia di fine Ottocento, lo spiritualismo degli inizi del secolo, dei tempi di Biran e di Cousin, coniugandosi, pen), con il metodo positivistico, tanto che viene definito 'spiritualismo posivista' (9.1). Una critica puntuale a! concetto positivistico di Iegge di natura e quella svolta da Boutroux, che mette in luce l'incapacita del determinismo a render conto della realta, i cui fenomeni non hanno, tra !oro, un rapporto di causalita meccanica, rna di contingenza (9.2); che le leggi scientifiche, e, piu in genere, l'intelligenza cartesiana siano inadeguate alia realta lo mostra anche Blonde! nella sua analisi dell"azione', e cioe della dinamica della volonta, che integra in se i determinismi e li sorpassa fino a toccare le soglie della trascendenza religiosa (9.3). Anche Bergson accetta del positivismo il punto di partenza, e cioe l'analisi dell'esperienza, rna per superare gli schemi 'spaziali' dell'intelligenza, che e in grado di misurare il tempo quantitativa, di cui si serve Ia scienza, rna non quello proprio delle sfere vitali, che e un tempo qualitativo, la durata (9.4). In base a! concetto di durata, Bergson distingue un io di superficie, soggetto agli stessi automatismi dell'universo fisico, e un io profondo, il cui modo di essere e, invece, Ia liberta (9.5). L'analisi della struttura fisiopsichica dell'uomo conduce Bergson allo stesso risultato dualistico: Ia materia e la memoria, che e una sola cosa con Ia durata (9.6). Applicando all'universo lo stesso schema, Bergson ripropone, in modo originale, la tesi evoluzionistica: la ramificazione delle specie viventi non e spiegabile ne con criteri meccanicistici ne con quelli finalistici, rna con Ia dinamica creativa dello 'slancio vitale' (9.7). Corrispettiva al duplice aspetto della realta, Ia materia e lo slancio vitale, e Ia conoscenza umana, che e istinto e intelligenza, rna e anche, quale espressione unitaria di ambedue, intuizione. E' l'intuizione il vero organo della metafisica (9.8). Dualistica e anche Ia visione bergsoniana della societa, che e 'chiusa' 0 'aperta', e della religione, che e 'statica' 0 'dinamica': a quest'ultima appartiene l'esperienza dei mistici, specie cristiani (9.9). , Nel quadro della problematica di Bergson prende avvio, sviluppandone Ia critica al positivismo rna rifiutandone l'ambiguita metafisica, il personalismo francese di ispirazione cristiana (9.1 0), che ha in Maritain il suo iniziatore. Maritain recupera la metafisica di Tommaso d'Aquino, attualizzandone Ia dottrina della persona e quella delle competenze metafisiche della ragione, in diretta polemica con Ia filosofia moderna, iniziata da Cartesio con il suo declassamento della ragione a ruoli strumentali. Su queste basi, Maritain costruisce un suo 'umanesimo integrale', di grande risonanza all'interno della cristianita aile prese con Ia minaccia del marxismo (9.11). Meno legato a presupposti metafisici, rna ugualmente impegnato nel superamento critico del marxismo, e piu in genere delle provocazioni della rivoluzione tecnologica, e il personalismo di Mounier, che si propone come programma una rivoluzione personalista e comunitaria. (9.12). Da tutt'altre premesse parte Gabriel Marcel, che recupera il senso della persona attraverso l'analisi dell'esperienza interiore, di continuo aperta al dilemma tra l'essere e l'avere: l'autenticita dell'esistenza passa attraverso la corporeita, che Ia apre all'universo (9.13). Ed e proprio dall'universo, indagato, pen), secondo i metodi della scienza e nel quadro della concezione evoluzionistica, che parte Teilhard de Chardin per trovare il senso del tutto nel fenomeno umano e il senso del fenomeno umano nel formarsi della coscienza e nella sua tensione verso una 'supercoscienza' (9.14).
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II clima in cui si svolge il personalismo e quello reso minaccioso dai totalitarismi di ogni tipo. E' questa Ia congiuntura storica dell'esistenzialismo come risposta agli smarrimenti della coscienza individuale, e in particolare dell'esistenzialismo di Sartre, che esprime non un'esigenza di fuga rna di impegno storico (9.15). Alia sua base c'e l'analisi della coscienza, identificata col 'nulla' in rapporto al mondo delle cose, rna un nulla attivo, in cui si ricostmisce di continuo lo spazio della libertfJ. (9.16). La liberta si manifesta, pen'>, come ordinata a! nulla: di qui l'angoscia. Un'angoscia che trova alimento anche nel fatto che l'esistenza e sempre esistenza per l'altro, ed e in questo rapporto strutturale che essa rischia di diventare oggetto dell'altro, di degradarsi a mera oggettivita. A questi due scacchi se ne aggiunge un terzo, l'estremo: l'uomo e sempre in tensione perche mira alia coincidenza tra l'in-se (l'essere) e il per-se (Ia coscienza), una coincidenza che potrebbe darsi solo in Dio, che pero non c'e: l'uarno e una passione inutile (9.17). E' con questa dialettica del fallimento che Sartre si confronta col marxismo, di cui cerca di colmare una lacuna, quella della soggettivita (9.18).
Lo spiritualismo francese 9.1 II positivismo spiritualista. Nella prima meta dell'Ottocento, durante la stagione degli ideologi, prima, e poi durante quella dei positivisti, non era venuta meno, anzi si era irrobustita la corrente di pensiero a cui aveva dato voce originale Maine de Biran (3.8) e che, in un secondo tempo e con ambizioni di stampo hegeliano, si era installata, con Victor Cousin, nei centri direttivi della vita culturale del paese. Abbiamo gia vista come, sia in politica che in filosofia, la linea di Cousin fosse quella del 'giusto mezzo' (3.14) e come, proprio per questa, essa abbia incontrato anche in Italia l'attenzione che i pensatori tedeschi, da Kant a Hegel, non erano riusciti ad avere. Nel quadro delle correnti dominanti in Europa, il ruolo di Cousin fu quello svolto in Italia da Galluppi e, con tanto maggior successo, da Rosmini: assumere le istanze contrapposte del sensismo e dell'idealismo, per armonizzarle in una dottrina che, da una parte, contra il sensismo, desse fondamento valido alla conoscenza metafisica e, dall'altra, contra l'idealismo, salvasse le ragioni del concreto, prime fra tutte quelle della liberta individuale nei confronti della statalismo. Naturalmente, in Francia il confronto con gli opposti schieramenti fu piu vivace e piu fecondo, anche perche piu rispondente ai condizionamenti del contesto storico. Fra questi, occorre ricordare la 'necessita politica', cresciuta di pari pas so con I'egemonia dei ceti borghesi imprenditoriali, le cui richieste, in termini istituzionali e ideologici, erano il rafforzamento della Stato nel suo duplice ruolo di garante del libero mercato e di strumento di espansione economica e, in termini piu direttamente culturali, la giustificazione della liberta intesa come slancio creativo. La borghesia del Secondo Impero, perduti i fremiti individualistici dell'eta giacobina, anche se non conservava nostalgie per la cultura prescientifica, chiedeva un supplemento d'anima al dinamismo della nuova fase della rivoluzione industriale, che associava il fervore creativo della tecnica e l'ardimento degli investimenti finanziari su scala mondiale. Il vecchio sensismo, coevo all'individualismo politico, aveva lasciato libero passo, in Francia, al positivismo tecnocratico, rna, come si e vista (7.1 ), il positivismo coltivava il miraggio di una pianificazione troppo disponibile alle gestioni centralizzate.
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Ci sarebbe voluto un positivismo capace di combinare la mentalita scientifica e Ia competenza creativa, Ia razionalita della macchina e l'intraprendenza del soggetto umano: insomma, per dir tutto secondo categorie filosofiche che ormai ben conosciamo, il meccanicismo e il finalismo. Ci sarebbe voluto un 'positivismo spiritualista'. L'ardita espressione, che associa tra !oro due termini gia ritenuti inconciliabili, si ritrova in uno scritto che potremmo considerare il manifesto ufficiale della nuova fase del pensiero francese, il rapporto di Felix Ravaisson (18131900) su La filosofia in Francia nel secolo XIX, del 1887: Da molti segni e lecito prevedere come poco lantana un'epoca filosofica il cui carattere generale sara il predominio di cio che potremmo chiamare un realismo o positivismo spiritualista, il cui principia generatore sia Ia coscienza che lo spirito prende, in se stesso, di un'esistenza dalla quale egli riconosce che ogni altra esistenza deriva e dipende e che altro non e che Ia sua stessa azione.
Erano stati proprio Maine de Biran e Victor Cousin a considerare lo spirito come un 'principia vivente', e cioe come un principia Ia cui natura non si esaurisce cartesianamente nel cogito (col suo corrispettivo estemo della quantita estesa), per2he ha Ia densita qualitativa della monade leibniziana. Non per nulla Ravaisson, autore di un saggio sulla Metafisica di Aristotele (1846), trova il fondamento piu autorevole del suo 'positivismo spiritualista' nel filosofo che, distaccatosi da Platone, la cui 'idea' non basta a spiegare il movimento della natura, subordina i fenomeni a un principia primo che e insieme vita, pensiero e causalita pura. II legame della materia nei suoi vari gradi - fisico, chimico, biologico, psichico, psicologico - ·e assicurato, in Aristotele, da una finalita immanente, che vibra dal basso in alto, dalla pietra al cervello umano, e trova Ia sua sintesi nell'uomo, che infatti e dotato di tre anime, rna e unificato da quella razionale, che riduce a unita Ia molteplicita delle sostanze. Que! che mancava ad Aristotele, e sulla sua scia agli scolastici, era Ia comprensione della coscienza come interiorita, vale a dire come soggettivita capace di porre atti da se stessa in se stessa, e dunque come principia creativo di un ordine non riducibile aile regale matematiche della distinzione e della chiarezza. Gli spiritualisti positivi mirano, per dir cosi, a correggere Cartesio con Pascal e viceversa, ottenendo, appunto per questa, una larga udienza nella cultura francese, che per lo piu aveva vissuto le due grandi eredita secentesche con anima divisa. Non solo, rna il nuovo spiritualismo, come i suoi due precursori dell'inizio del secolo sopra ricordati, e in grado di far vibrare di fede religiosa Ia tradizione laicista e di laicizzare la tradizione religiosa, di aprire aile ragioni della spirito gli eredi del positivismo socialista e alia ragione della scienza i fautori del puro misticismo. Questa universalita eclettica, pacificatrice delle opposte tradizioni della vita culturale, favoriva, nella Francia imperialistica, anche prospettive di egemonia filosofica oltre le frontiere. «E' sempre la filosofia francese che piu ha meritato della spirito umano - scrivera, nel 1889, il cousiniano Barthelemy Saint-Hilaire - Se il secolo che sta per finire non ha contato alcun filosofo di genio in Europa, siamo noi francesi, possiamo dirlo, che piu ci siamo avvicinati a questa meta».
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9.2 Boutroux: il contingentismo. La via intrapresa dalla reazione spiritualistica acquista significato se si tien canto del contesto in cui nasce e si svolge, che e quello di un positivismo diventato ormai una specie di scolastica, con le sue sicurezze, con i suoi principi generali applicabili ad ogni campo dell'esperienza, compreso quello letterario (si pensi al 'naturalismo' di un romanziere di grande successo come Emile Zola), col suo gusto per gli assiomi adatti a volgarizzarne le dottrine anche ai livelli dell'intelligenza media. E' il 'positivismo del farmacista', quanta mai adatto a diventare, nei nuovi ceti che emergono nella Francia laica, una specie di ideologia del.quotidiano. I maftres a penser di questa periodo sono Ernest Renan (1823-1892), .che nella sua celeberrima Vita di Gesu (1863) applica il metoda positivista al fenomeno religioso, e Hippolite Taine (1828-1893), che con un'opera animata pili dall'afflato oratorio che dall'acume critico, l'Intelligenza (1870), fornisce al gran pubblico un'affascinante Summa del positivismo. Di definizione in definizione, il sapere dell'uomo e ormai in grado, secondo Taine, di ascend ere a un principia che, alia pari dell' ens generalissimum della metafisica medioevale, dia unita e coerenza all'enciclopedia delle scienze. A suo giudizio, esso e stato quasi raggiunto con la formulazione della Iegge della conservazione dell'energia. Sembrava vicina ad avverarsi l'ipotesi che era stata avanzata dal grande astronomo Pierre Simon Laplace (1749-1827): Un'intelligenza che, in un istante dato, conoscesse tutte le forze da cui Ia natura e animata e Ia situazione rispettiva degli esseri che la compongono, e che fosse tanto vasta da sottoporre tali dati all'analisi, abbraccerebbe in una sola formula i movimenti dei piu grandi carpi dell'universo e quelli del minima atomo: nulla puo essere incerto, e l'avvenire, come il passato, sarebbe presente al suo sguardo.
II postulato di Taine e, appunto, una specie di meccanica universale, capace di rendere ragione, con Ia chiarezza del principia di identita, di tutti i fenomeni. Che cos'e lo spirito? «Un flusso e un fascia di sensazioni e d'impressioni che, visti da un'altra faccia, sono un fascia e un flusso di vibrazioni nervose». «L'uomo e un teorema che cammina»; Ia virtu «e un prodotto, come il vino e l'aceto»; Ia storia e <mna geometria di forze», simili a quelle che governano Ia natura: «se mai potessimo misurare ed esprimere tali forze, potremmo dedurne, come da una formula, le proprieta della civilta futura». Un'epistemologia cosi povera di sensa critico prestava il fianco aile reazioni delle correnti di pensiero che non sapevano rinunciare al principia della coscienza come un a priori, evidente a se stesso nell'intuizione di st\ sintesi non riducibile agli elementi empirici che ne costituiscono il contenuto. Nella coalizione delle tendenze spiritualistiche, doveva avere particolare fortuna, nella secunda meta del secolo, quella che Ravaisson aveva chiamato del 'positivismo spiritualista', appunto perche accettava del positivismo il metoda dell'osservazione dei fatti su cui hanna fondamento le scienze, e trovava, proprio nell'analisi dei fatti, il punta d'appoggio per dimostrare Ia necessita dell' a priori spirituale. E' appunto questa Ia tesi che Emile Boutroux ( 1845-1 921) discusse nel 187 4 per l'esame di dottorato e che, pubblicata col titolo La contingenza delle leggi
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di natura, doveva dargli una fama europea, tenuta viva successivamente da un'intensa attivita di propaganda e di approfondimento teorico: particolarmente importante, tra i suoi scritti, L 'idea di Iegge di natura, del 1895. Il tema centrale della tesi di Boutroux, che viene denominata, appunto, 'contingentismo', e il rapporto tra necessita e contingenza, che il Taine aveva risolto a favore della necessita, mostrandosi propenso perfino all'ipotesi metafisica che l'esistenza dell'essere sia deducibile dalla sua stessa possibilita. Boutroux lo nega. I possibili sono molti, e tutti pretendono in ugual mpdo l'esistenza, mentre il reale e uno solo e, appunto per questo, presuppone un dato nuovo, l'atto per cui, tra i molti possibili, solo uno se ne realizza. Quest'atto e contingenza, non necessita. Ma la contingenza non e solo a questo livello metafisico, essa si ritrova all'interno delle varie forme del reale, dai cristalli, in cui la materia prende le sue pili elementari determinazioni, fino alla vita e, al vertice, fino alla coscienza. In questa gerarchia di forme, quella superiore presuppone, e vero, la scala delle forme inferiori, rna non ne e il puro e semplice prodotto, perche presenta, nei loro confronti, qualcosa di assolutamente originate e imprevedibile. Se e vero che cio che e superiore non si spiega senza cio che e inferiore, che la biologia, ad esempio, non si spiega senza la chimica, e vero anche che l'inferiore non basta a spiegare il superiore. Gil\ Ia fisica, considerando il lavoro come superiore al calore,. ricorre chiaramente alla nozione di qualita. La chimica si fonda sui postulato che esistano e si conservino elementi di diversa specie. L'atto riflesso della biologia non e una semplice reazione meccanica, perche ha Ia proprieta di assicurare Ia conservazione, J'evoluzione" e Ia riproduzione di una determinata organizzazione. La reazione psichica e ·qualcosa di piu, poiche tende a procurare all'individuo Ia scienza delle cose, cioe Ia conoscenza delle leggi, e quindi una facolta illimitata di utilizzarle per fini da lui stesso posti. Infine, in sociologia, l'azione dell'ambiente non basta a spiegare i fenomeni; bisogna considerare anche l'uomo, con Ia sua facolta di simpatia per gli altri uomini, con le sue idee di felicita, di progresso, di giustizia e di armonia.
Questa contingenza non si rivela solo nei passaggi da un grado all'altro del reale, e anche all'interno di ciascuno di essi, nel senso che ciascun fenomeno, visto nel suo proprio ordine, non e il prodotto puro e semplice degli elementi che lo costituiscono, e una sintesi la cui identita non sta nella somma dei suoi elementi, cosi come l'acqua non e Ia pura somma di idrogeno e ossigeno. Di qui l'incongruenza del modello meccanicistico in base al quale la scienza postula, nel mondo dei fenomeni, la permanenza, e quindi la possibilita di previsione. II mondo dei fenomeni e irriducibile alla quantita. Nell'intimo del suo stesso impero si afferma, come una realta primordiale e originaria, l'azione di un principio di cangiamento assoluto, di creazione vera e propria.
Questo principia di cangiamento si fa sempre pili scoperto, man mano che si ascende dalle forme pili elementari a quelle pili elevate dell'essere. Del tutto infondata e, dunque, la pretesa positivistica di giungere a formulare una Iegge che riduca a unita le leggi delle diverse scienze: tra le leggi di un tipo e le leggi di un altro c'e uno iato che non consente di passare dalle inferiori aile supe-
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riori con un processo di continuita. Si pensi anche al rapporto, cosi fondamentale nella scienza moderna, tra matematica e meccanica celeste. Perche i corpi celesti si attirano, come ha spiegato Newton, in ragione della loro massa? Puo la matematica dimostrare la necessita di questa attrazione? Del resto, la stessa matematica, modello e misura del mondo della necessita, non si basa forse su premesse che vengono date, rna non dimostrate come necessarie? La geometria di Euclide non e che una delle geometrie possibili ( 13.14). Dun que: da un lato le matematiche sono necessarie solo in quanto ammettono postulati, la cui necessita e indimostrabile, e cosi Ia loro necessita e, in conclusione, soltanto ipotetica. D'altra parte, l'applicazione delle matematiche alIa realta e e sembra non poter essere altro che approssimativa. In queste condizioni, che cos'e la dottrina del determinismo? Una generalizzazione ed un passaggio allimite.
Ma allora, che valore hanno le scienze? Nel loro insieme, esse rappresentano un sistema di «relazioni astratte tra termini nessuno dei quali rappresenta un essere vero e proprio)). Tra quelle 'relazioni', una sola ha il carattere di necessita, il principia logico di identita (A=A), che e, per l'appunto, anche Ia relazione piu impotente, in ragione della sua astrattezza, a farci conoscere Ia realta. II compito delle scienze e di raggiungere non una verita teoricamente fandata delle cose, rna solo una verita praticamente utile, e cioe una loro rappresentazione che ci consenta di esercitare su di esse il nostro potere. E cosi Boutroux approda a una conclusione che coincide con quella di molti altri pensatori della stesso periodo o di poco successivi, come, in Germania, Mach e Avenarius, negli Stati Uniti, James e Dewey, in Italia, Benedetto Croce, e con quella che, all'interno della stesso mondo degli scienziati, e dunque per vie interne alia stessa razionalita scientifica, si stava affermando, come vedremo in un apposito capitola, tra la fine del secolo scorso e gli inizi del nostro.
9.3 Blondel: Ia metafisica dell'azione. II superamento del positivismo mediante l'analisi dei dati primi della coscienza si ritrova anche nei propositi di una corrente di pensiero che si e soliti chiamare 'filosofia dell'azione' e che ebbe Ia sua espressione piu clamorosa e piu feconda ne L Azione di Maurice Blonde!*. Formatosi, anche lui, in quella Scti.ola norm ale di Parigi che negli ultimi decenni del secolo era diventata il centro piu vivace del confronto tra le due anime della cultura francese, anche Blondel, alla pari di Boutroux, confuta come dommatica la pretesa della scienziato di applicare le leggi della meccanica a tutti gli ambiti dell'esperienza umana, nella presunzione che il simbolismo quantitativa, di cui queUe leggi fanno uso, riproduca fedelmente la realta. Lo scienziato non e in grado di dare di nessun fatto, per quanta minima, una spiegazione esauriente, perche ogni fatto indagato dalla scienza e gia esso stesso una costruzione mentale, un'azione dello spirito. E' questa il paradosso roesso a fuoco, con grande foga, da Blonde}: la scienza presume di far da fondamenta alla nostra azione, mentre e proprio la nostra azione che la rende possibile e di continuo la supera. Nel linguaggio di Blondel, il termine 'azione' ha un significato pregnante, che implica, in una sintesi che e il sensa stesso del dinamismo umano, la spontaneita e la riflessione, la realta e la conoscenza della realta, la persona morale
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e l'ordine universale, la vita interiore .dello spirito e le sorgenti superiori a cui essa si alimenta. Dato primo della coscienza, l'azione resta impenetrabile all'intelletto, nel senso che non puo essere espressa per mezzo di concetti chiari e distinti, dato che, lungi dal sovrastarla, i concetti sono funzioni della sua dinamica, la cui scaturigine prima e il cui ultimo approdo stanno al di fuori del perimetro della coscienza. Nella seconda edizione (193 7) del suo capolavoro, Blondel paragona I'azione «al propagarsi del moto in un mezzo elastica, in seguito ad una scossa iniziale che suscita una serie di onde propagantisi indefinitivamente in cerchi concentrici». Ogni onda, grazie a una spinta iniziale che resta misteriosa, sgorga dalla precedente e rinvia alia successiva, in ragione delle sue intime 'deficienze'. Di onda in onda, di rinvio in rinvio, si giunge all'ultima onda, l'«onda esotica e suprema» che e la realta soprannaturale. Non e possibile render conto del succedersi di questi cerchi concentrici partendo dall' idea dell'azione. Que] che conta nella dottrina di Blondel e che per cogliere la molla che provoca l'inesauribile movimento dell'azione, bisogna calarsi al suo interno. La molla e la contraddizione tra la 'volonta volente' e la 'volonta voluta'. La volonta volente (anche la tradizione antica e medioevale parla di una voluntas ut natura) e una inclinazione fondamentale, che determina necessariamente l'inquietudine, l'aspirazione, lo slancio verso il suo fine supremo. Questo movimento congenito alia volonta volente si specifica nella volonta voluta, nei fini particolari e successivi, che sono per noi come i mezzi Maurice Blondel nasce a Digione nel 1861, in un ambiente familiare intensamente religioso. Fin dai suoi primi studi mostra interesse per il pensiero di Maine de Biran. NeZ 1881 entra nella Scuola Normale di Parigi, dove ha tra i maestri Emile Boutroux.. NeZ 1882 da inizio alla preparazione della sua tesi di dottorato, L'Azione. Saggio di una critica della vita e di una scienza della pratica, che discutera nel 1893, suscitando subito vari contrasti, sia nell'ambiente cattolico che in quello laico, a causa· del rapporto di necessita che essa sembra porre tra l'analisi filosofica e la fede reiigiosa. Nel 1896 e nominata professore di Filosofia all'universita di Ai.x en Provence, dove restera fino al192Z Chiamato in causa da piii parti durante il dibattito teologico suscitato dal modernismo, quando questa movimento e condannato dalla chiesa ( 1907), egli si chiude in una vita di rice rca molto appartata che interrompe raramente fino a che, nel 1934, non da inizio alla pubblicazione della sua trilogia -II pensiero (2 volumi); L'Essere; L'Azione (2 volumi, nei quali e rifusa la prima Azione, del 1893) - coronata da tre volumi su La filosofia e lo spirito cristiano, !'ultimo dei quali esce postumo, nel 1951. Era morto ne/1949. La 'trilogia' ha ambizioni sistematiche, rna non fa che riproporre in tre distinte prospettive il metoda e le conclusioni de L'Azione del 1893, che resta in ogni caso !'opera blondeliana penetrata efficacemente nello svolgimento del pensiero contemporaneo. Ecco perche e a quest'opera che si limita Ia nostra esposizione.
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o le occasioni per compiere il nostro destino, il cui senso pieno e di giungere a mettere in equazione queste due volonta, l'iniziale e Ia finale. L'errore della psicologia positiva e di analizzare, guardando indietro, le condizioni dell'atto (la volonta voluta) dopo che esso si e compiuto, per dedurne Ia connessione necessaria tra le 'cause e l'effetto. Ma il senso pieno dell'atto e al di la della sua determinazione concreta, e nell'infinito che Ia volonta volente ha di mira, anche quando, nel fine particolare che ha realizzato, essa ci si presenta come volonta voluta. L'atto volontario va dunque dall'infinito all'infinito, perche vi ~ . causa efficente e causa finale. La liberta, lungi dall'escludere il determinismo, ne esce e se ne serve; il determinismo, lungi dall'escludere la liberta, la prepara e la produce.
Inutile chiedere alla ragione di rendere conto, con i suoi strumenti, dell'intera serie delle realizzazioni della volonta; il primo e !'ultimo anello, come si e detto, sono fuori della sua presa, e dunque e fuori della sua presa la volonta volente, che li percorre tutti e che e come l'a priori in cui trovano sintesi i contenuti via via pili ricchi che le danno concretezza. Essa e, infatti, in ogni suo momenta, volonta dell'infinito; l'infinito agisce in lei come esigenza fin dal centro oscuro e misterioso dal quale essa emerge, integrando in se tutte le tendenze del mondo organico, ivi compreso quel pensiero ignaro di se che c immanente alla stessa organicita del corpo e, attraverso il corpo, al mondo intero. Ecco perche in ogni nostro atto volontario c'e pili di quanta vi ha deposto l'intenzione: nella zona prerazionale della volonta, c' e molto di pili di quanta c'e neUe zone della pura intenzionalita. Infatti, ogni atto effettivo dice di noi quanta noi ignoravamo di noi stessi, e il testimone palese delle nostre aspirazioni pili segrete, lo specchio che ci da l'immagine visibile di cio che noi siamo e che trova nell'azione l'occasione e il mezzo di attuarsi. Ogni at to che emana dall' organism a umano e anche, fuori di noi, un organismo di segni, un simbolo espressivo della vita soggettiva: proprio per questa esso chiama in causa gli altri. L'azione non si realizza che per gli altri e con gli altri, anche se, nell'intenzione, essa non mira che a un fine egoistico. L'onda sorpassa di necessita l'orizzonte individuale e coinvolge Ia societa. Questa moto espansivo si realizza in tre tappe concentriche: la famiglia, in quanta comunita che funziona come un organismo prolifico la cui fecondita e data dalla stessa unione; la patria, che non e un semplice prolungamento della vita domestica, rna una superiore famiglia delle famiglie, che porta alia luce cio che c'e di metafisico nella volonta profonda; 1' umanitd, che da adem pimento pie no a questa volonta nella sua esigenza di coinvolgere nd proprio dinamismo l'altro, non in quanta amico o nemico, fratello o compatriota, rna semplicemente in quanta uomo. Ma nessun orizzonte empirico puo chiudere il cerchio dell'azione, che tende ad essere cio che veramente e, a includere, cioe, nei propri risultati quell'infinito che e, a tergo, la spinta a priori del suo movimento. Siamo aile soglie tra l'opzione etica e l'opzione religiosa, e cioe alle soglie del trascendente, il cui riflesso l'azione scopre nel suo stesso espandersi. E' qui che Blondel inserisce nella propria fenomenologia i dati di fatto dell' esperienza religiosa, dalle forme pili grezze della superstizione a quelle pili raffinate della religione naturale.
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Nella sua esigenza di captare l'infinito nel finito, per dominarlo ed esserne allo stesso tempo, dominato, l'uomo lo assume nella serie delle cose per collocarlo, 'in una specie di vertigine', fuori della serie, dando cosi il segno di un'indigenza che e, nel contempo, impossibile sopprimere e impossibile soddisfare per via naturale. «Ouanto e artificiale ogni religione naturale, altrettanto naturale e l'attesa di una religione». L'antinomia cui approda l'azione peril semplice svolgersi delle sue implicazioni non si risolve se non passando dal piano fenomenologico a quello ontologico, in virtu di una scelta che non ha niente di soggettivo, fondata com'e sull'oggettivita dei motivi razionali. Io posso, se voglio, adottare interamente la mia finitudine, rifiutando, non senza una segreta disperazione, la grazia che mi chiama. Ma l'insufficienza della mia filosofia puo anche portarmi ad adottare la filosofia dell'insufficienza e ad entrare nella sfera, quella religiosa, in cui l'iniziativa sia rimessa al trascendente. Qui sta l'essenza della fede cristiana; un'onda 'esotica e suprema' irrompe, in senso contrario, nelle ondulazioni concentriche suscitate sul mio specchio d'acqua dall'incalzare della volonta volente: esotica, perche viene appunto dal di fuori dell'ultimo cerchio; suprema, perche viene dall'alto. E tuttavia, quest'onda si inserisce nell'operare umano senza menomarne Ia liberta, anzi adempiendone ii postulato piu profondo. E' soprattutto su questo punto, in cui il metodo dell'immanenza giunge a interferire sia con la trascendenza ontologica, sia con quella teologica, che la filosofia blondeliana dell' azione ha suscitato, fin dal 1893, un dibattito destinato a durare fino a questi ultimi decenni. Sulla prima frontiera, che separa la fenomenologia deU'azione e la trascendenza ontologica dell'essere, Ia problematica, affrontata di nuovo da Blondel nella sua trilogia apparsa tra gli anni '30 e gli anni '40, non e dissimile da quella apertasi in Italia nel dibattito tra Rosmini e Gioberti (6.1 0) circa Ia possibilita di passare dall' ordine logico all' ordine ontologico. Sulla seconda, il dibattito provoco, in seno alia teologia cattolica, un duplice schieramento, raggiungendo toni aspri ed esiti drammatici durante la crisi modernista, di cui dovremo occuparci in seguito (17.9). Blonde} e i teologi favorevoli al metodo dell'immanenza cercarono di dissolvere l'ambiguita del concetto di soprannaturale, che fa da cerniera tra le conclusioni della filosofia dell'azione e la forma di sapere fondata sulla fede che ha per oggetto sia !'ordine della grazia, gratuitamente concessa da Dio alla natura per redimerla ed assumerla nella sua stessa vita, sia l'evento storico in cui l'iniziativa si e manifestata, e cioe l'Incarnazione, la Morte e la Resurrezione di Cristo. Nellinguaggio di Blonde!, il termine soprannaturale ha due significati. Esso designa, innanzitutto, il trascendente, Ia cui esigenza si rivela nella struttura integrale dell'uomo nel momento in cui Ia volonta volente e la volonta voluta postulano una loro compiuta coincidenza. Per indicare questo 'soprannaturale' in senso ampio, Blondel usa anche il termine 'transnaturale'. In secondo luogo, il termine designa proprio quell'ordine della grazia che eccede di per se le possibilita della natura. La tesi specifica di Blonde} e che questa eccedenza non sarebbe assimilabile dall'uomo se essa non fosse anche il principia stesso del suo svihtppo. Quel che ha ragione di fine, deve essere anche, sia pure oscuramente, al principio dell'azione, sua causa prima e sua prima norma. «Se la nostra natura non e in casa sua nel soprannaturale, i1 soprannaturale e in casa sua nella nostra natura». II punto delicato e inevitabilmente problematico del metodo del-
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l'immanenza blondeliano e proprio in questa saldatura, in questa s~ecie di sintesi a priori tra la partecipazione primordiale all'infinito, che e Dio, e il dono ulteriore, di sua natura gratuito, divenuto disponibile all'uomo con l'evento cristiano.
Bergson 9.4 Tempo e durata. Anche l'itinerario filosofico di Henri Bergson* prende avvio da una convinta condivisione del metoda positivistico, in particolare di quello di Hebert Spencer (7.14), rna subito ne yarca i limiti, e non per deviazione, rna per una pili radicale applicazione del principia stesso che sta alla base di quel metodo: l'analisi immediata dei fatti dell'esperienza. La sua tesi di laurea, discussa alia Sorbona nel 1889, e appunto un Saggio sui dati immediati della coscienza, che ha come tema di fondo Ia distinzione tra la vera immediatezza e quella inautentica, di cui fanno uso gli 'scolastici del positivismo'. Lo spazio dell'analisi e quello ormai fissato dalla tradizione degli ideologi: la sfera della percezione. Ma proprio nelle brevi parole introduttive del Saggio, Bergson, da positivista, si apre un varco per superare il proprio positivismo: «Noi ci esprimiamo necessariamente per mezzo di parole e pensiamo, il pili spesso, nello spazio)), ponendo tra le nostre idee «le stesse. distinzioni, nette e precise, la stessa di-
Henri Bergson nasce a Parigi nel 1859, da madre inglese e padre polacca. Per quanta, nei suoi primi studi, siano stati straordinari i suoi successi nelle discipline matematiche e scientifiche, quando entra, nel 1878, alia Scuola Normale egli sceglie i corsi letterari e filosofici, in cui ha per maestro Emile Boutroux e come autore preferito Herbert Spencer. Dopa un periodo di insegnamento nei licei, sostiene Ia laurea di dottorato alia Sorbona, nel 1889, discutendo una tesi in francese, Essai sur les donnees immediates de la coscience, e una tesi in Iatino sulla concezione aristotelica della spazio: Quid Aristoteles de loco senserit. Dopa un periodo di insegnamento nella Scuola Normale, diviene, nel 1900, Professore di filosofia al College de France e vi resta, con crescente successo, fino al 1921. La sua fama era diventata europea da quando aveva pubblicato, nel 1907, ZEvoluzione creatrice. In questa periodo e forse il piu nato dei filosofi del suo tempo e viene insignito di riconoscimenti d'ogni genere, fino al Nobel nel 1928. Negli ultimi anni, crescono i suoi interessi per Ia questione religiosa (nel 1932 pubblica Le due sorgenti della morale e della religione) ed egli si avvicina al cattolicesimo, fino a una aperta professione di fede, che pen) non si trasforma in una richiesta di battesimo perche, ebreo di nascita, non vuole rompere la solidarieta col suo popolo perseguitato. Muore nei giorni della disfatta francese, il3 gennaio 1941.
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scontinuita che v~ e tra gli oggetti materiali». Ecco la falsa immediatezza. Non potrebbe darsi, si: domanda Bergson, che la controversia tra i deterministi e i loro avversari nasca proprio da questa abitudine di esprimere l'inesteso con i termini dell'estensione, la qualita con i termini della quantita? L"imbroglio' si fa chiaro appena si riflette sulla differenza tra il tempo, cosi com~ lo viviamo noi, e il tempo cosi come ce lo rappresentiamo. Si tratta di due tempi, irriducibili l'uno all'altro e che tuttavia, nel nostro linguaggio, vengono tranquillamente omologati, per la semplice ragione che questo procedimento e molto utile alia nostra vita pratica ed e addirittura necessario nella maggior parte delle scienze. Noi concepiamo il tempo riferendoci simbolicamente al movimento di un mobile nella sua traiettoria e cioe secondo una misura spaziale, che ci consente di scomporlo in unita omogenee, come i secondi, i minuti e le ore. Ma questo tempo matematico e altra cosa che il tempo interiore, detto da Bergson 'durata reale'. Solo se riusciamo a isolarla dall'elemento estraneo che la modifica, e cioe dallo spazio, la durata ci appare per quello che e: un ritmo interiore, i cui momenti si compenetrano l'un l'altro, si prolungano gli uni negli altri, in una corrente fluida e indivisibile, che e, a un tempo, varieta di qualita, continuita di progresso, unita di direzione. n vero dato immediato della percezione e la durata, e non quella sua mescolanza con le rappresentazioni spaziali che e invece il normale contenuto della nostra attenzione a noi stessi. La dove c'e «una zona semovente che abbraccia tutto cio che sentiamo e vogliamo: in breve tutto cio che siamo in un dat.o momento», la nostra attenzione ritaglia stati d'animo tra loro distinti, che sfilano su di un substrato rigido e immobile, l'io, come attori sulla scena. Questo equivalente statico della vita interiore e ordinato a soddisfare le esigenze della logica e del linguaggio e, in ultima istanza, le esigenze dell'azione. Ma la vita interiore e la durata stessa, che non si adatta a essere mediata dai concetti matematici di molteplicita e di unita. Il concetto di molteplicita dissolve la durata in un pulviscolo di attimi, l'uno esterno all'altro, l'uno separato dall'altro da quell'abisso dell'infinito matematico di cui si serviva Zenone, nelle sue aporie, per equiparare, con sgomento dei suoi uditori, il movimento e l'immobilita. 11 concetto di unita dissolve anch'esso la durata, perche sostituisce alia compresenza di elementi molteplici un substrato unico e inimobile. La scienza e, certo, padrona di misurare anche la durata secondo il modello spaziale, purche sia cosciente del carattere pratico del suo espediente e riconosca che il mondo che essa costruisce e il mondo deli'artificio, da non confonciere col mondo reale, quello, appunto, della durata. Che si tratti di due mondi diversi si capisce intuitivamente, appena si riflette che, dentro un medesimo giro delle lancette d'orologio, possono svolgersi due durate tra loro incommesurabili, come una siesta sonnolenta e un incontro sconvolgente che cambia il corso della nostra vita. . L'idea di durata e, nel pensiero di Bergson, un'idea chiave, che apre, per tappe successive, l'accesso - ed e di questo che ora dovremo distintamente occuparci - alia comprensione dell' atto libero dell'io, della memoria pura, dello slancio vi tale e finalmente del cammino dell'umanita verso 1' orizzonte add ita to dai mistici.
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9.5 L'Io: determinismo e liberta. La distinzione fra tempo e durata equivale alia distinzione tra un io di superficie, che e una individuazione del sociale e del razionale, un luogo degli automatismi soggetti aile leggi dell'universo, che possono essere espressi mediante il simbolismo spaziale, e un io profondo, che e una stessa cosa con Ia durata, cosi come viene percepita, con immediatezza, dalla coscienza, e che pertanto non puo essere comunicato, dato che ogni comunicazione comporta l'uso di segni comuni, anonimi, e dunque non idonei a esprimere cio che e assolutamente personale, rassomigliabile solo a se stesso. I termini con cui tradizionalmente si definisce questa profondita dell'io, come 'anima' o 'spirito', sono equivoci, perche rischiano di solidificare quel che invece e un flusso costante, vissuto in opposizione allo spazio e al tempo percepito mediante lo spazio. E' questo il modo con cui Bergson riprende e ripropone Ia questione metafisica. II versante metafisico dell'uomo e, appunto, l'io profondo, opposto alia sua cristallizzazione di superficie, e proprio per questo ineffabile, senza 'ragione', dato che, di sua natura, Ia ragione ha presa soltanto la dove e possibile l'uso dei concetti chiari e distinti. I limiti della ragione sono evidenti quando si tratta di render conto dell'atto libero. E' nell'atto libero che l'io profondo ha la meglio sull'io superficiale, sia pure per un istante, risolvendo in se stesso la dualita soggettiva. L'errore del determinismo sta nello spiegare l'atto libero distendendolo nella molteplicita degli stati che lo precedono e facendone come lo sbocco necessaria di una serie causale. E certo, quando, compiuto l'atto, se ne analizza il processo genetico, esso non puo non apparire necessaria. Ma il vizio e in questo tipo di analisi, che fa uso di rapporti quantitativi la dove invece si da la compenetrazione reciproca tra l'atto di liberta e i suoi antecedenti, una compenetrazione che unifica un'infinita congerie di moventi, anche quelli che risalgono all'infanzia o addirittura alia condizione prenatale. Nell'atto libero e presente la totalita degli antecedenti, che pero non lo determinano, anche se gli sono intimamente solidali. In esso, Ia durata si rivela per quel che e: una continua creazione. Solo quando esso viene rappresentato estrinsecamente, secondo gli schemi del tempo spaziale - dei quali fa uso, ad esempio, la psicologia associazionistica di uno Stuart Mill (7.6) -,solo allora esso appare necessitato. Non diversamente che nella dottrina positivistica, anche in quella tradizionale del libero arbitrio si introduce surrettiziamente la logica quantitativa, in quanto la liberta vi viene rappresentata come una scelta tra possibilita numericamente diverse. In sintesi: ogni definizione della liberta e gia una concessione al determinismo, perche «si analizza una cosa, non Ia durata». Definire un atto libero vuol dire, infatti, metterlo in rapporto ad altro, e percio violare la sua indivisibilita, la sua natura di atto creativo. 9.6 Materia e memoria. Le conclusioni del Saggio riproponevano, sia pure in forma non piu sostanzialistica, i problemi tradizionali della dualita tra anima e corpo. Dopo aver isolato la durata dal tempo spazializzato, dopo aver determinato, separandola dai determinismi che vi si innestano, l'azione Iibera in cio che essa ha di proprio, restava a Bergson di rendere ragione dell'altra faccia della realta, del regno della quantita, e cioe della materia, a cominciare dalla materia che e a diretto contatto con Ia durata, e cioe del corpo u'rnano, e piu
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precisamente di quel suo organo che sembra far tutt'uno con i processi psichici, il cervello. Proprio in quegli anni, la psicofisiologia, con la sua teoria delle localizzazioni cerebrali, accreditava la tesi che le circonvoluzioni fossero la sede delle funzioni psichiche. II positivismo si faceva forte di queste conquiste della scienza, fino a ridurre gli stati di coscienza a epifenomeni degli stati cerebrali, mentre lo spiritualismo difendeva con intransigenza Ia tesi della irriducibilita del fisico allo spirituale e viceversa. Bergson si introduce nel dibattito, sviluppando le premesse gia poste nel Saggio, ed espone le sue conclusioni in un'opera complessa e difficile, Materia e memoria (1896). 1. Egli comincia col definire il concetto chiave di tutta Ia sua argomentazione, quello di immagine. Proprio come l'intende il senso comune, l'immagine e <mn'esistenza situata a mezza strada tra la cosa e la rappresentazione», non dunque una cosa indipendente dalla coscienza, come vorrebbero i positivisti, ne una rappresentazione senza Ia cosa, come vorrebbero gli idealisti. 2. L'insieme delle immagini e Ia materia. In questo insieme c'e un'immagine plivilegiata, quella del mio corpo, che, oltre ad essere immagine, ha anche la capacita di agire sulle immagini, come dire sul mondo materiale, ed e pertanto un centro di indeterminazione nel dinamismo universale. E' qui che si precisa una secunda nozione fondamentale, quella di percezione. Essa e, appunto, l'atto con cui il nostro corpo, mediante i\ cervello, si inserisce attivamente nel contesto delle altre immagini. Mentre nella scienza ogni immagine ha un valore stabile in rapporto alle altre, per Ia mla coscienza le immagini hanna valore in base al rapporto che hanno con una certa immagine determinata, il mio corpo in quanto centro di azioni-reazioni. Negli organismi elementari, la reazione segue immediatamente l'azione (e dunque non si danno percezioni); piu ci si avvicina all'uomo e piu Ia reazione 'prende tempo' sullo stimolo, e cioe piu largo si fa il ventaglio delle immagini in rapporto alle quali dovra determinarsi Ia mia azione. E siccome l'ampiezza della percezione misura esattamente l'indeterminazione dell'azione consecutiva, si puo enunciare questa Iegge: «Ia percezione dispone della spazio nell'esatta proporzione in cui l'azione dispone del tempo». Come dire che la percezione e funzionale ai bisogni del corpo. Essa ci da non tanto il disegno oggettivo delle cose, quanto il tracciato della nostra azione possibile sulle cose stesse. Come si vede, le operazioni elementari dello spirito sono, per Bergson, non cognitive, rna utilitarie. 3. La percezione elimina le immagini inutili e le conserva nella memoria. Ed eccoci alia terza nozione fondamentale. La memoria, come sopravvivenza di immagini passate, e, si, il prodotto della percezione selettiva, rna a sua volta guida e ispira la percezione. Bergson chiama questo scambio tra percezione e memoria endosmosi. L'analisi di questo raccordo vitale tra memoria e percezione conduce Bergson a una distinzione divenuta classica, quella tra memoria -abitudine e memoria-ricordo. La memoria-abitudine e l' organizzazione degli atti che nascono dalla ripetizione di un medesimo sforzo o di un medesimo gesto, dalla scomposizione e ricomposizione' di un'azione totale, tanto sul piano motorio che su quello mentale. Si pensi all'automatismo con cui un pianista provetto muove le dita sulla tastiera, senza, nemmeno rendersene con to, o al modo con cui si impara a memona un testa. 0
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La memoria-ricordo e invece quella in cui i fatti del passato restano bene individualizzati e le loro circostanze restano non piu ripetibili nel fluire del tempo: saranno per sempre quello che sono fin dalla loro nasdta. Essi vivono nella penombra della psiche, in attesa di essere evocati, e ad evocarli non e il corpo, con i suoi automatismi (le dita sulla tastiera), rna la mia coscienza, a cui in realta appartengono. Ed anche quando essi, in un momenta di sogno o di rilassamento della riflessione, emergono come di sorpresa, hanno una vivacita che ne rivela l'origine non meccanica. Dunque non c'e e non puo esserci nel cervello una regione in cui i ricordi si fissino o si accumulino. La pretesa distruzione dei ricordi ad opera delle lesioni cerebrali e solo l'interruzione del processo continuo per il quale il ricordo si attualizza.
Per quanto 'teoricamente indipendenti' l'una dall'altra, le due ·memorie sono, nel concreto della vita psichica, tra loro strettamente connesse, cosi come ambedue acquistano senso nell'atto della percezione, che senza la memoria si risolverebbe in un atto puntiforme e non in una conoscenza vera e propria. E' Ia percezione che evoca e raccoglie i ricordi, e li inserisce nello spessore della durata. Come sopra si e detto, la percezione e un rapporto tra i bisogni del corpo vivente e il contesto delle immagini di cui consiste Ia materia. Il corpo fa dunque da intermediario tra la vita della memoria e le necessita dell'azione. E siccome la vita della memoria non e che la durata, e il corpo ne e soltanto lo strumento, ne deriva che, senza lo strumento, Ia durata, e doe lo spirito, non potrebbe agire, rna non e detto che non possa continuare ad esistere. Esaminata come memoria, la durata assume, dunque, una dimensione metafisica: e l'equivalente dell'anima immortale, che viene cosi reintegrata, nel 'positivismo spiritualista' di Bergson, non alia maniera dommatica, rna come una positiva probabilita. 9.7 L'evoluzione creatrice. Fin qui, Bergson ha usato il concetto di durata per definire il flusso indivisibile e ininterrotto dell'io profondo e Iibero, e successivamente per identificare questa flusso con la memoria, intesa come la vita stessa della spirito. E' possibile compiere una terza tappa per applicare i risultati di questa prima indagine all'intero fenomeno della vita cosi come si manifesta nell'universo. In died anni di ricerche in ogni campo e di diretto confronto con l'ipotesi trasformista nelle forme metafisiche che aveva raggiunto in Spencer, Bergson elaboro una sua originale concezione, che espose in un'opera divenuta immediatamente celebre, anche per 11 suo valore letterario, L 'evoluzione creatrice (1907). In sintesi, l'evoluzionismo bergsoniano non e che l'applicazione del concetto di durata all'universo intero, con esiti che dovevano mettere a soqquadro le opposte schiere dell'evoluzionismo positivistico e della spiritualismo metafisico. Dell'evoluzionismo darwiniano (7.11) Bergson accetta l'ipotesi di fonda, divenuta ormai pressoche evidente, che consiste «nel constatare la relazione di parentela ideale tra le forme viventi e nell'affermare che, dove si ha ta_\e rapporto di filiazione logica tra delle forme, c' e altresi un rapporto di successlone cronologica tra le specie in cui tali forme si materializzano>>. Ma le ramificazioni dell'albero della vita non si spiegano, per Bergson, se non si pone, alia sua radice,
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uno 'slancio vi tale' (elan vital), che ha preso, nel tempo, tre direzioni divergenti; quella della materia, quella della vita vegetale, quella degli animali, scissa a sua volta in due direzioni, quella degli artropodi e quella dei vertebrati. Si tratta di uno slancio finito, che come tale puo tornare su se stesso, in una specie di circolarita neoplatonica. Esso suscita delle resistenze a se stesso, rna fa di queste resistenze, e cioe della materia, lo strumento per la sua espansione ulteriore. Mentre nei corpi inorganici il presente non contiene nulla di piu del passato, anzi e il passato, e cio che si trova nell'effetto c'era gia nella causa, l'essere vivente, si tratti pure di un embrione, «implica una sopravvivenza del passato nel presente e quindi un'apparenza almeno di memoria organica». Lo stato del corpo vivente non puo mai venire spiegato compiutamente con lo stato immediatamente antecedente, appunto perche l'impulso che lo sospinge e della stessa natura della durata in cui e imrnerso J'individuo urnano, e lo slancio vitale, che potrebbe anche essere definito come la durata dell'universo. La curva che descrive le successive e irreversibili creazioni, tanto nell'individuo vivente quanto nell'universo, e l'evoluzione, che si dira creatrice per differenziarla da quella dei meccanicisti e dei finalisti, che e invece una evoluzione deterministica, perche totalmente riconducibile alia causa efficiente, per i primi, o alla causa finale, peri secondi. Nell' ipotesi meccanicistica, con la quale il confronto di Bergson e piu diffuso e piu serrato, il passato e l'avvenire sono calcolabili in funzione del presen, te. Un'intelligenza sovrumana, capace di effettuare il calcolo, abbraccerebbe d'un solo sguardo, passato, presente e avvenire. Osservando la nebulosa originaria, una tale intelligenza avrebbe potuto - secondo l'ipotesi di Laplace (9.2) aggiornata dal darwinista Thomas Huxley, nel 1864 - tenendo conto della proprieta delle singole molecole, prevedere le condizioni della fauna della Gran Bretagna nel 1868, con la stessa sicurezza con cui sappiamo che cosa accadra del vapore della respirazione in una giornata fredda. II meccanicismo radicale - obietta Bergson - implica una metafisica, per cui Ia totalita del reale e gia data, in blocco, nell'eternita e per cui Ia durata apparente delle cose esprime ·soltanto l'infermita di un pensiero che non puo conoscere tutte le cose simultaneamente.
Ma anche nell' ipotesi del finalismo radicale il tempo corre inutile, perche ogni passo dell'evoluzione e gia dato nel fine che essa raggiungera nel futuro. Se nella critica al meccanicismo Bergson non si discosta molto da quanto aveva gia detto Boutroux, nella critica al finalismo egli e piu perplesso e piu contenuto, dato che, a suo giudizio, «la dottrina delle cause finali non potra essere mai confutata in modo definitivo». Essa vale, infatti, da un punto di vista retrospettivo, e cioe quando si intende spiegare un avvenirnento presente in base ai suoi antecedenti, rna purche si tenga conto che, in questo giudizio retroattivo, noi proiettiamo surrettiziarnente il presente nel passato, senza tener conto che un avvenimento presente del-tutto diverso da quello che di fatto si e verificato potrebbe benissirno venir spiegato allo stesso modo, rintracciando, cioe, nel passato gli antecedenti adatti a renderne ragione. L'errore di questo procedirnento sta nell'estendere troppo lontano l'applicazione di certi concetti connaturati alia nostra intelligenza, che pensa sernpre in vista dell'azione, rnodellando
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Ia realta secondo un piano da realizzare. Insomma, l'ipotesi finalistica ha il difetto dell'antropomorfismo, pensa al divenire del cosmo come se esso altro non fosse che l'esecuzione di un disegno stabilito da un'intelligenza. Se cosi fosse, ancora una volta tutto sarebbe gia dato, in que! divenire, e il tempo sarebbe solo un segno dei limiti della nostra intelligenza umana, incapace di vedere l'intero dispiegamento in un sol colpo. L'inadeguatezza dei due punti di vista antagonistici e stata espressa, da Bergson, in una pagina di grande chiarezza intuitiva, che merita riportare, anche perche da un segno della eccezionale abilita letteraria del filosofo: Supponiamo che invece di muoversi nell'aria, Ia mia mana debba attraversare della limatura di ferro, che si comprima e resista quanta pili essa procede oltre. A un certo momenta, Ia mia mana avn1 esaurito il suo sforzo; nella stesso niomento, le particclle di limatura si saranno giustapposte e ordinate secondo una forma determinata: Ia forma stessa della mana e di parte del braccio. Supponiamo ora che Ia mana e il braccio siano rimasti invisibili: gli spettatori cercheranno Ia ragione della !oro disposizione nelle particelle di limatura e in forze intrinscche all'ammasso. Alcuni, i meccanicisti, attribuiranno Ia posizione di ogni particella all'azione esercitata su di essa da quelle vicinc; altri, i finalisti, affermeranno che un piano d'insieme ha presieduto aile particolarita di tali azioni elementari. Ma, in realta, c'e stato solo un atto indivisibile, quello della mano attraversante Ia limatura; e gli infiniti moti particolari delle particelle come Ia !oro sistemazione finale esprimono negativamente, in certo modo, tale movimento indiviso, giacche sono Ia forma globale di una resistenza e non una sintesi di azioni positive elementari. E pen), se chiameremo effetto Ia disposizione delle particelle, causa il movimento della mano, potremo, si, affermare che Ia totalita dell'effetto si spiega con Ia totalita della causa; rna a determinate parti della causa non corrisponderanno determinate parti dell'effetto. E cioe, sia il rneccanicismo che il finalismo risulteranno, in questa caso, inadeguati; e si dovra ricorrere ad un tipo di spiegazione sui generis. '
La 'spiegazione sui generis' e, appunto, quella dell'evoluzione creatrice: il movimento indivisibile della mano nella limatura e lo slancio vitalei Ia limatura di ferro e Ia materia che, resistendo alia pressione della slancio vitale, lo suddivide in diverse specie viventi, nella molteplicita degli individui e negli organi di cui ogni individuo e dotato. L'evoluzione della vita non si e svolta, dunque, con un processo uniforme come quello di una palla di cannone, rna si e frantumata come una granata che, per la forza esplosiva della polvere e Ia. resistenza del metallo che le si oppone, si scinde in frammenti, ciascuno dei q uali, a sua volta, si frantuma. Noi siamo nella condizione di dover risalire dai · frammenti al movimento originario, ripercorrendo, una dopa J'altra, le biforcazioni lungo le quali lo slancio originario ha perduto Ia sua unita. La prima biforcazione e quella che ha data origine alia divisione tra le piante e gli animali, i quali a lora volta, si sono suddivisi in artropodi e in vertebrati: lungo Ia linea degli artropodi, lo slancio vitale si e mosso nella direzione dell'istinto, lungo Ia linea dei vertebrati, verso la direzione dell'intelligenza. II flusso che corre lungo le ramificazioni dell'albero della vita rimane uno e indivisibile, rna esso procede in una continuita discontinua, che, senza lacerare il tessuto vivente che unisce tutti gli esseri, lo punteggia di novita creative, in una specie di primavera continuata, lasciandosi
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ai margini, come proprie ricadute, come morti temporanee, la materia che serve allo slancio creativo come suo punto d'appoggio, fino a che non giunge, nell' homo sapiens, a ripiegarsi su di se come pura coscienza. 9.8 lstinto, intelligenza, intuizlone. Se tale e l'origine dell'uomo, allora trova fondamento scientifico quanto Bergson aveva detto sul carattere pratico della conoscenza concettuale, e sul carattere immediato, cioe intuitivo, della percezione della durata, come dire della conoscenza rnetafisica. E' questa diversita tra le due forme di conoscenza che ora va chiarita Alla base della gnoseologia bergsoniana c'e il rapporto tra istinto e intelligenza, che, come si e appena detto, sono i due diversi punti d'approdo delle due vie divergenti dell'evoluzione. L'intelligenza e l'istinto, che in origine si compenetravano, conservano alcunche della loro origine comune: tanto che ne l'una ne l'altro si incontrano mai allo stato puro. Non v'e intelligenza nella quale non vi siano tracce di istinto, ne istinto che non sia circondato da un alone di intelligenza. Questo alone di intelligenza e stato Ia causa di tanti equivoci. Siccome l'istinto e piu o meno intelligente, si e creduto che istinto e intelligenza siano attivita dello stesso ordine; che tra di esse non ci ·sia altra differenza che di complessita e di perfezione, e, soprattutto, che si possa esprimere l'uno nei termini dell'altra. In realta, esse si trovano congiunte solo perche si completano e si completano solo perche son differenti, perche quel che c'e di istintivo nell'istinto e l'opposto di que! che c'e di intellettivo nell'intelligenza.
L'istinto e I'intelligenza sono due soluzioni di adattarnento dello slancio vitale, nate da una medesima tendenza, e non due :tappe su di una medesima linea di evoluzione. Come l'istinto, l'intelligenza e orientata a risolvere i problemi della vita, costituendo, a tale scopo, strumenti non organici, rneccan1ci: ecco perche si trova a suo agio quando si presta a valutazioni quantitative, al selezionamento della parte dalla parte, in una successione nella quale ogni stato resta omogeneo a se stesso. Se in uno· di quegli stati si da un mutamento, l'intelligenza lo scompone ulteriormente in parti, fino ad adattarlo alla propria presa, con un funzionamento che Bergson paragona al meccanismo cinematografico, che difatti rappresenta il movimento mediante una serie di istantanee. Ma in ogni caso, quel .che resta precluso e proprio il movimento vitale, la durata. Niente di male, se l'intelligenza accettasse di restare nei suoi limiti, dentro i quali, come la scienza dimostra, essa e capace di straordinari successi. I guai nascono quando, invece che attenersi al dominio suo proprio, che e quello non delle cose ma d~i rapporti tra le cose, essa pretende di introdurci nel dominio della vita, di passare cioe, con le sue categorie del tempo-spazio che e quantita, alia durata che e qualita. Questo passaggio e possibile alia coscienza umana, rna purche si passi, nell'approccio con la realta, dall'intelligenza all'intuizione. Si e gia visto come l'intelligenza non si distacca mai del tutto dall'istinto. Essa e, dunque, in grado di tornare, non per regressione, rna in modo consapevole, all'istinto. L'intuizione e infatti «l'istinto divenuto disinteressato, cosciente di se, capace di riflettere sul proprio oggetto e di ampliarlo indefinitarnente». La coscienza intuitiva non procede ab extra ma ab intra, in quanto essa e, come l'istinto, 'simpatia', coincidenza piena del soggetto con l'oggetto nella sua individualita, spezzando il ve-
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Io che Ie esigenze pratiche frappongono fra noi e le cose. Come avviene, appunto, nell'arte; Proprio per questa sua capacita di penetrare nell'intimo delle cose, I'intuizione e i1 vero organa della metafisica, cosi come l'intelligenza e I'organo della scienza. Scienza e metafisica si distinguono, dunque, in ragione sia dell'oggetto che del metoda: dell'oggetto, che per la scienza e la materia, per la metafisica e la durata 0, per usare {In termine che per Bergson e equivalente, lo Spirito; del metoda, che per la scienza e l'analisi quantitativa, per la metafisica e la percezione immediata, cioe l'intuizione. E siccome intelligenza e intuizione rappresentano uno sdoppiamento della coscienza, dovuto alia duplice forma assunta dalla realta, l'una conduce all'altra, esse formano un circolo. Ma va da se che, in ragione del diverso valore delle due forme di realta, la. materia e lo spirito, la conoscenza in cui lo slancio vitale tocca il proprio culmine, nel senso che vi giunge a cogliere coscientemente se stesso, e l'intuizione, la cui dilatazione potenziale e senza confini: Essa - dice Bergson - giunge in possesso di un filo: dovra essere essa stessa a vedere se questo fifo sale fino al cielo o se si ferma a qualche distanza dalla terra. Nel primo caso,. l'esperienia metafisica si colleghera a quella dei grandi mistici: ed io posso constatare, per mio conto, che questa e la verita. Nel secondo caso, le esperienze metafisiche resteranno isolate le une dalle altre, senza tuttavia contrastare tra di loro. In ogni caso la filosofia d avra sollevati al di sopra della condizione umana.
9.9 Morale e religione. Come il fuoco, che e al centro della terra, non appare che alla sommita dei vulcani, cosi lo slancio vitale, che di continuo decade nella materia e di continuo l'attraversa, appare, nella sua propria forma, soltanto nell'uomo, e piu precisamente soltanto nell'uomo in quanta e nell'uomo che esso continua, nelle manifestazioni che gli sono proprie, lo sforzo d'invenzione che abbiamo visto agire neU'intero albero della vita. Anche l'uomo e, come tutto l'universo, sottoposto alia dualita, e lo e a tutti i livelli della sua esperienza, anche a quei livelli in cui piu pienamente si esprime la sua coscienza come formazione terminale dell'evoluzione: la morale e la religione. E' questa il tema che Bergson affronto in lunghi anni di ricerca ed espose nel suo ultimo grande lavoro: Le due sorgenti della morale e della religione (1932). Il mondo proprio dell'uomo e la societa, e anche nella societa si da il contrasto tra due 'pressioni', che riproducono il contrasto tra la materia e lo slancio vitale. Viste come prodotto storico, le societa ci si presentano come chiuse l'uha in rapporto all'altra e governate, all'interno, dal principio di coesione, che lascia pochi margini alle libere iniziative. E tuttavia, anche attraverso il corpo sociale si fa strada l'aspirazione a forme di vita che riflettano in se i valori dell'umanita come tale, quali fa liberta, la fraternita e la giustizia. Alla societa chiusa fa riscontro, dunque, come possibilita e come aspirazione, la societa aperta. Nella societa chiusa, l'individuo agisce come parte di un tutto. La legge che esprime questa sottomissione dell'individuo alla societa chiusa e l'obbligazione, che ha la stessa funzione che ha l'istinto nel formicaio o nell'alveare, nei quali l'individuo e indiscernibile dal gruppo a cui appartiene. Diversamente che per Kant, secondo il quale le leggi della societa traducono nel contingente l'assolutezza dell'imperativo categorico, per Bergson le leggi mirano a far interiorizzare dall'individuo gli impulsi biologici della conservazione della vita. La ragione non sta, dunque, alle origini delle leggi, si limita a stabilirne le modalita e
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il coordinamento. La morale dell'obbligazione e, dunque, 'chiusa' in tre sensi: mira a conservare le abitudini sociali, fa coincidere l'individuale e il sociale, e in funzione di un gruppo limitato, e dunque non puo valere per l'umanita nel suo insieme. Ma contra gli automatismi dell'obbligazione preme incessantemente l'aspirazione a una societa aperta, che coincida con l'umanita intera. L'aspirazione non e la risposta a una pressione del gruppo, rna a un appello che sveglia, nel profondo, un'emozione senza oggetto, come il sentimento svegliato in noi dalla musica. Infatti, essa coincide con lo stesso principio della vita e si esprime nell'amore senza confine, che abbraccia l'umanita prefigurando quella societa aperta i cui 'cittadini' sono gia apparsi, di tanto in tanto, nella storia: sono i sapienti della Grecia,,i profeti di lsraele, i santi del cristianesimo. Sono loro i rivelatori della vita, capaci di svegliare in noi lo slancio che nel nostro intima si oppone alia prigionia della morale chiusa. La fecondita della slancio vitale non si rivela, nell'uomo, soltanto con la morale aperta. L'intelligenza, a cui lo slancio vitale ha delegato la facolta di Iibera iniziativa, data la sua intima struttura strumentale, diventa tramite degli egoismi individuali e minaccia di spezzare la coesione sociale. La societa ha bisogno di un contrappeso a questa minaccia, e siccome esso non puo essere fomito dall'istinto, ormai sostituito, e giustamente, dall'intelligenza, a fomirlo sara l'intelligenza stessa con quel residua d'istinto che conserva in se. Di qui la sua 'funzione fabulatrice', mediante la quale provvede a controbilanciare il proprio potere dissolvente. E questo in piu modi. lnnanzitutto, all'idea, imposta dall'intelligenza critica, che Ia morte e inevitabile, l'intelligenza fabulatrice oppone l'immagine di una continuazione della vita dopo Ia morte. In secondo luogo, al carattere imprevedibile del futuro, che potrebbe scoraggiare lo spirito di iniziativa, l'intelligenza fabulatrice oppone Ia sicurezza di una protezione soprannaturale. Finalmente, all'istintivo timore dell'uomo nei confronti della natura, la fabulazione religiosa offre come rimedio la sicurezza che, mediante opportune pratiche magiche, l'uomo puo influire sulla natura molto piu che non con i mezzi della tecnica. Che queste siano le funzioni della religione appare chiaro dall'esame delle societa primitive. Difatti, essa, di sua natura, si afferma a un livello infra-intellettuale, segna cioe una linea di arretramento dello slancio vitale, allo scopo di sottrarre alia disgregazione le acquisizioni raggiunte nel superamento della pura animalita. In questo senso, essa puo giustamente dirsi religione naturale. E puo essere detta anche religione statica, perche la sua risultante e appunto Ia conservazione del gruppo come tale. Ma alia religione statica si oppone, a un livello sovraintellettuale, la religione dinamica, che p~r Bergson e una sola cosa col misticismo. La religione dinamica non e una semplice dilatazione della religione statica, cusi come la morale aperta non e la dilatazione della morale chiusa, quella dell'obbligazione. Il luogo di origine della religione dinamica e lo stesso slancio vitalc, la dove esso varca la soglia dell'inaccessibile, al quale aspira fin dal suo primo momenta. Anche se fa appello a qualcosa che e dentro ciascuno di noi, l'evento mistico accade solo in individui fuori serie, ciascuno dei quali e come una specie a se. Uomini del genere sono apparsi nell'antica Grecia e nell'India, ma soprattutto nell'area della santita cristiana. Fuori del cristianesimo, il misti-
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cismo e rimasto dentro il limite - che appare particolarmente chiaro, secondo Bergson, nel buddismo - della pura contemplazione, senza traboccare nell'azione. Solo per i mistici cristiani, come san Paolo, santa Teresa d'Avila, santa Caterina e san Francesco, l'estasi non e il punta di arrivo, rna il punto di partenza di un'azione volta a trasformare il mondo. Essi sono tutti imitatori, anche se imperfetti, di Colui che ci ha data il Discorso della Montagna, la vera magna charta della religione dinamica. L'esperienza dei mistici ci fornisce l'unico argomento (essendo privi di valore quelli logici) per affermare l'esistenza di Dio. Quale che sia la lora appartenenza alle religioni tradizionali (niente di strano che il mistico si serva dei simboli approntati dalla religione statica) e quale che sia il tempo in cui sono apparsi, i mistici sono accomunati da <mna identita d'intuizione, che si puo spiegare nel modo piu semplice con l'esistenza reale dell'Essere col quale si credono in comunicazione>>. Di piu: quest'Essere, che nella prospettiva seguita nell'analisi del processo evolutivo, potremmo identificare «con lo sforzo creativo che la vita manifesta», nella testimonianza .dei mistici ci appare come Amore, di cui il mondo non e che l'aspetto tangibile. Altrettanto si puo dire della sopravvivenza dell'anima dopa la morte: l'analfsi dell'io profondo l'aveva resa probabile (9.6), la testimonianza dei mistici la rende certa. Ed e alia comparsa di qualche grande figura di mistico che Bergson, nel chiudere il suo ultimo importante lavoro, sembra affidare la liberazione dell'umanita «semischiacciata dal progresso compiuto». La tecnica ha dilatato a dismisura il corpo dell'umanita: ora essa attende «un supplemento d'anima». «La meccanica esige la mistica, cosi come la mistica esige la meccanica.» Qualcuno ha voluto vedere in questa attesa messianica lo svelamento del vizio di fonda del pensiero di Bergson, l'irrazionalismo. Una cosa e certa: Bergson e morto quando gia i forni crematori stavano riducendo in cenere la carne del suo popolo (Bergson era un ebreo) e sull'orizzonte dominava non il mistico luminoso da lui sognato, rna quella specie di messia delle tenebre che e stato Adolf Hitler.
II personalismo cristiano in Francia 9.10 II clima bergsoniano. E' difficile rendersi canto di che cosa abbia rappresentato, nella storia spirituale della Francia, la 'congiuntura J~ergson'. Nei primi anni del secolo, fino alia prima guerra mondiale, le sue lezioni al College de France erano un appuntamento settimanale, che richiamava una porzione eletta della nuova generazione in cerca di una legittimazione filosofica al bisogno di sottrarsi al piatto positivismo dominante e di dare Iibera espansione alle proprie energie creative. In seguito, qualche suo discepolo, uscito dall'incantesimo, riconoscera .che il successo del maestro era dovuto alia troppo stretta rispondenza del suo pensiero ad inquietudini che poco avevano a che fare con l'autentica ricerca della ragione e molto con il processo di sfaldamento della . societa borghese, divenuta scettica sulle prospettive che avevano fatto la sua
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grandezza. Se fosse questa la sede, non sarebbe difficile dimostrare che l' elan vital di Bergson si prestava facilmente a dar forma filosofica e dignita morale a spinte centrifughe, i cui esiti, nella filosofia, nell'arte e nella politica, sarebbero stati tutt'altro che in regola coni principi di un autentico progresso. «La filosofia di Bergson - dice uno di quei discepoli, Henri Massis, che negli anni venti fara parte del gruppo reazionario dell'Action fran~aise di Charles Maurras - cadde con inebrianti novita sul nostro ventesimo anno! Bergson introduceva la liberta! Spezzava il cerchio implacabile dei fenomeni che giravano attorno ai nostri spiriti 'ingabbiati'. D'improvviso, s'apriva dinanzi a noi un mondo nuovo, da cui scaturivano profondita luminose insospettabili. Quanto credevamo di conoscere, usciva -ringiovanito, rinnovato in una specie di chiarezza morale. Ci sembrava di contemplare per la prima volta Ia realta .. _ Ecco i sentimenti che si provava nel leggere i suoi libri. Ma nulla potrebbe rendere l'impressione di visione intima e diretta, lo strano rapimento che si provava ascoltando il filosofo che offriva alla nostra giovinezza il piu raro degli spettacoli umani: lo spettacolo di una creazione)), La pagina di Massis riproduce bene, anche nello stile, lo stato di esaltazione dei seguaci della 'setta bergsoniana'. 01tre Charles Peguy, il poeta-profeta ~he, facendosi cattolico, aveva tramutato il suo socialismo in uno stato di permanente eccitazione messianica, ne fecero parte anche Jacques Maritain (una conquista di Peguy) e Gabriel Marcel, due giovani di sicuro destino filosofico. Nella sua linea portante, lo sviluppo del pensiero di Bergson, cosi come l'abbiamo documentato, aveva obbedito al tentativo di riabilitare la conoscenza metafisica a partire dall'analisi del fenomeno umano e, al di la di esso, del fenomeno della vita in generale. Lo sbocco singolare di questo tentativo fu di una insuperabile dicotomia tra conoscenza intellettiva, irrimediabilmente chiusa dentro i confini dell'utile, senza nessuna presa sul vero, e conoscenza intuitiva, aperta immediatamente sul flusso della durata, rna senza nessuna possibilita di tradurla in concetti comunicabili e dunque, alia fine, senza nessuna possibilita di fondare uno statuto oggettivo dell'esperienza spirituale, da quella religiosa a quella morale e a quella politica. Da una parte, dunque, l'intelligenza omogenea alle sue costruzioni scientifiche e tecniche, che nulla rivelano dell'assoluto, dall'altra, l'intuizione, quasi accecata per troppa luce e resa muta dalla ineffabilita del suo proprio oggetto. Questa ambiguita del pensiero bergsoniano si e rivelata nei riflessi contraddittori che ha avuto nella cultura francese, e in particolare in quella cattolica, che nell'antipositivismo bergsoniano aveva trovato un punto d'appoggio per uscire dal suo stato di segregazione. La critica della scienza offriva armi nuove al vecchio risentimento della tradizione metafisica, costretta, da piu di un secolo, a contrastare dall' esterno il cammino trionfale della nuova metafisica scientista, che atterrava, uno dopo l'altro, i capisaldi della vecchia visione del mondo. Ecco finalmente un filosofo che, con tutte le carte in regola e dall'interno della cittadella positivistica, dimostrava l'inadeguatezza del metodo matematico, invalso fin dai tempi di Cartesio, a raggiungere Ia verita di qualsiasi ordine e grado! La lezione di Bergson portava con se un giudizio globale sui razionalismo moderno non dissimile da quello che il pensiero cattolico, con scarsa udienza, si ostinava a ripetere. E difatti, per molte coscienze il contatto
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con Bergson fu il primo passo di un ritomo alla fede cattolica. Ma la restaurazione metafisica operata da Bergson aveva fragili basi, perche rhancante di una gnoseologia corrisponderite. Uno dei suoi discepoli della prima ora, Jacques Maritain (anche lui un convertito), in uno 'studio critico', dal titolo La filosofia bergsoniana, del 1914, fani un'appassionata requisitoria contro la 'nuova filosofia', diventata di moda perche del tutto omogenea alle debolezze del tempo. «Mentre l'intelligenza, egli scrive, vede tutte le cose nell'idea dell'essere, e comprende il cambiamento mettendolo in rapporto all'essere, la nuova filosofia sopprime l'essere, di cui fa un'illusione concettuale, e gli sostituisce il cambiamenta, che, senza l'essere, e totalmente inintelligibile. Con cio stesso, restano distrutti i principj primi sui quali riposa ogni scienza umana e ogni umano linguaggio: i principi di identita, di ragion sufficiente, di causalita, di finalita, di sostanza, non sono che illusioni dovute alla frantumazione e alle ricostruzioni artificiali della ragione)). E proprio perche confonde il cambiamento con la cosa che cambia, la nuova filosofia «distrugge assolutamente la persona umana: l'io none, rna diviene; none un essere, e un cambiamento continuo)). Sia pure con la suscettibilita da neofita della metafisica, Maritain coglie con chiarezza i limiti del bergsonismo riguardo a una filosofia della persona. II dualismo tra durata e materia porta con se fatalmente l'impossibilita di cogliere l'unita sostanziale del soggetto umano, che non puo essere ridotto, per un verso, alla fluidita dello slancio vitale e, per un altro, al determinismo della materia. La persona e, insieme, immobilita e mutamento, e non perche congiunga in se un elemento fisso e immutabile e una serie di mutazioni che lo modifichino accidentalmente, rna perche, a differenza delle cose, Ia persona resta se stessa nel suo stesso divenire, nel senso che in essa l'essenza si da soltanto nell'atto di esistere, anche se essenza ed esistenza restano astrattamente distinguibili. Con la sua critica al positivismo e al razionalismo, Bergson a~eva condotto avanti Ia pars destruens di una filosofia della persona, rna non aveva gli strumenti epistemologici necessari per intraprendeme la fase costruttiva. Questa limite era tanto piu intollerabile in quanta a postulare una filosofia della persona erano anche le nuove circostanze storiche, in particolare lo scatenamento del collettivismo marxista e del totalitarismo fascista. II personalismo non nasce solo come un tentativo di superare razionalmente le incongruenze storiche della filosofia dell' evoluzione creatrice, rna anche per rispondere a una domanda posta pressantemente dalla crisi sociale e spirituale divenuta particolarmente acuta tra le due guerre. Nel nuovo contesto storico, esso vale come riscossa metafisica contro le filosofie dell'immanenza e insieme come linea di resistenza e di attacco contra le ideologie politiche avverse alla liberta dell'uomo. Una bivalenza, questa, che contrassegna tutti i pensatori della stagione filosofica francese · che stiamo per esaminare. Essi hanno tutti un elemento comune: il riconoscimento del cattolicesimo come il vero luogo della loro identita spirituale, in certi casi raggiunta con un itinerario di conversione. Si tratta, e vero, di un elemento non propriamente filosofico, rna e giusto ricordarlo anche perche serve a fondare un sospetto critico: Ia storia del personalismo, piu che svolgimento di una necessita razionale, non e forse soprattutto una movimentata storia di coscienze? Non per nulla, alia professione cattolica approdo, sul tramonto della sua vita, lo stesso Bergson, l'iniziatore di
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questa stagione. Come disse Pascal - un autore caro a tutti i personalisti - ci sono ragioni che la ragione non conosce. Ed e a queste 'ragioni', non propriamente filosofiche, che il personalismo troppo spesso ci richiama. 9.11 Maritaln: l'umanesimo integrale. Fu nell'ascoltare un corso di Bergson su Plotino che il giovanissimo Jacques Maritain• scopri la propria vocazione filosofica, in risposta a quel bisogno di verita che in lui coincideva, fin da allora, con una tensione mistica il cui postulato profondo non era il sapere, rna il contemplare. Anche lui, come il suo maestro di spirito Leon Bloy, che lo guidera al battesimo nel 1906, era un 'pellegrino dell'assoluto'. Lo spiritualismo bergsoniano servi a strapparlo dalle secche di un razionalismo appiattito sui fenomeno sensibile, rna non poteva dare risposta a domande di portata metafisica. Era nella logica della sua conversione religiosa l'incontro con la filosofia dell'essere, che nella tradizione della chiesa cattolica aveva trovato la sua insuperabile sistemazione con la Summa di Tommaso d'Aquino (1.11.4-8). E nella Summa Maritain trovo quel che non poteva trovare nell'Evoluzione creatrice. Innanzitutto, vi trovo un'idea di ragione, che restituiva al concetto una potenza cognitiva non riducibile al ruolo strumentale che aveva nell'antropologia bergsoniana. E vi trovo un'idea di liberta, che restituiva alla persona umana la Jacques Marltain nasce a Parigi nel 1882, da famiglia protestante, rna di orientamento laicista. /nsieme a Raissa - una ragazza ebrea di origine russa che, divenuta sua moglie, gli restera esemplarmente unita anche nella ricerca intellettuale - frequenta, nel 1900, le lezioni di Bergson, che lo introduce alia conoscenza di Platina, di Pascal e di san Giovanni della Croce. NeZ 1906, i due sposi chiedono il battesimo. Dopa due anni trascorsi a Heidelberg per perfezionamenti in biologia, rientrato a Parigi, egli prende if prima contatto col pensiero di san Tommaso e si Iibera dalla soggezione al pensiero di, Bergson. Nel 1914, esce il suo Saggio sulla filosofia bergsoniana. L'anna· prima aveva data inizio al suo insegnamento nell1stituto cattolico di Parigi Dopa Ia prima guerra, accede al movimento reazionario e nazionalista, dell'Action Fran~aise. A questa periodo risalgono fAntimoderno (1922) e i Tre riformatori (1925). Dopa che il Papa ha condannato il movimento, Maritain se ne dissocia e pubblica, nel 1927, if Primato dello spirituale. Fra il '30 e il '40, pubblica le sue due opere principali· I gradi del sapere (1932) e Umanesimo integrale (1936), raccolta di conferenze tenute a Santander. In que[ periodo prende posizione contra Franco e contra il fascismo e il nazismo. Agli inizi della guerra, Maritain si re9a negli Stati Uniti come docente a Princeton e ·vi resta fino al 1960, salvo la paren tesi in cui e a Roma (1946-1947) come ambasciatore di Francia pres so fa Santa Sede. Marta nel 1960 Raissa, si ritira a Tolosa, presso la Congregazione dei Piccoli Fratelli, e vi muore nel 1973. Sette anni prima, aveva suscitato scalpore il suo libra 11 contadino della Garonna, in cui egli si dissoda dal mota di rinnovamento avviato dal Concilio. Quell'anno segna il declinare di Maritain come ispiratore massimo del pensiero politico cristiano.
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capacita di aprirsi agli appelli dell'essere sovrasensibile, una capacita non riducibile alia pura spontaneita psicologica cosi mirabilmente illustrata dal maestro del College de France. II cosiddetto tomismo di Maritain non si comprende, se non se ne tiene presente questa origine di superamento, nel senso hegeliano del termine, del bergsonismo. Esso comporta, certo, il trapasso dalla fenomenologia all'ontologia, rna non il distacco dai temi bergsoniani del primato dell'intuizione, dell'autonomia e della relativita del sapere scientifico, della immediatezza della coscienza nella percezione dei fenomeni interiori. La vera 'novita' maritainiana e, appunto, nella dottrina della persona (termine che Bergson raramente usa), intesa come individuo sussistente e razionale e, appunto per questo, libero. Come tale, la persona non e una modalita della durata, e unicita dotata di consistenza ontologica, appartiene, cioe, all'ordine dell'essere e non soltanto del divenire. E la ragione e apertura dell'essere relativo all'essere in se e, appunto per questo, disegna possibilita di scelta che trascendono la pura trama dei determinismi e sospingono, di grado in grado, verso una suprema conoscenza unitiva, in cui si consuma il destino della persona. Si apre qui la dialettica, interna all'uomo, tra individuo e persona. L'individuazione insorge mediante la materia, che ci determina in seno a1la infinita molteplicita di cui consiste la natura; l'individuo e, insieme, una parte tra le parti ed e 'altro' nei confronti di ogni individuo: le sue caratteristiche sono, dunque, l'unita interna e l'alterita. La persona conserva unita e alterita, rna sollevandole a una sfera piu alta, nella quale essa non e piu chiusa, come l'individuo in rapporto all'altro individuo, rna aperta aHa comunione, ordinata ad essere se stessa proprio nel suo donarsi all'altra persona. E' a questo livello che la pura spontaneita si trasfigura in liberta, e cioe nella capacita di autodeterminarsi in base alla ragione, che, come si e detto, e potenziale apertura all' essere universale. Gli scacchi della persona si verificano, appunto, nel cuore di questa dialettica, allorche le aspirazioni sue proprie, che sono 'transnaturali' in quanto, sovrastando i determinismi della natura, traducono l'esigenza dell'uomo di determinarsi da se nel suo stesso essere, vengono frustrate dalle condizioni dell'uomo in quanto individuo, legato alle leggi e alle vicissitudini della natura. Diciamo subito, anticipando, che per Maritain il compito della politica e di garantire, nel modo ottimale, le condizioni dell'individuo in quanto tale, e non gia di interferire nella sfera propria della persona, che e quella della liberta. Ricostruita, nella sua unita e nella sua dinamica esistenziale, la struttura del soggetto come persona, Maritain e in grado di stabilire uno statuto della conoscenza, in cui la critica al razionalismo astratto, che presume di cogliere le pure essenze avulse dalla realta, non si capovolge affatto nell' esaltazione della conoscenza intuitiva, che, come in Bergson o nei prammatisti, relega nell'ambito delle costruzioni fittizie i concetti astratti. L'unita oggettiva tra essenza ed esistenza significa intelligibilita del concreto, a· cui fa riscontro l'intenzionalita dell'intelligenza umana, che e capacita di accedere alle verita dell'essere concreto. Nell'atto conoscitivo, l'intelligenza e l'essere si unificano: l'intelligenza, per cosi dire, vede la verita, attua se stessa identificandosi con il suo oggetto. Ecco perche non ha senso la pretesa kantiana di premettere alla metafisica una critica della stessa facolta conoscitiva. «La critica implica una presa di coscienza dello spirito che ritoma filosoficamente sulla sua attivita preliminare di conoscenza», ed e dunque, non anteriore, rna successiva al passaggio dall'in-
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tenzionalita intellettiva all'atto concreto del conoscere, la cui dinamica e guidata dalla stessa articolazione gerarchica dell'essere. In rapporto a questa gerarchia oggettiva, c'e il sapere che riguarda le case sensibili, quello che riguarda l'universo della quantita, e doe la matematica, quello che riguarda l'universo trans-sensibile e doe la metafisica, e finalmente quello che riguarda l'universo trans-intellegibile (per noi), che si ha solo in forme analogiche ed e la contemplazione mistica, il cui supremo adempimento comporta un dono di Dio, Ia grazia, che eleva la capadta contemplativa rendendola, in qualche modo, 'connaturale' al suo Oggetto. II tomismo di Maritain none nel recupero del sistema di san Tommaso nella sua intera architettura, rna nell'ammodemamento critico della dottrina antropologica e gnoseologica stabilita, una volta per sempre, dalla metafisica classica e armonizzata con la fede cristiana dall'autore della Summa. Gia in questa opzione teoretica e implidto un giudizio sulla filosofia moderna, a partire dalla svolta soggettivistica impressale da Cartesio. II clinamen filosofico cartesiano corrisponde a quello di Lutero nella teologia e a quello di Rousseau nella pOiitica: sono questi i tre riformatori contra cui Maritain scrivera, nel 1925, e cioe nella sua fase pili acutamente 'antimodema', un saggio appunto cosi intitolato. Lo spostamento dell'asse della conoscenza dall'oggetto al soggetto non avvenne per puro arbitrio teoretico. Esso rispondeva a un progetto esplicitamente dichiarato da Cartesio: fare della metafisica una scienza preliminare alla tecnica. «Cartesio ha rovesciato l'ordine della conoscenza umana, e fatto della metafisica una introduzione alia meccanica, alla medidna e alia morale». Invece che diventare adulta, come era stato neUe pretese dell'illuminismo, la ragione moderna, una volta entrata nell'orbita del cogito cartesiano, non ha fatto che svilupparne le virtualita di mondanizzazione - e doe di subordinazione del pensare al fare, del contemplare al dominare la natura - mediante una serie di dissodazioni, come quelle tra il corpo e l'anima, tra la natura e lo spirito, tra l'individuale e il sodale, e cosi via. Lo sbocco naturale di queste dissociazioni non poteva che essere l'ateismo come fondamento dell'umanesimo antropocentrico. II limite del quale, a giudizio di Maritain, non e nel suo essere un umanesimo, e nel suo non essere teocentrico, e perdo, per inevitabile conseguenza, nel suo essere un umanesimo alienate. E' questa l'antimodernita di Maritain, che ha potuto, in certi momenti, dar sostegno aile spinte regressive che hanna pervaso, durante la crisi dello Stato borghese, non pochi strati della cultura europea. Ma e bene, a tal riguardo, sottolineare che la condanna maritainiana della modemita e solo un aspetto l'aspetto della denunda - di una costruzione in positivo, nella quale la modemita, intesa come sviluppo di valori, prill!o fra tutti quello della scienza, viene assunta come una conquista per serripre. Insomma, a diversita dei reazionari come Maurras, la modernita non e, per Maritain, di per se negativa, e soltanto ambigua. Sdogliere questa ambiguita e appunto il compito della filosofia dell'essere, intesa come fondazione di un nuovo umanesimo, che integri le acquisizioni dell' eta modema nel teocentrismo della metafisica classica. La denunda maritainiana, contestuale alla sua costruzione di un nuovo umanesimo, che significativamente egli chiama umanesimo integrale, puo schematicament~ articolarsi nell'esame critico di alcuni momenti nodali della
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cultura modema, come la scissione tra politica e morale avvenuta con Machiavelli, tra coscienza religiosa e coscienza civile, con Lutero; tra volonta generale e diritto naturale, con Rousseau, e come l'identificazione hageliana tra il valore e il successo, e la dissoluzione marxista della persona nella classe. E' proprio attraverso queste 'cadute', che nell'eta modema si sono sviluppate la deviazione individualistico-borghese e quella simmetrica del collettivismo comunista. Particolarmente significativo il confronto di Maritain con il marxismo, se si tiene canto che egli elaboro le tesi del suo· Umanesimo integrale agli inizi degli anni '30. Maritain considera il marxismo come una inevitabile e legittima reazione al mondo borghese, e percio anche al mondo cristiano che aveva fatto sua la causa della borghesia. 11 successo di Marx si spiega con la componente religiosa, e piu precisamente escatologica, che ispira il suo messaggto di riscatto sociale (Maritain sottolinea il fatto che Marx era, comunque, un ebreo): L'idea della rivoluzione involge una trasposizione secolarizzata dell'idea del giudizio finale e del regno di Dio. In definitiva, il marxismo non e che una 'eresia cristiana'; cia che chiamiamo umanesimo integrale e capace di salvare e di promuovere, in una sintesi fondamentale diversa, tutte le verita affermate o presentate dall'umanesimo socialista, unendole in modo organico e vitale a molte altre verita.
Proprio perche restituisce alla dimensione religiosa il suo giusto primato, e di conseguenza restituisce la storia dell'uomo alla sua densita laica e temporale, senza spezzare l'unita del finalismo ultraterreno, l'umanesimo integrale e in grado di portare, almena esigenzialmente, al di la del vizio comune dell'uomo borghese e dell'uomo sovietico, in quanta permette di superare la caduta dell'essere nel regno dell'avere, sia privata che pubblico, e di garantire alla coscienza la liberta di aprirsi alla trascendenza. I temi che si intrecciano alla proposta umanistica maritainiana sono molti, e tutti ricchi di riflessi concreti nella cultura e nella prassi politica di quest'ultimo mezzo secolo: basti pensare all'ideologia della terza via tra comunismo e liberalismo, alla quale si sono ispirate le democrazie cristiane di varie parti del mondo. Importante fra tutti e il tema della nuova cristianitd., da costruire sulle ravine del mondo moderno: una cristianita che integri in se, senza manometterla, la dimensione profana dell'esistenza, e quindi Ja Jaicita della vita politica, il pluralismo ideologico e la prassi democratica, che agli occhi di Maritain, come anche del Bergson delle Due sorgenti, e un prodotto storico del cristianesimo. E' la societa. profano-cristiana, da costruire senza nostalgia per la cristianita sacrale del medioevo. Per la forza attrattiva di questa 'ideale storico concreto', in un certo momenta della storia occidentale, la lezione maritainiana e riuscita a inserire nuove energie nella dialettica del progresso sociale e ad aprire un capitola nuovo nel divenire stesso della chiesa cattolica. 9.12 Mounter: Ia rlvoluzione personalista e comunitaria. Proprio durante gli anni '30, quando il pensiero di Maritain era al massimo della sua. tensione e della sua fecondita, e quando l'Europa sembrava travolta dall'esplosione di opposti totalitarismi, il 'personalismo' divenne, sia in filosofia che nell'azione politica, termine tematico e programmatico, per opera di un giovane intellettuale cattolico, Emmanuel Mounter·, che nel 1932 aveva fondato, insieme a un gruppo di amici (tra di essi, come ispiratore marginale, anche Maritain), una
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nv1sta di riflessione e di battaglia politica, Esprit, ancora oggi molto attiva in Francia. Anche per Mounier, il nemico numero uno era il mondo borghese, e anche lui si considerava un 'antimoderno'. Ma piuttosto che rifarsi, come a modello analogico, alia cristianita medioevale, egli si rifaceva al Rinascimento, col proposito di ripeterne il significato emblematico di inizio di un tempo nuovo, quello, appunto, del personalismo. Infatti, la crisi del mondo borghese era, per Mounier, l'ultima tappa della crisi del Rinascimento, una tappa che aveva portato all'estremo limite la mistica dell'individuo, a cui si contrapponeva, proprio in quegli anni, la mistica del collettivismo sovietico. Individualismo e collettivismo fanno da supporto ideologico al capitalismo e al comunismo: «l'uomo si trova nei due opposti campi e, se l'uno scaccia l'altro, perde una meta inalienabile di se stesso». Alia radice delle due alienazioni, c'e la falsa soluzione della dialettica, immanente all'uomo, tra la dimensione individuate e quella personate, una falsa soluzione che lungo i secoli ha prodotto, e via via integrato in se, la scissione tra il privata e il pubblic, tra lo spirito e la materia, tra il tempo e l'eterno, assegnando ai difensori della spirito il ruolo della reazione e ai difensori delle esigenze materiali quello della rivoluzione. Non si esce da questa falsa alternativa che facendo centro sulla persona. Diversamente da Maritain, Mounier non si preoccupa di dare della persona una definizione ontologica, che rischierebbe di porla fuori della storia, di farne un soggetto dotato di consistenza autonoma sia nei confronti della sua stessa relazione costitutiva, quella dell'io-tu e cioe del 'noi', sia nei confronti dell'azione in cui essa si esprime, ed esprimendosi si fa: l'impegno e infatti il suo vera modo di essere. In reazione allo spiritualismo, che era la malattia del suo mondo di appartenenza, quello cattolico, Mounier si preoccupa di integrare nel concetto di persona la causalita materiale, che non va disattesa, data che una Iegge di fondo della persona e proprio l'incarnazione. E' qui la 'ragione' del materialismo. «La persona e il volume totale dell'uomo», e non la semplice coscienza di se. Ogni suo atto si accende all'incrocio fra la tensione che la volge al basso e la incarna in un corpo, la tensione diretta verso l'alto, che la solleva verso l'universale, e la tenEmmanuel Mounter nasce a Grenoble, nel 1905. E' avviato agli studi filosofici dal bergsoniano Jacques Chevalier e li prosegue a Parigi, dove subisce !'influenza di Maritain e del filosofo russo in esilio Nikolaj Berdjaiev. Sull'esempio di Charles Peguy, si da alia filosofia militante, e nel 1932 fonda la rivista Esprit, il cui gruppo redazionale, di diversa estrazione filosofica e religiosa, ha come comun denominatore il progetlo del 'personalismo cmnunitario: Sui tema della 'rivoluzione personalista e comunitaria; Mounier pubblica sulla rivista molti sagg~ che nel 1935 raccoglie in un volwne. Del 1936 e il suo saggio Dalla proprieta capitalista alla proprieta comunitaria e il Manifesto al servizio del personalismo. Durante la guerra la rivista e soppressa e Mounier, coinvolto nella Resistenza, conosce un periodo di prigione. Finito il conflitto, la rivista riprende Ia sua attivita e Mounier pubblica le sue opere piu importanti, tra le quali il Trattato del carattere, del1946, e II personalismo, del1949. Muore ne/1950.
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sione diretta verso il largo, che la porta verso la comunione. Le &~nunce di Mounier hanno per bersaglio mutevole le varie posizioni teoriche e pratiche che manomettono, ciascuna a suo modo, questa unita dinamica della persona, e, correlativamente, le sue aperture verso il pensiero modemo e verso i movimenti rivoluzionari si misurano sulla porzione di verita che, in rapporto alla totalita della persona, essi hanno portato alla luce. La sua pretesa sarebbe di porsi, nella sua prospettiva volontaristica di un nuovo Rinascimento, in un tempo culturalmente posteriore a Marx, a Freud e a Nietzsche, tre profeti antiborghesi che egli utilizza in positivo per smascherare la menzogna del 'disordine costituito'. In questo suo approccio critico alla modemita, egli e piu libero da impacci dell"antimodemo' Maritain. Dinanzi alla rivoluzione tecnologica, ad esempio, non prova la nausea dei personalisti di impianto metafisico o naturalistico. «La natura e l'artificio»: la tecnica non fa che dilatare la dimensione dell'incamazione, che offre alla persona la possibilita di un'azione piu profonda e piu efficace in seno alla natura e alla storia. «L'uomo che evade dalla materia e simile all'uomo che vi si perde». Come, per un verso, gli spiritualisti cristiani e, a un livello laico, i borghesi della rivoluzione del 1789, identificando l'uomo con la sua coscienza individuate, hanno fatto dei valori spirituali lo schermo del piu spietato materialismo («chi vuol fare l'angelo, diventa bestia», dice Mounier, citando Pascal), cosi i comunisti separano l'uomo dalla materia, per fare di questa una specie di essenza metafisica da cui tutto deriva. Proponendo il suo progetto personalistico, Mounier intende «rendere rivoluzionari gli spirituali e spirituali i rivoluzionarh>. Solo sconfiggendo le due opposte alienazioni, sara possibile il 'mondo solido' che il capitalismo ha trasformato in un campo di sfruttamento. La polemica anticapitalistica, collocato come egli era in una roccaforte della societa borghese e di una chiesa anch'essa divenuta complice delle classi dominanti, assume in Mounier toni ispirati e non alieni da una certa eccedenza profetica, mentre piu attenta e piu disposta alle distinzioni e la sua polemica contro il comunismo, «che ha il merito di essere stato il primo a rompere, sia pure in modo incompleto e con arti diaboliche, col mondo del denaro». «V'e un comunismo storico di cui conosciamo tutta la grandezza, di cui sentiamo il messaggio, in seno al quale spiamo, per accoglierle con tutta la nostra gioia, tutte le autentiche fioriture», scrive Mounier, tenendo sott'occhio le vicende sovietiche come se fossero il logico sviluppo della dottrina marxista. E aggiunge, tenendosi fermo alla sua ottica personalistica: Ma e un'ironia voler imputare alia liberta personale (e quindi a quella politica) le conseguenze di un errore di cui solo Ia liberta economica e responsabile. D'accordo, bisogna mettere le catene alia liberta economica, rna per liberare Ia liberta spirituale e politica (e usiamo senza paura il bel pleonasmo): questa ci sembra essere Ia strada maestra dell'umanesimo.
'Liberare la liberta' significa, per Mounier, non gia ricostruire la sfera del privata dentro le maglie del pubblico, rna garantire alla persona il duplice movimento che ne fa un soggetto creatore di storia: il movimento orizzontale della comunione con gli altri (Ia persona e se stessa solo nella convergenza comunitaria) e il movimento verticale della trascendenza, che per il credente (e Mounier si nutriva alla sostanza profetica del Vangelo) vorra dire apertura
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verso I' «Esistenza suprema, modello delle esistenze», e, per tutti, «il trascendimento di se verso un se stesso al di la di se stesso». La dinamicz. del trascendimento, oltre che legge costitutiva della persona, e anche la legge che permette alla storia di non cristallizzarsi sul presente, in una falsa illusione dell'adempimento, rna di tenersi aperta a significati ulteriori e dunque docile alla sua intima creativita. Certo e i1ecessario riconoscere il senso della storia, per potervisi inserire, rna se si aderisce troppo alia storia qual e, si finisce per non costruire piu la storia quale deve essere.
Di qui, nei confronti del comunismo, una disponibilita alla collaborazione, rna anche un'estrema sorveglianza critica, data la sua tendenza a immobilizzare il corso della storia in una prospettiva sigillata dalla pretesa del definitivo. E' stata rilevata, da piu parti, l'ambiguita dell'appassionata perorazione di Mounier, che mescola, per mancanza di un preciso statuto epistemologico, analisi economiche e categorie morali, ~oncessioni coraggiose al metodo dialettico e deduzioni categoriche da principi di altro ordine, non criticamente fondati, nei quali gli opposti (individualismo e collettivismo, ad esempio) dovrebbero trovare ]a loro conciliazione. Un dato, comunque, ci sembra interessante: proprio mentre si chiudeva la breve parabola della intensa attivita di Monnier, dall'interno del marxismo si stavano svolgendo revisioni critiche il cui senso era in piena convergenza con le tesi personalistiche del pensatore francese. 9.13 Marcel: il mistero ontologico. Lo stesso anno in cui apparve il saggio an tibergsoniano di Maritain, e precisamente il 2 7 gennaio 1914, il giovane Gabriel Marcel•, che aveva fatto parte anche lui del cenacolo dei proseliti del filosofo dell' elan vital, formulava nel suo Diario (pubblicato nel 1927, col titolo Diario metafisico) la posizione filosofica a cui restera fedele per tutta la vita. L'atto di nascita della riflessione, ecco la tesi di Marcel, non e l'autocoscienza cartesiana dell'io, che, ponendosi come pensiero, pone nella stesso istante, dinanzi a se stesso, un oggetto che non gli sara piu possibile raggiungere (il dualismo tra res cogitans e res extensa e veramente insuperabile); e la percezione Gabriel Marcel nasce a Parigi nel 1889, da famiglia ebraica. Aderisce inizialmente all'idealisnw angloamericano, ma subisce le influenze di Bergson, che ascolta al College de France. Affida le sue riflessioni a un diario, la cui prima parte e gia completa nel 1914 e che pubblichera nel 1927 col titolo Diario metafisico. lntensa anche la sua attivita di romanziere e di drammaturgo, che gli serve ad esprimere, mediante situazioni di fantasia, i temi del suo discorso filosofico, che sara qualificato, nonostante la sua riluttanza per ogni etichetta (l'unica che si dice disposto ad accettare e quella di 'neosocratismo' o 'socratismo cristiano'), come esistenzialismo. Anzi, come esistenzialismo cristiano, dato che nel 1929 egli chiede il battesimo. AI Diario fan no seguito Essere e Avere (1935), Dal rifiuto all'invocazione (1939), Homo Viator (1945) e Il mistero dell'Essere (1951). Muore ne/1973.
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di un io anteriore al 'me', anteriore cioe alia dualita del soggetto che pensa un oggetto e di un oggetto pensato da un soggetto. Lungi dal definirsi nel suo isolamento fittizio, l'io non· si realizza se non nella sua tensione, di continuo rinnovata, verso 1' essere, nel quale e per opera del quale noi siamo, in virtu di quel moto centrifugo a cui allude il prefisso ex del termine existere. II varco dal fenomeno all'essere e a questa profondita e non altrove. Solo se si va all'essere attraverso questo varco, si evitera di confondere l'essere con una 'cosa', di attribuirgli, cioe, una inerte oggettivita, come pure di confonderlo con la durata, con il perpetuo inconsistente cambiamento. Se cosi e, se l'essere si rivela alia coscienza prima ancora che si apra la distinzione soggetto-oggetto, attorno a cui gravita il problema della conoscenza, allora c'e in noi, per cosi dire, una zona metaproblematica, in cui l'essere e il pensiero non sono piu separati, rna partecipano l'uno dell'altro in seno a una unita non oggettivabile, non verificabile, dove la distinzione tra cia che e in me e cia che e davanti a me perde di significato. Porre una metaproblematica equivale a porre il primato dell'essere in rapporto al conoscere, non dell'essere che io affermo, rna dell'essere che si afferma in me; equivale a riconoscere che la riflessione non pua avere come oggetto l'essere, dato che essa e interna all'essere, e un momento dell'essere, che appunto per questo l'avvolge in se senza poterne essere avvolto. La vera questione filosofica non e dunque: «che cosa e l'essere?», rna «che cosa sono io che mi pongo questa domanda?». C'e una filosofia com.e indagine (come enquete) e una filosofia come ricerca (come quete): la prima e inconcludente, perche si svia nella oggettivazione dell'essere, nel fame un terna attorno a cui indagare; solo la seconda e fedele alia verita dell' essere. Ma il suo modo di procedere non sara il porre problemi, il rnettere dinanzi a me i termini di una indagine dai quali io, come indagatore, mi tengo fuori, mentre di fatto ne sono immediatamente coinvolto, se e vero che illuogo dell'essere attorno cui pongo problemi e la mia stessa esistenza. II modo di procedere della ricerca sara dunque la partecipazione, e cioe il riconoscimento, per via immediata, che l'essere e nel mio esistere, e fuori del mio esistere diventa una 'cosa', perde le sue prerogative. In un processo del genere, il problema trabocca dai propri dati razionalmente posti e, traboccando, investe anche me, mi si approssima come un mistero che fa appello non alla mia intelligenza, rna alia mia totalita e immediatamente alia mia liberta di consenso o di rifiuto. «
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296 D 9- Il personalismo cristiano in Francia ne a quella dell' essere. La ragione problematica e omogenea al mondo delle cose, che e il mondo dello spazio: perche io possa avere una cosa, essa deve stare dinanzi a me, esistere indipendentemente da me. Questa reificazione puo investire anche la mia interiorita, come quando dico che io ho una sofferenza, ho un desiderio: allora io scindo dal mio essere un suo momento particolare e lo tratto come oggetto. Lo scivolamento dall'autenticita dell'essere alia inautenticita dell'avere accade alle radici stesse del processo conoscitivo, la dove la sensazione si inscrive nel sentimento della mia corporeita. Infatti, prima di essere un effetto in me prodotto da uno stimolo esterno, la sensazione e il puro fatto del sentire, al di la di tutte le possibili determinazioni. n sentire puro e il mistero della mia partecipazione a up universo che, impressionandomi, mi crea. Ecco perche il dato centrale della rrtetafisica e, per Marcel, il sentimento del mio corpo, l'incarnazione. Quando dico che io ho un corpo, mi sono gia posto fuori dell'asse ontologico: la verita prima e che io sono il mio corpo, o meglio, io sono in quanto incarnato in questo corpo: Essere incarnato vuol dire apparire a se come corpo, come questo corpo qui, senza potersi identificare ad esso, rna anche senza potersene distinguere, dato che identificazione e distinzione sono operazioni correlative l'una all'altra e non possono esercitarsi che nella sfera degli oggetti.
Tra il mio corpo e me non c'e dunque ne separazione ne fusione e nemmeno relazione, c'e partecipazione: l'esistenzialita e la partecipazione, in quanto essa non e oggettivabile. Nel momento in cui i1 mio corpo e considerato come oggetto di scienza, io esulo infinitamente da esso. Quello che si e detto del corpo, vale per l'universo intero. Come il mio corpo, nemmeno l'universo puo diventare un oggetto per me, ne io posso comprendere, per via di ragione, quale sia illegame che mi unisce ad esso. Dire che una cosa esiste non e soltanto dire che appartiene allo stesso sistema a cui appartiene il mio corpo (che essa, cioe, e legata al mio corpo da certi rapporti razionalmente determinabili), e dire che essa e, in qualche modo, unita a me come mio corpo.
Ma la scissione, introdotta nell'essere dalla identificazione cartesiana tra la mia essenza e la coscienza che io ho di me, si rivela in tutta la sua ambiguita al livello delle relazioni interpersonali. Quella identificazione traccia attorno a me un cerchio da cui non posso piu uscire, condannato a un perpetuo monologo sugli altri. Infatti, l'altro sara.sempre per me un lui, termine di una relazione in cui a decidere tutto e il fatto e la misura del mio interesse. Nello stesso momento che tratto l'altro come oggetto, io vengo meno alia mia esistenza concreta: «piu ,il mio interlocutore e esterno a me e piu io sono, nello stesso momento e nell~ stessa misura, esterno a me stesso)). Solo nel dialogo fra due tu l'uomo si scopre e si afferma come persona. La vita autenticam~nte personale e una 'con-presenza' 11 problema di Dio si pone a Marcel su questa stessa linea, come epilogo coerente della sua analisi dell'essere. Anche Dio puo essere pensato come verita impersonale, e allora egli e «la piu povera, la piu morta delle finzioni)), e il punto limite del processo di oggettivazione. Che cosa e il Dio cartesiano, se non un fabbricatore del mondo? 11 Dio reale, invece, e personale, e il Tu asso-
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luto. Proprio per questa non ci sono verita su Dio, anzi non c'e nemmeno il problema di Dio. La conversione di Marcel al cattolicesimo non ebbe nulla di folgorante, perc he fu come 1' esito naturale del suo itinerario, che riconobbe nel Dio del Vangelo la manifestazine del Tu assoluto. Credere nel senso forte - e non gia credere che e cioe presumere che e sempre credere in un Tu, cioe in una realta personale o soprapers()nale, suscettibile di essere invocata e suscettibile d'essere posta al di la di ogni giudizio riguardante un qualsiasi dato oggettivo.
9.14 Teilhard de Chardin: dall'universo alia persona. Solo partendo dall'intimita dell'essere, cosi come essa si dischiude prima che si apra in noi la divaricazione problematica tra soggetto pensante e oggetto pensato, e solo restando fedeli a questa qualita della conoscenza come partecipazione, ci e possibile conscere l'universo per quel che e: non una immensa congerie di cose inerti, riducibili a quantita, rna una dilatazione dell'essere stesso, vero fondamento e quindi vero significato tanto del mondo oggettivo, quanta della mia interiorita personale: questa la conclusione cosmica che, come abbiamo appena vista, il personalismo ha raggiunto in Marcel. II sensa del mondo e nella persona che lo decifra, qualora riesca a evitare la caduta nell'oggettivita misurabile, cara agli scienziati. Alla stessa conclusione, rna partendo dal polo opposto, cioe dal cosmo inteso come materia, e facendo uso - questa almena la sua convinzione - del metoda proprio della scienza, approda l'itinerario di Pierre Teilhard de Chardtn•. Anche per lui, certo, e nell'interiorita della persona che han sensa tutte le cose, rna l'interiorita non e un dato a priori, e il culmine di un procesPierre Teilhard de Chardin nasce nel 1881, nei pressi di ClennontFerrand. A 18 anni entra nell'Ordine dei Gesuiti e quando ess~ nel 1902, vengono espulsi dalla Francia, prosegue la sua fonnazione in varie parti del mondo, e soprattutto in Inghilterra, dove ha contatti che gli rivelano Ia sua vocazione di paleontologo. Mobilitato nella prima guerra mondiale come barelliere, vive l'esperienza come 'un battesimo della rea ltd'. NeZ 1920 ha la cattedra di geologia presso l1stituto Cattolico di Parigi e nel 1923 partecipa a una campagna di scavi in Cina. Tornato in Europa, i suoi primi scritti (specie Le milieu divin, che per il momenta deve restare manoscritto) suscitano apprensioni, e anche per questa, nel 1926, viene di nuovo inviato in Cina, dove resta fino al 1946, compiendo campagne di spavi, nota fra tutte quella che condusse alia scoperta del sinantropo (1929). Nel 1940 compone il suo capolavoro, 11 fenomeno umano. Quando ritorna in patria, le sue idee suscitano forti reazioni, specie da parte delle autoritd romane, ed egli deve impegnarsi a non pubblicare fino alla morte opere non prettamente scientifiche. Dopa alcuni viagg~ si stabilisce a New York, dove muore nel 1955. Tra i suoi libri, i piu importanti, tutti postumi, sono: Il fenomeno umano (1955), La comparsa dell'uomo (1956), La visione del passato (1957}, L'ambiente divino (1957), L'avvenire dell'uomo (1959), L'energia urn ana (1962).
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so ascendente dalla materia inorganica all'uomo, un processo che, fin dai suoi esordi di miliardi di anni fa, e stato ininterrottamente uno svolgimento di for· me corporeee e insieme di forme di coscienza. Di nessuno tra quelli che abbiamo chiamato i 'positivisti spiritualisti' si puo dire, come di lui, che la scienza e stata non un suo oggetto di discorso, rna un concreto esercizio professionale; di nessuno, come di lui, si puo dire che l'impegno scientifico, vissuto secondo le sue proprie regole, e stato, nel contempo, un'autentica esperienza mistica. Di qui il fascino di Teilhard - che negli anni '50 e '60 desto entusiasmi febbrili - rna anche Ia sua ambiguita, a causa dell' uso indiscriminate che egli fa dei canoni epistemologici i piu diversi, da quello della fisica a quello della teologia. Questa messa in opera di metodologie eterogenee rispondeva alia natura stessa dell'impegno di Teilhard, che era lo studio della struttura e della dinamica interna della totalita del fenomeno cosmico. «Solo il fenomeno. Ma anche tutto il fenomeno», cosi nella premessa al suo capolavoro, II fenomeno umano; Questo approccio, formalmente in regola con la pregiudiziale positivistica, traeva vantaggio dagli sviluppi che, dai tempi dell'Origine delle specie di Darwin, avevano conosciuto le diverse scienze, col risultato che ormai l'ipotesi evolu· zionistica si era rivelata valida non solo nell'ambito della biologia, rna per tutti i fatti dell'universo. L'evoluzionismo, che Teilhard adotta senza perplessita, ha ormai le dimensioni del cosmo, che va considerate non piu un sistema in movimento, come un orologio, rna un sistema dotato di una storicita ancora in divenire, dentro il quale la Terra non e soltanto il piedistallo su cui l'uomo si erge, come una statua, e un gigantesco stelo di cui l'uomo e come il fiore. Per comprendere integralmente il fenomeno cosmico, bisogna ormai includervi il fenomeno umano, rna non si comprende il fenomeno umano se non lo si colloca nell'universo come nel suo vero ambiente organico. L'universo ha un'unica storia, che va dalla materia elementare - anzi, dal padre sole - alia coscienza, e da qui prosegue, proiettandosi sull'avvenire secondo le stesse leggi che l'hanno condotto fino alia sintesi umana. Questa pretesa di totalita fa pensare a Hegel. Ma Teilhard ci mette in guardia: A dispetto delle apparenze, Ia Weltanschauung che io propongo non rappresenta in alcun modo un sistema rigido e chiuso. Non si tratta qui (sarebbe ridicolo) di una soluzione deduttiva del mondo alia Hegel, di un quadro definitivo di verita, rna soltanto di un fascio di assi di progressione, come ne esistono e se ne scoprono in tutto il sistema evolutivo.
La storia del pianeta ha conosciuto tre periodi diversi, che hanno condotto, in una continuita discontinua, a tre successive sfere di esistenza. 1. La prima fase e quella della cosmogenesi. Mentre nel secolo scorso, e cioe nel suo nascere, la fisica era sotto il doppio segno della fissita e della geometria, ormai, nell'era atomica, essa e costretta a considerare il cosmo come un'enorme massa in trasformazione. All'esterno di questo processo, alcuni miliardi di anni fa, «un frammento di materia, costituito da atomi particolarmente stabili, si staccava dalla superficie del sole, si agglomerava, si avvolgeva su se stesso, assumeva una forma)). E' la forma del nostro pianeta, «l'unico punto del mondo ove ci sia possibile seguire l'evoluzione della materia neUe sue fasi ultime, sino a giungere a noi stessi».
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2. La seconda fase, iniziata forse due miliardi di anni fa, e quella,,della biogenesi, della transizione dalla materia inorganica alla materia organica, dall'atomo alla cellula, questo 'grano naturale della vita' cosi come l'atomo e 'il grano naturale della materia'. Centrate su se stesse, le cellule possono, assorbire nuovi dementi senza che la loro unita sia spezzata, possono crescere e moltiplicarsi fino a dar luogo alla possibilita della formazione dei generi e delle specie, alla 'filogenesi'. 3. La terza fase, quella dell' antropogenes~ ha avuto inizio cinque o seicentomila anni fa: Individuando se stesso nel fondo di se stesso, l'elemento vivente allora disseminato e diviso su di un cerchio diffuso di percezioni e di attivita, si trova costituito in un centro puntiforme, ove tutte le rappresentazioni e le esperienze si riannodano in un insieme cosciente della propria organizzazione.
Piii che a un punto, il centro psichico riflesso, cioe la coscienza, andrebbe paragonato a una linea o a un asse di un duplice movimento con cui esso tende a centrare sempre piu se stesso e, nel contempo, a centrare il resto del mondo attomo a se. E' questa la struttura dinamica della persona, che in tanto riesce a mantenersi in quanto diventa sempre piu se stessa, integrando tutto il resto nel proprio essere. Questo processo evolutivo e guidato, in tutta la sua estensione, e cioe dalla costituzione della materia alla umanizzazione della vita, da una Iegge che stringe in un rapporto costante la crescita della complessita e la crescita della coscienza. L'evoluzione non e infatti una semplice 'durata', che si svolge come un flusso intimamente indifferenziato, e un continuo passaggio da strutture piu semplici a strutture piu complesse, dall'atomo alia cellula, dalla cellula agli esseri multicellulari, dai primi esseri multicellulari agli organismi sempre piu complicati, per arrivare al piu complesso degli esseri, all'uomo, in cui si ritrovano, sebbene oltrepassate, tutte le forme precedenti di complessita. E' con l'uomo che emerge nell'universo un terzo infinito: accanto all'infinitamente grande e all'infinitamente piccolo (i due abissi di Pascal), un infinito nel senso della complessita. E' cosi che l'uomo ritrova la sua vera centralita nell'universo, in sostituzione di quella annullata da Copemico. Parallelamente alia crescente complessita, l'evoluzione da luogo a una crescita di coscienza: dalle profondita misteriose della materia si ascende, di grado in grado, alle reazioni spontanee della cellula, allo psichismo delle specie animali e finalmente, con la cerebrelizzazione dell'uomo, alla coscienza vera e propria. Insomma, a ogni grado di complessita corrisponde un di piu di unita intema e di concentrazione e a ogni grado di coscienza corrisponde un di piu di complessita strutturale: sono queste le due facce, estema e interna, di ogni fenomeno. 4. Giunta all'uomo, la lunga storia dell'evoluzione non e terminata. Mentre nella materia noi constatiamo una degradazione crescente (la Iegge dell' en tropia) e nel regno vegetale e animale le specie sono in una stagnazione perpetua, anzi molte di esse si estinguono senza che ne nascano di nuove, l'uomo e aperto al futuro, e punto d'arrivo dell'evoluzione passata, rna anche punto di partenza di una nuova evoluzione, che dovra dispiegarsi nella sfera sua propria, la noosfera.
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Infatti, per una legittima estrapolazione, siamo autorizzati a pensare che la Iegge della complessita crescente e della correlativa crescita di coscienza debba valere anche per il futuro, in vista. di una umanizzazione progressiva dell'umanita. I sintomi della complessita crescente sono sotto i nostri occhi. Nella umanita primitiva, come la paleontologia e la preistoria ce la rivelano, continuava Ia spinta centrifuga della ramificazione delle specie e dei gruppi, rna, con l'avvento della tecnica, il corso della storia ha mutato di senso: esso va verso la creazione di strutture sempre pitl unificanti. L'umanita e ormai in grado di organizzare un ordine a scala planetaria. A questa unificazione esteriore corrisponde un processo analogo negli strati profondi della coscienza umana. Le culture si stanno fecondando reciprocamente: in tutti gli ambiti si assiste a uno sforzo di collaborazione e concentrazione di tutte le energie, prima disperse e antagonistiche, quasi in obbedienza a un obiettivo comune, che abbia cor'ne suo corrispettivo fisico una socializzazione completa. L'obiettivo non e un individuo umano anatomicamente supercerebralizzato, rna una supercoscienza, e cioe una coscienza comune che assicuri l'unita superpersonale senza detrimento della pienezza della coscienza personate. Nietzsche profetizzava il superuomo, Teilhard profetizza, rna sulla base di una posizione scientificamente fondata, una superumanita Si capisce perche i marxisti abbiano mostrato un grande interesse per la tesi di Teilhard ( 15.5): il suo ottimismo storico e la sua prospettiva di un'unita umana, basata su di una piena socializzazione tecnica ed economica, richiamano, in pili di un punto, !'utopia scientifica di Karl Marx. Ma per Teilhard niente di pili estraneo alia qualita del futuro dell'uomo che la fiducia nei determinismi. E' stata l'evoluzione preumana a utilizzare il gioco dei determinismi per giungere al suo scopo. Ma con la comparsa dell'uomo ha preso luce un fenomeno nuovo, quello della liberta. E la superumanita dovra nascere non attraverso le costrizioni, rna attraverso il moto convergente dellibero consenso. Ecco perche niente e garantito, per quanta riguarda il futuro dell'uomo. Dinanzi alla,.soglia della nuova era dell'unita del genere umano, la liberta recalcitra e non· di rado arretra, mossa dal tim ore. Una virtu nuova occorre all'uomo, in questa fase decisiva:
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Occorre che l'uomo creda all'umanita piu che a se stesso, sotto pena di cadere nella disperazione.
5. Si tratta di una fede laica, postulata dal senso stesso dell'evoluzione. Ma il senso dell'evoluzione conduce Teilhard a ripensare in modo totalmente nuovo i contenuti della sua fede cristiana, definiti dalla tradizione a partire da una visione del mondo di tipo statico. A suo giudizio, nella visione del mondo resa possibile dall'evoluzionismo, il ruolo e il significato di Gesu Cristo si fanno molto pili intelligibili che nel passato. Il Cristo della Resurrezione e .il correlativo soprannaturale della super-coscienza, a cui, come abbiamo visto, dovra approdare il divenire del mondo, e il 'punto Omega', in quanta e Colui che deve venire, cosi come e il 'punto Alfa', in quanta e il Verbo in cui tutte le cose sono state create. Questa nuova visione cristologica non e una sovrapposizione arti-
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ficiosa alia descrizione del 'fenomeno umano' compiuta da Teilhard, ne e, esplicitamente o implicitamente, !'idea guida, anche se abbiamo preferito non tenerne conto in questa sede. Era infatti nelle convinzioni di Teilhard che Ia sua rappresentazione del mondo, in quanto costruita secondo i criteri della ragione scientifica, poteva e doveva essere accolta a prescindere da ogni considerazione teologica. Tocchiamo qui un punto critico della concezione di Teilhard, un punto in cui si ripete la perenne questione dei rapporti tra ragione e fede. Con lui, Ia questione si e solo spostata dalla classica linea metafisica e antropologica alia linea scientifica, con una forma di provocazione che, almeno nell'ambito della teologia (17.11), resta ancora viva e feconda.
Sartre 9.15 L'esistenzialismo, filosofia dell'impegno. Il contesto in cui si forma, nella sua sTfaordinaria originalita, il pensiero di Jean Paul Sartre• e lo stesso che abbiamo avuto modo di descrivere nel situare la riflessione impegnata di Emmanuel Mounier (9.12). Erano gli anni '30, i piu oscuri dell'Europa prima
Jean-Paul Sartre nasce a Parigi nel 1905. Studia alia Scuola Normale superiore e, a partire dal 1927, si interessa al pensiero fenomenologico di Jaspers, prima, e poi di Husser:! e di Heidegger, che approfondisce negli anni 1933-34, durante un soggiorno a Berlino. Tomato in Francia, riprende l'insegnamento nei licei Durante il 1941 partecipa alia Resistenza. Nel 1945, fonda con Merleau Panty la rivista Temps modernes e manifesta le sue simpatie peril partito comunista, pur restandone indipendente. Questa allineamento lo porta a rotture clamorose, come quelle con Merleau Panty e con Albert Camus. Nel 1957, dopo i fatti di Ungheria, rompe anche con il comunismo sovietico. Dopo i/1960, il suo impegno politico si avvicina ai gruppi 'gauchistes' e si apre alle lotte di liberazione del Terzo Mondo. Dal 1968 e uno strenuo difensore del movimento giovanile e dei diritti dell'uomo, specie durante la repressione antiterroristica in Germania e in Italia. Muore a Parigi net 1980, assistito dalla compagna di vita, di pensiero e di battaglie, Simone de Beauvoir. Vastissima la sua produzione, anche letteraria. Tra le opere filosofiche, le piu importanti sono: L'immaginazione (1936), L'immaginario (1940), L' essere e il nulla (1943 ); L' esistenzialismo e un umanesimo (1946); Critica della ragione dialettica (1960). Va detto, comunque, che anche le opere letterarie, come indagini critiche sui grandi scrittori (Baudelaire, Genet, Piaubert), romanzi e drammi di cui qui non possiamo render canto, sono indispensabili per la conoscenza del pensiero filosofico di Sartre, che si esprime in modo omogeneo a se stesso anche, e forse soprattutto, nelle situazioni esistenziali create dalla fantasia.
302 D 9 - Sartre che si scatenasse l'apocalisse del '39. L'incertezza morale, che aveva colto il mondo borghese dopo la prima guerra mondiale, aveva favorito l'involuzione delle forme democratiche, che in molti paesi, primo fra tutti l'Italia, cedevano il passo al totalitarismo fascista. ll successo e poi il ripiegamento autoritario della rivoluzione d'Ottobre avevano sollevato, a fianco della vecchia Europa, la minaccia della dittatura del proletariato, che anche all'interno del mondo marxista aveva provocato smarrimento, repressioni e penose autocritiche. Lukacs, come si e visto (8.12), viveva prudentemente appartato. Di contro, la cultura europea, anche nei suoi pili alti livelli, venuto meno l'ottimismo dell'epoca positivista, svolgeva, con troppo compiacimento, una filosofia della crisi che svuotava di razionalita l'esistenza individuate e collettiva. In questo quadro, anche eredita culturali di largo respiro, come quella di Nietzsche e di Kierkegaard, venivano ripensate e riproposte su di una linea di complicita con il collasso di fervore storico. L'utopia del superuomo veniva a coincidere con la tracotanza razzistica del nazionalsocialismo, a cui Alfred Rosenberg (1893-1946) aveva offerto un tetro breviario scientifico con Il mito del secolo XX ( 1931 ), e, prima ancora, nel 1925, Adolf Hitler, col suo Mein Kampf, una plastica esemplificazione capace di suggestionare perfino intellettuali della statura di un Heidegger. In altre aree culturali, l' esistenzialismo di Kierkegaard veniva recuperato a vantaggio di un intimismo che dissimulava l'angoscia storica, sostanziata di ben precise paure, con un velo di nobilta religiosa. E cosi, quando verra la lunga notte della Resistenza, le coscienze saranno allo scoperto, senza tutele ideologiche (anche quella marxista doveva fare i conti con contraddizioni inattese, come la provvisoria alleanza fra Stalin e Hitler), e dovranno ricercare nel prof on do, aile sorgenti stesse dell' esistenza, il filo saldo della coerenza morale. Di qui, il doppio volto dell'esistenzialismo (etichetta che puo essere usata solo per comodo): da una parte, esso e figlio naturale della crisi, in quanto integra in se la nausea della storia; dall'altra, esso fornisce il punto d'appoggio per superarla, un punto d'appoggio che puo trovarsi soltanto la dove il senso dell'esistere si salda con l'apertura agli altri, dove la passione per la propria liberta individuate si rivela come inscindibile dalla passione per la liberta di tutti. Questo clima favorevole alle ambivalenze non fini affatto col finire della guerra, che anzi, mentre la dissoluzione delle vecchie tradizioni filosofiche appariva totale e irreversibile, le ragioni dell'impegno storico stentavano a farsi evidenti e venivano rimpiazzate dalla estraneita dell'uomo al mondo, un tema che era stato sollevato a grande dignita di arte e di pensiero da Albert Camus ( 1913-1960) - so no del 1942 il suo romanzo Lo straniero e il suo saggio Il mito di Sisifo- e che divenne di mod a nei caffe di Parigi. Possiamo riassumere il quadro della situazione riportando una pagina di un saggio di Sartre, singolarmente piano e affabile, L 'esistenzialismo e un umanesimo, del 1946: ((che cos'e l'esistenzialismo?» La maggior parte di coloro che adoperano questo termine sarebbero gravemente imbarazzati nel dame giustificazione, poiche oggi, che e divenuto di moda, si dice volentieri che un musicista o un pittore e esistenzialista. Un cronista mondano di Clartes si firma Esistenzialista; e in fondo la parola ha preso oggigiomo una tale risonanza e una tale estensione che non significa piu niente. Cia che rende complesse le cose e il fatto che vi sono due specie di esistenzialisti: gli uni, che sono cristiani, e fra
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questi metterei Jaspers e Gabriel Marcel, di confessione cattolica: e gli altri, gli esistenzialisti atei, fra i quali bisogna mettere Heidegger, gli esistenzialisti francesi e me stesso. Essi hanno di comune soltanto questo: credono che l'esistenza preceda l'essenza o, se volete, che bisogna partire dalla soggettivita. L'esistenzialismo ateo, che io rappresento, e piu coerente. Se Dio non esiste, afferma, c'e almeno un essere in cui l'esistenza precede l'essenza, un essere che esiste prima di poter essere definito da alcun concetto: quest'essere e l'uomo, o, come dice Heidegger, la realta umana. Che significa, in questo caso, che l'esistenza precede l'essenza? Significa che l'uomo esiste innanzi tutto, si trova, sorge nel mondo, e che si definisce dopo. Ma, se veramente l'esistenza precede l'essenza, l'uomo e responsabile di quello che e. Cosi il primo passo dell'esistenzialismo e di mettere ogni uomo in possesso di quello che egli e e di far cadere su di lui la responsabilita totale della sua esistenza. E, quando diciamo che l'uomo e responsabile di se stesso, non intendiamo che l'uomo sia responsabile della sua stretta individualita, rna che egli e responsabile di tutti gli uomini.
Se quello di Sartre fu un 'esistenzialismo' (si sa che solo a malincuore egli si adatto ad accettame I'etichetta), si e trattato certamente di un esistenzialismo del tutto libero dalle tentazioni della fuga dal mondo: fu una filosofia dell'impegno. E di un impegno cosi centrato sugli imperativi della coscienza, che egli non riusci mai, nonostante i suoi tentativi e le sue pubbliche professioni, a farsi carico di una ideologia e di una disciplina di partito. ll suo vero progetto non fu mai la rivoluzione, fu la rivolta, che sta alia rivoluzione come l'esistenza sta all' essenza. E in questo senso, egli fu davvero, come pochi altri, un esistenzialista, e cioe, per usare il suo linguaggio, un uomo 'fuori serie'. 9.16 La struttura della coscienza. Gia nel suo primo scritto, del 1936, L 'immaginazione (completato con L 'immaginario, del 1940), Sartre, pur facendo uso delle categorie della fenomenologia tedesca, pone le premesse del suo esistenzialismo, sottoponendo ad analisi la differenza tra percezione e immagine. L'immagine non e, come voleva la psicologia classica, il ritomo di una percezione, e una produzione della coscienza. Se irrimagino un oggetto che nel momento.non mi e fomito dalla percezione, io trasferisco nel contenuto psichico della mia coscienza le qualita sensibili della cosa - I'esteriorita, la spazialita e cosi via -, che invece non ci sono e che so che non ci sono. Situata com'e in un mondo di cose, la coscienza e Iibera di porre immagini in rapporto aile quali il mondo delle cose non e. Quando immagino un centauro, sapendo che esso e irreale, nello stesso momenta io colgo il mondo come un mondo in cui il centauro non c'e. L'analisi dell'immagine mi da, dunque, da una parte, la liberta della coscienza di porre i propri contenuti a suo arbitrio - proprio come il Dio di Cartesio, non soggetto, nel creare, a nessun vincolo, nemmeno a quello del 'due piu due quattro' -, dall'altra, la sua possibilita di negazione, di nullificazione del mondo come totalita. Liberta e nulla: ecco due termini fondamentali dell'intera ricerca filosofica sartriana. Essi ritomano, rna inquadrati in una articolata struttura teorica, nell'opera maggiore di Sartre, L 'Essere e il Nulla, saggio di una ontologia fenomenologica (1943). II fenomeno, anche per Sartre, non puo essere che quello della coscienza in quanto specchio in cui la realta, qualunque essa sia, primariamente ci si presenta. Anche il suo e, dunque, un 'positivismo spiritualista', sebbene i due termini, nello svolgimento della sua ricerca, perdano del tutto i loro connotati
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d'origine, come d'altronde lo perde il termine 'ontologia' che si ritrova nel sottotitolo della sua opera. La coscienza e sempre coscienza di qualcosa: e quanta sfuggiva a Cartesio, che faceva giustamente cominciare lo studio della realta dal cogito, rna eludeva il fatto che il cogito e sempre intenzionalmente connesso a qualcosa. E questa qualcosa non e la coscienza, e l'essere. Per Sartre, l'essere e la cosa cosi come si pone dinanzi alia coscienza, nella sua bruta immediatezza: un tavolo, un albero, lo stesso corpo che avvolge vischiosamente la coscienza. E' l' essere in-se. Non ha sensa distinguere la potenza e l'atto: l'essere in-se e soltanto atto, e cioe e quello che e nella sua opaca presenza, massiccio, immobile. Inutile giocare con l'intelligenza, domandandosi se avesse potuto essere altro da quello che e, distinguere, cioe, il possibile dal reale. Ed e inutile cercare di capime il sensa, ponendolo in relazione con gli altri esseri, descriveme o anticipame razionalmente i mutamenti. L'essere e fuori del tempo, data che il suo divenire e retto da cause determinanti e dunque e gia scontato, e proprio per questa lascia l'essere rigido, immobile. E' sorprendente la rassomiglianza tra l'ontologia sartriana e quella parmenidea, salva naturalmente l'identita, per Sartre assoluta, tra l'essere e le case nella lora inerte molteplicita. L'essere in-se, che per Parmeide era lo 'sfero' sovrasensibile, e, per Sartre, anche il tavolo su cui scrivo. Resta la domanda: rna in un mondo cosi rigido, cosi determinato, che pasta c'e per la liberta? La liberta c'e perche si danno due distinte ragioni dell'essere: quella dell'inse e quella del per-se. L'essere per-se e la coscienza. Con questa di sorprendente, pero, su cui invece il sensa comune scivola noncurante: siccome tutto cio che esiste deve essere in-se, quest'altro tipo di essere, l'essere per-se, non sara che un non-essere, un nulla. Cerchiamo di chiarire questa punta dell'analisi sartriana, particolarmente astruso. La coscienza e essere per-se in quanta e presenza a se stessa. Sartre comincia con il liberare la coscienza da tutto cio che la psicologia classica vi metteva: immagini, sensazioni, emozioni. Certo, ogni coscienza e coscienza di qualcosa: non si da una coscienza 'vuota' o 'pura', che potrebbe essere colta come un'essenza. La coscienza e sempre aile prese con le case, rna nella coscienza non c'e nulla, nemmeno I' ego, data che posso sempre gettare uno sguardo su 'me' come oggetto. La concezione tradizionale della coscienza, che riceve passivamente dal di fuori i suoi contenuti, lascia il posto alia constatazione che la coscienza e attivita del tutto trasparente a se stessa. Liberata da tutto cio che n~lla psicologia classica la trasformava in cosa, in oggetto, essa non puo essere pensata che alla maniera del 'nulla'. Infatti, in quanta presenza a se stessa, la coscienza implica una 'fessura' in se stessa. Se, per esempio, io sono cosciente che c' e un tavolo dinanzi a me, io devo separare dalla mia coscienza il contenuto della sua rappresentazione e devo fissarlo in un qualche luogo della stanza. Ogni atto della coscienza segue questa processo di scissione, che pone l'in-se dinanzi al per-se. Ma con che mezzo si opera la scissione? Con nulla. Naturalmente, il nulla non si vede, rna esso si manifesta come potere nullificante, la cui attivita si scorge solo dopo che si e esercitata: «il nulla che sorge nel cuore della coscienza non e, e stato». Cosi, ad esempio, se qualcosa non
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funziona nella mia automobile, io guardo il carburatore, lo esamino e trovo che non c'e niente. Non c'e stato niente. Il niente non viene dall'in-se, che e compatto e senza fessure: non puo dunque che venire dall'uomo. E infatti l'uomo porta in se il niente, appunto Ia sua coscienza, che e potere nullificante, come il baco nel frutto. Anzi, l'uomo, se si prescinde dal suo corpo, dalle sue abitudini, dal suo stesso ego, che appartengono, come si e detto, all'essere in-se, consiste precisamente nel nulla, in un nulla, peraltro, ordinato, per intima intenzionalita, all'in-se, proiettato cioe sul mondo delle cose. 9.17 La triplice dinamica della coscienza. Il per-se non e inerte come l'in-se, ha una sua dinamica, che si esplica in tre tendenze - verso il nulla, verso gli altri e verso l'essere -, le quali sono tutte e tre votate allo scacco. 1. Gia per il fatto che puo diventare qualunque cosa - il tavolo, l'albero, il corpo che Ia contiene - Ia coscienza si rivela come un nulla: se fosse, come l'in-se, compatta e piena, sarebbe impenetrabile. Il suo contenuto viene sempre dall'oggetto, come quando io conto le mie sigarette nel pacchetto, con Ia coscienza (non riflessa) di contarle. Cos'e, nel contarle, il sapere di contarle? Nulla. La coscienza e un' esistenza pura, che non si puo dire che e. Il suo com pi to e, Secondo l'espressione di Sartre, una 'decompressione dell"essere', e cioe una scissione dell'in-se, che si avvera quando noi stacchiamo la coscienza da cia di cui abbiamo coscienza. Come quando sottopongo l'altro ad interrogazione: io nego l'altro (non potrei interrogarlo senza negarlo cosi com'e) e nego me stesso, lamia certezza attuale (altrimenti, perche interrogarlo?). Ma il vero luogo di manifestazione del nulla del per-se e la liberta. Se io fossi determinato dal mio passato, non potrei scegliere; se scelgo, vuol dire che nego il mio passato. E vuol dire che aspiro necessariamente a qualcosa che, come tale, non e. La liberta non e dunque una proprieta del per-se, e totalmente identica al per-se. La liberta e l'incertezza, Ia totale indeterminazione, che non ha aile spalle nessuna natura definit~, Iiessuna essenza. L' essenza del per-se e Ia stessa esistenza, Ia quale, a sua volta, e niente altro che la liberta nel senso ora posto. La scelta non e facoltativa, e necessaria, e difatti essa sempre si da. Anche se sono costretto a entrare sotto le armi, in realta ho scelto, dato che non mi sono sottratto con i due modi possibili, il suicidio o Ia diserzione. L'uomo e condannato alia liberta, nel senso che non puo mai cessare di essere libero. Proprio dal fatto che Ia scelta e inevitabile e che il suo sensa specifico e per il nulla, nasce l'angoscia. E questa e, per Ia coscienza, il primo scacco. _ 2. La second a tendenza del per-se e 1' essere-per-gli-altri. La relazione con l'altro e, per Sartre, cosi costitutiva, che, a suo giudizio, noi non abbiamo impulsi sessuali perche abbiamo gli organi genitali, rna, all'opposto, noi abbiamo gli organi genitali perche siamo strutturalmente per gli altri. Non c'e bisogno di dimostrare che l'altro esiste: ne abbiamo Ia prova immediata nel fenomeno della vergogna. n rapporto con l'altro e infatti costantemente sospeso tra due possibilita: 0 l'altro e lin oggetto dinanzi a me, che sono il soggetto, o io divento oggetto dinanzi all'altro. Lo voglia o no, io esisto non solo come liberta, rna anche come oggetto: la presenza dell'altro me lo ricorda: «l'inferno sono gli altri». Mi sono costruito un mondo di immagini e di
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cose ed ecco giunge a me lo sguardo di un altro, che puo ridurre me e le mie cose a proprio oggetto, puo 'solidificare' Ia mia liberta, impormi un sensa, il · suo sensa. In questa crollo di autonomia della coscienza, in questa sua caduta tra le case, si manifesta cio che io vorrei nascondermi, la mia ordinazione all'altro, e dunque la mia possibilita di essere un suo oggetto. Ognuno cerca di oggettivizzare gli altri. Questa non porta, di necessita, che l'uomo debba dominare l'altro come semplice oggetto, fino ad ucciderlo; il per-se vuol dominare l'altro in quanta liberta, e dunque possederlo sia come oggetto che come liberta. Nelle diffuse, e a volte penetranti, analisi della vita sessuale, normale e patologica, che fan da trama, per lo piu, ai suoi romanzi, Sartre cerca di dimostrare che si tratta in tutti i casi di possedere la liberta altrui: non e il corpo dell'altro che desideriamo e nemmeno il nostro piacere, rna l'altro come tale, come avviene tra due amanti che si accarezzano. Ma l'impresa e sempre senza successo, perche e intimamente assurda, dato che il per-se non puo mai diventare oggetto. E' qui il secondo scacco. 3. Inutile cercare possibilita nell'in-se, dato che il possibile non e. L'unica sorgente del possibile e il per-se, la coscienza. Anche quando si parla dei 'valori', si parla di possibilita ideali, e dunque di modalita del nulla. L'unico valore e la liberta del per-se, che da se stesso sceglie i propri valori, e cioe se stesso. L'unica Iegge morale e dunque questa: scegli te stesso! Ma allora, perche l'uomo e serripre in ricerca? La. risposta e di tipo psicoanalitico (Sartre ha opposto a quella di Freud una sua psicoanalisi esistenziale): il desiderio costitutivo dell'uomo ha per oggetto l'essere. L'uomo e niente, nella sua essenza, e tuttavia egli amerebbe di essere. Non che egli voglia diventare in-se: dinanzi all'in-se, l'uomo prova un sentimento profondo di ripulsa, che Sartre chiama nausea. ll termine dei desideri dell'uomo e una suprema coincidenza tra l'in-se e il per-se, tra l'essere e la coscienza; proprio secondo le antiche rappresentazioni metafisiche dell'Assoluto. Per Aristotele, Dio e l'essere (l'in-se) e il pensiero dell'essere (il per-se). L'uomo vuol diventare Dio. Proprio all'opposto di quanta ha voluto Cristo, l'uomo vuole la propria morte perche Dio viva. Ma Dio e impossibile, perche un in-se-per-se e un'assurdita. L'uomo e una passione inutile, e un 'Dio mancato'. Ed ecco il terzo scacco. 9.18 La ragione dialettica. Alla fine dell'ultima guerra, Sartre aveva gia portato a termine l'elaborazione dei grandi temi del suo esistenzialismo. La sua era, nonostante il 'nichilismo' ontologico, una filosofia dell'impegno. E difatti, insieme a uomini come Merleau - Panty o come Albert Camus, egli fu al centro di iniziative editoriali e di interventi politici ispirati tutti a una Iucida analisi della disumanita del momenta storico e a una esigenza rigorosa di difesa dei diritti dell'uomo. Non poteva, dunque, non incontrarsi e non confrontarsi con il marxismo. E lo fece con una lunga meditazione, che egli condenso nella sua seconda opera fondamentale: La critica della ragione dialettica (pubblicata incompiuta nel 1960). Per quanto egli respingesse fin da principia, com'era nella logica della sua concezione della liberta, il materialismo dialettico (accettando pero il materialismo storico) e, a fortiori, quella 'scolastica della totalita' che era lo stalinismo, nessun dubbio, per lui, che il marxismo non e su-
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perato, dato che non sono superate le circostanze che l'hanno prodotto, e che Ia sua e Ia sola antropologia possibile; a un tempo storica e strutturale: E tuttavia ormai esso non sa piu niente: i suoi concetti sono dei diktats; il suo scopo non e piu di acquisire conoscenze, rna di costituirsi in Sapere assoluto. Da questa duplice ignoranza, l'esistenzialismo ha potuto rinascere e mantenersi, perche riaffermava la realta degli uomini.
ll proposito di Sartre e di far confluire nel rnarxisrno gli apporti di una teoria della soggettivita, che solo I'esistenzialisrno rend eva possibile. Una teoria che, d'altronde, e postulata dallo stesso rnarxisrno: L'alienazione non esiste che se l'uomo e innanzitutto azione; e la liberta che fonda la schiavitu, e il legame diretto di interiorita, come tipo originate delle relazioni umane, che fonda il rapporto umano di esteriorita.
Che senso ha, oggi, un rnaterialisrno che parta dal presupposto di una materia in se condiderata, se, fin dal suo prirno rnornento di incontro con l'uorno, la materia e gia urnanizzata? L'idea stessa di natura nasce attraverso l'uorno. ll rapporto tra uorno e natura e dialettico, e per cornprenderlo a nulla servono le analisi dei positivisti, occorre una 'ragione dialettica', che ponga il rapporto tra i due termini, natura e liberta, nel cerchio della coscienza e non al suo esterno, come avevano fatto, oltre i positivisti, anche Marx e Freud (di cui Sartre non ha rnai accettato la dottrina dell'inconscio). In quel cerchio, e possibile ugualmente dire che tutto e oggettivo e tutto e soggettivo, proprio perche e ll che si supera la tradizionale dicotornia. Nell'universo, tutto e rnateriale, rna nel rnondo dell'uorno tutto e urnano, o rneglio tutto riceve dall'uorno le sue funzioni urnane. Corne gli uornini, nell'attuale societa produttiva, sono rnediati dalla materia, cosi, in pari tempo, essi rnediano i settori rnateriali tra di loro. In questa irnpresa, la rnaterialita inorganica esterna all'uorno si fa interiore a lui, utilizzando la sua 'inerzia di irnpotenza'. Di qui viene .che ogni uomo Iotta contro un ordine che lo schiaccia realmente e materialmente nel suo corpo e che egli contribuisce a sostenere e a rinforzare con la stessa Iotta che conduce contro di esso.
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Non bastera, dunque, spiegare la genesi e la della coscienza di classe, si dovranno anche analizzare i fenorneni di irnpotenza che contrassegnano, in questo rnornento, l'uorno in quanto essere sociale e storico, in quanto rnernbro di una societa che <<e piena di atti senza autore, di costruzioni senza costruttore». Una vera antropologia dovrebbe servire a infrangere questo rneccanisrno anonirno, che i positivisti dissirnulavano col deterrninisrno storico e i marxisti con il sernplicisrno del materialismo dialettico. E lo puo fare, elaborando una dialettica della liberazione, centrata sulla prassi, non irnporta se vissuta nella riflessione filosofica o nella realta quotidiana, dato che, nel provocare la presa di coscienza rivoluzionaria, essa obbedisce alla spinta di una alienazione vissuta individualmente. Se devo poter mantenere !'idea hegeliana (la Coscienza si conosce nell'Altro e conosce l'Altro in se), sopprimendo radicalmente l'idealismo, devo poter assumere che Ia praxis di tutti come movimento dialettico si riveli a ognuno
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come la necessita della propria praxis e, reciprocamente, che, in ciascuno, la liberta della propria praxis particolare si riveli in tutti, perche ognuno scorga una dialettica che si fa e lo fa in quanto viene fatta.
L'errore del marxismo e stato proprio nel mettere tra parentesi questa prassi individuate, che invece accomuna, in una medesima esperienza e in una medesima possibilita di riscatto, l'operaio, il piccolo borghese e l'intelletti..tale. Quando l'uomo si accorge che la sua liberta e stata il mezzo di cui altri si e servito per metterlo in servittl, egli si rende canto di trovarsi iQ un mondo in cui l'azione Iibera e la mistificazione fondamentale. E' questa il momenta negativo, in cui la prassi dialettica dell'individuo si rimette in questione, in seno all' antidialettica che la espropria dei suoi stessi risultati, ed e, percio, anche il momenta in cui egli scopre attomo a se il 'gruppo di prassi' insieme al quale e nel quale e possibile costruire un altro spazio sociale, non alienato, da contrapporre e sostituire al regno dell'inerzia di cui e vittima, e possibile rendere intellegibile la materia per contrapporla e sostituirla alla materia inintellegibile. Fino a quando l'istituzionalizzazione di questa riuova prassi, nata dall'insurrezione e dalla rottura di un ordine culturale alienato, non la immobilizzera in un'altra forma di alienazione. n fallimento e fatale: l'uomo e una passione inutile. E, con l'uomo, anche la storia.
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Sommarto. La seconda meta dell'Ottocento anche in Germania e dominata dalla crisi di sicurezze della classe egemone, la borghesia, Ia quale vede il proprio nemico ideologico nel materialismo, sia marxista che positivista: di qui il ritomo al pensiero kantiano, nell'intento di mettere al sicuro le scienze dello spirito dalle scienze della natura (10.1) e di estendere le competenze della ragione oltre i confini della conoscenza scientifica, nella sfera dell'esperienza storica. Una 'critica della ragione storica' viene proposta da Dilthey, che traccia per le scienze dello spirito un metodo il cui presupposto e la compenetrazione vitale tra soggetto e oggetto, il cui esercizio e l'ermeneutica dei fatti, il cui limite e l'impossibilita di una visione del mondo unitaria (10.2). La lezione di Dilthey viene svolta, con una moderata accentuazione della centralita della vita nel rapporto tra conoscenza e storia, da Simmel, e, con un radicale irrazionalismo, da Spengler (10.3). In questo quadro, rna in modo indipendente, si colloca la sociologia di Weber, che basa le competenze della ragione nella conoscenza storica su alcune regole, come la determinazione metodologica dei 'tipi ideali' e la neutralita assiologica. Ma anche in Weber la ragione e 'disincantata', rassegnata al processo storico (10.4). Allo slittamento irrazionalistico dei '.filosofi della vita' reagisce, in vista di un severo statuto della ragione, la 'fenomenologia', che indaga la funzione costruttiva della coscienza determinandone la struttura, le leggi e l'oggetto non-empirico (10.5). Sul modello della matematica, Husserl pone gli oggetti della coscienza nelle forme ideali (eide), che non esistono in se e per se, rna rimandano a distinte provincie studiate dalle singole scienze (10.6). Husser! costruisce un metodo per sorpassare i contenuti psicologici del conoscere e per mettere in luce la struttura che raccorda tra loro la coscienza pura e le essenze, le quali possono essere studiate o in quanto danno oggettivita aile scienze empiriche, o in se stesse e nelle loro reciproche· relazioni (scienze eidetiche) (10.7). II momento tipico di questo metodo e la 'riduzione eidetica', in cui si mettono tra parentesi non solo le cose (compreso l'io), rna anche le essenze, per cogliere cosi la coscienza pura, la quale si rivela strutturalmente intenzionale all'oggetto, cosi come l'oggetto e intenzionale alia coscienza (10.8). II modo tipico con cui la coscienza e presente a se stessa e la temporalita, da non confondere con quella cosmica. E' nel tempo della coscienza che il mondo trova senso. Solo il senso o anche l'esistenza? Husser! sembra inclinare verso una risposta idealistica, rna con una forte accentuazione della trascendentalita della coscienza in quanto si rapporta aile altre coscienze, in una ideale comunione tra gli uomini (10.9). Una comunione che, in questa fase di crisi dell'Europa, dovrebbe esprimersi nel superamento della degenerazione tecnologica della ragione e nel recupero della filosofia come apertura all' essere ( 10.1 0). II limite del principia di Husserl e, Secondo Heidegger, nella sua incapacita di far luce sui nesso tra l'essere e l'esistere. L'individuo non puo essere messo tra parentesi, perche e nel suo seno che si rivela il rapporto tra esistenza ed essere. L'uomo non e solo un ente tra gli enti, e un ente che si interroga sui senso dell'essere: e, appunto per questo, un' esistenza (1 0.11 ). L' esistenza e un progetto che oscilla tra la inautenticita della 'deiezione' (dell'esistere allivelio delle cose) e l'autenticita dell'essere-per-la-morte, che
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si esprime nella 'decisione anticipatrice', in cui si rivela la nullita del mondo (10.12). Seguendo la lezione di Nietzsche, Heidegger ricollega la crisi attuale della filosofia alia deviazione metafisica che, gia con Platone, sostituisce l'Ente all'Essere, inaugurando l"oblio dell'essere', il male oscuro della filosofia. Per ritrovare il contatto con l'Essere, occore un nuovo linguaggio, occorre l'ermeneutica del linguaggio poetico (10.13). Su questo declassamento della ricerca metafisica non e d'accordo Jaspers, che ritiene necessaria la ricerca dell'essere per le vie della ragione, anche se condannate allo scacco. II primo scacco e quello della oggettivazione di tipo scientifico (10.14). II secondo e quello che nasce dalla necessita della ricerca di un punto di vista filosofico, basato sulla compenetrazione tra ragione ed esistenza: ogni filosofia e punto di vista particolare, interno all'orizzonte della totalita (10.15). L'orizzonte che tutto abbraccia si rivela in alcune situazioni-limite, (come quella della morte), le cui cifre alludono alia trascendenza, che pen'> resta preclusa: la trascendenza e una necessita, rna e, per l'uomo, una impossibilita. Di qui lo scacco, in cui aile parole succede il silenzio (1 0.16).
In Germania: Ia filosofia della vita 10.1 II quadro storico-culturale. La frase d'apertura del Manifesto di Marx: - «Uno spettro si aggira in Europa: lo spettro del comunismm> - non e solo una bella immagine, e anche un'immagine vera, nel senso che esprime bene la paura, dapprima vaga, poi, coll'ingrossare delle file del proletariate in Europa, e soprattutto dopo la scossa apocalittica della Comune di Parigi (1871), sempre piu fondata e sempre piu diffusa. Alla minaccia di classe faceva riscontro il venir meno della sicurezza storica in quei ceti sociali che avevano in mano le sorti delle istituzioni pelitiche e dell' espansione economica delle nazioni via via emerse dalle rivoluzioni borghesi, ultima, in ordine di tempo, quella di cui ci occuperemo in questa capitola, la Germania di Bismark. Nella fase di conquista del potere, la borghesia si era fatta forte dell'alleanza con il quarto stato; rna poi, raggiunto piu o meno completamente lo scopo, le sue preferenze erano andate alle vecchie aristocrazie, ancora solide sulla base della loro economia fondiaria. L'ideologia del progresso, che avrebbe dovuto dare un sigillo di indefinita permanenza al suo dominio politico ed economico, veniva a urtarsi con la presenza - sempre piu massiccia e partorita dalla stessa macchina produttiva- del proletariate, trasformatosi da informe massa di manovra in soggetto consapevole della propria forza e del proprio destino storico. La Francia repubblicana aveva superato la crisi della Comune, lasciandosi aile spalle l'impero di Napoleone III e trentamila cadaveri di 'comunardi': umili eroi, scrisse Marx, «chiusi nel cuore dei proletari di tutto il mondo». II secondo Reich tedesco, nato anch'esso a Parigi nella sala degli specchi di Versailles, il 18 gennaio 1871, alla vigilia della Com une, era nelle salde mani di Bismark, rna aveva accanto a se, sempre piu minaccioso, lo 'spettro' evocato dal Manifesto. II Cancelliere tento di conciliare i ceti conservatori, sia agrari che industriali, e le masse operaie con una legislazione contraddittoria, quella 'del bastone e della carota', con il risultato che dal 1881 al 1890 gli iscritti al partito socialdemocratico, e cioe dell'estrema sinistra, passarono da 312.000 a 1.427.000.
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Al livello del conflitto culturale, lo spettro aveva un nome: il materialismo. Eppure, non era stato proprio il materialismo a fomire una base scientifica ·a quella cultura positivistica di cui il progressismo borghese si era servito nella sua fase ascensionale? E, nella seconda meta dell'Ottocento, la metafisica positivistica era sempre piu accreditata dal progresso delle scienze in tutti i call].pi, anche in quello biologico e psicologico. E tuttavia, che il paventato materialismo della 'filosofia della classe operaia' fosse di altra natura, dialettico e non meccanicistico, non era un dato rilevante nella percezione comune. I due materialismi venivano accomunati peril solo fatto che si trovavano d'accordo nel risolvere tutta la realta, fisica e umana, in una visione del mondo basata sul primato della causalita oggettiva, quella, appunto, che viene indagata e tradotta in leggi dalla scienza. L'uno e l'altro ribaltavano la visione del mondo hegeliana, che assumeva e scioglieva nelle articolate forme dello Spirito la totalita dell'esperienza, senza riuscire pero a dare un fondamento razionale al progresso scientifico. Sembrava dunque che non ci fosse via d'uscita tra materialismo, di qualsiasi tipo, e idealismo. Nel nuovo clima, se si voleva salvare, da una parte, l'ideologia del progresso scientifico e tecnico e, dall'altra, l'autonomia della coscienza minacciata dal materialismo, non c'era che da tomare a Kant, naturalmente in forme idonee al nuovo contesto culturale. Riducendo la filosofia a gnoseologia o, piu latamente, all'analisi psicologica dell'esperienza, si era in grado, da una parte, di lasciare al suo corso autonomo il mondo dell'oggettivita, ormai dominate dal progresso scientifico e organizzato dalla intraprendente borghesia industriale, dall'altra, di salvare i valori della spirito o, come si preferiva dire in Germania, i valori della vita. L'agnosticismo di Kant nei confronti della 'cosa in se' diventava agnosticismo di fronte all"oggetto' sociale, sprovvisto di 'valori' e privo di finalismi che non fossero quelli propri del suo ordine meccanico. Oltre che tenere al sicuro, con grande sollievo delle classi dirigenti, l'oggettivita dell'organizzazione produttiva, il criticismo di Kant, anteriore alla 'deviazione' hegeliana, veniva ad assumere anche una funzione radicalmente avversa alle metafisiche in campo, di qualsiasi segno, positivistiche o idealistiche. Si trattava naturalmente di un ritomo a Kant non pedissequo, rna creative, in rispondenza alia novita dei problemi posti dal nuovo quadro sociale e filosofico. Cosi, ad esempio, i neokantiani della scuola di Marburgo, fondata da Hermann Cohen (1842-1918) in opposizione al soggettivismo idealistico, riaffermano, con Kant, l' oggettivita del conoscere, rna danno a questa oggettivita un senso logico-formale. E cioe: il mondo che noi conosciamo non e quello empirico delle' cose, e la sua pensabilita, cioe il sistema di principi e di leggi che ne fanno un tutto in se stesso coerente. L'oggettivita di un concetto non e la sua inerenza alia cosa, rna la sua coerenza col sistema di concetti, e, insomma, una oggettivita di tipo matematico. In tal modo, la linea di sviluppo del neokantismo di Marburgo si tiene lantana sia dalla pretesa positivistica di una oggettivita intesa empiricamente, sia da quella spiritualistica, che cerca la via verso l'oggetto attraverso l'amllisi della coscienza psicologica. Analogamente, la cosiddetta scuola di Baden, fondata da Wilhelm Windelband (1848-1915), ripone l' oggettivita del conoscere non nella rispondenza dei concetti alia realta empirica delle cose, rna nella qualita di 'norme', di valori,
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che essi hanno in rapporto al pensare, al volere e al sentire. I giudizl della filosofia non sono giudizi di fatto, come vorrebbero i positivisti, rna 'giudizi valutativi', che si riferiscono alla coscienza giudicante non per enunciare una necessita, rna una possibilita, non l'essere, rna il poter-essere. Le scienze positive studiano le leggi a cui devono obbedire i fatti, la filosofia, o, come dice Windelband, 'le scienze dello spirito' studiano invece le norme in base alle quali puo nascere l'evento in cui passano all'atto le possibilita della liberta umana. E' gia posta qui, in modo netto, la distinzione tra scienze della natura e scienze dello spirito, anche se Windelband si guarda bene dal trasformarla in una vera e propria scissione. Fedele all'insegnamento di Kant circa l'oggettivita del conoscere scientifico, Windelband si limita ad accentuare il finalismo della ragion pratica, che gia in Kant, e precisamente nella Critica del Giudizio, assumeva una funzione di conciliazione fra il mondo della necessita meccanica e quello sovrasensibile della liberta. Partendo da queste premesse, e possibile, secondo la 'filosofia dei valori', costruire una scienza dello spirito, cosi come era stato possibile costruire una scienza della natura, e dunque senza abdicare alla Iegge della ragione come invece avveniva nella cosiddetta 'filosofia della vita'. 10.2 Dilthey: Ia critica della ragione storica. Il trapasso dalle posizioni dei neokantiani a queUe dei 'filosofi della vita' richiedeva che fosse eliminato il caposaldo del criticismo: quello della identificazione tra conoscenza razionale e conoscenza scientifica della natura, identificazione che porta con se l'impossibilita della costruzione di una visione del mondo di tipo metafisico. Ad atterrare quel caposaldo fu Wilhelm Dllthey*, la cui importanza, nella cultura tedesca equivale a quella che in Italia esercitera, qualche decennio dopo, Benedetto Croce. Anche Dilthey viene dalle file dei neokantiani e si propone di estendere anche al mondo storico la fondazione critica della conoscenza che Kant aveva compiuto a riguardo del mondo fisico. Ma fin dalla sua prima opera, Introduzione alle scienze della spirito, egli prende le distanze da Kant, il cui limite e, a suo giudizio, di aver spiegato l'esperienza e la conoscenza, alla pari di Locke e di Hume, «a partire dal fatto del semplice rappresentare». Nelle vene del soggetto conoscente costruito da Kant «non scorre sangue
Wilhelm Dllthey nasce in Renania nel 1833 da un pastore protestante. E infatti inizia i suoi studi nella facolta di teologia di Heidelberg e poi di Berlino. Ma ben presto i suoi interessi si volgono alla storia della cultura. NeZ 1870 tern·zina Ia sua voluminosa Vita di Schleiermacher. Il suo interesse per la letteratura e per Ia musica rimane sempre vivo, come documenta Ia sua raccolta di saggi su Lessing, Goethe, Nova/is e Holderlin dal titolo Esperienza vissuta e poesia (1 905). L 'opera che lo rivela come filosofo della scoria e L'introduzione alle scienze dello spirito, del 1883. Quasi tutte le altre sue opere verranno pubblicate postume. Muore a Siusi nel 191],
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vera, rna la linfa rarefatta di una ragione come pura attivita di pensiero», mentre l'uomo vera, con cui Dilthey, in quanta storico e in quanta psicologo, ·si e di continuo incontrato, e un'unita indivisibile di forze molteplici, Un «essere VO· lente, senziente e rappresentante, anche nella spiegare la conoscenza e i suoi concetti». Ecco perche il vera mondo dell'uomo non e quello della natura, e quello della storia. La natura e sempre una realta estrinseca al soggetto, regolata da leggi che si ripetono infallibilmente e conoscibile in base al principia di causalita. Di qui il carattere deterministico della scienza naturale. Anche la storia e esterna all'uomo, rna solo perche in essa lo spirito umano si e reso oggettivo, assumendo a strumento dei suoi scapi anche il mondo materiale. In realta, la storia non sta davanti all'uomo, se non perche gli sta dietro, e dell'uomo la vera misura interna, e il flusso inesauribile della sua autonoma esperienza creativa, alla maniera della 'durata' di Bergson. E difatti, la storia puo essere conosciuta, per dir cosi, dal di dentro, mediante le connessioni vitali che sorreggono i fenomeni storici, allo stesso modo con cui i nessi causali danno struttura e necessita ai fenomeni fisici. Come ci sono le scienze della natura, cosi ci sono le scienze della spirito, che hanna per oggetto non la bruta congerie dei fatti empirici, rna l'intero ordine storico-sociale in quanta dotato di comprensibilita. Mentre dinanzi alia ricerca fisica la cosa in se resta un mistero inattingibile, dinanzi all'uomo il mondo storico e comprensibile, perche l'uomo stesso e un essere storico: «colui che indaga la storia e il medesimo che fa la storia». - Dotate ciascuna di un proprio oggetto, le scienze della natura e quelle della spirito dovranno distinguersi anche nel metoda. L' originalita di Dilthey e, appunto, nella fondazione di una epistemologia del mondo storico, a partire dal presupposto che il ·soggetto creatore di storia non e lo Spirito hegeliano, e l'uomo nella sua indivisibile unita fisico-psichica. Creatore della propria storia, l'uomo e in grado di conoscerla, in virtu di alcune categorie che non sono a priori, come quelle kantiane, so no radicate nell' esperienza vissuta e sono, allo stesso tempo, le forme con cui la storia produce l'uomo come suo soggetto e con cui l'uomo, come soggetto storico, produce la storia. La critica della ragione storica e, appunto, l'analisi psicologica che rintraccia le strutture det mondo umano, che fungono da categorie costruttive della realta storica e da categorie che ce ne consentono la conoscenza. La conoscenza avviene con una progressione che comporta tre gradi distinti. 1. II momenta aurorale del fatto storico e del processo che ce lo fa conoscere e il singolo atto di coscienza, l'esperienza interiore vissuta con totale immediatezza, l'Erlebnis (termine tedesco che vuol dire 'esperienza vivente') che emerge dal divenire interiore, I' Erleben, come sua espressione puntuale e determinata. 2. Ogni manifestazione storica, nostra o altrui, passata o presente, e una espressione di Erlebnis, che puo essere conosciuta solo se noi la riviviamo attraverso il nostro Erleben, interiorizzandola, data che le singole manifestazioni storiche si rimandano l'una all'altra, diverse tra lora eppure apparentate dalla medesima matrice. 3. L'Erlebnis e l'espressione hanna il loro naturale compimento nella comprensione, che non va confusa con la 'spiegazione' razionale, il cui vero campo
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e la natura, rna va intesa come una partecipazione vitale dell'uomo all'Erlebnis altrui, mediante un riferimento all' Erleben che sta alla base dell'intero universo storico. La comprensione comporta un elemento irrazionale, come la vita, che e il suo oggetto. Anche le personalita e gli eventi del passato vengono conostiuti solo mediante questa capacita di rivivere, in modo diretto, quanto altri ha vissuto. L'esercizio della comprensione e l'ermeneutica, e cioe l'interpretazione dei fatti di cui si intesse il mondo storico, la quale, in simmetria con l'espressione, mette in opera non solo la facolta razionale, rna la totalita dinamica del soggetto. Essa e, dunque, piu vicina all'arte che alla scienza. Dilthey confessa che sono stati i poeti a insegnargli la comprensione del mondo. Infatti, il mondo storico non puo essere spiegato, come quello della natura, mediante nessi causali. La sua oggettivita e sui generis, in quanto e un sistema di connessioni dinamiche, la cui radice e nell'Erleben, nel flusso interiore che apparenta fra loro tutte le espressioni umane, sia quelle che si oggettivano al di fuori dell'uomo («dalla partizione degli alberi in un parco, dall'ordine delle case in una strada, dallo strumento del lavoratore manuale fino alla sentenza di un tribunale ... )) ), sia queUe che modellano l'uomo come soggetto conoscente, anche lui immerso totalmente nella storicita, senza nessuna possibilita di trascenderla in un punto di vista che stia fuori della storia. Proprio a causa di questa immersione del soggetto dentro lo stesso mondo storico che egli indaga, non e possibile avere una immagine del mondo che abbracci la totalita degli atti compiuti dall'uomo. Non si da dunque una filosofia della storia che, alia maniera di quella hegeliana, chiuda nelle maglie di un'articolazione concettuale l'intera serie dei fatti in cui lo spirito umano si e oggettivato. Anche il filosofo e un prodotto della situazione stori.ca determinata. Si da, semmai, una 'filosofia della filosofia', una comprensione critica della insuperabile situazione di qualsivoglia riflessione filosofica, anche di quella che presume di costruire una visione del mondo, una Weltanschauung. La ragione di questa relativita 'delle visioni del mondo e che esse nascono inevitabilmente all'intemo di un sistema culturale, nel senso sopra definito: un sistema di connessioni che ha in se il proprio centro e che inevitabilmente resta chiuso in un orizzonte particolare, che non puo essere trasceso e che e destinato, prima o poi, a dissolversi. Come l'arte e la religione, anche la filosofia tenta di decifrare il mistero del mondo, obbedendo a una medesima spinta vitale profonda, rna cio che queste tre forme conoscitive raggiungono porta fatalmente i limiti della situazione storica che esse presumono di trascendere. C'e, si, un nucleo extrastorico, ed e appunto la fame di conoscenza che in esse si esprime, rna si tratta di una tensione che non puo mai essere oggettivata in conoscenia e che di continuo risorge sulle ceneri delle visioni del mondo, travolte dal dissolversi delle epoche storiche. Il fatto che alcune visioni del mondo si mostrino resistenti all'usura del tempo e dovuto alia particolare efficacia con cui esse hanno dato espressione a questa o a quella categoria fondamentale della coscienza. Dilthey distingue tre categorie: la causa, il valore, lo scopo. E, in rapporto ad esse, propone una tipologia delle visioni del mondo: 1. il naturalismo materialistico (Democrito, Epicuro, Hobbes, i materialisti dell'illuminismo, Comte), che applica sia alla natura che alla storia il concetto
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di causa, per costruire un ordine necessario dentro il quale, pero, la vita spirituale appare «come una interpolazione nel testo fisico del mondo»; 2. 1' idealismo oggettivo (Eraclito, stoici, Spinoza, Leibniz, Hegel), che attribuisce al mondo un principio interiore che gli da un valore intrinseco e lo illumina dall'interno di un significato che attende di essere compreso dall'uomo: Ia forma piu compiuta dell'idealismo oggettivo e il panteismo; 3. l'idealismo della liberta (Platone, cristianesimo, Kant, Fichte), che esalta l'indipendenza della volonta, e cioe della liberta umana, nei confronti della natura, al di sopra della quale lo spirito umano pone una Persona assoluta, responsabile del divenire del mondo. · Quel che conta, in questa filosofia, e la fondazione di un fine, di uno scopo che dia sensa alia vita. Queste visioni del mondo non sono, dunque, dei purl prodotti del pensiero, anche se il momento del conoscere e in esse un elemento importante. Alla loro base c'e «una intuizione che nasce dall'intimo della vita». Le loro interne contraddizioni sono dovute al fatto che esse ipostatizzano, in modo assoluto, una categoria particolare della coscienza, diventando cosi visioni metafisiche. II tentativo di unificare in una visione di insieme le intuizioni unilaterali attorno a cui si sono svolte le diverse visioni del mondo e destinato a fallire: «Non ci e concesso di contemplare insieme questi lati. La pura luce della verita puo essere da noi vista soltanto in un raggio variamente rifratto.» L'ultima parola della 'filosofia della filosofia' e, dunque, il relativismo strutturale delle concezioni del mondo. Di assoluto non c'e che Ia vita. 10.3 I filosofi della vita. L'influenza di Dilthey fu larga e profonda, specie nei primi decenni del secolo7' in coincidenza col successo incipiente di Nietzsche, e con quello, assai piu largo, della filosofia dell'intuizione di Bergson. Sotto l'apparente stabilita dell'ordine internazionale, governato dalle grandi nazioni capitalistiche, serpeggiava i1 presentimento di un declino, dovuto alia impossibilita di percepire un ·senso razionale nel corso generale della storia. La domanda di una visione del mondo, provocata dalla trasformazione dei modi di vivere e dal conseguente aumento di conflittualita sociale, e resa piu acuta dalla messa in questione della validita della stessa conoscenza scientifica, o si trasformava in un recupero della metafisica (un recupero che per Ia Francia abbiamo gia documentato nel precedente capitolo) o restava frustrata dalle proclamazioni, in vario modo formulate, della 'morte di Dio', e cioe della irreparabile fine del sistema dei valori in cui l'occidente aveva trovato l'immagine di se stesso (4.11). AI problema perenne, su cui si era ~ggirata, fino ad allora, Ia filosofia, se sia Ia coscienza dell'uomo a determinare 1'essere o sia 1'essere a determinare la coscienza, sembrava che non ci fosse ormai altra risposta che quella di una 'terza via': ne Ia coscienza ne l'essere, rna Ia vita e il vero assoluto, una vita che sta tra l'io e l'oggetto e in cui l'io e l'oggetto devono dissolversi per trovare un senso di se. Che sara, anche questo, un senso 'vitale', naturalmente accessibile, cioe, solo a una comprensione in cui il ruolo della ragione non e che uno tra gli altri. Un simile sviluppo delle posizioni di Dilthey si ha in Georg Simmel (18581918), un filosofo e sociologo ebreo (e per questo tenuto ai margini della vita accademica), che, dopo aver vissuto in proprio Ia crisi del positivismo, si avvi-
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cino alla tematica della 'critica della ragione storica', svolgendone fino allimite la tesi vitalistica. Anche la distinzione tra scienze della natura e scienze dello spirito, che in certa misura Dilthey aveva salvato, si attenua in Simmel, che sottopone a critica la dottrina kantiana delle categorie a priori, su cui si basa il carattere trascendentale della conoscenza scientifica. Le categorie a priori sono anch' esse un prod otto dell' esperienza che, nel proprio sviluppo, fomisce a se stessa degli schemi funzionali alla propria esigenza di autocomprendersi, e dunque sono niente piu che categorie euristiche, principi di ricerca. La linea di demarcazione tra conoscenza della natura e conoscenza storica viene cosi a dissolversi, rna con riflessi relativistici anche sul piano della seconda conoscenza: del mondo storico-sociale non si possono dare leggi, se ne puo tentare, al piu, una descrizione e un ordinamento, che trovano senso soltanto negli interessi da cui e animato il ricercatore, e cioe, ancora una volta, neUe esigenze della vita: Nel concetto di vita io mi pongo come nel centro: di qui parte Ia via che va verso l'anima e l'io, da una parte, e, dall'altra parte, verso l'idea, verso il cosmo, verso l'assoluto. ·
Questa centralita della vita (e utile ricordare che Simmel, nel 1907, pubblico un libro su Schopenhauer e Nietzsche) vale naturalmente anche come legge della conoscenza storica, dove non ha senso proporsi l'oggettivita. La comprensione si da in uno spazio psicologico nel quale avviene, quando avviene, la compenetrazione vitale tra lo storico e il fenomeno o il personaggio da lui studiato. Negli ultimi anni della sua vita, Simmel cerco di approfondire il suo 'vitalismo storiografico' (del 1912 e il saggio Sulla filosofia della religione, e dell'anno stesso della sua morte i due saggi, L 'intuizione della vita. Quattro capitoli metafisici e Il conflitto della cultura moderna), in modo da superarne il radicale relativismo. La legge della vita e il continuo trascendimento c;li se, delle forme storiche in cui si irrigidisce. E' cosi che essa genera dei 'mondi ideali', come quello della religione, dell'arte e della storia, ciascuno dei quali possiede leggi che sono valide solo al proprio interno. Esse tendono a conservarsi, inibendo l' esigenza della vita a trascendersi al di fuori dei lora confini. Ecco dov'e la tragedia dell'uomo moderno: nel conflitto, interno al suo io, tra le forme storiche e la vita che cerca un piu alto livello di se stessa. Le varie tendenze irrazionalistiche, che abbiamo via via indicato nell'ambito del pensiero diltheyano e nella 'filosofia della vita', trovano illoro punta di coagula e di espressione anche letterariamente provocatoria in Oswald Spengler (1880-1936), del quale non occorrerebbe occuparsi, tanto irrilevante e il suo livello filosofico, se non fosse stato cosi diretto il suo innesto con la piu paurosa eclissi della civilta occidentale, quella del nazifascismo, e ~e il suo capolavoro, Il tramonto dell'Occidente (1918-1922), non fosse una specie di dimostrazione per assurdo del potenziale eversivo (eversivo sia dell'ordine della ragione che dell'ordine civile) annidato nella 'filosofia della vita'. Per indicare subito la tessitura logica del suo affresco epico-barocco della storia delle civilta, possiamo riferirci a due tesi di Dilthey, che assumono in Spengler una dilatazione esasperata.
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La prima e quella delle strutture storiche, dotate di una loro individualita e centrate su se stesse, alia maniera degli organismi. Mentre in Dilthey questa autocentralita restava relativa, nel senso che ogni epoca storica, per quanta chiusa in un suo proprio orizzonte, conserva una sua connessione con un ritmo storico superiore, quello dell' Erleben, che consente, in qualche modo, a ciascuna di esse di stabilire un rapporto di comprensione con tutte le altre, in Spengler ogni epoca e, come una monade leibniziana, senza finestre sulle altre, dotata di una sua assolutezza interiore, tutta risolta dentro l'arco biologico del nascere, crescere e morire. L'altra tesi diltheyana svolta da Spengler e quella dell'autonomia del conoscere storico nei confronti della conoscenza della natura. Per Spengler, anche Ia conoscenza della natura e radicalmente storica, diversa per ciascun ciclo di civilta. Perfino Ia matematica. Un numero in se non esiste e non puo esistere. Ci sono diversi mondi di numeri, perche ci sono diverse civilta. Abbiamo un tipo di numero indiano, arabo, antico e occidentale; ognuno di essi e qualcosa di fondamentalmente unico, e l' espressione di una storia diversa....
E cosi, il principia di causalita e «Un fenomeno occidentale e piu precisamente barocco»! Con queste premesse, e chiaro che non ha nessun senso, per Spengler, tentare una comprensione della storia con l'uso di categorie razionali. II mezzo per conoscere le forme morte noscere le forme viventi e l'analogia.
e Ia matematica. II mezzo
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La storia umana non e che un insieme di forme viventi, che possono essere comprese in analogia con l'organismo. Le forme viventi sono le culture, ciascuna delle quali ha un'anima e una fisionomia proprie ed e contenuta in un arco (della durata di circa un millennia), che passa dalla nascita alla fioritura e al declino: nel vocabolario spengleriano, Ia cultura in declino e detta zivilisation. Ciascuna cultura (il temine tedesco Kultur meglio si tradurrebbe in italiano con 'civilta') e, nel suo nascere, primitiva, nel senso che si distacca dallo stato psichico primario dell' eterna infanzia umana e cresce nei limiti di un paesaggio esattamente delimitabile, a cui resta legata come una pianta. Quando Ia sua anima si e realizzata in tutte le sue possibilita, sotto Ia forma di popoli, di lingue, di dottrine religiose, di arti, di istituzioni e di scienze, una cultura entra in declino (diviene zivilisation), per tornare finalmente allo stato psichico primario, secondo una norma interna che e il siio 'destino'. Ciascuna di esse e senza rapporti con le altre, salvo che il rapporto di analogia, che e una specie di contemporaneita fuori del tempo: Lutero, ad esempio, e contemporaneo della religione di Dioniso; Galileo dei presocratici; Voltaire di Socrate e cosi via. Spengler distingue otto grandi culture: egizia, babilonese, indiana, cinese, messicana, araba, grecoromana, occidentale. Ciascuna di esse ha una sua anima: l'anima della cultura araba e, ad esempio, 'magica', quella grecoromana e 'apollinea', quella occidentale e 'faustiana'. L'anima apollinea ha ripugnanza dell'illimitato e preferisce cio che e precisamente circoscritto, come la geometria di Euclide o il tempio greco. Quella faustiana (la nostra) ha invece la pas-
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sione per l'illimitato, come le cattedrali gotiche con le guglie verso l'alto, il chiaroscuro della pittura, le fughe musicali, il calcolo" infinitesimale, le armi a lunga gittata, il telefono (Spengler non conosceva ne i missili nucleari, ne la televisione), l'imperialismo economico, e cosi via. Nata attomo al Mille, Ia cultura faustiana e ormai al suo declino e, come in ogni declino, conoscera le grandi personalita cesaree dominanti sulle masse. Quando arrivo Hitler, Spengler non gli riconobbe i tratti della personalita cesarea, che invece, nel suo scritto Anni decisivi (postumo, 193 7), riconobbe in Mussolini, unico vero capo in grado di risollevare la civilta europea agonizzante! 10.4 Weber: il disincantamento del mondo. Nel dibattito sulla possibilita e sui metodo della conoscenza storica, occupa una posizione a se Max Weber•, un sociologo che seppe integrare nella propria specializzazione gli apporti di numerose altre discipline, dall'economia alia teologia, dalla critica storica alia filosofia, dal diritto all'antropologia culturale, reggendo una cosi ricca varieta di prospettive dentro un disegno unitario, ispirato alia fiducia nella ragione fino al limite consentito dalle sue premesse. Anche Weber rigetta la pretesa positivistica di estendere aile scienze storiche Ia categoria della causalita, rna senza per questa condividere I'ermeneutica diltheyana, che i filosofi della vita avevano radicalizzato fino al relativismo vitalistico. n mondo storico e anch'esso retto da leggi, che Ia ragione, se segue il metoda appropriato, puo ricostruire. L'errore di Dilthey e, a fortiori, dei filosofi della vita e di trascurare il fatto che Ia significativita del fenomeno storico preso in esame non e inerente al fenomeno stesso rna al soggetto umano. E' semplicemente illusorio ritenere che l' Erlebnis chiuda in se, nella sua labile sostanza psicologica, Ia fusione tra il Max Weber nasce ad Erfurt, nel 1864, da una famiglia di industriali protestanti. Finiti gli studi a Heidelberg e a Bertino, partecipa alia Iotta politica, dapprima in posizioni di destra e poi nella sinistra rion marxista. Dopa aver insegnato diritto all'universita di Berlino, si volge agli studi economici e storici. E di carattere economico sana le due prime opere, riguardanti rispettivamente la 'societa commerciale' nel Medioevo e l"economia agraria' nell'antica Roma. Dal 1894, occupa, per vent'anni, Ia cattedra di economia politica all'universitil di Heidelberg e po~ nel 1918, accetta di insegnare Ia stessa disciplina a Vienna. Nel 1905 aveva pubblicato Ia sua opera piu famosa, L'Etica protestante e lo spirito del capitalismo. I suoi saggi piu significativi compaiono nella rivista 'Archivio di scienze sociali', da lui fondata ne/1903. Durante Ia guerra, assume, come volontario, la direzione di un ospedale militare, mostrando, per un verso, piena solidarietd con gli ideali nazionalistici tedeschi e, per l'altro, aperte critiche contra la monarchia di Guglielmo IL Dopa la disfatta, collabora alla costruzione della repubblica di Weimar su base di democrazia capitalistica. Muore a Monaco nel 1920. Due anni dopa, viene pubblicata /'opera che raccoglie i risultati del suo indefesso lavoro, Economia e societa. In questi ultimi anni si sana largamente risvegliati gli interessi per la sociologia weberiana.
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soggetto e l'oggetto. La verita e che, dinanzi all'uomo che intende indagare sui mondo. storico-sociale, si a pre una realta di dimensione infinita, che nessuna indagine potrebbe mai esaurire e che, cosa assai pili rilevante, di per se e priva di senso. L'indagine del mondo storico comporta che il soggetto isoli, nello sterminato tessuto che si trova davanti, un oggetto determinato e per lui significativo, restando inteso che il significato emerge dall'interesse che egli ha per l'oggetto scelto, si tratti del capitalismo. dell'economia romana, della chiesa medioevale o di un partito politico. L'uomo e un essere culturale proprio pereM e dotato della capacita di assumere volontariamente posizione dinanzi al mondo e di dargli un significato. Questo inevitabile coinvolgimento del soggetto nella spiegazione del fenomeno storico non impedisce, tuttavia, una validita scientifica della spiegazione, a condizione che si osservino alcune regole fondamentali. 1. La prima regola e quella che Weber chiama dei tipi ideali. Nel quadro sterminato del mondo storico, lo scienziato ritaglia un suo oggetto specifico, sulla base di un modello concettuale costruito astrattamente - poniamo, quello dell'artigianato, o della setta religiosa - che egli applichera a un momento storico, anch'esso determinato, poniamo il m~dioevo, per verificare come il 'tipo ideale' vi si e realizzato, con quali caratteristiche particolari in confronto a quelle che lo stesso tipo ideale ha conosciuto in altri luoghi e in altri tempi. II tipo si dice ideale perche e una costruzione astratta, che permette ai cogliere le relazioni interne al fenomeno studiato, che solo in parte riproducono quelle previste nell'astrazione metodologica. 2. Siccome le attivita umane, di qualunque luogo e di qualunque tempo, implicano dei valori, in quanto sono sempre state svolte per un fine, lo scienziato si trova fatalmente esposto alia tentazione di pronunciare giudizi di valore in base aile sue convinzioni soggettive, morali, religiose, politiche e ideologiche. Lo scienziato dovra tenere distinti i due piani, quello dei fatti e quello dei valori, e attenersi al primo in una neutralita assiologica la pili perfetta possibile. Le scienze S!Jciali sono 'avalutative'. Da questo principio di metodologia scientifica deriva anche una norma pedagogica a cui Weber cere a di attenersi scrupolosamente: il professore non deve mai trasformare la sua cattedra in una tribuna o in un pulpito. 3. La sociologia, dunque, non si pronuncia sui valori; si li_mita a mostrare, con totale neutralita, qual e stato l'intreccio delle connessioni causali che hanno permesso, o hanno impedito, che determinati valori si realizzassero. Quelle connessioni, in ragione della loro molteplicita e della loro relazione reciproca, non potranno mai as§lumere i caratteri di una Iegge in senso stretto. Per determinare quale, tra le molte cause in gioco, ha avuto un peso determinante nel provocare un fatto, Weber propone la categoria della possibilita oggettiva. A esempio, la rivoluzione di Berlino del 1848 scoppio dopo due colpi di arma da fuoco. A un'attenta analisi risultera che la rivoluzione ci sarebbe stata anche se quei colpi non fossero stati sparati: nell'intreccio causale, quei due colpi non furono decisivi, perche la rivoluzione era gia inscritta, come effetto possibile, nell'intreccio delle circostanze storiche. Da quanto si e detto appare chiara la differenza tra la spiegazione marxista dei fatti storici e quella weberiana. II marxismo ritiene di dare una spiegazione scientifica del divenire storico e, al suo interno, di ogni fatto significative, in base a una causa determinante, quella economica, mentre Weber - che, per
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la verita, sembra ignorare la dottrina di Marx sul rapporto non meramente meccanico rna dialettico tra struttura e sovrastruHura, tra causalita materiale e causalita soggettiva - inquadra i fatti in un tessuto causale in cui si intrecciano, con mutevole incidenza, condizionamenti di diversa natura. II confronto tra le due metodologie e lampante nell'opera piu famosa di Weber, L 'etica protestante e lo spirito del capitalismo, del 1905. II capitalismo, come 'tipo ideale', e un sistema economico basato sui calcolo degli effetti dell'azione individuale ispirata al criteria del massimo guadagno e organizzato mediante l'impiego dellavoro libero. Marx aveva da eccepire sulla effettiva liberta del rapporto di lavoro; Weber, che non da giudizi di valore, si limita a constatare la liberta formale dei lavoratori nel sistema capitalistico. Se, in un certo momento della storia, un numero consistente di individui si mostra disposto a entrare in questa forma di organizzazione del lavoro, e perche vi sono mossi da un orientamento etico, anche se, una volta instaurato, il sistema potra funzionare a prescindere da questo orientamento. Ebbene, a quanto z:-isulta da un'analisi comparata, solo in occidente si e dato, in modo consistente, questo orientamento. La ragione e che solo in occidente si sono date, nella vita dell'uomo, motivazioni del tipo di queUe diffuse dalla riforma calvinista. Nel calvinismo, l'individuo e isolato nei confronti della divinita e si trova abbandonato in un· mondo del tutto spoglio dei segni di Dio, con l'unico conforto della appartenenza alia comunita degli eletti. Riguardo alIa salvezza, egli non ha, come le ha il cattolico, garanzie sacramentali, ne garanzie ascetiche di tipo monastico: l'unica sua ascesi e quella inerente alla sua attivita mondana, un'ascesi da vivere senza il sussidio della solidarieta, dato che ogni uomo e solo dinanzi a Dio. Unico segno di predestinazione e il successo, e unica Iegge l'insieme delle regole che favoriscono il successo. Che poi l'impegno produttivo perda, nel succedersi delle generazioni, i caratteri dello stato nascente e si trasformi in arida routine burocratica, questo non e che uno sviluppo della razionalizzazione disincantata del mondo, g·ia avviata dalla riforma calvinista. Nessun dubbio, per Weber, che le caratteristiche della razionalita produttiva dell'occidente e del suo primato su scala planetaria sono dovute primariamente, anche se non esclusivamente, a questa causa non economica. E' il destino dell'epoca nostra, con la sua caratteristica razionalizzazione e intellettualizzazione, e soprattutto col suo disincantamento del mondo, che proprio i valori supremi e sublimi siano divenuti estranei al gran pubblico per rifugiar:.;i nel regno extramondano della vita mistica o nella fratemita dei rapporti immediati e diretti tra i singoli ... Dal punto di vista pratico, questa razionalizzazione intellettualistica per opera della scienza e della tecnica orientata scientificamente (.... ) non significa una progressiva conoscenza generale delle condizioni di vita che ci circondano. Essa significa bensi qualcosa di diverso: la coscienza o la fede che (.... ) ogni cosa in linea di principia puo essere dominata con la ragione. II che significa il disincantamento del mondo. Non occorre piu ricorrere alla magia per dominare o per ingraziarsi gli spiriti, come fa il selvaggio per il quale esistono simili potenze. A cio sopperiscono Ia ragione e i mezzi tecnici.
Ma la razionalizzazione del sistema capitalistico (al quale Weber non sa
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proporre alternative) non e la stessa cosa che la razionalita, dato che i conflitti, sotto il velo della conciliazione formale, sopravvivono. Hegel e Marx, in modi diversi, avevano indicato le vie per portare a coincidenza il reale e il razionale, rna Weber, sprovvisto di un principia univoco di spiegazione e di prospettiva storica, e un 'liberale disperato', guarda il mondo con occhi disincantati, senza poter affrontare il reale con una teoria sufficiente a individuare le radici dei conflitti e a progettarne uno svolgimento risolutivo. La razionalizzazione e un'operazione che non ha, come corrispettivo, una razionalita immanente al reale. II capolavoro della razionalizzazione moderna e la burocrazia, destinata a estendersi e a intensificarsi, rigettando nella sfera privata quel bisogno di valori che produce aggregazioni antagonistiche. A seconda delle posizioni che si assume, per il singolo individuo una cosa e il diavolo, e un'altra cosa il Dio, e il singolo individuo deve decidere che cosa per lui e il Dio e che cosa e il diavolo. E cosi avviene per tutti gli ordini della vita... I molti e antichi dei, rotto l'incanto e quindi in forma di potenze impersonali, si levano dalle loro tombe, aspirano ad acquistare il potere sulla nostra vita e ricominciano fra loro 1'etema lotta.
A differenza di quello antico, il moderno politeismo non ha, per placarsi, le misteriose risposte degli dei e dei demoni: il cristianesimo, che ha generato come sua ultima forma il capitalismo, non lascia dietro di se, man mano che si dissolve, se non un mondo desacralizzato, esorcizzato, appunto senza piu incantesimi. Di qui la ferocia a oltranza del conflitto tra i valori, che e, in un quadro laico, una vera e propria guerra di religione. II conflitto e insuperabile, appunto perche non si da nessuna possibile mediazione risolutiva della ragione. In un mondo siffatto non resta all'uomo che scegliere tra due vie, quella dell'etica dell'intenzione o della convinzione e quella dell'etica della responsabilita. L' etica della convinzione consiste nel mettersi incondizionatamente al servizlo di un fine, senza curarsi dei mezzi necessari per realizzarlo e senza lasciarsi condizionare dalle prospettive dell'insuccesso. Unica Iegge, il valore assunto come ragione di vita. E' il caso del credente, che si propone l'attuazione del Regno di Dio nel tempo, del rivoluzionario radicale, del pacifista. Noi potremmo pensare a Gandhi, per il quale la pace non era solo un fine, era anche il mezzo per raggiungerlo. Chi si lascia regolare, in un mondo razionalizzato come il nostro, dall'etica della convinzione e condannato afi'insuccesso, rna non sara minimamente scosso da questo esito, dato che egli lo imputera, mancando totalmente di coscienza critica, alia stupidita e alia malvagita degli uomini. AI contrario, 1' etica della responsabilita fa obbligo di esaminare criticamente i mezzi adatti al fine, le possibilita del successo e dell'insuccesso, le conseguenze prevedibili dell'azione. In considerazione dell'umana debolezza e della diversita delle opinioni altrui, chi si ispira all'etica della responsabilita sara disposto al compromesso, alia gradualita e anche all'uso di mezzi non del tutto conformi al rigore morale. In caso di insuccesso, se ne assumera il carico ed eventualmente deciden1 di ritirarsi dall'azione. Anche se non afferma l'inconciliabilita tra le due etiche, e cioe, in termini piu tradizionali, l'inconciliabilita tra morale e politica, Weber e condotto dalle sue premesse a considerare non superabile questo dualismo, reso piu radicale dalla spinta della societa a sviluppare progressivamente il proprio assetto bu-
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rocratico, supremo approdo della razionalizzazione moderna. L'unica chance positiva e quella delle personalita carismatiche, capaci di combinare in se la razionalita della responsabilita e l'impeto creativo della fede morale e religiosa. Non e difficile scorgere in questa vagheggiamento il fondo di irrazionalismo che accompagna, in tutto il suo sviluppo, Ia grandiosa riflessione di Weber, maturata, e bene ricordarlo, anche in una diretta compromissione con la sorte politica del suo paese, specie dopo il crollo della monarchia degli Hohenzollern. In quella lantana vigilia del nazismo, cominciata nel tragico dopoguerra tedesco, egli seppe incarnare ed esprimere con parole ispirate il compito drammaticamente sterile della 'semplice onesta intellettuale': Essa ci comanda di constatare che, per coloro i quali aspettano con ansia nuovi profeti e salvatori, Ia situazione e uguale a quella espressa nel bel canto edomitico delle scolte, inserito fra le profezie di lsaia e appartenente al tempo dell'esilio: «Giunge una voce da Seir in Edom: Viene i1 mattino, rna e ancora notte. Se volete fare domande, tornate un'altra volta>>. II popolo a cui questo fu detto, ha domandato e aspettato, per assai piu di due millenni, e noi ne conosciamo il terribile destino. Di qui vogliamo trarre l'insegnamento che, col solo desiderare e attendere, niente e stato fatto, e fare altrimenti: metterci al nostro lavoro e soddisfare all'«esigenza del giorno», dal punto di vista umano come dal punto di vista della nostra professione. La qual cosa e piana e semplice se ognuno trova e segue il demone che tiene i fiJi della sua vita.
In Germania: Ia filosofia dell' essenza 10.5 L~ fenomenologia. II termine 'fenomeno' non e certo nuovo, per noi. Lo abbiamo usato fin da quando ci siamo occupati dei primi passi della filosofia greca, il cui impegno fu di dare del mondo una spiegazione che 'salvasse i fenomeni', e doe che fosse in grado di rendere conto delle apparenze delle case. I fenomeni, in questa caso, sono i dati dell'osservazione empirica, quelli, ad esempio, del movimento degli astri: il sistema cosmologico di Aristotele e di Tolomeo fu pensato per 'salvare i fenomeni'. Nel pensiero moderno, dopo Bacone, il termine fenomeno venne usato per distinguere Ia realta come e in se dalla realta come appare a noi, ed e con questa sottinteso dualistico che acquista una importanza fondamentale nella dottrina kantiana della conoscenza. Da Hegel in poi, il termine, con il suo derivato 'fenomenologia', caduto il sottinteso dell'opposizione tra Ia realta com'e e Ia rea1ta come. appare, esprime la pura e semplice realta cosi come ci si manifesta, divenuta una sola cosa col suo manifestarsi. Per Hegel, la fenomenologia della Spirito e la storia della coscienza nel percorso che la conduce dalle sue forme piu elementari fino alia piena coincidenza con l'Idea, e doe fino alia forma di sapere assoluto (2.2). Per Husser!, il fenomeno e non soltanto cio che ci appare, in tutta la varieta dei suoi contenuti, rna cio che ci appare considerate in se stesso, nella sua essenza, o meglio nella struttura conoscitiva che lo fa essere quello che e. Potremmo pensare a Platone (e difatti la fenomenologia e stata tacciata di platonismo): la conoscenza delle cose e resa possibile dalla preesistenza delle idee, che, nel caso dei fenomenologi, sono strutture e non esistenze, e sono strutture differen-
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ziate, il cui compito e di 'costruire' il mondo delle cose nella sua trama differenziata, e cioe nelle sue 'essenze'. Ci spiegheremo meglio tra poco, trattando del caposcuola dei fenomenologi, Edmund Husserl. Ci basti per ora inquadrare questa nuovo capitola della filosofia contemporanea tedesca, che ebbe il suo momenta aureo nel periodo tra le due guerre e che si intreccia, specie nei suoi sbocchi esistenzialistici, di cui tratteremo in questa stesso capitola, con il contemporaneo pensiero francese, sia subendone !'influenza, specie da parte del primo Bergson, quello del Saggio sui dati immediati della coscienza, sia influenzandolo, specie in queUe forme di esistenzialismo (Marcel e Sartre) che hanno sviluppato il tema, tipicamente husserliano, dei rapporti tra coscienza ed essere. Le radici della fenomenologia sono, comunque, nettamente tedesche, perche si immergono nel fitto dibattito che, nell'ultimo Ottocento, si svolse in Germania sulla questione dei rapporti tra scienze naturali e scienze dello spirito e che ebbe il suo esito piu fecondo nell'analisi diltheyana della conoscenza come Erlebnis. Quanta abbiamo detto a riguardo nei precedenti paragrafi basta a illustrare le inevitabili conseguenze irrazionalistiche di una impostazione meramente psicologlca del problema. Se le leggi del pensiero devono essere tratte dal cuore dell'esperienza, allora ci si dovra limitare a constatarle, rna non si potra riconoscere in esse nessun carattere di necessita normativa. Se ci si limita a dimostrare che un concetto si forma dentro la fusione esperienziale tra soggetto e oggetto, non si sapra piu come dimostrame la validita universale e la connessione necessaria con altri concetti che invece si da, ad esempio, nella matematica. La psicologia e una sabbia mobile, senza punti d'appoggio: il fildsofo che vi si immerge, inutilmente tenta, come il barone di Miinchausen, di tirarsene fuori per i Capelli. La via giusta per uscime e quella gia indicata da Kant e ripresa dai neokantiani. n concetto, per Kant, non e tratto dall' esperienza, la precede, la costruisce. I kantiani della scuola di Marburgo ( 10.1 ), ai quali il primo Husserl e vicino, avevano aggiomato Kant ponendo, come oggetto della coscienza, non il fenomeno spazio-temporale nella sua jminediatezza, rna la sua pensabilita, la sua struttura logico-formale. Se io dico che queste sono cinque pere, l'oggetto della coscienza e il numero, la molteplicita determinata, l'elemento pensabile nel dato 'cinque pere'. Ma se dall'oggetto voglio risalire al soggetto, dove mi fermero? All'io psicologicamente assunto? Gia Kant distingueva un io empirico, e cioe psicologico, e un io trascendentale. Anche la fenomenologia risale alla coscienza trascendentale, che e come il terzo angola del triangolo in cui gli altri due angoli sono, appunto, l'oggetto e la coscienza. empirica. La fenomenologia analizza il triangolo dell' esperienza nella sua interezza, a partire dall'angolo trascendentale, in quanta principia costruttivo del tutto. Per questa via e possibile finalmente, Secondo i fenomenologi, sciogliere il problema dei rapporti tra scienze naturali e scienze dello spirito. La funzione costruttiva propria della coscienza non si limita, infatti, aile 'cose' di natura, investe l'intero perimetro dei dati, anche quelli dell'esperienza interiore, come l'odio, l'amore, il pudore, e cosi via. L'errore di Kant fu di conservare un residua di psicologismo la dove distingueva sensazioni esterne e sensazioni interne sulla base della 'causa' delle sensazioni. L'esteriorita non e un dato che si pone dinanzi al soggetto puro o trascendentale; esso e correlative al soggetto empi-
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rico, e l'uno e l'altro andranno spiegati come momenti o aspetti del soggetto puro. La fenomenologia e, appunto, la scienza non dei dati di fatto o degli accadimenti psicologici, rna delle regale che permettono quegli accadimenti, delle attivita tipiche~della coscienza, come il percepire, il volere, l'immaginare, il giudicare, e cosi via, e degli oggetti tipici che ad esse corrispondono, come l'oggetto percepito, voluto, immaginato, giudicato. Questi 'tipi' sono le essenze, del tutto distinguibili dai contenuti empirici di cui via via si riempiono, cosi come l'idea di triangolo e l'invariante di tutti i vari triangoli che si danno. Le essenze non sono come recipienti da riempire, sono come fari che illuminano dando struttura al mondo, acominciare da quella struttura primordiale che e il nesso soggetto-oggetto. In base a questa sua analisi, la fenomenologia elabora diverse 'province di essenze', delle 'ontologie regionali', materiali o formali. Ad esempio, la regione 'natura' studia l'essenza comune a tutte le essenze che definiscono il modo di apparire che si manifesta nella natura, come la cosa, il vivente, il movimento. La 'regione coscienza' raggruppa le essenze che hanna in comune una attivita cosciente, come il pensare, il sentire, l'immaginare, ecc. I fenotnenologi si distinguono tra lora in base aHa lora specializzazione 'regionale': Nicolai Hartmann (1882-1950), ad esempio, ebbe come sua sfera le strutture dell'essere, Max Scheler le strutture delle 'emozioni' (17.10). La fenomenologia e, insomma, piuttosto un metoda filosofico che una filasofia. Per usare le parole del pili illustre degli alunni di Husser!, Martin Heidegger, col quale la fenomenologia si tramutera, per fedelta a se stessa, in esistenzialismo, «essa non caratterizza la consistenza di fatto dell' oggetto dell'indagine filosofica, bensi il suo come. II termine esprime un motto che potrebbe venir formulato cosi: alle case stesse! E cia in contrapposizione alle costruzioni campate in aria e ai trovamenti causali; in contrapposizione all'accettazione di concetti solo apparentemente giustificati ed ai problemi apparenti che si impongono da una generazione all' altra». 10.6 Husserl: dalla matematica alia logica. II motto usato da Heidegger: 'alle case stesse' (Zuriick zu den Sachen selbst.0 non e suo, e del suo maestro Edmund Hussert•, nel cui intento esso significava il rigetto di ogni divagazione psicologica nella ricerca (che lo accomunava a Dilthey) della struttura della coscienza e quindi delle condizioni prime che consentono la costituzione delle case. Dilthey era uno storico e, come tale, poneva in prima piano, quale ambito di ricognizione della coscienza, l'esperienza vissvta; Husserl era un matematico che, in linea con i dibattiti epistemologici del tempo (13.1-5), metteva in prima piano il momenta in cui la coscienza ha dinanzi, come suo oggetto, non i fenomeni offerti dall'esperienza vitale rna i principi primi del sapere matematico. Anche un numero e un oggetto, un oggetto e il punta, un oggetto e l'equazione A = A. Si tratta di oggetti che non vanno identificati con la lora rappresentazione psicologica, stanno al di la di essa, in un mondo puro, interno alIa coscienza. La quale, a sua volta, non va intesa come l'Io penso kantiano, che conserva anch'esso, nonostante la convinzione dell'autore dell'Analitica trascendentale, un suo spessore psicologico, va intesa come coscienza pura correlata all'oggetto puro. Come Kant, anche Husser! ricerca le condizioni dell'uni-
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versalita del conoscere neUe leggi trascendentali della coscienza, rna si distanzia da lui sia perche queste leggi investono, oltre che il mondo spaziotemporale, l'intero mondo della soggettivita, sia perche esse vanno riposte, oltre la linea delle determinazioni psicologiche tanto del soggetto che dell'oggetto, in una zona extramondana, che non ha vincoli di necessita ne con lo spazio ne col tempo. La critica della conoscenza non consiste piu, come consisteva per Kant, in una analisi delle relazioni tra un mondo esistente in se e una coscienza anch' essa a se stante, rna nella verifica delle connessioni oggettive ideali a cui la coscienza si riferisce, quale che sia il suo contenuto psicologico, la cosa estema o l'emozione intema. Questa oggettivita reale non va 'spiegata', rna semplicemente descritta, perche essa sta dinanzi alla coscienza nella piena luce dell' evidenza: e intuita. La Logica, in Husserl, non e dunque, come in Aristotele, una tecnica dell'argomentare, ne, come in Kant, la formalizzazione teorica delle scienze; e, come il Logos neoplatonico, la struttura di forme ideali che pero non esistono di per se, come entita, rna rinviano verso ricerche di altro genere, quelle, ad esempio, delle categorie su cui si basano i sistemi scientifici e che costituiscono il retroterra della loro obiettivita. Proprio per questo, accanto al lavoro ingegnoso e metodico delle scienze particolari, che si orienta verso soluzioni valide per una padronanza pratica, occorre una riflessione continua di critica della conoscenza, di spettanza esclusiva del filosofo ... Non basta al filosofo che noi riconosciamo il nostro posto nel mondo o possediamo delle leggi come formule che ci permettano di . predire il corso futuro delle cose o di ricostruire il loro corso passato; egli
Edmund Husserl nasce a Prossnitz. in Moravia, nel 1859. Prima a Lipsia e poi a Berlino, segue studi di matematica, in cui si laurea a Vienna con una tesi sui calcolo delle variazioni. Proprio a Vienna scopre la sua vocazione filosofica ascoltando le lezioni di Franz Brentano. Con una tesi Sul concetto di numero ottiene, nel 1887, una cattedra a Halle, dove resta fino al 1901. Nel 1891 pubblica Ia sua prima opera, ~a ·filosofia dell'aritmetica, e nel 1900 Ricerche logiche, in due volumi. Nel 1901 passa all'Universita di Gottinga, dove resta fino al 1916: sono gli anni di nascita e di sviluppo della fenomenologia, il cui testa fondamentale e Idee per una fenomenologia pura, del 1913. NeZ 1916 viene nominata professore all'Universita di Friburgo in Bresgovia, dove insegna fino a quando, nel 1927, lascia Ia cattedra al suo alunno piu valido, Martin Heidegger. Di famiglia ebraica (si era battezzato in una chiesa protestante, nel 1887), e fatto oggetto di ~ersecuzioni a partire dal 1933. Continua, anche fuori dell'attivita accademica, le sue riflessioni fenomenologiche, secondo un orientamento • piu accentuatamente idealistico (ne sono documento le Meditazioni cartesiane del 1931, pubblicate nel 1947), e le sue riflessioni sulla crisi dell'Europa, che esprime in varie conferenze sviluppate in un 'opera che sara pubblicata postuma: La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale. Alia sua morte (1938), fascia 40.000 pagine di manoscritti che nel 1938, per sottrarli ai nazist~ vengono raccolti all'Universita di Lovanio, dove si costituisce l'Archivio Husser!, che provvede a selezionare e pubblicare il meglio dell'immensa mole.
326 D 10 - In Germania: la filosofia dell'essenw tende a chiarire quel che e l'essenza di concetti come cosa, evento, causa ed effetto, spazio-tempo; e di chiarire la meravigliosa affinita di questa essenza con l'essenza del pensiero perche questa possa esser pensata, della conoscenza perche possa essere conosciuta, del significato p~rche possa essere significato ... L' ars inventiva dello specialista e la critica della conoscenza del filosofo sono attivita scientifiche complementari.
Cosi Husserl, neUe Ricerche logiche del 1900, l'opera che conclude il suo itinerario- iniziato nel 1891 con La filosofia dell'aritmetica- che va dalla critica della conoscenza a livello logico-matematico alia costruzione della logica che sta alia base della sua fenomenologia e che si chiama Logica pura. Questa determinazione della logica presuppone il rifiuto critico delle posizioni tradizionali riguardanti 1'origine e la natura delle leggi logic he. In primo luogo, quella del nominalismo empiristico, secondo la quale (ed e il caso di Locke e di Hume) le leggi logiche non sarebbero che generalizzazioni induttive, analoghe a queUe delle scienze fisiche e naturali, generate dall'abitudine. In secondo luogo, la critica di Husserl prende di mira le incongruenze dello psicologismo, Secondo il quale la logica non sarebbe che una branca della psico}ogia. Tesi erronea per due ragioni: perche in tal caso le leggi logiche presupporrebbero l'esistenza dei fenomeni psichici (mentre esse sono leggi ideali a prion) e non potrebbero superare il livello della mera probabilita; in secondo luogo, perche nello psicologismo la funzione della logica si riduce a regolare il modo di pensare e di giudicare, mentre essa e di sua natura relazione con l'oggetto e cioe con un contenuto ideale-universale, coho, alia luce dell'evidenza, nella sua necessita. Ed e in questa costitutiva relazione all'oggetto il fulcro della fenomenologia husserliana. 10.7 Husser I: il metodo fenomenologico. Siamo gia in grado, a questo punto, di avvertire lo spostamento che Husserl ha compiuto del fondamento oggettivo della conoscenza: l'oggettivita galileiana riguarda tutto cio e solo cio che si lascia ridurre a misure matematiche; l'oggettivita kantiana risiede nella sintesi tra le forme a priori dell'intelletto e il contenuto sensibile; l'oggettivita husserliana e invece la proprieta dell'oggetto della coscienza dopo che esso e stato spogliato di ogni involucra empirico. Secondo 1'esperienza psicologica normalmente vissuta, e che il naturalismo delle scienze non rimette in questione, io mi muovo in un mondo di 'cose', distribuite nello spazio e disponibili per me, 'alia mano' (vorhanden), e in una sfera di valori, come il bene, la felicita, l'amore, che anch'essi si prestano alla mia attivita pratica, sono disponibili per me. Ma anch'io, che mi muovo in un mondo di 'cose e di valori, sono una cosa tra le altre, un oggetto tra gli altri, che compie degli atti, come i pensieri e le volizioni. L'io e anch' esso una cosa psicologica, cosi come lo e la coscienza (non la coscienza che vede, rna la coscienza veduta), nella quale quegli atti 'accadono', entrando anch'essi nella serie dei fatti. E' di questo mondo di fatti che si occupa la psicologia, che studia distintamente, in rami diversi, l'atto del conoscere, l'atto del sentire e cosi via. La 'scienza nuova' che Husserl inaugura, la fenomenologia, parte anch'essa da un dato originario, che pero non e il prodotto di costruzioni speculative, in quanto e la soggettivita trascendentale, e la coscienza d~ lo sguardo interiore
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dinanzi a cui la realta e sempre un dato che si pone, in assoluta immediatezza, come fenomeno, cioe come una apparenza in cui non ha sensa distinguere cioe che e in se e cio che si mostra. L'atto prima della coscienza e la 'visione', l'intuizione. Per questa, Husserl si diceva 'positivista', a suo modo: partiva anche lui dai dati di fatto e solo dai dati di fatto, senza nessuna pregiudiziale, di nessun tipo. Solo che, a differenza del metoda psicologico, quello fenomenologico intende dilucidare il dato di fatto per discemervi l'essenza, la struttura immediatamente evidente. E' bene precisare questa momenta decisivo e particolarmente arduo dell'analisi di Husserl. A tale scopo giova confrontare due fasi, distanti nel tempo, della sua teoria dell'essenza: quella esposta nel secondo volume delle Ricerche (1900) e quella, piu completa e approfondita, esposta nelle Idee per una fenomenologia pura (1913). Nella prima fase, il momenta specifico dell'analisi fenomenologica e quella del 'significate'. Io dico una frase: 'questa carta e bianca'; la frase esprime una serie di fatti psicologici (la forma della carta, la sua collocazione nella spazio, il suo colore) che hanna riferimento con qualcosa che si presume esistente nel mondo spazio-temporale e che appartengono al flusso della mia vita psichica, e sono percio mutevoli, sorgono e si eclissano, e molteplici, perche possono essere vissuti anche da altri. Ma nell'esprimere con la frase una serie di percezioni, io ne colgo il significato, che invece e 'invariante' anche nel variare delle circostanze. A farlo presente alia coscienza sono, si, gli atti psichici, rna esso non si identifica con essi, e 'intenzionato', come dire che si offre alia coscienza come suo vero oggetto. Nel caso preso ad esempio, l'oggetto della coscienza e il 'bianco', ed e questa oggetto-significato che mi permette di dare un sensa all'espressione 'questa carta e bianca'. Se manca l'intuizione sensibile della carta, la coscienza ha in se il significate, che pero e vuoto. Perche esso si realizzi, occorre l'intuizione sensibile, appunto quella del foglio di carta, rna l'intuizione sensibile non basterebbe a produrre conoscenza se non fosse 'intenzionata' al significate esistente nella coscienza, alia maniera in cui vi esistono gli esseri ideali (il punta, la linea, ecc.) su cui si fondano i giudizi matematici. I significati costituiscono altrettante 'specie' (bianco, rosso, triangolo, uomo, e cosi via). I significati presenti alia coscienza come suoi oggetti ideali, sono, in rapporto agli individui percepiti nell'intuizione empirica, come le 'specie' dell'antica logica. Nell'opera maggiore di Husser!, Idee per una fenomenologia pura, le specie vengono dette, per lo piu, 'essenze'. E siccome l'essenza e oggetto di una intuizione immediata, di una 'visione', essa viene detta, con termine greco, eidos (plurale eide), da cui l'aggettivo eidetico, anch'esso fn~quentemente usato. L'intuizione eidetica e la visione dell'oggetto cosi com'e, mentre nell'intuizione empirica esso si offre come qualcosa di individuale, contingente, qualcosa che e qui rna che potrebbe essere altrove o avrebbe potuto essere diverso da quello che e. II dato di fatto rimanda, per un verso, al suo eidos, rna, per un altro verso, e cioe quando e inserito in un contesto di circostanze spazio-temporali, ed e fecondo di certe conseguenze, esso da luogo a delle leggi che si dicono appunto naturali, perche la !oro validita e tutta intema ai dati di fatto. Le leggi studiate dalla scienza sono quelle che sono, rna avrebbero potuto essere diver-
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se se i dati di fatto fossero stati diversi. Se esse non sono semplici generalizzazioni dei dati d'esperieriza, e perche mantengono illoro rapporto con I' eidos, si fondano cioe sulla intuizione di una essenza, che dunque e necessaria, anche se non sufficiente, alla fondazione di una legge, quella, ad esempio, secondo la quale i corpi cadono con moto uniformemente accelerato. Ma si danno anche scienze che riguardano la connessione delle essenze tra di loro, a prescindere da ogni intuiz1one sensibile e si dicono, per questa, 'scienze eidetiche', come la logica e la matematica. 11 teorema di Pitagora e il principia di contraddizione appartengono alla sfera delle scienze eidetiche. Ma l'uso del termine scienza non ci deve sviare, portandoci a restringere, sulla base della filosofia tradizionale, l'ambito scientifico, oltre che alla sfera eidetica, al solo settore dei fenomeni di natura. Esistono, secondo Husserl, 'ontologie regionali', che riguardano altri lati del perimetro della coscienza, come ad esempio la religione, la morale, la vita sociale. Anche in queste regioni il metoda fenomenologico e in grado di costruire vere e proprie scienze, basate sulle rispettive modalita tipiche con cui le essenze integrano in se il contenuto dell'esperienza. O:uesta regionalizzazione non frantuma, pero, l'orizzonte della coscienza, che rimane unitario, in quanto le singole regioni rimandano alla 'sfera delle origini assolute', quella in cui l'attivita della coscienza conferisce un senso al tutto. L'unitarieta del mondo, dunque, anche per Husserl, come per Kant, non e dovuta alla unitarieta dell'esistente naturalisticamente inteso, e dovuta all'unita della soggettivita trascendentale. 10.8 HusserI: Ia riduzione eidetica. La coscienza che abita nella sfera delle 'origini assolute' non e quella empirica, di me come individuo, che anch'essa fa parte dei dati di fatto: e la coscienza pura. Dinanzi alla coscienza pura, circondata dal suo recinto di essenze (che sono 'enti', rna non 'esistenti'), sta il mando dell'esistenza, che e poi il mondo del nostro vissuto fisico e psicologico, il mondo che noi chiamiamo natura. Si riapre qui il dualismo di Cartesio tra res cogitans e res extensa, sia pure i·n un contesto epistemologico del tutto nuovo. Non a caso H usserl ha intitolato Meditazioni cartesiane ( 1931) gli scritti in cui affronta, in modo diretto, il tema dei rapporti tra coscienza e mondo. Si tratta di rapporti di esclusione reciproca? 0 di inscindibile unita, che lascia spazio soltanto a una distinzione metodologica? 0 di subordinazione della natura al primato della coscienza, che come principia originario costruisce, da se e per se, il mondo delle cose? Le posizioni di Husserl non sono univoche, si distribuiscono in una progressione che va verso !'ultima ipotesi, quella dell'idealismo trascendentafe. Rassegnandoci a una esposizione schematica del suo pensiero, fermiamo l'attenzione sui procedimento da lui usato per far luce sui rapporti tra coscienza e natura, procedimento che egli chiama 'riduzione eidetica' o anche epoche (la sospensione di giudizio degli antichi scettici) o, figuratamente, 'messa fra parentesi' (Einklammerung). Si tratta di un procedimento che prevede pili tappe. 1. 11 punto di partenza e l'accettazione ingenua del mondo esistente, che non e solo quella del senso comune, secondo il quale le cose sono quelle che sono cosi come si trovano 'alla mano', rna e anche quella delle scienze positive, che trattano la natura come una realta data, come un insieme di cose fisiche e psicologiche attorno alle quali e possibile stabilire delle leggi.
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2. E' proprio questo il mondo da mettere tra parentesi. Con l'epoche, spiega lo stesso Husserl in Idee, noi mettiamo fuori azione la tesi generale propria dell'atteggiamento naturale e mettiamo in parentesi tutto quanto essa comprende: percio l'intero mondo naturale che e costantemente 'qui per noi', 'alla mano', e che continueni a permanere come 'realta' per la coscienza, anche se a noi piace metterlo in parentesi. Facendo questo, come e in mia piena liberta di farlo, io non nego il mondo, quasi fossi un sofista, non revoco in dubbio il suo esserci, quasi fossi uno scettico; rna esercito l'epoche fenomenologica che mi vieta assolutamente ogni giudizio sull'esistente spazio-temporale.
Cadono, cosi, sotto sospensione non solo le cose nella !oro inerte naturalita, rna anche Ia sistemazione che ne danno gli scienziati, il cui tratto caratteristico e di rapp~rtarsi al mondo sulla base di un interesse, e non in mero atteggiamento contemplative, come richiede invece Ia filosofia. 3. L'ultima tappa della riduzione e Ia messa fra parentesi non solo delle scienze naturali, che trattano i dati di fatto, rna delle stesse scienze eidetiche, che, come Ia matematica, riguardano le connessioni tra le es_senze. E' Ia riduzione trascendentale. Messe fra parentesi anche le essenze, che resta? Resta, come ultimo 'residuo fenomenologico', Ia coscienza pura o trascendentale: pura, perche svuotata dell'oggetto suo proprio, le essenze; trascendentale, perche essa non e un in se, rna e strutturalmente intenzionata alle essenze e, al di Ia delle essenze, ai contenuti empirici, all' esistente. Ma cosi non si cade nel nulla? Che senso ha parlare di una coscienza senza contenuti? Non si dimentichi che la riduzione e solo un procedimento epistemologico, che non comporta giudizi sull'essere o sul non essere, mira semplicemente a dilucidare se ci sia e quale sia, nell'articolata bipolarita coscienza-mondo, al di la delle diverse regioni ontologiche, una regione fondamentale, una 'protoregione' (Urregion) da cui tutto tragga senso. Questa regione e, appunto, la coscienza trascendentale, il 'residua' che non puo essere ulteriormente ridotto, e che pertanto e l'assoluto, e, per usare un linguaggio di altra provenienza (6.10), primo logico e primo ontologico. Solo che questo primo logico non puo essere compreso in se e per se, dato che la sua proprieta e di essere correlative all'oggetto. Di qui una condizione antinomica della coscienza trascendentale: da una parte, essa e totalmente extramondana, se per mondo intendiamo l'insieme delle cose chiuse in se stesse, come oggetti trascendenti in rapporto alia coscienza, nel senso che stanno oltre la sua soglia. La coscienza non e mondana, proprio perche e uno sguardo sui mondo, e una contemplazione disinteressata della ::}atura e di tutto cio che e gia compiuto, e gia vissuto, come la materia di Bergson. Ma d'altra parte, in ragione della sua intenzionalita, la coscienza e per il mondo e il mondo e per la coscienza. Il compito della riduzione non e affatto di scavare un solco tra mondo e coscienza, rna di mettere in luce la relativita del mondo e la sua uni1 laterale intenzionalita alla coscienza, una intenzionalita che si attua quando il mondo diventa oggetto della percezione, che avviene all'interno della coscienza. 10.9 Husserl: intenzionalita e costituzione del reale. Abbiamo fatto uso piu volte dei termini 'intenzionale' e 'intenzionalita'. Il concetto che essi esprimono diviene, a questo punto, cosi importante che conviene chiarirlo. Husserl lo ha
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preso da Franz Brentano (1838-1917: un filosofo tedesco considerato un precursore della fenomenologia), che a sua volta lo aveva derivato dalla scolastica medioevale. Tra tutte le esperienze ce ne sono che hanna la proprieta di essere esperienze di un oggetto. Si dicono 'intenzionali', appunto perche comportano consapevolezza, apprezzamento, amore di qualcosa. Esse sono queUe che sono proprio in base a questa lora 'relazione intenzionale' con un oggetto, reale o irreale che sia, ideale o fantastico. La riduzione eidetica ci ha condotto a cogliere, da una parte, la coscienza pura, non come una cosa, rna come un tendere in, come una intenzionalita sorgiva e, dall'altra, a raggiungere un oggetto che, dopa la riduzione, non ha altra esistenza che quella di essere data intenzionalmente alla coscienza. Nella schema fondamentale, l'esperienza e, dunque, la relazione intenzionale tra la coscienza pura e l'oggetto. In virtu di questa relazione, le case spazio-temporali perdono Ia lora trascendenza nei confronti della coscienza ed entrano a far parte delle sue strutture. Tra queste, fondamentale e Ia temporalita, che e la maniera con cui la coscienza e presente a se stessa. Solo che il tempo della coscienza non e quello cosmico o geometrico, messo in sospensione dall' epoch e. Esso si identifica con l'attimo che, trascorrendo nell'attimo successivo, ne viene 'ritenuto', cosi come il successivo che lo ritiene viene a sua volta ritenuto dal seguente, e cosi via, nel flusso interiore della coscienza. Il passato vive, per 'ritenzione', nel presente. Analogamente si dica del 'dopa': esso vive gia nell'attimo presente, per 'protensione'. E cosi, in questa continuita di ritenzioni e di protensioni, la coscienza vive come in un flusso di esperienze vissute. Ma, come si e vista, la coscienza non e totalmente immersa in questa flusso, data che essa e intenzionale al suo oggetto, e cioe aile essenze, che, invece, trascendono il flusso. Lo trascendono, anche se si danno, appaiono, nel flusso stesso. Ed e qui, in questa emergere delle essenze lungo la trama degli attimi nei quali sono compresenti il prima e il dopa, e qui che, interiorizzandosi, il tempo cosmico, quello che. studia lo scienziato, trova il suo vera significato. Il tempo del cosmo viene dunque asstinto in quel tempo della coscienza che si intesse nel processo di trascendimento delle essenze, condizionate, si, dal mota vitale su cui ha presa il tempo cosmico, rna di per se stesse capaci di conferire al mota vitale una prospettiva, una teleologia. Il tempo, cosi, diviene storia. E' dunque negli spazi interiori della coscienza che il mondo, messo tra parentesi con la riduzione, trova il suo sensa. Trova il suo sensa o la sua origine? Trova le sue condizioni di conoscibilita o le sue condizioni costitutive? In termini fenomenologici, ci imbattiamo di nuovo nel problema kantiano dei rapporti trr'i l'Io trascendentale e il mondo, problema che la Critica della ragion pura risolse facendo dell'Io il principia costitutivo della realta. Nell'ultima fase del suo pensiero, e soprattutto nelle Meditazioni cartesiane, Husserl sembra orientarsi verso una soluzione idealistica del problema, e cioe verso una soluzione secondo cui l'io pone il non-io. Un approdo come questa appare inevitabile, qualora si affermi che ogni essere si costituisce dentro la coscienza e per la coscienza, e che, a sua volta, la coscienza pura non e l'io obiettivato che 'e al mondo', rna e la soggettivita trascendentale, nella quale si danno insieme un mondo e un io-nel-mondo. Dobbiamo limitarci a illustrare questa propensione idealistica esponendo quella parte delle Meditazioni cartesiane in cui e presa in esame la costituzione dell"io'.
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In base al principia di intenzionalita, Ia corrente di vita che attraversa la coscienza si polarizza, da una parte, nell'identita di un soggetto, di un 'io', e, dall'altra parte, nella polarita di un oggetto. Questo io coglie se stesso come una attivita (come un cogito, e non come una res cogitans) sempre identica a se, e tuttavia sempre in fase di autocostruzione mediante l'acquisizione di proprieta stabili, di 'abiti' permanenti. Cosi costruendosi, l'io avverte Ia minaccia dell"altro', Ia sua estraneita, e consolida la propria identita chiudendosi in se, dentro la propria sfera, come una monade leibniziana, applicando all'altro il metodo della 'messa tra parentesi'. D'altra parte, spiega Husser!, se l'altro mi fosse accessibile in modo diretto «esso si ridurrebbe ad un momenta del mio essere stesso, e, in .conclusione, io e lui diverremmo una sola cosa». II mio accesso all'altro e possibile solo attraverso il suo co-rpo vivente (in tedesco Leib, distinto da Korper, corpo esteso), e cioe in base a quei comportamenti esteriori che, in analogia con Ia mia personale esperienza ('appaiamento analogico'), rimandano a una sorgente psichica interiore. E' cosi che l'altro mi si 'appresenta'. Quando vedo una casa, in realta vedo una sua faccia, che pero mi rinvia alle altre, le quali in tal modo mi si 'appresentano'. L' appresentazione provoca Ia compresenza. Ed e dalla compresenza che nasce Ia possibilita, per ciascuno, di trascendersi e di dar vita a un mondo intersoggettivo, «un mondo che e per tutti e i cui oggetti sono disponibili a tutti». La costituzione di questo mondo oggettivo «comporta un'armonia di monadi, anzi una costituzione armoniosa di ciascuna monade». Husser! non si limita a trarre da Leibniz la terminologia della sua dottrina dell'io, ne trae anche l'ispirazione universalistica nel prospettare una sempre piu vasta comunita culturale tra gli uomini. Difatti, se e vero che io porto in me strutture che implicano l'esistenza delle altre monadi, lo sviluppo di me stesso non potra darsi che con lo sviluppo della mia armonia con esse, e viceversa. E in tal modo, doe riaffermando l'irriducibilita dell'io individuate e la trascendenza reciproca tra i soggetti, Husser! ritiene di aver evitato il dissolvimento dell'io empirico, dissolvimento che e invece uno dei temi essenziali dell'idealismo. Va detto che questa dottrina dell'io e stata ritenuta dai suoi interpreti piuttosto posticcia, comunque piuttosto tangenziale nei confronti dell'insieme del suo pensiero. 10.10 Husser!: Ia crisi dell'occidente. Nelle Meditazioni cartesiane, Husser! era giunto a mostrare, con un respiro etico leibniziano, come, dal di dentro del mondo oggettivo naturale, di cui anche l'io .cmpiric.;!l fa parte, emerga un mondo culturale storicamente determinate, nel senso che ha le sue radici nella comprensione del passato come fattore decisivo per Ia comprensione del presente, rna che si tiene aperto al futuro nella prospettiva di un compito infinito e universale. Questo tema si dilato in lui negli anni in cui scese sulla sua patria e sull'Europa la notte del nazismo. Radiata, in quanto ebreo, dalle universita, riusci a tenere, nel 1935, a Vienna e a Praga, alcune conferenze che successivamente elaboro in un'opera, uscita anch'essa postuma, nel 1954, dal titolo La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale. 11 declino dell'Europa era sotto i suoi occhi. Per lui, il declino dell'Europa significava il declino della ragione che, divenendo, a partire dall'antica Grecia, ragione filosofica,
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aveva segnato un grado piu alto di umanita: «cosi.come l'uomo, scrive Husserl, compreso il papuaso, rappresenta un nuovo grado dell'animalita, la ragione filosofica rappresenta un nuovo grado dell'umanita e della ragione)). E' la ragione che separa noi europei dalle altre umanita come l'unico popolo che 'sappia l'essere e il vero'. Oggi, dice Husserl, l'Europa e chiamata a decidere di se stessa, a decidere, cioe, tra il riprendere in mano il compito infinito della ragione filosofica e il ridursi ad essere «un semplice tipo antropologico, come la Cina e le Indie)) e, nello stesso tempo, a decidere «se lo spettacolo dell'europeizzazione di tutte le umanita straniere annuncia di per se la validita di un senso assoluto, facente parte del senso del Mondo e non un semplice nonsensa storico)). Per Husserl, non ci sono dubbi, la filosofia e la grande conquista dell'occidente e lo restera, a condizione che !'Europa sappia restituire alia filosofia i suoi orizzonti infiniti, aperti sulla totalita dell'essere e perseguibili solo se la ragione sa mantenersi nella sua multilateralita, evitando di isolare e di assolutizzare una sola linea conoscitiva. Ed e proprio questo che e avvenuto, da quando, a partire da Galileo, l'Europa ha assolutizzato la linea conoscitiva scientifico-naturale, dimenticando che la natura, assunta come oggetto della scienza, «e un prodotto dello spirito che la indaga e presuppone quindi la scienza dello spirito)). Ormai, il metodo delle scienze naturali ha invaso, dice Husserl, il dominio della psicologia, riducendo anche l'io a una cosa tra le cose. «Soltanto se lo spirito recede da un atteggiamento rivolto verso 1' esterno, soltanto se ritorna a se e rimane presso di se, esso puo dare ragione di se stesso>). La fenomenologia ha indicato la vera via, dimostrando che «e possibile costruire una scienza autonoma dello spirito, nella forma di una conseguente autocomprensione e di una comprensione del mondo in quanto operazione dello spirito)). Corre su questa linea di pura possibilita la «teleologia della storia europea che la filosofia e in grado di illuminare)). Per Husserl, il destino dell'occidente e tutto chiuso nel conflitto tra le filosofie. Sembra sfuggirgli, come s~mpre e sfuggito alla stirpe dei filosofi idealisti, il carattere reale di quei conflitti, la loro radice nell'ordine delle cose. Ma soprattutto gli sfugge che, pur restando indiscutibile il carattere universale del patrimonio filosofico europeo, esso non segna affatto, nei confronti degli altri gruppi etnici, un salto di qualita sulla linea evolutiva, rna una modalita dello spirito, che non potra essere se stessa, e quindi si dissolvera negli impulsi della semplice volonta di potenza, se non sara in grado di confrontarsi, sui piede di parita, con tutte le grandi tradizioni spirituali del genere umano. Quello di Husserl resta un grande messaggio, rna il suo tono tragico nasce, piu che dal profondo della coscienza, dalla percezione di un limite storico raggiunto e non piu superabile.
In Germania: Ia filosofia dell'esistenza 10.11 Heidegger: Daile essenze all'esistenza. Quando scelse, come argomento per la tesi di docenza, la dottrina di Duns Scoto (il grande scolastico che aveva affrontato, con acutezza e originalita, la questione dell' essere e quella
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dell'individuo), Martin Heldegger· si era gia messo in linea col proprio destino filosofico, che e stato,- infatti, di riproporre, in un quadro postkantiano e, potremmo dire, posthusserliano, l'eterno problema dei rapporti tra l'essere e l'individuo o, per usare subito il suo linguaggio, tra l'essere e l'esistente. Anche Husserl lo aveva affrontato, col proposito di risolverlo in maniera 'rigorosa', rna, a giudizio di Heidegger, che pure ne accetta il metoda fenomenologico, il suo rigore restava impigliato irrimediabilmente nelle conseguenze della 'riduzione eidetica' (1 0.8), che vanifica ogni possibilita di fondare, da una parte, una dottrina dell'essere, e, dall'altra, una dottrina dell'individuo. La riduzione, infatti, mette fra parentesi non solo tutti i contenuti dell'intuizione sensibile, e dunque anche l'individuo in quanta e cosa tra le case, rna anche la coscienza, intesa come 'io', e le essenze, oggetto trascendentale della coscienza. Che resta? Resta la correlazione (basata sulla reciproca 'intenzionalita') tra la coscienza che e per l'oggetto e l'oggetto the e per la coscienza. Non vi e posto, evidentemente, per l'assoluto, per il Sein, per l'essere. Husserl parla, si, in un prima momenta, di assolutezza delle essenze, oggetti della intuizione eidetica, e, in un Martin Heidegger nasce a Messkirch nel 1889, da famiglia cattolica (tenta anche la vita consacrata, entrando nel noviziato dei gesuiti), e frequenta la facolta di teologia dell'universita di Friburgo (1 909). Dal 1911 si dedica totalmente agli studi filosofici e consegue, nel 1915, la Iibera docenza nella stessa universitd, con una tesi sulla dottrina del significato di Duns Scoto. L 'anna dopa, giunge a Friburgo Edmund Husser[ ed egli ne diviene assistente. Dal 1923 attende alia sua opera piu importante, Essere e tempo (Sein und Zeit), che appare nel 1927, dedicata a HusserL L 'opera, che lo rende celebre, segna un netto distacco dal maestro, che a sua volta rende pubblico il suo dissenso. NeZ 1928 succede a Husser! nella cattedra di Friburgo. Fin dalla lezione if?augurale (1 929) affronta il problema della metafisica, cui sono dedicate· le opere di questi anni: Kant e il problema della metafisica; Dell'essenza del fondamento (1929) e Dell'essenza della verita (1930). Nominata rettore dell'universita nel 1933, pronuncia un discorso su Autoaffermazione dell'Universita tedesca, che, a giudizio di molti, e una presa di posizione a favore del nazismo. Si dimette da rettore e in seguito, mal sopportato dal regime, che vede in lui un nichilista, si ritira nel silenzio: fino al 1942 non pubblichera piu nulla. NeZ 1936 inizia un corso di seminari su Nietzsche che danno del filosofo di Zaratustra una interpretazione niente affatto in linea con quella in auge nella Germania hitleriana. Nella stesso anna tiene a Roma una conferenza su Holderlin e l'essenza della poesia. NeZ 1942 esce La dottrina platonica della verita. Dal 1944 sospende, per disposizione delle potenze occupanti, le attivita accademiche e si dedica a sviluppare e a pubblicare alcuni scritti degli anni '30, gli anni della 'svolta: Del1947 e la sua Lettera sull'umanesimo e del 1950 i Sentieri interrotti. La fine del divieto, nel 1951, coincide con il suo pensionamento. Continua l'insegnamento in forma privata, trattando soprattutto temi di storiografia filosofica e quello del linguaggio. Muore nel 1976, a Messkirch.
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secondo momento, di assolutezza della coscienza, quale 'residuo' ultimo della riduzione fenomenologica. Ma il suo errore e nel porre le essenze · e la coscienza che le contempla in una sfera intemporale, scindendo cosi, in deroga al rigore della fenomenologia, coscienza e temporalita. E se si mette fra parentesi il tempo, si mette fra parentesi il tutto, si ha il puro nulla, dato che il tempo e il modo di manifestarsi dell'essere. E difatti, la prima, immediata manifestazione dell'essere e data proprio nell'essere-qui-e-ora (hie el nunc), nell'essere determinato nello spazio e nel tempo, nell' esserci. Nel 'ci' dell' esserci heideggeriano (nel da del Da-sein) c'e l'originario rapportarsi dell'uomo all'essere e dell'essere all'uomo: e nel suo seno il vero fondamento dell'ontologia. L'esposizione di un pensiero arduo come quello di Heidegger ci pone l'obbligo di render conto del significato dei termini, da lui stesso forgiati, di cui si intesse il suo discorso. Che cosa intende Heidegger per Essere ( Sein) diremo via via. Ma intanto diciamo che l'Essere non e l'Ente supremo, perche I' ente, si tratti di Dio o si tratti di una pietra, e (ist) rna non esiste, nel senso che esso e cio di cui si parla come di una cosa tra cose, di un ente tra gli enti, ciascuno al proprio posto nella gerarchia dell'universo. Anche l'uomo puo essere considerato come ente, se e visto nelle sue particolarita, nel suo stare tra le cose. Cio che riguarda l'ente si dice ontico. Ma l'uomo, oltre che ente, e anche esistente, perche, a partire dalla sua animalita che in-siste nel mondo delle cose, egli emerge (ex-sistit) e si interroga sui senso dell'essere, e si interroga non gia ponendosi come soggetto ne come oggetto, rna trascendendo il nesso soggettooggetto, standone fuori. La dimensione ontologica (diversa da quella ontica) si apre qui, al livello dell'interrogazione sui senso dell'esserci. Alia coppia onticoontologico corrisponde (rna con qualche sfasatura!) la coppia esistentivoesistenziale: esistentivo e ogni problema che si pone all'interno dell'esistenza stessa, da quelli del nostro vivere quotidiano a quelli anche piu elevati (e il caso di Kierkegaard: egli «ha penetrato il problema dell' esistenza come problema esistentivo))) rna che restano interni alia comprensione che l'uomo ha di se stesso, in quanto singolo; esi.stenziale e invece ogni problema che verte ·sui fondamenti dell'esistenza. Una certa ambiguita del glossario heideggeriano non e dovuta solo alia eventuale imperizia dell'interprete, e inscritta nei testi stessi del filosofo. Bisogna ten erne con to, nel seguire l'analisi dell' esistenza da lui proposta. L'uomo, si diceva, non e soltanto un ente tra gli enti, e un ente che si interroga sul senso dell'essere e si interroga coinvolgendo nella domanda la sua stessa situazione. La domanda metafisica deve sempre porsi come situazione essenziale dell' esserci a cui si rivolge. E' in noi che si pone Ia domanda, qui e ora, per noi.
Interrogarsi sull'essere e sempre, per l'uomo, interrogarsi su se stesso: la ricerca coinvolge il ricercante. L' essenza dell' essere e la stessa essenza dell' esserci. E siccome il modo d' essere dell' esistente e il tempo, la temporalita e I'orizzonte stesso della comprensione dell'essere. L'errore della filosofia tradizionale e nell'aver posto il problema dell'essere senza tener conto di questo condizionamento, scartando anzi, in partenza, la temporalita come inconciliabile con l'essere. Cosi facendo, essa non e mai approdata all'essere, rna a un Ente supremo, che e pur sempre, come si diceva, un ente fra gli enti, un oggetto fra
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gli oggetti. La struttura dell'esistenza, messa in luce, con queste premesse, dall'analitica esistenziale, si articola in tre distinti momenti: 1. del trovarsi 'gettato'; 2. «dell'interessamento per le cose)); 3. «del progettarsi sulle proprie possibilita>>. E questa struttura «forma un tutto unitario in quanta e temporalizzazione; il progetto (3) si fonda sull'avvenire; l'effettivita dell'esser gettato (1), sui passato; l'interessamento per questa o quella cosa (2), sul presente)), Soffermiamoci sui tre momenti. l. Il sentirsi 'gettato' nel mondo, senza averlo chiesto, senza sapere 'da dove' e 'verso dove', in una situazione gia data, gia fatta ('fatticita', 'effettivita'): ecco un"esistenziale' che taglia fuori Ia vecchia problematica se il mondo ci sia davvero e se il soggetto sia in grado di conoscerlo, e rende privo di senso il dare inizio alla filosofia a partire dall'ipotesi che l'uomo sia un soggetto puro con dinanzi a se un oggetto. Prima ancora di porsi il problema della conoscenza, I'esserci e storicamente situato, immesso nel gorgo della vita, in una data maniera e non in un'altra, e dunque in una 'tonalita affettiva' tutta sua, che gli impedira per sempre di conoscere la verita in maniera disinteressata. 2. Il mondo in cui I' esse rei si trova gettato e un mondo di cose, e siccome l'esserci prende cura di se, prende cura anche delle cose di cui ha bisogno per essere se stesso. A loro volta, le cose sono pili o meno 'alia mano', in rapporto all'uomo: la loro vera natura e di essere da lui utilizzate. Da una parte, in quanta gettato tra le cose, e cioe nella sua 'effettivita', l'uomo sente inclinazione o ripugnanza per esse, a seconda di come rispondono al suo bisogno; dall'altra, nella premura che ha per se stesso, egli ha a cuore le cose e le valuta a seconda della !oro maggiore o minore vicinanza al proprio bisogno di usarle. La spazialita non e una forma astratta o trascendentale inerente al soggetto, e la struttura oggettiva delle cose che si diversificano in base alia loro utilizzabilita. 3. Pur trovandosi in un mondo di cose ( Umwelt), l'uomo si distingue dagli altri enti perche puo progettare un mondo e trovare in questa progetto la propria identita. Se la situazione in cui si trova gettato condiziona il suo progetto, il suo progetto trascende pen'r la sua situazione: I'esserci e trascendenza, e possibilita di essere. Per questa gli stanno a cuore le cose: perche gli servono al suo progetto. Il mondo lo pre-occupa, nel senso che lo occupa prima che egli possa decidere di occuparsene o meno. Egli se ne preoccupa, ne ha cura ( Sorge), perche ne ha bisogno per il suo progetto. E' proprio in questa momenta (mai separabile, pero, dagli altri due) che l'uomo si rivela come ec-sistentia, e in questo momenta il tempo si rivela per que! che e: unita dinamica tra passato presente e futuro; un passato che si infutura nel presente; una situazione data che, nel pre~ente delle cose, si a pre al futuro del progetto. 10.12 Heidegger: I'esistenza tra inautenticita e autenticita. Esistere e dunque progettarsi nel futuro, rna sulla base della situazione data, e possibilita di essere, rna ancorata aile condizioni che, nel ]oro insieme, costituiscono il 'proprio' di ogni singolo uomo. Questa apertura dell'essere puo avere due esiti: quello della fuga dall'inquietudine connessa sempre all'apertura dell'essere, che porta alia dispersione nell'improprio, nell'inautentico; o quello della fedelta alla possibilita di essere in cio che essa ha di proprio, fedelta che si sconta in 'decisioni' (de-cidere vuol dire separarsi), che gettano il mondo delle cose e degli
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336 D 10- In Germania: la filosofia dell'esistenza altri nell'irrilevanza. Vediamo come. Essere nel mondo e di per se essere-con-gli-altri. Da qui la possihilita di esistere rifugiandosi in quella forma di esistenza, anonima e impersonale, di tutti e di nessuno, che nel linguaggio si riflette nel 'si dice' 'si fa' (il si impersonale, che equivale al tedesco man e al francese on) e che ha il suo tratto caratteristico nel culto della banalita quotidiana, nella propensione al livellamento. Questa soggezione alia 'dittatura' dell'esistenza anonima non avviene a caso: essa ci scarica del peso della decisione responsabile. L'esistenza inautentica ha, come suo linguaggio, la 'chiacchiera', che prende il posto della vera realta del discorrere; come suo movente, la 'curiosita' versatile, con le sue distrazioni e le sue vane agitazioni; come suo sbocco, l"equivoco': non si e piu in grado di distinguere cio che si sa da cio che si ignora. L'esistenza anonima (che non e un 'peccato', e una possibilita inscritta nella struttura dell'esistenza) si sconta nella deiezione, nella caduta al livello stesso delle cose. Dal pro-getto, luogo della sua autenticita, l'uomo si trova restituito alia sua condizione di 'gettato' nel mondo; dal futuro, che e apertura alle possibilita di essere, precipita nella fattua-lita del suo passato, a cio che e stato e che resta chiuso alla trascendenza. Lo stato di deiezione si rivela nella tonalita affettiva della paura: «la paura non e che l'angoscia decaduta al livello del mondo)). Caduto al livello delle cose, l'uomo ha paura delle cose, trasferisce in esse la pericolosita del progetto a cui si e sottratto. Perfino il lavoro e espressione della paura, non dunque una gioiosa espansione di se nel mondo, rna una degradazione della tragicita dell'esistenza nella mondanizzazione dell'economicita. Di qui la sua pena. Questa paura delle cose, che sostituisce la 'cura' che delle cose ha l'uomo in quanta progetto, si esprime anche nel sapere scientifico, nel quale la qualita della cosa come strumento utilizzabile viene elevata alla dignita di concetto, di verita contemplabile, dietro cui si maschera I'economicita dei rapporti con le cose instaurati nella stato di deiezione. Perfino le leggi morali, con le teorie · che mirano a dar loro un fondamento, traducono e camuffano lo stato di regressione dell' esistenza alla condizione anonima della deiezione. A questa livello, non ci sono scelte buone o scelte cattive, dato che, in realta, si tratta in ogni caso di non-scelta. Fuori dell'asse della autenticita, ogni scelta non fa che rinsaldare l'uomo al suo stato ontico, di ente tra gli enti, di cosa tra le cose. La tonalita affettiva di questa condizione senza scampo, nella quale l'uomo e posseduto dalle case, e la noia, una specie di nebbia opaca che avvolge le cose in uno stato di inerte indifferenza. Ma l'uomo e pur sempre, strutturalmente, esistenza, possibilita di star fuori (ek-stasis) della totalita inerte del mondo. Questa sua natura si rivela quando l'appello profondo della coscienza lo richiama a se, alle possibilita che il suo essere originario gli offre. Ma quali possibilita, vista che tutte finiscono col ricadere nell'orizzonte del mondo e capovolgersi nella deiezione? C'e una sola possibilita che sottrae I'uomo all'onnipotenza del mondo e lo restituisce alia sua autenticita: la possibilita della morte: «possibilita assolutamente propria, incondizionata e insorpassabile dell'uomo)). Certo, anche la morte rientra nella 'chiacchiera' dell'esistenza inautentica.
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«II si ha gia pronta u?a sua interpretazione anche per questa even to». La morte viene concepita come qualcosa di indeterminato, che senz'altro, un giorno o l'altro finini per accadere, rna che, per intanto, non e ancora presente e quindi non ci minaccia. II 'si muore' introduce Ia convinzione che Ia morte riguardi l'anonimo st.
L'esistenza che risponde all'appello della coscienza profonda non guarda la morte con questi occhi impersonali, la include nel vivere, la riconosce come significato della vita. Essa non e piu, allora, la fine che verra e che va aspettata, e la fine che si integra col vivere nel tempo e gli da il proprio segno di verita. Ecco, dunque, a che si riduce l'autentica liberta dell'uomo: alia decisione di appropriarsi della propria destinazione alla morte come dell'unica possibilita che da sensa all'esistenza. E' la decisione anticipatrice, che svela all'esistente Ia sua dispersione nel si e, togliendogli l'appoggio originario' (dell'aver cura delle cose e degli altri), gli offre la possibilita di essere se stesso in quanto liberta per la morte, sciolta da tutte le illusioni del vivere mondano.
La decisione anticipatrice, liberando l'uomo dalla dispersione mondana, lo stabilisce nella comprensione dell'impossibilita dell'esistenza in quanta tale. Certo, quella decisione lascia aperte tutte le altre possibilita del vivere quotidiano, rna le circoscrive nel loro limite, le rende vere, e cioe le 'de-finisce', inserendole, spoglie di ogni alone illusorio, nel progetto contenuto nella possibilita della morte. E siccome a ogni comprensione corrisponde una tonalita affettiva (come sopra si e vista, alla deiezione corrisponde la paura), la decisione anticipatrice genera I' angoscia: il sentimento che investe l'uomo quando si trova in tragica solitudine dinanzi al mondo in cui e gettato, un mondo nel quale non e di casa. A ispirare l'angoscia non e questa o quell'ente minaccioso (si avrebbe allora la paura), e la rivelazione della nullita del mondo, che isola l'esserci, lo singolarizza, lo mette nella sua nudita di fronte al nulla, impedendogli la fuga impaurita nelle cose del mondo. L'angoscia insedia l'uomo nel nulla e ve lo tiene fermo, con la capacita di nullificare tutte le altre possibilita, non gia nel suicidio o nella negazione pratica dell'esistere nel mondo, rna nella lucida verifica che le altre possibilita protese alla realizzazione, proprio per questa, perche tendono a realizzarsi, non sono possibilita, si aggirano irrimediabilmente nel passato, nella deiezione senza scampo. Anche in Kierkegaard (4.12) l'angoscia pone l'uomo dinanzi al proprio destino, che non e 'realta' rna possibilita, la quale e il 'nulla' di tutte le possibilita finite. Ma questa situazione e, in Kie.-kegaard, il preludio del salta paradossale nella fede. Nell'analisi dell'esistenza di Heidegger, invece, essa rimane !'ultima parol a. 10.13 II secondo Heidegger: storia e tramonto della metafisica. Il 1929, l'anno della prolusione Che cosa e la metafisica?, segna, nella svolgimento del pensiero di Heidegger, una svolta, che meglio si direbbe un ritomo aile radici dell'intuizione da cui era nato Essere e tempo. Non a caso quest'opera era rimasta incompiuta. Dopo la parte dedicata all'analisi dell'esistenza, doveva seguime una dedicata alla questione ontologica in se considerata. In quanta abbiamo
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esposto fin ora, l'Essere rimane lo sfon do costante dell' esistente, il contenuto vero della domanda che dell'esistente e il fondamento inquietailte: che cosa e l'Essere? Quale e il senso dell'Essere? Si e vis to come, di fatto, l'orizzonte ultimo dell'esistenza autentica sia il nulla. L'esistente si aggira in mezzo agli enti, li trascende nel suo progetto d'essere, rna l'Essere rimane al di la di tutti gli enti, nascosto. L' esistenzialismo, specialmente quello di Sartre (9.16), attingendo alia lezione heideggeriana, concentrava, in modo esclusivo, la sua analisi sull'esi~stente, con la pretesa di fondare cosi un nuovo umanesimo. Heidegger - lo spieghera lui stesso nella sua Lettera sull'umanesimo- non si riconoscera in quella riduzione del suo discorso alia pura finitezza dell'esistente. Nella formula 'l' esistenza precede l'essenza' (9.15), Sartre, a suo giudizio, restava un metafisico, dato che si limitava semplicemente a capovolgere il rapporto platonico tra essenza ed esistenza, mantenendo il senso classico della nozione di essenza, e quindi facendosi complice, anche lui, di quel vizio profondo della metafisica di ogni tempo, che consiste, per Heidegger, nell"oblio dell'essere'. L'oblio dell'essere - ecco quanto Heidegger andra approfondendo dopo la 'svolta' - si ha quando si pone il problema della verita come se riguardasse il rapporto tra un soggetto conoscente e un oggetto conosciuto. Quel che invece appariva chiaramente nel suo Essere e tempo e proprio l'irriducibilita dell'Essere a oggetto. Oggetto e I'ente. L'Essere puo prospettarsi, al piu, come una presenza, mai come ente presente. Parmenide aveva distinto l' ente e l' essere (I' on e l' einat), rna poi la metafisica parti dal presupposto che l'ente (supremo) e l'Essere fossero la stessa cosa. E cosi l'Essere cadde in oblio. E in oblio e restato. Mentre i presocratici, fino a Parmenide, avevano affidato la conoscenza dell' essere al suo disvelamento (Ia parola greca a-letheia, verita, vuol dire, appunto, 'disvelamento'), Platone introdusse il concetto di verita come conoscenza esatta delle essenze (le idee) contrapposte al mondo sensibile. E cosi dette inizio, nella filosofia, al primato del contemplare I' eidos, identificato, nella sua forma suprema, con l'Essere. II destino dell' occidente e tutto sotto il segno di questo slittamento platonico dalla verita come automanifestazione dell'Essere alia verita come 'teoria', e finalmente, attraverso Cartesio e Hegel, come certezza basata sulla adeguazione del razionale al reale. E' caduta in oblio la differenza ineliminabile tra l'Essere e gli enti. L'uomo si e dimenticato che il suo compito non e quello di padrone dell'Essere rna di 'pastore dell'Essere', di custode. Certo, la metafisica tradizionale, nel costruirsi come veduta di insieme sugli enti che formano il mondo, ha usufruito, in qualche misura, della luce dell'Essere, rna, proprio perche non e stata direttamente riconosciuta e fatta argomento di riflessione, la luce si e ritirata nel suo nascondimento. La natura della metafisica come rimozione dell'Essere (camuffata sotto le apparenze della ricerca ontologica) e venuta alla luce solo ora, perche solo ora la metafisica e giunta al suo compimento. II pensatore in cui questa conclusione dell'epoca metafisica ha raggiunto Ia piu Iucida consapevolezza e Nietzsche, il filosofo della 'morte di Dio' (4.1 7), al quale Heidegger dedi co i suoi seminari dal 1936 al 1940 e un grosso saggio in due volumi nel 1961. E' stato Nietzsche a svelare che a sospingere la ragione sulle vie della metafisica e stata l'illusione ottimistica del progresso. Ma nemmeno Nietzsche si e sottratto all'ultimo inganno della deviazione metafisica: nel proporre il rovesciamento di tutti i valo-
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ri, egli ha affermato, in nome della volont~ di potenza, dei valori nuovi, (ecco l'ultima maschera della metafisica), quelli del superuomo (4.19). ·La verita di Nietzsche si chiude Ia dove egli denuncia, nella sua teoria del nichilismo (4.18), Ia menzogna della metafisica che riduce Ia verita a valore con cui dissimulare il risentimento contro Ia volonta di vivere~ L'ultima fase dell'oblio dell'Essere, sulla linea della volonta di potenza, e l'attuale civilta tecnologica, che, in continuita con la pretesa della metafisica di dare al mondo una 'organizzazione totale', rna annullando quel residuo di interesse per l'Essere da cui la metafisica prendeva le mosse, considera gli enti non piu come relativi all'Essere, rna come utilizzabili dall'uomo in quanto produttore e consumatore. L'uomo tecnologico, postosi dinanzi alia realta in atteggiamento di dominio, riduce gli enti a oggetti fungibili in vista di un suo progetto totalitario. L'oblio dell'Essere e totale. Ma, proprio per questo, ora e possibile interrogarsi di nuovo sull'Essere, tenendosi in guardia, pero, perfino dall'uso delle parole fissate dalla tradizione metafisica, compresa la parola 'essere'. E' necessaria un nuovo linguaggio, capace di ristabilire Ia 'differenza ontologica' che separa tra loro l'Essere e gli enti e che la lunga epoca metafisica aveva abolito. Ouella del nuovo linguaggio non e una questione di tecnica espressiva: essa implica il capovolgimento della prospettiva umanistica - secondo la quale la verita e la corrispondenza tra la rappresentazione del soggetto e l'oggetto rappresentato - in una prospettiva ontologica, secondo la quale il pensiero originario non e dell'uomo, rna dell'Essere, che pensa e non puo pensare che l'Essere stesso. La verita e il disvelarsi dell'Essere: il compito dell'uomo e 'ascoltare l'Essere'. E il pensiero, sia in quanto pensiero dell'Essere, sia in quanto pensiero dell'uomo che lo ascolta, e il linguaggio: «illinguaggio e la casa dell'Essere e l'uomo abita in questa casa». E' dunque il linguaggio il luogo in cui l'Essere e l'uomo si affrontano. Si intenda bene: il linguaggio non e la mediazione tra. l'Essere e l'uomo, secondo le concezioni della lingua basate sulla distinzione metafisica tra il sensibile e il significato intellegibile, e piuttosto un evento in cui si esprime la corrispondenza tra l'Essere che si disvela e Tuomo che ascolta. E' attorno a questo evento che, abbandonato del tutto il lessico tradizionale, !'ultimo Heidegger compie i suoi sondaggi in vista di una nuova filosofia, che si sostituisca a quella, ormai moribonda, della metafisica. Da qui, tra l'altro, la complicata struttura linguistica del discorso heideggeriano, che, mediante ricostruzioni etimologiche non di rado piu fantasiose che scientifiche, mediante una fitta rete di corrispondenze tra parola e parola_-e, non _di rado, mediante l'isolamento di una parola sullo sfondo di un arcano senso aurorale, tenta di 'liberare la grammatica dalla logica' e di carpirvi il linguaggio stesso dell'Essere, che l'uomo ha ascoltato emergendo nel suo orizzonte ontologico, prima di rituffarsi nella propria chiusura ontica per dipanare, a partire dall'intuizione luminosa dell'ascolto, il suo discorso banalmente razionale. Un sintomo evidente di queste origini 'sacre' del linguaggio e la funzione-chiave che ha, in tutte le lingue, la parola 'essere', con tutti i suoi derivati. Di qui l'importanza che Heidegger attribuisce, ai fini di un confronto con l'aletheia per altre vie che quelle della filosofia, all'arte in genere e in particolare alia poesia. Illinguaggio del poeta non e un sistema di segni decaduto a pu-
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ro strumento di comunicazione, e una instaurazione dell'ente come se per la prima volta esso venisse alla luce, emergendo dall'orizzonte dell'Essere. ll dialogo con i poeti (si tratti di Holderlin, di Rilke o di Sthephan George) ha in Heidegger lo stesso ruolo del dialogo con i presocratici, e cioe con i pensatori che preservavano, con sommo rispetto, la distanza ontologica tra l'Essere e l'ente. La filosofia postmetafisica si riduce, dunque, a 'ermeneutica' del linguaggio po,~tico. ll termine ermeneutica (interpretazione), in uso nelle discipline teologiche, era gia stato ripreso da Schleiermacher prima e poi da Dilthey (10.2). Nel significato che le da Heidegger, I'ermeneutica non e riflessione sul rapporto linguaggio-realta, rna riflessione sui linguaggio poetico in quanta esso e, come si diceva, il luogo dove 'accade' l'Essere, dove si fa visibile e udibile la nascita dell'ente o, che e lo stesso, il suo aprirsi sull'orizzonte dell'Essere. Ma I' ermeneutica, in un tempo vuoto d' essere come il nostro, nel quale «metalinguistica e Sputnik, metalinguistica e tecnica missilistica sono la stessa cosa», non e che una anticipazione avara di quello che domani potrebbe avvenire. Come dice il titolo di una raccolta di saggi heideggeriani, noi siamo «in cammino verso il linguaggio». Verso una filosofia che rassomigliera piu a quella di Eraclito che a quella di Platone o di Hegel. 10.14 Jaspers: lo scacco della scienza. Tra gli autori che Heidegger cita nel suo Essere e tempo, c'e anche Karl Jaspers•, che con la Psicologia delle visioni del mondo aveva dato l'avvio all'esistenzialismo tedesco, provenendo dalla psichiatria e non dalla fenomenologia come l'altro 'padre fondatore'. Alla pari di Heidegger, e per le stesse ragioni, Jaspers rifiutava la qualifica di esistenzialista: a differenza dei francesi, e soprattutto di Sartre, che faceva dell' esistenza l'oggetto esclusivo della filosofia, i due tedeschi ponevano al centro il problema dell'essere, o meglio del rapporto tra l'esistenza e l'Essere. Ma i due pensatori tedeschi non erano d'accordo solo su questa centralita della ontologia. L'uno e l'altro intendevano l'esistenza come 'possibilita': il rapporto dell'uomo con l'Essere non e data, e solo possibile, e come tale e rimesso al progetto che l'uomo fa di se stesso, con libera decisione. Ma l'accordo finisce qui. Mentre per Heidegger oggi siamo alla fine dell'epoca metafisica e gia si impone un tempo nuovo per la filosofia, un tempo in cui nessun compito e riservato alla ragione cosi come e stata intesa da Platone a Hegel, per Jaspers la metafisica quale ricerca dell'Essere resta un compito irrinunciabile, anche se faUimentare, e, in questa compito, la via della ragione, in quanta funzione essenziale dell' esistenza nel suo mota di autotrascendimento, e l'unica praticabile. Questa recupero dell'asse razionale risulta anche dal diverso significato che in Jaspers ha l"esserci', il Dasein. Mentre per Heidegger il Dasein e soltanto l'uomo, e l'esistenza e implicita nel Dasein come sua essenza, per Jaspers il Dasein e la realta empirica di qualsiasi genere - l'uomo, le cose, gli eventi di natura, le stesse produzioni umane - e l'esistenza e I'emergere proprio dell'uomo, in virtu della sua coscienza, dalla pura empiricita: il trascendimento. Per Heidegger l'esistenza e gia nel Da del Dasein (nel ci dell'esserci), per Jaspers e invece nell' ec dell' ec-sistere (Ec-sistenz). Questa variante, apparentemene minima, diventa rilevante nella costruzione
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del sistema filosofico che Jaspers ci ha dato nella sua Filosofia, incentrata appunto sul 'trascendere'. · Distinguiamo un trascendere nell'orientamento mondano, nel rischiaramento dell'esistenza, nella metafisica. Come dimostreremo, ciascuno di questi modi del trascendere non solo consegue all'altro, rna conferisce ad esso un nuovo senso retrospettivo. Essi si compenetrano l'un l'altro, dimodoche ciascuno senza l'altro rischia di andar perso. La !oro "separazione e pertanto solo relativa, valendo solo per I'ordine del pensiero- filosofico, che mira a conseguire Ia piena effettiva chiarezza nella riflessione.
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Nello svolgimento della prima parte del suo disegno filosofico, quella riguardante l"orientamento mondano', Jaspers sviluppa un principio epistemologico che aveva applicato, con risultati ritenuti ancora oggi di grande valore, nella sua Psicopatologia generale: Impiegheremo sempre I' espressione comprendere ( verstehen) per Ia visione intuitiva di qualcosa dal di dentro, mentre non chiameremo mai comprendere rna spiegare (erkliiren) Ill conoscenza dei nessi causali obiettivi, che sono sempre visti dal di fuori.
E difatti, prima di passare alla psicologia esplicativa, come dire scientifica, nella quale le reazioni psichiche del malato vengono ricondotte a cause, egli articola tra di loro la spiegazione scientifica e la comprensione fenomenologica
Karl Jaspers nasce nel 1883, a Oldenburg, nei pressi del Mar del Nord Comincia gli studi universitari nella facolta di diritto, ma dopo tre trimestri passa a medicina. Lavora come assistente nella clinica psichiatrica di Heidelberg e, dopo Ia Ia urea (1909), diviene libero docente di psicologia nell'Universita locale. Nel 1910 sposa l'ebrea Gertrud Mayer, che gli sara compagna di vita e di lavoro e gli procurerd, durante le persecuzioni razziali, nel 193 7, l'allontanamento dalla cattedra di filosofia, che aveva ottenuto nel 1921. Nel 1913 aveva pubblicato la Psicopatologia generale, che gli procuro gli elogi di Husser! per l'uso che vi aveva fatto del metodo fenomenologico. Vicino a Max Wek.er fin dal 1909, e poi lettore assiduo di Spinoza e di Kierkegaard, elaboro il suo pensiero in un 'opera che appartiene ai classici dell'esistenzialismo: La psicologia delle visioni del mondo: di qui l'assegnazione della cattedra di filosofia di cui si e detto. Del 1932 e la sua opera filosofica piu importante, intitolata semplicemente Filosofia. Caduto il nazismo, torna sulla cattedra nel 1945, ma se ne allontana tre anni dopo, in segno di protesta contro gli orientamenti del suo paese, che mostra di non sapere assumersi le responsabilita del regime criminale nazista, secondo le indicazioni che, nel 1946, egli aveva dato nel corso accademico pubblicato col titolo Il problema della colpa (1946). Trasferitosi all'universita di Basilea (1948), intraprende una fitta serie di pubblicazioni, tra le quali Origine e fine della storia (1949), I grandi filosofi (1957), La bomba atomica e il futuro degli uomini (1962). Muore nel1969.
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in una psicologin comprensiva, nella quale non si da «la contrapposizione soggetto-oggetto, rna un insieme di relazion~ perche l'oggetto si risolve nel significato che esso assume per l'Io e l'Io nell'oggetto in cui la sua intenzionalita emotiva si evidenzia)). Anche diventato, da psichiatra, filosofo, Jaspers si guardera sempre dal ricondurre la conoscenza scientifica, compito dell'intelletto, alIa volonta di potenza. Essa e parte essenziale della conoscenza della verita, che compete alia ragione. La comprensione presuppone sempre la spiegazione, la ragione presuppone sempre l'intelletto, proprio come insegnava Kant. Trascendere il mondo (e questo il primo tema della Filosofin) presuppone di per se una fuoriuscita dal Dasein, dalla sua chiusura empirica nel mondo oggettivato, inteso come totalita delle cose spaziotemporali di cui si occupa la scienza. Ma nel mio 'orientamento mondano', l'essere mi si presenta come una molteplicita di oggetti, nel cui numero rientro io stesso, come ogni altra presenza oggettuale. Questa molteplicita si rivolge all'intelletto, e cioe alia facolta che conosce il particolare e le leggi che legano tra loro gli oggetti particolari, rna non potra rna raggiungere la conoscenza del mondo nella sua totalita. II mondo cosi come lo costruisce l'intelletto oggettivante, il mondo che abbraccia· sia la sfera delle cose spaziali sia i contenuti psicologici del soggetto, e un mondo staccato da me. Per quanto io tenti di imbrigliarlo nelle categorie dell'irttelletto, di cui fa uso il sapere scientifico, il mondo nella sua totalita mi sfugge, perche esso e un orizzonte dentro il quale e contenuto il mio punto di vista, rna non puo mai essere il contenuto del mio punto di vista. La totalita armonica a cui l'intelletto tende, connettendo fra loro le singole conoscenze, si infrange fatalmente, perche, per ampia che sia, la mia prospettiva e solo la mia prospettiva, una tra le infinite altre possibili. E il mio punto di vista non posso scambiarlo, a mio arbitrio, con qualsiasi altro: esso e radicato nella mia situazione, che non potra mai essere oggettivata, perche non potro mai osservarla dall' esterno. L'interesse di Jaspers non si volge tanto alia validita della rappresentazione scient.ifka del mondo, fondata kantianamente sulla funzione logicotrascendentale dell'intelletto, si volge alla tensione bipolare tra l'attivita intellettiva, che costituisce il mondo oggettivo, e la situazione del singolo, che varia a seconda dei soggetti e, al di la dei soggetti, a seconda dei mondi storici a cui essi appartengono. Di qui l'inevitabile scacco dell'orientamento mondano dell'esistenza: esso tende a raggiungere l'essere assoluto, mentre nessun punto di vista sara mai capace di abbracciare I' orizzonte cosmico, dato che ogni orizzonte raggiunto rimanda al di la di se stesso. E tuttavia lo scacco erprezioso: esso indica alia coscienza che la via dell'oggettivazione e senza esiti e che percio, se vuol proseguire la ricerca razionale dell'essere, deve invertire la rotta, deve volgersi alia 'chiarificazione dell'esistenza', e cioe deve sostituire alia orientazione scientifica quella filosofica. 10.15 Jaspers: lo scacco della filosofia. L'oggettivazione dell'essere, operata dall'intelletto, si rivela, dunque, inconcludente, in quanto essa e inestricabile dal 'punto di vista' del singolo, che e sempre un punto di vista particolare, come e particolare la situazione in cui il singolo ha le sue radici. Si trattera, allora, di sostituire all'intelletto la ragione, per 'chiarificare' la situazione in cio che ha di singolare.
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L'esistenza e sempre la mia esistenza, e come tale e sempre un dato e, insieme, una possibilita: la mia possibilita di trascendere il dato. E' qui che Jaspers si riconnette all'insegnamento di Kierkegaard (4.9), spogliandolo dei suoi caratteri religiosi. Per Jaspers, l'esplorazione della possibilita, che non coincide con nessun limite concettuale, e propria della ragione, il cui compito infatti e di infrangere i limiti delle verita stabilite dall'intelletto, perche si sprigioni dall'esserci la possibilita, e cioe l'esistenza. Tocca all'esistenza dare realta alia possibilita attraverso la decisione. Ragione ed esistenza devono compenetrarsi, per garantirsi reciprocamente l'autenticita: senza la ragione, l'esistenza sarebbe cieca, un puro e inerte esserci; senza l'esistenza, la ragione si muoverebbe nel vuoto. La compenetrazione, comunque, non si da mai totalmente, l'esistenza conserva sempre in se un qualche spessore oscuro, irriducibile alia ragione. Ed e in riferimento a questo spessore oscuro che trova senso Ia dottrina di Jaspers sulla liberta. L'io che sceglie e la sua stessa situazione nel mondo, una situazione la cui trama si stende fino ad abbracciare l'epoca prenatale dell'individuo e, al limite, l'universo intero. L'unica scelta autentica e quella che accetta la situazione di fatto e che abbraccia l'unica possibilita che e implicita nella situazione. La liberta e, come in Spinoza, la coscienza della necessita. La 'colpa' originaria, da cui ogni altra colpa ha origine, e rinsuperabile identita dell'io con la propria situazione. Il riconoscimento di questa identita ci rende liberi dalla colpa e ci mette in grado di dare adempimento all'antico precetto: 'diventa quel che sei'. Su questo punto della dottrina di Jaspers si riflette il mito di Nietzsche dell' eterno ritorno (4.20): Io rimango sempre come preso e coinvolto in uno svolgimento storico, dato che non posso mai cominciare dall'inizio. Io mi trovo preso nella trama delle coriseguenze necessarie di decisioni che rimontano a prima della mia vita, molto piu addietro e a! di Ia di quello che io possa aver fatto consapevolmente di mia propria iniziativa, e portano a que! fondamento ultimo del mio esserci, a cui io non posso arrivare con Ia mia conoscenza. Appuntp a que! fondamento ultimo io sono legato.
La situazione fa si che la scelta sia quella che e e che non puo non essere, e la scelta assume in se la situazione, sollevandola nella dinamica della trascendenza. Rientra in questa dinamica il riconoscimento che la mia esistenza non e chiusa nella singolarita numerica dell'esserci, rna e in comunicazione con altre esistenze, dato che il mio punto di vista non esaurisce la verita. Esso non e, infatti, che un punto di vista tra gli altri, ed e autentico solo se e prateso verso la verita in convergenza con gli altri. Quando ·;o scambio il mio punto di vista con la verita, cado nel dogmatismo, vengo meno alla Iegge della trascendenza che mi muove verso la verita una. Una, non unica. L'unita della Verita non si coglie se si guarda dall'esterno, secondo le leggi del pensiero oggettivante, si coglie dall'interno, come orizzonte, dentro il quale la verita altrui non e necessariamente diversa o opposta alla mia, e convergente con la mia. Anche il contrasto sottintende sempre una potenziale comunicazione. Questa Iegge della pluralita e unita delle verita ha ispirato a Jaspers un ripensamento della storia universale del pensiero che, in opposizione all'eurocentrismo, abbraccia l'universo delle civilta, senza la pretesa hegeliana che il pen!
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siero occidentale rappresenti Ia sintesi della storia spirituale del mondo. Nella sua opera L 'origine e il fine della storia, egli ricostruisce il divenire dell'umanita in quattro grandi periodi, che ruotano attomo all"eta assiale', collocabile attomo al 500 a.C., durante Ia quale «vennero formulate le categorie fondamentali, secondo cui pensiamo ancor oggi, e paste le basi delle religioni universali, di cui vivono tuttora gli uomini». E' Ia tesi a cui, in qualche modo, anche questa manuale si ispira (1.1.9). Il periodo assiale e gia di per se un documento inoppugnabile della trascendenza creativa che regola il corso collettivo della specie. Oggi, Ia rivoluzione scientifica ci ha introdotto in un secondo periodo assiale, che pone l'umanita nella necessita di trascendersi in forme di vita che superano le nostre ·attuali capacita di immaginazione. La bomba atomica (sui cui significato etico e politico Jaspers ha scritto un ponderosa e appassionato volume) ci pone dinanzi alla altemativa della morte universale o di un piu alto livello di esistenza: «Niente e da sperare se lo speriamo dal di fuori, tutto se ci affidiamo all'origine della trascendenza». Da qualunque angola si osservi, in quello del dischiudersi dell'esserci verso. l'essere o in quello della storia dell'umanita, l'orizzonte della trascendenza si rivela impossibile, e doe senza possibili rapporti di continuita col presente: La trascendenza e, quindi, per noi, nulla, solo in quanta tutto cio che e riveste per noi il senso dell' essere determinato. Essa e invece per noi tutto, in quanto tutto cio che nella sfera dell' esserci determinato e essere per noi, lo e solo in rapporto alia trascendenza, o come cifra della trascendenza.
10.16 Jaspers: il 'naufragio' nel trascendente. Non dunque nel perlustrare il mondo oggettivo, dominio della stienza, ne nell'analisi filosofica dell'esistenza ci e dato di attingere l'essere: in ambedue i casi la possibilita si capovolge in impossibilita, Ia liberta in necessita. L'orizzonte che tutto abbraccia e sempre al di la c,l.ell'orizzonte raggiunto: il suo sensa ultimo e proprio in questa impossibilita di raggiungerlo. Kierkeg?ard, come abbiamo ricordato, trovava qui, in questa solco invalicabile del fallimento, il punta d'appoggio per il salta della fede. Jaspers rimane kantianamente fermo nei limiti della ragione, anche Ia dove Ia ragione non fa che registrare lo scacco. Nella sua terza fase, cui e dedicata !'ultima parte della Filosofia (intitolata significativamente Metafisica), il compito della ragione e di verificare le situazioni invalicabili - neUe quali appare per quello che e l'abisso che separa esistenza e trascendenza- e di cogliervi il simbolo che nascondc e insierpe rivela l'orizzonte non oggettivabile del trascendente. II doversi assumere Ia responsabilita di una colpa non commessa, il non pater vivere senza dolore, la destinazione alia morte e finalmente lo scacco (e doe il naufragio del pensiero di fronte all'essere) sono altrettante situazioni-limite, nelle quali la trascendenza fa sentire la sua presenza: «il limite si inserisce cosi nella sua autentica funzione, di essere ancora immanente rna tuttavia rinviare alia trascendenza». Come, nella conoscenza scientifica, l'esperimento fa da mediazione tra il soggetto e I' oggetto, cosi !a cifra fa da mediazione tra esistenza e trascendenza. Non si tratta, ovviamente, di una mediazione concettuale esprimibile. Essa avviene nella fede filosofica, che proprio nella scacco scorge !a verita, proprio nell'inesplicabile, nel non sapere (ad esempio, del perche
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della rriorte), scorge qualcosa dell'essere, inteso non gia ontologicamente alla maniera dei metafisici, rna come sorgente prima e inesauribile di ogni vera e propria consapevolezza di se. Prendiamo ad esempio la situazione-limite della morte. La verita della morte sfugge sia a chi le si fa estraneo, riconducendola a una mera necessita di natura, sia a chi si consola con i fantasmi di un al di la. Il suo carattere di assoluta estraneita cade, se io me ne approprio nella consapevolezza che senza il dileguare della vita io sarei «un essere dall'infinita durata e non esisterei». La morte e, per l'esistenza, una necessita costitutiva, e dunque una garanzia della sua autenticita. Per questo, «io posso andarle incontro come al mio fondamento, come a cio in cui trovero compimento, se pure di genere incomprensibile. La morte era meno della vita e esigeva coraggio. Essa e in realta piu della vita e dona sicurezza e protezione». Come si vede, Jaspers non nega ne afferma un al di la, proprio perche affermare o negare e una funzione dell'intelletto oggettivante, che resta sempre circoscritto da un orizzonte, quello dell' essere, che e di ordine esistenziale. Se nel suo versante ulteriore quell'orizzonte e del tutto inconoscibile, nel suo versante interno, che da verso di noi, ha una struttura 'cifrata': la funzione delle 'cifre' e di negare tutti gli orizzonti in cui si dilata la nostra esistenza e di imporre a questa l'orizzonte ultimo. I messaggi cifrati di questa struttura sono anch'essi, in qualche modo, una rivelazione. Di qui il particolare nesso che Jaspers pone tra religione e filosofia: La religione, per rimanere verace, ha bisogno della filosofia. La filosofia, per rimanere significativa, ha bisogno della sostanza della religione. La filosofia dovra affermare la religione almeno quale realta a cui essa stessa deve il suo esserci. Se la religione non fosse la vita dell'umanita, non ci sarebbe nemmeno la filosofia.
Nessun cedimento, comunque, alle religioni positive. Infatti, i limiti della filosofia sono, come si e detto, nell'orizzonte mai oggettivabile della trascendenza, un orizzonte che ha un versante estemo a noi, di cui noi nulla sappiamo dire. Ce ne rendiamo conto per il fatto che nulla sappiamo dire di cio che sta dietro le cifre che ci rimandano all'ineffabile. Esse postulano in noi una fede, la cui vera parola, proprio come per la fede teologica, e il silenzio. La navigazione del pensiero ha come suo ultimo atto il naufragio nella trascendenza, uh naufragio che e il supremo degli scacchi, nel quale tutte le cifre risuonano e tutte cadono nel silenzio.
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U- Sommario
;Sommario. N~J mondo anglosassone, la reazione .antipositivistica prende le vie dell'idealismo .di matrice hegeliana, rna con fedelta alia tradizione platonica, sempre viva in lnghilterra, fin dai tempi in cui essa contrastava il trionfo dell'empirismo. Per Bradley, il massimo .esponente dell'hegelismo inglese, Ia conoscenza non si riduce all'associazione di percezioni .empiriche; il suo momento specifico e nell'assumere i dati in un sistema 1li relazioni sempre piu largo, che, in ultima istanza, rimanda a un Assoluto che, pur restando inconoscibile, include in se tutte le relazioni {11.1). A trapiantare l'hegelismo oltre l'Atlantico e Royce, che della conoscenza sottolinea la struttura volontaristica, che si afferma nel connotare di significati i dati .empirid forniti dalle sensazioni: conoscere non e solo percepire e giudicare, rna e soprattutto interpretare, cioe riferire le conoscenze particolari a una totalita, il cui senso non e contemplativo rna pratico ( 11.2). Nello slancio .creativo che contraddistingue gli USA dopo Ia guerra di secessione, l'istanza pratica prende un posto centr.ale ne1 dibattito filosofico, fino a diventare programma, attorno al 1880, .col prammatismo di Peirce e James, centrato sui problema logico, il primo, su quello pratico, il secondo (11.3). In polemica con i1 cartesianesimo, e nel quadro di una antropologia darwiniana, Pierce sostiene che il pensiero e lo strumento piu perfetto, rna solo uno strumento, .dell'adattamento dell'uomo all'ambiente, e lo dimostra mediante una particolare analisi del processo-conoscitivo (Ia 'semiotica'), da cui nascono le credenze: atteggiamenti stabili del pensiero dovuti alla reiterazione delle verifiche (11.4). Anche James parte dalla risoluzione del dualismo soggetto-oggetto nel flusso dell'esperienza evolutiva, rna per sottolineare Ia funzione pratica del pensiero, strumento delle esigenze vitali, a! cui centro c'e Ia volonta di credere (11.5). La stessa idea di Dio e vera perche utile: lo dimenticano sia i materialisti che gli spiritualisti. Che a quell'idea risponda quakosa di oggettivo, lo provano gli effetti positivi che essa produce, come risulta dall'analisi del fenomeno religioso di qualsiasi tempo e di qualsiasi iuogo {11.6). Facendo sue e riducendo .a sintesi le tendenze via via dominanti nel pensiero americano, Dewey allarga Ia riflessione alla storia dell'umanita, in cui il pramJl1atismo rappresenta Ia svolta risolutiva, dopo Ia quale a! pensiero va attribuito il coinpito non di contemplare, rna di trasformare il mondo (11.7). II pensiero non e, infatti, che l"apparecchio' messo in atto dalla natura dentro il proprio processo evolutivo, e insomma un utensile (11.8), il cui compito e di cogliere i significati degli eventi e delle cose. I significati sono, insieme, inerenti aile cose e posti dal soggetto, nel suo intento di risolvere le situazioni esistenziali quando i !oro equilibri entrano in crisi. L'uomo non e che un membro del mondo in divenire, del quale le indagini intellettuali sono il prodotto e insieme lo strumento di controllo (11.9). Questo naturalismo umanistico si esprime in tre momenti specifici: la morale, che determina come 'bene' le vie operative che consentono di uscir fuori dalle situazioni di crisi, secondo la prospettiva del 'migliorismo'; l'estetica, nella cui sfera rientrano non solo le cosiddette opere d'arte, rna tutte le manifestazioni che danno compiutezza all'equilibrio tra organismo e ambiente; la religione, il cui postulato di fondo, espresso simbolicamente, e che l'ideale e gia reale, sebbene invisibile
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(11.1 0). L'umanesimo naturalistico. richiede l'integrazione ddha scienza nella: vita collettiva: la democrazia, come regno delle persone, potra superare la sua crisi solo se si servi" ra della scienza per pianificarsi e per creare un sistema di poteri capace di controllan.~· le forze sociali col massimo di garanzia per le liberta individuali. Un obiettivo come questa richiede un metodo educativo libero dal dogmatismo e dal dualismo tra formazione umanistica e formazione scientifica, centrato sull~addestramento al lavoro, che solo puo aprire· i giovani alia fiducia nella scienza e preparare la nuova democrazia: tecno" logica (11.11).
· · · an · ·gJ. · · · ·•· · 1uea·1·· ... 1smo .. oamer1cano L.,..... 11.1 L'idealism:o Inglese~ Bradley. Nel nostro bilancio del pensiero europeo' tra la fine del secolo scorso e Ia prima meta. del nostro, non ci siamo ancora incontrati con nessuna corrente che possa considerarsi un vero e proprio ·svi~ luppo del pensiero hegeliano~ Quando non e state assunto all'intemo di quella sua forma capovolta che e il marxismo, il pensiero di Hegel ha avuto una fecondita dispersa, confinata in tematiche particolari; come quella della filosofia della vita svoltasi in Germania, come si e vista, a partire dagli interessi epistemologici relativi alla conoscertza storica. Fanno eccezione il mcmdo angloamec ricano e quello italiano, dove l'hegelismo ha avuto due sviluppi tra loro molto diversi, in rispondenza alla diversita delle rispettive tradizioni culturali: In Inghilterra, !'influenza di John Stuart Mill si era gia attenuata a partire dagli anni '70, ne era riuscito a diventare veramente egemone l'evolutionismb spenceriano, per quanta proprio in quell' ultimo scorcio del secolo raggiungesse la sua piu compiuta sistemazione (7.16). A tenere il campo erano i neohegeliani, Del restb, non dimentichiamo ~he in Inghilterra l'innesto col pensiero tedesco di tipo idealistico era avvenuto, in reazione all'utilitarismo di Bentham; gia· nei primi decenni dell'Ottocento, .quando Stuart Mill scriveva (3,6) che ogni in· glese era o con Bentham o con Coleridge, e indicava nel partite 'tedescocoleridgiano' la prosecuzione dell'anima platonica della cultura inglese, in perenne contrapp-osizione a quella empiristica. E infatti, l'hegelismo inglese della seconda meta dell'Ottocento e, in analogia col positivismo spiritualista francese, una forma di reazione, anche ·politiCa, all'empirismo e aJ positivismo, in, nome dei valori spirituali e religiosi. Il prima esponente di rilievo di questa risveglio idealistico fu Thomas· Mill Green (1836-1882), studioso di Hume e autore dei Prolegomeni all'etica (1883), che approda a una teoria platonico-hegeliana dell'Assoluto a partire da un confronto critico cpn le tesi gnoseologiche della tradizione empiristica, Le impressioni semplici, da cui i1 piu conseguente degli empiristi, Hume, deriva tutte le nostre forme di conoscenza, sarebbero un caos di pulviscoli psichici, sostiene Green, se non ci fosse in noi un principia che le organizza e che dunque le precede e le trascende. Analogo l'argomento contra il positivismo evoluzionistico: la conoscenza della natura non puo essere un prodotto ne una parte della natura stessa. Dire natura e dire sistema di relazioni, e le relazioni tra le cose
348 D II · L 'idealismo angloamericano non potrebbero essere colte se non ci fosse un io capace di distinguere e di unire. Ma Green non si limita a presupporre, alia maniera di Kant, un principia logico a priori. Sia nell' ordine conoscitivo che in quello etico, e presente e attiva una 'coscienza etema', che connette tra loro le idee sensibili e suscita nel nostro intimo i motivi dell'agire, che non possono mai identificarsi con Ia pura e semplice ricerca del piacere. Questa coscienza etema e un «unico essere spirituale autocosciente di cui tutto cio che e reale e attivita 0 espressione», e che si serve delle autocoscienze individuali per i suoi fini. E' in questo principia etemo che trova senso la stessa idea di progresso (politicamente, a differenza degli altri hegeliani, Green era un progressista): quelle che noi chiamiamo scoperte, non sono che la realizzazione nel tempo di conoscenze presenti in quel principia ab aeterno. Questa combinazione, tipicamente inglese, tra platonismo e hegelismo non poteva non trovare larghi consensi negli ambienti teologici ed ecclesiastici. Ma un Hegel mutilato della dialettica (ed e questo il caso) non era in grado di dimostrare la coincidenza del reale col razionale, del finito con l'infinito. Se tutto e gia presente ab aeterno nella suprema coscienza, la storia si svuota di significato, le scciperte, di cui va fiero il progresso, non sono scoperte, la contingenza del divenire storico si riduce ad apparenza, il vincolo tra l'essere e il divenire, che Platone aveva tentato di stabilire salvando ambedue i termini, si discioglie a vantaggio dell' essere. Al posto di Platone to rna Parmenide. Questa vanificazione della storia sembra gia inscritta nel titolo, Apparenza e realtii (1893), dell'opera maggiore del piu importante tra gli hegeliani inglesi, Francis Bradley (1846-1924). Vissuto a Oxford, tutto dedito all'insegnamento nel collegia Merton (furono suoi alunni G. E. Moore e Bertrand Russell) e alia quasi eremitica meditazione, egli esercito sul pensiero inglese una profonda influenza per circa un trentennio. L'opera che lo rese celebre ha come sottotitolo 'saggio metafisico'. E difatti essa si articola in due momenti, si potrebbe dire baconianamente in due partes, la prima destruens, Ia seconda construens, nelle quali si riflette la dicotomia eleatica tra il mondq delle 'apparenze' e il mondo della 'realta', l'uno senza rapporti razionalmente fondati con l'altro. Anche Bradley parte dall'analisi dell'esperienza immediata, che non e affatto, come in modo non sufficientemente critico ritenevano gli empiristi, l'incontro tra un soggetto senziente e un oggetto sentito, e piuttosto una unita differenziata, un 'sentire sentito', in cui non si danno divisioni di sorta, nemmeno quella tra soggetto e oggetto. Evento originario e di natura inesprimibile, l'esperienza fa da sfondo ai momenti successivi del conoscere. Il primo di questi momenti e Ia percezione, nella quale dall'informe unita dell'atto originario si stacca un dato percettivo, che trascende l'immediatezza proprio perche nella .sensazione immediata si affaccia a noi un mondo che Ia oltrepassa. Il realismo ingenuo ritiene che il data, in quanto contenuto della percezione, sia indipendente dal soggetto. Ma non e cosi. Ogni percezione e gia una interpretazione del dato, nel senso che esso, nella sua singolarita, e sempre percepito in un sistema di relazioni che, proprio perche e un sistema, chiama in causa l'attivita del soggetto. Nel percepire un foglio bianco, io ho un dato che, in quanto e percepito, fa contesto con un insieme di relazioni di tempo, di luogo, con me e con altri dati: Jo ora qui percepisco questa oggetto bianco tra altri oggetti di al-
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tro colore. Insomma, percependo interpreto. Quando poi sulla percezione io costruisco il giudizio, che cosa faccio se non scindere l'unita del dato in un soggetto e in un predicato, in vista della loro ricomposizione in una unita ideale? Il dato e il 'che cosa' (il that), il predicato e il 'come' (il what,): il giudizio, assumendo il that nel what, lo riferisce a una realta che e fuori dell'atto del percepire, e lo fa nella pretesa che la sua sintesi (ogni giudizio e sintesi) riproduca, cosi com'e, l'unita estema al soggetto. Ma la pretesa non ha fondamento. Infatti, il giudizio consiste nel porre in relazione tra loro i termini dati nella percezione (si pensi alla relazione sostanza-qualita o a quella causa-effetto), rna siccome i termini mutano di continuo, mutano anche le relazioni. Le quali, a loro volta, sono le condizioni stesse che danno determinazione intelligibile ai termini, che cosi sono, in un sol tempo, condizioni ed effetti delle relazioni. Se dico che un oggetto si muove, io lo metto in relazione con tutti gli altri oggetti, rna non mi deve sfuggire che il movimento stesso e reso possibile dalla relazione di stati successivi che io vi pongo. Questa contraddizione (come si puo essere, nello stesso tempo, causa ed effetto?) intrinseca alla natura stessa delle relazioni, ci conduce alla conclusione scettica che il mondo non e che un sistema di apparenze. Anche l'io, alla pari della 'cosa', e un'apparenza, dato che la sua identita si basa sulla relazione tra un suo modo di essere e un altro modo di essere, relazione che dovrebbe essere quella di permanenza dell'identita, mentre 1' esperienza ci dice che «l'io costante di un periodo non e l'io costante di un altro periodo». Senza dire che ogni relazione, riguardi la cosa o riguardi l'io, rimanda a sua volta ad altre relazioni, all'infinito. Ma la scepsi di Bradley non e che la prima fase (quella destruens) di un itinerario conoscitivo il cui approdo e l'Assoluto. L'argomento che permette il passaggio dalle 'apparenze' alia 'realta' e fomito dallo stesso concetto su cui si basa lo scetticismo: la non contraddittorieta dei giudizi, o meglio delle relazioni che il giudizio stabilisce. Se noi rigettiamo nella sfera delle 'apparenze' tutto cio 'che e contradditorio, e perche noi consideriamo reale e non meramente apparente solo cio che none contraddittorio. Ecco dunque una prima connotazione, sia pure meramente negativa, del reale: esso esclude da se la contraddizione. Ma noi siamo in grado di sta,bilirne un'altra. Si e visto che il dato, per rendersi intelligibile, deve trascendersi, ponendosi in relazione con gli altri dati. Queste relazioni non sono mai esaustive, rimandano l'una all'altra all'infinito, in una specie di moto centrifugo. C'e pero un'altra via: quella che collega il dato non verso l'esterno, e cioe verso l'interminabile trama delle relazioni tra dato e dato, rna verso l'i:lterno, verso un principio intimamente coerente che comprende in se tutti i dati possibili e li ordina in un. sistema totale. Ed e cosi che Bradley raggiunge la concezione hegeliana della concidenza tra il finit~ e l'infinito. La raggiunge, pero, non per via dialettica, rna come postulato, non come epilogo della razionalita dinamica del finito, rna come unica alternativa all'inconsistenza del finito. Se noi chiamiamo 'infrarelazionale' l'unita indifferenziata che, come abbiamo visto, e il.contenuto dell'esperienza sensibile originaria, e 'soprarelazionale' l'Assoluto che include in se tutte le relazioni, possiamo dire che l'unita soprarelazionale e ineffabile come lo e l'unita prerelazionale. Il fatto che, nel constata-
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re l'inconcludenza della conoscenza intellettiva, Bradley decide, diversamente da Bergson - che per sfuggire alla tontraddizione del tempo spaziale si reimmergeva nel sentimento originario della 'durata' (9.4) - di sollevarsi all'unita soprarelazionale,· non si deve a nessuna 'necessita logica'. Si deve a una esperienza inesprimibile come quella prerelazionale, un'esperienza che trascende i confini sia della religione che della filosofia (Bradley non fa sua la tesi hegeliana dell'inveramento della religione nella filosofia, perche queste forme di conoscenza sono ambedue interne al sistema di relazioni). Ma se cosi e, l'Assoluto resta ineffabile, circondato, come il Dio dei mistici, dalla nube dell'inconoscibile. E difatti Bradley oscilla di continuo tra una visione hegeliana dell' Assoluto come principio formale che si identifica con le determinazioni finite e con il sistema delle loro relazioni, e fa di ciascuna di esse una manifestazione dell'infinito, e una visione che insiste sul riferimento delle determinazioni finite al Tutto, nel quale esse negano se stesse perdendo la loro singolarita e dunque la loro molteplicita: in questo caso, la metafisica di Bradley si tramuta in vero e proprio misticismo. 11.2 L'idealismo americano: Royce. Il punto debole della filosofia di Bradley era nel dualismo tra il pensiero, identificato col sistema infinito delle relazioni, e l'Assoluto, considerato 'altro' dal pensiero, e dunque non attingibile da nessuna categoria logica. Questo slittamento della metafisica nell'ultrarazionale del misticismo era l'inevitabile conseguenza dell'impostazione da lui data al problema gnoseologico: se giudicare e mettere due termini in una relazione che a sua volta va messa in relazione con altre relazioni, e cosi via all'infinito, allora non puo esserci dubbio che anche il mondo del pensiero rientra nell'universo delle apparenze, dove tutto e contraddittorio. Per evitare lo scacco ontologico bisogna porre rimedio allo scetticismo gnoseologico. Lo fara, a suo modo, per la via del realismo il piu illustre dei discepoli di Bradley, Bertrand Russell (13.2), e lo fece, restarido sulla via dell'idealismo, il filosofo americano Josiah Royce (1855-1916), nato in California, rna formatosi nel diretto confronto con l'idealismo tedesco (passe un anno all'universita di Gottinga) e inglese. Fu collega di James (11.5) alla Harvard University e conferenziere di largo seguito. Il suo idealismo, infatti, porta chiara l'impronta dell'indole della 'Nuova Inghilterra', che e la ricerca, a ogni livello, della conciliazione tra le finalita ideali e quelle pratiche. Questo tratto si ritrova anche nelle sue cfue opere di maggior impegno teoretico, Il mondo e l'individuo (1900) e Il problema del cristianesimo (1913), nelle quali egli espone, in contrasto con l'idealismo scettico di Bradley, il suo 'idealismo costruttivo'. Anche Royce parte dall'analisi dell'esperienza immediata, che e sempre, in quanto esperienza umana, gravida di 'significati'. L'analisi distingue nell'idea, in quanto rappresentazione di un oggetto, un significato esterno e un significato interno. Il significato esterno e quello dell'idea-oggetto, considerato, come fa il rea'lismo ingenuo, indipendente dal soggetto; il significato interno e invece immanente al soggetto, che conosce le cose sempre in rapporto a un fine. La cosa inerte, indifferente, fotografabile non c'e: l'attenzione a una cosa e sempre animata da un interesse, che incide direttamente nella rappresentazione che ce ne facci:lmO. Da questo versante, un'idea non e un mero prodotto conoscitivo,
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e anche un. atto volontaristico. E cosi, Ia verita non e un puro oggetto della mente, e anche un oggetto della volonta, che rapporta tutto ai suoi fini, anche le cose apparentemente pii:t oggettive, pii:t distaccate dal soggetto. Nel momenta in cui sono conosciute, anch'esse diventano strumenti per un fine. II significato estemo viene cosi assunto nel significato intemo, come un prima momenta del processo finalistico con cui la volonta tende al suo scopo. Anche la scienza e coinvolta in questa qualificazione derivante dal primato del significato intemo, che potremmo chiamare kantianamente prlmato della ragion pratica. E difatti, il vero scopo della volonta (potremmo dire, con Blondel, col quale Royce ha molte affinita, della 'volonta volente', 9.3), e dunque anche della conoscenza, e l'adeguazione dell'io all'essere che, se ne sia coscienti o meno, e sempre l'orizzonte ultimo di ogni ricerca. In base a questa struttura volontaristica del conoscere, ogni determinazione della realta estema e effetto di una 'decisione' della volonta, che, nel circoscrivere il mondo oggettivo in una pluralita definibile di cose, persegue una pii:t precisa determinazione del significato intern a dell' esistenza. L'ideale che la sollecita e, nella sua condizione ultima, quello di una Coscienza suprema, nella quale 1a molteplicita infinita dei significati sia presente in un attimo etemo, senza per questa venir meno come infinita molteplicita. Anche l'io finito ha esperienza della possibilita di far coincidere l'unita con la molteplicita, la simultaneita con la successione. Se io leggo il verso di un poeta, mentre con atti successivi mi rendp canto delle parole, anzi delle singole lettere, assumo il tutto dentro una comprensione unitaria: il successivo si fa simultaneo, senza per questa cessare di essere successivo. Cosi nell'Io infinito la totalita del tempo e Ia molteplicita dei finiti e presente in un solo atto, che e, insieme, intemporale, perche simultaneita senza successione, e temporale, perche il suo contenuto e appunto l'intero complesso delle determinazioni che si dispiegano nella totalita del tempo. In tal modo, Royce ritiene di aver evitato .il naufragio di Bradley nel panteismo, che non consente la preservazione delle coscienze individuali. «Tutto cio che e, dice Royce, e parte d:i- un sistema che rappresenta se stesso». La consistenza dell'io individuale e assicurata dalla coscienza del posto che egli occupa nel Tutto. E il Tutto, spiega Royce, adottando una teoria elaborata, in quegli anni, da Cantor e Dedekind (13.1 ), e un 'sistema autorappresentativo', che contiene se stesso come una propria parte. Egli espone il suo concetto con una immagine un po' banale, rna didatticamente chiara. Se si potesse tracciare una carta geografica dell'Inghilterra, in cui tutti i particolari, proprio tutti, siano a loro volta tracciati, vi si dovrebbe tracciare anche la carta geografica che possiamo supporre distesa al suolo. Ma allora, per raggiungere una perfetta esattezza, se ne dovrebbe tracciare un'altra in cui sia riprodotta la carta precedente con al suo interno la prima. E cosi via, all'infinito. Allo stesso modo, nella coscienza suprema sono presenti tutti gli 'io finiti'. Ne possiamo avere anche noi una esperienza analoga: 'Io penso', 'Io penso me che penso', 'Io penso me che penso me che penso', e cosi via, all'infinito. Nell'Io assoluto - ecco la differenza -l'intera serie non e potenziale, rna reale. In una seconda fase del suo pensiero, Royce affronta lo stesso problema del rapporto tra la molteplicita e l'unita, facendo sua la teoria di Peirce, che
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esporremo nel prossimo paragrafo (11.4), sull"interpretazione' quale terzo momenta del processo conoscitivo, accanto alia percezione e al giudizio. Ogni interpretazione e un rapporto fra tre termini che non si possono scambiare tra lora: il segno da interpretare (il mondo non e che un insieme di segni), l'interpretante, e Ia terza persona per la quale viene fatta l'interpretazione. La triade puo unificarsi nel soggetto, quando egli si faccia interprete a se stesso di fatti o segni personali. Ebbene: la interpretazione vera e quella che riesce a stabilire fra i tre termini (come- dire: il mondo quale sistema di segni e gli uomini nei lora rapporti reciproci) una comunita cosi perfetta da dissolvere ogni estraneita. Una comunita perfetta e quella che nella concordia dei molti riesce a raggiungere il suo scopo, in modo tale che in ~ssa ogni individuo trovi il sensa di se stesso. Questa comunita ideale si e storicamente rivelata nel cristianesimo (l'argomento che abbiamo esposto si trova, infatti, nell'opera di Royce II problema del cristianesimo), e in specie nel cristianesimo di san Paolo, che pose alia base della comunita cristiana la carita e fece della fedelta alia comunita l'espressione piu autentica della carita. Anche in Royce, com~ in Hegel, il cristianesimo diventa la forma piu compiuta della spirito umano nella sua espressione sociale, una volta che si sia Iiberato da ogni mito e da ogni ritualismo, per diventare una pura e semplice creazione della ragione. Solo che in Joyce la ragione, come abbiamo vista, e organicamente connessa con la volonta protesa al suo scopo, non e, insomma, una ragione contemplativa. Questa prammatismo si riflette anche nella dottrina morale di Royce, incentrata, come si e appena detto, sulla fedelta alia comunita. Una comunita, che ha come vincolo di coesione Ia fedelta dei suoi membri, e la massima garanzia della felicita, come abbiamo vista nel trattare della relazione triadica che si attua nell'interpretazione. L'idealismo morale di Royce, nel dettare le regale della perfetta comunita, non si rattiene da suggerimenti estremamente prammatici, come quello del sistema assicurativo. Infatti, dice Royce, nell'assicurazione si stabilisce una triade analoga a quella dell'interpretazione: l'assicurante, Ia cosa assicurata, il beneficiario. A tenere stretti i tre termini del rapporto e !'interesse comurie. Basterebbe estendere questa metoda all'intero paese, anzi all'intero pianeta, perche la convivenza umana si trasformi in una comunita stretta dai vincoli dell'amore. La combinazione di Royce tra interesse e amore (cosi americana!) puo non lasciare persuasi, rna e «certamente un progresso, osserva Abbagnano, di fronte allo Stato prussiano al quale il suo maestro, Hegel, intendeva affidare la piena e totale realizzazione dell'Idea infinita nel mondo)).
II prammatismo americano 11.3 Una nuova filosofia per una nazione nuova. Quella di Josiah Royce era, tutto sommato, una filosofia di importazione, come lo era in genere quella di ispirazione idealistica, che aveva avuto un certo seguito negli Stati Uniti
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prima della guerra di secessione (1861-1865). Anche il contributo che i filosofi portarono alia soluzione del problema della schiavitu e di tipo europeo. L'hegeliano William Herris (1835-1909), autore di una esposizione della Logica di Hegel ( 1890), scrisse che 'il diritto astratto' degli schiavisti del Sud e la 'moralita astratta' degli abolizionisti del Nord avevano trovato una conciliazione 'trionfante' nello 'stato etico', e cioe nell'ordinamento unitario della repubblica federale, rinsaldatosi dopo la guerra. Ed e proprio dopo la fine della guerra di secessione che la nuova Arnerica, paga di se stessa, si avvia a fare a meno dell'Europa. Per il momento, comunque, !'interesse per la filosofia era ristretto ad alcune elites, per lo piu di ambiente ecclesiastico. «< filosofi in America, scrisse Stanley Hall, nel 1879, sono tanto rari quanto i serpenti in Norvegia». E quei pochi si erano formati quasi tutti nelle universita del vecchio continente, specie in Germania. Furono loro, comunque, a creare al pensiero filosofico come tale uno spazio autonomo nei confronti delle altre discipline, molto piu omogenee agli interessi di una nazione in formazione, quali, oltre alia teologia, l'economia e la politica. L'orientamento dominante, accanto a quello idealistico, era l'evoluzionismo positivistico di Herbert Spencer (7.14), che alimento vivaci reazioni, soprattutto da parte degli ambienti teologici tradizionali, quando giunsero dall'Europa le due grandi opere di Darwin, specialmente la seconda, L 'origine dell'uomo. In un paese che stava vivendo i primi sconvolgenti processi dell'industrializzazione, il darwinismo sociale (7.13) si prestava a diventare l'ideologia della libera concorrenza. Il principia della sopravvivenza del piu adatto, mentre, per un verso, trovava positivo riscontro nelle dottrine protestanti sulla predestinazione degli eletti (ed e proprio su questo innesto tra capitalismo e teologia che porra la sua attenzione Max Weber nel suo viaggio in America, 10.4) per l'altro, fomiva giustificazioni morali ai pionieri della nuova fase del capitalismo. E' la fase industriale, straordinariamente creativa, rna anche ragione di gravi dissesti sociali, in un paese ancora sostanzialmente agricolo, largamente popolato da irriducibili indiani (che difatti vennero rapidamente sterminati o chiusi in esigue riserve) e da folte comunita di negri, destinati a passare, dopo la loro emancipazione, dalle piantagioni alle officine. «Se noi non vogliamo la sopravvivenza del piu adatto, scriveva allora lo spenceriano William Summer, abbiamo soltanto una altemativa possibile, ed e la sopravvivenza del meno adatto. La prima e la legge della civilizzazione, la seconda, quella dell'anticivilizzazione». Nella combinazione tra il principia spenceriano della libera concorrenza e quello darwiniano della selezione naturale, l'America puritana trovo il sostegno ideologico adatto al suo nuovo slancio messianico. Ma la crescita economica, priva di ogni controllo statale e abbandonata alle sue proprie leggi, diviene ben presto selvaggia, cosi come lo era stata in Inghilterra agli inizi della rivoluzione industriale. La reazione non puo mancare. Si organizzano sindacati, forze politiche e libere associazioni democratiche, che danno voce all'attesa delle masse, o, come diremmo oggi, all"altra America', decisa a porre un argine comune contro gli effetti nefasti dell'imperialismo incipiente. Essa porta in seno la richiesta di una nuova cultura che, senza agitare il mito della rivoluzione sociale, anzi accettando l'assetto capitalistico della societa, tenga vivo il sogno dei Padri Pellegrini, di una societa egualitaria e senza conflitti di classe.
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La risposta piu significativa a questa domanda venne da un movimento filosofico che fu denominate dai suoi stessi promotori 'prammatismo'. Esso nacque da un gruppo di scienziati e di giuristi dell'universita di Harvard che si era formate attomo a Charles Sanders Peirce e a William James, e che si era attribuito, con un tocco di ironia, il titolo di 'Club metafisico'. Fu lo stesso Peirce, in un suo saggio del 1878, Come render chiare le nostre idee, ad enunciare la 'massima del prammatismo': Considerare gli effetti pratici che noi pensiamo possano essere prodotti dall'oggetto del nostro concetto. II concetto di tutti quegli effetti e il concetto completo dell' oggetto.
Piu che un corpo di dottrine, il prammatismo e dunque un metodo, che puo applicarsi neUe indagini piu svariate. Non e del tutto giusto, come invece e largamente avvenuto nell'opinione europea, considerarlo un'espressione ideologica dell'indole americana, che tende a far coincidere il vero con l'utile, secondo l'etica dell'uomo di affari. In primo luogo, esso fu. come si e appena detto, una reazione a quel positivismo evoluzionistico di tipo spenceriano che riduce la conoscenza a semplice rispecchiamento del reale, e fu una reazione compiuta in nome della ragione, tenuta in organica connessione col proposito di realizzare, in tutta la loro gamma, i fini stessi della democrazia In questo senso, il prammatismo e una filosofia progressista. E' bene comunque osservare, in via preliminare, che, negli esiti che ebbe, il movimento ci si presenta come un fascio di tendenze disparate, non facilmente riducibili a un comune denominatore. Al piu, e possibile distinguerle Secondo due orientamenti fondamentali. Il primo, che ha la sua origine proprio nelle posizioni del fondatore del prammatismo, Peirce, concepisce il nesso tra il sapere e l'agire in modo che l'agire sia al servizio del sapere, in analogia a quanto avviene nel laboratorio dello scienziato. Per stabilire Ia verita di un concetto, occorre verificarlo negli effetti che produce, rna sempre in modo che questi effetti siano considerati non come il fondamento della verita, rna come un suo riscontro sperimentale. Il secondo orientamento, che prevalse largamente, anche per le capacita propagandistiche del suo principale fautore, William James, ripone invece il criterio della verita nella capacita che essa dimostra di soddisfare i bisogni da cui scaturisce l'azione. Il vero si identifica con l'utile. Ed e su questa identita che l'opinione corrente ha finito col riporre l'elemento specifico del prammatismo. Proprio per sottrarsi a questa comprensione sommaria e, a suo giudizio, deviante, Peirce modifico, per'" suo con to, il termine da lui inventato in quello di 'prammaticismo'. Nella sorte diversa toccata alla coppia di amici Peirce e James, si riflette il diverso destine storico delle due tendenze del prammatismo appena definite. a·uella rappresentata da James incontro una universale risonanza anche di qua dell'Atlantico, perche appariva, sebbene impropriamente, come la perfetta espressione ideologica di un paese tutto proteso all'azione, rna, proprio per questo suo eccesso di 'attualita', la sua incidenza avrebbe ben presto conosciuto il decline. Quella rappresentata da Peirce, particolarmente rigorosa nella elaborazione dei fondamenti gnoseologici del prammatismo, resto, fin dagli inizi, tenuta ai margini, rna avrebbe conosciuto in seguito la sua fecondita, specie quando sara messa in atto la rivoluzione epistemologica del
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neopositivismo logico (13.16). Diciamo, di passaggio, che questa diverso destino storico ebbe un suo risvolto anc]:le sui piano esistenziale: vissuto in penuria, anche perche non trovava editori per i suoi scritti, Peirce venne generosamente aiutato dall'amico James. 11.4 Peirce: U prammatlsmo logico. Grande studioso di problemi astronomici e matematici, Charles Sanders Peirce· avvio proprio come scienziato Ia sua critica al positivismo, e in modo particolare alla dottrina della conoscenza come riflesso dell'oggetto e a quella del determinismo naturale. Per capire meglio le premesse e lo spirito di questa polemica, basta rifarsi aile critiche che Peirce rivolge a Cartesio, lontano padre del meccanicismo positivistico. Per Cartesio e per i cartesiani, il punta di partenza della filosofia deve essere indubitabile; per Peirce, Ia molla della ricerca scientifica e proprio l'inquietudine del dubbio, che rimette costantemente in questione cio che e gia stato verificato nel passato. In secondo luogo, Cartesio pone a fondamento della sua filosofia Ia certezza incrollabile prodotta dalla evidenza dell'intuizione 'io penso'; per Peirce, non si da conoscenza di se che non sia anteriormente conoscenza del mondo, dato che' l'io si conosce nel suo contrasto con gli oggetti che lo circondano. In terzo luogo, «sembra che a Cartesio non sia mai passata per la mente Ia distinzione tra un'idea che sembra chiara e un'idea che lo e realmente}). La chiarezza delle idee va presa come punto di approdo del conoscere, e non come suo pun to di partenza Nel quadro dell' evoluzionismo darwiniano, che Peirce accetta, il pensiero non e, come in Cartesio, contemplativo, rna attivo, data che il suo ruolo, all'interno della strategia generale della selezione naturale, e di tentare un continuo adattamento dell'uomo aile circostanze. La logica e, dunque, Ia dottrina che spiega e controlla questa congenita operativita dell'intelletto, anche se - ed e qui la specificita del prammatismo di Peirce - l'intelletto resta, nel processo conoscitivo, un primum I momenti piu importanti dell' analisi peirciana della struttura dell'intelletto nella sua operazione conoscitiva sono quello delle categorie e quello della mat.ernatica. Charles Sanders Peirce nasce a Cambridge (Massachussets}, nel 1839, da un illustre matematico e astronomo, che lo avvia precocemente agli studi scientific~ dove consegue successi brillanti e una salida preparazione nei piu diversi ram~ dalla matematica alia chimica, all'astronomia. Il suo temperamento difficile e irregolare gli preclude invece la carriera universitaria e perfino la possibilita di trovare un editore per i suoi scritti (in vita sua pubblica soltanto, presso un editore di Lipsili, nel 1878, un volumetto di osservazioni astronomiche), che solo in parte escono in alcune riviste. ll res to sara pubblicato solo a partire dal 1932, per iniziativa dell'Vniversita di Cambridge, col titolo Collected Papers. Insieme a William James da vita al 'Club metafisico: in cui prende avvio, soprattutto sulla base di sue indicazioni programmatiche, il movimento prammatista. A partire dal 1891, vive appartato, in gran ristrettezza, tutto intento ai suoi studi e alle sue elaborazion~ mantenendosi con alcune saltuarie collaborazioni e con l'aiuto degli amici. Muore nel1911.
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Studioso assiduo di Kant (a suo dire, conosceva quasi a memoria la Critica della ragion pura), Peirce ne condivide la dottrina sui limiti della conoscenza. Solo il fenomeno (anzi il 'phaneron', dice Peirce, col suo vocabolario piuttosto estroso, cosi come dice 'faneroscopia', invece che fenomenologia) e conoscibile. Ma tutto e fenomeno, anche le forme trascendentali del pensiero, anche l"io penso', perche tutto si forma dall'esperienza. Solo che l'esperienza e in se stessa 'categoriale', e cioe presenta costantemente delle strutture che possono essere individuate a prescindere dalla questione se al fenomeno corrisponda o no un oggetto extramentale. E' evidente, qui, l'affinita dell'analisi di Peirce con quella della fenomenologia di Husserl (10.6), che pero egli cita una sola volta, di passaggio, e solo per criticarlo. Le categorie sono tre: 1. la 'primita' (Firstness); 2.la 'secondita' (Secondness); 3. la 'terzita' (Thirdness). 1. La primita ci da la pura presenza del fenomeno, il puro sentire. E', ad esempio, il rosso di questo bicchiere di vino in se considerato, senza riferimento ad altro. Non ha senso chiedersi se il rosso inerisce al vino o al soggetto senziente. La qualita resta anche quando il corpo si trova fuori della portata delle sensazioni, quando, per tomare all'esempio, il bicchiere di vino si trova al buio. Allora la qualita inerisce al vino come 'possibilita'. La qualita e, infatti, la possibilita di diventare quella data sensazione, e come tale e fuori del tempo. 2. La seconditii e 1' evento, il fatto bruto che si impone per quel che e nell' hie et nunc. E' secondita, appunto, perche risulta dalla relazione di una cosa con una seconda cosa: il tavolo e la mano che vi si appoggia sopra. Le qualita (la durezza, la pesantezza, la forma e cosi via) si impongono. Rientrano nella categoria della secondita le sensazioni (stimoli che agiscono sui sistema nervoso), le volizioni (lo sforzo che tende a modificare l'oggetto), le causazioni (un moto che ne produce un altro). 3. La terzita e la legge, e l'abitudine di contrarre abitudini. Constatato il rapporto tra A e B, noi ci raffiguriamo un terzo termine C che si realizzera in base al rapporto A e B. La primita e la secondita mi danno la materia, la terzita manifesta un terzo modo di essere: il pensiero, che prevede cia che ancora non c'e, anticipa il futuro. Il pensiero funziona sempre per 'segni' (gr. semeia). Di qui la 'semeiotica' (o, alla francese, 'semiologia'), come scienza del funzionamento del pensiero. Semplificando al massimo una dottrina in se complessa (che, fra l'altro, negli scritti postumi di Peirce non ha una trattazione unitaria e univoca) con la quale ci siamo gia imbattuti (11.2) e piu ampiamente dovremo confrontarci in seguito ( 13.16), la semeiotica peirciana puo essere ridotta al moto dinamico del pensiero sulla trama tracciata dalle tre categorie. Il 'segno' e qualcosa (A) che, in base ad alcune sue caratteristiche, e in grado di stare al posto di qualcos'altro (B), che e l'oggetto rappresentato, il quale, attraverso il segno, si rivolge a un terzo termine (C), che ha la funzione di interpretare il segno (A), raggiungendo cosi l'oggetto rappresentato (B). Facciamo un esempio: un ufficiale grida la parola 'Attenti!', che e segno o simbolo (A) che sta al posto della sua volonta (B), e la grida rivolgendosi ai soldati (C), i quali, interpretando il segno (A), comprendono la volonta (B) dell'ufficiale, che attraverso il segno chiede di essere eseguita. Non solo le parole dette, rna anche le parole scritte sono segni. La parola 'vino' e un segno (A) che sta al posto di una data bevanda (B), il
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cui concetto equivale all'insieme degli effetti che essa e in grado di produrre a chine fa uso. Gli esempi (che potrebbero essere utilmente moltiplicati) bastano a mettere in chiaro il carattere intrinsecamente prammatico del pensiero. n pensiero tende all'azione senza venir meno alla propria natura, nel senso che esso ha nell'azione un momento di se stesso. Attraverso i suoi segni (anche la parola pensata e un segno, e noi non pensiamo se non per parole), il pensiero si fa esplicito nelle conseguenze pratiche che esso postula. Come l'esperimento di laboratorio e un momento essenziale per chiarificare e verificare una ipotesi, cosi un'idea trova nelle sue conseguenze pratiche il momento della sua chiarificazione e della sua verifica. Se la verifica si ripetera positivamente con costanza, sara piu facile fare affidamento sull'idea. E' cosi che si forma la credenza. Nel linguaggio dei prammatisti, la credenza non e qualcosa che rassomigli all'opinione, none, cioe, un modo momentaneo della coscienza, rna e un 'abito', e cioe un modo permanente di atteggiarsi del pensiero, dovuto alle reiterazioni della verifica. E' questa la genesi delle leggi scientifiche. Nessuna di esse e assoluta: l'assolutezza bloccherebbe il cammino della ricerca, escluderebbe la scienza dalla legge universale dell'evoluzione. Le leggi si formano all'interno di un processo graduale, che va dai modi d'essere puramente casuali ai modi d'essere sempre piu stabili e regolari, rna come la stabilita comincia ad affermarsi anche nella prima fase del processo, cosi la casualita sopravvive anche nel suo termine. Possiarno spingere il nostro sguardo nel passato infinitarnente lontano, a un punto in cui non c'era alcuna Iegge, rna rnera indeterrninazione. Possiarno d'altra parte spingere il nostro sguardo nell'avvenire infinitarnente lontano, a un punto in cui non vi sara piu indeterminazione o 'chance', rna il dorninio della Iegge. Tuttavia, in ogni rnornento del passato, per quanto prirnitivo, c'e sernpre una qualche tendenza all'uniforrnita; e in ogni periodo del futuro c'e sernpre un qualche deviazione dalla Iegge.
11.5 James: II prammatismo volontaristico. «Niente di nuovo nel prammatismo, assolutamente niente». Esso e un metodo di cui fecero uso Socrate e Aristotele e recentemente gli empiristi inglesi, come Locke, Berkeley e Hume. Solo che questi precursori hanno inteso e applicato il metodo in modo parziale. Esso divenne programma consapevole e radicale solo a partire dal 1878, per opera di Charles Peirce che, in un articolo intitolato Come rendere chiare le nostre idee, «dopo aver rilevato che in realta le nostre credenze sono regolate per l'azione, sosteneva che per sviluppare il contenuto di un'idea basta determinare la condotta che essa e in grado di determinare: il suo valore e tutto qui». Questa e la storia del prammatismo tracciata, in termini sommari, da William James·. Una storia che trova il suo pieno adempimento in lui. Infatti, prosegue James, il fondamento del prammatismo, proposto da Peirce, «per venti anni e passato completamente inavvertito. Fui io, in un discorso pronunciato all'universita di California nell898, a ricondurlo alla luce>>. Viene a mente l'immagine con cui uno scrittore italiano, Giovanni Papini, seguace, nei primi anni del secolo, dei prammatisti d'oltre Atlantica (alia sua rivista, Leonardo, collaborarono sia Peirce che James), tradusse questa ambigua universalita del metoda messo in voga da James: esso e come un corri-
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doio di un grande albergo, che tutti i clienti sono costretti ad attraversare, e che ciascuno attraversa, rna per ritirarsi poi nella propria stanza. Restando nell'immagine, potremmo dire che Peirce e James occupavano stanze diverse. Infatti, per Peirce il prammatismo era un metodo per verificare i concetti astratti mediante le conseguenze pratiche che essi producono, rna la verifica aveva il suo sbocco nello stabilire o meno la verita del concetto, restava, insomma, in un circuito logico; James, invece, assumeva gli effetti. come fini a cui i concetti restavano subordinati, e gli effetti non erano, per lui, quelli oggettivi e sociali, sui quali e possibile una verifica generale, erano gli effetti particolari, sperimentati dal singolo soggetto, e magari gli effetti puramente interiori, come sono eminentemente quelli delle credenze religiose. Peirce, a cui James, nel 1897, aveva dedicato, con accenti di ammirazione, la sua Volonta di credere, mostro di aver colto bene la nuova strada imboccata dal suo amico. «Se la parola fede, cosi rispose al\a dedica, comporta che si abdichi ad ogni vigilanza, al punto di non tener conto dei segni che vi dicono che e venuto il momento di cambiare la vostra tattica, allora, in questo caso, la fede e catastrofica sul piano pratico>>. La divaricazione tra la 'verificabilita pubblica' di Peirce e la 'verificabilita privata' di James risale gia ai tempi del 'Club metafisico', rna trova la sua prima sistemazione nei Principi di psicologia (1890), dove James espone la dottrina, a cui restera sempre fedele, della coscienza come flusso continuo, in opposizione alla dottrina empiristica, nella quale la coscienza era intesa come una aggregazione di atomi psichici. TI passaggio da un attimo all'altro avviene, nel flusso interiore, in una continuita discontinua, nel senso che l'attimo presente assume in se il precedente e viene assunto nel successivo, come nella 'durata' di Bergson, che infatti ebbe James in grande reputazione. Anche le relazioni William James nasce a New York, nel 1842, da un padre, Henry, dominato da una pro(onda inquietudine religiosa. Nel 1861 si dedica agli studi di chimica, per passare successivamente a biologia e a medicina, rna senza entusiasmo ne profitto, perche affetto da gravi disturbi nervosi. Per curarsi e per approfondire i suoi studi di fisiologia, nel 1866 si reca in Europa, dove subisce alcune decisive influenze filosofiche. Tomato in America e raggiunta la guarigione, inizia, a Harvard, dove costituisce un laboratorio di psicologia, il suo insegnamento nella cattedra di fisiologia e, dal 1876, in quella (la prima in America) di psicologia fisiologica. Partecipa alle discussioni del 'Club metafisico' insieme a Peirce e, divenuti dominanti i suoi interessi filosofici, comincia, sempre a Harvard, l'insegnamento di filosofia che manterra fino al1907. NeZ 1890 pubblica la sua unica opera sistematica, I principi di psicologia. Del 1902 e l'altra sua opera di maggiore respiro, Le varieta dell'esperienza religiosa. Altre sue opere importanti: La volonta di credere (1897), che gli da celebritd., Pragmatismo (1907), Un universo pluralistico (1909). Muore nel 1910. Esce postumo, nel 1911, Alcuni problemi di filosofia, curato dal fratello, il grande roma.nziere Henry James, e, nel 1912, Saggi sull'empirismo radicale.
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fra le percezioni psichiche, che Bradley considerava trascendentali (trovandosi costretto, cosi, a porre una coscienza suprema come principia unitario dell'infinito sistema di relazioni, 1Li ), fanno parte del tessuto empirico nel quale non ha sensa distinguere un oggetto e un soggetto, un dato psichico e una forma mentale, anzi, a rigore, non ha sensa nemmeno parlare di coscienza, come principia che stia fuori del flusso. «Coscienza e il nome di una non-entita», la semplice eco del «concetto, ormai svanito, di 'anima'». Per essere intese, tutte le distinzioni operate dall'analisi vanno rituffate nella unita indifferenziata dell'esperienza pura, la cui unica legge e quella di interagire con l'ambiente. La dualita tra soggetto e oggetto, tra interiorita ed esteriorita, va intesa come una funzione emergente dal gioco reciproco fra le impressioni, che noi subiamo dall'ambiente, e le nostre reazioni di risposta, in vista di un adattamento all'ambiente. Il principia che regge, dunque, la dinamica dell'esperienza e quello della selezione delle risposte pili idonee a provocare l'adattamento del nostro organismo (che altro non e se non un 'gruppo' di esperienze pili immediate, nelle quali pili violento e il contrasto con l'ambiente) al contesto in cui l'esperienza si svolge. Il pensiero e, appunto, la funzione selettiva che provvede allo scopo attraverso i concetti. Per capire che sensa abbia un concetto 'vero', basta tener presente la provenienza del pensiero (l'esperienza pura) e la sua destinazione (l'adattamento all'ambiente). Il concetto non chiude in se l'essenza di una cosa, rna l'insieme di quelle sue proprieta che meglio rispondono al nostro piano di azione: «ogni essenza concettuale ha un significato puramente teleologico». Conoscere e progettare, e aprirsi al futuro a partire dal passato, da un passato tanto esteso quanta l'esperienza pura della quale ogni singolo 'io' non e che un punta di concentrazione. Tanti sono i progetti quanti i soggetti, e ognuno diverso dall'altro, in ragione del passato che si determina e si diversifica in base all'accumulo di abitudini contratte, che stanno prima della soglia dell'io, orientandolo nella sua strategia selettiva. E' chiaro, a questa punta, che Ia verita non e il rispecchiamento della realta esterna, e una credenza costruita selettivamente, in base alle esigenze vitali. Dietro quelle che noi chiamiamo verita (scientifiche, morali, religiose) c'e la 'volonta di credere'. E' questa il titolo dell'opera pili celebre di James, che peraltro e solo una raccolta di saggi e di conferenze. Anche a causa di questa sua origine occasionale, La volonta di credere e, dal punta di vista del rigore filosofico, deludente, soprattutto perche non da soluzioni univoche ai problemi centrali posti dal prammatismo radicale di James. Fondamentale, tra questi problemi, e quello del rapporto tra il vero e l'utile. In coerenza con quanta finora abbiamo esposto, James ripete che, fra pili proposizioni in contrasto tra loro, e vera quella a cui diamo la nostra adesione sulla base della conformita aile nostre esigenze vitali. Anche lo scienziato, che cerca le leggi di natura e le formula secondo principi matematici, non fa che rispondere al suo bisogno di un ordine che renda le cose pili maneggevoli. L'evidenza oggettiva nop e che un ideale limite ispirato dalla volonta; cosi come lo scetticismo, che assume il dubbio come regola del pensiero, non e che la formulazione teorica della rinuncia alia volonta di vivere. E tuttavia, in altri
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luoghi, James annovera fra i bisogni anche quello specifico dell'intelletto, che e il bisogno·della verita in quanto tale. Contro gli scettici, James afferma con enfasi «che la verita esiste e che il destino del nostro intelletto e di conoscerla». Ma affermazioni come questa restano nel vuoto, senza sviluppo e senza le premesse che sarebbero necessarie a dar loro un senso conforme alla loro formulazione letterale. E' difficile attribuire all'intelletto un ruolo conoscitivo autonomo, quando si afferma, in coerenza con tutte le premesse, che «la credenza crea la propria verificazione».
11.6 .James: l'esperienza religiosa. In ogni caso, il criteria di verifica di una credenza non e da porre in una istanza intellettiva estema al flusso dell'esperienza: sarebbe come voler far coincidere il flusso della vita con cio che e immobile. E il concetto, nella sua astratta identita con se stesso, e immobile per definizione. Cadono in questo errore coloro che, in nome di una loro visione teorica delle cose, considerano privi di valore, o addirittura negativi, settori interi dell'esperienza, primo fra tutti quello religioso. I fatti ci dicono che, per moltissime coscienze, l'idea di Dio e l'unica garanzia della possibilita di instaurare nel mondo un ordine morale, che nella gerarchia dei bisogni risponde a quello piu nobile e piu irrinunciabile. Non dobbiamo misurare l'esperienza sulla ragione, rna, al contrario, la ragione sull' esperienza, per riconoscere, con Pascal, che ci sono ragioni, quelle del cuore, che la ragione non conosce. Il torto del naturalismo materialistico e di relegare, in nome del primato della scienza, la nostra soggettivita ai margini dell'universo, in un rapporto di irrilevanza nei confronti delle cose, come un viaggiatore nei confronti del treno che corre sui suoi binari. In tal modo, il futuro del mondo resta sottratto alla responsabilita dell'uomo, che e come dire che il futuro, proprio come futuro, resta del tutto negato, dato che nel processo meccanicistico tutto e gia scontato, l'avvenire e gia scritto nel passato. Al naturalismo si contrappone lo spiritualismo, sia quello teistico che quello panteistico. Il teismo (alla cui orbita appartengono anche le chiese cristiane) ha questo di proprio, che considera gli uomini come creature di Dio, il quale, dunque, resta trascendente, 'altro' dagli uomini, ridotti cosi a purl sudditi, cui niente altro si domanda se non l'obbedienza alle disposizioni della provvidenza, vera regolatrice del divenire del mondo. Gli effetti pratici del teismo rassomigliano a quelli del naturalismo materialistico: l'uomo e ai margini della vicenda cosmica e storica. Il panteismo reagisce a questa estraneita reciproca tra l'uomo e Dio ponendo la divinita nel cuore dell'uomo e di tutte le cose. James aveva come collega d'insegnamento un esponente massimo dell'idealismo panteistico, Josiah Royce, il cui sistema autorappresentativo (11.2) riproduceva, in forme nuove, la tesi di fondo del monismo hegeliano. Il punto di vista dell'individuo e, secondo Royce, relegato nei confini della relativita; solo il Tutto possiede la visione onnicomprensiva delle cose, dentro la quale si svolge il destino del singolo uomo, chiuso fatalmente nella sua finitezza e nella sua ignoranza. Da questo suo confinamento l'uoma non puo liberarsi, dato che, per definiziane, tutte le sue domande, tutte le sue ricerche hanno come riscontro un Principia che gia possiede, in esclusiva, tutte le rispaste e tutti i valori. All'uomo tocca tenersi al suo pasta, in passiva conformita al Tutto.
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L'opzione piu rispondente ai bisogni dell'uomo e quella che James chiama del pluralismo. II mondo non e necessariamente un 'cosmo', un tutto ordinato. Esso e in parte caotico, con tendenze locali all'organizzazione, e una realta ((fatta di onde che si seguono in fila indiana e neUe quali nuotano degli esseri finiti». Tra una realta siffatta e Ia logica, non si da nessuna comune misura, rna solo una pluralita di prospettive. II mondo non e un regno o un impero, rna, come la repubblica stellata, una federazione di forze, ciascuna delle quali puo anche non essere in un rapporto immediato con le altre, rna puo muoversi in vista di sempre piu larghi accordi. II mondo e un 'multiverso' che tende a diventare un 'universo'. II successo di questa tendenza unitaria dipende dall'intensita dell'impegno di ciascuna forza e dalla capacita che l'una e l'altra avranno di collaborare per lo stesso scopo. E cosi i destini del mondo ((sono sospesi a un se, o piuttosto a una serie di se». Cio viene a dire, (mellinguaggio della logica, che, essendo il mondo fino ad oggi incompiuto, il suo carattere totale non puo essere espresso che per ipotesi e non certo con proposizioni categoriche». Se, come si e vista, Ia fede e alia radice della stessa conoscenza scientifica, dato che Ia regolarita delle leggi di natura e un effetto della 'volonta di credere', Ia sua funzione diviene, per cosi dire, totale, quando ci inoltriamo dalla sfera della esperienza oggettiva in quella dell'esperienza soggettiva per eccellenza, 1'esperienza religiosa. Non e fuori luogo ricordare che il sentimento religioso James lo aveva sperimentato in famiglia (il padre aveva lasciato Ia chiesa presbiteriana, disgustato dal 'cuore di pietra' del Dio calvinista, per seguire il misticismo visionario di Swedenborg) e che nella sua lunga Iotta contro Ia salute malferma, deluso delle cure scientifiche, aveva fatto ricorso alia 'cura mentale', sconfinando anche neUe esperienze medianiche delle sedute spiritiche. In breve: egli aveva sperimentato l'utilita insostituibile dell"ipotesi Dio'. La comunione con un mondo superiore, comunque esso si voglia chiamare (James non appartenne mai a nessuna chiesa), fa rifluire in noi una energia benefica, il cui prima sintomo e Ia ·pace interiore. Questa esperienza autobiografica James valle verificarla con una complessa ricerca storiografica sulla Varieta delle esperienze religiose (1902). La conclusione della sua ricerca fu che ((Dio e reale, dal momenta che produce effetti reali». Henri Bergson, che fu particolarmente colpito da questa tesi (trent'anni dopo Ia mettera alia base delle Due sorgenti della morale e della religione, 9.9), pur sottolineando Ia tonalita emotiva dell'opera di James (((egli si affaccia sull'anima mistica come noi ci affacciamo, un giomo di primavera, per sentire la carezza della bretza»), non fu d'accordo con chi riteneva che quella di James era soltanto una psicologia dell' esperienza religiosa, senza una vera preoccupazione per il suo valore oggettivo. Come si puo - e in questa Bergson e d'accordo con James - fare appello a una oggettivita di tipo intellettuale in una sfera che, per definizione, e al di fuori delle prese dell'intelletto? Certo, la convinzione della coscienza religiosa circa 1' oggettivita della realta superiore, con la quale si sente in rapporto, non e di per se un argomento probante. Ma possiamo riconoscere una pregiudiziale fortemente favorevole a tale convinzione: nella profondita stessa degli effetti che essa produce, specie nei grandi mistici, e nella speranza che questi diffondono in un continuo progresso della vita e in
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una definitiva salvezza del mondo. La medesima ambiguita si riscontra nella determinazione dell"oggetto~ del~ I'esperienza religiosa; che lo stesso James cosi riassume succintamente, a conclusione della sua opera: [ D mondo visibile non e che una parte dell'universo invisibile e spirit.uale da dove: gli, viene ogni valore; 2. il fine dell'uomo e l'unione intima, armo· niosa con quest'universo; 3. la preghiera, e cioe la comuniOne con questo spirito dell'universo; sia esso Dio o soltanto una Iegge, e un atto che non rimane senza effetto: ne viene un flusso di energia spirituale che puo modificare in maniera sensibile tanto i fenomeni di natura che quelli dell'anima!
Applicando in pieno il suo principia del pluralismo, James non tenta nessuna discriminazione fra le esperienze religiose, si limita a stabilire il loro fondamenta comune, a suo giudizio incontestabile: «il fatto che l'io cosciente si fa una sola cosa con l'Io piu grande da cui gli viene la liberazione». Attorno a questo nucleo comune alle credenze religiose, si danno delle 'su" percredenze', e cioe delle particolari determinazioni di quel nucleo, che hanno la loro radice nella pluralita di prospettive in cui resperienza viene vissuta. Nel contatto col mondo superiore, infatti, si mette in moto quanto; nella nostra anima totale, resta estemo alia soglia della coscienza e che James chiama 'coscienza transmarginale'. Quel mondo superiore che noi sperimentiamo nella vita religiosa non e che il prolungamento della nostra coscienza transmarginale, e se noi lo riteniamo oggettivo, e perche «una delle peculiarita dell'invasione dalle regioni subcoscienti· e quella di assumere un aspetto oggettivo». Qui cominciano le super-credenze; qui il misticismo e le estasi della conversione, e il Vedantismo, e l'ideale trascendentale introducono le loro interpretazioni monistiche e ci dicono che l'Io finito raggiunge l'Io assoluto, poiche esso e stato sempre una cosa sola con Dio, ed identico con l'anima del mondo,. Qui i profeti di tutte le varie religioni vengono con le loro visioni, le loro voci, i rapimen.ti, ed altre manifestazioni, che ognuno di essi suppone debbano autenticare la loro fede particolare (... )
Anche James ha da proporre la sua supercredenza, che e, a dir poco; paradossale. Io credo, dice James, in un 'Dio finito'. Non potrebbe esserci nell'universo spirituale un insieme di Io supremi, non riconducibili a nessuna unita? Basta che ogni anima religiosa si sappia dominata da un Io pili grande, quello che essa chiama Dio, il suo Dio. Un pluralismo del genere risolverebhe piu facilmente anche il terribile problema del male. Dio fa quello che vuo, rna non puo tutto, dato che non e uno, e dato che non e solo. Primus inter pares, e soltanto una delle forze che collab>urano per il destino dell'universo, comprese le nostre forze, che la fede in Dio mobilita per il trionfo sul male e per l'armonia del mondo. E cosi, potremmo dire, tanto per insinuare, appena con un accenno, una legittima perplessita, la formula federativa della repubblica stellata trova modo di insediarsi, oltre che sulla terra, anche nei deli!
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II naturaUsmo umanistico di Dewey 11:7 D nuovo illuminismo. Nella storia, ancora cosi breve, del pensiero americana, John Dewey• occ.upa un posto preminente, per due ragioni. Innanzitutto perche, nella sua lunga attivita produttiva {circa settant'anni!), egli ha attraversato, una dopo l'altra, tutte le varie fasi del pensiero d'oltre Atlantico, convogliandole nel proprio, come fa un fiume degli affluenti. E poi per.che egli ha guidato, .con la sua riflessione critica, il cammino politico del suo paese da1la marginalita all'egemonia, fino a rappresentarne le pretese .di esemplarita universale. Tutto quanto c'e di positivo nell'americanismo {e non e possibile
Jahn Dewey nasce, nel 1859, a Burlington Si laurea ne.l 1884 con una tesi su Kant e comincia, nella stesso, anno la sua carrie:ra presso t'universita del Michigan, dove, come documentano le sue opere di quegli anni, Psicologia (1887) e Lineamentidi una nuova critica dell',etica (1891), compie il suo passaggio dall'idealismo .al naturalismo evoluzionistico. Nel 1894 viene chiamato all'univenita di Chicago, dove fonda la famosa 'scuolalaboratoria·· ispirata alle sue idee pedagogiche, e, nel contempo, avvia, .insieme a George Mead, .un gruppo di ricerca che passeril alla storia come 'scuola di Chicago: Nel 1904 viene chiamato alla Columbia University di New York, .dove rimarra fino al suo pensionamento, nel1929. Crescono, in questi ann~ la sua influenza nella cultura americana e il suo prestigio internazionale, anche a causa del suo impegno per la causa della democrazia (durante il caso Sacco e Vanzetti si schie:r:a, ad esempio, f.ra g.li innocentisti) che fa di lui il1eader ideologico delle tendenze politiche piit progressiste: a lui si ispira, ad esempio, anche i.l New deal ('nuovo corso J .di Roosevelt. NeZ 1928 si reca in Unione sovietica, per studiarvi i sistemi educativi aUora vigenti, e ne da una valutazione, per certi .aspetti, positiva. Negli anni delle 'purghe' stalinia..ne, den uncia vigorosamente le menzogne del sistema sovietico. NeZ 193 7 presiede la commissione di inchiesta sugli addebiti mossi a Lev Trockij e nel 1940 prende le difese di Bertrand Russen fatto oggetto, nel suo paese, di una violenta campagna denigratoria. Resta attivo anche nella sua avanzata veochi.aia. Sia pure in collaborazione, pubblica i.l suo ultimo libra, ll conoscente e i1 conosciuto, all 'eta di 90 anni Muore a New York nel1952. lmmensa la sua produzione. Particolarmente importanti, fra le sue opere, ll mio credo pedagogico (1897), Scuola e societa (1899), Come pensiamo (1910), Democrazia e educazione (1916), La natura .e la condotta dell'uomo (1922), Esperienza e natura (1925), La ricerca della certezza (1929), L'arte come esperienza (1935), Logica come teoria dell'indagine (1938, forse !'opera piit importante: l'autore ha 79 anni!), Teoria della valutazione (1939).
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non riconoscere che, per certi aspetti, l'americanismo e stato, per lunghi decenni, una sola cosa con Ia modernita) e legato al noine di Dewey. Basterebbe ricordare le sue prospettive pedagogiche, che tanta influenza hanno avuto nell'Italia di questo dopoguerra. L'itinerario filosofico di Dewey ha inizio nel clima del neohegelismo angloamericana. Ma il suo contatto con Hegel non fu solo indiretto. Anche se, come tutti gli hegeliani anglosassoni, trascuro di Hegel il principia dialettico, dalle letture dirette del filosofo egli trasse, come elemento irrinunciabile, l'esigenza di una visione unitaria del reale, nella quale ricondurre non soltanto il dualismo tra razionale e reale, tra soggetto e oggetto, rna l'intera complessita dell'esperienza. Fedele a questa esigenza, egli fece propria Ia reazione antipositivista del prammatismo, senza perc accettarne Ia visione del mondo frammentaria o, come diceva James, pluralistica Del prammatismo Dewey condivise, in particolare, Ia critica alla pretesa positivistica di derivare Ia coscienza dalla materia. La sua adesione all'evoluzionismo darwiniano implica il rigetto di ogni semplificazione meccanicistica della trasformazione della specie. Si potrebbe dire che il tentativo di Dewey, in questa fase, e di armonizzare tra loro Ia Fenomenologia dello spirito di Hegel e I' evoluzionismo di Spencer. Sempre piu centrale si fa in lui !'interesse per Ia psicologia, intesa non come una fra le scienze, rna come Ia condizione stessa della costituzione delle scienze, nel senso che e Ia psicologia a mettere in luce i processi conoscitivi di cui ogni scienza fa uso e a consentire l'unificazione delle diverse prospettive scientifiche in un principia che le trascende, Ia coscienza. In questa fase (come documenta il suo volume Psicologia, del 1887) egli si muove ancora nell'area del prammatismo volontaristico di James. Dopo il 1894, sotto lo stimolo delle ricerche logiche, condotte in collaborazione con il gruppo della 'scuola di Chicago', egli si avvicina alia linea di Peirce, precisando quella sua particolare forma di prammatismo che chiamera 'strumentalismo'. Le ricerche successive di Dewey saranno un approfondiniento di questo suo punto d'arrivo, dal Come pensiamo (1910) alla Logica come teoria dell'indagine (1938), nella quale - siamo ormai negli anni '30 - egli fa i suoi conti, prendendone le distanze, col neopositivismo logico (13.16). Un cammino coerente, come si vede, senza 'svolte', nel quale molto ha voluto dire, accanto aile regole autonome della pura ricerca, il rapporto costante con Ia situazione storica, intesa non piu, alla James, nei confini dell'autobiografia, rna nelle latitudini dell'unica vic.enda del genere umano, che Ia rivoluzione tecnologica andava sempre· piu unincando nelle sue strutture e nei suoi obiettivi. Proprio perche organicamente congiunto, al di Ia di ogni distacco critico, alia storia di un paese che si avviava a conquistarsi una egemonia planetaria, il pensiero di Dewey ando assumendo, nel volger dei decenni, il respiro hegeliano di una Weltgeschichte, di una storia universale, ponendosi consapevolmente come nuovo illuminismo, da sostituire a quello angusto del Settecento. Anche lui, come Hegel, tento di periodizzare la storia del pensiero, in modo che Ia fase contemporanea apparisse quella della piena maturita, come era negli auspici del massimo filosofo dell' eta dei 'lumi', Immanuel Kant. La linea discriminante tra il pensiero antico e quello moderno (meglio di-
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remmo, contemporaneo) corre negli anni in cui l'empirismo trovo il suo pieno sbocco nel prammatismo. Fu allora che il pensiero da contemplativo divenne attivo, che la filosofia, per usare illinguaggio di Marx, gia impegnata a descrivere il mondo, si e proposto di cambiarlo. Come si vede, la tesi di Dewey va proprio nel senso opposto a quello di Heidegger, che rimproverava all'eta modema (cominciata, per lui, con Platone) l"oblio dell'essere' (10.13). n tratto caratteristico dell'eta antica, secondo Dewey, e l'estraneita del pensiero alle sorti del mondo, la sua costante orientazione contemplativa, che lo portava a riporre il sensa delle cose e del destino dell'uomo in un mondo sovratemporale, si trattasse delle idee platoniche o del regno dei cieli cristiano o della ragione impersonale che regge le sorti dell'universo di cui parlavano gli stoici. Rientrano nell'eta antica, senza riguardo alia cronologia, tutti i filosofi, da Eraclito a Hegel a Bergson, che relegano il mondo della materia, ivi comprese le operazioni umane volte a trasformarla, nell'irrilevanza a confronto con cio che nel mondo e veramente divino, il Logos, la Ragione, la Durata. E' del numero perfino Spencer, in quanta considera l'evoluzione come un momenta necessaria per raggiungere un equilibria stabile e armonioso. Queste filosofie della paura mirano a consolare l'uomo in preda aile incertezze, al rischio e al dolore. Ad esse si oppone il pensiero modemo, che e il pensiero veramente coevo alia macchina, operativo, volta non a guardare l'oggetto rna a plasmarlo, non a definire le cose rna a farle. A inaugurare questa tempo nuovo e stato Bacone, che capovolse il classico rapporto tra ragione ed esperienza. In lui l'esperienza non e piu l'ancella della ragione, rna, all'opposto, e la ragione che sta al servizio dell' esperienza. E' proprio dell' esperienza misurarsi col rischio per riuscire a dominarlo, integrandolo nei progetti di salvezza dell'uomo. E' questa il nuovo illuminismo: vi vibra la passione messianica dei Padri Pellegrini, che approdarono nel Nuovo Mondo per crearvi la citta degli uomini liberi. Georg Lukacs chiama quella di Dewey «ideologia degli agenti del capitalismo, che si arres.ta ;consapevolmente all'immediatezza capitalistica, una filosofia dei Babbitt». E' un giudizio che vale quanta le rigide premesse da cui Lukacs parte, rna che forse e utile ricordare, ora che l'influenza di Dewey e in declino, in concomitanza col declino delle sicurezze della civilta tecnologica. Anche sul'nuovo illuminismo' stanno scendendo le ombre? 11.8 Equivalenza tra esperienza e storia. L'ingresso nel nuovo illuminismo, e cioe nella filosofia modema, ebbe effettivo inizio con l'empitismo inglese postbaconiano, che fece piazza pulita della dottrina delle idee inml.te, mostrando come esse fossero niente piu che la cristallizzazione di idee empiriche dovute a interessi di classe o di potere. Ne con Berkeley ne con Hume l'empirismo riusci, comunque, a compiere il passo decisivo, quello del superamento della distinzione tra soggetto e oggetto nel flusso indistinto dell' esperienza, che sta prima di ogni .relazione. Questa passo poteva essere compiuto solo dopo la rivoluzione apportata dall'evoluzionismo nel campo delle scienze biologiche. Ora sappiamo che il dato prima dell' esperienza non e il conoscere, e il processo di adattamento dell'essere vivente al suo ambiente, secondo la duplice regola della temporalita - per cui nessun fatto e garantito nella sua durata e
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nella sua disponibilita alla distruzione - e della interazione, e cioe della scambio di azione tra l'organismo e l'ambiente. Se si collocano su questa base naturalistica, i sensi cessano di essere organi di informazione e si rivelano per quel che sono: organi di azione, in vista di una modificazione dell'ambiente. Questa carattere operative resta determinante anche nelle sfere piu alte della conoscenza, e conseguentemente della vita morale. La distinzione tra soggetto e oggetto, tra io e natura, che e il presup· posto delle gnoseologie tradizionali, va considerata, dunque, per que} che e: un espediente dell' esperienza vi tale, destinata a divenire sempre piu complessa in misura della crescente complessita dei rapporti tra organismo e ambiente. La verita e che anche il cosiddetto soggetto non e che un oggetto tra gli altri, da studiare secondo il metoda delle scienze sperimentali, alia stregua degli altri, come un 'apparecchio' messo in atto dalla natura, e niente affatto una sua originaria controparte. Cio che lo distingue dagli altri oggetti naturali e la sua particolare educazione in vista dello scopo, che e, come si e detto, l'interazione tra vita e ambiente. Dello stesso tipo sono gli 'apparecchi' artificialmente creati dall'uomo: essi- non fanno che indicare un piu alto livello di educazione dell'organismo umano, rna anch'essi vanno considerati come momenta della natura, nella sua qualita di esperienza. Infatti, proprio come nei prammatisti, I'esperienza in Dewey cessa di essere un episodic che riguarda le relazioni tra il soggetto-uomo e l'oggetto-natura: essa e una sola cosa con la natura vista nella sua totalita, per cui i due termini della relazione diventano intercambiabili: la natura e, in tutto il suo insieme, esperienza, e I'esperienza e, a sua volta, niente altro che la natura nel suo dinamismo. Potremmo anche dire, con piu proprieta, che l'esperienza equivale al· la storia nella sua interezza, e cioe in quanta comprende sia i dati fisici e fisio· logici, a cui siamo soliti riservare il termine 'natura', sia i dati correlativi della soggettivita umana, che fanno un tutt'uno coi primi, e sene differenziano solo in ragione della loro partico}are funzione all'intemo della globalita. Quale funzione? Alia pari del fuoco o della selce scheggiata, il pensiero non· e che un 'utensile', col quale l'uomo rifinisce e ordina le altre materie naturali. Esso dunque resta costantemente dentro il processo di evoluzione del mondo, con Io scopo specifico di trasformare la confusione, l'ambiguita e la discrepanza in chiarezza, definitezza e consistenza, e non rappresenta affatto un salto da questa mondo a un altro mondo di oggetti, costituiti una volta per tutte dal pensiero stesso. II compito della filosofia e di smembrare analiticamente l'esperienza e di ricostruirla sinteticamente. E, prosegue Dewey: la filosofia diventera moderna, in senso pieno, quando r oggettivismosoggettivismo che essa implica, sara consider-ato come inter-azione comparativa di due distinguibili gruppi di condizioni, in modo che la conoscenza di essi nella loro distinz.ione divenga necessaria perche Ia !oro inter-azione passa essere resa intenzionalmente guidabile.
E' possibile distinguere nella inter-azione fra i 'gruppi di condizioni', in base alla sua crescente complessita, tre livelli di esistenza: fisico, psico-fisico, spirituale, che pero non varmo intesi come livelli gerarchici, dei quali i1 superiore rappresenta il fine cui tende l'inferiore, rna come forme diverse di organizzazione all'intemo di una continuita evolutiva. In altre parole: non ha senso di-
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stribuire la realta in tre regni, dotati ciascuno di una causalita autonoma, come la materia, il principio vitale, Ia sostanza spirituale. I tre livelli non consistono in tre categorie di individui autonomi, rna designano tre diverse forme di emergenza dal tessuto unitario delle inter-azioni. AI livello fisico, si da un equilibria che assicura a un elemento, ad esempio al ferro, la capacita di conservare un proprio comportamento, rna non Ia tendenza a modificare l'ambiente per conservare se stesso. AI livello psico-fisico, Ia inter-azione da luogo a forme organizzate in modo da poter utilizzare l'ambiente in virtu della conservazione di se: di qui lo 'schema organico', in base al quale le parti sono funzionali alla conservazione del tutto e il tutto e ordinato a conservare le parti. La particolare forma di inter-azione con l'ambiente si dice sensibilita. E finalmente, allivello spirituale, l'organizzazione psico-fisica si esprime con la consapevolezza dei significati dell'ambiente entro il quale avviene l'interazione. ll che comporta che lo spirito e in connessione organica con la totalita dell'esperienza, di qualsiasi livello: se Ia conoscenza, che e il suo atto specifico, corrisponde al mondo, come a suo appropriato contenuto oggettivo, nulla di strano, dato che lo spirito emerge dall'intero sistema di inter-azioni che costituiscono la stoffa evolutiva del mondo. Ecco perche la filosofia di Dewey e stata definita 'naturalismo umanistico'. 11.9 Lo strumentalismo logico. L'antica definizione dell'uomo come animarazionale trova conferma nel naturalismo umanistico deweyano, poiche in esso il compito del pensiero umano e di cogliere quanto vi e di intelligibile negli eventi e nelle cose, e cioe di cogliere i loro significati Ma mentre per gli aristotelici i significati si identificavano con le essenze delle cose, che l'intelletto doveva limitarsi ad assumere in se mediante il processo di astrazione, e mentre per i soggettivisti moderni essi sono prodotti dall'uomo nel momento in cui egli si ripiega nella propria interiorita, per Dewey i significati sono metodi di operazione usati dall'uomo nel suo sforzo di integrazione con la realta. n significato e, dunque, nello stesso tempo, dato al pensiero e creato dal pensiero: e dato, in quanto i suoi termini sono potenzialmente gia inscritti nella situazione che il pensiero deve risolvere; e creato, in quanto l'uomo considera la situazione non nella sua immediatezza rna nelle sue possibili conseguenze, una volta che l'avra assunta nel suo progetto. Cosi, ad esempio, il significato del fuoco e, per un verso, gia presente nell' elemento, rna si fa reale quando l'uomo anticipa, nella sua mente, l'uso che ne potra fare, come la cottura del cibo o la difesa dall'inclemenza del tempo. E questo procedimento non e individuale: il progetto, con cui l'uomo affronta il problema inerente alla situazione e lo risolve nel significato, e un progetto condiviso con altri uomini, che hanno in comune con lui l'esigenza di dominare le minacce dell'ambiente. Da questo stato di cooperazione nasce il fenomeno della comunicazione interumana, il cui segno e il linguaggio. n linguaggio e, dunque, per un verso, il prolungamento delle precedenti attivita organiche dell'uomo e, per l'altro, l'espressione creativa di quel miracolo della comunicazione, in confronto al quale, dice Dewey, «impallidisce quello della transustanziazione». E' in seno alla comunicazione interumana che lo spirito dell'uomo si costituisce come persona, e come tale emerge di continuo dal gruppo sociale, in l~
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quanto percepisce le possibilita che si aprono al di la dell'equilibrio raggiunto. Se lo 'spirito soggettivo' si identificasse con l'ordine gia precostituito, non si darebbe la coscienza, che presuppone di per se il dubbio, la disposizione al rischio. Nello stato di sospensione determinato dall'incertezza, metaforicamente saliamo sempre su un albero; ci sforziamo di trovare un punto di vista dal quale esaminare nuovi fatti e dal quale, una volta raggiunta una veduta che ci faccia meglio dominare Ia situazione, decidere come stiano i fatti nella loro relazione reciproca.
Cosi nasce l"idea', che dunque non e un rispecchiamento della realta, e la visione prospettica delle conseguenze possibili implicite in una situazione e controllabili nella verificazione sperimentale. Questa origine strumentale dell'idea toglie senso alla contrapposizione tra giudizi scientifici e giudizi morali: gli uni e gli altri sono, sia pure in modo distinto, due mezzi per attuare certi risultati. Sono gia poste, cosi, le premesse per una piu precisa definizione di quello strumentalismo logico al cui approfondimento Dewey attese, si puo dire, per tutta la vita, e che ebbe la piu compiuta formulazione nella Logica come teoria dell'indagine, del 1938. Dopo Darwin e dopo Einstein, non e piu possibile tenere in vita (ed e questo che invece per lo piu avviene) il pregiudizio ontologico che presuppone l'esistenza di un soggetto conoscente e di un oggetto conosciuto. Nell'epoca in cui si assommano le scoperte di Darwin e queUe di Einstein, occorre dare una nuova soluzione al problema logico-epistemologico, di cui Dewey traccia una storia in tre tappe distinte. La prima tappa e quella che Dewey chiama dell' autoazione: secondo la logica aristotelica, gli oggetti sono dotati di capacita intrinseche di comportamento. I corpi, ad esempio, si muovono per virtu propria, secondo le tendenze naturali dei quattro elementi del mondo e della 'quinta essenza' di cui sono formati gli astri. Galileo apri la seconda fase, quella della inter-azione, quando dimostro che il movimento dei corpi dipende non da una potenza intrinseca rna da un sistema di condizioni connesse e interagenti. La terza e quella resa possibile dalla prospettiva evoluzionistica, in cui l'uomo non puo essere piu considerato un essere superiore, dotato di facolta che gli permettono di contemplare dall'alto il mondo in sviluppo. Egli non e che un membro di questo mondo in divenire, e come tale non e in possesso di una sua logica da applicare al mondo, dato che gli strumenti logici sono anch'essi un aspetto dello svolgimento del mondo. Quando Eins_tein ha spazzato via la concezione newtoniana, che basava i processi del mondo su leggi immutabili e su,particelle inalterabili, svelando che la dimensione tempo coinvolge sia gli oggetti dell'indagine sia i suoi soggetti (13.11), ha portato a compimento la terza fase, che Dewey, con termine commerciale, chiama della transazione (transaction), perche rassomiglia a un accordo di compera o vendita tra le parti (il soggetto e l'oggetto dell'indagine), basato su reciproche concessioni. Le forme logiche non hanno, dunque, una loro esistenza autonoma, ne alla maniera aristotelica, ne alla maniera kantiana, perc he esse emergono dall' effettivo esercizio dell'indagine, si tratti pure di quelle in uso nella matematica, il
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cui atto di nascita, dal punto di vista storico, e come quello della metallurgia. «Gli uomini cominciarono a contare e misurare ·le cose proprio come cominciarono a batterle e a bruciarle)). Solo con questa riserva, le forme logiche possono diventare oggetto di una analisi specifica, formale appunto, che prescinda dai loro contenuti. La ricerca di quali siano le forme logiche fa corpo con l'analisi del processo dell'indagine, di cui la logica e strumento. Secondo la definizione che ne da lo stesso Dewey, l'indagine e «la trasformazione controllata e diretta di una situa- · zione indeterminata in un'altra che sia determinata nelle distinzioni e relazioni che la costituiscono, in modo da convertire gli elementi della situazione originale in una totalita unificata)). L'indagine, dunque, parte sempre da uno stato di crisi di una situazione data, che non e soltanto crisi soggettiva, e cioe passaggio dalla certezza al dubbio, rna e trisi oggettiva, e cioe e una rottura dell'equilibrio tra sistemazioni organiche e ambiente. Perche la 'situazione indeterminata' possa dar luogo a una indagine, deve contenere in se gli elementi per una possibile soluzione, ed e in correlazione a essi che viene posta -dal soggetto l'ipotesi di soluzione, e cioe un'idea che prefiguri cio che avverra qualora si pongano in atto certe operazioni destinate ad unificare in una nuova situazione determinata gli elementi selezionati nella situazione presente. In questo processo non si danno, nella mente dell'uomo, principi a priori in base ai quali risolvere il problema. Le conoscenze, il cui uso immediato favorisce la 'transazione' conoscitiva, non sono immediate, sono, a loro volta, il prodotto dell'esperienza. Anche le cosidette 'proposizioni atomiche' (13.2), che il neopositivismo logico sostituisce ai 'principi primi' della tradizione, non sono che i risultati consolidati di indagini precedentemente condotte, sui quali non sarebbe conveniente (tutto qui!) ritornare per verificarne la fondatezza. Anche in questo senso, la conoscenza e transazione, come dire compromesso, perfettamente conforme alia natura dell'uomo che, lo ricordiamo. con le parole di Dewey, «e una fase del processo cosmico, con tutte le sue attivita, incluse le sue conoscenze, le sue stesse indagini sulle proprie conoscenze, in quanto sono esse stesse elementi di conoscenza)). 11.10 La totalita dell'esperienza umana. L'intelligenza umana e, in virtu delle sue matrici biologiche e culturali, dalla parte della realta, con la quale intrattiene rapporti di contrattazione, e tuttavia supera la realta, nel senso che trae dalle condizioni che la realta le pone i mezzi per porre a sua volta le proprie condizioni. E' quHl nuclei> del naturalismo umanistico di Dewey. Ed e in questa nucleo che trovano senso unitario le operazioni molteplici, che siamo soliti distribuire in settori distinti, come la morale, I'estetica, la religion e. 1. La morale non e, per Dewey, che un aspetto della logica strumentalistica appena spiegata. La condotta dell'uomo, interpretata nel quadro dell'esperienza, non e soggetta a nessuna nozione di bene che preceda e trascenda I'esperienza: il bene e, caso per caso, la via operativa che consente di uscir fuori dalla situazione di crisi dell' equilibria tra organismo e am biente e di restituire cosi alia attivita umana il suo corso e il suo scopo. La via giusta non e, dunque, ne quella della pura intenzione, che mette in non cale i risultati effettivi della deliberazione operativa, ne quella dell'utilitarismo, che basa la scelta morale sui
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cakoio delle perdite e dei guadagni in rapporto al fine supremo, che e l'accumulo della maggiore quantita possibile di piacere. In confronto, e piu accettabile la morale fonnale di Kant, che esclude, si, la considerazione dei risultati pratici dell'azione (ed e qui il suo limite), rna lo fa per rimettere il giudizio di valore a un principia che va al di la degli esiti particolari e abbraccia virtualmente quei risultati che rappresentano il vantaggio massimo peril genere umano. Solo che Kant non teneva nel debito conto il fatto che «un individuo viene in possesso di una morale cosi come eredita la lingua del suo gruppo sociale». L'etica riguarda, in prima istanza, le 'classi di scelte e di comportamenti' nelle quali, mediante Ia selezione del gruppo sociale, gli impulsi si sono consolidati, in base alla valutazione del gruppo, in 'abiti' buoni o cattivi che costituiscono, nel loro insieme, il carattere di un individuo. Questa eredita sociale di condizionamenti e di predeterminazioni non va pregiudizialmente rifiutata, va soltanto sottoposta a verifica. Ed e qui che si a pre la possibilita di un' etica intesa come scelta, che trascende l'orizzonte delle abitudini e si pone quale istanza creativa, proprio come la coscienza di Bergson trascende la 'morale chiusa' in nome della 'morale aperta' (9. 9). Ma Dewey e alieno da ogni dualismo. La scelta morale che si oppone all'etica del gruppo deve rispondere a due requisiti: la ricerca e l'invenzione. Nel momento della ricerca, entrain campo la legge dello strumentalismo logico, con le sue richieste di analisi realistica della situazione. E t' invenzione non e affatto la stessa cosa che lo spontaneismo arbitrario: essa deve proporre una soluzione che giovi davvero al miglioramento della condizione umana (e la linea del 'migliorismo', che Dewey contrappone al 'pessimismo' e all"ottimismo', due forme ingenue di razionalita) in rapporto, ancora una volta, all'equilibrio tra esigenze della vita e minacce dell'ambiente naturale e storico. 2. Nemmeno l'attivita estetica puo essere isolata dal continuum dell'esperienza, cosi come non e possibile isolare le vette dei monti dal territorio da cui emergono. In polemica contro l'estetismo e, piu in genere, contro la considerazione deU'arte come attivita a se stante, Dewey mira a 'naturalizzare' la dimensione estetica, facendone una qualita generale dell'esperienza, e cioe identificandola con quella componente di godimento che accompagna sempre l' esperienza, quando questa realizza il proprio fine. Ecco perche rientrano nella sfera estetica non solo le opere d'arte propriamente tali, rna tutte le manifestazioni urnane, compresi il gioco e la danza, in cui l'equilibrio tra organismo e ambiente raggiunga i modi della compiutezza. Mentre la tecnica realizza anch'essa un ordine tra il soggetto e 1'oggetto, rna lo fa in modo che il fine raggiunto e ~estrinseco al processo con cui e raggiunto, nell'arte il processo e il fine raggiunto in qualche modo coincidono, in una felice sintesi. E' possibile, dunque, analizzare l'attivita estetica secondo due livelli. 11 prirno e quello in cui la produzione artistica appare come coestensiva all'esperienza umana in quanto tale, e percio ne riproduce i caratteri, compreso quello della ricerca di una soluzione alla situazione di urto tra impulso vitale e ambiente. La specificita dell'arte si determina nel modo particolare con cui l'emozione, generata dall'urto, viene vissuta. L' emozione estetica non e come il grido o il pianto o l'esultanza che accompagnano normalmente il conflitto e il suo
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superamento. L' emozione si fa estetica quando viene vissuta in pieno accord a col cumulo di esperienze sociali e individuali che l'artista ha incorporato in se, rna in modo (ed e proprio qui che insorge il valore estetico) da attrarre quegli elementi, contenuti nella situazione, che sono idonei a dare all'emozione un'espressione ricca di significato per tutti, perche e riuscita a modellare, in modo conforme a se, i materiali fisici e psicologici che ha a disposizione. L'arte non espone i significati, li espn:me. In piu di un momenio la dottrina estetica di Dewey viene a coincidere con quella . di Benedetto Croce, che esporremo nel prossimo capitola (12.4): ad esempio, nel dare valore conoscitivo alia 'categoria' estetica e nel definire l'arte come espressione ·di un sentimento. Cia che invece resta tipicamente deweyano e il nesso organico tra l'attivita estetica e la struttura sociale dell'esperienza, un nesso che Dewey sviluppa fino a concedere valore estetico anche ai prodotti della tecnologia recente, che sono diventati beni di consumo della civilta di mas sa. 3. Come l'arte, cosi anche la religione appare, in ogni tempo e in ogni luogo, una costante dell'esperienza umana. In una sua conferenza del 1934, Una fede comune, divenuta subito celebre, Dewey compie un'analisi critica della dimensione religiosa dell'esperienza, con un risultato analogo a quello raggiunto nel campo dell' estetica: una cosa so no le religioni istituzionalizzate, con i lora dogmi, i lora riti, le lora gerarchie, una cosa Ia religiosita, che e invece una dimensione tipica dell'esperienza in quanta tale. Potremmo dire che, come Kant, anche Dewey tenta di ridurre Ia religione dentro i confini della ragione, rna lo fa in ottemperanza al suo concetto di ragione, strettamente connesso aile fasi storiche dell'esperienza umana: La storia sembra presentare tre stadi, nel suo processo di sviluppo. Nel primo stadio le relazioni umane erano concepite come talmente infette dai mali della corrotta natura dell'uomo, da richiedere una redenzione che scaturisse da fonti esterne e soprannaturali. Nello stadio successivo, cio che in queUe relazioni appare significante e scoperto essere affine ai valori considerati come specificamente religiosi. Questo e il punto a cui sono pervenuti i teologi di tendenza liberale e progressiva. Quel che si dovrebbe comprendere nel terzo stadio e che, di fatto, i valori celebrati in quelle religioni che posseggono elementi ideali, sono idealizzazioni di cose caratteristiche della naturale associazione degli uomini, le quali sono state poi proiettate in un regno soprannaturale per esservi conservate con sicurezza e garantite da sanzioni.
Dewey non propugna affatto la scomparsa delle chiese, si limita a indicare ad esse una via per diventare, c_ome egli dice, veramente 'cattoliche', cioe conformi all'universalita dei nuovi 'ideali, maturati nella 'naturale associazione tra gli uomini', come la pace e la giustizia. La via che dovrebbero seguire e quella della rinuncia a riferire quegli ideali a un soprannaturale di cui rivendicare il monopolio, e dell'impegno a dar lora corpo e sangue nella realta sociale. Da parte sua Dewey, nel trattare della religione, sembra aver preso le distanze dal suo 'naturalismo', data che la dimensione religiosa, di cui afferma l'assoluta importanza, ha come suo contenuto non pili i valori che saranno reali, di necessita, nel corso dell' evoluzione umana, rna i valori che me rita no di essere reali, e, appunto per questa, anche se mai fossero realizzati, sono gia fin d'ora universali e permanenti, idee regolative senza delle quali la storia umana
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perderebbe di sensa. Essi infatti si pongono dinanzi al divenire dell'uomo come dei fini onnicomprensivi, che investono l'essere umano nella sua totalita, anche se trascendono la sua capacita di averne cognizione razionale. Proprio per questa, nella lora sfera e di pieno diritto l'immaginazione, perche e proprio attraverso il linguaggio delle immagini e dei simboli che essi determinano nell'uomo una completa devozione e, al di la della stato emotivo, una profonda unificazione interiore. In ogni tempo e in ogni luogo, la fede religiosa ha portato con se una specie di postulato: quel che deve essere, e che, proprio per questa, ci si presenta quale ideale assoluto, nella realta piu profonda e gia. Dinanzi a una formula come questa, Dewey ha solo una riserva: che l'identita tra l'ideale e il reale non sbocchi nel dualismo platonico e, piu in genere, soprannaturalistico, secondo il quale cia che nella prospettiva storica attende di diventar realta, in un'altra sfera e gia reale. Una simile illusione basta a togliere sensa all'impegno terrestre dell'uombo. Non per nulla, 1~ dove si eclissa ildsoprann ~turalismo, na see, come sua om ra immancabi1e, agnosticismo o ad irittura ateismo. Que1la formula vale invece qualora venga intesa come l'espressiene del nesso che stringe tra lora l'universo nelle condizioni ideali verso cui muoversi e l'universo nelle sue condizioni reali, o meglio nelle potenzialita che in queste condizioni si nascondono. Per esprimere questa nesso egli non ha nessuna difficolta a far usa del nome di Dio, a condizione che con questa nome non si reintroduca la falsa nozione di un Essere gia permanentemente reale, rna si intenda semplicemente la sintesi di tutte le possibilita ideali, risolte in una proiezione immaginativa.
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11.11 Democrazia ed educazione. L'idea della democrazia, e cioe l'idea della liberta, dell'uguaglianza e della fratemita, e propria di una societa in cui, caduta ogni distinzione tra il sacra e il profano, tra Ia chiesa e lo Stato, diventano una sola cosa l'organizzazione divina e quella umana della convivenza sodale. Agli occhi di Dewey, la democrazia, assunta nelle forme che si era data nella Nuova Inghilterra, era il regno di Dio nella forma secolarizzata voluta dalla ragione, e portava con se non solo il superamento dell' eta sacrale, rna anche il trionfo sulla naturalita immediata dell'uomo sociale, soggetto a leggi meccaniche e quantitative. La democrazia e il regno delle 'persone', non delle case. Ma la realta che Dewey aveva sotto gli occhi, specie a partire dal 1929, l'anno della grande crisi, sembrava fatta apposta per smentire la sua sicurezza teorica. Egli reagi alia smentita dei fatti, approfondendo la sua analisi critica delle forme che la democrazia aveva sviluppato nel suo paese, vedendo in esse, portati al limite, i vizi intrinseci aile leggi che, fin dalle sue origini nella madre patria inglese, avevano govemato la formazione della democrazia capitalistica. II liberismo di mercato aveva, da una parte, incentivato la concorrenza del capitale fino a generare le forme monopolistiche piu incontrollabili, dinanzi aile quali lo Stato si trovava del tutto impotente e, dall'altra, aveva sviluppato nelle masse forme di vita collettivizzate, in cui si esercitava i1 controllo economico, tanto nei luoghi di lavoro (siamo negli anni del trionfo della teoria di Taylor sulla razionalizzazione delle operazioni del processo produttivo), sia nei vari momenti della comunita civile. In questa sviluppo parallelo del potere monopo-
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listico, capace ormai di controllare, ai suoi fini, l'intera societa, e della totale soggezione dell'individuo alia logica economica, non c'e posto per lo Stato, le cui leggi, anzi, vengono volte a proprio vantaggio dai detentori del monopolio. E cosi gli Stati Uniti sono diventati una immensa societa per azioni, nella quale le gloriose liberta civili rischiano di diventare poco piu che un nome. Fin qui l'analisi di Dewey sembra ricalcare quella marxista. Ma nel cercare le radici di questa contraddizione tra l'idea associativa, che regola la vita della democrazia modema, e l'individualismo economico, che non riconosce altra Iegge se non quella della Iibera concorrenza, Dewey rifugge dalla 'semplificazione marxista', cioe dalla latta di classe come chiave di lettura della contraddizione. ll principia della Iotta di classe e, per Dewey, non il risultato di una conoscenza scientifica della societa, rna una deduzione astratta dalla dialettica hegeliana. La contraddizione del sistema capitalistico va ricondotta al conflitto tra elementi della natura umana e condizioni culturali storicamente date, che e un conflitto perenne dell'evoluzione. Isolare un suo aspetto momentaneo, quello economico, per fame un assoluto, e commettere un errore di unilateralita. Il conflitto va affrontato rispettandone le complessita, secondo le regale stabilite dallo sperimentalismo logico. E intanto, va accettata la situazione di fatto (come dire, il sistema capitalistico) per discemere al suo intemo le possibilita di organizzare una nuova 'pianificazione' produttiva (non imposta dall'alto, come in URSS, rna pasta dalla societa a se stessa) e di mettere in atto un nuovo sistema di poteri, capace di controllare le forze sociali col massimo di garanzia di liberta per gli individui. Dal conflitto si esce solo mediante la scienza, che e l'unica forma conoscitiva al livello dei problemi posti dalla societa tecnologica. 0 la scienza, o lo scatenamento delle forze irrazionali.
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Se il controllo della condotta si risolve in un conflitto fra desideri, senza la possibilita che i desideri e i fini siano determinati in base. a opinioni scientificamente sicure, allora l'altemativa pratica e Iotta e conflitto fra le forze irrazionali per controllare i desideri.
L'errore dell'attuale democrazia e di aver confinato la scienza a questioni puramente tecniche: se essa fosse chiamata a regolare il rapporto tra i desideri e i fini, avremmo, gia per questo, un mutamento rivoluzionario in morale, in religione, in politica e nell'industria. Ormai non si da democrazia senza metodo scientifico. Che, come· ogni altra espressione sociale, anche la scienza possa essere manovrata dai potentati economici secondo i propri interessi, e un fatto che non sembra preoccupare adeguatamente il Dewey illuminista. La ricerca scientifica, egli dice, e ormai ricerca di gruppo: si tratta di dilatare questa sua caratteristica, facendo leva sui fatto che «ogni nuova scoperta appartiene alia comunita dei lavoratori». Pertanto, «ogni nuova idea, ogni nuova teoria, dev'essere sottoposta a questa comunita per la conferma e peril collaudo». Un programma del genere non potn1 non des tare I' opposizione dei conservatori, le cui idee e i cui caratteri sono un «retaggio dell'eta tramontata». «
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razionalita (come dire, una razionalita che non ha compiuto il balzo scientifico), considerano l'uomo come immodificabile, vincolato a 'leggi di natura' come l'istinto della proprieta privata e quello dell'aggressivita; sono loro che, ritenendo inevitabile l'uso della violenza, convalidano l'opinione diffusa che «OVUnque regna l'inevitabile, l'intelligenza non puo essere adoperata». ll lora vantato realismo, piatto adeguamento all'esistente, e correlativo all'idealismo di colora che isolano i significati delle case e li pongono, in modo religioso o spirituale, al di fuori degli oggetti. Gli uni e gli altri, i realisti e gli utopisti, mettono in risalto l'aspetto 'universale' del conoscere, mentre quelli che davvero promuovono il progresso e si sforzano di cambiare le credenze tramandate, accentuano il fattore individuale della conoscenza. E' facile capire, a questa punta, come democrazia ed educazione siano, in radice, la stessa cosa. L'assolutismo politico e il frutto e la causa dell'educazione di tipo dogmatico, il cui modulo spaziale e l'aula scolastica, con la serie delle file dei banchi in cui gli alunni, in una disciplina che li mette gomito a gomito e insieme li separa, ascoltano colui che espone lora il sapere gia saputo. Nella democrazia, l'alunno e il vera protagonista della ·propria formazione e, data che ormai siamo in una democrazia tecnologica, al centro del processo formativo c'e illavoro. La pedagogia 'attiva' di Dewey si ispira all'idea che Ia creatura vivente e una parte del mondo, che condivide le vicissitudini e le sorti di esso e che si puo procurare Ia sua sicurezza, nella sua dipendenza precaria, solo con l'identificarsi intellettualmente con le cose che le stanno intorno, e prevedendo le future conseguenze di cio che avviene, col dare una forma adeguata aile sue attivita. Soltanto se l'essere vivente, che sperimenta, partecipa intimamente aile attivita del mondo al quale appartiene, la conoscenza e un modo di partecipazione, che ha tanto piu valore quanto piu opera effettivamente. Essa non puo essere Ia vana opinione di uno spettatore disinteressato.
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Questa idea comporta che si ponga fine alia divisione tradizionale tra educazione umanistica, riservata aile classe dirigenti, ed educazione tecnica, riservata ai futuri lavoratori. Le scuole devono essere fomite di laboratori, di botteghe, di giardini, da far valere come veri centri del processo formativo, destinati a sostituire l'orecchio che ascolta e il libra di testa che sostituisce l'orecchio. Illavoro manuale, ristabilendo nel ragazzo l'unita dell'esperienza naturale, puo unificare attorno a se, in modo intuitivo, le varie branche del sapere, che adesso invece vengono praticate in modo formale --·letteratctra, storia, geografia, aritmetica, ecc. -, e cioe separate dalla realta della vita. E' per questa via che si puo fare della scienza, o meglio dell'atteggiamento scientifico, la qualita comune dei cittadini democratici e, per lora mezzo, si puo far compiere alia democrazia il salto di qualita di cui ha assolutamente bisogno. A questa punta, e forse giusto sollevare un dubbio sul metoda di Dewey, o meglio sulla concezione che lo sorregge. Si c gia detto dell'astrattezza con cui la scienza viene, da Dewey, considerata immune dalle degradazioni strumentali o, comunque, in se stessa neutrale nei confronti delle ideologie dominanti. Occorre aggiungere, ora, che l'esaltazione del lavoro come momenta essenziale del processo educativo riflette sicuramente le esigenze della nuova cultura. So-
11 - II naturalismo umanistico di Dewey
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lo che il lavoro, collocato nell'oasi educativa, e epurato proprio di quel suo rapporto con l'intero processo produttivo, a cominciare, ad esempio, dalla remunerazione salariale, che nella vita effettiva da allavoro una cosi drammatica concretezza e ne fa il luogo di confluenza delle contraddizioni della intera societa. II lavoro e visto ancora, insomma, con immediatezza ingenua, e non con la necessaria mediatezza critica. I1 nuovo illuminismo sembra riprodurre i limiti dell'antico.
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12- Sommario
Sommarlo Forse nessun pensatore, nella storia culturale italiana, e stato cosi organico al proprio tempo come Croce nei primi decenni del secolo, durante i quali, insieme a Gentile e poi da solo, promosse e diresse il rinnovamento intellettuale del nostro paese (12.1). Egli arriva alla filosofia dagli studi storici, e precisamente dal tentativo di risolvere il problema se la storiografia rientri nella forma scientifica o in quella dell'arte. Mosso da questo interesse speculativo, e provocato da un saggio di Labriola, intraprende lo studio del marxismo, in particolare dei rapporti tra economia e storia (12.2). Per tali vie egli precisa un primo abbozzo della sua 'Filosofia dello Spirito', che in seguito sviluppera in un vero e proprio sistema, alla cui base c'e la 'dialettica dei distinti', nella quale i momenti dello Spirito si succedono circolarmente, senza negarsi: la negazione hegeliana e posta all'interno di ciascuno di essi (12.3). ll primo momento e quello estetico: l'arte e conoscenza, anche se non concettuale rna intuitiva; e sintesi tra immagine (intuizione delparticolare) e sentimento, autonoma in rapporto alle altre categorie, compresa quella etica (12.4). La conoscenza universale si ha nella sintesi tra concetto e intuizione: tutte le conoscenze che non hanno l'universalita del concetto, come quelle scientifiche, sono di tipo pratico, rientrano nella categoria dell'utile (12.5). II terzo e il quarto momento, l'economico e l'etico, in sui si esplica l'attivita pratica, esprimono Ia volizione ·del particolare (doe dell' utile) o dell'universale (cioe del bene). Molta importanza ha· in Croce l'autonomia dell'economico, che assume in se, in modo promiscuo, tutte le attivita (ad esempio quella giuridica) che non rientrano nella conoscenza estetica o logica, e che non hanno l'universalita dell'atto morale, il cui oggetto proprio, per altro, rimane generico e inconsistente (12.6). A parte i giudizi 'definitori', che appartengono al momento logico, ogni altro giudizio e sempre sintesi tra 1 l'universale e il concreto, e cioe un giudizio storico: se giudizio sui passato, esso rivela la 'necessita' di cio che e accaduto, se su cio che si deve compiere, esso e norma dell'azione (12.7). Anche Gentile vive in stretta connessione con Ia storia del nostro paese, rna in modo drammatico, perche diventa filosgfo del r~gime fascista e ne segue la sorte (12.8). Piu autenticamente hegeliano di Croce, trasforma, pero, Ia dialettica degli opposti, risolvendola per intero nell'atto del pensare, secondo Ia lezione di Bertrando Spaventa (12.9). La sua filosofia si dice 'attualismo', appunto perche, negata Ia pluralita delle categorie (in polemica con Croce), egli assume tutto il reale, sia oggettivo che soggettivo, nell'unica categoria, l'atto del pensare (12.10). In quanto movimento triadico tra pensante, pensato e atto del pensare, la logica e logica del concreto; quando invece il pensato viene considerato in se e analizzato nella sua molteplicita, Ia logica e detta deli'astratto (12.11). Ne deriva la piena identita tra storia e filosofia (d'accordo con Croce), rna anche l'identita tra filosofia e storia della filosofia: l'intera filosofia passata ha senso nel pensiero che attualmente la pensa (12.12). Con queste premesse, Gentile da una soluzione suggestiva del problema pedagogico: il processo educativo e sintesi vivente tra educatore ed educando nell'autocoscienza trascendentale, e cioe nel riconoscimento attivo della loro comune umanita (12.13).
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Non si da filosofia del soggetto dell'atto (di qui l'accusa, sollevata da Croce, di 'misticismo'), rna solo dei tre momenti in cui l'atto si dispiega: l'arte, che e il momento in cui, prima della sua piena oggettivazione, l'oggetto resta ancora nell'atmosfera del soggetto, e doe nel sentimento; la religione, che, al contrario, e l'esaltazione dell'oggetto, dinanzi al quale il soggetto nega se stesso: se l'oggetto e Iiberato da ogni limite e la negazione del soggetto e totale, abbiamo il monoteismo. Nel Cristianesimo l'oggetto ritorna a se stesso, nell'interiorita della fede, rna allora la religione si risolve in filosofia (12.14). Nel concreto storico, la via per raggiungere la piena conformita dell'individuo con l'Assoluto si ha nello Stato, sintesi tra spontaneita e autorita: io Stato etico, di cui, per Gentile, quello fascista doveva essere l'incamazione (12.15).
Croce: itinerario 12.1 Croce e Ia cultura italiana. «Nella moderna letteratura non vi e niente di simile a questa complesso coordinato di lavori che ora l'Italia possiede, nei quali si compie il giro di tutti i problemi attuali nelle varie discipline filosofiche, dando di essi piena informazione, e insieme li si pone in vivo ricambio con l'indagine storica nei vari suoi campi della politica, della morale, della filasofia e dell'arte. Raro e il possesso dell'enciclopedia filosofica, rna piu rara ancora l'unione effettiva di questa con l'esperienza e la pratica dell'indagine storica: il che conferisce all'opera del Croce la sua fisionomia singolare e l'efficacia educativa che ha esercitato ed esercita sugli intellettuali». Pare impossibile, rna questa solenne encomia di Benedetto Croce· e stato composto, come premessa al Catalogo delle sue opere, dallo stesso Benedetto Croce, nel 1940. Se oggi non ci e possibile leggerlo senza un qualche disagio, e perche il corso delle case e, congiunto ad esso, il corso delle idee sono stati tali da rendere smodata una cosi candida espressione di autocompiacimento, specie se si riflette che essa fu resa pubblica proprio mentre la seconda guerra mondiale stava per ridurre in polvere il quadro storico su cui Croce, emulo anche in questa di Hegel, aveva costruito la sua enciclopedia filosofica. Ma se ci si colloca nel suo tempo - un tempo durato circa mezzo secolo - la definizione data da Croce della sua opera ci appare sostanzialmente rispondente alla verita delle case. Nessun altro pensatore della storia italiana fu mai cosi organico alla societa, o, se si vuole essere precisi, al suo ceto intellettuale, e per una cosi lunga serie di generazioni. L'egemonia di Croce era consolidata a tal punta che perfino il fascismo si trovo costretto ad averne riguardo, stabilendo con lui - e cioe con la sua attivita di pensiero, che aveva come organa la rivista Critica, e con il cenacolo dei suoi discepoli - un concordato analogo a quello formalmente stipulato con la chiesa cattolica. E difatti, quello di Croce fu, dagli inizi del secolo fino alla Resistenza, un vera e proprio pontificato, i cui modi di esercizio avevano perfino i tratti della sacra solennita e del dommatismo senza appelli. Nessuno, in Italia, poteva occuparsi con successo di cultura senza fare i conti con lui. In qualche modo, anche Gramsci rimase, se pur con totale liberta, dentro la sua orbita. C'e chi lo ha paragonato ad Erasmo. Solo che Erasmo, nell'Europa della prima meta del Cinquecento, era davvero la coscienza aperta al futuro, quella coscienza che, chiuse finalmente le guerre di religione, trovera la sua stagione nel secolo dei lumi. Croce, invece, non si e
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mai Iiberato del tutto di quel certo provincialismo culturale di cui e documento anche Ia pagina che abbiamo citato. Che per suo merito l'Italia possedesse quel che in nessun altro paese la moderna letteratura filosofica aveva saputo creare, appariva verita accettabile solo a chi, come Ia generalita degli intellettuali italiani, viveva piu o meno isolato dal dibattito che, proprio tra la fine dell'Ottocento e i primi del Novecento, si aridava sviluppando in Europa, ponendo le premesse di una rivoluzione scientifica, del cui valore filosofico Croce non ebbe nemmeno il presentimento. E' senza dubbio settaria la sentenza di Lukacs, che giudica quello di Croce «un sistema d'irrazionalismo per l'uso borghese e decadente del parassitismo dell'e-
Benedetto Croce nasce a Pescasserol~ nel 1866. Compie i suoi primi studi a Napoli, dove, ancora liceale, ascolta le lezioni di logica di Bertrando Spaventa, cugino del padre. In vacanza nell'Isola d'Ischia, a Casamicciola, il 28 luglio 1883 resta sepolto sotto le macerie provocate da un terremoto, che uccidono i suoi genitori e la sorella. Si rifugia a Roma, presso l'altro cugino del padre, Silvio Spaventa, diventato suo tutore. Si iscrive a giurisprudenza, ma senza voglia: preferisce le lezioni di filosofia di Antonio Labriola, ancora non marxista. Nel 1886 torna a Napoli e intraprende viaggi di istruzione all'estero. Si dedica a ricerche erudite e, nel 1893, pubblica La storia ridotta sotto il concetto generale dell'arte. NeZ 1895, ricevuto da Labriola il manoscritto del saggio In memoria del Manifesto dei Comunisti, intraprende seri studi sul marxismo e sulle dottrine economiche. NeZ 1902 pubblica l'Estetica e l'anno dopo da vita alla rivista Critica, con la collaborazione di Giovanni Gentile. Nel 1908 esce la Logica come scienza del concetto puro e l'anno dopo La Filosofia della pratica. NeZ 1910 diviene senatore del Regno. NeZ 1914 si schiera con i 'neutraliSt( Nel 1917 completa il suo sistema, pubblicando Teoria e storia della storiografia. Nel 1920 e ministro dell'istruzione, nel quinto gabinetto Giolitti, ma l'anno dopo torna alla sua attivita di studioso. Nel 1922 mostra verso il fascismo una certa fiducia, che non crolla del tutto nemmeno dopa il delitto Matteotti. A disilluderlo ci vogliono le leggi liberticide del 1925: il prima maggio di quell'anno esce un suo Manifesto degli intellettuali antifascisti, con centinaia di firme. Una spedizione punitiva dei fascisti in casa sua (!, novembre 1926) suscita un clamore internazionale. In questa periodo, pubblica importanti opere storiche, fra le quali ricordiamo la Storia del Regno di Napoli (1926), Storia d'Italia dal 1871 al 1915 (1928), Storia d'Europa dal 1815 al 1915 (1932). Nel 1929 pronuncia in Senato un nobile discorso contra il Concordato. Il suo travaglio morale trova voce filosofica nel suo saggio del 1938, La storia come pensiero e come azione. Dopa il 1943, partecipa alla vita politica ten tan do di salvare la monarchia e diviene presidente del ricostituito partito liberale. _NeZ 1946-47, nella Costituente, difende gli ideali laici. Nel 1948 diventa senatore di diritto. La vecchiaia non rallenta la sua attivita produttiva, interrotta solo dalla morte, avvenuta il 20 novembre 1952.
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ta imperialistica». Sta il fatto, comunque, che questo hegeliano senza dialettica visse nel Mezzogiorno d'Italia senza avvertire la frattura fondamentale della nostra storia, quella tra nord e sud, contro la quale ancora ci stiamo dibattendo; la sua ideologia liberale, governata da un culto astratto della liberta, dopo aver trovato la sua stagione d'oro nell'eta giolittiana, lo rese tentennante di fronte agli esordi del fascismo e definitivamente incapace di comprendere le cause della degenerazione totalitaria, ritenuta da lui soltanto come una infausta parentesi; cosi come sta il fatto che la sua celebrazione dell'universalita dei valori dello Spirito si arrestava, sulla scia di Hegel, ai confini del mondo eurocentrico. Egli spazio nella storia da gran signore, riducendola, nel sommo rispetto del rigore filologico, dentro il mobile schema della dialettica dei distinti, rna lo fece senza mai lasciarsi afferrare dalle sue contraddizioni, che egli preferiva spostare nella zona del pensiero, per diluirle in un processo di gradualita razionale del tutto accessibile alla contemplazione teoretica. Colse nel segno Antonio Labriola, un maestro che tanto incise nella sua formazione, quando lo chiamo 'epicureo contemplante', alludendo al suo gusto per la vita appartata dello studioso che dai libri parte ed a! libri ritorna. Questa suo destino doveva essere scrittonella sua indole se, come confido, rimasto quasi illeso sotto il terremoto che uccise i suoi genitori e la sua unica sorella, egli ebbe l'animo di pensare, durante la lunga notte, alla descrizione del terremota fatta dal Colletta nella Storia del Reame di Napoli. E tuttavia non potremmo comprendere la storia del pensiero italiano del nostro secolo se non la riconducessimo costaptemente alla sua opera di sistemazione teorica e di organizzazione culturale. In questa opera che resta il suo vero merito incontestabile e difatto non contestato, gli fu collaboratore, e poi antagonista, Giovanni Gentile, l'altro dioscuro dell'idealismo italiano. Fu Gentile a suscitare in Croce !'interesse per il pensiero di Hegel, e quindi la vocazione filosofica, e a collaborare con lui nel progettare e realizzare collane di pubblicazioni di fondamentale importanza per il rinnovamento della cultura italiana e nel dirigere, fino alia rottura del 1924, la rivista Critica, apparsa nel gennaio del 1903, e rimasta, fino a questo dopoguerra, uno strumento efficacissimo per l' elevazione intellettuale del nostro paese.
12.2 Dalla filologia alia filosofia. Nonostante l'esperienza romana, resa feconda dalle consuetudini familiari con lo zio Silvio Spaventa e dalle lezioni di Antonio Labriola (8.4), il giovane Croce, rientrato a Napoli nel 1886, si dedico con passione aile ricerche erudite che erano nel gusto della storiografia positivistica del tempo e avevano un centro aitivissimo nella 'Societa napoletana di storia patria'. Dilatando le sue ricerche da temi angustamente municipalistici a questioni di piu largo respiro, come quella dei rapporti tra Italia e Spagna durante il Rinascimento, Croce avverti il bisogno di chiarire a se stesso che senso avesse, fra le attivita dello spirito, la ricerca storica, sollecitato anche dalle sue letture di De Sanctis e di Vico. Nacque cosi, nel 1893, il suo primo saggio di natura filosofica, La storia ridotta sotto il concetto generale dell'arte, che segna il suo netto distacco dall'impostazione storiografica del positivismo. Chiedendosi se la storia rientrasse nella forma scientifica del conoscere, come voleva la 'scuola storica', o in quella dell'arte, Croce concluse per la seconda soluzione, avviando cosi una distinzione che sara alla base del suo sistema. La scienza,
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infatti, e secondo Croce, elaborazione della realta sotto forma concettuale, l'arte invece ci da della realta una conoscenza rappresentativa, non concettuale: sempre che si assume il particolare sotto il generale si fa scienza; sempre che si rappresenta il particolare come tale, si fa arte.
Anche riguardo al concetto di arte Croce si distacca dal positivismo, che la considerava come una forma particolare del piacere sensibile. L'arte e conoscenza, sebbene in una forma sua propria. E la storia rientra nel suo ambito 'come parte del tutto', in qu·anto si occupa non di cio che e 'possibile', come fa l'arte, rna di cio che e realmente accaduto. Ed e qui, nella necessita di accertare i fatti, che conserva il suo posto la seria ricerca filologica, secondo i principi della scuola storiografica positivistica. Il dibattito nato attomo al suo prima scritto servi a ravvivare in Croce !'interesse per le questioni teoriche implicite nella sua soluzione del problema storiografico, e in particolare per il nesso tra il momenta rappresentativo e il momenta filologico, che e poi il momenta della ricostruzione dei fatti nella complessita della lora genesi causale. Tutto era pronto in lui per ricevere, nel modo piu fruttuoso, la provocazione venutagli, nel 1895, da Antonio Labriola (8.4), che gli aveva inviato il manoscritto del suo saggio In memoria del Manifesto dei comunisti. Croce gli propose di farsi editore della scritto e si immerse, per oltre due anni, «nella studio di Marx e degli economisti e comunisti modemi e antichi». Nel 1900 pubblico i frutti della sua meditazione nel volume Materialismo storico ed economia marxista. Lasciando i «ghirigori metafisici e letterari» di Marx all'amico Gentile (che difatti, nel 1899, pubblico La filosofia di Marx), Croce concentro la riflessione, in continuita con quanto aveva elaborato in precedenza, sulla natura gnoseologica della storia, in base ai contributi che gli venivano dal pensiero marxista. Egli vide nella concezione marxista della storia due aspetti di diverso valore: 1. la determinazione del vero soggetto del divenire storico, identificato con I'economia, elevata cosi a entita trascendente che muove i fili delle vicende umane alia pari del Dio dei teologi e dell'Idea dei metafisici; 2. la umanizzazione dell' economia, e cioe, da una parte, il riconoscimento del sottosuolo economico presente in tutte le manifestazioni della vita e, dall'altra, la necessita di riconnettere questo principia a tutte le manifestazioni della storia, che senza di esso non potrebbero essere comprese per quel che sono. II guaio e, secondo Croce, che il marxismo ha unificato in una teoria inaccettabile questi due aspetti dell'economia, elevando a Iegge generale della storia la particolarita che questa ha assunto nella fase capitalistica e, in piu, elaborando una teoria del plusvalore che, dall'insieme delle componenti che lo determinano, ne isola una come sufficiente a rendeme conto: quella del lavoro. E cosi il marxismo si rivela per quello che e: non una teoria scientifica, rna un programma pratico-politico. Dal confronto col marxismo Croce trasse una conclusione, anch'essa fondamentale per il suo sistema: il fatto economico, riconducibile alia categoria dell'utile, e un momenta autonomo dell'attivita pratica della Spirito, e precisamente e la condizione generale che rende possibile il sorgere della vita morale (12.6).
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12.3 La dialettlca del distintl. Passo dopo passo, spinto dalla necessita razionale di mettere in. chiaro i problemi emersi dall'intemo delle sue ricerche erudite, Croce si trovo ad avere in mano alcuni punti fermi, che postulavano una compiutezza sistematica: 1. il valore conoscitivo dell'esperienza estetica, dentro la quale aveva il suo giusto posto, come specie di un genere, la storiografia; 2. il principia dell'utile come costitutivo dell'attivita umana dentro i limiti del particolare, oltre i ql,.lali sta l'universalita della vita etica. In un quindicennio di intensa attivita, Croce porto a termine il suo sistema, chiamato da lui 'Filosofia dello spirito'. Esso apparve, nelle sue somme linee, nella sua prima opera, Estetica (1902), che difatti ha tutte le apparenze di una costruzione in se completa. All'Estetica segui, nel 1908, la Logica. L'anno dopo usci la Filosofia della pratica.· economia ed etica. A completamento, o meglio ad approfondimento del tutto, usci, nel 1917, il volume Teoria e Storia della storiografia, che non e propriamente una nuova parte della 'Filosofia dello Spirito' rna l'esposizione del suo senso unitario: l'identita tra reale e razionale, tra storia e consapevolezza storica. , Si potrebbe anche dire che Croce ·si trovo ad essere hegeliano malgrado se stesso. Durante il suo soggiomo romano, aveva avuto modo di conoscere la dottrina di Hegel nella forma che le aveva dato lo zio Bertrando Spaventa (6.16), un ex prete che, a giudizio del giovane Croce, era rimasto, tutto sommato, un teologo, proprio perche hegeliano. In seguito, studiando Marx, dovette per forza prendere conoscenza della dialettica hegeliana, chc del pensiero marxiano e parte essenziale. Ma, come si e detto, egli di Marx getto via la 'corteccia' teorica per approfondime il pensiero economico ed eluse, cosi, un confronto vero e proprio oltre che col filosofo Marx anche col filosofo della Fenornenologia. Il confronto con Hegel avvenne pili tardi, quando, su sollecitazione di Gentile, al fine di approfondire i problemi della Logica che stava componendo, intraprese su Hegel un serio studio, le cui conclusioni espose, nel 1906, nel volume Cio che e vivo e cio che e morto nella filosofia di Hegel La parte viva di Hegel era, per Cr:oce, quella che riusciva a sopravvivere, sia pure riformata, nella sua Filosofia dello Spirito. Innanzitutto, come si e detto, il principia di identita tra reale e razionale, che porta con se il rifiuto del 'dover essere che none' e dell"ideale che none reale': La storia non e piu la seguela capricciosa degli eventi contro la coerenza della ragione, rna e l'attuazione della ragione, la quale e da dire irragionevole sol quando dispregia e disconosce nella storia se stessa.
In questa identificazione tra divenire storico e svolgimento della ragione, Croce conduce a un medesimo esito l'insegnamento di Hegel e quello di Giambattista Vico, da lui rimesso in circolazione, secondo una lettura tutta sua, nella cultura italiana. Dalla dottrina vichiana della 'storia ideale ed eterna', che procede per 'corsi e ricorsi', come dire, tomando di continuo su se stessa, fatta sempre pili ricca dal proprio movimento, Croce trae la novita maggiore del suo storicismo, che e quella della circolarita del divenire dello Spirito. Quando si parla di Croce come di un hegeliano, non si deve dimenticare che, in verita, egli ha espunto il principia fondamentale del pensiero di Hegel, quello della dialettica, in base alla quale, ad esempio, l'arte e la religione avevano il loro vero sensa della filosofia, in quanto ne erano soltanto i momenii
382 D 12- Croce: il sistema astratti (2.8-11). Per Croce, invece, i morhenti dello Spirito - che per lui sono quattro: arte, filosofia, economia ed etica - vanno intesi ciascuno come autonoma e concreto, in un rapporto reciproco di unita e distinzione. Alla dialettica degli opposti egli sostituisce la 'dialettica dei distinti'. Mentre gli 'opposti' si negano reciprocamente, per trovare la loro conciliazione nella sintesi, i 'distinti' sono gradi diversi di un medesimo processo, dei quali ciascuno e condizione del successivo in cui si ritrova, come, secondo Aristotele, la materia trova la pienezza di se nella forma. La dialettica degli opposti si da, invece, per Croce, all'interno di ciascun grado, e precisamente tra il bello e il brutto, nell'arte; tra il vero e il falso, nella filosofia; tra l'utile e il dannoso, nell'economia; tra il bene e il male, nell' etica. Ma non e questa dialettica a determinare il moto dello Spirito di forma in forma, e l'unita dello Spirito, che manifesta e realizza se stesso nel moto circolare con cui passa dall'attivita teoretica a quella pratica, da quella pratica alla teoretica e cosi via, e con cui, all'interno delle due attivita, passa dall'individuale all'universale, con un ritmo che ignora la 'negazione', perche la sua legge e l'unita nella distinzione e la distinzione nell'unita. Possiamo riassumere tutto nel seguente sr;:hema:
teoretica = conoscenza
Distinti
Opposti
1. intuitiva
bello- brutto
(individuale) 2. logica (universale)
vero-falso
3. economica (individ uale)
utile-dannoso
4. etica (universale)
bene-male
Attivita dello Spirito pratica = volizione
Croce: il sistema 12.4 L'estetica. Si e gia visto come il primo passaggio di Croce dalla ricerca erudita alla riflessione filosofica sia avvenuto nel suo tentativo, ancora acerbo, di collocare la storiografia nell'ambito dell'attivita estetica piuttosto che in quello della scienza. E fu proprio nell'approfondire, anche in risposta aile critiche che aveva sollevato, il problema dell'arte, che Croce fu condotto a elaborare, con pretese sistematiche, la sua Filosofia della Spirito, imbattendosi in
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Hegel e volgendone il pensiero, con una radicale riforma, nel senso del proprio originale idealismo. A_nche Hegel aveva definito l'arte come rappresentazione sensibile dell'idea, elevandola, cosi, in linea con Kant, a funzioni conoscitive. La riflessione di Croce sulla collocazione dell'arte nella sfera teoretica dello Spirito e sui suoi rapporti con l'altro momenta conoscitivo, quello logico, e con l'intera articolazione delle attivita umane, duro per tutta la sua vita, con approfondimenti e revisioni che hannq profondamente influenzato la cultura italiana, rna di cui non e possibile qui rendere conto in modo dettagliato. Ci bastedt delineare, dell' estetica di Croce, alcune tesi fondamentali, che, nel loro insieme, rappresentano, forse, il suo contributo piu duraturo al pensiero contemporaneo, e non solo italiano. 1. L' arte e conoscenza, come abbiamo piu volte ripetuto, in quanto e intuizione del particolare. Infatti Ia conoscenza ha due forme: e o conoscenza intuitiva o conoscenza logica; conoscenza per Ia fantasia o conoscenza per i'intelletto; conoscenza deli'individuale, delle case singole, ovvero delle loro relazioni; e, insomma, o produttrice d'immagini o produttrice di concetti.
La forma specifica dell'arte non e il concetto, e la 'rappresentazione', nella quale l'oggetto, che fa da contenuto dell'intuizione, prima di essere as sun to nella universalita del giudizio logico, viene delineato nella sua particolarita immediata. Un chiaro di luna ritratto da un pittore, i contomi di un paese delineato da un cartografo, le parole di una lirica, un motivo musicale: ecco alcuni esempi di questa maniera di conoscere, nella quale, certo, si possono rinvenire anche elementi concettuali e pratici, rna integrati in una rappresentazione che li discioglie in se, per mettere in primo piano una realta nuova, risultante dalla sintesi tra Ia molteplicita del contenuto psichico e lo stato d'animo del soggetto. TI momenta estetico e un momenta aurorale dello Spirito, in quanto emerge dall'informe della naturalita psichica e si protende verso la chiarificazione piena del concetto. Come tale esso rientra nella normale esperienza di tutti, anche se soltanto in alcuni, negli artisti, si tramuta in una rappresentazione capace di suscitare l'emozione estetica anche negli altri. 2. L'arte e espressione, nel senso che l'atto intuitivo e sempre, nel medesimo istante, non una mera affezione passiva del soggetto, rna la formulazione del soggetto a se stesso (l'espressione, appunto) delle impressioni e dei sentimenti che trovano unita rappresentativa nell'oggetto. Si tenga con to che in Croce 1' oggetto non e un dato di natura, estemo al soggetto, rna e una modalita particolare che emerge dalla totalita della psiche, intesa da Croce, alia maniera di Bergson, come «un flusso perpetuo e indistinto che scorre sempre e non si ripete mai». In virtu dell'intuizione-espressione, «sentimenti e impressioni passano dall'oscura regione della psiche alla chiarezza dello spirito contemplatore». L'espressione di cui qui si parla non va confusa con Ia sua traduzione empirica in parole, musica, colori, e cosi via; e l'atto spirituale, che si adempie prima della sua traduzione estema, come una Madonna di Raffaello che era gia nel grande pittore prima che egli prendesse il pennello. Si tratta, qui, di un 'prima' e di un 'dopo' da non intendere in maniera cronologica: essi designano un rapporto genetico, in cui e possibile distinguere, da una parte, l'apparato fisico della comunicazione esterna di cio che dentro avviene e, dall'altra, l'espressione meramente spirituale dell'evento estetico.
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3. L' arte e sintesi a priori tra sentimento e immagine. E gia si capisce, a questo punta, che le diverse forme di arte - poesia, pittura, musica, architettura, ecc. - considerate nella lora matrice spirituale sono una medesima attivita dello Spirito, variamente tradotta. E questa attivita puo definirsi come sintesi tra forma (immagine) e contenuto (sentimento). L'unita dei due termini e tale, nell'evento estetico, che l'uno senza l'altro cessa di essere, proprio come nella sintesi a priori kantiana. In quanta sintesi a priori di sentimento e immagine nell'intuizione, anche dell'arte si puo dire, in analogia con quanto Kant dice del giudizio conoscitivo, che il sentimento senza l'immagine e cieco e l'immagine senza il sentimento e vuota. Per sentimento, Croce intende (si tenga conto della circolarita del processo spirituale, che va dal teoretico al pratico e dal pratico al teoretico) lo Spirito pratico nella sua passivita, che si manifesta, cioe, come passione. Non sempre, anzi raramente, la passione diventa arte, rna sempre l'arte presuppone la passione: di qui, secondo Croce, l'unilateralita delle scuole estetiche classica e romantica, delle quali Ia prima clava sommo valore alia nitidezza dell'immagine e Ia seconda alia forza della passione. La verita e che l'arte autentica e sempre sentimento e immagine: «uri sentimento gagliardo che si e fatto tutto rappresentazione nitidissima». II contenuto dell'arte e dunque i1 sentimento, che, in questa caso, e sempre sentimento 'lirico': ogni espressione di arte, a dispetto dei generi letterari cari aile vecchie classificazioni, e lirica. La molteplicita empirica del contenuto (una scena di natura, un fatto tragico, un ricordo, la donna amata e cosi via) si unifica e si adatta alia sintesi estetica ad opera del sentimento, che dunque e 'cosmico', nel senso che potenzialmente si riferisce, senza distinzione tra case poetiche e cose non poetiche, all'universo intero, vista sub specie intuitionis, dal punta di vista dell'intuizione. 4. L' arte e autonoma, nel sensa che l'intera materia della vita, senza interdizione alcuna, puo diventare contenuto della sintesi estetica, a due condizioni: 1. che a unificarla siano, nel poeta, il sentimento e l'immagine; 2. che l'immagine sia, com'e neUe esigenze dell'arte, pura rappresentazione, senza altri ingredienti che ne turbino il carattere meramente contemplativo. In questa sensa, l'arte e sempre, senza pregiudizio per la propria autonomia, conforme al giudizio morale. Se una cosiddetta opera d'arte e, in verita, una forma di lenocinio, una perorazione che spinge all'azione politica, e cosi via, allora il suo vero difetto non sara, eventualmente, nella immoralita, rna nell'essere venuta meno alIa Iegge sua propria: e espressione di sentimenti pratici, che non hanna raggiunto Ia 'catarsi' nella luce della pura contemplazione estetica. 5. L' arte e linguaggio e il linguaggio e arte. Una volta che per 'linguaggio' non si intenda la 'lingua' come insieme di segni (di 'etichette', dice Croce, mutuando il termine da Bergson), oggetto di una scienza speciale, la linguistica, rna il processo interiore con cui lo Spirito esprime, con immediatezza intuitiva, il contenuto delle sue emozioni, allora si puo dire che l'arte e linguaggio e il linguaggio e arte. Ricollegandosi a Vico e a Humboldt, Croce colloca l'origine della lingua non nella convenzione sociale, rna nella fase intuitiva, e cioe creativa, dello Spirito (16.1). Anche per lui, la poesia e «la lingua materna del genere umano». Il che appare vera anche nella nostra esperienza quotidiana, quando l' emozione sugge-
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risce la parola, l' esclamazione, il gesto in cui, con immediatezza, si travasa l'impeto espressivo dell'intuizione.
12.5 La logica. L'intuizione ci da il particolare nella sua concretezza, rna la conoscenza vera e propria e quella che si ha nel concetto universale. In opposizione agli empiristi, che fan derivare il concetto dall'associazione delle intuizioni sensibili, Croce, in coerenza col suo immanentismo assoluto, nel quale si dissolve ogni dualita tra natura e spirito, tra oggetto e soggetto, ripone l'universalita del conoscere nella sintesi a priori tra concetto e contenuto intuitivo, che anch' esso proviene dallo Spirito, nel suo perenne ritorno di se stesso a se stesso. Di per se, il concetto e uno solo, perche una sola e la forma teoretica dello Spirito, rna esso si distingue in piu concetti - il bello, il vero, l'utile, il buono - «Secondo la varieta degli oggetti che in quella forma vengono pensati». Il nesso tra l'unita della forma teoretica dello Spirito e la molteplicita determinata dei concetti e, nel sistema crociano, il tallone di Achille su cui, come vedremo (12.14), puntera i suoi strali Giovanni Gentile. Croce ritiene di potersi trarre dall'imbarazzo teorico risolvendo la molteplicita nell'unita mediante la distribuzione circolare dei quattro concetti, ciascuno dei quali rappresenta la sintesi tra il suo momento formale specifico e la materia offerta da quelli precedenti. In questo rapporto tra forma e contenuto si basa il carattere fondamentale del concetto, che e sempre sintesi tra universale (la forma) e concreto individuale (il contenuto). Lo abbiamo gia visto a riguardo del momento estetico, che e sintesi tra immagine e sentimento. Lo vedremo subito per gli altri momenti, l'economico e l'etico. Per chiarire meglio la sua teoria del concetto logico, Croce si sbarazza la strada relegando nella categoria del pratico tutti quei concetti che non hanno carattere di universalita perche rappresentano soltanto delle generalizzazioni utili. Egli li chiama pseudoconcetti. Questo declassamento puo essere facilmente accettato finche riguarda le rappresentazioni empiriche, come quella di 'gatto' 0 di 'casa', che altro non sono che assunzioni simboliche di immagini riferite a gruppi di cose. Diventa invece (se si pensa che fin nei primi decenni del secolo era in corso la rivoluzione della logica e della scienza, alla quale dedichiamo il prossimo capitola) piuttosto sconcertante, quando investe i concetti matematici e scientifici, come quello di 'triangolo' o di 'Iegge del moto'. Anche questi, per Croce, sono pseudoconcetti, da relegare nella terza categoria dello Spirito, quella dell'utile. A sostegno della sua tesi, egli si serve della critica antipositivistica condotta an~i prima da Mach (13.7), il quale pen) non sosteneva il carattere convenzionale della C'onoscenza scientifica per esaltare, al suo posto, la conoscenza 'vera', quella filosofica, come invece fa iJ Croce. Il quale estende il suo giudizio di declassamento anche aile ricerche della logica matematica, qualificando le tesi di Peano e di Boole (13.3) come congegni artificiosi che, offerti sul mercato, non avevano trovato clienti. Vi riusciranno? si domanda Croce. «La cosa non sembra probabile e, a ogni modo, e fuori della competenza della filosofia e appartiene a quella della pratica riuscita ... Ma la !oro nullita filosofica rimane, sin da ora, dimostrata». Non c'e dubbio che l'atteggiamento di Croce ha favorito, in un paese come il nostro, dal Iento progresso industriale, i1 vallo tra le due culture, l'umanistica e la scientifica, che
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solo in questi ultimi anni siva restringendo. II progresso veramente degno dell'uomo e, per Croce, quello che si realizza nel perpetuo susseguirsi delle forme dello Spirito, Ia cui concretezza storica implica la dialettica tra la pienezza della forma - il bello, il vero, !'utile, il bene - e i limiti con cui essa e data nel reale. La forma logica si attua nel giudizio, nella 'sintesi a priori logica'. Croce distingue un 'giudizio definitorio', con cui si esprime un concetto puro (ad esempio, Teconomia e la volizione dell'utile'), e il 'giudizio individuale', che applica a un soggetto particolare il concetto puro (ad esempio, 'Ia Iegge di mercato e conforme al criterio dell'economia'). II giudizio individuale assorbe in se il giudizio definitorio, il quale, a sua volta, implica quello individuale. Se si tiene conto che il giudizio individuale e sempre, di necessita, riferito al concreto storico, e quello definitorio e un concetto puro della logica, la reciproca implicazione dei due giudizi equivale alla reciproca implicazione tra filosofia e storia. La filosofia e la teoria dei concetti puri, e cioe delle categorie che fungono da predicati dei giudizi individuali, la storia e sintesi tra questi predicati e i dati rappresentativi dell'esperienza: l'una non puo darsi senza l'altra. Ecco cosi raggiunta, in. una essenzialita sgombra da ogni residuo metafisico e teologico, la grande 'degnita' di Vico: Verum et factum convertuntur: la Verita e il Fatto sono tra loro scambiabili. Fra storia e filosofia c'e dunque, se non vera e propria identita, come in Gentile (12.12), una reciproca implicazione. 12.6 L'attivita pratica. Se Ia conoscenza e sempre conoscenza storica, e cioe sintesi tra l'universale e l'individuale concreto, allora il suo vero senso e di rendere possibile l'azione, come dire l'esercizio della volonta: la teoria sbocca di sua natura nella pratica, cosi come, in virtu della circolarita dello Spirito, la pratica tende di sua natura a diventare conoscenza, intuitiva e concettuale. Anche l'attivita pratica si da in due gradi distinti: l'economico e l'etico, a seconda che la volonta si ponga un fine del tutto corrispettivo alle situazioni di fatto, messe in luce dalla percezione conoscitiva, o si ponga un fine universale, che trascende l'orizzonte dell'individuo come tale. Croce menava vanto di aver dato fondamento logico alia sfera economica, tenendola al riparo dalle indebite intrusioni del giudizio morale, convinto di aver dato adempimento filosofico alia grande lezione di Machiavelli e di Marx, «il Machiavelli del proletariato». Volere economicamente e volere un fine; volere moralmente e volere il fine razionale. Ma appunto chi vuole e opera moralmente non puo non volere e operare utilmente (economicamente). Come potrebbe volere il fine razionale, se non lo vole sse insieme come fine suo particolare? La reciproca non e vera; come non e vero in scienza estetica che il fatto espressivo debba essere di necessita congiunto col fatto logico. Si puo volere economicamente, senza volere moralmente; ed e possibile condursi con perfetta coerenza economica seguendo un fine obiettivamente irrazionale (immorale), o, piuttosto, che tale sara giudicato in un grado superiore della coscienza (... )
Ma la chiarezza e distinzione del discorso crociano sull' economia sono meramente formali. Difatti, dentro la categoria dell'economico Croce raduna, co-
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me in una stanza di sgombro, tutto cia che non gli riesce collocare neUe altre tre categorie, che sole veramente gli interessano, perche immediatamente rispondenti all'impostazione spiritualistica del suo pensiero. Rientrano infatti nell' economia - oltre che, come abbiamo vis to, le tecniche estetiche e gli pseudoconcetti - l'insieme dei processi che Hegel collocava nella 'natura' e di quelli che Marx collocava nella attivita produttiva, e l'insieme delle istituzioni, prima fra tutte lo Stato. 1. Nelle articolazioni del sistema crociano non ce n'e una riservata alla natura, perche tutto e, fin da principia, Spirito, anche il mondo fisico che il soggetto individuale si trova davanti e plasma, ponendo leggi che, come sopra si e detto, sono di origine pratica, obbediscono doe al principia dell'utile. Anche l'arte, nel momenta in cui diventa comunicazione con l'uso di questa o quello strumento tecnico, rientra nella sfera della praticita, e doe della natura. E sono natura i processi passionali, i desideri, gli appetiti, le cupidita, i piaceri e i dolori, insomma tutto do che costituisce la condizione dell'atto morale, in cui lo Spirito si afferma nella sua universalita. E questa universalita trova carne e sangue nel contesto naturale in c~i l'individuo ritaglia la propria determinazione finita. La natura non e mai, in tutti questi innumerevoli modi, ne morale ne immorale, e premorale, in quanta condizione della volonta, ed e, in quanta suo strumento, la necessaria mediazione finita dell'infinita dello Spirito. 2. Natura e anche I' economia, intesa come l'insieme delle attivita produttive, che Marx aveva posto come causa determinante della dialettica storica. Come gia aveva fatto nel suo primo approccio con il marxismo, Croce riconosce la necessita di integrare anche l'economia, intesa come attivita diretta alla produzione dei beni materiali, fra le cause che producono il divenire storico (e questa, secondo lui, la vera scoperta di Marx), rna· senza attribuirle nessuna particolare preminenza nel contesto di queUe cause, che sono tante quanti sono i fini utilitaristici che l'uomo si pone, creando, a tale scopo, istituzion:i di ogni genere. Si potrebbe anche dire che Croce svuota l'economicismo di Marx col dilatarlo in una congerie indifferenziata di forme, tenute insieme, in. modo posticcio, dalla categoria dell'utile. 3. In questa congerie materialistica rientra anche la sfera del diritto, che anch' esso altro non e che forza, come hanno insegnato Machiavelli e Hobbes, e come insegna, con raccapriccio delle «anime timorate», la storia intera, la quale ci mostra che «gli Stati e gli altri aggruppamenti sociali sono perpetuamente in Iotta vitale per la sopravvivenza e per la prosperita del tipo migliore». II politico e, certo, anche lui soggetto alla Iegge morale, rna il suo modo 'politico' di esse. re morale consiste nell'adottare la Iegge propria della politica, che e appunto la competizione in vista del successo. Non ha senso nemmeno domandarsi se una guerra e giusta 0 ingiusta: la guerra e «tanto poco morale 0 immorale quanta un terremoto o altro fenomeno di assestamento tellurico». Le faccende politiche non rientrano, dunque, nella nostra diretta responsabilita morale, esse appartengono a quei Leviatani che si chiamano gli Stati, a quei colossali esseri viventi dalle viscere di bronzo, ai quali noi abbiamo il dovere di servire ed obbedire, ed essi da parte loro hanno buone e profonde ragioni di guardarsi in cagnesco, di addentarsi, di sbranarsi, di divorarsi, visto che solo cosi si e mossa finora, e cosi sostanzialmente si muovera sempre, la storia del mondo.
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Se cosi e, quale spazio resta all'azione propriamente morale? Non certo · quello degli accadimenti storici, sui quali, essendo essi il risultato delle volizioni di tutti, nulla puo la volizione del singolo. Ecco perche essi non possono essere oggetto di giudizi morali. Gli accadimenti infatti sono opera non dell'individuo, rna del Tutto. Sono .. .l'opera di Dio; e Dio non si giudica. 0, meglio, si giudica, rna non gia dall'angolo visuale dal quale si giudicano opere ed azioni individuali ... la storia stessa del mondo e il giudizio del mondo; e, nel raccontare il corso della storia, pur non applicando il giudizio delle categorie sopra indicate, che sono inapplicabili, si applica sempre per altro un giudizio, che e quello della necessita e realta. Cio che e stato, doveva essere, e cio che e veramente reale, e veramente razionale.
Ma se, in quanta individuo, l'uomo e impotente dinanzi alla 'necessita' dei fatti, proprio perche la sua individualita e anch'essa un riflesso della situaz!one in cui vive, in quanta e Spirito egli e liberta, e capacita di proporsi, come obiettivo, l'adempimento di quella che i credenti chiamano volonta di Dio e che il filosofo considera la piena attuazione degli ideali formalmente definiti dalle categorie della Spirito, il Bello, il Vera, il Buono. La religione laica, in cui si esprime la sostanza morale dell'uomo, e quella della liberta. E' difficile superare l'impressione che, avendo negato alle istituzioni ogni qualita etica (la teoria hegeliana della Stato etico sara invece ripresa, in chiave fascista, dal suo arnica Gentile), Croce non riesca a dare una determinazione della sfera morale che non si riduca alla celebrazione altisonante (di qui l'uso frequente delle maiuscole) dei valori universali della Spirito, una celebrazione a cui fa riscontro, sul piano della concreta eseguibilita degli imperativi morali, soltanto l'ambito della interiorita e quello dei rapporti angustamente intersog-' gettivi. Il resto e sotto lo scettro della necessita, cioe, come dicono le coscienze religiose, di Dio e, come dice la religione laica di Croce, della Spirito, che solo sa le vie da percorrere. E' appunto qui, in questa conformita della coscienza individuale con l'azione della Spirito universale, la ragione della indefinibilita della vita morale. A questa livello, infatti, la volonta non ha fini determinati da porsi, il suo fine e una sola cosa col processo della Spirito. Come l'intuizione estetica conosce il fenomeno o Ia natura, e il concetto filosofico, il noumeno o lo spirito, cosi l'attivita economica vuole il fenomeno o Ia natura e quella morale il noumeno o lo spirito. Lo spirito che vuole se stesso, il vera se stesso, l'universale che e nello spirito empirico e finito: ecco la formula che forse meno impropriamente definisce il concetto della moralim. Questa volizione del vero se stesso e l'ass_oluta libertd.
12.7 La storia come pensiero e come azione. Ma cos'e «l'universale che e nella spirito empirico e finito» se non la storia nel suo concreto svolgimento? Eliminata ogni forma di trascendenza, non solo quella religiosa, rna anche quella sopravvissuta nell'Idea di Hegel e nella sua incarnazione oggettiva, lo Stato, Croce non ha altro spazio teoretico, per disegnare gli ambiti della vita morale, se non quello della storia, sia in quanta essa e gia compiuta, e come tale e oggetto, l'unico oggetto, del conoscere, sia in quanto e da compiere, e come tale fa appello all'azione dell'uomo. Lo storicismo assoluto che Croce aveva teorizzato, quasi a completamento del suo sistema, nella Teoria e storia
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della storiografia, del 1917, messo alia prova dalla dura esperienza del fascismo, si arricchisce, negli anni, di una problematica morale, e trova piena espressione in una delle sue opere piu giustamente celebri, La storia come pensiero e come azione, del 1938. Nella prima opera, Croce, in coerenza con quanto aveva detto nella Logica, aveva ridotto la filosofia al momento metodologico della storiografia, a delucidazione dei concetti universali che fanno da predicato ai giudizi storici. La storia di cui parla Croce e universale non in senso contenutistico, cioe in ragione della totalita dei fatti, del resto inattingibile, rna in ragione dell'universalita del giudizio, che e sempre giudizio logico, non pratico. Ecco perche essa non e mai 'giustiziera', non si pronuncia cioe sulle qualita morali delle azioni storiche e dei loro protagonisti, rna e 'giustificatrice', perche mostra che cio che e stato (anche il cosiddetto male) doveva necessariamente essere, e cio che e veramente reale, e veramente razionale. Non che non esista il negativo, rna esso va inteso come momento destinato a risolversi nel positivo: «il male none che il bene visto alia luce del meglio». E difatti, durante l'ascesa del fascismo, Croce, coerente con simili premesse, non si sconvolse, perche il 'male' del fascismo gli apparve un bene di fronte al meglio e precisamente «un ponte· di passaggio per la restaurazione di un piu severo regime liberale, nel quadro di uno stato piu forte)), Ma la piega presa dal fascismo, appena al potere, soprattutto a partire dal delitto Matteotti (1924), costrinse Croce a una severa revisione del suo giudizio sullo 'stato forte' di Mussolini e, piu in generale, ad approfondire il nesso tra giudizio storico e azione morale. Pur lasciando intatta la sua dottrina sulla storia come attivita teoretica, egli sviluppo il concetto di storia come attivita pratica, accentuando la circolarita dei due momenti, e cioe l'orientamento del pensiero all'azione e dell'azione al pensiero. Il giudizio storico, ricostruendo, con assoluta neutralita e scevro di preoccupazioni morali, i fatti del passato, pone, gia con questo, le premesse allo svolgersi dell'azione, che dovra essere di opposizione al male in nome del bene, del valore contro il disvalore. Le antitesi non hanno piu luogo nella storia gia vissuta, nella quale lo storiograf~ ticostruisce il filo della necessita, si pongono invece alia coscienza che si appresta a decidere. E' vero, si, che la determinazione della volonta del singolo non e, da sola, produttiva degli accadimenti, che hanno come vero loro soggetto, attraverso la molteplicita delle volizioni, lo Spirito universale. Ma, nel suo ispirarsi alia coscienza morale, l'individuo da appunto il suo contributo positivo a quel divenire storico in cui la razionalita universale si svolge, per rivelarsi come tale solo post-festum, dopo che la Iibera decisione del singolo sara entrata nella trama del tutto. E la trama del tutto e, in ogni caso, di progressivo trionfa della razionalita sull'irrazionale, perche tutta la storia, nel suo insieme, altro non e che opera della ragione. La storia non ha, dinanzi a se, nessun antagonista, dato che anche le forze irrazionali sono al suo servizio, cosi come, nella visione superstiziosa, il diavolo e al servizio di Dio. Ci volle l'apocalissi dell'ultima guerra per aprire una incrinatura nella concezione crociana del 'progresso cosmico'. Il trionfo delle forze del male al di la di ogni possibile giustificazione della ragione mise il Croce dinanzi all'incontestabile dato di fatto di un impulso oscuro, che, all'improvviso, aveva stracciato la tela della civilta europea faticosamente tessuta dalla ragione. Quell'impulso
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venne identificato da Croce con una 'vitalita immanente' («l'Anticristo che e in noi»), con una barbarie mai del tutto estinta, che in forme nuove, quelle ad esempio del totalitarismo statale, puo, come la 'fortuna' del Machiavelli, avere la meglio sulla 'virtu'. L'ordinato ritmo dei distinti, il cui avvicendarsi in unita e distinzione crea Ia civilta, ha contro di se la vitalita irrazionale contro il cui prevalere nessuna sicurezza ci e data. E cosi il vecchio filosofo sembra riscoprire, attraverso lo squarcio apertosi nella sua rasserenante visione della storia, quel crudo conflitto della dialettica tra l'Essere e il Non essere, che, nelliberarsi da Hegel, egli aveva rifiutato. Ma queste furono in lui soltanto riflessioni malinconiche dell'ora del tramonto. n circolo dello Spirito non si spezzo.
Gentile: l'idealismo senza idee 12.8 Gentile e Ia cultura italiana. La trionfante parabola dell'idealismo italiano cadde in rovina, si potrebbe dire, tra le macerie lasciate nel nostro paese dalla furia di una guerra che fu, nel suo epilogo, anche guerra civile. Croce trasse dal cataclisma una lezione di realismo, che incrino la sua serena dialettica dei distinti, costretta a fare i conti con la dialettica tra la civilta e Ia barbarie, sempre in agguato sotto lo scorrere dei fatti. Giovanni Gentile* si trovo, per Ia forza di una coerenza a cui voile rend ere on ore fino all' estremo, dalla parte della barbarie, nonostante l'indiscutibile nobilta soggettiva dei suoi intendimenti. 'Nobilta soggettiva': I'aggettivo e quanto mai appropriato per un filosofo come lui, che aveva ridotto tutta la realta e tutte le articolazioni formali delIa ragione, dalla quale dipende il senso oggettivo delle cose, all'atto creativo del soggetto, dinanzi al quale non si danno limiti di sorta, nemmeno quello tra il bene e il male. ll 14 marzo 1944, all'Accademia d'Italia, di cui Mussolini lo aveva vol~to presidente, pronuncio una dichiarazione di fede nel fascismo, celebrando, con parole smodate, il duce e il 'condottiero della grande Germania'. Un simile pronunciamento fece di lui il bersaglio della Iotta antifascista. Nella stessa citta, Firenze, tre giomi dopo, cinque ragazzi furono fucilati perche non si erano presentati alla leva. Fu emessa aiiora, dal comando partigiano, la sentenza di morte contro di lui, «in nome della giustizia del popolo». In un giomale, uscito clandestino dopo 1'esecuzione, si poteva leggere: «.. egli, che dinanzi al trionfo del male tanto spesso aveva vantato, con alterigia di profeta, la 'provvidenzialita della storia', cade vittima della moralita della storia». La ritorsione, che risente della retorica del momento, alza il velo su quanto, in quei giomi tragici, stava mettendo in scacco Ia visione della storia patria di Gentile e in certa misura di Croce: il popolo, rimasto ai margini delle vicende risorgimentali, tenuto soggetto dai ceti che, dopo l'Unita, avevano govemato il paese, e, sentendosi minacciati, avevano passato la mano al fascismo, quel popolo stava entrando da protagonista sulla scena storica. La convertibilita tra eventi storici e verita, punto fermo dell'idealismo, stava confutando, proprio con la forza degli eventi (ecco la vera ritorsione), una filosofia che aveva disconosciuto, fra le cause che guidano la storia, l'importanza di quelia materiale, e di conseguenza
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aveva disconosciuto i diritti della classe sociale che serve il bene comune con la sua forza-lavoro. Anche per questa, nell'Italia emersa dagli sconvolgi!llenti dell'ultima guerra, l'idealismo perse rapidamente la sua egemonia culturale, durata quarant'anni quasi incontrastata. Una volta tanto, la storia, intesa come historia rerum gestarum, e stata dunque 'giustiziera' col suo semplice restar fedele al proprio metoda, che e di render ragione dei fatti. A questa resa dei conti, la fase idealistica della nostra cultura ha svelato la sua natura di costruzione concettuale destinata a dar veste razionale all' ordine storico esistente, con le sue classi gerarchicamente stratificate, con le sue sperequazioni economiche, con le sue emarginazioni e le sue egemonie. Ma proprio per questa sua omogeneita a una stagione della nostra storia, essa ha avuto una sua 'necessita': non prenderne atto, e in modo analitico, vorrebbe dire impedirsi di comprendere, nella sua stessa novita, la qualita della storia successiva. In questa quadro, e di somma importanza render canto del pensiero di
Giovanni Gentile nasce nel 1875 a Castelvetrano in Sicilia. Si laurea nel1898 all'Universita di Pisa, con una tesi su Rosmini e Gioberti, ispirata alla teoria di Bertrando Spaventa del primato del pensiero italiano su quello europeo. Negli stessi ann~ inizia il suo insegnamento nei licei di Campobasso e di Napoli, dove diventa amico di Croce. Pubblica, nel 1899, La filosofia di Marx. NeZ frattempo elabora il suo progetto filosofico, che, nel 1903, espone nel saggio La rinascita dell'idealismo. NeZ 1906 vince la cattedra di filosofia di Palermo, dove resta fino a/1914, quando passa a quella di Pisa. Tre anni dopa, vince la cattedra all'Vniversita di Roma, di -cui restera titolare fino alia morte. L 'amicizia con Croce subisce, nel 1913, una prima rottura, che da puramente filosofica si fara totale nel 1924. NeZ 1922 diventa, su indicazione di Croce, ministro della pubblica istruzione e riesce a far approvare la sua riforma della scuola, «la piu fascista delle riforme)), come Ia definira Mussolini. NeZ 1923 si iscrive al partito fascista e nel 1925, sebbene dopa il delitto Matteotti abbia lasciato il suo posto di ministro, si fa promotore di un Manifesto degli intellettuali fascisti. Dal 1925 al 1944, dirige l'Istituto fondato da Treccani per la pubblicazione della grande Enciclopedia, e invita a collaborare, con larghezza d'animo, uomini di cultura di diverse tendenze. NeZ 1943, un mese prima della caduta di Mussolini, pronuncia, in Campidoglio, un discorso di rinnovata fede nel fascismo. Dopa !'8 settembre, accetta di diventare presidente dell'Accademia d1talia, con sede a Firenze. E a Firenze viene ucciso dai partigiani, il 15 aprile 1944. Fra i suoi scritt~ oltre quelli gia citat~ ricordiamo: Sommario di pedagogia come scienza filosofica (1912), La riforma della dialettica hegeliana (1913), Teoria generale dello spirito come atto puro (1 916), Fondamenti della filosofia del diritto (1916), II pensiero italiano nel Rinascimento (1920), Filosofia dell'arte (1931), Genesi e struttura della societa (postumo, 1946).
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Giovanni Gentile. Oltretutto, esso non solo ha portato al limite la degenerazione ideqlogica della filosofia, rna ha anche, a giudizio di rnolti, svolto l'hegelisrno fino alle sue conseguenze estrerne, e cioe fino alla sua definitiva consunzione. Non dirnentichiarno, fra l'altro, che, se la filosofia di Gentile non ha piu seguito, le sue influenze sulla nostra storia culturale, nel bene come nel male, non si sono affatto esaurite. In fin dei conti, l'ordinarnento della nostra scuola, gli stessi prograrnrni di cui essa vive ancora oggi e in base ai quali esiste lo stesso insegnarnento della storia della filosofia, sono sua creazione. La 'nuova Italia', quella nata dalla Resistenza, attende ancora la propria scuola! Il che e tanto piu grave se si pensa - ed eccoci, cosi, a un prirno tratto caratteristico dell'idealisrno gentiliano - che, in perfetta consonanza con l'eta dei nazionalisrni, Gentile aveva della storia del pensiero urnano un'irnrnagine centrata sui rnito del 'prirnato' dell'Italia, da lui riproposto lungo un asse che anclava dall'urnanesirno rinascirnentale a lui. n senso filosofico di quest'asse era la celebrazione della liberta dell'uorno in quanto creatore del proprio rnondo, sia di quello storico che di quello naturale. Se la grande eredita del genio rinascirnentale fruttifico non in Italia rna in terra straniera, fu perche prevalse, da noi, un individualisrno neghittoso e sognatore, prigioniero degli interessi privati. La rnissione dell'Italia e riaffiorata durante il Risorgirnento, e ha trovato finalmente nel fascisrno la sua irradiazione universale. Sono queste le tesi etnocentriche che Gentile, derivandole da Bertrando Spaventa (6.16), ha via via sviluppato, in una serie di ricostruzioni storiografiche nelle quali sui rigore filologico ha la rneglio l'assunto nazionalistico. Ci e facile oggi denunciare nella storiografia gentiliana i tratti del provincialisrno narcisistico. Non ne fu del tutto immune, come si e visto, nernrneno Croce, che pure seppe rnantenere al suo rnagistero intellettuale un respiro tanto piu largo e consonanze tanto piu vive con il dibattito europeo. Ma ci dovra pur essere una ragione nel fatto che gli idealisti, a corninciare proprio da Fichte e da Hegel, hanno sernpre saputo congiungere aile celebrazioni dell'universalita dello Spirito 1'es~ltazione, piu o rneno aperta, dell' etnocentrisrno. Ci dovra pur essere una ragione nel fatto che la dove, per usare l'irnrnagine di Marx, ci si e ostinati a far carnrninare l'uorno con la testa si puo essere sicuri che l'altra meta dell'uorno-centauro, quella della forza brutale, ha avuto libero gioco nel suo esercizio. Questa ragione segreta viene in perfetta luce nel pensiero di Giovanni Gentile.
12.9 La riforma di Hegel. Bertrando Spaventa fomi a Gentile anche il bandolo del suo ripensarnento della storia della filosofia, rirnasta come bloccata nella sua ultima grandiosa sisternazione, quella hegeliana. La sterilita dell'hegelisrno era dovuta, secondo Gentile, a una sua recondita contraddizione, che Spaventa, in un frarnrnento inedito, aveva individuato nell'antinornia irnplicita nella Logica di Hegel (2.3). L'essere hegeliano e di natura logica, e cioe in tanto e in quanto e oggetto di pensiero. Ma allora, ed e quanto Hegel trascura, la realta dell'essere e nel pensiero che lo pensa, fuori del quale e nulla. Ma il pensiero, a sua volta, e verarnente pensiero nell'atto di pensare. Fuori di tale atto, il pensiero puo sussistere solo in quanto diventa 'pensato', e cioe solo se, ancora una volta, ci si rivolge all'atto di pensare in cui il pensato realrnente sussiste. Che significa, allora, disegnare una Logica in cui la dialettica e posta tra
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'essere', 'nulla', 'divenire? La vera dialettica e altrove, nell"atto' del pensiero, il cui contenuto e l'essere, da intendere pen) come Logo, come oggetto del_ pensiero, posto dal pensiero stesso, che puo pensare se stesso solo mediante l'altro da se. La dialettica hegeliana ha il vizio radicale di porsi come anteriore all'atto del pensare, anzi come sua regola, quasi che non fosse anch'essa un contenuto dell'atto del pensare. Pagando, senza volerlo, un tributo alia metafisica, Hegel rimane affascinato dall'oggetto del pensare, fino a fame una articolata struttura logica, dentro la quale il pensiero vivo, quello che si svolge continuamente nell'atto, deve muoversi. In fondo, il vizio di Hegel e quello stesso di Platone, che dava oggettiva realta aile idee, facendone il fondamento stesso delle conoscenze, quasi che si possano dare idee non conosciute. Piu vicino alIa verita era stato Fichte, che, nella sua Dottrina della scienza, fa derivare dall'Io il non-Io (1.6), dal soggetto l'oggetto, e fa della conoscenza il processo in cui si ristabilisce l'identita tra i due momenti. Solo che anche Fichte ricorre a un espediente non in linea con il suo postulato fondamentale, quando attribuisce la creazione del non-Io da parte dell'Io a una attivita immaginativa preteoretica, aggirato dalla quale, l'Io trova bell'e fatta la natura davanti a se, come se gli fosse preesistente. Svolgendo in forrria coerente l'intuizione di Fichte, Gentile risolve nell'atto del pensiero i due momenti dell'Io e del rion-Io, (dell' au toe tis~ 'autocreazione', e dell' eteroctis~ creazione dell'altro). Solo cosi l'idealismo e veramente assoluto, senza residui di trascendenza; ne quella della cosa in se, ne quella dell'idea, perche la cosa in se e posta dall'Io nel momento del pensarla, e l'Idea e lo stesso atto per cui l'Idea si conosce. «Il difetto dell'hegelismo e appunto questo: di far precedere all'Io tutto cio che lo presuppone», come dire, tutto cio che invece e intemo all'atto del conoscere. Solo in questa assolutizzazione dell'atto il divenire e veramente il divenire, dato che solo il pensiero diviene, mentre l'essere, che Hegel pone come punto di partenza della logica, essendo assolutamente indeterminato, non puo contenere in se la negazione di se stesso, e quindi non puo far scaturire da se stesso il divenire. TI 'rasoio' di Gentile non si arresta dinanzi a nulla che si ponga al di fuori dell'atto del pensiero, nemmeno dinanzi alia dialettica dei distinti del suo amico Croce. II quale, preoccupato della piega che prendeva il pensiero di Gentile e dei suoi discepoli, raccolti attomo a lui all'universita di Palermo, scese in campo, nel 1913, con un articolo pubblicato su La Voce di Prezzolini, accusando i sostenitori dell'idealismo 'attuale' di misticismo. n misticismo produce nella coscienza «la depressione dei contrasti della realta, l'acquiescenza al fatto come fatto o all'atto come attm> e l'indifferentismo teoretico ed etico, dato che l'assolutizzazione dell'atto porta con se l'abolizione del contrasto tra il vero e il falso, tra il bene e il male. Ne nacque una vertenza, che si risolse non in virtu di mediazioni teoriche rna sui piano umano dell'amicizia, per un concorde proposito di rimozione del tema del dissidio. II quale tomera vivo, e questa volta per non chiudersi piu, nel 1924, in base aile due diverse opzioni nei confronti del fascismo. Si deve dire, pero, che Gentile coglieva nel segno, quando indicava nella dialettica dei distinti la sopravvivenza di una struttura metafisica. Mentre Vico, data la sua posizione di credente in una divina trascendenza, aveva dove fandare la sua 'storia ideale ed eterna', che governa i corsi e i ricorsi della storia,
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dove collochera Croce la catena delle sue quattro categorie? Nella Spirito di cui esse sono attivita? Ma allora occorrera spiegare qual e l'atto unificante della Spirito. Quell'atto e, appunto, l'atto del pensare, unica categoria da cui tutte le altre - non quattro, rna infinite - possono dedursi. Il torto di Croce era nell'aver elevato semplici forme metodologiche a forme costitutive della realta, attribuendo ad esse quell'eternita che invece spetta solo all'atto del pensare. Infatti, una delle due: o la categoria viene pensata, e allora la sua verita sara nel pensiero che la pensa, o non viene pensata e allora essa e nulla. Cio che si dice trascendentale non puo mai essere pensato, ·perche, in questa caso, nel caso che sia pensato, la trascendentalita passa all'atto che lo pensa: II punto di vista trascendentale e quello che si coglie nella realta del nostro pensiero quando il pensiero si consideri non come atto compiuto, rna, per cosi dire, quasi atto in atto: atto che non si puo assolutamente trascendere, poiche esso e la nostra stessa soggettivita, cioe noi stessi; atto, che non si puo mai e in nessun modo oggettivare. Il punto di vista nuovo, infatti, a cui conviene collocarsi, e quello dell'attualita dell'Io, per cui non e possibile mai che si concepisca l'Io come oggetto di se medesimo.
Gentile: l'attualismo 12.10 La teoria dell'atto puro. Abbiamo, cosi, a disposizione i termini essenziali dell'idealismo gentiliano, che da lui stesso fu detto 'attualismo', perche inverte la deduzione hegeliana che va dall'Idea (o 'logo', come dice Gentile) alla natura e dalla natura al pensiero. Per Gentile, sia la natura che il logo sono dedotti dal pensiero, e non dal pensiero come attivita che si traduce in atti, rna dall'atto del pensiero in quanta atto. La sintesi (l'atto) sta prima dell'analisi (natura e logo). Difatti, l'atto del pensiero, in quanta e posto da un soggetto, non puo darsi come iinmediato, rna e sempre mediato da un oggetto: pensare e sempre pensare qualcosa, ed e sempre ricondurre la cosa pensata al soggetto. Il mota dell'atto del pensare e dunque triadico: l'Io pone se stesso (tesz), oppone a se stesso il non-Io (antitesz), e «pone se come sintesi differenziata in se stessa e unificata». Negata la cosa in se come indipendente dal soggetto, cade anche la distinzione tra sensazione e intelletto e cade la necessita di una sintesi a priori, il cui contenuto venga al soggetto da altrove che da se stesso. La sensazione non e che il momenta primordiale del dialettizzarsi dell'atto, il momenta in cui il soggetto si fa a se stesso oggetto molteplice e differenziato. Nessun bisogno di concetti puri o di categorie, per unificare il molteplice: l'unica categoria e il soggetto in quanta conceptus sui, in quanta concetto di se, dove il termine 'concetto' indica, non il rispecchiamento astratto rna, secondo la pregnanza etimologica del termine, l'atto stesso del 'concepire', cioe del porre in essere I'oggetto. Il soggetto che realizza in se la sintesi non e quello empirico - io, tu, lui -, e il soggetto trascendentale, che e universale e infinito perche niente ha di contra a se che lo limiti. Se il soggetto trascendentale potesse pensarsi, in que] momenta non sarebbe piu 'pensante', rna 'pensato' e percio sarebbe oggetto. «La coscienza in quanta oggetto di coscienza non e piu coscienza». Di me co-
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me soggetto io posso dunque parlare in due modi: come io emp~rico tra i molti altri io empirici, rna in questa caso io sono, insieme agli altri, oggetto .di me stesso, o meglio dell'Io trascendentale, che risolve in se tutti gli io empirici; o come Io trascendentale, che, appunto, e in me altro dalla mia empiricita interna a! tempo, inserita in quel molteplice delle cose e dei soggetti umani in cui ha consistenza il mondo. E' proprio a causa di questa inafferrabilita dell'Io che Croce parlava di misticismo, «ottimo al sentirsi in unita con Dio, rna disadatto al pensare il mondo». E difatti il mondo non puo essere realmente pensato, secondo Gentile, se non nel momenta in cui la sua molteplicita si scioglie totalmente nella incandescenza dell'atto che la pone e che a se la richiama. Gentile si difende dall'accusa, sostenendo che l'idealismo non e misticismo, perche l'Io trascendentale unifica, rna non distrugge la molteplicita degli io empirici. Ma l'affermazione non e una dimostrazione. Filosoficamente parlando, si da 'misticismo' quando si afferma una realta negando, nel contempo, che se ne possa avere un concetto. E' il caso dell'Io assoluto gentiliano. Questa slittamento fuori degli argini della ragione si mostra anche nella impossibilita di Gentile di fondare una distinzione tra attivita teoretica e attivita pratica: nell'Io puro, teoria e prassi sono- una stessa cosa. In quanta atto, il pensiero e sempre anche azione, e il pensiero-azione e sempre conforme a verita e banta, nel sensa che il negativo (!'errore, il male) viene a identificarsi con l'atto gia attuato, e cioe col pensiero gia pensato e la volonta gia voluta, che, se trionfassero, renderebbero impossibile un nuovo atto, bloccherebbero il divenire, insomma determinerebbero il nulla assoluto. C'e chi ha vista, in questa dottrina gentiliana, l'analogo della slancio vitale di Bergson, della volonta volente di Blondel e perfino della volonta di potenza di Nietzsche, e c' e anche chi vi ha scoperto il germe di quella esaltazione della rivolta permanente che avrebbe trovato la sua vera stagione qualche decennia piu tardi, negli anni '60 e '70. Spogliate delle loro vesti accademiche, le teorie 'attualistiche' diventavano giustificazione anche delle azioni punitive delle squadre fasciste, vista che, in ultima istanza, non si da vera distinzione (e non e una battuta!) tra l'atto del pensiero e l'uso del manganello, fra teoria e prassi.
12.11 Logica dell'astratto e logica del concreto. D'altronde, la distruzione della logica, sia di quella aristotelica, basata sui principia di non-contraddizione, sia di quella hegeliana, basata sulla distinzione tra l'intelletto, che rappresenta le cose analiticamente, ciascuna identica a se, e la ragione, che le assume .nell'unita della spirito, e un'impresa direttamente affrontata da Gentile nella sua Logica. La riduzione dell'intera realta al movimento triadico dell'atto porta con se la distinzione tra logica del concreto, quella che lega necessariamente il pensato al soggetto che pensa, e logica dell'astratto, che riguarda l'oggetto in se considerate, avulso cioe dal nesso dialettico che ne fa un momenta della mediazione con cui il soggetto, uscito da se, toma a se. Si e vista (12.5) come Croce distinguesse il giudizio 'definitorio' dal giudizio 'individuale', per risolvere poi il prima nel secondo. Ma Croce, conservando un largo residuo della logica hegeliana, considera i concetti puri, le categorie, come oggetti della mente, e ne indaga la struttura specifica immobilizzandoli e perdendo cosi la
396 D 12 - Gentile: l'attualismo possibilita di spiegarci come si passi dall'uno all'altro. Croce resta, insomma, dentrQ la tradizione della filosofia come fondamento delle diverse filosofie dell'arte, della natura, del diritto, e cosi via - nelle quali si tende a scoprire, dentro un oggetto specifico, le connessioni logicamente necessarie, il legame che stringe concetto a concetto, come gia fece Platone con la sua teoria delle idee, cadendo, senza avvedersene, nell'errore del suo avversario Democrito, che, dice Gentile, univa atomo ad atomo per mezzo di 'uncini'. Questa deviazione 'platonica', rimasta Vincente fino a Croce, e finalmente corretta dall'attualismo, per il quale la realta «cessa di essere semplicemente essere e diventa spirito; cessa di essere altro, opposta al soggetto, e partecipa alia vita del soggetto; cessa di essere mistero e diventa pensiero». Fuori della dialettica dell'atto non c'e, a rigore, che il meccanicismo democriteo e c'e la deformazione dommatica della realta, quella deformazione, ad esempio, che mi porta a pensare la persona che sta davanti a me come una persona tra persone e tra cose, cosa essa stessa, col suo corpo e la sua particolarita, impedendomi di comprendere che nell'Io trascendentale la molteplicita delle persone si risolve nell'unita e rimane legittima solo a condizione che io la pensi come un momento astratto del mio ritorno a me, al vero Io che e trascendentale. Detto questo, c'e poco altro da dire per rendersi conto della voracita annichilitoria della filosofia dell'atto. Si e visto, sopra, a proposito dell'errore e del male: essi non sono ... erano! In quanto assunti nel pensiero attuale, essi perdono il loro carattere negativo, che ha senso solo nell'astratto. E cosi la morte: essa non esiste. La morte e paurosa perche non esiste, come non esiste la natura ne il passato, come non esistono i sogni. C'e l'uomo che sogna, rna non le case sognate. E cosi la morte e la negazione del pensiero, rna non puo essere attuale, essa che si attua per la negazione che il pensiero fa di se stesso.
Per le stesse· ragioni, non esiste l'lgnoto, con il quale anche il positivismo aveva dovuto confrontarsi. Se si considera l"ignoto' come attuale, allora si cade negli errori tipici della metafisica, che lo ipostatizza, facendone un Dio trascendente, o della scienza positivistica che, aile prese col Tutto, considerato come la totalita della natura, non riesce a coglierlo se non in parte, in attesa di dissipare la scU:ra nebbia che copre il resto, o della religione naturalistica, che tramuta l'esperienza dell'impotenza del pensiero in un vago culto del mistero che permea il tutto. Da queste deviazioni ci si salva solo facendo dell'ignoto l'inattuale, che c'e in quanto non c'e, e quando c'e none piu ignoto. L'unica logica, dunque, e quella del concreto, e l'unica categoria, non oggettivabile, e quella, sopra spiegata, del concepire del soggetto in quanto 'concepisce', e cioe pone l'oggetto. Fu con questo principia che Gentile dette inizio alla sua ricerca filosofica, fin dai primi anni del suo sodalizio con Croce, quando Croce decise di occuparsi di Marx, ritagliando nel corpus marxiano quanta riguardava i temi storiografici ed economici e lasciando a Gentile l'aspetto piu propriamente filosofico (12.2). E difatti Gentile, nella sua Filosofia di Marx, riusci a cogliere, come lo stes-
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so Lenin riconobbe, quanto per lo piu sfuggiva ai marxisti dell' epoca ed e invece -tomato di attualita nei 'marxisti occidentali' (8.1 0-14): la netta diversita tra il materialismo naturalistico, privo di dialettica, e il materialismo storico. Scrisse infatti Gentile, nel dare un giudizio globale sul pensiero di Marx: Come ogni materialismo esso non vuole riconoscere per reale se non cio che e sensibile; rna questo sensibile, che e statico per ogni altro materialismo, per esso e dinamico, e in perpetuo fieri, donde il suo appellativo di materialismo storico. Ed ecco che questo materialismo, per essere storico, e costretto a negare nella sua costruzione speculativa il proprio fondamento: che non siavi altra realta all'infuori della sensibile; e a rifiutare quindi i caratteri essenziali d'ogni intuizione materialistica; come ad esempio, Ia concezione atomistica della societa, e lo stesso naturalismo. Questo insomma e un materialismo che per essere storico non e pili materialismo. Una intrinseca, profonda e insaziabile contraddizione lo travaglia.
Questa ricca intuizione di Gentile non ebbe in lui sviluppi apprezzabili. Ma l'averla accennata e utile, anche per comprendere il fatto, altrimenti iriesplicabile, che non pochi alunni di Gentile percorsero un itinerario che li avrebbe condotti al marxismo.
12.12 Identita tra storia e filosofia. Nella logica del concreto si scioglie con chiarezza il problema, gia affrontato da Croce, dei rapporti tra storia e filosofia. In quanto l'Io trascendentale, e doe l'autocoscienza, si realizza nella coscienza dei fatti e delle cose, la filosofia e storia; in quanto, con processo inverso, la coscienza delle cose si realizza in autocoscienza, la storia e filosofia. La vera storia non e, per Gentile, la molteplicita dei fatti che si distribuiscono nel tempo, e il suo raccogliersi nell'unita dell'atto che la pensa; non e la linea costituita dalla successione di punti, rna e l'intuizione che pone la linea e che, in quanto intuizione, non consta di momenti successivi, non e nel tempo, rna contiene il terqpo·. La vera storia e, insomma, Ia 'storia ideale ed etema', che non lascia fuori di se, come avveniva in Vico, un'altra storia, che si svolge nel tempo, quella che e la disciplina cara agli storici positivisti, dove gli eventi vengono narrati cosi come un naturalista descrive i fatti fisici. Gentile chiarisce il suo pensiero ponendo e risolvendo una 'antinomia storica': Antinomia storica possiamo dire quella che deriva dal concetto dello spirito come puro atto, considerato nelle sue relazioni essenziali col concetto della storia; e si puo formulare nella tesi: «lo Spirito e storia perche e svolgimento dialettico»; e nell'antitesi: «lo spirito non e storia, perche e atto eterno». Antinomia in cui ci si imbatte ogni momento nello studio e nell'intelligenza dell'uomo, che ci presenta sempre due facce, ognuna delle quali pare Ia negazione dell'altra; giacche l'uomo non possiamo intenderlo fuori della sua storia, nella quale egli realizza Ia sua essenza; rna nella storia egli non ci puo mostrare nulla di se, che abbia que! valore spirituale, per cui tuttavia Ia sua essenza viene concepita come realizzantesi nella storia.
Prendiamo per esempio, dice Gentile, un poeta come l'Ariosto. Per un verso, egli e un uomo vissuto in un certo punto della spazio e in un certo arco di tempo, dal 1474 al 1533. E' un uomo storico, intemo a una catena di condizioni, e condizione lui stesso di altre conseguenze, nella trama spaziale e tempora-
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le della storia. Per l'altro verso, egli e eterno, nel senso che, leggendo il suo Orlando furioso, noi lo rendiamo interno al nostro presente, comunichiamo con lui, ne facciamo un contenuto della nostra autocoscienza. E cosi, i suoi connotati spaziotemporali scompaiono, o meglio vengono assunti come dati astratti all'intemo dell'atto concreto, che e un atto etemo in quanto e extratemporale. Se, invece di un poeta - prosegue Gentile - avessimo un filosofo, egli ugualmente ci si sdoppierebbe innanzi in due personalita. L'una sarebbe la personalita di filosofo, onde noi leggiamo l'opera sua (se la intendiamo) pensando il suo pensiero come un pensiero nostro, e quindi lo conosciamo come spirito, lo apprezziamo, lo giudichiamo; sarebbe la vera personalita nel senso vero della parola. Per l'altra, il filosofo sarebbe collocato nel suo tempo, e il suo pensiero determinato dalle condizioni della sua cultura, dagli antecedenti storici della sua speculazione: dati i quali, egli non poteva pensare diversamente da que! che penso, al modo stesso che l'animale che e nato gatto miagola, e non belera mai.
Ecco dunque risolta l'antinomia storica. E risolta in modo che appare chiara anche un'altra identita, che invece Croce non accettava: l'identita tra filosofia e storia della filosofia. Chi ricostruisce, come noi andiamo facendo in questo manuale, la storia della filosofia, per quanto si faccia premura di sistemare lo svolgimento del pensiero lungo una trama cronologica, in realta presuppone una filosofia: quella di cui si serve per ricostruime il cammino, selezionando, secondo un suo criterio, il materiale, disponendolo in questa piuttosto che nell'altra prospettiva, insomma, attualizzandolo in se stesso, a dispetto di tutti i suoi scrupoli di esattezza filologica. Come dire che Ia storia della filosofia presuppone una filosofia.. E questa, a sua volta, non potrebbe darsi senza l'intera storia della filosofia che l'ha preceduta: e cosi il circolo si chiude. Non ha senso, naturalmente, chiedersi quale sia Ia 'vera' ricostruzione della storia della filosofia. Per ciascuno Ia vera ricostruzione e Ia sua. Non merita credito lo storico che presume di averci dato l'effettivo svolgimento del pensiero, senza nessuna intrusione delle sue personali posizioni. Il suo errore, conclude Gentile, e nel trasferire nella sua disciplina l'oggettivita di tipo naturalistico, quella delle cose, che e una oggettivita astratta, mentre la vera oggettivita e quella dell'atto, e insomma la 'storia ideale ed etema'.
12.13 La pedagogia. A pochi filosofi e stato concesso quanto fu concesso a Gentile: di trasformare le proprie idee nel progetto educative di una nazione intera. Il fascismo, giunto al potere, aveva bisogno di crearsi una classe dirigente conforme alia propria ideologia, anzi di crearsi una ideologia conforme a quella esaltazione della forza, che del fascismo era stato il rozzo embrione filosofico. Ad ambedue queste necessita provvide Gentile, non certo piegandosi servilmente ai voleri di un despota, rna deducendo dalla propria filosofia un contesto di idee operative, che era quanto ci voleva per il fascismo e per i ceti sociali che del fascismo erano il necessaria supporto. La riforma della scuola, avviata da Croce e completata, con indubbia originalita creativa, da Gentile, rifletteva in modo abbastanza esatto alcuni temi che siamo andati esponendo: la filosofia come coronamento di ogni vero sapere; il deprezzamento della forma-
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zione specialistica e in genere della conoscenza scientifica; l'autoritarismo effettiva ammantato delle forme della spontaneita; e finalmente la simmetria tra la gerarchia delle classi sociali e l'ordinamento selettivo della scuola, secondo la nota massima enunciata, nel 1920, da Croce: «noi preferiamo, in fatto di scuola, invece che gli sterminati eserciti di Serse, piccoli eserciti ateniesi e spartani, di quelli che vinsero l'Asia e fondarono la civilta modema». Lo schema dell'attualismo gentiliano si riscontra anche nell'istituzione, per le scuole medic superiori, del corso di Storia della filosofia, affidato all'insegnante di storia, e nell'introduzione dell'insegnamento della religione in tutte le scuole fuori che nel Liceo (limitazione che venne annullata dal Concordato del 1929), come propedeutica all'insegnamento della filosofia, che in se risolve anche la verita religiosa. Va detto che Gentile non si improvviso come riformatore. Di pedagogia si era sempre occupato. E' del 1900 il suo saggio ll concetto scientifico di pedagogia, che critica a fondo l'impostazione positivistica dell'educazione, ed e del 1912 il suo Sommario di pedagogia come scienza filosofica, forse la sua opera piu riuscita. Rifiutando il concetto di pedagogia come scienza normativa, che ha i suoi presupposti nell' etica e nella psicologia, o come metodo estrinseco da applicare in vista dei fini da raggiungere, egli afferrna, con vigore polemico e con un afflato da missionario, che l'educazione ha come suo oggetto la formazione dell'uomo 'secondo il suo concetto', e dunque, se sgombrata dei problemi tradizionalmente ritenuti specifici dell' esperienza pedagogica, si identifica con la filosofia dello spirito, in cui il 'fare l'uomo' e la stessa cosa che il 'farsi uomo'. II principia dell'unita tra gli uomini nell'autocoscienza comporta il riconoscimento di una identica umanita in me e negli altri, una volta che ci si sollevi dalla molteplicita empirica (e tale e la dualita tra educatore ed educando) all'unita dell'atto spirituale. II processo educativo trova il suo vera senso la dove, in una specie di 'sintesi a priori', il maestro cessa di essere colui che insegna dinanzi a colui che impara, e diventa anche lui discepolo del suo discepolo. Docendo discitur: insegnando si impara. II processo educativo e un processo autonomo, nel senso che ha in se le proprie norme, perfino quelle disciplinari, tutte risolte nel fervore dello scambio di ruoli tra l'educatore e gli educandi, assunti, l'uno e gli altri, dalla voce del 'maestro interiore' che e lo Spirito, che rende uguali e unifica in se gli individui empirici. «Chi, dopo un'ora di lezione, non ha imparato nulla, non ha fatto imparar nulla ai suoi scolari», i quali hanno ripagato questa sua incapacita con sbadigli e svogliatezza. La condizione della sintesi a priori educativa e che gli oggetti dell'insegnamento, come dire la molteplicita delle nozioni che gli fan da contenuto, siano tali che lo Spirito possa riconoscervi se stesso, e non per la loro particolare esemplarita, rna perche, per ragioni meramente storiche, essi rappresentano un passato idoneo ad attualizzarsi nel presente. In questa senso, altra cosa e la lingua latina, altra la lingua cinese. L'apprendimento dellatino non stacca l'alunno dal suo presente, anzi lo rende capace di assumere nel suo presente il suo passato. Di qui l'impronta nazionale della vera educazione, del tutto omogenea agli intendimenti ideologici del fascismo. E di qui anche il sostanziale autoritarismo, che si nasconde sotto l'esaltazione della spontaneita autonoma del fatto educativo. Sotto la speciosa abilitazione dell'alunno a svolgere anche lui il ruolo di maestro, c'e di fatto la disattenzione per la sua irriducibile alterita, per le sue concrete
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condizioni di esistenza, per i suoi bisogni, non tutti riducibili alla sintesi filosofica, e tanto meno a quella sintesi che relega nell'astratto tutto cio che appartiene alla sfera della causalita materiale, della natura, delle severe leggi della ricerca scientifica. Il ripudio delle regale formali del metoda educative in nome della spontaneismo va, anch' esso, nel sensa del pratico dispotismo del maestro, che, sciolto da ogni regola, rischia di assorbire in se, abusandone, la soggettivita ancora fragile dell'alunno. Del resto, se le tesi di Gentile hanna un lora sensa plausibile quando si riferiscono ai gradi alti dell'insegnamento umanistico, perdono di ragionevolezza se riferite a quei livelli dell'ordinamento scolastico da lui voluto, nel quale Tesercito di Serse' resta condannato a un tipo di istruzione volta a finalita pratiche e lavorative. Anche in questa si rivela il 'classismo' intrinseco alla pedagogia idealistica.
Gentile: le forme assolute 12.14 La dialettica dell'atto. In un cosi ricco svolgimento delle implicazioni della filosofia dell'atto, non si incontra mai una definizione del 'soggetto prima' da cui lo: svolgimento parte e a cui ritoma. Lo Spirito, infatti, e lo abbiamo gia vista (12.1 0), e di sua natura indefinibile, perche non oggettivabile: divenuto oggetto, non sarebbe piu Spirito. Sicche la grande tela razionale pende tutta da un sostegno che e fuori della ragione. Il problema, che a noi tocca appena accennare, e se in questa autoconsunzione della filosofia dell'immanenza abbia peso la necessita logica intrinseca a questa filosofia o piuttosto la specifica opzione di partenza dell'attualismo gentiliano, che consiste in una radicale rettifica della dialettica hegeliana. In Hegel, accanto alla alienazione della Spirito nella natlJ.ra e al ritomo della Spirito a se stesso, aveva il suo posto una 'dialettica in ·se', e cioe una logica fomita di una sua propria struttura (essere, non essere, divenire). E' proprio questa dialettica che Gentile rifiuta (10.2), per sostituirla in pieno con la dialettica dell'atto, priva di ogni retroterra razionale che la fondi. Questa dialettica, a dispetto di «tutti gli zelatori dell'arca santa delle distinzioni» (la frecciata e contra Croce), non si svolge con una pluralita di categorie, rna con una sola, sebbene essa si dispieghi in una triplicita di momenti che corrispondono a queUe che in Hegel (2.8-11) erano le tre forme della spirito assoluto: l'arte, la religione, la filosofia: Momenti, spiega Gentile, solo logicamente distinguibili, perche la sintesi e originaria, ne e possibile trascenderla per fissare il puro soggetto, come non e possibile trascenderla per fissare il puro oggetto, come non e possibile trascenderla per additare il mondo dell'azione.
E ognuno dei tre momenti non e altro che coscienza: del soggetto (arte), dell'oggetto (religione), della sintesi trail soggetto e l'oggetto (filosofia). 1. L'arte e il momenta in cui l'oggetto non si e ancora contrapposto al soggetto come altro da lui, rna vive nel soggetto, come nel sogno le cose vivono in noi, non sono 'altre'. Non dunque dalla fantasia creativa, distinta dalle altre fa-
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colta dello Spirito, rna dalla conoscenza nasce l'arte, sebbene l'oggetto che essa rappresenta non abbia raggiunto l'oggettivita propria della contrapposizione conoscitiva. In questo senso, tutto puo diventare rappresentazione estetica: non si danno oggetti 'belli', rna ogni oggetto puo diventare bello, qualora rimanga immerso nella soggettivita. Che non e la pura e semplice soggettivita empirica del poeta, e la soggettivita trascendentale, che non e finita, rna infinita. Di qui l'universalita e l'eternita della creazione poetica, la sua capacita di parlare al nostro spirito a distanza di secoli e di millenni: lo Spirito chiude in se il tempo, non viceversa. Anche per Gentile, dunque, come per Croce, l'arte e sentimento. Ma per Gentile e inutile tentar di distinguere una forma espressiva poetica dalla altre forme espressive: quel che decide non e mai la forma, e il sentimento che l'attraversa, e il sentimento attraversa orizzontalmente tutte le forme possibili. Non ha senso, percio, l'operazione di Croce, che separa, in una creazione poetica, poniamo la Divina Commedia, cio che e poesia e cio che non lo e. In quanto espressione, l'arte e sempre pensiero, come e pensiero la tecnica espressiva di cui esso si serve, rna in ogni caso si tratta di un pensiero cosi pervaso dal sentimento, che resta sempre al di qua della soglia oltre la quale esso sarebbe niente altro che filosofia. Proprio per questo, l'arte e sempre 'inattuale': perche, se fosse attuale, dovrebbe essere pensata, risolta tutta nella oggettivazione del pensiero. Ma allora non sarebbe piu arte. Di qui l'impossibilita di costruire una storia dell'arte: ogni creazione artistica e una monade a se, che non sopporta di essere collegata alle altre secondo la continuita di uno svolgimento. 2. La religione «puo essere definita come l'antitesi dell'arte». Come l'arte e esaltazione del soggetto, sottratto a tutti i vincoli del reale, per cui anche l'oggetto resta immerso nella sua atmosfera e vi respira e vive, cosi la religione e «l'esaltazione dell'oggetto, sottratto ai vincoli dello Spirito, in cui consiste l'idealita, la conoscibilita e razionalita dell'oggetto stesso». Ogni oggetto, purche sia posto nella sua astratta oggettivita, diventa infinito, si spoglia delle vesti primordiali de~a ·sensibilita, e quindi di ogni disponibilita ad essere rappresentato. Se l'oggetto infinito e rappresentato, si cade nella idolatria. Per questo, la religione, nella sua forma pura, non puo essere che monoteista e non puo non negare il soggetto come tale. L'unico rapporto possibile tra il soggetto e l'oggetto infinito e quello del misticismo, in cui il soggetto nega totalmente se stesso e rinuncia a ogni pretesa di conoscenza, pago del sentimento del proprio nulla, che si esprime nello slancio di adorazione. Anche la religione, dunque, e senza storia, a meno che non si tratti della storia dei soggetti religiosi, radicati nella empiricita del tempo e dello spazio. Ed e senza teologia, proprio perche il suo oggetto e, per definizione, impensabile: l'errore dei 'modernisti' (17.9) era, per Gentile, di voler trattare l' oggetto religioso sec on do i criteri della filosofia. E difatti, nella sua forma piu perfetta, la religione parla di un Dio che ama e, amando l'uomo, si fa uomo anche Lui: l'oggetto ritoma al soggetto, com'e nelle regole della dialettica dell'atto. Ma allora la religione cede il campo alla filosofia, e precisamente alla filosofia dell'attualismo gentiliano, che riteneva se stesso come 'l'inveramento del cristianesimo'. Non e forse il cristianesimo che ha affermato per primo, e in modo assoluto, il principio dell'interiorita, fino a parlare di un Dio intimo all'uomo piu che l'uomo a se stesso? «Sono cristiano - disse Gentile in una memorabile conferenza, tenuta a Firenze il 19 febbraio
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del 1'943 - perche credo nella religione dello Spirito. Ma voglio aggiungere, a scanso di equivoci: io sono cattolico». Ma non si. trattava di una professione di fede. Nessun colpo di fulmine, spiego lui stesso, nessuna caduta sulla via di Damascol Anche la fede cattolica rientrava nel suo modo di inserire il passato nel presente, di attualizzare i dati storici e autobiografici nella sintesi filosofica in cui, e in cui soltanto, tutto ha sensa. Di questo assolutismo della sintesi filosofica fa le spese, come abbiamo accennato, anche la scienza, a cui non resta nessuno spazio proprio. A differenza di Croce (12.5), Gentile non si sforza nemmeno di far usa, a proprio vantaggio, delle tesi empiriocritidstiche che erano emerse dal mondo stesso degli scienziati. A spodestare la sdenza di ogni significate gnoseologico egli gi unge per via deduttiva. La scienza, egli dice, oscilla tra l'arte e la religione, assommando la mancanza di soggettivita, propria della religione, con la mancanza di oggettivita, propria dell'arte. Infatti, lo sdenziato presume di trattare la realta oggettiva, rna la realta che egli indaga se la trova gia posta davanti, e tale la accetta, senza rendersi conto della sua origine, proprio come accade nel memento religiose. E la realta ch,e egli tratta e sempre una realta particolare e frammentaria, proprio come nell'immagine che se ne fa il poeta. In tanto la scienza riesce a sopravvivere come tale, in quanta fa astrazione dall'uno e dall'altro momenta dell'unita concreta della spirito, e doe dall'oggetto e dal soggetto. Solo quando supera questa duplice unilateralita, la scienza trova il sensa di se. Ma allora, none piu scienza, e filosofia. 12.15 Lo Stato etico. Non ci resta ora che esaminare le conseguenze implicite nella tesi gentiliana della identita tra teoria e prassi, tra conoscere e agire. Le due attivita possono distinguersi solo quando si distingue l'uomo dal mondo che si trova davanti. Distinzione astratta, come si e detto, priva di verita, finche non si risolva nell'unita sorgiva del soggetto. Non si da, dunque, una filosofia della pratica, si da, semmai, una filosofia in prospettiya pratica. Tale e, ad esempio, la filosofia del diritto. ll diritto sta dinanzi alia volonta del singolo cosi come il pensato sta dinanzi al soggetto. Il diritto non e la volonta in atto, rna la volonta gia passata all'atto, divenuta contenuto del volere: non e la forza della liberta, rna e la forza diventata oggettiva perche ormai priva di liberta. E', insomma, l' antitesi contrapposta, nella sua astratta oggettivita, alla tesi, che e invece la 'volonta volente', l'individuo nella sua spontaneita naturale, nel suo arbitrio. Ma la Iegge armata di spada, munita doe di sanzioni, che l'individuo si trova dinanzi come proprio limite, egli puo comprenderla solo se si ripiega in se, nella sua volonta volente, da cui l'imperativo estemo, nella sua nuda autorita, ha tratto origine. La sintesi tra i due momenti si trova nella vivente autorita della Stato, le cui radid sono, dunque, nell'uomo interiore, nella sua costituzione etica, che, proprio perche universale, non va identificata con l'arbitrio dell'individuo empirico. Lo Stato va considerate non come limitazione della liberta, rna anzi come sua vera attuazione, perche sintesi vivente tra la spontaneita soggettiva e la marta normativita del diritto. La vera democrazia non e quella che chiede allo Stato le garanzie del libero volere degli individui, rna e quella che conferisce allo Stato la forza di attuare la volonta universale, che trascende l'arbitrio dei singoli.
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E cosi Gentile fomi allo Stato fascista la sua giustificazione teorica. E' di sua mano, inf~tti, la voce Dottrina del fascismo, firmata da Mussolini e apparsa nella Enciclopedia Treccani. Vi si legge, fra l'altro: Caposaldo della dottrina fascista e la concezione dello Stato, della sua essenza, dei suoi compiti, della sua finalita. Per il fascismo lo Stato e un assoluto, davanti al quale gli individui e gruppi sono il relativo. Individui e gruppi sono pensabili in quanto siano nello Stato. Lo Stato liberale non dirige il gioco e lo sviluppo materiale e spirituale della collettivita, rna si limita a registrare i risultati; lo Stato fascista ha una sua consapevolezza, una sua volonta, per questo si chiama stato etico.
Piu tardi, alla vigilia della sua morte, nello scritto Genesi e struttura della societil, uscito postumo nel 1946, Gentile cerco di correggere questa dottrina, introducendovi il riconoscimento della centralita dell'individuo nello Stato e del valore etico dell'umanesimo del lavoro. Ma si tratta di modificazioni che non mutano l'impostazione di fondo del suo pensiero politico. Il quale rimane, dunque, rigidamente chiuso nel suo tempo, senza piu possibili sviluppi, non pietra miliare di un cammino che continua, rna stele che indica un termine.
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Sommario. Nella seconda meta dell'Ottocento, prende avvio Ia ricerca dei fondamenti logici della matematica, tradizionalmente basata su nozioni psicologiche, come quelle di 'evidenza' o di 'intuizione'. La ricerca percorre tappe diverse e si conclude con Ia 'logicizzazione dell'analisi' di Frege, che riduce le leggi matematiche a quelle della logica pura, e cioe della logica che, al di Ia di ogni contenuto empirico, riguarda le relazioni fra oggetti ideali come il numero, definito come un insieme degli insiemi, come classe delle classi (13.1). La 'logistica' di Frege contiene una 'antinomia', messa in luce da Russell, che Ia risolve costruendo una piu rigorosa gerarchia delle classi. Egli ricerca. partendo da un impianto realistico della conoscenza, Ia logica pura mediante un'analisi del linguaggio capace di ricondurre le proposizioni complesse ad 'atomi linguistici', cui sottostanno realta elementari, e a dati intuitivi, che rimandano a forme logiche pure (13.2). La teoria di Russell utilizza i tentativi, condotti da algebristi come Boole e Schroder, di costruire un apparato logico-formale facendo uso dei simboli e delle procedure dell'algebra, idonei a mettere in luce l'articolazione mentale che sta alia base di ogni processo dimostrativo (13.3). Questa natura formate della logica comporta l'eliminazione di oggetti mentali, a cominciare da quelli da cui partiva Ia geometria euclidea, come avevano fatto, fin dalla prima meta dell'Ottocento, gli ideatori di geometric non euclidee (13.4). Sulla questione se esistano o meno, come oggetti della mente, enti matematici, di grande importanza sono il 'formalismo' di Hilbert, che basa quell'esistenza sulla semplice non contraddittorieta della teoria che li introduce, e l"intuizionismo' di Brower, che riconduce l'origine della matematica a un'intuizione prelogica del fluire del tempo, Ia quale si esprime, appunto, con Ia costruzione di enti matematici (13.5). Da questo dibattito parte Poincare, che sostiene il carattere convenzionale delle teorie scientifiche: esse sono vere in quanto sono comode (13.6). Non diverse le posizioni di Avenarius, che, risolvendo Ia dualita soggetto-oggetto nel mondo unitario dell'esperienza, fa delle conoscenze scientifiche stnlmenti di adattamento all'ambiente, e Mach, che riduce le teorie scientifiche, sulla base di questo processo evolutivo unitario e della !oro storicita, a momenti provvisori di una strategia economica di controllo e di previsione dei fatti ( 13. 7). Questa rivoluzione epistemologica coincide con Ia crisi della scienza classica, provocata da nuove scoperte scientifiche, come quella sulla velocita della luce, che rimettono in questione i concetti newtoniani di spazio e tempo assoluti (13.8). A elaborare una nuova teoria che tenga canto di queste scoperte, provvede Einstein, con Ia dottrina della relativita ristretta, secondo Ia quale tutti i fenomeni sono relativi alia posizione, di quiete o di moto, dell'osservatore (13.9). In seguito, modificando il concetto di massa, e cioe integrando nella massa anche l'energia. egii estende il principia di relativita a tutti i fenomeni dell'universo (13.10). Lo spazio e il tempo si risolvono nel 'campo dinamico', nozione convenzionale che risponde al criterio dell'utile piu che del vero, per quanto Einstein sia convinto della possibilita di raggiungere una teoria piu completa, che recu-
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peri il vecchio determinismo causale (13.11). Le ricerche, condotte in que! giro di anni, sulla compo~izione dell'atomo, si avvalgono della teoria einsteiniana sui rapporto energia-massa, per progettare Ia liberazione dell'energia mediante Ia scissione della massa del nucleo (13.12). Una nuova epistemologia (il 'positivismo logico'), meglio rispondente a tanti rivolgimenti, viene elaborata dal Circolo di Vienna (13.13), che distingue i problemi di fatto, da risolvere con l'osservazione, e i problemi di significato, da risolvere con le regale della grammatica logica, sulla quale si basa la logica della scienza (13.14). Questa riduzione del sapere scientifico a forme linguistiche e approfondita di Carnap e da Neurath a partire dalla riduzione del linguaggio a fatto fisico (fisicalismo) (13.15). Disperso dal nazismo, il Circolo trova una seconda esistenza nella 'filosofia analitica' degli Stati Uniti, che attenua illegame tra analisi dellinguaggio e sapere scientifico (13.16). Come in quest'ultima trasformazione, cosi nell'intera storia del positivismo logico grande incidenza ha Wittgenstein, che gia nel 1918 aveva elaborato una rigorosa analisi del sapere scientifico col ridurlo a un sistema coerente di proposizioni, alia cui base ci sono quelle 'atomiche', che traducono gli stati elementari delle cose: al di fuori di questi confini non si da vero sapere (13.17). In una seconda fase, Wittgenstein rimette in questione il privilegio del sapere scientifico, riducendolo, alia pari di ogni altro sapere, a un 'gioco linguistico' (13.18). Collaterale al Circolo e anche Popper, che sostituisce al criteria della 'verificazione', sostenuto dal Circolo, il criteria di 'falsificazione': per essere vera, una teoria, deve essere falsificabile (13.19). Nella sua area, si e sviluppato il pensiero di quei neopositivisti che sottolineano il carattere storico delle teorie scientifiche e il !oro nesso col contesto sociale in cui ciascuna si forma (13.20).
Logica e matematica · 13.1 I fondamenti della matematica. Ci siamo gia imbattuti (ad esempio nell'esporre La filosofia dell'aritmetica di Husserl, 10.6), in alcuni crocevia della sviluppo del pensiero." nei quali la ricerca delle leggi logiche, che governano la conoscenza in generale, traeva vantaggio dalle leggi specifiche della conoscenza matematica. E' tempo che si renda canto, nonostante le difficolta che per i non specialisti presenta illinguaggio matematico*, della rivoluzione avvenuta, durante l'Ottocento e nella prima meta del nostro secolo, proprio nell'ambito delle scienze matematiche, ritenute da certa filosofia come immodificabili, dato che si tratta di una rivoluzione destinata a rinnovare non solo le discipline di origine, rna i fondamenti della logica in assoluto, e di riflesso la stessa concezione delle scienze fisiche. Fino agli inizi dell'Ottocento, le discipline matematiche si erano andate sviluppando senza eccessive preoccupazioni per la chiarezza delle proprie basi concettuali e per la inequivocabilita delle proprie procedure dimostrative. Molti concetti analitici restavano soffusi di un alone di mistero e di indeterminazione, con continui riferimenti alle nozioni di 'evidenza' e di 'intuizione', e cioe a dati psicologici che restavano vaghi e non rigorosi. La procedura era quella derivata da Euclide e giunta fino a Kant, attraverso la tappa fondamentale di Cartesio: l'edificio matematico sembrava destinato a restare immutabile in eterno. Fondandosi sull'intuizione spaziale (geomettica), Cartesio aveva fuso la
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Linguaggio matematico: gll insiemi numerici Numeri naturali. Sono i numeri 0, 1, 2, 3, 4, ... costruiti per contare gli elementi di un insieme. La !oro prima caratterizzazione assiomatica fu data da Peano nel 1889. Egli fonda il suo sistema su tre concetti primitivi . 0, numero, successore (successivo di un numero nell'ordine naturale) - e su cinque assiomi che si possono cosi formulare: Assioma 1. 0 e un numero naturale. Assioma 2. II successore di un numero naturale e un numero naturale. Assioma 3. 0 non e il successore di un numero naturale. Assioma 4. Numeri naturali diversi han no successori diversi. Assioma 5. Ogni proprieta che vale per lo 0 e per il successore di ogni numero che gada di quella stessa proprieta, vale per tutti i numeri naturali. Numeri interi relativi. Sono i numeri naturali preceduti da uno dei segni + o -. Cos~ -3, -2,--1, 0, + 1, + 2, + 3 ...... si possono considerare come un ampliamento dei numeri naturali, nel sensa che se identifichiamo + 1, con 1, + 2, con 2, ecc. gli interi contengono come sottoinsieme i naturali. Numeri razionali. Per semplicita si intendono le frazioni di numeri interi. Numeri irrazionali. Sono quei numeri che non si possono esprimere come rapporto di interi. Nella rappresentazione decimale essi risultano numeri decimali illimitati non periodici (per esempio V2 = 1,414213, dove le cifre dopa Ia virgo/a sono indefinite e non si ripetono con 'regolarita'). La !oro scoperta e dovuta ai matematici della scuola pitagorica; nel tentativo di dimostrare che i rapporti tra due grandezze in natura sono sempre esprimibili come rapporti tra numeri naturali, si trovo che questa non capitava nel caso della diagonale e del lata del quadrato (se il latp del quadrato e I, tale rapporto e proprio V2). Numeri reali. L 'insieme dei numeri reali e l'unione dell'insieme dei razionali e di quello degli irrazionali. Le prime definizioni rigorose dei reali sono dovute a Dedekind e a Cantor. Numeri complessi. I matematici hanna bisogno, per affrontare certi problemi di algebra (ad esempio per risolvere l'equazione x 2 + 1 = 0) di un numero che moltiplicato per se stesso dia -1. Si dimostra facilmente che tate numero non puo essere reale. Lo si indica allora con un nuovo simbolo, i, e lo si combina tramite le operazioni usuali con i nume·ri reali; si ottengono cosi delle 'grandezze' che obbediscono alle so lite leggi dell'algebra e dell'aritmetica. Tali grandezze sono i numeri complessi. Si dimostra che ogni numero complesso si puo esprimere nella forma a + bi, con a e b numeri reali. In altri termini, i numeri complessi sono quei numeri che si possono esprimere nella forma a + bi, dove a e b sono numeri reali e i e il simbolo con cui si rappresenta quella 'grandezza' (che non puo essere un numero reale) che, moltiplicata per se stessa, da come risultato -1.
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geometria e !'algebra. Da parte sua, Kant, attribuendo ai giudizi matematici il carattere della sintesi a priori, aveva offerto all'edificio matematico, basato sulle intuizioni pure spazio e tempo, la massima garanzia di stabilita e di necessita. E invece furono proprio i matematici che, a partire dai primi decenni dell'Ottocento, sollevarono i primi sospetti sulla stabilita dei fondamenti classici della !oro disciplina e, per tappe successive, arrivarono a sottoporli a una profonda revisione. Schematizzando, potremmo ridurre a tre le tappe di questa processo di rinnovamento e chiarificazione 'fondazionale'. 1. La prima e quella della rigorizzazione dell'analisi, che ha il suo rappresentante piu significativo nel francese Augustin Louis Cauchy (1789-1857), tanto reazionario in politica (legittimista, dopa Ia rivoluzione del 1830 venne in esilio a Torino) quanta innovatore in matematica. I suoi studi costituiscono ancora oggi, per rigore e precisione, un punta di riferimento indispensabile per ogni serio studio di analisi. Insieme a molte altre innovazioni, a lui si deve la riconduzione dei numeri complessi a numeri reali, che apri la strada ad ulteriori tentativi riduzionistici, in perfetta sintonia con l'esigenza di espungere dall'analisi ogni riferimento non numerico, passaggio necessaria per arrivare a porre i fondamenti di una logica del tutto priva di ogni contenuto, anche di quello aritmetico. 2. Proprio su questa linea e nata l'aritmetizzazione dell'analisi, il cui assunto fondamentale e Ia riduzione della teoria dei 'numeri reali' a quella dei 'numeri naturali', momenta davvero decisivo nella storia della matematica, perche avrebbe definitivamente scalzato il fondamento cartesiano dell"intuizione generica'. Fu infatti sulla linea di quella riduzione che, attorno agli anni '80, prese forma Ia nuova teoria matematica elaborata dal russo (rna vissuto in Germania) Georg Cantor (1845-1918) e dal tedesco Richard Dedekind (1831-1916). Con le lora teorizzazioni, essi riuscirono, nel contempo, a fondare aritmeticamente l'analisi e a rispondere ad alcuni grandi interrogativi sull'infinito matematico, che da secoli erano ritenuti enigmi insolubili. Senza fare alcun riferimento a intuizioni, .tailtomeno spaziali, Cantor (che aveva con Dedekind una relazione epistolare quasi quotidiana) dimostro come fosse possibile analizzare l'infinito e risolvere, in maniera originale, questioni ritenute senza soluzioni. Ad esempio, dimostro come per gli insiemi infiniti - e solo per questi - un sottoinsieme potesse avere la stessa 'potenza' del tutto, intendendo con cio che ad ogni elemento della parte si puo/ associare uno ed un solo element a del tutto, e viceversa (questa equivale a dire che il tutto ha tanti elementi quanti una sua parte). Ad esempio, l'insieme dei numeri pari ha Ia stessa potenza dell'insieme dei numeri naturali, come si puo rilevare dal seguente schema: 1
2
3
4
5 .... ..
2 4 6 8 10 .... . Sorprendente fu, in tal sensa, la scoperta del fatto che i razionali hanna Ia stessa potenza dei naturali, anche se intuitivamente sembrerebbero piu numerosi. Cantor, seguendo un procedimento ideato da Cauchy, riusciva ad ordinare i razionali disponendoli secondo uno schema analogo a quello esposto sopra per i numeri pari (solo formalmente piu complicato), dimostrando cosi la loro numerabilita. Egli scopriva, inoltre, che non tutti gli insiemi infiniti di numeri erano numerabili: era il caso dei reali, i quali hanno una potenza superiore a quella del numerabile.
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3. La terza tappa consiste nella ulteriore riduzione dei naturali ad entita ancora piu elementari. Si tratta della logicizzazione dell'analisi e cioe del procedimento mediante il quale i concetti-base dell'aritmetica possono venir ricondotti, per via di definizioni, a puri concetti logici, e gli assiomi dell'aritmetica possono esser ricavati a loro volta da pure proposizioni logiche. In tal modo, veniva eliminato dalle fondamenta della matematica l'ultimo residuo non logico, i numeri naturali. La matematica diventava, cosi, un ramo della logica. II primo a tentare l'impresa fu il tedesco Gottlob Frege (1848-1925), autore de I fondamenti dell'aritmetica (1884) e dei Principi fondamentali dell'aritmetica (1893-1903). E' veramente uno scandalo - cosi egli scrive - che Ia scienza sia tuttora all'oscuro dell'essenza del numero ... : sulla questione se il numero sia un gruppo effettivo di enti oppure sia soltanto un segno che Ia mano dell'uomo traccia sulla lavagna, se esso formi qualcosa di mentale, di cui Ia psicologia debba spiegare l'origine o sia invece una costruzione puramente logica, se costituisca una nostra creazione e possa quindi anche scomparire, oppure sia qualcosa d'eterno, su tutto cio Ia scienza non ha finora deciso nulla. L'aritmetica non sa se i suoi termini riguardano dei purl segni, tracciati con carbonato di calcio, o riguardano invece degli oggetti astratti.
Per uscire dallo scandalo, Frege propose una concezione del numero che, rigettando sia le definizioni degli empiristi, che facevano del numero un risultato dell'esperienza, sia queUe psicologiche, che ne facevano l'oggetto di una intuizione, lo colloca all'interno delle leggi pure del pensiero, e cioe di queUe leggi, indipendenti da ogni contenuto empirico, che pongono rapporti tra gli oggetti ideali. Se si dice che i satelliti di Giove sono 4, non si vuole dire che ad ogni satellite competa la proprieta 4, come a questo foglio compete la qualita 'bianco'. Il 4 e la proprieta dell'insieme, cioe della 'classe' dei satelliti di Giove. Il numero, dunque, indica una classe o un insieme di classi: se dico 3, indico non solo una classe di oggetti (tre mele), rna tutte le classi di oggetti a cui posso attribuire il numero 3 (alberi, citta, uomini). Il numero e dunque ·un insieme (o classe) e un insieme degli insiemi. Come tale, non e una pura forma, alla maniera kantiana, rna oggetto della mente, oggetto logico, o 'ideografico', come dice Frege. Il quale estese lo stesso criterio dal 'calcolo delle classi' al 'calcolo delle proposizioni', e cioe al procedimento logico con cui si fa riferimento a certe proprieta di cui godono tutti i componenti di una data classe, e che servono per determinare la classe intera. Se dico "x e ragionevole", affermo che la classe 'uomini' e quella per cui vale la funzione proposizionale 'e ragionevole', della quale la x rappresenta la variabile, che puo essere sostituita indifferentemente da Luigi, Pietro e cosi via. In tal modo, Frege distingue nettamente in ogni giudizio la rappresentazione concettuale (Sinn, intenzione, connotazione), che e legata a contenuti empirici, e il suo contenuto oggettivo meramente logico (Bedeutung, significato), che e assolutamente indipendente sia dal soggetto che dai contenuti. In termini kantiani, i giudizi sono, per Frege, analitici a priori, nel senso che il loro valore non e nella mente che li pensa ne nell'oggetto concreto che e pensato, rna nel loro riferirsi, comunque, a un contenuto oggettivo, a prescindere dall'esistenza o meno di questa contenuto. Come si vede, il risultato e la riduzione della logica a matematica, e viceversa: e la svolta che viene detta anche 'logistica'. Il nuovo edificio era compiuto.
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Senonche, un giovane studioso inglese, Bertrand Russell, in una lettera inviata a Frege nel 1902, gli fece rilevare l'antinomia. che si nascondeva nelle fondamenta del suo edificio, e lo fece con tale pertinenza che Frege riconobbe il proprio infortunio: il crollo di una delle pietre basilari della sua costruzione. 13.2 Russell e Ia crisi dei fondamenti. E' generalmente riconosciuto che con Ia lettera del 1902 di Bertrand Russell* a Frege si chiude Ia fase ottocentesca della ricerca sui fondamenti della matematica e si apre una nuova fase che animera il dibattito filosofico del nostro secolo. Secondo Russell, Ia definizione di numero intero come classe proposta da Frege, conteneva nel suo seno una contraddizione che poteva irrimediabilmente invalidarne l'uso. «Mi trovo completamente d'accordo con voi in tutte le cose essenziali - si Iegge nella sua lettera -, ... c'e giusto un punto dove io ho incontrato una difficolta». Questa 'difficolta' (conosciuta oggi come 'antinomia di Russell') e una antinomia, che si annida nel concetto della 'classe delle classi' che non contengono se stesse come elemento: essa risulta essere e al contempo non essere elemento di se stessa. La comprensione esatta del concetto richiederebbe alcuni cenni di teoria insiemistica che qui non possono fornirsi, ne tahtomeno presumersi; sara utile, allora, illustrare Ia questione ricorrendo a una curiosa interpretazione che ne da lo stesso RusselL Se definiamo «il barbiere di un villaggim> come «colui che fa la barba a tutti coloro che non si radono», si cade in una irresolvibile contraddizione quando ci si chiede cosa accade se il barbiere fa parte di quei «tutti», in altre parole, se il barbiere si rade. Comunque si risponda, si giunge a un
Bertrand Russell nasce a Trelleck, nel Galles, nel 1872. A 18 anni entra nel Trinity College di Cambridge. Nel 1900, insieme all'a1J1iCo Whitehead, partecipa al congresso internazionale di filosofia di Parigi, dove conosce il grande matematico torinese Giuseppe Pea no. L 'incontro determina una sua svolta filosofica, di cui e segno la sua opera, pubblicata nella stesso an no, Un' esposizione critica del pensiero di Leibniz. Pubblica nel1903 I principi della matematica e tra il1910 e il1913, in collaborazione con Whitehead, i Principia mathematica. Per le sue posizioni anticonformiste e pacifiste, viene allontanato, nel 1916, dalla cattedra di Cambridge e nel 1918 finisce in carcere per sei mesi. Durante gli anni '20 e '30 pubblica molti scritti etico-politici e di critica della religione. Alia fine degli anni '30 si reca in USA, dove insegna per alcuni anni nelle Vniversita del paese. Un ciclo di sue conferenze tenute in questa periodo viene pubblicato, nel 1945, col titolo Storia della filosofia occidentale. NeZ 1950 e premia Nobel per la letteratura. Nel 1963 fonda la 'Atlantic Peace Foundation: con intenti di studio e rice rca, e la 'Bertrand Russell Peace Foundation' contra la corsa agli armamenti e in favore dei popoli oppressi. Nel 1966 istituisce il 'Tribunale internazionale con tro i crimini di guerra: Muore ne/1970.
410 D 13 " Logica e matematica paradosso: e evidente, infatti, che costui «si fa la barba se non si rade» e «si rade se non si fa la barba>>. Qualcosa del genere era noto fin dal tempo dei Greci. Ricordiamo la cosiddetta 'antinomia del mentitore', studiata anche dai logici medievali che l'avevano considerata uno degli insolubilia esprimibili. Secondo questa antinomia, l'affermazione: «l'enunciato che sto pronunciando in questo momento e falso», risulta un enunciato vero se e falso, e falso se e vero. Queste aporie logiche avevano costituito, al pili, un ammonimento all'uso indiscriminato e non sorvegliato del linguaggio, rna nel nostro caso era messo in forse un grande tentativo scientifico-speculativo che, oltre ad essere il frutto di una vita di ricerche, quella di Frege, aveva radici in un consolidato indirizzo logico-matematico. «Qui non e in causa il mio metodo di fondazione - scrisse Frege, qualche tempo dopo la comunicazione di Russell - ...rna la possibilita di una fondazione logica della aritmetica». Ma Russell, nonostante la sua scoperta, non si rassegno affatto ad abbandonare il 'logicismo'. Per evitare che nei fondamenti logici della matematica potessero prodursi antinomie, egli propose la sua teoria dei tipi logici, che altro non era se non una gerarchizzazione delle classi, costruita in modo rigoroso. Essa comportava che solo classi a livello inferiore potessero essere elementi di classi a livello superiore, in modo da poter eliminare le situazioni 'circolari', di 'autoriferimento' o 'riflessivita', che producevano antinomie. Russell aveva esposto la sua teoria nei Principia Mathematica, scritti in collaborazione con Alfred North Whitehead (1861-1847) e pubblicati tra il 1910 e il 1913. In questa opera confluivano e si integravano la tradizione degli algebristi della logica (di cui tratteremo nel prossimo paragrafo), la lezione del matematico torinese Giuseppe Peano (1858-1932), che formula una esemplare assiomatizzazione della aritmetica elementare, e, naturalmente, Ia prospettiva logicistica di Frege. Russell elaboro un imponente armamentaria concettuale e strumentale ('notazionale'), per dominare e per esprimere il comportamento degli elementi di base della organizzazione logica del discorso, come i connet. tivi ( e, o, non, se... allord, se, solo se), i quantificatori (per ogni, esiste), le proprieta, le relazioni, le variabili, le costanti, ecc. Con questi strumenti, dimostrava come tutta intera la matematica fosse logicamente ricostruibile, previa ammissione della stratificazione gerarchica delle classi. Per operare in questo senso era tuttavia costretto ad ammettere alcuni principi ad hoc, non di stretta natura logica, che furono seriamente criticati da alcuni matematici. Russell era giunto a questo risultato operando una svolta radicale nel proprio orientamento filosofico. Formatosi nell'ambiente universitario inglese dominato dall'idealismo di Bradley .(11.1), nelle sue prime pubblicazioni ne aveva seguito gli indirizzi, pur avvertendone alcuni limiti. Fu il congresso di filosofia di Parigi, nel 1900, al quale partecipo insieme a Whitehead, che lo condusse a cercare nuove vie di speculazione. In particolare, gli risultarono interessanti le teorie di Peano, che lo spinsero a dedicare i suoi sforzi prevalentemente alia ricerca logico-matematica. «Egli - scrisse pili tardi, riferendosi allo studioso torinese - era sempre il pili preciso di tutti... In tutte le occasioni risultava invariabilmente il pili brillante». Dalla sua nuova consapevolezza scaturisce Ia denuncia di. tutte le prospettive di pensiero idealistico, accusate di condurre a
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forme estreme di monismo, e quindi alla incapacita di riconoscere la molteplicita degli esistenti. Egli si ispira, ora, a una forma dJ filosofia realistica, che ha il suo massimo interprete nel suo compagno di studi George Edward Moore (1873-1958), e che viene detta 'atomismo logico' per la sua particolare attenzione allinguaggio. L'analisi del linguaggio conduce, infatti, secondo Russell, a elementi originari non ulteriormente riconducibili, che possono considerarsi 'atomi linguistici', cui sottostanno 'fatti atomici', cioe dati sensoriali · che rimandano a realta elementari, o dati intuitivi che rimandano a forme logiche. Tutto il reale e dunque costituito da enti elementari e da pure forme logiche. Le 'proposizioni atomiche' sono le espressioni che affermano che una cosa ha una certa qualita, o che certe case hanna determinate relazioni; a partire da queste proposizioni atomiche, e possibile poi costruire proposizioni complesse. In ogni caso, sono i fatti atomici a rendere vere o false le proposizioni atomiche. Una simile impostazione portava con se una notevole riduzione delle assunzioni ontologiche, in base a un rigido criteria di esistenza. Espressioni come 'il quadrato rotonda' vengono immediatamente escluse, poiche nulla di esperibile (in sensa lata) vi corrisponde. n realism a e l' atomism a russelliani trovano dunque fondamento in una dottrina empiristica della conoscenza, che ne costituisce la premessa. Nell'arco della sua lunga vita Russell rivedra, e in parte aggiustera questa impianto del suo pensiero, rna senza apportarvi drastiche revisioni. E' opportuno aggiungere che, alla sua opera di logico-matematico e analista del linguaggio, Russell uni una fervida azione in campo politico ed eticosociale. n suo orientamento progressista e il suo pacifismo anticonformista gli costarono, nel 1916, la perdita della carica accademica che ricopriva a Cambridge, e alcuni mesi di carcere, nell918. II suo orientamento etico riproduceva, con perfetta coerenza, i principi empiristici della sua filosofia. Egli distingueva nettamente tra giudizi di fatto, oggettivamente verificabili tramite l' esperienza e quindi cost~tutivi del sapere scientifico, e giudizi di valore, non verificabili, opinabili, e come tali soggettivi, non oggetto di scienza. I cosiddetti valori assoluti erano quindi inconsistenti, per Russell, che li considerava, oltretutto, limiti insormontabili a quella Iibera ricerca dell'amore e della felicita che, per lui, era la ragione stessa della vita. Anche la sua indagine filosofica si configura, secondo un profilo scettico, non come ricerca di verita eterne, rna come eliminazione critica di pregiudizi e di errori. Di qui la sua avversione per tutti i dogmatismi politici e religiosi. Queste sue convinzioni etico-sociali Russell tento di tradurle anche sui piano pedagogico, rna con scarso successo: una originale esperienza educativa (assenza totale di punizioni, assoluta promiscuita tra i due sessi), condotta in collaborazione con la sua seconda moglie in una scuola sperimentale, ebbe esiti fallimentari. Gli ultimi anni di vita lo hanna vista impegnato strenuamente a combattere per l'ideale di tutta la sua vita: il pacifismo. Oltre alla denuncia della corsa agli armamenti e della spettro della catastrofe nucleare, promosse molteplici iniziative umanitarie, tra cui il famoso Tribunale intemazionale, che ha preso il suo nome, contra i crimini di genocidio.
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13.3 L'algebra della logica. Come si e accennato, nella grande opera di Russell e di Whitehead, Principia mathematica - considerata come La critica della ragion pura della 'nuova logica' - conflui, accanto alia logistica di Frege, anche la tradizione, avviata, nella prima meta dell'Ottocento, dagli 'algebristi della logica', primo fra tutti l'inglese George Doole (1815-1864). Illoro intento non era stato di ridurre, come invece faranno Frege e gli altri 'fondazionalisti', la matematica alia logka, rna piuttosto di organizzare la logica alla maniera della matematica, e piu specificamente dell'algebra, dato il suo alto quoziente di simbolismo e di astrazione. Essi realizzavano l'ambizioso progetto di Leibniz, (II.7.8) che aveva ritenuto possibile (e si rammarico sempre di non aver avuto a tale scopo ne il tempo ne le collaborazioni necessarie) una mathesis universalis, e cioe un sistema di segni, come sono quelli algebrici, applicabili a qualsiasi ragionamento. L'ipotesi di Boole si basava sulla somiglianza formale tra alcune operazioni algebriche e alcune operazioni logiche, quali la somma e il prodotto, che rendevano possibile il progetto di un calcolo logico sul tipo di quello algebrico. Una intuizione simile proveniva anche da Hobbes (II.6.6), che aveva individuato una stretta somiglianza tra il linguaggio e l'intellett_o, per cui potevano identificarsi ragionamento e calcolo. «Calcolare - scriveva Hobbes - e cogliere la somma di pili cose, ... ragionare e la stessa cosa che addizionare e sottrarre». Ma questi lontani precursori della moderna logica simbolica legavano le loro intuizioni a istanze metafisiche improprie, e non avevano l'intenzione di fondare una nuova disciplina autonoma. Inoltre, i loro tentativi erano, in buona parte, frustrati dalla incapacita della matematica del tempo di innalzarsi a un livello di generalita tale da dar !oro un adeguato sostegno. Ecco perche nel corso del Settecento non si produssero contributi o approfondimenti idonei a dar sviluppo a queste originarie speculazioni. Nel secolo XIX, invece, le cose presero un corso completamente diverso: l'enorme crescita della matematica rese possibile la ripresa di quei lontani tentativi e l'acquisizione di sorprendenti risultati. In virtu del suo indirizzo sempre pili astratto e simbolico, la matematica si era messa in grado di dominare tutte le scienze progredite. Si comincio a pensare che essa non doveva necessariamente restare chiusa nel mondo delle grandezze: se l'algebra era un puro algoritmo, e cioe un semplice insieme di segni che potevano assumere i significati pili vari, bastava fornire ad essi una appropriata interpretazione per estenderli al dominio della logica. E' quanto fecero gli 'algebristi della logica'. Essi stabilirono i principi con i quali era possibile interpretare i simboli e le operazioni del calcolo letterale. Le vie seguite furono due: o i simboli letterali (a, b, c ... ) rappresentavano classi (e quindi i segni + e x indicavano operazioni tra classi, rispettivamente l'unione e l'intersezione), e allora si parlava di Algebra delle classi; oppure le lettere indicavano 'proposizioni' (cioe espressioni linguistiche di cui ha senso chiedersi se sono vere o false e per le quali vale il 'principia della bivalenza', secondo cui una proposizione e sempre vera o falsa), e allora le operazioni tra di esse consistevano nella !oro composizione, attraverso quei connettivi logici che nel linguaggio comune corrispondono alle particelle 'e', 'o', 'non', 'se .... allora': in tal caso si parlava di Algebra delle proposizioni (detta anche Logica proposizionale). Ad esempio, nell'Algebra delle classi, se come 'universo del discorso' fissiamo la classe degli europei, con a intendiamo Ia classe dei cittadini francesi e con b la
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classe degli europei di venti anni, allora a +b sara la classe che ha come elementi i cittadini francesi o (vel) gli europei di vent'anni, mentre a X b sara la classe dei francesi che hanno vent'anni. Nell'Algebra delle proposizioni, invece, se a indica la proposizione «piove» e b indica «fa freddo», allora potremo ottenere le proposizioni composte a X b = «piove e fa freddo», a + b = «piove o fa freddo». Un terzo passo della interpretazione del. calcolo algebrico, che rispondeva alla necessita, sempre piu avvertita, di un avvicinamento tra logica e matematica, fu compiuto dal tedesco Ernst Schroder ( 1841-1902) e dal prammatista americano Peirce di cui ci siamo occupati ( 11.13). Si tratta dell' Algebra delle relazioni (detta anche Logica dei predicati), per la quale vennero introdotti altri simboli idonei a trattare il nuovo ambito logico, e cioe 'quantificatori' come I. = esistenziale, n = universale, con cui, secondo Schroder, si potevano formalizzare frasi del tipo: «esiste un numero naturale divisibile per due», «
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base che, per semplicita ed evidenza, erano ammesse come punti di partenza (postulati) delle deduzioni. La teoria geometrica risultava quindi un complesso strutturato di tipo deduttivo, in cui ogni teorema possedeva un grado di derivabilita, che era sempre riconducibile a quello di altri teoremi, o, risalendo indietro, a quello dei postulati o assiomi di partenza di per se evidenti. Nella intenzione di Euclide, e di quanti si dedicarono alia geometria fino alia meta dell'Ottocento, questi as~lomi esprimevano e codificavano la comune concezione dello spazio, che si avvalorava attraverso intuizioni certe, prive di ambiguita. Tra questi postulati di partenza ammessi da Euclide, il quinto sembrava possedere una forza di evidenza minore rispetto agli altri. Questo postulato, che per comodita puo esprimersi anche cosi: «per un punto esterno ad una retta, passa una ed una sola retta parallela alia retta data», era credibile, rna quanto i matematici non accettavano era che fosse considerato un postulato, piuttosto che un teorema. Per secoli si tento di dimostrarlo come teorema, rna inutilmente. In particolare va ricordata l'opera di Girolamo Saccheri (16771773), Euclides ab omni noevo vindicatus (Euclide emendato da ogni neo). Contra le sue intenzioni, Saccheri costrui la prima geometria non euclidea: erano stati alcuni suoi errori di procedura a mettere in evidenza u·na contraddizione che lo convinse della necessita di ammettere il quinto postulato nella sua forma originaria. A risolvere il secolare problema furono alcuni matematici che, intorno alia meta dell'Ottocento, compirono un vero e proprio 'salto logico', senza il quale la questione non avrebbe potuto trovare soluzione soddisfacente. Fu per primo Karl Friedrich Gauss ( 1777-1855) e, poco dopo, il russo Nicolai lvanovic Lobacewski (1792-1865) e l'ungherese Janos Bolyai (18021860) che, indipendentemente l'uno dall'altro, indicarono la via adatta allo scopo. Spetta, comunque, agli ultimi due il merito storico di aver dato pubblicita ai loro lavori; Gauss, per timore «degli strilli dei beoti>>, come scrisse in una sua lettera, non voile pubblicare i suoi studi. Lobacewski e Bolyai erano ben coscienti della 'rivoluzione teorica' che avevano avviato. In una lettera al padre, Bolyai scrisse: «Ho creato un universo nuovo dal nulla». Questo universo nuovo era la geometria iperbolica: essa faceva suoi i primi quattro assiomi di Euclide e ne aggiungeva un quinto che negava il postulato euclideo delle parallele: «per un punto esterno ad una retta data, passano infinite rette ad essa parallele». Da queste assunzioni derivava una struttura geometrica che al suo interno non presentava nessuna contraddizione logica. Pili tardi, Bernhard Riemann (1826-1866) costruiva delle geometric non-euclidee intese in senso molto pili generale: si trattava di stabilire quante parallele a una retta possono passare per un punto esterno ad essa, dove, in pili, le parole 'punto', 'retta', 'piano' non avevano necessariamente il senso ordinaria. Oggi l'espressione 'geometria di Riemann' viene usata, in senso pili ristretto, per indicare quella particolare geometria in cui addirittura non esistono rette parallele. Quanto i nuovi geometri venivano proponendo era il rifiuto di costruire lo studio dello spazio su 'intuizioni evidenti'. La geometria non era pili considerata il sistema deduttivo che si origina applicando principi logici ad alcune proposizioni apodittiche, risultanti tali dall'esperienza intuitiva, rna un sistema ipotetico-deduttivo, capace di produrre una serie di verita geometriche, valide in relazione ad assiomi specifici assunti convenzionalmente. Cadeva !a convin-
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zione che i postulati fossero determinati dall'evidenza, e con cio veniva meno l'idea k~ntiana secondo la quale gli assiomi della geometria erano conseguenze necessarie di una forma trascendentale della nostra facolta intuitivointellettiva. Inoltre, diventava problematico ammettere e individuare l'oggetto specifico della scienza geometrica, poiche era possibile costruire teorie diverse. Cominciava, quindi, ad agitarsi il dubbio dell'esistenza di un oggetto determinato, o comunque ad affiorare la convinzione che questa esistenza, se fosse stata ammessa, dovesse avere caratteristiche assai originali. Infine, non meno gravi problemi nascevano dalle considerazioni sugli assiomi della geometria: dal momento che non si riferivano piu saldamente a una realta deterrninata, rna erano semplici convenzioni, risultava arduo operare delle scelte, controllare la loro coerenza. Queste difficolta aprivano questioni rilevanti sui fondamenti della geometria, questioni che rivestivano interesse speculativo generale. La natura e i caratteri dello spazio, argomenti tradizionali di pertinenza della filosofia, si imponevano, qui, con tutta la loro forza. La geometria, a seguito di questa 'crisi di sviluppo', si divise in due tronconi: una geometria fisica, che divenne un ramo della scienza fisica e che risolse i suoi problemi all'interno di questa disciplina; ed una geometria matematica, dagli spiccati caratteri formali. Questa distinzione induceva il riconoscimento della diversita tra spazio matematico e spazio fisico, dalla quale appariva evidente che una cosa erano i sistemi di pensiero fondati su asserzioni intorno allo spazio fisico, altra cosa questo spazio fisico in se considerato. Una simile acquisizione rivestiva un'importanza epistemologica determinante e promuoveva sviluppi particolari non solo in matematica, rna, per la forma mentis che originava, anche nella scienza in generale. Una geometria assumeva la natura di una teoria scientifica, applicabile allo studio dello spazio fisico finche si adattava ai dati dell'esperienza e serviva ai bisogni della scienza. Se pen) una nozione di spazio matematico poteva essere sostituita da un'altra che fosse in miglior accordo con la massa sempre crescente dei risultati del lavoro scientifico, allora essa doveva venire soppiantata dall'altra, come era avvenuto per la teoria geocentrica di Tolomeo, soppiantata da quella eliocentrica di Copernico. 11 caso si verifichera con l'utilizzazione di una particolare geometria non-euclidea da parte di Einstein per la sua teoria della relativita generate (13.10). La fine del dominio della geometria euclidea, cioe di un modo particolare di parlare dello spazio, fu la fine del dominio delle 'verita assolute' in questo ambito conoscitivo. L'intuizione immediata, garanzia indiscutibile della validita delle riflessioni protocollari matematiche e scientifiche, una volta minata nelle fondamenta, lasciava Iibera la strada ad ipotesi che non avrebbero tardato a prendere campo: il convenzionalismo, da un lato, secondo cui ha valore cio che funziona fino a prova contraria e, dall'altro, la nozione di teoria come Iibera costruzione umana, anche se coerente e rigorosa, che recava con se il rifiuto definitivo del facile ricorso all'intuitivita. 13.5 11 formalismo di Hilbert e l'intuizionismo di Brouwer. Una delle questioni fondamentali che la rivoluzione geometrica lasciava aperte in campo strettamente matematico era quella. gia accennata, della esistenza degli 'enti' di
416 D 13 - Logica e matematica questa disciplina. Un grande logico e matematico tedesco, David Hilbert (18631943), muovendo dal tentativ~ di risolvere il problema nei suoi Forulamenti della geometria, del 1899, suggeriva un nuovo indirizzo fondazionalista. La dottrina hilbertiana, che, contrapposta al logicismo, si chiamo 'formalismo', sostiene che il problema dell'esistenza degli enti matematici - ad esempio geometrici, come il punto, la retta, il piano - deve ricondursi a quello della noncontraddittorieta degli assiomi della teoria che li introduce. In altri termini, se un sistema matematico assiomatizzato, come Ia geometria, risulta noncontradditorio, vuol dire che gli enti di cui parla sono matematicamente esistenti. Come si vede, il problema, in certo qual modo, di contenuto, viene trasformato e risolto sui piano della 'forma'. In modo paradossale, rna nel contempo esemplare, Hilbert sosteneva che si potrebbe parlare di «amore, Iegge, spazzacamino», invece che di punto, retta e piano; basta infatti assumere gli assiomi come relazioni tra questi enti, perche le proposizioni deducibili, ad esempio, il teorema di Pitagora, valgano anche per essi. II compito fondamentale viene ad essere, dunque, Ia dimostrazione della non contraddittorieta degli assiomi delle teorie matematiche. Perche questa dimostrazione sia possibile, e necessaria una completa formalizzazione della teoria analizzata, che comporta I'esplicitazione di tutti i meccanismi logici e linguistici ritenuti ammissibili in seno ad essa. Si creava, cosi, una matematica, anzi, una metamatematica, che ha come oggetto sia la matematica nella veste della teoria specifica, sia i suoi procedimenti, e offre metodi di controllo (da considerarsi sicuri in quanto basati su manipolazioni finite) per riconoscere le dimostrazioni legittime secondo il calcolo. E' in seno a questa matematica 'finitista' che si fa possibile la dimostrazione di non-contraddittorieta di singole teorie matematiche espresse in forma assiomatica. Dato che la non-contraddittorieta della maggior parte dei sistemi formali si riconduce a quella delle teorie dei numeri reali, dei naturali e degli insiemi, e tenuto conto dei rapporti di forza esistenti fra i tre sistemi, Hilbert affront<'> anche il problema della non-contraddittoiieta dell'aritmetica. Questo tentativo, che incontro l'entusiasmo e l'impegno di molti studiosi, subi uno scacco clamoroso quando, nel 1931, l'austriaco Kurt Godel (19061978) dimostrava l'impossibilita, con mezzi rigorosamente finitisti, di verificare la non-contraddittorieta dell'aritmetica. · In questa rapida panoramica di tappe e posizioni intorno alla filosofia della matematica, tra fine Ottocento e inizio Novecento, occorre ricordare anche l'indirizzo che viene detto 'intuizionismo'. II suo rappresentante piu significativo fu l'olandese Luitzen Jan Egbertus Brouwer (1881-1966). La sua opera Sui fondamenti della maten:zatica, del 1907, costitui la pietra miliare della nuova prospettiva, che tuttavia fu seguita da pochi matematici. Per Brouwer, la matematica non e ne una Iibera creazione della mente umana, fondata sulle leggi logiche, come ritenevano i logicisti, ne un insieme di teoremi, quindi di dimostrazioni, come pensavano i formalisti, rna un raffinato modo di esprimere l'intuizione pre-logica e pre-linguistica del fluire temporale, del divenire del tempo. Per questo, non puo accreditarsi in seno ad essa alcuna espressione di «intuizione infinitaria». Secondo Brouwer, e assurdo pensare all'infinito come totalita in se conclusa di risultati del processo generativo degli enti matematici (infini-
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to attuale). Il processo e le sue possibilita sono l'unica cosa esistente. E cosi l'infinito e ammesso solo come 'potenziale', e della matematica, con coerenza, si da una nozione 'costruttivista'. L'esistenza di un ente, ad esempio, non significa la sua possibilita, rna la sua concreta costruzione. Da cio deriva che il ragionamento matematico per assurdo, basato sul principia logico del 'terzo escluso' (scoperto da Aristotele), secondo cui un ente gode o non gode di una proprieta e non vi e un'altra possibilita, e da rifiutare, mentre l'unico da accreditare e quello della dimostrazione diretta: un ente puo dirsi esistente (matematicamente) se se ne da un esempio, o se ne indica la procedura per ottenerlo, costituita da 'un numero finito di passi'. La matematica cosi costruibile risulta assai diversa da quella classica. E, sul piano pili generale, la logica cessa di essere univoca e diviene 'polivalente'. Ne terra conto Wittgenstein nella sua teoria dei 'giochi linguistici' (13.18).
La crisi della scienza classica 13.6 Poincare: il convenzionalismo. Le ricerche logico-matematiche non potevano non ripercuotersi, con le !oro innovazioni, in una critica serrata contro gli schemi dentro i quali era cresciuta la scienza classica. Spingeva in questo senso anche lo sviluppo ingente delle applicazioni tecniche dei risultati scientifici, che accentuava, di sua natura, la funzione 'pratica' della conoscenza delle cosiddette leggi di natura. Non e un caso che l'indirizzo critico promosso dalla rivoluzione logicomatematica abbia avuto particolare sviluppo in Germania e in Francia: in Germania, dove nella seconda meta dell'Ottocento si ebbe uno straordinario balzo tecnologico e industriale, associato, con lungimiranza, a un riordino delle Universita in vista di una sostituzione della centralita degli studi filosofici con quella degli studi scientifici; in Francia, dove le consolidate tradizioni scientifiche trovavano un prestisioso centro di permanenti innovazioni nell'Ecole Polytechnique. Proprio nell'Ecole Polytechnique si laureo, nel 1879, Henri Poincare, • che nella storia della filosofia della scienza, partendo proprio dal dibattito sulle geometrie non-euclidee, ha aperto il capitola detto del 'convenzionalismo'. Secondo Poin«:are, gli assiomi geometrici non sono ne giudizi sintetici a priori o forme di intuizione di alcun altro tipo, ne verita sperimentali, sono 'convenzioni' liberamente create dalla mente, segni e simboli di rapporti che, per la loro natura, potevano essere costituiti da sistemi diversi, come dimostra l'autonomo sussistere di diverse geometrie possibili. Il prevalere di quella euclidea e da assegnare alla sua maggiore 'comodita', alia sua capacita di rappresentare lo spazio fisico in modo pili semplice di ogni altra. Queste considerazioni intorno alla geometria vengono estese da Poincare (anche se con l'aggiunta di una sorta di correttivo costituito dall'esperienza) a tutte le teorie scientifiche, delle quali egli propane un'interpretazione convenzionalistica e utilitaristica.
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Lo stesso anno ( 1905) in cui Albert Einstein pubblicava le sue rnemorie sulla relativita ristretta (13.9), Poincare delineava compiutamente il suo pensiero epistemologico nella sua opera Il valore della scienza. Il fondamento della scienza non puo piu essere riconosciuto ne nell' empirismo di marca positivistica ne nel criticismo (apriorismo) di marca kantiana. Lo scienziato interviene attivamente nella costruzione del sapere scientifico, e lo fa in piena liberta, stabilendo convenzionalmente i principi scientifici con l'ispirarsi a considerazioni di semplicita e comodita. Questa procedimento e tuttavia delimitato dall'esperienza, che non irnpone prescrittivamente nulla, rna serve pur sempre da guida. L'opera della scienziato consiste nella traduzione dei fatti in un linguaggio comodo, rapido, inequivocabile, in una parola, 'oggettivo'. L'oggettivita delle leggi scientifiche non e 'causale', basata su dei 'supporti' (Ia 'natura' delle cose) come volevano i positivisti, rna e 'formale', basata sui 'rapporti' esistenti tra le case ed espressi nel linguaggio matematico, che e un linguaggio dagli spiccati rapporti intersoggettivi e pertanto comunicabile agli altri, strumento di scambio per una piu larga sfera di soggetti. Poincare si adopero a impedire che il suo convenzionalismo fosse inteso in maniera radicale, come faceva, ad esempio, Eduard LeRoy (1870-1954), che paragonava le leggi scientifiche aile regale del gioco che l'uomo ha inventato per suo divertimento. I principi stabiliti dalla scienza sono, si, modificabili, rna non come si modifica una citta, distruggendo i vecchi edifici per costruirne dei nuovi, bensi come Ia natura fa nell'evoluzione dei tipi biologici, nei quali un occhio esperto riesce a ritrovare le tracce di cio che, nella serie delle trasmissioni, e stato superato. Se una teoria scientifica «ci ha fatto conoscere un rapporto vero, questa rapporto e definitivamente acquisito, e lo troveremo, mascherato a nuovo, in altre teorie che verranno successivamente». Resta, comunque, che le' relazioni tra i fatti spiegate dalla scienza sono sempre convenzionali. Ad esempio, la teoria copernicana nei confronti di quella tolemaica e vera perche e per noi piu comoda, nel senso che riesce a raccogliere, in una sintesi coerente, dei fatti prima sconosciuti, purche si riconosca che, non essendoci uno spazio assoluto, e legittimo affermare tanto che la terra e ferma quanta che essa si muove.
Henri Poincare nasce a Nancy, nel 1854, da una famiglia dell'alta borghesia lorenese (suo cugino Raymond Poincare sara Presidente della Repubblica dal 1913 al 1920). Si laurea, nel 1879, al!Ecole Politechnique. Insegna dal 1885 per tutta Ia vita alla Sorbona, dove occupa successivamente diverse cattedre, fra cui quella di meccanica fisica e sperimentale, fisica matematica e meccanica celeste. Tutte le sue piz~ importanti opere di epistemologia vengono pu.bblicate nel prima decennia del secolo: La scienza e l'ipotesi, 1902, II valore della scienza, 1905, Scienza e metoda, 1909. Muore a Parigi ne/1912.
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13.7 Avenarius e Mach: l'empiriocriticismo. Affine al convenzionalismo e l"empiriocriticismo' (che significa 'critica dell'esperienza'), come lo stesso Ricard Avenarius· defini la dottrina contenuta nella sua opera in due volumi, Critica dell'esperienza pura (1888-1890). II significato effettivo e l'importanza storica del pensiero di Avenarius sono stati compromessi sia dal fatto che esso e stato associato agli sviluppi che gli dette Ernst Mach, succedutogli nella direzione della 'Rivista di filosofia della scienza', sia dalla frettolosa adozione che ne fecero alcuni 1narxisti, provocando, come abbiamo vis to (8. 7), Ia reazione polemica di Lenin. II vero intento di Avenarius non era tanto quello di contestare le pretese di oggettivita della conoscenza scientifica, quanto quello, piu ambizioso, di riabilitare il sapere filosofico in progressivo discredito, denunciando Ia sopravvivenza di sovrastrutture metafisiche nelle varie forme di conoscenza, anche in quella scientifica. Infatti, Ia pratica ingenua del metodo scientifico, come le forme piu elaborate di filosofia, fanno spesso riferimento, nei processi conoscitivi, a una distinzione fondamentale tra 'fisico' e 'psichico', o tra 'oggettivita' e 'soggettivita', che, secondo Avenarius, non ha nulla a che fare con la realta. Occorre disfarsi di simili categoric, per capire cosa sia la realta cosi come si presenta all' esperienza. Essa e al di la della distinzione fisico-psichica. L'esperienza, infatti, e qualcosa di unitario: uomo e mondo, individuo e ambiente, non costituiscono altro che relazioni biologiche di dipendenza da un'unica realta. Essendo relazioni e non entita distinte, tra di loro esiste un legame funzionale, rna nessuna azione reciproca. Questo unitario mondo dell'esperienza e vivificato da un solo principio regolativo, un principio di economia detto del 'minimo consumo di forze', in vista del quale tutto concorre alia realizzazione di equilibri vitali adeguati. Se in questa ottica si osserva quel particolare processo gnoseologico che e Ia conoscenza scientifica, ci si rende conto che i suoi concetti, le sue classificazioni, non sono, come aveva sostenuto il positivismo ingenuo, 'verita assolute', non hanno un reale valore ontologico, e neppure descrivono la struttura ultima della realta, sono solo strumenti di organizzazione dell'esperienza, di valore pratico ed economico, perche funzionali al corretto adattamento dell'organismo umano all'ambiente. Gli apparati teorici della scienza, dunque, non si costituiscono come intelaiature che rispecchiano il reale, rna come utili strutture formali in grado di rappresentare concettualmente I'esperienza. Accettando la nozione di Avenarius della conoscenza come fatto biologico (adattamento ai fatti dell'esperienza in vista della sopravvivenza biologica), Ernst Mach • concentro la sua attenzione su quella particolare forma di adattamento della vita all'ambiente che e la conoscenza scientifica. II pensiero viene adattato ai fatti mediante I'osservazione, e i prodotti del pensiero si integrano fra loro mediante teorie, che altro non sono -se non strategie economiche di controllo e di previsione dei fatti. E, a loro volta, i fatti non vanno intesi, al modo del positivismo, come dati irresolvibili e in certo senso assoluti, rna come insiemi di sensazioni e di elementi basilari della realta: colori, suoni, spazi, tempi, ecc. «Non sono i corpi che generano le sensazioni, rna sono i complessi di sensazioni che generano i corpi)). Anche l'io e il mondo non sono altro che aggregati, piu o meno persistenti, di questi dementi. Come si vede, anche per Mach appare inessenziale, dal punto di vista ontologico, la distinzione tra psichico e fisico, che va intesa come una utile conven-
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zione, dal valore eminentemente pratico-euristico. Non si danno, infatti, tra le due sfere elementi costitutiyi di natura diversa. Di conseguenza, un fatto scientifico non e altro che 1'espressione, mediante concetti, di particolari sensazioni, e la scienza non e altro che un insieme di rappresentazioni concettuali, capaci di dominare e controllare la stessa esperienza, e l'espressione sintetica e convenzionale delle reazioni dell'organismo umano nei confronti dei fatti. In quanta descrizione obiettiva dei fatti, la scienza non e piu intesa come verita sistematica, che trova fondamento in una sostanza materiale del reale, bensi come sapere il cui fondamento e nella uniformita e costanza dell'esperienza, ordinabile in linguaggi tecnici sempre perfezionabili. Le 'leggi della natura' sono dispositivi mentali costituiti per ricordare un insieme di fatti in maniera conveniente ed economica. Ecco perche vengono espresse in un linguaggio simbolico e 'stenografico' come e quello matematico: Una Iegge scientifica non possiede neppure uno iota in piu di valore fattuale dei fatti isolati presi assieme: il suo valore risiede esclusivamente nella sua convenienza. Essa ha un valore utilitario ...
Le teorie, entro le quali valgono le leggi, non sono vere o false, rna piU o meno utili, data la lora natura convenzionale di modi possibili di descrizione delle sensazioni. Questa nuova coscienza epistemologica deriva a Mach, oltre che dalla concreta pratica scientifica, anche da una critica contra il concetto classico di sapere scientifico, alimentata da una chiara consapevolezza storica delle acquisizioni e dei procedimenti conoscitivi. L'affermazione della necessita di uno studio propedeutico della storia della scienza, da parte degli epistemologi e degli scienziati, onde evitare la possibilita
Ricard Avenarius nasce a Parigi, da famiglia tedesca, nel 1843. Studente a Lipsia e a Berlino, fonda nel 1876 la 'Rivista di filosofia della scienza', che esercitera un influsso notevole sulla cultura tedesca. Nel 1877 viene chiamato a ricoprire la cattedra di filosofia induttiva a Zurigo, incarico che mantiene fino alla morte, avvenuta nel 1896. Tra le sue opere phi significative: Filosofia come pensiero del mondo secondo il principia del minima sforzo (1876), Critica dell'esperienza pura (1888-1890). Ernst Mach nasce a Turas, in Moravia, nel 1838. Compiuti gli studi a Vienna, diviene professore di fisica a Praga nel 1867. Tra i/1895 e il 1901 insegna storia e teorie delle scienze induttive a Vienna. In questi anni diffonde nell'ambiente colto viennese fecondi germi scientifici, laici ed antimetafisici che alimenteranno il 'Circolo di Vienna: Fra le sue opere piz"l famose, di taglio filosofico-epistemologico, senza citare le innumerevoli pubblicazioni strettamente scientifiche, vanno ricordate Ia Storia critica della sviluppo della meccanica (1883), che avra malta influenza su Einstein, Analisi delle sensazioni (1886), Conoscenza ed errore (1905). Muore ne/1916.
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di prendere abbagli intorno alla propria disciplina e alla propria attivita, altro interessante contributo di Mach alla moderna coscienza scientifica:
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La ricerca storica negli sviluppi di una scienza e indispensabile se non si vuole che i principi di cui essa fa tesoro divengano un sistema di principi capiti a meta o peggio un sistema di pregiudizi.
Con questa attica, Mach attacco duramente e puntualmente i capisaldi della concezione meccanicistica della natura, impostisi con Ia sistemazione della fisica newtoniana da parte del positivismo. Egli contesto !'idea riduzionista, per la quale il modello della scienza e Ia Meccanica, mostrando come quell'idea si andasse delineando sempre piu chiaramente alia maniera di un rigido schema metafisico, di cui occorreva sbarazzarsi se si voleva portare avanti la ricerca scientifica. Nella sua opera (forse Ia piu importante), del 1883, La meccanica esposta nel suo sviluppo storico-critico, egli delinea lo sviluppo di questa scienza, mostrando come alcuni suoi presupposti, nati in concrete situazioni, e sotto !'influenza di forme mentali storicamente determinate, fossero il frutto dell'attivita creatrice degli scienziati, spesso propensi a scavalcare l'esperibile, e non corrispondessero piu alle necessita e consapevolezze del presente. Non aveva sensa pretendere, ad esempio, che Ia scienza si indirizzasse al rinvenimento di 'cause' dei fenomeni. Cio vorrebbe dire, infatti, che i fenomeni sono legati a un ordine necessaria, predeterminato, il che, a sua volta, equivarrebbe a introdurre nella concezione scientifica una pesante ipoteca metafisica. Non meno radicali le critiche di Mach aile stesse nozioni di spazio e tempo assoluti: II tempo assoluto non si puo misurare paragonandolo ad alcun altro mota e non ha dunque valore ne pratico ne scientifico. Nessuno e dunque autorizzato ad affermare alcunche su di esso. Si tratta di una vuota costruzione metafisica.
Anche l'atomismo, necessaria supporto della visione meccanica dell'universo, e un dogma privo di sensa scieritifico. Come e possibile credere che Ia 'vera realta' della natura sia atomica, se l'atomo non e esperibile, se non e un'entita fattuale ed empirica, rna un ente di ragione, utile alia spiegazione e descrizione dei fenomeni? Questa serrata critica alia scienza classica nei suoi presupposti, nelle sue concezioni fondamentali, nella sua filosofia, agi in profondita e costitui, specie per il mondo scientifico-filosofico· tedesco, una fertile sollecitazione per approfondimenti e sviluppi, che non tardarono a prodursi. Richiami impliciti ed espliciti all'opera di Mach andarono accumulandosi non solo fra i suoi discepoli viennesi, rna anche fra i ricercatori e gli scienziati che si confrontarono con la propria attivita e con il travolgente fenomeno della scienza contemporanea. Anche chi si opponeva al nuovo panorama epistemologico, riconosceva Ia posizione di preminenza che, in seno ad esso, rivestiva Mach. Lenin, ad esempio, nell'attaccare queste nuove prospettive in nome della 'conoscenza oggettiva' fornita dalla scienza, designava come 'machisti' tutti colora che condividevano i nuovi indirizzi epistemologici, non ultimo lo stesso Poincare (8.7).
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La nuova fisica 13.8 La fine dell'universo newtoniano. La rivoluzione espistemologica, di cui abbiamo descritto lo svolgimento, riguarda, di per se, soltanto la natura delle strutture conoscitive e i loro procedimenti, rna non mette in questione la composizione effettiva del mo.ndo esterno, riguarda l'origine e il significato di una legge scientifica, non necessariamente la struttura della realta che la legge esprime. E tuttavia, quella rivoluzione non era senza rapporti con le scoperte scientifiche che nel contempo si andavano accumulando e che anch'esse postulavano, nel loro insieme, proprio quel mutamento nella concezione dell'apparato logico, che, per ragioni meramente teoriche, il mondo dei matematici aveva prodotto. Si vedra, ad esempio, il servizio che renderanno ad Einstein le geometrie non-euclidee, il cui senso poteva sembrare quello di un raffinato, rna inutile gioco di astrazioni. Anticipando, in modo sintetico, l'esito unitario delle scoperte scientifiche compiute tra il finire del secolo scorso e gli inizi del nostro, possiamo dire che esse hanno del tutto demolito l'immagine newtoniana dell'universo, il cui principio era l'uniformita delle leggi meccaniche a tutti i livelli della realta fisica. Oggi - a rivoluzione compiuta - noi abbiamo dell'universo una immagine, per cosi dire, stratificata: per usare la tripartizione che Pascal usa con intenti morali e religiosi, c'e l'universo infinitamente grande, c'e quello infinitamente piccolo e, in mezzo, c'e l'universo prossimo a noi, che fa da orizzonte alla nostra esperienza quotidiana, nel quale non ci sarebbe nessun motivo di rinuncia ai principi della meccanica tradizionale. Ebbene, ognuno di questi 'strati' pone problemi distinti, che richiedono soluzioni distinte, anche se strette fra loro da un intreccio di relazioni. Lo strato alto, quello astronomico, pone i problemi delle> spazio e del tempo; quello infimo, i problemi dell'atomo, e quello medio, in cui tutto sembra condotto secondo ordine e misura, e costretto a rimettersi in questione e a lasciare libero ingresso aile rivoluzioni avvenute nei suoi due estremi. Nel settore elettromagnetico dei fenomeni luminosi e del microcosmo in genere, Hermann Helmholz ( 1821-1894), intorno al 1880, aveva intuito la natura corpuscolare dell'elettricita; piu tardi, si erano scoperti i raggi catodici, i raggi X, le radiazioni a:, {3, y. Tutte queste scoperte evidenziano comportamenti strani, insoliti, difficilmente derivabili e dominabili dalle leggi della fisica classica. Un effetto sconvolgente, nei confronti delle fondamenta della fisica newtoniana, fu quello prodotto dal famoso esperimento di Michelson e Morley. L'intero edificio di Newton poggiava sulla' implicita ammissione che nell'universo ci fosse una sorta di pun to di vista privilegiato, garante dell' oggettivo meccanicismo deterministico del cosmo. Ouesto sistema privilegiato di osservazione, che permetteva la descrizione scientifica dell'universo, era costituito dallo 'spazio' e dal 'tempo' assoluti, realta di fondo costanti ed uniche per tutti i fenomeni. Ad esempio, la distanza spaziale tra la Terra e il Sole e l'intervallo temporale fra un'eclissi e l'altra dovevano potersi esprimere in nmneri fissi, validi per qualsiasi osservatore ovunque fosse collocato. Lo spazio, infatti, era concepito come qualcosa di immobile, come le sponde di un fiume che sono indifferenti allo scorrere delle acque e ai navigli che le acque trasportano; il tempo,
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come un fiume che scorra con mota identico, ci siano o no navigli nelle sue acque. In un quadro del genere, per misurare la velocita di un corpo, bastava fare riferimento ai due 'assoluti' mediante due strumenti: un metro per lo spazio e un orologio per il tempo. Lo spazio assoluto era stato concepito come interamente pervaso da un mezzo etereo, l' etere 'luminifero' o 'stazionario', la cui definizione precisa risaliva ad Augustin Fresnel (1788-1827), che lo aveva introdotto per offrire ai fenomeni luminosi una spiegazione di tipo meccanico. Il fisico americana di origine polacca, Albert Abraham Michelson (18521931 ), nel 1881, con l'intento di verificare che I'etere trasportava le vibrazioni ondulatorie della luce, o, che era lo stesso, per misurare la velocita 'assoluta' del movimento terrestre, campi un esperimento, le cui conseguenze risultarono inconciliabili con alcuni principi della scienza classica. Egli confronto, mediante uno strumento appositamente inventato e denominato 'interferometro', le velocita della luce lungo due direzioni diverse: una era quella della rotazione terrestre, l'altra una direzione perpendicolare a questa. Contrariamente a tutte le aspettative (la velocita del raggio che si propagava nel sensa del moto della terra doveva essere maggiore di quella del raggio perpendicolare), egli trovo perfetta identita nelle due velocita. Pensando che cio dipendesse dalla imprecisione dei suoi strumenti, ripete I'esperienza nel 1887, in collaborazione con un altro fisico, Edward William Morley (1838-1923). Sebbene l'interferometro fosse ormai unanimemente reputato attendibile e preciso, i risultati si mantennero identici. Se, dunque, la velocita dei raggi luminosi era la stessa in tutte le direzioni di un sistema, fosse in moto o fosse in quiete, voleva dire che per essa non valeva il principia galileiano della composizione della velocita, secondo il quale si sommano le velocita che hanna direzione uguale (nel caso, quella della terra e quella della luce) e si sottraggono queUe che hanna direzioni opposte. Veniva meno, cosi, l'ipotesi dell'etere immobile e con essa veniva meno l'idea di un punta di vista privilegiato dell'universo. L'esperimento poneva un problema: come spiegare la costanza della velocita della luce e la sua indipendenza dallo stato di quiete o di moto dell'osservatore? 13.9 Einstein: Ia 'relativita ristretta'. Per dare una risposta soddisfacente all'esperimento di Michelson-Morley, occorreva una rivoluzione teorica, che ribaltasse la prospettiva sostenuta dalla fisica degli ultimi decenni: non pili escogitare espedienti (l'etere era stato un espediente) per adeguare i risultati delle osservazioni aile teorie, rna produrre liberamente nuove teorie, in grado di rendere canto dei vecchi come dei nuovi fenomeni. A intraprendere per prima questa strada fu Albert Einstein •, con la famosa memoria del 1905 sulla Relativita ristretta o speciale. In essa, per spiegare la costanza della velocita della luce e l'indipendenza di questa velocita dallo stato dell'osservatore, egli introdusse la considerazione critica dell'osservatore stesso e dei suoi strumenti di misura, sostenendo che lo spazio e il tempo non sono entita di per se (assolute), rna relative ai sistemi di riferimento di volta in volta considerati. Di conseguenza, nell'universo non esistono sistemi di riferimento privilegiati. I fenomeni non hanna come sfondo nessuna realta fissa, ne di tipo spaziale nc di tipo temporate. Essi sono relativi, spazialmente e temporalmente, al proprio sistema di riferimento, alla posizione in moto o in quiete dell'osservatore.
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Gia Galileo aveva individuato un principia di relativita, secondo cui in un sistema chiuso tutti i moti si svolgono nello stesso modo tanto se il sistema e fermo quanto se il sistema e in moto (rettilineo e uniforme). Se una nave questo l'esempio portato da Galileo (II.4.7) - si muove con moto uniforme e non fluttuante, tutto procedera nella stiva, dove egli immagina insetti, pesci, stillicidio d'acqua, come quando la nave era ferma. Se i fenomeni meccanici che si verificano sulla terra si osservano entro il sistema di riferimento terresire, non si ha modo di stabilire se essa e in moto o in quiete. Per poterlo stabilire, ci vorrebbe un punto di osservazione esterno al sistema: Galileo considerava il Sole come punto di riferimento immobile per determinare la rotazione terrestre. Ma quando si e visto che il sistema solare e in movimento e, con il sistema solare, anche la Via lattea, di cui il sole e infinite altre stelle fanno parte, si e dovuto supporre un'entita in quiete assoluta, rispetto alla quale fosse possibile fissare gli stati reali di moto o di quiete dei singoli costituenti dell'universo: I'etere cosmico, appunto. Caduta anche l'ipotesi dell'etere, a seguito dell'esperimento di MichelsonMorley, Einstein generalizzo il principia di relativita, estendendolo ai fenomeni elettromagnetici e prendendo in considerazione la velocita della luce. Da tale concezione risultavano confermate alcune ipotesi di Hendrik Lorentz (18531928) intorno alla contrazione e dilatazione delle misure nel tempo e nello spazio, in funzione della velocita. Ponendosi fuori del sistema di riferimento entro il quale si determina un fenomeno - questa la teoria di Lorentz - si puo registrare, ad esempio, una contrazione delle dimensioni dei corpi interessati all'evento, nel senso del loro movimento, contrazione tanto maggiore quanto maggiore e la velocita con cui essi si muovono. Lo stesso dicasi del tempo, che rallenta le sue scansioni. Per illustrare queste tesi, Einstein fornisce un'argomentazione esemplare:
Albert Einstein nasce a Ulm, in Germania, nel 1879 da una famiglia ebraica. Nel 1896 si iscrive al Politecnico di Zurigo. Nel 1905 pubblica le sue tre famose memorie, in una delle quali prospetta la teoria della 'relativitd ristretta: Nel 1914 si stabilisce a Berlino, in quanta membra dell'Accademia prussiana delle scienze e direttore dell1stituto di fisica teorica 'Keiser Wilhelm: nonche docente universitario. Nel 1916 pubblica I fondamenti della relativita generale. Nel 1922 e premia Nobel per Ia fisica. Nel 1933 lascia Ia Germania in seguito all'ascesa al potere di Hitler e si trasferisce negli USA, presso llnstitute for advanced study di Princeton, dove puo continuare il suo lavoro. NeZ 1939 scrive a Roosevelt suggerendogli di promuovere ricerche intorno alla fissione nucleare per eventuali scapi militari, dal momenta che gli studi in Germania in questa settore sono molto avanzati. Quando piu tardi, durante la guerra, viene a conoscenza che i tedeschi sono ben lontani dall'approntare un ordigno atomico, latta strenuamente per l'interruzione del progetto 'Manhattan; nel frattempo iniziato. Muore a Princeton ne/1955.
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Supponiamo che un treno molto lungo viaggi sulle rotaie con velocita costante v e nella direzione indicata dalla figura:
M·~
~ ~
treno ...____.,____ 8------M
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Le persone che viaggiano su questa treno useranno vantaggiosamente il treno come corpo di riferimento rigido (sistema di coordinate); esse considerano tutti gli eventi in riferimento al treno. Ogni evento poi che ha luogo lungo Ia linea ferroviaria ha pure luogo in un determinato punta del treno. Anche Ia definizione di simultaneita puo venire data rispetto al treno nella stesso preciso modo in cui la diamo rispetto alla banchina. Ora pero si presenta, come conseguenza naturale, Ia seguente domanda: due eventi (ad esempio i due colpi di fulmine A e B) che sono simultanei rispetto alla banchina ferroviaria, saranno tali anche rispetto al treno? Mostreremo subito chela risposta deve essere negativa. Allorche diciamo che i colpi di fulmine A e B sono simultanei rispetto alIa banchina, intendiamo: i raggi di luce provenienti dai punti A e B dove cade il fulmine si incontrano !'uno con l'altro nel punta media M dell'intervallo A-B della banchina. Ma gli eventi A e B corrispondono anche alle posizioni A e B sui treno. Sia M' il punta media dell'intervallo A-B sui treno in mota. Proprio quando si verificano i bagliori del fulmine, questa punta M' coincide naturalmente con il punta M, rna esso si muove nel diagramma verso destra con Ia velocita v del treno. Se un osservatore seduto in treno nella posizione M' non possedesse questa velocita, allora egli rimarrebbe permanentemente in M e i raggi di luce emessi dai bagliori del fulmine A e B lo raggiungerebbero simultaneamente, vale a dire si incontrerebbero proprio dove egli e situato. Tuttavia nella realta (considerata con riferimento alia banchina ferroviaria) egli si muove rapidamente verso il raggio di luce che proviene da B, mentre corre avanti il raggio di luce che proviene da A. Pertanto l'osservatore vedra il raggio di luce emesso da B prima di vedere quello emesso da A. Gli osservatori che assumono il treno come !oro corpo di riferimento devono percio giungere alla conclusione che il Iampo di luce B ha avuto luogo prima dellampo di luce A. Perveniamo cosi al seguente importante risultato: gli eventi che sono simultanei rispetto alia banchina non sono simultanei rispetto al treno e viceversa (relativita della simultaneita). Ogni corpo di riferimento (sistema di coordinate) ha il suo proprio tempo particolare; un'attribuzlone di tempo e fornita di significato solo quando ci venga detto a quale corpo di riferimento tale attribuzione si riferisce.
Le implicazioni di questa rapporto tra spazio e tempo sono sconcertanti, anche se senza effetti per il nostro normale quadro di esperienza. Ce ne offre qualche esempio, in una pagina suggestiva, il fisico inglese Paul Davies: «Quando il tempo si allunga, lo spazio si contrae. L'orologio di una stazione ferroviaria va pili lentamente se vista dal treno in corsa; piu in fretta se vista dal portabagagli sui marciapiedi. In compenso, il marciapiedi e, per chi sta sul treno,
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piu corto. Evidentemente si tratta di effetti che sfuggono alla nostra percezione, perche, alle velocita ordinarie, sono irrilevanti: non tanto p~ro, perche strumenti molto sensibili non li possano misurare con una certa facilita. La distorsione reciproca fra spazio e tempo si puo anche interpretare alia stregua di una conversione di spazio (che si contrae) in tempo (che si allunga). Un secondo, pero, equivale a un mucchio di spazio: a circa 300.000 chilometri, per la precision e. II tema della distorsione temporale e molto comune nella fantascienza, sebbene non sia affatto fantastico. Le distorsioni temporali esistono per davvero. Un fenomeno dei pitl bizzarri e il cosiddetto effetto dei gemelli. Un gemello parte per una stella vicina, viaggiando a una velocita prossima a quella della luce. II gemello rimasto a casa ne attende il ritorno: il viaggio durera complessivamente dieci anni. Finalmente l'astronave ritorna sulla Terra e i due gemelli si incontrano: quello che e rimasto a casa e invecchiato di dieci anni; e quell'altro soltanto di uno. L'elevata velocita gli ha fatto sperimentare solo un anna sull'astronave, mentre sulla Terra sono trascorsi dieci anni». Secondo la nuova meccanica relativistica, l'oggettivita scientifica trova il proprio fondamento non piu nell'uniformita dei fenomeni, che, una volta caduti gli 'assoluti' (lo spazio e il tempo), appaiono tutti 'relativi' ai vari osservatori, rna nell'uniformita delle leggi fisiche, nella lora 'invarianza', che permette di analizzare allo stesso modo fenomeni diversamente percepiti. Essenziali, a questa proposito, diventano alcune leggi espresse in equazioni differenziali ('trasformazioni di Lorentz'), che consentono di operare il passaggio da un sistema di riferimento all'altro. Tali formule matematiche permettono di trasformare le misurazioni del tempo e della spazio di un osservatore, interno al sistema di riferimento entro il quale si sviluppa un mota, in quelle di un altro osservatore, posto in un sistema che sia in mota rispetto al prima. 13.10 Einstein: Ia 'relativita generale'. La teo ria esposta da Einstein pres up- · pone una profonda modifica del concetto tradizionale di massa. · Rientra in questo concetto il principia che la massa di un corpo e costante, sia o non sia in movimento. Ed e in virtu della sua massa che un corpo, quale che sia la sua velocita, oppone a una forza, che agisca su di esso, una resistenza sempre uguale. Per fare aumentare di un metro al secondo la velocita di un corpo che si muove a cento metri al secondo, ci vuole la stessa forza necessaria a fare aumentare di un metro al secondo la velocita della stesso corpo, qualora si muovesse a · diecimila metri al secondo, data che nei due casi la massa e sempre la stessa. Ebbene: questa regola vale solo per i movimenti piu lenti di quelli della luce o di quelli interni all'atomo, come sono i movimenti dei corpi del sistema terrestre e dello stesso sistema solare. Ma per i corpi dotati di una velocita molto grande, la forza necessaria e tanto maggiore quanta maggiore e la loro velocita. Se poi si tratta della luce (300.000 Krn. al secondo ), all ora la forza necessaria per modificare la sua velocita e praticamente infinita: ecco perche quella della luce puo essere assunta come velocita assoluta. La conseguenza e importante: se la resistenza di un corpo e dovuta alia sua massa, anche la velocita, che abbiamo visto incidere sulla capacita di resistenza, va intesa come
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parte integrante della massa, e, con la velocita, anche l'energia necessaria per produrla. Di qui il principia: la massa dei corpi aumenta con l'aumt;ntare della velocita e dell'energia necessaria per produrla. Dunque l' energia possiede mass a e la massa possiede energia, e siccome la misura della velocita e il tempo, ne risulta che le reali dimensioni di un corpo non sono soltanto le tre della geometria euclidea. Ad esse va aggiunta la dimensione tempo, le cui variazioni incidono sulle altre tre, nel senso che modificano, aumentandola o diminuendola, la massa di un corpo. Avvalendosi di teorie che introducono spazi a quattro dimensioni, con caratteristiche non euclidee messe a punto soprattutto dal matematico lituano Hermann Minkowski (1864-1909), Einstein, nella memoria del 1916, dal titolo I fondamenti della teoria generale della relativitil, riconduce sotto il medesimo principia relativistico sia i fenomeni tradizionalmente regolati dalla legge d'inerzia, sia quelli regolati dalla legge della gravitazione universale. Il mota circolare degli astri, in base a questa legge, venne spiegato da Newton col principia dell'attrazione tra i carpi in virtu della loro massa: il percorso curvo della luna si spiega con la combinazione tra il moto rettilineo, dovuto alia legge d'inerzia (un corpo persevera nel suo stato di quiete o di mota uniforme o rettilineo, se qualche forza ad esso applicata non lo costringe a cambiare), e la legge di gravita (due punti materiali sono attratti l'uno verso l'altro da una forza direttamente proporzionale alle lora masse e inversamente al· quadrato delle lora distanze). E invece, secondo Einstein, un corpo, abbandonato a se stesso nella spazio, descrive una linea che, essendo la piu breve tra due punti, non e retta, rna curva. Se noi non ce ne accorgiamo, e perche la nostra esperienza e legata a unita di misura piccolissime: un area minima di una circonferenza grandissima per noi equivale praticamente a una retta. La curvatura della spazio e dovuta alla sua qualita di 'campo dinamico', risultante dal complesso delle quattro relazioni che, come si e detto, Ia massa dei carpi integra in se. In prossimita dei carpi materiali, lo spazio si incurva, trasformandosi in uno spazio di Riemann (13.4), nel quale le linee piu brevi che congiungono due punti nqn sono piu rette (come nella spazio euclideo) rna curve, e la lora curva e determinata dal campo gravitazionale. Se, per ipotesi, lo spazio fosse vuoto, la sua curvatura sarebbe uguale a zero. Ma lo spazio e occupato dalla materia, anzi si identifica con la materia, ed e per questa che esso e un 'campo dinamico'. Come si e detto, la materia e una condensazione di energia, e si diversifica dal 'campo' solo per un di piu di energia rispetto ad esso. L'orbita ellittica dei pianeti si spiega, dunque, non per una misteriosa attrazione gravitqzionale, rna per la natura stessa della geometria della spazio. La diversita tra le due spiegazioni, newtoniana e einsteniana, puo essere chiarita con un paragone: se un cavallo, in un campo libero, si muove in modo circolare, cia puo essere dovuto o al fatto che egli e guidato da una fune che un uomo, posto al centro del cerchio, tiene dall'altro capo, o perche e costretto a seguire una strada circolare scavata nel suolo. La prima ipotesi e quella di Newton, la seconda e quella di Einstein. I carpi celesti si muovono circolarmente perche, nel campo dinamico, il percorso curvo e i! piu breve tra due punti. Nelia teoria di Einstein ha dunque un valore centrale l'identita tra massa
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ed energia, rapporto che egli definisce con la celebre formula E = mc2, dove c rappresenta la velocita della luce: l'energia (E) e uguale al prodotto tra Ia massa (m) e il quadrato della velocita della luce. Nella nuova concezione, massa e energia non sono dunque elementi o attributi della materia disgiungibili, sono un'unica variante, che puo chiamarsi massa-energia. II valore di questa tesi e rivoluzionario in due sensi: epistemologico, in quanto essa ribadisce che le nozioni classiche della fisica non sono che mezzi intellettuali per risolvere problemi, e non descrizioni 'vere' della natura; tecnico, perche essa apre un campo di studi sui modi possibili di produrre energia atomica, dato che una conseguenza immediata dell'equivalenza massa-energia e che una perdita di massa, o per disintegrazione o per agglomerazione atomica, sprigiona energia.
13.11 Valore filosofico della relativita. La teoria della relativita contribuiva innanzitutto, con Ia definizione 'operativa' dello spazio e del tempo, al superamento dell'apriorismo kantiano, superamento che, come si e visto (13.1), era gia stato iniziato in ambito matematico. Inoltre, essa portava una valida conferma a quel 'convenzionalismo' che andava accreditandosi, presso gli epistemologi del tempo, come la pili coerente dottrina della scienza, che esprimeva la consapevolezza della natura artificiale e strumentale dei concetti scientifici (13.6). Costrutti teorici, come quello di 'campo', ne erano un esempio emblematico. Si avvalorava la tesi che quella scientifica fosse una costruzione che si allontanava dalla rappresentazione intuitiva del reale, per muoversi nella dimensione dell'utile, pili che del vero: un corpo, intuitivamente percepito come cosa, diventava una 'densita di campo', una pura espressione matematica. Questo, naturalmente, non voleva dire che la scienza fosse inconsistente, o che, come qualcuno erroneamente interpret(> (ad es. i rappresentanti della cosiddetta 'raezione idealistica' alla scienza), essa costituisse una forma di sapere assolutamente 'relativo', e dunque non avesse alcun valore conoscitivo. La teoria einsteiniana, infatti, si mostrava innanzitutto in grado di ricomprendere in se tutta la fisica classica, il cui valore di verita non veniva scalfito, quando si trattava di analizzare fenomeni meccanici che coinvolgono velocita molto basse (rispetto a quella della luce); in secondo luogo, la teoria della relativita, in quanta teoria degli invarianti, muoveva dalla convinzione profonda del suo ideatore che fosse possibile capire e definire, attraverso formule ottenute con lo stesso met>odo, fenomeni che erano percepiti in modi diversi, rna che esprimevano ,una realta obiettiva indubitabile. La polemica che Einstein sostenne contra certi sviluppi della meccanica quantistica ne e la riprova pili sicura. Rifiutandosi di credere che alla base dei meccanismi fisico-atomici vi fossero fenomeni casuali («Dio non gioca a dadi col mondo!»), cerco di mitigare la stessa interpretazione convenzionalistica ed economicistica della scienza, sostenendo, come scrisse a Max Born nel 1944, che «tutto in natura obbedisce a una Iegge, in un mondo di realta obiettiva che io cerco di cogliere per via furiosamente speculativa». In questa attica va interpretato il tentativo di Einstein, intorno agli anni '50, di operare un terzo passaggio nella nuova Weltanschauung scientifica: si propose di costruire una teoria unificata del 'campo', che eliminasse il binomio materia-
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campo, e che considerasse quest'ultimo come espressione concettuale del reale. Nell'arco di tutta la sua vita, Einstein non disgiunse mai l'attivjta di scienziato dalla propria,responsabilita morale, civile e sociale. Ripetutamente, e spesso in momenti delicati e drammatici, egli richiamo gli uomini del suo tempo, rna in particolare i potenti e Ia comunita degli scienziati, a prendere posizione e provvedimenti nei confronti di pericoli, per il genere umano, come il nazismo,c il razzismo, Ia minaccia atomica. II suo pensiero politico, assai anticonformista, si sviluppo da un liberalismo orientato in senso individualistico a una forma di socialismo che salvaguardasse le condizioni di vita delle masse meno abbienti, senza tuttavia limitare le liberta dei singoli. II suo pensiero religioso non fece che svolgere quel senso del mistero che egli avverti sempre nel complesso mondo dei fenomeni da lui studiati. Sebbene rifiutasse ogni trascendenza o forma religiosa istituzionalizzata, non perse un'occasione per ribadire che Ia vita ha valore, in quanto si fonda sulla dimensione spirituale. 13.12 La meccanica quantistica e i-suoi sviluppi. Alia fine dell'Ottocento, in molti campi della fisica, gia dominati dalla concezione della continuita della materia e del mutamento, si affermano teorie basate sull'idea delle particelle e su quella dei mutamenti discontinui: questo fu il caso della luce, del calore, delle radiazioni elettromagnetiche. In perfetta coerenza con Ia fisica classica, si era tentato di unificare i fenomeni dell'irraggiamento termico sotto il controllo di un'unica Iegge. Erano stati dei fisici inglesi, J. W. Strutt barone di Rayleigh (1842-1919) e J. H. Jeans (1877-1946) a formularla: La potenza (radiante) luminosa di un corpo riscaldato e direttamente proporzionale alla sua temperatura assoluta e inversamente proporzionale al quadrato della lunghezza d'onda della luce emessa da tale corpo.
Ci si rese con to presto che i dati sperimentali convalidavano questa Ieggesolo per casi corrispondenti alia zona mediana dello spettro visibile (luce verde e gialla), rna, avvicinandosi ai raggi azzurri, violetti e ultravioletti, la Iegge perdeva efficacia. I fisici parlarono, a questo proposito, di 'catastrofe ultravioletta'; per loro era chiaro che non si trattava del fallimento di una Iegge, rna di tutta la teoria che aveva generato questa Iegge: Ia fisica classica nel suo complesso. Emergeva, anche in questo settore di studi, la necessita di rompere con le vecchie convinzioni e di procedere a una radicale revisione dell'intero edificio fisico. Non a caso, chi, per Ia q.,uestione specifica, trovo la via d'uscita, Max Planck* (1858-1947), ebbe a definire la propria prospettiva una 'rottura fondamentale' con il modo tradizionale di pensare in fisica. Per rimuovere dall'impasse Ia teoria dell'irraggiamento termico, egli costrui, nel 1900, una formula matematica contenente espressioni apparentemente prive di significato fisico, che permettevano di dare soluzioni ai fenomeni osservati. Questa formula non si lasciava dedurre dalle leggi della fisica classica, poiche, implicitamente, negava un caposaldo di essa: Ia continuita dell'energia. Da quando Maxwell aveva dimostrato che la luce era costituita da onde elettromagnetiche, l'energia dei raggi luminosi, e in particolare di quelli termici, risultava continua, e quindi obbediente aile leggi comuni a tutte le onde. Era infatti
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intuitivamente poco sensato ammettere la discontinuita dell'energia, la sua in. termittenza; per la formula di Planck, invece, era proprio questa la premessa necessaria. L'energia, a suo giudizio, veniva acquistata e trasmessa in modo discontinuo, come 'atomi' distinti o pacchetti di energia, che egli chiamo quanta (parola latina = quantita). Planck stabili poi che questi pacchetti variano a seconda della forma dell'irraggiamento: pill era corta la lunghezza d'onda, vale a dire pill era elevata la sua frequenza (pill la luce era violetta), pill il pacchetto di energia era grande. Un primo tentativo di assegnare un senso al 'quanta' di Planck venne da Einstein, che si occupo del problema, in una delle tre memorie del 1905, trattando dell'effetto fotoelettrico nei metalli. Egli sostenne che, durante l'effetto fotoelettrico, l'onda luminosa si comportava come una minuscola particella dotata di energia, proprio allo stesso modo del 'quanta' di Planck. Cosi, la luce e le radiazioni elettromagnetiche in generale risultavano un flusso di quanti di energia: Einstein propose di chiamarli 'fotoni'. Nonostante questa incoraggiante presa di posizione, molti margini · di approssimazione rimanevano evidenti in materia quantistica, non ultima la risultanza che la natura della luce fosse corpuscolare e, al contempo, ondulatoria. Sebbene le nuove esperienze facessera propendere per la teoria quantistica, infatti, altri esperimenti confermavano la visione ondulatoria dell'energia luminosa. Le definitive conferme sperimentali, che mancavano alla teoria di Planck, dovevano venire da un settore di studi fisici particolari, quelli del microcosmo e della teoria atomica. La scoperta degli elettroni risaliva alia fine dcgli anni ottanta. Si sapeva che questi corpuscoli avevano una modestissima massa e carica elettrica negativa. Dal momento che l'atomo aveva carica neutra, dovevano esistere altre particelle, con cariche positive, che tuttavia rimanevano solo ipotizzabili. Nasceva, cosi, il problema della struttura dell'atomo; occorreva individuare o delineare come erano distribui.te tutte le cariche e particelle atomiche. Fun· fisico inglese Ernst Rutherford (1871-1937) a proporre, nel 1911, che le cariche positive fossero riunite al centro dell'atomo, in un nucleo attorno al quale ruotavano, in orbite definite, gli elettroni. Questa modello meccanico del-
Max Planck nasce a Kiel, nel 1858. Studia prima a Monaco e poi all'universitd di Berlino, dove ottiene una cattedra nel 1888. Pubblica, nel 1900, Per la teoria della Iegge di distribuzione dell'energia nello spettro normale, che presenta all'Accademia delle scienze di Berlino quello stesso anna: vi propane [a SUa rivo[uzionaria ipotesi Secondo cui [energia e Una grandezza discreta. Altre sue opere importanti: le Lezioni sulla termodinamica, uscita in cinque volumi tra il 1916 e il 1930, e Via alla conoscenza fisica (1933) in cui, contra l'empiriocriticismo di Mach, ribadisce la convinzione dell'esistenza di un mondo esterno agli individui, del quale le sensazioni danno solo indicazioni, e che e governato da leggi rigorosamente causah Muore a Gottinga nel1947.
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l'atomo sembro avere alcune conferme sperimentali, rna ben presto ci si accorse che non poteva andare: secondo alcune leggi della meccanica e dell'elettrodinamica classica, gli elettroni, poiche si muovevano nel campo elettrostatico del nucleo, dovevano emettere radiazioni, e quindi avrebbero dovuto perdere presto la lora energia cinetica, cadendo, con una traiettoria a spirale, sul nucleo. E invece non era tosi. «L'elettrodinamica classica- scrisse, nel 1913, un giovane fisico danese Niels Bohr ( 1885-1962), che si era unito a Rutherford nel laboratorio di Manchester - non e applicabile alla descrizione del comportamento dei sistemi atomici», e per questa propose di salvare l'esemplare modello di Rutherford, impiegando la teoria quantistica di Planck. L'elettrone, a detta di Bohr, non irraggia energia fintantoche percorre la sua orbita 'stazionaria'; quando invece 'salta' in un'altra orbita, avviene una emissione di energia, in 'quanta' definiti. L'applicazione di questa nuova ipotesi alia spettroscopia, territorio particolarmente insidioso per la fisica del tempo, porto alia verifica sperimentale della teoria quantistica e alla risoluzione della 'catastrofe ultravioletta'. Ma la teoria della disintegrazione spontanea dei carpi radioattivi doveva avere sconvolgenti sviluppi quando c{ si propose di produrre quella disintegrazione artificialmente. Il progetto divenne possibile con la costruzione, nel 1933, del ciclotrone, un congegno che permette di accellerare particelle da utilizzare come proiettili di straordinaria efficacia da lanciare sul nucleo atomico. Mediante simili bombardamenti, Enrico Fermi (190 1-1954) riusci a trasformare l'uranio in 'nettunio' e questa, a sua volta, in plutonio. Di pili: negli anni della guerra, si arrivo a comprendere che, se si bombarda un atomo di urania con un neutrone, se ne determina la rottura (Ia 'fissione') e Ia rottura a sua volta sprigiona dal nucleo dell'uranio altri neutroni, che diventano proiettili per Ia 'fissione' di altri nuclei. Si ha cosi una 'reazione a catena', capace di far esplodere per intero una massa di urania, ottenendo una energia di spaventosa efficacia distruttiva. L'umanita lo seppe il 6 agosto 1945, il giorno del bombardamento di Hiroshima. · Una simile esplorazione del mondo dell'atomo non poteva non avere riflessi anche sui piano filosofico. Gli sviluppi della meccanica quantistica nella studio del microcosmb approdarono a due principi fondamentali, che, se ce ne fosse stato ancora bisogno, davano il colpo di grazia alla concezione classica della fisica e della scienza in generale: il principia di 'indeterminazione' e il principia di 'complementarieta'. Il prima, enunciato da Werner Heisenberg (1901-1976), stabiliva l'impossibilita di fissare contemporaneaP}ene la velocita e Ia posizione di una particella atomica: infatti, I'energia che veniva impiegata dall' osservatore, ad esempio Ia luce, modificava il fenomeno osservato, e quindi le leggi del comportamento atomico assumevano, necessariamente, Ia veste di leggi probabilistiche. Il secondo principia, formulato da Niels Bohr nel 1928, stabiliva che le spiegazionidescrizioni dell'energia, quella classica (ondulatoria) e quella quantistica (particellare), erano complementari, contribuivano, a seconda dei casi, a spiegare i fenomeni studiati e risultavano contemporaneamente ammissibili. La meccanica quantistica rilanciava con forza alcune delicate questioni epistemologiche, alle quali la teoria della relativita aveva, in parte, saputo ovviare. Tramontata Ia visione newtoniana della scienza, che trovava fondamento
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nell' hipoteses non fin go, cioe in una accezione essenzialmente descrittiva (esat1a) del mondo, ci si chiedeva cosa fosse la verita e la conoscenza scientifica. L'istanza probabilistica, inerente al carattere statico delle leggi subatomiche, disorientava e faceva cadere anche quelle ultime convinzioni che nessuno, ancora, aveva mai contestato. Einstein che, come si e detto, fu polemico sugli esiti della meccanica quantistica, cercando di difendere la nozione fisica di 'causalita rigorosa', scrisse: L'idea che un elettrone esposto ad una radiazione possa scegliere liberamente l'istante e Ia direzione in cui spiccare il salto, e per me intollerabile. Se cosi fosse, preferirei fare il ciabattino, o magari il biscazziere, anziche il fisico.
Ad Einstein avrebbe risposto Max Born ( 1882-1970): Einstein era fermamente convinto che Ia fisica ci fa accedere alia conoscenza di un mondo esterno oggettivamente esistente; lo studio dei fenomeni quantici dell'atomo ha invece persuaso me e molti altri fisici che le cose non stanno cosi.
La questione che divideva Born e Einstein, e che ancora oggi non si e definitivamente chiusa, era quella della completezza o meno della teoria quantistica. Se si considera completa una teoria fisica quando i suoi «stati fisici)) rappresentano un massimo di informazione, quella della meccanica quantistica col suo carattere statistico e non causale non era, secondo Einstein, una teoria completa. E proprio perche incompleta, la teoria quantistica non permetteva di inferire il carattere interdeterministico dei fenomeni infraatomici, e postulava una nuova teoria che la comprendesse in se e fosse, nel contempo, deterministica e causale. Born, Bohr e Heisenberg, al contrario di Einstein, ritenevano che la meccanica quantistica fosse «una teoria completa, le cui ipotesi matematiche e fisiche non debbono essere modificate)). Decenni di studi e di esperimenti sembrano confermare la lora tesi.
II positivismo logico 13.13 II 'circolo di Vienna'. Nella Vienna tra la fine del secolo scorso e i primi anni del nostro, affioravano gia, in modo consistente, elementi di crisi, di , consapevolezza, quasi, della imminente conclusione di un ciclo storicoculturale: uomini come Sigmund Freud, il musicista Arnold Schonberg, il pittore Oskar Kokoscha, l'architetto Adolf Loos, scuotevano anche le ultime certezze, frantumavano i vecchi linguaggi, aprendo, oltre che nuove prospettive settoriali, la questione della riconfigurazione del sistema del sapere, che non poteva piu ricalcare le tradizionali verita e le conseguenti articolazioni accademiche. Non era infrequente incontrare giovani studiosi che si occupavano, nella stesso tempo, di psicologia e di fisica, di letteratura e di matematica. Uno di lora, lo scrittore Robert Musil (1880-1942), ha lasciato straordinari documenti di questa clima culturale e nel suo capolavoro, L'uomo senza qualitd, ha descritto minuziosamente !'atmosfera viennese pre-bellica, cosi tragica e, al tempo stesso, cosi predisposta a nuove vie di ricerca.
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La sconfitta austriaca nella prima guerra mondiale, e il conseguente crollo dell'Impero austro-ungarico, fecero da catalizzatori di queste energie creative, che avevano gia fatto nascere la psicoanalisi, la musica dodecafonica, la pittura astratta, l'architettura moderna. Cosi la 'Vienna rossa' degli anni '20, simbolo della frantumazione del vecchio mondo, e quindi dei vecchi valori e delle vecchie certezze, costitui terreno fertile per una riconsiderazione del sapere che, a partire dalla fondamentale acquisizione del ruolo centrale della scienza, sia nel pensiero che nella vita dei . tempi moderni, fosse in grado di promuovere un'ampia riforma delle categorie del pensiero e della vita collettiva. Nel 1922 aveva ottenuto Ia cattedra di Filosofia delle scienze induttive, all'Universita di Vienna, Moritz Schlick (1882-1936), che, laureatosi con Max Plank, aveva orientato i suoi studi, dopo una breve esperienza di insegnamento di fisica, verso Ia filosofia della scienza. Fin dal 1923, si erano stretti attorno a Schlick, in un seminario da lui diretto, oltre ai suoi allievi, alcuni epistemologi, scienziati, filosofi, matematici ed altri cultori di discipline scientifiche. Nacque, cosi, un gruppo consistente che, a partire dal 1925, si riuniva con regolarita, un giorno alla settimana, in un antico caffe del centro della citta, per dibattere prevalentemente questioni di carattere scientifico e filosofico, che talvolta si ampliavano ad altri aspetti della cultura e della vita sociale. Prese il via, da questa cenacolo viennese, che si chiamo Circolo di Vienna (Wiener Kreis), un vero e proprio movimento filosofico, chiamato 'neoempirismo', rna anche 'empirismo logico' o 'positivismo logico'. Fra i motivi per cui il nucleo originario di questa nuovo orientamento, destinato a influenzare profondamente il pensiero contemporaneo, si form<'> a Vienna, va annoverato, oltre che il clima politicoculturale sopra rievocato, anche l'insegnamento di Ernst Mach, la cui cattedra era passata in eredita a Schlick. Non per nulla ai suoi inizi il Circolo si present<'> come 'Verein Ernst Mach'. Oltre che i fermenti dell'empiriocriticismo, in questa retroterra delle nuove prospettive malta importanza ebbe !'interesse per la logica. matematica, diffuso in ambiente universitario da Franz Brentano, docente di filosofia fino al 1895. Piu diretta fu !'influenza di un altro viennese illustre, Ludwig Wittgenstein ( 13.17), che ebbe molti contatti con alcuni membri del Circolo, specialmente con Schlick, anche se mantenne sempre le sue distanze dal gruppo. 13.14 L'analisi dellinguaggio. II gruppo si present<'> ufficialmente come Circolo, nel 1929, con un documento-manifesto dal titolo Concezione scientifica delmondo. Il circolo di Vienna. II programma contenuto nel documento si puo sintetizzare in quattro punti: 1. unificazione della scienza; 2. rifiuto della metafisica; 3. accettazione del metoda dell'analisi logica come strumento dell'unico sapere possibile, quello scientifico, e conseguente negazione della filosofia come scienza universale o fondamentale, accanto o al di sopra delle singole scienze empiriche; 4. restrizione del campo del 'significato' alle proposizioni della scienza naturale e alle 'tautologie' della matematica. La concezione scientifica del mondo aveva come scopo primario quello di «collegare e coordinare le acquisizioni dei singoli ricercatori nei vari ambiti scientifici)) e cio in un' attica 'riduzionistica', che ebbe sempre presente, come
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modello privilegiato, quello delle scienze empiriche, caratterizzato da intersoggettivita e pubblicita. Questa criteria induceva a una concezione della ricerca filosofica modellata su analoga metodologia, che aveva nel lavoro di equipe un suo tratto peculiare. Secondo questa nuova impostazione, non potevano darsi 'enigmi insolubili': attraverso il metodo dell'analisi logica, le tradizionali questioni filosofiche o si riducevano a questioni empiric-he, sottoponibili a verifica scientifica, o si smascheravano come questioni prive di senso, pseudo-problemi. In questo ultimo caso, l'analisi logica evidenziava o una contraddizione o una irriducibile indeterminatezza o una forma che violava le regole della sintassi logica: Ci sono - scrive Schlick - prima di tutto dei problemi che riguardano l'esistenza o non-esistenza dei fatti: sono i problemi di fatto, che trovano sempre la soluzione nell'osservazione e cioe nell'esperienza; sia in quella della vita quotidiana, sia in quella scientifica. In secondo luogo ci sono dei problemi che non trovano la loro soluzione che attraverso Ia riflessione sul modo col quale noi esprimiamo il fatto: sono i problemi di significato; e si risolvono non indicando dei fatti d'osservazione, rna delle regole della grammatica logica di cui ci serviamo per ritrarre Ia realh\. Tutti i problemi specificamente filosofici sono di questo secondo tipo. Gli altri, i problemi di fatto, sono i problemi specificamente scientifici.
La riflessione filosofica muove dai dati di fatto (momento positivo), che sono il contenuto specifico delle diverse scienze, per costruire su di essi un certo numero di premesse, dotate di costanti logiche, dalle quali dedurre, secondo il metodo della logica matematica, un sistema di concetti funzionali aile singole scienze (momento logico ). E' proprio sulla base di questo intreccio tra esperienza e logica che il nuovo indirizzo viene detto 'positivismo logico', per differenziarlo dal positivismo dell'Ottocento. Se ne chiarisce Ia novita, se si fa riferimento aile tre specie di giudizi definiti da Kant: gli analitici a priori, i sintetici a post~riori e i sintetici a priori. Per il Circolo di Vienna, d'accordo su questo con il Circolo di Berlino, diretto da Hans Reichenbach (1891-1953) con un programma analogo, Ia logica trascendentale, basata sull'ultima specie di giudizi (i sintetici a priori), ha perso di ogni validita, secondo quanto hanno dimostrato, tra gli altri, gli empiriocriticisti e i convenzionalisti e, in modo definitivo, Einstein. Restano validi i giudizi sintetici a posterior~ su cui si basa Ia scienza per il suo continuo arricchimento, e i giudizi analitici a priori, il cui valore, secondo i neopositivisti, dipende unicamente dalle proprieta sintatticp-semarltiche delle proposizioni matematiche, che sono 'tautologiche', nel senso che Ia loro verita e tutta nel rapporto formale di interscambiabilita tra il soggetto e il predicato. Questa riduzione della filosofia ad analisi dellinguaggio si conciliava benissimo col nuovo concetto di scienza. II patrimonio scientifico, sulla scorta delle acquisizioni maturatesi nel travaglio critico della scienza di fine secolo, veniva riconosciuto dal Circolo come costruzione umana, traduzione in linguaggio simbolico di percezioni dell'ambiente; per questa esso non poteva avere natura cumulativa, come ingenuamente aveva creduto il positivismo ottocentesco, rna convenzionalmente sostitutiva, come insegnavano i grandi rivolgimenti teorici degli ultimi decenni. Restava, per poter individuare 'ogni' discorso scientifico, un unico criteria: la sua
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significanza empmca. Questo criterio metodologico, fondamentale nel proce. dimento scientifico, veniva detto 'principia di verificazione'. Solo questo principia, infatti, poteva garantire indiscutibilmente Ia distinzione tra scienza e mito, fantasia, illusione. Entro questa prospettiva, alla filosofia non restava che il compito di costruire Ia logica della scienza, compito che si realizzava, appunto, attraverso l'analisi dellinguaggio.
13.15 II 'fisicalismo' di Carnap e di Neurath. Queste linee programmatiche, che contrassegnano Ia prima fase dell'indirizzo neo-positivistico, trovarono massima espressione sistematica nell'opera La costruzione logica del mondo (1928) di Rudolf Carnap (1891-1970), ormai leader del movimento, divenuto condirettore, assieme a Reichenbach, della rivista 'Erkenntniss'. Carnap tentava di ridurre tutto il sapere scientifico a forme linguistiche poggianti sui dati di esperienza immediati (Elementarerlebnisse), sottoponibili, evidentemente, a verifica intersoggettiva. Fu proprio il principia di 'verificazione' il motivo di scontro, all'interno del Circolo. Ci si domandava, infatti, se esso, per Ia sua natura extra-linguistica, non fosse un principia metafisico, dal momento che Ia sua formulazione non corrispondeva ne a una proposizione 'fattuale', cioe verificabile, ne ad una tautologia, non era cioe ne sintetica a posteriori, ne analitica a priori. Per questo, Otto Neurath (1882-1945) prima, e lo stesso Carnap poi, proposero il superamento della originaria prospettiva che si chiamo 'fenomenistica' o 'semantica' (con chiaro riferimento al valore del significato delle proposizioni derivanti dall'esperienza), in favore di una tesi 'fisicalistica' o 'sintattica'. Secondo Ia nuova interpretazione, il linguaggio non era tanto una proiezione simbolica di un fatto fisico, quanto un fatto fisico esso stesso, costituito da suoni e segni. La dottrina del linguaggio viene a far parte, cosi, della dottrina dei processi fisici: di qui il nome di 'fisicalismo'. Di conseguenza, il modello di linguaggio adottato come universale e quello della fisica, col quale si devono poter esprimere anche i processi psicologici. Da cia derivava il rifiuto del principia, precedentemente ammesso, di accettabilita delle proposizioni: non Ia verificabilita empirica, la stretta corrispondenza tra proposizione e fatto, rna il principia della coerenza tra proposizioni, con l'escl1:1sione di ogni riferimento extralinguistico, diventava il nuovo criterio per la loro accettabilita. Dunque si riconosceva che i simboli linguistici si muovono su di un piano proprio e autonomo, che non puo essere mai trasceso, e il criterio di significanza si poteva definire in maniera puramente sintattica. Le proposizioni elementari della scienza, invece che rispecchiare 'dati', dovevano assumere Ia veste di 'assiomi' o, come si disse, 'protocolli'. Il protocollo e il resoconto che un soggetto fa della sua esperienza, superando il momento psichico, in una proposizione, ad es. 'io vedo una cosa rossa'. I linguaggi protocollari di diversi soggetti vengono adottati dal linguaggio della fisica, che li traduce in proposizioni di valore intersoggettivo, e cioe scientifiche. Era evidente, nella prospettiva fisicalista, una concezione duale del discorso scientifico, che risultava dotato di una struttura formale (sintattica) e di una struttura fattuale (oggettica). Cosi, l'insieme degli enunciati formali di una teoria era valido se sintatticamente consistente, sebbene non unico e assoluto. Il problema dell'interpretazione di queste espressioni formali, doe la produzione di un sistema
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empirico ad esse isomorfo (non importava se di 'cose' o 'sensazioni') diventava un mero problema prammatico, e nori teoretico. Restava comunque fermo il principia che un enunciato aveva senso se era interpretabile, doe traducibile in un enunciato di osservazione. ll modello privilegiato che si assumeva era, come si e detto, quello del linguaggio della fisica, a cui si faceva esplicito riferimento per la costruzione di una 'scienza unificata'. In questa modo, la stessa nozione di 'verificabilita' si trasformava in quella di 'confermabilita completa o incompleta', che costituiva un criteria assai piu liberalizzato di verificazione o accettabilita delle proposizioni, in grado di sostenere assai bene la prospettiva convenzionalistica della scienza contemporanea. La nuova proposta non trovo tutti i neoempiristi concordi. Schlick l'avverso duramente e famosa fu, sulle pagine di 'Erkenntnis', negli anni 1934-1936, la cosidetta 'polemica sui protocolli'. Comunque, il criteria di 'confermabilita' fini col prevalere. 13.16 La fase americana. Intanto, una serie di fenomeni esterni al movimento neoempiristico si sovrappose alla dialettica interna, provocandone sviluppi originali. Nel 1936 Carnap emigrava negli Stati Uniti e Schlick veniva assassinato; il nazismo, con la sua furia liberticida, contribuiva a disperdere la scuola viennese e quella berlinese di Reichenbach. Sebbene l'indirizzo neopositivista fosse ormai andato affermandosi in una buona parte d'Europa, il suo centro propulsore si sposto in USA. Nel 1938 inizio a Chicago la pubblicazione della 'Enciclopedia internazionale della scienza', di cui furono promotori Neurath e Carnap. Questa nuova fase di sviluppo del neopositivismo fu caratterizzata dall'interessante incontro dell'indirizzo maturatosi nel vecchio continente con le tradizioni americane del prammatismo di Peirce ( 11.4) e dell'idealismo di Royce (11.2) e con quella versione contemporanea del prammatismo rappresentata da John Dewey e dalla 'scuola di Chicago' (11.9). A. Chicago insegnava Charles Morris (n. 1901 ), che aveva gia avuto contatti, fra il 1934 e il 1936, col Circolo di Vienna, del cui indirizzo si era servito per sviluppare la sua dottrina di 'scienza della scienza' o 'metascienza', basata sullo studio del linguaggio come simbolo, e detta percio 'semiotica'. In questa nuovo clima, il programma originario dei neopositivisti, quello di operare una 'analisi del linguaggio scientifico', si ando chiarendo sempre piu come analisi del linguaggio tout court. Cosi la fisica-matematica, con il suo linguaggio formale, perse il primato di cui aveva sempre goduto, e il principia di verificazione, come vincolo del linguaggio con il reale, risultava ulteriormente liberalizzato. La concezione 'duale' della scienza veniva portata alle estreme conseguenze: se ogni discorso scientifico consiste in un sistema deduttivo e coerente di simboli e in una interpretazione che stabilisce una associazione o corrispondenza di enunciati della teoria e enunciati empirici, cia che risulta 'testabile' (accertabile come valido) non sono tanto le singole corrispondenze, quanta l'intero sistema, la sua capacita di essere fecondo di applicazioni, spiegazioni e previsioni. In tal modo, pur liberalizzandosi ampiamente, il movimento rimaneva fedele alia propria prospettiva empiristica: le tre tappe che avevano contrassegnato il suo sviluppo non erano altro che tre approdi, man mana piu com-
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plessi e problematici, del principio di verificabilita, che si costituivano in gradi diversi di certezza empirica della conoscenza. A partire dagii anni '60, il positivismo e andato perdendo i caratteri pili rigidi che lo contraddistinguevano - come, ad esempio, lo 'scientismo' - ed e confluito in un pili vasto orientamento di pensiero, di matrice anglosassone, che va sotto il nome di 'filosofia analitica'. Fra i molti motivi di questa trasformazione ebbero peso soprattutto le critiche di Popper, culminanti in una proposta epistemologica alternativa, e le meditazioni del 'secondo Wittgenstein', in grado di rimuovere i facili entusiasmi del 'riduzionismo forte' che aveva caratterizzato le prime fasi di sviluppo del movimento. Ma, assieme alle precise e puntuali critiche dei due grandi filosofi, sono stati determinanti i rilievi sollevati da molti epistemologi contemporanei, circa il carattere troppo interno che la trattazione logico-filosofica della scienza aveva nella prospettiva neopositivistico-empirista. In altre parole, essi contestano l'eccessivo interesse per l'individuazione di un modello standard del procedere scientifico, senza preoccuparsi o aver coscienza del suo dinamismo storico e sociale. In ogni caso, alcune acquisizioni del neopositivismo restano patrimonio indiscusso del pensiero contemporaneo, come la riconciliazione della filosofia con la scienza, l'utilizzazione di tecniche logico-formali nel discorso filosofico, l'analisi del linguaggio in nome della sua chiarezza e inequivocabilita, specie in filosofia. 13.17 Wittgenstein: il 'Tractatus'. n neopositiVISmo del Circolo di Vienna, comprese le sue evoluzioni del dopoguerra, non sarebbe stato quello che e stato, senza il contributo di quel singolare filosofo (c'e chi lo ha paragonato a Spinoza) che fu Ludwig Wittgenstein ·. A rigore, la fisionomia del suo pensiero e tale che non sarebbe diper se corretto collocarlo nell'ambito del neopositi-
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Ludwig Wittgenstein nasce a Vienna, nel 1889, da un grosso industriale dell'acciaio. Studia ingegneria a Berlino e si specializza in aeronautica a Manchester. NeZ 1912 e chiamato a Cambridge da Russell, di cui diviene amico. Dopa aver partecipato alla prima guerra mondiale (viene fatto prigioniero dagli italiani), pubblica, nel 1921, e poi nel 1922, con una introduzione di Russell, il Tractatus logico-philosophicus. Ritenendo, con questa opera, di aver risolto, almena metodologicamente, le questioni filosofiche, abbandona Cambridge e si ritira, fino al 1926, a insegnare in una scuola elementare di un piccolo paesino austriaco. Ritorna a occuparsi di filosofia quando ha la certezza che alcune tesi centrali della sua prima ed unica pubblicazione sono erronee. Riprende l'insegnamento a Cambridge e lo mantiene, anche se con numerose interruzioni, dal 1930 al 1947. Muore nel 1951. Di questa secondo periodo sono le Osservazioni filosofiche, pubblicate postume nel 1964, gli appunti del Quaderno blu, risalenti al 193334, e quelli del Quaderno marrone, del 1934-35, e le Ricerche filosofiche. NeZ 1956 sono stati pubblicati alcuni suoi studi sui fondamenti della ma- ' tematica e, nel 1969, Grammatica filosofica e Della certezza.
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vismo. Se in qualche modo vi entra, e perche, a parte lo spirito da cui fu mosso, egli privilegio nella sua ricerca l'analisi del linguaggio, con assoluta esclusione di ogni altro tradizionale sviluppo della filosofia, dalla metafisica, all'etica, all'arte. ll testa che lo rivelo al mondo filosofico, e influenza direttamente il Circolo di Vienna, fu il Tractatus logico-philosophicus, scritto nel 1918 e pubblicato nel 1921. Si trattava di uno scritto breve (75 pagine), anche formalmente molto originale: articolato ·'in 7 proposizioni, indicate con i numeri interi dall' 1 al 7, ognuna di esse e seguita da proposizioni di commento, a loro volta numerate, rna con notazione decimale: 1.1, 1.2, ...; a queste fanno da commento altre proposizioni, numerate con le cifre 1.11, 1.12, 1.13,...; l'ultima proposizione, la numero 7, non e seguita da alcuna altra proposizione. Secondo Wittgenstein, illinguaggio (che anche per lui, come per Russell, e una struttura della mente, da non confondere con le strutture grammaticali dei vari linguaggi esistenti) e costituito da proposizioni di cui le piu semplici, queUe 'elementari', non sono che espressioni denominanti oggetti o immagini logiche di 'stati di cose', doe 'nessi di oggetti'. Tutte le proposizioni, anche le piu complesse, quindi, sono 'funzioni di verita' delle proposizioni elementari, per cui il linguaggio, nel suo insieme, altro non e che una complessa struttura con il compito di descrivere il mondo. Per stabilire se una proposizione e vera o falsa, non c'e che da confrontarla con la realta; la conoscenza, dunque, non e che corrispondenza tra proposizioni e stati di cose. Se la proposizione e complessa, la strumentazione analitica (la logica proposizionale) permette di scomporla in segmenti 'molecolari' e poi elementari, 'atomici'. Ad esempio, la proposizione: «Socrate e ateniese» e atomica, quella «Socrate e ateniese e maestro di Platone» e molecolare. Sottoponendo a verifica empirica questi semplici asserti, si puo, con esattezza, registrare il loro valore di verita. Questa teoria e sostenuta, evidentemente, dalla nozione di coestensivita tra linguaggio e pensiero. Non si ammette che vi sia pensiero fuori dal linguaggio; e si presuppone che il mondo, l'insieme di 'tutto cio che accade', non sia costituito che da 'fatti elementari' o 'atomici', a loro volta caratterizzati da oggetti semplici. Ne deriva che l'insieme delle proposizioni vere non puo essere che quello della scienza, perche l'unico in grado di descrivere correttamente il mondo, essendo sottoponibile, in ultima analisi, a verifica empirica. Inv.ece, le proposizioni della logica e della matematica, poiche non raffigurano fatti e non dicono nulla sui mondo, rna 'mostrano se', risultano pseudoproposizioni, che Wittgenstein chiama 'tatltologie', perche la loro validita non dipende da una verifica empirica, rna dalla forma intrinseca dei !oro segni linguistici. Il significate di simili espres~ioni, il loro 'valore di verita' o 'falsita', non dipende da fattori extra-linguistici, rna esclusivamente dalle regale fondamentali dellinguaggio. In questa modo, Wittgenstein si dissociava dal logicismo di Frege e Russell, che invece avevano sempre assegnato alia logica e alia matematica un fondamenta ontologico (platonismo); per Wittgenstein, esse non erano vere e proprie scienze, bensl metodi rigorosi, procedimenti linguistici particolari, magari capaci di evidenziare certi caratteri formali generali dellinguaggio. Un'altra conseguenza importante, derivante dall'ammissione che il linguaggio significative e rigorosamente circoscritto a quello 'rappresentativo' (il lin-
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guaggio della scienza), era la inesprimibilita di buona parte del corpus tradizionale della filosofia: la metafisica. Wittgenstein, a questo proposito, suggerisce di sottoporre le proposizioni filosofiche a una 'terapia linguistica' (analisi logica e verifica empirica), che mostrerebbe come esse risultano ne vere ne false, rna semplicemente prive di senso. Cosi, le proposizioni che valicano i limiti del linguaggio significativo appartengono al dominio del 'mistico' e dell"ineffabile', come dice Wittgenstein. Quanto puo dirsi (tautologie o enunciati scientifici, che rispecchiano fatti elementari del mondo, espressi in forma proposizionale standard), puo dirsi chiaramente, mentre «su cio di cui non si puo parlare, si deve tacere», come conclude lapidariamente il suo Tractatus. Nell'ottica di Wittgenstein, questo breve, rna denso saggio, doveva avere risolto, una volta per tutte, il 'problema filosofia', mostrando che sono privi di significato commistioni di scienza e metafisica, ragione e fantasia, conoscenza ed etica. Si tratta di sfere nettamente distinte, che la nuova filosofia, intesa come analisi critica del linguaggio, mostra come incommensurabili. La filosofia, intesa in modo tradizionale, non puo 'dirsi', cioe esprimersi linguisticamente in modo significativo, e quindi neanche confutarsi, deve semplicemente essere vissuta, 'rriostrarsi' (per usare un'espressione cara a Wittgenstein) nella vita. Per questo, l'autore del Tractatus, con estrema coerenza, abbandono la pratica 'tradizionale' della filosofia, non solo non pubblicando piu nulla, rna anche ritirandosi dall'insegnamento universitario di Cambridge e andando a svolgere la professione di maestro elementare in uno sperduto paesino austriaco. Il Tractatus, ponendo una distinzione netta tra fatti e valori, non rappresentava che il punto di arrivo di una tradizione di pensiero che tendeva a distinguere la sfera delle scienze della natura dalla sfera delle scienze dello spirito, che, iniziata da Kant, e proseguita da Schopenhauer e Kierkegaard, aveva avuto il suo momenta aureo in Germania con Dilthey e i filosofi della vita (10.1-4). Il mondo si poteva conoscere, e Wittgenstein mostrava che la scienza poteva dire 'come' fosse; rna cio era secondario rispetto a 'che cosa' fosse, quale ne fosse il significato. Non si coglie il valore, la pro.fm1dita e il taglio 'mistico' del pensiero di Wittgenstein espresso nel Tractatus, se non si riconosce, come scrisse lo stesso autore, che il senso dellibro e un senso etico: Il mio lavoro consiste di due parti: quello che ho scritto piu tutto quello che non ho scritto. E proprio questa seconda parte e quella importante. Il mio libro pone dei limiti alia sfera dell'etico dal di dentro.
Paul Engelmann, un amico di Wittgenstein, ha espresso in modo suggestivo questo carattere costitutivo del Tractatus: «Quando con immensi sforzi delimita cio che non e importante (e cioe gli scopi ed i limiti del linguaggio ordinaria) non sta misurando le coste di quell'isola che esplora con tanta accuratezza, rna i confini dell'Oceano.» Si capisce bene, allora, che quanta era asserito esplicitamente nel Tractatus, e cioe la tesi circa il carattere di 'rispecchiamento' dei fatti nel linguaggio da cui derivava il criteria di verita delle proposizioni, come riscontro empirico degli asserti di esse - apparve molto interessante ai neopositivisti. Per essi, infatti, cio che contava davvero era quello di cui si poteva parlare, cioe la scienza. Invece per Wittgenstein, cio che contava veramente era quello di cui, dal
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suo punta di vista, si doveva tacere. Per lui filosofare significa arrivare a riconoscere, alia fine, l'obbligo del silenzio. E' questa il sensa di alcuni suoi aforismi: Non come il mondo sia, e cio che e mistico, rna che esso sia. II senso del mondo deve trovarsi al di fuori di esso. Nel mondo tutto e come avviene: in esso non vi e alcun valore - e se ci fosse non avrebbe alcun valore. Noi sentiamo che se pure tutte le possibili domande ricevessero una risposta, i problemi della nostra vita non sarebbero nemmeno sfiorati. Certo, non rimane allora alcuna domanda; e questa e appunto Ia risposta. n problema della vita si risolve quando svanisce.
I positivisti logici non mostrarono alcuna sensibilita e interesse per questa dimensione implicita, rna fondamentale, del Tractatus. Per Wittgenstein, cia che era veramente interessante, determinante per la vita, non poteva essere detto dalla scienza naturale, rna poteva essere 'mostrato' dalla letteratura, dalla religione, dall'arte. Cosi egli precisa i confini del sapere: ll vero metoda della filosofia dovrebbe dunque ess_ere il seguente: Non dir nulla, eccetto cio che puo essere detto, e cioe le proposizioni della scienza della natura, e cioe qualcosa che non ha nulla a che fare con Ia filosofia, e dimostrare percio a chiunque pretenda di dire qualcosa di metafisico, che egli non da nessun preciso significato ai termini delle sue proposizioni.
E ancora: Daile mie proposizioni viene chiarito che colui che mi comprende riconosce alia fine che anche esse sono prive di significato, quando, attraverso di esse o per mezzo di esse, e salito al di sopra di esse. Egli deve, per cosi dire, gettar via Ia scala, dopo che e salito con essa. Egli deve superare queUe proposizioni; allora egli vedra realmente il mondo.
Per suo canto, Wittgenstein, scritto il suo Tractatus (l'unica breve opera da lui pubblicata), getto via la scala e si ritiro per molti anni. Riteneva di aver detto tutto quello che aveva da dire. Solo piu tardi, nel 1929, torno a Cambridge e riprese la ricerca e l'insegnamento.
13.18 Wittgenstein: i 'giochi linguistici'. Aiutato e sollecitato, come testimoniano alcune memorie e documenti di allievi, dalle discussioni svolte con Frank Ramsey (1903-1930), filosofo inglese tra i primi ammiratori del Tracta-, tus, e con l' economista italian a Pietro Sraffa ( 1898-1984), docente a Cambridge; Wittgenstein, a un certo punta, abbandono le tesi del suo prima orientamento filosofico e comincio a riconsiderare le questioni fondamentali delineate nel Tractalus. Affido questi pensieri ad appunti, in forma di osservazioni, talune brevi e concise, altre piu distese e concatenate, che sarebbero state pubblicate postume, nel 1953. Tra i 'gravi errori', come li defini Wittgenstein, che ora egli scopriva nella sua pubblicazione del 1921, quello piu significativo, dal quale scaturivano tutti gli altri, era ]a credenza ingenua nella funzione 'raffigurativa' del linguaggio. La verita e che il linguaggio esercita molteplici e diversificate funzioni, e viene
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impiegato per innumerevoli scopi. Di conseguenza, non puo essere sostenuta come esclusiva la teoria del perfetto parallelismo linguaggio-mondo. Il linguaggio non e un fatto eminentemente logico, e, come tale, fisso, cristallizzato, rna una realta viva, vitale, dove e determinante l'elemento convenzionale. Se la tesi che sorreggeva il Tractatus era erronea, dovevano esserlo anche le sue conclusioni: non aveva senso delineare un linguaggio perfetto, stabilire una volta per tutte il criterio di significativita delle espressioni, Ia 'forma generale della proposizione', dal momento che, anche nel linguaggio esatto e perfetto della logica, della matematica e delle scienze empiriche, si danno forme linguistiche adatte, al pari delle altre, per usi e scopi comunicativi particolari, rna non certo utilizzabili per tracciare un modello della 'esprimibilita'. Molto influi su questa nuova fase della riflessione di Wittgenstein il pensiero di Brower, per il quale, come si e accennato (13.5), l'aritmetica non e un corpo di leggi eterne indipendenti dal pensiero, rna una attivita che si fonda sulla 'intuizione originaria' della serie numerica, e Ia logica non e il linguaggio 'primario', che esprime I'essenza delle entita aritmetiche, rna un linguaggio tecnico, che _ha le sue radici in quello quotidiano. Di conseguenza, il matematico non scopre essenze, le crea, le inventa. La forza costrittiva e necessitante dei procedimenti della logica non e che consuetudine acquisita attraverso il linguaggio-convenzione. Dunque, non sussiste alcun 'linguaggio ideale', convivono e coesistono molti linguaggi. La significativita dei loro costituenti (segni, parole, proposizioni) non risiede in garanzie oggettualistiche o formalistiche (logiche) assolute, rna nella efficacia comunicativa sancita dall'uso, dal rispetto delle convenzioni dei parlanti. I linguaggi, insomma, vanno considerati come 'giochi linguistici', le cui uniche garanzie sono le 'regole' sancite dalle 'forme di vita'. Alcune considerazioni di Wittgenstein, di carattere gnoseologico-linguistico, che presumibilmente derivavano dalla sua esperienza di pedagogo, conferivano a questa nuova dimensione problematica una portata epistemologica di alto rilievo. Per far comprendere una parola, una espressione linguistica, un concetto, sosteneva Wittgenstein, la spiegazione verbale, corredata di tutti gli elementi di supporto necessari (indicazione, esemplificazione, ecc.), offriva un'efficacia relativa, poiche, quand'anche il discente avesse riassunto correttamente quanto spiegato, sarebbe rimasto il dubbio sulla effettiva comprensione; infatti quest'ultima poteva essere accertata solo attraverso il rilevamento della acquisita capacita di utilizzazione di quanto spiegato. Dunque, a detta di Wittgenstein, non la spiegazione, rna l"addestramento' realizza l'apprendimento, e quindi la conoscenza. Quando si e in condizioni di usare appropriatamente, cioe secondo le regole di quel gioco linguistico, una data espressione, una data parola, un dato concetto, solo allora si e realizzato un apprendimento di quell' esperienza, una sua esatta comprensione. Le parole, insomma, non sono immagini di niente, non hanno alcun significato fisso: sono i parlanti che, per necessita comunicative, gliene assegnano qualcuno. Il mutamento teoretico, come si vede, e radicale: se nel Tractatus l'analisi linguistica rappresentava un passe par tout per giungere alia realta, ora, la nuova considerazione del linguaggio mostra che esso e in grado di creare, di inventare la realta, e che cio fa liberamente, senza vincoli che non siano le concrete necessita comunicative della vita.
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In questo significativo mutamento di rotta di Wittgenstein, che coincideva col suo ritorno alla 'professione di filosofo', c'e un elemento di continuita: l'idea che la filosofia non puo che proporsi come 'terapia linguistica'. E' evidente, infatti, che se i giochi linguistici sono tanti, e tanti i contesti d'uso delle parole, eventuali scambi, commistioni, interpolazioni, assegnazioni di senso diverso da quelle normalmente ammesse entro ogni particolare gioco linguistico, non possono che creare confusione e far sorgere 'pseudoproblemi'. E se, in precedenza, la terapia linguistica era costituita dall'analisi logica, ora, lo strumento discriminante per stabilire la significativita delle espressioni diviene l'analisi descrittiva dei vari giochi linguistici e dei rispettivi e specifici contesti d'uso. Queste indicazioni di Wittgenstein venivano raccolte e sviluppate dai suoi discepoli, che, a partire dagli anni trenta, costituirono una vera e propria scuola, la 'scuola di Cambridge'. Dopo il secondo conflitto mondiale, il centro propulsore di una nuova fase di sviluppo della filosofia analitica e divenuto Oxford. 13.19 Popper: la scienza come 'congettura'. Per quanta in stretto contatto con alcuni membri del Circolo di Vienna, grazie al cui aiuto riusci a pubblicare, nel 1934, la sua prima opera, Logica della scoperta scientifica, Karl Popper· fu, fin dagli inizi, in contrasto con le tendenze del Circolo, tanto che Neurath lo chiamava 'l'opposizione ufficiale', e lui stesso, piu tardi, non nascondeva le sue responsabilita nel declino del positivismo logico: «11 Positivismo logico e morto. Chi l'ha ucciso? Credo di dover ammettere le mie responsabilita». Nell'opera del 1934, uscita come numero 9 della serie Contributi alia concezione scientifica del mondo, curata da Schlick, Popper controbatte puntualmente i capisaldi del positivismo logico e propane nuovi principi ad essi antitetici. Innanzitutto, rifiuta il principia di 'verificabilita' e sostiene l'impossibilita di pervenire a un criteria generale del significato. A tale scopo, egli esamina il processo logico induttivo (inferenza dal particolare all'universale), che e alia base delle scienze empiriche ed e strettamente congiunto al principia di verificabili-
Karl Popper nasce nel 1902, a Vienna, dove compie i suoi studi fino all'universitil. L 'opera che lo pone alla ribalta del mondo filosofico e la Logica della scoperta scientifica, del 1934. Emigra in Nuova Zelanda e poi in Inghilterra. Nel 1940 pubblica Che cosa e la dialettica?, nel 1944 Miseria cfello storicismo e, tra il 1944 e il 1945, La societa aperta e i suoi nemici. Nel 1945 diviene professore di logica all'universita di Londra, incarico che detiene anche attualmente. Nel 1963 pubblica Congetture e confutazioni, nel 1972 Conoscenza oggettiva: un approccio evoluzionistico. NeZ 1974 esce 'Una sua interessante autobiografia, dal titolo La ricerca senza fine. Negli anni '70, con altre pubblicazioni, Popper tenta di estendere la propria metodologia anche alle scienze biologiche. Nel 1982 si decide a dare alle stampe w1 importanle Poscritto alla logica della scoperta scientifica, in tre volumi, composw negli anni '50, che costituisce una sintesi precisa e ben articolata del suo pensiero.
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ta. Infatti gli asserti scientifici universali (leggi e teorie) non sono che estensioni logiche, generalizzazioni di singole asserzioni, di numero comunque limitato, dotate di senso. Dunque, il procedere· scientifico non e che un inferire induttivamente da osservazioni a teorie. Ed e proprio qui I'errore. I fautori del metodo induttivo, da Bacone a Stuart Mill, erano convinti che, eliminando o confutando, con l'induzione, le teorie false, si potesse giungere a far valere Ia teoria vera, senza rendersi conto che il numero delle teorie rivali di quella vera e logicameriie infinito, anche se di fatto ci adattiamo, per ragioni estranee alia pura logica, a sceglierne una. Da un punto di vista logico - scriveva Popper - e tutt'altro che ovvio che si sia giustificati nell'inferire asserzioni universali da asserzioni singolari, per quanto numerose siano quest'ultime; infatti qualsiasi conclusione tratta in questo modo puo sempre rivelarsi falsa: per quanto numerosi siano i casi di cigni bianchi che possiamo aver osservato, cio non giustifica Ia conclusione che tutti i cigni siano bianchi.
Richiamando le considerazioni gia sviluppate da Hume, Popper nega che l'inferenza espressa dall'affermazione universale, e cioe dalla teoria, sia definitiva e quindi 'vera'. Di qui Ia necessita di un cambiamento di rotta, che consiste nel passaggio dal criterio della 'verificabilita' al criterio della 'falsificabilita'. Non e tanto essenziale stabilire, dice Popper, un principio che consenta di registrare e di distinguere le proposizioni sensate da queUe prive di senso, quanto fissare un criterio per distinguere asserzioni scientifiche da asserzioni nonscientifiche; non, quindi, un principio di 'significativita', bensi di 'demarcazione'. Daile risultanze dell'esame del procedimento induttivo, Popper trae Ia conclusione che Ia conoscenza scientifica non puo essere provata, 'verificata', tutt'al pili puo essere sottoposta a severi e rigidi controlli, superati i quali potra ritenersi accettabile. Insomma, essa deve essere non gia 'verificabile', rna 'falsificabile', altrimenti si costituirebbe in sapere assoluto, definitivo, cosa che, come dimostra il processo storico cui e soggetta (teorie ~he sono state scalzate da altre teorie pili perfezionate, come mostra bene il rapporto Newton-Einstein), appare inammissibile. Poiche non e mai possibile osservare o sperimentare direttamente la totalita dei casi ai quali si riferiscono leggi e teorie, e possibile falsificarle, qualora si trovi anche un solo contro-esempio che le smentisce. Ad esempio, la teoria che «tutti i pezzi di legno galleggiano in acqua» e 'falsificata' dall'esperienza che «questo pezzo di ebano non galleggia». Da qui il radicale mutamento nella accezione metodologica del procedimento scientifico: non induttivo, dai fatti alia costruzione delle teorie, rna deduttivo, dalle leggi e teorie ai fani che le controllano. Dunque, le teorie sono congetture che gli scienziati elaborano per risolvere problemi, e che poi sottopongono a controlli severi per ottenere o 'corroborazioni', cioe convalide della efficacia di tali congetture parziali e relative, o 'confutazioni', cioe rinvenimenti di errori o contraddizioni capaci di promuovere altri tentativi indirizzati alia costruzione di teorie migliori. II procedere scientifico e, come scrive Popper in Congetture e confutazioni, del 1962, un 'metoda per prova e errore' o 'metoda deduttivo dei controlli'. Procedere scientificamente vuol dire produrre teorie e metterle alla prova. Dal punto di vista epistemologico, non e tanto importante capire come si formano le teorie - non e a questa livello che si evidenzia Ia
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'logica del procedere scientifico' - quanto come esse devono essere e quali prove devono superare per essere ammesse ed utilizzate. L'aver confuso il 'contesto della scoperta' con il 'contesto della giustificazione' (come li aveva gia chiamati Reichenbach) aveva fatto credere che la natura logica del procedere scientifico fosse induttiva. Essa e, invece, 'ipotetico-deduttiva' o 'nomologico-deduttiva', dato che il carattere esplicativo e previsionale del sapere scientifico non e garantito dalla individuazione di 'come stanno davvero le cose', rna da una caratteristica logica del metodo. Essa consiste nella capacita di mostrare come un fatto che si spiega sia conseguenza necessaria di alcune ammissioni, costituite da un'ipotesi universale e da alcune 'condizioni iniziali' o osservazioni di partenza. Tecnicamente, secondo Popper, alla formulazione della ipotesi, prodottasi nella mente del ricercatore in modo libero e svincolato da qualunque prescrizione metodologica, e accompagnata dalle osservazioni iniziali, seguono controlli empirici, realizzati mediante la deduzione dall'ipotesi di fatti d'esperienza in forma di espressioni o 'asserzioni base'. Queste, a diversita dei 'protocolli' dei neopositivisti, non vengono accettate perche 'vere', rna perche convenzionalmente ammesse dalla comunita degli scienziati. Se queste asserzioni di base non risultano in accordo con I' esperienza, la teo ria viene falsificata e va abbandonata; se invece viene corroborata, essa va assunta e mantenuta. Ma solo provvisoriamente, perche la sua natura ipotetica e congetturale permane immutata, in quanto non si puo escludere che controlli ulteriori possano confutarla. Di conseguenza, al dominio del sapere scientifico appartengono asserzioni la cui verita non e mai definitiva. Parallelamente, e in conseguenza a questi approfondimenti epistemologici, Popper sviluppo una serie di studi su piu vasto raggio, con l'intento di screditare teorie, filosofie e dottrine che presumono di imporsi come 'verita definitive', cioe in forma di 'asserzioni inconfutabili'. Di questo tipo sono, per Popper, la psicoanalisi e il marxismo che, mentre la spiegazione scientifica e, a rigore, una riduzione del noto all'ignoto, e cioe a livelli sempre maggiori di generalita, pretendono di dare spiegazioni onnicomprensive e definitive, e di trovare continuamente verifiche alle !oro certezze. Scrive Popper, riferendosi ai tempi della sua giovinezza: Un marxista non poteva aprire un giornale senza trovarvi in ogni pagina una testimonianza in grado di confermare Ia sua interpretazione della storia. Gli analisti freudiani sottolineavano che le !oro teorie erano costantemente verificate dalle !oro 'osservazioni cliniche'.
·n bersaglio privilegiato della critica popperiana e stato il 'pensiero dialettico'. In Che cos 'e la dialettica?, del 193 7, partendo dalla sua nozione di metodo scientifico, mostro l'assurdita della pretesa di formulare leggi di sviluppo intorno alla storia della societa, insistendo, in particolare, sul fatto che una contraddizione ammessa all'interno di una teoria, come mostra la moderna logica formale, la rende 'inconsistente', perche capace di dimostrare 'tutto', cioe 'nulla'. Ribadi poi questi concetti in La societil aperta ed i suoi rzemici, del 1945, dove contrappose alla societa totalitaria, fondata su una filosofia dogmatica ed essenzialista, convinta di posedere la verita assoluta, la 'societa aperta', basata sulla liberta, sulla critica razionale, e dunque sul metodo autocorrettivo della scienza.
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La convinzione che quanto aveva individuato fosse l'esatta configurazione del metoda razionale (Ia sua stessa filosofia si e definita 'razionalismo critico') ha spinto Popper, in concomitanza con Ia sua polemica contro il marxismo, considerato l'interprete moderno piu pericoloso della filosofia essenzialistica, a sostenere un'altra importante tesi, quella dell'unita metodologica del sapere scientifico. In Miseria dello storicismo, del 1944, egli sostiene Ia tesi della sostanziale identita di metodo (non delle tecniche, rna della 'logica') tra scienze naturali e scienze storico-sociali. Alia fine degli anni '50, e in particolare al Congresso di sociologia tedesca di Heidelberg, del 1961 si e delineato, a questo riguardo, un netto dissidio, passato alia storia come 'Disputa sul metoda'. I piu irriducibili assertori della diversita metodologica nei due ambiti di ricerca furono i francofortiani (15.1-3), strenui difensori del metoda dialettico, idoneo, a loro giudizio a trattare un oggetto come la societa, cosi pervaso di contraddizioni. Popper e la sua scuola ribadirono che le contraddizioni non erano negli oggetti, rna nei pensieri, e che una metodologia della ricerca che accoglie principi contraddittori non puo produrre sapere scientifico: l'unico metoda valido e quello ipotetico-deduttivo. I
13.20 La storicita della scienza. Per quanto in Popper sia sempre presente Ia consapevolezza della storicita del sapere scientifico, la sua attenzione e rimasta prevalentemente concentrata sulla 'logica' dei procedimenti nomologicodeduttivi, mediante i quali la scienza si costituisce a prescindere dal tempo storico e dal contesto sociale. Contro questa impostazione epistemologica si e mosso il tentativo di alcuni autori, comunemente denominati post-popperiani, che hanno sviluppato le loro ricerche piu che sui caratteri 'sincronici', se si puo dire cosi, della scienza, su quelli 'diacronici', sulla dinamica scientifica, sui suoi processi di crescita e di svolgimento. La loro epistemologia si e quindi configurata come considerazione storica delle idee scientifiche, capace di indurre annotazioni di carattere filosofico sulla scienza, svincolate da ogni pretesa di fissazione prescrittiva logico-metodologica. Sotto questa riguardo, ne Ia logica induttiva ne quella deduttiva possono ritenersi atte a spiegare la crescita e il dinamismo della scienza. Lo stesso primato dell'esperienza, pur irrinunciabile in ambito scientifico, non va considerato un limite insormontabile al ruolo creativo dell'intelligenza. Piu che un procedere sistematico, la scienza e un succedersi discontinuo di 'visioni del mondo', variamente definite come paradigmi, programmi di ricerca, immagini della scienza, tradizioni di ricerca, e come tale risulta assai piu pros-sima ad altre forme di pensiero, come l'arte, il mito, o la metafisica, di quanta non si ritenesse in precedenza. Viene cosi a dissolversi, in qualche misura, il criterio popperiano della 'demarcazione' scienza-non scienza, teorie scientifiche e altri fenomeni della cultura. E' stato per primo lo statunitense Thomas Kuhn (n. 1922), nel 1962, con La struttura delle rivoluzioni scientifiche, a delineare i primi indirizzi di questa nuova dimensione epistemologica. Kuhn ha individuato nel processo di sviluppo della scienza due fasi distinte, che ha denominato 'scienza normale' e 'rottura rivoluzionaria'. La prima consiste nell'applicazione di criteri, teorie, assunzioni metafisiche, e quanto altro costituisce queUe forme di consapevolezza e
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competenza dell'agire scientifico che si potrebbero chiamare 'paradigma scientifico' e che determinano accumulazione di conoscenze e di esperienze. E' la fase di 'crescita per accumulazione'. Nella seconda, il 'paradigma' viene messo in discussione, a causa di contraddizioni, sia teoriche sia empiriche, emergenti dal terreno della ricerca, che spingono alla produzione di nuovi assunti teorici ed empirici e, in ultima istanza, di un nuovo paradigma. E' questa la fase di 'crescita rivoluzionaria' della scienza. Quando questo nuovo paradigma si e delineato e ha prodotto una nuova 'idea' (e una nuova 'pratica') della scienza, segue una fase di 'scienza normale'. E cosi via. Per questo, Kuhn ha negato che si possa parlare di teorie e di ipotesi valide o vere se non in relazione a determinati paradigmi, e ha sostenuto la stretta dipendenza della scienza, come complessiva attivita pratico-teorica, da fattori psicologici e da fattori sociologici. La scienza, a suo giudizio, risulta una impresa sociale fondata sul consenso organizzato: ogni altra sua definizione, che porti a negare 0 a trascendere questo dato di fatto, e falsa e fuorviante. Anche Imre Lakatos ( 1922-197 4: ungherese di origine, trasferitosi in USA nel 1956) ha suggerito una visione epistemologica in cui storia e filosofia della scienza sono molto ravvicinate tra loro e insieme concorrono alia comprensione della dinamica della conoscenza scientifica: La filosofia della scienza senza la storia della scienza, e vuota. La storia della scienza senza Ia filosofia della scienza, e cieca.
Lakatos suggerisce una metodologia che chiama dei 'programmi di ricerca'. A suo giudizio, il falsificazionismo popperiano e in errore, se crede che 'un controesempio fattuale', inficiando una teoria e obbligando a rifiutarla, costituisca il modulo della dinamica scientifica. Non le teorie, prese singolarmente o a gruppi, devono costituire l'oggetto di valutazione per stabilire cosa sia la ·. scienza e quale ne sia il meccanismo di crescita, rna piuttosto i 'programmi di ricerca', entro i quali esse si .sviluppano e che sono caratterizzati da un 'nucleo' convenzionalmente accettato, e come tale inconfutabile, e da una serie di ipotesi ausiliarie, queste, si, sottoponibili a rigidi controlli e, se falsificate, da sostituire con altre piu salde. Cio che si e chiamato spesso metafisica e che, come tale, si e escluso dal territorio scientifico, costituisce per Lakatos il nucleo interno di un programma di ricerca. Semplici falsificazioni (cioe anomalie) vanno registrate, rna non c'e bisogno di lavorarvi sopra. I grandi esperimenti cruciali negativi di Popper scompaiono; quello di 'esperimento cruciale' e un titolo specifico che puo essere ovviamente conferito a certe anomalie, ma solo molto tempo dopo l'evento, solo quando un programma e stato sconfitto da un altro.
Tav. 2. 'Tavola del futuro', composta nel 1965 da Arthur Clarke, scienziato e saggista inglese. Dopa venti anni, siamo gia in grado di constatare la non perfetta coincidenza tra i fatti e le previsioni. La tavola (che riproduciamo appena ritoccata) e utile perc he ci da un 'idea intuitiva della rivoluzione tecnologica e un documento dell'ottimismo ideologico che ispirava, qualche decennia fa, la futurologia.
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Data 1800
Comunlcazlonl lnformazlonl
Trasportl
Locomotiva Nave a vapore
Macchine fotografiche Calcolatore Telegrafo
Automobile
Telefono Fonografo
Aeroplano
Valvula
Materlall Prodottl
Motori a vapore
Blologla Chlmlca
Chimica inorganica
termoionic~
Utensili meccanici Elettricita
Chimica organica
Coloranti Motore Diesel Motore a benzina Genetic a Produzione di massa Vitamine
Spettroscopio Conservazione dell'energia Elettr<>magnetismo Evoluzione Raggi X Elettroni Radioattivita Isotopi Teoria quantistica
Cromosomi Gcni
Relativita Struttura dcll'atomo
TV
Ormoni
Indeterminazione Neutroni
Fissazione dell'azoto
1920 1930
Teoria atomica
Materie plastiche
Radio
1910
Fislca
Sintesi dell'urea
1850
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447
/940
Jet Razzo Elicottero
Magnesio dal mare Radar Refcstratori a nastro Ca colatori elettronici
Matcrie sintetichc Antibiotici
Fissazione dcll'uranio Acceleratori di particellc
1950
Veicolo a cuscino d'aria Satellite
Cibernetica Transistor Maser. Laser
Siliconi Tranquillanti Struttura delle proteine
Radio astronomia Struttura del nucleo
1960
Nave spaziale
Comunicazioni via satellite
Codice genetico
Laboratori spaziali Atterraggio sulla Luna Razzo nucleare
Macchine traduttrici
Linguaggio dei cetacei
Atterraggio sui pianeti
Radio personate
Energia di fusionc
lntelli(lenza artifictale
Energia "senza fili"
1965 1967
1980 1990
Colonizzazione dei pianeti
Biblioteca globale
2010
Sonde terrestri
Apparecchi telesensoriali
2020
Sonde interstcllari
Linguaggi logici Rol:iot
2000
~;
Controllo della gravita Guida spaziale
Organismo cibernetico
On de gravitazionali
Intensificazione delle pcrcezioni
Struttura subnuclearc
Controllo della ereditarieta
Catalizzatori nucleari
Controllo del tempo atmosfcrico
Contatto con extraterrestri
Sfruttamento dello spazio
Ingegncria biologica Animali intelligenti
Stimolazione della memoria
Ingcgneria planetaria
Sospensione della vita '
Vita artificiale
lstruttore meccanico
2060
Controllo del clima
2070 2 080
Sfruttamento del marc
2030
2 050
Energia atomica Automazione Bomba a fusione
L'intelligenza meccanica supcra quella umana
Velocita vicina a quella della lucc
2090
Volo interstellare
7100
lncontro con extraterrestri
Replica tore Cervello mondiale
lngegncria astronomic a
1
llmmortalita
Distorsionc spazio-tempo
~
I
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L'idea popperiana di un procedere della scienza per congetture e confutazioni va respi.nta, perche nessun esperimento e cruciale ... Con sufficiente ingegnosita e un po' di fortuna, qualsiasi teoria puo essere difesa 'in modo progressivo' per lungo tempo, anche se e falsa.
Dunque, la dinamica e la crescita della scienza non risulterebbero altro che dalla Iotta tra programmi di ricerca, i quali possono essere in 'stato progressive', fintanto che la loro crescita teorica e in grado di predire fatti nuovi con qualche successo, o in 'stagnazione', quando si danno solo spiegazioni post hoc, rispetto a scoperte fattuali, magari anticipate da un programma rivale. La capacita di un programma di ricerca di spiegare progressivamente piu di un altro, ne determina, in genere, in un processo di lunga durata, il successo. La processualita scientifica non sarebbe, dunque, costituita che da 'slittamenti di problemi progressivi e regressivi'. Piu di recente, Paul K. Feyerabend (nato nel 1929 in Germania, rna attualmente docente in USA), nella sua opera Contra il metoda, del 1975, ha delineato una epistemologia che si e definita 'teoria anarchica della conoscenza'. Secondo Feyerabend, e illusorio fissare un metoda, stabilire una logica, una forma definitiva della razionalita, capace di rendere conto del processo scientifico. Anch' egli avvalora le sue tesi basandole su considerazioni di tipo storico: L'idea di un metoda, che contenga principi fermi, immutabili ed assolutamente vincolanti come guida dell'attivita scientifica, si imbatte in difficolta considerevoli, quando viene messa a confronto con i risultati della ricerca storica. Troviamo, infatti, che non c'e una singola norma, per quanta plausibile e per quanta radicata nella epistemologia, che non sia stata violata in qualche circostanza.
La scienza, a detta di Feyerabend, fa uso di una 'pluralita di standards' che garantiscono la totale liberta e autonomia intellettuale, svincolata anche dall'autorita della stessa 'ragione'. La crescita della conoscenza e della scienza risiederebbe, appunto, in questa liberta, in questa costante violazione di metodi e criteri piu o meno consolidati. 'Tutto va bene': questa e la lapidaria e provocatoria affermazione di Feyerabend, che sintetizza il suo orientamento. Da queste posizioni discendono orientamenti politici di tipo radicale, che non sarebbe errata definire 'libertari'. Feyerabend, infatti, contrappone alla popperiana 'societa aperta' una 'societa Iibera' (una delle sue ultime puhblicazior.~,i si intitola La scienza in una societa Iibera, 1978). In essa, cosi come Ia scienza insegna, non si impongono filosofie o verita assolute, ne tantomeno metodi d'analisi e di azione privilegiati, e neppure lente o rapide sopraffazioni di 'tradizioni' su altre 'tradizioni', rna si richiedono rispetto reciproco delle diversita, forte spirito di tolleranza, coesistenza pacifica.
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Sommario. Tra Ia fine del secolo scorso e gli inizi del nostro, in sincronia con Ia rivoluzione scientifica, Freud rivela le radici inconsce della ragione: prima dell'eta della ragione, Ia ragione c'e gia, involta nelle pulsioni instintuali. II pensiero cosciente fa corpo con questa sua 'preistoria' (14.1). Freud giunge alia scoperta dell'inconscio a partire dalla terapia delle isterie, che Breuer curava con l'ipnosi e che egli comincia a curare, nel dialogo col paziente, con Ia tecnica delle 'libere associazioni' (14.2). Da questa esperienza, egli e condotto allo studio dell'apparato psichico mediante l'interpretazione dei sogni, in base alia distinzione tra il !oro contenuto manifesto (le immagini ricordate) e il !oro contenuto latente (il desiderio inconscio). Ma Ia via all'inconscio non e solo quella del sogno, sono anche i lapsus e i motti di spirito (14.3). Combinando il metodo biologico e quello storico, egli giunge a stabilire che, alia base dell'apparato psichieo, c'e Ia 'libido', Ia pulsione sessuale, che, prima di concentrarsi nei genitali, ha una sua storia, attraversa, doe, una serie di fasi di fissazione, nell'ultima delle quali si forma il 'complesso di Edipo'. Tra il complesso edipico e Ia puberta, c'e, decisivo, il periodo delle latenze della pulsione sessuale (14.4). Dopo la prima guerra mondiale, Freud modifica Ia sua spiegazione dell'apparato psichico, ponendo, al di la della libido, un nuovo principio, quello di morte, e formula una nuova 'topica', centrata su tre istanze: l'Es, il Superio, l'Io (14.5). Usando di questa topica come di uno schema di lettura della societa, anzi della storia, Freud tenta, negli ultimi anni della sua vita, di far luce su alcuni enigmi, come l'esistenza della religione, che egli spiega come Ia sopravvivenza infantile del bisogno del padre; l'origine della civilta, che egli colloca nella repressione delle pulsioni libidiche e dell'istinto di morte; Ia storia della specie, che ha origine dall'uccisione del padre ed e governata dal senso di colpa e dalla identificazione con la vittima (14.6). Tra i seguaci di Freud, particolare risonanza ha avuto, in questo dopoguerra, Lacan, che ha identificato l'inconscio con una 'lingua originaria', che trascende l'individuo e parla attraverso di lui (14.7). Collaboratore di Freud, Adler se ne distacca perche non e convinto del ruolo determinante della sessualita nel dinamismo psichico dell'individuo, che, a suo giudizio, va assunto nella sua interezza indivisibile, con la sua particolare visione del mondo e con la 'meta' che inconsciamente persegue (14.8). AI centro della 'psicologia individuale' c'e Ia volonta di potenza, che nell'individuo si specifica a partire da una 'inferiorita d'organo' (14.9). Nel bambino, il complesso di inferiorita suscita le reazioni aggressive, che nell'individuo normale si sublimano nell'impegno sociale e, nel nevrotico, deviano in forme ,eccessive e incoerenti. L'individuo normale ha sulla realta dei punti di vista che egli vive consapevolmente come finzioni, come se fossero vere; il nevrotico le assume come dogmi (14.10). Le finzioni sono compensazioni (tra le quali, particolarmente importanti queUe del 'pensiero antitetico') del senso di inferiorita; la terapia consiste nel liberare l'intenzionalita della coscienza dal groviglio delle finzioni ( 14.11 ). Questa intenzionalita e lo 'stile di vita' che il terapeuta e chiamato a identificare e a guidare verso il suo sbocco, che e il'sentimento comunitario' (14.12). Anche Jung, dapprima collaboratore di Freud, se ne separa perche non ne condivide la pretesa di fare della psicologia una scienza della natura. Nello studio dei fenomeni psichici, l'osservatore e il fenomeno costituiscono, infatti, un medesimo indivisibile processo (14.13). II tema centrale di Jung e quello della 'personalita' (o dell'individuazione), nella cui dinamica_egli distingue Ia 'persona', l"ombra' (e cioe l'insieme inconscio delle
450 D 14 - Freud: Ia psicoanalisi 'personalita parziali') e gli 'archetipi', tra i quali fondamentale e il 'Se' (14.14). La persona e costituita da una pluralita di componenti, ciascuna delle quali tende all'autonomia. Di qui il fenomeno della 'dissociazione': il 'complesso' e, appunto, una psiche parziale che agisce in modo autonomo. Le relazioni intrapsichiche delle personalita parziali influenzano i rapporti con l'ambiente sociale (14.15). La realta psichica e, dunque, per Jung, primaria. Essa si struttura in irnmagini prirnordiali, gli 'archetipi', che sono modelli arcaici, stabili, universali, in cui ha preso forma e finalismo Ia pulsione istintuale (14.16). Ogni individuo, dunque, emerge da un 'rizoma mitico', il contatto col quale e sernpre stato inteso come un'esperienza di Dio, che non e, peraltro, il Dio della trascendenza, rna Ia sua imrnagine nell'uomo universale, nell'anthropos (14.17). Aile tesi di Jung si riconnette Hillman, per il quale l'irnmagine non e, come lo era per Jung, il prodotto dell'individuo, rna, al contrario, e il mondo (mundus imaginalis) che contiene in se l'individuo: 'siamo irnrnaginati' da un'anirna del rnondo che ci trascende (14.18).
Freud: Ia psicoanalisi 14.1 La rivoluzione psicologica. Solo in questi ultimi anni, anche per merito del saggio dello psichiatra canadese Henri Ellenberger, La scoperta dell'inconscio, (1970), Sigmund Freud• sta uscendo dall'isolamento, in cui l'avevano confinato, per ragioni opposte, la riprovazione dei benpensanti e l'ammirazione dei discepoli, per trovare la sua giusta collocazione nella cultura del suo tempo che, nell'arco di anni che va dalla fine dell'Ottocento alla prima guerra mondiale, ebbe proprio a Vienna il suo momenta piu alto. Come documenta anche la sua autobiografia, Freud si apri la strada con una serie di rotture, sul piano scientifico oltre che su quello dell'amicizia, che hanna marcato la sua immagine di esploratore solitario, rna per molti versi egli resta debitore del suo tempo Sigmund Freud nasce nel 1856 a Freiberg, in Moravia. ll padre, Jacob, di 41 anni, e al suo terzo matrimonio e ha gia avuto, dal prima, due figli, uno dei quali ha un figlio, John, che ha un anna piu di Sigmund La madre ha 21 anni. Girl questi due dati, /'eta giovanile della madre e la maggiore anzianitd del nipote, illuminano il singolare intreccio del gruppo familiare di Sigmund, che ne sard fortemente influenzato. Si aggiunga che i Freud sono ebrei e, come tali, bersagli di ostilita e discriminazioni. Una crisi economica costringe il padre, commerciante di lana, a trasferire la famiglia a Vienna (1860). ll fantasma della poverta perseguitera Freud anche quando verranno meno per lui le ragioni di ogni timore in proposito. Compiuti brillantemente gli studi liceali, si iscrive, nel 1873, a medicina, piu per mgioni pratiche che per un vera interesse. Entra nel laboratorio di fisiologia diretto da Ernst Brucke, dove affina il proprio rigore per la ricerca: scopre le proprieta analgesiche della cocaina e sfiora la scoperta del neurone, che sara fatta qualche anno dopa. Conseguita, nel 1885, Ia Iibera docenza in malattie nervose, ottiene una borsa di studio e si reca a Parigi, dove studia, presso iL vecchio ospedale della Salpetriere, diretto dal grande neurologo Jean Martin Charcot, il fenomeno dell'isteria, mediante l'uso dell'ipnosi. Tomato a Vienna, dove si sposa con Martha Bernays, prosegue i suoi studi sull'isteria insieme a Joseph Breuer, con il quale pubblica, nel
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1895, gli Studi sull'isteria. Nel 1896 perde il padre, rompe Ia collaborazione con Breuer, porta avanti le sue intuizioni sulla vera origine delle nevrosi e le espone nel suo primo saggio di psicoanalisi, L'interpretazione dei sogni, del 1900. Del 1901 e l'altro suo saggio, fondamentale per Ia psicoanalisi, Psicopatologia della vita quotidiana. NeZ 1902 ha gia un gruppo di amici che si riuniscono attorno a lui: il prima nucleo che dara origine, nel 1910, alia Societa internazionale di psicoanalisi, di cui sara prima presidente Carl lung, entrato in contatto con Freud nel 190Z Seguono due rotlure fondamentali per la Societa: con Adler nel1911, e con lo stesso lung, nel 1913. Durante la guerra 1914-1918, rimasto quasi solo, Freud approfondisce e modifica la sua teoria sull'origine delle nevrosi con vari saggi, tra i quali AI di la del principia del piacere (1920). Credendosi vicino alla morte (soffre di un cancra al palata), scrive, nel 1924, l'Autobiografia. Le sue ricerche si allargano fino ad abbracciare il problema delle origini della religione con ll\vvenire di un'illusione, del 1927, e il problema della civilta industriale a cui e dedicato il saggio Il disagio della civilta, del 1929. Del 1932 e il carteggio, sui tema della pace, con Albert Einstein. Nel 1933 i nazisti bruciano a Berlino i suoi libri. Dopa !"Anschluss' (annessione dell'Austria alla Germania) del 1938, Roosevelt e Mussolini intervengono in favore di Freud, che puo partire per Londra (le quattro sorelle restano, e saranno uccise ad Auschwitz nel 1942), dove e ricevuto con grandi onori e simpatia e dove muore, l'anno dopa, nel1939. storico, di cui condivise tanto i processi di crisi quanto la fiducia nelle risorse della ragione ('il nostro dio Logos'), anche dopo aver spezzato le tavole di bronzo delle sue leggi. Non e nel giusto, infatti, chi lo mette nel numero degli irrazionalisti. La psicoanalisi non e soltanto una psicologia della crisi, e anche uno strumento per metterla in luce e per superarla. Come Colombo (un personaggio con cui amava identificarsi), Freud ha introdotto nei confini della conoscenza umana un nuovo continente, il continente dell'inconscio, con un duplice riflesso nella sfera della ragione. Per un certo verso, mostrando come la coscienza razionale abbia le sue radici nell'inconscio, egli ha irrimediabilmente scosso la pretesa della ragione di ricondurre tutto sotto il dominio delle proprie categorie, che tanto l'idealismo quanto il positivismo consideravano originarie e autonome nei confronti delle altre giurisdizioni dell'esperienza. Ma per l'altro verso, prendendo la via opposta a quella degli psicologi della crisi, egli ha dilatato l'impero della ragione anche nelle zone ritenute di !oro natura oscure e comunque irrilevanti ai fini della costruzidne dell'uomo, come la regione dei sogni, delle isterie, delle fantasie apparentemente gratuite della psiche. Abolendo i confini tra patologia e normalita, Freud ha mostrato che il pensiero cosciente fa tutt'uno col pensiero inconscio, del quale deve rendersi conto, se vuol rendersi conto di se e delle proprie leggi. E cosi lo spettrogramma della natura dell'uomo si e arricchito di un nuovo colore, che dovra essere tenuto presente nell'analisi delle sue attivita, si tratti pure di queUe artistiche, religiose e morali. Dopo Freud, infatti, il riferimento alia psiche e necessaria a chiunque voglia condurre le manifestazioni dell'uomo sotto il regime della conoscenza scientifi-
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ca. Prima di Freud, la psicologia non aveva nemmeno un suo statuto epistemologico: o rientrava nel capitolo della gnoseologia, come aveva insegnato Aristotele, o rientrava in quello della fisiologia, di cui essa studiava le reazioni a determinati stimoli, secondo il metodo sperimentale positivistico. Dopo Freud, anche chi non ne accetti la dottrina, dovra per forza farsi carico di un sospetto: il sospetto che il pensiero cosciente, mentre ritiene di rispondere soltanto aile determinazioni dell'oggetto della sua indagine, assecondi, invece, la spinta. delle intenzioni inconsce. Infatti, prima ancora che si giunga alia cosidetta 'eta della ragione', la ragione c'e gia, nell'individuo umano, sebbene involta nelle pulsioni istintuali, ed e in questa sua 'preistoria' che essa contrae gli abiti che si faranno valere in seguito, dissimulandosi sotto la soglia della coscienza. Questa emersione dell'inconscio alla luce della conoscenza scientifica e il nuovo capitolo della rivoluzione scientifica di cui abbiamo ampiamente trattato nelle pagine precedenti. Niente di strano che Freud non si sia nemmeno accorto del crollo dell'universo newtoniano, a cui attendevano, anche vicino a lui, matematici e scienziati (si pensi a Mach), e soprattutto Albert Einstein, che stava elaborando il principia della relativita, destinato a cambiare la nostra immagine dei cieli, presso a poco· negli stessi anni in cui Freud si calava nei sotterranei dell'inconscio per mutare la nostra immagine dell'uomo. Come motto del suo primo libro, egli pose un verso virgiliano: Flectere si nequeo superos, Acheronta movebo: se non riesco a piegare le potenze del cielo, muovero quelle dell'inferno. Non ancora consapevole della nascita della 'nuova fisica', Freud e convinto che la sua e una rivoluzione da mettere in serie con quelle di Copernico e di Darwin, come scrisse lui stesso in una pagina che merita leggere, anche per il vigore sintetico con cui ci richiama alia mente le tappe decisive della scienza moderna: Nel corso dei tempi l'umanita ha dovuto sopportare da parte della scienza due grandi mortificazioni del suo ingenuo amor proprio. La prima, quando apprese che Ia nostra terra non e il centro dell'universo, bensi una minuscola particella di un sistema cosmico che nella sua grandezza e difficilmente immaginabile. Essa e associata per noi a! nome di Copernico, benche gia Ia scienza alessandrina avesse proclamato qualcosa di simile. La seconda poi, quando Ia ricerca biologica anniento Ia pretesa posizione di privilegio dell'uomo nella creazione, gli dimostro Ia sua provenienza dal regno animate e l'inestirpabilita della sua natura animale. Questo sovvertimento di valori e stato compiuto ai nostri giorni sotto l'influsso di Darwin, di Wallace e dei !oro precursori, non senza Ia piu violenta opposizione da parte dei contemporanei. Ma Ia terza e piu scottante mortificazione, Ia megalomania dell'uomo e destinata a subirla da parte dell'odierna indagine psicologica, Ia quale tende a di;nostrare all'Io che non solo egli non e padrone in casa propria, rna deve fare assegnamento su scarse notizie riguardo a quello che avviene inconsciamente nella vita psichica. Anche questo richiamo all'introspezione non siamo stati noi psicoanalisti ne i primi ne i soli a proporlo, rna sembra tocchi a noi sostenerlo nel modo piu energico e. corroborarlo con materiale frutto dell'esperienza, che tocca da vicino ogni individuo.
14.2 Freud prefreudiano. Fu a Parigi, accanto al neurologo Jean Martin Charcot (1825-1893), che Freud si libero del metodo positivistico, appreso nel laboratorio di Brucke. Charcot gli apparve - leggiamo nel necrologio che, si-
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curamente anche con un occhio su se stesso, egli ne scrivera - «come un Cuvier, il grapde classificatore e conoscitore del mondo animale)), e come «il mitico Adamo)), che nel dare il nome agli animali «dovette provare, al piu alto grado, la gioia intellettuale». La vera scienza - questo vuol dire Freud - sta nel comparare con diligenza i dati di fatto e, insieme, nel protendere lo sguardo su cia che non si e mai visto e nel dargli un nome. Seguendo le lezioni di Charcot sui fenomeni isterici, Freud resta impressionato dalle sue osservazioni cliniche, che impongono (contrariamente aile teorie psicologiche allora dominanti sull'unitarieta dei processi di pensiero) la realta di un 'pensiero separato dalla coscienza'. Nel sintomo isterico e possibile constatare l'effetto somatico di un pensiero «senza che il gruppo degli altri processi psichici, l'Io, possa saperlo e possa intervenire per impedirlo)). La constatazione della 'dissociabilita della coscienza' e decisiva, rna non sufficiente alia 'scoperta dell'inconscio'. Nel fenomeno isterico, infatti, la dissociazione puo essere riferita alia condizione patologica peculiare del malato, rna cia non consente di stabilire nessuna verita circa la struttura normale della psiche. E' dal versante della terapia - di cui Charcot, interessato solo alia osservazione clinica e alia descrizione fenomenologica, non si occupava - che dovevano venire gli strumenti per una comprensione piu adeguata della psiche. Qualche anno prima, Joseph Breuer aveva trattato, con relativo successo, un caso di isteria mediante l'uso dell'ipnosi. Freud ne parlo a Charcot, che non gli presto molto interesse. Merita renderne conto perche, in un certo senso, quel caso sta aile origini della psicoanalisi. La paziente era Bertha Pappenheim, passata alia storia col nome di Anna 0 .. Di intelligenza e di cultura non comuni, (diverra, in seguito, una fervente femminista) la ragazza soffriva di disturbi isterici. Durante i suoi stati di torpore, raccontava spontaneamente, rna in condizione di inconscienza, simile all'ipnosi, le strane allucinazioni sofferte durante la giornata. Breuer penso di procurarle artificialmente l'ipnosi e non, come avveniva normalmente nella cura, per darle ordini, che sarebbero stati eseguiti in stato di veglia, rna per lasciarla parlare liberamente: E difatti, Anna 0. si abbandonava a lunghi e dettagliati racconti, che si riferivano aile sue lontane esperienze vissute accanto al capezzale del padre malato. Uscendo dall'ipnosi, essa si sentiva come liberata. Fu lei (che durante l'ipnosi si esprimeva in inglese) a chiamare questo metodo di cura 'talking cure' (cura parlata) o 'chimney sweeping' (pulizia del camino). Breuer interruppe bruscamente il metodo, perche si accorse che, per un fenomeno di traslazione (transfert), la paziente si era attaccata a lui morbosamente. Freud, invece, ripresi, dopo il suo ritorno da Parigi, i suoi studi sull'isteria, continuo ad applicare il metoda 'catartlco' (cosi lo aveva chiamato Breuer), inserendovi, di volta in volta, delle modifiche tecniche che permettessero di raggiungere i ricordi dimenticati. La resistenza mostrata da alcuni pazienti all'ipnosi lo indusse a usare forme sempre meno suggestive e piu dirette. Questa metoda lo porto alia 'tecnica della Iibera associazione' (la cosiddetta 'regola fondamentale'): il paziente doveva esporre, durante il trattamento, il corso spontaneo dei suoi pensieri, senza alcuna remora o censura dovute alla logica o alia morale. Fu cosi che Freud fece il passo decisivo per la comprensione del disturbo psichico, con gli stessi strumenti della psicologia normale: dal solo 'dialogo' fra
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terapeuta e paziente, senza ricorrere alle ipotesi di debolezza costituzionale o di insufficiente capacita di controllo nervoso superiore, sorgono insieme e la terapia e la comprensione teorica del fenomeno. Questa intuizione apre, dinanzi a Freud, le due strade che segnano la sua opera negli anni successivi. Da una parte, egli e condotto allo studio della struttura dell'apparato psichico, non solo nei fenomeni morbosi, rna anche in quelli comuni: i sogni, i motti di spirito; i lapsus, che rivelano la stessa struttura dei sintomi; dall'altra parte, e condatto allo studio della 'libido' e delle sue fasi di sviluppo dalla scoperta che, alIa base dei disturbi, vi e un ricordo penoso, un 'trauma', e che questa e di natura sessuale. 14.3 La scoperta dell'inconscio. Quando scopre la sua via, Freud ha quarant'anni, e sposato, padre di cinque figli, oberato da obblighi sociali e professionali. In quel 1896, egli non solo rompe il sodalizio con Breuer, che non condivide le sue convinzioni sul ruolo della sessualita, rna perde anche il padre ed entra lui stesso in quella condizione dolorosa che il contatto con i nevrotici gli aveva reso familiare. Diven~a allora paziente di se stesso, sottoponendosi anche mediante una fitta corrispondenza con l'amico Wilhelm Fliess, a una severa autoanalisi, che lo conduce a perlustrare, per quattro o cinque anni, le regioni inquietanti abitate dai fantasmi del suo lontano passato. La porta di accesso per questa discesa agli inferi e il sogno. Appunto nel vivere in proprio la terapia della decifrazione dei sogni gli venne l'idea di scrivere un'opera, che resta forse il suo capolavoro e che e comunque la pietra d'angolo del suo edificio scientifico: L'interpretazione dei sogni, apparsa nel 1900. All'osservazione psicologica il sogno si rivela (... ) come il primo anello di quella catena di formazioni psichiche abnormi, i cui anelli ulteriori - follia isterica, rappresentazione ossessiva, rappresentazione delirante - devono interessare il medico per ragioni pratiche. II sogno - come risultera dall'esposizione - non puo pretendere analoga importanza pratica, rna tanto piu grande e il suo valore teorico di paradigma, e chi non riesce a spiegare le formazioni delle immagini oniriche si sforzera invano di comprendere le fobie, le idee ossessive e deliranti e quindi di operare su di esse con Ia terapia.
Il sogno va dunque interpretato. Bisogna distinguere tra il suo 'contenuto manifesto' - le immagini stesse del sogno, cosi come vengono ricordate dal sognatore al risveglio - e il suo 'contenuto latente', che il lavoro interpretativo permette di ricostruire .
..:II contenuto manifesto ci appare come una traduzione dei pensieri del sogno in un altro modo di espressione, di cui dobbiamo imparare a conoscere i caratteri e le regole sintattiche, confrontando l'originale e la traduzione. Il sogno risultera dunque incomprensibile finche non si terra conto che un desiderio inconscio, che. risale all'infanzia, e stato ridestato da un desiderio attuale. Questo fa si che le immagini del sogno vengano regolate dalla sintassi tipica del mondo inconscio. La sintassi che guida l'inconscio costituisce il 'processo primario', e puo ridursi a una regola principale, quella del 'principio del piacere', in base alia quale il dinamismo provocato dalla pulsione instintiva mira all'appagamento. L'intenzione latente della dinamica inconscia urta, pero,
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contra i limiti posti dalla realta, che esige la repressione di tutte le rappresentazioni non conformi a se stessa. Attorno al 'principia di realta' si organizza, cosi, il 'processo secondario', in cui dominano le modalita intenzionali della coscienza. Niente di meglio, per capire il funzionamento di questa meccanismo, che seguire quanta scrive lo stesso Freud nel raccontare il sogno da lui fatto mentre attendeva la nomina a professore onorario (1897). Le sue possibilita di accedere all'incarico sono scarse, a causa della sua origine ebraica. Anche un suo collega, R., che si trovava neUe sue stesse condizioni, era infatti stato respinto. Ed ecco il sogno: a) L'amico R. e mio zio. Provo per lui una gran tenerezza. b) Vedo davanti a me il suo volto un po' mutato: come fosse allungato, incorniciato da una barba gialla, che spicca con particolare chiarezza.
Questa e dunque il contenuto manifesto del sogno. Freud lo scompone pezzo per pezzo, A proposito della zio: fra i vari zii, gli torna alia mente lo zio Josef, che trent'anni prima era stato punito dalla Iegge per una lieve mancanza, cosa questa che al fratello (il padre di Freud) aveva creato un grave disappunto, potendolo scusare soltanto perche debole di mente. Se dunque l'amico R. e mio zio Josef, intendo dire con deficiente. Quasi incredibile e molto spiacevole.
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Questa contesto porta Freud a ricordarsi dell' episodio di un altro collega, anche lui ebreo, che rischiava di perdere la nomina per una questione legale: insomma, il sogno, identificando R. con zio Josef, produce l'effetto di esaudire il desiderio di Freud di essere nominata professore. Infatti, lui non e ne uno stupido ne un reo incriminato, ed il sogno e come se dicesse: sono respinti gli stupidi e i colpevoli, non gli ebrei. II sogno rivela in questa la sua caratteristica egoistica, in quanta sacrifica senza scrupoli Ia figura dei colleghi al suo desiderio. Ma l'analisi di un sogno non e mai terminata: puo il solo desiderio di essere nominata professore ayete determinato tante deformazioni? Se Ia brama di sentirmi chiamare con un altro titolo fosse cosi forte, starebbe a dimostrare un'ambizione morbosa, che non mi cpnosco e che ritengo a me estranea.
A questa punta, due ricordi gli vengono in mente: alla sua nascita, una vecchia contadina aveva profetizzato che sarebbe diventato un grand'uomo, mentre, a dodici anni, gli era stato predetto che sarebbe stato ministro. Ma ritorniamo a! sogno! Mi accorgo soltanto ora che esso mi riporta da questo tetro presente al tempo, ricco di speranza, del 'ministero borghese' e soddisfa, per quanto gli e possibile, il mio desiderio di allora. Trattando, cosi duramente, perche ebrei, i due dotti e stimabili colleghi - uno come fosse un deficiente, l'altro un delinquente - io mi comporto come fossi il ministro, mi sono messo al posto del ministro. Che stupenda vendetta nei confronti di Sua Eccellenza! Egli rifiuta di nominarmi 'professore extraordinarius' e in sogno io mi metto al suo posto.
Anche cosi questa sogno non e certo analizzato in modo completo, rna e comunque sorprendente quanta lontani ci abbia condotti la sua interpretazio-
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ne. Un desiderio recente e stato attratto.,; nello, stato di sogno, da uno piu antieo e, assoggettato cosi al 'lavoro onirico', ne e "risultato nascosto e incomprensibile. Attraverso l'interpretazione, i due desideri, quello infantile e quello recente, vengono svelati per quel che sono. Possiamo aggiungere che, prima di desiderare il posto del ministro, Freud ha desiderata il posto del padre: e questo il desiderio infantile che Freud chiamera, nel 1910, complesso di Edipo (il termine 'complesso' gli fu suggerito da Jung), la piu significativa, come vedremo tra poco, fra le espressioni simboliche della dottrina psicoanalitica. Subito dopo L 'interpretazione dei sogni, che ebbe scarso successo e suscit6, nel mondo accademico, reazioni di sdegnoso rigetto, Freud compose La psicopatologia della vita quotidiana (1904) e Il motto di spirito (1905). Le due opere diventarono, invece, molto popolari e giovarono a far comprendere che i processi primari dell'inconscio sono un tratto essenziale della coscienza comune. Se l'isteria e il sogno rappresentano pur sempre campi lontani dalla vita quotidiana, il campo della psicopatologia riguardante i lapsus (atti 'mancati'), le distrazioni, le sbadataggini, rientra invece nell' esperienza ordinaria e comune, ed e percio molto adatto far capire come l'azione dei processi primari, e cioe delle intenzioni inconsce, investa anche le persone cosiddette normali. I lapsus non sono puri scarti di una espressione mal riuscit~. sono l'interruzione, nel nostro discorso, di quell'altro discorso che l'inconscio conduce per conto suo, sulla spinta del desiderio. Se di un noto uomo politico, ritiratosi a vita contadina, io dico che ormai il suo posto 'e davanti all'aratro', ho cosi manifestato il mio segreto sentimento, perche davanti all'aratro ci sta solo il hue! E cosi il 'motto di Spirito', che ci procura piacere, e anch'esso un espediente con cui gli impulsi repressi (libidici o aggressivi) fanno sentire la loro voce, accanto alle· rigide pretese della morale. Privati, durante l'infanzia, del piacere di giocare con le parole, a tutto vantaggio della razionalita costituita, col motto di spirito noi esercitiamo la nostra piccola rivincita, magari facendo noi stessi le spese della trasgressione umoristica.
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14.4 La teoria della 'libido'. Diversamente dai suoi discepoli, Freud mette a frutto, nella sua ricerca, due discipline strettamente legate aile determinazioni concrete della vita: la biologia, di cui egli conserva, insieme a un gran numero di nozioni, il metodo di osservazione dei fatti, e la storia, che, impedendo di fissare i dati dell'osservazione in una immobilita astratta, li restituisce al flusso vitale in cui hanno la !oro verita. ll sesso, ad esempio, e per Freud innanzitutto una struttura fisiologica, rna poi e anche una storia, nel senso che le sue determinazioni accompagnano la vita dell'uomo fin dalla. sua prima origine. La nozione di 'libido' si colloca, appunto, sulla linea di incrocio tra la biologia e la storia: essa ha radici nell'istinto sessuale, rna non si confina affatto nella struttura genitale, in quanto investe, come un'energia mobile, i meccanismi psichici i pili diversi. La pulsione sessuale ha, si, una radice biologica con una destinazione organica ben precisa, rna prima di concentrarsi, con la puberta, negli organi sessuali, si dispiega, durante la primissima infanzia, in una pluralita di direzioni, differenziandosi a seconda dell' oggetto in cui si fissa.
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II bambino ha i suoi istinti e le sue attivita sessuali sin dall'inizio, li porta con se venendo al mondo, e da essi, attraverso uno sviluppo significativo, ricco di tappe, emerge la cosiddetta sessualita normale dell'adulto. La pulsione sessuale mira al suo soddisfacimento appoggiandosi ad altre funzioni, come quella di succhiare (la fase orale) il seno materna e poi, spuntati i primi dentini, il proprio dito e cioe una zona del proprio corpo. Nella fase orale, il bambino si sente indipendente dal mondo esterno, che non e in grado ancora di dominare. Segue la fase anale, corrispondente al comportamento aggressivo e sadico, e finalmente la fase fallica, in cui gli impulsi si raccolgono sotto il primato della zona genitale. E' in questa fase (i due-tre anni) che si forma il complesso di Edipo: il piccolo orienta le sue pulsioni verso l'altro sesso, che gli si fa prossimo, e fantasticamente disponibile, nella madre. Il bambino (sulla bambina il discorso e analogo, con varianti di cui non e possibile qui render con to) avverte il padre come un rivale che gli sbarra la strada. I sentimenti verso il padre si fanno bivalenti: di avversione e di identificazione. Lo stato di avversione produce il timore della punizione, e cioe della castrazione: tanto basta perche la dinar_nica edipica si blocchi. Quando giunge alla fase della puberal, ·il bambino conserva in se il cumulo delle rimozioni vissute nella fase anteriore. Ed e in questa cumulo inconscio che indaga Freud, nei suoi Tre saggi sulla storia della sessualitii, che sono una 'storia' della sessualita dallo stadia infantile a quello puberale, e cioe una 'preistoria' dell'uomo adulto. In questa preistoria si annidano le cause delle nevrosi e delle perversioni. E' possibile, infatti, che la libido, anche dopa 1' eta puberale, resti fissata a una delle tre fasi, sopra accennate, della sua dinamica originaria. Particolare importanza riveste, dal nostro punta di vista, la dottrina di Freud sul periodo di 'latenza' delle pulsioni sessuali, che cade tra il tramonto del complesso edipico (i cinque-sei anni) e la fase della puberta. E' in questa periodo che vengono costruiti, nel bambino, gli argini psichici alle pulsioni sessuali, come il sensa del pudore o del bello e della legge morale. Ed e cosi che il bambino impara a «barattare il piacere con la dignita sociale» .. E'. la fase del processo di 'sublimazione', «mediante il quale le pulsioni vengono deviate verso nuove mete non sessuali e verso soggetti di valore sociale». In tal modo, la pulsione, che non e affatto spenta, rna e solo latente, mette a disposizione della societa, in ragione della sua estrema plasticita, tutta la sua energia, che potra sublimarsi in queUe attivita intellettuali e morali che costruiscono la civilta.
14.5 La 'metapsicologla' e la nuova 'topica'. Durante la prima guerra mondiale, Freud, gia sessantenne, da inizio a un progetto di lavoro sorprendente per mole e per intenti: quello di una Metapsicologia, che avrebbe dovuto offrire, anche in risposta alle critiche venutegli da ogni parte, una visione unitaria dei processi della vita psichica, sia conscia che inconscia. L'opera avrebbe dovuto articolarsi in 12 saggi. Noi ne conosciamo soltanto cinque: il suo progetto non ando a termine. La situazione bellica aveva messo in moto in lui (che pure aveva accolto l'evento con sostanziale adesione alla causa degli imperi centrali: alla gran parte degli ebrei, la partecipazione alla guerra era sembrata una buona occasione per rompere la parete della loro segregazione) riflessioni cri-
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tiche .che lo avrebbero condotto ad approfondire i rheccanismi della vita psichica. Gia nelle Considerazioni attuali sulla guerra e sulla morte, del 1915, troviamo alcune riflessioni sulla morte («se vuoi sopportare la vita, disponiti ad accettare la morte») che preludono alla nuova formulazione che egli clara alla dottrina degli istinti. Lo stesso sintomo di novita si riscontra nell'ultimo dei cinque saggi, Lutto e malinconia: nell'analisi del fenomeno del lutto, gia si avverte la nuova prospettiva di esplorazione psichica, che trovera finalmente la sua completa espressione dottrinale nel saggio della 'svolta', AI di la del principia del piacere, del 1920. Se prima la libido gli era apparsa come la pulsione primordiale dell'uomo, ora egli si e convinto che c'e nell'uomo qualcosa di piu primordiale della libido: I' odio. L'odio e qualcosa che e 'al di la del principia del piacere'. Non per nulla accadeva (e la guerra lo aveva messo in cruda evidenza) che molti malati durante il sogno ripetessero, per quanto angosciosa, la situazione che li aveva traumatizzati e che era alle radici della loro malattia. Attraverso complesse analisi, Freud arrivo a identificare questo principia primordiale, anteriore alla libido, nella 'coazione a ripetere', e cioe nell'impulso inconscio a ricercare episodi dolorosi. senso di questa tendenza e, secondo Freud, il ritorno dallo stato organico della vita a quello inorganico originario, come dire alia morte. E cosi, accanto aile pulsioni libidiche di Eros, si colloca una 'pulsione di morte', che i discepoli di Freud chiameranno Thanatos. Alle sue primissime origini, la vita era un episodio labile, un emergere, dal fondo inorganico del tutto, di un elementare equilibria organico a struttura chimica, che veniva rapidamente riassorbito dallo stato inerte di partenza. Questa tendenza a ricondurre a zero ogni eccitazione vitale viene denominata da Freud anche 'principia di Nirvana'. «L'organismo vuole morire a modo suo, e quei guardiani della vita che sono gli istinti, sono stati, in un primo tempo, satelliti della morte». Gli istinti che nell'uomo storico si oppongono alla morte in nome della vita so no quelli sessuali, rna anch' essi soggiacciono alla legge fondamentale della ripetizione. Mentre gli istinti vitali agiscono vistosamente, l'istinto di morte agisce in noi nel silenzio, suggerendoci forme di autodistruzione che rimangono inconsce, quando non si riversano al di fuori come impulso aggressivo nei confronti degli altri. In quest'opera, la piu controversa fra quelle di Freud, molti videro singolari assonanze con quanto avevano scritto Schopenhauer e Nietzsche. Ma nella sua Autobiografia, Freud tenne a sottolineare che egli doveva solo a se stesso questo suo nuovo percorso.
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Le grandi coincidenze delle dottrine psicoanalitiche con Ia filosofia di Schopenhauer, il quale non solo riconobbe il primato della affettivita e Ia straordinaria importanza della sessualita, rna anche il meccanismo della rimozione, non possono attribuirsi alia mia conoscenza delle sue teorie, poiche non ho letto Schopenhauer se non in una epoca gia avanzata della mia vita. Per molto tempo ho evitato di leggere Nietzsche, altro filosofo i cui presentimenti e le cui intuizioni coincidono frequentemente, in modo sorprendente, con i laboriosi risultati della psicoanalisi, poiche piu che interessarmi Ia priorita, mi importava di restare libero da ogni influenza.
Quasi a conclusione di questo secondo periodo di attivita, nel 1923, Freud pubblica L 1o e l'Es, un'opera fondamentale della dottrina psicoanaiitica, per-
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che, riducendo a sintesi ogni precedente formulazione, egli vi espone !'ultima descrizione della struttura dell'apparato psichico, la cQsiddetta 'seconda topica' (dal greco 'topos', luogo). Per topica, Freud intende una differenziazione dell'apparato psichico in un certo numero di sistemi dotati di caratteri e di funzioni diverse, e disposti in un certo ordine gli uni rispetto agli altri, il che permette di considerarli metaforicamente come 'luoghi' psichici di cui si puo dare · una raffigurazione spaziale. La prima topica, proposta nella lnterpretazione dei sogn~ comportava la distinzione tra 'inconscio' e 'cosciente'. Questa seconda topica modifica la prima, distinguendo tre 'istanze' diverse: I'Es, l'Io, il Superio. 1. L' Es (pronome personale neutro tedesco) e il polo pulsionale della personalita, i cui contenuti sono inconsci, in parte ereditari e innati, in parte rimossi e acquisiti. Anteriore aile forme spazio e tempo e al pensiero logico, e quindi anche al principia di non contraddizione, esso e la sorgente degli impulsi che entrano in conflitto con il Superio e con l'Io. 2. ll Superio e l'istanza che osserva, giudica e punisce, che si costituisce per interiorizzazione delle esigenze e dei divieti dei genitori e diviene il veicolo dei valori morali e religiosi del passato. 3. L' /a si costituisce neUe relazioni di dipendenza nei confronti sia delle rivendicazioni dell'Es che degli imperativi del Superio e delle esigenze della realta. Sebbene si ponga come mediatore delle diverse istanze della persona, esso, in realta, ha un'autonomia molto relativa. E' l'Io che sostituisce al principia del piacere, che e la Iegge dell'Es, il principia della realta. Servo di tre padroni l'Es, il Superio, la realta - l'Io mira a conciliarli tra lora, incorrendo in una triplice angoscia: morale, di fronte al Superio; reale, di fronte al mondo esterno; nevrotica, di fronte all'Es. Nella sua posizione a mezza strada tra l'Es e Ia realta, l'Io troppo spesso cede alla tentazione di divenire servile, opportunista e menzognero, come un politico che ha Ia percezione della verita, rna vuole conservarsi il favore della pubblica opinione. Tra le due classi di pulsioni (libido e pulsione di morte) esso non mantiene un atteggiamento imparziale; nel suo lavoro di identificazione e di sublimazione da il suo appoggio alle pulsioni di morte, neli'Es, contra Ia libido, rna nel far questa corre ii rischio di diventare esso stesso l'oggetto delle pulsioni di morte e perire. Per essere efficace ha dovuto riempirsi esso stesso di libido. Diventa cosi il rappresentante di Eros e percio desidera vivere ed essere amato.
14.6 Gli enigmi del mondo. Si puo dire che con il saggio L 1o e l'Es, del 1923, si chiuda, in modo definitive, l'attivita creativa di Freud, per quanta riguarda la dottrina psicoanalitica. Ma non per questa ha termine la sua riflessione, che anzi sembra riprendere arditamente il largo, per affrontare i grandi enigmi del mondo, della cui decifrazione, almena parziale, riteneva di possedere ormai Ia chiave. Nelle sue opere successive a quella data, come L 'avvenire di un 'illusio11e. del 1927; Il disagio della ci vilta. de I 1929. e Mose e il molloteismo, uscito poco prima della sua morte. Freud tenta, con ,·arieta di prospetti\'e, di offrire, se non una visione del mondo (compito che rilascia alle scienze fisiche), una lettura della storia dell'umanita, condotta con lo stesso metoda con cui ave\'a ricostruito la storia dell'individuo. Infatti, gli eventi della storia non
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sono niente di eccezionale, «sono solo i riflessi dei conflitti dinamici fra l'Io, l'Es, il Superio chela psicoanalisi studia nel singolo individuo». 1. Nell' A vvenire di un 'illusione, egli spiega la religione come il riaffiorare del bisogno della figura del padre, in cui vincere l'angoscia prodotta dal triplice conflitto con l'Es, con la realta, e con il Superio. La risposta che la religione offre all'angoscia e illusoria, perche non fa che protrarre, fin dentro l'eta matura, la sostituzione infantile dei desideri alia realta. Questa illusione ha un futuro? E cioe: sara mai possibile all'uomo sopportare la cruda realta, senza rifugiarsi nella consolazione della inesistente protezione paterna? Freud ha fiducia che il progresso della ricerca scientifica finira col sottrarre totalmente l'uomo, mediante l'educazione alia realta, alia sua eta infantile, rendendolo adulto, come dire totalmente rassegnato alia parte insignificante che gli e toccata in questo mondo. Dietro l'alienazione religiosa, non c'e, per Freud, come invece c'era per Marx, un legittima protesta contro la miseria presente, e non c'e peril semplice fatto che non c'e nulla contro cui si debba protestare. L'uomo adulto fara un uso migliore delle sue forze, consapevole che esse sono le uniche a sua disposizione. Come tutti i probi piccoli agricoltori di questa terra, l'uomo sapra coltivare Ia sua zolla in modo che essa lo nutra. Se distogliera dall'aldila le sue speranze e concentrera sulla vita terrena tutte le sue forze rese cosi disponibili, egli riuscira probabilmente a rendere la vita sopportabile per tutti e la civilta non piu oppressiva per alcuno.
Quest'ultimo auspicio di Freud non deve trarre in inganno: egli non si illudeva affatto sulle possibilita di trasformare la civilta, intesa come organizzazione esteriore della vita collettiva. Come vedremo subito, il cambiamento della societa era, per Freud, sostanzialmente un cambiamento di atteggiamenti psicologici, il passaggio da un modo infantile a un modo maturo di vedere le cose. Non per nulla, superata l'eta giovanile, egli non mostro che scarso interesse per i movimenti politici e scarsa comprensione per quei suoi discepoli che, come Adler, avevano scelto di militare nei partiti della sinistra. 2. Nel Disagio della civilta, Freud riprende il tema della repressione degli impulsi libidici - modificandolo in base alia nuova analisi dell'inconscio esposta in Al di la del principia del piacere - come tributo necessaria alia nascita e allo sviluppo della civilta. La repressione richiesta dalla civilta non riguarda soltanto le pulsioni libidiche, rna anche quelle distruttive dell'istinto di morte. Interiorizzate dal Superio, queste si trasformano in coscienza morale e, per suo tramite, si riversano sull'Io. La tensione che ne deriva, tra il rigido Superio e l'Io ad esso soggetto, produce il sensa di colpa, la cui manifestazione tipica e il bisogno di punizione. E' cosi che la civilta domina i pericolosi desideri aggressivi dell'individuo, infiacchendolo, disarmandolo e facendolo sorvegliare dalla istanza morale «come da una guarnigione nella citta conquistata». Da qui la bivalenza della civilta: da una parte, essa e necessaria per impedire, col suo sistema di repressioni, il totale trionfo del principia di morte, il ritorno totale della vita all'inerzia dell'inorganico; dall'altra, chiede all'individuo tale controllo dell'istinto di Eros, da ingenerare in lui un'invincibile infelicita. In rapporto alla dinamica della civilta, i due impulsi primordiali, Eros e Thanatos, non hanna dunque un significato
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univoco. A volte, in quanto la civilta e una via indispensabile per salvare le ragioni della vita, essa sembra rappresentare gli interes~i di Eros contro le pulsioni distruttive dei singoli individui. Per altri aspetti, in quanto richiede una repressione delle energie libidiche a servizio dello sviluppo della realta creata dalla tecnica, la civilta sembra sotto il segno del principia di morte, che assume le forme del Fato, dell'Ananche inesorabile, nei cui confronti l'Eros prende le parti della natura quale si esprime nella spontaneita dei desideri. Per chiarire l' opposizione, l'intreccio e Ia complementarieta dei due istinti, Freud ricorre anche al mito platonico di Androgino, l'essere originario bisessuale, che Zeus divise, formando il maschio e Ia femmina (l'aggressivita e l'Eros), e che percio sono in Iotta tra !oro rna anche desiderosi di ristabilire l'unicita primordiale. Anche qui si rivela l'orientamento sostanzialmente conservatore di Freud, per quanto riguarda i rapporti tra le classi e pili ancora tra le civilta. La ricostruzione della dinamica degli istinti e stata condotta dentro l'orizzonte di una ben determinata civilta, quella tecnologica dell' occidente, travolta non solo dal suo sistema di repressioni, richiesto dalla logica del lavoro produttivo, rna anche dall'impeto distruttivo delle guerre, ormai sempre pili ispirate ad ambizioni imperialistiche. Con un processo di proiezione inconscio, di cui rimane prigioniero (caso davvero paradossale!), Freud estende le conclusioni della sua analisi all'uomo come tale, quale che sia il sistema di civilta in cui si trova a vivere. E' questa l'obiezione che gli rivolgera l'antropologo Malinowski (16.8). Le dinamiche reali della storia rimangono, nella sua visione, soggette a una specie di determinismo invincibile, e quindi sigillate da una giustificazione senza appelli. Anche la sua analisi del rischio di una guerra, ritenuta da lui, quindici anni prima della bomba atomica, capace di distruggere Ia vita nel pianeta, si limita ad affidare 1'alternativa tra morte e vita al conflitto intern a tra le due pulsioni, col semplice auspicio che sia Eros ad avere la meglio su Thanatos. Ogni altro livello di analisi gli resta insignificante. Ecco perche il tono elevato del suo discorso sulla pace, che riflette ancora una volta la sua grande sensibilita morale, resta fatalmente interno ai confini della sindrome della catastrofe, che sono i confini stessi della filosofia della crisi. · 3. Lo stesso clima opprimente troviamo nell'ultima opera di Freud, Mose e il monoteismo, che riprende Ia tesi gia esposta, nel lantana 1913, in Totem e Tabu: l'evento storico primordiale, nella storia della specie, e l'uccisione del padre, cosi come il complesso di Edipo e, per l'individuo, I'even to decisivo del suo trapasso dall'infanzia alla puberta. Con questa di diverso: nell'evento edipico individuate, la morte del padre e solo 'rappresentata', nella storia della specie essa e veramente avvenuta. II padre dell'orda primordiale e stato assassinato e poi divorato dai figli, coalizzati contra di lui. Sepolto nell'inconscio, l'antico · crimine segna di se la storia dell'umanita, dando origine alia religione, nella quale, infatti, si combinano il sensa di colpa e il desiderio di identificarsi con l'ucciso, i riti di espiazione e quelli di adorazione. In questa quadro eziologico, Freud ricostruisce, in modo consapevolmente romanzesco, la storia del suo popolo, il popolo ebraico, eletto dall"egiziano' Mose, che, dopa averlo generato col dargli una Iegge, viene ucciso dal popolo-figlio e poi elevato alia dignita di supremo profeta e legislatore. E qui, secondo alcuni, la spiegazione del perche Freud esitasse tanto a pubblicare questo suo 'romanzo storico': egli si sentiva,
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nei confronti del mondo moderno, come Mose, che, per aver dato agli uomini una Iegge, era diventato per loro oggetto di odio e di venerazione. Una identificazione cosi smodata non poteva non incutere a se stessa i divieti del pudore. 14.7 Lacan: l'lnconscio come linguaggio. Le vicende della psicoanalisi freudiana dopo la morte del suo fondatore .sono troppo complesse e, tutto sommato, di scarso rilievo filosofico perche se ne debba rendere conto in queste pagine. Se decidiamo di fermare brevemente l'attenzione su Jacques Lacan (190 1-1981) e perche, a dispetto di alcuni tratti che segnarono la sua personalita di un certo alone istrionico («io non cerco, trovo» diceva, con Picasso), egli ha dominate per decenni la scena culturale francese con un insegnamento, orale e scritto, dove, attorno a una geniale (anche se 'eretica', secondo l'Associazione internazionale di psicoanalisi) esegesi dei testi di Freud, si intrecciano, con effetti singolari, la lezione di Hegel e lo strutturalismo, il surrealismo e l'analisi linguistica, come dire le correnti culturali piu vive della Francia del dopoguerra. Del resto, la sua vocazione di irregolare impenitente e scritta gia nel primo avvio della sua attivita culturale: negli anni '30, si occupa simultaneamente di psichiatria e di dibattiti letterari in seno al gruppo surrealista di Andre Breton, che professa una grande ammirazione per Freud, inventore, a suo giudizio, di una nuova lingua, quella del sogno, destinata a prendere il posto della realta (era questa il programma surrealista) e a cambiare i modi del pensiero umano. La tesi che Lacan espresse nel Cogresso psicoanalitico di Roma, nel 1953, e che gli merito la scomunica dell'Associazione psicoanalitica internazionale, era appunto questa: l'inconscio di Freud e strutturato come un linguaggio. A suo giudizio, questa non era a:ffatto una tesi eretica, rna l'unica veramente ortodossa, anche se Freud non le aveva dato, ne lo poteva, il giusto sviluppo. ll torto degli ortodossi era, secondo Lacan, di trascurare completamente, perche scientificamente irrilevante, tutta la produzione di Freud posteriore al 1915, mentre e proprio tenendo strette in unita le due fasi del suo pensiero che e possibile cogliere il significate della prima, quella che suol dirsi scientifica. E' vero, si, che Freud si era ostinato a modellare la psicoanalisi sulle scienze della natura, rna di fatto la sua non e stata, dal principia alia fine, che un'analisi della struttura radicale dellinguaggio. La via imboccata dalle istituzioni psicoanalitiche ufficiali, sotto il pretesto della fedelta, mortificava Ia ricchezza della scoperta di Freud, appiattendola sulle semplici pratiche terapeutiche, ordinate, per di piu, a riadattare l'individuo all'ambiente sociale. Nei loro confronti, Jfican si presenta come il Lutero della psicoanalisi: il suo programma e, infatti, il ritorno aile fonti e, in nome del suo programma, dopo Ia scomunica, egli fonda, nel 1953, una nuova Societa, per separarsi anche da questa, nel 1964, e fondare una sua 'Societa freudiana'. Anche nelle prime opere freudiane, che gli ortodossi considerano come le uniche attendibili, il vero tema e, secondo Lacan, l'isomorfismo tra la struttura dell'inconscio e il linguaggio. ·Come si Iegge nell'introduzione al suo rapporto letto al Congresso di Roma: In qualsiasi modo si voglia: mezzo di guarigione, di formazione o di sondaggio psichico, la psicoanalisi non ha che un medium: Ia parola del paziente. L' evidenza della cosa non giustifica che la si dimentichi. Ora, ogni parol a
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richiede una risposta... Non esiste una parola senza risposta, anche se essa non incontra che il silenzio, purche abbia un ascoltatore ... e la il nucleo della sua funzione nell'analisi.
n sogno non ha forse la struttura di una frase, che, attraverso il dialogo analitico, deve essere portata alla luce della coscienza del paziente? La struttura del testo onirico ha una sintassi sua propria, con i suoi procedimenti caratteristici, che sono la 'metafora' e la 'metonimia': un 'significante' (il termine e preso da Saussure, 16.2) prende il posto che spettava a un altro (metafora), o un elemento della catena dei significanti prende il posto del tutto (metonimia). La metafora e la metonimia sono il corrispettivo linguistico della 'condensazione' e della 'traslazione' individuati da Freud. ll compito dell'analista e appunto quello di partire dal sintomo, la frase onirica, per risalire allinguaggio occulto. Per questa via, si arriva a una scoperta, appena sfiorata da Freud: il linguaggio inconscio del paziente non e che una determinazione particolare di una totalita linguistica, estranea alle leggi logiche e temporali, della quale il paziente non e il proprietario. Come l'Es non e proprieta dell'individuo rna, al contrario, e l'Es che possiede l'individuo, cosi il vero soggetto del lii;lguaggio non e il paziente che parla ne l'analista in dialogo con lui, e il linguaggio stesso. c;_a parle, dice Lacan: l'Es parla. L'inconscio e, dunque, una lingua originaria ( Ursprache), che trascende l'individuo e che, in rapporto all'individuo, e l'Altro (con la maiuscola, il 'grande Altro') che pensa al posto suo (pensa senza saper di pensare) e parla, rna parla in modo che il mio parlare si ritaglia al suo interno frammentariamente, cosicche quanto manca al mio discorso e appunto il discorso dell'Altro, che si svolge nelle dimensioni dell'intersoggettivita e che, in situazione terapeutica, possiede sia il paziente che l'analista. E' in questo discorso latente la vera natura dell'inconscio, inteso come totalita soggiacente aile coscienze individuali, che difatti tendono a trovarlo come propria verita. E' qui che nasce illinguaggio simbolico, unico linguaggio che l'essere umano puo usare nella ricerca della verita, cioe del linguaggio totale. Ricerca interdetta dal 'padre', dato che essa e urra stessa cosa con il desiderio di ricomporsi nel corpo materno. Il desiderio del ventre materno e preedipico, l'interdizione del padre, la Legge, inaugura la fase edipica. La verita sta dunque prima della Legge: ecco perche il mio linguaggio porta in se le lacune imposte dall'interdizione e resta circoscritto in un linguaggio totale che mi sfugge e da cui tuttavia sono continuamente 'parlato'. Se potessi raggiungere quel linguaggio totale, e cioe l'Alterita, cadrebbe nel nulla il mio linguaggio, nato dall'interdetto paterno, e cioe dall'ordine sociale, e mi troverei in·un mondo anteriore alla legge, in una liberta sregolata. E cos' e, tutto sommato, la follia? La dove Freud pone la pulsione, nel confine tra il biologico e lo psichico, Lacan pone la struttura del linguaggio senza soggetto, del sapere inconsapevole, dell'Alterita che pone l'io rna insieme opera per la sua morte, una struttura che ha tutti i caratteri dell'Ineffabile di cui parlano i mistici. E difatti Lacan arriva a designarla anche come Dio. Ma si tratta, in ogni caso, di un dio degli inferi, che abita proprio nel polo opposto a quello in cui, secondo i mistici, abita il loro Dio. E difatti, la trascendenza di cui parla Lacan e sotto il segno di Thanatos, come nell'ultimo Freud.
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II biologismo di Freud, sd in.! Lacan in polemica con gli psicoanalisti ortodossi, non ha nulla a che fare con quella abbiezione predicatoria che arriva a getti dall'officina psicoanalitica. E bisogna far vivere l'istinto di riwrte, ivi abominato, per farvi sentire il tono della biologia di Freud: giacche escludere l'istinto di morte dalla sua dottrina e misconoscerla assolutamente.
Di qui forse la straordinaria fascinazione che Lacan esercitava sui suoi di. scepoli, che seguivano i suoi seminari settimanali, durati trent'anni, con un atteggiamento su cui incombeva un'atmosfera sacra, da riunioni medianiche. Un dato empirico, questo, in cui i freudiani ortodossi hanno sempre visto un sintomo dello smarrimento, per nulla scossi dal fatto che Lacan abbia posto, a introduzione dei suoi Scritti (1966), un riferimento appassionato all'illuminismo e che si vantasse di aver ridotto la boscaglia della letteratura psicoanalitica a un 'giardino alia francese'.
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Adler: Ia psicologia individuale 14.8 L'individuo indivisibile. «Oggi assistiamo, scrive Ellenberger nel saggio gia citato (14.1), allo sconcertante fenomeno di una negazione collettiva dei meriti e del lavoro di Adler e alia sistematica attribuzione di tutto cia che e stato elaborato da lui ad altri autori». E tuttavia, l'influsso della sua 'psicologia individuale' e evidente. Chi volesse fare la storia della medicina psicosomatica, della teoria dell'origine della malattia mentale, della psicoterapia di gruppo, e dunque delle linee programmatiche di fondo di quella che oggi si chiama, in Italia, 'psichiatria democratica', dovrebbe risalire a lui. Questo curioso destino di Alfred Adler· e gia inscritto nell'episodio della sua rottura con Freud. Nel sintetizzare il suo disaccordo con lui, Freud aveva scritto: «L'immagine della vi~ ta che emerge dal sistema adleriano e interamente fondata sui tipo aggressivo: non lascia posto all'amore. Potrebbe stupire che una cosi disperata visione del mondo sia stata presa in considerazione, rna non dobbiamo dimenticare che l'umanita, oppressa dal giogo delle proprie esigenze sessuali, e pronta ad accettare tutto, quando le si fa balenare il miraggio del 'superamento della sessualita'». Eppure, dieci anni dopo, lo stesso Freud, come abbiamo detto (14.5), imprimendo una svolta alia storia della psicoanalisi, aggiungera alla pulsione della libido quella dell'aggressivita. La ragione di queste brusche mutazioni nei rapporti personali e dottrinali, cosi frequenti lungo la storia della multiforme famiglia degli psicoanalisti, va ricercata probabilmente nei loro risvolti esistenziali. Niente di strano, dato che, come si e visto, in piu di un suo principio fondamentale, la teoria psicoanalitica non fa che riflettere le vicende personalissime del suo protagonista. Adler era giunto a far parte del gruppo freudiano dopo un tirocinio medico, vissuto in mezzo alle classi piu disagiate, tra le quali i disturbi psicologici hanno un chiaro rapporto causale con le malattie fisiche. Il suo impegno professionale si era gia orientato verso obbiettivi sociali. come quello della creazione di centri
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medico-psico-pedagogici. La sua esperienza lo portava a mettere in primo piano non la malattia, rna il malato, non il disturbo psicologico, rna il soggetto umano nella sua indivisibile unita, dentro la quale il disturbo andava interpretato e curato. Ecco perche, separandosi da Freud, egli dette al suo indirizzo scientifico e terapeutico la denominazione di 'psicologia individuale'. Per lui, l'individuo, proprio come richiede l'etiri1ologia (individuus = indiviso), andava assunto come una unita indivisibile, alla stregua della monade leibniziana. A suo giudizio, Alfred Adler nasce a Vienna, nel 1870, da una famiglia di ebrei di ambiente popolare, con legami molto tenui nei confronti del gruppo etnico e delle sue tradizioni: in eta adulta Adler si fara battezzare con Ia sua famiglia. Ha un 'infanzia molto difficile: una forma di rachitismo gli impedisce di camminare fino a quattro anni, supera a stento una polmonite, subisce incidenti stradali che menomano ulteriormente il suo fisico. La sua evoluzione psicologica si polarizza piz'.i verso la madre che verso il padre ed e segnata da spirito di competizione con il fratello maggiore. Superati i rischi dell'introversione, durante l'adolescenza si apre ai problemi della societiz, partecipando alla vita di gruppi socialisti e progressisti: in uno di questi, incontra una intellettuale russa, che diverra sua moglie e lo terra in contatto con molti rivoluzionari del suo paese, tra i quali Trockij. Si laurea in medicina nel 1895. Nel 1902 fa parte del 'gruppo del mercoledi; che si raccoglie attorno a Freud, il quale gli dimostra, per piu anni, grande considerazione. Il suo prima saggio, Studio sull'inferiorita d'organo, del 1907, contiene in germe Ia dottrina sul ruolo centrale del 'sensa d'inferiorita' nella dinamica della persona. Sviluppa in seguito questa sua tesi, differenziandosi da Freud fino a determinare, nel 1911, una piccola scissione della Societa internazionale di psicoanalisi. II suo gruppo da vita ad una 'Societa per Ia Iibera psicoan.aHsi; che dopo poco prende il nome di 'Societa per la psicologia individuate: Nel 1912 pubblica il suo secondo libra, Il temperamento nervoso, e fa domanda per Ia Iibera docenza, che verra respinta nel 1915. Presta servizio come medico militare durante la prima guerra mondiale e, dopo la sconfitta, reagisce attivamente, secondo un orientamento socialista (come dimostrano i suoi scritti L'opinione di uno psichiatra sulla psicosi di guerra e Bolscevismo e psicologia, del 1918), istituendo, favorito dal nuovo regime politico, scuole sperimentali e centri di consultazione per insegvanti. Ma la sua vita e tutta dedicata allo sviluppo della 'Psicologia individuate; le cui linee essenziali egli espone nel 1920 in Prassi e teoria della psicologia individuale. Negli anni '20, gruppi adleriani si diffondono in Europa e in Inghilterra. A partire dal 1927, passa gran parte del suo tempo negli Stati Uniti, come docente della Columbia University e come direttore di una clinica per la cura della nevrosi. Allarmato dalla minaccia nazista, nel 1934 si trasferisce nella sua nuova patria, dove si dedica intensamente alla propaganda delle sue teorie e dei suoi metodi. Proprio mentre affronta una tournee di conferenze il1 Scozia, muore, per col lasso, ad Aberdeen, nel193 7.
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i sintomi nervosi non vanno circoscritti e isolati, rna rispettati nella lora inerenza al comportamento unitario della persona. Comprenderli, vuol dire comprendere l'individuo nella sua totaliti:t, a partire dall'unita tra il corpo e lo spirito. Precursore della medicina psicosomatica, Adler considera nevrotiche malattie come la costipazione, l'asma, il vomito, l'emicrania, che sono spesso una specie di linguaggio viscerale. Quel linguaggio, se rettamente inteso, rimanda non a questa o a quell'aspetto dell'esistenza dell'individuo, rna all'insicme dei dinamismi che in lui si intrecciano, e a partire dai quali egli si costituisce come persona determinata. I dinamismi su cui si costruisce I'individuo sono di tre ordini: il substrata obiettivo e fisico del pianeta Terra su cui viviamo; l'insieme dei rapporti sociali, condizione obbligatoria dell'esistenza; Ia differenziazione sessuale, con le conseguenti implicazioni di carattere fisiologico, affettivo e interpersonale. Ma la chiave della comprensione della personalita individuate viene fornita soltanto dalla conoscenza della meta nascosta che ogni individuo, proprio in quanta individuo, persegue, senza esserne consapevole. Infatti, secondo Adler, Ia condotta dell'individuo e governata, malgrado le apparenze, non dagli eventi, rna dal1'opinione soggettiva che egli se ne fa e che imprime una forma automatica aile sue relazioni verso se stesso e verso l'ambiente. Tra il comportamento attuale di un individuo e quello della sua prima infanzia corre una linea che la psicologia individuale intende richiamare alla coscienza. E' in base agli eventi che rientrano nella sua percezione, a partire dai suoi primi anni di vita, che l'individuo elabora Ia sua visione del mondo e Ia sua meta. Si tratta di una costruzione modellata attraverso una serie ininterrotta di osservazioni inconsce, nella quale ha il suo peso anche l'eredita fisica e psichica, e dalla quale l'individuo deriva, senza rendersene canto, le forme automatizzate delle sue relazioni con se stesso e con l'ambiente. II compito della psicologia adleriana e di analizzare, appunto, le multiformi visioni della vita a cui si ispira il finalismo dei vari individui, per inserire il singolo, mediante _ un'approfondita autocritica, nel sistema di relazioni interpersonali dal cui equilibria dipende il suo appagamento in ogni settore, dalla sessualita agli affetti, dal lavoro all'amicizia. Se cosi stanno le case, non ha sensa dare alla pulsione sessuale un rualo determinante nella dinamica della persona. E' sorprendente - scrive Adler - che un conoscitore cosi acuto del contenuto simbolico della vita come Freud non si sia reso canto di quanta di simbolico e celato nell'appercezione sessuale, che non abbia intravisto nelle immagini sessuali un semplice gergo, un semplice modo di esprimersi.
14.9 La teoria della 'inferiorita d'organo'. AI centro della psicologia individuate, di cui vorremmo tracciare adesso le linee essenziali, c'e il primato della volonta di potenza individuata da Nietzsche (4.19) e che Adler, spogliandola di ogni assolutezza mitica, riduce alia semplice «ricerca di compensazione», nella «sforzo che tende a soffocare il sentimento di inferioritc':t». II sentimento di inferiorita (che nel 1925 chiamera, con un' espressione entrata ormai nel linguaggio comune, 'complesso di inferiorita') puo avere diverse cause: sociali, educative,
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organiche. Particolarmente originale l' analisi delle cause organiche e dei dinamismi psicologici che ne scaturiscono. Ciascuno di noi ha una parte, nel suo corpo, pili debole, un tallone d'Achille organico, che determina le linee essenziali della sua vita psichica; l'inferiorita di questa organa puo manifestarsi in varie forme: come malattia specifica di cui esso soffre, come semplice disturbo funzionale, come tendenza a malattie ternparanee, rna puo anche essere dedotta dall'anamnesi del paziente. Tra molti altri esempi, Adler fa riferimento «alia tendenza di Mozart alia degenerazione degli orecchi, all'otosclerosi di Beethoven, alia stigmatizzazione dell'orecchio di Bruckner». Altrove, riferisce di uno studio secondo il quale il 7096 degli studenti di scuola d'arte presenta anomalie agli occhi. E' su questi dati che e possibile stabilire una corrispondenza diretta tra anomalia dell'organo e attivita psichica. L'illazione sembro troppo semplicistica e ((non scientifica» alla commissione accademica che nel 1915 respinse all'unanimita Ia sua richiesta di una docenza universitaria a Vienna. Ma il nucleo essenziale della teoria adleriana non e nel concetto 'fisiologicamente letterale' di organa inferiore, quanto nell'ipotesi che tutta Ia nostra vita psicologica prenda le mosse da un senso di debolezza organica. L'uno o l'altro dei nostri sistemi organici - la gola e l'ingoiare, le ginocchia e Ia !oro flessione, Ia pelle con la sua sensibilita - diventa il complesso o I'immagine su cui si polarizza la nostra attenzione psichi ca. L'organa inferiore parla: esiste quel che Adler chiama 'linguaggio degli organi', 'gergo degli organi', che parlano di noi, una volta che ne abbiamo imparato il linguaggio. Gli organi 'inferiori', per lo ((sviluppo pili intenso che l'attenzione e Ia concentrazione forniscono !oro», sono i luoghi di massima potenzialita. Tutta Ia vita dell'anima deriva da un sentimento di inferiorita che e Iocalizzato in una immagine organica. Noi cresciamo intorno ai nostri punti deboli, e a partire da essi viviamo. L'inconscio, ecco Ia novita di Adler, non va collocato in una regione tnentale, rna in una esperienza vissuta. Quindi ogni tipo di cura che prescinda da questa senso di inferiorita organica perde il senso stesso dell'anima, e perdo perde d' efficacia. · 14.10 II ruolo dell'aggressivita. Nel senso di inferiorita, che sta alia base della dinamica della psiche, rientra anche la sessualita, che si riduce ad essere una tra le altre sue forme di manifestazione. Ad esempio, il complesso di Edipo si inquadra anch' esso, senza una particolare drammaticita, nella vasta fenomenologia della competizione che il bambino instaura non solo con i genitori, rna con chiunque rientri nell' orizionte della sua crescita. In virtu della natura plastica, analogica del suo pensiero, il bambino stesso si proietta nel futuro sotto l'aspetto del padre, della madre, d'un fratello o d'una sorella piu vecchia, del maestro, d'un animale, di Dio. Tutti i modelli hanno in comune certi attributi - grandezza, potenza, sapere e potere che in definitiva sono simboli di astratte finzioni.
Nelle fantasie infantili, che quasi sempre si esprimono con le parole «quando io san) grande», il gioco della potenza occupa un posto di rilievo. Ma ci sono adulti che vivono come se dovessero continuare a diventar grandi: e su
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questa linea che andrebbero individuate le fissazioni e le regressioni infantili. Le persone sane si pongono scopi realistici e sociali, i nevrotici tendono invece a mete irrealistiche ed egocentriche. Le reazioni aggressive si rivelano, quindi, molto piu significative di quelle pulsionali (sessuali): gran parte dell'attivita umana puo essere definita in termini di lotta per la conquista, per il predominio e per la sicurezza. Alla base di tali tendenze c'e un bisogno di autopadronanza e di autorealizzazione, che si conseguono esercitando e migliorando le proprie capacita ed abilita, bisogno che nel suo aspetto generico e dovuto al fatto che, durante la prima e la seconda infanzia, l'essere umano e debole e in condizioni di inferiorita rispetto agli adulti. TI senso di inferiorita e di incompletezza conduce a sforzi intesi a portarvi rimedio o a trovare compensazioni. Mentre nell'individuo sano contribuisce allo sviluppo normale e alla maturazione, nel nevrotico il senso di inferiorita si trasforma in «complesso di inferiorita», caratterizzato da un eccessivo senso d'angoscia e da idee irrealistiche circa 1'entita dei difetti personali. Il nevrotico tende a compensare tali sue debolezze, reali o presunte, in forme eccessive e incoerenti. Le persone sane sono consapevoli dei limiti in cui un individuo puo raggiungere qualcosa da se; la compensazione viene pertanto cercata sulla linea estroversa dell"interesse sodale'. L'uomo educato in senso sociale fin dalla nascita apprende che la piu completa autorealizzazione dell'individuo si ha soltanto quando egli identifica il proprio interesse personale con quello degli altri, trae appagamento dalle relazioni interpersonali e opera in vista del vantaggio di tutti. A mano a mano che si socializza, la lotta e l'aggressivita si sublimano, volgendosi a quei fini ultimi che caratterizzano il vivere civile. Gli ideali sociali sostituiscono i bisogni egocentrici. Il nevrotico non riesce a conseguire tale adattamento e rimane, pertanto, un escluso. Come si vede, la psicologia adleriana non ha le pretese scientifiche e sistematiche di quella di Freud. In essa predomina la prospettiva etica, dentro la quale la vita deve determinare i suoi significati, le direttive delle proprie scelte. Adler non ricerca le origini della coscienza, si pone immediatamente al suo "interno, alla maniera dei fenomenologi, per tentare una ermeneutica della soggettivita, smascherandone le finzioni e individuandone gli impulsi e le dinamiche. Non cerca le radici dell'uomo, si limita a mettere in luce le finzioni del suo comportamento. In questa sua rinuncia a definire che cosa sia la realta, al di fuori dei fenomeni della coscienza, Adler si trova del tutto in linea con le dottrine prammatistiche della verita, che si andavano generalizzando proprio negli anni del suo maggiore impegno di riflessione. In particolare, egli si ricollosce vicino al pensiero filosofico di Hans Vaihinger ( 1852-1933). di cui ebbe gran successo La filosofia del 'come se: usc ita nel 1911. La tesi del saggio e che le concezioni scientifiche non sono altro che 'finzioni', con questo di particolare, che esse funzionano 'come se' fossero vere. La tendenza generale, tuttavia, e di trasformare le finzioni in ipotesi di ricerca, e finalmente in dogmi: ad esempio, la finzione di Democrito, quella dell'atomo, e diventata un dogma nella fisica moderna; la finzione di Tolomeo sulla conformazione dei cieli divenne un dogma nel Medioevo. Secondo Adler, questo passaggio di intensita dalla finzione all'ipotesi e dall'ipotesi al dogma descrive bene il passaggio dall'uomo normale al nevrotico.
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La persona normale adotta principi-guida e mete in modo metaforico, con il sensa del 'come se', invece il nevrotico si aggrappa al filo di paglia della finzione, la ipostatizza, le attribuisce un valore reale e infine, neUe psicosi, la eleva a dogma. II sensa del 'come se' comporta una «situazione di attesa ... un sentimenta spiacevole (per cui) puo essere spiegata del tutto naturalmente Ia tendenza dell'anima a mutare ogni ipotesi in un dogma)). Per liberarci dalla tensione dell'ambiguita, ci buttiamo verso la pazzia del dommatismo e in qualsiasi forma di attivita. 14.11 La protesta virile. Se Ia volonta di potenza e la forza attiva che guida e madelia le attivita coscienti dell'uomo, nella nevrosi l'individuo reagisce al sentimento di inferiorita con la 'protesta virile'. Adler trasse questa nozione dalle teorie antropologiche (16.5), secondo le quali l'umanita maschilistica attuale e stata preceduta da uno stadia matriarcale. A ribaltare il matriarcato nel patriarcato, aggiunge Adler, e stato il maschio, che ha cercato cosi di compensare il suo sensa di inferiorita nei confronti della donna, Ia cui potenza sessuale e molto meno limitata della sua. E' naturale che in un contesto maschilista Ia protesta della donna che si ribella allo stato di subordinazione (Adler fu sempre favorevole all'emancipazione femminile) assuma spesso atteggiamenti virili. Nellinguaggio di Adler, la protesta virile, che si puo applicare sia all'uomo che alia donna, e una distorsione nell'apprendimento delle differenze di sesso, causata dallo sforzo di affermare Ia propria superiorita. Se la sua protesta assume una forma attiva, la donna tendera, sin dall'infanzia, ad assumere un comportamento aggressive, a dominare chiunque le stia accanto, a esasperare, nei confronti degli uomini, gli atteggiamenti competitivi. Nell'uomo Ia 'protesta virile' rivela il mancato superamento del dubbio infantile sulla propria identita di maschio. II bambino si sforza di raggiungere un ideale di virilita, concepita come liberta, amore e potere: di qui la tendenza all'irresponsabilita, alia 'conquista' di donne e di amici e al superamento o ;otll' eliminazione degli altri. Alia base della 'protesta virile' - che chiamo anche 'aspirazione ad emergere' o 'superiorita' -Adler pose via via impulsi diversi, come la Iotta per la sopravvivenza, l'inferiorita d'organo o la nietzschiana volonta di potenza. Negli ultimi scritti, il primo piano e lo sfondo si _invertono: non e l'inferiorita a spingerci verso la superiorita, e piuttosto il nostro sentimento di inferiorita che deriva da un impulso 'innato' alia perfezione. A sorreggere questa intenzionalita radicale non e una meta definita, e il senso di un fine. La dinamica psicologica di Adler e finalistica, come quella di jung, che fa coincidere lo sviluppo della personalita col processo di· indivicl.uazione (14.14) e cioe col trapasso dall'inconscio alia coscienza, sulla spinta di esigenze universali. Anche per Adler Ia terapia della nevrosi consiste nel liberare dal groviglio delle finzioni l'intenzionalita della coscienza, che postula la chiara percezione del senso della vita. Le finzioni non sono che costruzioni fittizie con cui si cerca di compensare il senso di inferiorita e di insicurezza. Esse assumono il ruolo di principi-guida e di punti di osservazione sul mondo, che ne risulta cos! deformato. La piu essenziale di queste costruzioni nevrotiche Adler la chiama 'pensiero antitetico': un «tipo di percezione basata sul principia degli opposti». La mente stabilisce
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polarita opposte, come forte/debole, maschile/femminile, che determinano il nostro modo di sperimentare. Lo scopo del pensiero antitetico e di proteggerci dalla realta vera del mondo, che e costituita invece da differenziazioni sfumate e non da opposizioni. ll pensare che gli opposti astratti riflettano la realta e tipicamente nevrotico, dato che tutte le antitesi riconducono alla dicotomia, propria della volonta di potenza, superiore/inferiore, che nella societa si e incarnata nella coppia maschile/femminile ('unica vera antitesi'), che a sua volta puo essere ricondotta alla prima esperienza che se ne ha nell'infanzia: 1' ermafroditismo psichico. La psiche ha tratti sia femminili che maschili, rna, dall'infanzia in poi, noi identifichiamo con il femminile non solo la debolezza e l'inferiorita, rna anche l'ambivalenza causata dalla debolezza. La societa ci convince che «soltanto due sono i ruoli sessuali possibili» e si verifica cosi una 'dissezione'.
n normale bisogno d'appoggio del bambino, l'eccessiva sottomissione di coloro che hanno una predisposizione alia nervosita, il senso di debolezza e il senso di inferiorita protetto da ipersensibilita, la percezione di una insufficienza naturale e il sentimento di una umiliazione continua e di una costante posizione di svantaggio - tutto cio confluisce in un sentimento di femminilita. Per contro, tutte le aspirazioni all'attivita (tanto presso i maschi quanto presso le femmine), Ia ricerca di soddisfazioni, l'eccitazione dei desideri ... vengono gettati sulla bilancia come protesta virile. Cosi si sviluppa, su una base di valutazioni sbagliate, un ermafroditismo psichico del bambino che si giustifica 'dialetticamente' e che fa nascere da se una dinamica, Ia coazione incompresa a una protesta virile intensificata come soluzione della disarmonia. 14.12 II sentimento comunitario. La premessa da cui parte la psicologia adleriana e l'unita dell'individuo, che si esprime nella tendenza del bambino a sviluppare un suo 'stile di vita', utilizzando le forze innate e le impressioni che egli trae dal mondo esterno. La malattia non e che l'incomprensione del proprio 'stile di vita', una fuga inconscia dalle esigenze che esso comporta. ll malato soffre realmente, rna pref~risce questa sofferenza a quella causata dalla prospettiva di uno scacco, che dimostrerebbe la sua insufficienza e umilierebbe il suo orgoglio. Per questo, egli trasforma i sintomi del male in entita patologiche, che si sottraggono alla sua possibilita d'azione e gli permettono di considerarsi vittima di un destino di cui non e responsabile. Anche i sogni possono servire al terapeuta per far luce sulla dinamica dell'individuo nei confronti del proprio stile di vita: essi non sono che metafore amplificatrici, che servono a rinforzare la sua tonalita affettiva per mezzo di una deformazione immaginaria della realta, quando egli si trova a dover affrontare un problema flifficile, e possono stimolare tanto il coraggio quanto la fuga. La !oro lettura r!chiede che il terapeuta riesca a identificare intuitivamente la personalita del soggetto, il suo stile di vita. Solo questa intuizione puo fornirgli il quadro unitario in cui comparare i tratti espressivi dell'individuo. La psicologia individuale e, dunque, un metodo di unificazione della psiche e non della sua dissezione, che e proprio, invece, della psicoanalisi. Non e l'impulso sessuale a determinare il modo con cui vengono soddisfatti gli impulsi sessuali, al contrario, e lo stile di vita che determina il modo con cui vengono soddisfatti gli impulsi sessuali. Ecco perche, nella cura adleriana, non si fa uso del lettuccio in cui il paziente resta disteso mentre il terapeuta ascolta invisibile. La psicoterapia adle-
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riana si svolge faccia a faccia, in aperto dialogo, senza far uso delle 'libere associazioni', in un confronto il cui obbiettivo e lo smascheramento delle mete fittizie dell'individuo e il chiarimento del suo stile di vita. Questo chiarimento implica di necessita il risveglio del 'sentimento comunitario', che solo puo Jiberare il malato dal suo complesso di inferiorita e svegliare in lui il coraggio di un comportamento piu conforme alla realta, al senso che la vita impone agli esseri umani. Il ruolo decisivo che ha, in Adler, il sentimento della comunita mette in assoluta evidenza il suo distacco dall'impostazione freudiana della comprensione dell'uomo. Fin dalla sua primissima eta il sentimento della solidarieta, della comunione e radicato nell'anima del fanciullo e non lo abbandona se non sotto l'azione delle piu gravi deviazioni morbose della sua vita psichica.
Alla struttura psicosessuale di Freud, Adler sostituisce, dunque, una struttura psico-sociale, sia pure nei limiti dell'impostazione prammatistica della sua epistemologia, che lo ha tenuto sempre lontano, anche negli anni delle sue simpatie per il marxismo, dall'eredita del positivismo, a cui invece Freud resta sostanzialmente fedele. Si e gia visto come Adler si riconoscesse nella teoria di Vaihinger della conoscenza scientifica come 'finzione'. Egli vi fa ricorso anche per superare la contraddizione tra le due tendenze fondamentali della dinamica psicologica: quella del sentimento comunitario, di cui ora si e detto, e quella della ricerca della superiorita, della volonta di potenza. Perche uno stile di vita non si degradi nella patologia, deve corrispondere a una 'finzione-guida' non nevrotica, e cioe deve rispondere a conclusioni sensate, come dire valide in un mondo com'e il nostro. Ebbene, l'individuo che ha raggiunto la massima affermazione di se, il genio, e sempre stato, come Ia storia dimostra, a servizio del sentimento comunitario. L'umanita chiama genii quegli individui che hanno contribuito, in misura eccezionale, al bene comune, che hanno percepito la ferrea logica della vita comune e hanno dato espressione esemplare all'universale interdipendenza che vive dentro di noi, sottrarsi alla quale e malattia, obbedire alla quale e, in un sol tempo, realizzare se stessi e collegarsi .'empaticamente' con tutti gli altri esseri.
Jung: Ia psicologia analitica 14.13 Comprensione come coinvolgimento. La rottura tra Freud e Carl Gustav Jung* non derivo da una diversa evoluzione del loro modo di concepire l'oggetto e il metodo della psicologia. Essa era gia inscritta, prima che se ne accorgessero, nella diversita della loro biografia interiore e delle premesse filosofiche a cui si ispiro, fin dagli inizi, la !oro ricerca. Freud aveva assimilato Ia visione positivistica del sapere scientifico e l'aveva trasferita nello studio dei processi della psiche: dinanzi a lui, il paziente era un oggetto da studiare, o meglio, lui e il paziente, nel momento della terapia, si ponevano in ricerca, attraverso le 'libere associazioni', del vero oggetto, che era la serie causale lungo
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la quale il sintomo patologico poteva essere ricondotto alla sua lontana origine. Nei confronti di Freud, la posizione di Jung e come quella di Dilthey nei confronti della storiografia positivistica (10.2): la comprensione del fatto storico e possibile solo se si e in grado di riviverlo dal di dentro. Anche Jung nega il domma fondamentale del positivismo, e cioe la contrapposizione tra un soggetto interprete e un oggetto interpretato, tra la psiche del medico e la psiche del Carl Gustav Jung nasce a Kesswill, un piccolo paese sui [ago di Costanza, nel 1875. Vive i primi 10 anni in campagna, vicino alla grande cascata del Reno, e alla cultura rurale restera in varia modo legato per tutta la vita: l'uomo 'arcaico; quello piz'-1 vicino alla Madre Terra, sara da lui considerato come il fondamento cui riferirsi, quando cerchera di comprendere la psiche inconscia dell'uomo 'storico: Studia a Basilea, dalla cui antica tradizione umanistica si lascia permeare; coltiva Ia paleontologia e l'archeologia e approfondisce la filosofia di Kant. Medico, e attirato a Zurigo dalle ricerche di Eugen Bleuler sulla schizofrenia; per un semestre, sara anche a Parigi, presso l'altro maestro dell'epoca, Pierre Janet. Assistente di Bleuler, si fa presto conoscere per i suoi fondamentali studi sulle associazioni verbali, ed elabora Ia teoria dei complessi, che gli consente, nel 1907, di proporre una innovativa interpretazione della schizofrenia. L 'aver riconosciuto il fenomeno della rimozione, nel corso dei suoi esperimenti, gli permette di comprendere, nel 1903, l'importanza delllnterpretazione dei sogni di Freud, che incontrera a Vienna nel1907: i due parlano per tredici ore senza interruzione, e da questa appassionato scambio di idee, nasce un sodalizio su cui Ia psicoanalisi sembra destinata a fondarsi durevolmente. Invece, le divergenze si manifestano presto e prendono forma precisa quando lung pubblica, nel 1912, Trasformazioni e simboli della libido. NeZ 1913 )a rottura definitiva fra i due. Per lung, seguono cinque anni di crisi profonda, ma creativa: messo da parte ogni madelia interpretativo, osserva la realta psichica come si manifesta in lui e nei pazienti, cosicche il materiale suggerisca spontaneamente il proprio sensa. Questa stesso atteggiamento lo indurra a intraprendere viaggi che lo avvicinano direttamente all'uomo della cultura arcaica e di quella orientale: invece che interpretare queste culture alla luce di quella europea, egli vuol raggiungere, attraverso di esse, l'uomo eterno, rimosso dall'uomo 'storico' europeo; cosi come non vuole ridurre l'inconscio negli schemi della co'!,'ISI!ienza europea, ma trasformare questa riconducendola· aile dir?zenticate radici da cui proviene, a! mitico anthropos, l'uomo universale. Espone le sue idee in conferenze, articoli, libri che saranno raccolti in diciotto volumi. Tra le opere piu importanti: Tipi psicologici (1921 ), Gli archetipi e l'inconscio collettivo (19341955), Psicologia e alchimia (1944), Psicologia del transfert (1946), Considerazioni teoriche sull'essenza della psiche (1954), Mysterium coniunctionis (1956), Psicologia e religione (1933-1959). Negli ultimi mesi della sua vita, detta Ricordi sogni riflessioni, un libra che e anche !a migliore introduzione alla sua opera. Muore a Kusnacht, nei pressi di Zurigo, nel 1961.
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paziente. Egli non ha mai condiviso l'illusione che la psicologia potesse costituirsi come scienza della natura. Le premesse teoriche vanno applicate con cautela. Oggi forse sono valide, domani lo saranno altre. Nelle mie analisi non vi hanno alcuna parte. Non sono sistematico, e volutamente. Secondo me, avendo a che fare con individui, cio che importa e solo la comprensione dell'individuo. Abbiamo bisogno di un linguaggio diverso per ogni paziente: in un'analisi mi si puo sentir usare il linguaggio di Adler, in un'altra quello di Freud. L'importante e che io mi ponga dinanzi al paziente come un essere umano di fronte ad un altro essere umano: l'analisi e un dialogo che richiede due interlocutori. L'analista e il paziente seggono uno di fronte all'altro, gli occhi negli occhi: il medico ha qualcosa da dire, rna anche il paziente.
Non si da conoscenza psicologica, dunque, senza un radicale coinvolgimento di se nel processo psichico che si studia: lo si voglia o no, «si e toccati dal numem, come Jung si esprime. Non si da una conoscenza psicologica che sia neutra, si e sempre in gioco, e in modo tanto pili pericoloso quanta meno si e consapevoli della nostra implicazione. A fondamento di questa sua concezione della psicologia, Jung pone una constatazione a tutti evidente: la psiche che osserva i fenomeni psichici e la stessa che li crea, e non esiste un punta esterno su cui far leva per la conoscenza. I fenomeni psichici non possono, cioe, essere oggetto di una spiegazione o di una riduzione a una ben definita struttura basilare, conosciuta la quale se ne possano ricostruire e stabilire come verita oggettive i 'meccanismi' di funzionamento e si possa trasmettere il sapere a chiunque desideri accedervi: i fenomeni psichici sono piuttosto occasioni di comprensione, nel sensa che l'osservatore e il fenomeno osservato entrano a costituire un medesimo processo, essendone entrambi modificati. La comprensione, proprio perche implica una modificazione dei due termini 'com-presi', non e un processo neutro, in cui si puo entrare e uscire permanendo intatti: «cio che si fa con una interpretaziqne, lo si fa sempre alia propria anima, con le relative conseguenze per il proprio benessere». La comprensione e gia terapia, la teoria e gia prassi. Anche la scrittura di Jung risente di questa modo d'intendere la conoscenza psicologica: lo stile non sara 'scientifico', cioe esplicativo e oggettivante; non sara univoco, la frase non indichera, cioe, un unico e definibile contenuto, rna fara «echeggiare tutti i toni concomitanti, perche da un lata essi sono comunque presenti, e dall'altro danno un quadro pili completo della realtil»: Consapevolmente e intenzionalmente io preferisco il modo di vedere e di esprimersi mitologico e drammatizzante, poiche esso, in considerazioFJe del suo oggetto, costituito dai viventi processi della psiche, e non soltanto molto piu espressivo, rna anche molto piu preciso di un'astratta terminologia scientifica.
/!' Quello di 'comprensione' e dunque un concetto fondamentale nel pensiero di Jung, implicito in tutti gli altri. Per questa e stato detto che il valore pili alto al quale Jung tendeva era il sensa: egli non si proponeva tanto di raffrontare, misurare, spiegare o redimere la personalita, quanta piuttosto di comprenderla e indurla a comprendersi, penetrandone il sensa, quel nascosto, inconscio disegno, lungo le cui iinee essa si forma e si t;·asforma.
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14.14 La personalita. E' lo stesso Jung a fornirci il centro prospettico a cui ricondurre, nello sforzo di comprensione, le linee molteplici e sfuggenti della psiche umana. La mia vita e stata permeata e sostenuta da un'unica idea e da un unico fine: penetrare il segreto della personalita. Tutto puo essere spiegato da questa punto centrale, e tutte le mie opere hanno quest'unico tema.
Come il mondo esterno si estende molto al di la del nostro campo visivo, cosi il mondo interno, se facciamo centro sul nostro io, si estende molto al di la della coscienza immediata che ne abbiamo. Potremmo raffigurare il nostro mondo interno come una serie di cerchi concentrici, che dall'Io si dilatano fino a raggiungere, all' altro estremo, l'inconscio collettivo. Cia che si trova nell'inconscio collettivo, tende a manifestarsi nell'Io come un processo di individuazione e, viceversa, l'Io tende a evolversi al di la di tutti i fattori inconsci che lo condizionano: e in questa tensione protesa verso una totalita unificata che si costruisce la personalita. Potremmo tentare, -prima di procedere piu analiticamente, uno schema di questa dinamica della personalita. La persona e come la maschera (in greco, infatti, 'persona' significa 'maschera da teatro') che il soggetto pone dinanzi al suo mondo nascosto, assumendo e unificando in se i tratti convenzionali della sua vita di individuo tra individui. L' ombra e «la somma di tutte le disposizioni psichiche personali e collettive che, per la loro incompatibilita con la forma di vita scelta coscientemente, non vengono vissute e si uniscono a formare, nell'inconscio, una personalita parziale relativamente autonoma, con tendenze contrarie». Gli archetipi sono delle forme a priori di rappresentazione, che non hanno esistenza reale se non quando si riempiono di rappresentazioni concrete, analogamente agli istinti, che sono semplici pulsioni senza contenuti determinati. Essi sono antichi come la specie, e si sono arricchiti di contenuti molteplici durante l'esperienza storica dell'umanita. Tra questi archetipi Jung distingue: a. la bipolarita anima e animus: !'anima e l' elemento femminile interno alla psicologia maschile e l' animus e l' elemento maschile interno alla psicologia femminile; b. lo spirito, che si manifesta soprattutto quando l'individuo deve prendere decisioni ardue e determinanti per la sua vita: tende ad apparire nella figura del 'vecchio saggio': tale fu, per Nietzsche, Zaratustra; c. il Se (Selbst), che, come l'Io e il centro della coscienza, e il centro dell'inconscio, rna insieme «anche l' estensione che comprende il conscio e l'inconscio: esso tende a ~b.anifestarsi nell'individuazione, anche se non c'e speranza di raggiungere una consapevolezza, anche solo approssimativa, del Selbst=. Data questa struttura, ogni personalita non e che l'immagine di qualcosa che e al di la di essa e insieme da essa traspare. Questo rapporto tra la personalita e il profondo inconscio e espresso da J ung con l'immagine suggestiva del"rizoma': La vita mi ha sempre fatto pensare a una pianta che vive del suo rizoma. Cio che appare alia superficie della terra dura solo un'estate, e poi appassisce, apparizione effimera ... rna io non ho mai perduto il senso che qualcosa
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vive e dura oltre questo eterno fluire_ Quello che noi vediamo passa: rna il rizoma perdura.
e il fiore,
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Senza tutto cio che sta dietro la coscienza dell'Io - e autonomo dall'Io non esisterebbero personalita individualizzate, ne quei nuclei soggettivi stabili, ai quali gli eventi fanno capo, diventando in tal modo esperienze. Una condizione psichica, che. nel linguaggio clinico si dice 'depersonalizzazione', consente di comprendere quello che Jung intende quando parla di personalita, e il perche della sua concezione. Nella depersonalizzazione le funzioni dell'Io (la percezione, l'orientamento, la memoria, ecc.) rimangono intatte, e tuttavia si verifica una perdita del senso della realta personale e dell'identita, perche l'Io ha perduto i contatti con il suo 'rizoma', quel fattore che lo trascende e lo fonda, donandogli il senso della personalita e !'intima convinzione di una propria realta individuale. Abbiamo visto che Jung parla di una 'autorealizzazione dell'inconscio': questo 'altro', come vedremo meglio in seguito, e dunque per lui una matrice originale autonoma della normale vita della psiche; non e, come per Freud, soltanto un fenomeno psichico secondario in rapporto alia coscienza, dovuto a rimozioni, cioe il serbatoio dei desideri e dei ricordi esclusi dalla personalita cosciente, perche incompatibili con l'ideale che l'individuo ha di se. In Jung, la parola 'inconscio' indica un'esperienza interiore che in realta e nota da tempi immemorabili: I'esperienza di qualcosa di estraneo e sconosciuto, proveniente dal nostro mondo interiore, di forze che possono mutare Ia vita, talora anche improvvisamente, impetuosamente. Nelle diverse tradizioni culturali, troviamo testimonianze, anche antichissime o arcaiche, di queste forze, attribuite ora a un fluido divino (mana), ora a un dio, a un demone o a uno 'spirito'; questi nomi erano l'adeguata espressione del sentimento di un'esistenza autonoma, oggettiva e addirittura estranea, di quelle forze, e cosi pure del fatto che si trattava di qualcosa di superiore, del quale l'Io era caduto in balia. 14.15 La teoria dei complessi. La personalita e un mi.xtum compositum, e cioe costituita da una pluralita di componenti, ciascuna delle quali tende all'autonomia, tende a esprimersi come una persona distinta. Sperimentiamo questo soprattutto in certe nostre reazioni inconsuete, quando, ad esempio, gli amici dicono: «questo da te non me l'aspettavo!»; quando ci sentiamo «fuori di noi» per la rabbia ·o per I'entusiasmo; quando ci vediamo diventare simili a nostro padre o a nostra madre; quando diciamo quello che non vorremmo dire, o quando scopriamo che potn:rnmo ccJrnportarci in molti modi diversi e anche contraddittori. Questi sono · alcuni segni molto comuni di una sorta di coabitazione, nella nostra personalita, di personalita 'parziali', ciascuna portatrice di valori, intenzioni e perfino etiche diverse: quando la coabitazione diventa disarmonica, conflittuale, allora si hanno fenomeni pili o meno accentuati di dissociazione della personalita, fino a que! gravissimo stato patologico chiamato appunto schizo-frenia, messo in luce dalla psicopatologia francese e soprattutto da Pierre Janet. Per suo conto, Jung aveva contribuito a meglio descrivere e comprendere questi fenomeni attraverso il concetto di 'complesso', il suo piu importante co-
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strutto teorico. Il termine (adottato da Freud e da tutti gli altri psicoanalisti) e suo, e fu usato la prima volta per spiegare i disturbi delle associazioni \ierbali, che comparivano durante un particolare esperimento, chiamato 'Test di Associazione'. Veniva letto un elenco di cento parole, a ciascuna delle quali il soggetto dell' esperimento doveva rispondere con la prima parola che gli veniva in mente. Era calcolato il tempo di reazione, cioe il tempo che intercorreva tra la parola-stimolo e la parola-risposta. Potevano essere calcolati altri fattori rcattivi, come il respiro, il battito cardiaco, ecc. Dopo questa registrazione, veniva ripercorso l' elenco delle parole-stimolo, chiedendo al soggetto di ripetere le parole gia dette, e venivano registrate tutte le variazioni tra la prima e la seconda associazione, rappresentate da prolungati tempi di reazione, sostituzioni di parole, dimenticanze, reazioni emotive, alterazioni cardiache e respiratorie, e cosi via. Jung giunse alla conclusione che un certo disturbo nell'associazione rifletteva un coagula inconscio di idee, immagini, ricordi, permeato di un'unica tonalita affettiva (desiderio, timore, ansia, sofferenza), e carico di forte emotivita: tutto questa ebbe il nome di 'complesso'. Fu evidente che il complesso tendeva a imporsi, nonostante le migliori intenzioni dell'io cosciente; aveva una sua vita autonoma e compariva quando meno era atteso. Quanto piu penetriamo nell'essenza del complesso, tanto piu chiaramente emerge il suo carattere di psiche parziale. La psicologia del sogno mostra, con tutta Ia chiarezza desiderabile, che i complessi affiorano personificati (sono le persone che agiscono nei nostri sogni, e di fronte alle quali siamo cosi privi di potere), se nessuna coscienza inibitrice li reprime, proprio come il folclore descrive gli gnomi che di notte mettono a soqquadro Ia casa. Lo stesso fenomeno l'osserviamo in certe psicosi neUe quali i complessi diventano 'sonori' e compaiono come 'voci' che hanno un carattere assolutamente personale. Oggi possiamo considerare come certa l'ipotesi che i complessi sono parti autonome della psiche. L'etiologia della !oro origine e sovente un cosiddetto trauma, uno shock emotivo e simili, a causa del quale una parte della psiche si e distaccata. Una delle cause piu f.-equenti tuttavia e il con/Zitto morale, che ha Ia sua radice piu remota- nell'apparente impossibilita di assentire alia totalita della natura umana. Questa impossibilita pressuppone un'immediata scissione, indipendentemente dal fatto che Ia coscienza dell'Io se ne renda conto o no (... ) L'incoscienza relativa del complesso aiuta quest'ultimo ad assimilare addirittura l'io, il che provoca una momentanea e inconscia modificazione della persona/ita, che viene definita col nome di identificazione con il complesso. Questo concetto modernissimo aveva nel Medioevo un altro nome: allora si chiamava possessione. (... ) L'uomo piu primitivo e piu ingenuo non 'psicologizzava' i complessi perturbanti come "..>cciamo noi, rna li concepiva come entia per se, cioe come demoni.
Tuttavia, Jung ha sempre insistito sul fatto che i complessi non sono di per se patologici, essi sono anzi i naturali costituenti della psiche, i suoi organi di funzionamento. Diventano patologici quando agiscono in modo autonomo gli uni dagli altri, determinando una dissociazione della personalita: essi sono, infatti, quelle personalita parziali di cui abbiamo cominciato a parlare piu sopra. Per comprcndere la sofferenza psichica, cosi come la vita psichica normale, Jung non ricorre, percio, come Freud, a concetti ricavati dalla biologia, quale quello di 'pulsione', ne alla teoria delle tendenze rimosse, per lo piu di origine infantile; vede la sofferenza originarsi piuttosto nelle incompatibilita, nei con-
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flitti che si instaurano, anche in eta tardiva, fra le singole personalita parziali, ciascuna delle quali e considerata con la propria dignita e il proprio diritto di espressione, all'interno del corpo 'politico' della totalita psichica. La difficolta che tutti hanna di comprendere se stessi e gli altri risiede proprio in questa: nella pluralita dei punti di vista che coabitano nel singolo, ciascuno complesso, ciascuno suscettibile di evoluzione e approfondimento, ciascuno con la tendenza a farsi esclusivo e ad escludere gli altri, a male interpretarli, proprio come avviene in una comunita di persone. E proprio come in una comunita di persone, si dovra instaurare una comprensione psicologica, perche le cose procedano per il meglio, fra gli elementi maschili e femminili, fra le parti piu sviluppate e di maggior successo e queUe emarginate, deboli, handicappate, fra le parti sane e queUe malate, fra quelle piu rigorose e morali e quelle libertine e perfino criminali, fra i portatori di mete spirituali e i portatori dei piu selvaggi impulsi. Talvolta, Jung ha concepito questi complessi rapporti intrapsichici come una tensione tra gli 'opposti'; altre volte, e soprattutto nella sua teoria dei sogni - secondo cui essi mettono in scena le vicende di queste personalita parziali, e quindi rappresentano l'autoritratto della realta psichica -, Jung ha esposto. questa medesima rivalita e Iotta interiore in termini di dramma. La struttura psichica sarebbe, cioe, fondamentalmente un processo drammatico; la personalita apparirebbe come una rappresentazione teatrale, dei cui personaggi alcuni occupano piu o meno stabilmente il centro della scena, altri ne rimangono ai margini o dietro le quinte, svolgendo, tutti insieme, temi eroici, comici, tragici, banali, farseschi: la commedia umana. Tipico il conflitto tra animus e anima. L'anima e la potenza che strappa l'uomo all'universo razionale e si presenta, proprio per questa, come seduttrice, causa di disordini e di abbrutimenti: Circe trasformo in porci i compagni di Ulisse. Ma essa puo anche diventare una potenza benefica, che inizia l'uomo ai valori supremi: Margherita apre a Faust le prospettive del cielo, e per lui Teterno femminino' che 'attira in alto'. L'integrazione dell'anima nell'uomo e del suo omologo, 1' animus, nella donna, conduce alia realizzazione int'eriore del mitico Androgino, che abbiamo rievocato sopra (14.6). Le relazioni che queste personalita parziali, o personaggi psichici, hanna fra loro, influenzano i rapporti con l'ambiente sociale, che saranno per lo piu speculari rispetto alla scena intrapsichica. Se prevarranno o saranno preferite, ad esempio, le personalita parziali che hanna piu successo, che tendono alla superiorita e alla supremazia, il comportamento sociale ne sara determinate, con preferenze ed esclusioni che esaltino quelle parti interiori a scapito di queUe che sono loro di ostacolo e che sostengono valori contrari: apprezzamento e disprezzo, distribuiti nel mondb estenro con quel medesimo criteria che si verifica in quello interiore. Secondo Jung, i rapporti interpersonali sono, percio, basati sui rapporti intrapersonali.
14.16 La teoria degli archetipi. Jung riconobbe a Freud «il merito immortale di aver gettato le basi di una psicologia dei nevrotici)), rna gli rimprovero di non aver compreso quel che invece aveva compreso Adler, che «la nevrosi ha una direzione, una finalita)). E non lo aveva compreso perche prigioniero di un
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concetto sostanzialmente biologico della libido, indentificata con la pulsione sessuale, dotata di una efficacia causale all'interno del dinamismo psichico. E' ovvio che lo spirito della reductio ad causam o in primam figuram non puo mai rendere giustizia all'idea, psicologicamente importantissima, di una evoluzione finalistica, dal momento che ogni modificazione dello stato non e altro che una 'sublimazione' delle sostanze fondamentali e, quindi, nient'altro che un'espressione impropria della stessa vecchia cosa.
La 'vecchia cosa' era la sessualita, nella quale, per Freud, si risolveva, in ultima istanza, l'intera realta psichica. Mentre riferisce al termine 'realta' solo cia che e esterno e materiale, Freud considera determinante la realta psichica soltanto nel caso di una nevrosi o di una psicosi, quando cioe una forma patologica impedisce un adeguato e maturo rapporto con la realta esterna (capacita lavorativa e di orgasmo sessuale sarebbero due segni essenziali di una tale maturita); allora si avrebbe lo sviluppo di fantasie come surrogato della realta esterna, e il costituirsi di un mondo interno patologicamente alternativo a quello esterno, da cui l'individuo si sarebbe in vario grado estraniato. La realta psichica e invece primaria, per Jung: non e un mero derivato, normale o patologico, del mondo esterno e dell' esperienza sensoriale. Al suo livello piu elementare, la realta psichica e costituita dalle immagini fantastiche, che ne rappresentano l'autonoma attivita primordiale. A sottolinearne il carattere non derivato, non storico, Jung chiama 'archetipi' (arche-typoi, cosi Filone Ebreo chiamava le idee di Platone ), come si e detto sopra, le forme a priori che organizzano l'attivita immaginativa. Essi danno alla realta psichica i suoi modelli, che sono forme abituali, tipiche, universali, regolari e ripetitive: «il pulcino non ha imparato il modo con cui uscira dall'uovo, esso lo possiede a priori». Ouesto carattere stabile, non modificato dal tempo, e quello per cui l'uomo di oggi puo comprendere l'uomo vissuto in epoche e latitudini lontane come fondamentalmente simile a lui, con identici desideri, bisogni e paure, e con una sapienza della vita cui egli puo anc9ra attingere, con rispetto e vantaggio. La descrizione che Jung da dell'archetipo e assai simile a quella che da dell'istinto, e difatti archetipo e istinto sono da lui sempre strettamente correlati. L'istinto e un «impulso verso certe attivita», ereditato, uniforme, regolare e in se inconscio: l'archetipo e il 'modello di comportamento' dell'istinto, il suo 'significato' o il suo 'equivalente psichico'. Jung, cioe, formula l'ipotesi che ogni meccanismo innato di scarica (o istinto) sia organizzato secondo un particolare modello e implichi un'immagine fantastica che lo libera o che ne rappresenta la In'~ta: proprio il fatto che gli istinti siano tipici e specifici indica che 1'3iste in _ ciascuno di essi un principia ordinatore (l'archetipo) che da all'istinto un significato e uno scopo definito. L'istinto sessuale, ad esempio, si Iibera e cerca la sua meta secondo fantasie specifiche, da cui non puo andare disgiunto senza danno: quando infatti si verificano disturbi nell'attivita immaginativa, l'istinto corrispondente viene meno, o puo esprimersi solo in parte o in modo distorto. Per Jung, un 'fatto', un 'comportamento', rappresentano in effetti il versante esterno di una medesima realta di cui l'immagine e il versante interno: gli eventi psichici e quelli comportamentali sono distinti, rna indivisibili. Nel dominio della mente, l'istinto e percepito attraverso le immagini, in quello del com-
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portamento, le immagini si convertono in impulso istintivo. L'attivita psichica e un fenomeno creativo permanente: attraverso la fantasia, «la psiche crea giorno per giorno la realta». Non soltanto la fantasia e realta, ha cioe una sua dignita ontologica, per cui le immagini della fantasia ·non sono semplicemente le impronte pili o meno fedeli dei fatti esterni; rna, proprio per questo, la fantasia crea realta, non ne e sottoprodotto. Infatti, tutto cio che comunemente chiamiamo realta si fa presente alla coscienza nelle forme, nei modi, e secondo le convinzioni istintive che la fantasia predetermina: il mondo esterno ne e interpretato variamente e corrispondentemente affrontato. Gli stessi modelli con i quali la scienza descrive e spiega la realta hanno il loro fondamento nella realta psichica: a queste conclusioni Jung giungeva in uno studio condotto insieme al Nobel per la fisica Wolfgang Pauli. Quanto poi questi modelli contribuiscano a trasformare la realta del mondo esterno e cosa ben nota, se si riflette al !oro prolungamento in altre fantasie, queUe tecnologiche. Hiroshima non e soltanto un fatto che si impone dall'esterno, in modo terrificante: ancora prima, e una immagine psichica che ha dominato, governato, esaltato, che ha asservito e plasmato alcune centinaia di uomini, che solo in forza di una immaginazione apocalittica hanno convertito nel 'fatto' Hiroshima, in una reazione nucleare immensamente potente, Ia potenza immensa dell' energia psichica a !oro disposizione. La responsabilita che molti scienziati avvertono nei confronti della !oro ricerca, non pili giudicata moralmente 'neutrale', rivela l'aprirsi di un conflitto psichico dove un tempo - e tuttora, in troppi scienziati - esisteva un'unica immagine psichica a dominare il campo: Ia pretesa neutralita della ricerca scientifica proveniva infatti dalla repressione di ogni altro valore, e quindi dall'assenza di critica all'interno del corpo 'politico' della psiche. Un unico complesso aveva assimilato ogni altro complesso e percia spenta ogni altra voce autorevole: la volonta di potenza assimilava fanaticamente ogni energia psichica e ne convogliava il potere creativo verso un fine incriticabile, al di sopra di ogni giudizio; ogni controllo veniva rifiutato, ogni limite negato, ogni valore che si apponesse, squalificato. La distruzione, prima aricora di essere espressa in opere tangibili, si era in tal modo realizzata nella stessa realta psichica individuale, a spese di quanto in essa ostacolava il predominio di quell'unico complesso. Una descrizione come questa corrisponde a una forma psicopatologica chiamata 'paranoia'. Il suo potenziale offensivo. ~imitato nel caso del singolo, quando diviene esperienza comune puo raggiungere qu j risultati terrificanti che la recente storia testimonia: cio accade perche la fan. asia assume il carattere, anche nascosto, di mito religios0, capace di suscitare una medesima e incriticabile convinzione in mohl individ'ui. E' stato ed e ancora questo il modo in cui la scienza e stata spesso vissuta in occidente. L'immagine psichica che ha governato la ricerca dei fisici nucleari (e dei loro collaboratori e sostenitori), cosi vicini non solo ai 'misteri' della materia, rna anche alia liberazione della sua terribile energia, ricorda in modo significativo quella del Dio della tradizione occidentale, creatore e distruttore apocalittico; un'immagine che spinge in cerca di un potere sulle cose del modo, illimitato e incriticabile. Con un metodo critico somigliante a quello qui somJnariamente esemplificato, Jung aveva anche analizzato, nel 1936, la follia nazi-
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sta (dinanzi alia quale, peraltro, il suo atteggiamento non fu privo di ombre) come una 'possessione' dell'antico dio germanico Wotan, che incita al dominio suipopoli
14.17 Anthropos. Questi esempi introducono un altro concetto j unghiano fondamentale, l'inconscio collettivo. Jung aveva scoperto, infatti, fin dal 1912 (Trasformazioni e simboli della libido), che le fantasie personali possono cssere meglio comprese se la lora infinita varieta viene ricondotta (con un metoda chiamato di 'amplificazione' culturale) a modelli tipici impersonali, le cui fantasie personali rappresenterebbero una sorta di variazione sul tema: i motivi mitologici, o 'mitologemi'. I miti descrivono il comportamento degli archetipi, e sarebbero la rappresentazione drammatica, in forma personificata, dei processi psichici. L'inconscio collettivo e quel fondamento della psiche individuale che si struttura in archetipi e si esprime nel linguaggio personificato dei miti; percio il contesto basilare della personalita e costituito da quei miti cui una particolare personalita da corpo: essi ne sono il 'rizoma'. I pensieri pili grandiosi dell'umanita si formano a partire da queste immagini primordiali in cui si sono sedimentate, lungo i millenni, le esperienze della specie, a partire dagli antenati animali, dai primi clan, dalle tribu, per arrivare alle nazioni dell' eta moderna. Ogni individuo e connesso a questa 'rizoma' mitico, che porta oltre la dimensione personale, in aree ave si manifestano immagini, si sperimentano emozioni, che per il lora grandissimo valore e potere hanna ricevuto ·il nome, pn!sso ogni tradizione culturale, di esperienze divine. La realizzazione di una personalita accede sempre, per J ung, a una dimensione religiosa, che non vuol dire necessariamente 'confessionale': essa consiste nella sottomissione dell'io al Se. Confrontando i simboli del Se e quelli con cui le religioni e i miti esprimono la divinita, Jung conclude che il Se e come l'immagine di Dio nell'intimo dell'uomo. Che Ia divinita agisce su di noi lo possiamo constatare solo mediante Ia psiche, rna non siamo in grado di distinguere se tali effetti vengano da Dio o dall'inconscio, cioe non si puo stabilire se Ia divinita e l'inconscio siano due entita diverse. Ambedue sono concetti limite per contenuti trascendenti. Ma empiricamente si puo stabilire con sufficiente probabilita che nell'inconscio vi e un archetipo della totalita che si manifesta spontaneamente in sogni, ecc., e che esiste una tendenza indipendente dalla nostra volonta cosciente a riferire altri archetipi a questo centro. Non appare quindi improbabile che quell'archetipo possieda in se stesso una certa posizione centrale che lo avvi·~;Ja all'immagine di Dio. La somiglianza e particolarmente favorita dal fatt,.> che l'archetipo genera un simbolismo che ha sempre caratterizzato e rappresentato Ia divinita.
Il distacco da Freud non potrebbe essere maggiore. Con Jung, la scienza dell'analisi psicologica si tramuta, cosi, in una visione del mondo di tipo mistico, il cui oggetto misterioso, il Saint Graal verso cui tende la dinamica della individuazione, costantemente aperta alia totalita, e non il Dio trascendente, rna la sua immagine nell'anthropos, nell'uomo universale, rintracciato, invece che sulle trame delle metafisica, nel variopinto arazzo delle mitologie, che sono l'analogo dei sogni individuali e che portano alla luce il centro virtuale della 'totalita' nascosto, fuori del tempo, all'interno delle vicende dell'uomo storico.
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Questa mota centripeto della coscienza alia ricerca della totalita viene rappre-
sentato da Jung nel Mandala orientale, nel cerchio magico entro cui si inscrive la distribuzione simmetrica della 'quaternita'. Ogni cultura ha il suo Mandala, uguale e diverso. In questa appassionata decifrazione dei 'sogni' dell'umanita, Jung ha anticipato l'attuale interesse per le ricerche antropologiche, anche se la sua ermeneutica non accetta i vincoli delle ricerche positive. Allo studio appassionato della chimica medioevale, dell'astrologia e della magia (egli considerav;;; Paracelso un pioniere della sua psicologia) Jung congiunse una ricerca fatta di vaste letture e di contatti umani (nel 1938 fece anche un viaggio in India) con la saggezza orientale. Scrisse una introduzione alia prima traduzione tedesca del Libra tibetano dei morti (1927) e un commento a un antico testo cinese, il Segreto del fiore d'oro (1929); attribui grande importanza al piu famoso dei libri cinesi classici, I King o Libra delle mutazioni, che descrive il metoda per ottenere oracoli attraverso l'uso dei bastoncini (!.1.11); studio e fece conoscere in Europa diversi testi della tradizione buddista. Volle anche soggiornare tra gli Indios del Messico e tra i negri del Kenya, con l'intento di osservare i lora costumi e· di raccogliere il messaggio dei loro riti e dei lora miti. Si puo certo discutere sulla validita delle sue conclusioni teoriche, rna non e possibile negare, a questa odissea ispirata alla ricerca dell'uomo, una esemplarita che va ben oltre, se proiettata nel futuro, le formulazioni teoriche della psicologia analitica.
14.18 Hillman: Ia psicologia archetipica. Le idee di Jung sono state approfondite nel modo piu originale e radicalizzate da James Hillman (n. 1926), che va proponendo un ritorno al politeismo come sfondo mitico capace di comprendere la multiformita psichica, le patologie dell'anima, non come accidenti da ricondurre alia norma, rna come iniziazione a un mito personale, le case del mondo non come morte, rna come soggetti viventi che parlano all'anima dell'uomo togliendolo dall'isolamento in cui e d~caduto (Il mito dell'analisi, 1972, Saggio su Pan, 1971, Revisione della psicologia 1975, Le storie che curano, 1984, Il sogno e il mondo infero, 1979, Il nuovo politeismo, 1973, Psicologia archetipica, 1981). L'intento prima di Hillman e di liberare la psicologia dai metodi conoscitivi sviluppati in altri campi (soprattutto biologia e fisica), con il lora empirismo, i lora criteri di valutazione, il lora linguaggio, e di liberare la psicoterapia dalla sua origine nella medicina (con la sua nosografia e la sua ideologia). Tutto que-:.to apparato, derivato alia psicologia dalla cultura ottocentesca in cui e sorta, e pesantemente presente nel pensiero di Freud e, seppure in misura ridotta, in quello di Jung. Intento fondamentale di Hillman e di seguire coerentemente l'affermazione junghiana, che non esiste un punta di appoggio archimedico fuori della psiche per comprendere la psiche; e siccome la psiche e da Jung identificata con l'immagine ('l'immagine e psiche'), sara l'immagine il data da cui prendere le masse per realizzare una psicologia come scienza autonoma, da lui chiamata 'psicologia archetipica': L'anima e costituita da immagini, e in primo luogo un'attivita immaginativa, manifestantesi nel modo piu spontaneo e paradigmatico nel sogno. E'
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proprio nel sogno, infatti, che il sognatore stesso agisce come un'immagine tra le altre, e anzi, come si puo coinvincentemente dimostrare, nel sogno e il sognatore che e nella immagine e non l'immagine nel sognatore.
Quest'ultima osservazione mostra il movimento radicale effettuato da Hillman: non soltanto l'immagine non e un mero prodotto di sensazioni e percezioni, rna non e nemmeno soltanto espcessione di una realta psichica autonoma interna all'individuo; l'immagine apfiartiene a un mondo che contiene l'individuo, e non, invece, contenuto nell'individuo. Questo passo e stato reso possibile a Hillman dall'influenza determinante di Henri Corbin, un filosofo francese noto soprattutto per le sue interpretazioni del pensiero islamico e come tale da noi piu volte citato. La tradizione islamica medioevale di tipo esoterico (ricordiamo Ibn 'Arabi, Avicenna, Suhrawardi, I, 12.18) parla di un mundus imaginalis, un campo specifico di realta immaginative, che, per essere conosciuto, esige metodi e facolta percettive diversi da quelli richiesti dal mondo spirituale o dal mondo empirico e ingenuo della normale percezione sensorial e. ll mundus imaginalis corrisponde al mondo 'intermedio' descritto dai neoplatonici (e neoplatonici sono i persiani studiati da Corbin), che consideravano l'anima come primo principia e la ponevano come metaxy, (dal greco 'in mezzo') cioe come intermedia e intermediaria, come tertium tra le prospettive del corpo (materia, natura, mondo empirico) e quelle della mente (spirito, idea), cioe con una sua specifica caratterizzazione ontologica. Ritrovare questa tradizione occidentale, divenuta ampiamente minoritaria, soprattutto dopo Cartesio, consente di superare il condizionamento imposto alla psicologia dal consueto dualismo di corpo e spirito, per il quale la psiche e diventata indistinguibile, per un verso, dalla vita corporea e, per un altro, dalla vita dello spirito, per cui non puo che essere negato uno specifico 'logos' alla psiche, impedendo cosi il realizzarsi di una vera psicologia. Il riconoscimento del mundus imaginalis permette di considerare in modo rinnovato le immagini: A tutta prima, si crede che immagini siano allucinazioni (cose viste); poi vengono riconosciute come atti dell'immaginazione soggettiva; successivamente ancora, si arriva alla consapevolezza che le immagini sono indipendenti dalla soggettivita e dalla stessa immaginazione: come nei sogni, vanno e rivengono a loro piacimento, entro il loro campo di relazioni. Questo riconoscimento Corbin lo attribuisce al cuore ridestato come locus dell'immaginazione, un luogo familiare anche alla tradizione occidentale gia dall"immagine del cuor' di Michelangelo. Questa interdinendenza tra cuore e immagine congiunge strettamente la base ste:;s'a della psicologia archetipica con i fenomeni dell'amore. Per la psicologia, Ia teoria di Corbin della creazione immaginativa del cuore implica inoltre che, se la base e l'immagine, si deve al tempo stesso riconoscere che l'immaginazione non e soltanto una facolta umana, rna e una attivita dell'anima di cui l'immaginazione umana costituisce una testimonianza. Non siamo noi che immaginiamo, bensi siamo immaginati.
Avviene, in questo modo, un decisivo spostamento del valore di 'soggetto' dall'io empirico, individuale, all'anima: «siamo immaginati)) vuol dire che la nostra esistenza non e frutto del nostro disegno, e che anche questo e meno nostro di quanto ci appaia. Le nostre vite mettono in scena l'immaginazione di un'anima
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che le trascende. Siamo piuttosto interpreti che rendono presente nel mondo una fantasia che li oltrepassa e suggerisce loro i movimenti che la esprimano. Esiste una legge psichica che detta forme e significati, e che si oppone, fino alIa distruzione, all'arbitrio del singolo. Negli ultimi tre secoli della storia dell'occidente, l'individuo ha assimilato, come abbiamo visto fare ad ogni complesso autonomo (14.15), ogni dignita di soggetto: ogni altra realta e stata declassata al rango di oggetto disponibile per quell'unico soggetto; e se non era confacente a quel carattere di oggett<J, come !'anima, e stato dichiarato illusorio, inesistente. La psicologia archetipica tenta il rovesciamento di questa visione dominante, in un atto di terapia della cultura: tutte le cose del mondo appaiono pervase di anima, perche e questo che alIa fine significa il mundus imaginalis (in un seminario fiorentino del 1981, Hillman ha evocato in questo senso I' anima mundi rinascimentale come un ritorno dell'anima al mondo). L'individuo si e autoeletto signore di un mondo inaminato, e una psicologia che sia al servizio di questo signore e non dell'anima contribuisce al permanere, al rafforzarsi di questa tragedia incompresa. Per Hillman e gli psicologi che condividono la sua ricerca, l'apocalisse nucleare e cominciata da tempo: il mondo trattato come fosse inanimato e gia un mondo in via d' estinzione.
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Sommario. La 'Scuola di Francoforte' eredita, sui nascere (1923), l'ottimismo rivoluzionario di Korsch e Lukacs, rna, emigrata negli Stati Uniti dopo l'ascesa del nazismo, si Iibera da una stretta fedelta a! marxismo per orientarsi, facendo uso anche dell'analisi freudiana, verso Ia critica della societa tecnologica avanzata, in quanto intrinsecamente totalitaria (15.1). Su questa linea, particolare risonanza ha avuto Marcuse, che, recuperando l'ispirazione hegeliana di Marx, illustra Ia contraddizione tra Ia ragione critica e Ia ragione che, sia all'est che all'ovest, governa Ia civilta produttiva, responsabile di un umanesimo unidimensionale in cui si e integrata anche'la classe operaia La rivoluzione consiste nell'alternativa postulata dall'altra dimensione, inibita dalla cultura del lavoro, quella di Eros; i suoi nuovi soggetti sono ormai tutti i reietti del sistema (15.2). Meno ottimista e Habermas, che esamina Ia tecnocrazia autoritaria nei suoi apparati di manipolazione del consenso, che hanno svuotato di sostanza le conquiste democratiche, integrando in se anche gli intellettuali e i partiti politici. Unico varco di liberazione Ia ricostruzione critica dell'identita dell'io e Ia ricerca di 'varchi linguistici', attraverso i quali far passare un discorso autenticamente alternativo (15.3). Nel 1956 ha inizio il processo di destalinizzazione, che mette in netto contrasto l'ortodossia marxista, riaffermata in URSS, e Ia pluralita dei marxismi (15.4). Testimone qualificato di questa fase e Garaudy, che, rigettato il marxismo metafisico, apre un vivace confronto con Ia cultura francese contemporanea, giungendo a dare una interpretazione positiva delle tradizioni religiose, specie cristiana e islamica, in cui Iegge Ia dimensione antropologica della trascendenza ( 15.5). Fedele, invece, all'immanentismo marxista intende essere l'umanesimo di Schaff, che vede nel socialismo l'unica via per abolire le radici strutturali dell'alienazione, che impedisce Ia felicita umana (15.6). Tributario delle nuove correnti antropologiche francesi e Althusser, che, posta una 'rottura epistemologica' tra il Marx giovane e il Marx maturo, Iegge nel Capitale l'elaborazione scientifica di una struttura globale di tipo materialistico, di cui sono componenti gli apparati di potere e quelli ideologici (15.7). In ltalia, a! di fuori della 'rinascita gramsciana', il marxismo ha avuto esiti diversi, come quelli di Banfi, di Della Volpe, di Geymonat (15.8). A mettere in crisi il marxismo e stato, in questo dopoguerra, il mutamento del quadro storico. Anche se ha dato vita a una delle grandi tipologie del marxismo, Mao Tsetung ne ha modificato, in coerenza con la cultura cinese, alcuni principi portanti, come il rapporto tra teoria e prassi, l'analisi delle contraddizioni, il ruolo delle masse contadine e della cultura nell'avviare e nel rir.'"ovare i1·"processo rivoluzionario (15.9). Ma Ia crisi del marxismo e dovuta soprattutto agli esiti storici che esso ha avuto nell'est europeo e alia metamorfosi avvenuta nel capitalismo, che del marxismo ha messo fuori uso gli strumenti interpretativi (15.10). E' quanta afferma il post-marxista polacca Kolakowski, che del marxismo conserva soltanto alcuni contributi basilari (15.11). Dalla cruda esperienza del socialismo dell'est e dalla lezione di Lukacs proviene Ia Heller, per Ia quale non si da vera rivoluzione se non e sociale, e cioe se non risponde ai bisogni umani non alienati, che vengono disconosciuti sia dal socialismo dell'est che dal capitalismo ( 15.12). La validita del marxismo puo essere sostenuta solo se, come fa Sweezy, si prende atto dello spostamento della dialettica, che non e piu tra borghesia e proletariato, rna tra 'centro' e 'periferia' del sistema economico mondiale: il nuovo soggetto rivoluzionario sono le masse diseredate del Terzo mondo (15.13).
15 • Scuolo. di Francoforte
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Scuola di Francoforte 15.1 Storia di un Istituto. Quando, il 3 febbraio 1923, nacque l"'stituto per la ricerca sociale' di Francoforte, dominava ancora, nella cultura d'ispirazione marxista, la certezza che la 'transizione dal capitalismo al socialismo' era imminente. L'Istituto, diretto, in un primo tempo, da Karl Grunberg, si propose un programma di ricerca le cui idee guida erano quelle che, proprio in quel giro di anni, avevano avuto la loro incisiva sistemazione teorica in Lukacs e in Korsch, con le opere Storia e coscienza di classe e Marxismo e filosofia (8.11.13) Allorche i due marxisti, per ragioni opposte, ripudiarono i loro scritti giovanili, l'Istituto divenne l'erede delloro ottimismo rivoluzionario e tale rimase anche dopo che, a partire dal 1929, ne fu direttore Max Horkheimer (18961973). «Quando Hitler conquisto il potere, confessera piu tardi Horkheimer, innumerevoli persone speravano veramente in una rivoluzione. Probabilmente questa speranza era un'illusione, un sogno; eppure, essa ha dominato e ispirato i miei lavori, a partire dal 1933». Attorno a Horkheimer, affiancato da Theodor W. Adorno (1903-1969) e da Herbert Marcuse, si riuni un gruppo che fece dell'Istituto una vera e propria scuola. Erano tutti ebrei, e come tali esprimevano una lunga tradizione di distacco critico dalla societa, e tutti piu o meno appartenenti a famiglie economicamente molto solide, e dunque direttamente esperti dell"autoritarismo' della struttura familiare nella societa produttiva. Ma, pili che questa retroterra etico-sociale, li univa il comune obiettivo di una societa rivoluzionaria perche fondata sulla ragione e un metoda di ricerca basato sulla collaborazione interdisciplinare. Del gruppo facevano parte, oltre i tre maggiori esponenti, psicologi come Erich Fromm (1900-1980), esperti di questioni estetiche come Walter Benjamin (1892-1940), sociologi della letteratura come Lowenthal, economisti come Friedrich Pollock. La ricerca collettiva sbocchera in due grandi inchieste: sull'autorita della famiglia, nel 1936, e sull'antisemitismo e il fascismo virtuale nella societa americana, nel 1950. I criteri e le ·Iinee di queste ricerche vennero esposti da Horkheimer in un'opera dal titolo Teoria tradizionale e teoria critica (193 7), una specie di statuto della Scuola, che infatti viene detta anche della 'teoria critica'. Ma intanto l'Istituto, dopo l'ascesa al potere del nazismo, nel 1933, aveva dovuto emigrare prima a Ginevra e a Parigi, poi, in modo stabile (1934-1949), a New York. Le drammatiche esperienze storiche - la fine del fascismo dovuta non a una rivoluzione rna alia guerra, la perversione del comunismo staliniano, ia forza di integrazione del sistema capitalistico, specie attraverso !'industria culturale - condussero la teoria critica a una svolta. Ne sono documento alcune opere scritte dai francofortiani durante la guerra, come Ragione e rivoluzione di Marcuse, la Dialettica dell'illuminismo di Horkheimer e Adorno, i Minima Moralia di Adorno e l'Eclisse della ragione di Horkheimer. L'evoluzione della storia - ecco in sintesi le nuove posizioni - conduce inevitabilmente verso un 'mondo amministrato', e doe verso una totalita chi usa,· che non lascia spiragli. ad altre possibilita. II marxismo perde d'importanza, a vantaggio di una piu articolata filosofia della storia, in cui la fase scientifica e tecnologica e ricondotta
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Tav. 3. L'eta tra le due guerre: l'ecllssi della llberta Avvenlmentl polltlcl
1915
Scoppia Ia I guerra mondiale.
FUosofla
Letteratura
1915- 17 Freud: lntroduzione alla psicoanalisi. 19!6 Gentile: Teorw genera/e della spirito. Lenin: hnperiLI/ismo, fase suprerr.ri del capitalismo. Dewey: Democrazw ed educazione. Einstein: Fondamenti della relativitli
1917
Rivoluzione sovietica.
1918
Fine dell'impero austro-ungarico 1918 Lenin: Stato e rivo/uzione. Schlick: La teoriLl genera/e della conoscenza. Spengler: Tramonto dell'occidente. Bloch: La spirito dell'utopiLL· Otto: II sacra.
1919
Repressione antispartachista a Berlino. Muore Rosa Luxemburg. ReLubblica di Weimar. III nternazionale (Komintern). Conferenza di Versailles. Partito Comunista Cinese.
1916 Kafka: La metamorfosi. Joyce: Deda/us. Pirandello: Coste (se vi ho,re). Ungaretti: II porto sepo to.
1917 Croce: Teorw e storia delki 1917 Majakovskij: Ode alla storiografiLL rivoluzione. · Gramsci: La rivoluzione contra Valery: La giovane Parca. il capita/e.
1919 Barth: Lettera ai Romani. Jaspers: Psicologw delle vistoni del mondo.
1919 Ungaretti: Allegria di naufragi. Eliot: Poesie. Brecht: Tamburi nella notte. Rivista La Ronda.
1920 Freud: AI di Ia del principia delpiacere 1921
Partito Comunista Italiano. Partito Fascista. Sun Yat-sen presidente della Cina.
1921 Wittgenstein: Tractatus logicophilosophicus. Jung: Tipi psicologici.
1921 Pirandello: Sei personaggi in cerca di autore.
1922
Stalin segretario del PCUS. Marcia su Roma. Mussolini al governo.
1922 Weber: Economia e societli Le~y:~ruhl: La menta/ita pnmlt!va.
1922 Joyce: Ulisse. Gobetti fonda Rivoluzione liberale.
1923 Lukacs: Storw e coscienza di cklsse. Korsch: Mar.xismo e filosofiLL Scuola di Francoforte. Freud: L Toe l'Es.
1923 Svevo: La coscienza di Zeno. Rilke: E/egie duinesi.
1924
Rivoluzione nazionalista in Cina. Morte di Lenin. La Pravda condanna Lukacs e Korsch. Delitto Matteotti.
1924 II Circolo di Vienna. Stalin: Principi delleninismo. Mauss: Saggio sui dona
1924 Hitler detta in carcere il MeinKampf. Mann: La montagna incantata.
1925
Manifesti delli intellettuali ascisti (Gentile) e antifascisti (Croce).
1925 Dewey· • ~'perienza ,;:natura.
1925 Montale: Ossi di seppw. Kafka: II processo (postumo ).
1926
In Italia: soKpressione dei partiti e de a Iiberti>. di stampa. Tribunale speciale. Arresto di Gramsci.
1926 Gramsci in carcere comincia i Quaderni. Bultmann: Fede e comprensione
1926 Nasce l'Accademia d'Italia.
1927
I tns
Heide~ger: Essere e tempo. Marce : Giornale metafisico. Jung: La struttura del/ 'anima. Malinowski: Sessa e repressione.
1927 Garcia Lorca: Ca11zo11i.
Carnap: Costruzio11e /ogica del mondo.
1928 Brecht: Opera da tre soldi.
IS- Scuola
Avvenlmentl politlcl
1929
Concordato tra Italia e Vaticano. New York: crollo della Borsa.
1930
Roosevelt presidente USA.
1931
ltalia: impasto giuramento ai docenti universitari (su 1200 solo 12 rifiutano).
di Francoforte D 487
Fllosofla
1929 Husserl: Logica formale e trascendentale. Reich: Materialismo dialettico e psicoanalisi. 1930 Heidegger: Che case Ia metaf!Sica? 1931 Huss~d: Meditazioni cartesiane
Letteratura
1929 Hemingway: Addio aile armi. Moravia: Gli indifferenti.
1930 Breton: TI secondo manifesto surrealista.
1931 Rosenberg: fl mito del secolo XX
1932 Jaspers: Filosofia.
1933
1934
Hitler Cancelliere del Reich. Leggi razzistiche. Portogallo: Salazar al potere. Germania: La notte dei 'lunghi coltelli'. URSS: cominciano le grandi purghe.
1935
Chiang Kai-shek/eresidente della Cina. Fine ella lunga marcia: repubblica comunista dello Shensi.
1936
Guerra civile in S~agna. Proclamazione de l'impero in ltalia. Asse Roma-Berlino Schlich assassinato. Dispersione del circolo di Vienna.
Maritain: Distinguere per unire Bergson: Le due sorgenti. Mounier fonda Ia rivista Esprit Marc use: L 'ontologia di Hegel. Croce: Storia d'Europa. Escono i Manoscrittr ('44) di Marx. Autocritica di Lukacs. 1933 Musil: L 'uomo senza qualitii. 1933 Discorso filonazista di Ungaretti: Sentimento del Heidegger. Einstein lascia tempo. Ia Germania
1934 Popper: Logica della scoperta scientifica. Benedict: I modelli. Germania: La 'chiesa confessante' contra il nazismo 1935 Mounier: Rivoluzione personalista e comunitaria. Marcel: Essere e avere Mead: Sessa e temperamento. Barth espulso dalla Germania 1936 Husser!: La crisi delle scienze europee. Maritain: Umanesimo integra/e. Mounier: Manifesto del personalismo Sartre: L 'Immaginazione.
1934 Palazzeschi: Le sore lie Materassi.
t93s Eliot: Assassinio nella cattedra/e.
1936 Bernanos: Diario di un parroco di campagna. Pavese: Lavorare stanca.
1937 Mao Tse-tun5,: Sui/a pratica. 1938
1939 1940 1941
Sui/a contra dizione Annessione nazista dell' Austria 1938 Dewey: Logica, teoria della indagine. A Vienna: arresto di Kautski. Croce: La storia come pensiero A Berlino: ror,hi dei libri proibiti. Italia: 'Mani esto della razza'. e come azione. Pio XII papa. Stalin: Materialismo dialettico e materialismo storica Scoppia Ia IT/ruerra mondiale. 1939 Freud: Mose e il monoteismo. Dittatura di ranco. L'Italia entra in guerra. 1940 Theilard de Chardin: II fenomeno umano. Messico: assassinio di Trockij. Suicidio di W. Benjamin. Carta Atlantica 1941 Bultmann: Nuovo Testamento e mifologia. Mar.J.Se: Ragione''o rivoluzione. 1942 Popper: Che cos 'e Ia dialettica?
1938 Sartre: La nausea. Quasimodo: Poesie.
1939 Brecht: Madre Coraggio. Montale: Le occasioni.
1940 Hemingway: Per chi suona Ia campana.
1941 Vittorini: Conversazione in Sicilia.
1942 Camus: Lo straniero. Quasimodo: Ed e subito sera. Eluard: Poesia e veritii.
1943
1944 1945
Capitolazione di Stalingrado. 1943 Sartre: L 'essere e il nulla. Gentile: Discorso agli italiani. Cad uta del fascismo. Heidegger: L 'essenza della Armistizio tra l'Italia e gli veritii. Alleati. 1944 Heidegger escluso La Resistenza in ltalia e in dall'insegnamento. Europa. Gentile giustiziato. Conferenza di Yalta. 1945 Popper: La societd aperta. Sartre fonda Tempi mode mi. Mussolini fucilato. Bonhoeffer: Resistenza e resa. Impiccato Bonhoeffer. Marte di Hitler. Nascita deli'ONU. Atomica su Hiroshima.
1945 Saba: Canzoniere.
Levi: Cristo si e fermata a Eboli. Vittorini: Uomini e no; Rivista II Politecnico.
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15 • Scuola di Francoforte
sotto la categoria del dominio. Con la rivoluzione scientifica l'uomo si e emancipate dalla.natura, rna a prezzo di una regressione il cui sbocco naturale e il fascismo, che estende il dominio dell'uomo sulla natura al dominio dell'uomo sull'uomo. Ed e qui che si innesta il contribute dell'analisi freudiana della societa: alla base del progresso (14.6) c'e l'inibizione degli impulsi vitali, e dunque un evento patologico. M~ le vie seguite dai francofortiani, durante e dopo l'esilio in USA, non sono riducibili a un pensiero comune. Le forti personalita del gruppo hanna seguito vie diverse, anche dopo che, nel 1950, l'Istituto tomo a Francoforte. Horkheimer, ad esempio, e in certa misura anche Adorno, si avvicineranno alla tradizione giudeo-cristiana della teologia negativa, sia pure su una linea meramente antropologica, per opporre alla 'totalita' onnipotente della civilta tecnologica, !'utopia del 'totalmente Altro', a cui pero non danno un nome e che resta come un punta d'appoggio critico all'esigenza di uscir fuori dalle maglie di menzogne in cui consiste la civilta tecnologica, quale che ne sia il segno ideologico. Erich Fromm sviluppera il suo psicologismo attenuando all'estremo l'analisi dialettica della societa e proponendo un umanesimo progressista, di grande successo nelle fasce culturali piu inquiete della societa capitalistica. Marcuse, insediatosi definitivamente in USA, trovera il suo momenta aureo negli anni recenti della contestazione giovanile. L'Istituto ha trovato una sua nuova vitalita in questi ultimi anni, sotto la direzione di Jiirgen Habermas, che tenta di adeguare ai tempi nuovi i principi della teoria critica. Soffermarci su Marcuse e su Habermas vorra dire anche interrogarci su che resta di vivo, oggi, della Scuola di Francoforte. 15.2 Marcuse: I'uomo a una dimensione. Fin dai suoi esordi, la postzwne teorica di Herbert Marcuse· e nettamente antipositivistica, fino a far propri alcuni temi sviluppati dall'esistenzialismo. Solo che, rileva ben presto Marcuse, l' esistenzialismo ha tradito la sua ispirazione originaria, ponendosi di fatto al servizio delle ideologie di dominio, come dimostra l'adesione - sia pure per un periodo molto breve - di Heidegger al nazismo. Tenendosi al riparo dagli slittamenti soggettivistici, egli si orienta verso il recupero dell'ispirazione hegeliana e l'utilizzazione creativa del pensiero di Marx: e con questi strumenti che elabora una critica teorica della modema societa tecnologica (il cui prototipo si identifichera, a un certo punta, con l"affluente' societa nord-americana), vista
Herbert'Marcuse nasce a Berlino nel 1898. Si laurea nel 1921 (il relatore e Heidegger) con una tesi su Hegel e, dalla meta degli anni 20, entra, a Francoforte, a far parte dell1stituto per la ricerca sociale. Negli anni '30 collabora con Horkheimer alla stesura di un saggio dedicato agli studi sull'autorita e la famiglia. Emigra negli Stati Uniti, in seguito all'avvento al potere di Hitler. Rimane negli Stati Unit~ dove lavora presso varie Universita e comincia a pubblicare le sue piu importanti opere, tra le quali vanno ricordate Ragione e Rivoluzione (1941), Erose Civilta (1955), Marxismo sovietico (1958) e L'uomo a una dimensione (1964). Muore nel1974.
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come societa sostanzialmente totalitaria. II pensiero di Hegel non va letto, secondo Marcuse, come la reazionaria anticipazione di un germanesimo che sarebbe poi sfociato nel nazismo, rna co:rne pensiero critico e creativo, caratterizzato dalla capacita di fomire gli strumenti atti a separare 1' esistente, il dato di fatto, dalle esigenze della razionalita. Senza il pensiero di Hegel non e infatti possibile comprendere nemmeno quella sua fondamentale negazione storica che fu la dottrina di Marx. Questa il nucleo del pensiero marcusiano, gia chiai·amente presente in Ragione e rivoluzione (1941). Riprendendo l'esigenza, pasta dal marxismo, dell'abolizione della proprieta privata e della conseguente socializzazione dei mezzi di produzione, Marcuse rileva che questa e, senza dubbio, la premessa, rna non l'automatica garanzia della costruzione di una societa veramente Iibera: La socializzazione dei mezzi di produzione e, come tale, un mero fatto economico, cosi come qualsiasi altra istituzione · economica. L'affermazione secondo cui essa costituisce l'inizio di un nuovo ordine sociale e subordinata a cio che l'uomo fa di questi mezzi di produzione socializzata.
L'abolizione della proprieta privata puo, dunque, costituire l'inizio di un sistema sociale libero e radicalmene nuovo, solo se «individui liberi, e non 'la societa', divengono padroni dei mezzi di produzione socializzati». Ma perche gli individui possano dirsi veramente liberi, il 'lavoro', nell'accezione in cui lo si conosce oggi, deve essere non tanto 'Iiberato' quanta sostanzialmente 'eliminato'. D'altronde, lo stesso Marx considerava la futura forma dellavoro talmente diversa da quella oggi in atto nel capitalismo da evitare «di usare lo stesso termine per indicare sia il processo materiale della societa capitalistica sia quello della societa socialista». II lavoro, neli'ottica di Marcuse, e la negazione di un libero e creativo sviluppo: dunque, un progetto di liberazione deli'individuo comporta anzitutto la negazione dellavoro quando questa non rientri nella Iibera, cniativa e spontanea iniziativa deli'uomo. II riferimento di Marcuse a Marx e al marxismo non implica, evidentemente, alcun riferimento al marxismo che oggi suol dirsi 'reale'. Nel suo libra Marxismo sovietico (1958) egli sostiene che in URSS il marxismo ha una funzione puramente prammatica, di giustificazione ideologica dell'ordine esistente, e pili precisamente del tipo di sviluppo basato suli'industrializzazione terroristica, che l'URSS e stata costretta a realizzare perche accerchiata dai paesi capitalistici. Comunque, la societa sovietica tende sempre di pili ad omogeneizzarsi alia societa occidentale: quasi identic<:~·'e la loMica intema, identica la tendenza alia burocratizzazione e alia razionalizzazione dell'economia, identico lo sviluppo di un sistema di valori legati alia produzione e al lavoro; entrambe sono accomunate in un duro giudizio di disapprovazione, per il convergente universo tecnologico-autoritario che tendono a instaurare. A questa riguardo, tra i due tipi di societa una differenza esiste: mentre nella societa sovietica si assiste a un regime fondato sui terrore, nella societa socialmente avanzata dell'occidente il totalitarismo viene esercitato per mezzo del pluralismo, della democrazia, della tolleranza. La critica della 'tolleranza repressiva' e la delineazione di possibili orizzonti
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di liberazione sono al centro delle riflessioni sviluppate ne L 'uomo a una dimensione e in Eros e civiltti II termine 'totalitarismo' si applica, secondo Marcuse, non soltanto a una organizzazione politica e terroristica della societa, rna anche a una organizzaziqne economico-tecnica che opera (in un quadro di apparente democrazia) mediante Ia manipolazione dei bisogni da parte di interessi costituiti. Tale organizzazione della societa ... preclude per tale via l'emergere di una posizione efficace contro l'insieme del sistema. Non soltanto una forma specifica di govemo di dominio politico produce il totalitarismo, rna pure un sistema specifico di distribuzione, sistema che puo essere benissimo compatibile con un 'pluralismo' di partiti, di giomali, di 'poteri controbilanciati', ecc..
Sotto l'apparenza della liberta e della democrazia, prevale in realta una 'confortevole e ragionevole' non-liberta sostanziale. Lo stesso pensiero critico e rivoluzionario ha dovuto cedere il passo di fronte al conformismo di una ideologia generalizzata (e universalmente impostasi), che ha l'apparenza della razionalita e la sostanza del dominio oppressivo. E' compito della razionalita critica smascherare tale meccanismo, rivelando e mettendo a fuoco il carattere piattamente e uniformemente unidimensionale della societa. La cultura dominante, unidimensionale in tutti i suoi aspetti, dalla filosofia all'arte, al modo comune di pensare, ha tolto ogni spazio alia 'seconda dimensione', costituita dal pensiero critico e dal principia della negativita. Non solo, rna la societa uniformante ed unidimensionale ha assorbito anche l'antagonismo dei tradizionali soggetti rivoluzionari, come la classe operaia, ormai integrata fondamentalmente nell'universo di valori e nella logica del sistema. Un interesse prepotente per la conservazione e il miglioramento dello status quo istituzionale unisce gli antagonisti di un tempo (cioe la classe borghese e quella proletaria) nelle aree piu avanzate della societa contemporanea.
La tesi dell'integrazione della classe operaia all'intemo del sistema capitalistico (tesi che, in seguito, sara lui stesso a ridimensionare) Marcuse la desume dall' osservazione della societa nord-americana. Se i soggetti tradizionali del cambiamento hanno smarrito il loro antagonismo, chi puo farsi portatore di valori altemativi? Marcuse cerca di individuare nuovi soggetti all'intemo della dimensione della marginalita, che comprende gli strati, i gruppi, gli individui che il potere esclude, e che quindi oggettivamente tendono a porsi fuori della sua logica repressiva. Tali sono i reietti, gli stranieri, gli sfruttati e i perseguitati di altre razze e colori, i disoccupati e gli inabili, Essi permangono al di fuori del processo democratico... Percio la loro opposizione e rivoluzionaria anche se non lo e la loro coscienza. La loro opposizione ... e una forza elementare che viola le regole del gioco e cosi facendo dimostra che e un gioco truccato ...
Nel discorso marcusiano c'e anche una qualche contraddizione nel mettere troppo facilmente in relazione (si direbbe, quasi, nel giustapporre) la logica totalizzante del sistema con la potenziale capacita di opposizione dei gruppi emarginati, portatori di una dimensione esistenziale e politica alternativa, ai
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quali e difficile attribuire Ia capacita di realizzare e di guidare una sostanziale fuoriuscita dal sistema. . E' che in Marcuse l'analisi fortemente pessimistica del presente sembra convivere con un orizzonte utopico a sfondo ottimistico di per se indistruttibile. Nel delinearlo, egli ricorre aile categorie del pensiero freudiano assumendole criticamente in un'ottica eversiva e rivoluzionaria. Secondo Freud, infatti, Ia civilta si costituisce come realta; associata e progredisce sulla base della repressione e sublimazione degli ~istinti. Nella concezione freudiana, un certo grado di repressione e di rinuncia alia soddisfazione istintuale e ritenuto utile e, comunque, non eliminabile, per quanta sia fonte di nevrosi e sofferenza. Marcuse accetta l'interpretazione freudiana, rna ne contesta l'ineluttabilita delle conclusioni, dovute allo spirito rinunciatario e conservatore del padre della psicoanalisi. Se infatti e incontestabile che la societa si e costituita sulla base della repressione degli istinti, non e detto che essa debba inevitabilmente cosi arlentarsi e regolarsi. La felicita dell'uomo futuro non puo aversi sulla base del controllo e della repressione dell'Eros, rna deve basarsi, al contrario, sulla sua liberazione e sui suo pieno dispiegamento. II princfpio di realta, invocato da Freud, puo riconciliarsi col principia del piacere; Eros puo finalmente ricongiungersi a Logos. La liberazione della istintualita sessuale, condizione indispensabile per Ia realizzazione della felicita umana e di una Iibera 'civilta della libido' (Marcuse ha una concezione estesa della sessualita, che non racchiude esclusivamene nella genitalita), potra realizzarsi se l'energia umana non sara piu impiegata al servizio della produzione e se Ia vita non sara piu regolata dal principia di prestazione e di efficienza. La possibilita di una esistenza piu Iibera potrebbe realizzarsi oggi, in un contesto in cui Ia tecnologia puo permettere ·di soddisfare i bisogni essenziali senza necessariamente ricorrere alia repressione e alia prestazione di lavoro alienato. Certo, Ia fine del lavoro alienato e l'espansione del tempo Iibera - . che dovrebbe, in questa attica, divenire tendenzialmente il tempo stesso della vita - potrebbero portare a una regressione delle condizioni materiali di vita, rna porterebbero anche, e con certezza, a una umanizzazione dell'esistenza, contrassegnata, oltre che dalla liberazione della sessualita, da un'attivita Iibera e creativa, pienamente conforme alle potenzialita umane (l'arte, Ia musica, il gioco, il lavoro puramente creativo ... ) che il capitalismo mortifica e umilia.
15.3 Haberinas: il feudalesimo tecnologico. Meno utopica di quella di Marcuse e piu aperta alia concretezza politica e la posizione di Jiirgen Habermas. • In lui, la tradizione della 'teoria critica' si Iibera dalla funzione determinante del 'pensiero negativo'. AI centro della sua ricerca ci sono i mutamenti prodottisi all'intemo della sfera pubblica borghese: e dal secolo scorso, secondo la sua analisi, che, col mutare del ruolo degli intellettuali, viene meno ogni autentica attivita critica. Infatti, gli intellettuali appaiono oggi come un ceto di funzionari della cultura e dell'apparato burocratico, con la conseguenza che sempre piu profonda si fa la frattura tra le minoranze degli specialisti e la massa, che ha invece nei mass-media il suo punto unico di riferimento. Un fenomeno
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Scuola di Francoforte
ancora piu incisivo e la crescente compenetrazione tra la sfera privata e l'apparato dello Stato: una trasformazione che rimette in discussione la stessa concezione della liberta di tradizione liberale. Si assiste cosi, nel mondo odierno, a una sorta di nuova feudalizzazione della societa, plasmata dalle spinte corporative dei centri oligopolistici e dei gruppi di potere, che, agendo dietro le quinte e formando un vero e proprio potere occulto, si fanno portatori di forti interessi, non esplicitamente dichiarabili. II pubblico e plasmato dai mass-media, che, lungi dallo svolgere il ruolo tradizionalmente ricoperto dalla libera stampa, vengono a procacciare «pubblico prestigio a una persona o a una cosa», offrendole «possibilita di acclamazione in un clima di opinione non-pubblica». Al classico concetto di 'opinione pubblica' va dunque sostituito quello di massa; una massa che, sostanzialmente depoliticizzata e deideologizzata, subendo l'influsso degli apparati di manipolazione del consenso, si mostra sostanzialmente interessata al mantenimento dello status quo. II che non comporta una svalutazione completa della tradizione democratico-liberale e di certe conquiste proprie delle societa democratiche: certamente sono stati elementi positivi la diffusione del suffragio universale e la stessa diffusione dell'informazione. Solo che tali conquiste si sono sostanzialmente svuotate di contenuto, nell'epoca della manipolazione di massa e della trasformazione degli organi statali ed amministrativi in apparati 'autoritari astratti', difficilmente controllabili dal cittadino comune. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: la societa democratica si regge su di una partecipazione piu formale che sostanziale dei cittadini alia vita pubblica e, dunque, su di un uso mistificato degli stessi concetti di liberta e democrazia. II ruolo stesso dei partiti politici e degli organismi democratici subisce, in un contesto del genere, una trasformazione che li porta a divenire strumenti di integrazione, gestiti da coloro che siedono alia direzione degli apparati e che, di tanto in tanto, invitano la loro base di consenso a non partecipare a reali decisioni politiche, rna a ·eleggere e ad acclamare. La politica non e piu luogo di organizzazione di una volonta libera, rna diventa uno degli strumenti che garantiscono il funzionamento del sistema, al quale e assicurato il consenso da parte di una pluralita di istituzioni, in particolare dei partiti politici, che non sono piu sedi reali di discussione e di decisione, rna autentiche corporazioni. II vero problema, nel capitalismo maturo, non e piu di legittimare il potere della classe borghese, e di assicurare il funzionamento dell'insieme del sistema socia-
Jiirgen Habermas e nato a Gummersbach nel 1929. Professore prima all'Universita di Heidelberg, poi a quella di Francoforte, e, dal 1971, direttore dell'Istituto Max Planck, che intende promuovere lo studio delle condizioni di vita nelle societa industriali. Tra le sue opere principali: Storia e critica dell'opinione pubblica (1962), Teoria e prassi (1963), Logica delle scienze sociali (1967), Per la ricostruzione del materialismo storico (1967), Conoscenza e interesse (1968), La crisi della razionalita nel capitalismo maturo (1973 ).
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le, finalizzato ormai a pili sofisticate e complesse forme di dominio: un campito che e svolto dalla razionalita scientifica e dalla tecnica. Se ·questo e il quadro che si ha di fronte, I'emancipazione dalla situazione di controllo e di manipolazione non puo basarsi sulle vecchie categorie della coscienza e della organizzazione; terreno di Iotta tra chi domina e chi e dominato e il linguaggio. Come esiste un linguaggio che veicola il consenso e l'ac. quiescenza alla situazione esistente, puo, infatti, esistere un altro linguaggio, • che si faccia portatore di un processo di positiva decodificazione e di rischiaramento, premessa di un nuovo ed alternativo discorso. E' precisamente attraverso tali 'varchi linguistici' che puo passare il processo di emancipazione della razionalita dominante. La posta in gioco e certamente notevole: si tratta di tentare di sviluppare un 'potenziale democratico' che possa contribuire «... a uno sviluppo della democrazia formale in democrazia sostanziale, della democrazia liberale in democrazia sociale)), di riuscire a «... influenzare le decisioni politiche, incanalandole verso la realizzazione di una societa Iibera)). Perche la coscienza si metta in moto in questa direzione, un presupposto decisivo e l'identita dell'io, e cioe una riflessione capace di mettere a fuoco le distorsioni che caratterizzano ogni processo comunicativo, svelando i reali elementi che sottostanno alla falsa coscienza ideologica. Se chiaro appare l'orizzonte in cui si situa la concezione di Habermas, ispirata alla fiducia nell'efficacia della razionalita discorsiva (contrapposta alla falsa razionalita scientifico-tecnologica), non altrettanto chiara e la determinazione dei soggetti che, sul piano sociale, possono far~i portatori di un progetto di emancipazione. A volte sembra che essi debbano essere individuati fra gli emarginati, a volte fra i gruppi di intellettuali o di studenti. L'indicazione pili convincente e che soggetti della trasformazione possano essere tutti ·coloro che, in determinate situazioni, si pongono il problema di contrastare e discutere la falsa razionalita del potere.
La pluralita dei marxismi 15.4 La fine dell'ortodossia. Nel 1956, tre anni dopo la morte di Stalin, aprendo il XX Congresso del Partito Comunista dell'Unione Sovietica, il nuovo leader sovietico, Kruscev, den uncia con implacabile efficacia le 'deviazioni' dell' epoca stalini
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Anche nel periodo di piu salda egemonia del marxismo-leninismo di derivazione staliniana, sono sempre esistite posizioni creativamente 'devianti' (come nel caso dei pensatori del marxismo occidentale, 8.10-14), rna esse venivano vissute negativamente, appunto come 'deviazioni' prive di legittimita, almeno in seno alia forte componente comunista del movimento operaio, con il conseguente isolamento di alcuni degli 'eretici' (e il caso di Korsch) o la penosa e travagliata autocritica di altri (e il caso di Lukacs). Una sorte, questa, che e toccata non solo ai cosidetti 'marxisti occidentali' rna a molti altri, tra i quali ci limitiamo a menzionare Wilhelm Reich (1897-1957), espulso dal partito comunista tedesco nel 1933 per le posizioni tendenti a conciliare marxismo e psicoanalisi, in un originale pensiero rivoluzionario, orientato contemporaneamente verso la liberazione sociale e verso la liberazione sessuale, cui si oppongono l'autoritarismo della famiglia tradizionale e la morale della societa borghese. A partire dalla seconda meta degli anni '50, e con piu vivacita dall'inizio degli anni '60, una pluralita di posizioni teoriche in campo marxista (una pluralita, come si diceva, di 'marxismi') diviene un dato di fatto, accettato 'naturalmente', e vissuto comunque in maniera non piu lacerante ne drammatica. Tale acquisizione non e accettata, ovviamente, dai depositari dell'ortodossia ancora in vigore nell'Unione Sovietica, dove, a una impostazione molto rigida sui piano della ricostruzione storiografica ufficiale (per cui non si darebbe, nella storia dell'URSS, nessuno 'stalinismo', rna solo alcuni 'errori' e 'deviazioni', imputabili a un singolo, nell'ambito, peraltro, di un'ininterrotta e indiscussa continuita nella costruzione del socialismo), corrisponde una ristabilita rigidita sui piano teorico-filosofico. Nel 1959, un autorevole gruppo di studiosi ha riproposto i principi del marxismo leninismo ne I fondamenti della filosofia marxista. Nell'opera, pubblicata a cura dell'Accademia delle Scienze dell'Unione Sovietica, viene riaffermata la profonda unita tra materialismo dialettico, basato sui riconoscimento dell' esistenza oggettiva della realta materiale, e materialismo storico, che studia le leggi dello sviluppo e del funzionamento della societa. In primo piano, naturalmente, la teoria del rispecchiamento: «il mondo esiste oggettivamente, indipendentemente dalla coscienza; gli uomini sono una parte della natura e la riflettono nella propria coscienza». Ne consegue che il materialismo dialettico e «l'unica filosofia scientifica radicata sui fondamento solido della scienza contemporanea». La societa costituisce «una parte del mondo materiale circostante» (anche se, si precisa, una parte affatto particolare) e, dunque, «... le leggi e le categorie del materialismo dialettico conservano illoro valore anche nell'applicazione alia societa». Nello Stato ideologico dell'Unione Sovietica, il marxismo leninismo e ancora inteso come un corpus dottrinario compatto e omogeneo, capace di inquadrare sistematicamente e razionalmente sia le scienze naturali sia le scienze che si occupano della societa. 15.5 Garaudy: dalla scomunica al dialogo. Nel panorama del dibattito marxista del secondo dopoguerra, un particolare rilievo assume Ia ricerca e la battaglia delle idee in Francia, dove il marxismo si confronta e si intreccia con altre culture, a cominciare da quella cattolica, che esprime intellettuali del livello e dell'originalita di Maritain, Mounier e Teilhard de Chardin (9.11-14). E' in
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Francia che tale fecondo intreccio permette, ad esempio, lo svilupparsi della riflessione di un pensatore come Sartre (9.15-18), il quale, pur riconoscendo nel marxismo la filosofia dell'epoca contemporanea, ritiene di poterlo integrare con una dialettica della soggettivita. · E' in Francia che, curiosamente, si registrano 1'esistenza di un partito comunista arroccato e chiuso al nuovo e, contemporaneamente, l'esplosione e lo :sconvolgimento di posizioni aperte e libere di molti pensatori marxisti. , Fra di essi compie un emblematico, travagliato, rna coerente cammino (un cammino ancora in sviluppo) Roger Garaudy*. Partito dall'adesione pressoche totale allo stalinismo - di cui e documento la Teoria materialista della conoscenza (1953), che ripropone la gnoseologia leniniana - se ne distacca, non solo a causa del XX congresso del PCUS, rna anche per il continuo e stretto confronto con le forme di pensiero piu vive della cultura francese, come il cristianesimo evoluzionista di Teilhard di Chardin e l'esistenzialismo di Sartre, in una ricerca inquieta delle ((ragioni di vivere e di agire)) che non trova piu nell'ideologia di provenienza. A partire dagli anni '60 egli ritrova queste ragioni in uno sviluppo originale, e tutt'altro che ortodosso (di qui l'espulsione dal partito, nel '70), del suo marxismo. L'elemento centrale del marxismo e, per Garaudy, l'atto creatore dell'uomo. E' questa un'intuizione che, a suo giudizio, Marx ha mutuato da Fichte e da Hegel, inserendola nel contesto di un pensiero materialistico e rivoluzionario, e che e rintracciabile, non solo nelle opere giovanili, rna anche nel piu maturo pensiero di Marx, nel Marx del Capitale.
Roger Garaudy nasce nel 1913. Professore di filosofia all'Universitil, giunge alla militanza comunista tramite l'esperienza e la testimonianza antifascista (pagata di persona con il carcere, durante il periodo del governo di Vichy, collaborazionista e filotedesco,) e diviene, dopa la guerra, membra del Comitato Centrale del Partito Comunista e deputato al Parlamento. Il suo cammino va dall'approvazione della politica e dell'ideologia staliniana a una graduale apertura, fino alia sua espulsione dal partito, avvenuta nel 1970. Questa non segna la fine dell'impegno politico-culturale del filasofa francese: anzi, ie sue posizioni continuano ad essere occasioni di conironto, non solo per i .marxisti rna anche per i non marxisti. Importimte, e malta nato anche a livello internazionale, e il ruolo di Garaudy nel 'diaZogo' con i cristiani e i cattolici, che recentemente ha dilatato in un ambizioso programma di dialogo tra le civilta e specialmente con !'Islam, con un coinvolgimento cosi diretto da diventare una vera e propria conversione alla religione di Maometto (1984). Nel 1985 ha pubblicato un 'testamento spirituale' dal titolo Biografia del secolo XX. Tra le sue opere ricorderemo: La teoria materialista della conoscenza (1953); L'Umanesimo marxista (1 958): Prospettive dell'uomo (1959); Dio e morto. Studio su Hegel (1962); Karl Marx (1965); Lenin (1968); Dall'anatema al dialogo (1965); Marxismo del XX secolo (1966); Riconquista della speranza (1971 ), L' alternativa (1973 ), Dialogo delle civilta (1977).
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Il marxismo («concezione dell'atto creatore dellavoro umano») non e dunque materialismo metafisico. Partendo da tale pre!)upposto, Garaudy modifica Ia sua precedente teoria della conoscenza come riflesso: il soggetto umano, insieme individuale e sociale, e capace di porsi in un atteggiamento di attiva progettazione delle modifiche del reale, e dunque di elaborare un 'modello' di conoscenza da verificare nella realta. Il marxismo diviene cosi una 'metodologia dell'iniziativa storica', aperto agli apporti e ai contributi che vengono dalla prassi e a quelli che possono provenire dalle altre culture, con le quali e necessario un confronto scevro da pregiudizi. In particolare, il marxismo deve confrontarsi con le tematiche poste dall' esistenzialismo (relativamente alla soggettivita) e con quelle proprie del Cristianesimo (relativamente alla trascendenza). Interessanti sono soprattutto le considerazioni che Garaudy va sviluppando sui rapporto tra marxismo e religione. La religione non e semplicemente definibile come un 'oppio per il popolo'. Come Bloch (8.14), anche Garaudy rivendica l'assunzione - nel suo significato piu pieno - della tesi di Marx secondo Ia quale nella religione si esprime la miseria del popolo, rna si esprime anche, e contemporaneamente, ·la protesta contro tale miseria. Nel considerare e nell'esaminare il fatto religioso e, specificamente, il fatto cristiano, non bisogna dunque fermarsi alia constatazione dell'appoggio concreto spesso fomito dalle chiese aile forze della conservazione, bisogna, invece, tener presente Ia combattivita propria della cultura ebraico-cristiana, che e stata capace di esprimere uomini come Thomas Miintzer, come Pico della Mirandola, e gli altri grandi umanisti cristiani, la cui potente soggettivita mostra come la problematica di fede non possa essere ridotta al ruolo istituzionalizzato dalla chiesa ufficiale. Tramite la religione, si esprime, dunque, anche una forma di trascendenza che non e riducibile ad alienazione, perche e, in qualche modo, espressione dell'ansia di superare le situazioni di oppressione, di infelicita, di disumanizzazione. Dentro l'involucro ideologico della falsa coscienza, che si tratta di superare, Ia religione esprime un progetto umano, sia pure ignaro dell_e reali condizioni, materiali e storiche da cui e prodotto. Il compito del marxismo e di raccogliere le positive istanze poste, in forma non pienamente consapevole, dalla religione e dalla fede, assumendole nel suo progetto storico di liberazione ed emancipazione sociale. Tra cristiani e marxisti deve svilupparsi un dialogo basato sul rispetto, sul riconoscimento reciproco (che e possibile solo liberandosi dalle false rappresentazioni che ci si fanno dell'interlocutore), sulla volonta di costruire un processo di cambiamento delle rispettive culture di provenienza e di appartenen~a. E' un dialogo in cui Garaudy si e effettivamente e costantemente impegnato in prima persona, avviando e tenendo vivo un processo che poi e andato, nella pratica, oltre la fase del dialogo, portando molti credenti a militare in organizzazioni di ispirazione marxista o, se si preferisce, molti militanti marxisti a potersi dire e sentire anche credenti. Una possibilita tradizionalmente esclusa, tanto dal marxismo teorico che dalle chiese. Se la possibilita e diventata realta, dice Garaudy ne L 'alternativa, e perche l'orizzonte in cui porsi non e piu quello della conversione (dal Cristianesimo al marxismo e viceversa), rna quello della compenetrazione tra esperienze ed esigenze diverse.
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Qui Garaudy sembra aver superato quella contrapposizione tra trascendenza u111ana (proiettata cioe verso il futuro storico) e trascendenza divina, che precedentemente egli aveva mantenuta, sia pure nell'ambito di un ateismo puramente 'metodologico'. Per tutta la vita mi sono chiesto se ero o no un cristiano. Per quarant'anni ho risposto di no. Perche ponevo male il problema: come se la fede · fosse incompatibile con una vita di militante. Adesso so che sono una cosH sola. E chela mia speranza di militante non avrebbe fondamento senza quei· la della fede.
II pensiero umanistico di Garaudy, nelle ultime opere, tende a rivalutare nell'ottica di un modo alternativo di vita - il ruolo che possono avere attivita quali Ia danza, il gioco, l'arte (che sono - egli dice, in assonanza con Bloch autentici spazi di trascendenza). Negli ultimi anni, egli si e molto impegnato, con l'azione e con la riflessione, nel dialogo fra civilta e culture diverse, fra la cultura europea e culture e civilta di differente tradizione, spesso ingiustamente trascurate e disprezzate. Anche in questa rimessa in discussione dell'orgoglio eurocentrico, c'e una chiara assonanza con alcune tematiche blochiane. Va forse vista come un gesto di radicale coerenza con la critica all' eurocentrismo la sua singolare scelta di convertirsi alla fede islamica ( 18.16), cioe a una forma religiosa che appartiene, a suo modo, al ceppo ebraico-cristiano, rna che, nei nostri giomi, e un vincolo ideale e una spinta verso il futuro per molti popoli rimasti estranei alia alienazione occidentale. 15.6 Schaff: il personalismo marxista. A una concezione umanistica del marxismo, in un contesto molto diverso da quello in cui opera e scrive Garaudy, si rifa il polacca Adam Schaff*. Secondo Schaff, il problema centrale per Marx e quello.dell'uomo: un problema che Marx ha affrontato soprattutto nelle opere giovanili (cui il filosofo polacca frequentemente si richiama), che pero non devono essere viste come scisse dal complesso della produzione marxiana e dalle opere della maturita. ll marxismo e dunque, per Schaff, un umanesimo, che, per Ia sua scientificita, si pone su un piano di superiorita nei confronti degli altri umanesimi di carattere personalistico, esistenzialistico o religioso. Tale superiorita, essendo il marxismo un umanesimo militante, va affermata anche nella contrapposizione e nella Iotta, senza mai divenire, pero, cieca intolleranza, anzi, lasciando aperta la porta del dialogo fra umanesimi di diversa ispirazione. Nel dialogo e nella possibile collaborazione che puo essere stabilita contra le forze dell'antiumanesimo - particolarmente minaccioso, in un secolo che ha conosciuto forme gravi ed esasperate di oppressione, e che vede pendere sull'umanita la minaccia della distruzione totale -, si possono anche cogliere gli elementi di verita interni alle correnti di pensiero non marxiste. Non e difficile, ad esempio, dice Schaff (pur rifiutando di «accettarne le interpretazioni e le soluzioni estreme») risalire aile «radici» della «filosofia della disperazione» e a quelle delle «... speculazioni filosofiche relative alia solitudine dell'uomo», se si pensa allo svilupparsi di una societa che «... provoca l'indebolimento o anche ia
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scomparsa di legami tradizionali (di vicinato, professionali, familiari ecc.) e, cio che e piu importante, la spersonalizzazione della vita sociale>>. Schaff sostiene dunque che - pur respingendone gli elementi individualistici e irrazionalistici - si deve dialogare con le filosofie umanistiche, che pongono al centro della loro riflessione il problema della soggettivita e della persona umana. Pur respingendo gli aspetti metafisici dell'autonomia individuale nella concezione personalistica e in quella esi.Stenzialista, il marxismo riconosce la peculiarita fisica e l'unicita della struttura psicofisica per cui la persona umana si contraddistingue e viene cosi ad acquisire il carattere di microco.smo. n marxismo, insomma, conferma quanto e fondamentale in fatto di autonomia dell'individuo, senza peraltro accettarne i presupposti mistici e le relative implicazioni.
Nell'affermare il carattere non incondizionato dell'agire umano, e pur negando che la liberta (intesa in termini assoluti) sia il carattere perspicuo della persona - allineandosi in questo a una tradizione che risale a Spinoza e a molti pensatori materialisti -, Schaff giunge a confrontarsi anche con pensatori lontani dal marxi~mo, come Gabriel Marcel. Questione centrale per l'esistenza della persona e indubbiainente la 'felicita': una felicita la cui ricerca, su di un piano individuale, non puo essere lasciata alla creativita e alla soggettivita dei singoli. Infatti, won esiste un modello di felicita valido per tutti e, fortunatamente, tale modello non puo esistere; e inutile cercare di elaborare una standardizzazione della vita felice alla quale tutti debbano attenersi)). La societa puo fare ben poco per mitigare l'infelicita individuale in molti dei suoi aspetti (ad es. la vecchiaia o la malattia del singolo individuo), rna puo fare molto per superare le cause «dell'infelicita che assume dimensioni di mas-
Adam Schaff nasce in Polonia nel 1913. NeZ 1951 scrive fa Teoria della verita nel materialismo e nell'idealismo, in cui non si dfscosta sostanzialmente dall'impostazione marxista tradizionale. Si dedica a ricerche nel campo della semantica, in seguito alle vicende dell'ottobre polacca del 1956 (destalinizzazione, scioperi popolari, ascesa al potere di Gomulka), che sembrano inizialmente segnare il punto di partenza per una rinascita della societd, non solo in campo politico, ma anche nel settore della cultura. In particolare, in Introduzione alla semantica (1969), cerca di pervenire a un recupero e a un nuovo inquadramento degli studi semantici nell'ambito del marxismo (inserendosi, cos~ il1 una tradizione di studi della logica e della filosofia dellinguaggio che caratterizza la Polonia). Ma le sue preferenze restano quelle per un confronto critico con i problemi antropologici affrontati dagli umanesimi contemporane~ in particolare dall'esistenzialismo, che gli ha suggerito opere come la Filosofia dell'uomo (1961) e Il marxismo e la persona umana (1968) e, piu tard~ Storia e verita. Schaff ha pagato le sue posizioni teoriche subendo punizioni economiche e amministrative, come l'esclusione da incarichi accademici e, piu di recente, l'espulsione dal partito.
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sa» nelle forme della sfruttamento, della privazione della liberta, dell'alienazione. Ed e questa, sostiene Schaff, il compito del.socialismo, che puo giocare un ruolo importantissimo nel tentativo di superare le condizioni di alienazione in cui I'uomo, in determinati contesti sociali, si trova a vivere. Non e dunque I'abolizione della proprieta privata dei mezzi di produzione la garanzia automatica del superamento di ogni forma di alienazione. Anche dove la proprieta privata e soppressa, continua a sussistere - sia pure in forme diverse da queUe riscontrabili nella societa capitalistica e pur non esistendo piu la produzione a carattere mercantile - illavoro alienato come elemento dell'alienazione economica. Come pure, nella societa socialista (in cui peraltro molte case sono cambiate rispetto alia condizione della donna) continua ad esistere la «forma tradizionale della famiglia», sulla cui trasformazione nessuno e in grado oggi di «formulare proposte sensate». Analogo il discorso sullo Stato. Anche ammesso che si vada verso la sua estinzione come apparato preposto alia coercizione e alia repressione, lo Stato e destinato a permanere nel tempo come struttura amministrativa, quasi inevitabilmente orientata in sensa gerarchico e burocratico. Questi giudizi di Schaff non vanno intesi solo come riferimenti astratti alia possibilita di superamento delle forme di alienazione nelle condizioni del socialismo, rna soprattutto come concreti pronunciamenti sui tipo di socialismo che storicamente si e realizzato, e che pare avere operata in maniera insufficiente (anche a causa della stile di vita dei gruppi dirigenti) rispetto ai compiti posti dalla Iotta contra Tinfelicita di massa'.
15.7 Althusser: il marxismo strutturalista. Quando Garaudy afferma che lo «strutturalismo astratto e dottrinario, dimenticando che le strutture sono opere umane», porta «all'antiumanesimo teorico, o alia morte dell'uomo», intende alludere chiaramente all'opera e al pensiero di Louis Althusser (n. 1918, ad Algeri). Egli si e impasto all'attenzione, nel 1975, con una racc.olta di saggi intitolati Per Marx e, successivamente, con Leggere il Capitale (scritto in collaborazione con alcuni suoi allievi). Autore di testi come Lenin e la filosofia, Umanesimo e statalismo, Elementi di autocritica, Althusser e il principale esponente di una corrente di pensiero che tende a leggere l'opera di Marx in chiave strutturalistica ( 16.13). La discussione intorno a tale tentativo di interpretazione e di rilettura del pensiero di Marx (che ha suscitato pa:rticolar~ interesse soprattutto sui finire degli anni '60 e all'inizio degli anni '70, quando Ie opere di Althusser, certo di non facile lettura, sono passate per le mani non solo di studiosi rna anche di molti giovani e studenti appartenenti ai movimenti di contestazione) si e profilata, e non solo in Francia, come particolarmente accesa e vivace: il marxismo strutturalista di Althusser si e posto, inevitabilmente, come alternativa radicale al marxismo umanistico. La tesi centrale di Althusser e che, nel pensiero di Marx, sarebbe da rinvenire una 'rottura epistemologica', situabile intorno al 1845 (Tesi su Feuerbach e Ideologia Tedesca), che separerebbe nettamente la prima produzione, ancora succube dell'idealismo hegeliano, dalla produzione successiva, situata in un
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ambito decisamente scientifico (5.16). A nulla serve la dialettica hegeliana, indirizzata a una concezione finalistica e lineare della storia, ai fini della costruzione di una teoria scientifica. Allo stesso modo, e inservibile la produzione del Marx del primo periodo, che ferma la sua analisi al piano dei rapporti fra gli uomini e dei rapporti tra gli uomini e il mondo, che e come dire al piano purament~ 'ideologico' delle apparenze sensibili. Completamente diverso, secondo Althusser, il discorso relativo al Marx delle seconda fase, che non si sofferma a cogliere quanto gli uomini vivono sul piano storico, rna cerca di delineare, in modo sistematico, una teoria capace di cogliere la struttura del reale. E' dunque in un'ottica radicalmente antihegeliana, antistoricista, anti-teleologica che Althusser si accosta a Marx, ed e in quest'ottica che inquadra la sua produzione matura e principalmente il Capitale. Al Capitale Althusser non si accosta tramite la semplice lettura testuale, rna tramite la lettura sintomale, mutuata dalla psicoanalisi (14.7): «Dobbiamo sottoporre il testo di Marx... ad una lettura sintomale, per discemervi, nell'apparente continuita del discorso, le lacune, i vuoti e le flessioni di rigore, i luoghi in cui il discorso di Marx non e che il non-detto del suo silenzio che sorge dal suo stesso discorso)). Si tratta, in altre parole, di «misurare il piu esattamente possibile il grado di coscienza filosofica cui era pervenuto Marx nel corso dell' elaborazione del Capitale)). Che e come dire che il testo di Marx presenta una trama concettuale, in cui ci sono dei 'non-detti', delle assenze, attraverso le quali si puo pen) risalire a quanto sarebbe il 'detto', l'evidente, se fosse pienamente e coerentemente esplicitato. Attraverso la lettura sintomale, si puo giungere - nella catena significante - al concetto mancante, adeguando le risposte a domande mai formulate, rna evidentemente presenti 'inconsciamente'. E' tramite questo procedimento che Marx puo essere Iiberato dai residui - apparentemente presenti - di hegelismo e letto in maniera corretta e scientifica. Oggetto del Capitale e, infatti, il problema del discorso scientifico: un discorso scientifico che, tramite i concetti di valore e valore d'uso, plusvalore, lavoro concreto e lavoro astratto, analizza il modo capitalistico di produzione. II modo di produzione di una formazione economico-sociale concreta e costituito dal processo di produzione e dal processo di riproduzione sociale: ai centro della ricostruzione scientifica del pensiero marxiano e, per l'appunto, la conoscenza di una formazione sociale concreta, esaminata come un tutto complesso (definito nelle sue articolazioni e nelle sue contraddizioni). II primato attribuito da Althusser all'analisi e al ruolo della struttura ha conseguenze drastiche per quanto riguarda il problema del ruolo dell'uomo nella storia, un ruo}o,·the la teoria althusseriana tende a definire in maniera fortemente antiidealistica: «Dopo Marx - egli afferma perentoriamente - sappiamo che l'uomo non e piu il soggetto della storia)). Infatti, «i vari soggetti sono i rapporti di produzione)) o, detto in altri termini, <>. Nell'impostazione scientifico-strutturalista di Althusser non c' e, dunque, spazio per il «falso problema della funzione dell'individuo nella storia)), essendo il vero problema un altro: «il concetto delle forme storiche di esistenza dell'indi vid uali ta». «Gli uomini appaiono nella teoria soltanto sotto forma di supporti delle relazioni implicate nella struttura», scrive Althusser, e dunque «gli individui sono
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solo gli effetti della struttura». Pertarito, in primo piano, per Althusser, e l'analisi scientifica della struttura, sola possibile premessa a un successivo impegno nella prassi storica, in direzione della trasformazione sociale (16.13). La struttura e, per Althusser, una struttura globale: tale concezione supera evidentemente la distinzione, invalsa nella tradizione marxista, fra struttura e sovrastruttura. All'interno della struttura globale rientrano sia il modo di produzione sia altri fattori ed elementi, anche di natura ideologica, che con il modo di produzione si pongono in rapporto, condizionandolo (il campo strettamente economico e definito da Althusser come una struttura regionale). L'ideologia non e, dunque, puramente e semplicemente, «falsa coscienza», non e puro rovesciamento immaginario dei rapporti sociali: essa ha, in qualche modo, esistenza materiale ed efficacia pratica. Le ideologie sono viste, infatti, nella loro esistenza (che va ben oltre l'effetto di puro «ritornm> della tradiziona- , le categoria della sovrastruttura sulla «base materiale»), come inserite nel processo materiale dei rapporti sociali, al cui mantenimento sono finalizzate. TI dato ideologico ha dunque un preciso ruolo all'interno dell'equilibrio complessivo della struttura sociale, in. cui deve essere assicurato l'assoggettamento degli uomini a rapporti di produzione b~sati sull'estorsione del plusvalore. Accanto agli apparati statuali repressivi (esercito, magistratura, ecc.), ci sono, dunque, anche strutture materiali che fungono da apparati ideologici dello Stato, finalizzati a riprodurre l'ideologia delle classi dominanti. Tali apparati, il cui rapporto con la societa non e meccanico, rna dinamico e parzialmente contradditorio (in quanto riflettono le contraddizioni della societa), sono individuati nella istituzione familiare, neUe istituzioni politiche, nel sistema di informazione, ecc. L'inserimento degli apparati ideologici all'interno di un tutto strutturato, in cui essi hanno rilevanza materiale oltreche ideale, porta, nell'impianto althusseriano, al superamento della difficolta in cui tradizionalmente si e imbattuto il pensiero marxista, che faceva dipendere, sia pure in ultima istanza, gli aspetti ideologici e sovrastrutturali dal rapporto con la base mater~ale.
15.8. n dibattito marxista in Italia. Caratteri originali ha avuto, in questo dopoguerra, il dibattito sui marxismo in Italia, che assume e svolge una ricca pluralita di riferimenti e di suggestioni culturali, dall'eredita teorica e ideale di Gramsci (8.8) agli influssi crociani e neo-idealisti, dallo storicismo al recupero della problematica hegeliana, fino ad alcune rivalutazioni della filosofia della natura di derivazione engelsiana. In questo quadro si inserisce l'opera di Antonio Banfi (1886-1957), giunto tardi al marxismo, dopo un'attivita di riflessione teorica dominata dal confronto con Ia cultura europea e, in particolare, con il pensiero tedesco, che egli ha contribuito a diffondere nel nostro paese. II suo pensiero ha, infatti, un respiro europeo, che lo colloca in una posizione affatto particolare all'interno del panorama filosofico italiano. La sua elaborazione teorica (che fornisce contributi sui piano dell'estetica, della pedagogia, della teoria critica della societa ... ) di rigoroso impianto razionalistico, lo conduce alia 'svolta copernicana' dell'adesione al marxismo, quale strumento di realizzazione di una ragione storica e critica. La sua riflessione, ispirata ai principi del razionalismo e della storicismo, J
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avvalendosi della rivista 'Studi Filosofici' da lui diretta dal 1940 al 1949, si e espressa in una consistente produzione teorica, che va da opere come Filosofia e vita spirituale a I principi della teoria della ragione ai Principi di una teoria della ragione, fino a L 'uomo copernicano e alla Rice rca della Realtil, uscito postumo nel 1959. Un contributo rilevante allo sviluppo della teoria marxista e stato fornito da Calvano Della Volpe ( 1895-1968), autore di opere come La teo ria marxista dell'emancipaziorie umana; Per la teoria di un umanesimo positivo; Logica come scienza positiva; La libertd comunista; Rousseau e Marx, arrivato anche lui al marxismo dall'esterno, e cioe da posizioni vicine all'attualismo gentiliano. Difatti, Della Volpe sviluppa del marxismo proprio le istanze pili radicalmente anti-idealistiche. C'e, secondo lui, una contraddizione radicale e insanabile tra la dialettica di Marx e la dialettica hegeliana: dialettica delle astrazioni storiche e determinate la prima, astratta dialettica delle idee la seconda. Nel marxismo si invera la razionalita propria dello spirito scientifico, che niente ha da spartire con le problematiche dell'idealismo. La nizionalita logico-sperimentale che si ritrova nel marxismo ha, secondo Della Volpe, ascendenze molto lontane, che possono essere fatte risalire all'antica critica aristotelica del platonismo e, pili di recente, alla filosofia sperimentale modema inagurata da Galilei. ll discorso di Della Volpe contribuisce non solo a sviluppare una lettura scientifica del marxismo, rna anche a elaborare alcuni principi di un' estetica orientata in senso materialistico, radicalmente critica nei confronti di un'estetica idealistica, rna anche del 'sociologismo' rintracciabile nell'impostazione lukacsiana. Nel suo pensiero, oltre alla riflessione sul tipo di approccio da sviluppare nei confronti della teoria marxista, trovano ampio spazio le tematiche relative alla configurazione della futura societa socialista: una societa in cui i principi comunisti dovrebbero trovare una loro concil1azione con le istanze democratiche delle liberta civili. A una rivalutazione dell'impostazione engelsiana lega il suo nome Ludovico Geymonat (Torino 1908), la cui riflessione e particolarmente dedicata ai problemi della filosofia della scienza. Autore di opere come Il problema della conoscenza nel positivismo; La nuova filosofia della natura in Germania,· Storia e filosofia dell'analisi infinitesimale; Saggi di filosofia neorealistici; Scienza e realismo, Geymonat appare, fin dal primo periodo della sua riflessione teorica, preoccupato della necessita di difendere il metodo scientifico e la conoscenza scientifica del reale dagli attacchi del neo-idealismo. Molto sensibile alle impostazioni del neo-positivismo e del neo-razionalismo, Geymonat non inquadra affatto negativamente l'attuale crisi dei fondamenti della scienza contemporanea: tale crisi manifesta, anzi, il carattere mai assoluto e definitivo delle ipotesi e delle conoscenze scientifiche. La scienza non e tuttavia concepita da Geymonat come qualcosa di separato dall'impegno nell'ambito sociale e politico, cui il rigore della ricerca scientifica va anzi strettamente collegato. La 'singolarita' delle attuali impostazioni di Geymonat consiste nell'ipotesi - a dir poco controcorrente - che il materialismo dialettico sia compatibile con i procedimenti della conoscenza scientifica.
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Crisi del marxismo nella nuova condizione storica15.9 II marxismo in un contesto extraeuropeo: Mao Tse-tung. Molto diverso dal marxismo affermatosi nella tradizione europea, sia occidentale che sovietica, e il marxismo sviluppatosi in Cina nella elaborazione politica e teorica di Mao Tse-tung•, del quale tomeremo a occuparci (18.15-16) nel quadro degli sviluppi recenti del pensiero cinese. Nell'accento posto imperiosamente sulla forza mobilitante dell'ideologia, sugli 'incentivi ideali', sul primato del collettivo e del pubblico sull"egoistico' interesse personale, stanno alcuni dei tratti distintivi del marxismo di Mao Tsetung (o, come veniva definito in Cina, del 'pensiero di Mao'). Dichiarandosi sempre antitrockista, Mao mostra di aver assunto (probabilmente in modo del tutto inconsapevole) alcuni elementi della concezione trockista, quando fa riferimento (e lo fa di continuo) alla rivoluzione permanente, alla persistenza delle contraddizioni di classe in una societa socialista, ·contraddizioni che possono essere superate solo nel ripetersi di rivoluzioni di indefinita lunghezza.
Mao Tse-tung, di origine contadina, nasce nel 1893 nella regione della Hunan. Compiuti gli studi medi superiori, entra a far parte del movimento rivoluzionario del dottor Sun Yat-Sen, il 'padre della Cina moderna' (1 8.14), esponente della rivoluzione democratico-borghese. Ben presto si orienta in sensa marxista ed e, nel 1921, tra i fondatori del Partito Comunista Cinese. Morto Sun Yat-Sen, Ia direzione del Kuomin.tang (il movimento nazionalista) passa nelle mani di Ciang Kai-scek, che si orienta verso una politica di feroce repressione anticomunista. Ed e iJ1 seguito ai massacri anticomunisti di Kanton (1 926) che Mao Tse-tung comincia ad elaborare una sua originale linea politica. In sostanziale contrasto con l'indirizzo dell1nternazionale comunista, Mao basa infatti, da allora, Ia sua strategia rivoluzionaria sulla forza delle grandi masse dei contadini e concretizza la sua azione nella costruzione di un esercito popolare nelle campagne: le campagne devono, nella sua visione, accerchiare le cittd. E' infatti lontano dai centri urbani che si gioca, per circa due decenn~ la carta della rivoluzione cines e. L 'esercito popolare marxista ottiene numerosi successi e Mao (divenuto leader indiscusso del partito) acquista un prestigio internazionale. Un prestigio che si accresce dopo la vicenda della Lunga Marcia (in cui Mao conduce l'esercito verso le province settentrionali), dopo la Iotta nazionale antigiapponese (condotta in alleanza con i nazionalisti) e soprattutto dopo che, ripresa la guerra civile con il Kuomintang, nel secondo dopoguerra, riesce, nel 1949, a sconfiggerlo e ad acquisire il controllo completo del territorio cinese (esclusa !'isola di Formosa, dove lo sconfitto Ciang Kai-scek si rifugia). Dopo la vittoria, Mao !ega il suo nome alle diverse fasi della costruzione della nuova societd.· la fase della 'dittatu-
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ra democratico-popolare' (in cu~ fino al 1956, continuano a permanere alcuni settori dell'economia non completamente nazionalizzati), l'esperienza del 'Grande Balzo' (1958), in cu~ fidando fortemente sulla spinta soggettiva delle masse cines~ si punta ad una accelerazione dello sviluppo (esperienza che si conclude, per vari fatto~ con un grave fallimento), e, soprattutto, Ia 'Rivoluzione culturale: Con Ia Rivoluzione culturale, a par tire dalla fine del 1965, il leader cinese punta a una radicalizzazione dei contenuti della rivoluzione, fidando sull'iniziativa dei giovan~ degli studenti, di strati della classe operaia, invitandoli a sollevarsi contro quegli esponenti del partito che avrebbero intrapreso la 'via capitalistica' e ceduto a tentazioni burocratiche e opportunistiche. E' questo certamente un modo originale, rispetto alia pratica poliziesca dello stalinismo, di combattere gli avversari politici fidando sulla mobilitazione dal basso. Ma Ia Rivoluzione culturale e anche, come in seguito si e saputo, il momento di grave spaccatura e di lacerazione del tessuto sociale cinese, con discussioni accese e con veri e propri scontri, sedati solo con l'intervento dell'esercito. Dopo la morte di Mao, nel 1976, nella Repubblica Popolare Cinese la linea Vincente e stata quella dei moderati, che hanno sconfessato, pur richiamandosi forma/mente al maoismo, La linea radicale dei seguaci di Mao. Si e affermata, dunque, una linea di sostanziale, 'demaoizzazione: che punta alia modernizzazione della Cina basandosi non piu sulla mobilitazione ideologica e sugli 'incentivi ideali' ma su quegli 'incentivi materiali' che erano stati svalutati durante il periodo maoista. Elaborazione teorica e condotta pratica della Iotta politica in Mao si intrecciano strettamente, rna e spesso l'azione politica che contribuisce a chiarire il vero senso delle dichiarazioni teoriche. . Infatti, per una piu chiara comprensione delle sue opere - come i due saggi del 1937: Sulla pratica. Sulla contraddizione; Sulle contraddiz.ilmi in seno al popolo (1957) - e necessario riferirle strettamente al contesto in cui egli agisce e ai fini che si propone. Senza di che, esse appaiono poco originali, ferme, per lo piu, ad alcuni tradizionali schemi del marxismo-leninismo. In realta, esse sono state composte per sconfessare le tendenze degli empiristi e, soprattutto, dei dogmatici in seno al processo rivoluzionario cinese. I dogmatici continuano a ripetere gli schemi del marxismo, rna non sanno applicare Ia dialettica materialistica alle situazioni concrete. La teoria si basa sulla pratica e ad essa serve; il processo da sviluppare e quellO"che, partendo dalla pratica, trova una sua sistemazione nella teoria, che pen) deve, di nuovo, essere verificata nella pratica. Per conoscere una qualche realta bisogna dunque agire nella realta: il sapore di una pera lo si conosce solo mangiandola, la societa si conosce solo prendendo parte alia Iotta di classe. In definitiva «...il marxismo sottolinea l'importanza della teoria solo perche la teoria puo guidare l'azione». E' necessario dunque ... scoprire la verita mediante !a pratica e mediante la pratica confermare e sviluppare !a verita. Dalla conoscenza percettiva passare attivamente alia conoscenza razionale, dalla conoscenza razionale alia direzione attiva della pratica rivoluzionaria, alia trasformazione del mondo soggettivo e oggettivo.
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Ed e attraverso la conoscenza razionale, maturata oltre la conoscenza istintiva, sottolinea Mao, che i comunisti cinesi hanno imp~rato a combattere meglio l'imperialismo, individuandone le interne contraddizioni. Sul valore della contraddizione in funzione antiimperialistica e antidogmatica, Mao sviluppa la sua riflessione nel secondo saggio del 193 7, nel quale, basandosi su citazioni di Engels e di Lenin, cerca di delineare la 1egge dell'unita dei contrari', in polemica con le concezioni metafisiche del mondo, che vedono le cose come «isolate, statiche e unilaterali)). Dopo aver esposto la sua concezione del movimento e della contraddizione come un qualcosa di 'interno' alle cose, per la cui evidenziazione le cause esterne costituiscono solo l"occasione' o la 'condizione', Mao sostiene che nella realta esiste una infinita di contraddizioni, rna alcune sono pili importanti ed altre lo sono meno, alcune sono principali ed altre secondarie. Distinguere le contraddizioni principali e le contraddizioni secondarie e individuare l'aspetto principale della contraddizione dominante e, nel pensiero di Mao, questione essenziale per la corretta impostazione del lavoro politico in un processo rivoluzionario. Le contraddizioni, avverte Mao, possono essere antagonistiche, come queUe che intercorrono fra i nemici di classe, e non antagonistiche, come quelle che intercorrono, nel Partito rivoluzionario, tra una linea corretta e una linea non corretta (se gli errori non vengono corretti, anche questa contraddizione puo, pero, alla lunga, divenire antagonistica). Al tema delle contraddizioni - delle «contraddizioni in seno al popolo)) Mao dedichera anche il famoso saggio pubblicato nel 1957. II momento e delicato. Nel movimento comunista internazionale, dopo la denuncia del 'culto della personalita' di Stalin operata da Kruscev, molti hanno voluto vedere in questo testo di Mao l'indicazione di una alternativa alle secche dello stalinismo, sebbene Stalin non sia mai espicitamente criticato e la Cina non aderisca al processo internazionale di destalinizzazione. Mao afferma che esistono due tipi di contraddizioni: le contraddizioni in seno al popolo e queUe tra il popolo e i suoi nemici. Le seconde sono antagonistiche, le prime non antagonistiche, «le prime si risolvono con ·n centralismo democratico, le seconde con la dittatura)). In seno al popolo deve, dunque, esistere la democrazia, anche se deve trattarsi «di democrazia con una guida e non di anarchia)). In questo testo, Mao denuncia anche le insufficienze del socialismo cinese, individuato nelle 'sopravvivenze dell'ideologia borghese', nei 'metodi burocratici esistenti nei nostri organismi statali' e nelle 'manchevolezze in certi settori delle nostre organizzazioni statali'. Queste affermazioni sem brano prel udere a una liberalizzazione nel campo della cultura e dell'arte, basata sulla teoria dei 'cento fiori' o delle 'cento scuole' in competizione tra loro. Le affermazioni di Mao sono, in effetti, molto precise anche in questo senso («Le questioni del giusto e dell'erroneo nell'arte e nella scienza devono essere risolte con libere discussioni...))), rna i risultati concreti di tale apertura non sempre saranno all'altezza delle aspettative suscitate. L' azione di Mao nella costruzione del socialismo in Cina, 1'elaborazione di un modello diverso di societa socialista, l'individuazione di un nuovo soggetto rivoluzionario (i contadini), non 'previsto' dai classici schemi del marxismo, co-
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stituiscono un notevole contributo a un diverso approccio al marxismo, elaborato e sperimentato all'intemo di un grande paese che ha compiuto, e in modo sicuramente originale, molti passi in avanti nel processo di uscita dal sottosviluppo. 15.10 Crisi o dissoluzione del marxismo? Negli anni piu recenti, sia sui piano politico, sia a livello teorico, si e andati oltre la situazione che abbiamo chiamato di 'pluralita dei marxismi;: si e cominciato piu diffusamente e piu radicalmente a parlare, fra gli stessi intellettuali marxisti, di 'crisi del marxismo'. Una crisi del marxismo cui fanno riferimento non piu solo coloro che, in vario modo e con sfumature e posizioni assai diversificate, contestano il marxismo come tale (dai 'nuovi filosofi' francesi, che sostengono che ogni forma di marxismo conduce inevitabilmente al totalitarismo, a Norberto Bobbio, che imputa al marxismo di non possedere un'articolata teoria dello Stato, fino ad autori come Lucio Colletti, che muovono alla teoria marxista non pochi rilievi di ordine politico e teorico), rna anche numerosi pensatori ed autori marxisti fra i piu attenti e avvertiti. _ Si parla di una 'crisi' che ha connotazioni sia di ordine storico che di ordine filosofico; in particolare, da parte di molti si fa rilevare che l'inveramento del marxismo neUe societa storiche del cosiddetto 'socialismo reale', universalmente contestate come autoritarie e repressive, ha finito col mettere in discussione il marxismo stesso, che, inquadrato gramscianamente come 'filosofia della prassi', non puo non essere giudicato in base a quel che storicamente ha prodotto e realizzato. Certo, le societa del socialismo reale non rappresentano tutto cio che il marxismo ha prodotto, rna lo stesso marxismo creativo e antidogmatico e ben lungi dall'essersi saputo spiegare fino in fondo questa 'drammatica storia'. Si assiste, insomma, a una prova di impotenza della teoria marxista a spiegare in maniera soddisfacente una storia che proprio in nome del marxismo e stata realizzata. Ma le difficolta, per la teoria marxista, non sono riconducibili solamente all'enigma del 'socialismo reale': esse si manifestano anche nel confronto con la complessita e l'articolazione della societa del capitalismo maturo, tanto diversa da quella in cui Marx era vissuto e che egli aveva preconizzato (5.19). La societa capitalistica, infatti, si e andata sviluppando non in direzione di una crescente polarizzazione, messa in conto nella diagnosi marxiana di due classi antagonistiche, la borghese e la proletaria, rna in direzione di una crescente stratificazione e frammentazione sociale. n sopravvenire di nuovi ceti intermedi (tecnici, specialisti, intellettuali), diversi dai- ceti il)termedi pre-capitalistici (negozianti, artigiani, ecc.), rende piu difficile l'inquadramento del conflitto sociale in una dialettica basata sulla Iotta di classe, cosi come rende senz'altro piu ardua, si direbbe impossibile, l'elaborazione di un progetto di societa egemonizzata da una classe operaia in grado di guadagnarsi il consenso di tali strati sociali, sempre piu rilevanti numericamente. Dal punto di vista dell'analisi econornica, gli strumenti interpretativi del pensiero marxista debbono essere rnediati, e talora sostituiti, con altri strurnenti diversarnente connotati: ad es., il problema della distribuzione del prodotto sociale tra salari e profitti o la analisi della crisi economica mondiale, inquadrabile in termini di ristagno ed inflazione, sono intelligibili - in larga rnisura
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- con analisi interne al sistema, come quelle che si ispirano all'economista inglese John Keynes (1883-1946). Un'analisi interessante della trasformazione del marxismo e stata di recente compiuta dallo storico marxista inglese E. J. Hobsbawn (n. 1917), il quale inquadra la crisi del marxismo nei profondi mutamenti strutturali intervenuti nella societa. I partiti di matrice marxista (sia socialisti che comunisti), sostiene Hobsbawn, hanno avuto tradizionalmente una base composta in prevalenza di lavoratori manu ali; il ridimensionamento numerico della classe operaia e I'espansione dei ceti degli intellettuali hanno modificato la composizione stessa dei partiti operai e dei gruppi marxisti. L'interesse per il socialismo e per la teoria rivoluzionaria presso i ceti intellettuali, se da un lato ha mostrato la vitalita del marxismo, ne ha prodotto, per un altro verso, una radicale trasformazione: i numerosi gruppi di intellettuali, che hanno dato vita alia 'nuova sinistra' (negli anni '60 e '70), o che si sono accostati all'area dei partiti operai tradizionali, hanno spesso mostrato di aderire a un pensiero marxista sostanzialmente accademico, che privilegiava (usando spesso un linguaggio esoterico) i temi piu lontani dall'analisi economico-sociale, che, insomma, alia critica dell'economia politica sembrava preferire la gnoseologia. Detto questo, appare decisamente esagerato a Hobsbawn parlare della 'fine', della 'dissoluzione' o della 'scomparsa' del marxismo. II marxismo (e sia pure un marxismo 'ossificato') rimane pur sempre l'ideologia che ispira ufficialmente un gran numero di Stati nel mondo modemo, al marxismo si ispirano originalmente molti movimenti di liberazione del Terzo Mondo e, infine, marxisti rimangono numerosi intellettuali e teorici, che, spesso in maniera critica e non dogmatica, non negandosi ne nascondendosi l'attuale momento di difficolta, cercano di battere nuove strade e di elaborare nuove ipotesi di lavoro. Come rileva lo stesso Hobsbawn, e oggi impossibile «liquidare Marx ed i marxisti come intellettualmente trascurabili)), ed e improbabile che il posto che Marx si e conquistato nell'universo intellettuale del nostro secolo, lo stimolo ·che molti intellettuali hanno trovato nel marxismo e le discussioni sviluppatesi intomo ad esso non proseguano nel futuro, «. .. a meno che non vengano distrutti tutti i libri, o Ia civilta umana nella sua forma attuale non venga annichilita)). Puo essere tuttavia vero, come ha recentemente sostenuto Cesare Luporini (n. 1909), che, per comprendere di nuovo appieno e valorizzare l'autentico contenuto del messaggio marxiano, si debba tomare aile 'origini', a un Marx epurato dalle interpretazioni che ne hanno dato i vari 'marxismi'. «Il pensiero di Marx - sostiene Luporini - va rifluidificato ... liberandolo dagli schermi e schemi del marxismo)), perche se e ovvio c;he «il marxismo (con la sua storia) non e senza Marx)), e anche vero che «Marx e senza il marxismo)) e come tale, oggi, va forse di nuovo letto. E' un'interessante e radicale proposta, che attende di essere verificata. Sono gia invece sotto i nostri occhi alcuni tentativi di uscire dalla 'crisi del marxismo' che meritano, in ragione della loro diversita tipologica, una particolare attenzione. 15.11 II post-marxismo di Kolakowski. Emblematica e la vicenda di una delle figure piu eminenti del marxismo 'dissidente' dell'Europa orientale, il polacco Leszek Kolakowski (n. 1927), autore di opere come La filosofia del posi-
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tivismo; La ricerca della certezza; Il marxismo e oltre; Lo spirito rivoluzionario; Le religioni; Nascita, sviluppo, dissoluzione del marxismo. Attualmente vive in occidente, dove insegna a Oxford. Gia nella seconda meta degli anni '50, egli ha dato voce all'esigenza di un marxismo che fosse un fenomeno 'intellettuale' anziche 'istituzionale', come lo stalinismo. Quella di Kolakowski era la voce di una sinistra umanistica, per Ja quale non si da una interpretazione ortodossa del marxismo e che distingue nello stesso pensiero di Marx l'ispirazione generale e le parti caduche, rintracciabili soprattutto in alcune previsioni storiche rivelatesi infondate. Partendo da tali premesse, Kolakowski critica radicalmente le concezioni della conoscenza che fanno riferimento alla teoria del rispecchiamento, contestando una visione della realta che non sia posta radicalmente in rapporto con la prassi umana e con il proceso storico di trasformazione. Quello di Kolakowski e, dunque, in questa sua prima fase, un pensiero non deterministico, anche se ancora intemo a un discorso e a una problematica di carattere marxista. L'impegno sociale e, infatti, anche impegno etico: nel comunismo, egli dice, devono esserci «altri valori, oltre ai rapporti di produzione e all'incremento del benessere, valori che contano come fini in se e non solo come mezzi». Recentemente, lo stesso Kolakowski ha largamente relativizzato e definito come sterili i tentativi, teorici e politici, volti alla definizione di un revisionismo marxista. «ll revisionismo stesso, egli scrive, aveva una certa logica interna che lo avrebbe portato ben presto fuori delle frontiere del marxismo ... Invece di essere arricchito o incrementato, il marxismo si e dissolto in una confusione di idee». Attualmente, il pensatore polacco si riconosce in un socialismo democratico che pili niente vuole avere a che fare col marxismo. Nemmeno da un punto di vista culturale ha senso definirsi marxisti, perche «oggi non occorre ne ritenersi marxista ne esserlo per studiare la storia della letteratura o dell'arte tenendo presente i conflitti sociali dell' epoca presa ip esame». Pur tenendo presenti, dunque, taluni basilari contributi del pensiero di Marx da cui e impossibile prescindere, il marxismo e complessivamente rifiutato e riconsiderato come una sorta di «autodeificazione dell'uomo» che «Si e... rivelata come l'aspetto farsesco della schiavitu umana». Del resto, la stessa storia del marxismo (anche del marxismo critico e antidogmatico) e ricostruita da Kolakowski, nella sua recente opera Nascita, sviluppo, dissoluzione del marxismo, in un' ottica fortemente e distruttivamente critica, in cui ben pochi esponenti e autori marxisti vengono 'salvati': un'eccezione di rilievo si ha nel caso di Gramsci; considerato come l'intelligente assertore di un comunismo alternativo a quello leninista; un comunismo, quello ipotizzato da Gramsci, che ha pen), secondo Kolakowski, il torto di non essersi realizzato in nessuna parte del mondo. Nel caso di Kolakowski, la crisi del marxismo si e dunque risolta in maniera drastica: con la fuoriuscita dall'ambito del marxismo e con l'approdo a posizioni decisamente non marxiste o, comunque, post-marxiste.
15.12 Heller: una nuova 'teoria dei bisogni'. Diverso e l'approdo dell'ungherese Agnes Heller (nata a Budapest, nel 1929), la cui storia ha pure punti di
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contatto con quella di Kolakowski. Allieva e assistente di Lukacs, con il quale ha dovuto lasciare l'Universita nel 1958, per averne seguito le idee «false e antirivoluzionarie», dopa Ia riabilitazione del maestro ha potuto lavorare presso l'Accademia delle Scienze, rna ha finito per lasciare il suo paese, l'Ungheria. Attualmente vive e lavora in Australia, presso l'Universita di La Trobe. Au trice di molti saggi, tra cui L 'etica di Aristotele; L 'uomo del Rinascimento; La vita quotidiana,· Valore e storia,· La teoria dei bisogni in Marx; La dittatura dei bisogn~ Ia Heller, fortemente interessata ai problemi dell'etica, ha legato il suo nome al tentativo di definizione di una originale antropologia marxista. II suo modo di rapportarsi a Marx e assolutamente non scolastico. II marxismo, per lei, non e qualcosa da recintare e da custodire sospettosamente o a cui tornare 'correttamente'. Si tratta- sviluppando le stesse esigenze che la teoria marxista ha posto oltre un secolo fa_- di andare oltre Marx. Solo cosi il movimento rivoluzionario puo uscire dalle secche in cui pare essersi talora arenato e andare oltre l'orizzonte borghese. La rivoluzione, infatti, per la Heller, non puo essere solamente e semplicemente rivoluzione politica, come e stata nel caso del giacobinismo e della Rivoluzione francese. Una rivoluzione che si limiti semplicemente alia sfera politica riproduce, infatti, la dicotomia tra il bourgeois («la singola persona che Iotta per il proprio interesse») e il citoyen (per il quale l'attivita nella sfera politica e strettamente separata dalla vita quotidiana, prima di tutto da quella degli altri, oltre che dalla propria). Quella da proporsi e invece una rivoluzione sociale, che comporti, come tale, anche la «rivoluzione del modo di vivere», secondo l'insegnamento di Marx, che contrappone I' emancipazione umana alla semplice emancipazione politica. Per caratterizzare la rivoluzione sociale totale, la pensatrice ungherese fa riferimento al concetto di bisogno, non in maniera astrattamente naturalistica («non esistono 'bisogni naturali'»), rna all'interno di una concezione ma~rialisti ca, capace di individuare i bisogni in quanta «bisogni personali (soltanto le persane desiderano coscientemente qualche cosa, aspirano a possedere qualche · cosa, la intenzionano)» e, allo stesso tempo, come bisogni sociali, «dal momenta che l'oggetto di ogni bisogno viene fornito dall'oggettivazione sociale». Per definire le caratteristiche dei bisogni, la Heller fa riferimento a una 'prima' natura umana (biologica) e a una 'seconda' natura (psico-sociale). Alia prima natura corrispondono i bisogni ontologicamente primari, che vengono anche definiti 'bisogni esistenziali', fondati sull'istinto di autoconservazione, come il bisogno di nutrimento, il bisogno sessuale, il bisogno di contatto sociale e di cooperazione. Alia sfera 'seconda' corrispondono invece i 'bisogni propriamente umani', nei quali la spinta naturale non svolge afcun ruolo; sono, questi, i bisogni che puntano a un arricchimento essenziale dell'uomo, a un miglioramento della qualita di vita, come l'attivita culturale, il gioco degli adulti, la meditazione, l'amicizia, l'amore, l'attivita morale. Oltre a questi, esistono anche bisogni alienati, come il bisogno del denaro, del potere e del possesso: i bisogni alienati, caratteristici del sistema capitalistico, hanna da tempo preso il sopravvento, costringendo la classe operaia alla latta per la soddisfazione dei puri bisogni esistenziali. La sconfitta dell'attuale ordine di case, basato sull'irrazionale espansione dei bisogni alienati, e l' obiettivo della rivoluzione sociale totale, che porti a
510 D 15 - Crisi del marxismo nella nuova condizione storica espressione i bisogni non alienati. Di lora natura, i bisogni non alienati tendono a inglobare sia i bisogni primari sia, e soprattutto, i bisogni propriamente umani. Gli uni e gli altri tendono a coincidere, come nel caso del reciproco «bisogno che l'uomo e la donna hanna l'uno dell'altro». E' questa Ia premessa per la costruzione di una societa totalmente altra e totalmente nuova. Organizzata sulla base di una scelta consapevole dei valori (cioe sulla preferenza per certi bisogni piuttosto che per altri), questa societa assume un carattere radicalmente comunitario e punta a una trasformazione della stesso modo di -impostare la vita quotidiana. Come si vede, la prospettiva della Heller e malta diversa da quella prospettabile in una rivoluzione puramente politica, incapace di creare modificazioni irreversibili del modo di vivere, in quanta comporta la perpetuazione della separazione tra vita quotidiana e gestione del potere politico. La rivoluzione propasta dalla Heller e un processo continuo, in cui gli stessi bisogni qualitativi e puramente umani, arricchendosi e sviluppandosi continuamente, possano essere ritenuti dei 'bisogni radicali', che trascendono necessariamente Ia societa capitalistica nella sua intera struttura, inclusa quella dei bisogni. Una qualche anticipazione di tali motivi la Heller Ia scorge in taluni fenomeni di contestazione e di vita altemativa presenti nel mondo occidentale, dove gruppi di giovani abbandonano i falsi valori della competizione e del prestigio e i modelli di una realizzazione quantitativa basata sui beni di consumo, i frigoriferi e le automobili. Sono evidenti, in questa tesi della Heller, le assonanze con le teorie marcusiane. E infatti i sostenitori della politica e della cultura ufficiale del regime ungherese le rimproverano di aver messo, al pasta della rivoluzione della classe operaia, «il movimento della controcultura e la 'rivoluzione' delle comuni». Un'accusa infondata, data che per la Heller il soggetto della rivoluzione- a differenza che in Marcuse- rimane essenzialmente la classe operaia. Una classe operaia, pero, che abbia «raggiunto Ia coscienza della sua missione storica» e che abbia sviluppato una piena consapevol~zza dell'altezza di questa missione. La 'teoria dei bisogni' della Heller eostituisce, dunque, un originale tentativo di fondare un'antropologia che si differenzi dalle antropologie che concepiscono la natura umana come un qualcosa di etemo e immutabile, e, al tempo stesso, di dar vita a una 'teoria della rivoluzione' basata sullo scontro tra le esigenze della soggettivita e la logica del potere. Un radicale anticapitalismo, dunque, che pero e, nel contempo, anche una critica della stesso 'socialismo realizzato', critica che, negli ultimi anni, la Heller ha precisato e tematizzato e che ha trovato compiuta espressione ne La dittatura sui bisogni, un'opera scritta in collaborazione con altri. Si tratta di un tentative di analisi neomar:~>-ista delle caratteristiche delle societa dell' est d'Europa. n sistema del 'socialismo realizzato' e, appunto, una dittatura sui bisogn~ che, comprimendo la spontaneita della societa civile, mostra di essere incompatibile con la democrazia e il pluralismo. Si tratta di una dittatura esercitata sui bisogni dei produttori da parte di un gruppo perfettamente organizzato, sostanzialmente corporative, che detiene la leva del potere. Preferendo parlare di corporazione anziche di classe, gli autori escludono che le societa dell'est (societa basate su una 'economia di comando') possano definirsi come societa caratterizzate dal capitalismo di Stato. A caratterizzarle e piuttosto una dicotomia antagonista tra popolazione e apparato, che, imponendo un piano unico di
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produzione e distribuzione, sopprime, insieme, il mercato e le libertf1 civili, imponendo il suo dominio nella sfera della politica, dell' economia, dell'ideologia. La Heller non approda, comunque, alle teorie liberaleggianti di Kolakowski: all'autoritarismo est-europeo essa mostra di preferire certamente la democrazia, purche si tratti, pen), di una democrazia fortemente orientata in sensa radicale e socialista. Marx e, per lei, ancora un maestro. 15.13 Sweezy: il Terzo mondo, nuovo soggetto rivoluzionario. In un contesto completamente diverso da quello di Kolakowski e della Heller si inserisce il lavoro del neomarxista statunitense Paul Sweezy. Nato nel 1910 a New York, Sweezy ha studiato alla Harvard University e alla London School of Economics, e stato professore di economia a Harvard e 'Visiting Professor' di economia in varie altre universita; la sua fama di esperto in economia lo ha anche portato a lavorare per vari enti, durante il periodo del 'New Deal'. Insieme con Leo Huberman, fonda, nel 1944, la rivista marxista 'Monthly Review', che acquistera fama e prestigio internazionali. Tra i suoi libri: La teoria della sviluppo capitalistico; Il presente come storia; Il capitale monopolistico; Il marxismo e il futuro. Il sistema capitalistico e, per Sweezy, un sistema veramente globale, che trascende singoli paesi e regioni, e tuttavia non e caratterizzato, al suo interno, da uniformita e omogeneita. Fin dai suoi inizi, esso comporta un centro (storicamente, i paesi colonizzatori) e una periferia (storicamente, i paesi colonizzati). Fin dal suo sorgere, esso e un sistema eurocentrico, che ingloba colonie e possedimenti ai quali e, di fatto, impedito di seguire un processo indipendente di sviluppo capitalistico. Fin dalla sua primissima infanzia, il capitalismo, come noi lo conosciamo, si sviluppa dunque come «unita dialettica di un centro autogestito e di una periferia dipendente)). Da qui e derivata, fino ai nostri giorni, una caratterizzazione ben precisa del sistema capitalistico globale, in cui la forza motrice e sempre il processo di accumulazione al centro, mentre aile societa periferiche tocca sottostare a una situazione oppressiva, formata dalla convivenza di forme di vita coercitiva con aspetti dell'economia di mercato. Con il procedere della sviluppo capitalistico, altre zone del mondo si uniscono all'originario centro europeo (ad es. Australia e Nuova Zelanda, modellate sulle lora madrepatrie, gli Stati Uniti, divenuti rivali e partners dell'Europa, e infine il Giappone), rna sempre permane la fondamentale dicotomia per cui il centro del sistema mantiene un predominio sui paesi della periferia. Ma qual e la differenza tra lo sviluppo indipendente del centro e lo sviluppo dipendente della periferia? Richiamandosi al sociologo arabo Samir Amin, Sweezy sostiene che «diversamente dai paesi del centro, in cui la 'Rivoluzione agricola' precedette la 'Rivoluzione industriale', i paesi della periferia hanna impostato la seconda, senza aver avviato la prima fase)). I paesi sviluppati, con l'esportare in quelli meno sviluppati la rivoluzione industriale senza la necessaria base agricola, hanna creato, in realta, forme nuove di dipendenza: la mancanza di un autonomo sviluppo agricola impedisce il passaggio a un autentico, indipendente processo di decollo economico. Gran parte di quello che Sweezy chiama il plus-prodotto monetizzato (sotto forma di profitti, rendite, interessi) fugge dalla periferia al centro, dove la situazione e completamente diversa. Qui, il saggio del plusvalore e :relativamente piu basso
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(rna certo piu stabile) e corrisponde al livello di sfruttamento esercitato sui proletariato metropolitano, al quale le stesse classi dominanti ritengono debbano essere assicurate talune liberta e un accettabile tenore di vita, dato che, senza la 'diffusione di un relativo benessere e di una certa elasticita nell'organizzazione sociale, la produzione di beni di consumo incontrerebbe ostacoli vitali per l'espansione del sistema. Ne deriva che le condizioni di accettabilita del sis,tema nelle sue parti piu sviluppate sono strettamente correlate alle condizioni di sfruttamento intensivo e alia dipendenza delle aree sottosviluppate. L'analisi che Sweezy viene cosi sviluppando non puo non avere precise conseguenze all'interno del marxismo rivoluzionario, a cui egli continua a fare riferimento. In quel marxismo, solo la classe operaia e il soggetto capace di un rivolgimento radicale dell'ordine esistente. Ma le classi operaie del centro, per quanta potessero essere potenzialmente rivoluzionarie nei primi giorni della rivoluzione industriale, con gli sviluppi successivi si erano trasformate in una forza riformista che cercava di migliorare la situazione dei suoi membri all'interno della struttura del sistema capitalistic a.
Ecco perche la classe operaia dei paesi metropolitani non puo essere assunta come l'agente di una trasformazione rivoluzionaria: il processo rivoluzionario, gia da tempo, pare essersi spostato dal centro alla periferia. Del resto, la stessa rivoluzione del 1917, in Russia, si e verificata in un paese in cui molto in ritardo appariva lo sviluppo capitalistico, mentre la rivoluzione cinese non ha avuto certo, per soggetto principale, il proletariato industriale, come la tradizione marxista avrebbe voluto. Anche se non possono dirsi rigorosamente proletarie, secondo la tradizionale analisi marxista, le masse diseredate della periferia sono indubbiamente assimilabili al proletariato 'classico', per quanta riguarda le condizioni di vita e l'esigenza pressante di trasformare il mondo. Marx, nella Sacra famiglia, afferma che <mel proletariato pienamente sviluppato si e fatta astrazione da ogni umanita, perfino dalla parvenza di umanlta» e che, quindi, il proletariato e irrefrenabilmente spinto alla «ribellione contra questa inumanita». Oggi sono soprattutto gli oppressi della periferia del sistema ad avere esperienza di questa inumanita, sono loro che davvero nulla hanna da perdere se non le loro catene. La teoria marxista non e dunque superata, se essa e capace di indicare la strada ai 'nuovi proletari' che, «al pari di generazioni prima di loro», non potranno non trarre ispirazione dal marxismo rivoluzionario.
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Sommario. Quel particolare metoda di indagine sull'uomo che e esemplificabile con la psicoanalisi da vita, a partire dagli ultimi decenni dell'Ottocento, alla famiglia delle scienze umane, che si collocano tra la filosofia e le scienze empiriche e avranno ben presto il Ioro modello nella semiologia ( 16.1 ). A studiare la lingua come una forma specifica del sistema dei segni, dotata di una sua struttura unitaria, e per primo Ferdinand de Saussure, (16.2). Tra gli sviluppi recenti della rivoluzione aperta da de Saussure, di particolare rilievo e quello, dovuto a Chomski, della 'grammatica generativa', che spiega Ia pluralita delle lingue con una struttura a priori che funge da meccanismo genetico e di scambio (16.3). Gia prima di questa incontro con Ia semiologia, gli antropologi, distinguendosi dagli etnografi e dagli etnologi, si erano dati uno statuto di ricerca che aveva per obiettivo Ia determinazione della struttura sincronica di un gruppo umano (16.4). I primi passi dell'antropologia risentono dell'evoluzionismo sociale, secondo cui Ia storia dell'umanita segue un processo lineare e unitario, ovunque lo stesso. Partendo da questa presupposto, Tylor dimostra che anche nei gruppi umani 'primitivi' esiste una cultura, caratterizzata dall'animismo, e Morgan pone a! centro della dinamica evolutiva della societa primordiale il sistema familiare (16.5). Le somiglianze fra le culture vengono spiegate dai 'diffusionisti' con Ia teoria delle mescolanze dei caratteri tipici. Ma questa teoria non deve fare ombra sulla radicale autonomia di ogni singola cultura: e Ia tesi di Boas, che inaugura negli Stati Uniti una feconda scuola antropologica, cui appartengono Kroeber, che studia le culture come superorganismi bene individuati; Kardiner, che le studia con l'uso di categorie psicoanalitiche; Ia Benedict e Ia Mead, che considerano le societa, sia arcaiche che moderne, come modelli ben differenziati che si imprimono nella formazione degli individui (16.6). Piu strettamente tributaria del positivismo e l'antropologia sociale francese, il cui iniziatore, Durkheim, studia Ia societa quasi fosse una 'cosa', che sovrasta gli individui suscitando in essi atteggiamenti religiosi o, comunque, di devozione. Piu direttamente rivolta alia definizi"one della mentalita primitiva e l'antropologia di Levy-Bruhl, che ne mette in rilievo il carattere mistico e prelogico, e quella di Mauss, che individua Ia sua Iegge costitutiva nel costume del dono (16.7). Nell'area anglosassone domina il 'funzionalismo' di Malinowski, che riconosce il modello della 'societa semplice' nelle tribu australiane e Ia definisce come una totalita di cui gli elementi diversi non sono che funzioni (ad esempio il divieto dell'incesto), e come tali vanno compresi. Gli elementi che compongono Ia totalita sociale nascono come risposte a bisogni di varia livello: primari, secondari, simbolici. A quest'ultimo livello appartengono Ia religione e la magia (16.8). Sulla linea di Malinowski, rna anche in polemica con lui, Radcliffe-Brown integra il concetto di funzione in quello di struttura, definito in modo piu rigoroso (16.9). E' da' qui che parte Levi-Strauss, che fa della struttura un a priori, definibile con formule matematiche e descritto secondo il modello della struttura linguistica di de Saussure (16.10). La dialettica tra 'noi' e gli 'altri', che sta alia base della struttura, si esprime nel sistema delle parentele, che Levi-Strauss studia a partire dal divieto dell'incesto (16.11 ), e nella creazione dei miti, riducibili a elementi semplici, che si combinano secondo schemi stabili pur nel variare dei luoghi e dei tempi (16.12). Questa eliminazione del soggetto a vantaggio della struttura latente, ha il suo compimento radicale (fino alla 'morte dell'uomo') in Foucault, Ia cui ricerca si muove secondo tre assi fondamentali: l'istituzionalizzazione del sapere, Ia strategia dell'esclusione, !a costruzione della soggettivita ( 16.13).
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La morte dell'uomo, e cioe la riduzione del soggetto a strutture biologiche, e l'esito del determinismo antropologico, che trae avvio e metoda dalle ricerche di etologia condotte da Lorenz in base a! principia darwiniano dell'adattamento all'ambiente (1(5.14). Secondo Ia sociobiologia, i veri protagonisti della storia sono i geni, localizzati nei cromosomi, che si servono degli individui per Ia loro strategia di sopravvivenza e di sviluppo (16.15).
La linguistica 16.1 Scienze umane e semiologia. Per meglio introdurci alla comprensione del nuovo indirizzo che, a partire dalla grande galassia del positivismo, ha assunto, nel nostro secolo, la ricerca antropologica, e che va sotto il nome plurale di 'scienze umane' (la denominazione viene dalla Francia: nel mondo anglosassone si preferisce dire 'scienze sociali'), e utile tener presente quanto abbiamo detto della psicoanalisi, che appartiene anch' essa alla famiglia delle scienze umane: da una parte, come ogni altra scienza empirica, essa si basa sull'analisi dei dati di esperienza, quali sono i sintomi psicologici; dall'altra, essa li assume in una interpretazione che non ha i tratti della vera oggettivita, perche coinvolge, in una medesima operazione, l'oggetto e il soggetto. Come la psicoanalisi, anche le altre scienze umane non appartengono, a rigore, ne all'ambito delle scienze ne a quello della filosofia, perche mancano, gia a partire dalloro metodo, dei caratteri dell' oggettivita Secondo quanto scrive un esponente del nuovo indirizzo, Michel Foucault ( 16.11 ), le scienze umane occupano lo spazio lasciato vuoto dalle tre dimensioni dell'episteme (= teoria del conoscere) contemporanea: la scienza matematico -fisica, le scienze empiriche, la filosofia. A rigore, le scienze umane non hanno uno statuto espistemologico autonomo. Facendo uso delle altre tre dimensioni, esse assumono come proprio oggetto l'uomo, per sottoporlo a una serie di analisi concentriche «che si estendono tra quello che l'uomo e nella sua positivita (essere che vive, lavora, parla) e quello che consente a questo essere medesimo di sapere (o di cercar di sapere) cia che e la vita, in cosa consistano l'essenza del lavoro e le sue leggi e in che modo si puo parlare>>. Di conseguenza, esse collocano l'uomo non nel puro e semplice contesto di natura (come fa la biologia), rna nel suo ambiente proprio, che e quello in cui si intessono tra natura e cultura rapporti di continuita e di discontinuita, e in cui egli non e un puro individuo aggiunto ad altri individui per via di sert1plice aggregazione, ne un puro prodotto della specie, rna e l'artefice e insieme l'effetto di un sistema di interazioni dentro il quale trovano senso le sue intenzioni individuali e i suoi comportamenti. Proprio come abbiamo constatato nel campo psicologico, la costante di queste nuove forme di indagine e, come scrive ancora Michel Foucault, «il progetto di ricondurre la scienza dell'uomo alle proprie condizioni reali, restituendola ai contenuti e alle forme che l'hanno fatta nascere e che in essa sfuggono; questa e la ragione per cui il problema dell'inconscio non e soltanto un problema interno alle scienze umane e da queste incontrato quasi per caso neJ corso del loro procedere; tale problema e, in ultima analisi, coestensi-
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vo alla loro esistenza medesima». Una delle istituzioni umane, anzi Ia fondamentale (al punto che i greci Ia identificavano con Ia ragione stessa: logos vuol dire ragione, rna anche parola, discorso), e illinguaggio. «ll linguaggio, scrive illinguista francese Emile Benveniste (1902-1976), rappresenta Ia forma piu alta di una facolta inerente alia condizione umana, Ia facolta di simbolizzare. Intendiamo con questa, in senso lato, Ia facolta di rappresentare il reale con un 'segno' e di comprendere il segno come rappresentativo del reale e cioe di stabilire un rapporto di 'significazione' tra qualche cosa e un'altra cosa. II fatto che esista un simile sistema di simboli si svela uno dei dati essenziali, il piu profondo, forse, della condizione umana: non si danno tra l'uomo e il mondo, ne tra l'uomo e l'uomo, relazioni naturali, immediate e dirette, occorre un intermediario, questa apparato simbolico, appunto, che ha reso possibile il pensiero. Fuori della sfera biologica, Ia capacita simbolica e la capacita piu specifica dell'essere umano». Sui problema della natura e delle origini del linguaggio ci siamo incontrati di continuo, lungo Ia nostra esposizione della storia del pensiero umano. La ·questione classica era se il linguaggio avesse avuto origine dalla convenzione o fosse l'espressione immediata della differenza specifica dell'animale razionale, e quindi anteriore a ogni Iibera scelta. Ma solo nel secolo scorso il linguaggio e diventato oggetto di studio come fenomeno positivo, alia pari di ogni altra manifestazione empirica dell'uomo quale soggetto della propria storia. Nacque cosi, nel quadro delle ricerche positive, la ·linguistica storica, con l'intento di ricostruire i processi attraverso i quali lingue diverse sono derivate da una lingua originaria. La teoria darwiniana dell'evoluzione della specie fomi un quadro suggestive per simili ricostruzioni. Ad esempio, il linguista tedesco August Schleicher (1821-1868) tento di stabilire un albero genealogico delle lingue, considerate come organismi autonomi, indipendenti dalla volonta dell'uomo e retti da una Iegge di nascita, crescita e decadenza. Ma proprio perche vincolata aile regole dell'analisi e della comparazione dei dati di fatto, Ia linguistica non rientra nel dominio della filosofia, se non indirettamente, come ogni altra scienza empirica, e nemmeno nell'ambito delle scienze umane, perche il suo obbiettivo none propriamente Ia conoscenza dell'uomo come soggetto parlante. Nella filosofia rientra, invece, I' analisi del linguaggio, cosi come e stata sviluppata dal positivismo logico. Ma I'obbiettivo di questa indirizzo, da Peirce (11.4) a Frege (13.1), da Russell (13.2) a Wittgenstein (13.17-18), era (e resta) Ia ricerca della struttura mentale che sta sotto gli enunciati del linguaggio, in vista della corretta costruzione degli assiomi scientifici. Come tale, essa e soltanto un i'inportante capitola della logica contemporanea. Tra quella empirico-positiva e quella filosofica, c'e una terza regione, nella quale il fenomeno del linguaggio puo essere studiato come espressione del mondo umano in cio che ha di piu specifico, e doe nel sistema di relazioni in cui l'individuo si trova inserito fin dal suo nascere e al quale egli apporta, come soggetto parlante, un suo Iibera contribute. E' cosi che prende forma, agli inizi del nostro secolo, la semiologia (11.4), e cioe Ia scienza dei sistemi dei segni che fanno dell'uomo un essere di natura e un essere di cultura. Inteso in sensa lata, illinguaggio, infatti, e il prodotto in-
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divisibile di natura e di cultura, di funzioni fisiologiche e mentali (parlare e emettere suoni ed esprimere significati), e ha il suo luogo di origine nelJa stretta connessione tra la comunita, nella sua determinazione spaziale e temporale, e la soggettivita libera dell'individuo che dentro di essa esprime e realizza se stesso. 16.2 La linguistica strutturale di de Saussure. A determinare con chiarezza e a stabilire le regale della linguistica come scienza umana fu lo svizzero Ferdinand de Saussure (1857-1913), docente di linguistica comparata delle lingue indoeuropee nell'Universita di Ginevra. Non fu lui a scrivere il Corso di linguistica generale che ne avrebbe fatto l'iniziatore non solo della nuova linguistica rna, in certa misura, dell'intera famiglia delle scienze umane, furono dei suoi colleghi che, dopo la sua morte, ridussero a sintesi e pubblicarono, nel 1913, gli appunti delle sue lezioni. Anche in ragione di questa origine anomala, il Corso di de Saussure e, su molte questioni essenziali, oscuro ed enigmatico. Ma ad assicurargli un'efficacia rivoluzionaria sono bastate le sue tesi fondamentali, che ci limitiamo a esporre succintamente. . 1. Innanzitutto, de Saussure isola la lingua dal linguaggio in generale, e cioe dall'intero sistema di segni mediante i quali si realizza la comunicazione tra gli uomini. La lingua e un prodotto sociale della facolta del linguaggio e nello stesso tempo un insieme di convenzioni necessarie adottate dal corpo sociale per permettere l'esercizio di questa facolta presso gli individui. Preso nel suo insieme, il linguaggio e multiforme ed eteroclito; a cavallo di domini diversi quello fisico, quello fisiologico e quello psichico -.,... esso appartiene anche al dominio individuale e al dominio sociale; non si lascia classificare in alcuna categoria di fatti umani perche non si sa come determinarne l'unita
La lingua e, dunque, soltanto un sistema analogico speciale fra altri sistemi («la scrittura, l'alfabeto dei sordomuti, i riti simbolici, le forme di cortesia, i segnali militari» o, potremmo aggiungere noi, la segnaletica stradale), anche se il piu importante. 2. Una volta determinato cosi l'oggetto della sua ricerca, de Saussure stabilisce una prima fondamentale biforcazione, quella tra la lingua e le parole. «La lingua e per noi il linguaggio, meno le parole», e cioe e un fatto sociale che precede l'individuo parlante, una struttura apprestata attraverso innumerevoli esperienze dalla comunita umana e che si imprime in noi come un 'codice', che funziona stabilendo l'ambito e i modi delle nostre scelte espressive individuali. La parola e, invece, un atto individuale che, da una parte, e necessaria perche la lingua diventi intelligibile e, dall'altra, e indispensabile alla formazione e al consolidamento di una lingua. «V'e dunque una interdipendenza tra la lingua e la parola: la prima e, nello stesso tempo, lo strumento e il prodotto della seconda». «Niente entra nella lingua senza essere stato nella parola». 3. La parola e una 'immagine acustica' che sta al posto di un concetto, o, piu precisamente, e un significante che sta al posto di un significato. Se io dico 'sorella', il significante e la serie dei suoni che si emettono nel pronunciare la parola, il 'significato' e quel particolare essere umano dotato di certi rapporti di consanguineita. Il nesso che unisce il significante al significato, sebbene sia
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inscindibile come quello che unisce le due facce di un foglio di carta, non e pen) necessaria: e arbitrario. 4. Ma questa arbitrarieta non deve portare a credere che Ia parola sia scambiabile a piacimento, perche essa di fatto rientra in un sistema dentro il quale trova il suo vero valore. Ad esempio, Ia parola sorella ha un valore connesso con quello di fratello, e questo, a sua volta, rimanda a quello di padre e di madre, e cosi via. I termini traggono senso da un sistema «in cui il valore ·- dell'uno non risulta che dalla presenza simultanea degli altri>>. 5. E cosi giungiamo alla dicotomia fondamentale della linguistica di de Saussure, quella tra diacronia e sincronia. Lo studio sincronico di una lingua consiste nel ricercarne la struttura all'interno di un periodo storico relativamente breve, durante il quale essa puo essere colta come immobile in rapporto ai diversi fattori di evoluzione. Ed e cosi che Ia lingua puo essere studiata come sistema, e cioe come un insieme di relazioni fra termini il cui valore appare come statico. Lo studio diacronico ha per oggetto, invece, i fatti isolati, accidentali, che modificano l'equilibrio strutturale di un sistema, rna che, a ]oro volta, non possono essere studiati in modo sistematico, data appunto la loro accidentalita. E' diacronico lo studio che .ricerca le ragioni della trasformazione del senso delle parole (come dire, del nesso tra significanti e significati), ad esempio della parola latina domina in quella italiana 'donna', di senior in 'signore', di vitium in 'vizio' o anche in 'vezzo'. L'intento di de Saussure, rimasto incompiuto, era di trovare una via di superamento delle due tradizioni linguistiche, quella grammaticale, che e di sua natura sincronica, e quella storica, che e di sua natura diacronica.
1~.3 La grammatica generativa di Chomsky. La rivoluzione della linguistica strutturale si e fatta sentire in molti settori della cultura contemporanea: un caso eloquente e quello della psicoanalisi. di Lacan (14.7). Ma soprattutto essa e stata decisiva per il costituirsi della linguistica come scienza umana, dotata di un suo ben distinto oggetto di indagine e di un suo metodo appropriato, anche se le vie battute han dato vita a teorie tra ]oro molto diverse. Alla base del dibattito, tenuto vivo ancora oggi da molte scuole, c'e l'esigenza che de Saussure aveva lasciata inadempiuta, quella di inventare una specie di 'metalingua', e cioe una struttura linguistica soggiacente alle lingue storiche, capace di spiegarne l'origine, le diversificazioni e le parentele, unificando in se la prospettiva sincronica e quella diacronica. Di particolare ricchezza, in tal senso, sono state le ricerche dello statunitense Noam Chomsky (n. 1928). Il suo nome e internazionalmente noto per Ia vivacita con cui, fin dalle origini della guerra del Vietnam, ha den uncia to l'imperialismo del suo paese. Nel suo libro L 'America e i suoi nuovi mandarini ( 1969), egli ha messo gli intellettuali davanti alle proprie responsabilita nei confronti del potere e degli apparati industriali e militari. Al centro della teoria di Chomsky - esposta per la prima volta, nel 1957, nell'opera Le strutture della sintassi, e riproposta, in una versione modificata e approfondita, nel 1965, in Aspetti della teoria della sintassi - c'e la tesi che all'idea di grammatica, propria della scuola desaussuriana, di tipo eminentemente descrittivo, vada sostituita quella di una 'grammatica generativa'. Solo cosi e
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possibile rendere conto in pieno del fenomeno linguistico, sorpassando il contrasto tra diacronia e sincronia. Saper usare una lingua vuol dire ayere la 'competenza' di produrre, facendo uso di un numero finito di elementi propri di quella lingua, un numero potenzialmente infinito di frasi, anche di frasi inedite e cioe mai udite e mai lette. Le frasi inedite, e cioe difformi dalle regole che in una lingua stabiliscono i rapporti sintattici, hanno anch' esse una loro 'grammaticalita' che chi le pronuncia ri~sce a discernere, anche se non e in grado di teorizzarla. E' compito della linguistica rintracciare, attraverso le frasi trasgressive della grammatica superficiale sancita dall'uso, una struttura piu profonda, la cui formalizzazione teorica e, appunto, la 'grammatica generativa'. Noi ereditiamo geneticamente un complesso di regole linguistiche, che agiscono in noi come capacita innate, quasi fossero una 'grammatica universale', che non si esauriscono in quelle proprie della lingua da noi appresa nell'ambiente di origine. Ecco perche un bambino, anche di soli tre anni, e in grado di apprendere rapidamente lingue diverse da quella materna. A dargliene la competenza e, appunto, la grammatica generativa, che consiste, oltre che in un numero infinito di strutture, in un meccanismo combinatorio, anch'esso innato (Chomsky si ricollega, anche con pregevo-li ricerche storiche, ad alcune tesi cartesiane, sviluppate dai grammatici di Port Royal, e leibniziane), che produce trasformazioni grammaticali non visualizzabili, in vista delle quali ci e possibile passare dall'una all'altra delle grammatiche superficiali. I limiti della conoscenza umana sono gli stessi limiti delle possibilita ordinarie di questo meccanismo innato, la cui origine si deve, certo, all'evoluzione della specie nei suoi rapporti di interazione con l'ambiente, come affermano le teorie empiristiche sull'origine del linguaggio, rna a partire da una capacita congenita, anteriore all' esperienza. E cosi la linguistica apre un varco al recupero di una visione metafisica dell'uomo.
L' antropologia culturale 16.4 L'antropologia come scienza umana. Solo in questo dopoguerra la teoria di de Saussure sulla lingua come struttura in cui il valore delle parole e nell'insieme delle loro relazioni si e rivelata feconda anche per Je altre scienze umane, come per la psicoanalisi, con Lacan, e come per l'antropologia, con Levi-Strauss. I fenomeni sociali possono essere ben compresi solo se si collocano nelloro 'codice', del tutto analogo a quello linguistico, dato che, al suo interno, gli elementi costitutivi della convivenza umana fungono da segni di comunicazione, alla pari delle parole. Ancora prima di raggiungere la fase attuale dello strutturalismo, l'antropologia ha riconosciuto il tratto specifico del suo metoda nella formulazione del 'sistema' o del modello a cui ricondurre, per comprendere il lora senso, i dati raccolti nella ricerca. Proprio in base a questa suo statuto epistemologico, l'antropologia e giunta a distinguersi, nella seconda meta del secolo scorso, dall'et-
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nografia e dall'etnologia, che sembrano avere lo stesso oggetto di ricerca. L'etnografia studia, con metodo descrittivo, i gruppi umani considerati nella loro singolarita, di cui registra e ordina i tratti caratteristici in modo da dame una rappresentazione monografica. A loro modo, l'antico Erodoto e il medioevale Marco Polo furono etnografi. L' etnologia utilizza, con metodo comparativo, i reperti degli etnografi in modo da distinguere una razza (meglio si direbbe una 'etnia') da un'altra. Ponendosi nei loro confronti come terza tappa, l'antropologia pretende molto di piu: la conoscenza dell'uomo in generale, cosi come e resa possibile dalla determinazione di una struttura 'sincronica', rivelatasi nello studio di un gruppo umano 'primitivo', rna ritenuta stabile, pur dentro una miriade di variabili, lungo il percorso della vita della specie, e cioe nella dimensione 'diacronica'. E' bene dir subito che il trapasso dall'una all'altra tappa non e stato prodotto da ragioni veramente scientifiche, rna dall'incidenza che nella ricerca hanno avuto i diversi contesti ideologici. Solo in questo dopoguerra, quando, per ragioni politiche, e in particolare per il crollo dell' eurocentrismo, il rapporto dell' occidente con gli altri popoli della terra si e fatto piu immediato e piu sgombro di pregiudiziali razzistiche, l'approccio con le culture denominate per l'avanti come primitive ha acquistato due qualita che il positivismo ottocentesco riteneva inconciliabili: l'oggettivita e la simpatia. Fa parte dello statuto delle scienze umane il principio della conoscenza come coinvolgimento, e cioe come reciprocita tra soggetto e oggetto nel processo dell'indagine. Ma questa 'umilta gnoseologica' e una conquista recente. L'antropologia e nata nel clima, totalmente diverso, del cosiddetto darwinismo sociale (7.13), cioe in quella visione evoluzionistica dell'umanita che aveva trovato nella dottrina di Darwin sull' origine della specie umana un riscontro alla concezione gerarchica delle razze, a tutto vantaggio, naturalmente, della razza bianca, ormai avviata al dominio del mondo. Come disse Levi-Strauss, inaugurando, nel 1960, il suo insegnamento nella cattedra di antropologia al College de France, «l'antropologia e giunta alla maturita il giorno in cui l'uomo occidentale ha cominciato a rendersi conto che non avrebbe mai capito se stesso finche sulla · faccia della terra una sola razza, un solo popolo fosse stato trattato da lui come oggetto. Solo allora l'antropologia ha potuto affermarsi per quello che e: una impresa che rinnova ed espia il Rinascimento, per estendere l'umanesimo a guisa dell'umanita». Ma l'antropologia non espia solo il Rinascimento, espia quella specie di prevaricazione, prima etica e poi gnoseologica, che si nascondeva nella pretesa positivistica di trattare l'uomo, anche nelle sue manifestazioni piu elementari, con lo stesso metodo usato dalle scierize fisiche e naturali (appunto, «come oggetto»), senza tener conto della coscienza soggettiva che sta dietro quelle manifestazioni. Oggi le cose vanno diversamente. Aspirando alla obiettivita totale, scrive lo stesso Levi-Strauss, <do spirito dell'antropologo, durante la ricerca sul campo, si abbandona all'esperienza e si lascia modellare da essa; rna in laboratorio questo stesso spirito diviene il teatro di altre operazioni mentali che senza cancellare le precedenti trasformano tuttavia l'esperienza in modello, modello che avra valore solo in quanta permettera, in una terza fase, di ritornare all'esperienza conferendo ad essa nuove dimensioni>>.
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16.5 L'antropologia evoluzlonistica. Anche se l'esplosione dell'antropologia culturale cade nel trentennio 1860-1890, e dunque in concomitanza con l'evoluzionismo biologico di Darwin (L'origine delle specie e del 1859), l'evoluzionismo a cui, nei suoi primi passi, l'antropologia si ispira e quello sociologico, le cui origini risalgono alla elaborazione illuministica del concetto di civilta e di quello correlativo di stato selvaggio. Ne abbiamo trattato ampiamente nel secondo volume (II.8.13-15). I resoconti etnografici, prodotti nel quadro dell'attivita missionaria, delle scoperte geografiche e delle imprese coloniali, avevano reso possibile, fin dagli inizi della civilta moderna occidentale, il confronto fra diverse forme di cultura. Il confronto non poteva che riflettere lo schema che collocava da una parte le nazioni civili, segnate dalla cultura di origine ellenica e romana, e, dall'altra, le popolazioni rimaste ferme a uno stadia primitivo di esistenza. Questa schema si arricchi di significato in seguito alle scoperte archeologiche fatte in terra europea, che, proprio attorno alla meta dell'Ottocento, portarono a stabilire che anche gli europei sono stati 'selvaggi', hanno attraversato, cioe, la sequenza delle tre eta: della pietra, del bronzo e del ferro. Dalla combinazione tra i risultati dell'etnologia e quelli dell'archeologia prese forma una rappresentazione della storia dell'umanita come processo unitario e lineare, scandito in tappe successive, che andavano dallo stato dei selvaggi a quello dei barbari e a quello delle nazioni civili. Attorno a questa asse, la vita dei gruppi umani veniva studiata nella varieta delle sue forme, che venivano comparate le une alle altre in modo da stabilire, anche al loro interno, un iter storico che riproduceva in se la sequenza delle tappe dell'evoluzione globale, nel presupposto che la specie umana, ovunque dispersa, fosse dotata di una unita psichica che la portava a produrre, nelle medesime circostanze, le medesime forme di adattamento all'ambiente vitale. Ad esempio, Johann Jacob Bachofen (1815-1887), nel suo studio su II matriarcato (1861), dimostrava che l'umanita primitiva era passata dalla promiscuita sessuale a un sistema familiare basato sul diritto materna e sulla discendenza ·matrilineare, e finalmente al sistema basato sul diritto paterna e sulla discendenza patrilineare. A ciascuna di queste tappe egli faceva corrispondere, nell'organizzazione della cellula sociale, forme specifi~he di religione, di regime proprietario, di diritto e di costumi morali. Questa impostazione ricevette niente di piu che una conferma dalle teorie di Darwin, in cui anche le forme biologiche, che fino allora erano sembrate il substrata immutabile della storia umana, si rivelavano prodotto di una trasformazione dovuta anch'essa al principia dell'adattamento della specie all'ambiente. A dare un coronamento metafif!ko a questa confluenza di orientamenti fu Herbert Spencer (7.14-16), che, proprio negli ultimi decenni del secolo, dette forma compiuta al suo sistema evolutivo, anteriore, nell'impostazione di fondo, all'opera scientifica di Darwin. Il principia spenceriano del passaggio dall'omogeneo all'eterogeneo permetteva di ricondurre anche la preistoria dell'uomo, anzi la stessa storia della natura, sotto una formula generale, e proiettava sulla civilta d' occidente l'aureola di porzione eletta del genere umano, chiamata a guidare l'evoluzione verso la meta della perfezione: II progresso, percio, non e un accidente, rna una necessita. La civilta, anziche essere un prodotto artefatto, e una parte della natura; e omogenea allo
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sviluppo dell'embrione o allo sbocciare di un fiore. Le modifiche che l'umanita ha subito e sta ancora subendo nascono da una Iegge che sta alia base di tutta Ia creazione organica; e, posto che Ia razza umana continui a esistere e Ia costituzione delle cose rimanga Ia stessa, queste modifiche devono arrivare a essere complete ... Cosi certamente le cose che chiamiamo male o immoralita devono sparire; cosi certamente l'uomo deve diventare perfetto.
E' questa il retroterra da cui nasce il capolavoro di Edward Burnett Tylor (1832-1917), La cultura primitiva, del 1871. Tylor era un quacchero inglese che, non potendo, a causa della sua confessione religiosa, accedere alla carriera universitaria, riverso il suo spirito di ricerca in lunghe e accurate indagini sul campo, in America centrale e in Messico. Gli illuministi, nel distinguere le tre tappe del processo storico - lo stato selvaggio, la barbarie e la civilta - identificavano il prima con una condizione di totale assenza di socialita e quindi di totale estraneita alla storia. Tylor, al contrario, dimostra come esista, anche nella stato selvaggio, una forma di cultura: la 'cultura primitiva', appunto. Naturalmente, per sostenere la sua tesi, egli dovette modificare il concetto corrente di cultura. Con una formula destinata a rimanere esemplare fino ad oggi, egli definisce la cultura come «quel complesso che comprende conoscenze, credenze, arte, morale, diritto, costumi e ogni altra capacita e consuetudine acquisite dall'uomo quale membra di una societa». L'intento di Tylor e, appunto, quello di determinare, con un procedimento appropriato, la cultura dei gruppi umani rimasti allo stato selvaggio, a partire dal presupposto dell'evoluzione unilineare della specie. Al centro della cultura primitiva c'e la credenza nell'esistenza dell'anima, una credenza nata dall' esperienza delle visioni e dei sogni, il cui processo psichico e la proiezione di un duplicato etereo, immateriale delle persone. Questa duplicato, sciolto dalle condizioni della materia, e appunto l'anima, su cui nulla puo la morte fisica: anche i morti, infatti, appaiono in sogno. Il modello di anima e servito al primitivo per costruire l'idea di «altre anime di grado inferiore, rna anche la sua idea di esseri spirituali in generale, dal pili minuscolo folletto che gioca nell' erba alta al celeste Creatore e Signore del mondo, il Grande Spirito». Sebbene non in modo rigido, Tylor sostiene un processo evolutivo dall'animismo inferiore, che e di sua natura amorale, all'animismo superiore, che implica la retribuzione del bene e del male nell'aldila, e finalmente al monoteismo. Nella sua ricerca, Tylor fece uso di rigorosi metodi di analisi, in particolare del metoda statistico. Ad esempio, egli fece l'inventario delle leggi del matrimonio e della discendenza in circa trecentocinquanta popolazioni diverse e le classifico in modo da trarne le correlazioni in base alle quali stabilire che non si trattava di coincidenze fortuite, rna di convergenze di valore universale. Molte delle sue conclusioni sono oggi abbandonate, rna il suo spirito antropologico, caratterizzato dalla prudenza induttiva, e rimasto in eredita agli studiosi delle generazioni successive. Della stesso metoda comparativo fece uso Lewis Henry Morgan ( 18181881), che condivide con Tylor il titolo di fondatore dell'antropologia culturale. Nato nel 1818 nello stato New York, Morgan fu consigliere giuridico di una compagnia ferroviaria e attivo militante del partito repubblicano, che rappresento al Congresso, prima come deputato e poi come senatore. Ma la sua vera
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passione era la ricerca antropologica, che gli fu resa facile dall'amicizia con l'indiano Ely Parker, commissario governativo per gli affari indiani durante la guerra civile. Insieme a lui fondo, nel 1851, la 'lega degli Irochesi'. Le sue ricerche trassero vantaggio dalla presenza nel suo paese di molte tribu indiane, che egli visitava di frequente, partecipando alia loro vita e guadagnandosi cosi la loro amicizia: una di esse, la tribu degli indiani Seneca, a cui apparteneva Ely Parker, lo adotto col nome di Tayadawahguh, 'colui che si tiene in mezzo', e cioe colui che serve da mediatore tra gli Indiani e i bianchi. Nell'intento di provare le origini asiatiche degli Indiani d'America, egli diffuse nel mondo, aiutato dal governo, un questionario sui sistemi di parentela, ottenendo risposte dalle Indie, dall'Oceania e dall'Africa. Frutto di questa sforzo poderoso e il suo capolavoro Sistemi di consanguineita e di affinita nella famiglia umana, del 1871. La storia umana, anche secondo Morgan, si e svolta secondo tre periodi etnici - lo stato selvaggio, la barbarie, la civilta -, che egli suddistingue in complessivi sette periodi, dallo 'stadio selvaggio inferiore', in cui gli uomini si nutrivano di frutta e di bacche, allo stadio civile, contraddistinto dall'alfabeto fonetico e dalla scrittura. All'interno di questa evoluzione, la famiglia ha conosciuto cinque tappe fondamentali: 1. la famiglia consanguinea, in cui il matrimonio avveniva tra fratelli e sorelle; 2. la famiglia punalua, in cui vigeva il divieto di matrimonio tra fratelli e sor;elle; 3. la famiglia sindiasmiana, in cui le coppie nascevano e si scioglievano spontaneamente; 4. la famiglia patriarcale, come quella degli Ebrei e dei Romani, in cui l'autorita suprema spettava al capo di sesso maschile; 5. la famiglia monogamica, basata sull'uguaglianza tra maschio e femmina, che si va evolvendo verso la famiglia-nucleare. Questi trapassi sono avvenuti a causa delle successive forme di economia, da quella dei cacciatori e raccoglitori a quella dell'industrializzazione moderna. E' quanta Morgan dimostro nella sua opera successiva, La societa antica, del 1877, che Marx lesse nel 1880, trovandovi una conferma del suo materialismo storico e propone.ndosi di scrivere un saggio sulle tesi di Morgan. Servendosi dei suoi appunti, Engels compose e pubblico, nel 1884, il suo saggio su L 'origine della famiglia (5.20), che, nella sua prima parte, altro non e se non una succinta esposizione delle tesi di Morgan e, nel resto, una loro abile integrazione nella visione materialistica della storia, centrata sulle connessioni tra evoluzione economica e evoluzione del costume familiare. A favorire questa annessione di Morgan alla cultura marxista, ebbe certo un peso anche la sua prospettiva etico-politica, ottimisticamente aperta all'avvento di una societa in cui sarebbero rifiorite la liberta, l'uguaglianza e Ia fraternita dei gruppi umani anteriori all' economia della proprieta privata.
16.6 II relativismo antropologico. Il tratto comune agli antropologi evoluzionisti e Ia spiegazione, mediante il principia dell'unita psichica dell'uomo, dei fenomeni ricorrenti in gruppi umani distanti fra loro geograficamente. E' a questa unita che si deve lo svolgimento unilineare della specie e la cadenza delle medesime tappe che tale svolgimento attraversa. A questa indirizzo, tra la fine del secolo scorso e i primi decenni del nostro, si opposero non pochi etno-
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logi, proponendo una spiegazione dei dati ricorrenti nei gruppi umani primitivi basata sull'idea di diffusione: attraverso il metoda comparativo, essi tentavanG> di individuare il luogo di origine di un costume o di una invenzione o di una credenza - l"area culturale' - e di mostrare come essi si fossero diffusi negli altri gruppi umani, anche molto remoti. Ad esempio, il tedesco Fritz Graebner ( 1877-1934), iniziatore di questa scuola, classifico i tipi culturali dei popoli primitivi in numero ridotto.. Diffondendosi e mescolandosi, essi avrebbero data luogo aile forme piu svariate di combinazione. A lora volta, quei tipi culturali arcaici andavano intesi come il risultato di un tipo unico originario. La scuola di Vienna, fondata dal gesuita Wilhelm Schmitt (1868-1954), presumeva di pater risalire, per tal via, a una condizione umana primitiva, che, per quanta concerne la religione, professava un monoteismo puro, dal quale l'umanita si sarebbe allontanata per degenerazione. Nonostante simili deroghe al rigore scientifico, il diffusionismo ha avuto un efficace valore correttivo nei confronti dell'antropologia evoluzionistica, viziata, a sua volta, dalla pregiudiziale ideologica di cui abbiarno detto. Esso si ritrova, infatti, sebbene in forma moderata, anche nel caposcuola della nuova antropologia americana, Franz Boas (1858-1942), nato in Westfalia rna trasferitosi, dopa l'abilitazione in geografia, negli Stati Uniti e precisamente a New York. Professore di antropologia nella Columbia University, fece di questa universita un attivissimo centro di studi, dove si sono formati i piu validi antropologi americani. ll governo degli Stati Uniti fu largo di aiuti perle sue ricerche sistematiche, condotte fra le tribu indiane. In base a queste ricerche egli contesto, nella sua prima opera, I limiti del metoda comparativo in antropologia (1896), non tanto il principia dell'evoluzione, quanta lo schema dell'evoluzione culturale adottato da Tylor e Morgan, troppo semplicistico, ai suoi occhi, e incapace percio di render canto della complessita dei fenomeni dei gruppi umani primitivi. La ricerca condotta senza schemi preventivi smentisce il presupposto evoluzionistico della sviluppo parallelo dei gruppi umani a partire da una condizione unitaria originale, mentre si trova piu a suo agio nel postulato dei diffusionisti, secondo il quale non ci sono societa 'intatte', capaci di svilupparsi in parallelo alle altre. L'evoluzione di una societa e avvenuta sempre mediante prestiti di altre societa. I tratti culturali comuni di societa tra loro separate vanno spiegati, finche e possibile, come effetti di diffusione e di scambio, prima di ricorrere all'ipotesi dell'invenzione autonoma. Ma i criteri del diffusionismo non autorizzano affatto l'ipotesi di un'unica area culturale originaria. Le culture costituiscono realta relativamente autonome, che vanno studiate come sistemi dentro i quali anche i prestiti di altre culture acquistano un sensa nuovo, proprio co:me avviene nel linguaggio. Ecco perche, per penetrare dentro una cultura primitiva occorre collocarsi al suo interno, fino a condividere il punta di vista dell'indigeno. Proprio come aveva insegnato Dilthey (10.2), per capire un fenomeno sociale bisogna «entrare nella testa degli altri)). Le culture hanna dunque una !oro individualita plastica, che risulta dalla concorrenza, nella loro formazione, di diversi fattori, ivi compreso quello psicologico. Per comprendere l'individualita di una cultura si deve tener canto dell'influenza che su di essa hanna avuto l'ambiente geografico e il sistema economico, rna a condizione che essi siano visti nella lora interazione col soggetto umano, che e sempre, a
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sua volta, una causa autonoma di trasformazione. Nell'intreccio delle cause che danno fisionomia unitaria a una cultura, anche a una cultura primitiva, non si da mai una causa determinante. Inutile, dunque, cercare leggi generali che ce ne consentano una spiegazione esauriente: la cultura e sempre una unita a se stante, non riconducibile mai a una totalita. L'insuperabilita del relativismo delle culture ha il suo fondamento proprio nel nesso tra individuo e cultura, tra reazione psicologica dell'individuo e sistema collettivo in cui essa emerge e si risolve. II tema dell'individualita della cultura ebbe particolare sviluppo con Alfred Louis Kroeber (1876-1960), della prima generazione degli alunni di Boas, che comincio la sua carriera di studioso con una tesi (190 1) sugli Indiani della California. Egli fu l'ultimo, fra i grandi antropologi americani, a studiare sul campo le tribu indiane che avevano conosciuto lo stato selvaggio, tanto che, alla sua morte, Levi-Strauss disse che con lui scompariva definitivamente l' America precolombiana. Ma sugli interessi etnologici prevalsero in Kroeber quelli teorici sulla natura della cultura, che egli approfondi congiungendo, secondo la sua espressione, i metodi 'microscopici' e quelli 'telescopici', e cioe quelli che riguardano la microdinamica della etnografia e della storia di breve durata, e la macrodinamica dell' evoluzione biologica e della storia a lungo periodo. I fenomeni di natura, si unificano, secondo Kroeber, a vari livelli: a quello preorganico, a quello. organico e a quello superorganico, che e, appunto, il livello della cultura (Il superorganico, 1917). Le culture sono sistemi nettamente individuati, nel senso che le loro variabili sono sempre fra !oro interdipendenti, rna sono diacronicamente condizionati dal proprio passato: di qui l'importanza delle ricerche archeologiche e soprattutto linguistiche, che consentono la combinazione tra antropologia e storiografia in senso lato. Un metodo cosi complesso (e che proprio per questo incontro non poche critiche fra gli antropologi) permette a Kroeber un tentativo che lo apparenta a Oswald Spengler: la descrizione delle formazioni culturali ~he crescono assorbendo elementi sempre nuovi e li ordinano secondo il proprio modello specifico, sovrastando cosi gli individui e tuttavia imprimendo in essi i tratti della propria inconfondibile particolarita, come avvenne, ad esempio, nel Rinascimento italiano (Configurazioni della sviluppo culturale; 1944). I profili storiografici che Kroeber ci offre non sono costruiti secondo il ciclo spengleriano di nascita e morte, rna secondo la dinamica che conduce una cultura alla sua vetta, al suo 'climax', durante il quale essa si esprime in grandi personalita e comunque in manifestazioni particolarmente rappresentative della sua individualita. Nello stesso clima boasiano si svolge l'itinerario culturale di Abram K.ardiner (1891-1981 ), che tenta l' applicazione della psicoanalisi (era stato con Freud negli anni 1921 /22) aile ricerche antropologiche. Per comprendere una cultura come totalita individuale e indispensabile, secondo Kardiner, lo schema psicoanalitico, liberato pero dal riferimento esclusivo all'affettivita e al romanzo familiare, e dilatato all'insieme delle relazioni dell'individuo col mondo esterno, e in particolare col suo gruppo sociale. A tale scopo, Kardiner elabora il concetto di 'personalita di base' - un modulo astratto dell'individuo di una societa -, che stabilisce il comune denominatore delle personalita individuali di un dato gruppo sociale. La relazione tra la personalita di base e una data cultura avviene con un duplice movimento, mediato da istituzioni 'primarie' e 'seconda-
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rie': le prime (come la famiglia e l'educazione) sono queUe che esercitano sulla personalita una azione determinante, costitutiva; le seconde (ad esempio, la religione) sono quelle in cui si esprime la reazione della personalita all'azione delle istituzioni primarie. Da questo gioco di interazioni nasce la cultura: definita da Kardiner come il modo stabile di pensiero e di comportamento comune a un gruppo sociale, il cui rifiuto provoca 'nevrosi traumatiche', ben diverse da queUe che Freud riteneva di poter spiegare con i miti del complesso di Edipo o del parricidio primordiale. Alla scuola di Boas si sono formate due antropologhe di grande fecondita e di grande intraprendenza nel campo delle ricerche e nell'applicazione delle loro conclusioni anche ai problemi della cultura contemporanea, Ruth Benedict e Margaret Mead. Ruth Benedict (1887-1948) fu assistente di Boase ne sviluppo il tema della individualita delle culture, elaborando una sua teoria dei 'modelli' (il suo libro Modelli di cultura, del 1934, e stato il bestseller in assoluto della produzione antropologica), basandola sulle sue ricerche fra le tribu indiane, rna misurandola anche con le culture contemporanee, per studiare le quali essa soggiorno sia in Europa che in Asia. Secondo la sua teoria, ogni cultura, da quella degli indiani Zuni a quella tedesca o a quella giapponese, e un sistema integrato, che ha una sua propria configurazione, dentro la quale l'individuo si comporta in funzione del modello che essa ha realizzato. Sua allieva, oltre che di Boas, fu Margareth Mead (1901-1978), che condusse le sue ricerche soprattutto in Oceania e nella Nuova Guinea, occupandosi in particolare degli aspetti socio-pedagogici delle societa primitive. Di grande successo alcune sue opere, come L 'Adolescente nelle societa primitive (1928) e Sessa e temperamento in tre societa primitive (1935). Secondo la Mead, ogni societa fornisce ai problemi fondamentali dell'individuo risposte originali, in funzione dei processi di socializzazione e delle norme e dei valori che li guidano. E mentre le societa moderne si caratterizzano per la complessita, e non di rado per la contradditorieta dei diversi sistemi di valori su cui si basa l'educazione, le societa dette primitive sono dominate da un valore unico, da un ideale sociale omogeneo e semplice. Agli occhi della Mead, il modello piu perfetto di societa complessa era quello del suo paese. Libera da ogni nostalgia per l'uomo primitivo, la Mead indicava negli Stati Uniti un esempio di integrazione multiraziale e di unita nella diversita.
16.7 L'antropologia sociale. La ricerca sulle societa 'primitive', che e l'area specifica dell'antropologia culturale, ha il vantaggio di trovarsi dinanzi un oggetto di studio dalle apparenze elementari, in cui il sistema delle interdipendenze dei fenomeni sociali si offre, o meglio sembra offrirsi, allo stato puro. Facendo proprio il progetto comtiano di una sociologia come scienza onnicomprensiva, Emile Durkheim· ritiene di poterlo attuare estendendo l'epistemologia positivistica al materiale portato alia luce dalle ricerche etnologiche, col pressuposto logico-storico che cio che e primo nel tempo e anche il piu semplice dal punto di vista conoscitivo. Si tratta di un presupposto che nelle ricerche piu recenti e stato abbandonato: anche le societa 'primitive' sono interne alia storia, non ne rappresentano affatto il cominciamento, non sono, in-
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somma, veramente primitive. Ma nel clima in cui Durkheim elabora il suo metoda sociologico e ne fornisce le prime applicazioni sia ai fatti sociali contemporanei (esemplare il suo studio sul suicidio), sia alla struttura permanente della societa, la convinzione che le popolazioni 'primitive' lascino trasparire il modulo originario e permanente di ogni societa umana e un dogma difficilmente contestabile. Durkheim pone questa dogma a fondamento del suo metoda: «Secondo un principia cartesiano, nella catena delle verita scientifiche il primo anello ha ruolo preponderante». Se il primo anello e la societa 'primitiva', all'interno di questa societa il primo anello e rappresentato dalla religione, in quanta essa e «lo stato sociale piu semplice che si possa attualmente conoscere». Forte di queste due premesse, Durkheim stabilisce i principi generali del suo metoda: 1. non si danno categorie del pensiero innate, tutte sono derivate da un' esperienza collettiva originaria di carattere religioso; 2. anche il principia di contraddizione e le forme spazio e tempo sono formazioni mentali, il cui senso e da individuare all'interno dell'esperienza religiosa primitiva; 3. in questa esperienza, la funzione del soggetto individuate e del tutto subalterna a quella del gruppo sociale: il gruppo, e vero, non si darebbe, se non fossero gia date le coscienze particolari, rna «aggregandosi, penetrandosi, fondendosi, le anime individuali danno vita ad un essere (psichico, se vogliamo) che pen) costituisce una individualita psichica originaria»; 4. i fenomeni sociali non sono, dunque, ne meramente naturali-organici, ne meramente psico-soggettivi, e nemmeno la somma dei fenomeni individuali: sono aspetti di una unita ben individuabile, nella quale e solo nella quale essi hanno il loro vero senso, cosi come gli atomi di idrogeno, di ossigeno, di carbonio e di azoto, contenuti in una cellula vivente, hanno illoro vero senso nella vita della cellula. «I fenomeni sociali, pur essen do materiali, sono anch' essi cose reali», e co-
Emile Durkheim nasce nel 1858 a Epinal, in Lorena, da una famiglia di rabbini. NeZ 1879 entra alia Ecole normale, dove ha per condiscepoli Bergson e Blondel Poco interessato alia filosofia pura, i suoi veri interessi sono per Ia sociologia e i suoi veri maestri sono Spencer e soprattutto Comte, da cui trae !'idea della sociologia come scienza autonoma_ D'ispirazione comtiana e Ia sua tesi di laurea, La divisione del lavoro sociale, che pubblica nel 1893. NeZ 1895 espone la sua dottrina sociologica nelle Regale del metoda sociologico. L 'an no dopo fondd la rivista 'L'annee sociologique', in cui pubblichera via via i suoi studi e che diventa lo strumento della scuola forrnatasi attorno a lui. Del 1897 e la sua ricerca Il suicidio, in cui esemplifica il suo metoda, riconducendo a leggi sociali un fenomeno apparentemente del tutto individuale. I suoi interessi si volgono sempre piu all'analisi dei fenomeni religiosi, che culminera nel suo capolavoro Le forme elementari della vita rcligiosa, del 1912. Dal 1902 insegna alla Sorbona scienze pedagogiche. Dal 1912 la sua cattedra prende il titolo di 'cattedra di sociologia della Sorbona: Muore nel1917.
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me tali vanno studiati, tenendo ferma e irriducibile la lciro 'esternita' al soggetto. La 'cosa' .sociale e pertanto impenetrabile a una indagine meramente psicologica e a qualsiasi altra indagine che pretenda di spiegarla semplicemente con uno dei suoi aspetti, come ha fatto Marx, che ha tentato di rendere intelligibile la societa ponendo alia sua base il fenomeno della lotta di classe, mentre, al contrario, e la lotta di classe che trova senso nell'unita della 'cosa', non riducibile ad altro che a se stessa, o a cause dello stesso ordine, e cioe a 'cose' sociali, a loro volta non indentificabili con nessuno dei loro elementi. La societa e dunque, proprio come la lingua di de Saussure, un sistema chiuso in se stesso, una totalita individuale nella quale, e solo nella quale, trovano chiarezza gli elementi singoli. L'evoluzione storica non modifica sostanzialmente questo carattere del fenomeno sociale. Sotto I'influenza di Comte, Durkheim spiega l' evoluzione storica con una sola legge, quella del passaggio dalla 'solidarieta meccanica' alia 'solidarieta organica'. La prima e propria delle societa arcaiche: gli individui, soggetti alia coazione del gruppo, sono simili gli uni agli altri, condividono gli stessi sentimenti, obbediscono aile stesse credenze, celebrano gli stessi riti. E' la solidarieta 'per somiglianza'. La solidarieta organica e propria delle societa evolute come la nostra e risulta, al contrario, dalla differenziazione degli individui, che sono legati gli uni agli altri in quanto esercitano ruoli e funzioni complementari all'interno del medesimo sistema. E' qui, in questa necessita sociale della distinzione dei ruoli e delle funzioni, la vera ragione della divisione del lavoro, e non nel principio della maggiore produttivita, come ritengono, insieme a Marx, gli economisti. La deviazione della societa attuale e proprio nella sua pretesa di fissare i compiti degli individui isolando determinate loro tendenze, per costruire su di esse una forma specifica di societa, quella produttiva, sradicando cosi gli individui dalla totalita sociale, e cioe dall'insieme di norme che regolano la loro vita. Si entra, allora, in uno stato di 'anomia', di assenza di norma, che esalta negli individui la pretesa di raggiungere a loro arbitrio qualsiasi meta. Ma cosi essi si trovano al di fuori della tutela di quelle norme che regolano la vita del singolo nella compagine del sistema. Si spiega, in tal modo, il fatto, altrimenti paradossale, dell'aumento di suicidi negli ambienti o nei periodi di particolare prosperita. In questa concezione dei rapporti tra individuo e societa ci sono gia tutte le premesse della teoria di Durkheim sul significato della religione. Personalmente ateo, e convinto che il ruolo delle religioni tradizionali era destinato a indebolirsi nella societa industriale, egli riteneva che senza credenze collettive, capaci di assolvere i compiti tradizionalmente svqlti dalla religione, il disfacimento della vita civile sarebbe stato inarrestabile. Indipendentemente dalle sue manifestazioni particolari, la religione e la condizione stessa della sopravvivenza della societa. Nella sua essenza, essa e un sistema solidale di credenze e di pratiche relative a cose sacre (ossia 'separate', 'interdefte'), di credenze e di pratiche che uniscono in una medesima comunita morale coloro che vi aderiscono. Non rientra, dunque, nella sua essenza la fede in un Dio trascendente o in un ordine soprannaturale: lo dimostrano le ricerche etnologiche che, mentre constatano in ogni popolo primitivo la presenza della religione cosi come l'ab-
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biamo definita, solo neUe societa piu evolute riscontrano l'opposizione tra fatti naturali e fatti. soprannaturali, tra orizzonte mondano e trascendenza divina. L'unico dato permanente del fatto religioso e la classificazione delle cose, reali o ideali, in due ordini tra loro opposti, il 'sacro' e il 'profano'. Quel che va spiegato, dunque, e il permanere di questa distinzione in tutte le societa, si tratti di queUe primitive dell'Australia, in cui i membri del clan devono astenersi dal toccare il totem e devono manifestargli rispetto, o si tratti delle societa moderne che rendono omaggio alla bandiera e considerano sacrilegio l' oltraggiarla. Per cogliere la ragione di questa potenza sacra del simbolo, Durkheim analizza il totemismo australiano come forma elementare della vita religiosa, come 'primo anello' della catena evolutiva. Il totem e il simbolo di «una specie di forza anonima e impersonale, che si trova in ciascuno di quegli esseri (gli animali), senza peraltro confondersi con nessuno di essi». Nessuno la possiede per intero e tutti vi partecipano. Essa e indipendente dai soggetti particolari in cui si incarna, li precede, e sopravvive anche dopo di loro. In quanto il totem esprime una forza impersonale esterna all'individuo, il totemismo puo essere ritenuto come la particolare espressione del sacro che definisce la religione in quanto tale. A fondamento della religione non c'e, dunque, ne il concetto di anima, come voleva Tylor, ne quello di Dio, come volevano i diffusionisti della scuola di Vienna, rna solo la forza (il mana) totemica. Resta da spiegare da dove scaturisca questa forza. Per Durkheim, una sola spiegazione e possibile, perche l'unica forza che sorpassa gli individui, e assume nei loro confronti la forma di una forza anonima e diffusa, e la societa in se stessa: Una societa ha tutto cio che e necessario per svegliare negli spiriti, con la stessa azione che esercita su di essi, la sensazione del divino, in quanto essa e peri suoi membri quel che un dio e peri suoi fedeli.
Ogni societa implica, dunque, una autorita morale della cotlettivita sull'individuo, una autorita che si esercita non con la coazione, rna suscitando e ottenendo rispetto. E' qui, in questo rispetto, la sorgente e dunque anche la spiegazione del fenomeno religioso. Questa riduzione della religione a semplice variabile di una struttura sociale intesa quasi come una sostanza, che integra in se l'individuo, suscitando in lui il rispetto per le proprie norme, clava adempimento, rna con rigore razionale, al progetto di Comte di una religione laica, da sostituire a quella tradizionale. E insieme rispondeva alla richiesta, sempre piu diffusa nella societa borghese, di una ideologia rassicurante, da contrapporre alle minacce delle organizzazioni di classe, che miravano a sgretolare la legittimita di un sistema sociale articolato secondo una ricca differenziazione di ruoli e di compiti. Il sociologismo di Durkheim toglieva alla visione evoluzionistica della storia la pretesa di relegare la societa 'primitiva' in uno stadio ormai privo di senso per l'uomo moderno. Tra la logica del pensiero religioso e 'primitivo' (i due termini per Durkheim vengono a dire la stessa cosa) e la logica del pensiero scientifico, non c'e nessun abisso: «l'uno e l'altro sono fatti dei medesimi elementi essenziali, rna inegualmente e differentemente sviluppati». Di pili: le categorie delle quali fa uso il pensiero evoluto si sono formate in seno all'esperienza collettiva delle societa
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'primitive', anche sea noi le sue manifestazioni sembrano del tutto prive di senso. Il tema .della mentalita primitiva fu ripreso da Lucien Levy-Bruhl (18571939), uno storico della filosofia, coetaneo di Durkheim e, per l'influenza di questi, dedicatosi anche lui alle ricerche etnologiche. In uno suo studio intitolato, appunto, La mentalita primitiva, del 1922, Levy-Bruhl, postosi il problema delle variazioni delle funzioni mentali in rapporto alla diverse forme di vita sociale, ritenne opportuno, secondo la metodologia durkheimiana, fermare l'attenzione sulla mentalita la pili lontana possibile dalla nostra, come quella degli Australiani o degli Indiani d'America. La sua ricerca lo condusse a stabilire una specie di dualismo tra le forme di pensiero prelogiche dei primitivi e quelle logiche dei civilizzati. Ritornando criticamente su se stesso, anche in base aile molte obiezioni sollevate, egli affido a degli appunti, pubblicati postumi col titolo di Carnets ( 1949), una revisione molto approfondita di questo dualismo gnoseologico, senza pero negarlo del tutto. Lasciando in ombra queste sue perplessita e attenendoci alla sostanza della sua teoria, possiamo cosi sintetizzare la sua definizione della mentalita primitiva. La mentalita primitiva e essenzialmente mistica, in quanto, partendo, come noi, dalle impressioni sensibili, se ne rende ragione non gia percorrendo, come richiede la logica aristotelica, le cause seconde, rna volgendosi direttamente alle potenze del mondo invisibile, che per essa e tutt'uno col mondo visibile. La mentalita primitiva e prelogica, non nel senso che sia anteriore o contraria alla logica, rna nel senso che non obbedisce esclusivamente alle regole della nostra logica, e in particolare ai principi di identita e di non contraddizione. Per il primitivo, ad esempio, lo stregone e gli animali sono, :nello stesso tempo, una sola cosa e due cose diverse. Egli ha una diversa percezione del tempo: il futuro e spesso gia presente e provoca le emozioni che in noi provocano i fatti presenti. Le sue percezioni del reale e dell'irreale sono diverse dalle nostre. Per questo i tratti tipici della societa primitiva non sono trasferibili ai nostri concetti. Quando noi parliamo dell' animismo del primitivo, facendo uso del termine 'anima' trasferiamo una sua nozione in un concetto che la spoglia del suo reale significato. La mentalita primitiva si regola secondo il principia di partecipazione, cosi come la nostra si regola secondo il principia di non contraddizione. La partecipazione e il modo con cui il primitivo, nel momento della sua esperienza collettiva, assume gli oggetti in una trama di connessioni che non obbediscono a criteri conoscitivi, rna emozionali. «Come individuo, il primitivo sente e giudica nel nostro stesso modo», rna nella rappresentazione collettiva gli oggetti, g,li esseri, i fenomeni «emettono e ricevono forze, virtu, qualita, azioni mistiche, ·che si fanno sen tire al di fuori di essi, senza cessar:e di essere quello che sono». Questa compresenza dei contrari si avvera nella categoria affettiva, che, con la sua potenza sintetica, ha la meglio sulla logica analitica. Nella revisione critica affidata ai suoi Carnets, LevyBruhl ha riconosciuto, correggendo il dualismo tra pensiero primitivo e pensiero civilizzato, che la partecipazione non appartiene esclusivamente al primo, rna ha il suo posto anche nel secondo, per cui la mentalita primitiva viene ad essere un aspetto della mentalita umana in generale, anche se rimane come soffocata nelle civilta in cui dominano le operazioni puramente intellettuali. In-
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somma: «la struttura logica del pensiero umano e dovunque la stessa». Come Levy-Bruhl ha sviluppato il tema durkheimiano della mentalita primitiva, cosi Marcel Mauss (1872-1950), nipote e discepolo di Durkheim, ha sviluppato il tema della societa come 'fatto totale', come un insieme non riducibile aile sue componenti, rna, al contrario, presente in ciascuna di esse come causalita autonoma. II compito della sociologia e di studiare i fenomeni significativi per ritrovare, al di la di essi, la struttura che li spiega. Nella struttura e, attraverso di essa, in ogni singolo fenomeno, perfino nel modo di camminare o di nuotare, si innervano e si unificano i piani diversi della realta sociale, da quello fisico a quello religioso. Nella sua totalita, il fenomeno sociale integra in se sia la struttura che l'individuo concreto, ed e nell'individuo concreto, nel Romano o nel Melanesiano, che la totalita va colta, e non, come fa una sociologia semplicistica, neUe istituzioni prese a se, indipendentemente dai loro artefici. Mauss ha applicato questa sua teoria a un aspetto particolare della societa primitiva, quella del dono, in uno scritto del 1924, intitolato Saggio sui dono. Forme e ragione della scambio nelle societa arcaiche. II suo intento e di dimostrare che i fenomeni economici non possono essere ridotti semplicemente al calcolo di interessi commerciali. Gli scambi tipici delle societa arcaiche derivano, piu che qa necessita economiche, dall'obbligazione di donare, di ricevere e di restituire. Tra gli Indiani e i Melanesiani si danno vasti sistemi di prestazioni reciproche, neUe quali si manifesta, tra gli oggetti e le persone, un legame intima e magico, che conferisce al dono un valore sociale. Nelle tribu australiane, le prestazioni fra i clans implicano scambi di beni, di servizi, di riti, di danze, di donne e di nomi. Ognuno di questi fatti e, insieme, religioso, economico, politico e giuridico. Anche i riti della religione, come la preghiera e il sacrificio, rientrano nella struttura del dono. Chi sacrifica una vittima a Dio, lo fa in attesa di una restituzione. L'analisi di ogni singolo fenomeno va compiuta sempre all'interno di un sistema totale: se questa muta nella sua morfologia, mutano anche tutti gli elementi che lo costituiscono. Ad esempio, la societa eschimese e individualista durante l'estate, perche vive in stato di dispersione, ed e comunitaria durante l'inverno. Gli aspetti della sua vita vanno, dunque, messi in rapporto con l'alternanza delle stagioni. Questa considerazione della societa come struttura unitaria, i cui aspetti singoli possono essere compresi soltanto attraverso la totalita che li contiene, sara alla base dell' antropologia francese del dopaguerra, e in particolare della strutturalismo.
16.8 L'antropologia funzionale. Malinowski. Il merito della scuola di Durkheim, nella storia delle scienze antropologiche, e di aver liberato l'analisi della societa da ogni presupposto evoluzionistico, per ridurla a un oggetto perfettamente delimitabile, chiuso in se stesso, in cui ogni forma sia spiegabile senza riferimento agli antecedenti storici, semplicemente in base ai bisogni e alle risposte da essi ottenute. Queste forme possono, dunque, considerarsi · anche come 'funzioni', e cioe come attivita compiute dall'organismo sociale in vista dei suoi fini, che pertanto non vanno confusi con i fini che l'individuo come tale si pone. Esse so no le risposte di quell' organismo alle proprie esigenze.
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Poste cosi le cose, Durkheim entrava in contraddizione quando, per dimostrare Ia .sua tesi, sceglieva le societa australiane perche 'semplici', in quanto 'elementari'. Infatti, questa equiparazione non regge. Una societa e semplice, quando contiene in se, in modo distinto, gli elementi costitutivi di un organismo sociale in quanto tale; e elementare, se, dice Durkheim, «e Ia piu semplice tra quelle attualmente conosciute». Ma chi ci dice che non se ne debbano trovare altrove anche di piu elementari, di piu vicine, cioe, a un ipotetico stato primordiale? E cosi, in modo surrettizio, il giudizio storico-evolutivo si introduce nell'analisi, viziando un metodo che, nelle intenzioni di Durkheim, vorrebbe essere puramente strutturale, senza rapporti col fattore tempo. II passo decisivo per dare forma teorica e pratica al funzionalismo enunciato da Durkheim nelle Regale del metoda sociologico fu compiuto, tra le due guerre, dall'antropologia sociale inglese, la cui piu compiuta sistemazione si deve a Bronislaw Malinowski*. In polemica con gli evoluzionisti e i diffusionisti, egli riprende la lezione di Durkheim («padre del funzionalismo», a suo giudizio) per affermare, in modo coerente, Ia totalita di ciascuna cultura. Questa totalita sottintende un sistema integrato, in cui ogni elemento - istituzione, costume, norma - giochi un ruolo nella misura in cui soddisfa un bisogno umano biologico e cioe nella misura in cui e una funzione. Spiegare uno di questi elementi con ragioni storiche e un non senso, come e un non senso spiegare il movimento dei muscoli di un cavallo ricercando i suoi genitori: essi si muovono in quanto assolvono una funzione. Nella definizione che Malinowski da della cultura, i tratti rilevanti sono, appunto, l'esclusione della dimensione diacronica, e cioe di ogni riferimento a processi storici antecedenti, e l'esclusione di ogni nozione astratta e generica di
Bronislaw Malinowski nasce nel 1884, a Cracovia, da antica famiglia polacca. Conseg?-lita !a laurea in fisica e matematica nella citta natale, attratto dagli studi antropologici, nel 1910 si reca a Londra, dove intraprende lo studio della struttura familiare australiana. Scoppiata Ia prima guerra mondiale, incontra alcune difficoltil, come Ia residenza vigilata, che lo persuadono a chiedere di trasferirsi in Oceania come ricercatore. Vi rimane fino al 1920: dal 1915 al 1916 soggiorna tra i Melanesiani, nelle isole Trobriand, ad est della Nuova Guinea. Per meglio studiare dall'interno Ia vita degli indigeni, apprende la lora lingua. Frutto di questa singolare ricerca sono le sue opere piu famose, carne Gli Argonauti del Pacifico occidentale (1922), Delitto e costume delle societa primitive (1926), Sessa e repressione nella societa selvaggia (192 7), La vita sessuale nella Melanesia occidentale (1929). Tomato a Londra nel 1924, gli viene affidata Ia prima cattedra di antropologia sociale dell'universita di Londra. Compie altri viaggi di ricerca nelle tribu indiane d'America e in Africa. NeZ 1939 si trasferisce negli Stati Uniti, dove insegna all'universita di Yale e avvia alcune ricerche in Messico, rna muore, nel 1942, senza aver potuto utilizzare i suoi appunti. Verranno pubblicati postumi in distinti volumi: La dinamica del mutamento culturale (1945), Liberta e civilta (1947), e Diario (1966).
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'cultura umana', da applicarsi alla cultura singola. Ogni cultura e un tutto a se, dotato di equilibri intemi, che non possono essere t'urbati in uno solo dei loro elementi senza che l'insieme venga compromesso. Anche cio che, a una cultura estema (quella, ad esempio, degli inglesi colonizzatori dell'Oceania), sembra disgustoso e immorale, se considerato nel sistema di appartenenza appare riceo di sensa, in quanta 'funzionale'. Del resto, come apparirebbe a un osservatore estemo la moltitudine dei tifosi di uno stadia? Le tradizioni culturali sono come un tessuto nel quale la rottura di un solo filo rischia di rovinare l'intera trama. Questa irriducibilita di una cultura all'altra e resa chiara dalla impossibilita di applicare alla societa melanesiana la teoria di Freud del complesso di Edipo (14.4). Lo schema freudiano va bene per la famiglia patriarcale, non per la famiglia matriarcale delle isole Trobriand, dove i desideri repressi sono, semmai, quelli di «sposare la sorella e di uccidere lo zio matemO». Lo stesso si dica dell'altro mito di Freud, quello dell'orda originaria (14.6), nel quale Malinowski vede la proiezione fantasiosa dei desideri repressi della societa europea. ll passaggio dalla natura alia cultura ha una spiegazione piu convincente (ed esemplarmente funzionalista) per mezzo del tabu dell'incesto e dell'esogamia: L'incesto significherebbe il rovesciamento delle distinzioni di eta, il frammischiarsi delle generazioni, la disorganizzazione dei sentimenti e un violento scambio delle parti, quando la famiglia e il piu importante mezzo per l'educazione. Il tipo di cultura che esclude l'incesto e pertanto l'unico che permetta l'esistenza dell'organizzazione sociale e della cultura stessa.
Come il battito del cuore o la secrezione gastrica sono funzioni fisiologiche che esprimono e assicurano la vitalita dell'organismo, cosi il divieto dell'incesto e ogni altro elemento del costume della societa vanno intesi come funzioni della struttura sociale. Isolare un momenta della vita di un gruppo sociale, per studiarlo in se stesso e per compararlo ad analoghi momenti di altri gruppi sociali, e procedimento sterile ed equivoco, dato che il sensa di ciascuno e nella sua relazione con l'insieme di tutti gli altri, all'intemo del proprio sistema. Siamo in grado di comprendere, cosi, che cosa sia, per Malinowski, una cultura. Essa e «un complesso sistema strumentale di attivita organizzate», alla cui base vi sono i 'bisogni' che, per quanta appartengano all'individuo, solo nel gruppo sociale si manifestano in una maniera determinata, quella che da al gruppo la sua individualita. I bisogni sono classificabili in tre ordini distinti, ai quali corrispondono tre ordini di funzioni. 1. I bisogni primari o biologici. In un suo schema del 1939, Malinowski li riduce a sette fondamentali esigenze biologiche: l'alimentazione, la riproduzione, la comodita fisica, la sicurezza, lo svago, il movimento, lo sviluppo. Esse sono comuni all'uomo e all'animale, rna nell'uomo hanna una particolare forrna di risposta, ed e in questa primissima risposta che si da il passaggio dalla natura alia cultura. Ad esempio, la risposta al bisogno dell'alimentazione e il vettovagliamento, a quello della riproduzione e il matrimonio, a quello della comodita fisica sono il domicilio e gli indumenti, e cosi via. 2. .! bisogni secondari e derivati sono quelli che riflettono i bisogni biologici, rna a un piu alto livello di complessita sociale, che e in grado di soddisfarli con
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risposte strumentali adeguate. Cosi, ad esempio, dal semplice vettovagliamento si passa a una organizzazione economica; dalla semplice ricerca del domicilio e degli indumenti aile regale che ordinano e sanzionano il comportamento sociale: nasce cosi il controllo della societa sull'individuo. Ma l'esempio piu illuminante e il trapasso dall'unita puramente fisiologica della coppia al complesso codice sociale riguardante tutto cia che attiene alia procreazione, come il contratto che stabilisce i modi della convivenza, i riti che Ia sanciscono, le regole che ne permettono lo scioglimento; o come il sistema di valori e di regale morali che circonda la gravidanza o il parto, e finalmente come il sistema delle parentele. II gruppo domestico non e unicamente una istituzione di riproduzione; e una delle principali istituzioni nutritive e una unita economica, legale e spesso religiosa. La famiglia e il luogo in cui si provvede, attraverso l'educazione, alia continuita culturale.
3. I bisogni integrativi e simbolici insorgono come ricerca ulteriore di dare appagamento ai bisogrti dei due ordini precedenti, che assumono un sensa completo solo se riferiti alia cultura della societa, intesa come un tutto organico. Sono le regale morali, i dogmi religiosi, i giochi e le espressioni artistiche, insomma quell'insieme artificiale con cui la societa mira, oltre che a meglio appagare i bisogni primari e secondari, a suscitare nuovi impulsi e nuove soddisfazioni. Col trasformare i bisogni organici in imperativi culturali, mediante J'apparato condizionante delle norme simboliche, la societa trasforma l'individuo in vera e propria personalita culturale. A consentire questa trasformazione delle spinte fisiologiche (quelle sessuali, ad esempio) in valori culturali, e la funzione simbolica, da cui provengono i sistemi di segni, di gesti, di suoni come prima forma di conoscenza e, infine, la conoscenza stessa. E siccome la conoscenza, che comporta di sua natura la previsione, il calcolo, la pianificazione sistematica, mette anche a nudo le fondamentali incertezze delle previsioni e delle pianificazioni umane, essa svela la precarieta dell' esistenza. Di qui il bisogno di una garanzia di stabilita, che ponga rimedio al senso di precarieta di cui e fonte il processo conoscitivo. La risposta culturale a questa bisogno supremo e fornita dalla religione e dalla magia. Conoscenza, religione e magia · esprimono, in un gruppo sociale, gli imperativi piu alti, appunto perche provvedono all'integrazione spirituale e sociale dell'individuo. La religione comporta tre momenti essenziali: il dogma, il rito, le regale morali. Queste tre funzioni trovano Ia loro unificazione nel mito, la cui origine pertanto non e, come spesso si ritiene, una ingenua spiegazione eziologica dei fatti di natura e di quelli sociali, e una fun:idone indispensabile che «esprime, eleva e codifica le credenze; salvaguarda e favorisce la morale, garantisce l'efficacia rituale e contiene regole pratiche per Ia condotta umana», e fa tutto questo fornendo aile credenze, alia morale e al rito «una garanzia di antichita e di santita». La magia differisce dalla religione perche, mentre questa si risolve nell'attesa di una provvidenza, essa e una pretesa di controllo sulla natura e non, come per lo piu si riteneva, un sostituto della scienza. Anche il primitivo, infatti, ha una sua elementare mentalita scientifica. La magia coopera con la scienza i
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intervenendo la dove, a causa del fallimento dell'atteggiamento scientifico, riaffiora il sensa della precarieta e della insicurezza esistenziale. Non per nulla si ritrova dappertutto, anche nella nostra societa civilizzata, dove, ad esempio, vige il divieto 'magico' di accendere tre sigarette con un solo fiammifero, dove si entra in timore per il sale versato e per la rottura di uno specchio, dove si da valore di buon auspicio allo spargimento di riso dopo un rito di nozze, dove si rifiuta una stanza d'albergo col numero 13. I riflessi umanistici e politici del funzionalismo di Malinowski sono evidenti. ll rispetto per i costumi dei popoli lontani dalle nostre tradizioni e, come suol dirsi, 'sottosviluppati' e sottolineato dalla diligenza con cui Malinowski li ha studiati, per sollevarli nella sfera della razionalita, con totale liberta dai pregiudizi etnocentrici. E per quanta riguarda le responsabilita dei colonizzatori sopraggiunti all'intemo di culture cosi diverse, a parte valutazioni di altra natura, come quelle basate sui criteri di giustizia intemazionale, essi, a giudizio di Malinowski, smentiscono la pretesa universalita della cultura occidentale quando mostrano disprezzo o, peggio, violentano, anche in una sola delle sue componenti, il fragile rna sapiente organismo delle culture dette primitive.
L' ~ntropologia strutturale 16.9 Tra funzionalismo e strutturalismo. Radcliffe-Brown. Nel concetto di funzione, che sta: alla base dell'antropologia di Malinowski, c'e un residua di 'fisiologismo', che getta ombra sulla struttura intesa come unita, cosi vincolata al suo intemo alle leggi della correlazione tra le parti da non consentire, come invece Malinowski aveva preteso di fare, la determinazione e lo studio di bisogni fondamentali distinti tra loro. Un brano musicale o un periodo grammaticale sono delle strutture che assorbono in se, connotandoli di un significate unitario, i membri elementari di cui sono composti. E' questa la tesi di fonda dell'inglese Alfred Radcliffe-Brown (1881-1955). Gia collega di Malinowski, do- · po che questi si trasferi negli Stati Uniti, in un discorso pronunciato nell'atto di prendere possesso dell'Istituto di antropologia di Londra, lo attacco con veemenza, accusandolo di aver inventato di sua testa l'esistenza di una scuola funzionalista e negando, in ogni caso, di fame parte. Ma non e solo per rendere onore alla sua suscettibilita che preferiamo collocare nel settore dell'antropologia strutturale il suo eccezionale contributo. Come riconosce il massimo esponente di quest'ultimo sviluppo della scienza antropologica, Levi-Strauss, Radcliffe si situa nel punta d'incontro tra lo strutturalismo e il funzionalismo, dato che in lui !'influenza della scuola sociologica francese, in specie quella di Durkheim, «si scontra con la tradizione empirista e naturalista prevalente in Inghilterra». Anche Radcliffe rifiuta, come Malinowski, le posizioni teoriche degli evoluzionisti, degli psicologisti e dei diffusionisti, rna il suo obiettivo e di applicare alia societa il modello delle scienze naturali. A tale scopo egli utilizza, insieme, il concetto di funzione e quello di struttura, come e detto in modo esplicito nel titolo stesso nella sua opera Struttura e funzione nella societa primitiva, del
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1952. La sua teoria puo essere esposta, come lui stesso suggerisce, «per mezzo dei tre concetti fondarnentali, logicarnente legati fra loro, di processo, di struttura e di funzione)). 1. n processo della vita sociale non e il risultato della natura dei singoli individui, allo stesso modo che Ia vita di un organisrno non e il risultato della m;ttura delle cellule e degli atorni che lo costituiscono. A dade origine e svolgilnento e il sistema delle rnolteplici azioni e interazioni degli esseri urnani, qhe agiscono come individui o come gruppo. Dal sistema ernergono delle 'regoiarita', che permettono all'osservatore di descrivere i tratti generali della cultura considerata, di tradurli in concetti analitici e di collegarli fra loro con rapporti logici che, nel loro insierne, danno Ia 'forma' di quella societa. Questa forma puo essere studiata in modo sincronico, anche mediante il confronto con quella di altri gruppi sociali, e in modo diacronico. Con l'andare degli anni, infatti, Radcliffe rnodifico in parte la propria opposizione agli evoluzionisti, integrando nel suo strutturalisrno la considerazione della dinarnica sociale, e cioe dei processi di adattarnento della societa dal triplice punto di vista ecologico, istituzionale e culturale. · 2. La struttura e Ia -disposizione reciproca dei rnernbri del gruppo in quanto hanno fra loro relazioni istituzionalrnente definite e controllate. Essa puo essere studiata a piu livelli: a. quello piu irnrnediato e piu globale, che si presenta continuo nel tempo e persistente nella identita, come Ia tribu e il clan: ritornandovi dopo anni, niente appare rnutato, anche se c' e stato un avvicendarnento di individui; b. quello delle relazioni tra persona e persona, in particolare dei rapporti di parentela; c. quello della differenziazione degli individui e delle classi sociali in base alloro ruolo; d. e finalrnente, raggiungibile in modo induttivo, quello della struttura soggiacente, che rende conto di tutte le rnutazioni verificabili agli altri livelli, e di cui si puo dare una descrizione sincronica. 3. La funzione e il ruolo che una attivita qualsiasi gioca nella vita sociale intesa come un tutto e il contributo che essa apporta al rnantenirnento della continuita strutturale. Nessun elernento puo essere studiato in modo frarnrnentario, senza riferirnento all'unita di struttura e di funzione. Anche Ia cornparazione tra gruppo sociale e gruppo sociale va fatta prendendo in esarne non due analoghi aspetti del costume e due analoghe istituzioni, rna i due sisterni nella loro rispetti va totalita.
16.10 Levi-Strauss: il metodo strutturale. ll rnerito di Radcliffe-Brown e di aver posto al centro delle sue ricerche Ia determinazione della struttura della parentela; il suo limite e di derivare questa struttura dall'analisi della famiglia come realta biologica, di farne, insomma, il risultato formale di osservazioni empiriche, al modo stesso con cui Hume derivava le leggi scientifiche dalle regolarita associative delle sensazioni. Come Kant capovolse la sintesi degli empiristi basandola sugli a priori dell'intelletto, cosi Claude Levi-Strauss· ha sottratto i1 concetto di struttura alle sue funzioni meramente descrittive per farne la categoria a priori su cui fondare, non solo il sistema delle parentele, rna l'intero insieme delle relazioni sociali. Potremmo anche chiamare Levi-Strauss il Kant dell'antropologia, nel senso che in lui l'esperienza sociale e sintesi tra i
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contenuti empirici, variabili all'infinito, e una struttura formale, c10e. a priori, priva pen) di un soggetto trascendentale. Egli porta cosi a compimento l'intuizione centrale della linguistica di de Saussure (16.2), secondo la quale «nella studio dei fatti linguistici, le relazioni tra i fenomeni potevano essere piu semplici e piu facilmente intelligibili degli stessi fenomeni». Il linguaggio e un fatto sociale: «non c'e motivo perche questa indirizzo epistemologico non possa dare gli stessi risultati applicato a fatti sociali di altra natura». E' quanta LeviStrauss ha fatto, riducendo in tal modo a unita le due tradizioni che avevano ispirato i suoi primi passi di ricercatore: il naturalismo di Durkheim e il relativismo di Boas. Da una parte, anche in reazione all'imperversare della moda esistenzialistica, egli intendeva riprendere il progetto durkheimiano di uno studio sull'uomo secondo i criteri oggettivi del metoda scientifico (e a questa aspirazione a ricondurre le scienze umane nei confini delle scienze fisiche egli e rimasto sempre fedele); dall'altra, le piu recenti acquisizioni degli studi antropologici avevano reso incontestabile la tesi di Boas sulla individualita delle singole culture. Non potrebbe esserci - si chiede Levi-Strauss - una 1egge nascosta' che metta in relazione fra loro, senza pregiudizio per la loro incomunicabile diversita, le varie culture? Una struttura unica che colleghi fra lora, come la sintassi fa con le diverse proposizioni, le molte culture? Questa infrastruttura inconscia, da intendere kantianamente come la condizione trascenden-
Claude Levi-Strauss nasce a Bruxelles, nel 1908. Si trasferisce a Parigi per compiervi gli studi di filosofia. Colpito dal fatto che la geologia, il marxismo e Ia psicoanalisi perseguono, ciascuno nel suo dominio, l'integrazione del mondo sensibile - Ia terra, i gruppi socian gli individui - nella razionalitil, si convince della possibilita di ridurre Ia natura e lo spirito a una struttura fondamentale omogenea, e si decide per gli studi di etnografia. Nominata professore di sociologia all'universita di San Paolo, in Brasile, vi soggiorna dal 1934 al 1939. Prende contatto con gli scritti degli antropologi american£ come Boas, e intraprende ricerche in campo nel Mato Grosso e nell'Amazonia, delle quali rendera con to in Tristi Tropici (1955), un 'opera di alta suggestione letteraria. A New York, durante la guerra, conosce illinguista russo Roman Jakobson, le cui lezioni gli suggeriscono la possibilita di applicare all'indagine antropologica l'analisi strutturale della linguistica. Rientrato in Francia, sostiene, nel 1949, Ia sua tesi di dottorato su Le strutture elementari della parentelq, che .0.< il titolo dell'opera che lo rive/a al mondo degli specialisti come l'iniziatore di un nuovo corso dell'antropologia. NeZ 1958 e eletto alla cattedra di antropologia sociale che era stata di Marcel Mauss, di cui si professa discepolo. Tra le sue opere piu important£ Razza e storia (1952), una serrata critica all'eurocentrismo, Antropologia strutturale (1958), cui fara seguito Antropologia strutturale due (1973), Il totemismo oggi (1962), Il pensiero selvaggio (1962) e una raccolta di saggi (tra i quali il famoso II crudo e il cotta, del 1964) sotto il titolo di Mytologiques (1971 ), Lo sguardo lontano (1 985). Dal 1973 e membro dell'Accademia francese.
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tale di ogni fenomeno, deve obbedire, secondo Levi-Strauss, a due condizioni: deve essere un sistema retto da coesione interna; tale coesione inaccessibile dall'osservazione di un sistema isolato, si rivela nello studio delle trasformazioni, grazie aile quali ritroviamo proprieta similari in sistemi diversi in apparenza. Come scriveva Goethe: «tutte le forme sono simili e nessuna e uguale aile altre, cosicche illoro coro guida verso una Iegge nascosta».
Ogni configurazione culturale non e, dunque, che una variazione prodotta dalle regole che, nel loro insieme, costituiscono lo schema formale. Se il numero delle regole e ristretto, le possibili combinazioni sono di un numero ridotto, e le societa che ne derivano si trovano piu o meno vicine alia temperatura zero: sono 'societa fredde'; al contrario, aumentando il numero delle componenti dello schema strutturale, le societa si fanno piu complesse, piu ricche di contenuti vitali: sono le 'societa calde'. Ma nelle une e nelle altre, il principia che governa le relazioni e lo stesso, come immutate restano le regole del gioco quando sulla scacchiera si riduce il numero dei pezzi. Come si vede, l'intelligibilita della societa si d·a al suo livello sincronico: la diacronia altro non e che l'area delle variabili possibili. Come dire che la concezione della storia quale svolgimento della natura umana mediante un progressive accumulo di valori non ha nessun fondamento. A dispetto di tutti i mutamenti di superficie, la struttura resta invariata nel corso dei millenni. Non che Levi-Strauss neghi formalmente la storia. Quel che nega e l'idea di progresso e, a fortiori, la distinzione tra popoli civili e popoli primitivi. Una volta stabilita la dinamica delle relazioni strutturali, e facile capire come nelle societa piu evolute valgono le stesse leggi, per quanto camuffate, che valgono, in modo trasparente, nelle societa piu elementari. Liberandosi dalla suggestione storicistica, Levi-Strauss concentra la sua attenzione sulla Iegge che regola il gioco delle componenti strutturali. Essa e la dialettica tra 'se stessi' e gli 'altri', che si risolve nel concetto di reciprocita, come aveva ben capito Mauss nel suo Saggio sut dono, dove la circolazione vitale di una societa appare governata dalla scansione fra il dare, il ricevere, il restituire. Che none, come si e visto (16.7), una scansione economica: «Sono state le nostre societa occidentali, aveva scritto Mauss, a fare dell'uomo un animale economico)). Da questo carattere 'binario' della struttura portante derivano tutte le altre contrapposizioni elementari - come quella tra il crudo e il cotto, I'eroe e la vittima, l'amico e il nemico - che sono le coppie a cui vanno ricondotte, come a loro matrice, tutte le contraddizioni dell' esperienza sociale, primitiva o no. Nelloro insieme, esse rivelano, aldila di se stesse, una struttura logico-formale (e questo il kantismo di Levi-Strauss) propria dell'uomo in quanto tale, a prescindere dal suo livello di 'evoluzione'. E' l'universale dell'uomo, la sua natura. In questo sorpassamento dei caratteri empirici della struttura, Levi-Strauss prende le distanze dalle correnti antropologiche anglosassoni, e si riconnette, a suo modo, alia tradizione cartesiana del pensiero francese, che trova in lui anche un riscontro metodologico nell'uso delle formule matematiche per esprimere le combinazioni a cui dan luogo gli elementi della struttura e che sono sempre esattamente calcolabili. Le mosse con cui il giocatore sposta i pezzi sul-
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la scacchiera sembrano casuali, rna un competente sa che esse obbediscono a regole ben determinante. 16.11 Levi-Strauss: I sistemi di parentela. Nel suo studio sui sistemi di parentela, del 1949, Levi-Strauss applica al sistema di relazioni, che stanno, anche biologicamente, alia base del fenomeno sociale, l'ipotesi di Mauss sullo scambio come momento generative della societa. Riducendo le regole di matrimonio a relazioni di scambio e possibile dimostrare come costumi, a prima vista arbitrari, o addirittura contradditori tra loro, siano invece articolati in un sistema coerente, proprio come era avvenuto nella linguistica, che aveva scoperto, dietro l'apparente casualita dei 'fenomeni', un rigoroso ordine sistematico. Le regole di matrimonio e i sistemi di parentela vengono studiati da Levi-Strauss come una specie di linguaggio, un insieme, cioe, di operazioni destinate ad assicurare fra gli individui e i gruppi un certo tipo di comunicazione. n fatto che il 'messaggio' qui sia costituito dalle donne del gruppo che circolano tra i clan, tra le linee o tra le famiglie (mentre, nel linguaggio, circolano le parole fra gli individui) non altera per niente l'identita del fenomeno che viene considerato nei due casi.
Aile origini del sistema c'e un fatto che gli e estraneo: il divieto dell'incesto, presente in tutte le culture. Esso non e di origine puramente culturale, e piuttosto il passaggio dalla natura alia cultura, tanto che puo essere spiegato con riferimenti all'una o all'altra. In quanto prodotto di cultura, esso «e meno una regola, che proibisce di sposare Ia madre, Ia sorella o la figlia, che una regola che prescrive di donare ad altri Ia madre, Ia sorella o Ia figlia». La ragione e semplice: «a partire dal momento in cui mi vieto l'uso di una donna, che cosi diviene disponibile per un altro uomo, c'e da qualche parte un uomo che rinuncia a una donna che, percio, diviene disponibile per me». La ragione del sistema delle interdizioni e, insomma, lo sviluppo delle parentele e delle alleanze. La qualita di madre, di sorella e di figlia, come quella di zia, di cugina e di nipote, risulta dalla posizione nella rete delle relazioni. Ad ogni posizione corrispondono proibizioni e prescrizioni che regolano i rapporti fra le unita della rete. II matrimonio non e mai una operazione isolabile, e sempre un momento dell'insieme: proibito fra certe categorie di unita della rete, e prescritto fra altre. Se avviene fra determinate unita, porta con se una catena di conseguenze: chi ha donato deve ricevere e chi ha ricevuto deve donare. II divieto dell'incesto ha di mira, dunque, non tanto la donna proibita, quanto un'altra categoria di persone. «Tu vorresti sposare tua sorella? - commentano gli Arapesh (l'episodio e raccontato da Margaret Mead) all'etnologo che li interroga - Ma che ti prende? Non vuoi avere un cognato? Non capisci che, se tu sposi Ia sorella di un altro uomo, e che se un altro uomo sposa tua sorella, tu avrai almeno due cognati, e che se invece sposi tua sorella, non ne avrai affatto? E con chi andrai a caccia? Con chi farai le tue piantagioni? Chi andrai a visitare?». II divieto dell'incesto non e dovuto, dunque, a qualche inesplicabile tabu, rna a una ragione di scambio e, in ultima istanza, alla necessita del gruppo sociale di dilatarsi come sistema di alleanze, in vista della propria preservazione. I vincoli matrimoniali formano il canovaccio su cui le altre istituzioni socia-
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li sono soltanto ricami, Studiare Ia loro origine e il loro meccanismo e come disc end ere neUe fondamenta che ancora oggi reggono I'edificio sociale e che si contraddistinguono solo per una piu complessa razionalita. Levi-Strauss non nasconde Ia sua ammirazione per le tribu 'primitive', che ai suoi occhi hanno Ia meglio sulle cosidette societa evolute quanto alla capacita di cercare, al loro interno e in rapporto all'ambiente vitale, un equilibrato meccanismo. Fra di esse, il primato tocca a quelle australiane. Con lucidita stupenda gli Australian! hanno teorizzato questo meccanismo e hanno compiuto l'inventario dei principali metodi che permettono di realizzarlo con i vantaggi e gli inconvenienti propri di ciascuno. Essi hanno in tal modo superato il piano dell'osservazione empirica per elevarsi alia conoscenza delle leggi matematiche che reggono il sistema. Tanto che non e affatto esagerato salutare in loro non solo i fondatori di ogni sociologia generale, rna persino i veri e propri introduttori della misura nelle scienze sociali.
L'enfasi di Levi-Strauss si spiega, se si riflette che, nell'esame delle tribu aborigene, egli ritenne di poter dare appagamento al suo proposito di fare dell'antropologia una scienza vera e propria, basata su leggi oggettive non meno di quelle studiate dalle scienze naturali. E' questa intenzionalita illuministica che lo conduce, proprio come era avvenuto in Rousseau (da lui considerato come il vera fondatore delle scienze umane), a ribaltare Ia gerarchia convenzionale delle civilta e a riconoscere il massimo della conformita con la ragione proprio in quei livelli di vita sociale che generalmente vengono ritenuti gli ultimi residui della condizione preumana della specie.
16.12 Levi-Strauss: Ia struttura dei mitt. In un secondo tempo, Levi-Strauss ha applicato il metoda strutturale a un ambito particolarmente ricco nelle tribu 'primitive', quello dei miti. Nella sua opera Il pensiero selvaggio (1962), egli aveva criticato la tesi di Levy-Bruhl sui carattere emozionale, prelogico, del pensiero primitivo. II pensiero selvaggio non e meno logico di quello dell'uomo 'civile', come dimostra la capacita dei 'primitivi' di analizzare, distinguere, classificare, combinare, opporre e trasformare, con giochi di relazioni sorprendentemente precisi e sistematici, nei quali si riflettono fedelmente le proprieta del reale cosi come si offrono alia sensibilita. II pensiero selvaggio sopravvive anche nella nostra societa civile, dove predomina il pensiero 'addomesticato' di cui facciamo usa normalmente, addestrati come siamo a rinunciare aile sintesi spontanee per raggiungere obiettivi pratici, ritagli~ti, come fa la ricerca scientifica, all'interno di ambiti ben circoscritti. Ma ai margini di questi ambiti, anche nell'uomo civile i1 pensiero selvaggio riaffiora, producendo, a sua volta, dei miti (memorabile l'analisi di Levi-Strauss su Papa Natale) in cui rivivono, sia pure attraverso complesse trasformazioni, i miti che si ritrovano nelle societa immuni dal nostro contagia culturale. Nei dieci anni successivi alia sua opera sui pensiero selvaggio, Levi-Strauss si e dedicato intensamente allo studio dei miti, dei cui risultati ha reso canto nelle duemila pagine dei Mitologiques (1964-1971) e, piu recentemente, in Lo sguardo lantana (1985). Raccolti e ordinati i racconti mitologici dei popoli indiani delle due Americhe, egli si propane di trattarli allo stesso modo con cui aveva trat-
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tato il sistema delle parentele. Solo che nella foresta vergine dei miti, partoriti in apparenza da una fantasia senza legge alcuna, non e facile aggirarsi come nella trama oggettiva dei rapporti di affinita e di consanguineita. I miti non si prestano alia costrizione della riduzione oggettiva, dato che sembrano avere per unica legge il libero gioco della spirito. Eppure, all'interno delle formazioni mitiche, esistono gli elementi minimi (i mitemt), cosi come in uno spartito esistono dei segni musicali che l'esperto sa rintracciare anche ascoltando l'esecuzione di un coro a molte voci. Quegli elementi semplici, proprio come avviene nella lettura di uno spartito musicale, hanna sensa non presi isolatamente, rna nella serie di combinazioni a cui danno luogo. In essi si riflette la realta ambientale (piante, animali, ricette di cucina, meteorologia, costellazioni.. ) rna assunta in schemi mentali astratti. Ed e, appunto, in questa formalita logica il fondamento universale dei miti. I quali, dunque, sono prodotti dalla combinazione di due determinismi: quello dell'ambiente particolare, che mette a disposizione del pensiero un determinato repertorio di oggetti, e quello dei meccanismi mentali propri dell'uomo in quanta tale (arcaico o moderno, Indiana d'America o Australiano), che fanno si che i dati dell'esperienza si colleghino e si oppongano fra di !oro secondo schemi che sono sempre quelli e non altri. Compito della ricerca strutturale e, appunto, di portare alla luce questi schemi latenti, che nel loro insieme costituiscono l"oggetto assoluto', il reticolo categoriale che apparenta fra loro le culture, anche le piu lontane nella spazio e nel tempo. «Noi non pretendiamo di mostrare come gli uomini pensino nei miti, rna, viceversa, come i miti si pensano negli uomini», e addirittura come «i miti si pensano fra di loro». n soggetto, come si vede, scompare, e solo il veicolo di un pensiero che pensa se stesso senza che il mutar dei luoghi e dei tempi vi abbia una reale incidenza. 16.13 Foucault: Ia fine dell'umanesimo. La scomparsa del soggetto dentro la morsa della struttura, che, attraverso il soggetto, pensa se stessa, equivale alIa riduzione a zero della filosofia come tale e della storia, intesa come ricostruzione della svolgimento delle idee e delle azioni in quanta prodotti di una coscienza soggettiva e oggetti della sua riflessione. La sfera della soggettivita, che ricostruisce a proprio vantaggio la storia dell'umanita come un tempo lineare, e coestensiva alla sfera del cogito cartesiano, che delimita il proprio spazio rigettando fuori tutto cia che non risponde ai criteri di chiarezza e distinzione. Questa operazione di sgombro porta con se la discriminazione tra il pensal:.}le e il aon pensabile, il dicibile e il non dicibile, con una conseguente spartizione di giurisdizioni sulla quale Kant aveva posto il suo sigillo e di cui Wittgenstein (13.17-18) aveva dettato la formula quando aveva scritto che di cia di cui non si pua parlare si deve tacere. Lo strutturalismo sovverte questa comoda dicotomia con tutte le costruzioni che in essa trovano fondamento, e lo fa dissolvendo, come una bolla di sapone, il ruolo del soggetto, per lasciar parlare, attraverso di esso, l'oggetto, la struttura soggiacente. «Chi parla?» aveva chiesto Nietzsche a! poeta Mallarme. E i1 poeta aveva risposto che e la Parola che parla di per se stessa, e si svolge secondo leggi proprie di cui il poeta non ha coscienza. Lo strutturalismo francese, nel cui quadro emerge la lezione di Levi-Strauss, e il punta termine della parabola nichilistica pronosticata da
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Nietzsche (4.18) e apertasi con la 'morte di Dio'. A quel punto termine c'e la 'morte dell'uomo', da intendere naturalmente al di la di ogni uso emblematico e cioe letterario, come verifica della inutilita dell'uomo, inteso come res cogitans, all'interno di un processo che lo comanda e lo avvolge nella maschera cangiante della falsa coscienza. Abbiamo gia visto come Lacan (14.7), liberando Freud dalle angustie positivistiche, abbia scoperto nell'incoscio una struttura linguistica che non puo essere detta col linguaggio della scienza ne con l'arsenale di qualsivoglia analisi psicologica, e come Althusser (15.7), rigettando l'umanesimo del giovane Marx, abbia ridotto l'uomo a un supporto dei rapporti di produzione, e cioe della struttura economica, che per proprio conto fa la storia. In questo tornante del pensiero francese si colloca, con un rigore e con un radicalismo i cui effetti probabilmente non si sono an cora scontati nel pensiero contemporaneo, Michel Foucault ( 1926-1 984), che indica proprio nell'incontro con il pensiero di Lacan (14.7) e di LeviStrauss l'origine della sua impresa filosofica. Lo racconta lui stesso. II punto di rottura s'e situato il giorno in cui Levi-Strauss perle societa e Lacan per l'inconscio ci hanno mostrato che il senso non era probabilmente che una sorta di effetto di superficie, un luccichio, una schiuma e che cio che ci attraversava profondamente, cio che ci precedeva, cio che ci sosteneva nel tempo e nello spazio, era il sistema ... L'importanza di Lacan e di aver mostrato come, attraverso il discorso del malato e i sintomi della sua nevrosi, sono le strutture, il sistema stesso del linguaggio - e non il soggetto che parlano. Prima di ogni esistenza umana, d'ogni pensiero umano, ci sarebbe gia un sapere, un sistema, che noi riscopriamo.
Foucault non vuole essere ne un filosofo, ne uno storico delle idee. La sola denominazione che accetta e quella di 'archeologo', e cioe di perlustratore di cio che, in profondita, puo rendere conto di una cultura, di un sistema conoscitivo o, come lui ama dire, di un'episteme (16.1). In questo senso, egli e stato l'archeologo del «silenzio imposto ai folli» (Storia della follia nell'eta classica, 1963), dello «sguardo medico» (Nascita della clinica, 1963), della scienza umana (Le parole e le cose, 1966), del sapere in generale (L 'archeologia del sapere, 1969), del sistema carcerario (Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, 1975) e finalmente della costituzione della soggettivita occidentale (Storia della sessualitil, in tre volumi: I'ultimo uscito poco prima della sua morte, nel 1984). La ricerca ventennale di Foucault si e svolta, secondo una ricostruzione che lui stesso ne ha dato nel 1984, lungo tre assi fondamentali: lo studio dei 'modi di investigazione', che conducono alia istituzionalizzazione dei saperi e delle scienze; lo studio delle strategie d'i 'esclusione', come la malattia mentale e la criminalita; lo studio delle tecniche e delle pratiche con cui un essere umano viene costruito come 'soggetto'. 1. La questione fondamentale consiste, per Foucault, <mel chiedersi se veramente l'uomo esiste)), se cioe il soggetto sia davvero, come voleva Kant, costitutivo dei contenuti della sua coscienza. Nello stabilire, quale Iegge del conoscere, la sintesi a priori, Kant chiudeva l'universo entro la simmetria tra i fenomeni e le forme trascendentali e faceva dell'uomo una coscienza che unifica in se i dati e il produttore stesso di quei dati. La ragione kantiana si dispiega nell' esperienza e ritoma a se stessa con una circolarita che ha il torto di la-
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sciare fuori di se tutto il resto. n resto, di fronte alia ragione, e la 'sragione' (la deraison). Ma cosi la ragione ci impedisce di parlare dell'immensa regione dei fatti non rid ucibili a se stessa, come la follia, la malattia, la morte. Il vizio di questa epistemologia e l'identificazione tra I'essere e la sua rappresentazione, il passaggio dall"io penso' all"io sono', senza darsi la briga di interrogare sul serio e di analizzare quell'essere singolare designata con l"io sono'. Ma dal tempo in cui, con Cuvier, la storia naturale si trasforma in biologia, lo studio delle ricchezze diventa, con Ricardo, economia e, con Franz Bopp (1791-1867), l'analisi del linguaggio diventa filologia, la rappresentazione comincia a rivelarsi per quel che e: un prod otto delle cose, cioe della vita, dell' economia, della parola; la verita si sposta dal piano soggettivo al piano positivo delle cose; si passa, insomma, dall'ontologia all'antropologia, e nascono le scienze umane. 2. Da qui !'interesse di Foucault per le 'strategie dell'esclusione', a cominciare da quella con cui, tra la meta del Settecento e i primi dell'Ottocento, la follia viene, per la prima volta, rinchiusa dentro i confini di appositi asili e resa tutt'uno con il libertinaggio e il crimine. Ma una volta ridotta in una specie di terra di nessuno, la follia, col suo linguaggio senza soggetto che parla e senza interlocutore, ha finito con l'aprire un nuovo spazio epistemologico (14.3), quello della psicologia, che studia il fondo comune in cui hanno radice il normale e il patologico. In seguito, ne La nascita della clinica, Foucault tenta una archeologia dello 'sguardo clinico', e cioe della sua formazione progressiva nel campo della medicina. Al centro della ricerca di Foucault sta il rapporto tra la percezione del corpo e il linguaggio medico sul corpo, cosi come esso si articola, tra la fine del Settecento e i primi dell'Ottocento, integrando pratiche giuridiche, economiche e amministrative con i discorsi letterari, scientifici e filosofici. In tal modo la medicina avvia un nuovo equilibria tra malattia, vita e morte, e rende possibile la proliferazione di nuove scienze umane. Ma lo fa, per cosi dire, mordendosi la coda, entrando cioe in contatto, attraverso l'analisi del conoscibile e del dicibile, con lo sconoscitito e il non detto, e penetrando, mediante lo scandaglio della punta dell'iceberg, entro la mole che restava sotto il filo delle acque. E l'impensato- e questo un concetto chiave di Foucault- porta sempre a ripensare il pensato. Particolare risonanza ha avuto l'analisi a cui Foucault ha sottoposto una terza strategia dell'esclusione, divenuta particolarmente acuta in questi ultimi anni, quella del criminale. Nel «curiosa progetto di rinchiudere per raddrizzare)),· la nostra societa 'disciplinare' obbedisce all'esigenza di fondo del potere, che e ·ai domiriare gli individui anche nella coscienza. La disciplina delle prigioni fa tutt'uno con quella dell' esercito, delle officine, degli ospedali e dei collegi, e si esplica mediante una multiforme tecnica, che ha per obiettivo di assoggettare i corpi, di padroneggiare le molteplicita umane manipolandone a suo arbitrio le forze. Anche se oggi si presenta meno vendicativo e piu premuroso per la riabilitazione del carcerato, il sistema penale resta quel che era nei secoli scorsi, «una forma mista di assoggettamento e di oggettivazione)>, un «sapere-potere». Attraverso lo studio del sistema carcerario, Foucault mira a far luce sulle meccaniche di normalizzazione del potere e sui suoi rapporti con la formazione del sapere nella societa modema. Ne e un simbolo la struttura carceraria del panopticon (3.3):
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alla periferia una costruzione ad anello; al centro una torre tagliata da larghe finestre che si aprono verso la faccia interna dell'anello; la costruzione periferica e divisa in celle, che occupano ciascuna tutto lo spessore della costruzione; esse hanna due finestre, una verso l'interno, corrispondente alla finestra della torre; l'altra, verso l'esterno, permette alla luce di attraversare la cella da parte a parte (... ). ll Panopticon e una macchina per dissociare la coppia vedere-essere visti; nell'anello periferico si e totalmente visti, senza mai vedere; nella torre centrale, si vede tutto, senza mai essere visti.
3. La ricerca sulla sessualita riveste, in Foucault, una portata che va al di la dell'ambito specifico cosi com'e comunemente inteso. Egli rimette in questione l'opinione corrente, secondo la quale, a partire dal Seicento, la societa occidentale avrebbe conosciuto una crescente repressione della sessualita, con il suo culmine nel 'puritanesimo vittoriano', fino a che, nel nostro secolo, non ha preso l'avvio un processo di liberazione sessuale. Mediante un inventario delle «tecniche polimorfe del potere», Foucault mostra come esso abbia sempre permeato di se anche i comportamenti piu privati dell'individuo. Non e la repressione del sesso che interessa al potere, e la sua gestione, in quanta essa equivale alla gestione stessa della vita degli individui. Cosi stando le cose, anche la cosiddetta rivoluzione sessuale dei nostri giomi non e che una nuova forma di assoggettamento alla interdizione secolare di una vera conoscenza del sesso. Si tenga presente, comunque, che il rapporto tra sapere e potere non e, per Foucault, di esclusione reciproca, e nemmeno, necessariamente, di impura commistione, com'e quella teorizzata da Marx nella sua dottrina sull'origine delle ideologie (15.14). n sapere e inscindibile dal potere: essi si generano a vicenda. «La verita e di questa mondo ed essa vi e prodotta grazie a molteplici costrizioni». Nel perseguire i suoi fini, il potere ha una sua politica della verita, ed e all'intemo di queste politiche multiformi che il sapere cresce e, nel crescere, contesta il potere, che viene costretto cosi a modificare la sua politica, lasciando nuovi spazi a cia che prima era interdetto e percia taciuto, impensato. Il 'rimosso', l"altro', percepito come minaccia alla propria identita, pian piano viene integrato nella coscienza di se, attraverso una dialettica frazionata, che non mira affatto alla rivoluzione, mira a modificare di continuo il rapporto tra la ragione e la 'sragione', fino a raggiungere (rna questa e un orizzonte utopieo) la totale conciliazione tra cia che e identico a see cia che gli e estraneo. Sullo sfondo di questa ricostruzione delle strategie dell' esclusione e della dialettica sapere-potere, permane, nelle opere di Foucault, una rappresentazione della cultura occidentale segnata da due fondamentali discontinuita: quella che, alla fine del Seicento, inaugura l"era classica', l'eta del razionalismo basato sulla rispondenza tra la rappresentazione deHe cose e le cose stesse, e quella degli inizi dell'Ottocento, in cui l'uomo, in quanta essere che vive, che lavora e che parla, diventa finalmente oggetto dell'unico sapere possibile. Nella strutturalismo di Foucault si adempie la dissoluzione dell'umanesimo, nel sensa che il vero soggetto della storia non e piu l'uomo, con la sua capacita di trascendere le proprie condizioni biologiche, economiche e linguistiche, e la struttura impersonale. Come dire, dunque, che la storia e senza soggetto e che pertanto anch'essa si dissolve, e non solo come storia universale, come Weltgeschichte, che presuma, alla maniera di Hegel e di Croce, di unificare nel pensiero la totalita degli eventi dotati di senso, rna anche come pluralita di sto-
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rie, ritagliate ciascuna nel proprio spazio-tempo, alla maniera di Fernand Braudel e della scuola storiografica degli Annales, cosi debitrice, peraltro, dello strutturalismo. Ci sono, al posto della storia, degli insiemi strutturati che si costituiscono nell'uomo, lasciandogli la funzione non di contrapporsi ad essi dialetticamente, rna semplicemente di decifrarli. Questa eclissi della soggettivita porta con se fatalmente una specie di abdicazione dell'uomo di fronte aile strutture, anche a queUe nate recentemente dalla sua genialita scientifica e dalla sua operosita tecnologica. E questo proprio in un tempo in cui la stessa sopravvivenza della specie e minacciata dalla proliferazione delle strutture aggressive rese possibili dalla scissione dell'atomo. Mentre si andavano facendo piu imponenti i dispositivi del genocidio atomico, che gia modificano secondo la propria logica distruttiva le strutture economiche, politiche e perfino linguistiche, l'uomo ha portato a fondo l'analisi di se stesso, giungendo alla conclusione che i margini della sua liberta sono appena quelli della decifrazione dei processi che lo generano e che, attraverso di lui, si affermano, annunciando un tempo - davvero impensabile - in cui ci sara, come ci fu, un universo senza l'uomo. ll sospetto che in certi suoi sviluppi estremi lo strutturalismo si trasformi, da teoria epistemologica, in ideologia, e stato sollevato da molti, ad esempio da Sartre, che in una sua polemica con Foucault, nel 1966, defini la sua archeologia come «l'ultima barriera che la borghesia possa ancora erigere contro Marx». Ma il sospetto puo essere motivato senza far ricorso agli schemi classisti, se e vero che, nell'era atomica, una frattura piu profonda attraversa la condizione umana, quella tra l'istinto di morte e la volonta di vivere, tra l'aggressivita distruttiva, giunta alla capacita di infliggere alla vita l'ultimo colpo, e quella della volonta creativa, che ha in rnano le leve stesse dell' energia da cui ha origine la materia.
II determinismo antropologico 16.14 L'etologla. Lorenz. L'uomo dello strutturalismo francese e pur sempre un 'animale culturale'; le strutture che lo generano e che, attraverso di lui, si riproducono, sono pur sempre al di sopra del livello biologico. Insomma, quella dt;llo strutturalismo non e ancora una totale 'destorificazione' dell'uomo. Quest'ultimo passo e stato compiuto recentemente da un nuovo sviluppo dell'antropologia, che va sotto il nome di sociobiologia, la cui tesi centrale e che tutti gli aspetti della cultura e del comportamento dell'uomo sono codificati nei 'geni', e cioe nelle particelle fisico-chimiche responsabili dei caratteri ereditari, localizzate nei cromosomi e selezionate nel corso dell'evoluzione della specie, non diversamente da quanto avvenuto negli animali. Questo 'sfondamento' della base culturale dell'individuo umano, nella pretesa di aver colto finalmente, nel microscopico ricettacolo del cromosoma, ii principio del divenire, e stato reso possibile dagli straordinari progressi compiuti dalle scienze biologiche in questi ultimi decenni, e precisamente da quan-
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do, nel 1953, e stata scoperta la struttura a doppia elica della DNA, la base materiale dell'ereditarieta. Le tappe della biologia genetica si sono succedute a ritmo stretto: nel 1961· veniva scoperto il codice attraverso il quale si passa dagli acidi nucleici alia sintesi delle proteine; nel 1969 veniva isolato un gene responsabile della sintesi di un enzima che demolisce gli zuccheri; nel 1973 aveva inizio l'ingegneria genetica, che permette di modificare stabilmente il patrimonio genetico di una specie. Sono altrettante tappe di una rivoluzione i cui sbocchi sono a tutt'oggi tanto imprevedibili quanta - e il caso di dirlo -pre- · occupanti. Ai margini di questa rivoluzione, che ha condotto l'intelligenza umana a scrutare i recessi in cui la vita dell'animale e quella dell'uomo obbediscono sostanzialmente alle stesse leggi, si e verificato il trapasso dall' etologia alla sociobiologia, e cioe all'applicazione dei metodi in uso per studiare i1 costume (in greco ethos) degli animali allo studio del comportamento umano. I confini tra 'natura' e 'cultura' si sono fatti pili mobili, fino a scomparire del tutto. La pili importante scuola di etologia e quella fondata, nel 1950, dall'austriaco Konrad Lorenz (n. 1903) presso l'Istituto Max Planck di Seewiesen, nella Germania federale. Au tore di opere di grande diffusione, come L 'a nella di Salomone (1952), Il cosiddetto male. Storia della aggressivita (1963), Gli otto peccati capitali della nostra civilta (1972), Il declino dell'uomo (1983), Lorenz ha ottenuto, nel 1973, il premia Nobel per la biologia e la medicina. Dalla studio del comportamento degli animali in rapporto agli stimoli dell'ambiente, e cioe dall'etologia vera e propria, Lorenz ha esteso le sue ricerche anche all'istintualita deil'uomo e al rapporto individuo societa, ponendo cosi le basi per l'etologia umana, porta d'ingresso alla sociobiologia. Partito da posizioni rigidamente deterministiche, che nel 1940 lo portarono a pronunciamenti favorevoli al razzismo hitleriano, egli e giunto, nelle sue ultime opere, a concedere molto pili spazio alla liberta, e quindi alla responsabilita morale dell'uomo. Il retroterra da cui Lorenz m uove per stabilire i principi della sua etologia e quello della dottrina darwiniana sulla selezione naturale (7.11 ), e in particolare sul ruolo che nella selezione gioca l'adattamento (fitness) all'ambiente. Sulla legge della selezione egli innesta il principia dell' imprinting, o della fissazione: nel corso di un periodo limitato (detto periodo critico o periodo sensibile), di poco successivo alla nascita, si stabiliscono nell'individuo (fenotipo, in linguaggio biologico) delle relazioni privilegiate, specie nel rapporto genitori-prole, che si esprimono in lui in modo irreversibile, rendendolo adatto a reagire a particolari stimoli ambientali. Queste fissazioni entrano a far parte, se conformi a disposizioni ereditarie, del programma evolutivo dell'individuo, determinandolo per tutta la vita. E' stato dimostrato, ad esempio, che un animale, nell'eta critica.. assimilll, come genitore, qualunque oggetto che viene in movimento verso di lui. E' in questa periodo che si stabiliscono gli indirizzi-base del comportamento sessuale e le preferenze nel cibo e nell'habitat. Queste fissazioni si trasmettono di generazione in generazione, per assumere i caratteri della spontaneita istintiva. Esse costituiscono gli a priori del comportamento animale e umano. Secondo Lorenz, Kant ebbe l'intuizione di questa base innata dell'apprendimento, quando elaboro la sua teoria della conoscenza a priori. In un suo saggio del 1941, La dott1·ina di Kant sulle forme a priori' alla luce della biola-
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gia contemporanea, egli sostiene che Kant dette uno svolgimento inaccettabile alia sua intuizione, riducendo il mondo esterno a pura apparenza, P.erche non era in grado di inquadrare l'apparato percettivo dell'uomo in una visione evolutiva della specie, e tanto meno di verificarne il funzionamento mediante Ia comparazione con gli apparati percettivi delle singole specie animali. Questa comparazione ci assicura che il mondo esterno e proprio come appare alla nostra mente, e cioe al nostro sistema nervoso centrale, che e una struttura a priori prodotta nel corso dell'evoluzione della specie: esso e soltanto un reticolo recettivo meno grossolano di quello di cui fanno uso gli animali inferiori. Particolarmente importante, per le applicazioni che egli ne ha fatto al problema della guerra, e la teoria di Lorenz sull'aggressivita, da lui definita come «la pulsione alla latta, nell'animale e nell'uomo, diretta contra appartenenti alia stessa specie». La pulsione agisce per stimoli interni, e non necessariamente come reazione a stimoli esterni. Essa cresce per accumulo di energia nei centri neuronali connessi a un determinato schema di comportamento: quando raggiunge un certo limite, esplode, alia maniera di un vapore accumulatosi in un contenitore chiuso. Ecco perche il modello dell'aggressivita sostenuto da Lorenz viene anche detto 'idraulico'. La pulsione aggressiva, che ha la funzione di favorire la sopravvivenza della specie, agisce al suo interno (e intraspecifica) in quanta mira alla selezione del 'migliore' e alla costituzione di una gerarchia sociale. Senza distinguere tra aggressivita distruttiva e aggressivita al servizio della vita, Lorenz riconduce a una medesima pulsione ogni atteggiamento aggressivo: da quello presente nell'amore a quello che si sfoga nella latta ideologica e nella guerra. Ecco perche di fronte alle minacce che nell' era a to mica la guerra rappresenta, egli non sa suggerire altro rimedio che quello di incanalare l'aggressivita verso un oggetto sostitutivo. Come si e detto, il determinismo di Lorenz appare, nelle ultime opere, molto piu attenuata, in quanta egli concede maggiori chances all'istinto umano, di cui mette in luce la straordinaria plasticita. ll capitola conclusivo del suo ulti-. mo libra, Il declino dell'uomo, e intitolato 'le ragioni per essere ottimisti'. L'esame di queste ragioni, iscritte nell'attuale condizione del genere umano, basta a dargli la convinzione che e ormai operante una controtendenza. Allo stesso ottimismo approda il suo collaboratore e attuale direttore dell'Istituto di etnologia di Seewiesen, Ireniius Eilb-Eibesfeld (nato a Vienna nel 1928), che nella sua opera del 1979, Etologia della guerra, suggerisce una strategia di transizione alla civilta della pace, dettando alcuni schemi di controllo mediante i quali, in parallelo col costume degli animali, l_'uomo si metterebbe in grado di controllare i conflitti distruttivi. 16.15 La sociobiologia. Wilson. Siamo in grado di stabilire l'anno e il luogo di nascita della sociobiologia. Nella primavera del 1975, con grande battage pubblicitario, la Harvard University lanciava l'opera di uno dei suoi docenti, l'entomologo Edward Oswald Wilson (n. 1925), dal titolo Sociobiologia, la nuova sintesi. Come gli etologi, Wilson si colloca nella tradizione del darwinismo sociale. Utilizzando il concetto di evoluzione per selezione naturale, egli propane una spiegazione sistematica, su basi biologiche, di ogni comportamento sociale. Ma
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mentre per i darwinisti la selezione naturale opera sui fenotipi, e cioe sugli individui (si dice fenotipo_l'insieme delle caratteristiche degli individui prodotti dall'ambiente e dall'eredita), per Wilson, gli individui hanno soltanto il ruolo di assicurare la diffusione dei geni che, da veri protagonisti, si servono, per riprodursi e trasmettersi, di ogni comportamento individuale e di ogni struttura so. ciale. Gli individui sono «macchine per la sopravvivenza, - come scrive un altro sodobiologo, Richard Dawkins, nel suo saggio II gene egoista (1976) - veicoli automatici, ciecamente programmati per preservare queUe molecole egoiste conosciute come geni». n comportamento di un individuo e necessariamente mosso dall'impulso biologico dell'adattamento ottimale all'ambiente, e cioe dalla richiesta dei suoi geni di essere rappresentati nel futuro. Lo stesso vale per i gruppi sociali: essi mirano ad assumere comportamenti capaci di portare al massimo l"adattivita complessiva' (inclusive fitness) degli individui che li compongono. Da questa Iegge non sfuggono nemmeno quei comportamenti (selezione di parentela, di gruppo, di reciprocita) che vengono detti altruistici. L'atteggiamento altruistico di un individuo verso un altro si da solo quando il rapporto costi-benefici e vantaggioso per l'altruista e per il suo gruppo di appartenenza. L'egoismo del gene produce, dunque, in vista del medesimo fine, sia la competizione che la collaborazione fra individui. La collaborazione produce, in vista di un optimum di adattivita complessiva, i raggruppamenti umani, in seno ai quali sopravvive anche la competizione: il risultato delle due opposte spinte e la gerarchia sociale, cioe un sistema di precedenze nell'accedere aile risorse, nel quale agli individui meno dotati non resta che attendere illoro turno per rimpiazzare gli individui e i gruppi dominanti. Come si vede, la sociobiologia considera tanto l'aggressivita che la sua inibizione non come istinti innati, rna come varianti della strategia adattativa del gene. Essa e d'accordo con l'etologia nel considerare l'aggressivita come un comportamento adattativo, e come tale selezionato durante l'evoluzione. Ma mentre l'etologia considera la guerra come un comportamento intraspecifico, che avviene fra gruppi non imparentati geneticamente e incapaci di riconoscersi della medesima specie, a causa di differenziazioni culturali e territoriali avvenute nel tempo, la sociobiologia la considera come un comportamento particolare, selezionato all'interno di un gruppo di individui, parenti fra di loro, in vista della conquista di un territorio e del miglioramento dell'idoneita complessiva di un gruppo genetico a svantaggio di un altro. Per quest'ultima non e detto, comunque, che mediante un controllo genetico - compreso quello reso possibile dall'ingegneria genetica - non si arrivi prima o poi a stabilire un codice di norme. a fondamento genetico-neuronale che permetta di eliminare i fenotipi aggressivi perche inadeguati allivello ormai necessaria di adattivita. La sociobiologia tenta di superare il suo impianto epistemologico rigidamente deterministico, assegnando alia cultura umana un suo carattere distintivo: essa e un insieme di meccanismi finalizzati a favorire, nell'individuo, il massimo di idoneita mediante una scelta indipendente di modelli di comportamento vantaggiosi; e, si, un prodotto biologico, in quanta estrinsecazione del patrimonio genetico dell'individuo, rna dotato di una flessibilita tale da permettere l'adozione di modelli anche non del tutto adattativi, almena sul momenta. L'uomo e un individuo bio-culturale, che, per un verso, traduce nelle sue scelte
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il codice biologico di cui e portatore e, per l'altro, mediante il patrimonio culturale in tal modo acquisito, puo agire a ritroso sull' evoluzione biol<_>gica che lo ha prodotto. Una conoscenza sufficiente dei geni e dello sviluppo mentale, scrive Wilson nel suo recente libro Il fuoco di Prometeo, potra portare alia formazione di una nuova ingegneria sociale, che mutera non solo le probabilita del risultato, rna anche i piu profondi sentimenti su cio che e giusto e cio che non lo e: in altre parole gli stessi precetti etici.
Nel tentativo di svincolarsi dal determinismo, la sociobiologia sconta, in contraddizioni e in incoerenze, i limiti sulle premesse antropologiche che non consentono nessuna fondazione di un'etica sociale. Riducendo, in forza di quei limiti, gli ordinamenti sociali passati e presenti a manifestazioni dirette dell'azione specifica dei geni, essa finisce con il legittimare qualsiasi organizzazione sociale e politica solo perche e adattativa, e con il sottrarre dignita etica a ogni progetto di modificazione, per non dire di rivoluzione. In particolare, il costume della guerra e della proprieta privata, in quanta prodotto dell'istinto originario umano, indipendentemente da ogni condizionamento sociale e struttura- . le, appare come immodificabile, salvo che negli stretti limiti dell'adattamento. Se per Clausewitz la guerra era «la grammatica della politica)), per la sociobiologia essa e la grammatica del gene, strutturalmente egoista. Si capisce perche Wilson si sia identificato praticamente con il neoconservatorismo americana, secondo il quale la societa e meglio servita se ogni individuo agisce al servizio di se stesso. Ed e forse proprio nel fatto che il determinismo biologico e deresponsabilizzante la ragione del rapido successo incontrato, e non solo oltre Atlantica, dalla sociobiologia. Se si tiene canto che proprio il paese di Wilson ha creato e usato l'arma atomica, capace ormai di distruggere il genere umano, si e portati a sospettare che, nel caso della sociobiologia, la 'morte dell'uomo' sia non soltanto un'astratta e percio innocua conclusione del pensiero pensartte, rna un supporto. ideologico all'ultima fase della strategia del 'gene egoista'. ·
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Sommario. A completare il quadro del pensiero contemporaneo, giova una rassegna panoramica delle ripercussioni che esso ha avuto, a partire dalla crisi provocata dalla prima guerra mondiale, nelle teologie protestante e cattolica (17.1). In area protestante, il progetto kantiano della riduzione del cristianesimo entro i confini della ragione era stato portato a termine da Hegel e dai suoi seguaci, che avevano applicato alia Scrittura i metodi della critica storica. In questo clima, la 'teologia Iiberale' di Harnack arriva a identificare i contenuti del messaggio evangelico con gli ideali etico-sociali del liberalismo (17.2). A questa compromissione reagisce, nel primo dopoguerra, Ia 'teologia dialettica' di Barth, che pone la fede in antitesi assoluta con gli ideali espressi dall'uomo, primo fra tutti quello religioso (17.3). Una cosi rigida contrapposizione viene corretta da Tillich, col suo 'metodo della correlazione' tra teologia e filosofia, un metodo che non ostacola Ia loro autonomia, rna anzi Ia stimola e Ia feconda (17.4). Ma questo non significa, nel rapporto uomo-Dio, mettere I'accento sull'uomo? E' Ia convinzione di Bultmann, che, allo scopo di riaffermare l'assolutezza della parola di Dio, elabora un metodo r.er Iiberarla da ogni incrostazione mitologica; solo cosi essa puo ancora risuonare nell intimo dell'esistenza umana (17.5). Quello di Bultmann e gia un modo di prendere atto degli effetti delle r:ivoluzioni scientifiche. Decisiva, tra questi, in rapporto alia fede, e Ia secolarizzazione dell'esistenza: a riconoscervi non una minaccia rna un evento del tutto conforme aile esigenze del Vangelo e Gogarten, Ia cui unica riserva e Ia discriminazione tra secolarizzazione, come crescita, e secolarismo, come ideologia ( 17.6). Un folgorante sbocco di questo variegato percorso e testimoniato da Bonhoefer, che assume come progetto per il futuro quello -radicale di un Cristianesimo postreligioso quale vero adempimento delle virtualita implicite nel Vangelo (17.7). Ben diverso !'iter della teologia cattolica, vincolata da rapporti di subordinazione a una istituzione che non riesce a liberarsi dalla nostalgia della cristianita medievale, e che, alia fine dell'Ottocento, per contrastare il pensiero moderno, ripropone, con autorita, Ia filosofia perenne secondo Ia mente di Tommaso d'Aquino (17.8). A questa linea tenta di sottrarsi un movimento composito, denominato 'modernismo', che si propone un dialogo con Ia cultura moderna, sostituendo alia vecchia apologetica di tipo metafisico quella dell'immanenza, e adottando il metodo storico-critico per togJiere autorita alIa Scrittura (Loisy) e ai dogmi (Tyrrell), a vantaggio della pura fede (17.9). La condanna del movimenw non impedisce del tutto i tentativi di rinnovamento che si hanno, nella prima meta del nostro secolo, in Germania, dove l'analisi fenomenologica favorisce un superamento delle categorie tomistiche e dove il senso comunitario sollecita una percezione meno istituzionale dell'esistenza ecclesiale (17.10). La relativizzazione del Medioevo avviene, in Francia, con un ritorno aile fonti, e cioe ai Padri della Chiesa, e con un confronto piu serrato col mondo del lavoro e con Ia cosmologia evoluzionistica (17.11). L'istanza antropologica, implicita in questi tentativi, trova Ia sua teorizzazione in Rahner, che propone un ripensamento delle verita teologiche a partire dall'analisi trascendentale dell' esperienza (17 .12). Ma Ia vera svolta si ha, nella chiesa cattolica, col Concilio Vaticano II, che ha segnato Ia riconciliazione tra fede e mondo moderno, e ha relativizzato, sotto il primato della Parola di Dio, ogni sistemazione teologica della fede. Da questo momento, i percorsi delle due teologie, cattolica e protestante, si sono andati progressivamente unificando (17.13).
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Ha ripreso preminenza, in ambedue le teologie, il problema ermeneutico, con i suoi due momenti, l'esegesi e l'interpretazione, non pili con intenti apologetici, rna con quello di una nuova autocomprensione della fede ( 17 .14). Utilizzando il tema di Heidegger, del linguaggio come 'luogo' rivelativo dell'Essere, i discepoli di Bultmann propongono una 'nuova ermeneutica' di tipo ontologico, alla quale si contrappone Pannenberg, che assegna il compito di 'luogo relativo' alla storia come tale, in seno alla quale l'evento-Cristo ha il val ore di modello interpretativo ( 17.15). Pili direttamente innestata sull'analisi del linguaggio del neopositivismo e Ia teologia anglosassone, che, con i 'teologi della morte di Dio', toglie aile affermazioni di fede valore cognitivo, per farne soltanto delle prospettive etiche (17.16). Una complessa ermeneutica del simbolo, applicata poi alia Scrittura, e quella di Ricoeur, che, mediante l'uso dell'analisi fenomenologica e della psicoanalisi freudiana, vi riconosce, accanto a una funzione regressiva, anche una funzione prospettica e rivelativa (17.17). Ma forse Ia linea pili innovativa del pensiero teologico e quella che fa dell'ermeneutica un principio di prassi. All'interno della tecnopoli, nel mondo anglosassone, essa viene adottata in vista di una omologazione tra i principi della cultura illuministica e quelli della ricerca teologica (17.18). Ma questo appiattimento della fede sui sistema sociopolitico dominante elude un giudizio critico sui rapporti tra Ia societa esistente e il 'principio-speranza', che apre il presente sui futuro: l'adeguazione tra realta e speranza e il 'luogo' ermeneutico fondamentale, secondo Moltmann. L'ermeneutica diventa, secondo Metz, politica, perche ha il compito di far valere, in rapporto ad ogni situazione storica, la 'memoria sovversiva' della Croce e la 'riserva escatologica' (17.19). Quando quest' ermeneutica viene condotta a partire da situazioni di oppressione direttamente sperimentate - come queUe dei negri e delle donne -, essa alimenta la 'teologia della liberazione' ( 17 .20). In situazione di oppressione si trova l'intero emisfero Sud del pianeta: ecco perche ha raggiunto particolare risonanza la teologia dell'America Latina, il cui luogo di elaborazione sono le comunita di fede dei popoli oppressi: il messaggio evangelico non e pili soltanto per i poveri, esso e dei poveri. La teologia della liberazione diventa Ia liberazione della teologia ( 17.21 ).
La teologia protestante 17.1 Teologia e pensiero filosofico. Non avremmo un panorama completo della fecondita del pensiero filosofico contemporaneo, se non gettassimo uno sguardo anche sui riflessi che esso ha avuto e sta avendo nell'ambito della riflessione teologica. Dalla dissoluzione del corpus christianum, avvenuta politicamente alla fine della Guerra dei trent'anni, con la pace di Vestfalia (1648), la teologia, sia cattolica che protestante, sembro piegarsi su se stessa, facendosi ripetitiva e dommatica. Il compito dei teologi, cosi centrale nell'epoca precedente, si ridusse sempre di piu a tutelare, all'intemo delle chiese, la dottrina ricevuta, svolgendo i motivi propri della controversia interconfessionale, o quelli della contrapposizione alle nuove forme che andavano assumendo, sotto il segno della laicita, la cultura e J'organizzazione della Stato. Ancora prigionieri del mito dell'ordine cristiano della societa, essi non erano in grado di avvertire gli effetti umanamente positivi, o comunque irreversibili, della demolizione che i 'lumi' andavano operando di tutti gli aspetti essenziali della vecchia cultura. Il lora spazio era, dunque, ai margini del movimento storico, nel quale non riuscivano ad avvertire che l'insidia diabolica delle rivoluzioni, sia scientifiche che politiche.
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Tanto le chiese riformate quanto quella cattolica (e le prime in modo, per cosi dire, piu fisiologico, dato il loro carattere di chiese nazionali) ricercavano nel potere politico un appoggio alla loro missione, cosi come il potere politico trovava normale che le chiese gli fornissero una legittimazione religiosa. Nel Seicento e nel Settecento esse si trovarono a difendere l'ordine feudale contro la borghesia emergente e, quando questa diyenne classe dominante, finirono con lo sposarne la causa, contro la minaccia delle rivoluzioni socialiste. Nel primo e nel secondo caso, la teologia fungeva da ideologia sacra dell'ordine esistente. Perche si svegliasse davvero dal suo sonno dommatico, ci voile il cataclisma della prima guerra mondiale, che ebbe, specie in Germania, centro dominante della tradizione teologica evangelica, una ripercussione dai toni apocalittici. Nei due secoli precedenti, com'era nei progetti dell'illuminismo, la filosofia aveva sottratto alla teologia ogni dominio riservato, addossandola al ruolo arcaico di custode delle tradizioni a uso del popolo. Questo trapasso di egemonia dalla teologia alla filosofia era cominciato quando Kant (II.12.16), inaugurando la fase critica del pensiero, attribui all'uomo, ormai diventato 'adulto', la competenza di porsi, affidandosi soltanto ai lumi della ragione, le domande fondamentali che tradizionalmente erano destinate all'ascolto e alla risposta dei teologi. AHa domanda «che cosa posso sapere?», risponde la ragion pura; alla domanda ((che cosa devo fare?», risponde la ragion pratica; alla domanda ((che cosa posso sperare?», risponde la religione, purche accetti di ridurre il suo insegnamento al tema escatologico e cioe alle 'cose ultime', e di far coincidere l'escatologia con la dottrina del Regno di Dio, inteso innanzitutto come adempimento delle speranze storiche dell'uomo. E cosi, anche il messianismo cristiano comincio a rientrare nei confini della ragione. Proprio alla fine del Settecento, Friedrich Schlegel dira: ((il desiderio rivoluzionario di realizzare il Regno di Dio e l' elemento propulsivo di ogni cultura progressiva e l'inizio della storia moderna». Occorreva che il messianismo laico, con la delusione dell~ due guerre mondiali e con il crollo del 'panottico' eurocentrico, perdesse egni fiducia in se stesso, perche la teologia riscoprisse la sua specifica ragion d'essere, nella quale rientra anche il confronto vivo con le domande poste dalla storia. Non e certo un caso se, nello stesso tempo, la filosofia ha sperimentato anch'essa la crisi dei suoi fondamenti razionali, giungendo fino a chiedersi se esista davvero un suo ambito da tenere al sicurodalle altre forme di conoscenza. Se ci sara possibile documentare, in questo capitola, un risveglio del pensiero teologico, e perche, venute meno le 'visioni del mondo' di costruzione intellettuale, che per Marx erano l'equivalente della teclogia, tornano allo scoperto le questioni che toccano la radice stessa dell'esistenza, e, proprio per questo, torna allo scoperto il terreno dal quale germogliano gli interrogativi che sono di competenza, almena presuntiva, della teologia. La quale, quando non si e rassegnata ad essere un bene di consumo per comunita appartate dalla storia, ha dovuto anch' essa riproporsi la questione dei propri fondamenti, e riproporsela in modo talmente nuovo da non poter cercare soccorso ne nel principia di autorita, ne in quello della tradizione. II suo confronto col pensiero filosofico ha cosi assunto forme che non hanno precedenti: la filosofia, nello stato attuale, non solo si e liberata da ogni
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preoccupazione nei confronti delle questioni tradizionalmente in uso negli am"bienti teologici, rna, impegnata a ricercare, per suo canto, il sensa dell'esistenza, ha introdotto il suo aculeo critico nel nucleo costitutivo della condizione umana, derivando da questa sua immersione nella contingenza una problematicita che ripudia, per principia, ogni soluzione proposta dal di fuori della sua ricerca. Mentre:,un tempo la filosofia, fosse pure quella dei 'pagani', forniva alia teologia i temi del suo discorso, ad esempio il tema di Dio, oggi essa non e in grado di raggiungere, al suo interno, nessuna intesa tematica, che avrebbe potuto essere il nuovo modo di svolgere il suo classico 'ruolo' di ancella della teologia. L'assioma di Wittgenstein, che 'di cio di cui non si puo parlare si deve tacere', sta restringendo lo statuto epistemologico della filosofia fino a fame l'unico oggetto di se stesso. Che resta, ormai, dell'antico rapporto tra il sapere profano e il sapere sacra? Con quali titoli la teologia potrebbe ancora rivendicare la sua qualita di 'scienza'? Essa non ha altre possibilita di sopravvivere che quella di una rilettura critica della propria tradizione e quella di un confronto tra il messaggio biblico e gli interrogativi dell'uomo d'oggi, cosi come il pensiero filosofico li suscita e li formula con gli strumenti suoi propri. E difatti, uscita dal suo incantesimo, la teologia ha cominciato a ritrovare il proprio sensa nel momenta in cui si e lasciata investire, senza presunzioni di immunita, dalle questioni che via via il pensiero filosofico fa scaturire, nella sua incessante indagine sulla condizione umana. Cosi, ad esempio, nei confronti dell'ateismo marxista, il compito della teologia non e di opporgli una visione teistica del mondo, rna di verificare se e in che modo la religione cristiana assolve un ruolo ideologico in seno alla societa borghese. La spiegazione freudiana della religione svela le strutture inconsce del linguaggio su Dio. L'analisi del linguaggio condotta dal neopositivismo permette di valutare il 'gioco di linguaggio' che e proprio della fede cristiana. Niente di anomalo in questa affannoso allinearsi della teologia ai movimenti del pensiero filosofico. Essa e, per statuto, la fede che cerca di comprendere se stessa, fides quarens intellectum, rna gli strumenti della comprensione non puo produrli da se, li produce, per canto suo e con il suo metoda, la ragione dell'uomo nel suo cammino storico. Cosi stando le cose, niente di strano che il privilegio di questa 'discesa agli inferi' della teologia sia toccata prima alle chiese protestanti che a quella cattolica. Esse sono infatti, per la loro stessa origine, meno vincolate aile remore dell'istanza autoritaria e alla fedelta alla tradizione. Nel loro ambito non e mai del tutto venuto meno quello che Paul Tillich chiama 'il principia protestante', il principia della 'sola fede', la quale trascende, di sua natura, tutte le sue realizzazioni storiche. Esso ha in se «la protesta divina e umana contra qualunque pretesa di assolutezza si levi a favore di una realta relativa, anche se questa pretesa viene da una chiesa protestante. n principia protestante e il giudice di ogni realta religiosa e culturale, compresa la religione e la cultura che si definisce protestante». Non e infondato affermare che, a partire dagli anni del Concilio, anche la chiesa cattolica ha integrato in se il 'principia protestante', quando ha riconosciuto nella Parola di Dio la 'norma normativa' (norma normans) a cui anche la gerarchia e soggetta, e ha riconosciuto la competenza profetica del popolo di Dio. Da quel momento, e entrato in crisi, anche nella
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chiesa cattolica, il ruolo della mediazione autoritaria e ha avuto inizio una nuova fase del rapporto tra coscienza e rivelazione. 17.2 Harnack: Ia teologia liberale. Lo svolgimento del pensiero protestante contemporaneo si puo far risalire agli anni della rivoluzione borghese, che in Germania si limito ad essere, sulle prime, una semplice rivoluzione filosofica e culturale. II progetto di Kant di ridurre la religione, e cioe il cristianesimo, nei confini della ragione, sebbene contrastato dalla chiesa statale, che ottenne contra di lui la censura dell'obbligo del silenzio, era destinato al successo. I maggiori filosofi dell'eta postkantiana, formatisi quasi tutti nelle facolta teologiche, adottarono il punta di vista della ragione come risolutivo dei problemi dell'esistenza e capace di fondare un ripensamento della rivelazione cristiana secondo le esigenze dell'uomo diventato 'adulto'. La prova piu efficace di questa possibilita di trasporre i contenuti della teologia nei quadri razionali della filosofia la forni Hegel (2.10). E' con lui che diviene tematico il distacco tra la coscienza dell'uomo moderno e le origini del cristianesimo, un distacco superabile solo mediante il dispiegamento delle articolazioni del divenin~ storico, che soilo poi le articolazioni stesse della ragione. II che porta come conseguenza che tra la coscienza dell'uomo adulto e l'evento narrato dai Vangeli non c'e piu l'immediatezza ingenua e acritica dei primi cristiani, ne quella, decaduta a pura abitudine 0 a pura devozione, delle comunita attuali fedeli alla tradizione. Le istanze evangeliche non sono piu 'assolute', perche ormai non sono piu in grado di raggiungere la coscienza, se non con la mediazione della storia. D'altronde, anch'esse sono nate e abitano dentro la storia, non fuori. Per questa vanno criticamente restituite al loro particolare momenta e, in base a questa distacco critico, vanno interpretate in modo che facciano risuonare efficacemente nel cuore dell'uomo la loro intima universalita. II primo a fornire, proprio sulla soglia dell'Ottocento, una teorizzazione di questa fedelta critica al messaggio cristiano era stato Schleiermacher (1.3), che aveva risolto il cristianesimo nella categoria universale del sentimento relfgioso, nei cui confini esso rientrava con tutte le altre religioni, anche se emergeva su tutte in ragione della sua perfezione definitiva. Il che non significava affatto che fosse venuto meno il tempo delle chiese: le chiese hanna la loro ragione d'essere nella necessita intrinseca dell'esperienza religiosa di esprimersi comunitariamente, di ravvivarsi nel reciproco scambio, senza rigidezza di dommi, pen), e senza l'ingombro dell'istanza autoritaria. Cosi ridotto, il cristianesimo veniva a confondersi con un momenta - e non i:rnporta se il piu alto, come in Schleiermacher, o subalterno a quello fif6sofico, 'come in Hegel - dell' esperienza spirituale dell'uomo, capace di nutrirsi di se stessa e di tutto abbracciare dentro i confini del proprio divenire. In un modo o in un altro, metafisica idealistica e teologia venivano, dunque, a confondersi e a prestarsi, come unico bersaglio, all'attacco critico della sinistra hegeliana (5.1), in specie a quello di Feuerbach e di Marx. Il principia, tipico delle chiese della Riforma, della Bibbia quale fonte unica della fede, non assimilabile a nessun altro libra sacro, era staio demolito dalla critica storica, che, dimostrando le origini puramente umane dei libri sacri, ne aveva fatto un documento come tanti altri della storia religiosa dell'umanita.
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L'assoluto evangelico, dissolto nel contesto storico giudaico-ellenistico che ·Io aveva generato, perse di presa sulle coscienze cristiane, integrate nella cultura postilluministica, aile quali non restava altro scampo che assumere, come contenuto della fede, gli ideali morali del tempo. La teologia divenne 'liberale', sia perche Iibera da ogni altro vincolo che non fosse quello della ragione, sia perche si adatto ai principi della cultura egemone, quella del liberalismo. II progresso scientifieo, e in modo particolarmente brusco la teoria di Darwin sulla origine delle specie, rendeva piu marcata Ia distanza storica delle Sacre Scritture, irrimediabilmente confinate nell'eta del mito. Anche la figura di Gesu venne ricondotta nella cornice del suo tempo, non solo da chi aveva abbandonato ogni altra regola che quella della critica scientifica, rna anche da chi continuava a professare la fede nella sua parola: e in questo periodo che prende piede la distinzione tra il 'Gesu storico' e il 'Cristo della fede'. Per quanto riguarda il Gesu storico, la teologia liberale si trova del tutto allineata con le conclusioni della critica razionalistica; per quanto riguarda il Cristo della fede, essa lascia aperto il problema di quale sia il senso specifico della sua parola, se esso si identifichi, come voleva Kant, con l'annuncio del Regno delle finalita morali, o se abbia una sua irriducibilita aile categorie della ragione. Chi, come il 'teologo liberale', accetta Ia prima linea ermeneutica, si trova a fare della fede una ulteriore giustificazione dell'ordine borghese esistente, senza nessuna eccedenza profetica, anzi con una rigida pregiudiziale contra ogni velleita rivoluzionaria. A dare questa sistemazione storico-teorica alla teologia liberale fu Adolf Harnack (1851-1930), che senti come nessun altro l'urgenza di superare l'alternativa tra cultura moderna e religione cristiana, facendosi banditore della lora armonia. Professore all'Universita di Berlino, compose una monumentale Storia dei dogmi ( 1886-1900) per sceverare «il pun to fisso del cristianesimo primitivo» dalle successive impalcature dommatiche, che egli considerava come il prodotto di un «lav.oro compiuto dallo spirito greco sul terreno del Vangelo». Nel corso dell'inverno 1899-1900, egli dette ai suoi alunni sedici lezioni sui tema dell"essenza del cristianesimo', pubblicate poi in un libra omonimo che ebbe una straordinaria diffusione (71.000 copie e traduzione in quindici lingue). Il Juogo priviJegiato per ritrovare l'essenza della religione cristiana e, Secondo Harnack, la predicazione di Gesu, dove spiccano tre elementi principali: l'affermazione della paternita universale di Dio e il valore infinito dell'anima umana; la fecondita del vangelo, impostato eticamente invece che asceticamente e ispirato alia giustizia e all'amore fraterno; il fatto che il cristianesimo non e una delle tante religioni, rna la religione stessa nella sua essenza. Il libro di Harnack forni 1'occasione e la tematica del fenomeno del modernismo, che divampo soprattutto nell'area cattolica, per le ragioni e nei modi che diremo (17.9) e provoco, in seno al protestantesimo, la reazione che va sotto il nome di 'teologia dialettica'. 17.3 Barth: Ia teologia dialettica. II 4 agosto 1914, Adolf Harnack stese il proclama con cui il Kaiser avrebbe spiegato al popolo tedesco la necessita e le ragioni della dichiarazione di guerra, e poco dopo firmo, insieme ad altri 93 intellettuali, un Manifesto di adesione all'iniziativa imperiale. Era il segno chiaro
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della crisi del pensiero idealistico borghese dell'Ottocento e, al suo intemo, della crisi della teologia liberale, i cui maggiori esponenti si ritrov~vano, non per nulla, fra i firmatari del Manifesto. Ma la crisi della teologia liberale si alimentava anche ad altre ragioni, come, sui piano della scienza, le recenti scoperte (teoria dei quanti e teoria della relativita) che scompigliavano l'immagine acquisita del mondo, e, sui piano sociale, le lotte del movimento operaio, ispirate all'ideologia socialistica. In questa temperfe rinasce !'interesse per pensatori drammatici come Kierkegaard, Dostojevski' e Nietzsche, e, nello stesso contesto, l'interrogativo etemo della teologia - 'come parlare di Dio all'uomo?' - riceve una risposta che capovolge quella data dalla teologia liberale: Dio non e la piena realizzazione dell'umano, rna Ia sua negazione, la sua messa in crisi, ·non congiunturale, rna sostanziale, non settoriale, rna radicale. II manifesto di questa nuova posizione (che viene significativamente chiamata anche 'teologia della crisi'), e il commento alia Lettera ai Romani del teologo svizzero Karl Barth • Dio e Dio e l'uomo e l'uomo - Dio e il 'totalmente altro' dall'uomo - Dio in cielo e l'uomo sulla terra: con queste e analoghe formulazioni dirimenti, Barth intende affermare quella 'infinita differenza qualitativa' che gia Kierkegaard aveva fatto valere tra l'etemita e il tempo, tra Ia dimensione in cui vive l'essere di Dio e la dimensione in cui si muove la storia dell'uomo (4.9). Tutto quanto l'uomo dice e fa nella sua storia, rimane al di qua della frontiera inva-
Karl Barth nasce a Basilea nel 1886, compie i suoi studi in Germania, nel clima della teologia liberale (ha come professore anche Harnack), e nel 1911 diviene pastore di Safenwill, un piccolo villaggio svizzero. Durante Ia prima guerra mondiale, anche sulla spinta della scandala ricevuto dal 'Manifesto degli intellettuali' firmato da Harnack, medita sulla Lettera ai Romani di san Paolo (il testa che aveva determinato Ia svolta di Lutero) ed espone i risultati sulla sua riflessione nella sua Lettera ai Romani, del 1921. E' Ia rottura con Ia teologia liberale, in nome della 'dialettica qualitativa' tra religione e fede cristiana, secondo l'insegnamento di Kierkegaard. Diventato subito famoso, inizia una prestigiosa carriera universitaria. Nel 1932 intraprende il grandioso disegno della Dogmatica ecclesiastica, a cui attendera, lasciandola incompiuta, fino al 1964. Asceso Hitler al potere, Barth si dissocia con forza dal plauso con cui larghi strati della chiesa luterana salutano l'evento, e fonda una rivista, 'L'esistenza teologica oggi', che diventera !'organa della 'Chiesa confessante: Espulso dalla Germania nel 1935, si stabilisce a Basi/ea. Dopa Ia guerra, come si era opposto al nazismo si oppone all'anticomunismo, negando l'equivalenza, allora affermata in molti ambienti cristiani, tra il movimento nazista e quello comunista: il comunismo, dice Barth, pone una questione vera, quella della giustizia sociale, mentre il nazismo si basa sul mito falso della razza_ Partecipa, nel 1948, alla conferenza ecumenica di Amsterdam e diviene promotore dell'incontro fra le chiese cristiane. E' con questa animo che segue con interesse il Concilio Vaticano II e i suoi sviluppi. Muore nel 1968.
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licabile, al di qua della 'linea della morte', sottoposto alia caducita e alla stoltezza, all'ambiguita e all'incertezza. L'uomo compie da sempre il tentativo di trasfigurare positivamente la negativita di questa sua condizione, di leggerla come anelito verso Dio, o addirittura come punta di decollo di un cammino umano verso di lui. Tale tentativo e la religione: la quale e, dunque, la forma suprema di orgoglio umano, perche cerca di superare il limite tra uomo e Dio. La religione e «la divinizzazione dell'uomo e l'umanizzazione di Dio»: l'inutile conato da parte dell'uomo di impossessarsi di Dio. Finitum non est capax infiniti, il finito non e capace dell'infinito, ripete volentieri Barth, sulla scia di Calvina. E invece, soltanto Dio puo venire incontro all'uomo e parlargli. E la sua prima parola e, appunto, quella che ristabilisce la distanza infinita, e il giudizio sulla vanita di ogni sforzo umano e in particolare sulla peccaminosita della sforzo religioso. Ma al di la di questa parola di giudizio, Dio pronuncia la parola di grazia: il 'no' detto all'autosufficienza umana e soltanto la condizione per il 'si' di un amore gratuito, che salva l'uomo e il suo mondo. Lo salva, se incontra nell'uomo, invece della falsa pienezza della religione, il vuoto della fede. Siamo agli antipodi, come si vede, della teologia liberale: in questa, la religione e i1 compimento dell'umano, e il cristianesimo e il compimento della religione; in Barth, la fede cristiana e l'antitesi alla religione e la messa in crisi dell'umanesimo. Al punta che egli vede nell'ateismo di Feuerbach (5.3) il disvelamento di cio che la teologia dell'800 e stata, senza saperlo: Dio ridotto a creazione dell'uomo, a proiezione della coscienza umana; la teologia ridotta ad antropologia. Ma come puo, allora, l'uomo parlare di Dio? come puo parlarne Barth? Soltanto lasciando che sia Dio stesso a parlare, e facendosi poi eco di questa sua parola. Si e no, condanna e salvezza, non possono essere disgiunti, come aveva fatto Calvina, distinguendo tra coloro che sono predestinati alla dannazione e colora che sono predestinati alla salvezza. Dio condanna tutti e tutti salva, con una decisione imperscrutabile e unitaria, che noi possiamo soltanto esprimere come affermazione e negazione. E' questa la legge del nostro parlare di Dio: integrare e correggere ogni asserzione positiva con la rispettiva negazione. Dio si manifesta nella creazione, rna vi rimane anche nascosto; l'uomo e immagine di Dio, rna e anche la sua contraffazione a causa della colpa, e via dicendo. Ogni tesi ha la sua antitesi. Percio la teologia di Barth e stata chiamata anche teologia dialettica. Una dialettica che non e in Dio, rna nel discorso umano su Dio; una d!alettica .senza sintesi, perche si trova a distanza infinita dalla realta che vuole esprimere. n libra di Barth e un vero e proprio evento teologico, che fa ormai da spartiacque nell'ambito della teologia protestante. E non solo della teologia. Che queUe di Barth non fossero affermazioni puramente teoriche, rna posizioni destinate a incidere sulla vita della chiesa, lo dimostro, circa un decennia piu tardi, l'atteggiamento assunto da una parte di protestanti tedeschi nei confronti del nazismo. Di fronte ai Deutsche Christen (i 'cristiani tedeschi'), che volevano una chiesa somministratrice di ideologia etnico-nazionale, riconoscendo nel popolo tedesco una rivelazione storica di Dio nel mondo, Barth si fece l'animatore teologico della 'chiesa confessante', che nel 1934 prese posizione con la cosiddetta 'dichiarazione di Barmen':
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Gesu Cristo... e l'unico Verbo di Dio, che noi dobbiamo ascoltare e al quale dobbiamo rivolgere la nostra fiducia e obbedienza sia jn vita come nella morte. Noi rigettiamo Ia falsa dottrina, secondo cui la chiesa quale fonte del suo annuncio possa e debba riconoscere, fuori e accanto a quest'unica Parola di Dio, anche altri eventi e potenze, figure e verita come rivelazione di Dio.
17.4 TiUich: Ia teologia della correlazione. II capolavoro di Barth ebbe, fra gli altri effetti, quello di far nascere, negli anni '20, un cenacolo ideale di giovani teologi, accomunati dal definitivo rigetto della teologia liberale e dall'accoglimento del primato della Parola di Dio come giudizio di condanna senza appelli sull'esistenza e sulle produzioni storiche dell'uorno. Del gruppo facevano parte teologi come Paul Tillich, Friedrich Gogarten e Rudolf Bultmann, destinati a tracciare vie diverse, nel vasto mondo del rinnovamento teologico avviato dalla rottura barthiana. Se presa nella sua assolutezza (il 'no' di Dio ad ogni 'si' dell'uomo), la posizione di Barth era senza sbocchi, quasi un 'monologo in cielo', nei confronti del quale la vicenda terrena dell'uomo era totalmente vuota di sensa. Tra quel 'si' e quel 'no' non si clava, come vorrebbe la dialettica fi-. losofica, un punta di vista superiore, capace di conciliarli. Paradossalmente ed e qui la contraddizione in cui Barth incorre, secondo i suoi discepoli critici - la dialettica assoluta, priva cioe di un punta di vista unificante, diventa essa stessa un punta di vista, e cosi distrugge se stessa. Con la sua dialettica, Barth mette in crisi la sistemazione mondana della teologia liberale, rna lo fa per stabilire il suo domicilio dentro la crisi, squalificando, in ossequio al 'no' di Dio, ogni parola dell'uomo, vista che la parola dell'uomo, perfino quella della fede, e pur sempre un prodotto del versante negato dall'assolutezza di Dio. In realta, tra i due termini dialettici l'unico veramente decisivo e la negazione. Ma allora, se tra il 'si' dell'uomo e il 'no' di Dio corre una differenza infinita, come puo nascere nell'uomo la responsabilita di accogliere o rifiutare la parola di. Dio? La totale differenza non diviene legittimazione della totale indifferenza? II problema su cui si confronto vivacemente il cenacolo barthiano e appunto questa: quale sia il 'punto d'aggancio' tra esistenza umana e trascendenza divina, tra antropologia e teologia o, per usare i termini tradizionali, tra ragione e fede, a partire dal presupposto, da nessuno messo in discussione, della irriducibilita dell'istanza divina a quella puramente umana. Particolare risonanza ebbe la soluzione proposta da Paul Tillich ( 18861965), nato in Prussia, rna, a partire dal 1933, e cioe dall'ascesa del nazismo, vissuto negli Stati Uniti, dove il suo insegnamento ha esercitato una grande influenza. Anche per lui fu decisiva l'esperienza della prima guerra mondiale. L'incontro con le classi sociali piu basse, trascinate nella tragedia dalle istituzioni che egli aveva fino ad allora supinamente accettato - lo Stato, la Chiesa, l' esercito - lo trasformo radicalmente: La trasformazione - egli scrive - avvenne durante Ia battaglia della Champagne del 1915. Ci fu un assalto notturno. Per tutta Ia notte non feci che girare fra feriti e morti. Molti erano miei intimi amici. Per tutta quella lunga orribile notte camminai tra file di gente che moriva. In quella notte gran parte della mia filosofia classica ando in frantumi; la convinzione che l'uomo fosse capace di impadronirsi dell'essenza del suo essere, Ia dottrina dell'identita della essenza e dell'esistenza ... Mi ricordo che mi sedevo sotto gli
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alberi delle foreste francesi e leggevo Cosi parlO Zaratustra di Nietzsche come facevano molti altri soldati tedeschi, in continuo stato di esaltazione. Questa era la liberazione definitiva dall'eteronomia. II nichilismo europeo sbandierava il detto profetico di Nietzsche, «Dio e morto». Ebbene, il concetto tradizionale di Dio era proprio morto.
Tillich si e definito 'uomo di frontiera'. A cavallo tra l'Ottocento, secolo del progresso, e il Novecento, secolo della crisi, egli ha cercato una 'terza via' teologica, che raccogliesse in se le esigenze della teologia liberale e quelle della teologia dialettica. Se la prima tentava· una sintesi illegittima tra Dio e il mondo, sfumando - fino al rischio di cancellarlo - il confine che li separa, e la seconda li allontanava cosi radicalmente da correre il rischio opposto, di non riuscire piu a congiungerli, Tillich si propane di tematizzare una differenza tra Dio e mondo che contenga in se la loro possibile relazione, e una relazione che non abolisca rna esalti la differenza. A questo scopo egli elabora il metodo della 'correlazione', che consiste nel porre la filosofia e la teologia in un rapporto tale, che l'una rimandi all'altra senza nessuri pregiudizio per la loro totale autonomia, anzi col vantaggio, per l'una e per l'altra, di evitare il rischio di diventare una teologia dissimulata da forme filosofiche o una filosofia dissimulata da forme teologiche. Infatti, solo se in grado di pronunciare un giudizio su se stessa, la fede e autentica, e per fare questo non puo non usare, come suo strumento, cio che appartiene all'ordine della filosofia. Di qui l'importanza del dubbio: esso manifesta l'impossibilita per l'uomo di identificare cio che e umano (e il linguaggio della fede e necessariamente umano) con cio che e incondizionato, come e incondizionata ogni affermazione di fede. Il dubbio e, dunque, l'altra faccia della fede, il suo risvolto immancabile, dato che il suo senso e di ricondurre costantemente la fede a liberarsi da ogni altro appoggio che se stessa. A sua volta, la filosofia non puo liquidare una volta per sempre la questione che le e posta dalla fede e che la investe proprio la dove essa ricerca il senso di se nell'incondizionato. Finche non e stato afferrato dalla questione che lo riguarda in quanto e la questione del senso ultimo dell'esistenza, l'uomo non e in grado di parlare ne a favore di Dio ne contro di lui. «lo sono stato sempre colpito, scrive Tillich, dal seguente paradosso: chi nega seriamente Dio, lo afferma. Senza questa certezza, non avrei saputo restare teologo». Il senso del paradosso e in quel 'seriamente': la negazione, che, secondo Tillich, equivale all'affermazione, e quella che nasce nelle profondita ultime dell'esistenza, la dove Dio, lo si neghi o lo si affermi, avvolge di se sia la negazione che l'affermazione. D'altra parte - ed e questa la tesi che domina l'opera maggiore di Tillich, la Teologia sistematica- l'uomo, nella sua condizione storica, e, come ha detto Marx, un essere alienato, nel senso che la sua esistenza non realizza la sua essenza. Anche la Rivelazione cristiana e stata accolta da un uomo in condizione di alienazione. Chi pensa di essere unito a Dio, si inganna: egli ne resta separato. Chi pensa di essere ateo, si inganna anche lui: in realta, in qualche modo, mantiene il suo legame con Dio. L'unico che ha realizzato in pieno le condizioni di autenticita, che e stato, cioe, immune dall'alienazione, e Gesu Cristo, l'essere totalmente nuovo. Ma nonostante la sua esemplare novita, Cristo non ha avuto il potere di salvarsi: il potere della salvezza appartiene allo Spirito, la cui
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azione continua. E l'azione della Spirito consiste nella svelare la commistione tra il bene e il male dell'esistenza alienata, e nel promuovere la realizzazione piena della novita, che e il Regno di Dio, e cioe una pienezza di esistenza che comporta il compimento dei fini propri dell'ordine storico, e dunque anche di quelli politici, rna insieme anche il trascendimento della storia.
17.5 ·Bultmann: Ia demitizzazione. Nella correlazione tra Dio e l'uomo Tillich aveva posto l'accento sull'uomo, e cioe sulla domanda a cui la parola di Dio risponde. Rudolf Bultmann • capovolge, in qualche modo, il rapporto: e Dio che ci viene incontro con le sue domande: la fede e la nostra risposta. Non ha sensa parlare di Dio: nel momenta stesso in cui si svolge, il discorso su Dio smarrisce il proprio oggetto. Il solo modo di rispettare la trascendenza di Dio e di incontrarlo, nella fede, come un soggetto che mi interpella, qui ed ora. Ha ragione Feuerbach (5.3), dice Bultmann: credere a partire da me equivale a credere in me, perche l'onnipotenza e la santita che io adoro non sono, in questa caso, che la proiezione della mia impotenza e della mia mediocrita. La vera religione richiede che io creda in Dio a partire da Dio, il che e possibile solo se Dio prende l'iniziativa di venirmi incontro. Il livello in cui l'incontro accade non e quello degli enti, e quello dell'esistenza, nel sensa che essa ha nell'analisi di Heidegger. In quanta esistente, l'uomo si trova di fronte a una duplice possibilita: vivere autenticamente, cioe tenersi disponibile al futuro che gli viene continuamente incontro nella concretezza dei rapporti umani; oppure ripiegarsi sul passato, su cio che gia si e e si possiede, vivendo in maniera inautentica. Per vivere autenticamente non sono necessarie conoscenze scientifiche sull'uomo, di carattere filosofico o psicologico o altro; lo stesso esistere umano implica un'autocomprensione spontanea, che Bultmann, sulla scia di Heidegger (10.11), chiama 'esistentiva': come una luce interiore, che nel vivo delle situa-
Rudolf Bultmann nasce nel 1884 nei pressi di Oldenburg, dove frequenta il ginnasio insieme a Karl Jaspers. Compiuti gli studi di teologia, diviene docente in varie universitd, finche, nel 1921, ottiene la cattedra di Nuovo Testamento e Storia del cristianesimo antico a Marburg, dove incontra Paul Tillich e Martin Heidegger, che attende in quegli anni alla stesura del suo Essere e tempo. Accoglie in gran parte l'analisi esistenziale di Heidegger, al quale dedica i suoi quattro volumi di saggi, Fede e comprensione (1926).]./amicizia col filosofo si rompe quando questi, nel 1933, si pronuncia a favore del nazismo. L 'incontro con Heidegger aveva causato il suo distacco dalla teologia dialettica di Barth, un distacco che aumenta con gli anni ed e ricambiato da severe critiche da parte del teologo di Basilea_ Nonostante Ia sua opposizione al nazismo, Bultmann puo continuare tranquillamente il suo insegnamento a Marburg. Nel 1941 pubblica il celebre saggio che contiene il suo programma di demitizzazione, Nuovo Testamento e mitologia, un 'opera che ha influenzato if corso della teologia contemporanea non meno della Lettera ai Romani di Barth Lascia la cattedra per limiti di eta nel1954. Muore nel1976
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zioni funge da discemimento e da orientamento per la decisione. Per raggiungere, invece, una comprensione generale dell'esistenza umana come tale, neUe sue strutture costitutive- comprensione 'esistenziale' - bisogna servirsi di categoric filosofiche, tra le quali Bultmann privilegia, appunto, queUe dell'analitica heideggeriana. Ma la possibilita dell'individuo di realizzarsi autenticamente non e legata a quest'intelligenza riflessa e generale, bensi alla comprensione diretta delle proprie possibilita, alia comprensione 'esistendva'. Solo che l'uomo, cosi com'e, si trova nella impossibilita di raggiungere una intelligenza autentica della propria esistenza, perche ha chiuso gli occhi a quella rivelazione del suo senso e del suo ruolo nel mondo con cui Dio lo aveva illuminato nel crearlo. L'uomo storico e, come per una seconda natura, in una condizione di alienazione radicale, di incapacita assoluta di comprendere e fare il bene. E' questo il 'peccato originale', lo stato di disperazione oggettiva da cui l'uomo non trova salvezza se non in virtu di una 'nuova creazione', che gli restituisca la giusta comprensione di se. Dio ha parlato di nuovo, in Gesu Cristo. La salvezza, e cioe la possibilita di un'esistenza autentica, non si ha se non nella risposta di piena disponibilita al messaggio di Dio. Solo la fede salva. La grande affermazione di Lutero, che non le opere, rna la fede, e solo la fede, salva, trova in Bultmann un'estensione nella sfera dell'intelligenza, dove si esprime come critica radicale della religione, come distruzione delle sicurezze mentali che l'uomo, eludendo l'autosufficienza della fede, si e creato per evitare o attenuare lo 'scandalo' della parola di Dio nella sua nudita. Nella ricerca di false sicurezze, l'uomo tende sempre a ridurre ogni incontro con l'altro, anche quando si tratta dei messaggi che gli vengono dalle grandi testimonianze della storia, ad altrettante occasioni per ridurre il 'tu' a un oggetto di cui appropriarsi. Come avevano dimostrato Dilthey (10.2) e Husserl (10.8), per comprendere la verita dell'altro, bisogna che io me ne lasci coinvolgere, che entri con lui in una relazione vitale. Se poi si tratta della verita di un testo scritto, la sua comprensione richiede una 'precomprensione', e. cioe una specie di connivenza, scoperta o segreta, con il mondo umano che Hel testo ha preso forma. E' qui, nel rapporto tra precomprensione e comprensione, che Bultmann introduce in teologia la problematica ermeneutica. La precomprensione e l'apertura dellettore al testo ed e la breccia attraverso cui il testo penetra nellettore; un' opera parla a ognuno secondo il tipo di interesse che spinge ad accostarla: psicologico, sociologico, estetico, ecc. Ma ognuno di questi interessi particolari e mosso intimamente dalla domanda sui senso dell' esistenza. Ora, come si diceva, questa domanda fa storicamente tutt'uno con il problema di Dio, con quel bisogno di salvezza che e anelito al sonso perduto. Ed e al livello di queste domande che deve avvenire l'incontro dell'uomo con il Nuovo Testamento. In questo libro, infatti, si e oggettivata la comprensione autentica dell' esistenza umana, cosi che ogni uomo ha, o meglio e, una fondamentale precomprensione del Nuovo Testamento, e un interesse radicale, anche se per lo piu inconscio, per quella parola decisiva che il Nuovo Testamento contiene. Tutte le pagine di questo libro non fanno che ripetere, sotto modulazioni e rappresentazioni svariate, un'unica essenziale verita: in Gesu Cristo, Dio ha pronunciato la sua parola irrevocabile sulla vita dell'uomo, parola che e, a un tempo, di giudizio e di perdono, di condanna e di salvezza: giudizio su cio
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che l'uomo ha fatto di se stesso, perdono ricreatore come dono di una esistenza nuova. Dio non fa miracoli. Il suo miracolo, in un mondo senza miracoli, e questo: col suo kerygma (annuncio ), che parla del Cristo crocifisso e risorto, egli rompe il 'muto ciclo dell'esistenza', liberando, qui e adesso, gli uomini che si lasciano liberare. Questo kerygma, nella sua autenticita, si trova solo nel Nuovo Testamento. Solo che il Nuovo Testamento e un libro mitologico. E' quanto dice Bultmann, nella prima pagina del suo libro-manifesto. Merita leggerla, anche per rendersi conto dello choc che essa non poteva non provocare nel mondo dei credenti: La raffigurazione neotestamentaria dell'universo e mitica. Si considera il mondo articolato in tre piani. Al centro si trova la terra, sopra di essa il cielo, e sotto gli inferi. Il cielo e l'abitazione di Dio e delle figure celesti, gli angeli; il mondo sotterraneo e l'inferno, il luogo dei tormenti. Ma non percio Ia terra e unicamente illuogo dell'avvenimento naturale quotidiano, delle sollecitudini, cioe, e dellavoro, dove regnino l'ordine e la regola: e anche il teatro d'azione delle potenze soprannaturali, di Dio e dei suoi angeli, di Satana e dei suoi demoni. Le forze soprannaturali agiscono sugli avvenimenti naturali, sui pensiero, sulla volonta, sull'operare dell'uomo; i miracoli non hanno nulla d'insolito. L'uomo non e padrone di se stesso; i demoni possono impadronirsi di lui; Satana gli puo ispirare cattivi pensieri; rna anche Dio puo guidarne il pensiero e la volonta... La rappresentazione dell'evento della salvezza, che costituisce il contenuto specifico dell'annuncio neotestamentario, e coerente con questa immagine mitica del mondo. Il messaggio e espresso in un linguaggio mitologico: la fine dei tempi e ormai venuta; «quando i tempi furono nella loro pienezza)), Dio mando il Figlio suo. Questi, che e un essere divino preesistente, appare sulla terra come un uomo; la sua morte sulla croce, che egli subisce come un peccatore, e fonte d'espiazione per i peccati degli uomini. La sua resurrezione e l'inizio di quella catastrofe cosmica per cui la morte, introdotta nel mondo da Adamo, sara annientata; le potenze demoniache del mondo hanno perduto il loro potere. Il risorto e stato elevato al cielo alia destra di Dio, e stato fatto 'Signore' e 'Re'. Tornera dalle nubi del cielo per recare a compimento I' opera della. salvezza; allora avranno luogo la ressurrezione dei morti e il giudizio; allora saranno aboliti peccato, morte ed ogni dolore. E tutto questo avverra tra poco; Paolo ritiene di poter vivere egli stesso tali eventi.
Che senso ha tutto questo per l'esistenza dell'uomo, e in particolare per l'esistenza dell'uomo contemporaneo? E' questo, appunto, il compito della teologia: distinguere il kerygma dall'immagine mitologica del mondo in cui ci e stato offerto. tenendo conto che in nessun luogo del Nuovo Testamento si da un kerygma separato dalle raffigurazioni mitologiche, ne raffigurazione mitologica separata dal kerygma: essi sono come l'idrogeno e l'ossigeno nella combinazione Hi 0 dell'acqua. Il rapporto ermeneutico necessario per cogliere, in tutta serieta e verita, il kerygma di salvezza e oggi, secondo Bultmann, quello della demitizzazione. Cio che sta a cuore agli uomini del Nuovo Testamento non e il complesso di figure e di vicende straordinarie di cui si intessono i loro scritti. Attraverso il loro sistema rappresentativo, essi cercano di dire qualcosa che sta oltre le categorie e le figure che lo compongono. Il mito evangelico e un linguaggio prescientifico che, con un duplice opposto movimento, proietta nella trascendenza le spiega-
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zioni che andrebbero ricercate nell'immanenza, e oggettiva la trascendenza nell'immanenza, l'aldila nell'aldiqua, con l'intento, ed e questa che conta, di parlare della proposta di salvezza nei termini delle realta oggettive, verificabili, disponibili, che operano nel nostro mondo. Interpretare il Nuovo Testamento e entrare nel suo codice mitologico per cogliervi quell'unica realta che ne costituisce il vera contenuto: l'incontro tra la Parola che perdona e 1' esistenza umana che da essa viene accolta e interpellata. Nbn si tratta, dunque, di liquidare il mito, rna di decodificarlo in base alla precomprensione che l'uomo rnademo, uscito per sempre dall' eta del mito, non puo realizzare se non con categorie esistenziali. Resta da sapere se, in questa trasposizione da un codice all'altro, il kerygma riesca a sopravvivere, o quanta meno a mantenere la propria integrita. E' difatti questa la problematica esplosa dopa la 'rivoluzione' della demitizzazione. Per Barth, ad esempio, l'opera di Bultmann era un cedimento alle pretese dell'illuminismo, e come tale rientrava, senza volerlo, nella linea della teologia liberale. Un fatto e certo: dopa quella della teologia dialettica, la rivoluzione bultmaniana rappresenta, nel cammino della storia del pensiero teologico, una soglia dinanzi alla quale non e piu possibile indietreggiare. 17.6 Gogarten: l'avvento della civilta secolare. Tra i 'figli della crisi', che si erano ritrovati, dopa il 1920, attorno a Karl Barth, c'era anche un giovane teologo, Friedrich Gogarten ( 1887-1967), autore di un saggio apparso nella rivista 'Christlichen Welt', che aveva illinguaggio e il sensa di un giudizio apocalittico sul tempo: il mondo e al tramonto, perche ha ricevuto da Dio il 'colpo di grazia'. «Noi siamo solo contenti del tram onto. Percio ci rallegriamo del libra di Spengler». La connivenza del teologo barthiano con il filosofo della catastrofe (10.3) non nasceva da complicita con l'irrazionale, nasceva dalla percezione che era giunta l'ora della 'grande riflessione',l'ora della 'penitenza'. «In questa mom en to noi non ci troviamo di· fronte alla nostra sapienza, rna davanti a Dio. Quest' ora non appartiene a noi. Noi non abbiamo tempo adesso. Noi stiamo tra i tempi, zwischen den Zeiten». Quest'ultima espressione piacque al circolo della teologia dialettica, che infatti, due anni dopa, la adotto come titolo della sua rivista (Zwischen den Zeiten, 'Fra i tempi', attiva dal 1922 al 1933). Ma Gogarten uscira ben presto dal cerchio magnetico della teologia dialettica per svolgere, alla maniera di Tillich, un discorso centrato sul significato dell'uomo in quanta essere storico. Ai suoi occhi, la mutazione in corso nel mondo moderno, appare, a differenza di quelle del passato, come una rivoluzione antropologica cosi radicale da meritare un'attenzione teologica. specifica. Per la prima volta nella sua storia, l'umanita vive in un inondo progressivamente 'secolarizzato', dove Dio non e piu l'asse della spiegazione di cio che e e della fondazione di cio che deve essere, e dove l'uomo, proprio a causa di questa eclissi di Dio, si trova solo nel mondo, solo di fronte a se stesso, con l'ambiguita e il peso di questa sua enorme responsabilita. Che deve fare il cristiano di fronte al mondo secolarizzato? La tesi di Gogarten (formulata in modo compiuto solo in Gesu Cristo svolta del mondo, del 1966) e che la secolarizzazione ha il suo fondamento nella stessa fede cristiana: non solo perche ne deriva storicamente, rna, piu in profondita, perche nasce,
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per logica intrinseca, dal centro stesso della rivelazione. Dalle culture pili antiche e semplici fino alia luminosa civilta greca, il mondo e stato concepito come un complesso governato da forze e leggi primordiali, da cui l'uomo si sapeva dipendente e che rispettava, riconoscendo in esse un ordinamento cosmico buono e santo. In questa modo, pen), l'uomo divinizzava il mondo, adorava la creatura: e quell'atteggiamento chela Bibbia definisce come peccato originale. Attribuendo al mondo connotati divini e sottorriettendosi ad esso con timore, l'uomo, da una parte, negava la propria obbedienza a Dio, dall'altra si rendeva schiavo del mondo~ Con la rivelazione cristiana si spezza quest'incantesimo: Gesu Cristo e essenzialmente colui che ristabilisce su basi autentiche il rapporto tra Dio, uomo e mondo, colui che mette l'uomo nella sua verita, che e di essere 'tra Dio e il mondo': figlio di Dio e signore del mondo. Una cosa sta con l'altra: il riconoscimento di Dio come Padre e come creatore toglie al mondo l'apparenza divina e lo riduce alia sua statura effettiva di mondo: campo di forze su cui l'uomo puo liberamente intervenire, invece di lasciarsene soggiogare, facendosene responsabile di fronte a Dio. Conteriuta in germe nei testi del Nuovo Testamento, questa rivoluzione non si e pero realizzata subito nella storia occidentale. II Medioevo ha riproposto in forme cristiane un rapporto uomo-mondo che ripeteva la struttura pagana di subordinazione dell'uno all'altro. Bisogna aspettare Lutero per vedere finalmente sprigionarsi, come istanza storica, la forza liberatrice del vangelo. Ma la conquista s'accompagna subito a una perdita non meno rilevante: la 'divinizzazione' del mondo si duplica nel rifiuto di Dio, nella presunzione, da parte dell'uomo, di gestire la propria esistenza nel mondo con una autonomia assoluta. Presumendo di avere saggezza e potenza divine, l'uomo cerca di dare al mando un senso totale e compiuto (ideologia), facendone di nuovo un sistema chiuso entro cui gli uomini si muovono come schiavi. Oppure, rinuncia a cercare il senso e si abbandona al dubbio come condizione insuperabile di vita (nichilismo). In ambedue i casi, la secolarizzaziol)e rinnega il proprio significato autentico, degenerando in quello che Gogarten chiama il 'secolarismo'. II compito della fede cristiana e di riportare il processo della secolarizzazione aile sue radici, senza rimpianti per il mondo premoderno e senza cedimenti al secolarismo.
17.7 Bonhoefer: il cristianesimo post-religioso. Sono state le sue lettere, scritte durante la prigionia e pubblicate nel 1951 col titolo Widerstand und Ergebung (Resistenza e resa), a rivelare all'opinione''pubblid mondiale, oltre che a! ristretto ambiente della teologia, la straordinaria ricchezza umana e cristiana di Dietrich Bonhoefer. • Quella raccolta epistolare e ormai considerata come una pietra miliare nella storia del pensiero teologico. Ci sono, in quelle lettere, intuizioni potenti, che congiungono al radicalismo barthiano la passione per la salvezza storica dell'uomo, e tratteggiano una frontiera distaccata dal pessimismo storico, esplicito in Barth e implicito nell'esistenzialismo di Bultmann. Quelle intuizioni sono rimaste, a causa del patibolo nazista, senza sviluppi teorici adeguati. E' bene dire, comunque, che esse si ricollegano a tutta la riflessione sviluppata in precendenza da Bonhoefer, incentrata sul rifiuto del cri-
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stianesimo come religione di evasione, come una gnosi per 'candidati al cielo', Secondo l'espressione di Feuerbach. Se l'essenza delle religioni e di completare con integrazioni soprannaturali le incapacita umane, allora il cristianesimo non e una religione, come non e una forma di ateismo, se l'ateismo consiste nel portare a termine il compito umano senza presentarlo a Dio. ll cristianesimo e, per riprendere i due temi che han dato titolo aile lettere dalla prigione, una 'resistenza' responsabile, 'adulta' (un aggettivo caro a Bonhoefer, che lo aveva mutuato dal famoso saggio di Kant sull'illuminismo), e una 'sottomissione', filiale e fiduciosa. Anche Bonhoefer prende atto della secolarizzazione della societa occidentale come fatto ormai compiuto: gli uomini in mezzo ai quali viviamo sono tranquillamente - e dunque profondamente - non religiosi. Caratteristica di ogni religione e di dividere la realta in due sfere: l'aldila, dove esiste Dio, e l'aldiqua, dove si dibatte l'uomo. Dio interviene nel mondo come un Deus ex machina, e l'uomo a sua volta a:nela all'aldila come a luogo unico di salvezza. Anche di fronte alia secolarizzazione, la religione cerca di riservarsi uno spazio: l'uomo fattosi autonomo, capace di disporre di se, ha pur sempre delle zone che non riesce a dominare. Sono le zone-limite, dove si pongono le 'questioni ultime' della conoscenza (le lacune non ancora colmate dalla scienza) e della vita (la colpa, il dolore, la morte). Ma questo 'Dio tappabuchi' e una risposta disonesta, oltre che invalida, all'uomo secolare. Di fronte alia secolariz-
Dietrich Bonhoefer nasce a Breslavia nel 1906, in un ambiente altoborghese dove riceve una educazione raffinata. Nel 1923 entra nell'Universitd di Tubinga per compiervi gli studi teologic~ che !'anna successivo prosegue a Berlino, dove si guadagna Ia stima di Harnack. Si laurea nel1927 con un saggio sulla chiesa che sbalordisce Karl Barth, nella cui teologia Bonhoefer si riconosce. Nel 1929 si reca, per completare i suoi studi, a New York, osservatorio importante per Ia conoscenza del mondo 'secolarizzato: Nel 1931 e di nuovo a Berlino come docente universitario e come pastore. Nel 1933 sale al potere Adolf Hitler e la chiesa evangelica ufficiale aderisce all'ideologia nazista, fino a interdire l'ordinazione di pastori di razza non ariana. Insieme a Barth e ad altri, fonda Ia 'Chiesa confessante' (17.5). Su consiglio di amici si trasferisce a Londra come pastore di una comunitd tedesca. Nel 1935 rientra in Germania, dove incontra continue difficoltd che lo costringono a sospendere ogni attivitd pubblica. NeZ 1939 accetta un in\lito di amki per un giro di conferenze negli USA, ma, saputo che lo scoppio della guerra e imminente, rientra in Germania, dove diventa membra attivo della Resistenza, col proposito di rovesciare il regime. II 5 aprile 1943 e tratto in arresto. Con Ia complicitd dei sorveglianti, riesce a intrattenere una ricca corrispondenza con parenti e amici. Nel febbraio del 1945 e trasferito nel campo di concentramento di Buchenwald. L'8 aprile viene prelevato dagli sbirri. «Lo salutammo, racconterd un compagno di prigionia. Egli si ritiro dicendo 'Questa e la fine: Poi soggiunse prontamente: 'per me e l'inizio della vita)). Il giorno seguente, il 9 aprile, viene impiccato. Ha appena 39 anni.
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zazione, il cnstiano deve invece assumere risolutamente un atteggiamento di onesta intellettuale: l'uomo moderno .e semplicemente l'uomo diventato adulto, uscito dalla tutela rassicurante delle certezze religiose, l'uomo che nella sua conoscenza e gestione del mondo si e, a buon diritto, Iiberato dell"ipotesi Dio'. Nella piu celebre delle sue lettere dal carcere, quella del 30 aprile 1944, Bonhoefer imposta la sua tesi in termini estremamente chiari: II cristianesimo e sempre stato una forma (for·se la vera forma), della 'religione'. Ma quando un giorno sara evidente che questa 'a priori' non esiste affatto, rna che e stato una forma espressiva dell'uomo, storicamente determinata e transitoria, quando cioe gli uomini diventeranno realmente non religiosi in maniera radicale - e io penso che piu o meno e gia il nostro caso (qual'e, per esempiO, la ragione per cui questa guerra, a differenza di tutte le altre, non suscita una reazione 'religiosa'?) - che cosa significhera allora questa per il cristianesimo? ... Se infine dovessimo giudicare la forma occidentale del cristianesimo nient'altro che il preambolo a una totale nonreligiosita, quale situazione risulterebbe per noi, per la Chiesa? Come puo Cristo diventare il Signore anche dei non religiosi? Se la religione e soltanto un abito del cristianesimo - ed anche quest'abito ha assunto aspetti molto div~rsi in tempi diversi - che significa allora un cristianesimo senza religione?
Bonhoefer e convinto che l'interlocutore privilegiato della rivelazione cristiana sia proprio l'uomo non religioso. Si tratta allora- ecco il grande campito della teologia attuale - di elaborare un'interpretazione non religiosa dei concetti biblici. Come comprendere e ridire con linguaggio non religioso le categorie della Bibbia: salvezza, grazia, redenzione? Interpretazione non religiosa significa interpretazione cristologica. In Gesu, Dio entra nel mondo, ma vi rimane nascosto; anzi, in lui si manifesta la suprema tensione tra Dio e il mondo, che trova la sua espressione culminante nel grido sulla croce: «Dio mio, Dio mio, perche mi hai abbandonato?» C'e dunque una singolare corrispondenza tra la rivelazione di Dio in Gesu Cristo e la sua assenza dalle assise pubbliche del mondo .moderno: nell'uno e nell'altro caso, e scomparso il Dio onnipotente, che tutto dispone e risolve. La fede cristiana annuncia al mondo l'impotenza e la passione di Dio nel mondo. Ma questa Dio che muore in Gesu e il Dio-per-gli-uomini. II Dio che, invece di volere uomini speciali - come fa la religione -, vuole semplicemente uomini realizzati: non bruciati dall'attesa dell'aldila, rna ben piantati nel presente, nella responsabilita e nel godimento dell'essere terreno. La scomparsa della religione restituisce a Dio, insieme, la sua trascendenza sul mondo e la sua immanenza nel mondo. E al mondo restituisce la sua mondanita. E' stato scritto che, mentre, dopo la prima guerra rnondiale, la teologia ha scoperto, con Barth, la divinita di Dio, dopo la seconda guerra mondiale ha scoperto, a partire da Bonhoefer, la mondanita del mondo. E la sfida cui dovra confrontarsi sara di non distinguere queste due scoperte, rna di rinnovare continuamente la comprensione della loro ardua unita.
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La teologia cattolica 17.8 La restaurazione tomista. All'interno della chiesa cattolica, il pensiero teologico non ha conosciuto uno svolgimento anche lontanamente paragonabile a quello che abbiamo constatato nelle chiese protestanti. Questa diversita ha due ragioni fondamentali. La prima e il rapporto di antagonismo che la chiesa cattolica ha stabilito, a partire dall' eta rinascimentale, col mondo roodemo. Imprigionata nella nostalgia della cristianita medievale come momenta esemplare della propria storia, essa ha considerato viziati da una fondamentale illegittimita i processi di cambiamento della societa moderna. Nei momenti che hanno segnato in modo decisivo le tappe del cambiamento storico - dalla rivoluzione copernicana alia rivoluzione francese, dalla crisi della metafisica avviata da Kant alle teorie darwiniane sull'origine delle specie, dall'affermazione dei principi dello Stato di diritto alia nascita dei movimenti sociopolitici ispirati al marxismo, - la chiesa cattolica ha pronunciato puntualmente il suo verdetto di condanna. Mentre le chiese protestanti, sia pure in un alternarsi di resistenze e di troppo rapidi cedimenti alia modernita, hanno finito col trovarsi a proprio agio nel nuovo ordine creato dalla civilta borghese, al punto che questa e stata ritenuta come un prodotto del protestantesimo (10.4), la chiesa cattolica e stata costretta a seguire l'evoluzione del mondo moderno passando, a piu riprese, secondo un criteria di opportunita, dall'anatema al dialogo, pur senza mai ritrattare, fino a questi ultimi tempi, la convinzione che il modello normativo della societa umana era quello realizzato, sotto la sua guida, nell'epoca della cristianita medioevale. Come dichiaro apertamente Pio IX nel Sillabo (1864), nessuna conciliazione poteva darsi tra chiesa cattolica e civilta moderna, e meno che mai nel campo delle liberta politiche e della liberta nella ricerca scientifica e filosofica. Non per nulla nell"Indice dei libri proibiti', uno strumento creato dalla chiesa della Controriforma (1557), si trovano elencate quasi tutte le opere di cui va fiera Ia cultura moderna. Per uscire dalla stretta di questa prigionia ideologica, si escogitarono, gia ai tempi di Pio IX, accorgimenti dottrinali a dir poco artificiosi, come quello della distinzione fra 'tesi' e 'ipotesi': la tesi, e cioe la norma conforme a verita, era appunto quella affermata dal magistero pontificio ed essa andava seguita, come precetto divino: rna nell'ipotesi che l'ordine delle cose rendesse impcssibile applicarla, era lecito adattarsi, in vista del meglio, all'ordine delle cose. E cosi la storia, quella reale, prendeva la sostanza labile della pura ipotesi! Non che la chiesa cattolica, in questa sua altera intransigenza antimoderna, si trovasse isolata dalla societa real e. L' ordine borghese, nella sua struttura economica e nelle sue sovrastrutture politico-culturali, non era riuscito a integrare in se gli strati popolari, specie quelli rimasti estranei al mutamento tecnologico del lavoro produttivo. L'estraneita delle masse a] nuovo ordine servi alla chiesa come supporto aile sue nostalgic e come spazio pastorale adatto a compensarla del suo isolamento culturale. In tal modo la chiesa si venne a trovare, per usare illinguaggio di Gramsci, senza potere, ma non senza egemonia.
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Proprio su questa egemonia le classi borghesi posero gli occhi come su di una riserva di possibili garanzie, quando la classe operaia ando organizzandosi per sovvertire l'ordinamento capitalistico. Allora, anche la chiesa si decise a entrare nel conflitto, senza abbandonare la sua prospettiva di restaurazione dei cardini della cristianita, rna anche con una certa vitalita competitiva. Rientra in questo nuovo corso il programma culturale enunciato da Leone XIII con la sua enciclica Aeterni Patris (1879), che proponeva un ravvivamento del pensiero cattolico, additando, come modello a cui ispirarsi, la filosofia di Tommaso d'Aquino. Non si trattava, certo, come per lo piu si disse, di una imposizione d'autorita della 'filosofia cristiana', perche nel disegno dell'enciclica restava un margine di possibile pluralismo in campo filosofico. Si trattava, comunque, di una indicazione perentoria, di carattere normativo per tutti i credenti, della 'filosofia perenne' cosi come si era svolta a partire dall'insegnamento di Tommaso d'Aquino. La promulgazione dell'enciclica fu l'atto di nascita della 'neoscolastica', che ha avuto, specie in Francia e in Italia, una certa vivacita, e comunque ha avuto il merito di restituire alla coscienza moderna un'immagine del medioevo non devastata da pregiudizi illuministici. In questa quadro, quale poteva essere il ruolo della teologia cattolica? Nel suo statuto ecclesiale essa aveva il compito, puntualmente ribadito, di spiegare la rivelazione cristiana alla luce dell'insegnamento del magistero, sia di quello fissato nei dogmi definiti nel passato, sia di quello vivo, incarnato nell'autorita ecclesiastica. E' qui la seconda ragione dell'assenza di movimento storico all'interho della teologia cattolica. Essa si trovava esclusa sia da quanta l'esegesi scientifica della Scrittura andava conquistando, con ricchezza di risultati anche in rapporto alla comprensione del messaggio di salvezza, sia dai problemi posti dal pensiero contemporaneo, da cui essa avrebbe potuto attingere un nuovo linguaggio e una piu autentica comprensione delle attese dell'uomo contemporaneo, vera destinatario del messaggio biblico. Era inevitabile che, all'interno della cittadella teologica, nascessero tentativi di 1.!-na piu Iibera presa di contatto con quanto la scienza e la ragione avevano fatto maturare nella comune coscienza del tempo. Sono i tentativi che hanna preso il nome di modernismo. 17.9 La crisi modernista. ll termine modernismo comincio a circolare in Italia nel 1904 e fu consacrato da Pio X nel 1907, con la sua enciclica Pascendi, che designo e condanno con questa denominazione un insieme di orientamenti dottrinali e sociali il cui comun denominatore, sempre secondo la valutazione del pontefice, era il disegno di introduq-.e all'interno della chiesa gli eccessi della modernita. I protagonisti del fenomeno condannato non si riconobbero nell'immagine che l'enciclica ne aveva disegnato, rna non per questa riuscirono ad evitare le sanzioni che, in varia modo, dalla scomunica all'obbligo del silenzio, li emariginarono dal dialogo interno alla chiesa, che divenne, dopa la condanna, sempre pili circospetto e pit1 ossequioso. II campo di sperimentazione del dialogo tra fede cattolica e cultura moderna. negli ultimi decenni del secolo scorso e nei primi del nostro, fu !a Francia. Esso si venne svolgendo su due piani, distinti rna fittamente intrecciati: la riflessione filosofico-teologica sui rapporti tra fede cristiana e condizione umana, e la ricerca positiva sul dato rivelato (testi della Bibbia e dogmi della chiesa).
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L'impegno di recuperare il rapporto tra la rivelazione cristiana e l'uomo si scontrava con un'istanza fondamentale del pensiero moderno: il principia d'immanenza, secondo cui la verita non puo giungere all'uomo radicalmente dall' esterno, rna soltanto mediata dal suo spirito, da cio che in esso e e vive, e che della verita costituisce la matrice o almeno l'attesa, l'esigenza, il punto d'aggancio preliminare. Viceversa, nella tradizione teologica manualistica l'approccio dello spirito umano alla fede veniva ridotto aHa tentata dimostrazione della divinita del cristianesimo, di cui era perno l'ostensione del carattere naturalmente inspiegabile dei miracoli. In questo modo, la rivelazione cristiana si imponeva dall'esterno ('estrinsecismo') con la forza di una argomentazione storica e razionale, che pretendeva l'assenso dell'intelligenza senza far leva su alcun interesse esistenziale. A rendere sensibili i teologi a quest'ultima istanza e a offrire un saggio esemplare di risposta fu inizialmente un filosofo, Maurice Blonde} (9.3), che nella prima delle sue opere, L'Action (1893), propose un'analisi della vita umana che ne metteva in evidenza l'apertura, anzi l'appello all'irruzione del divino. La dialettica blondeliana dell'azione suscito in campo cattolico un dibattito acceso, che si protrasse per oltre venti anni. Fra i suoi critici ci fu chi accuso Blonde} di fideismo, perche il suo itinerario al soprannaturale faceva leva sugli elementi emotivi e volitivi dello spirito invece che sul rigore della razionalita, e chi, invece, denuncio nel metodo d'immanenza un sostanziale naturalismo, che riduceva il soprannaturale a momento interno del dinamismo intenzionale dell'uomo. Ampie furono, pero, anche le adesioni, e molteplici i tentativi di riprendere, in chiave piu propriamente teologica, il movimento di pensiero da Blonde} avviato. Fra di essi, particolare risonanza ebbe quello del padre oratoriano Lucien Laberthonniere ( 1860-1932), che diresse, fino alla sua condanna (1913), gli Annales de philosophie chretienne, divenuti praticamente l'organo del movimento. La sua polemica contro la metafisica greca e contro la sua riesumazione medioevale in nome del realismo cristiano trovo espressione in numerosi saggi, tra i quali particolarmente efficace Realismo cristiano e idealismo greco, del 1904, che due anni dopo fu colpito dalla censura romana. Condannato, nel 1913, al silenzio, Laberthonniere mantenne l'obbedienza fino alla morte. Il punto di piu sicura acquisizione dei fautori del metodo blondeliano fu la necessita di dilatare l'approccio dello spirito umano alla fede, cercando la sintesi - che era gia stata embrionalmente dei Padri della chiesa e dei grandi teologi medioevali - tra l'apologetica basata sui miracoli e l'apologetica dell'immanenza. Ma questa sihtesi, che in linea di principia si presentava suggestiva oltre che necessaria, era esposta a difficolta che provenivano da una sponda diversa da quella filosofica, rna non meno rappresentativa della cultura moderna: la ricerca storico-critica applicata ai testi sacri. Assunti in solido, come abbiamo visto, dal protestantesimo liberale, il principia e la pratica di tale ricerca entrano di prepotenza in campo cattolico con gli studi di Alfred Loisy (1857-1940) sul Nuovo Testamento. Nella sua opera piu nota, I! Vcmgelo e Ia chiesa, scritta nel 1902 in risposta all'Essenza del cristianesimo di Harnack (17.2), Loisy propone un'interpretazione escatologica dei vangeli: Gesu, convinto dell'imminenza della fine del mondo, non avrebbe fondato alcuna chiesa; questa si sarebbe formata in risposta a esigenze storico-
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sociali tanto impellenti quanto estranee all'originario annuncio evangelico. ll metodo che Loisy adotta, e che lo porta a· queste conclusioni, istituisce una radicale estraneita tra i fatti e il loro significato. La ricerca storico filologica · giunge ad appurare i primi, rna soltanto la fede puo interpretarli: quella fede che e imbastita di visione morale e di esperienza religiosa e ha, come tale, un carattere eminentemente soggettivo, non suscettibile di dimostrazione scientifica. Ora, quei ll)iracoli di Gesu - in primo luogo la resurrezione - su cui l'apologetica impostava la prova della sua divinita e della verita del cristianesimo, non possono essere annoverati tra i fatti storicamente accertabili; sono creazione della chiesa attraverso 1'opera di riflessione teologica e di redazione letteraria dei suoi primi scrittori. In questo modo, la sintesi tra momento oggettivo e componente soggettiva veniva irrimediabilmente compromessa; non piu, perc, a favore del primo, come avveniva nella teologia corrente, rna privilegiando la seconda. Alla fede cristiana non si accede attraverso lo studio scientifico delle fonti, rna, anzi, guardandosi dalle loro insidie; il credente ha una sua verita, estranea alla verita dei fatti. Questa dicotomia tra dato oggettivo e componente soggettiva si acuisce quando dall'iniziale applicazione all'itinerario verso la fede (apologetica) viene estesa all'interpretazione dei contenuti stessi della fede (dogma). Il passo viene compiuto in Francia da Eduard Le Roy (13.6) e in Inghilterra da George Tyrrell (1861r1909.). Co.mune ai due e la concezione della religione, e piu specificamente del cristianesimo, come processo dinamico di esperienza e di autorealizzazione (con accentuazioni etiche in Le Roy, mistiche in Tyrrell). Quest' esperienza, che ha come sua sorgente il mistero divino e come suo luogo lo spirito umano, non puo essere adeguatamente espressa in formule intellettuali quali sono i dogmi; la funzione di questi, mutevoli e fallibili in quanto enunciati umani, e di essere segni, sintomi della rivelazione (Tyrrell), o di servire da norme di comportamento per una condotta di vita conforme alla fede nel mistero (LeRoy), il quale resta, in ogni caso, inaccessibile al sapere concettuale. In tutti questi pensatori gioca un ruolo determinante la divisione kantiana (magari filtrata da filosofie piu recenti, come il bergsonismo) tra realta vera, noumenale, e mondo dei fenomeni e dei dati, cui corrisponde la divisione tra conoscenza spirituale (etica, religiosa, mistica) e sapere scientifico (sia fisico che storico ). 17.10 II rinnovamento nella Germania tra le due guerre. La repressione ecclesiastica seguita alia condanna del modernismo riusci a bloccare il rinnovamento degli studi bib1ici e teologici in quei paesi dove piu potente e audace era stato il suo avvio (Francia e Inghilterra) o dove piu intensa ne era arrivata l'eco. In maniera piu cauta e disincantata aveva reagito la teologia tedesca, convinta che la nuova 'apologetica francese' non fosse che una versione un po ingenua delliberalismo protestante. Ma la situazione muto, in Germania, nel primo dopoguerra, sia sul piano specifico della riflessione teologica che sul fronte piu generale del rinnovamento ecclesiale. Sul primo, determinante fu l'influsso esercitato dalla fenomenologia religiosa di Max Scheler e di Rudolf Otto. Cresciuto alla scuola di Husserl ( 10.7), Max Scheler (1874-1938) ne aveva applicato il metodo fenomenologico
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all'ambito dei valori, giungendo ad individuare nel sacra il valore supremo. E come ogni valore e oggetto di una specifica intuizione, cosi il sacra e il polo oggettivo dell'atto religioso, che lo attinge come Essere personale, Spirito infinito e fecondo, con cui la persona umana puo entrare in rapporto. C'e, dunque, divaricazione tra la filosofia d'impianto metafisico, che si riferisce a Dio come Ens a se, principia prima dell'universo, e l'esperienza religiosa, che accede al Dio vivente, e l'impossibilita di passare dall'una all'altra rende sterili i tentativi della Scolastica di fondare la religione e la rivelazione sulla metafisica. Da parte sua, Rudolf Otto (1867-1937), nella sua famosa opera II Sacro (1917), ribadisce il carattere irrazionale (nel sensa di extra-razionale) della religione: suo oggetto e il Numinoso che, apparendo con il duplice volta di mysterium tremendum e mysterium fascinans, e accessibile soltanto all'esperienza mistica. Ampio fu, negli anni '20 e '30, l'influsso esercitato dalla fenomenologia religiosa sulla teologia cattolica tedesca, presso tutti colora che avvertivano l'inadeguatezza delle categorie del tomismo aristotelico a ripensare la fede nel crogiolo delle nuove problematiche. Accanto al recupero delle dimensioni extrarazionali della religione e · del suo carattere personalistico, un altro elemento segno in profondita - e ben oltre l'ambito dei teologi di professione - il cattolicesimo tedesco: l'aspetto comunitario della fede. Aspetto che, se reagiva contra l'individualismo religioso dei decenni precedenti, si armonizzava invece con il personalismo di Scheler, per il quale ogni individuo umano e integrato come membra in quella personalita collettiva che e Ia societa, e l'esperienza di Dio hail suo luogo privilegiato nella comunita religiosa. Coinvolgimento esperienziale, carattere personalistico, dimensione sociale: questi tre fattori imprimono un nuovo dinamismo al pensiero cattolico tedesco tra le due guerre, portando sia a una concezione della chiesa come societa dei credenti, 'corpo di Cristo', cioe continuazione della sua incarnazione, piu che come successione gerarchica degli apostoli (Karl Adam, 1876-1966), e a un diverso modo di viverla (inovimento liturgic a), sia a un complessivo atteggiamento di dialogo in piu direzioni, tra fede cristiana e umanesimo (Romano Guardini, 1885-1968). Sempre nell'area di lingua tedesca si profila, negli stessi anni, il progetto di una 'teologia kerigmatica' (J.A. Jungmann, Hugo Rahner e altri), che da una parte teorizza la divaricazione tra teologia accademica e vita cristiana, dall'altra intende elaborare una teologia al servizio della predicazione, che recuperi i contenuti storici e salvifici della rivelazione cristiana e insieme presti attenzione agli apporti delle scienze umane per una sua piu adeguata comunicazione. 17.11 Il rinnovamento in Francia. Le teologie della realta terrena. Nel frattempo, anche in Francia si verifica un nuovo risveglio teologico, legato soprattutto alle scuole di teologia dei due principali ordini religiosi: domenicani prima, gesuiti poi. Nelia seconda meta degli anni '30, la facolta domenicana di Le Saulchoir. sotto la guida di Marie Dominique Chenu (n. 1895), intraprende !'opera di rinnovamento della teologia scolastica, facendo sue, tra l'altro, le istanze che avevano portato, alcuni decenni prima, al sorgere del modernismo: preminente su
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tutte, la necessita di distinguere tra la realta rivelata, che e la presenza stessa di Dio nella vita dell'uomo, e le formule con cui esprimerla, legate aile contin- genze culturali e dunque esse .stesse mutevoli. Una decina d'anni dopo, questa esigenza viene ripresa dalla facolta dei gesuiti di Lyon, soprattutto ad opera di Henri de Lubac (n. 1896) e Jean Dantelou (1905-1974), rna con finalita diversa: pili che il rinnovamento intemo alla teologia scolasfica, sta loro a cuore Ia presenza della teologia alla cultura contemporanea, l'urgenza di colmare il distacco che essa ha accumulato e I:insignificanza culturale cui si e condannata. La strada maestra per realizzare questa compito e il ritorno, aldila della scolastica medioevale, alla teologia dei Padri della chiesa: ritomo motivato, ovviamente, non da una nostalgia restauratrice, rna dalla convinzione che il linguaggio simbolico con cui i Padri esprimono il mistero rivelato e, non solo pili ricco, rna pili attuale delle secche concettualizzazioni scolastiche. E' dunque per inventare il presente che questa teologia si rifa al passato: di qui il nome di thelogie nouvelle con cui viene abitualmente designata. Benche colpita da condanna, nel 1950, da un d_ocumento pontificio (l'enciclica Humani generis di Pio XII), la theologie nouvelle ha contribuito, insieme con gli altri tentativi passati in rassegna, a determinare quel grande mutamento del clima culturale ecclesiale che e stato chiamato 'ritomo alle fonti': la ripresa degli studi biblici, !'interesse per la patristica, il rinnovamento liturgico, iniziative, queste, favorite e come consacrate da altre encicliche di Pio XII, segnate stavolta da apertura intellettuale e pastorale. Ma non sono solo questi i fermenti che attraversano l'intelligenza cattolica nell'immediato dopoguerra. Nel fervore della ricostruzione, che e insieme economica e culturale, istituzionale ed etica, appare ormai indifferibile pensare e valutare, alla luce della rivelazione cristiana, le dimensioni dell'impegno storico per costruire la citta dell'uomo. Ed ecco nascere una serie di tentativi teologici, ora geneticamente collegati, ora indipendenti, comunque vicini per comunanza di intenti e affinita di temi. Anzitutto, una 'teologia della realta terrena' (di particolare risonanza il saggio di Chenu Per una teologia del lavoro, del 1955), che riprende la voionta di presenza della teologia al mondo, gia diversamente manifestatasi, rna secondo una modalita inedita: se finora l'incontro era stato cercato liberando Ia teoiogia dai suoi intoppi intemi, ora viene promosso assumendo all'intemo della teologia queUe realta dell'esperienza umana che nel mondo modemo hanna maggior peso e significato: il lavoro, la scienza, la tecnica, Ia politica. AI centro di questa teologia sta h;- convinzione che Ia redenzione cristiana non si rivolge soltanto agli individui come tali, rna abbraccia anche la dimensione sociale e cosmica, non tocca soltanto l'interiorita dell'uomo, ne investe tutto il campo d'azione. Ma l'attenzione aile 'realia terrene' non puo non allargarsi a una considerazione sui quadro spazio-temporale entro il quale tutte si svolgono: la storia. Sempre nell'area francese, nella seconda meta degli anni '40, sorse un dibattito sui rapporto tra salvezza e storia. Se la salvezza e ultraterrena, e dunque non appartiene alia storia, che valore hanno le realizzazioni storiche dell'uomo? Esse sono irrilevanti in ordine alia salvezza, rispondono gli uni (detti perch) 'escatologisti'), perche tra storia e Regno di Dio c'e soluzione radicale di conti-
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nuita. Per gli altri (detti 'incarnazionisti'), l'impegno dell'uomo nella storia e invece approssimazione al Regno, preparazione alla sua venuta. A ispirare quest'ultima posizione sono soprattutto le opere (che solo negli anni '60 arriveranno al grande pubblico) di Teilhard de Chardin (9.14), nella cui visione di scienziato il mondo appare come una realta in evoluzione, protesa a un punto finale, che, nella sua prospettiva di teologo, e Cristo. Essere cristiani non significa dunque astenersi asceticamente dal mondo, rna immettersi nel movimento ascendente della sua evoluzione, operarvi con quell'impegno di santificazione della materia che e, insieme, fedelta a Dio e alla terra. Soggetto di quest'impegno e ogni Cristiano; soprattutto quella parte del popolo cristiano - i laici - che una lunga tradizione teorica e pratica aveva ridotto alla subalternita quasi totale al ceto sacerdotale, unico responsabile dell'amministrazione dei beni spirituali. La scoperta del valore cristiano della storia, e delle realta terrene che la abitano, e anche scoperta della dignita e dei compiti dei laici cristiani che di esse vivono: di qui l'avvio di una 'teologia del laicato', il cui autore pili noto e Yves Congar (n. 1904). E non e certamente un caso che queste innovazioni teologiche, elaborate da religiosi o da sacerdoti, siano accompagnate, e spesso sollecitate, dallavoro intellettuale di grandi personalita cristiane laiche, come Jacques Maritain (9.11) ed Emmanuel Mounier (9.12).
17.12 Rahner: Ia svolta antropologica. Manca ai tentativi di rinnovamento appena ricordati un impianto teoretico rigoroso, e nei rari casi in cui e presente ed operante, esso ricalca le grandi linee della filosofia cristiana tradizionale, in particolare del tomismo. Male divaricazioni tra pensiero moderno e teologia cattolica non possono essere colmate che attraverso una revisione fondamentale delle categorie filosofiche di cui essa fa uso. Aver affrontato questo compito e il merito di Karl Rahner ( 1904-1984), il cui programma si riassume nella 'svolta antropologica' della teologia. Questa svolta consiste nel fare dell'uomo non pili uno dei temi della riflessione teologica, accanto a Dio, al mondo, agli angeli, ecc., rna la prospettiva unificante entro cui ricondurre ogni argomento teologico. La svolta antropologica rappresenta un'esigenza della teologia: infatti, motivo e oggetto centrale della rivelazione e la salvezza dell'uomo; ogni verita teologica e tale perche e in relazione con questa salvezza. Mala svolta rappresenta anche un'esigenza filosofica, perche la prospettiva antropologica costituisce il filo d'oro che unifica tutta la filosofia moderna e contemporanea, da Cartesio, attraverso Kant e l'idealismo tedesco, fino all' esistenzialismo. Ma, a differenza di quella linea antropologica che, da Feuerbach a Sartre, mette in alternativa uomo e Dio, postulando la negazione di Dio come condizione dell'affermazione dell'uomo, Rahner ravvisa proprio nella prospettiva antropologica il presupposto ideale per riaffermare la centralita di Dio. L'uomo, infatti, in quanto essere spirituale, e apertura all'Assoluto; anche le conoscenze e le azioni pili banali della vita quotidiana testimoniano implicitamente la presenza dell'Assoluto come condizione di possibilita delloro sorgere e del loro svolgersi. In tutto quanta pensa e dice e fa, l'uomo e di fronte a Dio suo
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creatore; anz1, e m attesa di una rivelazione di Dio nella storia, in ascolto di quella parola di Dio che, venendo, gli disvela e gli offre la piena realizzazione ili~~gQ
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Alia luce di questa visione dell'uomo, Rahner ripensa i misteri fondamentali del cristianesimo, soprattutto la grazia, l'Incarnazione, la Trinita. Ma insieme ripensa i problemi spirituali dell'uomo contemporaneo, in particolare l'ateismo diffuso, che sembra smentire la concordanza, fondamentale nel pensiero di . Rahner, tra antropologia e teocentrismo. Nell'ateismo contemporaneo Rahner individua, pili che un'assenza di Dio, la difficolta dell'uomo moderno di riconoscersi nelle formulazioni del cristianesimo tradizionale. Dio e presente, anche quando non esplicitamente riconosciuto, negli ideali di giustizia e liberazione che appassionano l'uomo odierno, e presente nell'istanza di trascendenza rappresentata da questi ideali e che, abitando nell'intimo dell'uomo, ne faun 'cristiano anomino'. 17.13 II Concilio Vaticano II: un nuovo inizio. Solo tenendo conto dei processi di rinnovamento - a partire da quelli classificati, nella condanna ecclesiastica del 1907, come 'modernismo' - che hanna operata in profondita nella chiesa cattolica di questa secolo, e possibile comprendere la 'necessita ·storica' del Concilio Vaticano II ( 1962-1965). Negli intenti di chi lo aveva preparato (rna non di chi lo aveva indetto, il papa Giovanni XXIII), la grande assise cattolica avrebbe dovuto esprimere il tradizionale sigillo degli anatemi sugli 'smarrimenti' del mondo moderno e ricostruire le mura della cristianita in pili parte messe in breccia. E invece essa fu, se vista nella slancio che ne governo lo svolgimento e ne ispiro i documenti principali, la formale dichiarazione della fine della cristianita e dell'inizio di un nuovo corso della chiesa cattolica, in particolare della sua teologia. E questa per due ragioni fondamentali. In prima luogo, perche il concilio ha segnato la riconciliazione della chiesa col mondo contemporaneo, e cioe proprio con quel mondo che si e costruito, a partire dalla rivoluzione scientifica galileiana, con una serie di atti d'emancipazione dalla tutela ecclesiastica. Questa passaggio dall'antagonismo al dialogo e stato cosi brusco, da ingenerare lo sconcerto perfino in alcuni suoi pionieri, come Jacques Maritain o Henri de Lubac. II mondo del futuro prefigurato dal concilio non e pili un mondo soggetto alia guida della chiesa; esso e dotato di progetti autonomi di crescita, nei confronti dei quali la chiesa si pone in atteggiamento di servizio, nella convinzione che la storia e gravida per suo canto di indicazioni non estranee al disegno di salvezza, che tocca a lei decifrare per trarrie, con umilta, il suo ordine del giorno. Gli eventi storici, infatti, sono gia essi stessi, in qualche modo, parola di Dio, affidata alla lettura della comunita di fede, riconosciuta, a sua volta, come soggetto unitario che non puo essere espropriato, come e avvenuto nella lunga stagione clericale, della sua competenza profetica. La seconda ragione della rilevanza teologica del concilio e che esso ha esibito e legittimato l'immagine di una chiesa in situazione di dibattito, aperta, pertino nella sua istanza gerarchica, al dubbio, all'interrogazione e alia problematica. Nella costituzione Dei Verbum, la chiesa prende le distanze non solo nei confronti della tradizione metafisica, che era stata lo strumento
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normativo di mediazione teologica, rna anche nei confronti della Rivelazione, intesa com~ corpo di verita dottrinali contenute nella Scrittura e insegnate dal magistero. Il rapporto tra la ricerca teologica e la rivelazione non e piu visto come un servizio strumentale reso al magistero (un servizio che sembrava riducesse la teologia cattolica a sovrastruttura ideologica di legittimazione del sistema ecclesiastico e della sua prassi), rna, in conformita alle leggi della ricerca scientifica e all'attualizzazione del messaggio rivelato, come un rapporto libero e vitale tra intelligenza e parola di Dio, aperto alle esigenze della ricerca e della critica. Come si e detto sopra, in certa misura - e cioe nei limiti che la tradizione cattoliea porta con se, ad esempio quello del ministero teologico come carisma da vivere nella e per la comunita ecclesiale - il 'principia protestante' della sola fede nella parola di Dio come suprema istanza critica, ha fatto ingresso, con il concilio, anche all'interno della chiesa cattolica, che e giunta perfino a riconoscere il valore profetico della testimonianza di Lutero. E' avvenuto cosi che, dagli anni '60 in poi, le linee divisorie in campo teologico non corrono piu tra !'una e l'altra chiesa, tra !'una e l'altra confessione religiosa, rna in mezzo ad ognuna di esse. Percio, anche la nostra esposizione procedera unificando, ormai, i percorsi della teologia cattolica e di queila protestante; a suggerirne e guidarne il disegno sara l'attenzione aile problematiche comuni, molto piu che l'individuazione delle differenze.
Le teologie ermeneutiche 17.14 II ritorno aile fonti. La teologia che aveva preparato il concilio era stata caratterizzata, come abbiamo visto, dalla volonta di 'tornare aile fonti': contro I'eccessiva sistematizzazione dottrinale era necessaria riprendere il contatto diretto con la Bibbia, con i Padri della chiesa, con la liturgia, e cioe con i luoghi piu originari della rivelazione di Dio e dell'esperienza di fede. Ma queste fonti sono anch'esse documenti culturali, segnati da quella determinatezza storica che caratterizza ogni prodotto dell'uomo: sono portatrici di un significato, che, sebbene vada oltre il loro tempo, e espresso nei modi e nei limiti di quel tempo. Questo entusiasmo un po' ingenuo del primo ritorno aile fonti era destinato a lasciare il posto a un atteggiamento piu critico, a una certa presa di distanza, da intendere non come rifiuto o sospetto, rna come messa in prospettiva dei testi; una prospettiva che per'mette di distinguere ·in essi cio che e caduco, legato allo specifico del tempo in cui sono stati prodotti, e cio che e ancora e sempre valido, portatore di una verita che si mantiene e si dona attraverso i tempi. Si puo dire, in una parola, che, dopo il concilio, irrompe anche nella teologia cattolica il problema ermeneutico. L'ermeneutica come scienza dell'interpretazione comporta due momenti: l"esegesi', e cioe l'analisi che, usando del metoda scientifico, cerca di ricostruire il testo nel suo carattere originario per cogliere il significato che esso contiene, e l"interpretazione' vera e propria, che mette in causa l'interprete stesso, la comprensione che egli ha di se e gli interessi espliciti o latenti da cui e mosso.
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Applicata alla Sacra Scrittura, 1'ermeneutica porta con se la fine della teologia com_e scienza delle verita eterne, proprio perche essa implica il riconoscimento della storicita dell'uomo, anche del teologo, e piu ancora implica il riconoscimento della storicita della ragione anche quando attende al lavoro teologico, il cui compito, di conseguenza non sara piu quello di illustrare l'intelligibilita di una proposizione dottrinale immutabile, sara di decifrare il significato attuale di una pagina antica. Diventa legittima, pertanto, anche in seno alla teologia cattolica, l'istanza critica della ricerca storica, gia operante nella teologia protestante liberale e, in campo cattolico, nel modernismo. Ma l'intendimento, ora, e diverso. Allora, il metoda storico-critico serviva a vagliare, neUe fonti, cio che e attendibile e cio che non lo e, per rendere credibile il cristianesimo di fronte alla ragione: il suo scopo era dunque, in ultima istanza, apologetico. Ora, invece, l'uso della critica serve a discernere neUe fonti cio che e parola di Dio da cio che e condizionamento culturale, in modo da ottenere una comprensione autentica della fede. Allora, si voleva difendere il cristianesimo agli occhi di chi sta fuori; ora, si vuole capirlo dal di dentro, ed esprimerlo, a parole e con i fatti, nella verita e potenza del suo messaggio. A inceppare questa comprensione, soprattutto in campo cattolico, era stata l'assolutizzazione del tenore letterale della Bibbia e delle dichiarazioni dogmatiche: ogni parola di questi testi doveva essere presa alla lettera, ogni loro frase conteneva una verita indiscutibile, sottratta al giudizio umano. Giocava, in questa convinzione, sia la concezione filosofica della parola come realta astorica (nelle parole si esprimono le essenze eterne immutabili), sia Ia concezione teologica dell'ispirazione letterale della Bibbia (Dio l'ha dettata, frase per frase, agli autori umani). La coscienza ermeneutica recupera, insieme, la storicita delle parole bibliche e dogmatiche e il loro valore di perenne attualita: la storicita, perche le ricolloca nel lora ambiente di origine, nel vivo delle situazioni (esistenziali e culturali, nonche economiche e politiche) dentro le quali esse erano nate; il valore perenne, perche le 'rilegge' dentro la situazione del presente, le 'traduce' in modo "da renderle intelligibili e ricche di significato per l'uomo d'oggi. Ma anche la teologia protestante, che pure aveva conosciuto il problema ermeneutico fino dagli anni '20, lo affronta, ora, con maggiore determinazione, portandovi, a partire da Bultmann ( 17 .5), una piu chiara consapevolezza filosofica. In fondo, entrando in teologia, il problema ermeneutico tornava a casa sua: il prima teorico dell'ermeneutica come dottrina era stato proprio un teologo che abbiamo incontrato agli inizi dell'800, Schleiermacher (1.3). Ora, arricchita da una elaborazione piu che centenaria (basti· ricordare, ancora una volta, Dilthey e Heidegger), I'ermeneutica invade il dibattito teologico e ne muove tutte le acque, al punta da rendere ormai, se non inesistenti, secondarie le divergenze tra teologia cattolica e teologia protestante. In generale, si puo dire che in campo protestante e piu viva l'attenzione anche ai risvolti teorici del problema ermeneutico, mentre ugualmente intensa, sui due fronti, e la sua applicazione all' effettivo esercizio di lettura e comprensione dei testi. Ora, i testi biblici, in quanto testi, appartengono al mondo del linguaggio, e dunque implicano problemi di ordine conoscitivo; in quanta biblici, sono destinati a promuovere, oltre che una nuova conoscenza della realta. un nuovo
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modo di accostarla e gestirla, cioe una nuova prassi. La sensibilita ermeneutica si e andata svolgendo, a partire dagli anni '60, secondo !ln duplice orientamento: il primo, attento soprattutto ai risvolti conoscitivi dell'interpretazione biblica, l'altro, piu decisamente orientato aHa sua attualizzazione pratica.
17.15 Ermeneutica e storia. A partire dagli anni '50, dal cerchio dei discepoli di Bultmann prende origine un approfondimento della tematica ermeneutica che si avvale anche dell'insegnamento del 'secondo' Heidegger (10.13), che aveva elaborato la tesi del linguaggio come 'casa dell'Essere'. Nel rapporto ermeneutico fra il testo sacro e l'interprete, Bultmann poneva l'accento sull'interprete, fino a dissolvere l'oggettivita del testo: la verita della Parola e nella luce che si accende dentro l'orizzonte esistenziale di chi l'ascolta o la legge. E questo perche, nella prospettiva bultmaniana, il testo, nella sua combinazione di kerigma e di mito, restava, dinanzi all'interprete, come qualcosa di inerte e di passivo e riusciva a parlare solo perche l'interprete gli clava, per cosi dire, la parola, la sua parola. I fautori della nuova ermeneutica, Ernst Fuchs (n. 1903) e Gerhard Ebeling (n. 1912), direttori di due istituti di ermeneutica, rispettivamente a Marburgo e a Zurigo, capovolgono il rapporto: il testo non viene interpretato, rna interpreta se stesso, anzi interpreta lo stesso interprete che, al suo contatto, acquista una nuova coscienza di se. Come, secondo Heidegger, il linguaggio, se liberiamo la grammatica dalla logica, disvela l'Essere, cosi la Parola di Dio contenuta nel testo investe con Ia sua luce chi le si accosta docilmente e lo Iibera dalle parole inautentiche, decadute, menzognere. La Parola di Dio e entrata definitivamente nella storia in Gesu di Nazareth: in lui essa si e fatta parola umana viva, e poi, nella testimonianza della comunita cresciuta attorno a lui, si e sedimentata in documento: il Nuovo Testamento. E' qui che nasce il problema ermeneutico: dalla necessita di dare vita e attualita alla Parola di Dio fissata nel documento, di restituirle la sua funzione di svelamento della realta; funzione disturbata - in questo caso - non dalla· inautenticita della parola in questione, rna dalla sua distanza culturale rispetto a noi. La Parola di Dio interpretata torna a sprigionare quella forza di autenticazione e di liberazione che aveva sulle labbra di Gesu; diventa, a sua volta, interpretazione dell'esistenza dell'uomo, rivelandone la situazione di fallimento e il bisogno di salvezza, e illuminandone la possibilita e le decisioni in cui la salvezza e chiamata a prendere figura. La pretesa della nuova ermeneutica e che la conoscenza di fede sia il 'luogo ontologico' per ecce1lenza. tnfatti, se, come afferma Heidegger, l'Essere si manifesta nel linguaggio, e se il linguaggio ritrova Ia sua verita soltanto nella Parola di Dio e nella fede che l'accoglie, ontologia e fede si commisurano l'una sull'altra. · Ma in questa assolutizzazione del linguaggio, nella pretesa che esso dischiuda i1 suo senso solamente nella fede, non c'e un ambizioso fideismo? E' questo il rilievo che fa alla nuova ermeneutica il teologo Wolfhart Pannenberg (n. 1928), il maggiore esponente del gruppo di giovani teologi laureatisi a Heidelberg, che nel 1961 pubblicarono il loro manifesto collettivo dal titolo Rivelazione come swria. Pannenberg, che attualmente insegna a Monaco, dove di-
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rige l'istituto ecumenico, ha sviluppato ampiamente e in modo autonomo le tesi del gruppo. La pretesa totalizzante della 'nuova ermeneutica', secondo lui, si basa sulla· riduzione del linguaggio alla sua dimensione 'espressiva', dimenticandone la dimensione 'assertoria'. Ma quando parlo non devo soltanto esprimere il senso delle cose; devo, prima ancora, dire come stanno le cose, devo confrontarmi con i fatti. La nuova ermeneutica, anzi un po tutta la teologia centrata sulla Parola di Dio, tende a cancellare i fatti, cioe l'insieme delle gesta stQriche in cui Dio si e rivelata: dalla liberazione di Israele fino alla morte e resurrezione di Cristo. La Bibbia, invece, comincia col raccontare proprio questi fatti storici; cosi che il compito principale dell'interprete, prima di cercarne il messaggio, e quello di ricostruire la linea degli avvenimenti, perche essi stessi parlino e dicano il loro messaggio: rivolto, allora, a ogni intelligenza aperta, e non limitato alla conoscenza di fede. Ma la verita degli avvenimenti e il loro significato possono essere colti soltanto dentro il contesto storico cui appartengono, il quale, a sua volta, ha bisogno di un contesto pili ampio, e cosi via, fino ad abbracciare la storia universale. La verita di un evento, e delle parole che lo testimoniano, non puo dunque essere valutata se non nel quadro dell'intero processo storico. Il che non comporta affatto che noi dobbiamo aspettare, come voleva Dilthey, la fine della storia, o che, come insegnava Hegel, dobbiamo anticiparne lo svolgimento nella articolazione logica del sistema filosofico. Uno storico puo costruire modelli interpretativi che, da una parte, lo aiutano a capire i fatti, dall'altra, possono essere corretti e modificati a confronto· con i fatti stessi. Ora, il cristiano ha nella resurrezione di Gesu il modello per eccellenza per interpretare la storia: la resurrezione di Gesu e infatti l'espressione della vita perfetta cui Dio vuol condurre la storia. Essa e, dunque, la chiave ermeneutica della realta universale, rna a sua volta spetta alla realta confermare la verita. Quella che, per il credente, e gia una certezza, per l'intelligenza che s'interroga e una 'ipotesi': qui e il suo carattere di scientificita, secondo il criteria popperiano ( 13.19), che identifica scientificita e falsificabilita.
17.16 Teologia e analisi del linguaggio. Nell' area di lingua inglese, I' ermeneutica teologica si intreccia con l'analisi del linguaggio. Intreccio strano, a prima vista, se si tiene conto che i due ambiti rappresentano due concezioni del linguaggio agli antipodi: rivelazione dell' essere e valenza religiosa, da una parte, e positivismo linguistico e ateismo semantico (parole come 'Dio', 'anima' e 'creazione' non hanno senso) dall'altra. Ma il positivismo logico non e solo quello del circolo di Vienna o di Bertrand Russell, e anche quello di Wittgenstein, sia della prima che della seconda fase (13.17 -18). Il linguaggio ha un senso, il mondo ha un senso, aveva affermato Wittgenstein, e tuttavia questa senso e fuori del mondo. Le proposizioni sono vere quando rispecchiano regolarmente cio che e rappresentabile, rna questa principia non nega che si dia una realta al di fuori del rappresentabile. Nella sua seconda fase, Wittgenstein ruppe le rigide regale dell'assolutezza del linguaggio positivo, affermando la possibilita di molti linguaggi, validi ciascuno nel mondo vitale da cui e sorto. E'
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la sua teoria dei 'giochi linguistici'. Ed e qui che l'analisi del linguaggio si incontra con I'ermeneutica. Discepolo di Russell e di Wittgenstein a Cambridge, il teologo inglese Jan T. Ramsey (n. 1915) descrive come contesto proprio del linguaggio religioso un'apertura cosmica, cioe un'intuizione che svela il fonda della realta (momenta cognitivo) e sollecita una dedizione radicale (momento etico). Dentro tale situazione, per esprimerla,, e in ordine ad essa, per rinnovarla, si disegna il linguaggio religioso, il quale si serve delle parole ordinarie rna in modo volutamente distorto, cosi da alludere a una realta che le parole non possono propriamente esprimere. Per esempio, dicendo che Dio e 'causa prima', l'aggettivo (prima) altera il sostantivo (causa) portandolo a una significazione logicamente insostenibile, rna evocatrice dell'esperienza religiosa. Lo stesso vale per il linguaggio biblico e dogmatico: interpretato sulla linea dell' oggettivita scientifica, esso e pieno di incongruenze e di contraddizioni; rna la sua funzione e di testimoniare l'unicita della rivelazione cristiana e dell'esperienza da essa suscitata. Su di una linea analoga si muove il teologo statunitense Paul van Buren (n. 1924), discepolo di Barth a ~asilea rna poi allontanatosi da lui per reinterpretare i contenuti della fede con i metodi della filosofia analitica. Nella sua opera principale, Il significato secolare dell'Evangelo (1963), che sta alle origini della cosiddetta 'teologia della morte di Dio' ( 17 .18), egli applica ai temi della teologia la distinzione tra proposizioni verificabili, che hanna un senso, e queUe non verificabili, che appunto per questo non hanno sensa, e tuttavia possono esprimere emozioni. La fede cristiana non fa affermazioni sulla natura delle cose, rna apre una prospettiva all'uomo, in base alia esemplarita dell'uomo Gesu. Ad esempio, quando diciamo che Dio creo il mondo, pronunciamo una proposizione che non ha senso sui piano cognitivo, rna ne ha uno sui piano etico: essa vuol dire che il mondo e accettabile. E cosi, affermare che Dio si e rivelato in Gesu significa dichiarare che Gesu, con la sua condotta libera da paure e da egoismi, ha svelato all'uomo che la profondita dell'esistenza e liberta per l'amore. Con Van Buren, la teologia diviene 'atea' nel sens9 elimologico del termine, cioe 'senza Dio', ed ha il suo vero luogo non nella chiesa, rna nella cultura propria di un mondo ormai secolarizzato.
17.17 Ricoeur: ermeneutica e simbolo. Il contributo piu significativo a un' ermeneutica teologicamente aperta e venuto da Paul Ricoeur (n. 1913), un protestante francese che, pur non essendo teologo di professione (ha insegnato storia della filosofia alla Sorbona), ha elaborato una interpretazione religiosa dell' esistenza umana in un quadro antropologico che utilizza gli apporti della fenomenologia, dell' esistenzialismo e della psicoanalisi. Studioso di Husserl, ne ha tradotto in francese le Idee per una fenomenologia e ne ha dato una approfondita interpretazione nel saggio Storia e verita ( 1955). Ricoeur si propone di superare il cogito di Husserl mediante la riduzione eidetica del 'volontario', che ha le sue motivazioni nell'ambito della coscienza, e dell"involontario', che implica «l'io desidero, l'io posso, l'io vedo e, in sen so generale, I' esistenza del corpo», dal quale l'involontario trae il suo primo nutrimento. Prima di essere pen-
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siero e volonta razionali, l'uomo e corporalita vissuta, luogo di desideri e di progetti, ~i passioni e di sogni. Questo mondo prerazionale non e muto, rna possiede un suo linguaggio, dove si esprime e si oggettiva: e il linguaggio dei simboli, dei miti, della poesia. Pensare l'uomo e interpretare queste espressioni, e comprendere la ricchezza di senso in esse depositata. Ma Ricoeur non puo ignorare che i simboli, soprattutto etici e religiosi, vengono sottoposti dalle 'filosofie del sospetto' (Marx, Freud, Nietzsche) a un'interpretazione che, invece di cogliere in essi Ia pienezza di senso dell'uomo, vi ravvisa il mascheramento della sua condizione e si esercita percio come demistificazione invece che come ermeneutica positiva. Ricoeur studia (in Della interpretazione, saggio su Freud del 1965) in particolare la critica di Freud al simbolo, quella critica che vede in esso (e dunque in tutte le grandi espressioni culturali: arte, morale, religione) la dissimulazione del narcisismo primario, del desiderio di tornare al seno materno. Ricoeur non nega che il simbolo abbia questa faccia regressiva, rivolta al passato, verso l"archeologia del soggetto', rna vi coglie anche Ia faccia progressiva, tesa alia 'teleologia' del soggetto, al suo avvenire carico di possibilita costruttive. Accanto all'interpretazione genetica (che, se esercitata da sola, e riduttiva), c'e dunque posto per un)nterpretazione prospettica, rivelatrice del sensa pieno, utopico, dell'esistenza dell'uomo. L'ermeneutica e l'articolazione delle due interpretazioni in funzione del significato definitivo della seconda. Cio che vale dellinguaggio simbolico in generale, e soprattutto del simbolo religioso, vale pure del linguaggio biblico. Anche la Parola di Dio va sottoposta a una interpretazione che ne sceveri Ia sostanza salvifica dall'enunciazione mitologica: in tal modo, Ricoeur fa sua l'esigenza di demitizzazione, formulata da Bultmann, come momenta distruttivo preliminare a quel compito positivo che e l'ermeneutica instauratrice: riconoscere Ia presenza e Ia potenza di quella Parola sovrana che si ann uncia alia vita dell'uomo per darle fondamento e sensa.
Le teologie della prassi 17.18 La teologia della secolarizzazione. L'illuminismo non aveva fatto della 'ragione' soltanto lo strumento privilegiato di conoscenza della realta, l'aveva anche innalzata a strumento dell'autocostruzione dell'uomo nel suo vivere individuale e sociale. Questa funzione attiva della ragione come capacita di intervento, di formazione e trasformazione storica e sociale, costituisce un fila rosso che attraversa (basta pensare al marxismo) tutto il pensiero degli ultimi due secoli. Anche Ia reinterpretazione del messaggio cristiano non poteva, dunque, limitarsi al rinnovamento sui piano dell'interesse conoscitivo, rna doveva assumere l'istanza attiva, portando l'ermeneutica a farsi principia di prassi dentro la citta dell'uomo. Abbiamo visto come nel Concilio Vaticano II l'apertura della chiesa al 'mondo' significasse accettazione della raggiunta maturita dell'uomo nel costruire la propria storia, sul piano sia individuale che collettivo, quella
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accettazione che anche nelle chiese pratestanti si era andata facendo piu puntuale con la riflessione sull'uomo secolarizzato. Ed e appunto la teologia della secolarizzazione a rappresentare la prima forma di ermeneutica cristiana della prassi; seguita dalla teologia politica e dal variegato movimento delle teologie della liberazione. L'eredita di Bonhoefer viene raccolta (e, forse, in parte forzata), negli anni '60, soprattutto da teologi dei paesi anglossassoni (in particolare dell'America del Nord), che ne sviluppano la lettura teologicamente positiva del pracesso sociale di secolarizzazione, la critica alla religione come concezione dualistica dell'uomo e del mondo, l'interpretazione non-religiosa del cristianesimo come principia di responsabilita storica. A interrogarsi in modo radicale sul significato del vangelo in una societa secolarizzata, era stato, come si e detto sopra (17.16), il teologo Paul Van Buren. Nella stesso anna in cui usci l'opera maggiore di Van Buren, nel 1963, il vescovo anglican a John A. T. Robinson (n. 1919) scosse 1' opinione pubblica internazionale con un saggio (Honest to God, tradotto in italiano col titolo Dio non e cosi) che sottoponeya a critica radicale il linguaggio religioso, ormai privo di sensa nella citta secolare. Nella stesso 1963, il teologo statunitense Harvey Cox (n. 1929) teneva lezioni su temi che due anni dopa verranno pubblicati a Londra col titolo La citta secolare. In quel giro di anni, si moltiplicano, aldila dell'Atlantico, i dibattiti e le pubblicazioni il cui sensa non e solo quello gia pronosticato da Bonhoefer, della traduzione delle verita cristiane in un linguaggio postreligioso. L'intenzionalita di fonda a cui questa labile fioritura obbedisce era stata enunciata da Van Buren, e potremmo definirla come una tardiva omologazione tra i principi della cultura illuministica e quelli della ricerca teologica. L'astrologia, aveva scritto Van Buren, e stata ridotta in astronomia, l'alchimia in chimica, l'arte finalizzata alia religione e stata ridotta all'arte fine a se stessa, le grandi visioni cosmologiche sono state ridotte a pure costruzioni umane: «Se la · teologia vuol essere presa sui serio, come una delle possibilita del pensiero contemporaneo, non potra sottrarsi a tale tendenza». II passo verso la 'teologia della morte di Dio' era breve, e lo faranno, proprio in quegli anni, teologi come William Hamilton (n. 1924) e Thomas Altizer (n. 1927), il prima tranquillamente integrato nella 'societa affluente' americana, il secondo, discepolo di Tillich, segnato dal sentimento della dehumanisation dell' era tecnologica e della tensione verso un futuro senza ness una garanzia e senza nessuna luce. Ma non e in questa deviazione radicaleggiante che va coho il sensa vera della teologia della secolarizzazione. A caratterizzarla, e l'istanza pratica: la presenza efficace del cristiano nel mondo secolarizzato. In un mondo in cui non solo la natura ha perso i suoi connotati magici, rna anche i valori sociali e le istituzioni politiche hanna rinunciato ad essere l'espressione di un ordine divino ed eterno, riconoscendo tutt'intera la lora condizione di realta prodotte dall'uomo, il cristiano puo dispiegare la propria creativita senza riserve: egli sa che Dio non e al di sopra di lui, come giudice, rna al suo fianco, come 'compagno di Strada'. II suo spazio di vita e la 'citta secolare', cioe la tecnopoli, luogo della rivoluzione industriale avanzata, delle comunicazioni di massa, della straordinaria mobilita sociale. In questa spazio egli puo vivere, come aveva scritto Bonhoefer, «senza Dio, davanti a Dio».
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La teologia della secolarizzazione e, in molte sue espressioni, l'assunzione ottimistica della societa industriale avanzata degli anni '60, con il rischio di diventare una legittimazione teologica dell'esistente; un'apologia del presente tecnologico e capitalista.
17.19 La teologia politlca. A differenza dei teologi della secolarizzazione, i teologi 'politici' partono da un presupposto critico nei confronti del presente, sensibili al discorso di filosofi marxisti come Ernst Bloch (8.14) e come i rappresentanti della scuola di Francoforte (15.1). Alia meta degli anni '60, il teologo protestante Jiirgen Moltmann (n. 1926) tenta con la sua opera principale, Teologia della speranza (1964), una reinterpretazione globale del messaggio biblico. Come Pannenberg, anch'egli reagisce contro la teologia della Parola nelle sue varianti, che vanno da Barth a Bultmann, accusandola di chiudere I' efficacia del messaggio biblico nello spazio angusto dell'esistenza individuale, e recuperando ad esso il suo spazio originale: la storia. La storia non e, per. Moltmann, il sistema causale chiuso dei positivisti, che sacrificano la liberta degl~ agenti all'esigenza di spiegare raziorialmente i fatti storici, il cui svolgimento e retto dalla necessita naturale, rna non e neppure la storicita disincarnata degli esistenzialisti e dei teologi della Parola che ad essi si rifanno e che, per salvaguardare la liberta dell'uomo e dell'azione di Dio, la staccano dall'humus naturale e dal contesto oggettivo. La storia e l'esistenza della realta - nel suo versante sia soggettivo che oggettivo, sia personale che istituzionale - in quanto non-ancora-compiuta, in cammino verso la propria identita ancora assente. La verita delle cose non e, come volevano i greci, adaequatio rei et intellectus, cioe la realta che eguaglia la propria idea, bensi inadaequatio rei et intellectus, cioe lo scarto tra la realta com'e di fatto e la realta come dovrebbe essere. Ma questo scarto puo essere colmato, la realta e destinata_ a raggiungere la propria pienezza nel futuro; c'e quindi, invece che l'adaequatio rei, un'adaequatio spei: ad eguagliare l'idea aile cose e la speranza del futuro verso cui esse sono incamminate. Fin qui Moltmann si ispira ampiamente alia filosofia della speranza di Bloch. Ma dove si fonda la speranza? Qui Moltmann si stacca dal maestro e risponde: sulla promessa di Dio, quale si esprime nella storia ebraico-cristiana e nei testi che la raccontano, Antico e Nuovo Testamento. Mentre, infatti, nelle religioni il termine chiave e 'epifania' (manifestazione), poiche la divinita vi si manifesta come ordine compiuto, come armonia della natura, nella Bibbia, Dio si rivela come parola di promessa, che dischiude un futuro ancora irrealizzato. Questo futuro, che inizialmente sembra riguardare soltanto Israele, raggiunge la sua misura integrale quando la promessa si dilata ad abbracciare tutti i popoli e si intensifica fino ad inglobare, sconfiggendola, la morte. La resurrezione di Gesu non e l'adempimento della promessa; se cosi fosse, il cristianesimo sarebbe il fine e la fine della storia, come pensavano alcune comunita cristiane, inebriate dalle esperienze carismatiche dello Spirito. No: la resurrezione di Gesu risorto e la conferma definitiva della promessa: predicare il Cristo risorto significa annunciare J'eschaton. i tempi ultimi, dove ogni cosa
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sara se stessa, senza limiti e per sempre, nella nuova creazione. Ma questo annuncio non puo limitarsi a tener viva l'attesa; ne tanto meno deve favorire una contemplazione gratificante della totalita storica: questo significherebbe far scadere la promessa a ideologia. Secondo l'insegnamento di Marx, la comprensione della realta si giustifica come presupposto per la sua trasformazione. Capire la promessa equivale a sposarne il dinamismo e ad assecondarlo con una prassi che muova il mondo in direzione del futuro promesso e sperato, implica cioe una prassi di emancipazione dalle forme di alienazione in cui l'uomo si trova di volta in volta irretito. La lettura della Bibbia diventa cosi, per necessita intrinseca, una ermeneutica politica, la cui funzione critica e, oggi, di denunciare il carattere conservatore sia della societa che della religione cristiana nel suo assetto consolidato da secoli, e la cui funzione positiva e di prospettare mezzi e metodi di liberazione come messa in opera della missione cristiana autentica. L:avvio della riflessione del teologo cattolico Johann Baptist Metz (n. 1928) avviene su una linea affine a quella della teologia della secolarizzazione: la svolta moderna dal mondo divinizzato al mondo 'ominizzato' non minaccia la fede cristiana, essendo nata proprio grazie all'apporto di alcune idee fondamentali del cristianesimo, come quella di creazione, di incarnazione, di liberta. E' dunque illegittima quella riduzione della fede al campo interiore e privato che la teologia ha sviluppato in seguito, reagendo alla separazione illuministica tra religione e societa. Ed e espressamente contro la 'privatizzazione' della fede e della predicazione cristiana - rappresentata, secondo Metz, da Bultmann in campo protestante e da Rahner (di cui e stato discepolo) in campo cattolico che egli formula l'istanza di una teologia politica, che valorizzi il carattere pubblico del messaggio cristiano, traducendolo in funzione del contesto sociale contemporaneo. Metz non ignora che la teologia, soprattutto cattolica, ha gia sviluppato in passato una concezione politica con la funzione di legittimare il connubio ·chiesa-Stato, che faceva del cristianesimo una religio civilis: proprio quel connubia che era stato oggetto. della critica illuministica. Ora, cio che contraddistingue la nuova teologia politica e l'assunzione e lo sviluppo della critica illuministica, rivolgendola contro ogni assetto, sia sociale che ecclesiastico, che tenda a presentarsi come soggetto storico assoluto: si tratti di istituzioni statuali o di movimenti rivoluzionari, di nazioni o di classi. Contro questi tentativi, il compito di una teologia politica e di far valere la 'riserva escatologica' del cristianesimo, doe la consapevolezza che nessuna figura del processo storico puo .• totalizzare il senso della storia, nessuna puo realizzare il regno di Dio. Nel determinare cosi la funzione della critica, Metz si isplra alla scuola di Francoforte, in particolare alla Dialettica negativa di Adorno ( 15.1 ). Ma l'escatologia biblica e cristiana non ha soltanto funzione critica e negativa; in positivo, essa disegna, in forma di 'promessa', quegli ideali - liberta, pace, giustizia, riconciliazione - che devono guidare ogni prassi sociale. In questo modo, pero, il cristianesimo sembra ridursi o a vuota utopia o a dottrina etico-politica e perdere ogni sua connotazione distintiva, se non addirittura appiattirsi su quel primato della prassi che nella societa contemporanea si esprime nel culto dell'efficacia e del successo. A questa obiezione Metz rispon-
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de introducendo il motivo della memoria: il cristianesimo e memoria passionis Jesu Christi. Questo riferimento, da una parte, lo riscatta dall'essere pura tensione verso il futuro, collegandolo con il suo passato fondatore; dall'altra, tiene viva la coscienza che la storia, se vuol essere davvero storia di emancipazione e di liberta, non pua fare spazio soltanto ai vincitori rna deve aprirsi ai vinti, agli ultimi; deve essere anche storia del patire umano, in un abbraccio di solidarieta che non escluda nessuno, essendo ogni uomo soggetto, al cospetto di Dio. E poiche lo sti·umento della memoria e il narrare, la teologia politica si profila come 'teologia narrativa', che fa rivivere il passato nella sua capacita di provocare effetti pratico-critici nel presente.
17.20 Le teologie della liberazione. Cia che differenzia le teologie della liberazione dalle espressioni di teologia politica appena presentate non e tanto il tema trattato, quanto la posizione di coloro che ne trattano. Di liberazione, abbiamo visto, parlano anche i teologi politici, rna ne parlano da una posizione di principia, a partire dalla Bibbia e dalle sue istanze generali; cia. che caratterizza le teologie della liberazione e, invece, che esse partono da situazioni determinate di oppressione e di menomazione umana, ·e che a formularle non sono i teologi da tavolino, sono proprio coloro che portano il peso di quelle situazioni e lottano per superarle. Due di queste teologie ci sembrano esemplari. Innanzi tutto, la teologia nera. «Dio e nero»: con questa espressione paradossale e provocatoria, alcuni teologi nordamericani appartenenti alia comunita nera, il piu noto dei quali e James Cone (n. 1938), militante del Black Power, hanno ribadito il principia della teologia della liberazione: Dio si identifica con gli oppressi, cosi che il punto di vista giusto per capirlo e parlare di lui e mettersi dalla loro parte. Contro le apparenze, un Dio 'al di sopra delle parti', ratificando con la sua neutralita la situazione esistente di oppressione e di emarginazione, sarebbe un Dio razzista. Per i bianchi, l'affermazione della nerezza di Dio e la traduzione concreta della sua alterita, della sua trascendenza; per i neri, l'annuncio della sua vicinanza. 11 principio ermeneutico della teologia nera e che Dio si rivela nell'integrazione tra Bibbia e prassi di liberazione: la schiavitu degli Ebrei in Egitto rivive nella schiavitu dei neri in un mondo dominato dai bianchi; e cosi pure l'intervento Iiberatore di Dio nell'Esodo si rinnova nel suo prendere le difese del popolo nero, nel suo identificarsi con esso. La nerezza di Dio assume, cosi, un valore ontologico: e simbolo di tutte le oppressioni e, insieme, ~ella predilezione di Dio per gli oppressi. Ma essa ha pure un valore storico: la comunita nera ha vissuto e custodito lo spirito evangelico con molto maggiore fedelta che non la chiesa bianca, come testimonia Ia sua storia a partire dalla deportazione negli Stati Uniti, e come documentano le sue espressioni, a cominciare dagli spirituals. II fine della teologia nera non e, pen), di instaurare un razzismo a rovescio, in chiave religiosa; e di portare, come afferma un documento ufficiale, «Una liberta autentica tanto al bianco che a! nero, di promuovere l'umanita dell'uomo aldila delle divisioni». Obiettivo, questa, che anche la teologia nera recentemente sviluppatasi in Sud Africa condivide e promuove.
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Dall'interno di un processo storico di liberazione emerge anche la teologia femminista. Di fronte al problema religioso, il femminismo ha reagito in tre modi. n pili radicale e quello che assume come postulato l'ateismo nella forma umanistica che gli hanno data Marx e Freud: se Dio c'e, l'uomo non e libero, con l'aggravante che un Dio-padre, quale e quello della tradizione occidentale, fonda o conferma la trascendenza annientatrice della liberta maschile su quella femminile. Contro l'immagine paterna di Dio si rivolge anche la seconda reazione femminista, sviluppatasi negli ultimi. due decenni nell' America del Nord. In polemica con l'ebraismo e il cristianesimo, religioni del Padre, questo movimento sostiene un ritorno alla religione della Dea Madre, legata al culto della terra e della natura, sviluppandola in direzione di una societa non violenta, antitetica alla societa maschile e patriarcale. Di teologia femminista in senso stretto si puo parlare soltanto a proposito della terza reazione, che si muove all'interno delle chiese cristiane per esercitarvi una funzione critica nei confronti del prevalere massiccio delle immagini maschili di Dio e della logica 'maschilista' in base a cui le chiese sono strutturate, e che in quelle immagini trova la giustificazione teologica. Questa teologia si muove sul piano dell' ermeneutica biblica, per fare pulizia dell'interpretazione di prassi che hanno tradizionalmente convalidato la subalternita femminile (si pensi, per non fare che un esempio, al capitolo IT della Genesi, dove si narra la creazione della donna dalla costola dell'uomo); sul piano dell'ermeneutica del linguaggio religioso, per reinterpretare l'immagine di Dio in chiave non sessista (aldila dell'alternativa padre-madre); infine, sul piano di una rivisitazione critica della tradizione cristiana, per storicizzare - e dunque relativizzare - i limiti che da sempre la donna si e vista imporre dalla chiesa, e di conseguenza per ampliare oggi gli spazi ecclesiali ad essa disponibili (stile di fraternita, 'sororita' invece dell'autoritarismo, ammissione ai ministeri, ecc.). Teologie del genere, elaborate 'dal rovescio della storia', hanno una rilevanza ermeneutica fondamentale: se e vera che ogni comprensione - dei testi come della vita - e segnata in profondita dalla precomprensione con cui uno li avvicina, non puo non essere determinante accostare la Bibbia e la storia dalla parte delle vittime e nell' ottica della loro volonta di liberazione. Qui la prassi non e soltanto la conseguenza della interpretazione, ne e la condizione, il presupposto. Percio le teologie della liberazione vogliono essere 'atto secondo', momenti di riflessione al di dentro di quell'atto primo che e la prassi di liberazione; come tali, pili che una nuova teologia, esse intendono essere un nuovo modo di far teologia. Ecco perche, rispetto alla produzione teologica corrente, frutto di elaborazioni individuali, le teologie della liberazione hanno un carattere pili corale, nel senso che il teologo singolo da espressione riflessa e ordinata a linee di discorso presenti nel movimento di liberazione cui egli partecipa.
17.21 La teologia della liberazione latino-americana. 11 fatto storicamente pili rilevante delle teologie della liberazione e che con esse si spezza, per la prima volta nella storia del cristianesimo, l'orizzonte eurocentrico del pensare teologico. Quella che fino ad ieri si considerava la teologia, deve oggi accettare
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di essere una teologia: la teologia europea, accanto a cui ne vengono sorgendo altre, che rivendicano il proprio diritto di pensierq e di parola. Questa consapevolezza del carattere 'regionale' di ogni teologia sostituisce al presunto universalismo della teologia tradizionale quell'universalita effettiva che consiste nell' ampiezza ormai planetaria del dialogo tra le teologie. Se la teologia della secolarizzazione ha avuto i suoi luoghi di nascita e di diffusione nella. 'metropoli' della societa del benessere, e quella politica nei paesi europei ad aho livello di consumo, che piu avvertono, per usare un'espressione di Bloch, la 'malinconia dell'adempimento', la teologia della liberazione non poteva non avere come suo spazio socioculturale le regioni del pianeta dove piu si ripercuotono le contraddizioni di un assetto economico-politico interamente ispirato all'ideologia della sviluppo fatto fine a se stesso. Ormai e diventato un criteria di ermeneutica politica largamente accettato quello che riconduce tutti i fenomeni della societa moderna al conflitto Nord Sud del pianeta. I mali del Sud non vanno intesi come l'accumulo dei suoi ritardi nei confronti del Nord, ritardi a cui si dovrebbe provvedere sollecitando una accelerazione della sviluppo: so no I' effetto della sviluppo del Nord, una sua necessita fisiologiCa. E' questa l'intuizione che sta al centro dell'assemblea episcopale latina-americana di Medellin ( 1968), in cui la rivoluzione del concilio si saldo con una adeguata comprensione delle cause di fonda della crisi epocale che stiamo vivendo. Medellin e ormai un nome simbolico di grande importanza nella storia della fede, perche e il nome del luogo in cui venne pronunciato il nome vera del peccato. II nome del peccato e lo stato di dipendenza, e cioe di una condizione di vita individuale e collettiva in cui altri pensa per noi, decide per noi, progetta per noi. E questa dipendenza in America latina si definisce con precisi riferimenti sociopolitici e quindi chiama in causa progetti di salvezza con obiettivi altrettanto precisi, che animano di se, pur sorpassandoli, progetti di Iotta il cui soggetto e il popolo afflitto dalla dipendenza. Le teologie europee, dette della rivoluzione o della politica, erano state anch' esse molto coraggiose, rna il lora era un radicalismo verbale, senza in.dividuazione ne di obiettivi ne di soggetti storici chiamati a realizzarli. L'ardimento nasce dal concetto e nel concetto muore. In America Latina, invece, l'idea di liberazione ha messo i piedi in terra, e nata nella prassi e nella prassi si risolve. Nell'area nord-atlantica, il recupero della visione profetica ha significato, in prima luogo, una rottura della solidarieta con le posizioni conservatrici e, in secondo luogo, il dispiegamento di un orizzonte utopico che, sovrastando ogni obiettivo storico determinato, funziona come misura a.p,ti-ideolggica, come riserva escatologica contra tutte le realizzazioni terrene. La profezia si riduce a istanza critica. II confronto tra chiesa e mondo continua a concentrarsi sulla questione gia pasta con lucidita da Bonhoeffer: «come parlare di Dio in un mondo diventato adulto?». Ma nell'America Latina, e piu in genere nel Sud del pianeta, la questione e un'altra: come far si che il non-uomo diventi uomo? I non-uomini dell'America Latina non sono un prodotto di natura, sono il prodotto di un sistema socioeconomico in cui la chiesa istituzione ha avuto ed ha il suo posto riconosciuto e onorato. Vista dall'interno delle mura del sistema occidentale, questa sottoumanita ispira, per lo piu, sentimenti di solidarieta e propositi di intervento perche la
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sua emarginazione finisca. Ma ormai dentro il perimetro di quel sistema non c'e, com'e richiesto dalla dottrina della rivoluzione, un punta archimedico su cui far leva per mettere fine ai processi di emarginazione da cui ha origine il Terzo mondo. Non c'e nemmeno un punta di riferimento sufficiente a fondare una ermeneutica della profezia evangelica. II punta di riferimento e fuori: e dall'interno di quella sottoumanita che va osservato il mondo e va accolta l'interpellazione della parola di Dio. ll concetto tradizionale di ortodossia va messo sotto sospetto: esso potrebbe essere di natura ideologica, potrebbe essere il punta di occultamento e di sostegno della teologia della dominazione. L'oggetto dell'ortodossia non e una verita concettualmente definibile, e il corso stesso degli eventi nel suo rapporto con l' esemplarita del Cristo della morte e della resurrezione. I ritmi e i modi di questa corso del genere umano non si deducono da un paradigma gia data e messo in mana allo specialista, si scoprono negli spessori stessi dei fatti, che a lora volta vanno criticamente compresi al di la della lora bruta immediatezza. Le cosiddette verita cristiane non sono degli 'in se' che l'intelletto possa cogliere e definire, come fa con le figure geometriche, sono, di lora natura, relative a un evento ultimo, i cui modi si inseriscono con liberta neUe fibre del presente. L' opzione sociopolitica del teologo decide, dunque, anche della sua maniera di cercare la verita. ll suo modo di pensare riflette sempre un suo schieramento politico, anche quando, anzi, soprattutto quando egli proclama che la teologia va tenuta immune da ogni contaminazione politica. Certo, c'e un modo specifico del conoscere teologico, rna questa specificita passa attraverso una precomprensione di ordine politico e garantisce se stessa solo mediante la consapevolezza critica di questa precomprensione. Solo all'interno di una 'ortoprassi' sara possibile determinare le linee dirimenti dell' ortodossia. In sintesi: il modo di agire influema il modo di credere, e cia avviene sia in ragione delle condizioni reali del soggetto sia in ragione della natura speciale dell'oggetto. E' questa il circolo ermeneutico di cui si fa forte la teologia della liberazione latina americana. Muoversi secondo questa circolarita non e possibile senza superare anche quel limite ultimo dell'intellettuale che e la pretesa di pater comprendere la realta restandone fuori. In forza di questi principi, attorno alla meta degli anni '70 la teologia della liberazione, ancora molto imparentata alle teologie politiche europee, ha compiuto un passo decisivo, quello del riconoscimento del popolo come vera soggetto della riflessione sulla fede, un soggetto comunitario con cui il teologo deve immedesimarsi fino a divenirne una pura e semplice funzione concettuale e verbale. Gli oppressi, come insegna il pedagogista brasiliano Paulo Freire (n. 1921 ), han no in se la lora verita: educarli non significa portar lora dal di fuori una verita gia compresa ed elaborata dalle avanguardie, significa rendere esplicita e dilatare fino alle ultime implicazioni universali la verita che essi portano in se come frutto della lora esperienza collettiva. La teologia della liberazione non e piu una teologia sui poveri, rna una teologia dei poveri: il teologo sta alia lora scuola. Pur nel carattere corale che la contraddistingue, la teologia della liberazione presenta alcune individualita di maggior nerbo e di pili ampia udienza: Gustavo Gutierrez (n. 1928), che ne viene considerato il padre con la sua opera
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Teologia della Liberazione (1972), i fratelli Leonardo e Clodovis Boff, Jon Sobrino e Luis Segundo, senza dimenticare il filosofo e storico Enrique Dussel, che elabora una filosofia dell"altro' sulla scia dell'ebreo Emmanuel U~vinas. In conclusione: aldila dell'aspetto oggettivo del discorso teologico, l'apporto piu interessante delle teologie della liberazione sia del Nord (come quella nera e quella femminista) che del Sud, e di aver ampliato il soggetto del fare teologia: dai chierici ai laici, dagli uomini aile donne, dall'Europa al Terzo Mondo. In tal senso, le teologie della liberazione sono comunque, gia in atto, una liberazione della teologia.
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Sommario. La ripresa dei contatti con l'occidente, avvenuta con la spedizione di Napoleone in Egitto (1798), viene vissuta dall'Islam prevalentemente come occasione di una presa di coscienza della propria decrepitezza ( 18.1 ). Fa eccezione l'Iran, dove la tradizione del pensiero esoterico prosegue, derivando dallo sciismo i temi che favoriscono una apertura universalistica e un libero confronto tra coscienza e segni storici ( 18.2). Si tratta di un confronto gia previsto nella dottrina is Iamica della 'interpretazione', rimasta soffocata dalle sovrastrutture aggiuntesi, lungo i secoli, alle fonti coraniche. E' questa la tesi del modernismo islamico, riproposta da Afghani e poi dal suo alunno Abduh, che rivaluta l'esercizio della ragione nell'ambito della fede e promuove, in Egitto, non poche riforme di tipo occidentale. II secondo focolaio del modernismo islamico e in India, dove emerge Ia personalita di Iqbal, conoscitore della filosofia europea e sostenitore della preminenza, quanto a universalita, della fede islamica ( 18.3). Ma il 'ritorno alle sorgenti' e anche la parola d'ordine dell'integrismo islamico che, in base al principia della totale autosufficienza del Corano, rigetta ogni forma di occidentalismo e mira a ricostruire, a tutti i livelli, anche a quello politico, Ia umma musulmana (18.4). Il contagia dell'occidente ha comunque la meglio sull'integrismo, dando vita a esperienze politiche e a movimenti ideologici in cui si riflette il modello europeo, come il 'kemalismo', e cioe il modernismo laicizzante, il nazionalismo arabo, il socialismo islamico e, come sua sottospecie, quello arabo (18.5). Sulla spinta della trasformazione industriale, sta crescendo, nei paesi islamici, una classe sociale che si esprime sempre piu secondo le esigenze della ragione critica, il cui obiettivo e quello di distinguere il livello della fede da quelli della cultura e della politica, secondo l'esempio dell'occidente. II risultato e Ia riscoperta della vera universalita della fede islamica, nella sua duplice trascendenza, della comunita sull'individuo e di Dio sulla comunita, e della sua efficacia nel guidare il riscatto del Terzo mondo (18.6). Ben diverso e stato l'incontro tra !'India e l'occidente, avvenuto sotto la dominazione inglese: mentre l'occidente prende contatto col grande patrimonio spirituale indiano, !'India trova nell'incontro un incentivo per una nuova coscienza di se e per un recupero creativo del proprio passato {18.7). L(}, via maestra di questo recupero e, per merito di Ram Mohan Ray, il ritorno al Vedanta, la cui dottrina permette l'apertura verso tutte le religioni (sebbene in alcuni casi il Vedanta alimenti anche un sentimento nazionalistico di autosufficienza), specie verso il cristianesimo. Testimone e maestro eccezionale di questo universalismo e Ramakrishna, il cui messaggio e raccolto e fatto risuonare, anche in occidente, da Vivekananda (18.8). Questo universalismo religioso si concretizza, al livello culturale e politico, nella convinzione che sia possibile una conciliazione tra occidente e oriente indiana: e il principia fondamentale della politica del Congresso, cosi com'e, sul piano poetico, il messaggio di Tagore e, su quello piu propriamente filosofico, il progetto del massimo pensatore indiano contemporaneo, Aurobindo (18.9). Ma forse Ia vera irradiazione universale dell'India e quella ottenuta da Gandhi, non per le vie della conciliazione rna per queUe del ritorno alla tradizione piu remota della spiritualita induista, alla cui base c'e il principia della non violenza, che e Ia verita presente in ogni
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essere umano, cosi com'e Ia vera presenza di Dio nella storia: basta riscoprirla e viverla, per abolire sulla terra ogni inimicizia e ogni frontiera. II discepolo di Gandhi, Vinoba, ne fa un principio di rivoluzione sociale, promuovendo una riforma agraria mediante Ia 'politica del dono' ( 18.10). Questa fedelta al filo aureo della tradizione religiosa si ritrova oggi perfino in pensatori occidentalizzanti, che fanno proprio I'insegnamento di Kant e del neopositivismo logico (18.11). Ad abbattere Ia 'cortina di bambu' c'e voluta, invece, una guerra disonorevole per l'occidente, quella dell'oppio. Ma solo dopo essere stata sconfitta dal Giappone (1895), Ia Cina prende coscienza della propria arretratezza e conosce, al suo intemo, un aspro contrasto fra i tradizionalisti e gli occidentalisti (18.12). In un primo momento, hanno Ia meglio i riformisti, che mirano a innestare le riforme di tipo occidentale sull'insegnamento di Confucio, Iiberato dalle deviazioni della tradizione: il loro tentativo fallisce drammaticamente ( 18.13 ). Ma Ia Cina viene occupata rapidamente dal capitale straniero: cade Ia dinastia dei Manciu e nasce, nel 1911, Ia Repubblica cinese, presieduta dalla figura piu prestigiosa della nuova cultura occidentalizzata, Sun Ya-tsen. I pionieri del pensiero filosofico occidentale, il cui organo e Ia rivista 'Gioventu nuova', hanno un facile predominio (18.14). Ma sull'onda della rivoluzione sovietica e dell'indignazione provocata dal Trattato di Versailles, si forma un primo nucleo di agitatori marxisti, fra i quali, oltre a Mao Tse-tung, i redattori di 'Gioventu nuova' e Li Ta-chao, il primo teorico marxista cinese. La 'lunga marcia' della rivoluzione e avviata (18.15). A condurh:i. a termine e Mao Tse-tung, che non e solo un condottiero militare e politico, rna anche un pensatore originale, che se ha adottato una dottrina rivoluzionaria importata dall'occidente, lo ha fatto per innestarla in una nuova tradizione sociale e di pensiero Ia cui remota origine e, an cora una volta, I'insegnamento di Confucio ( 18.16).
L'Islam contemporaneo 18.1 L'eta coloniale. Quando, il 1 luglio 1798, sbarco ad Alessandria con 40.000 soldati e 167 scienziati, Napoleone Bonaparte si rivelo, anche in questo caso, figlio del secolo dei 'lumi', e come tale convinto che l'Egitto, oltre che una pedina da usare contro l'Inghilterra, era una immensa riserva di tesori archeologici, appartenente di diritto
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Tav. 4. II risve lio del Sud. Asia e Medlorlente
1945 1946 1947 1948 1949 1950 1951
1953 1954 1955
Africa
Bombardamento atomico di Hiroshima. Repubblica Democratica del Vietnam. . Guerra civile cinese. Indipendenza dell'India e del Pakistan. Assassinio di Gandhi. Costituzione dello stato di Israele e prima guerra arabo-israeliana. Costituzione della Repubblica Popolare Cinese. Inizio della guerra di Corea. Nazionalizzazione delle compagnie petrolifere in Iran.
1951 Indipendenza della Libia. Fronte di liberazione algerino.
Fine della guerra di Corea. Indipendenza della Cambogia. Fine della guerra di lndocina. Conferenza di Ginevra. Divisione del Vietnam. Conferenza di Bandung. Costituzione della Repubblica del Vietnam del Sud.
1953 L'Egitto diventa una repubblica. 1954 In Algeria si costituisce il FLN contro Ia presenza Francese.
1956 Indipendenza di Marocco, Tunisia, Sudan. Nasser nazionalizza il canale di Suez: intervento militare franco-inglesc-israeliano. 1957 Costituzione della Repubblica del Ghana.
1957
Indipendenza della Federazione Males.:.
1958
Costituzione della Repubblica Araba Unita (Egitto, Siria, Yemen) e della Unione Araba (Giordania ed Iraq)
1958 Indipendenza della Guinea.
1960
Costituzione dell'OPEC. Costituzione del Fronte di Liberazione Nazionale nel Vietnam del Sud; coinvolgimento degli USA. Portoghesi espulsi da Diu e da Goa.
1960 Africa: 15 nuovi stati indipendenti. Secessione del Katanga dal Congo, arresto di Lumumba, colpo di stato del colonnello Mobutu. 1961 In Angola primi scontri fra M.P.L.A. e Portoghesi. In Congo viene assassinato Lumumba. 1962 Indipendenza dell' Algeria. 1963 Guerriglia nella Guinea Bissau. Organizzazione Unita Africana. Kenia e Zanzibar liberi. 1964 Guerriglia antiportoghese in Mozambico.
1961
1963 1964 1966
Costituzione della Malavsia. In Vietnam rovesciato Diem. Rottura tra Cina ·e URSS. · Incidenti nel Golfo del Tonchino. Muore Nehru., In Cina inizia Ia rivoluzione culturale. Primi bombardamenti americani sui Vietnam del Nord.
196 7 Secessione del Biafra e guerra civile.
1969 1970 1971 1972 1973 1975
1982
1969 La Libia diventa repubblica. Presidente Gheddafi. 1970 Fine della guerra del Biafra.
Arafat presidente dell'Olp. Muore Ho Chi Minh. Nuova offensiva dell'F.L.N. nel Vietnam del Sud. Intervento americano in Cambogia. Guerra fra India e Pakistan. '· Riprendono i bombardamenti sui Vietnam del Nord. Accordi di Parigi. Guerra del Kippur. Rialzo del prezzo del petrolio. Le forze deii'F.L.N. cntrano a Saigon; i Kmer rossi occupano Phnom Penh.
In Cina inizia il risanamento.
1975 Indipendenza del Mozambico e dell'Angola.
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! 982 In Sudafrica si inasprisce J' apartheid.
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America latina
1945
Rivoluzione democratica in Brasile.
1946
Peron presidente dell'Argentina.
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Fllosofla mllltante
1946- 48 Gandhi, La non violenza ne/ conf/itto indomusu/mano (in 'Harijan'). Nehru, La scoperta del/1ndia.
1949 Mao Tse-tung, Sui/a dittatura democratica popolare.
1952 1953
Batista dittatore a Cuba. Colpo di Stato in Venezuela.
1954
In Guatemala colpo di stato militare. Massacro di contadini in Bolivia. Colpo di stato militare in Argentina. Peron esiliato.
1955
1953 Taha Hussein, Ali e i suoi figli. 1954 Nasser, La filosofia della rivoluzione.
1956 Aflaq, Nazionalismo e soc£/ismo. 1957 Mao Tse-tung, Sui/a giusta soluzione delle contraddizioni.
1957
Duvalier assume il potere a Haiti con appoggio USA.
1958
In Venezuela ripristinato il sistema democratico.
1959
Fuga di Batista da Cuba. Fidel Castro primo ministro.
1959 Guevara, La guerra di guerriglia.
1961
Colpo di stato in Salvador. Gli anticastristi tentano J'invasione di Cuba.
1961 Fanon, I dannati della terra. Senghor. Nazione e via africana a/ socialismo.
1963
Repressione contadina in Peru. Colpi di stato in Honduras e a San Domingo. Colpi di stato in Brasile e in Bolivia
1963 Senghor, Negritudine e umanesimo.
1964 1966 1967 1968
1970 1971
In Bolivia scontri fra minatori e militari; guerriglia guidata da Che Guevara. Morte di Che Guevara. Guerriglia dei Tupamaros in Uruguay. Colpo di stato in Peru.
Allende presidente del Cile. Governo nazionalista in Bolivia. Colpo di stato in Bolivia.
1972 1973
Colpo di stato in Ecuador. Peron toma in Argentina. Colpo di stato in Cilc; uccisione di Allende.
1976 1979
Col pi di stato in Argentina e Uruguav. Vittoria sandinista in Nicaragua.
1983
Ritorno della democrazia in Argentina e in Brasile.
1964 Nkrumah, Filosofia e ideologia della colonizzazione e del/o sviluppo.
1967 Garcia Marquez. Cento anni di solitudine. 1968 Nyerere, Socialismo in Tanzania. Documenti dello episcopato Iatino americano di Medellin. Castro, La rivoluzione cubana. 1969 Ho Chi Minh, Sui/a rivoluzione.
I 97 I Freire, La pedaoosia degli oppressi. Gutierrez, Teolugza della iiberazione. Samir Amin, L 'accumulazione su scala mondiale.
1979 Khomeini, Per w1 governo i.
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L1s!am contemporaneo
!'Europa, fatta di conoscenze scientifiche, di padronanza di strumenti tecnici e di progetti ideologici, la reazione prevalente fu, nell'Islam, di stupore e di ammirazione. Inviato a Parigi, nel 1825, capo di una delegazione, Rifa Tahtawi scrisse una relazione, che il sultano fara tradurre in turco e diffondere in tutto il suo impero. I cristiani - si Iegge, fra l'altro, nella relazione - dormono in letti sollevati da terra e a tavola usano forchette, coltelli, piatti e bicchieri personali. Le loro donne si aggirano, senza velo, fra palazzi puliti e strade meravigliose. E' venuto il tempo, conclude Tahtawi, di accogliere alcune verita dei cristiani, e soprattutto di introdurre nella societa musulmana la loro scienza e il loro spirito di iniziativa. Siamo aile prime avvisaglie del 'modernismo islamico' di cui tra poco ci occuperemo. Ma prima di fermare la nostra attenzione sui fenomeni culturali emersi nell'area dell'incontro (e dello scontro!) tra occidente europeo e mondo islamico e bene ricordare per non cadere in un' ottica angustamente eurocentrica, che non e giusto ridurre la storia culturale dell'Islam a quella tradizionalmente interna al nostro orizzonte di osservazione, e soprattutto che non ci si pu6 lasciar condizionare dai riflessi piu immediatamente politici di quella storia. Le clamorose vicende che in questi ultimi decenni hanno travolto gli Stati della lega araba, lacerati dal cuneo dello Stato di Israele, rischiano di far velo sui diversi cammini culturali che quei paesi hanno percorso, e che sono spesso la radice nascosta di comportamenti politici altrimenti non intelligibili. Se nell'Iran, ad esempio, lo spirito antioccidentale ha preso forme non di rado parossistiche (seguite, d'altronde, all'occidentalismo spregiudicato dei Pahlavi), e anche perche, in quel paese, il processo di osmosi tra oriente e occidente e reso piu difficile dalla presenza di una identita culturale indigena molto piu netta che altrove. Il cammino filosofico dell'Iran e stato diverso da quello del resto dell'Islam. Come abbiamo gia documentato altrove (II 13.1.3) nel pensiero filosofico islamico si danno due tendenze nettamente differenziate e doe, secondo quanto scrive Mohammed Arkoun: «una tendenza razionalista, brillantemente illustrata da Averroe, raccolta e continuata dall'occidente, e una tendenza piu aperta alle potenze creatrici dell'immaginario, che si sviluppa soprattutto nell"Islam iraniano'. Questa separazione ha cause storiche e sociologiche non ancora chiarite; in sostanza, essa rimanda alla vecchia competizione (a partire almeno da Aristotele) tra mythos e logos, tra immaginazione e ragione, e dunque alia frattura di una coscienza indivisa: ci6 che giustifica, oggi, gli sforzi per una ricomposizione della coscienza». Queste due tendenze, a volte consapevolmente, a volte attraverso percorsi inconsci, confluiscono in produzioni filosofiche e teologiche che in modo troppo sbrigativo noi qualifichiamo in base ai nostri parametri, lasciandoci sfuggire la peculiarita che invece esse han no nel loro orizzonte di nascita. Avremo modo di documentarlo.
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18.2 II pensiero iraniano. Verso la meta del secolo scorso, il centro piu vivace del pensiero filosofico islamico era a Kerman, nel sud-est dell'Iran, dove aveva fondato una scuola, con tutte le apposite strutture, Sayyed Kazem Reshti (1798-1843), che era stato alunno di Shaykh Ahsai (1753-1826): proprio dal nome di questi - Shaykh - la scuola venne chiamata shaykhi. Lo shaykhismo, sulla base di una metafisica a forte impronta neoplatonica, sviluppa due
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dottrine di grande fecondita: quella antropologica, centrata sul culto degli Imam, e quella etico-po~itica, centrata sui ruolo del giurisperito nella interpretazione della Iegge del Corano. Sulla linea dell'esoterismo sciita, tomato in vigore nei secoli XVI-XVII (II.13.3), lo shaykhismo attribuisce agli Imam una funzione iniziatica, di guide spirituali che operano a partire dall'ultimo ciclo profetico, quello sigillato da Maometto. Una costante della teorizzazione sciita e la teosofia, cioe la conoscenza di Dio basata su 'quattro pilastri': l'unita e unicita di Dio, la profetologia, l'imamologia e infine la comunita sciita. La scuola shaykhi si differenzia proprio nel precisare il significato della comunita, che e costituita dagli 'amici di Dio', dagli 'gnostici', che conoscono la corrispondenza tra mondo visibile e mondo reale, che e invisibile, nascosto. Il mondo nascosto ha il suo polo mistico nell'Imam, che si fara visibile nella 'parusia' finale e che, in questo tempo del suo nascondimento, costituisce il vertice della gerarchia degli 'amici di Dio'. Da questo nascondimento del vertice, come dire dall'unica vera misura di giudizio, deriva che Ia categoria degli amici di Dio e anch' essa nascosta, e ness uno puo rivendicare una investitura che consenta di fame parte. Chi si attribuisse pubblicamente l'investitura sarebbe un impostore. E' facile capire come, proprio in virtu di questo suo carattere occulto, Ia comunita degli amici di Dio sia senza precisi confini ed escluda ogni rigidezza giuridica e cultuale. Da questa dottrina hanno preso sviluppo due tendenze importanti dello sciismo: il babismo e il bahaismo. La prima, il babismo, ebbe origine dall'iraniano Sayyd Ali Muhammad (1819-1850), che attribui a se stesso Ia missione di 'porta' (in arabo bah), cioe di mediazione con !'ultimo Imam, pretesa che gli procuro Ia condanna a morte per eresia. Laicizzando l'insegnamento coranico sulla fine del mondo, Ali Muhammad ne fece semplicemente Ia fine di uno dei cicli profetici, e, nel caso, quello di Maometto, che si e chiuso propriamente con lui, Ali Muhammad, in quanto iniziatore di un nuovo ciclo. Suo discepolo fu Baha Allah (1817-1892), Ia cui dottrina fu detta, dal suo nome, bahaismo: non c' e una veiita religiosa, ce ne so no tante quante sono le religioni storiche, ciascuna delle quali rappresenta un ciclo di manifestazione. Il ciclo dei bahai ha come sua verita fondamentale l'unita del genere umano, Iiberato da tutti i pregiudizi razziali, sessuali, di classe e di religione, in nome della pace e della fratemita. Con Baha Allah, l'Islam si trasforma in un puro e semplice umanitarismo. Anche Ia scuola shaykhi, come il babismo e il bahaismo, risponde al bisogno di aderenza alla concretezza storica, e quindi di flessibilita nel rispondere aile situazioni di vita, rna ritiene valida Ia fedelta alla tradizione, oltre che al Corano. C' e pero fedelta e fedelta; la fedelta ai morti, quella dei sunniti, che si conformano a quanto gli antichi hanno detto e fatto, e Ia fedelta ai vivi, quella degli sciiti, che affidano al giurisperito l'interpretazione della tradizione in rapporto ai singoli casi. Nei confronti degli sciiti, lo shaykhismo fa un passo avanti, aprendo la via a una revisione radicale della tradizione. Il senso reale della rivelazione e della tradizione, infatti, non si raggiunge con una imitazione pratica della legge, mediante l'applicazione giuridica, rna in modo 'gnostico', e cioe con l'omologazione - di cui e capace l'amico di Dio - tra fede storica e fede spirituale, una omologazione che consente una lettura Iibera dei
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segni di Dio. Secondo alcuni, Khomeyni segue l'insegnamento shaykhi quando si propane come Imam e stabilisce una revisione del potere del giurisperito. E' lui che fa da garante dell'omologazione. Questa procedimento puo essere interiorizzato, secondo lo shaykhismo, da chiunque, e puo esprimersi anche in una presa di coscienza collettiva. Come avverra, ad esempio, col modemismo islamico.
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18.3 II modernismo islamico. Fu Ernesto Renan, il prestigioso portavoce della religione occidentale della scienza nell'eta positivistica, a fornire, in ambiene europeo, I' occasione e il tema di un dibattito sulla possibilita dell 'Islam di uscire dal suo letargo storico. In una sua conferenza, tenuta alia Sorbona il 29 marzo 1883, egli illustro la sua tesi sulla inconciliabilita tra l'Islam e lo spirito scientifico: «Chiunque sia un po' istruito sulle cose del nostro tempo, vede chiaramente J'inferiorita attuale dei paesi musulmani, Ia decadenza degli Stati governati dall'Islam, Ia nullita intellettuale delle razze che traggono unicamente da questa religione Ia !oro cultura e Ia !oro educazione». La splendida civilta arabo-musulmana dei primi secoli dell'Egira si e prodotta, non per merito dell'Islam, rna suo malgrado, e con la sua costante opposizione. Difatti il nucleo essenziale dell'Islam e inconciliabile col progresso: «Lo Stato fondato su una presunta rivelazione, Ia teologia che governa Ia societa ... L'Islam e il regno di un dogma». L'idea della sua conferenza Renan l'aveva avuta durante una conversazione, a Parigi, con Giamal al-Din ai-Afghani ( 1838-1897), il mitico fautore del risveglio islamico, persiano di origine rna legato, anche in seguito ai suoi continui spostamenti, alla storia spirituale di molte nazioni dell' Umma, dall'Egitto all'India, dalla Turchia all'Iran, all'Afganistan. Animato da una vivace passione contro il colonialismo in genere, rna specialmente contro quello inglese, si reco come libero rappresentante in diversi paesi europei, per porre ostacoli alla strategia di occupazione coloniale, messa a punto dal Congresso di Berlino del1878. Ma Ia sua attivita politica era solo l'espressione di un programma religioso e culturale, che aveva come strumento una rivista, Il legame indissolubile. Le ragioni filosofiche e teologiche della sua intransigente opposizione alia cultura occidentale le aveva esposte, durante un suo soggiorno in India, nella sua unica opera pubblicata: Confutazione dei materialisti. L'errore dell'occidente e il Jmaterialismo, che lo porta a divinizzare la Natura; Ia sua grandezza e lo spirito scientifico e tecnico, che gli apre le vie del dominio del mondo. Nel rispondere aile tesi di Renan, al-Afghani si dichiara d'accordo sui dato di fatto che l'Islam ha soffocato Ia ricerca e arrestato il progresso semplicemente col diffondere Ia convinzione che Ia religione racchiude in se tutta Ia morale e tutte le scienze. Ma questo dato di fatto non va confuso, come invece Renan faceva, con un principia congenito alla natura dell'Islam. Dal suo attuale stato di inerzia l'Islam avrebbe potuto uscire, non solo con la diffusione dell'istruzione, rna primariamente col ritorno alle sorgenti della fede musulmana. Era Ia stessa via che Lutero aveva additato ai cristiani per liberarsi dalle degenerazioni della cristianita medioevale: zuriik zu Quellen, torniamo alle fonti!
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Ecco perche il movimento che prese le masse da al-Afghani (e che, in analogia col successivo movimento di riforma all'interno della chiesa cattolica, si e soliti chiamare 'modernismo islamico') viene detto, in area musulmana, salafiyya (da salaf, 'gli.antichi'). II merito di aver approfondito teoricamente e organizzato con efficacia operativa il programma del modernismo islamico e di un arnica e discepolo di al-Afghani, Muhammad Abduh (1849-1905), che trasse vantaggio dalla sua posizione di mufti d'Egitto. La sua apertura verso le acquisizioni occidentali non obbediva a nessuna volonta di superficiale concordismo, dato che egli ricercava in esse soltanto i problemi e gli strumenti per una ricostruzione della fede islamica sulle sue autentiche fondamenta. Prima ancora che fede nella profezia, quella islamica e fede in Allah, i cui attributi sono enunciati dal Carano, rna, in parte, sono conoscibili anche dalla ragione, purche essa sappia cogliere l'armonia e I'ordine dell'universo. La manifestazione di Allah aile creature si ha, si, nella profezia, che e per l'umanita quel che la ragione e per l'individuo, rna la profezia e nel cuore di ogni uomo, anche se la sua origine e in Allah, e anche se essa diventa esplicita solo in colora che Allah sceglie, liberandoli dall'oscurita dell'errore e del vizio. L'ultimo dei profeti e Maometto, il cui messaggio va accettato anche quando risulta inaccessibile alia ragione. Chi trova difficolta nell'accettare, nella sua interezza, questa o quel punta del messaggio, rna conserva Ia fede in Allah, nei suoi profeti e nel giorno del giudizio, resta un huon musulmano, sebbene non sia da additare a modello. Quel che Abduh ritiene non consono all'insegnamento del Carano e il fatalismo, che invece viene rimproverato, specie da parte dell' occidente, all'Islam. La fede esalta le responsabilita dell'uomo di fronte al creato. La decadenza dell'Islam e imputabile, dunque,, non al fatalismo della fede, rna aile scuole teologiche, che hanna sviato la fede in astruse discussioni e l'hanno imbalsamata in rigide e impersonali teorie. Per togliere l'Islam dalle bende, va rivalutato il principia della 'interpretazione' (ijtihad) personale e quello della pubblica utilita. In ultima jst~mza, questi due principi, mediante i quali la fede si conforma aile richieste della nostra epoca, sono pili importanti del Carano e della Tradizione. I lunghi secoli di ignoranza e di sterile verbalismo hanna finito con l'escludere l'esercizio della ragione dall'ambito della fede, e soprattutto proprio a riguardo delle leggi dell'universo e della natura umana, che rientrano di per se nella sfera dell'intelligibile. I riflessi sociopolitici del modernismo di Abduh sono facilmente intuibili. Le disposizioni da lui promosse o favorite in Egitto (si pensi solo alia promozione della donna allo stesso rango dell'uomo) hanna avviato l'occidentalizzazione dei paesi islamici, senza pregiudizioper Ia fedelta al Carano. Un secondo focolaio del modernismo islamico si ebbe nell'India britannica, dove, per merito della flessibilita e della polivalenza della cultura inglese, il confronto tra fede islamica e modernita europea avvenne nelle condizioni ottimali. E difatti, il pioniere del movimento islamico occidentalista, Ahmad Khan (1917-1898), fondatore di una Universita musulmana ispirata al suo programma di conciliazione tra le due culture, per rendere l'Islam pili idoneo ad accogliere le idee occidentali, ne propose una purificazione cosi radicale da ridurre la professione di fede a un puro monoteismo, lasciando in ombra i contenuti specifici della dottrina musulmana. Gli divenne facile, cosi, dimostrare
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che nel Carano ci sono gia i germi della liberta di ricerca scientifica, del parlamentarismo e della giustizia sociale, e che tra cristianesimo e islamismo esiste una radicale coincidenza. A lui si e ispirato, nel nostro secolo, Muhammad Iqbal ( 1873-1938), uno dei protagonisti dell' emancipazione dell 'India. Poeta di grande risonanza (il suo poerna Hindustan Hamaza, una specie di inno nazionale, fu declamato all'Assemblea nella notte in cui l'India proclamo la sua indipendenza), visse alcuni anni in Europa per studiare il pensiero occidentale, e in particolare Nietzsche (di cui adotto, in chiave mistica, l'idea di superuomo) e Bergson, la cui dottrina dell'intuizione e dell' elan vital gli sembro del tutto affine alla tradizione islamica dei 'sufi', al centro della quale c'e il primato dell'esperienza interiore come accesso all'onnipresenza di Dio. Iqbal spinse la purificazione della tradizione islamica fino a respingere la 'contaminazione' avvenuta, durante i secoli del nostro medioevo, con l'accoglimento del pensiero. filosofico greco-ellenistico. Riportato al suo nucleo profetico-spirituale, l'Islam non solo non ha nulla da temere dalla concorrenza dell'occidente, rna e in grado di avere la meglio, proprio perche il suo spiritualismo e as~oluto e onnicomprensivo. Questa tesi trionfalistica trovava una proiezione storica nell'idea di uno State integralmente musulmano, capace di dimostrare coi fatti la superiorita dell'Islam anche sul piano politico. Il sogno di Iqbal sembro avverarsi nel 1947, quando la minoranza musulmana dell'India, con sgomento di Gandhi, decise di costituirsi in uno stato autonomo, il Pakistan, destinate a sua volta a spaccarsi in due. L'utopia di Iqbal non ha retto alla prova della storia. 18.4 L'integrismo islamico. La via verso 'le sorgenti' e una via dai molti approdi. Allah e la sorgente, rna lo e anche il Carano e lo e anche la Sunna, cioe la tradizione autenticata dai primi califfi, e lo e anche l'insieme delle tradizioni posteriori, profondamente sedimentate nella coscienza comune delle varie societa di fede islamica. Se i due poli dell'asse ermeneutico sono, da un.a parte, la trascendenza di Allah, dall'altra la coscienza individuale in cui si nasconde la scintilla profetica, allora il rapporto tra fede e storia si fa immediate, col rischio, pero, che si accetti la modernita proposta dall' occidente senza i doverosi distacchi, con ingenue fervore imitative, a tutto scapito della identita islamica. Se poi l'immagine dell'occidente viene identificata con quella della dominazione spietata, della sfruttamento senza rem ore, dell' edonismo e della competizione individualistica, allora cresce, al medesimo livello sociologico, la . spinta verso l"alterita' islamica, o cosi come essa si e configurata nei secoli, o collocata, come in un suo 'luogo aureo', in questa o quel momenta, in questa o quel maestro di cui si e via via illuminate il suo lunge cammino. Non diversamente, all'interno dell' occidente, il rigetto della modernita nata dalla rivoluzione scientifica, avviene spesso non in nome della 'sorgente evangelica' rna in nome di una sua particolare attuazione, poniamo la cristianita medioevale a cui si attribuisce una perenne validita. Il termine integrismo viene usato, nel nostro linguaggio corrente, proprio per indicare questa unificazione tra Ia norma originaria della fede e una sua modalita storica, quasi che i due momenti siano un 'intero' non divisibile. Le forme di integrismo islamico, nate non solo in opposizione al contagia
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occidentale, rna spesso anche in opposizione al riformismo modernistico interno all' umma, sono numerose e sono, per lo piu, povere di riflessione critica, anche in ragione del fideismo che sta alia !oro base. Non sembrerebbe, dunque, conveniente renderne canto in una storia del pensiero. E tuttavia, dietro il !oro profilo prammatico e spesso aggressivo, si cela, non di rado (lo abbiamo gh'l detto della sciismo komeinista), una lunga vicenda di alto valore speculativo, e, in ogni caso, si cela una opzione di tipo intuitivo che, con Ia forza bruta dei 'dati di fatto', dovrebbe quanta meno metterci in sospetto sulla universalita delle nostre forme di pensiero, data troppo sbrigativamente per scontata. Si tratta spesso di 'dati di fatto' pregnanti, niente affatto assimilabili, ad esempio, ai fascismi di marca occidentale, il cui luogo di origine e nei risvolti oscuri della crisi del nostro processo storico. Alia resa dei conti, l'integrismo, nelle sue varie forme, si e rivelato una omologazione teorica della intransigente opposizione al colonialismo occidentale, vissuta nella spirito di fedelta indivisibile alia propria patria e alia grande umma islamica, secondo lo slogan diffuso dagli Ulama (clero) di Algeria: «L'Islam e Ia nostra religione, l'arabo e la nostra lingua, !'Algeria e la nostra patria». E' vero, si, che Ia tendenza a identificare l'arabismo con l'islamismo urta contra i dati della realta: l'Islam e piu largo che non l'insieme dei popoli raccolti, dopo il 1945, nella Lega Araba. E' vero, si, che Ia Lega araba ha dato pessima prova di se, a causa delle sue invincibili divisioni interne. E tuttavia, dietro il prima piano della cronaca politica, si fa avanti una coscienza comune, sulla quale Ia presa dell'occidente pare in proporzione inversa alla sua preponderanza tecnologica. Tra le forme di integrismo vigenti nell'Islam, Ia piu antica, forse, e quella che risale a Mohammed ibn Abd al-Wahhab (m. 1791), detta appunto 'wahhabbismo'. Nella seconda meta del Settecento, il wahhabbismo fu quel che nella cristianita del Cinquecento fu Ia Riforma: un moto di rinnovamento religioso che ha preso corpo in una precisa concretizzazione politico-statuale, I'Arabia Saudita. L'impresa di questa attuazione della dottrina di al-Wahhab fu soprattutto, nella prima meta del nostro secolo, del re Ibn Saud (1880-1953), che, appena portata a termine l'unita dell'Arabia, ebbe Ia ventura di veder scaturire da terra il prima getto dell' oro nero che fa oggi del suo paese uno dei piu ricchi del mondo. In Arabia non c'e una costituzione: Ia costituzione e il Carano. Non ci sono leggi - Dio e il solo legislatore - rna minuziosi ordinamenti che regolano le pratiche religiose, dalla preghiera al Ramadan. La democrazia consiste nel diritto garantito a ogni cittadino di denunciare qualsiasi abuso. E' cosi che Ibn Saud ha tradotto in formula politica gli insegnamenti di al-Wahhab: il ritorno alia fonte coranica, liberata da tutte le interpretazioni che avevano finito con I'ostruirla; il rigore morale che si esprime nel rifiuto delle conquiste scientifiche e tecnologiche occidentali; l'abolizione di ogni forma di culto, a vantaggio della razionalita implicita nella profezia coranica. Piu conosciuto, in occidente, e il movimento dei Fratelli musulmani, nato negli anni 1927-1929 fra gli strati popolari di Egitto, ad opera di Hasan al Banna, con un programma di intransigente rifiuto dell'occidentalismo, condensato in questa formula: «L'Islam e domma e culto, patria e nazionalita, religione e Stato, spiritualita e azione». Le azioni dei Fratelli musulmani sono spesso di carattere terroristico, come quell a che trucido, nel 1981, il presidente Sad at. Anche i
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Fratelli sono per un ritorno al Corano, purificato di tutte le sovrapposizioni ulteriori, e per la sua applicazione alia totalita della vita privata e pubblica, dato che il Corano, insieme alia Sunna, ha detto tutto su tutto. L'obiettivo ultimo e il ristabilimento della grande nazione (umma) musulmana. Il cammino piu valido, per questa meta, e la guerra santa, e la virtu piu efficace e il desiderio del martirio. L'ideologia dei Fratelli musulmani ha sorpassato le frontiere dell'Egitto diffondendosi, per diretto trapianto o per imitazione, in molte parti del mondo arabo. 18.5 Le ideologie di tipo occidentale. Il rifiuto dell'imitazione dell'occidente, che accomuna i fautori del riformismo e quelli dell'integrismo intransigente, non ha impedito che la condizione coloniale esercitasse il suo 'contagio', nei paesi musulmani, anche sul piano del pensiero, e specialmente del pensiero militante. Potremmo chiamare 'modernismo laicizzante' quel movimento di pensiero e di riforme istituzionali che per lo piu vien detto 'kemalismo', da Mustafa Kemal Atatiirk ( 1880-1938), il quale, deposto il sultano, divenne nel 1923 il primo presidente della repubblica turca e fondatore del primo stato laico, in terra islamica: ordinamento giuridico di tipo occidentale, emancipazione della donna, adozione del sistema metrico decimale e dell'alfabeto Iatino, organizzazione di una scuola non piu basata sui Corano. Un programma cosi rivoluzionario, attuato con spietatezza, si ispirava al movimento dei 'giovani turchi', a cui, gia nell'Ottocento, avevano fornito le linee teoriche due scrittori di prestigio, Ibrahim Chinasi (m. 1871) e Namuk Kemal (m. 1888). In virtu del suo apparente successo, il kemalismo ha fatto da modello ad altre nazioni musulmane, come all'Iran dello scia Reza Pahlavi, all'Egitto di Nasser, alia Tllnisia di Burghiba, all'Algeria di Boumedienne, e perfino all'OLP, anche se in nessuno di questi casi illaicismo ha raggiunto le forme radicali di Kemal. In Egitto, ad esempio, la laicizzazione introdotta da Nasser ha trovato com~ supporto una elite intellettuale, che, pur conservando la fede musulmana, ha promosso, nelle coscienze e nelle istituzioni, la distinzione tra il temporale e lo spirituale, puntando su una identita egizia che non fosse tutt'uno con la tradizione islamica, rna integrasse in se tutte le componenti, anche preislamiche, della civilta del paese, una delle piu antiche del mondo. I massimi esponenti di questa tendenza, musulmana e insieme occidentale, sono stati Ahmad Loufti El Sayyed (m. 1936), che fonda una Universita Iibera, e cioe non infeudata allo Stato, aperta anche aile donne, e il suo amico Taha Hussein (1889-1973), che nella sua opera L 'avvenire della cultura in Egitto, sostenne che il patrirnonio culturale europeo e quello egizio hanno non pochi elementi in comune: la civilta greca, per la filosofia e le lettere, quella romana, per la politica e il diritto, e finalmente il cristianesimo e l'Islam, i quali hanno, per Taha Hussein, una medesima ispirazione di fondo. L'irradiazione della Universita libera, in Egitto e in tutto il medioriente, e stata rilevante, alimentando diffidenze e opposizioni nei confronti della tendenza dominante nell'area araba, quella del panarabismo. Ma l'influenza del modernisino laicizzante, almena nelle sue forme politiche, ha cominciato ad entrare in crisi fin dagli anni '50, man mano che gli effetti della sua opzione -diventarono piu palesi e piu dirompenti: invasione sfre-
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nata dell'economia straniera; urbanizzazione selvaggia; formazione di una elite musulmana che accumulava i vantaggi della classe dominante tradizionale e quelli della borghesia occidentale; ostentazione dellusso e della spreco da parte dei privilegiati, resi sicuri dall'appoggio delle grandi potenze dell'occidente. L'andamento delle cose rendeva evidente l'incapacita del pensiero occidentale, cosi come l'avevano applicato i fautori della modernita, a dominare i problemi connessi all'incontro tra il fenomeno coloniale e le vecchie societa araboislamiche. Lo scontento popolare non aveva per manifestarsi altri luoghi autorizzati che la moschea, dove l'intransigenza integrista ha un suo naturale dominio. Da questa congiuntura ha tratto vigore l'altro movimento, quello del 'nazionalismo arabo', in cui gli schemi di derivazione occidentale, come quello di patria o di nazione, vengono innestati sul sentimento etnico-religioso congenito all'Islam e in particolare al mondo arabo, che dell'Islam e la piu cospicua espressione socio-culturale. L'Islam non ha mai conosciuto, prima dell'impatto con l' occidente, se non ordinamenti sovranazionali. Trovatosi a dover adottare una organizzazione statale ritagliata sul modello europeo, niente affatto confacente alla tradizionale conformazione della societa musulmana, i nazionalisti hanna tentato di riempire quel modello di contenuti vitali mediante il concetto di patria (alla maniera di Gioberti e di Mazzini), che necessariamente, nella prassi concreta, finisce col valicare il confine giuridico della Stato, per risolversi nel sentimento della nazione (o turca o araba o iraniana), che a sua volta tende, con naturale gravitazione, verso uno 'spazio islamico' da contrapporre all'occidente, inteso anch'esso come blocco unitario. Si tratta, come si vede, di categorie fluide, che variamente oscillano tra le due opposte polarita, quella dello Stato e quello della 'casa dell'Islam', la prima omogenea ai modi d'essere dell' occidente, la seconda omogenea aile latitudini della memoria ancestrale o dell'utopia collocata nel futuro. Di concreto, resta un solo vincolo: la fede coranica con le sue pratiche essenziali. II dramma dell'Islam e proprio in questa impossibilita di darsi una identita funzionale, nel secolo XX, alla logica dell'agire politico, che e irreversibilmente una logica laica, di cui lo stesso Islam a,v- · verte il bisogno, dato che, all'interno del suo perimetro, a condividere il nuovo ruolo politico delle nazioni musulmane, sono molti che hanna spezzato il vincolo religioso o sono addirittura cristiani. Se si mettono in rapporto tra loro il rigetto dell'occidente capitalistico, di cui lo stato d'Israele e come un avamposto nel cuore del mondo arabo, e i fermenti universalistici che mal si adattano al particolarismo nazionalistico, si comprende bene quali siano le matrici del 'socialismo islamico', di cui quello arabo e una sottospecie sorretta da ragibni geografiche ed economiche tutte proprie. II socialismo islamico non parte da una analisi dei rapporti economici, parte dalla convinzione che la fede islamica possiede in se tutti i principi necessari a dar vita ad una societa autenticamente ugualitaria, gia sperimentata in un mitico passato. L'ingiustizia sociale non ha ragioni economiche, rna eticogiuridiche. Per questa la fede in Dio e un punta fermo del socialismo islamico, che, in coerenza con la sua impostazione, rifiuta, come I'analisi, cosi !a prassi della latta di classe. Partendo da queste premesse, valide per tutto !'Islam, ha preso una sua forma specifica, in questi ultimi decenni, il 'socialismo arabo'. che ha a suo
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vantaggio precise realizzazioni. Socialista, in questa senso, e stato il regime di Abad al-Nasir (Nasser), presidente dell'Egitto dal 1954 al 1970. Esso prevedeva la proprieta privata e la Iibera iniziativa (non per nulla Maometto era una mercante), rna, in conformita al Carano che parla di proprieta collettiva della terra e dell'acqua, i mezzi di produzione volti a garantire il benessere pubblico vengono affidati alla comunita, che per Nasser si identificava con lo Stato. Analogo e il socialismo perseguito, in Siria e in Iraq, dal partito Bath, fondato dal cristiano-arabo Michel Aflaq: «II socialismo, egli ha scritto, e per noi un mezzo importante per la nostra condizione spirituale e i nostri bisogni. Non puo essere la filosofia primaria o il punto privilegiato per tutti gli aspetti della vita». Le finalita universali del socialismo non vengono affidate alla classe operaia, rna alla 'nazione araba' nella sua totalita, in contrapposizione all'arabismo egiziano di Nasser. Piu originale, e sicuramente piu radicale, e il socialismo libico attuato dal colonnello Gheddafi, che ne ha esposto il programma nel suo famoso Libro verde. Egli contesta la burocrazia statale, attuata da Nasser e prevista dal partito Bath, a vantaggio di uno 'Stato partecipato', in cui, respinto il sistema della delega, le decisioni vengono prese direttamente dal popolo in forma di plebiscita. Le finalita rivoluzionarie del socialismo libico non accettano, come loro orizzonte, il mondo arabo: esse investono l'umanita intera, proponendosi come unica via per uscire fuori dalla alternativa tra capitalismo e comunismo, nella cui attuale impraticabilita il Nord del pianeta sconta la sua scelta di fondo, il primato dell' homo oeconomicus. E almena su questa, nella den uncia del materialism a occidentale, i 'socialismi reali' di matrice islamica si trovano in perfetto accordo. Perfino i nuclei marxisti, che avevano tentato- di organizzarsi, nel mondo arabo, sulla base dell'ideologia laica e scientifica in vigore nell'occidente o nell'Unione sovietica, per non essere tagliati fuori da ogni rapporto con le masse, hanno dovuto rivedere il loro atteggiamento nei confronti della religione, rivelatasi, alla prova dei fatti, come J'unica trincea di resistenza e come l'unica forza. propulsiva antimperialistica. Se si tien conto che l'Islam rappresenta, nella dialettica planetaria che prepara il futuro dell'umanita, la frontiera a cui fa capo il settore preponderante del Terzo Mondo, e se si tien conto che il luogo di verifica della validita delle ideologie e pur sempre la prassi, non ci si puo sottrarre alla conclusione che le premesse antropologiche della cultura elaborata in occidente hanno rivelato, a contatto con questa immenso continente spirituale, una loro forse non superabile relativita. 18.6 Le vie autonome del pensiero critico. A una conclusione del genere la razionalita occidentale e giunta, d'altronde, in modo autonomo, semplicemente col tener vivo, all'interno dei propri processi conoscitivi e nei confronti delle proprie produzioni teoriche, il principia critico. La crisi dell'occidente e un tema che I'occidente ha posto a se stesso; esso ha prodotto, anche in sede filosofica, i dogmi e la distruzione dei dogmi, ha ceduto i diritti della ragione alle esigenze della pratica politica e ha svelato queste degenerazioni ideologiche della ragione mettendone allo scoperto i meccanismi. Nei confronti dell'occidente, l' Islam puo, al piu, rivendicare una straordinaria capacita di resistenza,
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rna i problemi posti dalle condizioni attuali dell'umanita e dagli stessi processi di trasformazione industriale, che stanno disgregando la vecchia societa ll}Usulmana, non hanna ancora incontrato, al suo interno, una risposta che non sia quella, ripetitiva e sterile, della 'ragione islamica', rna quella della 'ragione critica'. In linea di principia, e possibile che quei problemi debbano essere risolti in modo diverso da come sono stati risolti in occidente: il fallimento delle ideologie che dall'occic:lente hanna mutuato i paesi arabi, il nazionalismo e il socialismo, rimanda perentoriamente a tale possibilita. Ma allo stato attuale, essa e poco pili che un'ipotesi. In occidente, la dinamica della societa si esprime in tre campi distinti: il politico, l'intellettuale e il religioso; nell'Islam, i due primi ambiti non hanna raggiunto nessuna autonomia e si rassegnano a trovare la propria legittimita nel terzo, il cui compito strutturale e di stabilire, in funzione di se stesso, cio che e pensabile e cio che non lo e. E' la Moschea che detta Iegge all'Universita e al Palazzo. La Moschea non puo consentire che Ia religione diventi una dimensione della totalita sociale: essa e la totalita, proprio come avveniva in occidente durante il regime di cristianita. In questi ultimi decenni, tale gerarchia sacrale e messa in crisi dalla crescita, in seno alia societa musulmana, di una classe media, che sta tra il popolo, ancora polarizzato dalla Moschea, e il Palazzo del potere. Essa e il prodotto della trasformazione industriale ed e costretta a fame valere tutte le esigenze, sempre pili dirompenti nei confronti del vecchio ordine. Gli scambi culturali internazionali, che vanno di pari passo con quelli politici ed economici, modificano le strutture che avevano consentito all'Islam di avvertirsi come un sistema autosufficiente, chiuso ed esclusivo. Un sistema del genere non puo pili reggere. E difatti, le ricerche storiche, scientifiche e filologiche alimentano, all'interno dell'Islam, un processo che assomiglia a quello del nostro illuminismo. Il problema che sta facendosi strada nella elite culturale musulmana e questa: puo una tradizione basata sul Carano far fronte, in modo non dommatico, a questa congiuntura totalmente nuova? La risposta al problema, quando si voglia restare nel quadro dell'ortodossia, dipende dal ruolo che si da, nella lettura del Carano, alia interpretazione (Jitihad), che e sempre stata intesa come un retto modo di applicare Ia Iegge coranica aile situazioni storiche. Secondo molti storici, Ia decadenza dell'Islam e dovuta, appunto, alia 'chiusura dell'interpretazione', imposta d'arbitrio dagli uomini di potere. Secondo l'espressione di Mohammed Iqbal, «il principia del movimento nel pensiero islamico e l'interpretazione», non affidata ad una autorita infallibile, rna al credente, con e nella comunita. La Legge (sharia) a cui l'interpretazione si riferisce non e ne il Carano letteralmente ass unto ne Ia Sunna, cio~ Ia tradizione stabilita all' eta del Profeta, e piuttosto lo spirito. tbe fa del Carano e della Sunna una totalita vitale e dinamica, che lascia alla ragione 'interpretante' tutta la sua autonomia. Un'autonomia, peraltro, che non ha nulla a che fare con l'individualismo occidentale, il cui ultimo sbocco e stato il fallimento stesso della filosofia. Alla luce della Legge coranica, l'uomo autentico e orientato verso una duplice trascendenza: quella della comunita sul singolo e quella di Dio sulla comunita. Una trascendenza, in ambo i casi, attiva, aperta sul futuro del mondo e comprensiva di tutto cio che nel mondo ha sviluppato ii 'patto primordiale' tra Dio e l'umanita. L'Islam non e una religione accanto o contro le altre: esso riconosce
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interno all'Islam tutto cio che l'umanita ha fatto in conformita alia giustizia e alla crescita dell'uomo. Liberato dal gravame che nel suo seno aveva prodotto la 'chiusura dell'interpretazione', l'Islam ritrova la sua vitalita critica e creativa. Cosi pensano molti, e non solo all'interno del mondo musulmano. Il fascino dell'Islam si sta irradiando anche nei ceti intellettuali d'occidente. Ha destato rumore il caso di Roger Garaudy (15.5), il filosofo marxista diventato musulmano nel 1984, nella convinzione di non aver rinnegato nulla del suo passato, ne il suo marxismo ne la sua successiva professione di fede cristiana. Nella Biografia del sec. XX (1985), egli scrive: La vocazione di tutta la mia vita fu di ricercare il punta in cui l'atto di creazione artistica, l'azione politica, l'atto di fede non fanno che una sola cosa. Ho trovato nell'Islam una fede che e, nella stesso tempo, una religione di bellezza e una morale dell'azione. Io sono entrato senza nulla aver rinnegato di cio che nella mia vita aveva apportato Gesu, data che egli e, nel Carano, profeta dell'Islam, ne di cio che il marxismo mi aveva insegnato per analizzare le nostre societa e per agire efficacemente in esse, data che la fede musulmana non esclude nessuna scienza e nessuna tecnica, rna al contrario le integra e le situa nella via di Dio. Il Profeta amava dire: «ricercate la scienza, fosse pure in Cina)). L'Islam mi appare, dunque, nella mia vita non come una rottura rna come un completamento.
Garaudy sa di non essere un musulmano isolato, dichiara, anzi, che 1a sua fede islamica lo pone nel crocevia di tutte le forze vive che tendono verso l'unita delle civilta. Che dentro la stessa cittadella della tradizione islamica la sua posizione trovi largo consenso, lo dimostra il fatto che, nel 1985, egli e stato chiamato all'universita egiziana di al-Azhar per tenervi il discorso di celebrazione del primo millennia.
· L'India contemporanea 18.7 La duplice memoria. Se si prescinde dai viaggi dei missionari, come Giovanni da Pian del Carpine, e dei mercanti, come Marco Polo, !'Europa arrivo in India con Vasco de Gama, sbarcato a Calcutta nel 1498. Dietro di lui arriveranno, doppiando il Capo di Buona Speranza, i portogh~si, che finiranno . col ritagliarsi sulla costa occidentale della penisola la base territoriale di Goa (161 0). Dopo un secolo, quella delle In die orientali era gia diventata la via preferita dalle grandi Compagnie commerciali inglese (1600), olandese (1602) e francese (1664), tutte sostenute dai rispettivi Stati e dotate di contingenti militari. L'India fu ben presto stretta dentro le maglie di basi commerciali europee e, secondo la logica del capitalismo mercantile, si trasformo in campo di battaglia, in cui toccava agli eserciti decidere del predominio dell'una o dell'altra potenza. L'egemonia inglese sui mari, alia meta del Settecento, era diventata tale da rendere scontato l'esito di quei conflitti: nel 1757 il Bengala era nelle mani di Clive, della East India Company. Cosi comincio il dominio politico inglese, che si ando estendendo a spese
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della Francia. Un secolo dopo, l'India, abolita la East Company e gli ultimi relitti dell'impero Mogol, e gia, a tutti gli effetti, una colonia della Regina Vittqria, che il 1 gennaio 1877 viene proclamata 'imperatrice delle Indie'. Nei progetti dell'Inghilterra c' era Ia piena integrazione del mondo indu nella civilta occidentale e cristiana. Ben presto, tra un indiano e un inglese non ci sarebbe stata altra differenza che quella del colore della pelle: era la convinzione del barone Thqmas Macaulay, membro del Consiglio delle Indie dal 1834 al 1838, che mise in atto un piano educativo con l'intento di occidentalizzare, nel giro di poche generazioni, gli ambienti alti dell'induismo e successivamente l'intera societa indigena. Tutto sembrava andare nel senso previsto dall'illuminato riformatore. La lingua inglese divenne, in un paese frantumato in centinaia di lingue diverse, lo strumento di comunicazione fra i ceti colti dell'intera penisola. L'unificazione strutturale (si pensi soltanto aHa rete ferroviaria) e amministrativa, anche per merito della laicita delle leggi e della cultura politica del personale inglese, offri all'anima religiosa dell'India un corpo misurato su se stessa e, a sua volta, il processo di unificazione politico-amministrativa trovo vantaggio nella preesistente unita religiosa del paese, con l'unica ecc·ezione della massiccia presenza (un quarto della popolazione) della componente islamica. In un primo momenta, l'ipotesi dell'integrazione sembro vincente. La coscienza indu rimase come sopraffatta dinanzi ad una cultura tanto piu raffinata e, per di piu, omogenea a quei ritrovati i cui vantaggi erano sotto gli occhi di tutti. Oltretutto, mancava alla tradizione indu ogni sentimento nazionalistico: la fierezza britannica, accompagnata, per lo piu, dalle forme della tolleranza, aveva presa sullo spirito indu, che si sentiva rispetiato nei suoi valori irrinunciabili. Avvenne allora qualcosa di eccezionale, che merita di essere sottolineato, perche forse senza precedenti nella storia della cultura: !'interesse degli scienziati e dei filosofi inglesi e occidentali per il patrimonio culturale del subcontinente servi a risvegliare nell'India, quasi a conforto della propria umiliazione politica, la coscienza di se stessa. Nei precedenti contatti con l'occidente, connessi alla presenza dell'Islam, del cristianesimo missionario e dei portoghesi, quel patrimonio religioso e filosofico, gelosamente custodito dai brahmani, non era mai stato oggetto di curiosita, sia per le prevenzioni settarie degli ospiti, portatori di una loro verita, sia per la inaccessibilita tecnica di testi scritti in sanscrito. Circondati da un alone sacro, questi scritti servivano o per i riti liturgici o per i commenti delle varie scuole filosofiche indigene. Ora, per la prima volta, essi venivano decifrati e sottoposti a vaglio critico da uomini colmi di rispetto e di ammirazione. Nel con tempo, l' elite indiana, in conformita al programma del Consiglio delle Indie, andava prendendo contatto con i pensatori occidentali, prima in patria e poi nelle universita d'Inghilterra, dato che nessun indigeno poteva avere accesso a qualsiasi incarico se non aveva fatto i suoi studi nella lontana 'madrepatria'. E cosi prese l'avvio la formazione di una 'nuova India', che ha la prerogativa, probabilmente unica, di una duplice memoria, quella che la riconduce al suo passato, dalle sterminate dimensioni, e quella che la conduce al passato dell'occidente, quasi fosse anch'esso, in certa misura, parte integrante della
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propria storia. Alia base del rinnovamento spirituale dell'India, c'e sicuramente la possibilita di stabilire confronti, ed eventualmente conciliazioni, tra la propria identita, arricchita di una piu netta determinazione, e l'identita di un altro continente spirituale, la cui superiorita sembrava dimostrata, allora, dagli effetti economici e politici della rivoluzione industriale. 18.8 II rltorno ai Veda. Alle origini di questo nuovo tempo dell'India c'e il brahmano bengalese Ram Mohan Ray (1772-1833). Educato ad una rigida fede induista, fu spinto dallo spettacolo della disgregazione religiosa e morale del paese (l'intoccabilita, la sacra prostituzione, il matrimonio dei bambini, la segregazione delle donne) a tentare una riforma dell'induismo non sulle basi dell'intransigenza, rna piuttosto sulla armonizzazione sia con le religioni concorrenti, sia con la cultura europea, che, data la sua padronanza delle lingue, egli pote conoscere direttamente sui testi classici e moderni. A questa scopo dette vita, nel 1828, ad una associazione detta Brahma-Samaj ('societa divina'), che ha avuto il merito di tenere vivo il dibattito fra le religioni e le filosofie nei centri piu importanti del paese, come Bombay, Madras e Calcutta. Per avere un punto di riferimento induista capace di reggere il confronto con i testi delle due religioni monoteistiche e i principali filosofi dell'occidente, Ray adotto le opere piu significative del Vedanta (una delle scuole classiche indiane, che si distingueva dalle altre per la sua impostazione metafisica, 1.7.26) e, fra i testi sacri, le Upanishad e la Bhagavad Gita. Forte di questo retroterra, egli studio sugli originali il Corano e il Nuovo Testamento. D'altronde, in base al suo principia fondamentale dell'unita di tutte le religioni, egli si considerava cristiano, senza pregiudizio per la sua fedelta all'induismo. Spogliando la figura di Cristo da ogni struttura confessionale, riconosceva nel suo insegnamento morale il momenta piu alto della rivelazione di Dio agli uomini. Di piu, Cristo era, ai suoi occhi, il vero Messia, il piu grande dei profeti, che con la santita della sua vita e con la sua crocifissione ha additato a tutti gli uomini la via piu sicura della santificaziohe. Ma come si opponeva al Vedanta di Shankara (!.10.14), viziato, ai suoi occhi, da un troppo rigido monismo, che annullava la distinzione tra Dio e mondo e la sostanzialita delle anime individuali, cosi rigettava la Trinita cristiana, in nome del monoteismo. Con questa liberta di atteggiamento, in cui si esprimeva la sua convinzione che la verita divina trascende tutte le ortodossie, Ray ha impressa all'induismo contemporaneo un orientamento duratum, anche perche il suo universalismo passava attraverso un di piu di fedelta alle sorgenti della tradizione induista. E' bene dire, comunque, che non sempre il ritorno alla tradizione induista si sarebbe tradotto nella disponibilita alla comprensione delle religioni e delle filosofie di altra provenienza. Nel 1875, in contrapposizione al Brahma-Samaj di Ram Mohan Ray, e cioe con obiettivi etnico-nazionalistici, Dayananda Sarasvati (1824-1883) fonda l'Arya-Samaj con il motto 'ritorniamo ai Veda'. Anche per lui l'essenza dell'induismo e nel Vedanta, rna nel senso che tutto cio che di valido potrebbe essere offerto dall'Islam o dal cristianesimo o dalla cultura occidentale (perfino la scienza e la tecnica, dalla ferrovia all'elettricita) e gia contenuto nei testi sacri che l'India ha ereditato dal passato. L'intransigenza di cui Sarasvati fu maestro non e mai venuta meno, in India, neanche dopo la lunga
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e straordinaria lezione gandhiana. Sui presupposti della dottrina dell'AryaSamaj fu fondata, nel 1925, l'associazione nazionalistica detta RSS, che mirava a suscitare il culto della razza indu e dei suoi eroi, un culto ch~ la espose al contagio del nazismo. I suoi adepti (fu uno di loro ad assassinare Gandhi, nel 1948) vengono educati all'etica nazionalista mediante esercitazioni sportive e militari orientate all'efficienza e all'incorruttibilita. La violenza nazionalistica dell'Arya Samaj diventa internazionalistica nel movimento di Anand Marg (diffuso in 83 paesi), che, sul presupposto di una Iotta radicale al comunismo, promuove la violenza come metodo di emancipazione dell'umanita, il cui governo dovra essere affidato a dei saggi e la cui educazione dovra basarsi sulle tecniche yoga. Ma la storia significativa dell'India filosofica e religiosa si e svolta, nell' eta contemporanea, a partire dall'opzione di Ram Mohan Ray: nel nucleo speculativo dei libri vedici, e soprattutto nella interpretazione che ne ha dato la scuola del Vedanta, splende una tale universalita da rendere possibile l'accoglimento di ogni altra 'verita', sotto qualsiasi cielo essa sia maturata. ·Ad incarnare nella vita, piu ancora che nel pensiero, questa intuizione fondativa dell'India d'oggi fu Ramakrishna·.
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l Gadadhar Chatterji, nota come Ramakrishna (e il nome che gli viene data nel momenta della sua iniziazione ascetica) nasce in un villaggio del Bengala, nel 1836: suo padre, un pio mil povero brahmano, durante un pellegrinaggio riceve in sogno la rivelazione che gli sarebbe nato un figlio, incarnazione di Dio; la moglie, nella stesso momenta, ha Ia stessa rivelazione. I suoi fedeli riterranno infatti Ramakrishna una incarnazione (avatara) di Vishnu. A 19 anni, accetta di diventare sacerdote nel tempio della dea Kali, la Madre, a cui sara dedito, per tutta Ia vita, con l'intensita e nei modi con cui certi cattolici vivono il culto di Maria. Il suo entusiasmo per Ia Madre diventa un impulso che gli suggerisce comportamenti stravaganti. Per arginare la sua esaltazione religiosa, i suoi gli fanno contrarre matrimonio, com 'era nel costume, con una bambina di sei anni, che egli coinvolge nel suo impegno monacale, tanto che essa, sopravvissutagli, diverrd. una zelante testimone del suo messaggio. Si ritira in una foresta, dove i discepoli si affollano attorno a lui, assoggettandosi alia sua vita severa e povera. Sigettando le distinzioni di casta, compie i lavori umili riservati ai paria e si ciba dei rifiuti dei mendicanti. Dopa aver seguito l'insegnamento di guru di diversa tendenza, trova appagamento nella dottrina del Vedanta, secondo Ia linea monistica (advaita), che insegna Ia sostanziale identita tra Dio e !'anima. Permo su questa radice, asseconda pero Ia sua sete di conoscenza col mettersi a scuola, prima da un musulmano, e poi del Vangelo. Meditando sulla figura di Ges~{, ha una visione cosi sconvolgente, che per piu giorni non parla d'altro che dell'amore di Cristo. Muore nel 1886, durante uno stato di estasi, con accanto il discepolo ed erede della sua missione, Vivekananda.
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La peregrinazione spirituale di Ramakrishna (induista, musulmano, cnstiano) traduce nellp pluralita delle scelte una intuizione fondamentale: prese nella loro essenza e nella fede sincera dei loro credenti, tutte le religioni sono vere. Una simile legittimazione della diversita trova iL suo schema filosofico nella stessa tradizione del Vedanta, che comporta tre fondamentali orientamenti: il dualismo, il monismo mitigato e il monismo assoluto. Secondo Ramakrishna, essi vanno intesi come tappe distinte sulla via che conduce alla suprema verita, ciascuna delle quali e la prospettiva che meglio risponde al punto di vista di distinte categorie di individui. Per la generalita degli uomini, ancora dominati dai sensi, la forma dualistica delle religioni, con il loro corredo di simboli, di immagini e di canti, e utile. L'intelletto, una volta libero dal gravame dei sensi, puo giungere fino al monismo mitigato: esso sa che, al di la del Dio espresso nei simboli e nei concetti, c'e una dimensione ulteriore, rna non e in grado di realizzarla, perche essa si identifica con l'Assoluto senza forma, inesprimibile, di cui solo la disciplina ascetica, che fa a meno dei mezzi logici, sia della parola che della mente, puo dare il presentimento. E' la disciplina ascetica che rende possibile I'even to supremo, I'estasi (samadhz), in cui si coglie direttamente l'Assoluto, o meglio si resta totalmente assorbiti dalla sua santita inesprimibile, dove ogni differenziazione scompare. Ma quando dalla totale unione con Dio rientra nel piano ordinaria della vita, !'anima e costretta a riprendere !'involucra del suo 'io differenziato', dinanzi al quale torna ad essere reale anche la natura (Maya). Di qui il doppio volto della natura: in quanto e una sola cosa con l'Assoluto, essa e; in quanto e differenziata, essa non e. II che non vuol dire che nell'Assoluto tutto si annulla. Chi supera lo stato della coscienza individuale, prende contatto con Dio, lo vede dal di dentro e dal di fuori. Dal di dentro, Egli e l'Assoluto indifferenziato, dal di fuori, e l'origine di ogni differenziazione, principio che irradia da se sia I' ordine spirituale che quello naturale. n momenta in cui il contemplativo si libra al di sopra delle differenze (Dio, anima, mondo) senza annullarle, anzi cogliendole nelloro principio unitario, e appunto quello dell'estasi, un'esperienza che in Ramakrishna era frequentissima: nel 1865 egli rimase per sei mesi in uno stato catalettico, uscito dal quale confesso di aver tentato Dio e sconsiglio vivamente i suoi discepoli dal cimentarsi in una prova cosi sconvolgente. II san Paolo di questo messia del Ben gala fu Vivekananda ( 1862-1902), nome ascetico di Narendra Nath Dutt, che aveva incontrato Ramakrishna nel 1881. Fu lui, scrive con enfasi Romain Rolland, appassionato biografo sia del messia che del suo discepolo, «a fondare la chiesa e la sua dottrina», fu lui «l'acquedotto attraverso il quale il flusso dello spirito si e riversato dall'India negli europei e dagl( europe! nell'India, coniugando la ragione scientifica alla fede vedantica, il passato all'avvenire». L'ora della celebrita internazionale venne, per Vivekananda, I'll settembre 1893, durante il 'Congresso delle Religioni' tenutosi a Chicago. II Congresso rimase sedotto dal linguaggio ispirato di questo giovane monaco dalla figura atletica e dagli occhi radiosi. II tema che egli espose in ripetuti interventi fu quello del suo maestro, sulla 'religione universale': Offrite questa religione a] mondo e tutte le nazioni del mondo vi seguiranno. II concilio di Asoka (!.6.21) era quello della fede buddista. II concilio di Akbar (II.13.4) non era che un'accademia da salotto. E' stato riservato al-
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l'America di proclamare all'intero globo che il divino e in tutte le religioni. Possa ispirarvi colui che e il Brahman degli indu, l'Ahura Mazda degli zoroastriani, il Buddha dei buddisti, lo Jahve degli ebrei, il Padre celeste dei cristiani ... II cristiano non deve diventare buddista o induista. Ne l'induista e il buddista, cristiano. Ciascuno deve assimilare lo spirito degli altri, senza cessare di conservare il proprio individualismo e di crescere secondo le leggi sue proprie ... Sulla bandiera delle religioni sara scritto ben presto 'aiuto reciproco e non conflitto, mutua penetrazione e non distruzione Armonia e pace e non sterili discussioni'.
L' ecumenismo di Vivekananda si estendeva dalle religioni alle culture. Egli vedeva nell'India e nell'Europa «due organismi in piena giovinezza, due grandi esperienze della vita, delle quali ne l'una ne l'altra sono ancora mature e complete». II progresso materiale dell'occidente non aveva su lui nessuna presa. «La vita sociale, in occidente, e come un scoppio di risa: sotto c'e il gemito». Nell'India invece «l'esterno e triste o malinconico, rna sotto c'e Ia serenita e Ia gaiezza». Non ci e possibile qui trattenerci sugli sviluppi teorici che Vivekananda ha dato a questa complementarieta dei due mondi, nella· quale egli faceva rientrare anche le corrispondenze tra la scienza occidentale e i testi antichi del Vedanta. Geniale organizzatore, dette vita alla 'missione Ramakrishna', con filiali in tutto il mondo, specie negli Stati Uniti, allo scopo di diffondere l'insegnamento del maestro, tradotto da lui in un linguaggio piu razionale e piu dialettico. Si deve a questa sua geniale mediazione se l'induismo entro a far parte dell'umanit~rismo del mondo anglosassone. Basti pensare a William James (11.6). 18.9 L'armonia tra i due mondi. L'idea che tra !'oriente indiana e l'occidente, soprattutto attraverso la mediazione della cultura inglese, potesse darsi una conciliazione feconda per l'uno e per l'altro ebbe particolare fortuna negli ultimi decenni del secolo scorso e i primi del nostro, anche perche costituiva Ia premessa delle prime iniziative del risorgimento politico dell'India. Molta influenza ebbe, in questa senso, nonostante la sua storia movimentata e non priva di episodi oscuri e di protagonisti ambigui, la Societa teosofica, fondata nel 1875 negli Stati Uniti dal colonnello Henry Steele Olcott e dalla medium russa Helena Petrovna Blavatski (1831-1891), che proprio in quell'anno aveva pubblicato un'opera caotica e delirante, /side svelata, in cui la Societa riconobbe il suo programma. Trapiantata tre anni dopo in India, nei pressi di Madras, la Societa, sotto la guida della moglie di un pastore protestante inglese, Annie Besant, si propose come obiettivo Ia riconciliazione tra la tradizione induista e le esigenze di progresso suscitate dalla presenza dell'occidente. Con questa programma, la Societa ebbe molta incidenza negli ambienti piu evoluti dell'India (nel suo ambito si e formato Jiddu Krishnamurti, nato nel 1897 e morto nel 1986, che, insediatosi in California, e stato uno straordinario divulgatore dell'induismo), contribuendo a creare la piattaforma ideologica dell'organo politico della emancipazione indiana, il Congresso, fondato nel 1885. Prima di trovare il suo ispiratore carismatico in Gandhi, il Congresso era dominato dal fascino dei valori culturali e politici rappresentati dall'Inghilterra.
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Ma pian piano, e cioe man mano che si andava formando una classe colta indigena, cominciarono a pesare certe norme dell'amministrazione coloniale, come quella che escludeva dagli alti gradi amministrativi chiunque non avesse fatto i suoi studi a Londra, o come quella che sottraeva il cittadino britannica ai giudici indiani. Quando venne fatta la proposta, del tutto ragionevole, di abolire quest'ultimo privilegio, l'Inghilterra fu attraversata da un'ondata razzistica, che porto nuovo alimento al nazionalismo indiano, i cui toni erano gia, a partire dagli inizi del secolo, alti e minacciosi. Fu merito di Gandhi se il nazionalismo indiano riusci, nel primo dopoguerra, ad evitare le vie della violenza. Ma non fu solo Gandhi ad imprimere al nazionalismo indiano la ripugnanza per la violenza e un idealismo morale cosi forte da sgretolare, al livello delle coscienze, le fondamenta stessa dell'ideologia colonialistica. E' proprio a questo livello che l'India e riuscita a sconfiggere la convinzione che solo il pensiero occidentale ha condotto l'uomo alla coscienza universale di se e che questa universalita richiede, come suo organo necessaria, quel tipo di ragione che ha avuto la verifica della sua efficacia nelle scoperte della scienza. In India, l'occidente si e trovato dinanzi all"altro' da se, e l"altro' non ha reagito chiudendosi in se, rna facendo della nuova presenza l' occasione e lo stimolo per ritrovare, nella propria memoria, un'identita divenuta frantumata e opaca. Di piu: attingendo a questa identita, l"altro' non si e preso cura solo di se rna dell'uomo come tale, al di la di ogni divisione geografica, religiosa e ideologica. Quando, nel 1913, il premio Nobel per la letteratura venne conferito a Rabindranath Tagore (1861-1941), fu come se tra i due mondi fosse avvenuto il reciproco riconoscimento. Il padre di Tagore, che aveva responsabilita direttive nel Brahma-Samaj di Ram Mohan Ray, aveva nutrito all'ideale universalistico del Maestro i suoi quindici figli. Rabindranatah era il penultimo. Trasformando il suo temperamento poetico in missione religiosa, egli trasfuse la metafisica vedantica in una vasta produzione lirica (scrisse circa 300.000 versi), il cui fascino proviene, piu che dalla mescolanza dei profumi dell'oriente con quelli dell'occidente, da un linguaggio simbolico dalle arcane trasparenze, attinto nelle altezze transculturali dell' esperienza mistica. Viaggio molto nei paesi occidentali, infrapponendo ai viaggi lunghi periodi di solitudine. Un tratto della sua vita e appunto un attento dosaggio tra rapporti attivi con la cultura mondiale e ascesi contemplativa, tra impegno politico, in seno al movimento nazionalistico, e magistero morale, ispirato a dimensioni umanitarie. Fonda, a tale scopo, nei pressi di Calcutta, una specie di universita panindiana, chiamata 'Soggiomo della pace', appunto per l'ideale conciliativo a cui si ispirava. Tagore non e propriamente un filosofo, e tuttavia le sue poesie (cosi come i suoi racconti e le sue composizioni teatrali) rivelano in filigrana una visione metafisica desunta dal Vedanta monistico, combinato pero, come aveva fatto Ramakrishna, con un teismo dalle ricche assonanze cristiane. Dio e, insieme, impersonale e personale, rna questo secondo aspetto sovrasta il primo ed e l'aspetto correlativo all'anima dell'uomo, anch'essa personale ed eterna. Ricollegandosi alla tradizione vishnuitica (Il.l3.7), egli vede la creazione di Dio come l'espressione del suo supremo gioco: l'universo e come una sinfonia, a cui J'uomo trova accesso quando da libero corso alla sua gioia profonda, diventando, anzi, egli stesso creatore col suo Dio, al momento in cui si abbandona
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all'estro dell'arte. Allora trova espressione in lui la stessa corrente vitale che, proveniente da Dio, pervade l'universo per farsi presente in ogni uomo, non in quanta corpo e psiche, segni della sua finitezza, rna in quanta spirito. Per questa la poesia, come l'unione mistica, fa trasparire agli occhi di tutti gli uomini la gioiosa essenza divina da cui prorompe la molteplicita degli esseri. Ma il filosofo in cui l'incontro tra oriente e occidente avvenne in modo programmatico, a partire da una conoscenza diretta e profonda delle due culture, e Aurobindo • il rnassimo pensatore indiana contemporaneo. C'e chi lo ha accostato a Hegel, perche nella sua dottrina dell'evoluzione universale egli ingloba sia la natura che lo spirito, e fa di ogni momenta finito un'espressione dell'Assoluto. Ma in realta, il luogo in cui la dinamica si adempie resta, per Aurobindo, l'esperienza individuale, per quanta sollevata al di sopra degli orizzonti dell'ego: i ritmi del divenire - dalla materia primordiale alia vita, dalla vita all'attivita mentale propria dell'uomo, dall'attivita mentale allo stadia 'sopramentale' in cui vivra l'umanita del futuro - si scandiscono dentro un itinerario che tocca all'individuo percorrere e controllare, e che non ha la sua ultima tappa nella comprensione concettuale del mondo, rna nella illuminazione, e cioe in un evento transconcettuale in cui, come in una seconda nascita, l'uomo nella sua totalita - corpo, psiche, intelletto - e investito dal dinamismo divino. Il 'superuomo' di Aurobindo, invece che il prodotto e lo strumento della volonta di potenza, ha la compiuta realizzazione nel dono di se, mediante il quale si attua sulla terra la 'citta di Dio'. L'elemento occidentale di questa prospettiva e nella omologazione tra la maya - che nel monismo shankariano e pura illusione e che in Ramakrishna, Aurobindo (pronuncia bengalese del sanscrito Aravinda, 'loto') nasce a Calcutta nel 1872, dal medico Krishnadhan Chose, ammiratore della cultura britannica. La sua biografia sembra tradurre, nei suoi momenti significativi, i momenti della 'sintesi' che e centro della sua dottrina. Educato per volonta del padre in lnghilterra (1879·1893), al riparo da ogni contatto con la cultura indiana (apprese, tra l'altro, anche l'italiano, studiando a fonda Dante e Mazzini), una volta tomato in patria, nel 1892, diviene attivo nel Congresso e si rende canto della necessita di fondare il movimento nazionale sulla ricostruzione di una memoria autonoma, basata sulle tradizioni vediche. Intraprende, allora, uno studio approfondito del patrimonio letterario del suo paese, diventando, da ateo alla maniera occidentale, asceta e mistico, anche se, in un prima tempo, non contrario all'uso della violenza nella strategia nazionalistica. Un .soggiorno in prigione dal1909 a/1910 gli consente di mettere a punta il suo programma. Ritiratosi a Pondichery, vi si stabilisce definitivamente, abbandona ogni attivita pubblica e si dedica, in seno ad una comunita da lui fondata, a costruire la sua visione del mondo, ponendo alla sua base l'ontologia vedantica e integrando in essa Ia concezione evoluzionistica occidentale della natura e della storia. Pubblica i suoi scritti (circa 5000 pagine) nella rivista da lui fondata nel 1914 e diretta fino al 1921, Arya. In seguito, essi saranno raccolti in libri, come La sintesi della Yoga e La vita divina. Muore ne/1950.
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in conformita al vedantismo vishnuita, e una manifestazione di Dio- e l'energia da cui ha _origine Ia trasformazione della natura in forme gerarchicamente distinte. Anche nel profondo della materia riluce un qualche barlume di coscienza, cosi come nello stato sopramentale anche la materia entra nella luce di Dio. Potremmo rievocare qui, piu che la fenomenologia di Hegel, l'evoluzione cristiana di Teilhard de Chardin (9.14). Anche per Aurobindo il tempo none una vuota successione in rapporto alla vita di Dio, e una progressiva emersione dalla materia, di soglia in soglia, fino alla supercoscienza, che unifica in se, quale centro supremo, Ia complessita crescente della realta cosmico-storica. Ma la struttura orizzontale del divenire evoluzionistico, con la sua proiezione in un futuro adempimento, mal si adatta all'impianto vedantico, che nega l'alterita tra Dio e il creato, e considera il divenire come una progressiva degradazione verso il non-essere. Di conseguenza, la scientificita della visione di Aurobindo sembra restare poco piu che formale, senza presa sulla sua ontologia, cosi come le leggi della costruzione della citta del suo 'uomo integrale' si incrociano tutte sostanzialmente nella sfera dello spirito, lasciando nell'irrilevanza l'intero ordine della causalita materiale, che e poi quella in cui ineriscono i rapporti reali dell'uomo sociale, con le loro specifiche dialettiche. Ne deriva che il fulcro del cambiamento del mondo non e nella struttura materiale, rna addirittura nel sopramentale. Resta, comunque, il fatto che con Aurobindo 1'eredita dell'India e entrata, come con nessun altro, nella circolazione del discorso filosofico. Piu avanti di lui, in questa direzione, rna nella sua scia, e andato Sarvepalli Radakrishnan (1888-1975), presidente dell'unione indiana dal 1962 al 1967 e autore di una celebre Storia della filosofia indiana. Capace di maneggiare con familiarita i grandi filosofi dell'occidente e quelli del suo paese, egli fu sostenitore di un idealismo ottimistico, centrato sulla prospettiva di una piena conciliazione tra il mondo e Dio. Come uomo politico di primissimo piano, egli condivideva il principio della laicita sancito dalla Costituzione indiana, rna nel senso che, libero da ogni confessione particolare, lo Stato doveva adoperarsi per promuovere una religione universale.
18.10 II tradizionalismo rivoluzionario. E tuttavia, se I'occidente ha scoperto l'India come un continente affascinante dello spirito, cia non si deve tanto ai pionieri della conciliazione tra induismo e pensiero europeo, quanto all'azione politica di Gandhi·, il vero padre dell'India contemporanea. Il nucleo della sua dottrina della non violenza, che fa di lui un maestro attuale anche per i nostri anni, egli lo espresse, in modo particolarmente conciso e appassionato, dopo l'esplosione della bomba di Hiroshima: E' possibile che io continui ad aver fede nella verita e nella non violenza? La bomba atomica non ha distrutto tale fede? Non soltanto non lo ha fatto, rna anzi mi ha chiaramente dimostrato che Ia verita e Ia non violenza costituiscono Ia forza piu potente del mondo. Di fronte ad essa Ia forza della bomba atomica non puo nulla. Le due forze che si contrappongono sono di natura completamente differente, essendo !'una morale e spirituale e l'altra fisica e materiale. La prima e infinitamente superiore a!la seconda, Ia quale, per Ia sua stessa natura, e una forza finita. La forza dello spirito, a! contra-
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rio, si accresce continuarnente ed e infinita. Nella sua cornpleta espressione essa e invincibile. So che con questo non ho detto nulla di nuovo. Ho soltanto testimonia to I' evidenza. Cosa an cor piu irnportante, questa forza spirituale risiede in tutti gli esseri urnani, uornini, donne e bambini, a prescindere dal colore della pelle. In alcuni e assopita, rna puo essere risvegliata con una adeguata educazione.
C'e dunque, secondo Gandhi, in ogni uomo una verita immanente- «antica come le montagne» egli diceva - ed e che solo la non violenza costruisce, la violenza, non importa se legale o illegale, distrugge sempre, ne puo essere mai veramente distrutta da altra violenza. Contro le semplificazioni di questa dottrina (e tante se ne sono date in occidente), si tenga conto che in Gandhi essa e intrinsecamente connessa al riconoscimento (in cui consiste, a suo giudizio, tutta la filosofia indiana) che «solo Dio e e niente altro esiste». La non violenza (ahimsa: da a privativo e himsa nuocere) none che l'espressione pratica di questa verita, la quale, comunque, non e a fondamento di nessun dommatismo
La straordinaria biografia di Mohandas Karamchand Gandhi, che in certi momenti si identifica con la storia politica del suo paese, e troppo nota, e comunque troppo complessa perche se ne possa rendere canto in modo adeguato in questa sede. Bastera dire che, nato nel 1869, da una famiglia della borghesia amministrativa, nel i888 si reca per ragioni di studio in Inghilterra. I contatti con le espressioni piu alte della cultura occidentale lo conducono subito ad un giudizio radicalmente negativo, non piz~ riformato, sulla civilta industriale che e al massimo della sicurezza di se. Gli insegnamenti del Vangelo, di Rousseau e di Tolstoi lo guidano alia riscoperta del patrimonio spirituale dell1ndia, la cui vera identitd., ai suoi occhi, non e quella delle speculazioni filosofiche, ma quella della contemplazione religiosa quale si esprime nella Bhagavad Gita. Divenuto avvocato, accetta, nel 1893, di esercitare Ia sua professione fra gli indiani emigrati nell'Africa del Sud: un sottoproletariato alla merce di un potere politico gia allora ispirato ad un crudo razzismo. E' qui che Gandhi scopre la sua missione di agitatore politico e melle a punta le idee essenziali della sua dottrina. Tornato in India nel 1914, inizia la mobilitazione del popolo per la Iotta non violenta contra il dominio inglese, ma anche contra le ingiustizie derivate alla societd indiana da tradizioni superstiziose, prima fra tulle quella che sancisce l'emarginazione degli intoccabili. Per opera sua il Congresso imbocca, nell'azione politica, la via della intransigente affermazione dell'identitd indiana, abbandonando i compromessi con la cultura occidentale. Il nerbo della Iotta diventano le masse, specie dei villaggi di campagna, conquistati da Gandhi al culto della Madre India e alia spiritualita della non violenza. Dopa !'ultima guerra, l1ndia otriene l'indipendenza (1948) ma nella stesso momenta si frantuma, contra la volontd di Gandhi, in due tronconi, quello indz'< e quello musulmano. Esplodono i fanatismi religiosi da ambo le parti e Ghandi ne viene travolto: muore ucciso da un fanatica i/30 gennaio 1948.
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religioso, perche l'affermazione 'Dio e verita' Gandhi amava capovolgerla nell'altra: 'la verita e Dio'. Come dire: chiunque riscopre in se la non violenza e le e fedele, scopre Dio e lo adora, anche se non avesse, per ipotesi, una sua confessione religiosa. Proprio perche radicata in questa verita immanente, la non violenza e all'opposto della pura passivita, in quanto sprigiona da se una forza di straordinaria potenza, che Gandhi chiama Satyagrapha ('costrizione della verita', o, come altri traduce, 'rivendicazione civica del vero'), Egli si e sempre preoccupato di dissipare il sospetto che la non violenza fosse un riflesso dell'impotenza. «Astenersi dal punire non e perdono che quando si hail potere di punire». La non violenza ha come condizione preliminare il potere di colpire. E' il superamento cosciente e deliberato del desiderio di vendetta che si prova spontaneamene. La vendetta e sempre superiore alia sottomissione passiva, effeminata, rna la vendetta e anch'essa una debolezza.
La posta in gioco di ogni conflitto, individuale e collettivo, non e la vittoria dell'uno sull'altro, e la salvezza della verita. Di qui, una dialettica di nuovo tipo, che non ha nulla a che fare con quella inerente alla necessita storica, analizzata da Hegel e da Marx, perche e una dialettica della liberta, il cui obiettivo non e di prevalere sull'avversario, rna di condurlo a prendere coscienza delle proprie responsabilita. La tecnica del boicottaggio, della non collaborazione, della disobbedienza civile, mira a mettere l'avversario nelle condizioni di riconoscersi complice o artefice di iniquita e quindi di rimettere in moto quel margine di liberta che ancora sopravvive in lui. E' cosi che la verita oggettiva riemerge dall'oblio o dalla inibizione e crea, con la sua stessa forza, il clima del dialogo e dell'intesa. Ma, e bene ripeterlo, questa tecnica non puo mai essere separata dalle qualita soggettive di chi la esercita, che si assommano in un severo dominio di se, in cui rientrano la poverta, anche esteriore, il digiuno, la continenza, la preghiera. Solo allora si e in grado di affrontare fino in fondo una strategia che richiede, di sua natura, la disposizione a immergersi totaln1ente nel rischio, con la certezza chela sconfitta potrebbe significare la vera vittoria. Proprio nel momento in cui Lenin metteva in opera la rivoluzione violenta, Gandhi avviava la sua. Due diversi orizzonti storici, due diverse rivoluzioni. Non ha senso domandarsi qual e la migliore, perche la risposta non puo che passare attraverso l'analisi dei contesti storici. Ha senso, invece, domandarsi se il contesto unitario creato nel pianeta dalla congiuntura atomica non ci costringa a prendere in considerazione, quale unica via rivoluzionaria possibile, quella insegnata da Gandhi, che i suoi connazionali chiamarono Mahatma (la Grande anima) e Einstein chiamo lo spirito piu illuminato del nostro secolo. Resta semmai aperto il problema, su cui grava l'ipoteca antitecnologica di Gandhi, di come l'India e, con l'India, l'umanita intera, potra rispondere alle esigenze della giustizia e della liberta facendo affidamento soltanto sulla 'forza della verita'. L'erede spirituale di Gandhi, Vinoba Bhave (1875-1982), ha tentato di applicare il pensiero del maestro sul piano dell'economia, puntando sulla emancipazione del villaggio, cosi come Gandhi aveva puntato sulla emancipazione dell'intero paese. La strategia della non violenza e divenuta, in lui, 'politica del dono': viaggiando sempre a piedi, di villaggio in villaggio, egli ha chiesto a ogni proprietario la libera cessione di un sesto del suo territorio. L'insieme di
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queste libere oblazioni costituisce il fondo comune del villaggio, amministrato in forma di democrazia diretta. Vinoba e cosi riuscito a mettere insieme 2 milioni di ettari, mentre per risolvere il problema contadino ce ne sarebbero voluti 25 milioni. Era fatale che un progetto del genere, centrato sull' economia di villaggio, si scontrasse con la logica della pianificazione industriale intrapresa dalla nuova India (che fra i paesi industrializzati occupa oggi il quattordicesimo posto), una pianificazione che non tollera le angustie dell'autonomia di villaggio, basata sostanzialmente sulla produzione di beni di consumo. Nei suoi ultimi anni, e cioe dopo il fallimento della sua iniziativa, Vinoba aveva posto al centro della sua riflessione la possibilita di superare i dissensi sociali attraverso la combinazione tra scienza e spiritualita. Ma il suo programma e rimasto soltanto un appello lanciato al futuro dell'India e del mondo. 18.11 II pensiero indiano 'occidentale'. Per chiudere il panorama del pensiero indiana contemporaneo e per documentare la nuova problematica che sta emergendo negli ambienti universitari della nuova India, in stretto dialogo con gli analoghi ambienti dell'occidente, e opportuno accennare a due filosofi che, senza rompere con la tradizione antica, hanno accettato, come quadro della loro riflessione, i momenti significativi del pensiero europeo e specialmente anglosassone. Kalidas Bhattacharaya si confronta con i tre orientamenti fondamentali della filosofia europea: il soggettivismo kantiano, il monismo hegeliano e l'oggettivismo realistico del positivismo. In questa divaricazione si sconta, a suo giudizio, la scissione operata da Kant tra la soggettivita trascendentale in quanto principia form ale del conoscere e la soggettivita trascendente (cioe l'io ), da lui ridotta a semplice idea della ragione, e cioe a principia regolativo del conoscere, senza contenuti oggettivi. Una volta perduta, l'unita del soggetto non si ritrova piu. L'errore di Kant e di non avere tenuto conto della distinzione tra il conoscere e il pensare. E' certamente vero che, in quanto facolta del pensare, la ragione non e in .gtado di cogliere Ia realta dell'io, l'atman. Anzi, secondo Bhattacharaya, in questo piu radicale di Kant, quando si muove oltre i confini dell'esperienza, la conoscenza della ragione non fa, come dimostra il neopositivismo, che impiegare vuote forme verbali. Nessuna metafisica del soggetto e possibile. Ogni metafisica crea su sua misura una propria logica, cadendo cosi in un circolo vizioso. Ma c'e una conoscenza trascendentale che sta prima dello sdoppiamento tra soggetto e oggetto e che coglie immediatamente la realta dell'atman, e la coglie al di la 9elle sue particolarizzazioni individuali, come brahman. E cosi Bhattacharaya, facendo i conti sia con Kant che col positivismo logico, recupera la dottrina piu importante della metafisica indiana, il Vedanta non dualistico. Con Kant si confronta anche Surendranath Dasgupta (1887 -1952), che, sia pure partendo da premesse interne al tradizionale dibattito fra le scuole filosofiche indiane, mette sotto giudizio, alla maniera di Hegel, il principia della necessita delle categorie kantiane. Nella sua dottrina del carattere sintetico della conoscenza, Kant lascia irrisolto, dice Dasgupta, il problema se «le relazioni spaziotemporali e logiche sono fornite dallo spirito in maniera totalmente arbi-
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traria, oppure sono determinate dalla natura stessa delle 'cose in se'. Nella seconda ipotesi le cose in se non sarebbero non conosciute, rna presenterebbero caratteristiche del tutto definite. Nella prima ipotesi l'ordine dell'esperienza sarebbe del tutto accidentale, il che e del tutto inaccettabile». Ma questa critica a Kant serve a Dasgupta come premessa per la costruzione di una sua dottrina dell' esperienza, tributaria largamente del neopositivismo logico, nella quale l'oggettivita ha fondamento nella coerenza di un atto di esperienza col sistema delle esperienze fatte. La novita del pensiero di Dasgupta - una novita nella quale si rivela la sua fedelta alla tradizione indiana - e nella dilatazione del concetto di esperienza, che abbraccia anche gli stati supernormali della mente, come quelli mistici. Solo che la mente - e in questa Dasgupta ritorna in linea col pensiero occidentale - non e un principia dotato di sostanzialita immutabile, e interna a un processo evolutivo, che procede dando vita a 'complessi' emergenti gerarchicamente l'uno dall'altro, a partire dal 'complesso' spaziotempo per giungere, attraverso il complesso vegetale e animale, fino al complesso mentale, dal quale finalmente emerge, come ultima istanza, la tensione verso Dio. Nell'unione con Dio noi dimentichiamo il nostro 'gravame biologico' e troviamo il senso di tutti i valori che fanno da contenuto alia nostra molteplice esperienza. Come si vede, nemmeno in pensatori cosi 'laici' viene meno l'indole propria del pensiero indiana, che e la coincidenza tra conoscenza filosofica e conoscenza religiosa e la risoluzione della prima nella seconda. Uno dei problemi che piu ha reso inquieta la storia della filosofia occidentale, quello del rapporto tra fede e ragione, sembra essere stato, ed essere tutt'oggi, del tutto assente nella coscienza indiana. La laicizzazione dello Stato e delle stesse strutture educative (nella scuola indiana non si da, oggi, nessun insegnamento religioso), a quanta e dato constatare dopo tanti decenni, ha fatto crollare molte sovrastrutture della societa tradizionale, rna non ha scalfito la struttura di fondo dell'uomo indiana, nemmeno quando il suo confronto con l'occidente e avvenuto con la massima disponibilita ad accoglierne lo spirito critico.
La Cina contemporanea 18.12 Contatti tra Cina e occidente. Non deve far meraviglia se nei documenti imperiali della Cina, anche in quelli della prima meta dell'Ottocento, gli occidentali vengono normalmente definiti 'barbari'. Nell'imperiale sussiego non c'era soltanto il sintomo del complesso narcisistico, favorito da una clausura politica e culturale durata ininterrottamente per millenni, c'era il comprensibile ribrezzo morale per il comportamento delle avanguardie commerciali delle potenze europee, che, spinte dalla legge di mercato, tentavano di forzare la cortina di bambu. Si pensi solo ai metodi seguiti dalla Compagnia inglese delle Indie per introdurre in Cina l'oppio prodotto nel Bengala: dalle 300 tonnellate agli inizi del secolo, alle 3000 del 183 8, che richiedevano dai cinesi una spesa
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annua superiore alle entrate dello Stato! E fu proprio dopo la cosiddetta 'guerra dell'oppio' (1840-1842) che l'Inghilterra, prima, e poi, al suo seguito, la Francia e gli Stati Uniti, costrinsero l'imperatore a una serie di trattati (detti appunto 'trattati ineguali': in uno di essi, quello di Tientsin, l'imperatore e costretto a rinunciare all'uso del termine 'barbari') che finirono, nel giro di qualche decennia, col porre laCina alla merce dell'imperialismo d'occidente. Nelle strette della necessita, la Cina intraprese, rna in modo lento e disordinato, un programma di ammodernamento, preceduta in questa, e con sorprendente efficacia, dal Giappone. Fu proprio il conflitto tra Cina e Giappone (1895) che mise a nudo, nell'umiliazione della sconfitta, l'inconsistenza della modernita della Cina. Divenne aspro, in quegli anni, lo scontro tra i fautori delle riforme di tipo occidentale, da innestare sulla vecchia idea confuciana (il loro motto era: «cultura cinese per fondamento, e cultura occidentale per uso pratico))), e i fautori della completa occidentalizzazione, in nome dell'unita inscindibile che lega tra loro la cultura, il sistema politico e lo sviluppo tecnologico. 11 confronto col Giappone aveva dimostrato, scrive un esponente del secondo movimento, Yen Fu, che l'introduzione in Cina di alcune modernita tecnologiche era stato «come trapiantare un buon albero di arance sul fiume Huai». L'albero e mezzo morto e non ha dato il frutto atteso. Perche? Io credo - risponde Yen Fu - che Ia differenza maggiore tra Ia Cina e l'occidente, che non potra mai essere superata, e che i cinesi amano il passato rna trascurano il presente. Gli occidentali lottano nel presente per superare il passato. I cinesi considerano l'alternanza di periodi di ordine a periodi di disordine, di periodi di prosperita a periodi di declino, come il corso naturale che il cielo da agli affari umani; gli occidentali, invece, pensano che il progresso di ogni giorno possa continuare all'infinito, e cio che e prospero non declinera, e che quando le cose sana ben governate non ricadranno nel disordine; e questa e per !oro una Iegge assoluta del pensiero e della scienza politica.
In questa considerazione di un protagonista del dibattito fra tradizionalisti e occidentalisti e ben colta una diversita radicale tra le due culture. Non si dimentichi che, fino al Rinascimento, per 14 secoli, come scrive Joseph Needham, uno fra i piu illustri sinologi contemporanei, «la Cina aveva avuto indiscutibilmente un successo ben maggiore dell'Europa nell'acquisire la conoscenza scientifica e soprattutto nell'applicarla a beneficia dell'umanita». Ma la scienza cinese non aveva mai prodotto una ideologia misurata su se stessa, come invece e avvenuto in occidente, a partire dal Seicento. L'idea di progresso e il prodotto tipico della ideologia scientifica. «La cultura cinese, scrive ancora Needham, non ha mai sofferto di questo 'scientismo' postrinascimentale. Essa, infatti, non ha mai neppure concepito veramente l'idea che le scienze naturali fossero il solo veicolo di comprensione umana)). Ma c'e una seconda diversita, che apparira evidente da ci6 che stiamo per dire nei prossimi paragrafi: la cultura cinese, nonostante la fecondita, al suo interno, sia dell'innesto del buddismo indiana, sia del fermento taoista, non ha mai percepito, in modo determinante, l'importanza delle grandi questioni metafisiche o teologiche. Ecco perche l'incontro tra occidente e Cina e stato e resta cosi diverso da quello tra occidente e India. Se l'insegnamento di Confucio e
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rimasto, per venticinque secoli, il baricentro costante del pensiero cinese, e perche esso ne riflette perfettamente l'indole immanentist~, l'estraneita istintiva alle questioni relative all'aldila e alia trascendenza. Forse e proprio qui la spiegazione di un paradosso: se la piu 'mondana' tra le filosofie dell'occidente, quella marxista, ha trovato in Cina i presupposti di un trapianto dalle immense conseguenze politiche, e perche nella tradizione cinese e profondamente radicato il principio della solidarieta umana e sociale, senza ordini divini ne tavole della legge, un principia che puo essere tradotto, col beneplacito sia di Confucio che di Marx, nella formula: «in tutto quello che fai, agisci per il popolo». Aveva un certo fondamento quanto, ad addolcire lo ·sconforto della coscienza cinese dopo la scoperta della superiorita occidentale, andavano scrivendo alcuni tradizionalisti: questa superiorita non ci sarebbe stata se l'insegnamento di Confucio non fosse stato oscurato dalle deformazioni successive. 18.13 I riformisti confuciani. La sconfitta subita nella guerra col Giappone rappresenta il punto piu basso nel processo di disfacimento dell'impero cinese. Appena firmata la pace, venne presentata all'imperatore una petizione firmata da 1300 letterati. Essa conteneva la proposta di una serie di riforme. A redigerla era stato K'ang Yu-wei (1858-1927), il primo grande teorico politico della Cina modema. Il giovane imperatore Kwang Hsu chiamo K'ang e un folto gruppo di intellettuali a formare una equipe con il compito di mettere in pratica le riforme suggerite. In tre mesi, essi emanarono piu di quaranta editti (fra gli altri, quelli sulla scuola, sull'esercito, sulle poste e sulla magistratura), che bastarono a provocare la violenta reazione dei conservatori. K'ang Yu-wei riusci a salvarsi, rna alcuni dei suoi amici vennero puniti con la decapitazione. Eppure, la riforma dei 'cento giomi' non aveva, dal punto di vista culturale, niente di rivoluzionario, anche perche si richiamava apertamente alia necessita di un ritomo a Confucio, come all'unica via per ritrovare e garantire l'identita della Cina, minacciata dall'influenza crescente dei missionari cristiani e delle ideologie occidentali. Nei suoi scritti, di grande impegno filologice5, K'ang Yuwei cerco di liberare Confucio non solo. dalle deformazioni 'medioevali', rna anche dalla ricostruzione che ne aveva dato, nel Settecento, la Scuola di Han (II.l3.13). Un anno prima del suo sfortunato tentativo politico, egli aveva pubblicato uno Studio su Confucio riformatore ( 1897), per dimostrare che il vero senso del confucianesimo e l'innovazione permanente, in vista di quell' eta d' oro dell'umanita che egli aveva gia descritto, nel 1884, nel suo Libra della grande unitd. Si tratta di un'opera di grande afflato utopistico, che sara pubblicata integralmente solo nel 1935; con viva soddisfazione di Mao Tse-tung, che vi riconosceva non pochi obiettivi socialisti, come l'abolizione della famiglia, delle nazioni, della proprieta privata, e l'istituzione di un govemo mondiale. La singolarita del libro e proprio nella sua visione progressista della storia, attribuita, per di pili, non a maestri occidentali, rna allo stesso Confucio, che, secondo K' ang, concepiva la storia come una serie di cicli, comprendenti ciascuno un periodo di 'disordine' e un periodo 'di pace crescente'. Nei tempi modemi, secondo K'ang Yu-wei, il periodo di disordine coincide col nazionalismo, il capitalismo e l'individualismo; il secondo, contemplato in prospettiva, coincidera col regno della giustizia, con l'intemazionalismo e il socialismo. Verra alla fine la 'grande
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unita': tutte le differenze di sesso, di razza, di classe e di nazione saranno abolite e l'umanita sara in pace sotto il segno della perfetta armenia. Ma nei suoi progetti concreti, K'ang si accontenta di obiettivi pili modesti, come l'industrializzazione e la monarchia costituzionale. Egli e, insomma, un moderato, fedele alla monarchia anche quando sara instaurata la repubblica. Fra i riformisti che pagarono con la pena di morte gli ardimenti dei 'cento giorni' c'era anche un giovane discepolo di K'ang, T'an ssu-t'ung (1855-1898) che, solidale con l'utopia del maestro, ne sviluppa la dottrina dell'amore (jen), inteso non come stato soggettivo, rna come principia costitutivo della 'grande unita'. Nella sua opera, Scienza dell'amore (jen), tra i libri occidentali cita soltanto il Nuovo Testamento, insieme ai diversi trattati scientifici. E difatti, nella concezione di T'an, l'amore, Alfa e Omega, principia e scopo dell'evoluzione del mondo, e una realta oggettiva, che ha strette analogie con l'etere e con l'elettricita. Il suo martirio e la definitiva emarginazione del maestro segnano la fine dell'egemonia confuciana in Cina. Fallito il tentative di conciliare la fedelta a Confucio con le idee liberali venute dal di fuori, i pensatori cinesi si posero, senza impacci, a scuola delroccidente. 18.14 L' assimilazione della filosofia occidentale. Dalla conclusione della guerra col Giappone fino alla conclusione della prima Guerra mondiale, la resa della Cina nelle mani delle potenze occidentali prosegue a tutti i livelli, causando il crollo della dinastia imperiale dei Mancili ( 1911) e poi la nascita di una Repubblica, di stampo europeo, rna senza i supporti socioculturali adatti a renderla funzionante. Il Trattato di Versailles, del 1919, come procuro all'Italia la delusione da cui trasse alimento la 'rivoltizione fascista', cosi procuro alla Cina, alleata con le potenze vincitrici rna sacrificata a vantaggio del Giappone, un'ondata di indignazione, che prese forma nel cosidetto 'Movimento del 4 maggie', il vero e proprio inizio della fase rivoluzionaria, destinata a concludersi con la Repubblica popolare del 1949. Secondo uno schema. rriarxista, potremmo distinguere i rivolgimenti della prima meta del nostro secolo neUe due fasi della rivoluzione borghese, da cui nacque la prima repubblica, e della rivoluzione operaia, che ebbe in Cina una forma epica, per opera di Mao Tse-tung. Il primo capitola di questo processo coincide con l' occupazione della Cina da parte del capitale straniero. L'ammodernamento del paese e gestito direttamente dagli agenti di societa occidentali, che rendono l'economia cinese totalmente dipendente da quella dei paesi capitalistici, i cui investimenti salgono, nel 1914, a 1610 milioni di dollari americani. " L'ingresso della civilta industriale trasforma la Cina. La struttura gerarchica, con i suoi quattro 'stati' - letterati, contadini, artigiani, mercanti - e travolta da una borghesia indigena, nata confusamente a ridosso della crescita industriale e commerciale. Dal 1905, Confucio non e pili l'autore d'obbligo per gli esami di Stato, solo perche, ormai, !a societa non si riconosce pili nei sacri modelli dei Libri canonici. L'uomo che meglio esprirne, nell'azione politica e nel pensiero, questa nueva fase della Cina e Sun Ya-tsen (1866-1925), che ill gennaio 1911 diverra il prima presidente della Repubblica cinese. Corne quella del nostro Mazzini, la
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sua vita si ispira a un grande ideale politico e si svolge, in gran parte, nella clandestinita del cospiratore, costretto anche lui, una volta al potere, a conciliare tra lora !'utopia e l'opportunismo. Se la sua passione e la Cina, la sua cultura e, fin dagli inizi, occidentale: per lui, Confucio non e che un nome. Trasferitosi neUe Hawai a tredici anni, viene educate in una missione cristiana di Honululu, dove riceve il battesimo e si inizia alla cultura inglese. Si laurea in medicina a Hong Kong, doye precisa la sua vocazione politica, che lo coinvolge subito nell'attivita delle societa segrete, la prima germinazione della Cina rivoluzionaria, che prendera coscienza di se anche per merito dei suoi numerosissimi scritti. Fra questi, memorabile il suo saggio I tre principi del popolo, che sono: indipendenza del popolo, sovranita del popolo, benessere del popolo. Il prima principia com porta I'espulsione della dinastia dei Manciu, usurpatori stranieri la cui debolezza incoraggia la resa della Cina nelle mani degli imperialisti. Il secondo prevede la costituzione di una repubblica che garantisca la separazione dei poteri e l'uguaglianza giuridica dei cittadini. Il terzo, in cui si riflette l'aspirazione vagamente socialista di Sun (che e stato sempre riluttante dinanzi all'idea della Iotta di classe), riguarda lo sviluppo economico e sociale della nuova Cina. Non possiamo seguire le complicate vicende politiche che misero alla prova la coerenza di Sun con i suoi principi. Un anno prima della sua morte, nel prima congresso del partito nazionale (il Kuomintang), egli ebbe occasione di ridefinire i suoi tre principi mettendo in prima piano il ruolo delle masse operaie e contadine nella Iotta antimperialista. Ecco perche la Cina maoista lo considera, nonostante tutto, uno dei suoi padri. Va sicuramente messo nel canto dell'indole prammatica del genio cinese il fatto, sulle prime sconcertante, che, a una cosi rapida assimilazione delle ideologie e delle pratiche politiche occidentali, non si accompagna un analogo interesse per il pensiero filosofico straniero. La fine del confucianesimo lascia un vuoto che ben pochi si preoccupano di colmare. E quei pochi si limitano a trasferire nel loro paese il pensiero di alcuni filosofi alla moda in occidente, .senza che questa innesto provochi reazioni vitali simili a queUe che abbiamo constatato nell'India di questa periodo. Il pioniere di questa importazione grossolana e stato Yen Fu ( 1853-1920), il fautore della occidentalizzazione radicale ·del quale abbiamo riferito sopra un acuto paragone tra Cina e occidente. Avendo soggiornato per un breve periodo in Inghilterra (1878), tomato in Cina, si propose di far conoscere ai suoi connazionali i filosofi occidentali e tradusse, rna nel linguaggio letterario della prosa antica e con larga indulgenza alle libere parafrasi, testi di Montesquieu, di Adam Smith, di Stuart Mill, di Thomas Huxley e di Herbert Spencer, qualificato da lui come il pili grande filosofo di tutti i tempi. Di ben altra efficacia fu I' opera svolta da Hu Shih (1891-1962), che, dopo aver studiato negli Stati Uniti, dove fu alunno di Dewey, divenne in Cina un protagonista di quel rinnovamento che fu definito 'rivoluzione letteraria'. L'organo di questa rivoluzione fu la rivista Gioventu nuova, nata a Shangai nel 1915. Nel 1917 apparve sulla rivista un appello di Hu Shih agli scrittori cinesi perche adottassero la lingua parlata in luogo della vecchia lingua letteraria, da gran tempo diventata una lingua morta, e se ne servissero per dar vita a una letteratura veramente popolare. La nuova letteratura ebbe inizio nel 1918 col
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racconto, pubblicato su Gioventu Nuova, del maggiore scrittore cinese del nostro secolo, Lu Hsiin (1881-1936), II diario di un pazzo; il passaggio alia nuova lingua avvenne ufficialmente nel 1920, quando fu adottata nelle scuole. In questa contesto rivesti grande importanza la riforma dell'Universita di Pechino, fondata durante i 'cento giorni' del 1898. Messi ai margini i vecchi professori tradizionalisti, furono chiamati a insegnare uomini della nuova leva: a 26 anni Hu Shih vi diviene docente di Filosofia. «Thomas Huxley mi ha insegnato a dubitare; John Dewey a pensare», cosi egli scriveva, per esprimere il suo indirizzo filosofico, basato sull'agnosticismo e sul prammatismo. Su sua iniziativa, John Dewey (11.7) venne in Cina nel 1919 e vi si trattenne fino al 1921. II suo confronto con gli studenti di Pechino ebbe un effetto straordinario. «Essi lo seguirono, racconta un testimone, come mai nessuno era stato seguito dal tempo di Confucio in poi», e lo proclamarono «lo straniero che ha maggiormente influenzato il pensiero cinese». E difatti, nel prima congresso del Kuomintang (1924), l'ala antimarxista, di cui anche Hu Shih faceva parte, riconosceva il suo presupposto ideologico nel pensiero di Dewey, rimasto, anche per questa, uno dei principali bersagli della Cina maoista. Lo stesso Mao, nel suo famoso discorso dei -'cento fiori' (1956: «che i cento fiori sboccino, che le cento scuole si scontrino»), dedico moho spazio alla polemica contra Dewey. Dopo Dewey, venne chiamato, rna con minor successo, anche Bertrand Russell (13.2) per una tournee di conferenze, che servirono a innestare nel dibattito universitario il metoda dell'analisi ispirata alle scienze matematiche. Questa impollinazione occidentale della cultura cinese era d'altronde assicurata, in modo continuative, dagli studenti che frequentavano le universita straniere e, tornati in patria, diventavano fautori dei loro filosofi preferiti, da Bakunin a Nietzsche, da Sorel a Bergson.
18.15 L'introduzione del marxismo dialettico. Era delloro numero lo stesso fondatore della rivista Gioventu nuova, Ch'en Tu-siu (1879-1942),· formatosi in Giappone e in Francia, Fu lui a stendere l'editoriale di apertura del prima numero della rivista, che e un ditirambo al progresso, scandito in una serie di imperativi rivolti ai giovani: «Siate indipendenti e non servili ... siate progressivi e non conservatori... siate aggressivi, non pronti a ritirarvi... siate internazionalisti e non isolazionisti... Cercate l'utilita e non il formalismo ... Siate scientifici e non immaginativi ... ». Per Ch'en, l'alternativa tra vecchia Cina e occidente e senza terze vie. Scrivera nel1918, quando la sua ideologia e ancora giacobina: Nella politica e nella cultura, nella moralita e nella letteratura, il mondo occ_identale ed il metodo cinese sono due cose assolutamente differenti e non possono essere avvicinate per compromesso o conciliate. Se decidiamo di essere conscrvatori, allora dobbiamo usare il metodo cinese fino in fondo. Ma se invece decidiamo di riformarci, allora dobbiamo adottare il nuovo metodo occidentale in tutto e non dobbiamo confondere il problema con sciocchezze come il 'retaggio nazionale' o le 'particolari circostanze'. Se non decidiamo tra le riforme o Ia nazione, in breve contraddizioni politiche e sociali, confusione e regresso saranno conseguenze inevitabili.
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Ma i fatti incalzano gli intellettuali di Gioventu nuova, prigionieri di un progressismo dai toni retorici, che riecheggia, in modo promiscuo, le voci che in occidente hanno invece ben distinte e contrapposte collocazioni. Dopo la sommossa studentesca del 4 maggio, ad esempio, Hu Shih si ripiega in una meditazione sempre piu appartata, che lo condurra a preferire le ricerche storiche, non aliene dalla rivalutazione dell'antica Cina, in particolare del pensiero di Mo tse (L2.26), e, sui piano politico, a schierarsi con l'ala destra del Kuomintang, al fiance di Chiang Kai-shek. La rivolta studentesca del 4 maggio 1919 aveva infatti preso una piega che, sviluppandosi, avrebbe creato le condizioni della rivoluzione comunista: gli studenti si erano alleati con gli operai, scesi in sciopero specialmente nelle citta portuali. La rivoluzione sovietica, ormai trionfalmente compiuta, era diventata, agli occhi dei progressisti cinesi, un punto di riferimento dirimente. Si formano allora i primi nuclei comunisti, ai quali aderiscono C'hen Tu-hiu, Mao Tse-tung e la gran parte della redazione di Gioventu nuova. Siamo nel 1920. Il 1 luglio 1921 nasce, a Shangai, il partite comunista cinese e Ch' en ne viene eletto presidente. Gli era stato vicine, in questa evoluzione, rna con una piu robusta capacita speculativa, il collega universitario Li Ta-chao ( 1889-1927) che, come direttore delle biblioteche universitarie, aveva fondato, nel 1918, la 'societa per lo studio del marxisrrw'. Maestro di Mao Tse-tung, segui le vicende del Partite comunista dalle origini e sara torturato e strangolato (primo martire comunista) dalla polizia, nel 1927. Li Ta-chao era giunto al marxismo soprattutto per la scossa ricevuta dal trionfa della rivoluzione bolscevica, che gli apparve subito come «la vittoria dello spirito dell'umanita». Anche se rimase sempre perplesso nei confronti del materialismo marxista, che anche in Cina appariva, allora, come rigidamente connesso al meccanicismo positivistico, egli fu sedotto soprattutto dall'universalismo della dottrina di Marx, che ben si conciliava con quanto egli aveva elaborate nelle sue ricerche sui temi antichissimi, preconfuciani della sapienza cinese, in specie quello della dialettica tra yin e yang, e sulla teoria buddista delrunita dell'universo nelle sue alternanze di produzione e distruzione, temi che egli era andato confrontando con Ia filosofia della storia di Hegel e con I' evoluzionismo di Bergson. Passato al marxismo, contribui a diffonderne Ia conoscenza con una Biografia di Marx in tre volumi, di largo successo.
18.16 Da Confucio a Mao. Lo sviluppo ulteriore del marxismo in Cina finisce con l'identificarsi con le posizioni sempre piu emergenti di Mao Tse-tung, che rientrano, in larga miiura, neTta storia generale del marxismo. Ed e, appunto, in questo quadro che le abbiamo esposte in altra parte del volume (15.9). E' opportune, semmai, restando all'interno di una prospettiva storiografica cinese, chiedersi in che misura, divenuto dottrina ufficiale della nuova repubblica, il marximo maoista possa considerarsi un nuovo capitola di una storia rimasta sostanzialmente autonoma, fedele, cioe, ai modi e aile leggi del proprio sviluppo. Nei suoi scritti e nei suoi discorsi, Mao oscilla tra un'adesione quasi dommatica alla lezione indivisibile della triade Marx-Lenin-Stalin e l'affermazione che la Cina comunista e il risultato della sviluppo della Cina del passato.
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Noi che studiamo la storia del passato dal punto di vista marxista non possiamo mutilare il nostro passato storico. Noi dobbiamo fare il bilancio del nostro passato, da Confucio a Sun Ya-tsen e racc0gliere questa preziosa eredita.
E non c'e dubbio che Ia sua dottrina del carattere dialettico del divenire storico, vincolato al principia di un esame delle contraddizioni volta a individuare tra di esse quella principale su cui far leva nell'azione rivoluzionaria, costituisce una premessa importante per renderci canto della maniera creativa con cui egli ha saputo essere, insieme, marxista e cinese, ha saputo, cioe, secondo una sua espressione, scagliare Ia freccia (il marxismo-leninismo) mirando al bersaglio (la rivoluzione cinese). Fa sicuramente parte di questa fedelta alia storia tre volte millenaria della Cina il suo ripudio dell'economicismo occidentale, che riponeva nelle strutture economiche la spinta determinante della rivoluzione. La spinta, per Mao, viene dalle masse, la cui struttura elementare di vita collettiva non e la fabbrica, e il villaggio. La 'comune' maoista non e che 1' elevazione al rango di soggetto rivoluzionario della miriade di villaggi che costituiscono, da sempre, il tessuto della Cina: di qui, il capovolgimento del modello sovietico, secondo il quale la rivoluzione va dal centro alia periferia. La comune agricola, organizzata secondo leggi cooperativistiche, doveva avere la precedenza sulla meccanizzazione, anche se questa avesse dovuto comportare un ritardo nella capacita della Cina di entrare nel mercato internazionale in modo competitivo. L'abbandono della schema rivoluzionario proprio delle societa gia industrializzate consente a Mao di leggere il principia di contraddizione come una perenne Iegge morale, che avra vigore anche una volta finita la societa di classe. Ness uno sara perfetto, dice Mao, nemmeno dopo I' edificazione della societa comunista: anche allora vi saranno ancora contraddizioni all'interno del popolo, vi sara ancora gente buona e gente cattiva, gente le cui idee sono relativamente sbagliate.
E' evidente, nella VISlone di Mao, un afflato morale che viene da lontano; forse proprio da quel Confucio che egli, ancora ragazzo, ripudio nel momenta stesso in cui ruppe i rapporti con suo padre. Del resto, c'e chi ha fatto i calcoli: nelle opere pubblicate di Mao, a parte le citazioni di Lenin e di Stalin dovute a ragione di contemporaneita politica, le fonti confuciane sono il 2096, quelle del Tao o di Mo tse il 12%, quelle marxiane appena il 4%. II cultc:: di cui egli fu oggetto in vita e la funzione catechistica che ebbe il suo 'libretto rosso' (starripato nel 1964 in milioni di copie) richiamano necessariamente alle tradizioni del cuito di Confucio e dei libri canonici. Mao conosceva lo spirito delle masse, mentre diffidava degli intellettuali, che generalmente sono 'esperti' non 'rossi', cioe, senza passione rivoluzionaria. La dedizione dell'intellettuale al popolo e un principia di fonda dell'insegnamento di Confucio. Da dove provengono le idee giuste? - si domanda Mao - Cadono dal cielo? No. Sono innate? No. Esse provengono dalla pratica sociale e solo da questa.
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Di qui il suo programma, che tanto stupore desto in occidente, di rieducazione degli intellettuali attraverso il lavoro manuale, accanto agli operai e ai contadini. La coercizione non serve, perche essa assoggetta, non convince. Nienie da dire, secondo Mao, sul pluralismo (i 'cento fiori') nelle idee e nell'arte, rna, per quanto riguarda le concezioni del mondo, se ne danno due sole: quella borghese e quella proletaria, e delle due solo la seconda e giusta. Ecco perche gli intellettuali, abituati a formarsi le idee sui libri, dovranno di continuo mettere alla prova :la loro posizione mentale, inserendosi nella vita dei lavoratori per condividerne la fatica e soprattutto per confrontare con loro le proprie idee, visto che esse non scendono dal cielo, rna nascono dalla pratica sociale. La storia del pensiero cinese, pur tra oscillazioni come quella del neoconfucianesimo, ha sempre avuto una costante, che potremmo chiamare confuciana: la funzionalita dei 'letterati', e cioe degli intellettuali, alla gestione del potere. Ora che il potere e nelle mani di una classe, e proprio della classe che da sempre era rimasta soggetta, si tratta di richiamare gli intellettuali alla loro tradizionale funzione. Scrive, in proposito, lo storico Fernand Braudel: «Non possiamo fare a meno di ricordare che essi sono gli eredi della grande tradizione burocratica di un impero millenario, gli eredi dei funzionari letterati abituati a governare un grande stato con mano ferma. Una nuova 'intelligencija~ attiva e ardita ha preso il posto dell'antica, libresca e sclerotizzata, e tiene a sua volta in pugno il destino della Cina. E la massa cinese, abituata alla disciplina, segue con obbedienza i nuovi padroni. Nell'organizzazione efficace, senza falle e senza soluzioni di continuita, dal vertice alla base, che permette di far lavorare tutti duramente, risiede forse il segreto di una esperienza unica al mondo. In breve tempo, la piu antica civilta vivente e divenuta la forza piu giovane e progressiva di tutti i paesi sottosviluppati. Ma forse la ragione e che ha potuto far leva su di uno dei piu antichi e solidi elementi originali della sua vecchia civilta: l' organizzazione burocratica». E proprio facendo leva su questa compatta organizzazione, con astuzia orientale, Mao ha saputo attendere il momento giusto per fare del suo sistema l' espressione moderna del congenito nazionalismo cinese. Nel 1957 preannunciava la rottura con l'Unione sovietica (1960) con acceriti non nuovi agli orecchi dei cinesi: «il vento dell'est e piu forte del vento dell'ovest». «Ma il conflitto cinosovietico, scrive ancora Braudel, non si collega forse ancor piu al nazionalismo ombroso della Cina ed al suo desiderio di prendere la rivincita sull'occidente? E la Russia, socialista o no, e l'occidente, e ancora il 'barbaro'. Per cancellare il passato la Cina non pretende niente di meno che divenire la capitale del Terzo mondo. Alloro. sara di puovo, nell'universo, l"impero di mezzo'». Questo e sicuro, che Mao riusci a proiettare in ogni parte del mondo il suo modello di societa come se fosse davvero l'approdo ideale di tutti i popoli oppressi e l'alternativa attesa da un occidente in crisi. In certi anni (si pensi al '68) la smodata pretesa degli imperatori del celeste impero di essere i depositari della civilta in mezzo a popoli barbari sembro trovare riscontro nell'ondata di ammirazione per la Cina di Mao, che si. sollevo non solo nel Terzo mondo, rna anche neUe capitali dell'occidente, ormai lacerato dal presentimento che i modelli di societa prodotti dalla sua rivoluzione industriale erano in definitivo fallimento. Ma la storia corre rapida. E, con la storia, le idee.
Iodice analitico
I numeri in neretto indicano le pagine in cui si parla dell'Autore in maniera specifica e quelli in corsivo Ia pagina in cui si trova Ia sua scheda biografica.
Abduh, Muhammad, 5, 88, 595 Abramo, 30, 93, 111, 114 Adam, Karl, 570 Adler, Alfred, 449, 451, 460, 464-471, 465, 473 Adorno, Theodor W., 485-488, 582 Afghani, Giamal al-Oin al-, 588, 594, 595 Aflaq, Michel, 591, 600 Agostino di Tagaste, 115 Akbar (re), 606 Alessandro Magno, 55 Allende, Salvador, 591 Altizer, Thomas, 580 Althusser, Louis, 145, 153, 484, 499501, 541 Amin, Samir, 511, 591 Arabi, Ibn-, 482 Ardigo, Roberto, 203, 226-230, 227 Arkoun, Mohammed, 592 Ariosto, Lodovico, 397 Aristotele, 107, 108, 178, 187, 268, 306, 322, 325, 357, 382, 417, 452, 592 Asoka (re), 606 Atatiirk, Mustafa Kemal, 598 Aurobindo (Aravinda), 588, 609-610, 609
Avenarius, Ricard, 244, 245, 271, 404, 419-421, 420 Averroe, 592 Avicenna, 482
Bachofen, Johann Jacob, 520 Bacone, Francesco, 322, 365, 443 · Baha Allah, 593 Bakunin, M'ichail, 22, 136, 144, 163, 232, 256, 619 Balzac, Honore de, 261, 262 Banfi, Antonio, 484, 501 Banna, Hasan al-, 597 Barth, Karl, 486, 549, 554-557, 555, 559, 562, 563, 564, 565, 578, 581 Batista, Fulgen<;io, 591 Baudelaire, Charles, 301 Bauer, Bruno, 133, 135, 138, 141, 143, 153, 154 Bauer, Edgar, 153 Bauer, Egbert, 153 Beccaria, Cesare, 64, 176 Beethoven, Ludwig von, 5, 32, 117, 467 Benedict, Ruth, 513, 525 Benjamin, Walter, 485 Bentham, Jeremy, 59, 63-65, 65, 69, 71, 90, 177, 209, 210, 213, 220, 225, 347 Benveniste, Emile, 515 Berdjaiev, Nikolaj, 292 Bergeron, Luis, 3 Bergson, Henri, 266, 275-285, 275, 286, 287, 288, 289, 291, 294, 313, 315, 323, 329, 350, 361, 365, 370, 383, 384, 395, 487, 526, 596, 619, 620 Berkeley, George, 95, 96, 357, 365
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Bernanos, Georges, 487 Bernstein, Eduard, 231, 233-235, 234, 236, 237, 238, 239, 240, 241 Besant, Annie, 607 Bhattacharaya, Kalidas, 613 Biran, Maine de- Fran~ois Pierre de, 59, 77~8. 266, 267, 268, 272 Bismark (cancelliere), 73; 122, 310 Blanc, Louis, 88 Blanqui, Louis Auguste, 256 Blavatski, Helena Petrovna, 607 Bleuler, Eugen, 472 Bloch, Ernst, 37, 38, 144, 231, 254, 262-265, 262, 486, 496, 497, 581, 585 Bloch, Joseph, 174 Bloy, Leon, 288 Blonde!, Maurice, 266, 271-275, 272, 351, 395, 526, 568 Boas, Franz, 513, 523, 524, 525, 536 Bobbio, Norberta, 506 Boehme, Jacob, 7 Boff, Clodovis, 587 Boff, Leonardo, 587 Bogdanov, Aleksandr, 241, 244 Bohr, Niels, 431, 432 Bolyai, Janos, 414 Bonaparte, Napoleone, 1, 4, 5, 20, 32, 36, 37, 47, 55, 60, 74, 75, 76, 79, 86, 87, 90, 176, 217, 588, 589 Bonghi, Ruggero, 184 Bonhoefer, Dietrich, 549, 563-565, 564, 580, 585 Boole, George, 385, 404, 412-413 Bopp, Franz, 541 Born, Max, 428, 432 Botta, Carlo, 178 Boumedienne, Houazi, 598 Boutroux, Emile, 266, 269-271, 272, 275, 280 Bradley, Francis, 346, 347-350, 351, 359, 410 Brandes, Georg, 132 Braude!, Fernand, 544, 622 Brecht, Bertoldt, 486, 487 Brentano, Franz, 325, 330, 433 Breton, Andre, 462 Breuer, Joseph, 449, 450, 451, 453,
454 Brouwer, Luitzen Jan Egbertus, 404, 415-417, 441 Briicke, Ernst, 450, 452 Bruckner, Anton, 467 Bruno, Giordano, 25, 201 Bucharin, Nicolaj, 251 Buchner, Ludwig, 173 Buddha, Gotamo, 95, 127, 607 Buffon, Georges-Louis-Leclerc, 217 Bultmann, Rudolf, 487, 549, 550, 557, 559-562, 559, 563, 575, 576, 579, 581, 582 Burghiba, Habib, 598 Burke, Edmund, 59, 61-63 Burckhardt, Jacob, 115, 118, 131 Cabanis, Pierre, 59, 76, 77, 78, 177 Calvina, Jean, 556 Campanella, Tommaso, 61, 201 Camus, Albert, 301, 302, 306, 487 Cantor, Georg, 351, 406, 407 Carlyle, Thomas, 59, 72-74, 73, 210 Carlo Eugenio (duca), 20 Carnap, Rudolf, 405, 435-436, 486 Cartesio (Descartes), Rene, 33, 79, 96, 123, 154, 188, 189, 192, 201, 266, 268, 286, 290, 303, 304, 328, 338, 355, 405, .482, 572 Casati, Gabrio (ministro), 189 Castro, Fidel, 591 Caterina da Siena (santa), 285 Cattaneo, Carlo, 175, 198-200, 198, 201 Cauchy, Augustin-Louis, 407 Cavour, Camillo Benso conte di, 194, 195 Cavour, Gustavo di, 184 Cesare, Caio Giulio, 55 Charcot, Jean-Martin, 450, 452, 453 Ch'en Tu-siu, 619-620 · Chenu, Marie Dominique, 570-571 Chevalier, Jacques, 292 Chiang Kai-shek, 487, 503, 620 Chinasi, Ibrahim, 598 Chomsky, Noam, 513, 517-518 Clarke, Arthur, 446 Clausewitz, Karl von (barone), 20, 548 Clive, Robert, 602
lndice analitico 0 627
Cohen, Hermann, 311 Coleridge, Samuel Taylor, 59, 72-73, 73, 210, 212, 347 Colletta, Pietro, 379 Colletti, Lucio, 506 Colli, Giorgio, 116 Colombo, Cristofaro, 451 Comte, Augusto, 82, 203, 204-209, 204205, 210, 211, 212, 214, 225, 226, 227, 314, 526, 527, 528 Condillac, Etienne Bonnot de, 75, 76, 177, 178, 182 Condorcet, Caritat I. A. N. marchese di, 66, 75, 83, 178, 179, 205, 206 Condorcet, madame, 76 Cone, James, 583 Confucio, 118, 489, 615, 616, 617, 618, 619, 620-621 Congar, Yves, 572 Constant, Benjamin, 60, 89, 90 Copernico, Niccolo, 215, 299, 452 Corbin, Henri, 482 Cousin, Victor, 60, 77, 91, 92, 182, 201, 266, 267, 268 Cox, Harvey, 580 Cristo, vedi Gesu di Nazareth Critone, 119, Croce, Benedetto, 202, 238, 239, 250, .271, 312, 371, 376, 377-390, 378, 391, 392, 393, 394, 395, 396, 397, 398, 400, 401, 402, 486, 487, 543 Cuoco, Vincenzo, 17 5, 180-181, 200 Cuvier, George, 217, 219, 453, 542 Danielou, Jean, 571 Dante Alighieri, 97, 609 Darwin, Charles, 129, 171, 172, 203, 215-222, 216, 224, 236, 353, 368, 519, 520, 554 Darwin, Erasmus, 216, 217, 452 Dasgupta, Surendranath, 613-614 Davies, Paul, 425 Dawkins, Richard, 547 De Beauvoir, Simone, 301 De Bonald, Louis, 59, 78, 79, 81, 190 Dedekind, Richard, 351, 406, 407 De Gama, Vasco, 602 Della Volpe, Galvano, 484, 502
De Lubac, Henri, 571, 573 De Maistre, Joseph, 59, 79, 80, 81, 204, 205 Democrito, 135, 142, 314, 396, 468 De Sanctis, Francesco, 95, 179, 180, 201, 379 De Stael, madame, 60, 89, 90, 176 Deussen, Paul, 129 Dewey, John, 271, 346, 363-375, 363, 365, 436, 486, 487, 618, 619 Di Breme, Ludovico, 176 Dickens, Charles, 72 Diderot, Denis, 74, 79, 217 Diem, Ngo Dinh, 590 Dilthey, Wilhelm, 257, 309, 312-315, 312, 316, 317, 318, 324, 340, 439, 472, 523, 560, 575, 577 . Dognin, Paul-Dominique, 166 Dostojevski, Fedor, 555 Di.ihring, Karl Eugen, 173 Durkheim, Emile, 513, 525-526, 526, 530, 531, 534, 536 Duns Scoto, Giovanni, 332, 333 Dussel, Enrique, 587 Duvalier, Fran~ois, 591 Ebeling, Gerhard, 576 Eckart, Meister, 6 Eilb-Eibesfeld, Irenaus, 546 Einstein, Albert, 368, 404, 415, 418, 420, 422, 423-429, 424, 430, 432, 434, 443, 451, 452, 612 Eliot, Thomas G., 487 Ellenberger, Henri, 450, 464 Enfantin, Barthelemy Praospere, 82 Engelmann, Paul, 439 Engels, Friedrich, 22, 30, 72, 134, 135, 136, 141, 144, 145, 153, 154, 156, 157, 160, 170-174, 171, 232, 233, 234, 238, 240, 243, 244, 245, 252, 265, 505 Epicuro, 135, 142, 314 Eraclito, 129, 315, 340, 365 Erasmo di Rotterdam, 377 Erodoto, 97, 519 Eschilo, 117 Euclide, 317, 405, 413, 414 Euripide, 117, 119, 120
628
D lndice analitico
Fanon, Franz, 591 Genet, Jean, 30 1 Federico Guglielmo III (re di Prussia), · Gentile, Giovanni, 201, 202, 229, 376, 5, 50 377, 378, 379, 380, 381, 385, 386, Federico Guglielmo IV, 22, 137 388, 390-403, 391' 486, 487 Fermi, Enrico, 431 George, Sthephan, 340 Feuerbach, Ludwig, 30, 112, 133, Gesu di Nazareth, 8, 30, 33, 34, 35, 50, 135, 137, 139-141, '140, 142, 143, 52, 53, 81, 93, 95, 111, 112, 114, 147, 148, 149, 150, 153, 156, 157, 125, 127, 139, 141, 192, 274, 300, 167, 171, 180, 553, 556, 564, 572 306, 550, 554, 557, 558, 560, 561, Feyerabend, Paul K., 448 563, 565, 568, 569, 570, 572, 576, Fichte, Johann Gottlieb, 1, 4, 5, 9, 10, 577, 578, 581, 586, 602, 604, 605 12-20, 12-13, 21, 22, 23, 24, 26, 27, Geymonat, Ludovico, 484, 502 29, 31, 33, 34, 35, 36, 37, 41, 47, 54, Gheddafi, Muammar el-, 590, 600 94, 95, 105, 176, 315, 392, 393, 495 Gioberti, Vincenzo, 175, 179, 183, 184, Filone Ebreo, 478 186, 188-194, 189, 190, 195, 200, Flaubert, Gustave, 301 202, 274, 391, 599 Foscolo, Ugo, 60 Gioia, Melchiorre, 177 Foucault, Michel, 513, 514, 540-544 Giolitti, Giovanni, 378 Fourier, Fran<;ois Marie Charles, 60, Giovanni (apostolo), 17, 18 Giovanni il Battista, 103, 128 84-86, 85' 87' 204 Francesco di Assisi (san), 285 Giovanni della Croce (san), 288 Francesco II (re), 5 Giovanni XXIII (papa), 573 Giusti, Giuseppe, 177 Franco, Francisco, 487 Frege, Gottlob, 404, 408-409, 410, 412, Godel, Kurt, 416 438, 515 Godwin, William, 66, 67, 70 Freire, Paulo, 586, 591 Goethe, Wolfgang, 1, 3, 4, 6, 7, 9, 13, 21, 22, 25, 28, 32, 37, 94, 134, 176, Fresnel, Augustin, 423 Freud, Sigmund, 77, 85, 293, 306, 307, 312, 537 432, 449, 450-464, 450451, 465, 466, Gogarten, ·Friedrich, 549, 557, 562-563 471, 472, 473, 476, 477, 478, 480, Gomulka, Wladislao, 498 481, 486, 487, 491, 541, 579, 584 Gorkij, Maksim, 241 Fromm, Erich, 485, 488 Graebner, Fritz, 523 Fuchs, Ernst, 576 Gramsci, Antonio, 174, 231, 232, 238, Galilei, Galileo, 317, 332, 368, 424, 502 248~51, 248, 377, 486, 501, 566 Galluppi, Pasquale, 175, 177, 181-183, Gregorio XVI (papa), 81 200, 267 Grunberg, Karl, 485 Guardini, Romano, 570 Gandhi, Indira, 591 Gandhi, Mohandas Karamchand, 321, Guevara, (Che) Ernesto, 591 588, 589, 590, 591, 596, 605, 607, Guglielmo II (imperatore di Germania), 318 608, 610-612, 611 Garaudy, Roger, 139, 484, 494-497, Gutierrez, Gustavo, 586, 591 Habermas, Jurgen, 484, 488, 491-493, 495, 499, 602 Garcia Lorca, Federico, 486 492 Garcia Marquez, Gabriel, 591 Haeckel, Ernst, 173, 215, 219 Garibaldi, Giuseppe, 195, 198 Hall, Stanley, 353 Hamilton, William, 580 Gast, Peter, 118 Gauss, Karl Friedrich, 414 Hargreaves, James, 61
lndice analitico 0
Harnack, Adolf, 549, 553-554, 555, 564, 568 Hartmann, Nicolai, 324 Hegel, Georg Wilhelm Friedrich, 2, 4, 5, 8, 9, 12, 13, 20, 21, 22, 24, 28, 29, 30, 31, 32-58, 32-33, 60, 89, 91, 93, 94, 95, 105, 106, 107, 108, 110, 111, 112, 114, 117, 120, 123, 127, 131, 133, 134, 136, 137, 138, 139, 140, 141, 142, 143, 146, 147, 148, 149, 150, 154, 156, 158, 160, 164, 171, 172, 173, 175, 176, 178, 182, 183, 186, 188, 193, 194, 199, 200, 201, 202, 231, 236, 238, 256, 258, 260, 261, 263, 267, 298, 314, 315, 321, 322, 338, 340, 347, 348, 352, 364, 365, 377, 379, 381, 383, 387, 388, 390, 392, 393, 400, 462, 488, 489, 495, 543, 549, 553, 577, 609, 610, 612, 620 Heidegger, Martin, 125, 128, 301, 303, 309, 310, 324, 325, 332-340, 333, 365, 486, 487, 488, 550, 559, 575, 576 Heine, Heinrich, 135, 144 Heisenberg, Werner, 431, 432 Heller, Agnes, 484, 508-511 Helmholz, Hermann, 422 Helvetius, Claude Adrien, 154 Helvetius, madame, 76 Hemingway, Ernest, 486, 487 Herde~r, Johann Gottfried, 4, 5, 9 Herris, William, 353 Hilbert, David, 404, 415-417 Hillman, James, 450, 481-483 Hitler, Adolf, 20, 234, 285, 302, 318, 424, 485, 487, 488, 555, 564 Hobbes, Thomas, 50, 99, 314, 387, 412 Hobsbawn, E. J., 507 Ho Chi Minh, 590, 591 Holbach, Paul-Henri de, 217 Holderlin, Friedrich, 4, 5, 20, 21, 32, 33, 34, 35, 257, 312, 333, 340 Horkheimer, Max, 485-488 Huberman, Leo, 511 Humboldt, Wilhelm von, 2, 4, 384 Hume, David, 10, 11, 65, 69, 75, 96,
629
206, 213, 220, 245, 312, 326, 347, 357, 365, 443, 535 Hu Shih, 618-619, 620 Hussein, Taha, 591, 598 Husser!, Edmund, 257, 301, 309, 322, 323, 324~.332, 325, 333, 341, 356, 405, 486, 487, 560, 569, 578 Huxley, Thomas, 280, 618, 619 Iqbal, Muhammad, 588, 596, 601 Isacco, 111, 114 Isaia, 160, 322 Isnard, Maximin, 60 Jacobi, Friedrich Heinrich, 1, 5, 9, 10 Jakobson, Roman, 536 James, Henry, 358 James, William, 271, 346, 350, 354, 355, 357-362, 358, 364, 607 Janet, Pierre, 472, 475 Jaspers, Karl, 262, 301, 303, 310, 340345, 341, 486, 487, 559 Jeans, James, 429 Joyce, James, 486 Jung, Carl Gustav, 449, 450, 451, 456, 469, 471-481, 472, 486 Jungmann, J.A., 570 Jung-Stilling, Johann Heinrich, 3 Kafka, Franz, 486 K'ang Yu-wei, 616-617 Kant, Immanuel, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 10, 11, 12, 13, 14, 16, 17, 19, 20, 23, 28, 32, 33, 34, 35, 36, 44, 48, 54, 60, 72, 73, 75, 78, 93, 95, 96, 97, 98, 99, 100, 102, 108, 119, 123, 150, 177, 178, 181, 182, 183, 184, 185, 186, 187, 188, 199, 200, 202, 215, 225, 232, 245, 256, 267, 283, 311, 312, 315, 323, 324, J25, 328, 333, 342, 348, 356, 363, 364, 370, 371, 383, 384, 405, 407, 434, 439, 472, 535, 540, 541, 545, 546, 551, 553, 554, 564, 566, 572, 589, 613, 614 Kardiner, Abram, 513, 524-525 Kautsky, Karl, 136, 231, 234, 235-237, 236, 240, 241, 242, 244, 247, 254, 255, 259 Kelvin (lord), 220 Kemal, Namuk, 598
630 D Jndice analitico Keplero, 7, 45 Kerenski, Aleksandr, 240 Keynes, John, 507 Khan, Ahmad, 595 Khomeini (ayatollah), 591, 594 Kierkegaard, Soren, 22, 30, 93, 103115, 104, 142, 260, 302, 334, 337, 341, 343, 344, 439, 555 Kokoscha, Oskar, 432 Kolakowski, Leszek, 145, 168, 484, 507-508, 509, 511 Korsch, Karl, 174, 231, 254-256, 255, 257, 260, 484, 485, 486, 494 Krishnamurti, Jiddu, 607 Kroeber, Alfred Louis, 513, 524 Krug, Wilhelm, 44 Kruscev, Nikita, 493, 505 Kuhn, Thomas, 445-446 Kwang Hsu (imperatore), 616 Laberthonriiere, Lucien, 568 Labriola, Antonio, 202, 231, 237-239, 238, 376, 378, 379, 380 Lac an, Jacques, 449, 462-464, 517, 518, 541 Lakatos, Imre, 446 Lamarck, Jean Baptiste, 217, 219, 222 Lamartine, Alphonse de, 177 Lamennais, Felicite Robert de, 59, 81, 195 Lao-tse, 118 Laplace, Pierre Simon, 269, 280 Lavoisier, Antoine Laurent, 25 Leibniz, Gottfried Wilhehm, 11, 27, 184, 315, 412 Lenin, 170, 171, 231, 232, 236, 237, 239, 240, 242, 243-247, 250, 251, 252, 253, 256, 259, 397, 419, 421, 486, 505, 612, 620 Leone XIII (papa), 567 Leopardi, Giacomo, 95, 99, 175, 177, 178-180, 189 Le Roy, Eduard, 418, 569 Lessing, Gotthold Ephra·im, 312 Levinas, Emmanuel, 587 Levi-Strauss, Claude, 513, 518, 519, 524, 534, 535-540, 536, 540, 541 Levy-Bruhl, Lucien, 486, 513, 529, 530,
539 Linneo, Carlo, 217, 218 Li Ta-chao, 589, 620 Lobacewski, Nicolai Ivanovic, 414 Locke, John, 154, 177, 312, 326, 357 Loisy, Alfred, 549, 568-569 Loos, Adolf, 432 Lorentz, Hendrik, 424, 426 Lorenz, Konrad, 514, 544-546 Lowith, Karl, 108 Lu Hsiin, 619 Luigi Filippo (re di Francia), 85, 136, 137 Luigi XVI, 89 Luigi XVIII, 77, 82 Lukacs, Gyorgy, 4, 105, 116, 174, 180, 231, 254, 255, 257-262, 257, 302, 365, 368, 484, 485, 486, 494, 509 Lumumba, Patrice, 590 Lunacarskij, Anatoli, 241 Luporini, Cesare, 507 Lutero, Martin, 20, 32, 83, 115, 192, 290, 291, 317, 462, 560, 563, 574, 594 Luxemburg, Rosa, 231, 233, 241-243, 241, 244, 247, 250, 486 Lyell, Charles, 216, 219, 222 Lysenko, .Trofin, 245 Macaulay, Thomas, 603 Mach, Ernst, 244, 245, 271, 385, 404, 419-421, 420, 430, 433, 452 Machiavelli, Niccolo, 47, 118, 250, 291, 386, 387, 390 Maim on, Salomon, 1, 11 Majakovskij, Vladimir, 486 Malebranche, Nicolas de, 115, 189 Malinowski, Bronislaw, 461, 486, 513, 530-534, 531 Mallarme, Stephane, 540 Malthus, Thomas Robert, 59, 66-69, 69-70, 73, 216, 217, 218, 221 Mann, Thomas, 257, 486 Mantovani, Vincenzo, 177 Manzoni, Alessandro, 181, 183, 184, 189 Mao Tse-tung, 484, 487, 503-506, 503504, 589, 591, 616, 617, 619, 620-622
lndice analitico D 631
Maometto, 495, 593, 595, 600 Maometto II, 589 Marcel, Gabriel, 266, 286, 294-297, 294, 303, 323, 486, 487, 498 Marco Polo, 519, 602 Marcuse, Herbert, 86, 207, 484, 485, 487, 488-491, 488, 510 Maritain, Jacques, 266, 286, 287, 288291, 28~ 292, 293, 294, 487, 494, 572, 573 Maritain, Raissa, 288 Martov, 240 Marx, Karl, 3, 7, 17, 22, 30, 32, 60, 68, 72, 81, 86, 87, 88, 89, 91, 103, 104, 106, 133, 134-170, 135-136, 171, 172, 173, 174, 195, 196, 202, 231, 232, 233,- 235, 236, 238, 240, 243, 247, 254, 256, 257, 258, 259, 260, 261, 262, 264, 291, 293, 300, 307, 310, 320, 321, 365, 380, 381, 386, 387, 392, 396, 397, 460, 484, 488, 489, 495, 496, 497, 499, 500, 502, 508, 509, 511, 512, 522, 527, 541, 543, 544, 551, 553, 558, 579, 582, 584, 612, 616, 620 Massari, Giuseppe, 189 Massis, Henri, 286 Matteotti, Giacomo, 378, 389, 391, 486 Maupertuis, Pierre-Louis Moreau de, 217 Maurras, Charles, 286, 290 Mauss, Marcel, 486, 513, 530, 536, 537 Maxwell, James, 429 Mazzini, Giuseppe, 73, 163, 175, 179, 189, 192, 194-197, 195, 198, 599, 609, 617 Mead, George, 363 Mead, Margareth, 513, 525, 538 Melantone, 32 Mendel, Gregor, 219 Merleau-Ponty, Maurice, 254, 301, 306 Metternich, principe di, 22 Metz, Johann Baptist, 550, 582-583 Meyer, Friedrich, 94 Michelangelo, 482 Michelson, Albert Abraham, 422, 423, 424
Mill, James, 59, 63-66, 65, 69, 70, 71, 209, 210 Mill Green, Thomas, 347-348 Minkowski, Ermanno, 427 Mirabeau, Victor, 76 Mobutu, 590 Moltmann, Jiirgen, 265, 549, 550, 581 Montale, Eugenio, 486 Montesquieu, Charles Louis de, 206, 618 Montinari, Mazzino, 116 Moore, George Edward, 348, 411 Moravia, Alberto, 486 Morgan, Lewis Henry, 513, 521-522, 523 Morley, Edward William, 422, 423, 424 Moro, Tommaso, 61 Morris, Charles, 436 Mose, 168, 461, 462 Mo-tse, 620 Mounier, Emmanuel, 266, 291-294, 292, 301, 487, 494, 572 Mozart, Wolfgang Amadeus, 5, 110, 467 Miintzer, Thomas, 496 Musil, Robert, 432, 487 Mussolini, Benito, 248, 318, 389, 390, 391; 403, 451, 486 Napoleone, vedi Bonaparte Napoleone III, 310 Nasser (Abad al-Nasir), 590, 591, 598, 600 Necker, Jacques, 89 Needham, Joseph, 615 Nehru, Pandit, 590, 591 Neurath, Otto, 405, 435-436, 442 Newton, Isaac, 45, 84, 86, 271, 422, 427, 443 Nkrumah, Kwame, 591 Nietzsche, Elisabeth, 115, 116 Nietszche, Friedrich, 35, 57, 73, 93, 115-132, 115-116 260, 293, 300, 302, 310, 316, 333, 338, 339, 343, 395, 458, 466, 474, 540, 541, 555, 558, 579, 596, 619 Nohl, Hermann, 32
632 0 Indice analitico Novalis, 5, 6, 7, 312 Nyerere, Julius, 591 Orsi, don Giulio, 183 Overbeck, Franz, 115 Owen, Robert, 59, 67, 70-71, 71, 72, 85, 87 Orwell, George, 91 Otto, Rudolf, 569, 570 Pagano, Mario, 181 Pahlavi, Reza (scia di Persia), 598 Pannenberg, Wolfhart, 265, 550, 576, 581 Paolo di Tarso, 285, 352, 555, 561, 606 Papini, Giovanni, 357 Pappenheim, Bertha, 453, 454 Paracelso, 6 Parker, Ely, 522 Parmenide, 123, 304, 338, 348 Pascal, Biagio, 77, 268, 288, 293, 299, 360, 422 Pauli, Wolfgang, 479 Pavese, Cesare, 487 Peano, Giuseppe, 385, 406, 409, 410 Peguy, Charles, 286, 292 Peirce, Charles Sanders, 346, 354, 355-357, 355, 358, 364, 413, 436, 515 Peron, Juan Domingo, 591 Pico della Mirandola, Giovanni, 112, 496 Pio IX (papa), 184, 196, 566 Pio X (papa), 567 Pio XII (papa), 571 Pirandello, Luigi, 486 Pitagora, 328, 416 Planck, Max, 429-431, 430, 433 Platone, 5, 9, 27, 95, 98, 118, 124, 126, 184, 194, 199, 200, 201, 268, 310, 315, 322, 340, 348, 365, 393, 396, 438, 478 . Plechanov, Georgji Valentinovic, 171, 17 4, 231, 239-241, 240, 243. 24 7 Plotino, 288 Plutarco, 142 Poincare, Henri, 404, 417-418, 418, 421 Poincare, Raymond, 418 Pollock, Friedrich, 485 Pomponazzi, Pietro, 227
Popper, Karl, 437, 442-445, 442, 446, 487 Prezzolini, Giuseppe, 393 Proclo, 44, 53 Proudhon, Pierre Joseph, 60 86-89, 87, 133, 135, 144, 152, 153, 154, 155, 156, 162 Radakrishnan, Sarvepalli, 610 Radcliffe-Brown, Alfred, 513, 534-535 Raffaello Sanzio, 383 Rahn, Giovanna, 12 Rahner, Hugo, 570 Rahner, Karl, 549, 572-573, 582 Ray, Ram Mohan, 588, 604, 605, 608 Rayleigh, J.W. Strutt barone di, 429 Ramakrishna (Gadadhar Chatterji), 588, 605-60.7, 605, 608, 609 Ramsey, Frank, 440 Ramsey, Jan T., 578 Ravaisson, Felix, 268, 269 Reich, Wilhelm, 486, 494 Reichenbach, Hans, 434, 435, 436, 444 Reinhold, Karl Leonhard, 1, 5, 10, 11 Renan, Joseph-Ernest. 269, 594 Reshti, Sayyed Kazem, 592 Ricardo, David, 59, 66-69, 70, 71, 82, 145, 164, 165, 167, 542 Richelieu, Armand (cardinale), 47 Richter, Jean Paul, 2, 3, 37 Ricoeur, Paul, 550, 578-579 Riemann, Bernhard, 414, 427 Rilke, Rainer Maria, 340, 486 Ritschl, Friedrich, 115 Robespierre, Maximilien, 4, 5, 17, 74 Robinson, John A.T., 580 Rohde, Erwin, 115 Royce, Josiah, 346, 350-352, 360, 436 Rolland, Romain, 606 Romagnosi, Giandomenico, 175, 177178, 179, 198, 227 Roosvelt, Delano, 363, 424, 451, 487 Rosenberg, Alfred, 302 Rosmini, Antonio, 175, 183-188, 183184, 189, 190, 194, 198, 202, 267, 274, 391 Rossi, Pellegrino, 184 Rousseau, Jean Jacques, 48, 69, 74,
I
I l [:
..l
lndice analitico 0
79, 179, 192, 290, 291, 539, 611 Ruge, Arnold, 133, 135, 137, 138,· 140, 143, 144, 170, 171 Russell, Bertrand, 68, 221, 348, 350, 363, 404, 409-411, 409, 412, 437, 438, 515, 577, 578, 619 Rutherford, Ernst, 430 Saba, Umberto, 487 Sabine, George, 215 Saccheri, Girolamo, 414 Sadat, 597 Saint-Hilaire, Barthelemy, 268 Saint Simon, Claude Henri de Rouvroy conte di, 60, 82-84, 82, 85, 86, 87, 162, 195, 199, 200, 204, 210 Salazar, Antonio, 487 Salome, Lou, 129 Saoud, Ibn, 597 Sarasvati, Dayananda, 604 Sartre, Jean-Paul, 267, 301-308, 301, 323, 338, 340, 487, 495, 544, 572 Saussure, Ferdinand de, 463, 486, 513, 516-517, 518, 536 Sayyd Ali Muhammad, 593 Sayyed, Ahmad Loufti El, 598 Schaff, Adam, 484, 497-499, 498 Scheler, Max, 324, 569-570 Schelling, Friedrich Wilhelm Joseph, 1, 2, 4, 5, 6, 9, 17, 18, 20-30, 21-22, 31, 32, 33, 35, 36, 37, 41, 54, 73, 94, 95, 104, 105, 106, 140, 171, 178 Schiller, Friedrich, 1, 2, 4, 5, 7, 34, 100, 120, 176 Schlechta, Karl, 116 Schlegel, August Wilhelm, 4, 21, 176 Schlegel, Friedrich, 4, 7, 8, 13, 94, 176, 551 Schleicher, August, 515 Schleiermacher, Friedrich Daniel Ernst, 1, 5, 7, 8, 9, 340, 553, 575 Schlick, Moritz, 433, 434, 436, 442, 486 Schmidt, Conrad, 234 Schmitt, Wilhelm, 523 Schonberg, Arnold, 432 Schopenhauer, Arthur, 93, 94-103, 9495, 104, 105, 115, 117, 119, 122, 124,
633
127, 128, 131, 180, 201, 260, 316, 439, 458 Schroder, Ernst, 404, 413 Schulze, Gottlieb Ernst, 1, 5, ll Scoto Eriugena, Giovanni, 191 Segundo, Luis, 587 Senghor, Leopold-Sedar, 591 Settembrini, Luigi, 201 Shakespeare, William, 100 Shankara, 129, 604 Shavkh, Ahsai, 592 Shelley, Percy Bysshe, 72 Simmel, Georg, 257, 309, 315-316 Smith, Adam, 49, 67, 68, 69, 145, 146, 164, 220, 618 Soave, Francesco, 177 Sobrino, Jon, 587 Socrate, 34, 56, 93, 104, 109, 111, 117, 119, 120, 213, 317, 357, 438 Sofocle, 117 Sorel, Georges, 239, 619 Spaventa, Bertrando, 201, 202, 238, 376, 378, 381, 391, 392 Spaventa, Silvio, 200, 378, 379 Spencer, Herbert, 203, 214, 217, 220 222-226, 222-223, 227, 229, 275, 277, 353, 364, 365, 520, 526, 618 Spengler, Oswald, 263, 309, 316-318, :+86, 524, 562 Spinoza, Baruch, 5, 8, 12, 14, 15, 23, 24, 99, 105, 201, 238, 315, 341, 343, 437, 498 Sraffa, Pietro, 440 Stalin (J osif Vissarionovic Giugasvili), 174, 231, 251-253, 302, 486, 487, 493, 505, 620 Steele-Olcott, Henry, 607 Stendhal, Henri Beyle, 76, 262 Stirner, Max, 133, 138, 142, 153, 154, 155 Strauss, David Friedrich, 133, 136, 138, 139, 140, 141, 171 Stuart Mill, John, 65, 66, 72, 164, 203, 204, 205, 209-215, 210, 221, 225, 227, 229, 277, 347, 443, 618 Suhrawardi, 482 Summer, William, 353
634 0 Indice analitico
Sun Ya-tsen, 486, 503, 589, 617-618, 621 Svevo, I talo, 486 Sweezy, Paul, 484, 511-512 Tagore, Rabindranath, 588, 608-609 Tahtawi, Rifa, 592 Taine, Ippolito, 269, 270 T'an ssu-t'ung, 617 Tasca, Angelo, 248 Taylor, Harriet, 210, 214 Teilhard de Chardin, Pierre, 266, 297301, 297, 494, 495, 572, 610 Teresa d'Avila (santa), 285 Terracini, Umberto, 248 Tiek, Johann Ludwig, 4 Tillich, Paul, 549, 552, 557-559, 562, 580 Tocqueville, Alexis de, 60, 90, 91 Togliatti, Palmiro, 248 Tolomeo, 322, 468 Tolstoj, Leone, 99, 262, 611 Tommaseo, Niccolo, 183, 184 Tommaso d'Aquino, 266, 288, 290, 549, 567 Toynbee, Arnold, 263 Tracy, Destutt de, 59, 76, 77, 179 Trockij, Lev, 237, 244, 251, 363, 465 Tylor-Burnett, Edward, 513, 521, 523, 528 Tyrrel, George, 549, 569 Vaihinger, Hans, 468, 471 Van Buren, Paul, 578, 580 Vaux, Clotilde de, 205, 208
Vera, Augusto, 201 Verri, Pietro, 176 Vico, Giambattista, 175, 177, 178, 181, 198, 199, 200, 201, 379, 381, 384, 393, 397 Vinoba, Bhave, 589, 612-613 Vittoria (regina d'Inghilterra), 603 Vivekananda (Narendra Nath Dutt), 588, 605, 606-607 Voltaire, 74, 79, 138, 317 Von Baer, Karl Ernst, 223 Wagner, Richard, 115, 116, 122, 131 Wahhab, Mohammed ibn Abd al-, 597 Wallace, Alfred R., 217, 452 Watt, James, 61 Weber, Max, 257, 309, 318-322, 318, 341, 353, 486 Whitehead, Alfred North, 409, 410, 412 Wilson, Edward Oswald, 546-548 Windelband, Wilhelm, 311-312 Winckelmann, Johann Joachim, 119 Wittgenstein, Ludwig, 405, 433, 437442, 437, 486, 515, 540, 552, 577, 578 Wordsworth, William, 72 Yen Fu, 615, 618 Zaratustra, 93, 116, 118, 128, 129, 333, 474 Zenone di Elea, 275 Zinoviev, 254 Zola, Emile, 269