Mario Menichella
I SEGRETI DELL’EDELL’E-CAT
Consulente Energia
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PREFAZIONE ….……………………………………………………………………. p. 5...
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Mario Menichella
I SEGRETI DELL’EDELL’E-CAT
Consulente Energia
Indice
PREFAZIONE ….……………………………………………………………………. p. 5 1. COSA È L’EL’E-CAT Cosa sono le reazioni nucleari a bassa energia, p. 10 – Vent’anni di ricerche sulla fusione fredda, p. 12 – La novità dirompente portata da Andrea Rossi, p. 15 – I rilievo di uno “scettico” alla presentazione dell’E-Cat, p. 18. 2. QUANTA ENERGIA PRODUCE I primi metodi per calcolare l’energia in eccesso, p. 24 – I risultati sperimentali ottenuti agli inizi, p. 27 – Le dimostrazioni pubbliche dell’Energy Catalyzer, p. 30 – Le incertezze relative al fattore di amplificazione, p. 34. 3. COME È FATTO L’EL’E-CAT L’architettura della versione commerciale, p. 40 – Quali sono i componenti interni dell’E-Cat, p. 42 – Come è fatta la parte più esterna dell’E-Cat, p. 45 – Le ricostruzioni successive del cuore del reattore, p. 47.
4. ALLA SCOPERTA DEL SETUP La sorgente di idrogeno e la relativa pressione, p. 53 – La temperatura di innesco della reazione nucleare, p. 56 – Il nichel in polvere: la quantità e le dimensioni ideali, p. 60 – La composizione isotopica e il trattamento del metallo, p. 63 – Una semplice lista di ciò di cui avete bisogno, p. 66. 5. IL CATALIZZATORE SEGRETO L’importanza di un “additivo” nell’E-Cat di Rossi-Focardi, p. 70 – Qual è la funzione del catalizzatore nelle reazioni?, p. 73 – La possibilità che non sia un composto aggiunto, p. 76 – Alcuni indizi preziosi e… del tutto inattesi, p. 79 – Quali sono le conclusioni che si possono trarre?, p. 83. 6. I PRODOTTI DELLE REAZIONI Le sostanze osservate nella polvere post-reazione, p. 90 – La questione improvvisamente si complica, p. 93 – Un assist per gli scettici: «Qui E-Cat ci cova», p. 96 – Alla ricerca di una spiegazione plausibile, p. 98. 7. I CO CONTROLLI NTROLLI SULLA RADIOATTIVITÀ I livelli di radioattività al di fuori della macchina, p. 105 – L’assenza di neutroni nelle reazioni Ni-H, p. 107 – Le emissioni temporanee nella camera di reazione, p. 108 - La schermatura dei raggi gamma a bassa energia, p. 111.
8. LA NATURA NUCLEARE DELLE REAZIONI Una reazione esotermica autosostentabile, p. 117 – La principale “firma” nucleare del fenomeno, p. 119 – La diversa energia delle reazioni chimiche e nucleari, p. 122 – Una stima teorica per ordini di grandezza, p. 125. 9. VERSO UNA POSSIBILE TEORIA Il superamento della barriera coulombiana, p. 130 – Uno sguardo ai principali tipi di reazione possibili, p. 133 – Una previsione teorica rivelatasi poi errata, p. 136 – Quali teorie sulle Lenr sono applicabili all’E-Cat?, p. 138. RINGRAZIAMENTI …………………………………..……………………….. p. 142 L’AUTORE ……………………………………………….……………………….. p. 144
Prefazione
Ho scritto questo libro perché sono un fisico curioso. Avevo letto del potenzialmente rivoluzionario reattore di Rossi-Focardi – meglio noto come “Energy Catalyzer”, o E-Cat – già pochi giorni dopo la sua presentazione del 14 gennaio 2011 a Bologna. Lì per lì non diedi troppo peso alla cosa, anche se scrissi a Rossi per fargli i complimenti e dargli alcuni consigli su come comunicare al pubblico una notizia così delicata. Ma il destino, evidentemente, mi riservava ancora molto altro. Qualche mese dopo, inaspettatamente, fui contattato dai cofondatori di un’associazione culturale di Viareggio per organizzare nella città toscana un grande convegno divulgativo sulla fusione fredda, traendo spunto dalla novità rappresentata dall’E-Cat. Realizzai così anche una lunga intervista a Sergio Focardi, uno dei protagonisti della storia che porterà Andrea Rossi a fare il “salto di qualità”, e ad inventare l’E-Cat nella sua forma attuale. Inoltre, ebbi modo di conoscere molte delle altre persone citate in questo libro.
Ma soprattutto, fui costretto ad approfondire notevolmente l’argomento per preparare in maniera professionale l’evento, tanto che finii presto per appassionarmene. Ciò che scoprii subito, inoltre, è che, nei due decenni seguenti l’annuncio del 1989 di Fleischmann e Pons della “loro” fusione fredda – prematuramente etichettata come “bufala” – questo settore di ricerca, pur tra mille ostacoli e pregiudizi, ha compiuto dei passi da gigante, e ciò indipendentemente dalla validità o meno dell’E-Cat. Pertanto, lo scopo di questo saggio non è quello di stabilire se l’E-Cat sia un prodotto straordinario o l’imbroglio del secolo – questo della verifica e validazione scientifica è solo un tema secondario del libro, sebbene trattato con un qualche approfondimento – bensì quello di capire come funziona, per tutti coloro a cui, come me, piacerebbe provare a replicarlo. Quando, oltre vent’anni fa, mi iscrissi alla facoltà di fisica dell’Università di Pisa, ero attratto dall’idea che avevo da bambino di una fisica “ottocentesca”, cioè nella quale si possono fare delle scoperte importanti anche nel laboratorio allestito nello scantinato e con pochi soldi: esattamente tutto il contrario della fisica di oggi, che per la ricerca richiede macchine sempre più costose ed équipe di scienziati sempre più ampie. In questo panorama, la “fusione fredda” è una notevole ed affascinante eccezione. La relativa sperimentazione è relativamente alla portata di tutti, dai semplici hobbisti alle piccole e medie aziende. E, come vedremo in questo libro, ciò vale anche per l’Energy Catalyzer, il quale mi ha sempre colpito per la sua incredibile semplicità, che lo caratterizza almeno per il 90%.
La questione del suo “catalizzatore segreto”, poi, è molto interessante. Infatti, uno può divertirsi a cercarlo sperimentalmente una volta allestito il resto della macchina con l’aiuto di quest’opera; o può provare – come ho fatto nel presente volume – a mettere con pazienza insieme gli innumerevoli “pezzi del puzzle” reperibili qua e là per trarne una conclusione logica, un po’ come farebbe un investigatore di fronte a un delitto in cui l’assassino è sconosciuto. In fondo, i delitti perfetti non esistono… Non mi resta quindi che congedarmi e auguravi una buona lettura! Mario Menichella
Capitolo 1 – Cosa è l’El’E-Cat
L’E-Cat, o Energy Catalyzer, di Rossi-Focardi rappresenta il primo e (almeno finora) unico sistema al mondo capace di ottenere, secondo i suoi due inventori, grandi quantità di energia da reazioni di fusione nucleare, processi che normalmente non si svolgono sulla Terra, bensì all’interno delle stelle, grazie alle altissime temperature e pressioni presenti. Inoltre, il processo di generazione di energia che è alla base dell’E-Cat utilizza come “ingredienti” il solo nichel (Ni) e l’idrogeno (H), ovvero due elementi abbondantissimi ed a basso costo: il nichel, infatti, è un componente del nucleo terrestre ed è comunemente usato per produrre l’acciaio, mentre l’idrogeno può essere ricavato dall’acqua per semplici elettrolisi. Pertanto, apparecchi come l’E-Cat – e le reazioni nucleari a bassa energia che, come vedremo, ne permettono il funzionamento – potrebbero costituire una sorgente di energia quasi illimitata per l’umanità, caratterizzata da un costo prossimo a zero e da un inquinamento ambientale nullo.
Per quanto ciò possa sembrare “troppo bello per essere vero”, l’E-Cat non pare essere solo un sogno o un prototipo di laboratorio: è già una realtà in avviata fase di pre-commercializzazione negli Stati Uniti (per il mercato americano) e in Europa (per il mercato italiano e per quello europeo), e attira già investimenti di decine di milioni di euro. Ciò che rende l’E-Cat estremamente adatto ad un impiego diffuso, sia a livello industriale che domestico, sono le sue dimensioni ridotte e la sua elevata produzione di energia, fornita sotto forma termica – cioè di calore – ma facilmente trasformabile in energia elettrica (che nel nostro mondo è quasi sempre prodotta a partire da energia termica).
Andrea Rossi con alle spalle la sua invenzione potenzialmente rivoluzionaria, l’E-Cat.
In effetti, l’impiego ideale di un E-Cat è quello di “cogeneratore”, cioè di una macchina in grado di fornire calore pregiato ad alta temperatura per la produzione di energia elettrica e/o per determinati processi industriali, e calore residuo a più bassa temperatura adatto, invece, per il riscaldamento di ambienti e/o dell’acqua per usi sanitari, etc.
Cosa sono le reazioni nucleari nucleari a bassa energia Il funzionamento dell’E-Cat si basa – come vedremo nel corso di questo libro – non sulle comuni reazioni chimiche, bensì su reazioni nucleari “a bassa energia”, così chiamate a sottolineare il fatto che esse sono frutto di interazioni le quali possono avvenire in condizioni di temperatura, pressione, etc., non estreme, ovvero simili a quelle esistenti sulla Terra. In natura, esistono due tipi di reazioni nucleari ben conosciute in grado di fornire energia: quelle di fissione e quelle di fusione; mentre le “reazioni nucleari a bassa energia” – spesso indicate, soprattutto dagli americani, con l’acronimo di LENR (Low Energy Nuclear Reactions) – rappresentano un tipo nuovo e ancora poco conosciuto di reazioni nucleari. La fissione nucleare, che consiste nella “scissione” del nucleo di un elemento pesante (ad es. l’Uranio-235) in particelle più piccole accompagnata da liberazione di energia, è impiegata nei reattori delle centrali nucleari. Poiché le reazioni di fissione sono circa un milione di volte più energetiche di quelle chimiche (e sono in grado di autosostenersi), una centrale nucleare
da 1.000 MW consuma nella sua vita operativa solo poche tonnellate di uranio, tuttavia necessita sempre di un adeguato raffreddamento del nucleo del reattore e produce scorie radioattive di difficile smaltimento. La fusione nucleare, al contrario, è la fusione di due nuclei “leggeri” (cioè caratterizzati da un numero atomico basso) in uno più pesante, ed anch’essa è accompagnata dalla liberazione di energia. Esistono due tipi di fusione: la fusione nucleare “calda”, che è nota e ben compresa da molto tempo, e quella “fredda”, la cui fama è invece assai più recente.
Una nota reazione di fusione nucleare “calda” tra due isotopi dell’idrogeno.
La fusione calda è il processo che permette alle stelle di irradiare luce ed energia e di non collassare su se stesse, grazie a reazioni nucleari di fusione di vario tipo, la più semplice delle quali vede due protoni (1H) fondersi in un nucleo di deuterio (2D), con emissione di un neutrino e di un positrone.
L’uomo tenta di realizzare dei processi simili sulla Terra all’interno di macchine chiamate “tokamak”, cercando di riprodurvi le condizioni di altissime temperature ed energie estreme necessarie per questo tipo di reazioni. Tuttavia, la complessità di tali macchine e il loro costo esorbitante fanno sì che perfino la sola dimostrazione reale della fattibilità della fusione calda artificiale rimarrà una chimera ancora per molti decenni. La fusione fredda, invece, è sempre una reazione di fusione – da questo punto di vista è molto simile alla fusione calda – ma si differenzia per il fatto che per realizzarsi non necessita di temperature (né di energie) elevate. Dunque, le espressioni “fusione fredda” e “reazioni nucleari a bassa energia” indicano di fatto la stessa cosa, anche se la prima è il nome storico con cui i relativi esperimenti sono largamente noti ed è oggi utilizzata soprattutto dai media, mentre la seconda è diffusa soprattutto fra gli scienziati, che in Europa da una decina d’anni identificano gli studi sulla fusione fredda anche con l’espressione, più ampia, Condensed Matter Nuclear Science (CMNS), che sta per “scienza nucleare della materia condensata”.
Vent’anni di ricerche sulla “fusione fredda” La moderna storia della fusione fredda nasce con il prematuro annuncio fatto negli Stati Uniti dai due elettrochimici Martin Fleischmann e Stanley Pons, che nel 1989 indissero una conferenza stampa – senza aver prima pubblicato un articolo su una rivista con peer review – per illustrare il successo di una
esperimento fatto con palladio e deuterio in una cella elettrolitica, nella quale si produceva un leggerissimo calore in eccesso. Vi furono numerosi tentativi di replicare quel risultato, ma per alcuni anni ebbero scarso successo, tanto che ben presto la questione della fusione fredda venne etichettata dai media e dalla scienza mainstream come una “bufala”. In seguito, vi sono state numerose altre ricerche, che si sono concentrate non solo sulla linea del palladio-deuterio di Fleischmann e Pons (che ha portato in questi ultimi anni a qualche risultato interessante), ma hanno esplorato anche una linea nuova – la nichel-idrogeno – che invece usa una cella a secco, con il metallo nell’atmosfera del gas.
All’inizio, la fusione fredda sembra rivelarsi una “bufala”, specie per i media.
Il lavoro probabilmente migliore nell’ambito di questa seconda linea di ricerca è stato effettuato a Siena, fin dai primi anni Novanta, da un gruppo di fisici composto da Sergio Focardi (Università di Bologna), Francesco Piantelli (Università di Siena) e Roberto Habel (Università di Cagliari), senza però portare a un sistema capace di generare quantità di energia in eccesso utili per le normali applicazioni di tipo industriale o domestico. A Siena, infatti, i tre scienziati – usando il nichel e l’idrogeno come soli “ingredienti” della reazione insieme a un’opportuna quantità di calore fornita al sistema – riescono a ottenere in uscita un’energia termica doppia rispetto all’energia elettrica fornita in ingresso. Ovviamente, se non vi fossero state delle reazioni “sconosciute” a produrre questo risultato, si sarebbe dovuta ottenere un’energia termica inferiore, a causa delle rilevanti perdite che vi sono sempre nel trasformare una forma di energia in un’altra. Focardi e Piantelli collaborano nelle ricerche sulla fusione fredda – esplorando non solo la linea principale Ni-H ma anche altre che prevedono l’uso di metalli diversi o leghe – fino al 2005, quando Focardi è distratto da seri problemi di salute ed abbandona le ricerche, ponendo fine a un proficuo sodalizio. Focardi è stato quindi, fin dall’inizio, un protagonista della lunga avventura che alla fine, a sorpresa, ha portato Andrea Rossi all’invenzione dell’Energy Catalyzer, il quale non a caso porta pure il suo nome. Ma chi è lo “scienziato” Sergio Focardi? Nato a Firenze nel 1932, una volta diplomatosi vince il concorso alla Scuola Normale Superiore di Pisa, dove qualche anno dopo si laurea in Fisica
con 110 e lode. Lì inizia la sua carriera universitaria, che prosegue a Bologna e lo porta a diventare, nel 1977, professore ordinario, e ad insegnare fisica generale, fisica sperimentale e fisica superiore. Nella sua attività di ricerca si occupa di processi connessi alla 4 grandi forze: forte, debole, elettromagnetica e gravitazionale. Molto stimato dai colleghi dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) – di cui dirige la sezione di Bologna negli anni 1973-76 – nel 1980-89 è preside della Facoltà di Scienze dell’Università di Bologna, che lo nomina, nel 2005, Professore Emerito di Fisica Sperimentale.
Il fisico Sergio Focardi, professore emerito dell’Università di Bologna. (foto di C. Puosi)
La novità dirompente dirompente portata da Andrea Rossi Proprio quando Focardi è ormai alleggerito dagli incarichi di docenza e dalle preoccupazioni per la propria salute – in quanto nel frattempo è andato in
pensione e ha subito con successo un’operazione chirurgica – entra in gioco Andrea Rossi, un ingegnere chimico che dal 1997 lavora negli Stati Uniti, dove si occupa di tecnologie innovative nel campo dell’energia. Nel 2007, Rossi contatta Focardi per sviluppare un reattore a fusione fredda, e i due si incontrano a Bologna. Rossi illustra a Focardi le sue idee, come quella di voler usare il nichel sotto forma di polvere, per aumentare la superficie e favorire così il “caricamento” dell’idrogeno nel metallo e le successive reazioni. Trovandosi sulla stessa lunghezza d’onda, i due decidono di instaurare una collaborazione e si mettono subito al lavoro per realizzare degli esperimenti, che vengono fatti a Bondeno (Ferrara), nel capannone industriale della EON, un’azienda dello stesso Rossi. I due si concentrano sulle reazioni tra nichel e idrogeno – senza tuttavia trascurare altri possibili metalli – in quanto risultate le più promettenti dalle precedenti ricerche di Focardi, ed ottengono i primi risultati importanti, che hanno portato al prototipo dell’E-Cat. Focardi si preoccupa più degli aspetti “nucleari” degli esperimenti, ad esempio verificando che non vi siano delle emissioni di neutroni o di raggi gamma pericolosi per la salute. Rossi, invece, si concentra principalmente su come si possa aumentare la produzione di energia dell’apparato facilitando in qualche modo la reazione: va, cioè, alla ricerca di un “catalizzatore”, in senso stretto (chimico) o lato. Vengono costruiti i primi apparati, e già nel giro di pochi mesi Rossi ottiene dei risultati sorprendenti. In pratica, l’“irruzione” di Rossi, con il suo background chimico e concreto, nelle ricerche di Focardi porta un’enorme
innovazione negli esperimenti, fino ad allora condotti con semplici celle nichel-idrogeno caratterizzate da una produzione di energia in eccesso molto limitata. Rossi riesce ad “attivare” il sistema attraverso un catalizzatore a tutt’oggi segreto – anche se, come vedremo, sono possibili varie ipotesi a riguardo – il quale permette al vecchio reattore di Focardi di passare da una produzione di calore in eccesso dell’ordine dei watt (dello stesso ordine della potenza elettrica in ingresso) a una dell’ordine dei kW.
Rossi, Focardi e il fisico Giuseppe Levi accanto a una serie di E-Cat. (foto di D. Passerini)
Una volta resisi conto dell’affidabilità dell’invenzione, Rossi e (soprattutto) Focardi desiderano pubblicare su una rivista scientifica con peer review un articolo sugli eclatanti risultati ottenuti. Così i due pubblicano l’articolo online e, su pressione di Focardi, Rossi si decide a fare una dimostrazione
pubblica del funzionamento dell’Energy Catalyzer (subito ribattezzato, per comodità, E-Cat), che si svolge a Bologna il 14 gennaio 2011, dinanzi a un pubblico composto da numerosi fisici universitari e dell’INFN e da giornalisti di varie testate: RAI, Repubblica, Sole 24 Ore, etc. La notizia dell’E-Cat fa così, in pochi giorni, praticamente il giro del mondo.
I rilievi di uno “scettico” “scettico” alla presentazione dell’E dell’El’E-Cat Per quanto possa apparire in parte sorprendente, finora l’unico vero tentativo di comprendere davvero, durante un test, cosa ci sia dentro la camera di reazione dell’E-Cat – e, quindi, di avere informazioni anche sul catalizzatore segreto – è stato quello compiuto da Francesco Celani proprio in occasione di questa prima presentazione pubblica della macchina. Celani non è un fisico sperimentale qualsiasi. Lavora, praticamente da una vita, ai Laboratori Nazionali di Frascati dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN), dove è primo ricercatore, e dove una ventina d’anni fa ha iniziato ad occuparsi di fusione fredda con l’idea di “smontarla”, di mostrare che era un “imbroglio”. Poi, compreso con il tempo e con gli esperimenti fatti di persona che non era così, si è dedicato allo sviluppo e allo studio sistematico di vari setup sperimentali, impiegando diverse tecniche sofisticate per favorire le reazioni, e collaborando negli anni con alcuni tra i migliori scienziati al mondo che lavorano in questo settore.
Francesco Celani, uno dei maggiori esperti italiani di fusione fredda e LENR.
Così, animato dal suo solito spirito critico, il 14 gennaio si presenta all’appuntamento con l’E-Cat incuriosito ma anche intimorito, perché sa che Focardi è uno scienziato affidabile ma pure di età avanzata, mentre Rossi vuole comunque fare una presentazione che “colpisca”. Dunque, preoccupato che la macchina possa produrre qualche forte emissione gamma in grado di fare seri danni alla salute – e tenendo molto alla sua pelle – arriva sul posto con una borsa piena di ben 20 kg di strumentazione! Prima che l’esperimento cominci, Celani si allontana e si reca nel bagno – che, per fortuna, è attiguo alla sala dove si trova l’E-Cat – portando con sé con tre piccoli strumenti portatili: un Geiger, un rivelatore di microonde e uno di onde elettromagnetiche ELF, cioè di Extra Low Frequencies, per misurare i disturbi sulle frequenze intorno ai 50 Hz della rete. L’idea è che,
se Rossi vuole giocare qualche “scherzo”, ha due possibilità: o mettere un cavo di alimentazione nascosto magari sotto la gamba del tavolo per dare energia al momento opportuno, o avere una sorgente radioattiva nascosta da qualche parte in modo da tirarla fuori al momento opportuno. Ebbene, le misure eseguite di nascosto nel bagno prima dell’accensione del reattore mostrano che è tutto regolare: il fondo ambientale vicino all’ECat è lo stesso che nella sala più lontana. Buon segno. A questo punto, Celani tira fuori dalla valigia i suoi vari strumenti, li mette sul tavolo – sotto lo sguardo assai stupito della moglie di Rossi, che forse lo crede una spia – e li accende. Oltre agli strumenti già citati, c’è un sensibile spettrometro gamma e un rivelatore EMP, cioè di impulsi elettromagnetici.
Rossi mostra la corrente assorbita dal suo E-Cat durante una dimostrazione.
L’idea è che, se Rossi vuole imbrogliare, all’avvio del test crea una sorta di equivalente di un forte impulso elettromagnetico, in modo da far impazzire la strumentazione e da far credere che ci sia un “segnale”. Dunque, se il rivelatore di ELF e quello EMP segnalano qualcosa, è un brutto segno; se, invece, questi rimangono silenziosi mentre i rivelatori nucleari (Geiger e spettrometro) – alimentati rigorosamente a batteria – rivelano qualcosa, è un buon segno: vuol dire che nell’esperimento c’è qualcosa di serio. E le cose vanno proprio così. A un certo punto, entrambi i rivelatori gamma rivelano per un secondo o meno un segnale, una sorta di “flash”, che Celani comprende corrispondere al momento in cui il reattore – raggiunta la temperatura critica – parte perché, poco dopo, Rossi esce tutto felice dalla stanza dell’E-Cat dicendo: «Ce l’abbiamo fatta». Anche allo spegnimento Celani rileva un segnale, sia pure più piccolo. Dunque, si può concludere che il fenomeno è genuino, che non si tratta di un imbroglio.1
1
Infatti, è difficile pensare che un disturbo elettromagnetico sia stato in grado di far partire due strumenti a batteria indipendenti, oppure che un raggio cosmico abbia attraversato entrambi i rivelatori, cioè sia entrato nella stanza con il giusto angolo e proprio poco prima che Rossi annunciasse l’avvio del reattore.
Capitolo 2 – Quanta energia produce
Fra tutte le caratteristiche dell’E-Cat, la notevole produzione di energia ribadita in più occasioni da entrambi i suoi inventori, Rossi e Focardi, è ciò che più lo distingue – e, anzi, lo rende unico - rispetto ai precedenti apparati (tutti sperimentali), che avevano tentato di produrre “energia in eccesso” nell’ambito della ricerca sulla fusione fredda. Ma quanta energia produce, in pratica, un E-Cat? Prima di dare dei dati quantitativi, occorre fare alcune premesse utili soprattutto per il lettore non esperto, che sono le seguenti: • Una macchina come l’E-Cat è alimentata da energia elettrica e fornisce energia termica, per cui si tratta di due diverse forme di energia, la prima misurabile con un semplice wattmetro o con un tester, mentre la seconda è di misurazione più complessa e indiretta. • L’energia elettrica si misura in kWh elettrici (kWhe), mentre quella termica si misura in kWh termici (kWht). Tuttavia, essi non si
equivalgono, cioè 1 kWhe non è uguale a 1 kWht. Ai fini pratici, a 500 °C vi è un rapporto di circa 1:3 tra le due diverse energie, cioè se produco 100 kWht questi sono grosso modo equivalenti a 30 kWhe: il valore esatto dipende dal metodo di trasformazione usato (Stirling o altro) per trasformare l’energia termica in elettrica. • L’energia E prodotta dall’E-Cat è la cosiddetta energia in eccesso – o energia netta – generata dall’apparato, cioè l’energia in uscita (termica) meno l’energia in ingresso (elettrica). Usando la semplice equivalenza appena illustrata, può essere quindi espressa come: “E = [0,3 x Etermica in uscita (in kWht)] - Eelettrica in ingresso (in kWhe)”. L’energia prodotta, dunque, può essere espressa anche in termini di kWh elettrici.
Alcuni E-Cat allineati uno dietro l’altro su un tavolo. (foto di Daniele Passerini)
• Più utile dell’energia prodotta in kWh elettrici da un E-Cat è il fattore A di amplificazione energetica: ovvero, per 1 kWh elettrico che fornisco alla macchina, quanti kWh termici o elettrici (fra le due diverse energie, a 500 °C vi è un rapporto di circa 1:3) ottengo in uscita? Ovviamente, la condizione necessaria perché un generatore a fusione fredda generi energia in eccesso è che sia A > 1, come minimo. A questo punto, possiamo provare a rispondere alla domanda da cui eravamo partiti: quanta energia produce un E-Cat?
I primi metodi per calcolare l’energia in eccesso La temperatura massima ottenibile con l’E-Cat di Rossi-Focardi abbraccia – come dichiarato dai suoi inventori – un ampio intervallo di valori, e può dunque essere utilizzata per riscaldare un opportuno fluido non solo per vari impieghi, ma anche per la stessa stima dell’energia prodotta. Infatti, la cella sigillata che costituisce la camera di reazione fra il nichel e l’idrogeno si trova in stretto contatto termico con un serbatoio esterno (isolato termicamente con l’ambiente circostante per minimizzare le perdite di calore), il quale può venire riempito con dell’acqua o con un altro fluido che funga da vettore verso l’esterno del calore prodotto. A causa della forte produzione di calore da parte del sistema, se si utilizza come fluido l’acqua questa raggiunge la temperatura di ebollizione, e pertanto la tubatura che la contiene viene a trovarsi sotto pressione. Poiché la
pressione del vapore non può superare un certo limite, il suo valore viene mantenuto entro un intervallo di sicurezza – corrispondente a una pressione di 3-6 bar – mediante l’opportuna apertura di una valvola. Quando la valvola si apre, nuova acqua entra a sostituire quella andata via sotto forma di vapore. Poiché l’acqua fornita al sistema viene misurata, è possibile a posteriori calcolare l’energia termica prodotta dall’E-Cat, che in condizioni stazionarie risulta essere molto più grande dell’energia elettrica fornita in ingresso (misurata con un semplice wattmetro).
Andrea Rossi mentre calcola l’energia prodotta dal suo E-Cat. (video di S. Krivit)
Nello sviluppo iniziale dell’E-Cat, Rossi e Focardi hanno utilizzato tre diversi metodi per la misurazione – o per avere almeno una stima – indiretta dell’energia termica prodotta dal loro apparato (e quindi del fattore di
amplificazione di quest’ultimo), che rappresenta uno degli aspetti più delicati di questi esperimenti. Li chiameremo, rispettivamente, A, B e C. Il metodo A è consistito in una misurazione “veloce” – in quanto l’ECat è stato tenuto in funzione solo per 1-1,5 ore circa – effettuata misurando la quantità di acqua immessa nel serbatoio che circonda la cella di reazione, e sapendo che l’acqua bolle quando raggiunge 100°C, nonché che la pressione è tenuta sotto controllo a un valore abbastanza costante grazie alla valvola di sicurezza, come illustrato nella parte precedente. Il metodo B, invece, ha valutato l’energia termica forzando in modo opportuno la circolazione dell’acqua riscaldata dall’E-Cat attraverso alcuni termosifoni collegati in serie, e tenendo in funzione l’apparecchio per circa 10-20 giorni di fila. L’energia prodotta dalla macchina è stata stimata misurando l’energia necessaria per raggiungere la stessa temperatura dei termosifoni con un normale sistema di riscaldamento. Il metodo C, infine, ha utilizzato un circuito chiuso in cui l’acqua è stata forzata con una pompa a circolare. Al solito, nel circuito è inserito l’E-Cat, opportunamente isolato termicamente per minimizzare gli scambi di calore con l’esterno. Due termocoppie poste prima e dopo l’E-Cat hanno permesso di misurare in modalità continua la temperatura dell’acqua, che è stata così registrata da un computer. Conoscendo istante per istante la differenza tra le due temperature, è stato possibile – per Rossi e Focardi – calcolare l’energia termica trasferita dall’Energy Catalyzer all’acqua.
I risultati sperimentali ottenuti agli inizi Nell’articolo scientifico A new energy source from nuclear fusion – scritto nel 2010 e unica fonte di informazione dettagliata sulla produzione di energia termica ottenuta con l’E-Cat nella sua fase di primi test, compiuti tra il 2008 e il 2009 in un capannone industriale di Bondeno (Ferrara) – Rossi e Focardi sintetizzano i risultati dei loro esperimenti effettuati a tale scopo.
L’articolo di Rossi-Focardi sull’E-Cat, pubblicato sul “Journal of Nuclear Physics”.
I dati sono riassunti nella tabella riportata qui sotto, e si riferiscono a misure dell’energia termica prodotta dall’E-Cat ottenute con uno dei tre metodi descritti in precedenza, ed a misure dell’energia fornita alla macchina compiute con un wattmetro. La prima colonna della tabella illustra il tempo (in giorni) per il quale l’E-Cat è stato tenuto in funzione continuativamente. La seconda colonna mostra, invece, l’energia elettrica fornita in ingresso (espressa in kWhe), mentre la terza colonna si riferisce all’energia termica prodotta in uscita dall’apparato (in kWht).
Tempo (gg) 28-5-08 11-6-08 2-9-08 (17-2 / 3-3) (5-3 / 26-4) 22-10-09
Metodo A A A B B C
Energia
Energia
Uscita/
in ingresso
In uscita
ingresso
0,2 0,806 0,5 5,1 18,54 0,018
83 165 40 1006,5 3768 3,23
415 205 80 197 203 179
I primi test “ufficiali” effettuati da Rossi e Focardi sull’Energy Catalyzer.
L’ultima colonna della tabella riporta il fattore di amplificazione dell’ECat, cioè il rapporto tra l’energia in uscita (in questo caso termica) e quella in ingresso (elettrica), ovvero fra l’energia prodotta dalla macchina e quella ad essa fornita. Ricordiamo che, per avere una stima dell’amplificazione elettrica-elettrica, occorre dividere per circa “3” i valori riportati in questa
colonna: dunque, un’amplificazione elettrica-termica di 200 volte in pratica corrisponde, a 500 °C, ad una elettrica-elettrica di circa 70 volte.
Il guadagno energetico dell’E-Cat risultante dai primi esperimenti di Rossi e Focardi. Il grafico mostra l’energia termica in uscita in funzione di quella elettrica in ingresso.
Il fattore di amplificazione dell’E-Cat – come si vede – è notevole, attestandosi, con tutti e tre i diversi metodi di misurazione, proprio attorno alle 200 volte (70 se si considera l’amplificazione elettrica-elettrica). Solo in due casi l’amplificazione è risultata “anomala”: in uno, essa è stata inferiore (e pari a “sole” 80 volte) a causa della «contaminazione del combustibile», mentre nell’altro caso (con amplificazione di ben 415 volte!) Rossi e Focardi non forniscono una qualche possibile spiegazione.
L’amplificazione dell’E-Cat dipende, ovviamente, dalle varie condizioni iniziali ed “al contorno” utilizzate nell’esperimento e, a parità di queste, dipende dal tempo di funzionamento della macchina. Poiché l’amplificazione energetica anomala – quella di 415 volte – si riferisce a un tempo di funzionamento breve (circa 1-1,5 ore), è verosimile che essa rifletta solo un fenomeno transiente di elevata produzione energetica iniziale prima dello stabilizzarsi della reazione nucleare, e che dunque non sia indicativa delle prestazioni dell’apparato su tempi più lunghi, cioè di quelle “medie”.
Le dimostrazioni pubbliche dell’Energy Catalyzer A partire dal 14 gennaio 2011, data della prima presentazione alla stampa dell’E-Cat, il reattore di Rossi-Focardi è stato oggetto di varie “dimostrazioni” pubbliche o comunque di cui si è avuta un’abbastanza dettagliata notizia, come risulta anche dalle numerose e dettagliate “cronache” via via fatte da Passerini nel suo blog 22 passi, e che vi invito a leggere.
Il blog “22 passi” (a sinistra), curato assai pazientemente da Daniele Passerini (a destra).
Qui di seguito, riassumerò i test principali per il tipo di dati raccolti: 1) Dimostrazione del 14 gennaio 2011. In un capannone industriale vicino Bologna, dinanzi a una platea di giornalisti ed esperti appositamente invitati, si è svolto per circa 45 minuti un test di funzionamento dell’ECat effettuato in condizioni non totalmente controllate. Uno degli organizzatori dell’evento – Giuseppe Levi, un fisico dell’Università di Bologna da tempo collaboratore di Focardi ed associato all’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) – ha in seguito fornito un report dell’esperimento svolto (che illustra anche un test precedente fatto il 16/12/2010, in cui era stato raggiunto lo stato di autosostentamento della reazione); mentre una relazione sulle radiazioni gamma prodotte è stata fatta dal dott. Mauro Villa. Il reattore, riscaldato fornendo in media 1 kW di potenza elettrica, avrebbe prodotto 12,7 kW, dunque con un guadagno di potenza di oltre 10 volte. 2) Dimostrazione del 10-11 febbraio 2011. Il già citato Giuseppe Levi ha potuto escludere una possibile origine chimica del fenomeno grazie anche a quest’ulteriore test, effettuato da lui e Rossi a Bologna dal 10 all’11 febbraio 2011, e che si è protratto ininterrottamente per 18 ore. In quest’occasione, la reazione è stata innescata fornendo 1,2 kW di potenza per circa 10 minuti, valore poi ridotto di circa 100 watt a una potenza sufficiente per mantenere in funzione la parte elettronica dell’apparato destinata alla supervisione del processo. L’eccesso di potenza in uscita è risultato di 15 kW, corrispondente dunque a un
guadagno di potenza di circa 15 volte. Nel test è stato anche misurato il consumo totale di idrogeno, risultato di circa 0,4 grammi.
La potenza elettrica assorbita dall’E-Cat durante il test privato del 16/12/10, come riportata nel rapporto stilato da Giuseppe Levi sull’esperimento del 14/01/11.
3) Dimostrazione del 29 marzo 2011. A seguito della pubblicazione, sulla rivista svedese NyTeknik, di un articolo sull’E-Cat, è stato organizzato a Bologna un nuovo test alla presenza di due fisici piuttosto noti in Svezia: Sven Kullander, professore emerito dell’Università di Uppsala, e Hanno Essén, docente di fisica teorica presso l’Università di Stoccolma. Per la prima volta l’E-Cat è stato mostrato “nudo”, ma in una versione
più piccola (da soli 4,4 kW, contro gli oltre 10 del primo prototipo). L’energia in ingresso è stata di 330 W e quella in uscita di 4,7 kW. Sia il calcolo dell’energia che la calibrazione del flusso d’acqua per la stima del calore prodotto sono stati compiuti dai due scienziati svedesi, i quali sono stati liberi di controllare tutto (ma non di aprire il reattore). Alcuni giorni dopo l’esperimento – durato 4 ore – essi hanno scritto un lungo rapporto positivo sulla macchina, reperibile in Rete.
Rossi mostra la versione ridotta dell’E-Cat ai fisici svedesi Kullander ed Essén durante la dimostrazione del 29 marzo 2011. (foto di Daniele Passerini)
4) Dimostrazioni del 19 e 28 aprile 2011. Nel mese di aprile si sono svolte, a Bologna, due ulteriori dimostrazioni del funzionamento dell’E-Cat,
che sono durate rispettivamente 2 e 3 ore. Mats Lewan, un giornalista scientifico di NyTeknik, ha partecipato attivamente – onde escludere evidenti possibilità di truffa – a tali test ed alle misurazioni necessarie per la stima del calore prodotto, che hanno mostrato un guadagno di potenza di 2,3-2,6 kW a fronte di una potenza elettrica fornita in ingresso di 300 W. Come in precedenza, la potenza in uscita è stata calcolata dalla quantità di acqua vaporizzata ed in funzione del flusso d’acqua liquida, ridotto rispetto ai precedenti test.
Le incertezze relative al fattore di amplificazione Come si vede, quindi, il guadagno di potenza dell’E-Cat (quello da elettrico a termico, non elettrico-elettrico) è sceso dal valore di circa 200 dei primi esperimenti di Rossi-Focardi a quello di 10-15 dei test del 2011 e, più di recente, Rossi si è impegnato a vendere E-Cat con un guadagno non inferiore a un fattore 6. A cosa sono dovute queste differenze? La spiegazione più probabile è che la potenza erogata dagli E-Cat attuali sia un compromesso tra guadagno energetico, stabilità e affidabilità del sistema (e forse anche di una qualche forma di “gestibilità” del catalizzatore segreto). In altre parole, negli esperimenti di cui parla Focardi la macchina viaggiava “a tutta birra” o quasi, il che non è in generale auspicabile, poiché questo regime non è stato ancora stato esplorato – come spiega lo stesso Giuseppe Levi – e potrebbe produrre dei danni all’apparato. Nei test, quindi,
l’E-Cat è stato usato sempre opportunamente “depotenziato”, rispetto alle sue vere potenzialità, per banali ragioni di sicurezza.
L’E-Cat non è stato ancora studiato nel suo regime “critico”, come ci racconta Giuseppe Levi in un ottimo documentario di Giacomo Guidi (a destra): http://vimeo.com/25150844.
Sembra, invece, improbabile che il “calo di potenza” dell’E-Cat dagli inizi ad oggi dipenda da un’errata misurazione compiuta in precedenza del calore in eccesso prodotto, in quanto i tre diversi metodi usati da Rossi e Focardi nei primi esperimenti hanno dato risultati coerenti fra loro, ed inoltre uno di essi era un metodo “comparativo” (in cui si riscaldano alla stessa temperatura due termosifoni usando in un caso l’E-Cat e nell’altro una resistenza elettrica, e poi si confrontano le energie elettriche fornite nei due casi), e dunque rozzo ma in un certo senso più affidabile. Ciò non toglie, tuttavia, che le relative misurazioni non sono state effettuate direttamente da Focardi, il quale mi ha raccontato di aver svolto di persona questo tipo di incombenza solo ai tempi degli esperimenti con Piantelli.
Ad ogni modo, occorre prendere atto anche del fatto – di cui si è parlato molto su Internet – che tutte le misurazioni del calore in eccesso prodotto dall’E-Cat fatte nell’ambito delle varie dimostrazioni elencate in precedenza sono state effettuate utilizzando una procedura che prevede di far riscaldare dell’acqua dal reattore fino a 100 °C, temperatura alla quale essa si trasforma in vapore; ma le misure di calorimetria in cui è coinvolto il vapore sono, purtroppo, intrinsecamente soggette ad errori assai elevati, il che alimenta inevitabilmente comprensibili critiche (da parte, ad es., negli Stati Uniti di Steven Krivit, giornalista scientifico ed editore della rivista New Energy Times, e in Italia di Ugo Bardi, chimico universitario). Come infatti spiegato in più occasioni (anche pubbliche) da Francesco Celani – fra i maggiori esperti in Italia di questo tipo di misure su reattori a fusione fredda – per determinare il calore in eccesso prodotto occorre che l’acqua non vaporizzi neanche un po’, poiché la cosiddetta entalpia associata alla formazione di vapore è circa 7 volte più grande dell’energia necessaria per portare la temperatura dell’acqua a 100 °C, e dunque, se pure solo una piccola quantità d’acqua vaporizza, si falsa la misura. Per evitare ciò, basta che la temperatura dell’acqua non superi, ad es., i 90 °C, cosa ottenibile facendo circolare l’acqua in un circuito in modo tale che non si oltrepassi tale soglia. Il metodo che permette di fare una corretta misurazione calorimetrica del calore in eccesso sull’E-Cat ha un nome: si chiama calorimetria a flusso in fase liquida. Celani si è dichiarato disponibile a fare lui stesso le misurazioni sul calore per validare la macchina.
Nell’esperimento del 14 gennaio venivano misurati, dal basso verso l’alto, i raggi gamma, la temperatura dell’acqua di raffreddamento, la “qualità” del vapore (da un report di F. Celani presentato al congresso di Chennai, India, 6-1 febbraio 2011)
Proprio per affrontare entrambi i problemi accennati – studio del regime critico delle reazioni e misurazione esatta del calore in eccesso prodotto – Rossi ha stipulato, nel giugno 2011, un contratto del valore di 500.000 € con il Dipartimento di Fisica dell’Università di Bologna. Si tratta, precisamente, di un accordo per la ricerca e sviluppo, in modo da poter testare per lunghi periodi l’E-Cat, da eventualmente migliorarne le prestazioni, e da poterne dare una validazione scientifica a livello accademico.
Capitolo 3 – Come è fatto l’El’E-Cat?
Quando, nel giugno 2011, ho intervistato Sergio Focardi per il primo grande evento divulgativo in Italia sulla fusione fredda e sull’E-Cat che stavo organizzando a Viareggio, al di là delle parole registrate nella parte pubblica dell’intervista, ho avuto da lui la netta sensazione di quanto pensato nel preparare l’intervista dopo aver letto molto materiale e ascoltato precedenti interviste fatte allo stesso Focardi: e cioè, che l’E-Cat sia un oggetto molto semplice, almeno per quanto riguarda la parte sviluppata da Focardi-Piantelli nei loro esperimenti, e questo mi pare un fatto positivo. Probabilmente vale la pena riportare qui direttamente le sue parole: «A Siena usavamo dei contenitori chiamati “celle”, delle dimensioni di circa 30 centimetri (li indica con le mani, ndr). In questo volume chiuso si metteva il gas, l’idrogeno, un metallo e si applicavano delle tensioni. Queste celle sono quindi sempre state oggetti di piccole dimensioni, maneggiabili, cui fornivamo una certa energia elettrica per poi vedere se ottenevamo come risultato più energia di quella che era stata fornita».
L’autore mentre intervista Sergio Focardi per il Convegno di Viareggio del 23/07/11.
Come mi spiega meglio Focardi, quando nel 2008 ha conosciuto Andrea Rossi, si sono messi subito al lavoro nel capannone dell’azienda di Rossi a Bondeno (FE), ottenendo in pochi mesi un enorme salto di qualità per quanto riguarda l’energia in eccesso prodotta. E ciò partendo da un apparato simile a quello dei vecchi esperimenti di Siena con Piantelli, ma usando nichel in polvere e, soprattutto, con l’aggiunta di un “catalizzatore” fatta da Rossi, di cui parleremo più in dettaglio tra un paio di capitoli. Sono numerose le fonti da cui possiamo trarre informazioni più esplicite su come sia fatto l’E-Cat, e queste vanno dalla prima richiesta di brevetto fatta da Rossi fino al più recente materiale illustrativo a scopo pubblicitario diffuso dalla Defkalion, una società greca che si occuperà della produzione nel Paese ellenico di macchine sviluppate a partire dall’E-Cat. Pertanto, è
possibile avere un’idea abbastanza precisa di questo oggetto, sebbene i singoli dettagli costruttivi siano coperti dal segreto industriale.
L’architettura della versione commerciale La brochure sui prodotti Hyperion della Defkalion – apparecchi destinati alla produzione di calore che vanno dalla potenza di pochi kW termici fino al MW – rappresenta, in effetti, un ottimo punto di partenza per arrivare poi a comprendere più in dettaglio la struttura dell’E-Cat. Secondo tale documento, lo schema semplificato dell’architettura di un Hyperion di pochi kW comprende tre diverse parti (indicate con A, B e C): A) È l’E-Cat vero e proprio, in pratica la “black box” contenente il reattore, i componenti annessi ed il catalizzatore coperto dal segreto industriale. L’E-Cat, quindi, costituisce il “cuore” dell’Hyperion. B) Si tratta di un serbatoio di idrogeno sotto pressione, usato anche come interruttore principale del modulo. Un modulo è un’unità che ospita uno o più E-Cat in parallelo, producendo quindi più energia. C) È l’elettronica che, tramite una sistema “intelligente” autonomo e un collegamento in tempo reale con la centrale operativa della Defkalion, monitora il regolare funzionamento dell’apparato e assicura che non vi sia un uso non autorizzato del prodotto e in particolare del reattore.
Schema di un Hyperion. “A” è il cuore del prodotto, e consiste sostanzialmente in un Energy Catalyzer come l’E-Cat, “B” è il serbatoio di idrogeno sotto pressione, mentre “C” è l’elettronica che monitora il funzionamento del reattore.
L’E-Cat, inteso quale nucleo dell’Hyperion come appena illustrato, è un oggetto che consiste, a sua volta, delle varie seguenti componenti: • Un tubo di metallo “caricato” con il nichel ed un catalizzatore. La reazione con l’idrogeno avviene all’interno del tubo, producendo una quantità di calore compresa fra 5 e 30 kW termici. • Un circuito termicamente chiuso utilizzante un fluido (tipicamente glicolo) per portare il calore prodotto dal reattore fuori dal modulo che raffredda il tubo. Tale circuito è integrato con una pompa per la
circolazione del liquido di raffreddamento, che è controllata dalla parte C – cioè dall’elettronica “intelligente” – della macchina. • Una “scatola” a tenuta stagna, che è isolata dal punto di vista termico dall’ambiente esterno e schermata con il piombo. • Una resistenza elettrica per riscaldare il tubo, la quale innesca la reazione nucleare consumando meno di 0,5 kW. La Defkalion fornisce quindi una descrizione abbastanza chiara dell’ECat – sia pure semplificata e dunque senza dettagli – che, insieme alle foto del prototipo mostrato in pubblico da Rossi, ce ne dà una prima idea.
Quali sono i componenti interni dell’Edell’E-Cat Informazioni più precise sull’apparato che costituisce l’E-Cat si trovano nella richiesta di brevetto internazionale depositata presso la World Intellectual Property Organization (WIPO) da Andrea Rossi e dalla moglie, Maddalena Pascucci, il 9 aprile 2008 e resa pubblica nel 2009.
La richiesta di brevetto fatta da Rossi e sua moglie nel 2008 per il “catalizzatore di energia”, contenente una descrizione dell’apparato e del suo funzionamento.
Come recita lo stesso riassunto del documento – in cui è riportato anche un utile disegno schematico dell’E-Cat da cui si evincono molti dettagli costruttivi dell’invenzione – si tratta di «un apparato per realizzare reazioni esotermiche altamente efficienti tra atomi di nichel e di idrogeno, preferibilmente (ma non necessariamente) in un tubo di metallo riempito di polvere di nichel e riscaldato ad alta temperatura». Vengono quindi descritti i vari componenti del sistema, a cominciare dal tubo metallico (2), contenente una resistenza elettrica (1) e la polvere di nichel (3). Una valvola elettromeccanica (4) – del tipo “a solenoide”, cioè controllata da una corrente elettrica che attraversa un solenoide – regola la pressione alla quale l’idrogeno (5) viene introdotto nel tubo.
Lo schema dell’E-Cat riportato nel brevetto di Rossi (con scritte e colori da noi aggiunti).
La polvere di nichel è posta all’interno di un tubo di rame (100), insieme a una resistenza elettrica (101) il cui funzionamento è regolato da un termostato (non mostrato), che si accorge di quando la macchina sta producendo calore in quanto il nichel è stato “attivato” dal gas idrogeno contenuto all’interno di un apposito contenitore (107) – cioè la reazione esotermica si è innescata – e provvede a spegnere tale resistenza. In tal modo, sia la temperatura della resistenza elettrica che la pressione di iniezione dell’idrogeno nella camera di reazione possono venire facilmente mantenuti a valori costanti o, al contrario, “pulsati” nel tempo. Nel brevetto, che peraltro contiene numerosi piccoli errori nelle parti teoriche, viene fatto solo un rapido cenno al catalizzatore segreto – o all’“additivo”, come di solito Focardi lo chiama nelle sue interviste rilasciate a partire dalla presentazione pubblica dell’E-Cat del gennaio 2011 – un componente, evidentemente, fondamentale della macchina. Il suddetto cenno al catalizzatore lo troviamo in due punti, e lo abbiamo qui evidenziato con un corsivo: (1) a pag. 6, dove si dice: «Per realizzare la reazione esotermica, i nuclei di idrogeno, sfruttando l’elevata capacità di assorbimento da parte del nichel, vengono compressi intorno ai nuclei atomici del metallo, mentre l’alta temperatura fornita al sistema genera percussioni internucleari che sono rese più forti dall’azione catalitica di elementi opzionali»; (2) a pag. 17, nel “Claim 2”: «Un metodo che si distingue da quello descritto nel Claim 1 per il fatto che vengono usati dei
materiali catalitici»; e nel “Claim 6”: «Un apparato uguale a quello del Claim 5, ma in cui la polvere di nichel contiene dei materiali catalitici». Naturalmente, è del tutto verosimile che Rossi non abbia fornito dettagli del catalizzatore nella richiesta di brevetto del 2008 per proteggere il segreto industriale della sua invenzione, ma in questo modo ha finora impedito che il brevetto internazionale potesse essere rilasciato, in quanto una condizione necessaria perché ciò avvenga è che l’apparato sia replicabile da terzi, cosa ovviamente impossibile se viene taciuto il “dettaglio” chiave.
Come è fatta la parte più esterna dell’Edell’E-Cat Tutto il sistema contenente la resistenza elettrica ed il tubo di rame con all’interno il nichel, ma anche il contenitore dell’idrogeno (107) e il relativo sistema di collegamento (106) con il tubo stesso – come si continua a leggere in modo assai chiaro nella richiesta di brevetto di Rossi – è protetto, ed a sua volta scherma opportunamente i prodotti creati nel tubo (o camera) di reazione salvaguardando l’ambiente esterno, tramite due strati: a) un rivestimento più interno (102) – realizzato ad es. in acciaio – contenente acqua e boro oppure solo boro (presumibilmente per assorbire gli eventuali neutroni prodotti dalla macchina, dal momento che questi sono due materiali tipici usati a tale scopo); b) uno strato più esterno di piombo (103) – eventualmente rivestito di uno strato di acciaio – con la funzione di assorbire le radiazioni
gamma prodotte dalle reazioni esotermiche e di trasferirne l’energia termica al mezzo, per gli usi civili o industriali del caso. In pratica, il calore generato dalle trasformazioni nucleari e dal decadimento di particelle può essere trasferito a un mezzo per le applicazioni desiderate – riscaldamento, produzione di energia elettrica, meccanica, etc. – direttamente attraverso il piombo e lo strato di alluminio, oppure meglio riscaldando dapprima un fluido primario (ad es. contenente acqua e boro) contenuto in un tubo esterno di acciaio (105), fluido che poi scambia calore, e quindi energia termica, con un circuito secondario.
L’uscita di un E-Cat liberata del suo tipico strato esterno nero di isolamento.
L’apparato appena descritto è stato installato il 16 ottobre 2007 nel capannone della EON di Andrea Rossi, a Bondeno, e operando 24 ore su 24 ha fornito per alcuni mesi, durante quell’inverno, calore sufficiente per riscaldare la struttura. Ciò mi è stato confermato da Focardi – che in quel periodo andava a Bondeno in treno quasi tutti i giorni nell’ambito della collaborazione concordata con Rossi – nella sua intervista. Come si sottolinea già nel brevetto del 2008, l’E-Cat può essere usato come un’unità “monotubo” per fornire energia termica, ma è possibile porre più E-Cat in serie (realizzando ad es. moduli con più tubi) in modo da aumentare la potenza termica complessiva dell’apparato, o in parallelo, così da poter accrescere entro certi limiti la temperatura: in pratica, fino a circa 450 °C (si noti che il punto di fusione del nichel è di 1.453 °C).
Le ricostruzioni successive del cuore del reattore Dopo la presentazione pubblica di funzionamento del prototipo dell’E-Cat da parte di Rossi e Focardi, avvenuta a Bologna il 14 gennaio 2011, vi sono state molte ipotesi da parte di esperti o anche semplici appassionati su come sia fatta la camera di reazione, cioè il “cuore” dell’E-Cat, che – come dichiarato dallo stesso Andrea Rossi – «non supera le dimensioni di una noce». Naturalmente, non esistono “schemi” o disegni ufficiali al di là di quelli che abbiamo qui mostrato e illustrato, poiché la macchina è protetta dal segreto industriale, ed anche quando sarà in vendita vi saranno ben 12 livelli
di sicurezza e contromisure volti a impedire che venga rubata la proprietà intellettuale dell’E-Cat, per cui non sarà possibile smontarlo e analizzarne i componenti, in quanto – così facendo – scatterebbe automaticamente un meccanismo di autodistruzione, sia pure non pericoloso. D’altra parte, tutte le informazioni filtrate successivamente confermano che la descrizione dell’E-Cat fatta nei precedenti paragrafi è corretta, mentre ancora ben poco si sa sul catalizzatore segreto, cioè su ciò che ha permesso di fare il “salto di qualità” rispetto ai vecchi apparati di Focardi-Piantelli. La migliore ricostruzione grafica del cuore del reattore di Rossi-Focardi realizzata sulla base delle informazioni disponibili è, a mio avviso, un disegno tridimensionale di Giacomo Guidi, un ingegnere esperto di medicina nucleare responsabile della R&D presso la società Phizero, oltre che autore del già citato documentario sull’E-Cat di eccellente fattura.
Lo schema del “cuore” dell’E-Cat secondo una ricostruzione 3-D ipotizzata da Giacomo Guidi.
Come si può vedere dallo schema di Guidi, vi è una camera di reazione interna, che nella sua ricostruzione qui mostrata – basata su un’affermazione fatta dallo stesso Rossi – è di acciaio inox, mentre dal brevetto la stessa camera risulta essere di rame, sia pure sostituibile con altro metallo. Essa è dotata di due termoresistenze, una interna e una esterna che avvolge la camera di reazione in tutta la sua lunghezza secondo una geometria cilindrica (in occasione della presentazione dell’E-Cat del 14 gennaio 2011, una delle due resistenze non si accese e la macchina riuscì a partire ugualmente proprio grazie alla seconda). Tutto il resto del disegno mostrato, invece, risulta coerente con quanto già descritto in precedenza. Guidi ha anche ipotizzato, in altri suoi disegni 3-D, che il catalizzatore possa essere un “oggetto fisico”, anziché una sostanza chimica aggiuntiva e/o un trattamento preventivo dei reagenti o altro ancora.
Uno schema in cui il catalizzatore è una membrana (disegno 3-D di Giacomo Guidi).
Guidi deduce ciò – ovvero che il catalizzatore possa essere un qualche substrato solido – dal fatto che, come vedremo meglio nel Capitolo 6, nella primavera 2011 Rossi ha messo a disposizione di due fisici svedesi “scettici” il materiale esausto di esperimenti fatti con l’E-Cat: perciò, se il catalizzatore fosse una sostanza mescolata al nichel o all’idrogeno, sarebbe stato molto difficile estrarlo in modo da non farlo individuare. Ad ogni modo, capire quale possa essere il catalizzatore segreto è una questione assai importante se si vuole comprendere a fondo l’E-Cat, e pertanto costituisce il tema principale di uno dei prossimi capitoli.
Capitolo 4 – Alla scoperta del setup
Quando ho intervistato a lungo Sergio Focardi sulle ricerche che hanno portato lui e Rossi alla realizzazione dell’E-Cat, mi sono posto un duplice scopo: realizzare un documento originale ed interessante per lo specifico evento per il quale mi era stato commissionato (il convegno divulgativo di Viareggio del 23 luglio 2011 sulla fusione fredda) e capire meglio quale fosse il setup sperimentale dietro il funzionamento di tale macchina. Infatti, io da fisico ero profondamente interessato a capire i dettagli, e mi mettevo nei panni di altri ricercatori che avessero voluto provare a replicare tale apparato, o comunque a iniziare studi sperimentali in tal senso. Dato per scontato che Focardi non mi avrebbe raccontato la parte segreta riguardante il catalizzatore, volevo capire bene quali erano le condizioni “al contorno” (temperatura, pressione, etc.), ed avere più elementi possibili sugli aspetti più rilevanti riguardanti il resto dell’apparato sperimentale, dal momento che questi ultimi non erano coperti da segreto.
Il mio ragionamento, in fondo era molto semplice: se io ho una macchina che ha una parte “pubblica” e una piccolissima parte segreta – sia pur fondamentale – se voglio tentare di replicarla e riesco a conoscere ed a capire bene la parte pubblica, praticamente sono già, diciamo, “a metà dell’opera”, nel senso che ho ridotto in maniera senza dubbio significativa il numero di parametri liberi del problema, lasciando così da esplorare principalmente quelli relativi al catalizzatore segreto.
La lunga lista di domande preparate per capire di più anche sul setup dell’E-Cat.
Pertanto, alcune mie domande dell’intervista a Focardi – di cui in realtà solo una piccola parte è stata in seguito resa pubblica online – erano volte a
capire, da un lato, quali erano le condizioni sperimentali del prototipo dell’ECat e, dall’altro, le eventuali differenze del relativo setup rispetto a quello degli esperimenti fatti in precedenza da Focardi a Siena con Francesco Piantelli, e da cui le ricerche con Rossi erano partite nel 2007. Ovviamente, le informazioni raccolte nell’intervista andavano incrociate con tutte le altre a mia disposizione, in modo da mettere meglio a fuoco le singole questioni e da avere un controllo (e possibilmente una ridondanza) dei dati. Ed è questo l’obiettivo del presente capitolo.
La sorgente di idrogeno e la relativa pressione Se uno deve fare un esperimento che coinvolge nichel in polvere e idrogeno gassoso, si deve preoccupare – tanto per cominciare a ridurre i “parametri liberi” del problema – del gas: quale fonte usare per l’idrogeno? Ed a quale pressione va immesso nella camera di reazione? Ho girato quindi queste domande direttamente a Focardi, cercando di capire anche le eventuali differenze con i precedenti esperimenti fatti a Siena con Piantelli, ricevendo una risposta molto interessante e, per la verità, inattesa: «Le pressioni di adesso e quelle degli esperimenti di Siena sono più o meno dello stesso ordine di grandezza: in pratica, anche se a memoria non ricordo i valori con esattezza perché abbiamo fatto diversi esperimenti, risultano dell’ordine di 1-2 atmosfere, o qualcosa del genere».
Dunque, pressioni piuttosto basse (infatti, 1 atmosfera è la pressione tipica dell’aria a livello del mare) e facilmente accessibili senza l’uso di costose o complesse attrezzature. Per una conferma di ciò, gli ho chiesto se lui e Rossi avevano provato ad utilizzare, quale fonte di idrogeno, degli elettrolizzatori al posto delle bombole usate nella prima presentazione pubblica dell’E-Cat, ricevendo come risposta: «Sì, l’idrogeno è stato prodotto anche per elettrolisi direttamente dentro l’apparato e lo si utilizza senza necessità di comprimerlo. Se uno lo vuol fermare, basta poi togliere corrente all’elettrolisi, per cui se ne ha anche facilmente un controllo».
Gli E-Cat “nudi”, con indicato l’ingresso per l’idrogeno. (foto di D. Passerini)
Rossi, comunque, ha proprio di recente scritto sul suo blog, il Journal of Nuclear Physics2, che, pur avendo in precedenza usato l’elettrolisi per produrre l’idrogeno, oggi preferisce usare idrogeno pressurizzato – cioè bombole – per varie ragioni che si è rifiutato di specificare. È interessante confrontare le informazioni di Focardi relative alla pressione dell’idrogeno con quelle contenute nella richiesta di brevetto di Rossi del 2008, in cui si legge, in prima pagina: «L’idrogeno viene immesso nel tubo metallico contenente una polvere di nichel altamente pressurizzata ad una pressione compresa, preferibilmente ma non necessariamente, fra i 2 ed i 20 bar». Si noti che il bar è un’unita di misura quasi uguale all’atmosfera (1 bar = 0,987 atm), inoltre 2 bar è la pressione alla quale vengono gonfiati i pneumatici delle automobili, mentre 10 bar è la potenza tipica dei comuni compressori a cinghia od a pistone oggi in commercio. Il reattore dell’E-Cat, in pratica, va immaginato come collegato a un serbatoio di idrogeno con una pompa in grado di far raggiungere la pressione di lavoro. Una valvola di sicurezza – che non sappiamo su quale pressione sia regolata – fa sì che non venga oltrepassato un certo valore. Va inoltre sottolineata, poiché mi pare rilevante e non risulta da altre fonti, un’informazione contenuta a pag. 12 del brevetto del 2008: «L’apparato menzionato ha dimostrato che, per un corretto funzionamento, l’immissione dell’idrogeno deve essere effettuata sotto una pressione variabile». Non si 2
Raggiungibile all’indirizzo: http://www.journal-of-nuclear-physics.com. Si tratta di una rivista scientifica telematica – fondata da Andrea Rossi e dotata di una peer review fatta da esperti – che contiene diversi articoli e contributi interessanti riguardanti l’Energy Catalyzer e le relative reazioni nucleari.
capisce cosa si intenda esattamente per “pressione variabile”, ma un indizio viene dal fatto che a pag. 17 si dica, nel “Claim 7”: «Un apparato identico a quello del Claim 6, ma caratterizzato dal fatto che in esso l’idrogeno viene immesso con una pressione pulsata non costante». Dunque, la “pressione variabile” sembra che debba intendersi come una pressione pulsata, il che appare assolutamente ragionevole, dato che quest’ultima è uno dei tanti possibili metodi di eccitazione utilizzati negli esperimenti di fusione fredda di tipo un po’ più moderno. Va detto anche, però, che Focardi non ne parla mai in alcuna intervista, sebbene non gli sia mai stata fatta una domanda esplicita a tal proposito. Un fatto è certo, però, perché lo dice Rossi in un’altra intervista: «Modulando i parametri relativi all’immissione dell’idrogeno noi regoliamo la potenza dell’E-Cat».
La temperatura di innesco della reazione nucleare Un altro aspetto importante da tener presente per chi volesse provare a replicare il reattore di Rossi-Focardi è costituito dalla temperatura che occorre fornire ai reagenti per far partire la reazione nucleare. Rispondendo a una mia domanda, Focardi stesso racconta quale sia il valore della temperatura alla quale l’E-Cat comincia a produrre energia in eccesso: «Abbiamo scoperto che la reazione si innesca presto, senza dover andar molto su con la temperatura: parte a 60° o 70° C, quindi in condizioni veramente “infime”. Abbiamo provato a cambiare la soglia di innesco del
fenomeno perché, una volta che uno ha la miscela di nichel e idrogeno, la scalda, fissa la temperatura di lavoro dall’esterno grazie a un termostato e vede a che temperatura la reazione parte. Però il cambiare il valore della soglia di innesco non ci ha fornito informazioni importanti sul processo fisico, bensì solo delle “ricette” per l’utilizzo della macchina».
Il culmine della crescita della temperatura del vapore prodotto dall’acqua riscaldata dall’E-Cat nella dimostrazione pubblica del 14 gennaio 2011 (dal report di G. Levi).
Ho chiesto poi a Focardi che differenze vi siano, nella temperatura di innesco, rispetto al suo precedente apparato sperimentale sviluppato con Piantelli e lui mi ha spiegato: «C’è stato un miglioramento rispetto ai vecchi esperimenti di Siena, nei quali la soglia di innesco era dell’ordine dei 600 °C.
Nel primo articolo che abbiamo scritto, c’è rimasto questo valore di 600° C, anche per non contraddirci molto con il nostro passato recente, ma in realtà basta una temperatura molto minore: a 60-70°C la reazione si innesca, dopodiché procede da sola senza particolari problemi». In effetti, i valori di temperatura che sono riportati nella richiesta di brevetto del 2008 risultano molto più alti dei 60-70°C a cui la reazione si innescherebbe grazie al catalizzatore di Rossi. Tale documento, infatti, parla di un «tubo metallico riempito di polvere di nichel e riscaldato a una temperatura fra i 150 ed i 500 °C». Se diamo credito alle parole di Focardi, dobbiamo dedurne che le temperature di cui parla il brevetto siano una cautela di tipo legale o un modo per essere il più vaghi possibile. Per quanto riguarda, invece, il tempo che occorre attendere per l’innesco della reazione, Focardi mi spiega che «il processo si avvia da solo dopo 20-30 minuti, una volta raggiunta la temperatura di soglia». Andrea Rossi conferma decisamente questo dato in un’intervista rilasciata al blog ECatReport: «Il tempo di avvio dell’E-Cat è di circa 20-30 minuti, ed è quello che intercorre fra quando viene premuto il pulsante a quando il reattore produce 5 kW. Il tempo di arresto, invece, è di circa 20 minuti». Nel brevetto, infine, leggiamo che «il termostato deputato a controllare la temperatura della resistenza elettrica è stato progettato per disalimentare quest’ultima dopo 3-4 ore di funzionamento, quando la macchina genera senz’altro – e in modo continuo – più energia termica di quella fornita dalla resistenza, autosostentando la reazione». Tuttavia, pare che in realtà l’E-Cat
nella sua versione commerciale continuerà a usare la resistenza, perché in questo modo si ha un migliore controllo della reazione.
In primo piano, si vede la resistenza esterna che avvolge la camera di reazione dell’E-Cat.
Si noti che la reazioni verificantisi nell’E-Cat non solo si innescano grazie alla temperatura quando essa supera un certo livello di soglia, ma – come spiega Rossi – si “autocontrollano” anche, riducendo il tasso di reazione, al crescere della temperatura: un effetto, questo, molto interessante osservato più volte nella sperimentazione dell’Energy Catalyzer.3 Pare, infine, che la potenza elettrica da fornire inizialmente alle due resistenze sia intorno ai 1.000 W, che calano a circa 80 W una volta partita la reazione. 3
La versione commerciale dell’E-Cat ha comunque un sistema di controllo molto sofisticato, e si spegne automaticamente – disattivando le resistenze e riducendo la pressione dell’idrogeno – quando si raggiungono livelli pericolosi di temperatura o di pressione, cioè soglie settate in fabbrica, ma che possono essere modificate entro certi limiti in base alle esigenze del Cliente. In ogni caso, se il nichel raggiunge la temperatura di fusione, le reazioni si arrestano da sole, per cui il sistema è intrinsecamente sicuro.
Il nichel in polvere: la quantità e le dimensioni ideali Il nichel, essendo un elemento abbondantissimo sulla Terra, può essere acquistato sotto forma di polvere facilmente e ad un prezzo contenuto: basta andare su Internet e fare un po’ di ricerche sui possibili fornitori, oppure rivolgersi direttamente all’azienda italiana da cui se l’è procurato Rossi, che verrà indicata alla fine di questo capitolo. Di nichel non ce ne occorre tanto – Rossi stesso dichiara che, per far funzionare ininterrottamente per 6 mesi il suo prototipo alla potenza di 10 kW, ne ha usato (cioè messo nella camera di reazione) soli 100 grammi – anche se ovviamente converrà comprarne abbastanza di più, in modo da poter fare vari esperimenti senza usare sempre la stessa polvere. Per quanto riguarda invece il consumo, sempre Rossi spiega che, dopo i 6 mesi di funzionamento dell’E-Cat nell’esperimento appena citato, «circa il 30% del nichel è stato trasformato in rame» (anche la quantità di idrogeno consumata in quell’occasione è stata piccolissima). È interessante notare che, come mostreremo con dei semplici calcoli nel Capitolo 8, con 1 grammo di idrogeno si può far funzionare per almeno 5 giorni un E-Cat che funzioni alla potenza di 5 kW. Quindi, con 30 grammi è possibile farlo funzionare per almeno 150 giorni, che sono pari a 5 mesi esatti. Dunque, quanto dichiarato da Rossi è perfettamente in accordo con quanto ci si aspetta.
Una comune confezione di nichel in polvere acquistabile sul web.
Come abbiamo visto in precedenza, è lo stesso Focardi a raccontare che l’uso di nichel sotto forma di polvere costituisce, insieme al catalizzatore, una delle due novità apportate da Rossi rispetto ai vecchi esperimenti di Siena con Piantelli, che per il resto sono sostanzialmente analoghi. Il vantaggio della polvere rispetto a un filo, a un cilindro o ad un’altra superficie solida, è che massimizza e amplifica la cosiddetta “sezione d’urto” delle reazioni nucleari nel sistema nichel-idrogeno, cioè in pratica aumenta la probabilità che, ad es., vi siano reazioni fra i protoni ed i nuclei di nichel. Non a caso, il chimico-fisico greco Christos Stremmenos, che negli anni Novanta svolse all’Università di Bologna (presso cui era docente e dove è rimasto fino alla sua andata in pensione) delle ricerche sulle reazioni di fusione fredda indipendenti da quelle di Focardi a Siena, fu tra i primi ad avere l’idea di usare la polvere del metallo.
Ma se facciamo una ricerca sul web, scopriamo che la polvere di nichel può avere i granuli con una dimensione media di vario tipo: quali sono le dimensioni medie della polvere di nichel usata da Rossi e Focardi? Per rispondere a questa domanda, risulta assai preziosa la solita richiesta di brevetto del 2008, che riporta una foto della polvere di nichel protagonista degli esperimenti di Rossi-Focardi, così come appare vista attraverso un potente microscopio elettronico del Dipartimento di Fisica dell’Università di Bologna, ad un ingrandimento di 845 X. L’immagine in questione è stata presa il 30 gennaio 2008, sotto la supervisione di Focardi.
Un’immagine al microscopio elettronico a 845 X della polvere di nichel usata nei primi esperimenti di Rossi-Focardi. (tratta dal brevetto del 2008).
Tale foto ci permette di vedere i piccoli granuli di nichel aggregati a formare dei “fiocchi”, che facilitano l’assorbimento degli atomi di idrogeno da parte dei nuclei di questo metallo; ma, soprattutto, mostra la scala di riferimento e, grazie a quest’ultima, si vede che la dimensione media dei granuli non supera i 10 μm. Si tenga presente, infatti, che la foto mostra il nichel non prima bensì dopo la reazione, quando le particelle di partenza possono essersi aggregate in fiocchi più grandi anche solo a causa del processo di “caricamento” con l’idrogeno sotto pressione.
La composizione isotopica e il trattamento del metallo A questo punto uno potrebbe pensare che sia tutto abbastanza chiaro, per quanto riguarda il nichel. Invece non è così, perché, un elemento chimico in natura è un miscuglio di vari isotopi, cioè di atomi di quello stesso elemento che però si differenziano per il numero di neutroni presenti nel nucleo. E non abbiamo considerato quale sia la composizione isotopica da utilizzare: se quella naturale del nichel o, invece, una diversa, artificiale, di uno o più suoi isotopi “scelti a tavolino” e creata in laboratorio. La questione è tutt’altro che trascurabile, per l’Energy Catalyzer. Infatti, riguardo tale argomento Rossi dichiara, in una risposta a un lettore data sul proprio blog: «Noi compriamo una normale polvere di nichel, la cui composizione isotopica risulta ben nota: 58Ni (67,88%), 60Ni (26,23%), 61Ni (1,19%), 62Ni (3,66%), 64Ni (1,08%). Dopodiché la sottoponiamo a un trattamento che cambia tale composizione isotopica».
La ragione di questo cambiamento è presto detta. In varie occasioni, Rossi ha spiegato che l’isotopo più abbondante del nichel, il 58Ni (68%), secondo lui non “funziona” nel produrre calore – anche se non è del tutto sicuro – e che i tassi di reazione del 62Ni e del 64Ni gli sono di molto superiori (tant’è che nelle analisi svedesi delle polveri post-reazione fornite da Rossi, come vedremo, sono stati trovati due picchi proprio in corrispondenza degli isotopi 63 Cu e 65Cu del rame, che si formano, rispettivamente, dal 62Ni e dal 64Ni ). Ciò rende questi ultimi due isotopi i maggiori contributori al processo di produzione del calore da parte dell’E-Cat, nonostante la loro abbondanza nel nichel naturale sia, rispettivamente, del 3,6% e dello 0,9%.
Un campione di nichel nativo, che ha dunque la composizione isotopica naturale.
Perciò, è verosimile che la polvere di nichel “trattata” sia composta soprattutto – se non esclusivamente – dai due isotopi 62Ni e 64Ni (che si
possono anche acquistare separati e poi combinare). E, in una risposta data a un lettore che gli chiedeva chi fornirà il nichel per ricaricare la versione commerciale dell’E-Cat, Rossi risponde: «Lo forniamo noi, perché deve essere trattato in un modo proprietario». Ed aggiunge che una cartuccia di nichel trattato permetterà un funzionamento ininterrotto dell’E-Cat di 6 mesi, dopodiché questa dovrà essere sostituita e il contenuto della cartuccia potrà essere riciclato e riutilizzato come combustibile al 90%. Non ci risulta che il nichel venga sottoposto ad altri tipi di “trattamenti” prima di essere usato nella reazione, ma non è affatto possibile escluderlo. Del resto, non è certo la prima volta che viene usato nichel in polvere in esperimenti Ni-H, e di solito un trattamento per facilitare il “caricamento” dell’idrogeno nella matrice cristallina del metallo e/o la successiva reazione risulta essere necessario per poter ottenere qualche risultato. Ad esempio, il già citato chimico Stremmenos, nel periodo in cui Focardi faceva ricerche a Siena, mise a punto una tecnica di caricamento del gas nel nichel piuttosto efficace, che in un esperimento gli permise di far salire assai rapidamente la temperatura della cella Ni-H: dai 500 °C iniziali fino a 1.000 °C e anche oltre, tanto che – come racconta in un’interessante intervista – si spaventò moltissimo e fermò tutto. Il trucco usato per ottenere tale risultato fu quello di purificare al massimo la polvere di nichel tenendola a bassa pressione (10-6 bar, ma probabilmente è sufficiente assai meno), e ad una temperatura di 500 °C, per il tempo di una settimana, in modo che tutti gli ossidi sulla superficie del metallo venissero eliminati.
Il chimico-fisico Christos Stremmenos e (a destra) una macchima per creare il vuoto.
Una semplice lista di ciò di cui avete bisogno Per chi volesse a questo punto davvero provare ad allestire un esperimento alla Rossi-Focardi, il brevetto del 2008 fornisce perfino una lista di quanto usato per il prototipo dell’invenzione, con i fornitori dei materiali. Ecco, di seguito, l’elenco di tali parti o attrezzature: Resistenza elettrica: Frei, Brescia Termostato: Pic 16- cod- 1705, Frei Schermatura di piombo: Picchi Srl, Brugherio (Milano) Idrogeno: Linde Gas Italia, Arluno (Milano) Riduttore di pressione: Linde Gas Italia
Polvere di nichel: Gerli Metalli, Milano Boro: Danilo Dell’Amore Srl, Bologna Tubo di rame: Italchimici, Antezzate (Brescia) Dispositivo laser per la misura della temperatura: Raytheon, USA Misura della pressione: Dipartimento di Fisica, Univ. di Bologna Misura dei neutroni: Dipartimento di Fisica, Univ. di Bologna Analisi fisico-chimiche: Dipartimento di Fisica, Univ. di Bologna Per curiosità, ho chiesto a Focardi se avesse un’idea del costo del loro prototipo, ed ecco la sua risposta: «No, non ci ho mai pensato, anche perché nella macchina c’è il costo dell’invenzione. La parte materiale l’ha curata Rossi, per cui lui può avere una stima. Le cose le ha acquistate lui o le ha costruite con la sua azienda. Ma secondo me non può costare granché». In effetti, se andiamo a guardare con una certa attenzione la lista appena presentata, scopriamo che la grande maggioranza dei componenti utilizzati hanno un costo relativamente modesto, e dunque risultano alla portata anche di un dilettante appassionato di hobbistica scientifica.
Capitolo 5 – Il catalizzatore segreto
Quello del “catalizzatore segreto del reattore di Rossi-Focardi” è senza dubbio uno degli argomenti di gran lunga più interessanti di cui mi sia capitato di occuparmi nei miei pur numerosi libri. Infatti, stiamo innanzitutto parlando di un’invenzione potenzialmente rivoluzionaria, che nel giro di qualche anno potrebbe cambiare il panorama energetico mondiale, da un lato abbassando notevolmente i costi dell’energia e, dall’altro, facilitando il passaggio dal nostro attuale sistema centralizzato di produzione dell’elettricità a uno diffuso e capillare in cui privati, industrie, città, possono essere tutti parzialmente o totalmente autonomi. Dunque, si tratta di un tipo di invenzione assai ricca di promesse per il genere umano ma, al tempo stesso, “scomoda” per le tradizionali e potenti lobbies dell’energia, per i politici che non possono lucrarvi, etc. Per non parlare del fatto che ogni tecnologia potente può avere utili applicazioni civili ma anche meno edificanti impieghi in ambito militare.
Oltre a ciò, a rendere affascinante per me – come fisico curioso ed aperto alle novità “dirompenti” – il tema del catalizzatore, è l’aspetto più prettamente scientifico, con le varie domande tecniche senza risposta certa le quali si fondono in una sorta di continuum con il “mistero” che, per ovvie ragioni legate agli enormi interessi in gioco, aleggia sulla vicenda.
La camera di reazione dell’E-Cat, contenente al suo interno il catalizzatore segreto.
Il segreto del catalizzatore, insomma, molto verosimilmente – come succede quasi sempre in casi di questo genere – coinvolge persone, ambienti, episodi, fatti che vanno al di là di ciò che la maggior parte delle persone immaginano, sebbene non sia difficile intuirlo data la posta sul tavolo. In
questo capitolo parlerò solo di ciò che risulta già in qualche modo di dominio pubblico, cercando di mettere insieme alcune delle innumerevoli “tessere del puzzle” per vedere cosa ne emerge, tralasciando le informazioni ottenute “per sentito dire” o non divulgabili per ragioni di opportunità.
L’importanza di un “additivo” nell’Enell’E-Cat di RossiRossi-Focardi Nel corso dell’intervista per il convegno di Viareggio, Focardi mi spiega molto chiaramente che la differenza fra l’E-Cat e l’apparato da lui usato negli esperimenti precedenti con Piantelli sta nel fatto che: «nei nuovi esperimenti le dimensioni del nichel sono molto più piccole, per cui la superficie di ingresso per l’idrogeno nel metallo è assai più grande, e poi fra gli ingredienti della reazione vi è un “additivo” la cui formula viene mantenuta segreta da Rossi, e che è importante perché il processo si verifichi. Quindi sono due le differenze, e la seconda è probabilmente più importante della prima, ma anche l’aumentare la superficie è un progresso significativo». Nei vecchi esperimenti di Siena, mi racconta Focardi, il guadagno di energia ottenuto era assai modesto: «Avevamo dei risultati piccoli, ma sicuri: raddoppiavamo l’energia. Cioè partivamo con una certa energia elettrica, il sistema funzionava anche per mesi e raddoppiava l’energia che però in uscita diventava termica. Questo risultato non serviva a nulla, nel senso che non aveva una possibile applicazione di tipo commerciale, perché se uno prendeva quest’energia termica e la riconvertiva in elettrica tornava al punto di partenza, però c’era almeno un fattore 2 di guadagno».
Il catalizzatore di Rossi, invece, rivoluziona completamente le cose, come mi chiarisce lo stesso Focardi: «Lui ha avuto l’idea di usare un additivo la cui composizione non è nota – lo sarà il giorno in cui gli approveranno i brevetti – che, di fatto, permette una certa efficienza. Senza quest’additivo, secondo me l’efficienza non c’è. Mi riferisco alla nostra esperienza precedente: noi non avevamo l’additivo, e dunque non ottenevamo il fattore di guadagno che si ha ora. Non ho la dimostrazione di ciò che dico, mi baso solo sui fatti sperimentali: senza l’additivo si poteva guadagnare solo un fattore 2, con l’additivo si guadagna molto di più, dunque ha un ruolo essenziale».
Focardi mentre mi parla del catalizzatore segreto nel corso della nostra lunga intervista.
Come abbiamo visto nel precedente capitolo, nella richiesta di brevetto di Rossi del 2008 si parla – sia pure davvero en passant – del catalizzatore
nei seguenti termini: “azione catalitica di elementi opzionali”, “e “materiali catalitici”. Dunque, il catalizzatore potrebbe significare sostanze aggiunte o un oggetto fisico. Il già citato articolo scientifico auto-pubblicato da Rossi, e verosimilmente scritto da Focardi, sembrerebbe ufficialmente restringere il campo, poiché nel riferimento al catalizzatore, che troviamo a pag. 3, si legge: «Il sistema sul quale operiamo consiste di nichel in atmosfera di idrogeno ed in presenza di additivi posti in un contenitore a tenuta stagna e riscaldati da una corrente che passa attraverso una resistenza». Ciò sarebbe indirettamente confermato anche da Rossi, il quale il 18 marzo 2011, alla domanda su “quante miscele/versioni dei materiali catalitici siano state sperimentate prima di quella attuale”, fattagli su una videochat organizzata dalla rivista svedese NyTeknik, risponde: «Decine di migliaia di combinazioni». Questa risposta mi ha stupito molto, perché si tratta di un numero assai elevato, a mio avviso spiegabile solo con il fatto che si parla di più sostanze chimiche, e che si siano variati i relativi parametri (tra cui, sicuramente, le dimensioni), più che provare una grande quantità di elementi diversi, che sulla Terra sono solo poche decine. D’altra parte, nei commenti sul suo blog, Rossi in questi mesi ha scritto che il catalizzatore non è un metallo prezioso, non è radioattivo, è diffuso e poco costoso; mentre di recente, a un lettore che gli chiedeva se fosse il rame, ha risposto di no. Dunque, pur non citando di solito sostanze precise, Rossi ha escluso praticamente tutti gli elementi principali candidati al ruolo di catalizzatore, il che è curioso, cioè appare poco credibile.
Qual è la funzione del catalizzatore nelle reazioni? reazioni? Una delle principali domande riguardanti il catalizzatore dell’E-Cat di RossiFocardi, una volta chiarita la sua importanza nel rendere possibile all’E-Cat la sua notevole produzione di energia in eccesso, è quale sia la sua funzione, perché ciò potrebbe essere utile per capire di cosa potrebbe trattarsi. In questo senso, può risultare parzialmente illuminante un’intervista fatta a Focardi nell’aprile 2011 da una piccola emittente radiofonica locale – Radio Città del Capo – nel corso della quale lo scienziato bolognese racconta a ruota libera, con riferimento al catalizzatore segreto: «Io non so in cosa consista l’additivo di Rossi, non glielo ho chiesto. Ma ho una mia idea: secondo me, ha lo scopo di facilitare la reazione favorendo la formazione di idrogeno monoatomico rispetto a quello molecolare».4 Ciò, in effetti, è del tutto plausibile poiché, come è noto a chiunque si occupi di fusione fredda, la reazione tra la polvere di nichel e l’idrogeno avviene fra i nuclei che compongono la matrice cristallina del metallo ed i protoni, cioè i singoli nuclei di idrogeno, mentre normalmente l’idrogeno gassoso si trova in forma molecolare (H2), cioè biatomica. Dunque, se si trova il modo di trasformare almeno parzialmente l’idrogeno da biatomico a monoatomico, si va nella direzione di favorire la reazione finale. 4
Secondo Lino Daddi (un fisico nucleare già docente all’Università di Pisa), negli esperimenti di Siena di Focardi e Piantelli – in cui si usavano soltanto nichel e idrogeno, senza l’aggiunta o l’ausilio di alcun catalizzatore – potrebbe essere stato lo stesso nichel a dissociare, almeno in parte, l’idrogeno molecolare. Tuttavia, in quegli esperimenti il calore in eccesso prodotto era decisamente minore.
Una delle possibili funzioni del catalizzatore: scindere l’idrogeno biatomico.
Ovviamente, non è escluso che il catalizzatore di Rossi abbia anche altre funzioni. In fondo, sono convinto che Focardi realmente non sappia in cosa consista il famoso “additivo” e, d’altra parte, da oltre vent’anni di ricerche sulla fusione fredda è ormai noto che le condizioni necessarie perché si possa innescare una reazione nucleare a bassa energia sono: (1) il raggiungimento, attraverso il cosiddetto caricamento, di una densità minima o “di soglia” del reagente – nel nostro caso specifico, l’idrogeno – all’interno della matrice cristallina del metallo, e (2) l’eccitazione del sistema con una o più possibili tecniche per portarlo in una condizione di non-equilibrio forzato. In particolare, il catalizzatore potrebbe aiutare a risolvere il problema fondamentale della fusione fredda: il fatto che i protoni – cioè l’idrogeno monoatomico – non riescono a fondersi con i nuclei di nichel a causa della repulsione elettrostatica reciproca. I protoni normali hanno delle energie
basse, dell’ordine degli elettronvolt (eV), totalmente insufficienti a vincere tale repulsione anche se riscaldiamo l’idrogeno a centinaia di gradi. Poiché la probabilità di fusione nucleare nichel-idrogeno dipende dall’energia dei protoni, affinché essa sia significativa occorrerebbe che l’energia fosse di circa 7-15 MeV, cioè dell’ordine di milioni di elettronvolt. Da fisico, quindi, il primo sistema che mi viene a mente per andare nella direzione di aumentare l’energia dei protoni, è quello di aggiungere (o porre vicino) al nichel uno o più elementi radioattivi.
Un piccolo campione di materiale radioattivo nel suo contenitore protettivo.
Infatti, i singoli decadimenti radioattivi di atomi producono proprio un rilascio di energia di milioni di elettronvolt (mentre gli atomi in una reazione
chimica rilasciano al più una decina di eV). Lo stesso Focardi, del resto, mi ha raccontato nell’intervista di aver sperimentato con Rossi, oltre alle reazioni nichel-idrogeno, pure reazioni con elementi della tavola periodica per i quali non possedeva l’autorizzazione del suo Dipartimento di Fisica; dunque, non è difficile immaginare quali tipi di elementi siano. Perciò, il misterioso catalizzatore potrebbe avere una duplice funzione: scindere l’idrogeno molecolare in atomico e amplificare fortemente il numero di fusioni fra i nuclei. In pratica, potrebbe favorire il “caricamento” e/o le successive reazioni facilitando la formazione di idrogeno monoatomico e/o eccitando il sistema; oppure in qualche altro modo che ora possiamo solo ipotizzare, ma verosimilmente legato alla composizione o alle proprietà fisiche di tale additivo (comprese potenzialmente le dimensioni, la geometria, etc.), ad eventuali trattamenti avanzati a cui sia stato sottoposto, o infine, ovviamente, ad un opportuno mix di tutti questi fattori.
La possibilità che non sia un composto aggiunto Come abbiamo accennato due capitoli fa, è illogico pensare che Rossi abbia aggiunto un “additivo” alla polvere di nichel, poiché egli ha poi fornito a degli scienziati svedesi le “polveri usate post-reazione” affinché le potessero analizzare. E dunque, ciò non sarebbe stato possibile se il catalizzatore fosse stato composto da elementi chimici mescolati con il nichel.
Questo ragionamento, tutt’altro che facile da “smontare”, conduce all’idea che: (a) il catalizzatore sia un oggetto fisico – un po’ come il catalizzatore metallico per automobili, che usa un substrato con trama a nido d’ape, sia pure fatto da metalli diversi da quelli necessari in questo caso – oppure che (b) il catalizzatore sia costituito dal nichel stesso, grazie a un opportuno “trattamento” preliminare di tale metallo. Se lo scopo del catalizzatore dell’E-Cat è realmente quello di facilitare il passaggio dell’idrogeno dallo stato molecolare (H2) a quello monoatomico (cioè di ione H+, o protone), occorre un materiale in grado di favorire la scissione della molecola di idrogeno. Tra i possibili candidati – come già ipotizzato dall’ingegner Giacomo Guidi sul blog 22 passi di Passerini – vi sono il palladio o il platino, due costosi elementi impiegati nelle “celle a combustibile” per dissociare le molecole H2, e permettere ai protoni ottenuti di penetrare all’interno della PEM (Proton Exchange Membrane), una membrana organica polimerica il cui scopo è di condurre protoni rimanendo impermeabile ai gas come l’idrogeno (!) o l’ossigeno. In quest’ipotesi, il platino o palladio – o una loro lega – potrebbe essere non sotto forma di grani, bensì di un substrato che separa l’idrogeno dal nichel. Tale substrato potrebbe essere, ad es., una semplice membrana piana che divide in due la camera di reazione o, magari, un substrato con una geometria più complessa, volta a massimizzare la superficie di contatto con il nichel. Guidi ne ha immaginato, in una ricostruzione 3-D, un possibile esempio, che riportiamo in queste pagine.
Una possibile versione del catalizzatore presente nella camera di reazione, nel caso in cui esso sia costituito da un substrato solido. (disegno 3-D di Giacomo Guidi con scritte modificate)
L’idea che Rossi possa aver usato dei materiali del genere è resa ancora più ragionevole e probabile dal fatto che egli, in precedenza, nel corso della sua carriera (ad es., con la Leonardo Technologies Inc., azienda di cui è fondatore, che fornisce tecnologie ed impianti al Dipartimento della Difesa americano, il DOD, e al Dipartimento dell’Energia, il DOE), era ampiamente venuto a contatto con queste tecnologie e con i materiali legati alle celle a combustibile. D’altra parte, Rossi, che ha al suo attivo numerosi importanti brevetti, ha sempre cercato di sviluppare tecnologie innovative nel campo dell’energia – ad es. quella che permetteva di ricavare petrolio dai rifiuti – a volte così scomode per le lobbies da pagarne le conseguenze (è assai istruttivo leggere la sua biografia nel sito www.ingandrearossi.com).
Come osserva Guidi, un’alternativa al platino/palladio potrebbe essere costituita dal ferro, dal momento che, come pubblicato il 3 aprile 2009 sulla rivista Science, un gruppo di ricercatori canadesi guidato da Jean-Pol Dodelet ha trovato un modo per realizzare un catalizzatore basato su tale elemento di transizione che, impiegato nelle celle a combustibile, nei test di laboratorio è risultato fornire prestazioni analoghe al platino. L’uso del ferro spiegherebbe, inoltre, la sua presenza – altrimenti difficile da giustificare – nelle polveri esauste dell’E-Cat analizzate dagli svedesi, e di cui riparleremo. Per quanto riguarda, infine, la possibilità che il catalizzatore sia il nichel stesso – come accade, ad es., nel reattore di Piantelli a Siena – essa potrebbe poggiare, verosimilmente, sul fatto che in questo tipo di esperimenti l’individuazione della dimensione migliore dei grani della polvere risulta fondamentale. Dunque, in un certo intervallo di dimensioni, il metallo potrebbe svolgere un’azione catalitica. Questa potrebbe essere poi migliorata tramite opportuni ma a noi ignoti trattamenti preventivi del metallo, un po’ come fece a suo tempo Stremmenos, ma forse con tecniche più sofisticate. La stessa selezione degli isotopi di nichel usati per la polvere, del resto, favorisce le reazioni, ed è quindi “catalitica” in senso lato.
Alcuni indizi preziosi e… del tutto inattesi Come spesso succede, anche per cercare di risolvere (sia pure parzialmente) il rompicapo del catalizzatore, occorre un po’ di fortuna. E credo che questa mi
abbia assistito nell’individuare un candidato per vari motivi molto credibile al ruolo di catalizzatore, da solo o insieme con altri elementi. Tutto è cominciato con la lettura della qui più volte citata richiesta di brevetto di Rossi del 2008. Per le esigenze di questo libro, ne avevo letto con una certa attenzione il testo prima una volta e poi una seconda. Ma non avevo notato grandi “stranezze”. È stata le terza o la quarta volta che ne scorrevo e analizzavo il contenuto che mi sono accorto di una cosa. E cioè, che nell’intero documento vi era un’unica “nota stonata”, che è a pag. 17, in uno dei “Claims” (il n° 13), con cui si chiede la protezione della proprietà intellettuale, oltre che per l’apparato già descritto, anche per uno in cui la «polvere di nichel è rimpiazzata da una polvere di rame».
La parte del brevetto di Rossi con il “claim” incoerente considerando il contesto.
A molti, questa richiesta può a prima vista non colpire, come è successo a me le prime volte. Ma poi, rileggendo con attenzione il testo del brevetto,
mi sono accorto che in esso non si parla mai del rame, se non come prodotto di reazione (e per il fatto che per la camera di reazione nel brevetto viene usato come materiale il rame, altro aspetto “curioso”, anche se assai meno). Ora, siccome non risultano in letteratura esperimenti di fusione fredda ramenichel che abbiano ottenuto un risultato sia pure minimo, non si capisce affatto come a Rossi sia venuto in mente di scrivere questo “claim”. Ci ho pensato per due giorni, e l’unica spiegazione plausibile che sono riuscito a trovare è che il rame sia tra gli “ingredienti” presenti nella camera di reazione: in altre parole, sia uno dei componenti del catalizzatore. A confermare a sorpresa questa mia idea, poco tempo dopo mi è capitata la scoperta del tutto casuale su Internet, mentre cercavo informazioni su altri aspetti dell’E-Cat, di un’interessantissima e-mail scritta nel maggio 2011 da Brian Ahern – un maturo ricercatore esperto di scienza dei materiali, autore di 26 brevetti, che lavora all’AMES National Laboratory, un centro di ricerca del Dipartimento dell’Energia (DOE) americano – su una lista di discussione interna di centinaia di scienziati professionisti (CMNS), in cui la gente è piuttosto attenta prima di scrivere qualcosa. L’e-mail è stata poi pubblicata, per la sua enorme potenziale rilevanza, dai blog di mezzo mondo. In questa lunga e piuttosto dettagliata lettera intitolata “prestazioni della lega Zr-Ni-Cu” (cioè zirconio, nichel e rame), Ahern dice, in pratica, che un tentativo di replica dell’esperimento di Rossi-Focardi effettuato dal suo laboratorio, seguendo una complessa procedura impiegata già dal giapponese Yoshiaki Arata e da altri – comprendente la creazione, dopo un opportuno trattamento, di una polvere metallica con grani delle dimensioni medie di
circa 40 μm – ha avuto successo, ottenendo per alcuni giorni un’energia in eccesso di 5 W utilizzando 30 grammi di polvere della lega suddetta poi “caricata” con idrogeno inizialmente alla pressione di 13,8 bar.
La lettera con cui Brian Ahern comunica il successo del suo esperimento “tipo-Rossi” che gli ha permesso di ottenere 5 watt in eccesso per alcuni giorni, e in cui lo descrive.
In seguito, Ahern ha fatto sapere di essere già riuscito a migliorare il risultato macinando per più tempo la lega metallica, ottenendo 8 W in eccesso con soli 10 grammi di polvere, e di lavorare per poter aumentare la potenza ottenuta fino ad arrivare ai livelli di Rossi, nonché di essere molto fiducioso nella possibilità di raggiungere tale obiettivo. Ha inoltre precisato che la lega usata è composta da zirconio per il 66%, da nichel per il 21% e da rame per il 13%, e che non si genera alcuna radiazione. L’importanza di tale documento, proveniente da una fonte considerata autorevole nell’ambiente delle LENR, è notevolissima, in quanto duplice: (1) da un lato, viene mostrato come il rame sia un verosimile componente del catalizzatore, insieme allo zirconio, che è un elemento usato già nel 2005 da Arata, con la funzione di “dispersore”, nei suoi esperimenti con il palladio (usato al posto del rame), nella combinazione Ni(30%)-Pd(5%)-Zr(65%); (2) dall’altro lato, questa replica parziale dell’esperimento di Rossi-Focardi rimuove lo scenario di frode completa che alcuni non addetti ai lavori – non di rado, a busta paga della concorrenza oppure di vari tipi di “lobbies” – appoggiavano. La domanda principale riguardo l’E-Cat di Rossi, quindi, non è più se produce energia, bensì quanta ne produce.
Quali sono le conclusioni che si possono trarre? A questo punto, riassumendo, abbiamo per il catalizzatore segreto tre diversi tipi di possibilità, se ne escludiamo a priori un quarto, e cioè che esso in
realtà non esista (un’ipotesi che, verosimilmente, significherebbe l’essere di fronte a una truffa, mentre non sembra questo il caso): a) Ipotesi del substrato solido o del nichel. I principali punti a favore di questa spiegazione sono che: (1) giustifica il fatto che Rossi abbia pubblicato le analisi di alcune polveri post-reazione nel suo articolo scientifico e, soprattutto, poi le abbia fornite a scienziati svedesi; (2) si basa su tecnologie ben note, soprattutto a Rossi, a causa degli ambienti che ha frequentato nella sua “seconda vita” americana; (3) nel caso del nichel, spiega come mai Rossi escluda come possibili catalizzatori usati nel suo E-Cat tutti gli altri elementi chimici più “ovvii”.
Un tipico esempio di catalizzatore composto da un substrato solido: quello per auto.
b) Ipotesi del rame (da solo o non). I principali punti a favore di questa spiegazione sono che: (1) il rame è citato come possibile alternativa al
nichel nella richiesta di brevetto del 2008; (2) i risultati della replica dell’esperimento di Rossi fatta da Brian Ahern mostrano che si può usare con un certo successo una polvere ricavata da una lega fatta da nichel, rame e un “dispersore” come lo zirconio, sulla scia di quanto fatto in precedenza da Arata in Giappone; (3) si spiega come mai nelle analisi svedesi delle polveri esauste sia stata trovata un’alta percentuale (10%) di rame, e nella composizione isotopica naturale. c) Ipotesi degli elementi radioattivi. I principali punti a favore di questa spiegazione sono che: (1) spiega, almeno in linea di principio, come i protoni possano raggiungere l’elevata energia necessaria per poter superare la barriera coulombiana dei nuclei di nichel, e fornisce una forma di “eccitazione” al sistema, di solito condizione necessaria per innescare le reazioni negli esperimenti di fusione fredda; (2) non occorre che gli isotopi radioattivi vengano mescolati con la polvere di nichel: dunque questa, una volta usata, può essere poi data a laboratori terzi per le analisi; (3) è quasi certamente una strada che è stata esplorata da Rossi e Focardi nelle loro varie prove, come si deduce dalle parole di quest’ultimo che abbiamo riportato in precedenza. Vorrei sottolineare che, nel riassumere qui le tre possibili ipotesi, non ho seguito un criterio particolare nell’ordinarle. Ciascun lettore è dunque invitato a farsi una propria libera opinione su quale possa essere secondo lui la più verosimile, tenendo anche conto del fatto che in realtà è possibile formulare pure tutta una serie di ipotesi “miste”: tanto per fare un esempio,
un mix nichel-rame-ferro, anche se nel caso specifico si tratta di un’ipotesi campata in aria, citata giusto per dare l’idea di cosa intendo. È interessante notare che Francesco Celani, quando – come accennato all’inizio del libro – ha assistito alla presentazione dell’E-Cat del 14 gennaio, è andato molto vicino alla “scoperta” delle sostanze di cui sarebbe composto il catalizzatore segreto, o comunque alla soluzione del mistero. Infatti, con il suo sensibile spettrometro gamma da 25-2000 keV che aveva portato con sé da Roma, dopo aver iniziato a fare delle misure “integrali” delle radiazioni gamma emesse dall’E-Cat, a un certo punto ha “spostato” il rivelatore dalla misura dei conteggi a quella dello spettro, ma Rossi poco dopo se ne è accorto non permettendo le misure, per cui Celani si è trovato costretto a cancellare i dati, registrati per la durata di 3 minuti.
Francesco Celani mentre, terminata la dimostrazione del 14 gennaio 2011, si rivolge a Rossi, rendendo di dominio pubblico quanto era da poco successo.
Lo dice alla fine del test Celani stesso, parlando a Rossi davanti a una folla di giornalisti ed esperti: «Ho chiesto di poter fare le misure anche come spettro, per capire qual era l’energia dei gamma emessi, e lei ha detto che in questo modo avrei capito tutto e me lo ha impedito». Al che Rossi replica: «Professore, lei è troppo preparato ed è troppo intelligente per non capire che con quello strumento era in grado di “leggere” all’interno del reattore». Peccato, perché se quelle misure fossero state compiute, oggi quello del catalizzatore sarebbe sì un segreto, ma… di Pulcinella! Nel frattempo, dunque, non rimane che documentarsi e magari – perché no? – provare a fare qualche esperimento. Ma per questo abbiamo ancora bisogno di sapere e di capire molte cose sull’E-Cat e sulle reazioni che vi avvengono, delle quali parleremo nel seguito del nostro libro.
Capitolo 6 – I prodotti delle reazioni
Conoscere quali sono gli elementi chimici nuovi e – analizzando i prodotti più in dettaglio – gli isotopi nuovi che si creano dalle reazioni che si verificano all’interno dell’E-Cat è utile non solo per capire quale potrebbe essere il catalizzatore segreto ma anche, e soprattutto, per poter almeno abbozzare una qualche spiegazione teorica del fenomeno. In questo capitolo e nel prossimo accenneremo ad argomenti appena un po’ più tecnici e useremo spesso termini come isotopi, neutroni, decadimenti, etc. È quindi opportuno fornire qui in poche righe, al lettore non esperto, alcune semplicissime nozioni di fisica atomica e nucleare. In natura esistono allo stato naturale ben 96 differenti elementi chimici, che sono classificati (insieme ad altri 21 elementi chimici artificialmente prodotti dall’uomo) nella famosa tavola periodica ideata dal chimico russo Dmitrij Mendeleev nel 1869: un semplice schema in cui tutti gli elementi vengono ordinati sulla base del loro numero atomico (Z). Il numero atomico non è altro che il numero di protoni contenuto in un nucleo atomico.
La parte più piccola di ogni elemento chimico esistente sulla Terra è chiamata atomo. Un atomo è composto da tre diverse tipologie di particelle subatomiche: i protoni (carichi positivamente) ed i neutroni (privi di carica), che formano entrambi il nucleo atomico (carico positivamente) e sono detti “nucleoni”; e gli elettroni, particelle assai più piccole e cariche negativamente che si “muovono” attorno al nucleo rimanendo confinati all’interno dei cosiddetti “gusci elettronici” (o livelli energetici).
Illustrazione della struttura di un atomo (a sinistra) e del suo nucleo (a destra).
Gli atomi di uno stesso elemento, pur avendo nel nucleo tutti lo stesso numero di protoni, possono avere numeri diversi di neutroni, individuando così altrettanti isotopi dell’atomo, i quali vengono indicati con un numero (il cosiddetto numero di massa, A, pari al numero di nucleoni – cioè di “protoni + neutroni” – presenti nell’atomo), e che viene di solito posto in alto a sinistra sul simbolo chimico dell’elemento in questione.
Ad esempio, il nichel è un elemento che ha numero atomico (cioè di protoni nel nucleo) pari a 28 ed è presente in natura sotto forma di 5 diversi isotopi stabili: 58Ni (il più abbondante, 68%, che ha 58-28=30 neutroni), 60Ni (26%), 61Ni (1,25%), 62Ni (3,66%), 64Ni (1,16%). Il nichel, inoltre, ha ben 18 isotopi instabili radioattivi, che col tempo “decadono” – è il decadimento radioattivo – cioè, si trasformano in altri elementi (stabili).
Le sostanze osservate nella polvere postpost-reazione Per avere un’idea di quali siano i prodotti dei fenomeni nucleari che si svolgono nell’Energy Catalyzer, possiamo ancora una volta fare riferimento alla richiesta di brevetto di Rossi del 2008, dove (a pag. 6) si dice che le reazioni producono la «trasformazione del nichel in rame». Inoltre, nel medesimo documento sono presenti due interessanti grafici che rappresentano l’analisi, effettuata il 30 gennaio 2008 presso il Dipartimento di Fisica dell’Università di Bologna, della composizione atomica di due campioni di polvere prelevati dall’E-Cat dopo che hanno avuto luogo le reazioni nucleari tra nichel e idrogeno nell’ambito di esperimenti per la produzione di energia in eccesso. Ebbene, come si sottolinea nel brevetto, entrambi i grafici mostrano che nel fenomeno si produce anche dello zinco, un elemento che non è presente nella polvere di nichel inserita all’inizio nell’apparato, e questo prodotto viene giustificato con la fusione nucleare fra un atomo di nichel e due atomi
di idrogeno. Il brevetto continua dicendo: «Inoltre, sono stati trovati degli atomi di elementi più leggeri del nichel (quali zolfo, cloro, potassio, calcio), il che dimostra che oltre alla fusione si verificano anche fenomeni di fissione del nucleo di nichel che creano atomi stabili più leggeri».
Analisi con lo spettrometro di massa effettuata a Bologna il 30/1/08 su campioni di polvere prelevati dall’E-Cat dopo le reazioni. (immagine tratta dal brevetto 2008)
Nell’intervista che gli ho fatto, Focardi conferma: «Analizzando le polveri abbiamo trovato il rame, e rapporti fra i vari isotopi del rame diversi da quelli naturali, il che è un indizio della natura nucleare delle reazioni». In effetti, l’analisi post-reazione mostra un rapporto degli isotopi del rame pari a 63Cu/ 65 Cu ~ 1,6, mentre il rapporto isotopico che si riscontra in natura è di circa
2,24, e dal punto di vista statistico si tratta di una differenza significativa, che permette di escludere la contaminazione come possibile spiegazione della presenza di rame nei campioni post-reazione.
Un’altra fase della lunga chiacchierata con Focardi. Questa volta si parla di “dettagli”.
La citata informazione sul rapporto isotopico di circa 1,6 trovato nelle polveri post-reazione la si trova nel solito articolo scientifico di Rossi e Focardi A new Energy source from nuclear fusion, del 22 aprile 2010, in cui si spiega che due differenti campioni di materiale usato in altrettanti diversi esperimenti descritti in quel lavoro sono stati analizzati presso l’Università di Padova con uno spettrometro di massa, utilizzando una tecnologia chiamata sinteticamente SIMS (Secondary Ion Mass Spectroscopy).
L’articolo in questione dice anche: «Nel campione dell’esperimento più lungo, l’analisi spettroscopica di massa ha mostrato la presenza di tre picchi nella regione di massa 63-65 u.m.a. (unità di massa atomica), che corrispondono rispettivamente a 63Cu, ad elementi (64Ni e 64Zn) che derivano dal decadimento del 64Cu, ed a 65Cu. Il picco nello spettro di massa a 64 u.m.a. dovuto a 64Ni e 64Zn richiede l’esistenza di 63Ni che, essendo assente nella composizione naturale del nichel, deve essere stato prodotto in precedenza a partire da isotopi del nichel più leggeri».
La questione improvvisamente si complica Già alla fine del 2010, dunque, grazie al brevetto del 2008 ed all’articolo di Focardi e Rossi, si poteva avere almeno a grandi linee un’idea di quelli che erano i principali prodotti delle reazioni che si svolgono all’interno dell’ECat. Ma in realtà stava per arrivare una piccola “doccia fredda”. Nella primavera 2011, infatti, Rossi fornisce due campioni di polvere – uno pre-reazione e uno post-reazione – provenienti da un lungo esperimento svolto con l’Energy Catalyzer e durato due mesi e mezzo, al professor Sven Kullander, un noto fisico dell’Accademia Reale di Scienze Svedese che si era interessato fin da febbraio all’invenzione di Rossi insieme al suo collega Hanno Essén, presidente della Società Svedese degli Scettici. Ciò affinché potesse venire effettuata un’analisi indipendente, e compiuta con attrezzature
d’avanguardia, per determinarne la composizione (cioè gli elementi ed i relativi isotopi presenti, nonché la quantità percentuale). Kullander fa analizzare una parte dei campioni al Laboratorio Ångström di Uppsala (Svezia). Qui l’analisi viene effettuata dal dottor Erik Lindahl utilizzando una sofisticata apparecchiatura per la fluorescenza a raggi X (una moderna tecnologia spettrofotometrica nota con la sigla XRFS). Inoltre, una seconda parte dei campioni viene fatta esaminare al Centro Biomedico della medesima città svedese. In questo caso, le analisi vengono svolte dal professor Jean Pettersson, utilizzando una tecnica avanzata di spettroscopia di massa, la Inductively Coupled Mass Spectrometry (ICP-MS). Il risultato di queste misurazioni, come riferisce lo stesso Kullander in un’intervista rilasciata nell’aprile 2011 alla rivista tecnica svedese NyTeknik, è stato che «entrambe mostrano che il campione di nichel puro (cioè prereazione) è composto principalmente di nichel, mentre la composizione del campione post-reazione è differente, in quanto risultano presenti anche elementi diversi: soprattutto rame (10%) e ferro (11%). Inoltre, l’analisi isotopica svolta mediante ICP-MS non mostra alcuna deviazione dalla composizione isotopica naturale del nichel e del rame». E con riferimento all’analisi isotopica, Kullander aggiunge: «Ipotizzando che il rame non sia uno degli “additivi” usati nel catalizzatore, gli isotopi 63 Cu e 65Cu rilevati possono essersi formati solo durante le reazioni nell’ECat. Comunque, è sorprendente che il 58Ni e l’idrogeno possano formare 63 Cu (70%) e 65Cu (30%), perché ciò significa che nelle trasmutazioni
nucleari il 58Ni originario sarebbe dovuto crescere, rispettivamente, di 5 e di 7 unità di massa atomica. Comunque, dalle nostre analisi risultano due isotopi stabili del nichel con basse concentrazioni – il 62Ni e il 64Ni – che possono verosimilmente contribuire alla produzione del rame».
I fisici svedesi Kullander ed Hessén durante un’intervista nel breve soggiorno italiano.
Tuttavia, qualcosa non convince gli svedesi, e probabilmente per questo l’idea discussa con Rossi dell’installazione di un Energy Catalyzer in un laboratorio di Uppsala per effettuare misurazioni più dettagliate – se non addirittura un test ufficiale del funzionamento della macchina – non va in porto: Essén e gli “scettici” ci ripensano e si tirano indietro, rimproverando al povero Kullander un eccessivo entusiasmo. Cosa era successo?
Un assist per gli scettici: scettici: «Qui EE-Cat ci cova» Non sappiamo esattamente quali siano le ragioni che hanno portato gli “scettici” dell’omonima associazione svedese a fare retromarcia, ma possiamo immaginarle. Ecco quelle che potrebbero essere le principali, in relazione ai risultati delle analisi delle polveri effettuate nei laboratori svedesi: • Oltre a quanto già riportato, Kullander dichiara pubblicamente che: «Secondo quanto è stato riferito da Rossi, la polvere post-reazione è stata usata dall’E-Cat ininterrottamente per due mesi e mezzo con una potenza di uscita di 10 kW. Ciò corrisponde a un’energia totale di 18 MWh, ed un calcolo diretto mostra che – per produrla – una notevole percentuale di nichel avrebbe dovuto essere “bruciata” in un processo nucleare, per cui è strano che la composizione isotopica della polvere post-reazione non differisca da quella naturale». • Il fatto che le composizioni isotopiche post-reazione del nichel e del rame non differiscano da quelle naturali è in palese contraddizione con quanto riportato nell’articolo di Rossi-Focardi del 2010 A new Energy source from nuclear fusion, in cui a pag. 7, relativamente al rame, gli autori affermavano – come già riportato in questo libro – esattamente il contrario: «il rapporto 63Cu/65Cu è di 1,6 che è diverso dal suo valore naturale (2,24)». Nelle analisi svedesi, invece, 63Cu è presente al 70% e 65 Cu al 30%, per cui il loro rapporto è (70/30 =) 2,3, valore in accordo con quello naturale, entro l’errore sperimentale.
Un campione di rame nativo, che ha una composizione isotopica naturale.
• Il fatto che, come fa notare il fisico nucleare svedese Peter Ekström sulla rivista NyTeknik, «la presenza del 10% di isotopi di rame nelle polveri post-reazione sia difficile da comprendere, soprattutto perché sono stati rilevati solo isotopi stabili (63Cu e 65Cu). Il fatto che i rapporti isotopici del rame stabile presente nella polvere post-reazione siano gli stessi del rame naturale è altamente improbabile se il rame è prodotto da reazioni di fusione come Rossi afferma». • Il fatto che nelle analisi svedesi risulti una percentuale molto elevata di ferro (10%), mentre nel brevetto di Rossi del 2008 a pag. 13 si legge: «I grafici (dell’analisi atomica delle polveri post-reazione di due campioni, ndr) mostrano chiaramente che si è formato zinco, mentre lo zinco è un elemento non presente nella polvere di nichel originaria immessa
nell’apparato». Dunque, in un caso si nota il ferro ma non lo zinco, nell’altro lo zinco ma non il ferro: una nuova contraddizione. Inoltre, si fa fatica a spiegare il ferro come un prodotto di fusione, essendo nuclearmente molto lontano dal nichel, o come prodotto dell’erosione della camera di reazione utilizzata, in acciaio inox. Va inoltre segnalato il fatto che, il 20 gennaio 2011, Rossi ha dichiarato sul suo blog che una carica di “combustibile” (nichel puro) è stata usata nell’E-Cat per 6 mesi ininterrotti, 24 ore su 24, dopodiché alla fine del funzionamento del reattore la percentuale di rame – che, naturalmente, è legata alla quantità di energia prodotta – è risultata superiore al 30% (quasi certamente Rossi non si riferisce allo stesso esperimento di cui sono state fornite le polveri agli svedesi). Ed ha affermato pure che gli isotopi di nichel erano risultati cambiati in maniera significativa.
Alla ricerca di una spiegazione plausibile Inizialmente, mi scervello sulle possibili spiegazioni: la possibilità che Rossi abbia fornito non un campione della vera polvere post-reazione, bensì uno ottenuto mescolando nichel, rame e ferro “naturali”; la possibilità che siano stati usati catalizzatori e/o polveri di nichel pre-reazione diversi fra loro nei due casi; la possibilità che le reazioni non si svolgano in modo spazialmente omogeneo nei circa 100 grammi di polvere, etc.
La tavola periodica degli elementi con i principali elementi coinvolti nelle reazioni dell’E-Cat.
Poi, nel corso della mia intervista – fatta due mesi dopo che i dati dell’analisi svedese erano di dominio pubblico – accenno a Focardi la questione relativa alle analisi svedesi, e lui mi racconta: «Ho letto qualcosa en passant, ma quelle analisi non le ho seguite. Io ho fatto delle analisi sul materiale che mi ha dato Rossi all’epoca, in cui si vedono cose strane, tipo fusioni ed altro. Però in Svezia hanno fatto le analisi con sistemi più accurati di quelli che abbiamo usato noi. Probabilmente, Rossi mi ha dato solo una parte dei campioni, perché una parte la deve aver data ai professori svedesi. Ma non sono andato a fondo, sennò dovrei litigare con lui (ridendo, ndr), perché non mi aveva detto di avermene dato solo una parte». Poi, alla mia osservazione che il ferro trovato dagli svedesi potrebbe anche essere dovuto al misterioso catalizzatore, Focardi risponde: «No, a
volte nei residui possono esservi altri elementi, li abbiamo sempre visti. A volte i risultati delle analisi vengono prodotti da porcherie varie. Anche se le analisi non le ho mai fatte io personalmente, ma gli esperti di microscopia elettronica: io mi limito a guardare le figure, leggo ciò che c’è scritto ma non sono in grado di fare delle valutazioni in quel campo». Infine, egli conviene con me che, se si producesse davvero del ferro, la sua presenza richiederebbe sicuramente una spiegazione più complessa del fenomeno. Anche Francesco Celani, da me interpellato su tale questione, liquida il risultato dell’analisi svedese come dovuto all’“inquinamento”, alla “sporcizia” presente nella camera di reazione, pur non essendo al corrente del pensiero di Focardi a riguardo, in quanto la sua opinione appena riportata faceva parte del lungo pezzo mai reso pubblico dell’intervista da me fattagli. Andrea Rossi, invece – che è il protagonista principale della vicenda – interpellato sull’argomento da un lettore del suo blog, dichiara il 25 maggio 2011: «Per rispondere a queste domande dovrei entrare in particolari riservati riguardanti la cartuccia da me utilizzata e le relative operazioni. Pertanto, le sue osservazioni sono corrette in assenza di ulteriori spiegazioni». In realtà, come osserva il noto fisico svedese Kjell Aleklett – professore all’Università di Uppsala e presidente dell’ASPO, l’Associazione per lo Studio del Picco del Petrolio – «se il campione di polvere originale è composto da nichel naturale, allora gli isotopi 62Ni e 64Ni, insieme, costituiscono il 4,5% del campione. E se tutti questi isotopi di nichel sono convertiti in rame, il 4,5% della polvere post-reazione dovrebbe essere rame. Inoltre, se gli isotopi
62
Ni e 64Ni sono convertiti in rame, il loro rapporto isotopico sarebbe di 80/20, che è vicino al rapporto naturale 70/30 misurato».
Il noto fisico svedese Kjell Aleklett, docente universitario nonché presidente dell’ASPO.
Poiché sappiamo da altre dichiarazioni di Rossi – fatte sempre sul suo blog – che l’isotopo più abbondante del nichel naturale, il 58Ni (68%), sembra non contribuire in maniera significativa alla produzione di energia nell’E-Cat, si spiegherebbe almeno in gran parte il rapporto isotopico del rame osservato, mentre la percentuale di rame riscontrata nelle analisi è di utilità relativa, poiché dipende dalla durata della reazione e dalla quantità iniziale di combustibile, per cui il 4,5% di cui parla Aleklett rappresenta solo un valore teorico, che non può avere un riscontro pratico. Dunque, con queste semplici osservazioni, è possibile comprendere i vari risultati delle analisi svedesi, eccetto la presenza di ferro. Quest’ultima, però,
potrebbe essere effettivamente una contaminazione del campione – come suggerito da Focardi e da Celani – e in tal caso anche quest’ultimo “pezzo del puzzle” troverebbe posto, dissipando gli ultimi dubbi.
Capitolo 7 – I controlli sulla radioattività
Un altro aspetto importante riguardante i “prodotti” in senso lato delle reazioni che avvengono all’interno dell’E-Cat è l’eventuale presenza o meno di radioattività, o comunque di “emissioni” pericolose per l’uomo. Conoscere questo tipo di informazioni, infatti, non solo è importante per la sicurezza di chi opera su tale genere di apparati sperimentali – o intende acquistare in futuro un E-Cat – ma rappresenta un ulteriore piccolo tassello nel cercare di chiarire il mistero del catalizzatore e nel comprendere quali sono le reazioni che si verificano all’interno del reattore. In generale, un esperimento di fusione fredda può creare solo deboli emissioni “pericolose” (in assenza di schermatura) – ad es. raggi gamma e, talvolta, neutroni – per cui tutte le informazioni relative a simili prodotti ed alle rispettive energie risultano sempre assai preziose. Poiché i raggi gamma penetrano facilmente nel corpo umano e possono danneggiarne i tessuti, vanno comunque schermati e assorbiti con uno strato di piombo.
Si noti che pure gli eventuali neutroni ad alta energia5 possono produrre dei raggi gamma interagendo con l’acqua di raffreddamento che circonda la camera di reazione, ma questi gamma secondari sono differenti da quelli prodotti dall’evento di fusione stesso, perché i “secondari” hanno molta meno energia e interagiscono con l’acqua in modo rilevabile.
Una parte delle strumentazioni per le misure di dose assorbita e di radiazione gamma e usate nella presentazione dell’E-Cat del 14 gennaio 2011. (foto di Daniele Passerini)
Va inoltre sottolineato che le reazioni nucleari a bassa energia che si verificano nella “fusione fredda” utilizzando materiali non radioattivi, non producono le scorie radioattive tipiche della fissione nucleare, che emettono 5
I tipi di interazione dei neutroni con la materia dipendono dalla loro energia iniziale (Eo). Pertanto, si distinguono diverse classi di neutroni: neutroni termici, Eo < 1/10 eV; neutroni lenti, 1/10 eV < Eo < 100 keV; neutroni veloci, 100 keV < Eo < 100 MeV; neutroni ad alta energia, Eo > 100 MeV.
particelle e radiazioni letali – soprattutto per inalazione o ingestione tramite aria, acqua e cibi contaminati – ponendo enormi difficoltà di smaltimento delle scorie stesse una volta dismessa la centrale nucleare.
I livelli di radioattività al di fuori della macchina Quali sono, dunque, i livelli di radioattività all’esterno dell’E-Cat? Possiamo stare tranquilli ed operare – o perfino dormire – senza problemi accanto alla macchina oppure, al contrario, vi sono dei pericoli invisibili? Focardi e Rossi raccontano, nel loro articolo scientifico del 2010, che «durante i loro test sperimentali, nelle immediate vicinanze dell’apparato, opportunamente schermato con il piombo, sono stati effettuati continui controlli sui livelli di radioattività utilizzando un rivelatore di raggi gamma e tre rivelatori passivi di neutroni – del tipo “a bolle”, realizzati dalla canadese Bubble Technologies – uno dei quali destinato a misurare i neutroni termici. Ebbene, non è stata osservata alcuna radiazione a livelli più elevati del fondo naturale, e non è stata trovata alcuna radioattività nel nichel residuato dalle reazioni che avvengono durante il funzionamento dell’E-Cat». L’articolo in questione continua sottolineando l’assoluta non pericolosità dell’apparato: «Il 10 marzo 2009, nel corso di vari esperimenti con la nostra macchina, l’Unità di Fisica Sanitaria dell’Università di Bologna ha verificato che le emissioni di radiazioni ionizzanti attorno all’Energy Catalyzer non differiscono in maniera significativa dal fondo naturale. E anche l’acqua che
entra nell’apparato e, una volta riscaldata, vi fuoriesce è risultata avere la stessa concentrazione naturale di radioisotopi dell’acqua del rubinetto, per cui non vi è alcuna differenza fra le due».
Un tipico contatore Geiger, lo strumento che permette di misurare la radioattività.
Focardi, che negli esperimenti con Rossi era responsabile – quale fisico nucleare – della protezione da eventuali emissioni pericolose di particelle o radiazioni provenienti dal reattore, mi conferma nell’intervista la totale assenza di radioattività all’esterno dell’E-Cat, e aggiunge: «Senza il piombo, c’è una piccola emissione di raggi gamma: io stesso l’ho misurata nelle prime prove con un rivelatore. Ho misurato la radioattività intorno all’apparato privo di schermatura e un po’ più in là nella stanza, e l’ho confrontata con il fondo naturale. In quel caso, c’era una radioattività di una volta e mezza il
fondo naturale. Piccola, ma non ci deve essere neanche l’1% in più. Basta però usare un piccolo spessore di piombo ed il sistema è sicuro».
L’assenza di neutroni nelle reazioni reazioni NiNi-H Focardi ha spiegato in più occasioni che, negli sperimenti fatti con nichel e idrogeno, non ha mai osservato prodursi neutroni, i quali sarebbero assai pericolosi per l’uomo, per cui bisogna evitarli in tutti i modi. Ma, nell’intervista concessami, chiarisce che solo con il nichel è sempre andata così: «Nei nostri esperimenti di Siena una volta abbiamo trovato i neutroni, e mi sono chiesto il perché. Secondo me, trovammo i neutroni perché in quell’esperimento è stata utilizzata una barretta di acciaio anziché nichel. L’acciaio contiene il boro, il cui nucleo ha una “buca di potenziale” poco profonda dalla quale possono venire estratti i neutroni». In realtà, questa che non sia mai stato il nichel a produrre i neutroni è solo una ricostruzione a posteriori, come spiega ancora Focardi: «Purtroppo questo è un pezzo di informazione che mi manca. Io ho dovuto ragionare sui dati che sapevo. Ed io sapevo che c’erano i neutroni perché ho partecipato anche alle misure, abbiamo pubblicato un articolo – e quindi c’erano – e però sapevo anche che sono stati fatti esperimenti diversi. Fra l’altro, in quel periodo, di celle a Siena ce n’erano due in funzione, quindi era una delle due che aveva la barretta di acciaio. Sapevo che ogni tanto Piantelli aveva usato
l’acciaio e infatti me l’aveva detto: “Mah, funziona anche con l’acciaio”. E ciò non stupisce, perché l’acciaio contiene il nichel». Ovviamente, Focardi è consapevole che tutto ciò può creare dei dubbi, e confessa: «Negli articoli scientifici, che siamo riusciti a pubblicare anche grazie al fatto di essere amico del direttore dell’epoca della rivista Il Nuovo Cimento, fra le cose di cui parliamo vi sono i neutroni che abbiamo visto a Siena per alcuni giorni, e ciò mi dà un po’ di fastidio. Infatti, non so se in uno abbiamo scritto che invece del nichel c’era l’acciaio… Oggi preferirei che quell’articolo non l’avessimo mai pubblicato, perché fa nascere nelle persone il sospetto che qualche volta noi diciamo le cose giuste e qualche volta ce le inventiamo. Ma ormai le cose sono andate così…».
Le emissioni temporanee nella camera di reazione Quasi certamente, il “cuore” dell’E-Cat in tutti gli esperimenti di Rossi e Focardi è circondato, oltre che dal piombo, pure da una schermatura formata da uno strato di boro e dall’acqua di raffreddamento. Infatti, non solo se ne parla nel brevetto del 2008, ma lo stesso Rossi dichiara in un’intervista che la versione commerciale dell’E-Cat sarà dotata di una «schermatura comprendente piombo, boro e acqua di raffreddamento». Il piombo ha lo scopo di assorbire i raggi gamma, mentre il boro e l’acqua sono i tipici assorbitori usati per i ben più pericolosi neutroni.
Blocchi di piombo usati per schermare materiali radioattivi.
Dunque, non stupisce che fuori dalla macchina – la quale è schermata in modo opportuno: addirittura, la camera di reazione di un’E-Cat destinato alla vendita sarà circondata, per garantire la massima sicurezza, da 50 kg di piombo! – non si osservino emissioni pericolose e dunque non ci sia alcun pericolo per l’uomo. Ciò, però, non vuol dire che non ve ne siano all’interno della camera di reazione, dove si svolgono le reazioni nucleari. A chiarire molto bene la cosa è la risposta data da Rossi al fisico nucleare svedese Peter Ekström che, nella già citata videochat organizzata dalla rivista NyTeknik, pone la seguente interessante questione: «Nella fusione di un protone con il 58Ni (l’isotopo del nichel più abbondante in natura, ndr) si dovrebbe originare una notevole attività dovuta
alla formazione del 59Cu, che decade con una vita media di 82 secondi tramite un cosiddetto “decadimento beta +”. Nell’articolo di Rossi-Focardi si afferma che “nessuna radioattività è stata trovata nei residui post-reazione del nichel”. Ma ciò è sorprendente, data l’attività assai elevata del 59Cu prodotto: perfino 10 vite medie dopo la fine della reazione l’attività dovrebbe essere dell’ordine di 1013 Bequerel, un valore non solo facilmente rivelabile ma anche mortale qualora tale radiazione non venisse schermata». Rossi spiega l’apparente stranezza precisando che «sì, è vero, nessuna radioattività è stata trovata nei metalli residui, ma le misure sono state fatte il giorno dopo aver fermato la macchina. In ogni caso, lei ha ragione: se il 59Cu si forma dal 58Ni, a causa del suo decadimento beta dovremmo osservare coppie di raggi gamma a 511 keV in direzioni opposte, che però non abbiamo mai osservato, mentre abbiamo visto gamma nell’intervallo 100-300 keV (come illustrato bene nel report di Mauro Villa sull’esperimento del 14 gennaio: On the gamma radiation measurements on the Rossi system, ndr). Io penso quindi che non si produca 59Ni, e suppongo che l’unico rame stabile venga prodotto dalla trasmutazione degli isotopi 62Ni e 64Ni. Lo si deduce da ciò che abbiamo trovato al termine delle reazioni». In pratica, nel caso del tutto ipotetico in cui il contenitore dell’E-Cat in cui avvengono le reazioni si crepasse o si rompesse, all’esterno si potrebbe misurare – potenzialmente – un breve improvviso aumento dei livelli di radioattività, tuttavia la fuoriuscita del gas idrogeno porrebbe rapidamente fine alle reazioni nucleari e alla produzione di radioattività.
Il report dettagliato realizzato dal fisico Mauro Villa relativo alle misure della radiazione gamma prodotta dall’E-Cat durante la presentazione del 14 gennaio 2011.
La schermatura dai raggi gamma a bassa energia Nessuno sa perché il prodotto principale delle reazioni di fusione fredda – non è, dunque, solo il caso dell’E-Cat – sia il calore e non, invece, grandi quantità di radiazioni ionizzanti altamente letali oppure una “pioggia” di
pericolosi neutroni. Tuttavia si tratta di un’ottima cosa, poiché altrimenti lo schermaggio risulterebbe complesso e le macchine di questo tipo sarebbero di conseguenza difficili, costose e pericolose da commercializzare. Una delle possibili ipotesi è che l’energia prodotta venga in qualche modo assorbita dal reticolo metallico, ad esempio attraverso vibrazioni ad alta frequenza oppure processi coerenti in cui sono coinvolte molte vibrazioni delocalizzate. Ciò spiegherebbe anche perché nessuna delle reazioni nucleari a bassa energia che si conoscono sembra in grado di produrre “reazioni a catena” (come invece avviene con le reazioni chimiche nelle esplosioni e con la fissione nucleare nelle bombe nucleari), cioè in grado di rilasciare grandi quantità di energia in un lasso di tempo molto breve, che rappresenta il requisito essenziale per potere fabbricare una bomba. Nel caso dell’E-Cat, come abbiamo visto, i raggi gamma prodotti aventi l’energia più elevata sono quelli da 300 keV (il che appare ragionevole, poiché i raggi gamma derivanti da decadimenti radioattivi di solito hanno energie di poche centinaia di keV): si tratta dunque di raggi gamma di bassa energia, ma che possono comunque passare attraverso la pelle senza difficoltà e, una volta giunti nelle cellule, creare danni estesi al Dna in esse presente, con potenziali rischi di sviluppare cancro e leucemia. In generale, maggiore è l’energia dei raggi gamma e più, ovviamente, essi risultano penetranti e più spesso è lo strato di piombo (preferito ad altri materiali per via della sua elevata densità e del suo alto numero atomico, per cui i suoi elettroni assorbono e disperdono bene l’energia) che occorre porre
intorno al reattore per assorbirli totalmente. Tuttavia, poiché la probabilità di assorbimento di un raggio gamma da parte della materia è proporzionale allo spessore dello strato assorbente, si ha una decrescita di tipo esponenziale dell’intensità della radiazione al crescere dello spessore.
Per assorbire i raggi gamma occorrono materiali ad alta densità.
In pratica, con uno strato di 2 cm di piombo – lo spessore usato nel prototipo dell’E-Cat – si ha un’attenuazione di quasi 220 volte dei raggi gamma da 200 keV, per cui è ragionevole che all’esterno della macchina
complessivamente6 non risultino esservi radiazioni diverse da quelle del fondo naturale, e si possa dormirvi tranquillamente accanto.
6
L’attenuazione dei raggi gamma, comunque, varia molto in base alla loro energia. A 100 keV, con 2 cm di piombo è di 260 volte, mentre a 500 keV per attenuarli di 10 volte occorrono 1,4 cm di spessore (dunque 2 cm non sono sufficienti a schermare gli eventuali gamma a 511 keV previsti inizialmente dalla teoria). Inoltre, la quantità di radiazione è inversamente proporzionale al quadrato della distanza.
Capitolo 8 – La natura natura nucleare delle reazioni
Il processo che, nell’Energy Catalyzer di Rossi-Focardi, dà origine alla generazione di energia in eccesso chiaramente osservabile e misurabile non può essere – secondo lo stesso Focardi – di tipo chimico, a causa della quantità di energia termica prodotta dall’apparato, enormemente più grande di quella che si può ottenere, ad esempio, dalla combustione. Poiché i componenti, o materiali di partenza, utilizzati nella reazione in questione sono il nichel e l’idrogeno, ed il principale prodotto della reazione – a parte, ovviamente, l’energia in eccesso – è dato dal rame, egli ritiene che si tratti di un processo di “fusione nucleare”, sia pure una fusione fredda, cioè a bassa temperatura, completamente diversa dalla fusione “calda”, che avviene ad altissime temperature e pressioni nelle stelle e che si tenta oggi di riprodurre in laboratorio all’interno di costosissimi tokamak. Quando, su mia richiesta, durante l’intervista fattagli a giugno Focardi ha scritto sulla lavagna l’equazione alla base dell’E-Cat (che appariva come
segue: “Ni + H —> Cu”) l’ha così commentata: «Questa è un’equazione che farebbe inorridire qualsiasi chimico… ma è ciò che osserviamo!».
Il professor Focardi mentre mostra un’equazione… poco chimica!
Secondo Focardi, la spiegazione a livello concettuale di ciò che accade all’interno della camera di reazione dell’E-Cat è, in pratica, la seguente: «Il nucleo dell’idrogeno in forma monoatomica – che è semplicemente un protone – penetra all’interno del nucleo di nichel (che contiene 28 protoni e un numero variabile di neutroni, ndr) e ciò provoca una variazione di tale nucleo, il quale trovandosi con un protone in più diventa rame, elemento che segue il nichel nella tavola periodica degli elementi». Ciò spiega il processo, ma naturalmente rimangono delle difficoltà di interpretazione legate al fatto che tale fenomeno non è previsto dalla fisica
che si conosceva – la quale, invece, spiega bene la fusione calda – e dunque per giustificare dal punto di vista teorico il fenomeno ed i prodotti osservati sembra necessario formulare una nuova teoria fisica ad hoc.
Una reazione esotermica esotermica che si può autosostentare autosostentare L’idrogeno monoatomico – cioè il protone che ne costituisce il nucleo – per penetrare nel nucleo di nichel deve superare un forte campo elettrico repulsivo che ne contrasta il moto: la cosiddetta barriera coulombiana. Tuttavia, risulta difficile capire come tale processo nucleare avvenga: non esiste, infatti, una giustificazione semplice della cosa. Il dato di fatto sperimentale è la cattura del protone da parte del nucleo di nichel, con la conseguente formazione di rame, che si trova in livelli nucleari “eccitati” – ovvero non nel normale stato stabile – da cui, secondo Focardi, decade emettendo raggi gamma di bassa energia, ovvero radiazioni elettromagnetiche di bassa frequenza (essendo la frequenza di un’onda legata alla sua energia E tramite la relazione E = costante x frequenza), responsabili dell’energia termica in uscita che caratterizza l’E-Cat. Infatti, come ci spiega molto bene lo stesso Focardi, «in corrispondenza all’emissione di ogni raggio gamma, il nucleo di rame retrocede un po’ come fa il fusto di un cannone quando parte il proiettile, e così il nucleo di rame cede energia al mezzo, scaldandolo. Ciò è importante, perché permette altri processi analoghi successivi – che necessitano di una certa temperatura
minima perché l’idrogeno possa penetrare nel nucleo del nichel – per cui la reazione, una volta iniziata, si può autosostenere».
Nonostante le parole di Focardi, occorre ancora comprendere bene come dal rame (o altri prodotti) si arrivi alla produzione di raggi gamma di bassa energia, cioè di calore.
In realtà, la reazione esotermica che fa funzionare l’E-Cat – sia nelle versioni prototipo che in quelle commerciali – utilizza l’energia elettrica fornita dall’esterno. In linea di principio, si potrebbe usare il calore prodotto dalla macchina stessa per mettere in atto il ciclo di auto-sostentamento del processo, ma già solo per il fatto che il calore prodotto dall’apparato non è né costante ad ogni avvio dell’apparecchio né facilmente controllabile in modo “fine”, il sistema risulta molto più stabile se viene fatto funzionare riscaldando il combustibile con una resistenza elettrica.
Naturalmente, ciò vale per le versioni dell’E-Cat destinate a produrre solo energia termica. Per i modelli che producono anche energia elettrica in cogenerazione, infatti, è ipotizzabile (e più economico) l’impiego – come sorgente di energia elettrica per la resistenza riscaldante la cella di reazione – di parte dell’energia elettrica generata dall’apparato, potendo quest’ultima essere facilmente stabilizzata, con un circuito ad hoc, alla tensione nominale prevista per il corretto funzionamento della macchina. Per la cronaca, la modalità di funzionamento dell’E-Cat in maniera “autosostentata” è stata sperimentata da Rossi molte volte per un periodo di diverse ore. Tuttavia, per raggiungere il regime di autosostentamento occorre che le reazioni nucleari diventino assai energetiche, nel qual caso l’energia in uscita diventa così alta che potrebbe verificarsi un’esplosione. Perciò, nel suo impiego normale, l’E-Cat utilizza solo una piccola parte dell’energia che può fornire quando lavora in modalità autosostentata.
La principale “firma” firma” nucleare del fenomeno Esistono varie prove (o “firme”, come si dice in gergo), ciascuna delle quali sufficiente di per sé a dimostrare la tesi della natura nucleare, anziché chimica, delle reazioni che si svolgono all’interno dell’E-Cat.
La prova principale7 – assai evidente se si fanno due conti, come ora vedremo – è il fatto che la produzione di energia termica in eccesso da parte del catalizzatore di Rossi-Focardi risulta troppo elevata per essere spiegata da qualsiasi processo di natura chimica (comprese le combustioni, cioè reazioni chimiche fortemente esotermiche che si propagano con una certa lentezza, e le esplosioni, reazioni chimiche a catena e dunque discontinue nel tempo, ma anch’esse in grado di rilasciare grandi quantità di energia).
L’energia in eccesso prodotta dall’E-Cat non può essere di natura chimica.
Infatti, ipotizzando che ogni atomo di nichel possa realizzare, in condizioni ottimali, una tipica reazione chimica – che come sappiamo 7
Le altre prove sono l’osservata produzione di raggi gamma a bassa energia – in quanto i raggi gamma sono prodotti solo da transizioni nucleari o comunque subatomiche – e la sempre osservata formazione del rame, in quanto quest’ultimo non rientra fra gli ingredienti di partenza della reazione.
rilascia un’energia di qualche eV, poiché tale è l’energia di legame degli elettroni più esterni dell’atomo – per ottenere la stessa quantità di energia prodotta dall’E-Cat di Rossi-Focardi nei loro esperimenti, occorrerebbero almeno 1028 atomi, come è facile dimostrare. Difatti, vale l’equivalenza tra unità di energia 1 eV = 4,4 x 10-26 kWht, per cui equivalentemente 1 kWht = 0,22 x 1026 eV, e dunque per ottenere ad es. i 1000 kWht prodotti dall’E-Cat nel lungo esperimento della primavera 2009 – quando rimase in funzione per 2 settimane consecutive – occorrono, circa (1000 x 0,22 x 1026 =) 2 x 1028 atomi, dove possiamo ignorare il fattore “2” considerando un’energia di qualche eV per ciascun atomo, ottenendo per l’appunto la necessità di circa 1028 atomi per le due settimane. Ma a quanto corrispondono 1028 atomi di nichel? Ebbene, si tratta di qualcosa come un milione di grammi: cioè 1.000 kg o, se preferite, una tonnellata! Infatti, una cosiddetta mole di nichel o di qualsiasi elemento chimico contiene 6,0 x 1023 atomi di tale elemento (valore noto in chimica come “numero di Avogadro”) ed ha, per definizione, una massa – espressa in grammi – praticamente quasi identica al peso atomico dell’isotopo stabile dell’elemento che ci interessa. L’isotopo stabile del nichel più abbondante in natura (68%) risulta essere il 58Ni, che ha peso atomico “58”, avendo nel suo nucleo 28 protoni e (58-28=) 30 neutroni. Dunque, una mole di nichel contiene 6,0 x 1023 atomi e pesa circa 58 grammi (se prendiamo un altro isotopo del nichel, il peso cambia al più di qualche grammo). Perciò, 1028 atomi di nichel
corrispondono a circa (1028 : 6,0 x 1023 =) 0,2 x 105 moli e quindi pesano (0,2 x 105 x 58 =) 1,2 x 106 grammi, cioè 1200 kg. Di conseguenza, poiché in realtà non sono stati utilizzati 1200 kg di nichel ma circa 100 grammi, solo una reazione nucleare può spiegare il funzionamento dell’E-Cat.
Se l’E-Cat funzionasse con reazioni chimiche, consumerebbe centinaia di kg di nichel.
La diversa energia delle reazioni chimiche e nucleari Quanta energia può produrre l’E-Cat con un grammo di “combustibile”, cioè con un grammo di nichel? Oppure, se preferite, per quanto tempo può funzionare l’apparecchio con un grammo di combustibile? Per cercare di rispondere a questa domanda occorre, da una parte, fare delle valutazioni generali di tipo teorico e, dall’altra, compiere delle misure
sperimentali con la macchina tenendola in funzione per un tempo lungo appropriato e valutando a posteriori il “consumo” effettivo. Nelle reazioni di tipo chimico – in particolare nei processi che mirano a ricavare energia, ad es. tramite la combustione del petrolio, gas o carbone – si possono ricavare quantità di energia alquanto ridotte, dell’ordine di alcuni elettronvolt (eV) per ciascuna coppia di atomi coinvolti, valore che riflette l’energia di legame degli elettroni più esterni dell’atomo. Invece, nelle reazioni nucleari che comportano la trasformazione di un elemento chimico in un altro più leggero le quantità di energia rilasciate sono dell’ordine del milione di elettronvolt (MeV) per ogni coppia di atomi in gioco, in quanto vale la nota “legge di conservazione dell’energia” E = mc2 (che si legge: energia = massa x velocità della luce al quadrato). Tale legge, formulata da Albert Einstein nell’ambito della Teoria della Relatività, garantisce che la differenza di massa tra i “costituenti di partenza” di una reazione nucleare (atomi e/o componenti del loro nucleo, ovvero protoni e neutroni) e la massa dell’atomo o del composto “nuovo” stabile e più leggero formatosi al termine della reazione stessa non “sparisce nel nulla”, bensì viene liberata sotto forma di energia. Dunque, anche una differenza di massa relativamente piccola tra gli “ingredienti di partenza” ed i prodotti finali di una reazione nucleare, può tradursi in una notevole produzione di energia. Tanto per dare un’idea, la differenza di massa tra quella di un atomo stabile di elio (prodotto finale) e la massa somma di quella dei suoi costituenti separati (2 protoni, 2 neutroni, 2
elettroni) – che è maggiore – equivale a un’energia di 28,3 MeV, la quale può eventualmente essere trasformata nella più comune unità dei kWh termici sapendo che: 1 MeV = 4,4 x 10-20 kWht.
La famosa legge di conservazione dell’energia di Albert Einstein.
Poiché l’energia prodotta dalle reazioni nucleari è, per quanto appena illustrato, almeno 100.000 volte maggiore di quella ottenibile con le reazioni chimiche, a parità di energia prodotta il combustibile necessario per alimentare reazioni nucleari è almeno 100.000 volte inferiore, o – se preferite – con le reazioni nucleari, a parità di combustibile impiegato, può essere
prodotta la stessa quantità di energia che con le reazione chimiche, ma per un tempo almeno 100.000 volte più lungo. Di conseguenza, già solo a livello teorico e qualitativo ci possiamo rendere conto di quanto una reazione non chimica come quella alla base del funzionamento dell’E-Cat sia in grado di consumare pochissimo combustibile e di andare avanti per moltissimo tempo prima che sia necessario fornire nuovo “carburante” o sostituire il precedente perché “esausto”.
Una stima teorica per ordini di grandezza Cerchiamo di stimare, almeno a grandi linee, quanta energia potrebbe fornire una reazione nucleare a bassa energia, cioè il tipo di reazione responsabile dell’interazione fra il nichel e l’idrogeno nell’E-Cat. Per farlo, partiamo dalle reazioni che tutti conosciamo molto bene perché noi uomini del 21° secolo le utilizziamo ancora, direttamente o indirettamente, nella nostra vita quotidiana – le reazioni chimiche – e immaginiamo di avere a disposizione, ad es., della legna da ardere in una caldaietta domestica. Quanta energia può fornire 1 kg di legna? La legna piuttosto secca – come indicato da qualunque tabella relativa ai possibili combustibili – ha un “potere calorico” di circa 3.000 Kcal/kg, inferiore a quello di un’altra fonte energetica solida quale il carbone (7.000 Kcal/kg) ed a quello di fonti energetiche liquide di origine fossile, quali il petrolio greggio o il gasolio (entrambi, circa 10.000 Kcal/kg).
L’energia termica, tuttavia, è comodo misurarla in kWh. Ebbene, per passare dall’unità Kcal/kg ai kWht, basta usare l’equivalenza 1 Kcal/kg = 1,16 x 10-3 kWht. Dunque, 1 kg di legna può fornire circa (3.000 x 1,16 x 10-3 =) 3,5 kWht/kg, mentre il carbone può fornire circa 8,1 kWht/kg, ed il petrolio greggio o il gasolio circa 11,6 kWht/kg.
L’energia dei fulmini è rilasciata sotto forma di calore e luce, ma non è sfruttabile.
Anche se esistono dei distillati leggeri del petrolio (ad es. le benzine, utilizzate nei trasporti) che forniscono un 10% in più di energia, si può considerare il gasolio come il combustibile chimico comune con la maggiore resa energetica, tant’è che è largamente usato per il riscaldamento. Se come unità di misura utilizziamo i kWht/gr (cioè i “watt termici per grammo”) anziché i kWht/kg, la resa del gasolio risulta di circa 0,012 kWht/gr, mentre quella della legna secca è di soli 0,0035 kWht/gr.
Poiché – come detto in precedenza – una reazione nucleare può fornire un’energia almeno 100.000 volte più grande rispetto alle reazioni chimiche più energetiche, ci aspettiamo che 1 grammo di combustibile dell’E-Cat possa fornire un’energia termica 100.000 volte maggiore rispetto a quella prodotta dal gasolio, ovvero di almeno (0,012 x 105 =) 1.200 kWht/gr. Quindi, un E-Cat da 10 kW, alimentato con appena 1 grammo di combustibile, secondo il nostro semplice ragionamento dovrebbe poter produrre energia in maniera ininterrotta per almeno (1200 : 10 =) 120 ore, pari a 5 giorni. Analogamente, 5 grammi di combustibile sono più che sufficienti per far funzionare l’apparecchio per un mese, mentre 70 grammi dovrebbero permettergli di lavorare per oltre un anno. E infatti, da quanto ha raccontato lo stesso Rossi sappiamo che, con 100 grammi di nichel, l’E-Cat ha funzionato ininterrottamente per due mesi e mezzo.
Capitolo 9 – Verso una possibile teoria
Il processo alla base del funzionamento dell’E-Cat risulta, al momento, tutt’altro che compreso. Certo, a grandi linee si ha un’idea di come possano andare le cose: il protone – cioè lo ione idrogeno (H+) – penetra nel nucleo dell’atomo di nichel, dopodiché qualche reazione successiva di decadimento dei prodotti di questa reazione iniziale produce dei raggi gamma di bassa energia che riscaldano il mezzo circostante e dunque forniscono l’elevata energia termica in eccesso che caratterizza la macchina. Ma i dettagli della questione – in particolare due: come faccia il protone a entrare nel nucleo del nichel, e quali siano le esatte reazioni nucleari che portano ai prodotti osservati sperimentalmente – non sono ancora ben chiari, e dunque occorreranno ricerche sperimentali molto più accurate sulle quali poter formulare, successivamente, le spiegazioni teoriche. Mi confidava una volta lo stesso Focardi, in una delle nostre lunghe chiacchierate telefoniche, e non nascondendo un certo divertimento: «Proprio
i fisici teorici, che non hanno creduto a quanto avevamo scoperto, saranno costretti – quasi per una sorta di “legge del contrappasso” – a trovare una spiegazione dettagliata, a formulare una teoria consistente del fenomeno che permette all’E-Cat di produrre così tanta energia».
Focardi in un’espressione divertita durante la mia intervista. (foto di Claudio Puosi)
Rossi e Focardi, nel loro solito articolo A new Energy source from nuclear fusion, forniscono alcuni elementi per una prima interpretazione teorica di quanto succede. Qui daremo una versione divulgativa di quanto loro raccontano, integrando il materiale con nozioni di base, informazioni aggiuntive, curiosità varie e con possibili spiegazioni teoriche nell’ambito, più generale, delle reazioni nucleari a bassa energia (LENR).
Il superamento della barriera coulombiana La cattura, da parte del nucleo di nichel, del protone (che costituisce il nucleo dell’atomo di idrogeno) rappresenta un processo inspiegabile – almeno all’apparenza – per un fisico, a causa del forte campo elettrico positivo repulsivo esercitato dal nucleo di nichel, che obbliga il protone (che ha anch’esso carica positiva, e cariche di segno uguale si respingono) a superare una notevole forza contraria che ne contrasta il moto di avvicinamento, e che in fisica è nota con il nome di repulsione coulombiana.
La classica “barriera di potenziale” esistente fra due nuclei atomici.
Anche se vi risparmiamo qui i dettagli del calcolo, per l’isotopo più comune del nichel, il Ni58, la massima repulsione coulombiana si ha,
teoricamente, a una distanza fra il centro del nucleo del nichel ed il centro del protone di circa 7,2 fermi o “femtometri” (fm), dunque pari – poiché, per definizione, 1 fm = 10-15 m – a 7,2 x 10-15 metri. Se il protone riesce ad avvicinarsi al nucleo di nichel a una distanza inferiore a tale valore, a quel punto la fusione è inevitabile, poiché prevalgono le forze attrattive nucleari (la cosiddetta “interazione forte”), che a differenza delle forze elettrostatiche agiscono solo sulle piccolissime distanze, su cui sono dominanti.8 L’energia che occorre fornire per permettere il superamento della barriera coulombiana, ovvero l’energia che il protone dovrebbe avere per avvicinarsi al nucleo di nichel fino al citato punto di massima repulsione, è di circa 5,6 MeV mentre, come sappiamo dalla teoria cinetica dei gas, l’energia cinetica media (K) di un protone in un gas di idrogeno monoatomico alla temperatura T – la quale è data dalla formula K = 3/2 kT (dove k è la costante di Boltzmann) – perfino ipotizzando una temperatura molto elevata, come ad es. 700 °C, risulta di appena 0,13 eV. Dunque, secondo la fisica classica una particella avente un’energia così bassa non può mai oltrepassare una barriera di potenziale così elevata. Al contrario, la fisica moderna prevede, nell’ambito della ben consolidata teoria della meccanica quantistica, la possibilità del cosiddetto “effetto tunnel”: in pratica, essa dice che una particella ha una probabilità, piccola ma finita, di 8
In natura esistono 4 tipi di “interazioni (o forze) fondamentali”, che sono alla base degli scambi di energia fra le particelle: (1) le forze gravitazionali, che sono molto deboli e sono esercitate dalle particelle dotate di massa; (2) le forze elettromagnetiche, che sono esercitate dalle particelle dotate di carica elettrica, e come le precedenti agiscono a qualsiasi distanza; (3) le interazioni forti, forze nucleari con un raggio d’azione di 1,4 x 10-15 m; (4) le interazioni deboli, forze nucleari con un raggio d’azione di 10-18 m.
attraversare una barriera di potenziale arbitrariamente alta, processo che risulta invece proibito dalla vecchia meccanica classica. Tuttavia, la formula che esprime la probabilità P che una singola particella possa superare la barriera coulombiana del nucleo “bersaglio” (come conseguenza dell’effetto tunnel previsto dalla fisica quantistica) è stata determinata dal fisico George Gamow e, applicandola nel nostro caso di un protone dotato di un’energia cinetica media di 0,13 eV (grazie alla temperatura di 700 °C a cui è stato riscaldato il reattore) e di un elemento come il nichel caratterizzato da un numero di protoni nel nucleo pari a 28, al termine di un po’ di conti che potete trovare nell’articolo di Rossi-Focardi fornisce come risultato: P = 4,7 x 10-1059, un valore di probabilità talmente piccolo da rendere la fusione di tipo “occasionale” di un protone con un nucleo di nichel un evento che non si verifica quasi mai.
L’“effetto tunnel”, in meccanica quantistica, è la penetrazione di una particella attraverso una barriera di potenziale più elevata dell’energia della particella stessa.
Uno sguardo ai principali tipi di reazione possibili possibili Una volta che, in qualche modo che oggi ancora non conosciamo, l’idrogeno monoatomico costituito dal protone abbia comunque superato, nonostante le appena citate difficoltà teoriche, l’ostacolo della barriera coulombiana e sia penetrato all’interno del nucleo di nichel, devono aver luogo una serie di reazioni che – per la fisica classica – non sono difficili da ipotizzare. Infatti, il processo di cattura del protone da parte del nucleo di nichel produce un nucleo di rame, secondo il semplice schema (applicabile a vari isotopi di questi elementi, indicati quindi con il generico numero di massa, A, pari al numero di “protoni + neutroni” presenti nell’atomo): A
Ni + p –> A+1Cu
Il nucleo di rame, con l’eccezione dei due isotopi stabili di questo elemento, 63Cu e 65Cu, si può trasformare in nichel – per cui a prima vista si torna alla situazione iniziale, ma in realtà ovviamente si ottengono differenti isotopi rispetto all’isotopo di partenza – attraverso uno dei seguenti due possibili processi (che hanno una diversa probabilità di verificarsi): 1) Un decadimento di tipo “beta +”. In pratica, il nucleo di rame decade in un nucleo di nichel emettendo un positrone (e+) e un neutrino (ν), secondo lo schema: A+1
Cu –> A+1Ni + e+ + ν
2) Una cosiddetta “cattura elettronica”. Consiste nella cattura nucleare, da parte del nucleo di rame in uno stato eccitato – e proprio grazie a questo eccesso di energia – di un elettrone orbitale K del proprio atomo, cattura che dà luogo al seguente processo, il quale prevede la creazione di un neutrone (n) e di un antineutrino ( ):
p + e– –> n + per cui il nucleo di rame perde un protone diventando nichel e la reazione rame-nichel del processo 1) va rimpiazzata con la seguente: A+1
Cu –> A+1Ni +
Le frequenze relative di questi due processi di decadimento ora illustrati – 1) decadimento “beta +” e 2) cattura elettronica – per i vari isotopi del rame risultano, in generale, sconosciute. Tuttavia, entrambi i processi permettono di produrre calore nel reattore, sia pure in modo diverso. Infatti, nel caso 1), cioè del decadimento “beta +”, il positrone si annichila con un elettrone producendo due raggi gamma da 511 keV mentre, nel caso 2) della “cattura elettronica”, si ha un riassestamento a catena dei gusci elettronici dell’atomo di rame (che vanno a occupare i livelli più interni che via via restano liberi), con emissione di raggi gamma di bassa energia. Il risultato finale delle reazioni è che, partendo dall’isotopo del nichel più abbondante nella composizione isotopica naturale di questo elemento – ovvero il 58Ni – attraverso i due già descritti processi “ ANi + p –> A+1Cu ” e poi “ A+1Cu –> A+1Ni + qualcosa” la formazione di rame ed il suo successivo
decadimento in nichel produce gli isotopi 59Ni, 60Ni, 61Ni e 62Ni. La catena si arresta necessariamente al 62Ni poiché, come sappiamo, l’isotopo 63Cu del rame è (come il 65Cu) stabile. Il 64Ni, invece, si forma grazie al decadimento del 64Cu, che è un isotopo instabile del rame.
Il diagramma di un’annichilazione elettrone-positrone, fenomeno che produce una coppia di fotoni da 511 keV di energia diretti in direzioni opposte.
Riassumendo, la cattura del protone – cioè dell’idrogeno monoatomico – trasforma i nuclei degli isotopi di nichel nei nuclei degli isotopi di rame immediatamente sottostanti nella tabella qui mostrata (gentilmente fornitami da Lino Daddi, un fisico esperto di LENR), dove i nuclei stabili sono in nero mentre a caratteri rossi sono distinti gli isotopi radioattivi, cioè instabili. Il tempo di dimezzamento di questi ultimi è breve, così da consentire loro, decadendo, di contribuire al calore prodotto nel reattore.
Ni!
58
67,6 %!
Cu!
59
51 s!
Ni!
59
8 104 y
Cu!
Ni!
60
26,2 %!
Cu!
Ni!
61
1,25 %!
Cu!
60
61
62
24 m!
3,3 h!
9,8 m!
Ni!
62
3,66%! 63
Cu
stabile!
Ni!
63
8 y!
Cu!
64
13 h!
Ni!
64
1,16 %! 65
Cu
stabile!
La tabella mostra in quali isotopi di rame si trasformano gli isotopi di nichel, esistenti in natura o prodotti artificialmente, con numero di massa compreso fra 58 e 64.
Una previsione teorica rivelatasi poi errata Focardi ed i fisici suoi collaboratori erano quindi convinti che, essendo l’isotopo più abbondante del nichel il 58Ni (68%), questo, attraverso l’“ovvia” reazione “ H + 58Ni –> 59Cu ”, creasse l’isotopo instabile 59Cu, il quale – decadendo qualche volta in 59Ni più un positrone e un neutrino attraverso la già citata reazione di decadimento “beta +” – spiegasse, almeno in parte, la produzione di energia termica in eccesso da parte dell’E-Cat. Infatti, il positrone (detto anche “antielettrone”) è una particella di antimateria: in pratica è come un elettrone, di cui ha la stessa massa, ma ha carica positiva mentre l’elettrone ce l’ha negativa. Poiché nel nostro universo l’antimateria è completamente instabile, quasi subito dopo essere stato creato qualsiasi positrone si “annichila” con un elettrone producendo due raggi gamma (γ): cioè, la massa del protone e della sua anti-particella – l’elettrone – viene convertita in energia sotto forma di due fotoni, aventi ciascuno un’energia di 511 keV, che si propagano in direzioni opposte.
Naturalmente, si parla qui indifferentemente di raggi gamma e di fotoni perché, come viene insegnato anche al liceo, la radiazione elettromagnetica (di cui sono un esempio la luce visibile, i raggi X, i raggi gamma, etc.) ha un duplice comportamento onda-corpuscolo, per cui in pratica può essere vista, indifferentemente, come un’onda o radiazione di frequenza ν o come fotoni, particelle prive di massa “messaggere” della forza elettromagnetica. Rossi e Focardi hanno voluto compiere per la prima volta la verifica di questa previsione teorica – il decadimento del rame attraverso una reazione che prevede l’emissione di positroni – in occasione della dimostrazione pubblica del funzionamento dell’E-Cat svoltasi nel gennaio 2011.
Uno dei due rivelatori usati per rivelare i gamma da 511 keV. (dal report di M. Villa)
Pertanto, i fisici collaboratori di Focardi hanno effettuato due fori in direzioni opposte nello schermo di piombo protettivo esterno alla camera di reazione e vi hanno infilato le sonde di uno strumento per la misura dei raggi gamma, in modo da poter rivelare l’eventuale picco di radiazione a 511 keV, che avrebbe rappresentato una “firma” di quella reazione. Tuttavia, non è stato osservato alcun picco, e ciò perché… probabilmente non c’è! Infatti, come spiegato da Focardi stesso pochi mesi dopo in un’intervista televisiva: «Consultando meglio la letteratura, abbiamo scoperto che la reazione ipotizzata è, in realtà, rarissima per il rame: avendo una probabilità estremamente bassa, è normale che non si osservi nulla». Mi confiderà successivamente: «Il nostro errore è stato fare quella misura, che non avevamo mai compiuto prima, pubblicamente». Ciò fa capire quanto lavoro vi sia ancora da fare sul piano sperimentale e teorico per giungere a un’individuazione delle reali reazioni che permettono all’Energy Catalyzer di produrre così tanta energia. Ed ovviamente, una teoria per l’E-Cat – o più in generale per i sistemi Ni-H – non potrà che essere fondata su un’ampia e accurata serie di misure nucleari (in particolare, di spettrometria gamma e di spettrometria di massa), effettuate sia durante il funzionamento della macchina che al termine delle reazioni.
Quali teorie sulle LENR sono applicabili all’Eall’E-Cat?
In attesa di misure precise sul reattore, una qualche possibile spiegazione sulle reazioni che avvengono all’interno dell’Energy Catalyzer potrebbe forse venire dalle teorie che vengono formulate per spiegare la fusione fredda o – come è più corretto dire, in quanto secondo alcune di queste non vi sarebbe una “fusione” bensì una “trasmutazione” – le reazioni nucleari a bassa energia (LENR), oppure “assistite da un reticolo”. Dagli scienziati che in tutto il mondo si occupano delle reazioni nucleari nella materia condensata, in fondo, sono state finora proposte addirittura oltre 150 spiegazioni teoriche differenti, le quali debbono anche spiegare – o almeno dovrebbero farlo, altrimenti sono inutili – i cosiddetti “tre miracoli” della fusione fredda, ovvero: (1) la mancanza di forti emissioni di neutroni, (2) il mistero di come la barriera colombiana possa essere penetrata, (3) la mancanza di forti emissioni di raggi gamma e di raggi X. Fra tutte queste teorie, quella considerata migliore9 – in quanto non richiede alcuna fisica nuova o “esotica” e spiega i “tre miracoli” – è la teoria di Widom-Larsen: una teoria pubblicata su un’autorevole rivista scientifica dotata di peer review secondo la quale i fenomeni protagonisti di quella che, volgarmente, viene ormai chiamata fusione fredda in realtà non sarebbero né fusioni né fissioni, bensì processi di “sintesi” nucleare, che in ogni caso si 9
Non da tutti gli scienziati, ovviamente. Secondo Francesco Celani ed alcuni altri fisici del settore, ad esempio, la spiegazione della fusione fredda va ricercata applicando ai reticoli metallici il Paradosso di Fermi-Pasta-Ulam, scoperto nel 1953 attraverso pionieristiche simulazioni numeriche fatte con il computer MANIAC del Progetto Manhattan. Esso descrive la nascita di una nuova classe di soluzioni localizzate nel tempo – e, più in generale, l’instaurarsi di un comportamento molto più complicato del previsto – per un reticolo anarmonico sottoposto ad eccitazioni localizzate non-lineari. Tale scoperta ha portato, di fatto, alla nascita della fisica non-lineare, da cui deriveranno la teoria dei solitoni, la teoria del caos, etc.
verificano solo se vi sono densità di energia molto elevate (dell’ordine dei 1011 V/m), il che spiega perché si verifichino più spesso e facilmente nei piccoli interstizi su scala nanometrica creati nei materiali.
Le collisioni prodotte negli acceleratori di particelle, che fanno progredire le nostre teorie.
La teoria di Widom-Larsen prevede che, nei metalli idrati eccitati, si creino delle particolari onde oscillanti di elettroni, chiamate plasmoni. Questi vengono assorbiti dai protoni (idrogeno monoatomico) e trasformati in neutroni dall’interazione debole, una forza nucleare che agisce a piccolissime distanze. Poiché non hanno carica elettrica, tali neutroni sono facilmente catturati da un nucleo atomico attraverso l’interazione forte. Dopodiché, si produce una cascata di isotopi instabili tramite il decadimento beta, il quale
rilascia raggi gamma che, quando colpiscono i plasmoni, vengono in gran parte trasformati in raggi infrarossi, cioè in calore. Tuttavia, interpellato di recente sull’argomento in alcune interviste, Rossi ha spiegato di avere per l’E-Cat «una teoria completamente differente dalla Widom-Larsen, che sta prendendo forma dall’esperienza quotidiana che si sta accumulando con l’Energy Catalyzer». Ha aggiunto anche: «quando sarò sicuro di questa teoria la scriverò, ma per il momento ho bisogno di fare maggiore esperienza». Ed infine, ha manifestato apprezzamento per l’articolo
Generalized Theory of Bose-Einstein Condensation Nuclear Fusion for Hydrogen-Metal System del professor Yeong E. Kim (Purdue University, Indiana), «in quanto riflette una comprensione del principio alla base dell’ECat migliore della teoria finora prevalente di Widom-Larsen».
Ringraziamenti
Nel momento dei ringraziamenti, il primo va a un protagonista della storia dell’E-Cat, Sergio Focardi, che non solo si è prestato a una lunghissima intervista in un caldo e afoso giorno d’estate, ma è pure stato prodigo di spiegazioni e chiarimenti in varie conversazioni telefoniche. Ho avuto il piacere di conoscere, sia pure solo via e-mail e per telefono, anche Andrea Rossi, che è sempre stato estremamente disponibile nonostante il poco tempo libero che il suo lavoro gli lascia, e di ciò lo ringrazio. Sono altresì grato al simpaticissimo Francesco Celani, che non solo è un eccellente fisico sperimentale apprezzato a livello internazionale – tanto da essere vicepresidente della International Society of Condensed Matter Nuclear Science (ISCMNS) – ma è soprattutto una fonte preziosissima di notizie, aneddoti, curiosità. Nelle innumerevoli e piacevoli chiacchierate telefoniche, oltre che di persona a Viareggio, ho potuto chiarire e scambiare opinioni su molti degli argomenti trattati in questo libro.
Un altro aiuto inatteso, per le informazioni riguardanti le reazioni nucleari, mi è stato fornito da Lino Daddi, già professore universitario e grande esperto di fisica dei reattori, dei neutroni e di misure nucleari, il quale si è occupato di fusione fredda e di reazioni nucleari a bassa energia fin dal 1989, firmando dei lavori scientifici anche con Focardi. Desidero poi rivolgere un sincero apprezzamento a Daniele Passerini, per come svolge il suo utilissimo lavoro di blogger specializzato nel seguire le vicende dell’E-Cat, spesso sacrificando ore perfino al sonno; ed anche a Roy Virgilio, per il suo libro Fusione fredda, che è stato per me preziosissimo quando mi sono avvicinato per la prima volta all’argomento. Inoltre, devo senz’altro uno speciale ringraziamento a Claudio Puosi, Vessy Nikolova, Fabiano Pallonetto e alla sua Delta Energie Srl per avermi spinto a intraprendere l’avventura che dal convegno di Viareggio sulla fusione fredda mi ha portato al presente saggio, ed in particolare per avermi indirettamente “costretto” ad approfondire tali tematiche. Infine, anche se questo libro ha richiesto solo alcuni mesi di lavoro, vorrei ugualmente dedicarlo a una persona: il suo nome è Jovy.
L’autore
Mario Menichella, Menichella fisico e divulgatore scientifico, dopo essersi diplomato a pieni voti al Master in Comunicazione della Scienza presso la SISSA di Trieste, ha lavorato a Roma, alla sede centrale dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN), in qualità di addetto stampa. Attualmente si occupa delle varie tecnologie altamente innovative che permetteranno la transizione energetica della nostra società verso la green economy. Ha al suo attivo alcune pubblicazioni scientifiche su riviste internazionali e oltre una decina tra saggi e libri divulgativi, fra cui: Viaggi interstellari (Cuen, 1999), A caccia di E.T. (Avverbi, 2002), Professione scienziato I e II (SciBooks, 2005), Mondi futuri (SciBooks, 2005), Professione divulgatore (SciBooks, 2006).
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