ANNE PERRY I SEGRETI DI HALF MOON STREET (Half Moon Street, 2000) A Carol Ann Lee in segno di stima 1 Lembi sfilacciati ...
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ANNE PERRY I SEGRETI DI HALF MOON STREET (Half Moon Street, 2000) A Carol Ann Lee in segno di stima 1 Lembi sfilacciati di nebbia salivano lentamente in tortuose volute dalla superficie grigio-argentea del fiume, e le prime luci del sole li illuminavano di un tenue luccichio. Sul fiume l'arcata del Lambeth Bridge si innalzava cupa contro un cielo colore di perla. Sia le chiatte come i barconi che scendevano, abbandonandosi alla marea, verso il porto di Londra e i docks, rimanevano ancora invisibili avvolti dalla foschia settembrina. Il sovrintendente Thomas Pitt era fermo sul corroso gradone fradicio di umidità di Horseferry Stairs e osservava la barca a fondo piatto che continuava a urtare dolcemente, a piccoli colpi, contro lo scalino più basso. Adesso era ormeggiata, ma un'ora e mezzo prima, quando l'agente di polizia l'aveva adocchiata, si muoveva trascinata dalla corrente. Non che una barca alla deriva avesse un qualsiasi interesse per il funzionario più alto in grado della stazione di polizia di Bow Street; era piuttosto ciò che c'era dentro, qualcosa di grottesco, vagamente simile a una macabra parodia dell'Ofelia di Millais. L'agente evitò di osservarla, tenendo gli occhi volutamente fissi sulla faccia di Pitt. — Abbiamo pensato che si dovesse farne rapporto a voi, signore. Pitt fissò di nuovo il corpo che giaceva reclino sul fondo della barca, i polsi chiusi nelle manette incatenate alle fiancate di legno, le caviglie divaricate, anche quelle in catene. Il lungo indumento verde che lo copriva sembrava un vestito, ma talmente lacero, attorcigliato e sbilenco che era impossibile distinguerne la forma primitiva. Le ginocchia erano scostate, la testa piegata all'indietro in una grottesca parodia dell'estasi. La posa era femminile, ma il corpo era inequivocabilmente quello di un uomo. Doveva essere stato sui trentacinque anni, aveva i capelli biondi, i lineamenti regolari e i baffi ben curati. — Non capisco perché — si affrettò a rispondere Pitt mentre l'acqua sciabordava con un lento risucchio contro gli scalini sotto di lui. — Questa
non è la zona di Bow Street. L'agente cambiò posizione, impacciato e a disagio. — Lo scandalo, signor Pitt. — Continuava a non rivolgere gli occhi alla barca, e al suo occupante. — Potrebbe diventare una laccenda spiacevole, e molto, signore. Meglio che siate voi a occuparvene fin dal principio. Con estrema cautela, per non scivolare sulla pietra bagnata, Pitt scese un poco più giù. Gli arrivò malinconico, sull'acqua, il suono di una sirena da nebbia. Esaminò di nuovo l'uomo che giaceva sul l'ondo della barca. Dal suo angolo visivo era impossibile vedere come fosse morto. Non c'erano né una ferita apparente, né un'arma, e quindi, se fosse deceduto per un attacco cardiaco o un colpo apoplettico, era chiaro che qualcun altro doveva aver avuto una parie in quello che era successo per lasciare il cadavere in una posizione tanto grottesca. — Immagino che abbiate mandato a chiamare il medico? — domandò Pitt. — Sì, signore. Ormai credo che dovrebbe arrivare da un momento all'altro. — Deglutì, e mosse il piede strusciando lievemente con le scarpe sulla pietra. — Signor Pitt... Signore... — Sì? — Pitt stava sempre fissando la barca a fondo piatto che raschiava con la prua di legno sugli scalini e dondolava un po' per lo sciacquio delle onde provocate dal passaggio di un'altra imbarcazione. — Non è quello il solo motivo, se ho chiamato voi. Nossignore. Credo di sapere chi è lui, ecco perché questa storia sarà molto sgradevole, e tutto il resto. Pitt si sentì filtrare l'umido gelo del fiume fino alle ossa. — Oh. E chi pensate che possa essere, agente? — Mi spiace, signore, ma credo che potrebbe trattarsi di un certo monsieur de Mornay del quale è stata denunciata la scomparsa l'altro ieri... e chissà che sconquasso faranno i francesi se è veramente lui. — I francesi? — fece Pitt circospetto. — Sì, signore. Scomparso dalla loro ambasciata, come dire. — E pensate che possa trattarsi di lui? — Ne ha tutto l'aspetto, signor Pitt. Figura slanciata, capelli chiari, di bell'aspetto, baffetti, altezza un metro e sessantotto circa, e un gentiluomo. Eccentrico, a detta di tutti. Gli piacciono le feste, i travestimenti e il teatro, frequenta quelli ai quali piace definirsi esteti, e via dicendo... Pitt fu salvato da ulteriori commenti da un tonfo di zoccoli e un sordo rumore di ruote sulla strada più sopra, un momento più tardi la figura familiare del medico della polizia, cappello a cilindro un po' di sghimbescio
sulla testa, scese gli scalini con la sua valigetta in mano. Scrutò al di là delle spalle di Pitt il corpo sul tondo della barca e inarcò le sopracciglia. — Un altro dei vostri scandali, Pitt? — disse brusco. — Non v'invidio, se penso che dovrete sbrogliare questo caso. Sapete chi è? — sbottò in un sospiro mentre raggiungeva l'ultimo scalino, fermandosi in equilibrio precario a meno di mezzo metro dall'acqua che sciabordava. — Guarda, guarda! Credevo di sapere quasi tutto, ormai, sulla natura umana, ma giuro che quello che certi uomini fanno per divertirsi va al di là della mia comprensione. — E inginocchiandosi cominciò l'esame del cadavere. Pitt si scoprì a rabbrividire anche se, più che freddo, il tempo era terribilmente umido. Aveva mandato a chiamare il suo assistente, sergente Tellman, ma non era ancora arrivato. — Chi ha scoperto la barca, e a che ora? — domandò al poliziotto. — Sono stato io, signore. È la mia ronda, questa. Potevano essere le cinque e mezzo ma, naturalmente, la barca era qui già da un po', magari, perché al buio nessuno poteva vederla. Anch'io... ecco, diciamo che l'ho sentita urtare contro gli scalini, e sono sceso a vedere. Ci ho puntato sopra la mia lanterna e per poco non mi veniva un colpo! No, io non li capisco proprio i signori, giuro. — È così che lo considerate? — Pitt, a dispetto di se stesso, si scoprì vagamente divertito. Il poliziotto fece una smorfia. — E dove lo trova, un operaio, un vestito stravagante come quello da mettersi? È di velluto. Guardate le sue mani. Con quelle, non ha mai lavorato neanche un giorno. Pitt pensò che le deduzioni del poliziotto erano abbondantemente condite di pregiudizi ma era probabile che avesse ragione e, in ogni caso, rivelava una buona capacità di osservazione. Glielo disse, anche. Poi continuò: — Sarà meglio andare all'ambasciata francese a chiamare qualcuno che venga a vedere se possono identificarlo. — Chi... Io, signore? — domandò il poliziotto, preso alla sprovvista. Pitt gli sorrise. — Sì. Dopotutto siete stato voi tanto attento da notare la somiglianza. Però prima aspettate di sentire quello che ha da dire il medico. Per qualche minuto calò il silenzio. — È stato colpito alla testa con qualcosa di molto duro e di forma arrotondata, come una mazza o un matterello — disse il medico a voce alta e chiara. — E ho molti dubbi che sia stato un infortunio o qualcosa di accidentale. Perché non è stato lui, di sicuro, a legarsi in questo modo. Dio solo sa se si è infilato lui questi indu-
menti oppure se è stato qualcun altro. A giudicare da come sono strappati ci sarebbe da pensare a una colluttazione. È molto difficile fare qualcosa del genere con un cadavere. Pitt se lo aspettava, ma fu un colpo ugualmente. — Farete meglio a vedere con i vostri occhi — gli propose il medico. Pitt salì in modo alquanto maldestro e privo di eleganza sulla barca dal fondo piatto che rollava e, alla luce ormai limpida e chiara del sole che sorgeva, si chinò a esaminare il morto accuratamente, dettaglio per dettaglio. Dava l'impressione di essere sui trentacinque anni, molto curato e pulito, e ben nutrito ma senza adipe in eccesso. Le mani erano morbide ed eleganti. Alla sinistra portava un anello d'oro con il sigillo. Non aveva calli né macchie d'inchiostro ma una sottile cicatrice sul pollice della sinistra come se un coltello o una lama simile fosse sfuggito dalla sua stretta mentre la impugnava. La faccia era priva di espressione, nella morte, e riusciva difficile ricavarne qualcosa del suo carattere. I capelli erano folti e il taglio accurato, da barbiere. Pitt alzò gli occhi. — Siate diplomatico, agente. Limitatevi a dire che abbiamo trovato un cadavere e vorremmo il loro aiuto per identificarlo. E dite che la questione è piuttosto urgente. — Devo riferire che si tratta di un assassinio, signore? — No, a meno che non ci siate costretto; ma non raccontate bugie. E, soprattutto, mi raccomando, non entrate in particolari. Non otterrete sicuramente di vedere l'ambasciatore in persona, ma chiedete di parlare con un addetto diplomatico anziano, non un semplice impiegato. È una questione che va trattata con un po' di delicatezza. — Sì, signore. Ma non pensate che, visto il... l'abbigliamento, e il resto, magari dovrebbe andarci il sergente Tellman? — domandò speranzoso. Pitt conosceva Tellman molto bene. — No, non lo penso affatto — ribatté. — Ma è qui! — Bene. Mandatelo giù. E cercatevi un hansom, una di quelle carrozze a due ruote col cocchiere dietro, per andare all'ambasciata di Francia. Prendete! — E gli lanciò uno scellino per pagarsi la corsa. L'agente lo acchiappò al volo e lo ringraziò prima di ubbidire, visibilmente di malavoglia. La nebbia si stava alzando dal fiume. Qua e là l'acqua scintillava argentea e le sagome scure delle chiatte non apparivano più smussate e confuse ma nitide e terse, cariche di balle di merce in partenza per tutti gli angoli della terra. Più giù lungo il fiume fino alla Isle of Dogs, manovali del porto
e marinai dovevano essere già all'opera a scaricare le imbarcazioni, ammassando la merce, mettendosi al loro timone. I primi mercati a Bishopgate dovevano essere aperti già da parecchie ore. Tellman venne giù dagli scalini, l'espressione resa più decisa dalla mascella quadra, i capelli lisciati indietro, l'espressione già segnata dalla ripugnanza. Pitt riportò la sua attenzione sull'uomo morto e cominciò a esaminare con maggior cura il suo straordinario abbigliamento. L'abito verde era strappato qua e là. Impossibile capire se quegli strappi fossero recenti o no. Il velluto di seta del corpetto era strappato sulle spalle e lungo le cuciture delle braccia. La gonna leggera, stracciata sul davanti. Sparse qua e là c'erano diverse ghirlande di fiori finti. Una di queste gli era stata disposta di sghembo attraverso il petto. Pitt esaminò la manetta che imprigionava il polso destro dell'uomo e la spostò leggermente. La pelle non era ammaccata o graffiata. Esaminò l'altro polso, poi le caviglie. Anche quelle apparivano intatte. — Prima lo hanno ucciso? — domandò. — È probabile, oppure lui stesso se le è lasciate mettere volontariamente — replicò il medico. — E le vesti? — Non ne ho la minima idea. Ma se è stato lui a infilarsele, lo ha fatto con somma malagrazia. — Da quanto tempo è morto, a vostro giudizio? — Non ne ho idea, oltre a quello che probabilmente siete in grado di dedurre per conto vostro. A giudicare dal rigor, a un'ora imprecisata della notte scorsa. Non può aver galleggiato qua e là sul fiume molto a lungo, conciato com'è. Perfino il barcaiolo di una chiatta lo avrebbe trovato un po' strano. Aveva ragione, Pitt aveva già concluso per conto proprio che doveva essere successo dopo il calar della notte. — Nessuna traccia di lotta? — chiese. — Niente che io riesca a vedere, almeno a un esame superficiale. — Il medico si raddrizzò e risalì gli scalini. — Niente sulle mani, ma penso che lo abbiate notato anche voi. Spiacente, Pitt. Farò un esame più approfondito, naturalmente, ma a quanto mi pare di capire finora, siete di fronte a una brutta situazione che io farò diventare perfino peggiore, suppongo. Vi auguro il buongiorno. — E senza aspettare risposta, s'inerpicò su per gli scalini, fino alla strada lungo il fiume dove una piccola folla si era raduna-
ta e stava occhieggiando incuriosita verso il basso. Tellman squadrò la barca a fondo piatto con la faccia aggrottata che rivelava sdegno, e il rifiuto di capire. Si riaggiustò la giacca, stringendosela un poco di più addosso. — Francese, vero? — domandò in tono cupo, lasciando capire che quello bastava a spiegare ogni cosa. — È possibile — rispose Pitt. — Povero diavolo. Ma chiunque sia stato a fargli quello che gli ha fatto, potrebbe essere inglese né più né meno di come lo siete voi. Tellman strinse le labbra e voltò le spalle riportando lo sguardo sul fiume, a monte, dove la luce dell'alba faceva lampeggiare barbagli argentei sui vasti tratti d'acqua dai quali la nebbia si era diradata. Stava per sorgere una bellissima giornata. — Farò meglio ad andare in cerca della polizia fluviale. Così riuscirò a capire quanta strada può aver fatto andando così, alla deriva, da quando lo hanno messo nella barca. — Non so quando è successo — replicò Pitt. — Qui c'è pochissimo sangue. E una ferita alla testa come quella deve aver sanguinato in abbondanza. A meno che sulla barca non ci fosse una vela o una coperta di qualche genere, che poi è stata rimossa: oppure che sia stato ammazzato in qualche altro posto e soltanto in un secondo tempo sistemato qui. — Vestito a questo modo? — fece Tellman incredulo. — Magari qualche festa un po' particolare...? Qualcosa... che è andato oltre le intenzioni, qualcosa che è sfuggito al controllo, e hanno dovuto liberarsi di lui? Che Dio ci aiuti, ma sarà una brutta faccenda, questa! — Lo è già. Ma sarebbe una buona idea mettersi in contatto, in ogni caso, con la polizia fluviale e farsi spiegare un po' quanto può essere stato lungo il percorso di una barca alla deriva... se è finito in questa barca verso mezzanotte oppure in un arco di tempo di un paio d'ore, prima o dopo. — Sì, signore — disse Tellman con alacrità. — Cercherò di sapere tutto quanto è possibile, — E con l'aria di chi sa cosa deve fare, se ne andò risalendo gli scalini due alla volta. Pitt riportò la sua attenzione sulla barca e sul suo carico. Esaminò più attentamente l'imbarcazione in sé e per sé. Galleggiava piuttosto bassa nell'acqua e fino a quel momento lui non se ne era chiesto il motivo. Adesso, maneggiandola e toccandone il fasciame di legno, si rese conto che era vecchia e che molte delle tavole delle fiancate esterne erano marce e impregnate d'acqua. Evidentemente non si trattava di una di quelle imbarcazioni da diporto adoperate abitualmente per le gite sul fiume. Doveva essere rimasta attraccata, in stato di abbandono, in qualche posto, e per un
tempo considerevole. Pitt esaminò di nuovo il corpo con i polsi in manette e le caviglie incatenate, e la sua posizione grottesca. Un sentimento intenso, appassionato e travolgente, doveva aver dominato il suo assassino, amore oppure odio, terrore oppure una necessità pressante: al punto che il modo in cui il cadavere era stato disposto doveva aver avuto una parte essenziale nel delitto. Doveva essere stato un rischio terribile quello corso aspettando il tempo necessario a togliere gli indumenti che l'uomo morto indossava, di qualsiasi tipo fossero, per rivestirlo con quell'abito fluente di seta e velluto, lacero e strappato, per incatenarlo sul fondo piatto della barca in questa posizione oscena, e poi spingerla nella corrente, perché andasse alla deriva, e, nel farlo, infradiciandosi da capo a piedi. Perché qualcuno aveva voluto prendersi un simile fastidio? La risposta a questa domanda poteva essere la risposta a tutto. C'era da pensare che l'assassino avesse portato con sé la veste verde e le manette e le catene, oltre alle ghirlande di fiori finti sparse qua e là? Di sicuro non aveva portato la barca. Perché sarebbe stato impossibile muoverla per un lungo tratto sul fiume. E questo significava che non doveva essere scesa fin lì, lungo la corrente, se non da poche miglia a monte. Le sue riflessioni furono interrotte dal rumore di una carrozza che arrivava sull'argine. Si spostò sullo scalino più basso, che adesso era viscido e ormai completamente fuori dall'acqua, perché la marea si stava ritirando. Alzò gli occhi e vide un uomo di un'eleganza impeccabile e dall'aria estremamente ansiosa, le scarpe lucidissime che luccicavano al primo sole, la testa china, la faccia molto pallida. — Buongiorno, signore — disse Pitt a voce bassa risalendo gli scalini verso di lui. — Buongiorno — rispose l'uomo con una parlata praticamente priva di accento straniero. — Gaston Meissonier — si presentò, tenendo gli occhi deliberatamente fissi sulla faccia di Pitt ed evitando con cura di sfiorare anche solo con uno sguardo la figura immobile in fondo alla barca. — Sovrintendente Pitt. Mi duole di avervi costretto a uscire tanto di buon'ora, monsieur Meissonier — replicò Pitt — ma la vostra ambasciata ha denunciato la scomparsa di uno dei diplomatici che vi lavorano e disgraziatamente noi abbiamo trovato il corpo di un uomo che corrisponde alla descrizione da voi fornita. Meissonier si volse a fissare la barca. La pelle si contrasse sulla sua faccia, le sue labbra si strinsero lievemente. Per qualche momento non parlò. Pitt rimase ad aspettare e, spostandosi di lato, fece in modo che Meisso-
nier potesse scendere gli scalini con circospezione fino a ritrovarsi più o meno a mezzo metro dal pelo dell'acqua. L'uomo si arrestò e si mise a scrutare il cadavere. — Non è Bonnard — disse concitatamente. — Temo di non conoscere quest'uomo. Non posso aiutarvi. Mi spiace. Pitt studiò la sua faccia e vi lesse non soltanto il disgusto ma anche una certa tensione che continuava a sussistere anche dopo il rifiuto di riconoscere il morto. Magari non mentiva, ma sicuramente non diceva tutta la verità. — Ne siete sicuro? — insistette. Meissonier si girò di scatto verso di lui. — Sì, ne sono sicurissimo. Quest'uomo ha una certa somiglianza con Bonnard, ma non è lui. Non ero mai stato realmente convinto che lo fosse, ma volevo averne la più completa certezza. — Respirò a fondo. — Mi duole che siate stato informato erroneamente. Bonnard non è scomparso, è in vacanza. Un impiegato subalterno ultrazelante non ha letto le sue istruzioni fino in fondo e ha tratto la conclusione sbagliata. Devo scoprire chi è, e rimproverarlo per aver dato un falso allarme anche perché, a quanto ci risulta, ha fatto perdere del tempo anche a voi. — Dopo un cortese inchino, gli voltò le spalle per risalire gli scalini. — E dov'è andato monsieur Bonnard in vacanza, signore? — chiese Pitt, alzando un po' la voce. Meissonier si fermò. — Non ne ho la minima idea. Non richiediamo informazioni del genere ai diplomatici di livello più basso. — Però siete venuto a esaminare il cadavere — insistette Pitt. Meissonier alzò lievemente le sopracciglia, non abbastanza per mostrare tutto il suo sarcasmo, ma quanto era sufficiente a indicare come la domanda non fosse necessaria. — Volevo assicurarmi che non gli fosse successa qualche disgrazia mentre andava in vacanza. Abbastanza improbabile, ma non impossibile. E poi, come è naturale, volevo mostrarmi cortese con tutti i funzionali del governo di Sua Maestà con il quale abbiamo le relazioni più cordiali, e di cui siamo ospiti. — Era un modo gentile ma inequivocabile per ricordare la sua posizione diplomatica. A Pitt non rimaneva altro che arrendersi. — Vi ringrazio, monsieur Meissonier. È stato estremamente cortese da parte vostra venire, e per di più a quest'ora. Sono lieto che non si tratti del vostro compatriota. — Era la pura verità. L'ultima cosa al mondo che Pitt desiderasse era uno scandalo intemazionale. Meissonier abbozzò un altro inchino, poi risalì il resto degli scalini e si dileguò. Dopo un momento Pitt sentì la sua carrozza che
si allontanava. Arrivò il furgone mortuario, e Pitt rimase ad assistere alla scena mentre le manette venivano rimosse e il corpo sollevato fin sull'argine e portato via perché il medico legale lo esaminasse in modo più particolareggiato all'obitorio. Tellman ritornò con la polizia fluviale che requisì la barca spostandola al sicuro, in un posto dove l'acqua fosse abbastanza bassa per evitare che colasse a picco. — Era il francese? — chiese a Pitt, quando si ritrovarono soli sull'argine. Adesso il traffico, che passava dietro a loro in entrambe le direzioni, era pesante. Si era levato un po' di vento che pollava con sé odore di salmastro e di fango e di pesce; e per quanto la giornata fosse luminosa e piena di sole, soffiava frizzante. — Lui sostiene di no — rispose Pitt. Era affamato e spasimava per una bella tazza di tè bollente. Tellman giugni: — Be', era logico, no? — borbottò con aria tetra. — Se dice una bugia, come possiamo provarlo? Cioè, se è francese e ha l'intera ambasciata a fargli da copertura, cosa ci possiamo fare noi? Sarà già abbastanza duro scoprire chi è stato, senza sapere neanche la sua vera identità! — Be', o si tratta di Bonnard oppure è qualcun altro — ribatté Pitt secco secco. — Sarà meglio partire dal presupposto che è qualcun altro e cominciare le nostre ricerche. Quella barca mezzo sfasciata, nello stato in cui è, non può essere scesa lungo il fiume per più di un paio di miglia... — È quello che ha detto anche la polizia fluviale — confermò Tellman. — Secondo i loro calcoli, dovrebbe essere partita da qualche posto della zona di Chelsea. — Arricciò il naso. — Io continuo a pensare che sia il francese e che loro non vogliano dirlo. Ma Pitt non aveva voglia di discutere con Tellman, pieno di pregiudizi com'era. — Farete meglio ad andare con la polizia fluviale e cercare di scoprire il genere di posti in cui quella barca dal fondo largo e piatto potrebbe essere stata attraccata in un raggio di un paio di miglia dalla zona di Chelsea. E vedete un po' se per un colpo di fortuna qualcuno non l'abbia notata mentre andava alla deriva... — Al buio? — esclamò Tellman indignato. — Con quella nebbia? E, comunque, le chiatte che sono passate a monte di questo posto prima dell'alba ormai saranno ben più giù del Pool. — Come se non lo sapessi! — esclamò Pitt con asprezza. — Provate lungo la riva. Magari qualcuno sa dove la tengono attraccata abitualmente. È chiaro che doveva essere in acqua già da un bel po' di tempo.
— Sì, signore. Dove posso trovarvi? — All'obitorio. — Il medico legale non sarà ancora pronto. C'è appena andato. — Torno a casa a far colazione, prima. — Oh. Pitt sorrise. — Potete prendervi una tazza di tè a quel chiosco là in fondo. Tellman gli allungò un'occhiata in tralice e si avviò da quella parte, impettito, la schiena ben eretta. Pitt aprì la porta padronale ed entrò in una casa silenziosa. Ormai era pieno giorno quando si tolse la giacca appendendola in anticamera, poi si liberò delle scarpe, lasciandole indietro, e procedette scalzo verso la cucina. Pensò che c'era qualcosa di particolarmente desolato in una cucina senza una donna che vi si muovesse affaccendata. La stufa era quasi spenta. La signora Brady arrivava ogni mattina e sbrigava i lavori più pesanti, il bucato e le pulizie di casa, quelle ordinarie. Era un cuor d'oro e molto spesso gli portava anche un pasticcio o un bel pezzo di roast-beef, ma non poteva certo sostituire la sua famiglia assente. Charlotte era stata invitata ad andare a Parigi con sua sorella Emily e il marito di Emily, Jack. Doveva essere una vacanza di sole tre settimane e a Pitt era sembrato che fosse una meschinità da parte sua proibirle di partire oppure mostrarsi tanto malcontento da rovinarle tutto il piacere. Gracie, la domestica che ormai stava con loro da sette anni e mezzo, in effetti, da quando ne aveva tredici, era praticamente considerata da Pitt come una persona di famiglia. Gracie aveva portato al mare i bambini, Jemina e Daniel, per una vacanza di una quindicina di giorni. Tutti e tre gli erano sembrati letteralmente in estasi per l'eccitazione quando avevano preparato con entusiasmo le valigie e chiacchierato senza mai stancarsi di tutto quello che intendevano vedere e fare. Non erano mai stati sulla costa, prima, e la consideravano un'avventura spettacolosa. Così Pitt era stato lasciato a casa con la sola compagnia dei due gatti, Archie e Angus, in quel momento raggomitolati insieme nella cesta della biancheria dove la signora Brady aveva lasciato le lenzuola di bucato. Pitt era cresciuto in una vasta proprietà di campagna e, per un certo tempo, sua madre aveva lavorato nelle cucine. Per quanto fosse perfettamente capace di badare a se stesso, sentiva la mancanza delle comodità e di tutte le piccole cose che Charlotte faceva per lui; ma questo non era niente, se lo
confrontava con il senso di solitudine. Gli mancavano anche il suono delle voci dei bambini, le risatine, il rumore dei loro passi che correvano, le domande incessanti e le continue richieste della sua attenzione o approvazione. La pace non era più tale, ridotta al puro e semplice silenzio. Ci vollero più di dieci minuti perché il fuoco attizzato nella stufa cominciasse a scoppiettare e altri dieci ancora prima che l'acqua si mettesse a bollire nel bricco e lui riuscisse a prepararsi la prima colazione, composta di tè abbondante e pane tostato. Arrivò la prima consegna della posta portandogli solamente il conto del macellaio. Sotto sotto, aveva avuto la speranza che ci fosse una lettera di Charlotte. Forse era troppo presto per aspettarsela, ma si meravigliò ugualmente di rimanere tanto deluso. Per fortuna quella sera doveva andare a teatro con sua suocera, Caroline Fielding. Dopo la morte di Edward Ellison, il padre di Charlotte, lasciato passare un decoroso periodo di lutto, Caroline aveva fatto la conoscenza e si era innamorata di un attore considerevolmente più giovane di lei. Aveva scandalizzato la madre di Edward con queste nuove nozze mortificandola con la sua grande, e ben evidente, felicità. La vecchia signora Ellison si era rifiutata nel modo più totale di vivere sotto lo stesso tetto con Caroline e il suo nuovo marito. Come risultato, era stata costretta a trasferirsi in casa di Emily, il cui marito Jack Radley era un membro del Parlamento ed enormemente più rispettabile di un attore. Comunque adesso, poiché Emily e Jack si trovavano a Parigi e avevano approfittato di quell'assenza per far rifare completamente l'impianto idraulico nella loro casa, la nonna era tornata a stare di nuovo con Caroline. Pitt nutriva l'enorme speranza che non si sentisse abbastanza bene per accompagnarli a teatro quella sera. Aveva ogni valido motivo di essere ottimista. Il genere di opere teatrali alle quali Caroline assisteva negli ultimi tempi non era quello che la vecchia signora Ellison considerava un intrattenimento conveniente e opportuno, e quindi non si sarebbe mai permessa di farsi vedere ad assistervi anche lei. Nella tarda mattinata Pitt si ritrovò all'obitorio per ascoltare un sommario di quel poco di utile che il medico legale era riuscito a scoprire. — Esattamente come avevo detto. Colpito alla testa da qualcosa di pesante e di forma rotonda, più grosso di un attizzatoio, con una superlicie più regolare di quella del ramo di un albero. — Perché non pensare a un remo oppure a una pertica da barcaiolo? — domandò Pitt.
— Possibile. — Il medico ci rifletté per un momento. — Possibilissimo. Ne avete trovato uno? — Ancora non sappiamo dove è stato ucciso — protestò Pitt. — Naturalmente potrebbe essere a galleggiare sul fiume. — Il medico scrollò la testa. — Probabilmente non si troverà mai oppure, doveste trovarlo, sarà già stato ripulito da tutto il sangue, e da molto tempo. Potete fare tutte le supposizioni che volete ma non proverete niente. — Quando è morto? — Ieri sera tardi, ma più preciso di così non posso essere. — Si strinse nelle spalle esili. — Al momento in cui l'ho visto io era morto sicuramente già da cinque o sei ore. Certo che quando troverete chi è stato, se ci riuscite, può darsi che possiate ridurre, e di parecchio, questo arco di tempo. — Cosa sapete d'altro sul suo conto? — Fra i trenta e i trentacinque anni, direi. — Il medico adesso rifletteva attentamente. — Sembrava in ottima salute. Molto pulito. Niente calli sulle mani, niente sudiciume. Nessuna parte del corpo esposta al sole. — Arricciò le labbra. — Non svolgeva di sicuro un lavoro manuale. O aveva dei soldi, di suo, oppure faceva qualcosa che richiedesse il cervello piuttosto che le mani. Potrebbe anche essere stato un artista di qualche genere, o perfino un attore. — Scoccò uno sguardo in tralice a Pitt. — E guardate che non lo sto dicendo per il modo in cui quel poveraccio è stato ritrovato. — Sospirò. — Ridicolo! — Potrebbe essere stato lui stesso a mettersi in quella posizione, e qualcuno lo ha colpito lì, dove era? — domandò Pitt, benché sapesse già la risposta. — No — il medico rispose in tono deciso. — È stato colpito alla nuca. Non può essere successo nella barca a meno che lui non fosse seduto, e non lo era... non avrebbe potuto esserlo. Quelle manette sono troppo corte. Le caviglie troppo divaricate. Impossibile restare seduto a quel modo. Se non mi credete, provate un po' voi! In ogni caso, non c'è abbastanza sangue. — Siete sicuro che non avesse avuto addosso quel vestito quando è stato ucciso? — Pitt insistette. — Sì, sicurissimo. — Come fate a dirlo? — Perché non ci sono lividi e invece li noteremmo se fosse stato trattenuto o costretto a farlo a viva forza — spiegò pazientemente il medico. — Ma c'è qualche impercettibile graffiatura, come se qualcuno fosse rimasto
impigliato con un'unghia mentre tentava di infilargli a forza il vestito sulla testa e di farglielo scivolare sul corpo. È maledettamente difficile vestire un cadavere, specialmente se uno cerca di farlo da solo. — È stata una persona sola? — domandò Pitt a mezza voce. Il medico legale inspirò un sibilo, a denti stretti. — Avete ragione — ammise. — Erano supposizioni, le mie. Ma non riesco semplicemente a immaginare che una follia di questa sorta... possa coinvolgere più persone. Secondo me, è stato un uomo a fare tutto questo da solo, spinto da qualcosa di perverso, una violenta passione come l'amore o l'odio, e non soltanto, sempre da solo, ha colpito quest'uomo, uccidendolo, ma poi ha seguito anche l'impulso di vestirlo da donna e di mandarlo alla deriva sul fiume. — Si voltò di scatto a guardare Pitt con occhi penetranti. — Non riesco a pensare a nessun motivo che spinga una persona equilibrata e sana di mente a fare qualcosa del genere. E voi? — Getta un velo sulla sua identità... — disse Pitt meditabondo. — Panzane! — sbottò il medico legale. — Per quello, sarebbe bastato denudarlo completamente e avvolgerlo in una coperta. In ogni caso non era necessario abbigliarlo a quel modo... come la signora di Shalott... o magari anche Ofelia! Pitt fece un sorriso amaro. — Io sto cercando qualcosa di umano. Suppongo che non siate in grado di dirmi se era francese, vero? Il medico legale lo guardò con tanto d'occhi. — No... non posso! Cosa vi aspettate... che avesse stampigliato un MADE IN FRANCE sulle piante dei piedi? Pitt si cacciò le mani in tasca. Si sentiva un po' imbarazzato per quella domanda. — Segni di viaggi, malattie, interventi chirurgici del passato... non so. Il medico scrollò la testa. — Niente di utile. Denti in ottimo stato, una graffiatura a un dito; semplicemente un uomo qualsiasi, che indossa un vestito verde ed è incatenato. Spiacente. Pitt, tornato padrone di sé, gli lanciò un lungo sguardo, poi lo ringraziò e uscì. Le prime ore del pomeriggio trovarono Pitt all'ambasciata francese, dopo aver mangiato in un pub un panino imbottito innaffiato da una pinta di sidro. Non voleva vedere di nuovo Meissonier. Gli avrebbe soltanto ripetuto quello che aveva già detto a Horseferry Stairs, ma Pitt non era convinto che l'uomo nella barca non fosse il diplomatico Bonnard. Meissonier si era
mostrato enormemente inquieto, e a disagio. Una volta esaminato il corpo più da vicino, la sua faccia aveva rivelato il sollievo, però la sua ansia non era totalmente scomparsa. E Pitt, adesso, come poteva sottoporlo a un nuovo interrogatorio? Avrebbe dato l'impressione di considerare Meissonier un bugiardo e questo, tenendo conto che era un diplomatico straniero, sarebbe bastato a provocare uno sgradevole incidente di cui Pitt avrebbe dovuto accollarsi, giustamente, la colpa. Una soluzione c'era, ed era che bisognava trovare qualche altro pretesto per quella visita. Pitt adesso era già davanti alla porta. Doveva bussare o continuare per la sua strada. Bussò. La porta gli venne aperta da un domestico in impeccabile livrea. — Il signore desidera? — Buongiorno — si affrettò a rispondere Pitt. E continuò a parlare tirando fuori un biglietto da visita e consegnandoglielo. — Ci era stata denunciata la scomparsa di uno dei vostri diplomatici, credo erroneamente, adesso, secondo monsieur Meissonier. A ogni modo, prima di chiudere il caso e correggere le nostre registrazioni alla polizia, vorrei parlare con la persona che ha fatto la denuncia originaria. Farebbe migliore impressione se fosse questa stessa persona anche a ritirarla. Tutto più chiaro e pulito... — Davvero? E chi dovrebbe essere, signore? — L'espressione del domestico non era minimamente cambiata. — Non lo so. — Era una scusa che aveva inventato lì per lì. — Il signore che risulterebbe scomparso è monsieur Bonnard. Immagino che sia stato un suo collega d'ufficio, oppure un suo amico. — Secondo me, dovrebbe trattarsi di monsieur Villeroche, signore. Se volete accomodarvi, vado a domandare se può ricevervi. Il domestico ritornò nel giro di pochi minuti. — Monsieur Villeroche vi riceverà fra un quarto d'ora, signore. Adesso è impegnato. — Non aggiunse altro e lasciò che fosse Pitt a decidere se voleva aspettare. Invece risultò che monsieur Villeroche doveva aver sbrigato i suoi affari con quel visitatore prima del previsto perché venne addirittura lui stesso in anticamera, in cerca di Pitt. Era un giovanotto bruno e di bell'aspetto, vestito con somma eleganza ma, al momento, visibilmente inquieto e turbato. Si guardò in giro prima di accostarsi a Pitt. — L'ispettore Pitt? Bene. Ho una piccola commissione da sbrigare. Forse non vi dispiacerebbe fare quattro passi con me? Non so come ringraziarvi. — Non diede a Pitt il tempo di rifiutare. Non degnò di uno sguardo il domestico, e avviandosi alla porta, obbligò, praticamente, Pitt a seguirlo. Anzi, Pitt fu costretto ad allungare il passo per non rimanere indietro fino a quando non si trovarono
ad avere svoltato l'angolo della strada. E qui Villeroche si fermò bruscamente. — Dovete... dovete scusarmi. — Allargò le mani come per chiedere perdono. — Non volevo parlare dove potevano sentirmi. La questione è... delicata. Non voglio mettere nessuno in imbarazzo ma sono preoccupato... — S'interruppe di nuovo come se fosse incerto. Pitt non aveva idea se fosse al corrente del cadavere scoperto a Horseferry Stairs benché i giornali, nell'edizione del primo pomeriggio, ne avessero già parlato. Ma Villeroche evidentemente adesso non aveva più pazienza neanche con se stesso. — Devo scusarmi, monsieur. Sono stato io a denunciare alla vostra ottima polizia che il mio amico e collega Henri Bonnard... ecco... come dire... non è dove ci aspetteremmo di trovarlo. Né in ufficio e neppure nel suo appartamento. Sono parecchi giorni che nessuno dei suoi amici lo ha visto, e non si è presentato ad appuntamenti di affari come anche a riunioni mondane dove era atteso. — Scosse il capo. — E questo non è assolutamente da lui! Non fa di queste cose. Ho paura che gli sia successo qualcosa. — E così avete denunciato la sua scomparsa — concluse Pitt. — Monsieur Meissonier ci ha detto che era in vacanza. È possibile che sia partito senza avere la cortesia di informarvi? — È possibile, certamente — confermò Villeroche, senza togliere gli occhi dalla faccia di Pitt. — Però non sarebbe mai mancato ai suoi doveri. È un uomo ambizioso che tiene in gran conto la carriera, e se non altro... se non altro non la metterebbe a rischio per una questione da poco. Lui potrebbe... ehm... — Evidentemente non sapeva come cercare di spiegarsi senza dire più di quanto intendesse... — Che tipo di uomo è? — domandò Pitt. — Quali sono il suo aspetto, le sue abitudini, i suoi passatempi, e dove abita? Quali sono gli eventi mondani ai quali non si è fatto vedere? — Intanto, mentalmente, rivedeva l'uomo sul fondo di quella barca con l'incredibile vestito di velluto verde addosso. — Gli piace il teatro? Era chiaro che Villeroche si sentiva sempre più a disagio. — Sì, gli piace... gli piace divertirsi. E forse non sempre in un modo che Sua Eccellenza l'ambasciatore approverebbe. Non che lui sia... Pitt decise di venirgli in aiuto. — Avete sentito che stamattina, a Horseferry Stairs, abbiamo trovato il corpo di un uomo in una barca sul fiume? Corrisponde alla descrizione di Henri Bonnard. Monsieur Meissonier è stato tanto cortese da venire a dargli un'occhiata ma ha detto che non era lui. Ne sembrava sicurissimo, però ha anche dichiarato che monsieur Bonnard
era in vacanza. Villeroche sembrava al colmo della desolazione. — Non lo avevo sentito. Sono dolentissimo. Mi auguro... spero con tutto il cuore che non sia Henri, ma sono altrettanto sicuro che lui non è in vacanza. — Continuava a tenere gli occhi incollati addosso a Pitt. — Aveva un invito per assistere alla rappresentazione di una commedia di Oscar Wilde e poi a cenare, dopo teatro, sempre con monsieur Wilde e i suoi amici. Non ci è andato. Ecco una cosa che non avrebbe mai fatto senza profondersi nelle più umili scuse e fornire spiegazioni tali da soddisfare non solo un commediografo, ma persino il più severo dei magistrati! — Non volete venire all'obitorio a vedere se quest'uomo è Bonnard in modo da togliervi ogni dubbio e mettervi il cuore in pace? — Pitt gli propose. — Io... dite che è necessario? — Per me, no. Monsieur Meissonier ha detto che Bonnard non è scomparso. E io devo accettarlo. Quindi non può essere lui. — Certamente. Vengo. Quanto tempo ci vorrà? — Se prendiamo un hansom possiamo andare e tornare in meno di un'ora. — Molto bene. Vediamo di sbrigarci. Livido e con un'aria profondamente infelice, Villeroche fissò a occhi sbarrati la faccia dell'uomo morto e disse che non si trattava di Henri Bonnard. — Gli assomiglia moltissimo. — Tossì e si portò il fazzoletto alla faccia. — Ma io non conosco quest'uomo. Sono dolente di avervi fatto perdere tempo. Siete stato cortesissimo. Ma vi prego di non menzionare in nessuna circostanza a monsieur Meissonier, o a chiunque altro, il fatto che sono venuto qui. — Girò sui tacchi e, quasi correndo, uscì dall'obitorio inerpicandosi di nuovo a bordo dell'hansom. Pitt con un balzo lo raggiunse per non rischiare di essere lasciato a terra. — Dove abita? — domandò lasciandosi cadere bruscamente sul sedile mentre la carrozza partiva veloce. — Ha un alloggio in Portman Square — replicò Villeroche. — Ma lì non c'è... — Posso avere un indirizzo più preciso? — insistette Pitt. — E i nomi di un paio di altri amici o colleghi di lavoro che potrebbero saperne di più? — Al secondo piano del numero quattordici. E suppongo che potreste domandare a Charles Renaud oppure a Jean-Claud Aubusson. Vi darò i lo-
ro indirizzi. Loro... loro non lavorano all'ambasciata. E naturalmente ci sono anche gli amici inglesi. George Strickland, e il signor O'Halloran. — Si frugò in tasca ma senza trovare quel che cercava. Pitt, abitualmente, portava con sé cose di ogni genere; adesso tirò fuori uno spago, un temperino, ceralacca, una matita, tre scellini e sette pence in moneta, due francobolli francesi che aveva messo da parte per Daniel, la fattura per un paio di calzini, un appunto per ricordarsi di portare le scarpe a riparare e di comprare un po' di burro, e un bloc-notes. Porse carta e matita a Villeroche e ricacciò il resto dove l'aveva trovato. Villeroche gli scrisse i nomi e gli indirizzi e, quando arrivarono all'angolo più vicino all'ambasciata, fece fermare la carrozza, salutò e, attraversata di corsa la strada, scomparve su per i gradini. Pitt andò a far visita a tutte le persone che Villeroche aveva nominato. Ne trovò due a casa, e anche disposte a parlargli. — Ah, ma è un uomo molto simpatico — disse O'Halloran con un sorriso. — Però non lo vedo da una settimana e anche più, ed è proprio un peccato. Lo aspettavo al ricevimento a casa Wylie la sera di sabato scorso e sarei stato pronto a scommettere la camicia che sarebbe venuto a teatro il lunedì. C'era Wilde in persona e, poi, ce la siamo spassata. Abbiamo fatto le ore piccole, vi dico. — Ma Henri Bonnard non c'era? — Pitt insistette. — Non c'era, e lo so di sicuro — rispose O'Halloran senza un'ombra di dubbio. Scrutò meglio Pitt socchiudendo gli occhi di un bell'azzurro vivo. — Siete della polizia, avete detto? È successo qualcosa? Perché mi chiedete di Bonnard? — Perché almeno uno degli altri suoi amici è convinto che sia scomparso — replicò Pitt. — Stamattina è stato trovato un cadavere nel Tamigi, a Horseferry Stairs. È sorto il dubbio che potesse essere lui, ma due funzionari dell'ambasciata francese hanno detto di no. — Dio sia ringraziato! — esclamò O'Halloran con calore. — Non penserete che il responsabile sia Bonnard, vero? Non riuscirei a immaginarlo. È il classico tipo innocuo... proprio così! Magari i suoi gusti sono un po' fuori del comune e pensa solo a divertirsi, ma non c'è cattiveria in lui, nel modo più assoluto. — Non abbiamo mai avuto questo sospetto — lo rassicurò Pitt e, dopo averlo ringraziato, se ne andò. L'altro conoscente disposto a riceverlo fu Charles Renaud. — A dir la verità ero quasi persuaso che fosse andato a Parigi — rispose con un certo
stupore. — Mi sembra di ricordare di avergli sentito dire qualcosa a proposito del bagaglio da preparare, e deve anche aver menzionato l'ora in cui partiva il treno per Dover. Mi spiace, ma non era qualcosa che mi interessasse particolarmente. Tellman andò di buon grado a parlare con la polizia fluviale non tanto perché provasse una simpatia particolare nei loro confronti, ma perché era infinitamente preferibile far domande su maree e orari piuttosto che dover strappare verità imbarazzanti a stranieri protetti dall'immunità diplomatica. Cosa avesse fatto l'uomo trovalo in quella barca per provocare il proprio assassinio andava al di là delle capacità, o anche della voglia, di Tellman, perfino di tentare d'indovinarlo. Aveva visto molto di quello che la vita presentava di tragico e sordido, era cresciuto nella povertà più estrema e conosceva il bisogno o la perversione che spingevano al delitto, ma c'erano cose che i cosiddetti gentiluomini facevano, specialmente quelli che avevano qualche connessione con il teatro, e che nessuna persona con un minimo di decenza avrebbe mai sospettato o, ancor meno, voluto trovarsi sotto gli occhi. Fra questi, c'erano gli uomini che portavano vesti di velluto verde. Tellman era stato allevato nel convincimento che ci fossero due tipi di donne: quelle brave e buone che non manifestavano le loro passioni e probabilmente non le provavano neanche; e quelle che le avevano, e le manifestavano pubblicamente e in modo imbarazzante. Un uomo che si fosse abbigliato come le donne di questo secondo genere andava al di là della sua comprensione. Pensare alle donne, e all'amore, gli fece venire in mente Gracie. Senza volerlo, ecco apparirgli davanti agli occhi della mente il suo piccolo viso luminoso, la curva delle spalle, la rapidità dei gesti. Non avrebbe mai creduto che donne simili potessero piacergli. Gracie era tutto spirito e cervello, lingua affilata, coraggio e intelligenza. Non immaginava quale fosse l'opinione di Gracie sul suo conto. Seduto sull'omnibus che correva lungo l'argine del fiume, ricordò con uno strano e penoso senso di solitudine il modo in cui i suoi occhi, una volta, si erano illuminati parlando di un certo domestico irlandese. Non volle dare un nome alla pena che sentiva. Era qualcosa che preferiva non riconoscere. Meglio concentrarsi su quello che doveva domandare alla polizia fluviale a proposito delle maree e del posto dal quale la barca doveva essere partita per finire a Horseferry Stairs, all'alba. Andò a riferire a Pitt quanto aveva scoperto nel tardo pomeriggio a casa
sua, in Keppel Street. Era calda e pulita, ma sembrava abbandonata senza le donne in cucina, o indaffarate al piano di sopra. Sedette al tavolo di cucina di fronte a Pitt, sorseggiando una tazza di tè e provando una strana sensazione di vuoto. — Allora? — gli domandò Pitt, incitandolo a parlare. — Non sono stati di grande aiuto, a dir la verità — rispose Tellman. — Al London Bridge c'era acqua bassa alle cinque e tre minuti, ma, man mano che si risale il fiume, l'ora diventa sempre più tarda. Come dire che sarebbe stata così alle sei e un quarto, a Battersea. — E l'alta marea? — domandò Pitt. — Alle undici e un quarto ieri sera al London Bridge. — E un'ora e dieci minuti più tardi a Battersea... — No... ecco il punto, solamente venti minuti dopo, quindi più o meno alle undici e trentacinque. — E il flusso, a che cadenza va? Quanta strada avrebbe potuto fare una barca dal fondo largo e piatto andando alla deriva? — Questo è l'altro punto — spiegò Tellman. — La marea, a rifluire, ci mette più o meno sei ore e tre quarti. A salire, invece, impiega soltanto cinque ore e un quarto. Hanno calcolato che una barca come quella potrebbe fare almeno due miglia e mezzo all'ora ma, d'altra parte, quando la marea è bassa ci sono banchi di sabbia e secche melmose dove avrebbe potuto arenarsi... — Cosa che non è successa — gli fece rilevare Pitt. — In questo caso, non avrebbe potuto riprendere la sua corsa fino a che la marea non si l'osse alzata di nuovo. — Ma avrebbe anche potuto essere rimessa a galla e fatta ripartire dal movimento ondoso provocato da qualche chiatta o barcone di passaggio al buio, oppure da qualsiasi altro natante — continuò Tellman. — O rimanere impigliata contro i pilastri di un ponte e poi trascinata di nuovo via, nella conente, se qualcosa ci fosse andato a sbattere contro... Ci sono possibilità a dozzine. Tutto quello che possono dire con sicurezza è che ha ridisceso il fiume perché nessuno tirerebbe in su quel peso extra controcorrente, e non c'è nessun posto dove qualcuno avrebbe potuto tenere ormeggiata un'imbarcazione da diporto privata, come quella, da Horseferry Stairs in giù. Lì ci sono solamente case di città, docks e simili. Pitt rimase in silenzio per alcuni minuti riflettendo su quanto aveva ascoltato. — Capisco — disse infine. — Quindi la marea e il tempo non ci sono di nessun aiuto. Potrebbe essere partito da undici a dodici miglia al
massimo, o anche da un solo miglio di distanza oppure da dove si trova la casa più prossima con un accesso al fiume. O perfino da ancora più vicino, se qualcuno teneva quella barca ormeggiata all'aperto. Non rimane che andare in giro a far domande. — Sarebbe di aiuto scoprire chi è il morto — gli fece rilevare Tellman. Pitt lo guardò. — Ho trovato un amico di quel francese che sembra scomparso, il quale è persuaso che sia andato a Dover per proseguire per Parigi. Mi piacerebbe sapere se è vero. — Avrebbe attraversato la Manica? — chiese Tellman, in preda a sentimenti contrastanti. Non era particolarmente entusiasta all'idea di andare all'estero ma, d'altra parte, sarebbe stata una vera e propria avventura raggiungere Calais a bordo di un traghetto o addirittura di una nave a vapore, e poi forse proseguire addirittura per Parigi. Ecco qualcosa da raccontare a Gracie! — Dunque partirò per Dover, signore. La compagnia di navigazione dovrebbe sapere se lui ha raggiunto la Francia oppure no. Vado a cercare di scoprirlo. 2 L'ultima posta arrivò proprio mentre Tellman se ne andava e Pitt si sentì cogliere da un fremito di eccitazione riconoscendo la grafia di Charlotte su una spessa busta a lui indirizzata. Trascurò le altre e rientrò in cucina aprendola rapidamente e tirando fuori i fogli mentre camminava. Mio carissimo Thomas, Parigi è meravigliosa. Che splendida città! Sento la tua mancanza ma mi sto divertendo. C'è talmente tanto da vedere, da ascoltare e da imparare. Non sono mai stata in un posto così traboccante di vita e di idee. Perfino i manifesti sui muri sono di veri artisti e del tutto diversi da qualsiasi cosa abbiamo a Londra. Le strade, o dovrei dire i boulevards perché sono tutti relativamente nuovi e spaziosi e pieni di grandiosità, sono fiancheggiate da un mare di alberi. La luce strappa dalle fontane scintillii e sprazzi che vanno in tutte le direzioni. Jack si propone di condurci a teatro ma non si sa quasi da dove cominciare. Ce ne sono più di venti in città, così ci dicono, e naturalmente questi non includono l'opera. Mi piacerebbe moltissimo vedere Sarah Bernhardt che interpreta qualcosa... qualsiasi cosa.
Sento che ha perfino fatto Amleto! O intende farlo. I nostri ospiti qui sono persone squisite e fanno di tutto per offrirci un'accoglienza delle migliori. Eppure, come sento la mancanza della mia casa! Si fa un gran parlare di un giovanotto che è sotto processo per omicidio. Lui giura che si trovava altrove in quel momento e potrebbe provarlo se soltanto l'amico che l'accompagnava si facesse avanti. Nessuno gli crede. Ma la cosa interessante è che lui dice che si trovava al Moulin Rouge. Cioè in una sala da ballo di gran fama, o forse sarebbe più giusto dire di pessima fama. Jack sostiene che ci ballano il cancan e che le ragazze non portano la biancheria intima di sotto. Uno stranissimo artista che si chiama Henri Toulouse-Lautrec dipinge manifesti meravigliosi per il Moulin Rouge. Ne ho visto uno ieri mentre eravamo in strada. Piuttosto volgare ma così pieno di vita che ho dovuto guardarlo. Solo a posarvi sopra gli occhi mi pareva di poter sentire la musica. Domani andiamo a vedere la Torre di monsieur Eiffel, che è enorme. Sento la mancanza di tutti voi e mi rendo conto di quanto ti amo perché non sei qui con me. Quando torno a casa voglio essere così obbediente, premurosa e carina... almeno per una settimana! Tua per sempre Charlotte Pitt, con la lettera in mano, rimase seduto dov'era, sorridendo. Leggere le sue parole, scritte con tanto entusiasmo, scarabocchiate attraverso la pagina, era quasi come sentire la sua voce. In fondo si trattava soltanto di tre settimane. Eppure ogni giorno sembrava lunghissimo... Ma presto quell'assenza avrebbe avuto fine. Con un sussulto si rese conto che il tempo volava e doveva prepararsi ad andare a teatro con Caroline. Piegò la lettera di Charlotte e la fece scivolare di nuovo nella busta, la mise nella tasca della giacca e salì a lavarsi e cambiarsi, indossando l'unico vestito elegante, da sera, che possedesse. Si mise d'impegno per avere un aspetto ordinato e sufficientemente rispettabile per non imbarazzare la suocera. Era affezionato a Caroline e ammirava il suo coraggio per aver voluto cogliere la felicità offertale dall'unione con Joshua senza badare ai rischi che questo comportava e con la massima indifferenza per la classe sociale cui apparteneva. Charlotte aveva fatto lo stesso sposando lui, ma non si illudeva che
questa scelta non le fosse costata niente. Anzi. Si esaminò nello specchio. L'immagine che ci vedeva riflessa non risultò di sua completa soddisfazione. La sua faccia era intelligente, più che bella, e denotava carattere. Quanto ai capelli, per quanto cercasse di fare, erano sempre in disordine. Una volta tanto il colletto della camicia era ben dritto, anche se un po' troppo alto, ma il suo candore abbagliante gli donava. Si avviò di buon passo verso Bedford Square e prese una vettura di piazza per raggiungere il teatro in Shaftesbury Avenue. La strada era rigurgitante di gente, e vi spiccavano il bianco e nero dei sobri vestiti degli uomini in contrasto con i colori brillanti delle toilette femminili e lo scintillio dei gioielli. Le risate si mescolavano con lo schiocco degli zoccoli e il tintinnio dei finimenti mentre le carrozze tacevano a gara per" cercare lo spazio sufficiente a muoversi. La luce dei lampioni a gas era splendente e sulla facciata del teatro grandiosi manifesti facevano pubblicità allo spettacolo, mettendo ben in risalto il nome dell'attrice, che ne era la protagonista, al di sopra del titolo della commedia. Tutti si spingevano in avanti, si accalcavano per entrare, vedere ed essere visti, andare a salutare le persone che conoscevano, raggiungere i propri posti, pregustare l'inizio dello spettacolo. Pitt trovò Caroline e Joshua nel foyer. Lo videro, forse perché era tanto alto, prima che lui li notasse. Sentì la voce di Joshua, limpida e dal classico timbro ben modulato da attore, con la dizione perfetta. — Thomas! Alla tua sinistra, vicino alla colonna. Pitt si voltò e lo scorse immediatamente. Joshua Fielding aveva quel genere di faccia che pareva appositamente creata per esprimere ogni sentimento: lineamenti mobili, occhi scuri con le palpebre pesanti, una bocca facile al sorriso come alla tragedia. Adesso era semplicemente contento di vedere un amico. Accanto a lui, Caroline appariva bella in modo sorprendente. Aveva lo stesso colorito caldo di Charlotte, i capelli dalle sfumature ramate appena appena spruzzati di grigio, la testa eretta e il portamento fiero. Il tempo era stato gentile con lei, benché la vita che aveva avuto non fosse stata facile, come Pitt sapeva molto bene. Li salutò con sincero piacere seguendoli poi su per i gradini e per il lungo corridoio arcuato fino al palco che Joshua si era fatto riservare. Dopo aver fatto accomodare Caroline in una delle poltrone, anche lui e Pitt vi presero posto. Pitt parlò della lettera di Charlotte, omettendo la parte sul processo del
giovanotto e sulla possibilità di andare a vedere posti come il Moulin Rouge. — Mi auguro che non torni a casa con idee radicali — disse Caroline con un sorriso. — Il mondo intero sta cambiando — replicò Joshua. — E anche il cambiamento delle idee è costante e continuo. Le nuove generazioni vogliono cose differenti dalla vita e si aspettano la felicità sotto nuove forme. Caroline si volse verso di lui, un po' sconcertata. — Perché dici questo? Hai fatto degli strani commenti anche a colazione. — Mi sto domandando se non avrei dovuto raccontarti qualcosa di più sulla commedia di stasera. Forse sarebbe stato il caso. È molto... all'avanguardia. — Non è del signor Ibsen, vero? — domandò Caroline, un po' incerta. Joshua le rivolse un largo sorriso. — No, cara, ma è altrettanto polemica. Cecily Antrim non reciterebbe in un'opera di un autore sconosciuto a meno che non fosse abbastanza radicale e non sposasse opinioni che lei condivide. — Dicendo questo, la sua voce si era fatta piena di calore e i suoi occhi avevano avuto un lampo divertito. Pitt ebbe l'impressione che Caroline apparisse incerta, ma prima che l'uno o l'altro potessero approfondire l'argomento, la loro attenzione venne richiamata da qualcuno che conoscevano in uno dei palchi di fonte. Allora si accomodò meglio sulla sua sedia e contemplò l'ambiente che lo circondava, pieno di colore e di animazione, le donne eleganti che sfilavano in parata, a testa alta, più consapevoli della presenza l'una dell'altra che non di quella degli uomini. E a farle comportare così non era niente di romantico, ma la pura e semplice smania di rivaleggiare. Le luci si abbassarono e il silenzio calò sul pubblico. Tutti si disposero a guardare il palcoscenico allungando il collo. Il sipario si alzò su una scena domestica in un bellissimo salotto. Erano presenti una mezza dozzina di persone ma i riflettori si concentrarono su una soltanto di loro. Gli altri sembravano sbiaditi a confronto della qualità quasi luminosa che lei possedeva. Era insolitamente alta ed estremamente esile, ma anche quando rimaneva immobile il suo atteggiamento era pieno di grazia. I suoi capelli chiari pareva riflettessero la luce e l'ossatura forte e nitida del suo viso si sarebbe detta senza età. Lei parlò, e il dramma ebbe inizio. Pitt si scoprì affascinato dalla vicenda dal preciso momento in cui i suoi occhi si posarono su Cecily Antrim. C'era in lei una vitalità emotiva che ir-
radiava una tale sensazione di solitudine e un senso di privazione talmente devastante da soffrirne quasi per il suo personaggio. Dimenticò tutto quanto lo circondava. Per lui la realtà divenne quel salotto sul palcoscenico. La protagonista, interpretata da Cecily Antrim, era sposata con un uomo più anziano, onesto e tutto d'un pezzo, ma incapace di provare la passione. Lui l'amava, entro i propri limiti, ed era leale e possessivo. Certamente non la trascurava, e l'idea di tradirla sarebbe andata al di là della sua comprensione. Eppure stava uccidendo lentamente, dentro di lei, qualcosa che, sotto gli occhi degli spettatori, cominciava lentamente a lottare per vivere. C'era un altro uomo, più giovane, con più fuoco e immaginazione, più sete dello spirito. Dal momento in cui si erano incontrati l'attrazione reciproca era stata inevitabile. Ma non era la questione che il commediografo voleva approfondire, né che avrebbe dovuto interessare la maggioranza del pubblico. Il problema era, piuttosto, cosa avrebbe fatto in quel frangente ognuno dei personaggi. Il marito, la moglie, il giovane uomo, la sua fidanzata, i genitori di lei, tutti avevano timori e convincimenti che governavano le loro reazioni; inibizioni che deformavano quella verità che, altrimenti, avrebbero potuto esprimere; aspettative che la vita e la società in cui vivevano avevano loro insegnato. Mentre seguiva la vicenda, Pitt si scoprì a riconsiderare quelle che erano state le sue stesse presupposizioni sugli uomini e le donne, su quello che ciascuno si aspettava dall'altro e dalla felicità che il matrimonio poteva concedere, o negare. Lui si era aspettato l'esaudimento della passione e, nel complesso, poteva dire di essere profondamente e totalmente felice. Ma quanti altri provavano quel che provava lui? C'era qualcosa che uno aveva il diritto di aspettarsi? Ed ecco una domanda più pressante e molto più tormentosa: aveva l'uomo il diritto di aspettarsi che una donna nascondesse e sopportasse le sue inadeguatezze come il personaggio sul palcoscenico esigeva da sua moglie? Il pubblico, intanto, cominciava a essere intensamente consapevole del senso di solitudine di lei, ma fra i personaggi della commedia nessun altro lo capiva a eccezione del giovane amante, e anche lui solo in parte. La fiamma che ardeva in quella donna era troppo forte anche per lui. C'era il rischio che alla fine ne rimanesse consumato. La moglie aveva dei doveri verso il marito, doveri fisici nelle rare occasioni in cui lui li desiderava, doveri di obbedienza, tatto, responsabilità domestica, la necessità di comportarsi sempre con discrezione e decoro. Legalmente lui non aveva tali doveri nei suoi confronti; ma, moralmente? Non c'era dubbio che dovesse provvedere a darle una casa, a essere sobrio
e onesto e a prendersi i suoi piaceri, qualsiasi potessero essere, con pari discrezione. Ma, era un dovere, per lui, la passione fisica? Oppure sentirne il bisogno era sconveniente per una donna che avesse un minimo di decoro? Se lui le aveva dato dei figli, non doveva essere abbastanza? Cecily Antrim, in ogni movimento del corpo, in ogni inflessione della voce, mostrava che no, non era abbastanza. Lei stava morendo di una solitudine interiore che consumava tutto il suo essere. Era irragionevole, troppo esigente, egoista, perfino indecente? Oppure esprimeva ad alta voce soltanto ciò che un milione di altre donne poteva provare in silenzio? Che pensiero inquietante! Quando calò il sipario e si riaccesero le luci, Pitt si volse a guardare Caroline. Anche lei era rimasta profondamente turbata dal primo atto della commedia, come era stato per Pitt, ma in modo differente. Non era la questione della sete spirituale oppure quella della lealtà che l'avevano disturbata in modo particolare, ma addirittura il fatto che dovessero essere portate allo scoperto. Erano faccende, queste, rigorosamente private. Erano i pensieri che nascevano quando si era sole, nei momenti più oscuri della confusione e del dubbio, per essere accantonati quando il buonsenso prevaleva. Non si volse nemmeno verso Joshua, imbarazzata al pensiero di incrociare il suo sguardo. Né tantomeno aveva voglia di guardare Pitt. Rivelando le sue emozioni, mettendole a nudo sul palcoscenico, Cecily Antrim aveva strappato molto realisticamente a tutte le donne i panni del decoro, della modestia e del silenzio. Caroline non poteva perdonarglielo facilmente. — Brillante! — La voce di Joshua si levò sommessa al suo fianco. — Non ho mai visto nessuno che riuscisse a combinare tanta delicatezza di tocco con una tale potenza dei sentimenti. Non trovi anche tu? — È straordinaria — gli rispose con onestà. Neanche per un attimo aveva dubitato che lui si riferisse a Cecily Antrim e, del resto, non aveva mai tenuto segreto quanto profondamente l'ammirasse. Adesso Caroline si domandò se tutta quella stima fosse personale oltre che professionale. — Sapevo che ti sarebbe piaciuta — continuò Joshua. — Ha un coraggio morale praticamente unico. Niente la trattiene dal lottare per quello in cui crede. Caroline si costrinse a sorridere. Ma si rifiutò di domandare in che cosa Cecily credesse. — Hai pienamente ragione — disse con tutto l'entusiasmo che riuscì a dare alla propria voce. — Ammiro sempre il coraggio... più di qualsiasi altra qualità, quasi... Salvo, forse, la gentilezza. La risposta di Joshua venne interrotta da qualcuno che stava bussando
alla porta del palco. Si alzò per andare a rispondere e un minuto più tardi entrava un uomo sulla cinquantina, alto e magro, con una faccia mite, non priva di austerità. La donna al suo fianco era quasi bella: lineamenti regolari, occhi grandissimi, profondi e di un azzurro intenso, ma forse vi difettava un po' di senso dell'umorismo e quella mancanza toglieva ogni magia al suo fascino. Erano i signori Marchand che Caroline conosceva da più di un anno e frequentava in molte occasioni. Fu lieta che fossero venuti a cercarla. Senza dubbio anche loro dovevano avere, della commedia, la sua stessa opinione. Le loro prime osservazioni, dopo essere stati presentati a Pitt, glielo confermarono. — Straordinaria! — disse a voce bassa Ralph Marchand, mentre la sua faccia esprimeva la perplessità. Joshua offrì il suo posto alla signora Marchand e lei lo accettò, ringraziandolo. — Una donna singolare — continuò il signor Marchand, riferendosi chiaramente a Cecily Antrim. — Mi rendo conto, naturalmente, che sta soltanto recitando quello che il commediografo ha scritto, ma mi duole che una donna di tanto talento si sia prestata a questo. E francamente sono sorpreso che il lord Ciambellano abbia dato il permesso che la commedia venisse rappresentata! Joshua, intanto, si era appoggiato con eleganza alla parete vicino al parapetto del palco imbottito di velluto rosso, con le mani in tasca. — A dire la verità sarei molto sorpreso se lei non avesse avuto una grande simpatia per il suo personaggio — replicò. — Credo che sia una parte che ha scelto volutamente di recitare. Il signor Marchand si mostrò sorpreso e la signora Marchand disse rattristata, spalancando i suoi grandi occhi: — Neanch'io riesco a capire il lord Ciambellano. È venuto meno ai doveri della sua carica se non ha esercitato i suoi poteri di censurarla. Caroline guardò Joshua. Conosceva la sua opinione sulla censura e temeva che potesse dire qualcosa di offensivo per i Marchand. — È una decisione difficile — azzardò. — Può richiedere coraggio — replicò la signora Marchand senza esitare. — Ma se accetta quella carica, abbiamo il diritto di aspettarci almeno quello da lui, vi pare? — La protezione è un'arma a doppio taglio, signora Marchand. — Joshua non si era mosso dalla posizione rilassata all'angolo del parapetto, ma Caroline si accorse che il suo corpo sembrava più angoloso del solito, tanto aveva i muscoli tesi. — Da che cosa vorreste essere protetta? — La sua voce continuava a essere piana e gentile.
— Dalla corruzione del decoro e della decenza — replicò la signora Marchand con un tono che vibrava di collera e di certezza. — Dalla persistente distruzione del nostro modo di vivere elogiando immoralità ed egoismo. Dall'esibizione in pubblico di sentimenti e abitudini che dovrebbero rimanere qualcosa di privato. Sottovaluta e avvilisce ciò che dovrebbe essere sacro... Caroline capiva cosa volesse dire, e in buona parte era d'accordo con lei. I Marchand avevano un figlio sui sedici anni. Lei poteva ricordare quando le sue ragazze avevano avuto quell'età e con quale impegno lei si fosse dedicata a guidarle e proteggerle. Si volse a Joshua, sapendo che non sarebbe stato d'accordo. Lui, però, non aveva mai avuto figli, e questo faceva un'enorme differenza. — L'abnegazione è meglio della indulgenza verso se stessi? — fu la domanda che Joshua pose. Le sopracciglia scure della signora Marchand s'inarcarono. — Naturalmente. Come potete pensare che ci sia bisogno di chiederlo? — Ma l'abnegazione non è soltanto l'opposto, cioè il consenso, se preferite, nei confronti dell'autoindulgenza di un'altra persona? — domandò. — Prendete questa commedia, per esempio. Quando la moglie si sacrifica, non rende possibile al marito di illudersi ed essere indulgente verso se stesso? — Io... — cominciò la signora Marchand, ma s'interruppe. Era persuasa di essere nel giusto, ma non riusciva a spiegarlo. — È sleale — disse il signor Marchand a nome della moglie. — E la slealtà non può essere mai giusta. Non dovremmo dipingerla come tale e cercarne comprensione. Le donne potrebbero essere incitate a pensare che il comportamento della moglie è perdonabile. Il sorriso continuava a rimanere fisso sulla faccia di Joshua. — E, d'altra parte, gli uomini potrebbero essere indotti a domandarsi se magari le mogli non hanno lo stesso bisogno, perfino lo stesso diritto, alla felicità che hanno loro — obiettò. — Potrebbero perfino rendersi conto che la vita sarebbe migliore per tutti e due se riuscissero a capire che le donne non possono essere sposate e poi considerate tranquillamente come qualcosa che si è comprato... da usare quando si vuole. — Non riesco a capire cosa volete dire! — Marchand guardò Caroline. Ma fu Pitt a interpretarglielo. — Credo che il signor Fielding voglia dire che la protezione di una persona potrebbe essere la prigionia per un'altra oppure che l'idea di libertà manifestata da una persona può essere consi-
derata come licenza da un'altra. Se ci rifiutiamo di vedere le sofferenze di chiunque altro perché sono differenti dalle nostre, ecco... non siamo una società né liberale né generosa e soffocheremo lentamente noi stessi fino alla morte. — Buon Dio! — mormorò il signor Marchand. — Siete molto radicale, voi. — È un sovvertimento della decenza e della vita familiare — insinuò la signora Marchand. — Mette in dubbio determinati valori — la corresse Joshua. — Non dobbiamo mai farlo? Allora come possiamo crescere? Non impareremo mai niente e, ancor peggio, non comprenderemo mai gli altri, e forse neanche noi stessi. Caroline intravide il rischio che la discussione diventasse accanita e antipatica, e un'amicizia andasse perduta. — Tutto sta nel modo in cui tali valori vengono messi in dubbio — si affrettò a osservare. Joshua la squadrò con aria grave. — L'immagine che ha il potere di disturbare, è l'unica che ha il potere di cambiare. Spesso crescere può essere doloroso, ma non crescere equivale a cominciare a morire. — State forse dicendo che ogni cosa perisce presto o tardi? — domandò il signor Marchand. — Non ci credo. Sono sicuro che esistano valori i quali sono eterni. — Certamente — confermò Joshua. — Si tratta di capirli, e questo è più difficile. Bisogna mettere spesso alla prova la verità, altrimenti sarà inquinata dall'ignoranza e dal cattivo uso. — Sorrise, ma il suo sguardo era fermo. Hope Marchand pareva sconcertata. Lanciò uno sguardo a Caroline, poi distolse gli occhi. Il signor Marchand le offrì il braccio. — Credo che sia ora di tornare ai nostri posti, cara. Non vorremo guastare il divertimento degli altri disturbandoli quando lo spettacolo è già cominciato. — Dopo un minuto se n'erano andati. Caroline respirò a fondo e poi buttò fuori il fiato lentamente. Joshua le sorrise affettuosamente. L'espressione del suo viso era lieta e serena e le paure di Caroline scomparvero anche se avrebbe voluto avvertirlo che era andato molto vicino a confondere, e offendere, quelle persone. Si limitò a ricambiare quel sorriso. Le luci si abbassarono e il sipario si alzò sul secondo atto. Allora rivolse la sua attenzione al palcoscenico dove il dramma continuava a svolgersi. Non poteva che finire in una tragedia. La protagonista, interpretata da Cecily Antrim, spasimava per avere dalla vita più
passione di quanta la società, di cui faceva parte, avrebbe mai potuto né darle né capire. Suo marito non avrebbe mai divorziato, e lei non aveva i poteri per chiedere il divorzio a sua volta, come non aveva una giustificazione per lasciarlo. Che avesse mai potuto comportarsi diversamente era una questione non ancora sollevata, ma Caroline se lo stava già domandando mentre la scena continuava a svolgersi davanti a lei. Non voleva identificarsi con Cecily Antrim, una creatura dai sentimenti ingovernabili, ribelle, priva di discrezione, tanto da lasciar trapelare troppo di se stessa tradendo così i pensieri più segreti di tutte le donne. Il personaggio del marito era ben recitato, ma era in scena per essere dilaniato e fatto a brani, per evocare rabbia e frustrazione; e Caroline comprese che, alla fine, avrebbe anche fatto pietà. E la stessa pietà veniva suscitata anche dal personaggio della fidanzata, una ragazza qualsiasi, incapace perfino solo di cominciare a lottare contro quella donna, che aveva come minimo il doppio della sua età, e il cui fuoco interiore, come la sottigliezza dello spirito, avevano incantato e travolto l'uomo che lei credeva di essersi conquistata. Il fratello della fidanzata era più attraente non come personaggio della commedia, ma perché l'attore che lo interpretava diventava una presenza singolare e interessante in scena, benché la sua parte fosse di secondo piano. Era alto e biondo e sembrava difficile indovinare la sua vera età anche se non doveva avere più di venticinque anni. Rivelava una sensibilità tale da far subito presa sul pubblico e una capacità d'interpretare i sentimenti che saltava subito all'occhio per quanto modesta fosse la sua parte. Quando il secondo atto finì e le luci si riaccesero in sala, sentirono bussare di nuovo alla porta del palco e Joshua andò ad aprire. Fuori c'era un compagno d'arte di Joshua, Charles Leigh, un attore che Caroline conosceva di vista. Al suo fianco un altro uomo di aspetto totalmente diverso, più alto, un po' più massiccio di figura. Il suo viso rivelava l'intelligenza e un senso dell'umorismo che gli illuminava gli occhi prima ancora che avesse aperto bocca, ma fu la somiglianza con il suo primo marito che per un attimo le fece morire il fiato in gola. — Vorrei farvi conoscere il mio visitatore dall'America, Samuel Ellison. Il signore e la signora Fielding e... — cominciò Leigh. — Il signor Pitt — lo presentò subito Joshua. — Piacere. — Il piacere è mio, signore — replicò Samuel Ellison, abbozzando un inchino e sfiorando rapidamente gli altri con gli occhi che, invece, si soffermarono su Caroline. — Perdonate la mia invadenza, signora, ma quan-
do il signor Leigh mi ha detto che vi chiamavate Ellison prima di sposare il signor Fielding non sono riuscito a rimandare neanche di un minuto il nostro incontro. — Davvero? — disse Caroline, incerta. Era assurdo ma si sentiva cogliere da uno strano nervosismo; era quasi allarmata. Quest'uomo assomigliava talmente a Edward che non era possibile dubitare dell'esistenza di una parentela fra loro. Avevano più o meno la stessa altezza, e i loro lineamenti non erano molto dissimili: lo stesso naso un po' lungo, gli occhi celesti, la forma delle guance e della mandibola. Si accorse di non saper cosa dire. La commedia l'aveva disorientata al punto da farle perdere l'abituale compostezza. — Ho paura di essere stato troppo impulsivo, signora — si scusò lui. — Vedete, speravo che ci fosse un legame di parentela fra noi. Mia madre ha lasciato questo paese poco prima che io nascessi, una questione di settimane, e ho sentito che mio padre si è poi risposato. Caroline sapeva cosa quest'uomo stava per dire. La somiglianza era troppo singolare per essere negata. Ma lei non aveva nessuna idea dell'esistenza di una persona del genere, e meno ancora che il suocero avesse avuto una moglie prima del matrimonio con quella che adesso era sua suocera. Un fremito di ansietà fece aggrottare la fronte a Joshua. Samuel continuava a guardare fissamente Caroline. — Mio padre era Edmund Ellison di King's Langley, nell'Hertfordshire... Caroline si schiarì la gola. — Il padre di mio marito — rispose. — Dovete essere fratellastri. Samuel, senza nascondere una gioia sincera, diventò raggiante. — Che meraviglia! Eccomi arrivato da lontano, da New York alla città più grande del mondo e, nel giro di un mese, mi capita d'incontrarvi, e proprio a teatro fra tutti i posti possibili! — Si guardò intorno. — Come si fa a dire che non c'è di mezzo il destino? Non so come esprimere la mia felicità di avervi trovato, signora. Spero che potrò avere il privilegio di approfondire la vostra conoscenza, a tempo debito, e che potrò comportarmi in modo da ottenere la vostra amicizia. I parenti possono diventare una noia formidabile, ma nessuno al mondo può avere troppi amici, dico bene? Caroline sorrise a dispetto di se stessa. Era impossibile rimanere indifferenti davanti al suo entusiasmo. — Lo spero anch'io, signor Ellison. Pensate di rimanere a Londra qualche tempo? — Non ho progetti, signora — rispose lui con disinvoltura. — Sono padrone di me e farò quello che voglio, a seconda delle opportunità che si
presentano. Finora mi sono divertito in un modo straordinario e non penso neanche lontanamente a partire. Ho quasi la sensazione che il mondo intero con tutte le sue idee sia qui e, presto o tardi, potrò scoprirle tutte. Caroline sorrise. — Ho sentito dire che, se vi fermate abbastanza in Piccadilly Circus, potete veder passare tutte le persone di un certo nome. — Abitate a New York, signor Ellison? — domandò Joshua spostandosi per far accomodare Leigh e Samuel e offrendo a quest'ultimo il proprio posto. — Ho vissuto in ogni genere di luoghi — rispose Samuel amabilmente, accomodandosi e accavallando le gambe. — Sono nato a New York. È lì che mia madre è sbarcata e ci è voluto un po' di tempo perché potesse rifarsi una vita. Non è stato facile per lei, sola com'era, e in attesa di un figlio. È stata una donna coraggiosa e amabile, e ha trovato amici tanto generosi da aver cura di lei quando io sono nato. Caroline cercò d'immaginarlo, e non ci riuscì. Ripensò a ciò che sapeva del suocero. Perché la madre di Samuel l'aveva lasciato? Si lambiccò il cervello senza ricordare che fosse mai stata fatta menzione di quella signora. Era sicurissima che la suocera non avesse mai detto una sola parola sul fatto che il marito aveva già avuto una moglie prima di lei. Era fuggita con un altro uomo? — Dev'essere stato spaventoso — disse con sincerità. — Com'è riuscita a cavarsela? Non c'era nessuno a cui... — Alludete a parenti, persone di famiglia? — Samuel sembrava divertito. — In principio, no. Ma talmente tante persone ripartivano da capo cercando di rifarsi una vita, e cominciando senza niente, che non è sembrato così strano. Le opportunità non mancavano. Lei era molto bella e pronta al duro lavoro. — Cosa poteva fare? — domandò Caroline, e poi arrossì d'imbarazzo. — Cioè... aveva un bambino a cui badare... — Oh, io venivo passato di mano in mano — rispose Samuel allegramente. — Quando sono arrivato ai due anni avrei potuto dire "mamma" oppure "ho fame" in almeno una dozzina di lingue diverse, sapete? — Che coraggio straordinario — mormorò Joshua. — Dovete aver assistito a eventi eccezionali, vero, signor Ellison? — Senz'altro — confermò Samuel con calore. — E ho visto fare la Storia. Ma, ci scommetto, la stessa cosa vale per voi. In questa città dev'esserci ogni genere di vita, e tutto quello su cui un uomo ha mai riflettuto. È un punto d'incontro per tutte le nazioni. Mi fa sentire un po' come un ragazzo che arriva dalla campagna. Se penso che giudicavo New York sempre più
sofisticata, dopo tutte le nostre avventure! Finita la guerra, New York era una città come non avete mai visto in vita vostra! Allora non era il posto più adatto per le signore ma adesso è civilissima, veramente. Anche se, cercando la vera gente di alta classe, e l'aristocrazia, forse è Boston la città in cui vivere. — Siete stato anche nelle regioni dell'Ovest, signor Ellison? — domandò Pitt rivolgendogli la parola per la prima volta. Samuel lo considerò con interesse. — Sono stato in alcuni... intendete forse parlare delle terre degli indiani? Potrei raccontarvi qualche storia in proposito, ma, almeno a mio giudizio, in gran parte sono tristi. La marcia del progresso non è sempre bella da vedere, signore, e si lascia alle spalle una grande quantità di morti... è terribile e, a volte, la parte migliore di una nazione e i suoi sogni vengono calpestati. Caroline diede un'occhiata a Pitt. La sua faccia era girata in modo che la luce la nascondeva e le ombre davano uno spicco particolare alle sue fattezze. Ascoltando Samuel aveva avuto una sensazione di tristezza, della perdita di qualcuno... e se ne vedevano chiari i segni. — Parlate con grande passione, signor Ellison — disse piano Joshua. — Ci fate venir voglia di sentire e conoscere di più di quello che vi commuove tanto profondamente. Mi auguro che potremo approfondire la vostra conoscenza. Samuel si alzò in piedi. — Siete molto generoso, signor Fielding. Ne approfitterò sicuramente. Ma intuisco che le vostre parole mi offrono il destro di salutarvi e di tornare nel mio palco prima che le luci si spengano per non scomodare anche tutti voi. E, a parte le buone maniere, questa è una commedia della quale nessuno dovrebbe perdere il finale. Non credo di aver mai visto in vita mia una donna come la vostra prima attrice. Sarebbe capace di accendere un fuoco solo guardando la legna secca! — Si rivolse a Caroline. — Sono felice di aver fatto la vostra conoscenza, signora. Un uomo può scegliere i suoi amici, ma non la sua famiglia. È una fortuna rara quando la scelta della natura coincide con la propria. — Dopo aver augurato la buonasera a tutti, Samuel e Leigh uscirono chiudendosi silenziosamente la porta alle spalle. Joshua guardò Caroline con gli occhi sgranati. — Può essere quello che dice? — Oh, sì! — esclamò lei senza esitare. E si volse a Pitt, anche se in realtà quel suo movimento non era una vera e propria richiesta di conferma. Pitt assentì. — In effetti ha una somiglianza considerevole con Edward
Ellison. Sarebbe una coincidenza troppo grossa. — Corrugò lievemente la fronte. — Sapevate che vostro suocero aveva già avuto un'altra moglie? — No! Sono sbalordita — confessò lei. — Non ho mai sentito pronunciare una sola parola sul suo conto; non sono neanche sicura che la signora Ellison lo sappia. — Anni di battaglie segrete con la vecchia signora erano ben vivi nella sua mente, come le critiche, il confronto fra presente e passato, sempre a detrimento di Caroline e delle sue figlie. Non poté fare a meno di sentirsi inondare il cuore da un fremito di soddisfazione mentre si voltava verso il palcoscenico, pronta ad assistere al dramma che stava raggiungendo il culmine. Si lasciò coinvolgere immediatamente dalla tragedia che vi si svolgeva. Il personaggio di Cecily Antrim era il veicolo di una tale passione che riusciva impossibile non parteciparvi. Una parte di lei si risentiva di veder mettere a nudo sentimenti che sapeva di possedere, ma avrebbe preferito non riconoscere; un'altra parte provava una specie di sollievo per non doverli più nascondere... e per la stupefacente constatazione di non essere sola in questo. Dovevano essere davvero dette apertamente cose simili? Non c'era qualcosa d'indecente nell'esibizione di sentimenti tanto intimi? Conoscerli, e sapere che esistevano dentro di sé, era una cosa; rendersi conto che anche altri li conoscevano era del tutto differente. Un po' come ritrovarsi nuda in pubblico invece che in privato. Di solito, quando andava a teatro con Joshua, lo guardava spesso perché desiderava condividere le risate come l'angoscia. Era una grande parte del suo piacere. Stasera voleva rimanere sola. Aveva paura di ciò che avrebbe potuto leggergli in faccia, e ancora di più di ciò che lui avrebbe potuto leggere sulla propria. Doveva esserci un certo riserbo perfino nell'amore più profondo, qualche segreto non rivelato, qualcosa che non si desiderava sapere. Quando la tragedia fu conclusa e calò definitivamente il sipario, scoprì di avere le guance rigate di lacrime e la voce che le moriva in gola. — Vi sentite bene? — le domandò piano Pitt, accostandosi a lei. Si voltò, gli sorrise, e batté le palpebre accorgendosi delle lacrime che le scendevano sul viso. Le fece piacere che fosse stato lui a domandarlo, non Joshua. In quel momento si sentiva lontanissima dalla gente di teatro, dagli attori che potevano osservare lo svolgimento del dramma professionalmente, come un'arte. Era troppo reale per quello, era troppo composto della sostanza di cui è fatta la vita stessa. — Sì... sì, grazie, Thomas. Certo che sto bene. Solo che è stato... molto commovente. — Lui sorrise e non aggiunse altro.
— Superba — mormorò Joshua col fiato mozzo, l'espressione esaltata. — Giuro che non è mai stata così brava! Perfino la Bernhardt non avrebbe potuto fare di meglio. Caroline... Thomas... dobbiamo andare in camerino a dirglielo. È un'opportunità che non voglio perdere! Caroline lanciò un'occhiata a Pitt. E Pitt alzò lievemente le spalle sorridendo. Insieme seguirono la figura di Joshua che si stava già allontanando. Senza esitare, lui li precedette oltre una porta sulla quale era scritto PRIVATO, lungo un corridoio nudo e giù per una rampa di scalini fino a un pianerottolo sul quale si apriva un certo numero di camerini, sulle porte dei quali erano indicati i nomi degli attori. Quello che portava la scritta CECILY ANTRIM era socchiusa e dall'interno proveniva, netto e chiaro, un suono di voci. Joshua bussò, poi entrò, seguito immediatamente da Caroline e Pitt. Cecily era in piedi vicino a un tavolo sul quale c'erano gli specchi e tutta una serie di barattoli di cerone e cipria. Portava ancora l'abito dell'ultimo atto e si capiva subito che la folta capigliatura era autentica, non una parrucca. Molto alta per essere una donna, aveva più o meno la stessa altezza di Joshua, era esile come un fuscello e, osservandola da vicino era possibile notare che doveva aver già superato la quarantina, e non aveva più trent'anni come sembrava quando era in scena. A Caroline bastò soltanto un'occhiata per capire che era una di quelle donne per le quali l'età è irrilevante. La sua bellezza stava nella struttura del corpo, negli occhi stupendi, e soprattutto nel fuoco che ardeva in lei. — Joshua! Carissimo! — esclamò Cecily deliziata, allargando le braccia, e lui si fece avanti e ricambiò il suo abbraccio, baciandola sulle guance. — Hai addirittura superato te stessa! — disse con ardore. — Ci hai fatto sentire tutto quello che sentivi tu, ci hai fatto partecipare appassionatamente. Così adesso non ci resta che pensare... — Lei si tirò indietro anche se continuò a tenergli le braccia intorno al collo. Il suo sorriso era raggiante. — Davvero? Parli sul serio? Pensi che potremo aver successo? — Certamente — rispose lui. — Quando mai ti ho detto una bugia? Se poi la commedia avrà successo o no... questo sta in grembo agli dei. Lei rise. — Scusami, caro. Non avrei dovuto dubitare di te. Ma sapessi com'è importante per me. Se si riuscissi anche solo a far vedere alla gente il lato femminile! — Fece un ampio gesto con la mano. — Può darei che Freddie riesca a far passare il suo progetto di legge in Parlamento. Cambiare la situazione, poi la legge. Ibsen ha già ottenuto miracoli. Ne appro-
fitteremo per costruire su quello che lui ha realizzato. La gente dovrà vedere che anche per la donna deve esserci il diritto al divorzio. Non è meraviglioso vivere in un'epoca in cui quest'opera può venire portata a termine... nuove battaglie... opportunità? — Certo che lo è — confermò Joshua, sempre con gli occhi fissi su di lei. Poi, d'un tratto, sembrò che ricordasse le altre persone presenti. — Cecily, tu non conosci ancora mia moglie, Caroline, e suo genero, Thomas Pitt. Cecily sorridendo in modo incantevole accettò le presentazioni. E fu subito evidente che indugiò con lo sguardo un poco di più su Pitt che non su Caroline. Poi si rivolse di nuovo a Joshua. Caroline osservò le altre persone che occupavano il piccolo locale. Subito dietro Cecily c'era l'uomo da lei chiamato Freddie, con un viso dai lineamenti forti, decisi, il naso largo e la bocca sensuale. Sembrava molto rilassato, perfino un po' divertito. Placidamente semisdraiato nell'altra poltrona c'era il giovanotto che Caroline aveva notato sulla scena. Visto più da vicino, la sua somiglianza con Cecily appariva ancor più spiccata e Caroline non rimase sorpresa quando poco dopo venne presentato come Orlando Antrim, e ne concluse che fosse il figlio di Cecily. C'era una coppia, di nome Harris e Lydia, e l'uomo che sembrava così in intimità con Cecily era lord Frederick Warriner. La sua presenza si spiegava in parte con l'allusione al progetto di legge presentato al Parlamento, apparentemente per liberalizzare le procedure di divorzio per le donne. Joshua e Cecily stavano sempre parlando e solo occasionalmente rivolgevano un'occhiata a qualcun altro dei presenti. — Alle prove ho interpretato quella scena almeno in tre modi differenti — stava dicendo Cecily con fervore. — Vedi, avrei potuto recitarla rasentando l'isterismo, con voce stridula, secca, tagliente, e movimenti nervosi, a scatti. Oppure in modo tragico — continuò. — Come se la protagonista, in cuor suo, avesse già capito quello che era inevitabile. Secondo te, Joshua? Tu cosa avresti fatto? — Non se n'è mai resa conto — fece subito lui. — Ormai era al di là di considerazioni simili. Sono sicuro che se lo avessi chiesto all'autore ti avrebbe risposto che lei ormai era troppo coinvolta, troppo pura nei suoi sentimenti per rendersi conto di cosa stava per succedere. — Hai ragione — dichiarò Cecily, d'accordo, voltandosi d'impeto verso Orlando. Lui rise. — Non mi sognerei di obiettare qualche cosa, madre mia. Sa-
rebbe più di quel che la mia parte richiede! Lei gli lanciò un'occhiataccia di finta rabbia, poi alzò le braccia come se fosse sdegnata, ma rise. Si rivolse a Caroline. — Vi è piaciuta la commedia... Caroline? Sì... Caroline. Cosa ne avete pensato? — I suoi grandi occhi erano privi di incertezze, grigio-azzurri, con le ciglia scure: impossibile ingannarli. Caroline si accorse di trovarsi con le spalle al muro. Avrebbe preferito di gran lunga non dover rispondere ma adesso tutti la stavano osservando, Joshua incluso. Cosa doveva dire? Qualcosa di cortese e lusinghiero? Oppure la verità: cioè che era inquietante, invasiva, e sollevava questioni che, a suo giudizio, sarebbe stato meglio non tirar fuori? E Joshua, cosa si aspettava che lei dicesse, cosa avrebbe voluto? Non doveva guardarlo come se si aspettasse l'imbeccata. Non voleva offenderlo o imbarazzarlo. Improvvisamente si sentì sopraffatta dalla sensazione di volersi mostrare interessata ma, nello stesso tempo, di non essere all'altezza di queste persone. Cecily rise. — Mia cara, avete paura di parlare casomai doveste ferirmi nei miei migliori sentimenti? Vi assicuro che posso sopportarlo. Caroline finalmente ritrovò la voce e ricambiò il suo sorriso. — Non ne dubito affatto, signorina Antrim. Ma non è un'opera teatrale facile da giudicare in poche parole, anche solo con un minimo di onestà, e non credo che possiate aspettarvi una risposta facile. — Brava! — esclamò Orlando dal fondo del camerino, alzando le mani per applaudirla in silenzio. — Vi prego, diteci sinceramente la vostra opinione, signora Fielding. Forse ci occorre ascoltare il giudizio onesto di qualcuno che sia al di fuori del nostro campo professionale. Calò un completo silenzio. Caroline si accorse di avere la gola chiusa. — Credo che presenti una grande quantità di questioni — disse con le labbra aride. — Possiamo aver bisogno di conoscere alcune delle risposte mentre forse, secondo me, per altre, no. Ci sono dispiaceri con i quali bisogna convivere, e soltanto la persuasione di sopportarli in privato è quello che li rende tollerabili. Cecily parve strabiliata. — Oh, poveri noi. Un grido che viene dal cuore, Joshua? — Il significato della battuta era chiaro, anche se era altrettanto chiara la sua intenzione di prenderlo in giro. Joshua diventò un po' rosso in faccia. — Per amor del cielo, spero di no! Tutti gli altri risero, all'infuori di Pitt. Caroline, adesso, si sentiva la faccia in fiamme. Avrebbe dovuto poter ridere anche lei, ma non ci riusciva. Si sentiva maldestra, non sofisticata...
Fosse stata tre o quattro anni più vecchia, avrebbe potuto essere la madre di Cecily Antrim. E del resto, aveva diciassette anni più di Joshua. E lui, in piedi vicino a Cecily in quel momento, doveva rendersene perfettamente conto. Come conservare uno straccio di dignità, non apparire ridicola, e fare in modo che non si vergognasse di lei? Stavano aspettando che lei dicesse qualcosa. Non poteva deluderli. Non era capace di inventare niente di spiritoso. Non le rimaneva che esprimere quello che pensava. Si volse a fissare Cecily negli occhi come se nel camerino affollato non ci fosse nessun altro all'infuori di lei. — Sono sicura che, come attrice, siete abituata a parlare a nome di molte persone e a provare emozioni e sentimenti di donne totalmente diverse da voi. — Aveva formulato la sua opinione come se fosse qualcosa di certo e assodato ma insinuando una nota interrogativa nella voce. — Ah! — disse Orlando subito. — Com'è intuitiva, signora Fielding. Eccoti servita, mamma. Ti capita spesso di pensare alle persone vulnerabili come a quelle appassionate, oppure a chi è afflitto da dubbi o dolori che sarebbe meglio tenere nascosti? E se avessero anche loro diritto a un certo riserbo? L'uomo di nome Harris non nascose di essere scandalizzato. — Cosa vorresti suggerire, Orlando? La censura? — Certo che no! — Cecily ritorse aspramente. — Che assurdità! Orlando non ama la censura più di quanto la ami io. Saremmo disposti tutti e due a combattere fino all'ultimo respiro per essere liberi di dire la verità, di porre domande, di suggerire nuove idee o riaffermarne di vecchie a cui nessuno vuole prestare ascolto. Per amor di Dio, Harris, lo sapete benissimo! L'empietà di un uomo è la religione di un altro. Altrimenti torneremmo all'alto Medioevo e all'Inquisizione. — Un po' di censura deve pur esserci, tesoro — disse Warriner, che apriva bocca per la prima volta. — Non si dovrebbe gridare "Al fuoco!" in un teatro affollato... soprattutto se il fuoco non c'è. E anche se ci fosse, il panico non aiuta. L'umore di Cecily cambiò bruscamente. — Di sicuro! — esclamò con una risata. — Grida pure "Al fuoco!" in chiesa se proprio devi, ma mai, e poi mai, a teatro... perlomeno non durante una rappresentazione. Tutti gli altri risero con lei. Caroline si volse a guardare Joshua. Ma fu Pitt che parlò. — E forse dovremmo andare un po' cauti con la diffamazione? A meno che, certo, uno non sia un critico teatrale... — Oh! — Cecily trasalì, e si girò di scatto ad affrontarlo. — Buon Dio!
Non mi ero accorta che stavate ascoltando tanto seriamente. Avrei dovuto prestarvi maggior attenzione. Non siete un critico, vero? Lui sorrise. — Nossignora, sono un poliziotto. — Che cosa assolutamente orrenda. E arrestate la gente se allunga le mani nelle tasche altrui oppure perché provoca una rissa? — Purtroppo capita più spesso che si tratti di qualcosa di grave, come un omicidio — replicò Pitt, e adesso il tono della sua voce non era più scherzoso. Orlando si alzò. — Con ogni probabilità è esattamente quello a cui alludeva la signora Fielding parlando di domande che non dovremmo porre perché non vogliamo le risposte. La libertà di parola deve anche includere la libertà di non ascoltare. Non ci avevo mai pensato fino a questi ultimissimi giorni. — Si avviò alla porta. — Muoio di fame. Vado a cercare qualcosa da mettere sotto i denti. Buonanotte a tutti. — Un'ottima idea — intervenne Cecily, pronta. Per la prima volta sembrava che avesse perduto un po' della sua solita posatezza. — Una cenetta innaffiata di champagne? Joshua rifiutò cortesemente e chiese scusa per se stesso e i suoi compagni; dopo aver ripetuto le loro congratulazioni si ritirarono. Pitt ringraziò di nuovo e augurò la buonanotte a Caroline e Joshua che tornarono a casa in carrozza facendo commenti cortesi ma poco spontanei sull'opera teatrale, parlando dei personaggi ma senza menzionare Cecily Antrim una sola volta. Caroline si sentiva pervadere dalla crescente sensazione di essere totalmente un'estranea a quel mondo. La mattina dopo Joshua uscì presto per andare a far visita a un commediografo e Caroline fece colazione, più tardi del solito, da sola. Sedeva fissando la sua seconda tazza di tè che aveva lasciato diventare fredda quando Mariah Ellison entrò appoggiandosi pesantemente al bastone. In gioventù era stata molto bella, ma l'età e il carattere difficile avevano lasciato il segno sulle sue fattezze e gli occhi, quasi scuri e dallo sguardo penetrante, adesso fissarono Caroline con disapprovazione. — Be', a guardarti si direbbe che hai perduto sei pence senza più ritrovarli — osservò acida. — Hai una faccia che sembra una bottiglia di aceto. — Avete pienamente ragione — rispose Caroline, alzando gli occhi. — Non serve molto ammettere che ho ragione — riprese la vecchia signora scostando una sedia dal tavolo per accomodarsi di fronte a lei. — Fai qualcosa, allora! A nessun uomo piace una moglie con l'espressione
imbronciata, soprattutto se è più vecchia di lui. Caroline aveva passato la sua vita adulta a moderare la lingua per essere ben educata con la suocera. Stavolta il suo autocontrollo saltò. — Vi ringrazio per concedermi il beneficio della vostra esperienza. Sono sicura che siate nella posizione di chi lo capisce. La vecchia signora rimase stupita. Mai, prima, Caroline era stata tanto schietta. — Devo presumere che fosse una brutta commedia — disse deliberatamente. — È stata un'ottima commedia — la contraddisse Caroline. — Addirittura brillante. La signora Ellison fissò con aria cupa la teiera. — E allora perché te ne stai qui sola soletta con una tazza di tè freddo davanti e un aspetto che sembra quello di un uovo marcio? Avrai pure una cameriera di qualche genere da chiamare, perché ti porti del tè fresco. D'accordo, qui non siamo ad Ashworth House ma devo presumere che il giovane attore con il quale hai scelto di vivere guadagni abbastanza per consentirti il minimo di comodità domestiche indispensabili, vero? Caroline si scoprì talmente furiosa, e offesa tanto profondamente, che non seppe trattenersi e disse la prima cosa che le passò per la testa. — Ieri sera ho conosciuto un signore molto interessante e pieno di fascino. Viene dall'America e durante il soggiorno, qui a Londra, spera di rintracciare la sua famiglia. Vi parlo di questo signor Ellison perché pensavo che potesse interessarvi. In fondo i suoi rapporti di parentela sono più stretti con voi, e non con me. La vecchia signora rimase impietrita. — Ho capito bene? Questa... — la fissò con gli occhi sbarrati — ...persona... sostiene di far parte della mia famiglia? Tu non sei più una Ellison. Tu hai scelto di diventare una... una, insomma, quel che lui è! — Una Fielding — disse Caroline per la millesima volta. Faceva parte del modo offensivo di comportarsi della vecchia signora fingere di dimenticare sempre il cognome di Joshua. — Sì, è proprio quello che sostiene. E la sua somiglianza con Edward è talmente singolare che io non ho potuto dubitarne. La vecchia signora era rimasta immobile. — Davvero? E che tipo di uomo sarebbe? Mi vuoi dire chi, esattamente, sostiene di essere? Adesso Caroline non era più così sicura che quella rivelazione fosse gradita ma non aveva alternativa. Dunque continuò: — A quanto pare mio suocero era già stato sposato prima... prima di conoscere voi. Samuel è suo
figlio. — Davvero? — rispose la vecchia signora. — Be'... vedremo. Non hai risposto alla mia domanda... che tipo di uomo è? — Intelligente, pieno di fascino, buon parlatore e, a giudicare da com'era vestito, deve godere di una solida posizione economica — rispose Caroline. — Io l'ho trovato simpaticissimo. Spero che verrà a trovarci. — Poi respirò a fondo. — Anzi, lo inviterò a farlo. 3 La mattina dopo, presto, Pitt si trovava nel suo ufficio di Bow Street. Stare a casa da solo era molto poco gradevole e subito dopo aver fatto colazione e dato da mangiare ai gatti era stato ben felice di lasciare Keppel Street e di mettersi in cammino. Era troppo presto per avere già notizie da Tellman, mandato a Dover, ma Pitt non si aspettava che trovasse qualcosa di conclusivo. Il corpo abbandonato in quella grottesca posizione a Horsefeny Stairs era del diplomatico francese oppure di qualche altro personaggio eccentrico, e sfortunato, che aveva oltrepassato i limiti anche nel gusto del proibito? Si augurava che la seconda possibilità fosse quella vera. Uno scandalo con l'ambasciata francese sarebbe stato molto spiacevole. La commedia della sera prima, con la forza dei suoi sentimenti, lo aveva turbato anche se non era rimasto a disagio, come Caroline, di fronte alla descrizione delle tormentose esigenze di una donna sposata con un uomo che non sapeva soddisfare le sue passioni o i suoi sogni. Per quanto di una generazione più giovane, e di una diversa classe sociale, le emozioni messe a nudo sul palcoscenico avevano provocato profonde riflessioni anche in lui: come una nuova percezione di tutto ciò che poteva nascondere perfino un volto dall'espressione, apparentemente, serena. A metà mattina, mentre stava spulciando le denunce delle persone scomparse, bussarono alla porta ed entrò un sergente. Aveva l'aria gongolante e sembrava molto soddisfatto di sé. — Cosa c'è, Leven? — chiese Pitt. — Una donna qui fuori al banco, signore, dice che il suo padrone è scomparso. Manca da casa già da un paio di giorni, sembra. E non è da lui, sostiene. Un tipo molto meticoloso, perché il signore è un professionista. Non manca mai a un appuntamento. Ne dipende la sua reputazione in quanto è sempre in contatto con aristocratici e gente del bel mondo. Non
può far aspettare gentiluomini e nobildonne, altrimenti non vanno più da lui. — Be', prendete nota, Leven — fece Pitt spazientito. — In questi casi non possiamo fare molto. Provate a parlarne con l'ispettore Brown, se pensate che la questione sia abbastanza seria. Ma Leven non era disposto a mollare. — Non è questo il punto, signore. Il fatto è che ci ha spiegato che tipo è; e sembra proprio, in tutto e per tutto, quel poveretto che avete trovato a Horseferry Stairs. Pensavo che forse volevate parlare con lei o magari anche portarla a vedere quel disgraziato. Pitt si arrabbiò con se stesso per non aver capito al volo. — Certamente, Leven. Grazie. Accompagnatela di sopra, per favore. E, Leven... avete avuto un'ottima idea. Vi saprò dire se si tratta di lui. — Grazie, signore. — Leven si ritirò, raggiante e soddisfatto, per tornare cinque minuti dopo con una donnetta robusta e florida dall'aria ansiosa e corrucciata. Appena vide Pitt cominciò a parlare. — Siete voi il signore al quale devo raccontarlo? Ormai sono due giorni che è sparito... o per essere esatti questo è il secondo... e sono già venuti a chiedermi se so dove è andato a cacciarsi. — Scrollò la testa. — E io non ne ho la più pallida idea, capite? Ma permettete che vi dica questo: che non è da lui, perché dopo tutti gli anni che gli tengo la casa, non ha mai lasciato che niente si intromettesse nel suo lavoro. Perché è preciso e puntiglioso... proprio così. Sempre pieno di premure. È così che è arrivato dove è adesso. — Cioè, dove, signora...? — chiese Pitt. — È quello che vi sto dicendo. Nessuno lo sa. Svanito. Pitt ci riprovò. — Prego, sedetevi, signora...? — Geddes. Io sono la signora Geddes. — Prese posto sulla seggiola di fronte a lui. — Grazie. — Si riaggiustò la gonna. — Dovete sapere che ormai gli faccio le pulizie e il resto da quasi dieci anni e conosco le sue abitudini. C'è qualcosa che non mi torna. — Come si chiama il suo padrone, signora Geddes? — Cathcart... Delbert Cathcart. — Potete descrivermi il signor Cathcart, per favore? — le chiese Pitt. — A proposito, dove abita? — A Battersea — replicò lei. — Proprio sul fiume. Ha una magnifica casa. La più bella di tutte quelle dove faccio la domestica. Ma cosa c'entra con il fatto che lui, a casa, non c'è? — Forse niente. Che aspetto ha il signor Cathcart, volete dirmelo, pre-
go? — Di statura più o meno normale — rispose lei con aria grave. — Non molto alto, né molto basso. Non corpulento, come tipo. Capelli e baffi biondi, sempre vestito molto bene. Abbastanza bello, immagino. Ma voi come farete a riconoscerlo da quello che vi dico? — Non sono sicuro che ci riusciremo, signora Geddes. Ma purtroppo ieri mattina un uomo è stato trovato morto in un barchino a fondo piatto, sul fiume. Non sappiamo chi è, ma somiglia molto al signor Cathcart stando alla vostra descrizione. Mi spiace chiedervelo, signora Geddes, ma non vorreste venire a guardare quest'uomo per dirmi se lo conoscete? — Oh! Be'... — Lo fissò per qualche istante. — Be', immagino che sarà meglio, vero? Meglio io, piuttosto di una di quelle signore del bel mondo che conosce lui. — E ne conosce molte? — domandò Pitt. Non sapeva neanche se l'uomo nella barca semisfasciata fosse Cathcart, ma era interessato a sapere tutto il possibile su di lui prima che la signora Geddes ne vedesse il corpo, casomai rimanesse tanto sconvolta da non riuscir più a connettere. — Come, no! — fece lei sgranando gli occhi. — È o non è il miglior fotografo di Londra? E sono belle sul serio le sue fotografie. Io non ho mai visto niente di simile. E la gente va in visibilio quando le vede. — Capisco. — Pitt si alzò in piedi. — Mi spiace, signora Geddes, ma non resta che andare all'obitorio per scoprire se quello che abbiamo lì è il signor Cathcart. Spero di no. La signora Geddes si alzò anche lei e si riaggiustò la giacca. — Sì, naturalmente. Vengo. L'obitorio era abbastanza vicino da poter essere raggiunto a piedi ma, per la strada, il frastuono era tale da rendere praticamente impossibile la conversazione. Carrozze, omnibus, carri passavano accompagnati da un rumoroso rotolio di ruote; i venditori ambulanti levavano il loro richiamo, uomini e donne parlavano e discutevano ad alta voce e un fruttivendolo davanti alla sua bancarella stava ridendo sgangheratamente alla battuta di spirito di un vecchietto. All'interno dell'obitorio tutto era molto diverso. Calarono su di loro il silenzio, e l'umidità e uno strano sentore che impregnava le pareti; improvvisamente il mondo dei vivi sembrò lontanissimo. Vennero condotti fino alle ghiacciaie dove venivano conservati i cadaveri. E il lembo del lenzuolo venne sollevato dalla faccia dell'uomo di Horseferry Stairs. La signora Geddes lo guardò e sussultò, con il fiato mozzo. — Sì — disse con voce
spezzata. — Oh, santo cielo... è proprio il signor Cathcart, pover'anima! — Ne siete veramente sicura? — Pitt insistette. — Oh, sì, è lui. — Poi girò le spalle e si nascose la faccia con la mano. — Cosa gli è successo? Non c'era bisogno di parlarle della veste di velluto verde o delle catene; perlomeno non ancora, e forse era del tutto inutile. — Purtroppo è stato colpito alla testa — le rispose. Lei sgranò gli occhi. — Volete dire che l'hanno fatto apposta? È stato assassinato? Ma perché? C'è qualcuno che poteva volerlo morto? Il signor Cathcart? Per derubarlo? — Sembra molto poco probabile. Sapete se c'è qualcuno che potrebbe aver litigato con lui? — No — rispose lei, decisa. — Non era il tipo. — Seguitava a tenere la faccia voltata dall'altra parte. — Dev'essere stata una persona veramente malvagia a fare una cosa del genere. Pitt fece segno all'inserviente dell'obitorio che poteva ricoprire il corpo. — Grazie, signora Geddes. E adesso vi sarei molto grato se voleste accompagnarmi a casa sua e lasciarmi scoprire quello che posso. Prenderemo un hansom. Vi sentite bene? — le domandò, osservando la sua faccia livida. — Volete fermarvi a bere qualcosa? — No, grazie — disse lei, stoica. — Molto gentile da parte vostra, ma quando arriviamo a casa penso io a preparare una bella tazza di tè per tutti e due. E non c'è tempo da perdere. Dovete trovare quelli che l'hanno fatto e mandarli a penzolare sulla forca. Pitt non rispose, ma continuò a camminarle di fianco finché non vide un hansom e lo chiamò. Poi le chiese l'indirizzo e lo riferì al vetturino. Gli sarebbe piaciuto domandarle altre cose sul conto di Cathcart ma lei sedeva con le mani strette in grembo, gli occhi fissi e, di tanto in tanto, si lasciava sfuggire un lieve sospiro. L'hansom attraversò con sordo rumore il Battersea Bridge e, raggiunta la riva opposta, svoltò a sinistra in George Street, andando ad arrestarsi davanti a una casa straordinariamente bella il pui lungo giardino scendeva fino al fiume. Pitt, pagato il vetturino, gli diede un messaggio da portare al commissariato locale di polizia, in cui chiedeva che un agente lo raggiungesse subito. La signora Geddes tirò su rumorosamente col naso; dopo aver scrollato lievemente la testa, imboccò il lungo viale e, tirata fuori di tasca una chiave, aprì la porta padronale. Appena entrato, Pitt si guardò attorno attentamente. L'atrio era di forma allungata e splendidamente illuminato da un fi-
nestrone che occupava in tutta la sua larghezza il vano delle scale, le quali si trovavano di lato, lungo una parete. Su un'altra, erano appese, incorniciate, diverse fotografie di gruppi di persone: una mezza dozzina di monelli vestiti di stracci che giocavano in strada e, accanto a loro, signore dell'alta società ad Ascot, volti incantevoli sotto una marea di cappelli eleganti. — Ve lo avevo detto che era bravo — disse la signora Geddes con tristezza. — Pover'anima. Non so cosa volete trovate qui. Non manca niente, e niente è stato rubato, a quel che posso vedere. Devono averlo assalito in strada. Perché lui non avrebbe mai avuto qui, in casa, quella razza di gente lì! — E che razza di gente aveva, invece? — chiese Pitt seguendola nel salotto che, per una casa di quelle proporzioni, era curiosamente piccolo, anche se molto elegante, con un tavolo e sedie in stile Sheraton, di legno lucido, e un tappeto di Bukara che a lui sarebbe costato almeno un anno di stipendio. Le finestre si aprivano su un lungo prato fiancheggiato da alberi che scendeva verso il fiume. Un salice sembrava una grotta verde e si rifletteva come un merletto sulla corrente che si muoveva appena appena. Un pergolato era coperto di rose e fra le foglie si intravedevano le arcate del traliccio bianco. La signora Geddes lo stava osservando. — Lo sfruttava moltissimo, proprio così. — Sospirò. — Alla gente piace essere ritratta nei bei posti. Specialmente alle signore. Fa un bell'effetto... romantico, come dire. I signori preferiscono qualcosa di grandioso. Vestiti in uniforme, per esempio. C'è stato uno stupido che ha voluto vestirsi come Giulio Cesare! — Sbuffò energicamente. — Dico io! — Ma il signor Cathcart non ha avuto obiezioni? — Pitt cercò di immaginarselo. — Certo che no! Anzi, lo ha aiutato. E poi, è il suo lavoro, giusto? Fare il ritratto alle persone ma con l'aspetto che a loro piace di più. Pitt si guardava intorno senza ben sapere cosa domandarle. Cathcart era stato ucciso lì? La risposta poteva avere una grande importanza. Questa casa era un ottimo posto per spingere sul fiume un barchino dal fondo piatto e farlo scendere fino a Horseferry Stairs. D'altra parte, c'erano dozzine di case e ville con il retro che dava sul fiume! — Riceveva gente qui? — domandò. — Organizzava feste? Lei lo guardò senza capirlo, nel modo più totale. — No, che io sappia. — Scosse la testa, ancora sconcertata. — Non avevate mai niente da mettere in ordine... un mucchio di piatti da
lavare, per esempio? — No, non erano mai molti. Non più di quelli che potevano servire a tre o quattro persone. Perché lo chiedete, signor Pitt? Dite che è stato assassinato. Sono cose che non succedono alle feste. Lui decise di raccontarle una mezza verità. — Era vestito come per un ricevimento... una specie di costume. Un po' difficile che sia uscito in strada a quel modo. — I suoi clienti sì, che si vestivano un po' da pazzi — rispose la donna, accalorandosi. — Lui no, mai! Probabilmente c'erano molte cose che la signora Geddes non sapeva sul conto di Cathcart, ma Pitt evitò di dirgliele. — Ha una barca, magari ormeggiata sul fiume in fondo al giardino? — le domandò invece. — Non so. — La sua faccia prese un'espressione rattristata. — Avete già parlato prima di una barca. È stato trovato su una barca, giusto? — Sì, precisamente. Avete messo un po' in ordine ieri, venendo qui? — Non c'era niente da fare. Ho pulito come al solito. Ho fatto un po' di bucato. Tutto come sempre... solo che il letto era in ordine: non ci aveva dormito ed è una cosa che capitava di rado, anche se era già successo qualche altra volta prima. — Strinse leggermente le labbra. Pitt lo interpretò come un gesto di disapprovazione. — Occasionalmente passava la notte altrove? Forse c'è un'amante? — Ricordando il vestito verde evitò di specificarne il sesso. — Be', non vedo come abbia potuto ammazzarlo lei — fece la signora Geddes inalberandosi. — E questo non vuol dire che io approvo certe faccende, perché non le approvo di sicuro! Ma lei non è cattiva. Né avida né sguaiata, mi spiego? — Sapete come si chiama? — Be', suppongo che sarà necessario dirvi anche questo, con tutto il resto. Il suo nome è Lily Monderell. — E dove posso trovarla? — domandò lui. — Oltre il ponte, a Chelsea. Immagino che l'abbia scritto da qualche parte. — Vi chiederei di accompagnarmi a fare il giro della casa per dirmi se c'è qualcosa che vi sembra diverso dal solito o fuori posto — le chiese Pitt. — Non riesco proprio a capire cosa credete di trovare — gli rispose la signora Geddes, battendo rapidamente le palpebre per ricacciare indietro le lacrime perché sembrava che tutto d'un tratto una cruda realtà, come la
morte di Cathcart, la lasciasse di nuovo sopraffatta. — Se ci fosse qualcosa di strano, l'avrei visto — soggiunse tirando su col naso. — State perdendo il vostro tempo. Sarebbe meglio andare in giro là fuori. — E indicò con la testa un punto imprecisato oltre la porta. — Ecco dove si trovano gli assassini e i loro compari. Era una casa dalle proporzioni armoniose, arredata con gusto eccentrico come se Cathcart avesse tenuto ben presente soprattutto l'utilità di tendaggi, ornamenti e gingilli da poter usare nelle sue fotografie. In ogni caso il risultato nel suo complesso era di eleganza e notevole bellezza. Un gatto egiziano dalle linee nitide e la sagoma allungata spiccava in contrasto con una elaborata icona russa dipinta in rosso, nero e oro. Il dipinto di un preraffaellita minore, che rappresentava un cavaliere in veglia davanti a un altare, era appeso sul pianerottolo del piano superiore e faceva spiccare stranamente, per contrasto, la semplicità di una composizione di foglie lanceolate. Tutto aveva un carattere spiccatamente originale e Pitt ne ricavò con chiarezza il senso della personalità di un uomo, dei suoi gusti, sogni e ideali. La signora Geddes gli mostrò ogni locale, tutti in un ordine immacolato. Non c'era nulla che si trovasse in posizione diversa da quella che ci si sarebbe aspettati: non c'erano sedie rovesciate o tavoli spostati; né un cuscino né un tendaggio apparivano fuori posto. Tutto era perfettamente pulito. Impossibile convincersi che lì dentro si fosse svolta qualche festa in costume durante la quale i partecipanti si erano abbandonati al genere di eccessi che la veste di velluto verde suggeriva, e sicuramente non alla violenza, se si pensava alla possibilità di un alterco e di una colluttazione fra due uomini, uno dei quali era stato ammazzato. L'ultima stanza che raggiunsero si trovava in cima a una rampa di scale che partiva dal primo piano; era su un pianerottolo più piccolo, e si estendeva per tutta la lunghezza della casa, con finestre e lucernari tanto ampi che la luce vi assumeva una limpidezza incredibile. Si capiva subito che si trattava dello studio dove Cathcart scattava molte delle sue fotografie. Una estremità era arredata come un salotto elegante; un lato guardava sul fiume e qualsiasi persona lì seduta avrebbe dato la sensazione di non avere dietro nient'altro, all'infuori del cielo. L'estremità più vicina del locale, quella su cui si apriva la porta, era ingombra, come un magazzino, di quello che a prima vista sembrava un ammasso di oggetti quanto mai disparati e bizzarri. — Io non vengo mai molto qua di sopra — disse piano la signora Ged-
des. — "Spazzate soltanto il pavimento" dice lui. "Un po' di pulizia. Non toccate niente." Pitt contemplò quell'agglomerato di oggetti con interesse. Anche senza spostare nulla, intravide un elmo da vichingo, adorno di corna lunate, una mezza dozzina di pezzi di un'armatura, un numero incalcolabile di rotoli di velluto, in una enorme varietà di colori, rossi e viola intensi, oro, colori pastello, tonalità avorio e terracotta. C'erano un ventaglio di piume di struzzo, due fagiani impagliati, uno scudo celtico rotondo con borchie di metallo, parecchie spade, lance, picche e uniformi da soldato e da marinaio. Un esame più accurato della stanza non rivelò niente che Pitt potesse veder collegato in qualche modo con la morte di Cathcart. In un grande armadio c'era una notevole quantità di altri abiti più o meno ricchi ed elaborati. Ma, visto che Cathcart fotografava frequentemente clienti di sesso femminile, c'era da aspettarselo. Non mancavano capi di vestiario maschili, di vari periodi storici, sia autentici sia di fantasia. C'erano quattro macchine fotografiche disposte accuratamente sui relativi cavalletti, con teli neri per oscurare la luce. Pitt non aveva mai visto una macchina fotografica tanto da vicino, e le esaminò con interesse badando a non danneggiarle: erano complicate cassette di metallo e legno con i lati di cuoio a soffietto, grandi all'incirca trenta centimetri cubi o poco meno, e su due di esse maniglie e guarnizioni in ottone apparivano lucidate di recente. Sul pavimento c'era anche un certo numero di lampade ad arco. Non erano alimentate a gas, ma ne partivano massicci cavi. — Elettrici: hanno una macchina che le fa funzionare. Dinamo, si chiama. Lui dice che in casa non si può avere la luce giusta per le fotografie, tranne che d'estate. E fa tutto da solo, naturalmente. Ha una camera speciale, per quello, giù in cantina, piena di roba chimica. Con un puzzo terribile. Lui però non mi lascia mai andare giù, perché potrei farmi male con qualcosa. — Non teneva mai qui qualcuno dei suoi ritratti? — domandò Pitt guardandosi intorno con curiosità. — I più recenti o quelli ai quali stava lavorando? — In quei cassetti. — Gli indicò uno stipo massiccio alla sua sinistra. — Grazie. — Pitt lo aprì e osservò le copie delle fotografie che vi erano contenute, esaminandole a una a una. La prima raffigurava una donna dall'aspetto molto singolare, abbigliata con una veste curiosamente esotica e con file e file di collane al collo. Ai suoi piedi, una cesta di rafia squisitamente intrecciata, dalla quale si snodavano le spire di un serpente che sembrava proprio vivo. Era un'immagine che attirava subito lo sguardo e
faceva riflettere non tanto per le possibili suggestioni da antico Egitto ma per il modo in cui era illuminato il volto della modella, che rivelava la forza del proprio potere e una calda sensualità. In una seconda foto un giovane uomo posava interpretando un personaggio che Pitt prese per san Giorgio, chiuso in un'armatura lucente con spada e scudo. L'elmo era posato su un tavolo accanto a lui. La luce faceva scaturire riflessi dai suoi occhi chiari e filtrando fra i capelli biondi li trasformava in una specie di aureola. Non era il ritratto di un cavaliere in guerra ma di un sognatore che combatte le battaglie dello spirito. Una terza fotografia coglieva la vanità, elemento essenziale di un volto, una quarta la dolcezza; una quinta l'indulgenza verso i propri piaceri, benché tutto ciò fosse talmente camuffato sotto i simboli della fantasia o della ricchezza da poter sfuggire a un occhio meno intuitivo. Pitt scoprì di provare un rispetto più profondo di prima per il fotografo e si rese conto come una tale abilità nel giudicare il carattere umano, e nel ritrarlo in modo tanto chiaro e perspicace, potesse avergli procurato non solo amici, ma anche nemici. Chiuse il cassetto e tornò a voltarsi verso la signora Geddes. In quel preciso momento sentì suonare il campanello della porta. — Forse sarà meglio che vada ad aprire — disse lei, guardandolo come per chiedergli il permesso. — Chiunque sia, devo dire che il signor Cathcart è morto, oppure no? — No, per favore — disse Pitt, pronto. — Ma spero che sia un agente del commissariato qui vicino. Almeno per una questione di cortesia devo informarli di quello che è successo, e se l'assassinio è stato commesso qui, si tratta della loro giurisdizione. Era effettivamente l'agente locale, un uomo simpatico, dalla faccia anonima, di mezz'età, di nome Buckler. Pitt gli spiegò succintamente quello che era successo ma poiché era necessario metterlo a parte anche dei particolari più macabri fece allontanare la signora Geddes prima di descriverli. — Be', confesso di essere molto meravigliato, signore — disse costui quando Pitt ebbe finito. — Il signor Cathcart era un artista, e un po' eccentrico, ma l'abbiamo sempre considerato un gentiluomo molto corretto. Certo che è una gran brutta faccenda! — Senz'altro — convenne Pitt, benché non si sentisse del tutto sicuro di essere d'accordo con Buckler per quanto riguardava la personalità di Cathcart. — La signora Geddes mi ha fatto girare per tutta la casa e dice che niente è fuori posto e non ci sono segni della presenza di altra gente, salvo
della signorina Lily Monderell, che credo sia l'amica di Cathcart. — Be', nel suo genere lui era un artista — ammise Buckler. — E c'è da aspettarselo. — Si guardò in giro. — Dunque, secondo voi è stato ucciso qui? Anche perché non riesco proprio a credere che qualcuno se ne vada in giro per le strade vestito come dite. Neanche di notte! Con molta probabilità è successo qui, e poi l'hanno sistemato nella barca e levato gli ormeggi. Pitt lo condusse indietro, attraverso tutte le stanze fino alla porta laterale che dava accesso al giardino, passando davanti al tinello in cui si trovava la signora Geddes. — Attento al tappeto — gli gridò lei. — L'orlo è tutto sfilacciato e ci si impiglia con le scarpe. Continuo a dirlo al signor Cathcart che dovrebbe farlo riparare. Pitt guardò il pavimento. Era ben lucidato, e completamente nudo. — Signora Geddes! Qui non c'è nessun tappeto. — Sì, che c'è, signore. — La sua voce si levò alta e limpida. — Non molto grande, verde e con del rosso dentro. L'orlo è sfilacciato, come dicevo. — No, qui non c'è, signora Geddes. Sul pavimento non c'è proprio niente. Sentì il rumore dei suoi passi e dopo un minuto lei comparve sulla soglia. Rimase a fissare con tanto d'occhi il pavimento lucido. — Be', che mi venga un accidente! Qui dovrebbe esserci un tappeto. È sparito! — Quando l'avete visto per l'ultima volta? — Dunque... fatemi pensare — sembrava strabiliata. — Sì, il giorno prima che il signor Cathcart... fosse... ecco, il giorno prima. Allora era qui perché ricordo di aver un po' insistito per convincerlo a farlo sistemare. — Non è possibile che ci abbia pensato il signor Cathcart direttamente? — Signornò — disse lei con fermezza. — Perché sono cose che lui di persona non fa. Lo avrebbe dato a me per portarlo a riparare. Penso che sia stato rubato. Ma perché qualcuno abbia voluto portar via proprio questo tappeto, vi giuro che non lo so! — Intanto stava fissando, con la fronte aggrottata, non il pavimento ma un vaso azzurro e bianco posato in una jardinière vicino alla parete. — Cosa c'è, signora Geddes? — chiese Pitt. — Anche quello non è il vaso giusto. È sbagliato il colore. Il signor Cathcart non avrebbe mai messo lì dentro un vaso azzurro e bianco per via delle tende che, là in fondo, sono rosse. Ci teneva un vaso grande rosso e oro. Era grande almeno il doppio di questo. — Scrollò la testa. — Non lo so, signor Pitt. Chi prenderebbe un vaso grosso come quello per mettere al
suo posto un altro vaso dai colori sbagliati? — Qualcuno che voleva nascondere il fatto che era scomparso qualcosa — rispose Pitt piano. — Qualcuno che non si è reso conto di quanto fosse buona la vostra memoria. Lei sorrise di soddisfazione. — Grazie... Volete dire che lo hanno ammazzato qui? Oh, mio... — Deglutì convulsamente. — Oh... — È solo una possibilità — si affrettò a dire Pitt in tono di scusa. — Magari potreste andare a mettere su il bricco... a fare quel tè che vi eravate ripromessa. — S'inginocchiò sul pavimento di legno e fece scorrere delicatamente le dita sullo zoccolo lungo la parete. Quasi subito sentì un'acuta puntura e raccolse una sottilissima scheggia di porcellana. La esaminò accuratamente. Uno dei due lati lisci era rosso cupo. — Trovato? — domandò Buckler chinandosi a guardare anche lui. — Sì... — Secondo voi è stato ucciso qui, signore? — Probabilmente. — Non c'è sangue — fece rilevare Buckler. — Lo hanno lavato via tutto? Senza lasciare neanche una traccia? — No, probabilmente si trovava sul tappeto. Buckler si guardò intorno. — Cosa ne ha fatto? Avete guardato in giardino? Fra i rifiuti? — No, in giardino non ho ancora guardato. Dovessi trovare qualcosa, preferirei che con me ci fosse anche qualcuno del vostro commissariato. Buckler si riaggiustò la giacca dell'uniforme e buttò fuori lentamente il fiato. — Bene, signore. Allora faremmo meglio a dare un'occhiata, vi pare? Pitt aprì la porta laterale e scese nel giardino dove gli alberi autunnali avevano ancora tutti i rami coperti di foglie mentre i castagni stavano cominciando a indorarsi. Gli aster erano un tripudio di fioritura di vari colori, viola, blu e magenta, mentre le ultime corolle del tagete curvavano i loro petali splendenti oltre le bordure dei prati erbosi. Qualche rosa di un tenue colore ambra e rosato cominciava lentamente ad appassire ma le sue tonalità erano più calde e luminose di quelle dell'estate. Oltre i sempreverdi la luce guizzava strappando barbagli dal fiume e mentre, con Buckler, Pitt s'incamminava attraverso il prato, scoprì che era più facile vedere l'ombra scura dove il salice s'incurvava con le sue fronde creando l'illusione di una specie di grotta sulla sponda e su una ventina di metri d'acqua. Si muovevano lentamente, gli occhi fissi sul terreno, cercando impronte
e tracce del recente passaggio di qualcuno. — Ecco, signore — disse Buckler a denti stretti. — Credo che qui sia stato trascinato qualcosa. L'erba è tutta schiacciata. E qualche stelo, rotto. Pitt aveva visto anche lui. Qualcosa di pesante era caduto e poi era stato trascinato avanti. — Immagino che abbia portato Cathcart il più lontano possibile, poi lo ha lasciato cadere qui e lo ha trascinato per tutto il resto del percorso — disse. Procedette sopravanzando Buckler fino alla riva del fiume. Qui le erbacce erano schiacciate pesantemente ma la marea che con il suo flusso e riflusso si era alzata e abbassata quattro volte negli ultimi due giorni aveva cancellato qualsiasi eventuale traccia sotto la linea dell'acqua alta. C'era un palo dove poteva essere stata legata una barca. Pitt rimase a fissare quella superficie dalle tonalità brune e terracotta scuro, come la torba, sulla quale si rifletteva il sole. Passò qualche istante prima che notasse l'estremità bianca di un altro frammento di porcellana, e poi di un altro ancora. Fu Buckler che vide la massa del tappeto arrotolato che affondava parzialmente sotto il salice, sfiorato dai rami. Pitt risalì fino alla baracca degli attrezzi del giardino per procurarsi un rastrello dal lungo manico e, insieme, riuscirono a tirare quella massa all'asciutto. La svolsero e la esaminarono attentamente. Ma il tappeto era rimasto immerso in acqua e fango troppo a lungo per poter dire se qualcuna delle macchie che vi si notavano fosse di sangue, oppure no. — È successo in casa, e poi lo hanno portato fuori per metterlo nella barca — disse Buckler con voce tetra. — Chiunque sia stato, ha rotto quel vaso e buttato qui i pezzi, e anche il tappeto arrotolato, per via del sangue. — Pitt era propenso a dargli ragione, e glielo disse. Comunque più un'indagine veniva ritardata, e più difficile risultava. — Dev'essere stato un tipo grande e grosso, robusto — disse Buckler dubbioso — per portarlo giù fin qui dalla casa e caricarlo sulla barca. — Oppure qualcuno lo ha aiutato — fece rilevare Pitt, benché non credesse molto a quell'ipotesi. — Non ci resta nient'altro da fare qui. — Si guardò intorno fissando il giardino silenzioso e il fiume che scorreva rapido. Intanto che erano lì, la marea si era già alzata di parecchi centimetri. — Meglio tornare al vostro commissariato. Questa è la vostra zona. Il sovrintendente Ward non aveva nessuna voglia di accollarsi quel caso e lo fece capire a Pitt in termini inequivocabili: dal momento che il cadavere era stato trovato a Horseferry Stairs e Pitt aveva già dato inizio alle indagini, che le continuasse pure.
— Fra l'altro — gli fece notare cercando di dar peso a questo fatto — Delbert Cathcart era un fotografo molto importante. Lavorava moltissimo con l'alta società. Questo potrebbe essere uno scandalo molto spiacevole... sul serio! Bisogna trattarlo con una grande discrezione! Tellman tornò da Dover stanco e accaldato e, dopo aver preso una tazza di tè e un sandwich alla stazione, si recò in Bow Street per fare il suo rapporto a Pitt. — Adesso di lui a Dover non c'è traccia — gli spiegò con un misto di sollievo per non essere stato costretto ad arrestare un diplomatico francese, e di delusione perché, a questo modo, aveva dovuto rinunciare a un viaggio in Francia. — Però c'è stato. Aveva prenotato un posto sul traghetto per Calais, ma non si è fatto vedere. Su questo punto li ho interrogati, mettendoli alle strette, ma ne erano assolutamente sicuri. Ovunque si trovi, quindi, è ancora in Inghilterra. — Il cadavere nella barca non era quello di Bonnard — disse Pitt. — Si tratta di un fotografo dell'alta società, di nome Delbert Cathcart. Abitava a Battersea, proprio al di là del fiume di fronte a Chelsea; aveva una casa molto bella con un giardino sul retro che scende fino al fiume. — E raccontò a Tellman di aver anche trovato il posto esatto dove Cathcart era stato portato fin giù, alla barca, e tutto quanto riguardava il vaso in pezzi e il tappeto macchiato. Tellman gli sedette di fronte, corrucciato — Ma dov'è Bonnard, allora? Perché si è spinto fino a Dover per poi scomparire? Sospettate che sia stato lui a uccidere... come si chiama... Cathcart? — Non c'è nessuna ragione di pensare che fra i due ci sia un legame — disse Pitt con un sorrisetto acido. Sapeva bene quale fosse l'opinione che Tellman aveva degli stranieri. — Stasera andremo a far visita a Lily Monderell. — La sua amante? — domandò Tellman con un tono che trasudava il disprezzo. Nutriva un livore profondamente radicato per molte cose, privilegi, ingiustizie, avidità, e benché lo negasse accanitamente, era un uomo di grande rigore morale e le sue idee sul matrimonio e sulle donne erano conservatrici. — Da qualcosa dobbiamo pur cominciare — rispose Pitt. — Nessun segno di infrazione in quella casa. Quindi dobbiamo presumere che conoscesse il suo assassino e che l'abbia fatto entrare personalmente. Non aveva nessun motivo per temere qualcosa da parte sua. La signora Geddes non ha idea di chi possa essere. Forse la signorina Monderell sa qualcosa di più.
— Ha altri domestici? — domandò Tellman. — Questa signora Geddes gli faceva tutto? — A quanto pare sì. Pranzava fuori spesso e non ci teneva ad avere un domestico personale. Veniva qualcuno a fare i lavori grossi due giorni alla settimana, e c'era un giardiniere, ma nessuno lo conosceva meglio della signora Geddes. — Allora suppongo che sarà meglio vedere quest'amante. — Tellman si arrese di malavoglia. — Non c'è tempo per un pasto vero e proprio, prima? — Magnifica idea — accettò Pitt con piacere. Preferiva trovare un pub caldo e rumoroso e mangiare con Tellman piuttosto di tornare a casa, al silenzio di Keppel Street, ed essere costretto a cenare da solo al tavolo di cucina. Pitt, nel suo cervello, si era già fatto un quadro di Lily Monderell. Doveva essere una di quelle donne che un uomo si porta a letto ma non sposa, un tipo piuttosto volgare e, naturalmente, avida. E bella, anche, altrimenti non avrebbe avuto successo. Chissà perché se la immaginava bionda, prosperosa e vestita vistosamente. Quando, con Tellman vennero fatti passare nel suo salotto di Chelsea, rimase sconcertato senza saperne spiegare il perché. A parte il fatto che era bruna, rispondeva molto bene all'idea che se ne era fatto. Bellissima, con occhi audaci, una larga bocca sensuale e una massa di capelli lucenti, castano scuro, era florida di figura e l'abito che indossava ne metteva in evidenza tutte le attrattive. Rimase turbato accorgendosi di trovarla quasi attraente. Aveva un viso lieto, pronto al sorriso, e dal momento in cui entrarono in quella stanza calda e accogliente con i paralumi color di rosa, si mise a flirtare con Pitt. — Sono molto spiacente — concluse Pitt dopo averle dato la notizia della morte di Cathcart, di cui le aveva risparmiato i particolari. Lei sedeva sul divano con l'ampia gonna del vestito, di un rosa caldo tendente al rosso, che le si gonfiava intorno. Si appoggiò meglio contro la spalliera, più che altro per abitudine, esibendo ancora di più le curve generose del suo corpo. — Ma guarda, povero Delbert — disse commossa. — Non riesco proprio a capire chi possa avergli fatto qualcosa di tanto perverso. — Sospirò. — Si era fatto dei nemici, naturalmente. Più che naturale quando uno è veramente bravo in quello che fa, e lui era brillante. — Che genere di nemici, signorina Monderell? — domandò Pitt. — Rivali nella sua professione? — Non tali da arrivare a ucciderlo, amico mio — rispose lei con un sor-
riso agro. — Avete visto qualcuno dei suoi lavori? — Sì, e li ho trovati estremamente buoni. Qualche cliente non è rimasto soddisfatto? Il sorriso di lei si accentuò rivelando denti bellissimi. — Ecco, oserei dire che non conoscete i suoi clienti — gli rispose. — Avete visto la signora vestita da Cleopatra... con la serpe? — Sì. — Su, da bravo, carino! Cosa ne avete pensato? Ditemi la verità, costi quello che costi! Il povero Delbert se lo merita. — L'ho trovato straordinariamente forte — replicò Pitt diventando un po' rosso in faccia. Lily Monderell buttò indietro la testa e scoppiò in una fragorosa risata. Tellman rimase scandalizzato. Il suo amante era appena morto, lei aveva ricevuto la notizia pochi minuti prima, ed eccola lì a ridere! Cercò di prendere un'espressione corrucciata per farle capire la sua disapprovazione e tutta l'allegria di Lily, che gli aveva lanciato un'occhiata, si smorzò. — Non dovete fare quella faccia, carino — disse gentilmente. — Lui non avrebbe voluto che nessuno facesse quella faccia lì, come se avesse bevuto del latte andato a male. Lui si aspetterebbe di vederci andare avanti... specialmente io. Lo conoscevo, capite. E voi, no, per niente. — Tellman non seppe cosa rispondere. Lily rispondeva in pieno all'immagine che si era fatto di donne del genere. Ma, dentro, era diversa, più vìva, più inquietante, e questo lo confondeva. Lei tornò a rivolgersi a Pitt. Il viso ravvivato dall'interesse e dal divertimento. — Forte? — disse con uno strano tono. — Con quanta cura scegliete le parole, sovrintendente. Coraggio! Siate onesto — lo incitò. — Che tipo di donna è quella? Un mezzo sorriso aleggiò intorno alla bocca di Pitt — Nel ritratto... una donna egoista e sensuale — rispose. — Impetuosa, spietata, molto sicura di sé. Una dubbia amica e una cattiva nemica. Lei fece segno di sì, molto lentamente, con la testa, gli occhi lucenti di soddisfazione. — Vedete? È tutto lì nel ritratto. Lo guardate una sola volta e la conoscete meglio di quanto lei non voglia essere conosciuta. Questo era il suo genio. Ecco cosa poteva fare, e quando voleva. Una luce qua o là, un'ombra, qualcosa nello sfondo. Rimarreste molto sorpreso nello scoprire come la gente trovi spesso di suo gusto quel genere di cose che ne rivelano il vero carattere. Pitt si protese leggermente verso di lei. — Che genere di cose... aggiun-
geva lui? — Ecco, la serpe, naturalmente. — E lei cominciò a ricordare. — E, per esempio, alcune farfalle per una giovane donna del bel mondo. Lei le trovò bellissime... e lo erano. Ma riflettevano anche, e fin troppo bene, il suo carattere. — Adesso sorrideva parlando. — E uno specchio, coltelli, frutta, bicchieri di vino, animali impagliati, diversi generi di fiori... cose di ogni tipo. E anche la disposizione delle luci faceva una gran differenza. Pitt stava riflettendo. — E si faceva dei nemici con queste sue intuizioni? — Non sapete valutare quanto sia forte la vanità, se fate questa domanda — rispose lei, e lo guardò scrollando il capo. — Ma non conoscete proprio le persone? Eppure siete un detective, se non sbaglio. — Come già avete detto, signorina Monderell, voi conoscevate Cathcart, e io no. — Poi Pitt, improvvisamente, cambiò linea di indagine. — Aveva ereditato la sua ricchezza oppure se l'era guadagnata con la fotografia? Lei sembrò sconcertata per un momento. — Non ne parlava mai. Era generoso ma, per quello, io non avevo bisogno di lui. Pitt abbassò gli occhi guardandosi le mani. — Non dipendevate finanziariamente da lui? Eravate amanti o semplicemente amici? Gli sorrise scrollando piano la testa e le lacrime le rigarono le guance. — Capisco cosa volete dire, e vi sbagliate. Eravamo amanti. Le donne gli piacevano e non ho mai immaginato di essere l'unica... ma con me era differente. Non è mai stato un grande amore, però stavamo bene insieme... lui era divertente, ed è più di quanto si possa dire di molta gente. Mi mancherà. — Si asciugò le guance. — Io... io vorrei poter pensare che è stata una cosa rapida... che non ha sofferto... — Direi che non se ne è neanche accorto — replicò Pitt gentilmente. Lei lanciò un'occhiata a Tellman. E lui confermò: — Un colpo alla nuca. Probabilmente la cosa è stata immediata. — Trasalì perché si stava accorgendo che avrebbe voluto consolarla. Eppure lei rappresentava tutto quanto poteva attirare la sua disapprovazione, e più diversa di così da Gracie non avrebbe potuto essere. Minuta, esile, con grandi occhi e un faccino animato e pieno di spirito, Gracie era premurosa, d'intelligenza pronta e coraggiosa. Insomma esattamente l'opposto del tipo di donna che lo aveva sempre attirato e un giorno pensava di sposare. Che assurdità! Gracie non aveva neanche simpatia per lui. Lo tollerava perché lavorava con Pitt, e niente più. Intanto Pitt continuava a parlare con Lily Monderell, chiedendole della
vita di Cathcart, di come si vestiva, se frequentava teatro, feste e ricevimenti, e chi erano le persone con cui trascorreva il suo tempo quando non andava in cerca di clienti. — Certo che andava alle feste — rispose Lily pronta. — Di ogni genere, ma gli piaceva soprattutto il teatro. Era quasi una parte di quello che faceva. — Si metteva in costume? — Volete dire se si travestiva per qualche ballo in società e via dicendo? Probabilmente. Come fanno quasi tutti. — Si accigliò. — Perché? Cosa c'entra con chi lo ha ucciso? — Indossava... una specie di costume — replicò Pitt. Lei sembrò stupita, un po' sconcertata. — È stato qualcosa di diverso dal solito. Lui preferiva la... banalità. A suo giudizio, quel che uno sceglieva come costume, per travestirsi, rivelava troppo di quello che vi era sul serio. Cosa portava addosso quando è morto? Pitt esitò. Lei s'incupì. — Cosa? Pitt alzò gli occhi a guardarla. — Una veste di velluto verde — rispose. — Veste? Non potete spiegarvi meglio? — Evidentemente lei non capiva. — Voglio dire un vestito femminile — le spiegò meglio Pitt. Lo fissò con tanto d'occhi. — Ma è... ridicolo! Lui non ha mai portato niente del genere. Qualcun altro glielo ha messo addosso... dopo... — Lily rabbrividì e batté rapidamente le palpebre, come per ricacciare indietro le lacrime. — Speravo che voi foste in grado di dirci chi poteva essere — insistette Pitt. La sua voce si levò acuta, più tagliente. — Ebbene no, non posso! I suoi amici erano pittoreschi, un po' matti, spendevano molto per godersela e divertirsi, ma non per fare cose simili! Povero Delbert. Vi aiuterei se potessi, ma non è nessuno dei suoi amici che io conosco. Voglio che facciate il possibile per trovarlo, signor Pitt. Delbert non se lo meritava. A volte era un po' troppo brillante e spiritoso, e non sempre capiva quando era opportuno tenere per sé le proprie osservazioni... e questo è qualcosa che ti può creare delle inimicizie. Lui era troppo acuto e intuitivo... ma un brav'uomo. Gli piacevano uno scherzo ben riuscito, un bel ricevimento... ed era generoso. Trovate chi è stato a fargli quello che ha fatto... — Farò tutto quello che posso, signorina Monderell — promise Pitt. — Se foste così gentile da fornirmi una lista degli amici del signor Cathcart,
vedremo se anche qualcuno di loro può aiutarci. Lei si alzò con un movimento pieno di garbo e si avvicinò allo scrittoio facendo frusciare l'ampia gonna dell'abito, e un'ondata di profumo, dolce e intenso, arrivò alle narici di Tellman lasciandolo, di nuovo, più confuso che mai. 4 Mariah Ellison era nervosa. E questo la faceva indispettire perché era qualcosa che aveva saputo evitare per più anni di quanto ricordasse, cioè molti, moltissimi. Tutta colpa di Caroline. Del resto, gran parte di ciò che adesso era spiacevole poteva considerarsi colpa di Caroline. Immaginatevi un po', sposare un attore. Quella donna doveva essere uscita di senno. Non che non avesse mai avuto molto. Era sembrata non priva di un certo buon senso quando aveva sposato Edward, l'unico figlio maschio di Mariah. La morte di Edward doveva aver contribuito a farla uscire di testa. Lei, Mariah, non era andata in pezzi quando il padre di Edward era morto e l'aveva lasciata vedova più o meno alla stessa età. Ma lei era di una generazione diversa da quella di Caroline, e aveva una spina dorsale di ferro. Chi era questo Samuel che Caroline si era affrettata a invitare per il tè? A quanto pareva, gli aveva scritto un biglietto proprio quella mattina facendoglielo recapitare da un fattorino all'albergo dove il signor Ellison alloggiava durante il suo soggiorno a Londra. Lui aveva mandato indietro la risposta per mezzo dello stesso ragazzo: accettava e sarebbe stato felicissimo di venire a far visita alle signore quello stesso pomeriggio alle tre. Naturalmente Mariah aveva portato con sé la propria cameriera, Mabel, venendo da Ashworth House. Era il minimo, quanto a comodità, che potessero fornirle. Quindi fu Mabel a tirarle fuori il suo miglior abito nero da pomeriggio; era vedova, lei, e come la regina si era rifiutata di portare qualcosa che non fosse nero in quegli ultimi venticinque anni. Mabel l'aiutò a infilarlo e la vecchia signora bofonchiò esaminandosi allo specchio un'ultima volta, si riaggiustò il colletto di pizzo e si avviò alla porta della camera da letto. Chi era, insomma, questo Samuel Ellison? Naturalmente sapeva che suo marito era già stato sposato. Non l'aveva mai detto a Caroline perché non era necessario che Caroline lo sapesse e, in più, si trattava di un argomento che lei non aveva nessun desiderio di discutere con qualcuno. Non aveva
mai saputo che ci fosse stato un figlio. Era perfettamente possibile che quest'uomo fosse un impostore, ma se somigliava davvero a Edward in un modo tanto clamoroso, c'era da presumere che fosse sincero. E lei lo avrebbe capito subito, appena lo avesse visto. Aprì la porta e uscì sul pianerottolo. Era assolutamente inutile agitarsi, perfino nel caso in cui quest'uomo fosse chi sosteneva di essere. In caso positivo, sarebbe stata amabile con lui e il pomeriggio sarebbe passato abbastanza piacevolmente. Se fosse stato pieno di lascino, interessante, divertente, tanto meglio. Se era un impostore, avrebbe suonato per chiamare il maggiordomo e lo avrebbe fatto accompagnare alla porta senza tante storie. Scese le scale ed entrò in salotto. Caroline era in piedi, vicino alla finestra e guardava fuori. Si voltò all'ingresso della vecchia signora. Caroline, molto bella per la sua età, aveva una luce negli occhi e un colorito luminoso sulle guance che erano disdicevoli in una donna matura. Avrebbe dovuto sapere come comportarsi con più discrezione. E quella tonalità di rosso bordò era troppo calda e intensa. — Sei vestita in un modo troppo ricercato — osservò la vecchia signora con aria critica. — Lui penserà che è venuto a cena. Sono appena le tre del pomeriggio. — Be' — ritorse Caroline — e voi invece sembrate vestita per un funerale. La vecchia signora raddrizzò le spalle irrigidendosi. — Io sono vedova. Come lo sei tu, o lo eri... fino a quando non sei andata a sposare quell'attore! C'era da pensare che per deferenza al fatto che quest'uomo, a quanto sembra, fa parte della nostra famiglia e suo fratello è morto, tu ti rendessi conto che era meglio indossare qualcosa di più adatto alla circostanza. — E si accomodò pesantemente nella poltrona più comoda. Caroline la guardò attentamente. — Non ci avete mai detto che papà era già stato sposato. La vecchia signora evitò di ricambiare il suo sguardo. — Non era qualcosa che ti riguardasse — disse gelida. — Lei è stata una donna di... — Una volta tanto, rimase incerta. Ricordi foschi cominciarono ad affiorarle nella mente e tentò di respingerli. — È scappata. — La sua voce diventò più aspra. — Lo ha abbandonato. Se n'è andata con chissà quale ignobile avventuriero... — Era una bugia, ma più facile da credere o da capire. — Naturalmente non se ne parlava mai. Nessuno lo avrebbe fatto. — Chissà! Forse Edward avrebbe desiderato sapere che aveva un fratel-
lastro — commentò Caroline con molta gentilezza. — Nessuno lo sapeva — replicò la vecchia signora, e la sua voce, adesso, era più ferma. Vero, anche quello. Lei stessa non aveva mai avuto la minima idea che Alys fosse incinta. Edmund, se lo avesse saputo, non le avrebbe mai permesso di andarsene. Perdere un figlio sarebbe stata una faccenda ben diversa. Con un gesto deliberato allargò le dita che teneva strette a pugno. Erano fredde e un po' umidicce per la tensione. Ricordi da tempo respinti e accantonati affluivano alla sua mente, una sofferenza diffusa, cose negate tanto a lungo... Ma perché non arrivava qualcuno in modo che lei non fosse costretta a lottare con tanto impegno per non pensare? Eccolo. Una carrozza fuori. Passi in anticamera, mormorio di voci. Grazie a Dio. La porta si aprì e il maggiordomo annunciò il signor Samuel Ellison. Era alto, di bell'aspetto, e indossava una giacca e un panciotto all'ultima moda, ma tutto questo non diceva niente a Mariah. Le morì quasi il fiato in gola quando vide il suo viso. Assomigliava talmente a suo figlio e si sentì travolgere da un'ondata di disperazione tale, per averlo perduto, che fu quasi come provare un dolore fisico. Ecco quest'uomo del quale, fino a quella mattina, aveva ignorato l'esistenza: e aveva gli stessi occhi, la stessa forma della testa, lo stesso modo di muoversi. Caroline gli stava mormorando qualche parola di benvenuto e subito, prima che Mariah si fosse preparata, glielo veniva a presentare. Lui si inchinò, sorridendole, con espressione piena di interesse mentre la guardava in viso. — Piacere, signora Ellison. È veramente squisito da parte vostra ricevermi così, quasi senza preavviso. Ma dopo tanto tempo che speravo di conoscere la mia famiglia inglese, non sono davvero riuscito ad aspettare un altro giorno ancora. — Piacere, signor Ellison — rispose lei. Com'era difficile dire quel nome, il suo nome, a un estraneo. — Spero che il vostro soggiorno in Inghilterra sarà piacevole. — Lo è già — lui le assicurò con un sorriso. — E continua a diventarlo sempre di più. Con uno sforzo, lei gli diede una risposta cortese e quando tutti si furono seduti, il discorso prese il solito avvio: si scambiarono commenti e banalità usuali, i più innocui e insignificanti possibili. Tuttavia, quasi subito la conversazione prese un andamento diverso. Caroline aveva fatto una delle solite domande sulla giovinezza di Samuel e lui, rispondendole, si era messo a darle una descrizione vivace e colorita di New York dove, almeno così
sembrava, sua madre era sbarcata dal bastimento con cui aveva attraversato l'Atlantico. — Sola? — Mariah chiese sbalordita. — E come ha fatto? — Oh, erano in molti nelle stesse condizioni — replicò lui disinvolto. — Si aiutavano l'uno con l'altro, come stavo dicendo alla signora Fielding ieri sera. — E rivolse un sorriso a Caroline. — E poi, mia madre era una donna con un coraggio straordinario, non ha mai avuto paura del duro lavoro. Mariah quasi non riuscì ad ascoltare la conversazione che continuava. La sua mente era piena dei pensieri di questa donna che non aveva mai visto, era stata la prima moglie di Edmund ed era fuggita in America da sola... Perché lo aveva fatto se non per seguire un amante? La risposta si trovava, come una bieca e perversa minaccia appena al di fuori della sua portata, ma vicina... troppo vicina. — E poi siete rimasto a New York? — gli chiese Caroline. — Oh, no — rispose Samuel con un largo sorriso. — A vent'anni, ho deciso di andare all'Ovest, soprattutto per viaggiare e vedere quei luoghi, mi capite? — E avete lasciato la vostra povera madre? — chiese Mariah con un certo sarcasmo. — Oh, credetemi, signora, mia madre era capacissima di badare a se stessa a quel punto — le assicurò, sistemandosi più comodamente nella sua poltrona. — Aveva un piccolo atelier di moda e vi faceva lavorare parecchie ragazze. Si era fatta degli amici e conosceva moltissima gente. Le sono mancato, almeno spero, ma non ha battuto ciglio quando io me ne sono andato all'Ovest, prima a Pittsburgh e poi nell'Illinois. — Continuò con meravigliose descrizioni delle grandi pianure che si estendevano per più di millecinquecento chilometri a occidente, fino alle pendici delle Montagne Rocciose. Mariah cominciò a rilassarsi. Voleva semplicemente intrattenerle, a ben pensarci. Come la maggior patte degli uomini, amava essere al centro dell'attenzione. Ma a differenza di molti era bravissimo nel raccontare un aneddoto e possedeva un gran senso dell'umorismo. Le guance di Caroline erano arrossate e lei non gli aveva praticamente tolto gli occhi di dosso da quando aveva cominciato a parlare. Il tè venne portato, versato e servito. No, in fondo, non andava poi troppo male. — Ma siete ritornato a New York — fece Caroline. — Sono tornato all'Est quando mia madre si è ammalata — le rispose
Samuel. — Certamente. — assentì lei. — Certamente. Era naturale che voleste occuparvi di lei. Non si è mai più risposata? Sulla faccia di Samuel si disegnò una curiosa espressione, un misto di pietà e di qualcosa che avrebbe potuto essere rabbia. Mariah si sentì correre da capo a piedi un brivido ammonitore. Avrebbe voluto dire qualcosa per tagliar corto alle domande inquisitrici di Caroline, la quale stava dicendo: — Dovevate essere molto uniti dopo aver sopportato insieme tante cose. Il viso di lui si addolcì e i suoi occhi si illuminarono di una profonda tenerezza. — Infatti. E per quanto desiderassi ritrovare la mia famiglia inglese, fintanto che lei è stata viva credo che non avrei mai lasciato l'America. Non ho mai conosciuto una persona, uomo o donna, con più coraggio e forza di volontà per seguire le proprie scelte ed essere se stessa, costasse quel che costasse. Caroline sorrise. — E costa — ammise fissando intensamente Samuel. — Si può essere così incerti, così pieni di dubbi, ci si può sentire talmente soli... e non sempre si può tornare indietro. A volte è troppo tardi perfino prima di rendersi conto di quanto si è pagato. Samuel la guardò lasciandole chiaramente capire quanto l'ammirasse. — Vedo che lo avete interpretato a perfezione, signora Fielding. Credo che vi sareste piaciute, mia madre e voi. Sembra che la pensiate come lei. Mariah s'irrigidì. Ma cosa stava dicendo? Quella donna aveva lasciato suo marito ed era scappata in America. Lui ne stava parlando come se questa fosse addirittura una virtù. Quanto sapeva? Lei non avrebbe mai, sicuramente... non avrebbe mai potuto... nessuna donna lo avrebbe fatto! Doveva agire, adesso, prima che fosse troppo tardi. — Eravate là, suppongo, durante quella guerra sciagurata? — disse di punto in bianco. — Dev'essere stata sgradevolissima. — Quello che dite non basta quasi a cominciare a descriverla, signora Ellison — disse Samuel gravemente. — Ogni guerra è spaventosa, ma quella fra i cittadini di una stessa nazione, fra gente che addirittura si conosce, persino tra fratelli, padri e figli, è la più terribile. — E descrisse alcuni avvenimenti come lui li aveva vissuti. — A volte sono le sciocchezze che ti danno la forza di andare avanti, e penso che lo potete capire se vi è mai capitato di provare una tale paura da sentirvi lo stomaco chiuso come se aveste un pugno al suo posto. Un'ondata di calore salì al viso di Mariah mentre i ricordi le si affollava-
no intorno come un'onda di marea, imprigionandola: antiche memorie che aveva seppellito anni prima, seguite da un tal senso di gelo da rimanerne agghiacciata. Come osava quest'uomo darle una sensazione simile? Come osava sbucare all'improvviso dal nulla e risvegliare il passato? Fu Caroline che interruppe il silenzio. — Ne parlate con tale passione che riuscite addirittura a farci provare qualcosa di ciò che conoscete — mormorò. — E vostra madre, a quell'epoca? — riprese ancora con gentilezza, mentre Mariah, se avesse potuto, l'avrebbe presa a calci. Il viso di Samuel s'illuminò di una dolcezza tale da trasformarlo profondamente. Per la prima volta la sicurezza di sé scomparve e al suo posto si vide per un momento un uomo più vulnerabile. Mariah avrebbe voluto trovarlo simpatico per questo ma non ci riuscì, perché aveva paura di quello che lui poteva dire ancora. — Mia madre ha pensato a se stessa, signora — rispose senza impedire alla propria voce di vibrare d'orgoglio. — E anche a molte altre persone. Aveva tutto il coraggio del mondo. Mai una volta si è tirata indietro quando c'era da lottare per quello che considerava fosse giusto... per vincere o perdere. — Alzò lievemente la testa. — Mi ha insegnato tutto quello che so sul modo di affrontare un nemico, e non ha importanza quello che si prova o se si ha paura di quello che può costare. Ho pensato spesso, nei miei momenti più difficili, che mi piacerebbe essere degno di lei. Oso dire che questo vale anche per molti altri uomini. Mariah si accorse che l'infelicità la dilaniava, si era trasformata in una specie di morsa ferrea alla quale non sarebbe mai stato possibile sfuggire. Maledetto! Perché era venuto? E accidenti a Caroline che glielo aveva permesso. È facile parlare di coraggio quando la battaglia è onorevole e tutti sono comprensivi. Quando non si prova una vergogna da morire! Ma, poi, era proprio di questo che lui stava parlando? Sospettava... forse sapeva? Fissò quel suo viso pieno di fascino, arguto, tanto simile nei lineamenti a quello di suo figlio, ma non riuscì a interpretarne l'espressione. E non poteva rivolgersi a nessuno, a Caroline no, di sicuro. Lei non doveva mai sapere. Sarebbe stato insopportabile, ora, se Caroline avesse dovuto sapere cosa nascondeva il suo segreto da tanto tempo sepolto. Meglio morire ed essere decorosamente seppellita in qualche posto... perfino accanto a Edmund. Ma non si muore semplicemente perché si vuole. Lei lo sapeva fin troppo bene. Avevano ricominciato a parlare. Quel brusio la frastornava ronzandole intorno come un barattolo pieno di mosche. — E New York? È molto cambiata dopo la guerra? — domandò Caroline. Era chinata lievemente in
avanti, in una posizione che le tirava sulle spalle la seta bordò del vestito, l'espressione intenta. — Sì, era cambiata in un modo incredibile — stava rispondendo Samuel. — La guerra aveva prodotto una serie costante di mutamenti. — E si accinse a descriverne i colori, la violenza, la corruzione e l'animazione. Il suo racconto era talmente affascinante che perfino la vecchia signora non poté fare a meno di ascoltarlo, sia pure di malavoglia. — Sono sicuro che non potreste immaginare, signora Ellison, che cosa abbia significato per un giovane appena tornato dalle durezze e dalla paura di una guerra. — Poi passò dalla vita cittadina alle sue avventure nell'Ovest. — Gli uomini e le donne che viaggiavano su quei carri sono stati fra le persone più oneste e coraggiose che io abbia mai conosciuto. Sopportavano la vita dura senza lagnarsi, eppure le sofferenze erano tali da far piangere. Ce n'erano di ogni genere: tedeschi, italiani, svedesi e francesi, spagnoli, irlandesi e russi, ma quanti ne arrivavano anche di qui! Mi è capitato di incontrare un gruppo di inglesi che spingevano delle carriole sulle quali era ammucchiato tutto quello che possedevano, e le donne camminavano al loro fianco, qualcuna con un bambino in braccio, diretti a Salt Lake Valley. Dio solo sa quanti ne sono morti lungo la strada. — Non riesco a immaginarlo — mormorò Caroline. — Non so come la gente riesca a trovare il coraggio. — Intanto osservava Samuel e pensava alla sera prima a teatro, e a come tutto era stato profondamente diverso. Vedeva ancora benissimo con gli occhi della mente Cecily Antrim, con quella figura così vivida, sotto le luci della ribalta, i capelli che le formavano un alone intorno al viso, ogni gesto carico di passione e di un'angoscia che rimaneva imprigionata dentro di lei. Voleva talmente tanto di più di quello che aveva! Una donna come lei sarebbe mai stata capace di concepire cosa potesse significare la pura e semplice lotta per la sopravvivenza? Oppure i sentimenti erano gli stessi e solo l'oggetto di quella bramosia insaziabile era diverso? Si anelava all'amore, alla libertà di essere se stessi, non costretti e controllati dalle aspettative della società in cui si viveva, con la stessa forza impetuosa con cui si spasimava per la libertà religiosa o politica? Cecily Antrim stava combattendo contro una società complessa e sofisticata per conquistarsi la libertà di dire tutto quello che voleva. Caroline se ne sentiva minacciata. Seduta lì, nel suo salotto, mentre osservava Samuel e lo ascoltava senza tutta l'attenzione dovuta, capiva di poterlo ammettere. Lei era abituata a un mondo nel quale certe cose non venivano
dette. Era meno rischioso. Cecily Antrim era molto coraggiosa. Sembrava che niente la spaventasse tanto da scoraggiarla. E questo era, in parte, ciò che Joshua ammirava tanto; questo, e la sua bellezza che era unica, troppo forte, appassionata e pronta a rifiutare il compromesso per essere definita una bellezza classica. E poi si muoveva con un garbo straordinario. Faceva sentire Caroline banale, ordinaria, spenta e vecchia... una falena invece di una farfalla. Cecily aveva un vigore e un coraggio incredibili per combattere per quello in cui credeva; e Caroline era sempre più insicura, incerta su quello che a suo giudizio era giusto o sbagliato. Voleva essere d'accordo con Joshua affermando che la censura era sbagliata ma, nel profondo del suo cuore, intrecciato strettamente all'essenza vera e propria del suo io, c'era il convincimento che determinate cose non dovessero essere mai dette, e forse non se ne dovesse neanche mai sapere niente. Era vigliaccheria? Era più che sicura che Cecily Antrim l'avrebbe giudicata così e l'avrebbe disprezzata per questo, per quanto poco le importasse. Era quello che pensava Joshua a essere importante, e poteva farla soffrire. Avrebbe scoperto anche lui che si stava aprendo un abisso fra loro, fra chi aveva il coraggio della mente e del cuore, fra chi era forte abbastanza da affrontare tutto quanto la vita aveva da offrire, e quelli come Caroline che volevano rimanere al sicuro, in un posto in cui non si corressero rischi e le brutte cose potessero venir nascoste e rifiutate? Samuel continuava a parlare ma si rivolgeva soprattutto a Caroline. La signora Ellison sedeva impettita, gli occhi neri dallo sguardo fisso, la faccia così irrigidita e contratta che ci sarebbe stato da pensare che lottasse con qualche pena segreta. Per la prima volta Caroline si domandò quanto la vecchia signora avesse saputo della prima moglie di Edmund Ellison. Certo non doveva aver ignorato che un'altra l'aveva preceduta. Che donna poteva essere stata la madre di Samuel? In Inghilterra, nel 1828, per una donna era stato un crimine abbandonare il marito, indipendentemente da quanto lui potesse aver fatto o mancato di fare, e da quelli che potevano essere i desideri di lei. La legge, se lui avesse deciso di servirsene, avrebbe potuto restituirgliela con la forza. C'era da presumere che Edmund non lo avesse desiderato. Forse era stato perfino contento di essersene liberato, malgrado tutto quello che Samuel aveva detto e che lasciava pensare che fosse stata un'ottima madre. Oppure forse, qualsiasi cosa gli avesse raccontato, si era trattato solo della sua versione dei fatti, ma ben diversi dalla ve-
rità? Adesso Samuel fissava Caroline descrivendo il suo viaggio sulla nave a vapore attraverso l'Atlantico, Liverpool dov'era approdato e infine Londra, come l'aveva vista arrivandoci. I suoi occhi riflettevano tutto questo e lei non poté fare a meno di ricambiare il suo sorriso. La sua compagnia era incredibilmente piacevole. Era molto interessante ascoltarlo; aveva visto tante cose e le riferiva con vivacità, e arguzia. Eppure lei non si sentiva minacciata come le era capitato il giorno prima, nel camerino di Cecily Antrim. Mentre la osservava, c'era ammirazione nei suoi occhi; era come un senso di calore dopo aver provato il gelo più profondo. Samuel non trovava noiosa lei né convenzionali le sue idee. E lei non si sentiva lasciata indietro da mentalità più audaci, più pronte e agili e... finalmente pronunciò quella parola tra sé e sé... più giovani. Era dunque questo il nocciolo della questione? Non solo la bellezza fisica e i gusti sofisticati, ma l'età? Lei aveva diciassette anni più di Joshua. Forse era stata una sciocca a sposare un uomo di cui era innamorata in un modo assurdo, che sapeva farla ridere e piangere ma che, alla fin fine, non sarebbe stato capace di lottare contro la sensazione di trovarla noiosa e pedante. E quella sarebbe stata la sofferenza più atroce: che le rimanesse fedele per compassione. — ...e naturalmente a teatro la persona di cui ero ospite mi ha detto che conosceva la signora Fielding — le stava dicendo Samuel. — E che lei fino al suo recente matrimonio era stata la signora Ellison. Potete immaginare come sono stato felice! Ecco... no, non potete. Io mi sento come se, in un certo senso, fossi tornato alle mie origini, come se fossi tornato a casa. — Mi fa piacere se trovate Londra così divertente — disse Mariah in un tono piuttosto asciutto. — Sono sicura che i vostri nuovi amici vorranno mostrarvi cose di vario genere: la Torre, i parchi, le passeggiate a cavallo in Rotten Row, forse anche i Kew Gardens! Ci sono cose di ogni genere da vedere, per non parlare delle persone che si possono conoscere in società. Purtroppo noi non conosciamo più nessuno. — Era un congedo, e formulato in modo tale da far capire a Samuel che non doveva più pensare a una nuova visita lì, da loro, in un prossimo futuro. Il dovere era stato compiuto. Caroline si accorse di essere furiosa, e irragionevolmente delusa. Accidenti alla signora Ellison. Rivolse un radioso sorriso a Samuel che si era alzato in piedi. — Grazie per averci offerto uno dei pomeriggi più deliziosi e interessanti che io possa ricordare — disse con calore. — So che dovete avere mille cose da vedere, ma spero che tornerete. Noi possiamo avere
qualche maggiore pretesa di altri nei vostri confronti, e adesso non dobbiamo più perderci di vista. — Non essere ridicola! — La vecchia signora si voltò di scatto a lanciarle un'occhiataccia. — Il signor Ellison è venuto a farci visita, ed è tutto quanto possiamo aspettarci da lui. Non è possibile supporre che un uomo, il quale ha combattuto in una guerra e viaggiato a cavallo con dei selvaggi, possa trovare divertente prendere il tè in un salotto con delle vecchie signore. — Io non giudico la gente dall'età, signora Ellison — rispose subito lui. — È un errore della gioventù presumere che essa soltanto possa avere la bellezza e la passione, e io stesso sono troppo vecchio per cadere ancora in quell'errore. Spero di essere invitato di nuovo a farvi visita. — E lanciò un'occhiata a Caroline mentre la signora Ellison con la faccia tesa e le labbra strette non rispose niente. Anche Caroline si alzò avviandosi alla porta per accompagnarlo almeno fino in anticamera. — E quanto a essere invitato — disse con calore — vi prego di considerarvi sempre il benvenuto. Lui accettò subito e dopo aver salutato le due signore, si congedò. Quando Caroline tornò in salotto la cameriera la informò che la vecchia signora si era ritirata nella sua camera. Mariah non si fece più vedere né tantomeno le mandò a dire qualcosa, per l'intera serata. 5 La mattina dopo Pitt e Tellman tornarono nella zona di Battersea nei pressi della casa di Cathcart. La giornata era grigia e dal fiume si levavano sottili volute di nebbia; Pitt si rialzò il colletto per difendersi dall'umidità. Tellman marciava a testa bassa, con la faccia che esprimeva la disapprovazione. — Non so cosa pensate di trovare — disse imbronciato. — Probabilmente è successo nel cuore della notte quando la gente per bene dorme. — Questo è il quartiere in cui viveva Cathcart — gli rispose Pitt. — Dal momento che non sappiamo con esattezza quando è stato ucciso e ignoriamo totalmente perché o da chi, avete forse qualche idea migliore? Tellman sbuffò. — Se Cathcart era anche solo intelligente la metà di quanto sosteneva quella donna — ribatté — è probabile che si sia montato la testa nei suoi rapporti con qualcuno e magari abbia anche tentato un piccolo ricatto. Mi par di capire che i fotografi siano un po' come i domestici;
come loro finiscono per vedere un mucchio di cose. Magari la gente è persuasa che non siano importanti e parla liberamente in loro presenza. Lui frequentava molte case di persone altolocate, era un po'... come dire... uno di quelli che ci sono e non ci sono, mi capite? Magari ha scoperto qualcosa solamente per un puro caso, e ne ha approfittato. Pitt si cacciò le mani in tasca con energia. — In tal caso, ci lascia un campo abbastanza vasto da affrontare — disse riflettendoci. — Mi piacerebbe sapere quanto guadagnava con le sue fotografie e quanto spendeva. E anche se, o quanta parte, aveva ereditato di quella casa e del suo arredamento. Adesso Tellman si era fermato e lo stava guardando. — Vale molto? — gli domandò. Pitt non aveva mai dubitato che tutto quanto aveva visto a casa Cathcart fosse autentico, probabilmente perfino il vaso andato in pezzi e quasi sicuramente il tappeto, il quale un tempo doveva essere stato bellissimo, e che loro avevano ripescato dal fiume. — Sì... — Più di quanto si guadagnerebbe fotografando aristocratici e ricconi? — Non me ne meraviglierei affatto. Tellman rialzò la testa. — Bene! — disse con voce più allegra. — Allora faremo meglio a vedere cosa possiamo scoprire sul conto del signor Cathcart. Si separarono, Tellman per fare un giro delle botteghe del quartiere e cercare informazioni un po' qui e un po' là. Pitt tornò a casa di Cathcart e, con la signora Geddes che lo sorvegliava come se la proprietaria fosse lei, tentò di fare una valutazione, esatta per quanto possibile, delle opere d'arte che aveva sotto gli occhi. Poi perquisì a fondo la scrivania di Cathcart, esaminando tutte le ricevute e le fatture che vi si trovavano. Coprivano approssimativamente gli ultimi tre mesi. A quanto sembrava, Cathcart non si lesinava tutto ciò che poteva colpire la sua fantasia. I conti del suo sarto erano enormi, ma tutti saldati pochi giorni dopo essere stati ricevuti. Dall'agenda si ricavava che aveva fatto parecchi viaggi in varie città, raggiungendole tutte comodamente in treno: Bath, Winchester, Tunbridge Wells, Brighton, Gloucester. Ma nessuna indicazione rivelava se fossero stati viaggi di lavoro o di puro divertimento. Pitt si lasciò andare contro la spalliera dell'elegante poltrona, scorse con gli occhi la lista dei clienti che Cathcart aveva fotografato negli ultimi sei mesi e si annotò quelli delle ultime cinque settimane. Sembrava che Cathcart lavorasse con impegno per i preparativi di quelli che, alla fine, di-
ventavano i suoi ritratti. Dedicava parecchio tempo a raccogliere notizie sui soggetti da fotografare e suggeriva diverse possibilità a ciascuno di loro. Poi passò a una a una le fatture per il materiale fotografico necessario e scoprì che era costoso in un modo addirittura incredibile. Il margine di profitto non era affatto sostanzioso come lui aveva creduto in un primo tempo. Doveva scoprire se Cathcart avesse ereditato la casa con i suoi splendidi tappeti, quadri, arredi, vasi e così via. E anche se avesse lasciato un testamento. Frugò di nuovo nella scrivania per scoprire chi fosse il legale che si occupava dei suoi affari: lui lo avrebbe sicuramente saputo. Lo scoprì appena prima che Tellman tornasse con un'aria tutt'altro che soddisfatta. — Non faceva grandi acquisti qua nei dintorni — disse. — Sembra che fosse la signora Geddes a comperare la maggior parte di quello che era necessario per la casa. E mandava fuori la sua roba perché fosse lavata e stirata: biancheria di casa, capi di vestiario, tutto, insomma. Costoso, come metodo. — E cosa dicono di lui? Pettegolezzi? — Pitt si appoggiò più comodamente, di nuovo, allo schienale della poltrona accostata alla scrivania. — Non molti — replicò Tellman. — Niente di rilevante al di là del fatto che avesse soldi e fosse un tipo un po' strano. Qualcuno lo definisce con una parola meno caritatevole, ma il succo è quello. C'è un tizio del posto che viene due volte alla settimana a tenere in ordine il giardino, ma sembra che a Cathcart piacesse tutto inselvatichito e con l'aspetto artistico, come dire. Se ne infischiava di ortaggi, verdura e simili. — Forse nella sua professione i fiori sono più utili — insinuò Pitt. — Rose rampicanti sulle arcate, pergolati, il salice con le fronde che scendono fino all'acqua. Tellman si trattenne da qualsiasi commento. — Avete trovato qualcosa? — Quanto ai soldi, spendeva e spandeva — replicò Pitt. — Più di quanto guadagnasse come fotografo, a meno che non siano falsificati i suoi libri contabili. Ma mi occorre sapere se ha ereditato la casa e tutto quanto contiene... perché probabilmente l'arredamento ha un valore molto maggiore. Tellman si guardò intorno corrugando la fronte. — C'è da pensare che sia stato ammazzato per quello? C'è gente che lo ha fatto per molto meno, ma poi non ha travestito la vittima né l'ha incatenata a quel modo. — Sì, lo so — disse piano Pitt. — Ma noi dobbiamo controllarlo ugualmente. — E allora, cosa si fa? — gli domandò ancora Tellman mentre scrutava
di sottecchi il vaso cinese sulla mensola del camino e un bassorilievo a fondo azzurro con un motivo di putti danzanti che Pitt intuì dovesse essere del Rinascimento italiano, addirittura un Della Robbia oppure una buona copia perché aveva visto qualcosa del genere tra gli oggetti recuperati qualche tempo prima fra la refurtiva di un furto con scasso. — Questa roba vale molto, sul serio? — Credo di sì. Scopriremo se l'ha ereditata. E chi la eredita adesso. Andiamo a cercare il signor Dobson dello studio Phipps, Barlow & Jones: lui dovrebbe essere in grado di dare risposta sia all'una come all'altra delle nostre domande. Il signor Dobson era un uomo dai modi cortesi e educati, l'aria distinta e l'espressione improntata a quella gravità che pareva essenziale alla sua professione. — Dite di essere della polizia? — Intanto occhieggiava con aria dubbiosa Pitt che aveva il suo solito aspetto sciatto e trasandato. Pitt tirò fuori il biglietto da visita e glielo mostrò. — Ah! — Dobson esalò un sospiro, apparentemente soddisfatto. — Entrate, signori. — E indicò il suo ufficio nel quale li seguì richiudendo la porta. — Sedetevi, prego. Cosa posso fare per voi? — La nostra visita riguarda il signor Delbert Cathcart. Credo che sia un vostro cliente — replicò Pitt. — Infatti, lo è — confermò Dobson. — Ma naturalmente i suoi affari sono riservati e, a quanto ne so io, completamente onesti. Anzi encomiabili. — Siete al corrente del fatto che è morto di recente? — gli domandò Pitt, osservando attentamente la sua faccia. — Morto? Avete proprio detto morto? Ne siete assolutamente sicuro? — Purtroppo, sì — rispose Pitt. Dobson socchiuse gli occhi. — E cosa vi porta qui, signore? C'è qualcosa di poco chiaro nel modo in cui è deceduto? — Evidentemente i giornali non erano stati ancora informati che si era arrivati all'identificazione del cadavere rinvenuto a Horseferry Stairs, ma era solo questione di tempo. Pitt gli raccontò in modo conciso i fatti che giudicava essenziali. — Oh, santo cielo. È una cosa che lascia profondamente sconvolti. — E scrollò la testa. — In che modo posso esservi utile? Non ne sapevo niente né tantomeno so qualcosa che potrebbe essere importante. Chi l'ha ucciso dev'essere stato un pazzo irresponsabile. Pitt decise di usare la più completa franchezza. — È successo in casa
sua, signor Dobson, e quindi è probabile che fosse qualcuno che lui conosceva. La faccia di Dobson adesso esprimeva timore e apprensione, però non lo interruppe. — Il signor Cathcart ha ereditato la sua casa di Battersea? — domandò Pitt. — No. In nome del cielo, perché lo domandate? — Se l'è comprata lui? — Certamente. Circa otto anni fa... Vediamo un po', nell'agosto '83, mi pare. Perché? Non c'è stato niente di irregolare nella trattativa, ve lo assicuro. Me ne sono occupato di persona. — E gli oggetti d'arte che contiene, l'arredamento? — Non ne ho idea. C'è qualche... contestazione in merito? — No, a quanto io sappia. Chi li eredita, signor Dobson? — Diverse opere di beneficenza, signore. Nessun privato. Pitt ne rimase sorpreso benché non avesse mai preso seriamente in considerazione la possibilità che Cathcart fosse stato ucciso per lucro. — Grazie. — Sospirò, guardando Dobson. — E non ha mai ricevuto nessun lascito testamentario di cui siate al corrente... magari da qualche cliente, in apprezzamento della sua opera? Oppure un parente defunto? — No, per quel che ne so io. Come mai me lo domandate? — Per escludere tutta una serie di possibilità sul movente per il quale potrebbe essere stato ucciso — rispose Pitt un po' evasivo perché non voleva riferire a Dobson i suoi sospetti sulle fonti di reddito di Cathcart. C'era poco d'altro da sapere e dopo cinque minuti lo salutarono e se ne andarono. — Pensate che possa essere roba rubata? — domandò Tellman non appena si ritrovarono in strada. — Se lui va in casa di tutta questa gente distinta e parla con loro prima di fare la loro fotografia, potrebbe essere nella posizione ideale per sapere cosa hanno e dove la tengono. — Così, quando venivano nel suo studio a farsi fotografare sarebbero stati nella posizione ideale per ritrovarsela davanti agli occhi — gli fece notare Pitt. — È un rischio che, in ogni caso, non avrebbe voluto correre, ma suppongo che sarebbe opportuno controllare di nuovo se non ci sono stati furti. Mi sono procurato una lista dei suoi clienti. Ma le ricerche non condussero a nulla, come si era aspettato. Né da altre parti arrivarono denunce per oggetti d'arte o arredi scomparsi che rispondessero alla descrizione di uno qualsiasi dei pezzi di gran pregio che aveva visto a Battersea. E quindi ritornò alla conclusione che Cathcart avesse una
seconda, e probabilmente più sostanziosa, fonte di reddito oltre all'arte fotografica, per quanto eccellente fosse. Così, insieme a Tellman, dedicò i due giorni successivi a indagare più a fondo sulla vita di Cathcart e a far visita ai clienti per i quali aveva lavorato nel mese e mezzo precedente alla sua morte. Lady Jarvis, dalla quale Pitt si recò a metà del pomeriggio, ne costituiva un tipico esempio. Lo ricevette in un salotto sontuoso, dallo stile eccessivamente ricco ed elaborato. Tendaggi di broccato scendevano dal soffitto fino al pavimento dove erano raccolti in quei pesanti drappeggi che erano simbolo, in quell'epoca, di ricchezza e sfarzo. L'arredamento era massiccio e dove il legno appariva, fra le rigonfie imbottiture, era tutto di quercia intagliata e iscurita dalle lucidature a cera di molte generazioni. I ripiani dei mobili erano ingombri di piccole fotografie di persone di varia età, tutte in posa, con aria solenne, per essere immortalate in color seppia. Lady Jarvis era sui trentacinque anni, di una bellezza un po' convenzionale, anche se le sopracciglia ben segnate, simili ad ali delicate, davano alla sua faccia un'espressione più fantasiosa e intelligente di quanto non la si giudicasse a prima vista. Il suo abito era costoso e rigorosamente all'ultima moda, con una piccola crinolina, il taglio perfetto, le maniche ampie alla spalla. A Pitt sarebbe piaciuto moltissimo comprare a Charlotte una toilette come quella. E lei l'avrebbe portata in modo ancora migliore. — Dicevate che si tratta del signor Cathcart, il fotografo? — cominciò, e che fosse interessata era evidente dall'espressione della sua faccia. — Qualcuno ha forse presentato una querela? — Conoscete qualcuno che potrebbe averlo fatto? — domandò pronto Pitt. — Potrebbe essere stata lady Worlingham — fece lei con aria vagamente interrogativa. — È rimasta molto offesa dal ritratto che lui ha fatto alla sua figlia minore, Dorothea. Veramente a me è sembrato che avesse saputo cogliere la sua personalità abbastanza bene, e lei ne era addirittura estasiata. Ma suppongo che fosse un pochino sconveniente. Tutti quei fiori — continuò lady Jarvis, muovendo delicatamente la mano. — Un po'... troppo copiosi, suppongo. Le nascondevano il vestito al punto che... in certi posti... la sua esistenza era lasciata all'immaginazione. — Per poco non rise, ma poi ricordò la propria posizione. — Ha fatto querela? Non avrei mai pensato che una questione del genere riguardasse la polizia. Non c'è una legge, vero? E a ogni modo, anche ci fosse, io non ho nessuna lagnanza da fare in quel senso.
— No, non c'è una legge in proposito, signora — rispose lui tranquillamente. — E almeno a quanto ne so io, lady Worlingham non ha inoltrato querele. Il signor Cathcart ha fotografato anche voi? — Sì. — Ma la sua voce non si alzò di tono. Evidentemente nel suo caso non c'erano fiori. — È nello studio di mio marito — rispose. — Volete vederla? Pitt era incuriosito. — Sì, mi piacerebbe moltissimo. Senza dire più niente, lei si alzò e lo precedette attraverso un atrio gelido in uno studio in perfetta armonia con la lugubre grandiosità del salotto. L'intero locale era dominato da una massiccia scrivania. Una libreria era piena zeppa di volumi rilegati, tutti uguali. In alto, su una parete, era appesa una testa di cervo con gli occhi vitrei che fissavano il vuoto, un po' come gli ufficiali in uniforme le cui fotografie affollavano un tavolo nell'altra stanza. Sulla parete di fronte alla scrivania era appeso un grande ritratto fotografico di lady Jarvis che indossava un protocollare abito da pomeriggio. I suoi lineamenti ricevevano in pieno la luce soffusa della finestra che aveva di fronte, gli occhi erano limpidi, grandissimi, le sopracciglia ricurve, ad ala, apparivano accentuate. Non si vedeva nessun mobile né alcun ornamento e l'ombra delle vetrate dell'epoca georgiana cadeva con un gioco di sbarre proprio sulla sua figura. Pitt, di colpo, si sentì agghiacciare, e misurò fino in fondo tutta la genialità dell'arte di Cathcart, che era, anche in questo caso, l'espressione di qualcosa di triste e pauroso. Il ritratto era superbo, bellissimo, delicato, ma anche paurosamente vacuo e freddo: quello di una creatura che sta cominciando a rendersi conto di essere in prigione. Ma chiunque poteva coglierne il significato più profondo, o lasciarselo sfuggire. Non c'erano le basi per una lagnanza o una querela, tutto era solo una questione di gusto. Si sentì cogliere da una sensazione di smarrimento, del tutto privata e personale, per la perdita di Cathcart che era morto, e non poteva più praticare la sua arte. Lady Jarvis lo stava osservando, la faccia un po' aggrottata per la curiosità. Cosa dirle? La verità? Lei e Cathcart erano forse stati amanti? Il suo assassinio era chiaramente il frutto di qualche forma di passione. Si volse di nuovo verso il ritratto. Non era quello creato da un uomo per la donna che amava. La percezione era troppo acuta, la pietà impersonale. — È straordinario — disse con molto tatto. — È unico, è molto bello. Era un artista di genio.
La faccia di lei si illuminò di piacere. Stava per rispondere quando la porta si aprì alle loro spalle. Si voltarono automaticamente. L'uomo fermo sulla soglia era snello, di altezza media, e in quel momento la sua faccia amabile, un po' insignificante, appariva allarmata. — È successo qualcosa? — domandò girando gli occhi dall'uno all'altro. — Il mio maggiordomo mi dice che siete della polizia! È vero? — Sì, signore — rispose Pitt. — Sono qui riguardo alla morte di Delbert Cathcart. — Cathcart? — L'espressione di Jarvis era anonima. — E chi sarebbe? — Il fotografo — gli spiegò lady Jarvis. — Oh! — Ebbe subito un lampo. — È morto? Peccato. Un tipo intelligente. Molto giovane. In che cosa possiamo esservi utili? — La sua faccia tornò a incupirsi. — È stato assassinato — disse Pitt, facendosi coraggio. — Davvero? Buon Dio! Perché? Per quale motivo qualcuno potrebbe assassinare un fotografo? — Scrollò la testa. — Ne siete sicuro? — Certamente. — Pitt si domandò se fosse veramente il caso di approfondire la questione. Non aveva mai incontrato nessuno che avesse l'aria meno colpevole di Jarvis. — Non è che, per caso, lo abbiate visto la sera di martedì scorso? — Martedì? No, temo di no. Ero al mio club. Ci sono rimasto fin tardi, se non sbaglio. Stavo giocando, capite, e di colpo ho alzato gli occhi e ho scoperto che erano le due del mattino. Non ho visto Cathcart di sicuro. Anzi, non è neanche un nostro socio. Un vecchio club. Un po' rigoroso. — Capisco. — Pitt lo ringraziò e prese congedo. Si stava facendo tardi e fu ben contento di tornare a casa e rimandare il resto dei clienti di Cathcart all'indomani. Aprì la porta cercando di non aspettarsi troppo, respingendo in fondo al cuore la speranza casomai non ci fosse niente. Charlotte si stava divertendo in una città straniera, che non conosceva, una città animata ed eccitante. Avrebbe avuto ben poco tempo per scrivere a lui. Abbassò gli occhi. Invece eccola; avrebbe riconosciuto ovunque la sua calligrafia esuberante. Con un sorriso raccolse la lettera e l'aprì. Lesse: Carissimo Thomas, mi diverto in un modo fantastico. Il Bois de Boulogne è proprio bellissimo, così follemente alla moda e francese in un modo terribile. Dovresti vedere i vestiti! [E continuava descrivendoglieli in modo abbastanza particola-
reggiato.] E questo mi porta di nuovo al Moulin Rouge. Si sentono certi pettegolezzi impressionanti! L'artista Henri Toulouse-Lautrec ci va molto spesso. Siede a un tavolo e disegna le donne. È nano, sai; o, perlomeno, le sue gambe non sono mai cresciute ed è tremendamente piccolo di statura. Il ballo che fanno le ragazze, a quanto sembra, è indicibilmente volgare ed eccitante, la musica meravigliosa, i costumi scandalosi... ecco perché Jack ha detto che non potevamo assolutamente andarci. Nessuna donna perbene dovrebbe mai menzionare questo posto. (Naturalmente lo facciamo tutte! E come sarebbe possibile il contrario?) Qui si fa e si rovina una reputazione. Se tu sapessi quanto spesso penso a tutti voi, domandandomi come state, come se la cava Gracie al mare e se i bambini si divertono. Erano così ansiosi di andarci! Spero che non siano rimasti delusi. Il mio viaggio no, non mi ha deluso in nessun senso. Alla fine della mia lunga giornata mi siedo qui e mi domando cosa stai facendo. Immagino che tutte le città abbiano i loro delitti e i loro scandali. Qui non si parla che del caso al quale ti ho già accennato: quello del giovanotto, accusato di un delitto, che giura di essere stato altrove; quindi non può essere colpevole. Il guaio è che il suo "altrove" è il Moulin Rouge... proprio all'ora in cui La Goulue, la celebre ballerina dalla pessima reputazione, stava facendo il cancan. Così non c'è nessuno disposto a dire che l'ha visto perché nessuno osa ammettere di essersi stato lì anche lui! Immagino che lo sappiano in molti, ma dirlo è tutt'altra faccenda! Mi domando: quante situazioni ci sono come questa? Vorrei che tu fossi qui per parlartene. Caro Thomas... mi manchi. Quante cose avrò da raccontarti al mio ritorno. Spero che tu, visto che sei rimasto a Londra, non ti annoierai molto. Devo augurarti un caso interessante? Oppure sarebbe un po' come tentare il destino? A ogni modo, stai bene, sii felice... ma senti la mia mancanza! Ti vedrò presto. Con tutto il mio amore più sincero Charlotte Lui ripiegò l'ultima pagina sempre sorridendo e tenne in mano la lettera
mentre si avviava per il corridoio verso la cucina. Charlotte doveva essere rimasta alzata fino a molto tardi per scrivergli. Sentiva terribilmente la sua mancanza eppure, in un certo senso, era contento che fosse andata a Parigi. Il silenzio della casa gli gravava tutt'intorno eppure nella sua mente gli echeggiava la voce di Charlotte. Non perse tempo a incontrarsi con Tellman prima di andare da lord Kilgour, un altro dei clienti di Cathcart. — Sì! Sì... c'è anche sui giornali — confermò Kilgour, ben eretto in pieno sole nel suo sontuoso salotto di Eaton Square. Era un bell'uomo alto, molto magro, con lineamenti delicati, il naso aquilino e i baffi biondi. — È successo cinque o sei giorni fa, a quanto dicono. Cosa posso dirvi che sia di qualche utilità? Ha scattato la mia fotografia. Uno splendido artista con la macchina fotografica. Non posso immaginare che sia stata qualche rivalità professionale, vero? — Un sorriso gli illuminò improvvisamente la faccia. — Lo giudicate possibile? — domandò Pitt. Kilgour inarcò le sopracciglia. — Non ho mai sentito che dei fotografi si siano assassinati perché uno era migliore degli altri. — Era realmente il migliore? — A Pitt interessava l'opinione di Kilgour. Nessuna esitazione. — Oh, senza dubbio. Aveva il dono di vederti in un modo particolare. — Si strinse nelle spalle e sulla sua faccia riapparve l'espressione arguta. — E certamente vedeva le persone nel modo in cui loro stesse si sarebbero volute vedere... Che se ne rendessero conto o meno. Aveva un occhio formidabile per le verità nascoste. E non sempre sono lusinghiere, come sapete. — Avendo visto il ritratto di lady Jarvis, Pitt capiva a perfezione. — Avreste piacere di vedere il mio ritratto? — domandò Kilgour mentre i suoi occhi s'illuminavano. — Moltissimo — rispose Pitt. Kilgour lo precedette dal salotto nel suo studio, spalancò la porta e invitò Pitt a esaminarlo. E Pitt vide immediatamente per quale motivo il ritratto fosse appeso lì e non in una delle sale di ricevimento. Era superbo, ma rivelava un'intuizione addirittura mordace. Kilgour era in costume, se così si poteva chiamare il suo abbigliamento, in quanto indossava l'uniforme e il manto di un imperatore austriaco della metà del secolo. L'uniforme era elaboratamente adorna, magnifica, talmente sontuosa quasi da far dimenticare che, a spiccare nel ritratto, avrebbero dovuto essere il suo viso magro e il colorito chiaro. La corona era posata su un tavolo alla sua destra e ri-
maneva leggermente dietro di lui, appoggiata in parte su un libro aperto tanto da dare l'impressione che potesse scivolare sul pavimento da un istante all'altro. Sulla parete alle sue spalle era appeso un lungo specchio che rifletteva la sua immagine un po' sfuocata, come la luce e le ombre della stanza dietro la sua persona, che nel ritratto erano invisibili. Nel complesso, aveva qualcosa di illusorio, quel ritratto, come se Kilgour, che si trovava di fronte alla macchina fotografica, gli occhi limpidi e penetranti, un mezzo sorriso sulle labbra, fosse circondato da un'atmosfera incognita e misteriosa. Come opera fotografica era brillante, come ritratto era un capolavoro. — Sì, vedo — disse Pitt piano. — Un artista, per ispirare sentimenti appassionati! — Oh, certo — dichiarò Kilgour, subito d'accordo. — E potrei elencarvi almeno una mezza dozzina di altri ritratti che ha fatto, belli come questo. C'è stato qualcuno che ne è rimasto estasiato, ma non erano persone che, se insoddisfatte, gli avrebbero fatto del male. È evidente, direi. Pitt sorrise. — E i suoi rivali? — Oh, sono sicuro che devono averlo odiato. — Kilgour uscì dallo studio e ne chiuse la porta. — Tengo quel ritratto dove lavoro. Possiedo un sufficiente senso dell'assurdo per apprezzarlo e quando mi capita di illudermi della mia importanza, è molto salutare come promemoria. A mia moglie piace perché non vede le mie debolezze e non ha un occhio molto pronto per rendersi conto di quel che Cathcart intendeva dire. Ma mia sorella invece lo capisce ed è stata lei a consigliarmi di non tenerlo dove tutti possono vederlo. Ritornarono in salotto e ne parlarono ancora un po'. Alla l'ine Pitt se ne andò con un elenco di parecchi nomi, sia di clienti sia di rivali di Cathcart. Passò il resto della giornata andando a trovarli, ma non venne a sapere niente di più di quanto già conosceva della vita di Cathcart. La mattina dopo convocò Tellman e, davanti a una tazza di tè in cucina, discussero il loro problema. — Niente di niente — disse Tellman con aria depressa. Continuava ad allungare occhiate alla porta come se quasi si aspettasse di vedere entrare Gracie da un momento all'altro. — Neanch'io — rispose Pitt. — Era brillante e sono stato a trovare uno dei suoi concorrenti che ha dovuto ammettere la stessa cosa, per quanto anche lui non possa lamentarsi. — Non si ammazza qualcuno perché ha un talento che tu non possiedi
— osservò Tellman con aria tetra. Pitt allungò la mano verso la teiera e gli riempì la tazza. — Lo so — disse piano. — Non c'è nessuno che possa aver fatto qualcosa del genere unicamente perché voleva liberarsi di lui. E non sono neanche riuscito a trovare qualcosa nella sua vita che potesse provocare questo tipo di reazione emotiva. Noi non stiamo guardando nel posto giusto. — Be', d'altra parte aveva un tenore di vita piuttosto alto. Doveva sicuramente spendere molto di più di quanto non guadagnasse con quei ritratti. E ha comperato quella casa, lo sappiamo. Da dove arrivavano i soldi? Ricatto, se volete sapere come la penso. Pitt era più o meno d'accordo. Avevano già indagato sulla possibilità di qualche furto ma nessuno dei suoi clienti aveva ammesso di aver perduto oggetti di valore. — Dovete aver parlato con gente a sufficienza. — Alzò gli occhi a fissare Tellman. — Cosa hanno detto sul suo conto? Tellman si allungò a prendere la teiera. — Spendeva un sacco di soldi, ma era puntuale nel pagare i conti. — Sospirò. — Gli piacevano le cose belle e buone... Voleva sempre il meglio, ma non era difficile da accontentare come certa gente. Sempre abbastanza cortese con quei pochi che lo vedevano. Mandava a prendere molta roba oppure se la faceva consegnare a domicilio, ordinandola con regolarità. Sembra che lavorasse strenuamente. — Cioè quanto? — domandò Pitt, mentre ripassava mentalmente l'elenco dei clienti di Cathcart. — Ore e ore? In media accettava solo un cliente alla settimana, andava a trovarli magari due o tre volte, poi li faceva venire nel suo studio per l'esecuzione della fotografia vera e propria. E questo non significa dieci ore al giorno, nel modo più assoluto. — No, è vero. — Tellman aggrottò le sopracciglia. — Non si può esattamente dire che questo ci fornisca una spiegazione per tutte le sue assenze, quando la gente presumeva che fosse altrove a lavorare. Forse non era così? Avrebbe potuto fare qualsiasi cosa. — Indipendentemente dal lavoro che faceva, doveva essere un'occupazione che gli fruttava dei soldi — osservò Pitt con voce tetra. — Ci occorre sapere di che si tratta. In fondo, è praticamente l'unico elemento d'indagine che abbiamo in mano. — A meno che non si tratti del francese, e Cathcart non c'entri per nulla — rispose Tellman. — Questo spiegherebbe tutto. — All'infuori di dove si trova Cathcart. — Pitt, che si era alzato dal tavolo, imitato da Tellman, versò un po' di latte per Archie e Angus, i due
micini, e si assicurò che avessero da mangiare. — Be', se quello è Cathcart, allora dov'è il francese? — Tellman continuò. — Non è partito da Dover con il traghetto, è tornato indietro, a Londra, col treno; ma adesso qui non c'è. — Ma fintanto che quelli dell'ambasciata francese sostengono di sapere dove si trova, non si tratta più di un problema che ci riguarda. — Pitt si assicurò che la porta di servizio fosse chiusa e sbarrata. — Torniamo a far visita di nuovo alla signorina Monderell. Magari lei sa dove Cathcart passava il resto del suo tempo, e come lo occupava. Ad aprire la porta fu una cameriera sbalordita la quale disse con molta fermezza che la signorina Monderell non riceveva ancora visite, e se volevano tornare un'ora dopo, lei sarebbe andata a chiedere se era disposta a vederli. Le labbra di Pitt si atteggiarono a una smorfia divertita. — Vi prego di informare la signorina Monderell che il sovrintendente Pitt avrebbe piacere di parlarle riguardo alla morte del signor Cathcart, e disgraziatamente non può permettersi di aspettare i suoi comodi. — Il suo tono di voce faceva chiaramente capire che si trattava di un ordine. La cameriera trasalì, ma, a sentir menzionare la polizia, li lasciò aspettare in anticamera, non in salotto. Lily Monderell scese le scale venti minuti più tardi; indossava un magnifico abito da mattina color ruggine guarnito di spighetta nera che metteva pienamente in evidenza la sua splendida figura. Le maniche erano appena un po' più ampie di quanto la moda richiedesse, e la gonna raccolta sul dorso e sorretta da una leggera crinolina. — Buongiorno, signor Pitt — disse con un sorriso abbagliante. Poi posò gli occhi su Tellman anche stavolta impacciato e chiaramente a disagio. — 'giorno, carino. A guardarvi sembrate un cavallo al quale qualcuno ha fatto fare una dura galoppata per poi spedirlo nella stalla bagnato fradicio. Prendete una tazza di tè e mettetevi comodo. Fuori la freddo, vero? A dispetto di se stesso, Pitt non poté fare a meno di soffocare una risata davanti all'espressione di Tellman che rivelava il conflitto fra furore e sgomento. Lily si rifiutava di essere offesa o intimorita. Tutt'altro. Girò intorno al pilastrino delle scale e li precedette in sala da pranzo accompagnata dal fruscio della gonna di seta e circondata da un alone di profumo. La sala da pranzo era molto piccola ma estremamente elegante, tappez-
zata da cima a fondo di un bel giallo caldo, con il pavimento di legno dorato e i mobili in mogano che avrebbero potuto essere in stile Adam originale, oppure un'eccellente copia. In un vaso sulla credenza c'era un fascio di crisantemi di una tinta fulva e la cameriera aveva già apparecchiato la tavola con due posti in più. Lily Monderell li invitò ad accomodarsi. Tellman accettò guardingo, Pitt con interesse. La cameriera entrò con una stupenda teiera d'argento d'epoca georgiana, dal cui beccuccio usciva un filo di vapore. La mise al suo posto con aria piena di ammirazione e Pitt fu colpito dal fatto che sembrava nuova. — Ecco... — disse Lily Monderell con aria soddisfatta. — Fa proprio un bell'effetto, vero? Pitt si accorse che anche uno dei quadri che aveva osservato durante l'attesa in anticamera era nuovo. Nel corso della sua visita precedente non c'era oppure l'avevano trasferito lì spostandolo da un'altra camera. Lily Monderell pareva facesse una vita comoda, fra gli agi e il lusso, e che se la cavasse molto bene anche dopo la morte di Cathcart. Eppure il suo nome non appariva nel testamento. Ne era al corrente? Oppure comprava a credito sulla base di chissà quali aspettative? Osservò la teiera. — È bellissima. Nuova? Lily ebbe un'esitazione appena percettibile tanto che lui non fu certo di averla realmente notata oppure no. — Sì. — Sorrise e allungò una mano per sollevarla e versare il tè. — Un regalo? — Pitt, adesso, non la mollava con gli occhi. Lei aveva già deciso cosa dire. — No. A meno che non vogliate considerarlo come un regalo a me stessa. Doveva metterla in guardia invece di lasciare che lei si coprisse di debiti sulla base di qualche falsa speranza? Non erano affari suoi. Eppure, da dove ricavasse Lily i suoi soldi poteva benissimo diventarlo. Forse lei sapeva se Cathcart aveva ricattato i suoi clienti, o chiunque altro. Anzi era probabile che quelle informazioni le fossero note e che, dopo la sua morte, lo avesse sostituito in quel genere di affari. Sorseggiò il tè che lei gli aveva offerto, fragrante e molto caldo. — Sono stato dal legale del signor Cathcart — disse in tono quasi casuale. — Per scoprire quando ha comprato la casa? — domandò lei. — Anche quello, fra altre cose — rispose Pitt. — E per sapere a chi l'avesse lasciata, come le sue opere d'arte e quel tanto di denaro liquido che aveva. Lei alzò la tazza e bevve con delicatezza. — Alle opere pie — disse dopo un momento. — Perlomeno era quello che diceva sempre di voler fare.
Pitt provò stupore, e poi un'ondata di sollievo. Se Lily Monderell spendeva, non lo faceva partendo dal principio che avrebbe ricavato un profitto dalla morte di Cathcart e, in ogni caso, non perché si aspettasse un'eventuale eredità. Ma rimaneva sempre il ricatto. — Infatti — replicò. Lasciò che il suo sguardo si posasse sulla teiera. — È piacevole da guardare il nuovo acquerello con le mucche, quello che avete in anticamera. I quadri con le mucche mi sono sempre piaciuti, li trovo infinitamente riposanti. — Grazie — lei rispose. — Sono contenta che vi piaccia, caro amico. Gradite un po' di pane tostato? Avete fatto colazione? — La sua voce era melodiosa, calda, come se fosse realmente preoccupata per loro. — Grazie. — Pitt accettò perché un po' di colazione non guastava ma soprattutto perché gli avrebbe fornito un facile pretesto di rimanere lì ancora un po' a parlare con lei. Lily Monderell fece tintinnare una campanella di cristallo che c'era sulla tavola e, quando la cameriera si presentò, le chiese di portare toast, burro e marmellata per tutti e tre. Il fatto che Tellman si sentisse imbarazzato la divertiva, lo si notava nella curva delle labbra e nel guizzo sbarazzino degli occhi. A rigor di termini, secondo i concetti estetici correnti, non era bella perché le fattezze erano troppo grossolane, e marcate, soprattutto la bocca. Non c'era niente di modesto o di fragile in lei. Eppure era una delle donne più attraenti che Pitt avesse mai incontrato, piena di vitalità e di allegria. — Non siamo ancora venuti a sapere molto — disse meditabondo. — Abbiamo passato vari giorni a fare domande e a interrogare ma scoprendo ben poco... salvo che il signor Cathcart spendeva molti più soldi di quanti non ne guadagnasse con la sua arte. — La stava fissando negli occhi per cogliervi anche il più piccolo lampo, un barlume... ma non riuscì a capire se c'era veramente stato, o no. In caso affermativo non avrebbe saputo come interpretarlo. Lily lo aveva amato? Ciò che i suoi occhi esprimevano era commozione, o dolore, oppure soltanto il disgusto, che il decoro richiedeva, per la violenza della sua morte e la perdita di un uomo come lui? Lei chinò gli occhi. — Era molto intelligente. Dovete capire che non era semplicemente un fotografo, ma un vero artista. — Sì, me ne rendo conto. Ho visto parecchi dei suoi ritratti e penso che definirlo genio non sia esagerato. Lei alzò subito la testa, di nuovo sorridente. — Proprio così, vero? — Aveva gli occhi lucidi di lacrime. — Aveva il grande dono, che io non ho mai visto in nessun altro, di saper cogliere l'essenza di una personalità e simbolizzarla in un'immagine —
continuò Pitt. — E non si trattava solo di ciò che a loro avrebbe fatto piacere vedere in se stessi ma anche di molte cose che non avrebbero desiderato mostrare tanto palesemente. Non ho visto ritratte solamente facce, ma la vanità o la vacuità interiori, e le debolezze segrete alla stessa stregua della bellezza oppure della forza. — È così che devono essere i ritratti — mormorò lei. — Forse è anche pericoloso — osservò Pitt. — Non a tutti fa piacere che il proprio carattere venga messo a nudo davanti agli occhi degli estranei, e forse ancor meno a quelli delle persone che amano, oppure con le quali si sentono vulnerabili. — Pensate che sia stato ucciso da un cliente? — Sembrava stupefatta. — Sono sicuro che è stato ucciso da qualcuno che lo conosceva — rispose Pitt. — E che doveva provare sentimenti forti e appassionati nei suoi confronti. Avevate pensato che potesse essere un delitto commesso per avidità? Difficile che lo abbiano ammazzato per legittima difesa. A meno che non ricattasse qualcuno... — S'interruppe, aspettando di vedere la sua reazione. Lei lo guardò sgranando un po' gli occhi... Eppure avrebbe dovuto essere sconcertata, perfino offesa. Lui aveva appena insinuato che il suo amico fosse colpevole di uno dei crimini più odiosi. — Per quale motivo? — gli domandò Lily, soppesando le parole. — Cosa vi fa pensare che sapesse qualcosa sul conto di... qualcuno? Se così è stato... non me lo ha sicuramente detto... — Lo avrebbe fatto? Adesso lei era chiaramente a disagio benché lo nascondesse molto bene rivelandolo soltanto con la contrazione della mano sulla porcellana delicata della tazza. Doveva aver capito che Pitt si stava apprestando a domandarle se lei conoscesse il segreto che a Cathcart era costato la vita e se non lo sfruttasse, magari, allo stesso modo, il che, alla fin fine, avrebbe potuto costare la vita anche a lei. — Non so. — Si costrinse a sorridere. — Non lo ha fatto. D'altra parte io non so con certezza se ci fosse qualcosa da raccontare. Era vero? Da dove provenivano tutti quei soldi? Dove aveva trovato Lily tutto d'un tratto una somma sufficiente ad acquistare l'acquerello dell'anticamera e la teiera d'argento? Si era già trovata un nuovo amante, e di quelli generosi? O invece era tornata a casa di Cathcart e ne aveva portato via alcuni oggetti ricordo, all'insaputa o meno della signora Geddes? Né si poteva escludere perfino che la signora Geddes avesse collaborato, prendendo
anche lei qualche cosuccia per sé. Chi l'avrebbe mai saputo? Probabilmente nessuno. Gli garbava poco pensare che Lily Monderell avesse frugato tra la roba di proprietà di Cathcart per scegliere e portar via quello che le era piaciuto. Il silenzio di Pitt doveva darle fastidio perché domandò: — Ancora un po' di tè, carino? — allungando la mano verso la splendida teiera. — Grazie — accettò lui osservando che la luce strappava un barbaglio dalla superficie satinata della teiera. Sembrava quasi che Lily volesse provocarlo a farle proprio quelle domande che lei meno desiderava. — Siete tornata a casa sua dopo che Cathcart è stato ucciso? — le chiese. La sua mano rafforzò convulsamente la stretta ma dovette aiutarsi con l'altra perché la teiera non le sfuggisse. Pitt aspettò. Perfino Tellman si era immobilizzato, con il toast spalmato di marmellata a mezz'aria. — Sì — ammise lei. — Per quale motivo? — Mi aveva promesso qualcuna delle fotografie che aveva intenzione di vendere. Sono andata a prenderle. Ecco da dove arrivano i soldi. — Le avete già vendute? — Perché no? Erano buone. E io so dove andare. — Era nervosa. Pitt non sapeva spiegarsene il perché. Non era sicuro che dicesse la verità ma la sua storia sembrava abbastanza plausibile. Era stata l'amante di Cathcart. Gli uomini fanno regali alle loro amanti, spesso regali molto costosi. E Pitt si era meravigliato che Cathcart non le avesse lasciato in eredità qualcosa in un modo più ufficiale. Perché Lily era nervosa? Cos'erano quelle fotografie? I mezzi di cui si serviva per i suoi ricatti? E lei le aveva forse restituite, facendole pagare, alle vittime? Oppure le aveva conservate come ulteriore fonte di reddito? — Fotografie di chi? — le domandò. I suoi occhi rimasero fermi, senza un battito delle palpebre. Era preparata alla domanda. Pitt capì come, sotto sotto, l'avesse prevista. — Modelle d'artista — gli rispose. — Nessuno che voi possiate conoscere, penserei. Sono semplicemente opere bellissime. Lui le usava per far pratica per quando doveva fotografare un cliente... per scegliere il costume e l'illuminazione giusti. Ma alla gente piacciono... Sono talmente ben fatte che valgono un mucchio di soldi. Doveva domandarle a chi le avesse vendute? E se glielo avesse detto sarebbe stato in grado, lui, di controllare che era proprio la verità? Fra l'altro, non si poteva escludere che avesse rivenduto quelle fotografie alle persone
ricattate da Cathcart oppure poteva semplicemente aver richiesto, e ottenuto, altro denaro per continuare il ricatto. Con ogni probabilità lui non sarebbe mai stato capace di provare che una sola di queste eventualità, anche una sola, fosse possibile. — Signorina Monderell — disse con aria grave — voi eravate in intimità con Cathcart, e forse lui vi aveva rivelato fino in fondo, data l'intimità che c'era fra voi, tutto quanto riguardava il suo lavoro e persino la vita privata dei suoi clienti. È stato assassinato da qualcuno che l'odiava profondamente per qualche motivo intimo e segreto; e, il suo, doveva essere un sentimento di tale intensità da sfuggire a ogni possibilità di controllo. Lei era diventata di un pallore mortale. — State attenta, signorina Monderell. — Abbassò ancora di più la voce. — Se sapete qualcosa sulla sua morte, di qualsiasi cosa si tratti, sarebbe molto poco saggio da parte vostra non parlarmene... dettagliatamente, per quanto è possibile. Non voglio ritrovarmi a indagare sulla vostra morte la settimana prossima... o l'altra ancora! Lily lo fissò ammutolita, con il petto che le si alzava e abbassava tumultuosamente tanto le era diventato affannoso il respiro. Pitt si alzò in piedi. — Vi ringrazio dell'ospitalità. — Io non so niente della sua morte. — Sollevò la testa, fissandolo. Pitt avrebbe voluto crederle, ma non ne fu capace. 6 Intanto che Pitt stava cercando di scoprire qualcosa di più sulla vita di Delbert Cathcart, Caroline aveva invitato Samuel Ellison ad andare di nuovo a farle visita ed era stata molto contenta quando lui aveva accettato. Tutto questo risultò chiarissimo a Mariah quando Caroline entrò in salotto con Samuel che le era, praticamente, alle calcagna. — Buongiorno, signora — disse Samuel alla anziana gentildonna — mi fa piacere vedere che avete un ottimo aspetto. È molto gentile da parte vostra ricevermi di nuovo così presto. Era presto, fin troppo presto, a giudizio della vecchia signora, anche se sarebbe stato inaccettabile dirlo. A ogni modo lei non volle che il suo malcontento passasse completamente sotto silenzio. — Buongiorno, signor Ellison — gli rispose gelida, scrutandolo dalla testa ai piedi senza riuscire a reprimere un sottile fremito interiore. Assomigliava talmente a suo figlio Edward che era quasi come se il suo fantasma fosse tornato a visitarla. Ma
forse, ancora più sconcertante, al momento, era la somiglianza marcata con suo padre. Samuel non poteva saperlo, ma lei sì. Era come se questo pomeriggio dell'autunno 1891 fosse l'ennesimo di quella sequela di cento e cento altri pomeriggi di altri anni nei quali Edmund Ellison era entrato nel suo salotto, cortese come quest'uomo, con un timbro di voce simile al suo, mentre nel suo cervello rimuginava su chissà cosa. — Penso che il vostro desiderio sia quello di sfruttare al massimo il tempo che avete a disposizione qui a Londra — continuò. Doveva togliergli qualsiasi dubbio in merito alle visite, troppo ripetute, in casa loro. — E poi tornerete in America. Sicuramente avrete laggiù altri obblighi e impegni. — Neanche uno al mondo — le rispose a cuor leggero. — Prego, accomodatevi — lo invitò Caroline. E lui si accomodò nella poltrona che gli indicava accavallando le gambe e lasciandosi andare contro lo schienale per mettersi il più comodo possibile. La vecchia signora pensò che sembrava a suo agio in un modo addirittura offensivo! — Una vera sfortuna che non siate potuto venire quando il signor Fielding era in casa — disse brusca. Voleva che Caroline fosse sensibilizzata al fatto che mostrava una certa slealtà nei confronti del marito invitando Samuel, il quale era molto più vicino a lei di età, la trovava attraente e non faceva niente per nasconderlo, a un'ora in cui Joshua era sempre fuori, qualsiasi fossero i suoi impegni. Non sapeva come occupasse il tempo né aveva mai pensato a domandarlo. — Sono sicura che avrebbe avuto piacere di vedervi anche lui — soggiunse. — Mi ero augurato di trovarlo in casa — replicò Samuel con un sorriso pronto. — Pensavo che il pomeriggio fosse un buon momento. Sembra invece che io abbia fatto male i miei calcoli. Caroline era un po' arrossita. — Di solito, lo è. Ma è andato a trovare un amico che sta scrivendo un'opera teatrale e vuole i suoi consigli per la sua realizzazione scenica. La faccia di Samuel s'illuminò d'interesse. — Che cosa affascinante! Sapere quali sono le istruzioni necessarie a creare un'illusione perfetta, a descrivere un mondo aperto alla vista di tutti e nello stesso tempo perfettamente racchiuso in se stesso. Sapete di che opera si tratta? A quel che pareva, Caroline la conosceva e gli rispose con una descrizione dettagliata dell'ambientazione e della trama. Mariah, impettita nella sua poltrona, pareva lasciar capire con il suo atteggiamento che voleva sentirsi esclusa dalla conversazione. Discutevano di nuovo di teatro, e lei non lo approvava.
Samuel, poi, stava parlando, figurarsi!, proprio di Oscar Wilde, fra tutte le persone possibili! Caroline lo ascoltava con attenzione, gli occhi splendenti. Intanto Mariah si lambiccava il cervello pensando a come liberarsi di Samuel prima che dicesse qualcosa che avrebbe potuto suscitare i sospetti di Caroline e farla riflettere, porre domande... — Ho appena finito di leggere Il ritratto di Dorian Gray e ne sono rimasto affascinato — disse Samuel con entusiasmo. — Un uomo davvero brillante. Ma, naturalmente, conoscerlo di persona sarebbe la cosa migliore. — Sul serio? — disse la signora Ellison, gelida. — Non avrei mai pensato che fosse quel genere di persona con cui qualsiasi uomo rispettabile... e una donna, poi, assolutamente no!... potesse avere interesse a entrare in rapporto. Credo che decadente sia il termine con cui vanno definiti lui e i suoi pari. — Precisamente — confermò Samuel, voltandosi verso di lei. — Ho paura che il mio desiderio di sperimentare quanto più è possibile della vita mi abbia portato in parecchi posti di pessima reputazione e a frequentare certe compagnie che voi, signora Ellison, non approvereste di sicuro. Eppure ho scoperto senso dell'onore, coraggio e compassione in certi posti dove sareste stata pronta a giurare che non c'era niente di buono da vedere... — Sulla sua faccia era apparsa una tale luce che la sfidò a continuare nella sua disapprovazione. Assomigliava talmente a Edward da lasciarla profondamente turbata ma nello stesso tempo era anche tanto diverso da lui da provarne quasi fastidio... Si augurò con una tale violenza da sentirsene quasi soffocare che Samuel non fosse mai venuto. Caroline la salvò dalla necessità di rispondere. — Vi prego, parlateci delle cose a cui alludete — gli domandò incuriosita. — Io non andrò mai in America e, anche se ci andassi, non mi spingerei mai fino all'Ovest. New York assomiglia a Londra... cioè adesso, voglio dire, avete teatri, l'opera e i concerti? La gente si interessa della moda, della vita mondana, di quello che gli altri fanno? Lui scoppiò subito a ridere e poi cercò di descriverle la società newyorkese. — I cosiddetti Quattrocento discendenti dei fondatori sono gente splendida anche se adesso si dice che siano almeno millecinquecento, se si deve credere a tutti quelli che vantano di avere i loro antenati fra i padri fondatori. — Non vedo come questo possa presentare qualche somiglianza con noi — ribatté acida Mariah. — Non conosco nessuno che si vanti di essere arrivato qui su una nave da chissà dove, e non riesco a immaginare per quale motivo ci tengano tanto. — Il suo più fervido desiderio era che lui cam-
biasse argomento accantonando quello dell'America, e anche delle navi. — Guglielmo il Conquistatore! — fu l'immediato commento di Caroline. — Oppure, suppongo, se si vuole qualcosa di ancor più grandioso e antico, Giulio Cesare. — Non ho la minima idea se i miei antenati siano venuti qui con Guglielmo il Conquistatore, oppure con Giulio Cesare o se addirittura esistevano già da queste parti prima del loro arrivo — replicò Mariah, respirando a fondo. — Una mezza dozzina di generazioni dovrebbe bastare a chiunque. — Non posso che essere pienamente d'accordo con voi — disse Samuel con calore, sporgendosi lievemente dalla sua parte. — Ciò che ha importanza è l'uomo in sé e per sé, non chi era suo padre. Uomini buoni hanno avuto cattivi figli e uomini cattivi hanno avuto figli buoni. Mariah avrebbe voluto dire qualcosa per tagliar corto con quell'argomento prima che diventasse catastrofico ma, tutto d'un tratto, si accorse di avere la gola troppo asciutta per parlare. Caroline stava guardando Samuel con gentilezza e preoccupazione. Aveva colto, nelle sue parole, un significato più profondo, o forse se l'era immaginato. Mariah rabbrividì. Era atroce. Cosa sapeva, lui? Quanto era possibile che sapesse? Niente! Tutto! Cosa poteva confidare una donna a suo figlio? Una donna per bene, niente nel modo più assoluto. Come avrebbe potuto? Doveva liberarsi di lui! Mandarlo via per sempre da questa casa. Bisognava che a Caroline fosse fatta capire la mancanza di correttezza che c'era in tutto questo... immediatamente. Intanto, però, bisognava riportare la calma in quel suo cuore che minacciava di mozzarle il fiato. Caroline stava parlando di nuovo. — Biciclette! — disse estasiata. — Come interessante! Voi ci siete mai andato? — Certamente! Sono magnifiche, e incredibilmente veloci — rispose lui entusiasmandosi. — Naturalmente sto parlando di macchine che vengono usate dagli uomini. — Ma io sono convinta che le signore potrebbero correre altrettanto veloci se portassero gli indumenti corretti — ribatté lei. — Mi pare che ci siano delle specie di pantaloni lunghi e stretti coperti da una gonna che chiamano bloomers. Sembra che sia l'abbigliamento più adatto. — I bloomers non si possono proprio definire indumenti corretti per nessuno! — disse la vecchia signora. — Insomma! Cosa ti salterà in testa di nuovo, adesso? Come se non bastassero tutte le tue stranezze, il tuo debole per il teatro e via dicendo, vorresti vestirti come un uomo e correre
per le strade sbandando su due ruote? Neanche Joshua te lo permetterebbe! Caroline la guardò con gli occhi sgranati, immobile e impassibile. E la vecchia signora per un attimo fu quasi allarmata per tanta sfacciataggine. — A me pare che potrebbe essere un'idea piacevole in un caldo pomeriggio estivo... uno di quelli particolarmente noiosi, quando tutte le signore non fanno che spettegolare e raccontare soprattutto sciocchezze — rispose Caroline deliberatamente. — Non per far piacere a Joshua, ma per far piacere a me stessa. Era talmente offensivo, tanto perfettamente imbecille, che per un attimo la vecchia signora si ritrovò senza una risposta adatta. Ma poi, subito, le salì alle labbra quella giusta: — Se agisci per far piacere a te stessa, Caroline — e lanciò un'occhiataccia a quella che era stata la sua nuora — potresti benissimo finire per non far piacere a nessun altro. E questo, in una donna nella tua situazione, sarebbe una catastrofe. — Pronunciò quest'ultima parola quasi con gusto. Venne ricompensata da un'occhiata di una vulnerabilità sconvolgente da parte di Caroline, che sembrava si fosse vista spalancare davanti un abisso di solitudine, eppure non provò la soddisfazione che si era aspettata. — È volgare parlare troppo di se stessi — riprese in fretta. Si rivolse a Samuel: — Quanto tempo pensate di rimanere a Londra? Vorrete sicuramente vedere anche il resto del paese. Credo che Bath sia molto attraente. Una volta, almeno, lo era. E molto elegante, alla moda. Chiunque abbia anche la più modesta aspirazione a essere qualcuno di importante dovrebbe andarci a passare le acque nella stagione giusta. — Oh, certo. — Lui doveva aver capito che era un invito a congedarsi ma si rifiutò di ubbidire. — Ci sono delle terme romane, vero? — Vi prego, raccontateci ancora qualcosa del vostro paese. — Caroline versò altro tè e gli offrì di nuovo le tartine. Sembrava che avesse dimenticato quel comportamento che il decoro richiedeva. — E... all'Ovest, fin dove siete arrivato? Avete visto perfino gli indiani? Sulla faccia di lui si disegnò la tristezza. — Certo. Fino a che punto dell'Ovest? Fino alla California. Ho conosciuto uomini che avevano setacciato la sabbia dei fiumi alla ricerca dell'oro, nel '49, all'epoca della famosa Febbre dell'oro, uomini che avevano visto le grandi mandrie di bisonti far diventare nere le pianure e tremare la terra al loro passaggio quando erano in fuga. — I suoi occhi avevano preso un'espressione sognante, la sua faccia appariva segnata da una profonda commozione. — Ho visto uomini che hanno fatto fiorire il deserto e uomini che hanno ucciso gli antichi abitanti e distrutto tutto ciò che era bello e selvaggio e non potrà mai venir rim-
piazzato. A volte è stato fatto per ignoranza, a volte per avidità di ricchezza. Ho visto l'uomo bianco diventare più torte, e il pellirossa morire. Caroline fece per dire qualcosa, poi cambiò idea. Rimase in silenzio, a guardarlo, e lui si voltò a sorriderle. L'intesa fra loro era tangibile nella stanza silenziosa. — Caroline, vuoi versarmi dell'altro tè? — le chiese Mariah. Come costringerlo ad andarsene? Se avesse sostenuto di avere mal di testa, avrebbe dovuto ritirarsi e magari lui sarebbe stato tanto maldestro da non capire che doveva salutare e prendere congedo, e invece sarebbe rimasto... solo con Caroline. Lei era tanto stupida che glielo avrebbe permesso. Quell'uomo stava facendo sfoggio delle proprie avventure, e lo faceva visibilmente compiaciuto. Possibile che Caroline non se ne accorgesse? Probabilmente si comportava così con ogni donna tanto stupida da prestargli ascolto. E Caroline... eccola lì, ad ammirarlo con quel sorriso affettato, a pendere dalle sue labbra come se Samuel le facesse la corte! Joshua ne sarebbe stato indignato... Insomma, sembrava che non avesse occhi che per Samuel. — Da come me ne parlate devo capire che tutto questo ha avuto anche un risvolto tragico. Ho sempre sentito descrivere questa epopea come qualcosa di coraggioso ed emozionante, pieno di sacrificio e di difficoltà, però mai disonorevole. — Eppure sentiva in lui qualcosa di doloroso, come se ne fosse stato profondamente ferito, e avrebbe voluto sentirglielo spiegare e magari condividere almeno in parte il suo dolore. Non riusciva a ricordare quando mai avesse provato una simpatia tanto istintiva e pronta nei confronti di qualcuno, salvo forse per Joshua, ma ecco qualcosa a cui preferiva non pensare in quel preciso momento. Lo guardava dritto in faccia per ottenere una risposta sfuggendo gli occhi di Mariah. La vecchia signora doveva avere qualcosa di strano in mente perché si comportava in un modo che non era da lei. Se Caroline non avesse saputo che era praticamente impossibile, avrebbe detto che fosse impaurita. Rabbiosa, lo era di sicuro, tanto si mostrava pronta a criticare, a punzecchiare, a fare commenti sgradevoli... come se offendere un'altra persona avesse per lei qualcosa di liberatorio. Ma oggi era differente. Possibile che soffrisse di solitudine? Che il dolore a cui spesso alludeva fosse quello per la sua lunga vedovanza? Che piangesse ancora la scomparsa di Edmund? Caroline aveva amato suo marito ma, quando era morto, non era stata inconsolabile. A volte sentiva ancora la sua mancanza. Ma adesso, natu-
ralmente, c'era Joshua, e tutto un nuovo mondo, emozionante, a volte fin troppo, esaltante e minaccioso, pieno di allegria e di nuove idee inquietanti... forse non tutte buone, non tutte accettabili, per lei, o alle quali fosse facile adeguarsi. Samuel le piaceva moltissimo. E adesso le stava parlando con aria un po' sconcertata forse perché capiva che gli stava prestando ascolto distrattamente. — ...il nocciolo della questione erano quelle terre — stava dicendo. — Vedete, per gli indiani la terra non deve essere una proprietà individuale ma qualcosa di comune a tutta la tribù, dove cacciare, su cui vivere. Noi non comprendiamo il loro modo di vivere e loro non comprendono il nostro. Quando noi abbiamo visto quelle terre fertili, è scattata la bramosia di possederle, di circondarle con uno steccato, e non farci più entrare nessuno. La storia dei pellirossa è fatta di una tragedia dopo l'altra. Caroline non lo interruppe. Non sapeva se la signora Ellison ascoltasse o no, perché sedeva con gli occhi neri socchiusi, le labbra strette... ma se motivo della sua disapprovazione fossero le guerre contro i pellirossa, Samuel Ellison o qualcos'altro, sarebbe stato impossibile dirlo. Trasalì e rimase profondamente commossa quando si accorse che Samuel aveva le guance rigate di lacrime. D'impulso si allungò a sfiorargli una mano con la punta delle dita. Lui sorrise. — Scusatemi. Non è una di quelle storie che si raccontano all'ora del tè; mi sono lasciato trascinare dai ricordi. — Ma questa non è una delle solite visite che si fanno all'ora del tè — ribadì Caroline, seguendo il suo istinto. — Se non si può parlare con la propria famiglia delle cose che importano, con chi lo si deve fare? Mariah aveva il cervello in subbuglio e per quanto in cuor suo fosse d'accordo disse con enfasi: — In Inghilterra si è abituati a parlare di argomenti meno personali. Per non turbare le persone o provocare imbarazzo. Si suppone che l'ora del tè sia piacevole, un piccolo interludio mondano durante la giornata. Samuel non nascose di essere a disagio. Era la prima volta che Caroline lo vedeva sconcertato e istintivamente si sentì protettiva. — Ed è un'ottima cosa evitare le critiche al comportamento o ai discorsi degli altri — disse aspra. — Come le cose spiacevoli che succedono fra membri della stessa famiglia — ritorse la vecchia signora. — La mancanza di rispetto o qualsiasi altro modo scorretto di comportarsi, l'eccessiva familiarità o la goffaggine.
Fa venir voglia di pensare che certe persone avrebbero fatto meglio a non venire in visita oppure che sarebbe opportuno se ne andassero, appena la decenza lo permette. — Samuel passò gli occhi dall'una all'altra delle signore, incerto. Caroline si accorse di non saper cosa dire. Perfino per una donna come sua suocera, quello era un modo inconcepibile di comportarsi. La vecchia signora si schiarì la gola. Sedeva rigida e impettita con le spalle talmente contratte da far forza, tendendolo, contro il tessuto del suo abito nero. — Vi ringrazio della vostra visita, signor Ellison — gli disse in tono scostante. — È stato gentile da parte vostra trovare il tempo di venire qui quando dovete avere molti altri impegni. Samuel si alzò in piedi. — Il piacere è stato mio, signora Ellison — e volgendosi a Caroline le fece i suoi saluti. Poi si congedò. Quando fu uscito, e prima che Caroline potesse parlare, anche la vecchia signora si alzò appoggiandosi pesantemente al bastone e le annunciò: — Ho un mal di testa atroce. Salgo nella mia camera. Chiedi alla cameriera di servirmi di sopra la cena. Quanto a te, sarebbe opportuno che passassi il resto del pomeriggio a considerare il tuo comportamento e la tua lealtà nei confronti di quel marito che hai scelto di sposare. Stai comportandoti come una perfetta sciocca. Una donna che ha perduto la sua reputazione, ha perduto tutto! — Abbassò la voce fissandola con occhi penetranti: — Farei meglio ad augurarti che tuo marito non lo sappia mai. Considera la tua situazione! — Con quest'ultima frecciata si ritirò a passo lento e pesante. Caroline si sentì agghiacciare... e fremere di rabbia. Non c'era niente da dire. Anche se non avrebbe neanche saputo cosa rispondere se la vecchia signora fosse rimasta ad ascoltarla. In fondo, era quasi contenta di essere rimasta sola. Le sue parole l'avevano punta sul vivo anche perché si era accorta che in quegli ultimi giorni aveva cominciato a riflettere su cose che fino a poco prima le erano sembrate incontestabili. Si voltò leggermente e d'un tratto scorse la propria immagine nello specchio. A quella distanza era molto bella, i capelli scuri dai riflessi caldi, appena un po' spruzzati di grigio, il collo e le spalle esili, i lineamenti ancora quasi perfetti, anche se forse un po' troppo caratterizzati per essere adeguati al concetto convenzionale di bellezza. Ma se si fosse un po' avvicinata, sapeva che avrebbe scorto evidenti nel riflesso della sua immagine i segni dell'età, le rughe sottili intorno agli occhi e alla bocca. Era così che Joshua la vedeva? Non sarebbe tornato a casa quella sera. Era alle prove, in teatro, e quindi lei sarebbe andata da sola a cena a casa Marchand. Non aveva nessuna voglia di uscire, ma sarebbe stato sempre meglio che rimanere in casa sola ad
arrovellarsi su se stessa, su Joshua e su come lui la vedeva, se la confrontava con qualcuno come Cecily Antrim. Era stata davvero quella perfetta sciocca che la vecchia signora diceva? Non sarebbe stato meglio, più semplice e molto più onesto, se avesse sposato qualcuno della sua stessa età, che avesse gli stessi ricordi e credesse nelle stesse cose... magari qualcuno come Samuel Ellison? Invece, no! Si era innamorata di Joshua e gli aveva creduto quando aveva detto di ricambiare i suoi sentimenti. Possibile che lei non lo vedesse, fosse completamente cieca, infatuata come una scolaretta, proprio come diceva la signora Ellison? Correva veramente il rischio di perdere tutto? Con un gesto spazientito si scostò dallo specchio e salì nella sua camera a scegliere il vestito da mettere per quella cena. Ma niente poteva farla sentire bella, affascinante o giovane. I Marchand accolsero Caroline con grande piacere. — È una vera gioia vedervi — disse la signora Marchand andandole incontro. Si trovava in piedi vicino a un piccolo tavolo, guarnito da una composizione di fiori, nel salotto che era piacevolmente tiepido e illuminato dal riverbero delle fiamme perché, anche se non era una serata fredda, il fuoco ardeva nella grata del focolare. I pesanti tendaggi erano rosa antico, e il mobilio massiccio, comodo e accogliente. Cuscini ricamati, modelli di ricamo e un album spalancato di cartoline illustrate e ritagli di giornale lasciavano capire come da molto tempo fosse la stanza più abitata, il cuore della vita della famiglia. — Come sono contento che abbiate accettato di venire anche senza Joshua — soggiunse il signor Marchand, in piedi davanti a una delle poltrone più ampie e accoglienti, dalla quale doveva essersi alzato in quel momento. — E anch'io sono stata felicissima di venire — rispose Caroline con franchezza. — È così rilassante poter conversare senza domandarsi di continuo quando suonerà il campanello del teatro per l'inizio della rappresentazione oppure senza essere costretti ad andare a salutare, come di dovere, qualcun altro. — Verissimo! — si affrettò a dire, pienamente d'accordo, la signora Marchand. — Ma venite a sedervi e raccontateci come state. — Caroline accettò, chiacchierarono piacevolmente di moda, comuni conoscenti e altre cose gradevoli e prive d'importanza, e si riferirono anche qualche pettegolezzo. Poco prima che la cena venisse servita, la porta si aprì per far passa-
re un ragazzo sui sedici anni. Già molto alto e magro, aveva i grandi occhi azzurri e i capelli scuri di sua madre. Si comportava con educazione e compostezza, ma i suoi silenzi un po' imbarazzati e il fatto che sembrava non sapesse cosa fare delle sue mani, rivelavano quanto fosse timido. — Piacere di conoscervi, signora Fielding — le disse quando fu presentato a Caroline. Lei avrebbe voluto trovare qualche argomento di conversazione per metterlo a suo agio ma... quali erano i soggetti più interessanti per un ragazzo della sua età? Gli sorrise. Pensò che la soluzione migliore fosse essere completamente sincera. — Sono molto contenta che ti sia unito a noi, Lewis, ma confesso di non sapere proprio cosa dirti. Purtroppo ho paura che da un po' di tempo i miei interessi siano diventati un po' troppo specifici e che questo possa farmi diventare molto noiosa. Per favore, non sentire il bisogno di essere cortese. Anzi, dimmi di che cosa ti piacerebbe parlare se dovessi essere tu, e non io, a dare l'avvio alla conversazione. — Oh! — sembrò sconcertato, e anche un po' lusingato. Le sue guance diventarono di fiamma. — Papà mi dice che il signor Fielding fa l'attore. È proprio vero? — Vuoi continuare a mostrarti cortese? — rispose Caroline prendendolo garbatamente in giro. — Vuoi davvero parlare dell'unica cosa che è la mia ossessione? Oppure stai cercando di farmi sentire a mio agio, proprio come vorrei essere io con te? Se è così, sei straordinariamente sofisticato per essere ancora agli inizi della tua carriera... Otterrai un favoloso successo in società. Le signore ti adoreranno. Lui diventò paonazzo. Aprì la bocca per rispondere ma, evidentemente, senza riuscire a trovare niente di adeguato. I suoi occhi si erano illuminati e ci volle un attimo perché Caroline si accorgesse che stava facendo uno sforzo enorme per continuare a fissarla in faccia senza permettere neanche per un attimo al suo sguardo di scivolare giù fino a contemplarle il collo o le spalle, per non parlare poi della pelle liscia e morbida appena sopra il seno. Il signor Marchand si schiarì la voce come se volesse parlare, ma poi non disse niente. La signora Marchand batté rapidamente le palpebre. Caroline si accorse che il silenzio era quasi opprimente. — Sì, fa l'attore — disse in tono più brusco di quanto non intendesse. — Ti piace il teatro? Immagino che studierai anche qualche opera drammatica a scuola, vero? — Oh, sì — confermò lui. — Ma soprattutto Shakespeare, purtroppo. Niente di molto moderno. Ed è... be', ha qualcosa di immorale, ecco. Oh!
Mi scusi. Non intendevo alludere al fatto che il signor Fielding... — No, di certo — ammise Caroline, pronta. — In effetti immagino che, alla sua epoca, Shakespeare sia stato considerato immorale anche lui, perlomeno da qualcuno. — Rise. — Invece suppongo che perfino il signor Ibsen, un giorno, sarà considerato un classico, e quindi altrettanto sicuro... In fondo, noi non sappiamo che cosa sia accaduto nella storia vera ma solamente quello che Shakespeare ci ha raccontato per dar vita sul palcoscenico alle sue tragedie. Lui sembrò sorpreso. — Pensate che non ci fosse niente di reale? Forse tutte quelle vicende non dovevano essere necessariamente vere, dico bene? Magari a quell'epoca non c'era nessuno che mettesse un freno alla calunnia o all'empietà. E tutto quanto lo era, veniva vietato... o da qualche censura oppure perché ormai abbiamo imparato che erano soggetti di fantasia e quindi non ci interessava più andare a teatro a vederli. — Riterrei molto più probabile che noi, invece, ci abbiamo fatto l'abitudine e adesso li crediamo veri — rispose Caroline e poi, subito, si domandò se non avesse parlato troppo liberamente. In fondo, Lewis era soltanto un ragazzo. — Cosa stai studiando? — Il Giulio Cesare — gli rispose subito. — Splendido! — rispose lei. — La mia tragedia favorita... Peccato che tutti i personaggi importanti siano maschili. — Lui parve sorpreso. — E cosa mi dici di Amleto? Dovresti apprezzarlo, e forse comprenderlo. — Era convinta che almeno le scene più importanti, se non tutta l'opera, gli fossero familiari. — E non si può non provare una infinita pietà per Ofelia, ti pare? Lui restò sconcertato, poi sembrò pieno di imbarazzo e Caroline ebbe la fuggevole, rapidissima, impressione di aver intravisto un lampo di ripugnanza nei suoi occhi. Ma scomparve subito. — Oh... sì. — Ma evitò di guardarla e diventò un po' rosso in faccia. — Naturalmente. — Tentò di dire qualcos'altro cercando di spostare il discorso lontano da un argomento che, almeno apparentemente, lo turbava. Ralph Marchand fece un movimento appena percettibile. Caroline intuì di essersi mossa su un terreno troppo pericoloso per procedervi quando lo conosceva tanto poco. — Forse è presto — disse in tono disinvolto. E poi, alla signora Marchand: — Ho sentito che c'è una nuova satira politica. Non sono sicura se ho voglia di andare a vederla oppure no. — La tensione scomparve. Parlarono ancora qualche minuto di argomenti innocui e Lewis, dopo aver salutato rispettosamente la signora in visita,
chiese il permesso di potersi ritirare lasciando che gli adulti andassero a cena. Fu un pasto molto tradizionale, senza novità ma cucinato in modo eccellente. Riportò Caroline alla sicurezza del passato quando tante cose erano state rassicuranti perché familiari, quando conosceva le domande e le risposte e occupava una posizione senza rischi, protetta e tranquilla. Adesso c'erano innumerevoli situazioni nelle quali doveva riflettere con maggior impegno; e le sembrava di passare una buona metà del tempo in cerca di qualcosa di appropriato da dire, nel giusto equilibrio fra la fedeltà ai propri convincimenti senza sembrare insensibile e antiquata, e quell'ipocrisia un po' bigotta che i suoi nuovi amici disprezzavano. Anche se l'unico a essere realmente importante per lei era Joshua. Fino a che punto lo aveva deluso? Solo a pensarci si sentì un groppo alla gola e si affannò a buttarsi con enfasi nella conversazione per farlo scomparire. La signora Marchand stava parlando della censura. — ... e dobbiamo proteggere gli innocenti da quella ambiguità che ottenebra il pensiero e che tanto facilmente può danneggiarli in permanenza. — Ottenebrare il pensiero? — Caroline non aveva ascoltato che una parte della frase e non capiva a che cosa lei si riferisse. La signora Marchand si protese lievemente attraverso il tavolo e, con quel movimento, il ricamo di perle del suo vestito, al diverso riflesso della luce, ebbe un luccichio più abbagliante. — Mia cara, prendete la commedia che abbiamo visto l'altra sera, tanto per fare un esempio. È incredibile cosa può diventare accettabile, se lo si vede abbastanza spesso, e in pubblico. Ci sono idee che voi e io troveremmo terrificanti e che corrodono alla base tutti i valori che ci sono più preziosi tanto che, se ci trovassimo fra amici fidati, ci sentiremmo liberi di esprimere la nostra indignazione vedendoli sbeffeggiati o violati. Ma nello stesso tempo quando questo viene fatto con arguzia e non riusciamo a trattenere le risate, l'impressione che se ne prova è diversa. Sorridiamo tutti, perché nessuno ha piacere di essere giudicato privo di umorismo, pomposo o all'antica. E presto o tardi ci abituiamo e non ci sentiamo più offesi. Però diventa sempre più difficile dire qualcosa; ci sentiamo isolati come se l'opinione comune fosse andata avanti, come un'onda di marea, lasciandoci arenati, e soli. Caroline capiva benissimo a che cosa alludesse. Aveva ragione. Si diventa meno sensibili alla volgarità. Eppure quando le rispose capì che stava dicendo esattamente quello che avrebbe detto Joshua se fosse stato presente. — Ma, senz'altro! Ecco perché dobbiamo esplorare costantemente i
limiti e trovare modi nuovi di dire le cose... proprio perché la gente non ci si abitui troppo e rimanga indifferente. La signora Marchand corrugò la fronte. — Non sono sicura di seguirvi. Quali sono le cose che dovremmo dire? Suo marito posò il bicchiere del vino. Era più che mai evidente che si sforzava di controllarsi. Il suo sguardo era fermo. — Ammetto di essere all'antica. Sono convinto che gli ideali di mio padre e di mio nonno fossero molto alti, e non ho nessuna voglia di vederli messi in dubbio... e figuriamoci, poi, disprezzati! Loro erano convinti che l'onore di un uomo fosse inattaccabile, e trattavano tutte le donne con gentilezza. Perché è di questo che l'amore è fatto: soprattutto il desiderio, e non importa ciò che può costare, di proteggerle e rendere la loro vita gioiosa e ricca e riparata. Dico bene? — Fissò Caroline con aria grave, gli occhi celesti limpidi e sereni. Caroline pensò a Edward, e a Samuel Johnson e si sentì la voce di Joshua nelle orecchie. E anche, cosa strana!, quella di Pitt. — Questo è un genere di amore — gli rispose con gentilezza. — Ma è quello che vorreste rivolto a voi stesso? — Mia cara, le nostre situazioni sono totalmente diverse — le disse pazientemente Marchand. — A me tocca proteggere, non essere protetto. Non c'è niente al mondo che sia vulnerabile come le donne. Se involgariscono per colpa di quanto c'è di violento e distruttivo nella vita, di quanto deprezza l'innocenza, il rispetto per il bello, per l'intimità e i sentimenti più alti, finiscono per passare la grossolanità ai loro figli. E allora cosa ci resta? Dev'esserci pur un posto sacro dove lo spirito ha un peso ben superiore a quello della carne. Caroline si accorse di provare uno strano, penoso, miscuglio di vergogna e frustrazione e, nello stesso tempo, di conforto. — Naturale che dev'esserci — dichiarò con sincerità. — E vorrei sapere come conservarlo senza al tempo stesso chiudere gli occhi davanti a tutto quanto esiste di disagevole o discutibile. Come posso conservare l'innocenza e, nello stesso tempo, crescere senza rimanere infantile? Come posso lottare per ciò che è buono se non ho un'idea di ciò che è male? — Non dovreste lottare, mia cara — le rispose lui accalorandosi. — È un dovere della società proteggervi da tali cose! E in questo il lord Ciambellano è carente, e in modo grave, tanto è il materiale di ogni genere, pericoloso, molto pericoloso che troviamo in giro... — Certo che non fa abbastanza — confermò la signora Marchand guardandolo mentre diventava accigliata. — Secondo me, dovresti scrivergli,
caro, per dirgli che molti di noi sono profondamente preoccupati per il modo troppo schietto e aperto in cui sentimenti privati... e anche quel genere di appetiti indicati dal personaggio della signorina Antrim, per esempio... sono espressi sul palcoscenico... — È quello che ho già fatto, mia cara — la interruppe lui. — Come sono contenta. Pensa al genere di effetto che potrebbe fare tutto questo nella mente degli uomini giovani... come... come Lewis! Come potrebbero crescere con la tenerezza e il rispetto, che sono così desiderabili, verso le loro mogli e figli, per non dire le madri? Caroline capiva fin troppo facilmente tutto quello a cui alludeva la signora Marchand. — Senz'altro — esclamò, pienamente d'accordo, anche se in fondo al cervello sentiva una vocina che condannava la viltà e le faceva notare che, per il proprio comodo, stava sacrificando l'onestà. La soffocò, continuando la sua cena, benché avesse capito chiaramente che la signora Marchand si sentiva molto più rassicurata di suo marito il quale, per quanto gentile e ansioso di consolarla fosse, non condivideva tanta tranquillità di spirito. Quando arrivò a casa Joshua era in salotto, seduto nell'ampia poltrona che preferiva, un libro aperto sulle ginocchia e il lume a gas alzato il più possibile in modo da poter leggere senza fatica. La luce metteva in risalto qualche rara ciocca d'argento nei suoi capelli castani e un'ombra di stanchezza intorno agli occhi. Chiuse il libro e le sorrise alzandosi lentamente in piedi. — Hai avuto una serata piacevole con i Marchand? — Le andò incontro e le sfiorò una guancia con un bacio. Lei sentì il calore del suo corpo e un vago sentore di cerone che sempre accompagnava quello indefinibile del teatro, fatto di sudore, eccitazione, tessuti, pittura. Appena dieci anni prima le sarebbe stato sconosciuto come una terra straniera mentre adesso le era familiare, e accompagnava i molti ricordi di gioia, risate e passione. D'impeto, confusa, si accorse quanto intenso fosse il suo amore per Joshua, quasi da ragazzina... Era assurdo e grottesco, in una donna della sua età. La faceva sentire intollerabilmente vulnerabile. — Sì, molto piacevole — gli rispose con un sorriso un po' forzato che avrebbe voluto far passare per noncurante. — Per la prima volta ho incontrato il loro figliolo. Un ragazzo molto timido. — Gli passò davanti per avvicinarsi al fuoco. Fuori non faceva proprio freddo ma lei rabbrividiva un po' e non si sentiva ancora preparata per l'intimità del letto. Aveva ancora la mente piena di pensieri contrastanti, Edward e il passato, Hope
Marchand e la sua paura di come venivano affrontate le nuove idee, e la maggior preveggenza di suo marito Ralph, il quale aveva ragione quando sosteneva che, una volta perduta la capacità di provare rispetto per qualche cosa, si era perduto quasi tutto. Pensò alle proprie figlie quando erano state ragazze. Joshua, quello, non l'avrebbe capito; lui non aveva figli. Il bisogno di proteggere era tanto profondo da diventare molto più forte della ragione... chi voleva la propria creatura viva, ma incapace di avere fede nei valori essenziali quali l'amore, l'onore o la gioia? — Caroline? — La voce di Joshua era venata di ansia. Aveva intuito che si comportava come se volesse prendere le distanze da lui. — A cena la conversazione è stata stupida. — La accantonò con un sorriso e fece un passo avanti per ritrovarsi fra le sue braccia. Era più facile che incontrare i suoi occhi. Joshua era pieno di dolcezza. Ormai era troppo tardi per domandarsi se avesse preso la decisione giusta sposandolo, perché niente avrebbe potuto cambiare la scelta fatta, la sicurezza interiore, l'impegno assunto. Ma la mattina dopo la questione della censura diventò un argomento di grande importanza. Lo valutò osservando la faccia di Joshua prima ancora che i suoi occhi lo leggessero sui giornali. — Cosa c'è? — chiese con un tuffo al cuore, allarmata. — Cosa è successo? Lui alzò il giornale. — Hanno tolto dal cartellone la commedia di Cecily. L'hanno proibita! — Sembrava strabiliato, sconfitto. Lei non capiva. — Com'è possibile? Ma se il lord Ciambellano ha dato il permesso... — Non è esattamente... così. — Si morse un labbro. — Non l'avrebbe mai concesso — confessò. — Perché avrebbe potuto sollevare interrogativi, mettere la gente a disagio... Esistono i modi di aggirare l'ostacolo, presentare il testo all'ultimo momento e augurarsi che non venga letto troppo attentamente... oppure rappresentare un'opera nuova sotto il titolo di una vecchia, che ha già ottenuto l'autorizzazione. Ed è quello che hanno fatto stavolta... — Ma avrebbero dovuto saperlo tutti! — protestò lei. — E l'impresario del teatro prima degli altri! — Infatti. Bellmaine ci teneva, come Cecily, a rappresentare quel testo. Ed è pronto a correre il rischio, a pagare una penale se ci è costretto... ne vale la pena per poter parlare delle cose in cui si crede, e stimolare l'opinione pubblica... Così si potrebbero emendare leggi antiquate e ingiuste. Ma non vedi come... com'è terribile tutto questo? Un certo tipo di censura
è assurdo. Lo sapevi che non è neanche permesso presentare in scena un attore che reciti la parte di un ecclesiastico... ma neanche in una parte simpatica, e non per criticarlo! A questo punto come si fa a sollevare una questione, o mettere in dubbio qualcosa? — Mi dispiace... — lei disse a bassa voce posando le dita sulla mano di Joshua, e stringendogliela. Rimase così per un momento, poi la ritirò e prese il giornale che lui aveva messo da parte. Sulla stessa pagina in cui si annunciava la sospensione delle recite, poco più sotto, era pubblicata una lettera di Oscar Wilde, eloquente, arguta, bene informata, che esprimeva la stessa indignazione di Joshua. — La cosa che mi indigna più di tutto il resto — disse Joshua, sempre con gli occhi fissi su di lei — non è la limitazione in quello che io posso dire o non dire, ma in quello che posso o non posso ascoltare! E poi, quale arroganza monumentale spinge il lord Ciambellano a credersi in diritto di dettar legge su quello che posso ascoltare io o su quelle che sono le opinioni di questo o quell'uomo sulla fede e la religione? Magari potrei anche scoprire che sono d'accordo con lui! Ma da dove nasce l'intero concetto di empietà? — Dalla Bibbia — rispose lei con voce quieta. — Ci sono moltissime persone per le quali è un'offesa gravissima parlare in modo beffardo o volgare di Dio. — Ma di quale Dio? Il tuo? Il mio? Quello del parroco? Quello dei nostri vicini? O di qualcun altro? Caroline aprì la bocca per rispondergli ma si rese conto che c'erano probabilmente tante idee di Dio quante erano le persone che riflettevano su quell'argomento. Non le era mai balenato prima. — Ma non c'è... se non altro... una sorta di consenso... — Non finì la frase. Non avevano mai discusso di religione, non avevano mai discusso l'ebraismo che era la religione di Joshua ereditata dai suoi, anche se adesso la professava in modo molto tiepido. Ma, l'orse, era ancora una parte così integrante della sua personalità che affrontare quel discorso era come toccale un punto dolente? Come se avesse letto nei suoi pensieri, lui la guardò con un sorrisetto agro. — Ma Cristo non è stato crocifisso per empietà? Ci sarebbe da pensare che, come cristiani, dovreste avere una certa tolleranza verso chi è blasfemo. — No, niente affatto. E lo sai benissimo. Noi non abbiamo praticamente nessuna tolleranza. Siamo felicissimi di metterci al rogo l'un l'altro per una
modestissima divergenza di opinione... Figurarsi, poi, se non lo facciamo con chi ha idee religiose diverse! — È molto più probabile vedervi mandare al rogo non gli altri, ma voi stessi — lui le fece rilevare. — Eppure le nuove idee si trovano ugualmente una strada, si manifestano, di tanto in tanto, e filtrano attraverso l'eccidio, lo spargimento di sangue, il fumo e il furore. — Ecco, forse non è tanto all'empietà che io bado — rispose Caroline pensando di nuovo ai Marchand — ma all'oscenità, piuttosto. Cosa ne dici? Oltre al bene, cosa ne pensi del male che le nuove idee possono fare? Prima che lui facesse in tempo a rispondere, la porta si spalancò e la vecchia signora venne avanti, a passo pesante, battendo il bastone sul pavimento. Joshua si alzò automaticamente in piedi. — Buongiorno, signora Ellison. Come state? — Bene per quanto ci si può aspettare — rispose lei. Joshua le tirò fuori una sedia da sotto il tavolo e l'aiutò ad accomodarsi mentre Caroline le offriva tè e pane tostato, che lei accettò. — Di che male stavate parlando? — Intanto aveva allungato la mano verso il burro e la conserva di ciliege nere. Il suo appetito era eccellente per quanto quella mattina sembrasse un po' più pallida del solito. Gli occhi di Joshua si allungarono per un attimo verso Caroline, e poi: — Sul giornale c'è un articolo che riguarda la censura... — Bene! — lo interruppe lei. — Si parla anche troppo, oggigiorno, senza nessun riguardo per la decenza. Ai tempi della mia gioventù non era così. Oggi il mondo è pieno di volgarità. Ci degrada tutti. Sono contenta di essere alla fine della mia vita. — Si tratta di una protesta contro la censura — la corresse Caroline. — Qualche attrice, suppongo. — La signora Ellison alzò le sopracciglia. — Si direbbe che di questi tempi non ci sia più niente che le donne non dicono o non fanno, e in pubblico per di più, così tutti le vedono. — Siete a favore della censura? — Se Joshua era in collera, lo nascondeva molto bene. La vecchia signora lo fissò con gli occhi sbarrati come se avesse messo in dubbio la sua sanità mentale. — Certamente — rispose indignata. — Qualsiasi persona civilizzata, e che abbia un briciolo di cervello, sa che certe cose non possono essere dette senza corrompere tutto intero il nostro modo di vivere. Ma non vi hanno insegnato la storia nel posto da dove venite? Avrete pur sentito parlare di Roma, no? Joshua dimostrò di sapersi controllare in modo superbo. C'era persino un
lampo divertito nei suoi occhi. — Io vengo da Londra — replicò. — Dall'altra parte del fiume, a sette o otto chilometri di qui. E... certo, che ho sentito parlare di Roma e dell'Egitto e di Babilonia e della Grecia e della Spagna dell'Inquisizione. A quanto ne so, la Grecia aveva il teatro migliore benché l'Egitto avesse una poesia veramente ottima. — Tutti pagani. E poi non stavate parlando di empietà — gli rispose Mariah con un'occhiataccia — ma di qualcosa di osceno. — Anche quella è una questione di punti di vista — obiettò lui. — Ciò che è bello per una persona può essere osceno per un'altra. — Assurdo! — La sua faccia si era colorata di rosa. — Ogni persona decente sa cos'è osceno, cosa si insinua perfidamente nella vita privata e nei sentimenti, dove la trasgressione è imperdonabile e come soltanto le persone più volgari e depravate possano goderne. E con questo, chiudiamo l'argomento. Il mio tè è freddo. Sii tanto gentile da mandarne a prendere dell'altro. — Era un comando, non una richiesta. Caroline suonò il campanello. Capiva che Joshua era furioso e riusciva a nasconderlo soltanto sotto una sottile patina di cortesia. Quanto a lei, si scoprì a dire quello che Joshua avrebbe voluto ribattere, lo sapeva: — Tutti sono d'accordo che certe cose non dovrebbero essere dette; il disaccordo sta nella scelta di queste cose. — Tutte quelle che vanno contro la moralità e non tengono conto della sensibilità e del decoro degli uomini e delle donne — disse Mariah senza andare per il sottile. — Forse voi avete perduto di vista quali siano, ma la maggior parte di noi non lo ha ancora fatto. E tu, Caroline, prova a domandarlo a quelli che una volta erano i tuoi amici. Entrò la cameriera e venne mandata a prendere altro tè, fatto di fresco. Joshua si alzò, chiese scusa perché doveva andarsene, baciò Caroline su una guancia e augurò una buona giornata alla signora Ellison. Caroline prese di nuovo in mano il giornale e cercò l'articolo che parlava di Cecily Antrim. Sopra c'era uno schizzo, ricavato dalla locandina, che la raffigurava, bellissima, con un'espressione particolarmente intensa. Fu proprio quello a richiamare prima di tutto il resto la sua attenzione. Ieri la signorina Cecily Antrim ha protestato energicamente contro la censura, da parte del lord Ciambellano, della sua nuova commedia Amore di signora che adesso non viene più messa in scena in quanto considerata indecente e lesiva della moralità pub-
blica, oltre che diretta a provocare turbamento e indignazione. La signorina Antrim ha marciato su e giù per lo Strand inalberando un manifesto e provocando disordine fra il pubblico fino a che la polizia è stata chiamata per obbligarla a ritirarsi. Lei poi ha sostenuto che la commedia era una opera d'arte pregevole in cui si mettevano in dubbio determinati concetti sbagliati sui sentimenti e le opinioni delle donne. E ha detto che rifiutare il permesso di rappresentarla equivaleva a negare alle donne la libertà garantita agli uomini di approfondire la comprensione di certi lati della loro natura dai quali possono aver origine azioni tuttora controverse. Il signor Wallace Albright, per l'ufficio del lord Ciambellano, ha detto che la commedia potrebbe insidiare i valori sui quali la nostra società è fondata e lasciarla rappresentare sarebbe contrario al bene pubblico. La signorina Antrim non è stata imputata per aver disturbato l'ordine pubblico, e ha avuto il permesso di tornare a casa. Caroline rimase immobile a fissare la pagina del giornale. Si sentiva cogliere da una rabbia inspiegabile, non sapeva bene neanche lei contro chi o che cosa. Perché un uomo doveva decidere cosa la gente potesse vedere o non vedere? Possibile che lo facesse per proteggere le persone giovani e vulnerabili dall'aggressione della pornografia e della violenza, dall'erosione di certi valori di cui ci si faceva crudelmente beffa, al punto che sarebbe stato necessario più coraggio per difenderli con gentilezza e rispetto di quanto non ne occorresse per rinnegarli? Alzò gli occhi verso la vecchia signora, seduta dall'altra parte della tavola, con la faccia segnata dall'amarezza, e le parve di leggerci anche qualcosa che, in quel momento, interpretò come paura. Si accorse che questo la lasciava profondamente sconvolta perché faceva nascere anche nel suo cuore certi timori che lei sola poteva capire, e perfino qualcosa che assomigliava troppo alla pietà. 7 L'agente, fermandosi di fronte a Pitt seduto nel suo ufficio, si mise impettito sull'attenti. — Signorsì, è quello che ha detto. Era mattina presto, fuori il sole splendeva dorato, riscaldando i muri e il lastricato della strada, offuscato appena appena dal fumo di innumerevoli
comignoli. — Ha visto Orlando Antrim e Delbert Cathcart che litigavano il giorno della morte di Cathcart — ripeté Pitt. — Ne siete sicuro? — Signorsì, sicurissimo. È quello che ha detto quel signore, e non c'è verso di fargli cambiare qualcosa nella sua dichiarazione. — Presumibilmente conosce bene tutti e due, questo... come si chiama? — Hathaway, signore. Peter Hathaway. Non saprei, ma mi pare di capire che debba essere un loro buon amico, altrimenti come farebbe a sapere chi sono? — Infatti. E io, dove lo trovo, questo signor Hathaway? — In Arkwright Road, signore. Ad Hampstead. Al numero ventisei. — Ed è venuto a fare la sua denuncia qui, a Bow Street? — Pitt era meravigliato. — No, signore, ad Hampstead. Ce lo hanno detto per telefono — rispose l'agente visibilmente orgoglioso della nuova tecnologia e pieno di speranza che potesse venir utilizzata per catturare i delinquenti. — Capisco. — Pitt si alzò. — Bene, suppongo che farò meglio a cercare questo signor Hathaway e a parlargli. — Signorsì. Magari questo signor Antrim è il nostro uomo, signore, visto che litigavano ma proprio sul serio... erano su tutte le furie, ecco. — Sembrava speranzoso, con gli occhi scintillanti. — Forse — convenne Pitt provando, però, una grande delusione. Aveva ammirato Orlando Antrim perché c'era qualcosa che gli piaceva in lui, la sensibilità, l'intuito e l'acume. — Volete informare il sergente Tellman e dirgli dove sono andato? — soggiunse, già sulla porta. Quando Pitt raggiunse Arkwright Road si sentì riferire dalla domestica che il giovane Hathaway non era in casa. Poiché si trattava di una bella giornata, era uscito con la macchina fotografica, sicuramente per raggiungere gli altri signori del suo club, ma se avevano deciso di fare una gita di studio potevano trovarsi chissà dove. A ogni modo, in seguito alle sue insistenze, la ragazza gli fornì l'indirizzo del posto dove avevano l'abitudine di radunarsi e, quando ci andò, il portiere a sua volta gli spiegò che i soci del club, quel giorno, si erano trasferiti sulla brughiera poco distante per esercitarsi nella fotografia di paesaggio. Pitt lo ringraziò e riprese il cammino verso la Hampstead Heath per mettersi in cerca del club fotografico e del signor Peter Hathaway. Natural-
mente ciò che Hathaway aveva visto era solo indicativo. La gente poteva litigare senza che questo portasse a nessun tipo di violenza, per non parlare poi di un delitto. Ma l'assassinio di Cathcart aveva qualcosa di melodrammatico, e doveva essere stato commesso da una persona profondamente sensibile ed emotiva, con una grande immaginazione e, c'era da presumere, anche una certa familiarità con l'arte per riprodurre nella realtà, con tanta precisione, il quadro di Millais della morte di Ofelia. Camminare sotto il sole era piacevole: l'erba frusciava, il vento muoveva appena le foglie, l'aria profumava di terra invece che di fumo e letame e polvere. Gli uccelli cantavano e il loro cinguettio acuto, dolce e ripetitivo, si sarebbe detto quello di merli e non dei soliti passerotti che si trovavano dappertutto. Vide un giovanotto e una donna, comodamente semisdraiati sull'erba, con un cesto da picnic vicino, non ancora aperto. Stavano ridendo, lei civettuola, lui che si pavoneggiava, baldanzoso. S'interruppero e alzarono gli occhi verso Pitt quando si accostò. — Scusatemi, avete visto passare di qui un gruppo di uomini con le macchine fotografiche? Fu la ragazza a rispondere: — Più o meno mezz'ora fa. E com'erano seri, mentre conversavano. — Da che parte sono andati? — Di là. — E indicò, oltre un lieve pendio, un ciuffo di alberi con le nodose radici esposte a fior di terra, contorte in forme intricate e bellissime. — Vi ringrazio. — Pitt salutò con un breve cenno del capo avviandosi nella direzione indicata. Ci vollero venti minuti per arrivarci, ed era ormai accaldato e con il fiato mozzo quando scorse un gruppo di una dozzina di giovanotti in giacca, pantaloni e panciotto, e tutti, all'infuori di due, anche con il cappello duro ben piantato in testa. Ciascuno aveva con sé la sua attrezzatura, e i cavalletti, saldamente appoggiati sull'erba del prato, spiccavano per la loro strana, angolosa eleganza. Le macchine fotografiche in equilibrio ben bilanciato su di essi avevano le lenti puntate verso un ramo o una fronda oppure qualche intrico interessante di foglie e rami. — Buongiorno. — Pitt interruppe la loro concentrazione. Nessuno rispose. — Scusate! — provò di nuovo, a voce un po' più alta. Il giovanotto che gli era più vicino si voltò, sconcertato dall'apparizione dell'intruso. — Signore! — disse, alzando una mano come per fermare il traffico. — A meno che non abbiate bisogno urgente di aiuto, vi prego di non interrompere questo momento. La luce è quella che ci vuole. Pitt si voltò nella direzione in cui sembrava che tutti tenessero fissi gli occhi e si accorse che, effettivamente, i raggi del sole filtravano con una
luminescenza sorprendente fra le foglie di un'imponente quercia ma fu sfiorato dal dubbio che quello spettacolo stupendo potesse tradursi in qualcosa di veramente spettacolare senza il verde e l'oro della realtà. Nonostante ciò si dispose ad aspettare che dodici macchine fotografiche facessero clic e registrassero tutte contemporaneamente quell'attimo fugace. — Sissignore — riprese finalmente il giovanotto. — E adesso, cosa possiamo fare per voi? Volete una fotografia? Oppure siete forse un entusiasta di questa arte e desiderate unirvi a noi? Portateci qualche esempio del vostro lavoro, e prenderemo una decisione. Siamo molto generosi, ve lo assicuro. Vogliamo soltanto sviluppare la nostra arte e allargare i confini di quanto si può ottenere. Presto arriveranno anche i colori, sapete? E parlo di colori autentici. Rossi... blu... verdi... tutti! — Davvero? — Per un attimo Pitt fu totalmente preso da questa nuova idea. Prima rifletté sulla sua bellezza, ma subito dopo pensò all'uso che ne poteva fare la polizia. Con la fotografia le cose sarebbero apparse con i loro veri colori e allora, ecco che le possibilità diventavano illimitate, non solo per identificare le persone ma anche per rintracciare oggetti rubati... — Sarà meraviglioso — convenne. — Ma io ero venuto a parlare con il signor Hathaway. È un socio anche lui, credo? — Oh, sì, ed è molto bravo; anzi, rivela un talento straordinario. — Con un cenno del capo indicò un giovanotto con i capelli biondi piuttosto lunghi che continuava ancora a fissare con attenzione rapita la luce fra i rami. — Quello là è Hathaway. — Grazie. — Hathaway alzò gli occhi quando l'ombra di Pitt si allungò attraverso la sua macchina fotografica. — Scusate — mormorò Pitt. — Siete voi Peter Hathaway? — Sì. In che cosa posso esservi utile? — Sovrintendente Pitt della stazione di polizia di Bow Street — spiegò Pitt porgendogli il proprio biglietto da visita. — Oh! — Hathaway diventò serio. Deglutì a fatica come se avesse la gola chiusa. — È per quella denuncia che ho fatto alla polizia locale? Sentite, si potrebbe parlarne un po' più lontano di qui? Ecco... è un po'... be'... è una questione delicata. Non voglio che la gente mi giudichi un ficcanaso e un pettegolo che va in giro a ripetere tutto quello che sa. Il fatto è che... ecco... con Cathcart morto, e via dicendo... mi capite? Era un fotografo di vaglia. Quasi il meglio nel suo campo, secondo me. Non posso permettere che l'abbiano ammazzato mentre io me ne sto qui con le mani in mano... No, proprio per niente, quando sono stato presente al litigio.
— Ditemi con esattezza tutto quello che avete visto, signor Hathaway — lo incoraggiò Pitt. — Ma prima di tutto, dov'è successo? Descrivetemi la scena, fatemene un quadro, se così preferite. — Ah... sì. Dunque, è successo il martedì precedente alla sua morte, come vi ho detto. Eravamo nei pressi del Serpentine, cercando di cogliere il gioco della luce del primo mattino sull'acqua; quindi eravamo lì press'a poco alle otto. Abbiamo fatto un lavoro eccellente, proprio eccellente. Non immaginate neanche come si possa essere ciechi di fronte alle magnificenze di luce e ombra, all'intrico delle forme, fino a quando non si vedono attraverso una lente. È come vedere il mondo con un occhio nuovo. È una finestra sul tempo, signore. Una specie di immortalità. Pitt non poté fare a meno di intuire almeno un barlume di ciò a cui Hathaway alludeva. Era vero: una fotografia, più di qualsiasi tipo di dipinto, catturava un istante e lo rendeva, se non eterno, almeno di una durata inimmaginabile. Ma Delbert Cathcart, nonostante il suo grande talento di fotografo, era stato un comune uomo mortale, e adesso era morto. Il dovere di Pitt era di scoprire come e perché e per mano di chi. — Meraviglioso, certo — convenne. — Suppongo che non abbiate scattato neanche una fotografia dei signori Cathcart e Antrim in quel momento? Per un attimo la faccia di Hathaway rivelò tutta la sua delusione, ma era troppo appassionato della sua arte per non cogliere l'importanza della questione. L'interesse gli fece illuminare gli occhi. — Oh, se solo ci avessi pensato! Che cosa splendida sarebbe stata, dico bene? Una prova indiscutibile. Ma ci arriveremo, signore! La macchina fotografica è una testimone sulla quale non possono sorgere dubbi. Oh, il futuro è pieno di meraviglie che riusciamo appena a immaginare... — Cosa stava facendo il signor Cathcart al Serpentine? — Io interruppe Pitt. — Ehm... non lo so. — Hathaway sembrava sorpreso. — Veramente, adesso che ci penso, era proprio strano. A quanto ne so, lui esegue soltanto ritratti. E non era neanche venuto a farci una lezione... anche se sarebbe stato meraviglioso, naturalmente. Invece non ci ha neanche rivolto la parola. Immagino che cercasse qualche posto da usare come sfondo. Questo sì, che avrebbe senso. — Ma lo avete visto? — Oh, sì, e molto chiaramente. — Gli avete parlato? — No. No, sarebbe stato... da invadente. Lui è... era... un uomo grandis-
simo... una specie di idolo per un dilettante come me. — Dicendolo, diventò un po' rosso in faccia. — È una cosa atroce che sia stato ucciso, un atto di barbarie. Forse c'era di mezzo una donna? — Può darsi. Ma Orlando Antrim cosa stava facendo qui? È un fotografo dilettante? — Oh, sì, e anche molto bravo, sapete. Naturalmente preferisce anche lui la figura, ma c'è da aspettarselo. In fondo, il dramma è la sua arte. — Ditemi con precisione cosa avete visto, signor Hathaway. — Li ho visti discutere accanitamente — rispose Hathaway, corrugando la fronte. — Sembrava che Antrim supplicasse Cathcart, come se volesse persuaderlo a fare qualcosa. E ci metteva una grande enfasi, almeno in apparenza, da come si sbracciava. — Avete sentito cosa diceva? — No. — Sgranò gli occhi. — Ecco la cosa strana. Nessuno dei due ha alzato la voce. Ho capito che stavano bisticciando per via dei gesti furiosi e delle facce piene di livore. Antrim stava tentando di persuadere Cathcart a fare qualcosa e Cathcart rifiutava in un modo sempre più veemente finché, alla fine, Antrim se n'è andato su tutte le furie. — Ma Cathcart è rimasto? — Soltanto pochi minuti. Poi ha preso la macchina fotografica, ha richiuso il cavalletto a colpi secchi e se n'è andato anche lui. — Nella stessa direzione? — Più o meno. D'altra parte, era logico. Di lì si raggiunge la strada e quindi è la scelta più naturale. — C'è stato qualcun altro che ha osservato la discussione? — Non so. Di solito tutti finiscono per badare solo a quello che stanno facendo, e non guardano più in là. Pitt sorrise. — Sì, capisco. Siete stato di grande aiuto, signor Hathaway. C'è qualcos'altro che potete dirmi su questo incontro? Avevate già visto quei due insieme in altre occasioni? Li conoscete personalmente... come soci del club, forse? Hathaway si strinse nelle spalle. — No, mi dispiace. Ma anch'io sono socio da poco tempo. E quanto agli altri, ne conosco solamente tre o quattro: Cabtree, Worthing, Ullinshaw, e Dobbs. Tutto qui. Dobbs è bravissimo a riprodurre nelle sue foto la luce sulla pietra, le siepi e via dicendo, ed è molto abile con gli uccelli. È stato il primo a mostrarmi una pellicola su rullino invece che in lastre. Assolutamente meraviglioso. Non ne avete idea! È stato un cerio Eastman, americano, a inventarla. Tutta arrotolata in
modo che si possono fare cento scatti uno dopo l'altro, immaginate un po'... Le foto vengono fuori rotonde, poco più di sei centimetri di diametro. — Rotonde? — domandò subito Pitt. Tutte le foto che aveva visto in casa di Cathcart erano rettangolari, come i ritratti dei suoi clienti. — Sì. — Hathaway sorrise. — Naturalmente sono per amatori. So che i professionisti usano quelle squadrate, ad angoli, ma anche queste sono abbastanza buone. — Molto interessante — disse Pitt, ed era sincero. — Grazie per la vostra schiettezza, signor Hathaway, e le vostre istruzioni. — Poi parlò con tutti gli altri soci del club fotografico, ma senza sapere niente di più. Un giovanotto aveva notato il litigio ma si limitò a descrivergli i partecipanti che non conosceva di nome. — Oh, sì — confermò con veemenza. — Era molto violento. Per un momento ho pensato che fossero lì lì per prendersi a pugni, ma il giovanotto più alto se n'è andato a passi concitati lasciando l'altro tutto rosso in faccia e visibilmente imbarazzato. — Niente di tutto quello che Pitt domandò ancora gli fruttò ulteriori informazioni salvo numerosi particolari sulle tecniche più avanzale e il miracoloso rullino di pellicola del signor Eastman che però, a quanto pareva, si usava solamente all'aperto e alla luce naturale, il che spiegava in gran parte per quale motivo Delbert Cathcart, che lavorava spesso con luci smorzate o in un interno, continuasse a prediligere le più tradizionali lastre. In ogni caso, i commenti e le riflessioni dei soci del club non consentirono a Pitt di avanzare di un solo passo nelle sue indagini anche se, a dispetto di se stesso, non si nascose che l'argomento lo interessava. Da Hampstead Pitt si recò in cerca di Orlando Antrim. Il passo più necessario, adesso, sarebbe stato di domandargli il motivo del violento litigio nonché dove e quando lui avesse visto Cathcart per l'ultima volta. Lo trovò a teatro a provare la sua parte nell'Amleto che sarebbe andato in scena la settimana successiva. Il portiere volle che spiegasse il motivo della sua visita e dichiarasse la propria identità prima di farlo entrare. — C'è la prova — il vecchio obiettò fissandolo con sguardo scrutatore. — Guai a voi se l'interrompete proprio adesso! E tacete. Sarà il signor Bellmaine a dirvi quando potrete aprir bocca. Pitt, ubbidiente, si avviò in punta di piedi per i corridoi polverosi seguendo le direttive che gli erano state date, e finalmente si ritrovò fra le quinte delgrandioso palcoscenico, completamente spoglio all'infuori di due paraventi ricamati e una poltrona. Un uomo alto e scarno era fermo verso il
proscenio e il suo volto cadaverico era acceso da un'espressione calda e commossa mentre, alzando un braccio, sembrava che chiamasse qualcuno in distanza. Poi Pitt la vide venire avanti dall'ombra fra le quinte di fronte e raggiungere le luci del palcoscenico: era Cecily Antrim, che indossava un semplice completo, camicetta e gonna appena sorretta da una piccola crinolina, di un comunissimo color grigio-azzurro, i capelli raccolti da qualche forcina in un'acconciatura trascurata che, nello stesso tempo, le donava in un modo incredibile e le dava un aspetto giovanile, disinvolto, pieno di energia. — Ah, mia cara! — esclamò l'uomo alto. — Pronta per la morte di Polonio. Da capo. Dov'è Amleto? Orlando! Orlando Antrim emerse dalle quinte dietro sua madre, vestito nel modo più banale possibile, pantaloni, camicia senza colletto e panciotto scompagnato, scarpe scalcagnate e polverose, capelli arruffati e un'espressione fortemente concentrata che gli incupiva il viso. — Bene. Bene — disse l'uomo alto che, pensò Pitt, doveva essere quel signor Bellmaine a cui aveva alluso il portiere. — Amleto, da destra. Gertrude, tu e io da sinistra. Cominciamo. — Si ritirò dal palcoscenico e poi, voltandosi, tornò vicino a Cecily. — "Sta salendo. Toccatelo sul vivo... Mi raccomando, siate abile." — "Madre, madre, madre!" — Orlando chiamò da dentro. Cecily si volse a Bellmaine: — "Garantisco io, non temete... Nascondetevi, arriva". — E con un solo e semplice movimento, curiosamente leggiadro e pieno di garbo per un personaggio anziano, Bellmaine scivolò dietro il paravento. Orlando entrò in palcoscenico. — "Ebbene, madre, volete parlarmi?" — "Amleto, tu hai molto offeso tuo padre" — rispose Cecily con voce musicale, sonante. La faccia di Orlando era contratta, gli occhi cupi, grandissimi; c'era, in lui, un'asprezza tale per la commozione che voleva tenere sotto controllo, eppure un tale tormento, che sembrava sul punto di crollare. — "Madre, voi avete molto offeso mio padre." Pitt osservava affascinato. Aveva studiato Amleto quando viveva ancora nella tenuta di sir Arthur Desmond, per il quale lavoravano i suoi, e studiava con il giovane Desmond, eppure adesso di fronte a lui la tragedia era diventata una storia di persone con una vita reale come la propria... La colpevolezza della regina, la morte di Polonio, i tormenti spirituali di Amleto... — Troppo precipitoso — disse Bellmaine in tono critico, guardando Orlando. — Nell'accusa che fai, le parole non sono ben nette. Amleto è furio-
so e indignato ma il pubblico deve ugualmente sentire quanto sia martellante la sua accusa. Sei troppo realistico. — Poi si volse a Cecily. — Tu sei supplichevole. Chi è colpevole è più rabbioso. E tu stai cercando con impegno di conquistarti le simpatie del pubblico. Riprendiamo. Dall'ingresso di Amleto. Pitt rimase a osservarli ripetere la scena una seconda, una terza e una quarta volta, meravigliandosi per la loro pazienza e la carica emotiva, ogni volta, della loro passione... Finalmente Bellmaine concesse a tutti e due un po' di riposo e, in quel breve intervallo, Pitt si alzò dalla cassa d'imballaggio sulla quale era seduto per dire: — Scusate... — Mio caro signore — disse subito Bellmaine. — Niente audizioni in questo momento. Andate dal signor Jackson. E parlate con lui. Se sapete essere pronto, ubbidiente, capace di rimanere sobrio, e parlare soltanto quando vi si rivolge la parola, una ghinea alla settimana e potete cominciare la vostra carriera sul palcoscenico. Pitt sorrise a dispetto di se stesso. — Non sto cercando di far carriera sul palcoscenico, signor Bellmaine. Vengo dal commissariato di polizia di Bow Street... Sovrintendente Pitt... Cecily che sedeva sul limitare del palcoscenico alzò gli occhi di scatto. — Poveri noi, è il poliziotto amico di Joshua. Polonio è vivo e sta bene, ve lo assicuro. — Non mi arrischierei ad arrestare Amleto, signora — promise Pitt. — La nazione non me lo permetterebbe. — Sarebbe meglio dire che non ve lo permetterebbe il mondo, signor Pitt — gli rispose lei. — Che cosa vi porta qui? Certo non la mia protesta contro il lord Ciambellano, vero? Eppure, se foste capace di leggere nel mio cervello cosa mi piacerebbe fargli, dovrei essere messa agli arresti, seduta stante! — Ma io non posso arrestarvi finché non avrete commesso il fatto! Bellmaine s'intromise. — La vostra visita qui avrà pure qualche motivo, signore. Vi prego, di che si tratta? Non possiamo prolungare troppo l'interruzione. A voi non sembrerà, ma questo è il nostro modo di guadagnarci da vivere. Ed è molto più duro e faticoso di quanto si creda. Pitt si volse verso di lui. — Sembra estremamente duro, signor Bellmaine. Ma io sono venuto a parlare con il signor Antrim. Cercherò di essere il più conciso possibile. Non c'è una scena che potete provare senza di lui? — Amleto senza il principe? State scherzando, signore? Ah... un poco, forse. Laerte, Ofelia! Venite! Non c'è tempo da perdere. Scena terza. Dal
principio, prego. Pitt s'incamminò sul tavolato del palcoscenico, dove il rumore dei suoi passi si levò risonante, dirigendosi verso Orlando, che subito gli domandò, accigliato: — Di che si tratta? Riguarda la faccenda della censura? Io ho protestato, ma del tutto pacificamente, sapete? — No, signor Antrim, non ha niente a che fare con la censura. A quanto ne so io, per quello, non c'è stata infrazione a nessuna legge. — Raggiunse Orlando e continuò a procedere fra le quinte e dietro il palcoscenico, dove nudi muri in mattoni si allungavano verso l'alto nel buio ed enormi scenari dipinti che raffiguravano una dozzina di mondi differenti, vi erano appesi o accatastati. — E allora, cosa c'è? — Orlando si voltò, trovandosi faccia a faccia con lui. — Appartenete a un club di fotografi nei pressi di Hampstead? — domandò Pitt. — Sì, è esatto... o, se non altro, posso dire di andarci occasionalmente; non molto spesso, ma ne faccio parte. Perché? — Vi siete unito a loro martedì scorso, alla mattina molto presto, per recarvi al Serpentine? — Intanto osservava Orlando ma, a quella luce così incerta, scoprì di non riuscire a capire se fosse pallido, o no. — Sì... — rispose Orlando un po' cauto. Deglutì e tossì. — Sì, ci sono andato. Perché? A quanto ne so, non è successo niente d'insolito. — Vi siete incontrato con un certo signor Delbert Cathcart e avete avuto con lui un violento litigio. — No. — Pareva sconcertato, come se la domanda lo avesse colto completamente di sorpresa. — Volete... volete alludere al fotografo che è stato ucciso? Se era là, vi assicuro che io non l'ho assolutamente visto. Era una splendida mattinata, la luce chiara, limpida, con una sorta di candida purezza... e non molta gente in giro. Non avevo avuto prove e non avevo fatto tardi la sera prima. Chi vi ha detto che c'era anche Cathcart? — Lo conoscete? — No. — La risposta fu molto pronta. Orlando continuava a fissare Pitt dritto in faccia e con occhi che parevano fermi e penetranti ma in un modo tutt'altro che naturale. D'altra parte, sapeva che Cathcart era stato assassinato. Chiunque si sarebbe sentito nervoso. — No, non lo conoscevo. Lui era un professionista, uno dei migliori, mentre io sono semplicemente un dilettante. Mi piace molto ma credo che dovrò rinunciare alla fotografia. Non ne ho il tempo.
— Quella mattina voi avete litigato con qualcuno e ve ne siete andato su tutte le furie. Se non era Cathcart, di chi si trattava? — domandò Pitt. Orlando arrossì ed esitò per qualche istante prima di rispondere. Quando lo fece girò gli occhi dall'altra parte. — Un amico — disse in vago tono di sfida. — Un tale che conosco da qualche tempo. Ma la nostra era semplicemente una divergenza di opinione, e nient'altro; forse è sembrata più accesa e accanita di quanto non fosse in realtà. In ogni caso non era una di quelle cose per le quali si perde un'amicizia o si finisce per fare a pugni. — Altri hanno identificato quell'uomo come Cathcart, signor Antrim. Se non era lui, mi occorre verificarlo. Il nome del vostro amico? Orlando esitò di nuovo, poi prese un'espressione decisa. — Mi spiace. — Aspettò un momento per valutare la reazione di Pitt e dovette intuire che non c'erano cedimenti da parte sua. — A dir la verità, è fuori Londra e non sono più riuscito a mettermi in contatto con lui. Quindi sarebbe del tutto inutile fornirvi il suo nome... o indirizzo. Potrebbe provocare qualche danno alla sua reputazione proprio quando lui non è presente a proteggerla. — Signor Antrim. Tutto quello che voglio è la conferma che fosse lui la persona con cui avete litigato la mattina del giorno nel quale il signor Cathcart è stato ucciso, niente di più. — Be', non potete, perché lui non c'è. D'altra parte se un uomo della posizione e della fama di Cathcart fosse stato al club fotografico, figuriamoci un po'!, non è possibile che possa confermarvelo anche qualche altro socio? Questo era innegabilmente vero. — Allora dovrò andare a chiedere a loro — si rassegnò Pitt. — Ma sicuramente avranno visto anche voi e, se lui è un socio, sapranno qual è il suo nome. Sarebbe molto più semplice se foste voi a dirmelo ma, se per saperlo dovessi essere costretto a interrogare gli altri soci, lo farò. Orlando adesso sembrava profondamente a disagio. — Mi accorgo che non avete intenzione di rinunciare. Vi giuro che non ha nessun legame con il vostro caso. Era un diplomatico dell'ambasciata francese... la situazione è delicata... — Henri Bonnard. — Pitt provvide subito a fornire l'informazione. Orlando s'irrigidì, alzando un po' il mento e sgranando gli occhi, ma non parlò. — Dove si trova, signor Antrim? — Non posso dirlo. Ho dato la mia parola. E niente di ciò che Pitt soggiunse lo persuase a cambiare idea.
A quanto sembrava, Bellmaine doveva aver trovato di sua soddisfazione la prova della scena perché sbucò da dietro l'angolo nel piccolo spazio ingombro in cui loro si trovavano, l'uno davanti all'altro. Con espressione penetrante, i suoi occhi corsero prima a Orlando, poi a Pitt. — L'arte è lunga e la vita breve, sovrintendente — disse con un mezzo sorriso ironico. — Se possiamo esservi realmente d'aiuto, eccoci a vostra disposizione. Se invece non si tratta di una faccenda urgente o importante, potremmo continuare con Amleto? — Intanto osservava con molta attenzione Orlando, forse per controllare se fosse preoccupato, perché questo non poteva che andare a scapito della concentrazione che gli era necessaria. Sembrò abbastanza soddisfatto di quel che vide. Orlando diede l'impressione di provare un certo sollievo per l'arrivo di Bellmaine e, forse inconsapevolmente, gli si avvicinò di un passo. Bellmaine gli mise una mano sulla spalla. — Al lavoro, mio prìncipe — disse continuando a fissare Pitt. — Se il sovrintendente lo consente. — Senz'altro — si arrese Pitt. — Vi ringrazio del tempo che mi avete dedicato. Orlando si scrollò via dalla spalla la mano di Bellmaine. Pitt si trovò con Tellman e gli riferì il poco che era venuto a sapere. — Quell'ambasciata nasconde qualcosa — obiettò Tellman. — Continuo a pensare che, in qualche modo, c'entrino anche loro in tutta la faccenda. In fondo, soltanto la signora Geddes sostiene che quello è il corpo di Cathcart. E se non lo fosse? Magari è il francese. Comunque tutta questa storia sembra giocata sempre di più fra attori e stranieri. — Sembra, piuttosto, che ci sia in gioco più qualche violenta passione che non il denaro — rispose Pitt. — Domattina torniamo all'ambasciata. Ci occorre sapere cosa è successo a Henri Bonnard, non fosse altro che per escluderlo dalle indagini. — O cosa è successo a Cathcart — soggiunse Tellman. — Quanto a quello che è successo a lui, credo che lo sappiamo — disse Pitt con tristezza. — L'hanno assassinato in casa sua e poi gli hanno fatto ridiscendere il Tamigi a bordo di quella barca per un ultimo funereo tragitto. Quello che non so è chi è stato, e perché. Tellman non rispose. A ogni modo monsieur Villeroche fu irremovibile né più né meno come la prima volta che l'avevano visto, solo che in questa occasione fu tanto a-
bile da far svolgere il loro incontro nel suo ordinato e lindo ufficio, in privato. — No! No, assolutamente! — ripeté. — Non è tornato e neppure ha mandato a dire niente, a quanto mi risulta, e non so più cosa fare per scoprire quel che gli è successo. Ormai è passata più di una settimana e non abbiamo notizie sul suo conto. Il lavoro si ammucchia sulla sua scrivania e a me viene semplicemente detto di non preoccuparmi. Invece sono letteralmente angosciato! E chi non lo sarebbe? — Vi siete messo in contatto con la sua famiglia in Francia? — gli chiese Pitt. — In Francia? No. Vivono nel Sud... in Provenza, credo. Ma è un po' difficile che sia andato tanto lontano senza avvertirmi. Se fosse successo qualcosa di grave, bastava chiedermi un permesso. L'ambasciatore non è la persona che non sappia farsi una ragione delle difficoltà o dei problemi del suo personale. Pitt non insistette. Tellman era già venuto a sapere che Bonnard non aveva preso il traghetto attraverso la Manica ma era tornato da Dover a Londra. — E se ci fosse di mezzo una storia romantica? — chiese invece. Villeroche si strinse nelle spalle. — E allora perché non dirlo? Che non abbia chiesto un normale permesso né un periodo di vacanza, è assodato. Che razza di uomo è quello che manda avanti un amore segreto abbandonando il suo impiego, un posto dove è rispettato e si ha fiducia di lui...? Soltanto tenendosi cara la propria posizione ci si può permettere di sposare il proprio amore segreto, vi pare? Quindi suppongo che dobbiamo parlare di un affaire illecito, di una donna che è già sposata, della figlia di qualcuno che non lo considera un pretendente adatto oppure, perché no?, di una donna di uno stato sociale tanto infimo da non poter prendere in considerazione l'eventualità di sposarla? Oppure... — Non nominò l'ultima possibilità ma Pitt e Tellman capirono a cosa stava pensando. — Sarebbe possibile? — domandò Pitt, con l'immagine di quella veste di velluto verde ben viva nella memoria. Villeroche si accigliò. — No! Proprio per niente. Ma vorrei poterlo rintracciare. Era sconvolto prima di andar via, evidentemente torturato da qualche... qualche difficoltà, oppure sotto pressione, anche se non ho idea di cosa potesse essere. Ho paura che gli sia successo qualcosa di grave. Pitt si fece dare una lista dei club e di altri locali che Bonnard frequentava e dov'era stato visto di frequente quando era a Londra. Poi ringraziò Villeroche e prese congedo, insieme a Tellman. — Bene, cosa ne pensate, in conclusione? — gli domandò Tellman, at-
tento e incuriosito, non appena si ritrovarono fuori, nella strada spazzata dal vento. — Penso che dobbiamo impegnarci più a fondo a cercare Bonnard — disse Pitt di malavoglia. — Potrebbe trattarsi di una storia d'amore che lui per qualche motivo vuole tenere segreta. — Non crederete a una possibilità simile! — Tellman lo guardò sdegnato. — Villeroche è suo amico. E lo saprebbe se ci fosse sotto qualcosa del genere. In ogni caso, che razza di uomo è quello che pianta lì tutto e corre dietro a una donna senza dirlo a nessuno, a meno che non abbia perduto la testa? E poi, è un diplomatico, no? Capisco che è francese, ma anche così! Pitt si dichiarò d'accordo ma non c'era alternativa ragionevole. Si avviarono insieme a controllare i vari posti indicati da Villeroche, ponendo le domande con tutta la discrezione possibile. Ma nessuno sapeva dove fosse Bonnard o tantomeno lo aveva sentito accennare alla possibilità di lasciare Londra. E sicuramente nessuno era a conoscenza di qualche interesse romantico particolare da parte sua. A tutti aveva dato l'impressione di divertirsi in compagnia di svariate signorine, parecchie delle quali di dubbia reputazione, ma che, al momento, il matrimonio fosse l'ultimo dei suoi pensieri. — Henri? Figurarsi! — esclamò accalorandosi un giovanotto. E poi scoppiò in una risatina nervosa. — È troppo ambizioso per sposarsi male, e di dare la caccia alla moglie di un altro... neanche parlarne... e per di più, in un paese straniero. Oh, no. — Passò con gli occhi da Pitt a Tellman, poi guardò di nuovo Pitt. — Era... è... quel tipo di uomo al quale piace divertirsi, forse non sempre con la discrezione desiderabile in un diplomatico, ma solo... in modo conviviale, se così posso esprimermi... e temporaneo... mi capite? — Insomma gli piace mangiare, bere e non impegnarsi con una donna — fu l'interpretazione di Pitt. — Precisamente — confermò l'altro. — Un uomo di mondo... forse dovrei definirlo il tipo mondano al quale piacciono la musica, le luci della città... e nello stesso tempo non così accorto e navigato come dovrebbe essere. Pitt sorrise suo malgrado. Come si mettevano d'impegno tutti a evitare di descrivere nel modo più chiaro e schietto le debolezze di Bonnard! — Vi ringrazio. Credo di capire. Siete stato molto utile. Vi auguro il buongiorno, signore. Andarono a trovare parecchie altre persone di cui Villeroche aveva for-
nito il nome ma senza che nessuna di loro aggiungesse qualcosa di nuovo. Verso le nove e mezzo di sera, stanchi e scoraggiati, arrivarono allo Ye Olde Cheshire Cheese, un locale incuneato in una viuzza, fra la bottega di un sarto e quella di un barbiere. — Ne vale la pena? — protestò Tellman, arricciando il naso per il disgusto quando si trovarono sui gradini del pub, mentre i lampioni a gas segnavano, allungandole, le loro ombre sul lastricato. — Probabilmente no — rispose Pitt. — Sto cominciando ad accettare l'ipotesi che si sia rifugiato in campagna, chissà dove, per vivere una storia d'amore che è riuscito a tenere così ben nascosta che neanche i suoi amici più intimi ne sanno qualcosa, oppure è coinvolto in qualche faccenda più losca, forse illegale, o forse persino nell'omicidio di Cathcart, anche se non riesco a vedere la connessione. Su, venite, questo è l'ultimo posto che controlliamo. — Spalancò la porta e subito si trovò in un'atmosfera calda e soffocante dove l'aria puzzava di vino e di tabacco. Una ventina di giovanotti e qualche uomo più anziano sedevano qua e là a gruppi con bicchieri o boccali davanti, e c'era chi chiacchierava vivacemente, chi ascoltava, chi allungava le orecchie per non farsi sfuggire qualche parola. Pitt oltrepassò il primo tavolo perché lì si discuteva tanto seriamente che la sua interruzione non sarebbe stata minimamente gradita. Al secondo, dove la compagnia sembrava più tranquilla e rilassata, notò una faccia che gli sembrò familiare pur non ricordando dove l'avesse già vista. Era massiccia, carnosa, con folti capelli scuri, come gli occhi. — Gli uomini dappoco criticheranno sempre quello che non capiscono — stava dicendo costui in tono veemente. — È fonte continua di stupore per me che quanto più uno è imbecille, tanto più si senta costretto a mettere al corrente gli altri dei propri difetti. — Ma questo non ti manda su tutte le furie? — gli chiese un biondino con grandi occhi scintillanti. L'uomo più bruno inarcò le sopracciglia. — Caro mio, a cosa servirebbe? Per qualcuno, l'opera d'arte di un altro è semplicemente uno specchio. Ci vedono un riflesso di se stessi perché a nessuno di loro piace quel che essa rivela. Ecco perché c'è qualcuno che è convinto che io difenda e propugni l'amore per la bellezza al di sopra di tutto il resto semplicemente perché lui non l'ama. Attaccando Il ritratto di Dorian Gray, in certo qual modo, sta cercando un'arma per attaccare il suo nemico personale. Così quando un uomo ignorante o spaventato mi definisce immorale, ci soffro ma posso tollerarlo. Se però un uomo onesto dovesse definirmi stupido, sa-
rei costretto a prendere in considerazione la possibilità che abbia ragione, e sarebbe terribile. — Viviamo in un'era di filistei — disse un altro giovanotto con aria avvilita, buttandosi indietro dalla fronte con la mano una folta ciocca di capelli. — La censura è una forma di morte strisciante, l'inizio di una necrosi dell'anima. Come può crescere, una civiltà, se non mediante idee nuove? Così, ogni uomo che soffoca una nuova idea è un assassino del pensiero e il nemico delle generazioni successive perché li ha derubati di un po' della loro vita. — Ben detto! — Oscar applaudì generosamente. — Scusatemi, signor Wilde... — Pitt approfittò di una pausa nella conversazione per interromperli. Wilde lo guardò incuriosito. — Siete d'accordo, signore? — domandò con vivacità. Poi squadrò Pitt dalla testa ai piedi. I suoi occhi si soffermarono sui capelli spettinati e il colletto della camicia sbilenco. — Lasciatemi indovinare. Siete un poeta che qualche critico meschino e pieno di livore ha censurato? Oppure un artista che ha dipinto la sua visione di cosa c'è realmente nell'animo umano, e nessuno vuole appendere il suo quadro in pubblico perché rappresenterebbe una sfida alle opinioni di comodo della società? Pitt rise. — Non avete proprio azzeccato, signore. Sono Thomas Pitt, un poliziotto che non riesce a rintracciare un diplomatico francese e si domanda se per caso voi non sapete dove si trova. Wilde rimase allibito, poi scoppiò in una risata scrosciante battendo il pugno sul tavolo. — Buon Dio, signore, avete un senso molto caustico dell'assurdo. Mi piacete. Prego, accomodatevi qui con noi. Bevete un bicchiere di vino. E fate accomodare qui, con voi, anche il vostro lugubre amico. — Indicò con un ampio gesto del braccio una sedia vuota poco distante e Pitt se la tirò vicina e vi prese posto. Anche Tellman lo imitò. — Posso chiedervi se il vostro è un interesse personale o professionale? Pitt si sentì vagamente a disagio. Conosceva la reputazione di Wilde e non avrebbe voluto essere frainteso. — Mi riguarda professionalmente. — Vi può andar bene qualsiasi diplomatico francese — gli domandò il giovanotto col ciuffo scarruffato, e poi ridacchiò tutto allegro — o ne volete uno specifico? — Ne vorrei uno specifico — replicò Pitt. — Henri Bonnard per la precisione. Uno dei suoi amici ha denunciato la sua scomparsa e, non dovesse
ricomparire presto, potrebbe correre il rischio di perdere il posto. Questo mi fa temere che gli sia successo qualcosa di male. — Male? — Wilde passò con gli occhi dall'uno all'altro degli amici seduti intorno a lui. Poi tornò a voltarsi verso Pitt. — Conosco Bonnard, superficialmente. Non avevo idea che fosse scomparso. Confesso di non averlo più visto... — Ci pensò un momento. — ...oh...da un paio di settimane, più o meno. — Lo hanno visto per l'ultima volta nove giorni fa — disse Pitt. — Una mattina, nei pressi del Serpentine. Ha avuto un alterco con un amico e se n'è andato visibilmente furioso. — E voi, come fate a saperlo? — chiese Wilde. — È stato osservato da un certo numero di persone — spiegò Pitt. — C'era, laggiù, un club fotografico a scattare paesaggi alle prime luci del giorno. I due uomini ne erano soci. — Una poesia di luce e ombra — osservò il giovanotto col ciuffo. — Un numero enorme di quadri in bianco e nero e sfumature di grigio. Meglio di Whistler, non vi sembra? — Ma non all'altezza di un Beardsley — intervenne con asprezza qualcun altro. — Una fotografia coglie soltanto l'apparenza, l'ovvietà, l'esterno. I disegni di Beardsley colgono lo spirito, l'essenza del bene e del male... le questioni eterne... — Di sicuro — confermò il giovanotto col ciuffo. — Il pennello, nelle mani di un genio, con il coraggio di dipingere quello che vuole senza che un piccolo censore spaventato e bigotto possa fermarlo... Qualcun altro si sporse entusiasticamente verso Wilde facendo quasi rovesciare un bicchiere di vino sul tavolo con il gomito. — La tua Salomé, i suoi disegni, le idee di nero, oro e rosso com'erano brillanti! La Bernhardt le avrebbe adorate. Ma ve l'immaginate? Avremmo potuto entrare a vele spiegate in una nuova epoca della mente e dei sensi. Qualcuno dovrebbe sparare al lord Ciambellano! — Qui c'è un poliziotto! — Un bell'uomo mise in guardia gli altri, indicando Pitt. — Non ti arresterà per avere espresso un'opinione da persona civile — lo rassicurò Wilde. — È una brava persona, e so che va a teatro perché adesso ricordo dove l'ho già visto. Quella volta che un disgraziato giudice è stato assassinato nel suo palco... e sul palcoscenico recitavano Tamar MacAuley e Joshua Fielding. — Precisamente — confermò Pitt. — Anzi siete stato proprio voi a for-
nirmi l'informazione che mi ha portato a scoprire la verità. Wilde, naturalmente, non nascose il proprio giubilo. — Davvero? Mi fate provare una soddisfazione incredibile. Vorrei potervi aiutare a trovare il povero Henri Bonnard, ma non ho idea né di dove trovarlo né perché se ne sia andato a quel modo. — Ma voi lo conoscete? — Certamente. Un tipo pieno di fascino... — Qui o a Parigi? — provò a chiedere il giovanotto col ciuffo. — L'avete conosciuto a Parigi? — si affrettò a domandare Pitt. — No, per niente. — Wilde accantonò la domanda di Pitt divertito. — A Parigi ci sono andato soltanto per un viaggetto. Ho girato un po' di qua e di là. Città superba, gente deliziosa... per lo meno in gran parte. Sono andato a trovare Proust. Che orrore! È arrivato in ritardo all'appuntamento che mi aveva dato... addirittura a casa sua... e non ho mai visto casa più brutta. A ogni modo, Bonnard non era parigino. Mi pare che la sua famiglia vivesse nel Sud. — Avete una vaga idea del perché potrebbe aver lasciato Londra così, di punto in bianco? — domandò Pitt girando gli occhi intorno a sé e fissando gli altri che sedevano al tavolo di Wilde. — Potrebbe trattarsi di qualsiasi cosa, da una donna a un brutto debito — osservò il poeta e drammaturgo Yeats, che faceva parte anche lui della brigata. — Aveva soldi in abbondanza — osservò il giovanotto col ciuffo. — Ma non era neanche l'uomo che butta al vento tutto il resto per una storia d'amore — insinuò qualcun altro. — Che tristezza — mormorò Wilde. — Dovrebbe esserci sempre nella vita almeno una cosa per cui si è disposti a sacrificare tutto il resto... Prendete un bicchiere di vino, signor Pitt. — E afferrò la bottiglia. — Purtroppo non possiamo aiutarvi. Siamo poeti, artisti e sognatori... e di tanto in tanto anche grandi teorici della politica... Ma non abbiamo idea di dove sia Bonnard o del perché se ne sia andato. Posso soltanto dire che spero che ritorni sano e salvo. — Vi ringrazio, signor Wilde — disse Pitt gentilmente. — Vorrei poter cominciare le mie ricerche da Parigi ma purtroppo sappiamo che non ha preso il traghetto di Dover sul quale aveva già il posto prenotato, e mi rammarico di aver qualcosa di più brutto e più urgente di cui occuparmi prima di poter continuare le indagini su questo problema. — Un altro giudice? — si informò Wilde.
— No, un uomo trovato morto su un barchino a fondo piatto a Horseferry Stairs. Wilde sembrò rattristato. — Delbert Cathcart. Un avvenimento doloroso. Quando troverete il suo assassino, non dimenticatevi di accusarlo di barbarie oltre che di omicidio. Quell'imbecille ha distrutto un genio. Tellman ebbe un sussulto. — Conoscevate bene il signor Cathcart? — Tellman aprì bocca per la prima volta e la sua voce si levò un po' rauca e molto diversa da quelle degli altri uomini del gruppo raccolto intorno al tavolo. Lo fissarono stupiti, come se fosse stata una delle sedie a parlare. Tellman arrossì, ma non abbassò gli occhi. Wilde fu il primo a riacquistare la sua compostezza. — No... L'ho incontrato una volta sola, a una festa, da qualche parte. Però ho visto moltissimi dei suoi lavori. Non è necessario conoscere di persona un uomo, che è un artista, per conoscere la sua anima. Se non la trovi in quello che lui crea, allora ti ha imbrogliato, ma, quel che è peggio, ha imbrogliato se stesso. Tellman adesso appariva confuso e avvilito. Pitt li ringraziò di nuovo tutti e, rifiutando l'offerta del vino, salutò e venne via. Quando si ritrovarono nella viuzza buia, Tellman respirò a fondo e si passò la mano sulla faccia. — Avevo sentito dire che era un tipo strano — mormorò. — E confesso di non riuscire a inquadrarlo. Secondo voi quella gente ha qualcosa a che fare con Bonnard e Cathcart? — Non so neanche se Bonnard e Cathcart hanno qualcosa a che fare l'uno con l'altro — gli rispose Pitt con voce tetra e si rialzò il colletto del cappotto mentre si avviava per la viuzza accompagnato dal cupo rumore dei passi di Tellman che gli veniva dietro. 8 L'incubo era talmente simile alla realtà che perfino quando la vecchia signora si svegliò, le parve che la camera in cui si trovava fosse quella dove aveva passato la sua vita coniugale. Ci volle un attimo prima di schiarirsi le idee e rendersi conto che sulla sinistra non esisteva nessuna porta di comunicazione con la camera di Edmund. Non era il caso di aver paura. Ma dove si trovava? Aveva i piedi freddi. Filtrava un po' di luce dalla fessura fra le tende. Afferrò le coperte e se le tirò su fino al mento, nascondendosi tutta. Guardò le mani sul lenzuolo, le nocche gonfie e contratte: erano ma-
ni di vecchia, segnate dalle vene azzurrine, con qualche macchia nera qua e là, e la sottile vera nuziale che girava facilmente intorno al dito. Una volta erano state esili e lisce. Il passato si dileguò. Ma adesso dov'era? Non si trovava ad Ashworth House. Poi ricordò. Con Emily e suo marito a Parigi, lei si era vista costretta ad andare ospite da Caroline. Come odiava la necessità di dipendere dagli altri! Era la parte peggiore nella sua situazione di vedova. Eppure per una vedova c'era sempre un certo grado di simpatia e di rispetto, e lei in questa famiglia era l'ultima, ancora viva, della sua generazione. Naturalmente tutto questo sarebbe cambiato... adesso che Samuel Ellison era arrivato dall'America. Alys aveva avuto un figlio. Edmund non lo aveva mai saputo. Lei non riusciva a immaginare cosa avrebbe provato, sapendolo. Ormai, che importanza poteva avere? Dov'era Mabel? La vecchia signora si protese dal letto per dare uno strattone al cordone del campanello al suo fianco e fece quel gesto con una tale violenza da potersi considerare fortunata se non le rimase in mano. Sembrò che passasse un'eternità prima che Mabel comparisse, ma quando arrivò reggeva fra le mani un vassoio con un tè bollente. Lo posò sul tavolino vicino al letto, poi aprì le tende facendo entrare la luce del sole. C'era qualcosa di reale e rassicurante nei suoi gesti, e anche nei rumori e suoni della giornata, quelli di sempre: un fruscio di passi, il tonfo degli zoccoli dei cavalli in strada, qualcuno che chiamava, un secchio lasciato cadere, una ragazza che rideva. Forse avrebbe trovato un modo, alla fin fine, per tenere tutto sotto controllo? Erano passati otto giorni da quando Caroline, rientrando dal teatro, le aveva parlato della improvvisa comparsa di Samuel Ellison. La prima colazione fu soddisfacente, se un pasto consumato praticamente nel silenzio più completo, e in solitudine salvo per la presenza di Caroline, poteva essere definito tale. Caroline era ancora più assorta del solito. E chiusa in se stessa. Quella mattina sembrava eccitata e rivelava un compiacimento, una soddisfazione molto poco dignitosi, come se sapesse qualcosa di divertente di cui si rifiutava di metterla a parte. Il che era ancor più disdicevole. Era già abbastanza brutto in una ragazzina di cui si potevano comprendere certe manchevolezze, ma era ridicolo in una donna che aveva dei nipotini. Il motivo della sua soddisfazione venne rivelato verso la metà del pomeriggio. Samuel Ellison tornò un'altra volta a trovarla. Caroline non aveva
avuto il buonsenso di scoraggiare sue ulteriori visite dopo tutto quello che lei aveva detto, e Samuel sembrava totalmente insensibile a qualsiasi allusione o suggerimento, per quanto chiari fossero. Stavolta portò dei fiori e una scatola di frutta candita belga. Apparentemente erano per lei, ma lei sapeva benissimo come in realtà fossero per Caroline: era solo una questione di etichetta. Comunque li accettò come se quell'omaggio le fosse dovuto e si mise a riflettere tra sé e sé sull'eventualità di ritirarsi dal salotto prima che venisse ordinato il tè, e la sua visita apparisse bene accetta e potesse prolungarsi. Un mal di testa o un qualsiasi altro pretesto del genere sarebbero serviti a meraviglia. E di sicuro, né Samuel né Caroline avrebbero tentato di persuaderla a rimanere, anzi sarebbero stati soltanto ben felici che lei se ne andasse. Naturalmente questo avrebbe significato che loro due rimanevano senza chaperon. Ma avrebbero avuto la decenza di preoccuparsene? Se lei fosse stata presente avrebbe potuto almeno esercitare un certo controllo sugli eventi e Samuel non si sarebbe sicuramente azzardato a dire qualcosa che la riguardava se l'avesse avuta lì, in poltrona, davanti agli occhi. Sì, per quanto penoso fosse, non poteva permettersi il lusso di scappare. Dopo il solito scambio di saluti e complimenti, Caroline chiese a Samuel di raccontare loro dell'epoca in cui era appena arrivato a New York. — Non riesco a immaginare cosa possa essere stato per voi e vostra madre trovarvi completamente soli in una città affollata di immigranti, molti dei quali non portavano con sé niente all'infuori della speranza — disse con aria grave. — La speranza e la voglia di lavorare — rispose lui. — Lavorare tutto il giorno e tutte quelle ore della notte in cui si riusciva a stare svegli. E parlavano cento lingue diverse... — Una babele — intervenne a voce alta la vecchia signora. — Senz'altro — confermò lui rivolgendole un sorriso. — Ma è stupefacente quanto si possa capire di quello che le persone vorrebbero dire, quando si condividono i loro sentimenti. Tutti noi proviamo speranza e paura, la sensazione di trovarci a chilometri e chilometri da tutto quanto ci è familiare... — Credevo che foste nato laggiù! — disse la vecchia signora. — Infatti — confermò lui. — Ma per mia madre è stato uno strappo terribile lasciare tutto ciò a cui era abituata, e ricominciare, senza niente, fra persone straniere... per di più! Mariah avrebbe voluto prendersi a calci. Come aveva fatto a essere tanto
incredibilmente stupida? Aveva trovato una situazione pericolosa e l'aveva trasformata in un disastro. Si sentì agghiacciare. E fece in modo di non incrociare lo sguardo di lui. Caroline stava parlando. Una volta tanto, la vecchia signora se ne rallegrò. — Non vi so dire quanto io ammiri il suo coraggio. — Grazie — mormorò Samuel con gli occhi fissi sul viso di Caroline. — Io la giudico una donna meravigliosa. L'ho sempre giudicata così... D'altra parte, le volevo bene! — Batté rapidamente le palpebre. — Ma sono sicuro che anche qui devono essere successe cose straordinarie ed emozionanti. Vi prego, parlatemi dell'Inghilterra in tutti questi anni. Io sono americano di nascita... e per educazione, ma ho nel sangue l'eredità inglese. — Si appoggiò meglio alla spalliera della poltrona volgendosi alla signora Ellison. — Come era la vita qui, al centro degli avvenimenti, mentre io crescevo a New York, laggiù ai margini del mondo? Stava aspettando la sua risposta e lei doveva prendere in mano la conversazione, e controllarla. Abbastanza facile. Gli raccontò ogni genere di cose man mano che i ricordi le si affollavano alla mente. — Ecco, questo è successo l'anno prima che il vecchio re morisse e quello nuovo venisse incoronato. E il duca di Wellington rassegnasse le dimissioni. — Non è stato il generale che ha combattuto a Waterloo? — Precisamente — dichiarò lei. Questo, in fondo, era un argomento privo di pericoli. Si accorse di sorridere, alzando lievemente la testa. Perché quella era stata la sua giovinezza, un'epoca alla quale era penoso pensare. Era un'altra vita, un'altra persona, quando lei era stata una fanciulla piena di speranza e di un'innocenza che adesso le pareva inconcepibile, sapendo quello che era successo in seguito. Fino a quel momento non le era mai capitato di chiedersi quali segreti, perfino troppo orribili da sfiorare con la memoria, esistessero nella vita delle altre donne, dietro l'espressione composta che mostravano in pubblico. Il silenzio diventò una specie di cappa calata su di loro. Fu Caroline a spezzare la tensione. — Tutto quanto so del regno di Guglielmo IV riguarda gli irlandesi. Furono a decine di migliaia quelli che lasciarono l'Irlanda per l'America. Oso dire che ne avrete conosciuto qualcuno anche voi. I suoi occhi ebbero un lampo di compassione. — Certo. Non saprei dire quanti di loro finirono a New York, cercando di sperare e insieme di non sperare troppo, e tutti malati di nostalgia. — Anche vostra madre deve averla provata — disse Caroline con gentilezza.
Mariah cercò di immaginarsi tutto questo. Non sapeva niente di Alys, salvo che se n'era andata. Edmund non gliela aveva mai descritta. E lei non sapeva se fosse stata bella o scialba e bruttina, bionda o bruna, snella o florida. Non sapeva niente della sua personalità o dei suoi gusti. Solo che se n'era andata. Quella era l'unica cosa dominante nel suo cervello, che la rendeva diversa da lei come se fosse stata di un'altra razza. Ecco perché aveva odiato Alys tutti quegli anni, e l'aveva invidiata; e perché le parole di ammirazione per lei le morivano in gola. Era stata ammirazione, la sua, ecco la verità. E voleva sapere qualcosa in più sul suo conto? No... perché sarebbe stata costretta a smettere di odiarla. Ma Samuel si era già messo a parlare di lei. — ...forse un po' più alta della media — stava dicendo. — Capelli castano chiaro. Capisco di non essere obiettivo ma non ero certamente l'unico a giudicarla molto bella. C'erano un garbo in lei... una specie di serenità interiore... come se non dubitasse mai di tutto quanto le era caro e fosse disposta a lottare come una tigre per proteggerlo. Poteva andare su tutte le furie eppure io non l'ho mai sentita alzare la voce. Credo che sia stata lei più di chiunque altro a insegnarmi cosa significa essere un gentiluomo. Mariah si accorse di sentirsi travolgere dal solito senso di amarezza ormai familiare. Come poteva Alys essere stata una donna tanto perfetta? Possibile che anche a lei non fosse capitato di sentirsi scoraggiata e avvilita, di ritrovarsi in lacrime come una bambina maltrattata, da sola, al buio? Cosa aveva fatto diventare Alys una creatura così splendida, luminosa, intelligente e coraggiosa? Era semplicemente una donna migliore di lei? Cosa le aveva dato il coraggio? — ...ma io voglio sapere ancora di più di tutti voi — stava intanto dicendo Samuel, guardando con aria grave Caroline, e poi la signora Ellison. — Siete soprattutto voi ad avere importanza per me. Dove abitavate? Cosa facevate e dove andavate? Di che cosa vi parlavate? Siete il mio unico legame con un padre che non ho mai conosciuto. E se avessi bisogno di sapere di più e dell'altro sul suo conto per comprendere me stesso? Lo pensate, questo? Mariah trasalì e per qualche istante non riuscì a parlare. — Che assurdità! — Scoppiò in un accesso di tosse convulsa. Caroline la stava guardando con tanto d'occhi. — Quel che intendo dire... è che voi siete quello che siete, indipendentemente da vostro padre. — Capì che doveva aggiungere qualcos'altro per non insospettirlo, ma aveva il cervello vuoto. Caroline venne in suo soccorso. — Papà, voglio dire mio suocero, era un
uomo di grande fascino — cominciò con voce soave. E poi: — Era alto, più o meno come voi, e sempre vestito in un modo splendido. Aveva un orologio d'oro e lo portava con la catena in vista, attraverso il panciotto. Gli piacevano scarpe e stivali di ottima fattura ed esigeva che fossero sempre lucidati a perfezione. — Adesso aveva gli occhi assorti, sperduti nelle reminiscenze. — Non sorrideva molto spesso, ma aveva un modo di ascoltarti... come se ti dedicasse tutta intera la sua attenzione. Verissimo. Ascoltando Caroline, Mariah poteva ritrovarsi davanti, veramente perfetta, l'immagine di Edmund. Le pareva quasi di risentire la sua voce, e il suono del suo passo, rapido e fermo, attraverso l'atrio. Aveva l'abitudine di stare sempre davanti al fuoco e a questo modo riscaldava se stesso, ma impediva agli altri di riscaldarsi. Edward faceva sempre la stessa cosa. Intanto Caroline continuava a parlare di Edmund, raccontando a Samuel qualcuno degli aneddoti che più potevano piacergli, e come cantasse bene e quanto affetto avesse dimostrato per le ragazze, Sarah, Charlotte ed Emily, soprattutto Emily, che era così carina e rideva tanto facilmente quando lui la prendeva in giro. Ma era proprio così che Caroline lo ricordava, e... lo aveva mai visto ubriaco? Possibile che nessuno conoscesse realmente, fino in fondo, gli altri? — Vostra madre deve avervi parlato di lui — esclamò Caroline, con ingenuità. — Qualsiasi fossero stati i motivi per i quali lo ha lasciato, sapeva che era vostro padre e quindi, per voi, una persona importante. Mariah adesso si sentiva battere il cuore. Tratteneva il fiato come se bastasse a fare in modo che Samuel non rispondesse. Ecco il suo incubo più orribile che tornava a riaffiorare. E stavolta non avrebbe più avuto scampo. Quando Caroline l'avesse saputo, glielo avrebbe letto negli occhi ogni volta che si fossero incontrate. Lo avrebbe raccontato a Emily e a Charlotte e questo avrebbe reso insopportabile la sua esistenza. Non escludeva che Emily lo raccontasse a Jack. Non ebbe difficoltà a immaginare l'espressione di pietà, e poi di ripugnanza, che sarebbe apparsa in quei suoi grandi occhi dalle ciglia scure. Samuel stava parlando di nuovo di sua madre, di Alys: — ...la gente commetteva l'errore di credere, visto che si comportava come una gentildonna, che non avesse il coraggio di dire apertamente quello che pensava o di non tener fede ai propri principi. Ma io non ho mai conosciuto una donna che avesse più coraggio di lei. Mariah si sentì cogliere dal raccapriccio. Queste parole furono uno
schiaffo per lei. Samuel sapeva! Doveva sapere. Era lì, chiaro, nelle sue parole, appena velate. E se era successo ad Alys, allora bisognava pensare che fosse successo anche a Mariah. Cosa aveva spinto Alys a raccontarglielo? Come aveva potuto? Provò a immaginare se stessa mentre lo raccontava a Edward. Si sentì avvampare a quella sola idea. Ma Edward le avrebbe creduto? Se lo avesse trovato qualcosa di ripugnante come era stato per lei, avrebbe potuto esserci il rischio che rifiutasse di accettare una verità simile, e la considerasse piuttosto non soltanto pazza, ma anche pericolosa. L'immagine di madre si sarebbe cancellata per sempre in lui. Samuel continuava a parlare di Alys, come era bella, come era coraggiosa, come tutti l'ammirassero... lei era diversa, diversa in un modo straziante e insopportabile, e il tatto di doverlo ammettere, adesso, per Mariah diventava una sofferenza... come se qualcuno si fosse messo a girare e rigirare un coltello incandescente in un'antica piaga. Ormai, dunque, era solo una questione di tempo prima che la verità venisse detta. Bisognava prevenirlo... a ogni costo. — Scusatemi — lo interruppe con un tono di voce più acuto di quel che fosse necessario. — Non mi sento molto bene. Se vorrai suonare per la mia cameriera, Caroline, credo che mi ritirerò nella mia camera. Almeno fino all'ora di cena. — Si impose con uno sforzo di guardare Samuel. — Perdonatemi se metto fine alla vostra visita così bruscamente. La mia salute non è più quella di una volta. Samuel si alzò in piedi. — Spero di non avervi annoiato, signora Ellison. È stata una vera mancanza di riguardo, la mia... Mi pento di essermi fermato tanto a lungo qui da voi. Lei lo squadrò dall'alto in basso senza dire niente. Quest'uomo le sembrava proprio sordo a ogni suggerimento. La cameriera aprì la porta e Caroline le chiese di mandare Mabel di sopra casomai la vecchia signora avesse bisogno di aiuto. Samuel fece i suoi saluti per congedarsi. Ma perfino mentre stava salendo lentamente le scale, Mariah poté sentire Caroline che lo invitata a tornare e a continuare la loro conversazione. Lui accettò. Fu proprio quella la goccia che fece traboccare il vaso. Ormai la sua decisione era presa. Ma aveva detto di sentirsi male e quindi si vide costretta a rimanere di sopra per il resto del pomeriggio: cosa estremamente irritante perché, non avendo niente da fare, dovette fingere di riposare sul letto. E questo bastò a dare libero sfogo alle sue riflessioni, che continuarono a tormentarla. Mabel era una brava donna, competente e piena di tatto: ecco l'unico motivo per cui era sopravvissuta tanto a lungo al servizio della vec-
chia signora. Senza fare commenti, si limitò a prepararle una tisana alla camomilla e, senza neanche domandarglielo, a portarle un piccolo guanciale imbottito di fiori di lavanda, dal potere rinfrescante. Mariah rimase sul letto per quasi un'ora e poi, sentendosi sola e oppressa da pensieri e ricordi inutili, salì nella stanzetta del guardaroba dove le cameriere rammendavano la biancheria di casa e, quando era necessario, facevano qualche lavoretto di sartoria. Sapeva che Mabel stava cucendo qualcosa per lei, perché il suo guardaroba esigeva sempre qualche riparazione o qualche ritocco per rinfrescare i capi più sciupati. Emily le forniva generosamente tessuti, spighetta, perline da ricamo, passamaneria e altro. — Vi sentite meglio, signora? — le chiese Mahel alzando gli occhi dal suo lavoro di cucito. — Avete bisogno di qualcos'altro? — No, grazie — disse la vecchia signora richiudendosi la porta alle spalle. Mabel riprese in mano l'ago. Fuori cominciava a diventar buio e le lampade erano accese. Anche Mabel stava diventando vecchia. Aveva le nocche delle dita gonfie, perché soffriva di reumatismi. E, come sempre, il tessuto che stava cucendo era nero. La vecchia signora si era sempre vestita di nero dal giorno della morte di Edmund. A suo tempo era sembrata la cosa più corretta da fare. E il dolore, un sentimento accettabile, molto conveniente. Tutti si mostravano comprensivi. Poi le era sembrato che non anivas.se mai il momento più opportuno per abbandonare il lutto anche perché tutti avevano ritenuto che fosse rimasta distrutta dal dolore per la morte di Edmund. Aveva raccontato quello che preferiva lasciar credere a tutti... tanto che, col tempo, aveva cercato di crederci perfino lei. Adesso Samuel Ellison era sbucato all'improvviso da chissà dove e tutto il suo mondo le stava crollando addosso. Perché mai avrebbe dovuto vestirsi a lutto per il resto dei suoi giorni in memoria di Edmund? Chissà come doveva vivere in quell'inferno, qualsiasi esso fosse, dov'era finito! Non le donava, il nero, da sempre, e men che meno adesso che era vecchia, con la pelle giallastra. Ma mettere un po' di rouge sulla faccia l'avrebbe fatta sembrare un cadavere dipinto. Ed era proprio così che si sentiva, morta di dentro ma sempre dolorante, ferita e offesa, e ridicola. Avrebbe voluto dire a Mabel di buttar via l'abito che stava cucendo, di confezionarle qualcosa in un altro colore... magari viola, che andava bene per il mezzo lutto. Ma aveva paura di cambiare. Tutti gliene avrebbero chiesto il motivo e lei non solo non voleva tirare in ballo Edmund ma neanche fornire spiegazioni. Così rimase lì seduta in silenzio, con la testa che le doleva. Non scese a cena. Pensava con orrore all'idea di dover ascoltare una Ca-
roline cinguettante che parlava di Samuel Ellison o, ancora peggio, di Edmund, pronta a fare domande, a rievocare memorie. Naturalmente ciò che Caroline ricordava di lui era soltanto una facciata, quella che tutti conoscevano, quella che lei stessa aveva voluto deliberatamente perpetuare. Caroline avrebbe potuto parlare della sua gentilezza, del suo fascino, di come sapeva raccontare bene un aneddoto, e avrebbe rievocato quelle vigilie di Natale quando andavano tutti insieme in chiesa, a piedi, in mezzo alla neve, e lui cantava gli antichi canti natalizi con voce calda e ben modulata. Si accorse che la gola le doleva. Non riuscì a trattenere le lacrime e lasciò che le scendessero a fiotti sulle guance. Oh, se la sua vera vita fosse stata così! Ma ormai niente poteva più cambiare. E lei lo trovava intollerabile. Come avrebbe voluto essere morta! Mabel tornò a portar via il vassoio della cena, dove le pietanze erano state appena toccate. Non disse niente. Non poteva. La serviva da vent'anni e sapevano, l'una dell'altra, le cose più intime. Eppure nel cuore erano sempre due estranee. No, non poteva continuare così. Bisognava fare qualcosa adesso, subito, prima che fosse troppo tardi. Caroline non doveva mai sapere. E a lei non rimaneva scelta. Maledetto Samuel Ellison, arrivato dall'America, dove avrebbe potuto rimanere lontano dalla sua esistenza, senza farle correre rischi. Maledetta Alys, perché era bella e coraggiosa e aveva saputo prendere in mano il pieno controllo della propria esistenza. Ma lei se n'era andata... aveva piantato tutto in asso. Per Mariah, invece, non c'era nessun posto dove andare. E lei non era più giovane e sana, e con un viso incantevole. Era vecchia, stanca da morire, e terrorizzata. Cosa avrebbe fatto quella AJys così adorabile, così intelligente, se adesso fosse stata qui? Di sicuro, avrebbe fatto qualcosa! Non sarebbe rimasta ad aspettare il classico colpo di mannaia sul collo, come un povero coniglietto innocente. Perché a quel punto la vecchia signora non solo sarebbe stata disprezzata per quello che era successo e adesso tutti sapevano, ma si sarebbe disprezzata lei stessa per averlo lasciato succedere. Ma come poteva impedirlo? Ci volle tutta la sua forza di volontà per scendere a colazione la mattina dopo. D'altra parte non poteva passare il resto della sua esistenza chiusa in camera da letto! A quell'ora sarebbe stato presente anche Joshua, il che avrebbe impedito a Caroline di ciarlare senza ritegno di Samuel Ellison... e chissà che a lei non riuscisse di parlargli a quattr'occhi? Doveva. Non osava rimandare ancora di un po'. Dopo i soliti saluti e le solite domande, si
impose di servirsi di tè e pane tostato. — Hai notizie recenti di Thomas? — domandò Joshua, volgendosi a Caroline. — Non lo sento da più di una settimana — rispose lei. — Immagino che sia molto impegnato con la morte di quell'uomo trovato a Horseferry Stairs. I giornali ne hanno parlato di nuovo. Sembra che fosse un fotografo molto famoso nell'alta società. — Delbert Cathcart — disse Joshua, servendosi di altro toast e di conserva di albicocche. — Era brillante. — Ci si domanda chi può essere stato il suo assassino e perché l'ha fatto. Invidia? Magari gelosia per qualche motivo privato? — riprese Caroline. — Alludi a un amante? — domandò Joshua con un sorriso. — Come mai tanta delicatezza? Lei diventò un po' rossa. — Sì, qualcosa del genere — ammise. Era un'occasione propizia. La vecchia signora non esitò. — Quando le persone praticano l'immoralità, molto spesso si finisce in un disastro. Se lo ricordassero, potremmo liberarci di una buona metà delle sofferenze di questo mondo! Joshua la stava guardando con gli occhi sgranati. Quel che aveva sentito lo lasciava perplesso. Lei evitò di fissarlo negli occhi. — Può darsi che si sia trattato solo di una rapina — disse Caroline pacatamente. — Forse quel poveretto era rimasto fuori fin tardi, a notte fonda, e chi lo ha assalito voleva rubargli l'orologio o i soldi. E lui, magari, ha reagito ribellandosi. — Vorresti forse insinuare che la colpa è sua? — le domandò Mariah. — Ha lottato, e così meritava di essere assassinato? A volte il tuo concetto di quel che è giusto o sbagliato mi lascia confusa. — Non stavo parlando di quel che è giusto o sbagliato — ribatté Caroline, spazientita. — Accennavo soltanto a una probabilità. Il pasto continuò ancora per un po' in silenzio. — Warriner ha ritirato la sua proposta di legge — disse Joshua a un certo punto. — Mi spiace — osservò Caroline a voce bassa. — Immagino che fosse da aspettarsi, no? Joshua fece una smorfia. — Una parte di me dice che è stata la Provvidenza. Dovevano rimandare a un momento migliore. L'altra parte dice che è vigliaccheria, e questo era il momento d'intervenire. Altrimenti si rischia di aspettare in eterno.
Mariah si accorse che la sua curiosità era stuzzicata. Fosse stata un'altra occasione, avrebbe chiesto di cosa stavano parlando. Ma adesso aveva cose ben più urgenti e importanti a cui pensare. Doveva trovare il modo di parlare con Joshua a quattr'occhi. Che scusa trovare? Lo conosceva appena. Non aveva mai nascosto la disapprovazione che provava per lui personalmente e, in genere, per il suo matrimonio con Caroline. Che motivo trovare? Persuadere Caroline a uscire dalla stanza per qualche piccola questione domestica? Ma quale? Di solito lei rimandava tutto fino a quando Joshua non era uscito. No, meglio farlo di persona. Fermare Joshua in anticamera. Si alzò posando il tovagliolo sul piatto. — Scusatemi — disse con una strana vocina stridula. Era ridicola! Doveva controllare i suoi nervi. — Ho una cosetta da sbrigare. — E uscì. Era venuto il momento di agire. Rifletté che se Caroline avesse seguito Joshua in anticamera per salutarlo, l'opportunità su cui contava le sarebbe venuta a mancare... a meno di non aspettarlo addirittura fuori. Poteva sembrare eccessivo ma non se la sentiva di aspettare ancora un altro giorno. Samuel Ellison non doveva più tornare lì da loro, in quella casa! Raggiunse la porta e la spalancò. L'aria era frizzante, il sole caldo, e nel parco a cento metri di distanza le foglie stavano cominciando a ingiallire. Si mise a camminare su e giù sul marciapiede, con la sensazione crescente di non poter passare inosservata. Tutto d'un tratto, eccolo... Veniva giù per il vialetto e lei, che gli voltava le spalle, non l'aveva visto. Girò sui tacchi e si affrettò ad andargli incontro. — Signora Ellison. — Lui non nascose di essere sconcertato. Sembrò che volesse dire qualcosa ma poi pensò bene di rinunciarvi. — Joshua! Io... devo parlarvi... in confidenza. — Qualcosa che non va? — le domandò, accorgendosi fino a che punto la suocera di Caroline fosse emozionata. — Sì — rispose subito lei. — Ho paura di sì. Ma si può parlarne e risolvere tutto in modo da impedire un danno peggiore. — Di che si tratta? — domandò ancora lui, con molta gentilezza, in tono tranquillizzante. Lei avrebbe voluto allontanarsi di lì per non correre il rischio che Caroline, se le capitava di guardare fuori da una delle finestre, li vedesse. Mosse qualche passo e lui la imitò, affiancandola. — Si tratta di Samuel Ellison — disse, accorgendosi con un certo stupore che le mancava il fiato. — Indubbiamente saprete che viene a trovarci con regolarità nel pomeriggio.
E rimane più di quanto richieda una pura e semplice visita mondana. — È di famiglia — replicò Joshua. — Non vi sembra più che logico? — Logico, forse. — Sentì l'asprezza nella propria voce, e cercò di controllarla. — Ma si sta comportando in modo inopportuno. Con eccessiva familiarità! — Con voi? — Joshua alzò le sopracciglia come se trovasse quell'idea poco credibile. — Be', se vi sembra scortese e non riuscite a rimetterlo al suo posto, farete meglio a pregare Caroline di parlargli. — Non con me... — disse Mariah, evitando per un pelo di aggiungere "stupido che siete!". — Con Caroline! È fin troppo chiaro che la trova piena di fascino e non sente la necessità di nasconderlo. È... è peggio che scorretto... è motivo di preoccupazione. Lui si irrigidì appena appena. — Sono sicuro che Caroline è capacissima di ricordargli quale sia un modo di comportarsi appropriato. — E con una certa freddezza aggiunse ancora: — È americano. Forse, da quelle parti, hanno modi più disinvolti. — Lo dico perché mi preoccupa la reputazione di Caroline. E anche per il vostro bene... — Possibile, santo cielo, che non capisse quello che gli stava dicendo? Era completamente imbecille? O forse non gliene importava niente? Magari la gente di teatro si comportava così e se lo aspettava anche dagli altri. L'immoralità, per lui, poteva non avere nessun significato. Joshua curvò le labbra in un lieve sorriso. — Sono sicuro che Caroline lo rimprovererà gentilmente, dovesse andare oltre i limiti del lecito. Ma vi ringrazio di avermi parlato a nome suo. E sono lieto che voi siate qui, presente, perché questo basterà a impedire che qualcuno possa parlar male di lei. Vi auguro il buongiorno. — E, con un cenno del capo, proseguì per la sua strada, piantandola in asso. Mariah si ritrovò sola sul marciapiede, furiosa e sconfitta. Ma solo per un momento. Non poteva permettersi la resa più totale. Samuel Ellison sarebbe tornato. E la prossima volta, o quella successiva, avrebbe finito per dire qualcosa che Caroline avrebbe capito a volo, oppure lasciato cadere un'allusione... come un filo aggrovigliato che lei, snodando a poco a poco, avrebbe seguito per arrivare alla verità. Si voltò e risalì il vialetto del giardino, rientrò in casa e si chiuse nella propria camera con il cervello in subbuglio. Era stata delicata, allusiva, aveva scaricato ogni critica soltanto su Samuel... e la faccenda non aveva funzionato! Ma non c'era tempo da perdere. Qualsiasi cosa andasse fatta,
bisognava deciderla subito. Un'altra visita poteva portare la rovina. Riflettendoci, scoprì che c'era un solo mezzo per assicurarsi che Samuel Ellison non tornasse mai più. Però adesso per mettere in pratica la propria idea, bisognava che tutto filasse liscio. Studiare con cura i particolari. Non permettersi errori. Seduta vicino alla finestra, sotto il sole autunnale, preparò il suo stratagemma nel modo più minuzioso possibile. Occorreva un tempismo perfetto. E sapeva cosa sarebbe costato. Moltissimo, e le dispiaceva. Se Joshua l'avesse lasciata, Caroline si sarebbe ritrovata sola, con la reputazione rovinata e senza mezzi di sostentamento... Ma ci avrebbe pensato Emily perché non si ritrovasse anche senza un tetto sopra la testa! Se fosse stata costretta a vivere anche lei ad Ashworth House, sarebbe stato molto sgradevole; ma per fortuna era una casa talmente grande che lei e Caroline avrebbero potuto evitarsi senza difficoltà. Se fosse stato necessario una di loro poteva anche andare a vivere nella residenza di campagna di Emily. Probabilmente Caroline, perché la gente del suo ambiente l'avrebbe ostracizzata. Peccato, ma la sua sopravvivenza lo rendeva necessario. Meglio cominciare subito. Adesso che sapeva quali fossero i progetti della nuora per i due giorni successivi, non c'era nient'altro da preparare. Caroline sarebbe rimasta in casa quella sera, mentre Joshua era alle prove. Le andava a perfezione, perché così doveva essere. Scrisse la prima lettera: Caro Samuel, non potete immaginare quanto intensamente io abbia goduto della vostra compagnia e dell'amicizia che mi avete offerto. Avete portato nella mia vita molte cose di cui non mi ero resa conto di sentire profondamente la mancanza. I vostri racconti dell'America non sono soltanto emozionanti, ma molto, molto di più, perché voi avete occhi per vedere la bellezza dove ad altri potrebbe sfuggire, per vedere allegria e provare compassione in un modo raro e meraviglioso, tale da risvegliare in me un apprezzamento della vita che ignoravo quasi di possedere. Era troppo forte? O troppo semplice? Possibile che lui non capisse? Aveva visto la grafia di Caroline abbastanza spesso lungo gli anni, sui conti di casa e sui cartoncini di invito, per non avere difficoltà a copiarla. Ma lui non doveva fraintendere il significato delle sue parole. Non bisognava lasciare dubbi altrimenti tutto il suo piano rischiava di fallire. Perché si trat-
tava di un'opportunità unica: bastava per vincere o perdere tutto. Continuò: Prima di una vostra partenza da Londra per andare a visitare il resto del paese vorrei che le vostre visite fossero il più frequenti possibile, se potete trovarne il tempo. Mi mancherete in un modo incredibile quando tornerete a New York. Venite, vi prego, a farci visita questo pomeriggio, verso le cinque, se potete. Mi rendo conto di comportarmi con un'insistenza disdicevole ma con voi posso parlare come non riesco a fare con nessun altro. Siete della famiglia, siete un legame con un passato che per me, ovunque io mi guardi intorno, è scomparso per sempre. Abbiamo talmente tanto in comune di cui non si può mettere a parte nessun altro! Come forse avrete osservato, e sono sicura di sì, trovo mia suocera una persona con la quale è difficile comunicare, salvo per le cose più banali. Spero di vedervi, Vostra affezionatissima Caroline Doveva rileggerla? E se avesse perduto il coraggio all'ultimo minuto? No. Chiuderla e imbucarla. Subito. Una volta partita, non ci sarebbe più stato rimedio. Ma anche la situazione era senza rimedio. Lo era stata fin dal momento in cui Samuel Ellison aveva varcato la porta della loro casa. Si alzò, scese dabbasso e uscì sotto un bel sole caldo. La cassetta per imbucare le lettere era in fondo alla strada e nel giro di mezz'ora la posta sarebbe stata ritirata. Se Samuel tornava al suo albergo in tempo, l'avrebbe ricevuta molto prima delle cinque. Esitò ancora un attimo tenendo la lettera in mano. Poi la lasciò andare e la sentì cadere con un tonfo leggero sulle altre, dentro la cassetta. Era fatta. Adesso bisognava tornare a casa e mettere in atto il resto del suo piano. Alys avrebbe fatto qualcosa del genere; per proteggersi. Passò una giornata angosciosa. Forse furono le ore più disperate e cariche di tensione della sua esistenza. Non aveva pretesti per rimanere chiusa nella propria camera a meno di non fingersi ammalata, ma non voleva destare sospetti. Nessuno doveva sapere quel che aveva fatto. Però scoprì di non avere il coraggio di guardare Caroline in faccia. Ma poi rifletté che quel pomeriggio l'avrebbe ripagata di tutti gli anni in cui non aveva fatto
altro che sopportare e tacere, vigliaccamente. Li avrebbe cancellati tutti, se ne sarebbe liberata per sempre. E avrebbe finito di disprezzarsi. Le sarebbe piaciuto parlare di qualcosa di banale, più che altro per tener occupato il cervello, ma non riuscì a trovare un argomento che non fosse fuori luogo. Quindi preferì rimanere in silenzio mentre Caroline scriveva a Charlotte a Parigi e, nella stanza, l'unico rumore era quello delle fiamme che crepitavano nel focolare accompagnato dallo stridio della penna sul foglio. Poi, tutto d'un tratto, successe quel che doveva succedere. La cameriera si presentò sulla porta. — C'è il signor Ellison, signora. Devo dirgli che potete riceverlo? Caroline sembrò meravigliata. — Oh, sì, prego, ditegli pure che siamo in casa. — Stava sorridendo. Era molto elegante nell'abito da pomeriggio, e adesso aveva le guance più rosate del solito. La porta si aprì di nuovo e Samuel entrò con gli occhi subito fissi su Caroline, mentre la sua faccia s'illuminava tutta. Quanto a Mariah, ignorò praticamente la sua esistenza. — Che piacere vedervi — disse cortesemente Caroline. — Per il tè, è un po' tardi. Posso offrirvi qualcos'altro? — Grazie — accettò lui, facendosi avanti. — Spero che questa non sia un'ora poco conveniente. — Finalmente si accorse che era presente anche la vecchia signora. — Buongiorno, signora Ellison. Tutto andava a meraviglia. Non avrebbe potuto orchestrarlo meglio. Mariah si alzò in piedi. — Vi prego di scusarmi — disse afferrando il bastone. — Torno subito. — E li lasciò senza ulteriori spiegazioni. Salì in camera e prese la lettera. La sapeva a memoria. Era molto semplice. Caro Joshua, vi prego di tornare a casa nello stesso momento in cui ricevete questa lettera. Non esitate. La situazione è seria e solo la vostra presenza può evitare un disastro. Sono molto spiacente Mariah Ellison Prese la busta e qualche scellino e consegnò tutto al domestico, che non le nascose di essere sbalordito. — Per favore, portate immediatamente questa lettera al signor Fielding. È urgentissima, una questione della massima importanza.
— Ma è alle prove, signora — protestò l'uomo. — Non vorrà essere interrotto. — Di sicuro — ribatté lei. — Ma vorrà ancor meno il disastro che succederà se non gli consegnerete questa lettera e lo pregherete di leggerla subito. — Sissignora. — Con aria sconcertata e malcontenta, l'uomo le ubbidì. Mariah salì le scale e controllò la pendola sul pianerottolo chiedendosi quanto tempo avrebbe dovuto aspettare. Forse sarebbe stato più opportuno tornare subito giù, in caso Samuel, accorgendosi che non avevano uno chaperon, se ne andasse? Mentre era incerta in cima alle scale, vide la cameriera che attraversava l'anticamera con un vassoio sul quale si trovavano una caraffa di whisky e un bicchiere. Splendido! Samuel sarebbe sicuramente rimasto fino a quando non avesse finito di berlo. Dunque le bastava scendere di lì a cinque, magari dieci, minuti. Quanto ci avrebbe messo il domestico per arrivare fino al teatro, e Joshua per leggere la lettera e tornare a casa? Perché sarebbe tornato di sicuro, no? Certo, era un attore: ma lei lo giudicava un uomo perbene, gentile, insolitamente onesto. Se non fosse tornato, la spiegazione era chiara: sospettava già qualcosa, e non gliene importava niente. Guardò di nuovo l'orologio. Otto minuti. Non sopportava più quella tensione. Ridiscese le scale lentamente, aggrappandosi alla balaustra. Quando arrivò in fondo, cominciò ad attraversare l'anticamera ma si accorse che le girava la testa, e le mancava il fiato. Rimase come paralizzata. I secondi passavano. Oppure erano minuti? Riprese a camminare verso la porta del salotto, e l'aprì. Le pareva di vivere in un sogno, di muoversi sott'acqua. Samuel occupava la poltrona che solitamente era la preferita di Joshua e Caroline, molto eretta e impettita, sedeva in quella di fronte. Aveva un colorito più acceso del solito, e tutti e due, all'udire la porta che si apriva, si voltarono in fretta. Mariah scrutò Samuel. Preferì non incrociare lo sguardo di Caroline. Lui non sembrava affatto diverso dal solito. Perplesso, forse, ma non era in collera. E, certo, non capiva... ancora. — Ho un po' di mal di testa. Se non vi spiace vado un momento in giardino. Sarò qui, proprio dietro l'angolo. L'aria dovrebbe farmi bene. — E senza aspettare che le rispondessero, attraversò la stanza e uscì dalla portafinestra sul piccolo prato, scese i gradini e scomparve. Passò un altro quarto d'ora interminabile prima che le arrivasse all'orecchio un rumore di voci. Allora risalì i gradini per ascoltare, senza che la vedessero, accostandosi alla portafinestra.
Joshua, entrando in salotto, si era fermato praticamente sulla porta. Samuel stava presso il camino e Caroline era in piedi in mezzo a loro. Perfino da fuori, dove si era fermata, Mariah poteva vedere come il collo e le guance di Caroline fossero coperte da una vampata di rossore. — Caroline, ti prego, lasciaci soli — disse Joshua piano. A giudicare dal suo tono e dai suoi gesti, non doveva essere la prima volta che glielo diceva. Caroline uscì richiudendosi la porta alle spalle. — Siete stato ricevuto con la miglior accoglienza possibile in casa mia, signor Ellison — disse Joshua con una voce bassa, contratta. — Ma il vostro comportamento con queste visite così frequenti e le ore che avete passato da solo in compagnia di mia moglie sono inappropriati e compromettenti per la sua reputazione. Mi duole di dovervi chiedere di non venire più qui in visita. Non mi lasciate la possibilità di fare altro. Buongiorno, signore. Samuel era rimasto completamente immobile, la faccia paonazza. A un certo momento diede l'impressione di voler parlare. Poi esitò ma, alla fine, si avviò alla porta passando davanti a Joshua. Era fatta. Tutto finito. Samuel Ellison se n'era andato e non sarebbe più tornato. Era anche stato messo nelle condizioni di non poter ribattere, né dire una sola parola. Mariah, però, non provava nessun senso di euforia. Si accorse di avere freddo sotto il sole del pomeriggio, ma di non sopportare l'idea di entrare in quel salotto. Si voltò, s'incamminò fino alla scaletta che scendeva al seminterrato, varcò la porta di servizio, passò per la cucina senza guardare né a destra né a sinistra e salì in camera sua dove sedette sul letto con le lacrime che le bagnavano il viso, a fiotti. 9 Caroline si soffermò in cima al pianerottolo, confusa e angosciata. Tutta la scena con Samuel era stata profondamente imbarazzante, e non riusciva a immaginare cosa avesse prodotto quel cambiamento nel suo modo di comportarsi. Fin dal principio era stato schietto, amichevole e cordiale, molto meno cerimonioso di un inglese che si fosse trovato nelle stesse circostanze. Poi, proprio quel giorno, era arrivato a un'ora insolita e, dal suo modo di fare, ci sarebbe stato da credere che lo avesse invitato lei a venire a trovarlo... anzi, persino qualcosa di più, come se nel suo invito ci fosse stato qualcosa di particolarmente intimo e urgente. Si lambiccò il cervello alla ricerca di qualcosa che, detto da lei, avesse potuto essere frainteso; ma
non ci trovò niente. Alla prima occhiata, prima ancora che aprisse bocca, le era parso tanto somigliante a Edward che forse gli aveva offerto un'amicizia più immediata e spontanea di quel che fosse logico e corretto; però era sicura di non aver lasciato capire di provare qualcos'altro, o qualcosa di più, nei suoi confronti. Oppure, sì? Si sentì sfiorata da un vago senso di colpa rendendosi conto di quanto la sua compagnia le avesse dato piacere. E anche fino a che punto si fosse sentita lusingata dal modo, per quanto tacito e allusivo, con cui Samuel le aveva lasciato capire quanto la trovasse interessante, attraente, piena di fascino. E Joshua cosa credeva che avesse fatto? Perché si era precipitato a casa interrompendo una prova nel bel mezzo del pomeriggio, e con una collera tanto glaciale le aveva comandato di lasciare la stanza e poi, a quanto pareva, aveva dato ordine a Samuel di uscire da casa sua? Possibile che non la conoscesse tanto bene da rifiutarsi di credere che lei avesse organizzato... cosa? Avesse magari fissato un appuntamento, un incontro di qualche genere con Samuel... lì, proprio in casa sua! Che assurdità! Era stato per una pura coincidenza se la signora Ellison non era rimasta lì con loro per tutto il tempo, come al solito. Alla vecchia signora non sfuggiva niente; era rapida e pronta come un furetto, e maligna almeno il doppio. Doveva dare qualche spiegazione? Samuel se n'era andato ma all'idea di scendere a raggiungere Joshua si accorse che le mancava il coraggio. Mai, prima, le era capitato di vederlo veramente su tutte le furie, e ne era rimasta offesa e addolorata più di quanto avesse creduto possibile. No, offesa e addolorata non era l'espressione giusta. L'aveva spaventata. Tutto d'un tratto le si era aperta davanti agli occhi una visione di quello che avrebbe potuto perdere, non perché Cecily Antrim poteva essere un'avversaria pericolosa ma per colpa del suo modo di comportarsi o di qualcosa di stupido, di involontariamente immorale, che poteva aver commesso. Era impensabile che lui trovasse Cecily più allettante e attraente, nonché più eccitante come persona, ma piuttosto bisognava credere che avesse scoperto in Caroline qualcosa di disprezzabile, che non la giudicasse affidabile e non la credesse capace di comportarsi in modo onorevole. E questa era una pugnalata al cuore. Scese il primo gradino della scala ma Joshua uscì dal salotto e, attraversata l'anticamera, si dileguò oltre la porta senza dare neanche un'occhiata intorno a sé. Non aveva neanche tentato di cercarla, di parlarle. Come se non gliene importasse più niente di quello che lei poteva pensare.
Non riuscì a mangiare neanche un boccone, a cena, anche perché trovava insopportabile vedersi fissare dagli occhi scrutatori e giubilanti della suocera. La quale l'aveva avvertita che sarebbe potuta avvenire qualcosa del genere. E quindi adesso doveva essere gongolante. Andò a letto alle dieci passate da poco. Joshua non era rientrato. Per un momento aveva pensato se non era opportuno rimanere alzata ad aspettarlo, anche se lui fosse tornato molto tardi, ma si accorse di essere terrorizzata all'idea di doverlo affrontare. Naturalmente la possibilità peggiore era quella che lui non tornasse a casa del tutto. Ma era troppo penoso, e si rifiutò di pensarci. Rimase al buio, distesa sotto le coperte, senza chiudere occhio anche se il sonno sarebbe stato un grande rimedio, e trasalendo a ogni lieve rumore casomai l'osse stato quello dei suoi passi. A un certo momento, verso mezzanotte, sprofondò nell'oblio. Si risvegliò di nuovo senza immaginare che ora poteva essere e capì immediatamente che lui era lì, al suo fianco. Era rientrato, si era messo a letto e si era addormentato senza disturbarla, senza neanche parlarle o toccarla. Tese l'orecchio ad ascoltare il suono lieve del suo respiro. Dormiva all'estremità più lontana del letto, separato da lei come se fossero due estranei. Non si era mai sentita tanto disperatamente sola. Una parte di lei avrebbe voluto svegliarlo, metter fine a quella tensione insopportabile e provocare un chiarimento, per il meglio o per il peggio. Possibile che Joshua pensasse una cosa simile sul suo conto? Non la conosceva bene? Ricordò i momenti di tenerezza, le risate, la facilità con cui si capivano, quello che c'era di vulnerabile in lui... e lacrime cocenti le salivano agli occhi. Non svegliarlo adesso. Sarebbe stato infantile. Aspetta. Forse domattina sarà meglio, sarà più sensato. Joshua avrebbe parlato, le avrebbe spiegato... ma quando si svegliò, con un gran mal di testa e ancora stanchissima, lui se n'era già andato. E si ritrovò sola. Anche la vecchia signora dormì poco, malgrado il suo trionfo. Sentiva un gelo interiore che niente riusciva a scaldare. Le pareva di vivere un incubo ricorrente: era sola in una gelida palude, gridava e nessuno la sentiva. Volti ciechi, inumani, ne affioravano con occhi spenti. Il senso di colpa, a tratti, la faceva coprire di un sudore gelido che la lasciava, poi, in preda ai brividi, tutta un tremito, sotto le coperte. Quando Mabel arrivò alle otto e mezzo con la solita tazza di tè bollente, la vecchia signora si sentì grata di essere riportata alla realtà in una stanza piena di sole, e di trovarsi davanti la figura grassoccia e familiare della ca-
meriera. Non aveva nessuna voglia di alzarsi e di affrontare la giornata ma rimanere lì, in fondo a un letto, sola con i propri pensieri, sarebbe stato insopportabile. — Vi sentite bene, signora Ellison? — domandò Mabel, preoccupata. — Io... non ho dormito bene. Forse rimango di sopra. — Improvvisamente si domandò quale fosse l'opinione che Mabel aveva di lei. Come poteva giudicarla, se per merito suo godeva di un buon posto sicuro ad Ashworth House che le permetteva di essere sempre al caldo, ben nutrita e trattata con rispetto? Forse era meglio non saperlo. Magari avrebbe scoperto che le era antipatica. E, in fondo, se ci pensava in tutta onestà, non aveva mai dato motivo a Mabel di provare qualcosa di diverso dall'antipatia nei suoi confronti. D'altra parte i domestici non venivano trattati come amici, anche se una parola di ringraziamento non guastava, di tanto in tanto e, in genere, la cameriera personale di una gentildonna poteva aspettarsi come parte del suo compenso di vedersi regalare i vestiti smessi della padrona. Purtroppo, poiché lei si vestiva di nero, a lutto, da venticinque anni, gli scarti del suo guardaroba dovevano essere riusciti meno utili del previsto per Mabel. Però non se n'era mai lamentata. — Grazie — disse ad alta voce. Mabel trasalì, sconcertata. — Grazie per le tue premure, dico — riprese la vecchia signora in tono acido. — Non guardarmi come se parlassi greco! — Si mosse spazientita nel tentativo di tirarsi su dal letto. — Vieni qui, e dammi il braccio. — Si mise dritta, in piedi, con difficoltà. Non si sentiva affatto bene anche se, a ben pensarci, si era tolta un grosso peso dal cuore. Samuel Ellison se ne era andato per sempre e lei poteva sentirsi al sicuro. Si vestì con l'aiuto di Mabel. Peccato per tutto quel nero così funereo. Mabel, quando fosse venuto il momento, non avrebbe avuto niente da ereditare. E forse non sarebbe mancato molto. Per quale motivo si aggrappava alla vita? Era vecchia, stanca e non amata. Magari, però, avrebbe potuto mettersi addosso qualcosa di un color blu scuro o lavanda. — Mabel! — Sì, signora Ellison? — Voglio tre vestiti nuovi... o magari, ancora meglio, due vestiti e un completo... gonna e giacca. Ne voglio uno blu scuro, uno color lavanda e... uno verde! Sì... verde. — Verde! Avete detto proprio verde, signora? — Stai diventando sorda, Mabel? Mi piacerebbero un vestito verde, uno blu scuro e uno lavanda. A meno che il lavanda non ti piaccia... In questo
caso puoi farlo di qualche altro colore... per esempio, un bel rosso cupo. — Sì, signora Ellison. — Stentava a crederci, e lo si capiva dal suo tono di voce. — Andrò a cercarvi qualche modello perché possiate scegliere. — Lascia perdere, fai soltanto quello che credi più adatto. Mi fido del tuo giudizio. Insomma, pensaci tu — soggiunse con fermezza. — E ti darò subito i soldi. — Sì, signora Ellison — disse piano Mabel, guardandola con tanto d'occhi. Ma fu una mattinata orribile. Non aveva voglia di passarla con Caroline. Non sopportava l'idea di rivederla anche se, presto o tardi, si sarebbe vista costretta ad accennare agli eventi disastrosi del giorno prima. Si era persuasa, a suo tempo, di poter affrontare bene la situazione... magari essere evasiva, o arrivare addirittura al punto di dire a Caroline che la colpa era tutta sua e che, insomma, se l'era voluto proprio lei quel pasticcio! Ma adesso non provava altro che una cupa disperazione... e un senso di colpa che si era quasi trasformato in un dolore fisico. Si diede da fare, sbrigando qualche piccola faccenda casalinga fra l'evidente fastidio della servitù. Provò a insegnare alla più giovane delle domestiche come sciogliere i nodi nei pezzi di spago già usati, posandoli sul tavolo di fronte a sé e, dopo aver battuto con forza parecchie volte con un cucchiaio di legno sui nodi più stretti, prendere un paio di forbicine e, inserendone le punte al centro del nodo, a poco a poco allentarlo in modo che risultasse più facile da disfare. — Ecco, come si fa! — esclamò trionfante, e la ragazza ci si provò anche lei con entusiasmo, appiattendo i nodi col cucchiaio e poi allargandoli piano piano. Poi le insegnò come pulire il portaombrelli dell'anticamera con sale e succo di limone e, poi ancora, come rendere più lucenti gli ottoni del salotto con olio d'oliva; e infine le diede le istruzioni necessarie per lucidare il legno scuro della mensola del camino. — E ti insegnerei anche come si fa a pulire i brillanti mettendoli a bagno nel gin, se la signora Fielding, di brillanti, ne avesse almeno uno! — disse in tono agro, concludendo la sua lezioncina. Saltò il pranzo. Si sentiva la gola chiusa. Verso la metà del pomeriggio capì di non poter più evitare Caroline senza qualche pretesto convincente. Meditò se fosse il caso di avvertirla che era malata, o perfino che era caduta dalle scale e si sentiva troppo indolenzita per rimanere alzata. Ma in quel caso Caroline avrebbe mandato a chiamare il dottore e sarebbe saltato fuori che lei aveva semplicemente raccontato una fandonia. No. Molto
meglio radunare tutto il proprio coraggio e autocontrollo. Si cambiò, scegliendo l'abito adatto da pomeriggio, in tessuto di saia nera con guarnizioni di giaietto e si puntò al corpetto una bella spilla che non portava da trent'anni: non una spilla da lutto, di quelle in cui si conservava amorosamente la ciocca di capelli di un defunto, ma uno splendido gioiello di cristallo guarnito di perle. Poi scese in salotto, ma lo trovò deserto. La mattinata di Caroline era cominciata in modo altrettanto deprimente. Anche lei stava cercando qualcosa da fare per non arrovellarsi di continuo sugli stessi desolanti pensieri quando le capitò di ascoltare, senza essere vista, parte di quello che si stavano dicendo il domestico e una delle cameriere. — E come facevo? — lui stava dicendo, indignato. Erano davanti alla credenza, in sala da pranzo, e la ragazza stava scrutando l'argenteria con aria critica. — Quel vecchio demonio mi ha spedito fuori di corsa come se la casa avesse preso fuoco. Ha detto che si trattava di una questione di vita o di morte, ecco. — Ti ha spedito fuori? — domandò la ragazza alzando le sopracciglia. — E dove? — A chiamare il signor Fielding, naturalmente — rispose lui. — E infatti lui è tornato a casa a tambur battente e ha buttato fuori quel signore americano che viene qui tanto spesso. — Peccato. — La ragazza scrollò la testa. — A ogni modo, né tu né io abbiamo il tempo di star qui a spettegolare. E sbrigati a lucidare questi coltelli altrimenti... sentirai la cuoca! Sei rimasto indietro in un mucchio di cose! — Saresti rimasta indietro anche tu, a dover correre per tutta la strada fino al teatro e ritorno! — ritorse lui, raccogliendo i coltelli e andandosene. Caroline rimase immobile, con il cervello in tumulto. Joshua non era tornato per caso ma era stata la vecchia signora a mandarlo a chiamare, sapendo che c'era Samuel in visita. Perché? E cosa aveva detto? Cos'altro aveva fatto? Possibile che fosse stata lei, in qualche modo, a provocare quella visita di Samuel, che si era presentato alle cinque del pomeriggio senza essere stato invitato? Non solo, ma dal suo modo di comportarsi si sarebbe detto che fosse accorso dietro una precisa richiesta fatta proprio da lei stessa. Immobile in mezzo all'anticamera, con una gran confusione in testa, a poco a poco stava convincendosi che fosse assolutamente necessario sco-
prire la verità. E soltanto Samuel avrebbe potuto confidargliela. Se almeno Charlotte o Emily fossero state in città, si sarebbe fatta accompagnare da una di loro. Invece avrebbe dovuto andare da sola. Ma quest'idea la terrorizzava talmente che capì di dover agire subito, prima di perdere tutto il suo coraggio, se si fosse fermata a riflettere. Joshua non avrebbe mai capito. E c'era anche il rischio che quanto stava per fare peggiorasse la situazione. Perché avrebbe potuto pensare che correva dietro a Samuel dopo che gli aveva espressamente proibito di ripresentarsi in casa sua. E Samuel... cosa avrebbe pensato anche lui? Provò un tuffo al cuore. Nello stesso tempo, lasciare le cose come stavano sarebbe stato ancora peggio. Era inutile chiedere qualcosa alla vecchia signora perché non avrebbe mai detto la verità. Andò a mettere il mantello e un cappello, avvertì la cameriera che andava fuori, e uscì. Fu un viaggio terribile. Una mezza dozzina di volte si perse d'animo e fu lì lì per dare ordine al vetturino di riaccompagnarla a casa, ma poi il pensiero dei giorni e delle settimane che avrebbe avuto davanti, fatti di solitudine, perché non sarebbe mai stata capace di capire lei stessa, o di raccontare la verità a Joshua, fu sufficiente a spronarla ad andare avanti. Arrivata all'albergo dove Samuel alloggiava, chiese al portiere se sapesse dove si trovava il signor Ellison in quel momento e si sentì rispondere che era nel salone interno. Ci venne accompagnata da un fattorino. Samuel stava leggendo il giornale. Nel salone c'erano altri tre uomini tutti assorti nella lettura, anche loro. S'impose con uno sforzo di stare calma e gli si avvicinò. Lui alzò gli occhi, la riconobbe, e arrossì violentemente, mentre si alzava in piedi. — Buongiorno, signora Fielding — disse asciutto. Lei si accorse di avere la faccia in fiamme. — Buongiorno, signor Ellison. Mi spiace di presentarmi a questo modo e di rubarvi tempo prezioso, soprattutto dopo l'ultima volta che ci siamo visti. Ma ci sono troppe cose che non capisco e ho paura che mia suocera possa essersi intromessa nella nostra amicizia con l'intenzione di far nascere qualche screzio. E ancora non so esattamente perché. Lui sembrava confuso e piuttosto imbarazzato. — Io... se... certamente. Credete proprio che sia necessario? — Sì, senz'altro. — Sedette senza aspettare di essere invitata, lisciandosi la gonna con aria impacciata. Poi abbassò gli occhi sulle mani che teneva posate in grembo. — Perché siete venuto ieri pomeriggio? Ho avuto l'impressione che foste persuaso che io vi aspettassi.
— Avete avuto l'impressione? — lui alzò la voce, incredulo. — Sì. — Caroline non ebbe la forza di alzare gli occhi. — Mi sbagliavo? Sentì un fruscio di carta e si vide mettere il foglio davanti. Samuel lo teneva in mano spingendoglielo sotto il naso. Lo lesse con un tale orrore da sentirsi accapponare la pelle, agghiacciata. E quando tentò di parlare, si accorse di avere la voce rauca. — Io non ho scritto questo! — Buon Dio, lui doveva crederle! Eppure il suo primo pensiero fu di pregare, in cuor suo, che Joshua non lo avesse visto. Ne sarebbe rimasto così offeso, così... tradito. — Io non ho scritto questo! — Alzò la testa e i loro sguardi s'incrociarono. Lei adesso era su tutte le furie non tanto per sé, quanto per Joshua. — È stata mia suocera a mandare il domestico a chiamare Joshua perché tornasse a casa. E credo che sia stata sempre lei a scrivervi il biglietto. — Tenendolo stretto in mano, si alzò. — Sono molto addolorata. Vi prego, credetemi. Lo sono proprio! Voi mi siete simpatico, mi piace la vostra compagnia ma qualsiasi cosa io abbia provato nei vostri confronti, non avrei mai scritto una lettera simile. Vi chiedo scusa perché una persona della mia famiglia può avervi indotto a credere qualcosa di sbagliato, e per l'imbarazzo che questo ha provocato in seguito. Ma adesso vado a casa e chiarisco la faccenda. — Non domandò se poteva conservare il biglietto. Non aveva nessuna intenzione di restituirglielo. — Vi ringrazio di aver accettato la mia visita — soggiunse; poi gli lanciò un'altra occhiata, girò sui tacchi e lo lasciò. Mariah sedeva sola in salotto e si stava dicendo che il pericolo era passato e lei aveva fatto soltanto quello che giudicava necessario, quando la porta si aprì ed entrò Caroline, pallidissima, con le occhiaie profondamente segnate. Il dolore che rivelava il suo viso non richiedeva spiegazioni. E in quel momento la vecchia signora pensò che avrebbe dato tutto quello che possedeva per cancellare gli avvenimenti che lei stessa aveva provocato il giorno prima, ma capiva come fosse impossibile. — Chiunque venga a cercarci, non riceviamo nessuno — disse Caroline alla cameriera perché sapeva che l'aveva dietro di sé. — Nessuno. Ci siamo capite? — Sì, signora Fielding, nessuno. Caroline chiuse la porta e affrontò la vecchia signora. — Oh, e adesso dovete spiegarmi questo! — disse con aria truce mettendole davanti il biglietto piuttosto spiegazzato che teneva in mano. —
Non fate finta di non saperne niente. Samuel ha ricevuto questa letterina che lo invitava a venire in visita da noi, ieri. Si tratta di una letterina estremamente allusiva, e lui è venuto aspettando... chissà cosa, Dio solo lo sa! Allora voi avete mandato Joseph a teatro a chiamare Joshua perché arrivasse al momento opportuno e interpretasse in modo sbagliato la situazione. — Le sbandierò davanti il foglio, di nuovo. — Qualcuno ha usato il mio nome. Potete essere stata soltanto voi. Alle labbra della vecchia signora salirono subito le parole per negarlo ma le bastò guardare Caroline in faccia per rendersi conto che non le avrebbe creduto. E le parve che un cupo abisso di odio le si spalancasse davanti. — Sto aspettando! — disse Caroline con asprezza. — Questo esige una spiegazione. Perché avete mandato questo messaggio a Samuel a mio nome? Era il caso di dichiarare che non ne sapeva niente? E se invece avesse detto di aver mandato la letterina per impedire a Caroline di farsi coinvolgere in una relazione extraconiugale rovinando il proprio matrimonio? Caroline le avrebbe creduto? No. Sarebbe stata una finzione, lo capivano tutte e due. Ecco che l'incubo più totale, l'incubo definitivo, diventava realtà. Ecco il momento in cui sarebbe cominciata la verità. Meglio raccontarla subito, perché non c'era più niente da perdere. Caroline stava continuando a fissarla, implacabile. La vecchia signora respirò a lungo, profondamente. — Sì, sono stata io a mandargli la letterina a nome tuo perché venisse qui. Sapevo che l'avrebbe fatto, per te... In qualsiasi altro momento, la vista di Caroline con le guance che diventavano di fuoco avrebbe dato una grande soddisfazione alla vecchia signora. Adesso quasi non se ne accorse. — Devo presumere che me ne spiegherete il motivo — le disse Caroline, gelida. — Certamente. — La vecchia signora socchiuse le labbra per respirare a fondo ma anche quel respiro le sembrò doloroso. — La mia intenzione era che Joshua vi trovasse insieme, lo buttasse fuori e gli vietasse di tornare qui di nuovo. — Perché? Cosa ha mai fatto per averlo tanto in antipatia, e arrivare addirittura al punto di fare qualcosa... di così... Non c'era alternativa. Caroline doveva saperlo. Se non l'avesse fatto subito, in seguito sarebbe diventato più difficile. Il momento era questo. La
pena segreta di mezzo secolo stava per venir rivelata senza consolazione o pietà. — Perché lui sa. Deve sapere! — disse la vecchia signora, rauca. — Credevo che non avrei mai più potuto continuare a vivere dopo che questa verità fosse stata rivelata. Adesso ci sarò costretta. — Lui sa? — Caroline scrollò lievemente la testa. — Sa... cosa? Come possibile che sappia qualcosa la cui importanza vale... questo? — Ecco che finalmente l'incubo era reale, non apparteneva più alla sfera della sua vita privata. Caroline si protese verso di lei dalla poltrona in cui era seduta, senza badare alla gonna che si spiegazzava. — Mamma! Cosa credete che sappia Samuel? — Si inumidì le labbra. — Non eravate sposata con papà Ellison? La vecchia signora scoprì di avere una gran voglia di ridere. Sarebbe stato vergognoso, come no!, e avrebbe significato che i suoi due figli erano illegittimi. — Figuriamoci. Certo che ero sposata con lui! Il suo divorzio da Alys è stato ineccepibile dal punto di vista legale, e io sapevo della sua esistenza. Mio padre ha provveduto a tutto. — E allora, di che si tratta? — domandò Caroline. — Evidentemente è qualcosa che riguarda Alys, o Samuel non ne sarebbe al corrente. — Infatti. Riguarda il motivo per cui lo ha lasciato. Non ti sei mai domandata perché lei sia ricorsa a qualcosa di tanto estremo, tanto pericoloso e inaccettabile non solo legalmente, ma anche dal punto di vista sociale? — Sì, certo — rispose subito Caroline. — Ma non potevo domandarlo a voi. Ho creduto che fosse scappata con chissà chi e poi lui l'avesse abbandonata. Naturalmente in un caso simile, Alys non sarebbe potuta tornare da papà Edmund. Deve averlo lasciato prima di sapere che aspettava un figlio. Nessuno potrebbe dubitare che Samuel non sia figlio di Edmund Ellison. — È proprio quello che chiunque potrebbe credere — confermò Mariah con un filo di voce. — Ma le cose non sono andate così. Doveva esserci, nella sua voce, qualcosa di diverso che colpì Caroline in un modo nuovo e più profondamente, forse una sfumatura tragica. Rimase pressoché immobile; i suoi occhi si colmarono di dolcezza, e si fecero più attenti, non più severi, e pronti solo a giudicare. — Perché se ne andò di casa? — le domandò con voce sommessa. Ecco il momento. Fu come buttarsi a capofitto in un'acqua nera e putrida, un'acqua gelida, che mozzava il respiro. — Perché lui la forzava a pratiche innaturali, dolorose, cose degradanti che nessuna creatura umana dovrebbe fare... — Pareva quasi di sentire la voce di qualcun altro, una voce sconosciuta. Caroline rimase con il fiato mozzo, come se fosse stata
schiaffeggiata. Impallidì paurosamente, le si sbiancarono le labbra, gli occhi parvero infossati nelle orbite. Fece per parlare, poi esitò e rimase ammutolita. — Lo sapevo che non mi avresti creduto — disse la vecchia signora pacatamente. — Nessuno mi crederebbe. Non è qualcosa che si può raccontare... non lo si può raccontare a nessuno... mai. — Ma... ma voi, Alys, non la conoscevate! — Caroline protestò. — Samuel non vi ha mai parlato di... — Tacque di nuovo. E rimase a fissare la vecchia signora negli occhi. In tutti gli anni in cui si erano conosciute, si accorse di non averci mai osservato un'espressione tanto onesta. — Intendete dire... — Si portò la mano alle labbra come per soffocare le parole seguenti. — Volete dire che lui... voi... — Non dirlo! — la supplicò Mariah. Tutto questo era assurdo, futile. Voleva essere creduta, e con tutto il cuore; e invece eccola a supplicare Caroline di non formulare a parole la verità. Chiuse gli occhi. — Credo che gli uomini lo facciano l'uno con l'altro... perlomeno alcuni uomini. La chiamano sodomia. È più doloroso di quel che tu possa immaginare... contro la tua volontà. È proprio la tua sofferenza a... a dargli piacere. Mi costringeva a mettermi nuda, carponi, come una bestia... — Basta! — La voce di Caroline si levò alta e stridula. — Basta! Basta! — Non puoi immaginare tuo suocero a quel modo, vero? — sussurrò Mariah. — O me? Insieme, sul pavimento come cani. Io, in lacrime di dolore e d'umiliazione, con una gran voglia di morire e lui sempre più eccitato che gridava, incapace di controllarsi fino a quando non aveva finito. — Basta! — Caroline si portò di nuovo le dita alla bocca. — Non parlate! — Non puoi ascoltare? — La vecchia signora tremava con tanta violenza al ricordo di quello che era stato da non riuscir quasi a pronunciare una sola parola senza balbettare. — lo ho vivissuto con tutto questo... per anni... per tutta la mia vita coniugale. Lui è morto di un colpo così, nudo, sul pavimento, senza niente addosso. Avevo pregato perché morisse... e così è stato! Sono sgusciata via, sono andata a lavarmi, spesso mi faceva sanguinare, e poi sono tornata a guardarlo. Sì, era morto, e giaceva bocconi con la faccia contro il pavimento. L'ho lavato, gli ho messo la camicia da notte prima di chiamare qualcuno. Si leggeva l'orrore negli occhi di Caroline, ma adesso il rifiuto veniva lentamente sostituito dall'affiorare della compassione. — Voi dicevate sempre... dicevate di amarlo... — cominciò. — Lui era un uomo così... un uomo meraviglioso... dicevate di essere così felice!
— Tu cos'avresti detto? — domandò. — La verità? — No... — La voce di Caroline era venata di pianto. — No, naturalmente. Non so... non so cos'avrei fatto. Non riesco a immaginarlo... non posso... non so. È... — Non riesci a crederci! — Io... — Caroline s'interruppe, sollevando le mani in un gesto d'impotenza. — Perché... perché non sono andata via... come ha fatto Alys? — Queste parole le uscirono di bocca tremule e straziate, come lacerate da un filo spinato. — Perché sono una vigliacca. — Eccoli, finalmente, la bruttura più avvilente, il disgusto di se stessa, la ripugnanza... Non cercava scuse. Non ce n'erano. Qualsiasi fosse l'opinione che Caroline aveva di lei, non era neanche paragonabile al disprezzo che provava per se stessa. Caroline guardò la faccia della vecchia signora, tesa, aggrottata per il tormento e gli anni di amarezza. L'odio che provava per se stessa si rivelava, nudo, nei suoi occhi, come la disperazione. Provò a respingere quell'idea. Era oscena. Eppure aveva un senso, per quanto orribile. Una parte di lei ci credeva già. Se dietro la compostezza e l'autocontrollo, il sorriso e le preghiere domenicali, Edmund Ellison era stato un sadico sessuale, e aveva sottoposto sua moglie a crudeltà umilianti nel segreto della camera da letto, allora... chi, e dove mai, era davvero quel che appariva? E adesso osservando la vecchia che aveva di fronte, si accorse di non poter respingere o rifiutare la verità. Qualcosa di terribile le era successo. L'odio che dava l'impressione di provare nei confronti del mondo, di tutti e di tutto, in realtà era per se stessa. Si era sottomessa, e aveva sopportato invece di scappare lontano, di affrontare i pericoli dell'ignoto come aveva fatto Alys, sola, senza un quattrino, con nient'altro che il suo coraggio e la sua disperazione. Non c'era da meravigliarsi che Samuel ammirasse tanto profondamente sua madre. Mariah era rimasta con suo marito, aveva vissuto con quel tormento notte dopo notte, affrontando ogni giornata con un viso eroico, impassibile, per salire poi in camera da letto sapendo quello che doveva succedere... e che era successo, un anno dopo l'altro, fino a quando lui era morto e le aveva restituito la libertà. — Credevate sul serio che Samuel lo avrebbe raccontato in giro? — Glielo domandò gentilmente, quasi senza accorgersi di quelle parole che le erano salite alle labbra. — Lui sapeva... perlomeno... — Di colpo i suoi occhi si fecero cupi, velati dal dubbio. — Credo che lo sapesse. E avrebbe potuto raccontarlo, ma io non potevo vivere nell'incertezza... Se lui... — Caroline aspettò. La vec-
chia signora sbuffò. — Mi spiace di quello che ti ho fatto. Non lo meritavi. Vorrei... vorrei che non fosse successo. Caroline si protese verso di lei e, con un gesto incerto, sfiorò in una carezza la vecchia mano abbandonata sulla gonna nera. Era rigida e fredda sotto le sue dita. — Ci sono molti generi di coraggio — disse piano. — Scappare, è uno di essi. Rimanere, è un altro. Cosa sarebbe successo a Edward e a Suzannah se ve ne foste andata? Non potevate portarli con voi in America. Sarebbe stato illegale. Vi sareste ritrovata con la polizia alle calcagna. — Potevo almeno tentare! — Partire è stato un atto di coraggio... ma anche rimanere, e rassegnarvi come meglio era possibile per amore dei vostri tigli... anche quello è stato coraggioso! Una tenue luce si accese negli occhi neri della vecchia signora, un lampo di speranza. Per anni si erano cordialmente detestate, vivendo sotto lo stesso tetto, girando al largo l'una dell'altra con un'ostilità gelida, di tanto in tanto apertamente dichiarata. Adesso tutto questo sembrava privo d'importanza. — No, non è stato così. Avevo paura di andar via. — Pronunciò queste parole con chiarezza, continuando a fissare Caroline. E Caroline parlò con onestà. — E se Alys avesse avuto paura di rimanere? — La vecchia signora esitò. Era evidente che, a questo, non aveva pensato. Caroline ebbe un pallido sorriso. Solo per un attimo. — Ci vuole forza d'animo per sopportare, e non parlarne con nessuno, per rinunciare alla fuga, e arrendersi. Avete mai permesso che Edward o Suzannah lo venissero a sapere? La vecchia signora s'irrigidì. — Naturalmente no! Che domanda mostruosa. — Lo avete tenuto nascosto a tutti e due per voi stessa... ma anche per loro. — Io... l'ho tenuto nascosto... — La lotta per essere onesta era tanto evidente da apparire quasi penosa. — Non so. L'ho tenuta nascosta per me stessa... non riuscivo a sopportare che i miei tigli sapessero che io avevo... ero stata... mi vedessero come... — E finalmente le lacrime le scesero a fiotti sulle guance. Cominciò a tremare senza essere capace di controllarsi. Caroline rimase inorridita. Per un attimo si sentì paralizzata. Poi la compassione travolse tutto il resto. Non riusciva a provare affetto per quella vecchia ma era capace di misurare fino in fondo lo strazio che aveva dentro, il senso di colpa e l'odio per se stessa, l'insopportabile solitudine. Si
protese verso la suocera, la prese fra le braccia e la strinse lievemente a sé. Rimasero così, immobili, senza parlare finché Caroline, accorgendosi che adesso una gran pace sembrava calata su di loro, la lasciò andare e si tirò indietro appoggiandosi alla spalliera della poltrona. Per un attimo si sentì agghiacciare, spaventata. Osservò la vecchia signora che aveva di fronte, la testa china, la faccia nascosta. Come poteva spiegare la lettera? Doveva essere stato qualcuno di casa a usare il suo nome. Con Samuel non erano mai stati visti insieme in pubblico, salvo a teatro la sera in cui si erano conosciuti. Nessuna donna nella vita di Samuel, presumendo che ce ne fosse una, avrebbe potuto essere tanto gelosa da commettere un'azione simile. Caroline era la vedova di suo fratello. E dunque, a chi era più naturale che lui facesse visita in una città che non conosceva? Lei però doveva spiegare a Joshua quel che era successo il giorno prima. Ecco il pensiero che le mulinava in testa, il più insistente. Non riusciva a credere che Alys potesse aver raccontato a suo figlio qualcosa di tanto terribile. Ma anche se sapeva, Samuel non si era comportato verso di loro come se sapesse. Joshua, però, era il problema che restava da risolvere. Cosa doveva dire? Prese una decisione. Si alzò e uscì piano dalla stanza richiudendosi la porta alle spalle. Salì di sopra assorta nei suoi pensieri. Sarebbe stato molto difficile raccontarlo a Joshua. Forse avrebbe potuto evitare i particolari. Mai, prima, aveva avuto un segreto per lui. Si era abituata alla discrezione per tutta la sua vita coniugale con Edward, ma Joshua era diverso... o perlomeno lo era stato prima che succedesse questo. Attraversò il pianerottolo ed entrò in camera da letto. Non aveva uno scopo preciso per andarci, voleva semplicemente essere sola. Chiuse la porta e sedette davanti alla toilette. Amava questa stanza arredata con un grazioso tessuto di chintz dal motivo floreale. Da anni, fin dai tempi di Edward, l'aveva desiderata così ma a lui non sarebbe piaciuta perché avrebbe trovato i fiori troppo grandi, troppo vistosi, e l'impressione generale della stanza non abbastanza dignitosa. Cercò di ricordarlo con chiarezza, di far riaffiorare nella memoria la sua presenza, tutto quanto c'era stato di buono e gentile in lui, la sincerità dei suoi sentimenti. Come aveva trovato antipatico Pitt, per esempio! Ma, come molti uomini, adorava le sue figlie, anche se non lo aveva dimostrato spesso, e quindi nessun uomo, per lui, era abbastanza buono per sposarle, amarle e proteggerle come sarebbe stato necessario. Il primo marito di Emily aveva avuto denaro e ottima posizione sociale mentre, naturalmente, Pitt non aveva un solido pa-
trimonio alle spalle né proveniva da un ambiente accettabile. Come avrebbe potuto dare a Charlotte tutto quanto Edward pensava fosse doveroso offrirle? Poi le sue riflessioni passarono a Edward medesimo e alla signora Attwood di cui poteva rivedere facilmente, nella memoria, il volto incantevole, perfino dopo tanti anni. Non solo, ma ricordava benissimo cosa aveva provato quando si era resa conto per la prima volta che non si trattava affatto della vedova inferma di un vecchio amico, come Edward aveva sempre sostenuto, ma della sua amante. Così aveva scoperto una parte di Edward che le era sempre stata ignota. Cos'altro avrebbe potuto esserci che lei non aveva mai saputo? Stava cominciando a provare un terribile gelo interiore. Le tremavano le mani. Era stata totalmente abbindolata dal suocero che aveva visto soltanto come l'uomo dignitoso che incontrava in salotto, o sedeva a capotavola ai pasti, o diceva le preghiere insieme alla famiglia. L'altro uomo, la creatura descritta dalla signora Ellison, era un mostro che viveva sotto quella stessa pelle e del quale lei non aveva mai né visto né sospettato niente di turpe. Come aveva fatto a essere così totalmente cieca, così insensibile? E, a ben pensarci, nella faccia di chi altri lei aveva visto soltanto ciò che voleva vedere? Cosa aveva richiesto Edward alla signora Attwood che non aveva mai voluto esigere da lei, Caroline? E lei, cosa sapeva con certezza, dunque, sul conto di chiunque altro? Perfino di Joshua? Non si sentiva affatto nelle migliori condizioni per uscire, ma quella sera in teatro davano la prima della nuova commedia di Joshua. Di norma lei sarebbe stata presente, in qualsiasi circostanza. Non farsi vedere sarebbe stato come dichiarare, chiaro e tondo, qualcosa che non avrebbe più potuto smentire in seguito. Consumò un pasto leggero da sola, la vecchia signora era rimasta di sopra, e poi si vestì con tutte le cure possibili scegliendo una sontuosa toilette in un bel color blu savoia. Lo guarnì con il pendant a cammeo che le aveva regalato Joshua e si avvolse in un lungo mantello di velluto. Poi prese una carrozza per raggiungere il teatro sentendosi tremante, piena di freddo, insicura. In quel momento il suo più grande desiderio era che la commedia avesse successo e lui fosse elogiato e onorato ma, nello stesso tempo, senza che nella commedia venissero descritte le passioni inquietanti che aveva visto esprimere da Cecily Antrim. Finalmente le luci si abbassarono, il pubblico fece silenzio, e il sipario si alzò. La commedia era superba, acuta, intelligente, e spiritosa. Molte volte
si ritrovò a ridere forte. Durante il primo intervallo girò gli occhi per la sala e vide i signori Marchand sorridenti, chiaramente a loro agio. Li trovava simpatici, li capiva e gradiva la loro amicizia pur valutandone tutti i pregi e le limitazioni. Eppure si rendeva conto che l'autocompiacimento era una specie di morte. Qualcosa che non faceva riflettere, nascere nuove emozioni o sfidare preconcetti assodati, era gradevole, ma niente di più. E lei sapeva che Joshua si sarebbe disprezzato se il frutto della sua fatica fosse stato soltanto quello. Lui non voleva limitarsi solo a intrattenere, e divertire. Questo era, in parte, uno dei motivi per cui ammirava Cecily Antrim tanto profondamente. Perché aveva il coraggio di dire in che cosa credeva... gli altri fossero d'accordo, o no! Il secondo atto risultò più rapido, come ritmo, ma era quasi finito prima che lei si accorgesse che, rispetto al primo, toccava emozioni e sentimenti molto più profondi, nel suo io interiore, e diventava più complesso. Cominciò a pensare di nuovo a Mariah Ellison e a come il fatto di essere stata messa al corrente, tutto d'un tratto, delle sofferenze e del livore che avevano scandito la sua esistenza in tutti quegli anni, avesse cambiato anche la propria. Solo ventiquattro ore prima non avrebbe creduto possibile che persone ben educate e civili potessero anche solo pensare le cose che la vecchia signora le aveva raccontato: quelle che Edmund Ellison l'aveva costretta a fare quasi tutte le notti della sua vita coniugale. Eppure perfino mentre era seduta in un bel teatro ad assistere a una rappresentazione recitata in modo tanto perfetto, e con abilità tanto consumata, mentre si trovava circondata nella semioscurità da centinaia di persone elegantemente vestite, comprese di poterlo credere nel modo più totale. Pensò alla vecchia signora che aveva provato un terrore crescente durante ognuna delle visite di Samuel e alla fine aveva studiato un piano terribile, e distruttivo, per trovare scampo. Come doveva essere stato atroce il suo isolamento e quanta la sua paura, come la sensazione di essere sola e impotente a difendersi. Tutte cose che lei, Caroline, non aveva neanche lontanamente sospettato, come quell'orrore che non avrebbe neppure saputo dipingersi con la fantasia. Si protese lievemente in avanti per assistere al terzo e ultimo atto della commedia. Poi raggiunse il camerino di Joshua, fra le quinte, come era sempre abituata a fare dopo una rappresentazione importante. Si sentiva nervosa. Aveva provato e riprovato almeno una dozzina di volte quello che intendeva dirgli... ma... se lui si fosse rifiutato di vederla? Se non avesse voluto prestarle ascolto? Sarebbe stata costretta a pretenderlo... a insistere.
Anche lei sapeva essere determinata come Cecily Antrim, o chiunque altro. Amava Joshua nel modo più totale e completo e non intendeva perderlo senza lottare con tutta la sua abilità e la sua forza. La porta del camerino era chiusa. Poté sentire che, dentro, si rideva. Come poteva ridere, Joshua, quando l'aveva lasciata quella mattina senza dirle una parola? Bussò. Non aveva intenzione di entrare senza essere invitata. C'era il rischio di vedere qualcosa che avrebbe preferito ignorare. Bastò questo pensiero a farla star male. Un rumore di passi e la porta si aprì. Joshua rimase immobile, in vestaglia, perché non si era ancora cambiato del tutto. Parve sconcertato, poi la sua espressione si addolcì un poco. Aprì completamente la porta senza dire niente. Dentro, c'erano altre due persone, un uomo e una donna. Attori che lei conosceva già, e l'accolsero con calore. Si congratulò sinceramente con tutti per la loro interpretazione. Ma, poi, si accorse che continuavano a parlare. Sembrava che non volessero mai smettere. Non se ne sarebbero mai andati? Non poteva proprio dire niente per suggerirlo? Sarebbe stato scortese, ma le parole le vennero fuori dalle labbra quasi d'istinto. — Sono stata così contenta di aver assistito alla commedia, è stata molto più intensa di quanto immaginassi — disse a voce alta e chiara. — C'è qualcosa, in una prima, che in seguito non si ripete più. E c'è mancato poco che non potessi venire. — Evitò di guardare Joshua negli occhi. — Mia suocera sta con noi al momento e oggi non si è sentita affatto bene. È successo... qualcosa... che l'ha sconvolta più di quanto avrei creduto possibile. — Gli altri manifestarono il loro dispiacere. E Caroline finalmente si decise a guardare Joshua. — È malata? — domandò lui. Dalla sua voce non si poteva capire cosa pensasse. Gli altri due si scusarono con molto garbo e si ritirarono. — No — rispose Caroline. — Ha commesso una perfidia e io oggi l'ho scoperta. E quando l'ho affrontata perché me lo spiegasse, me ne ha detto il motivo. Joshua sembrava perplesso. In fondo, non aveva nessuna voglia di saperlo. Tollerava la vecchia signora unicamente per amor di Caroline. — Una perfidia? — disse, dubbioso. Bisognava continuare. — Sì, così credo. Ha scritto una lettera molto sfrontata a Samuel Ellison invitandolo a venire in visita da noi ieri pomeriggio e l'ha firmata con il mio nome. Quando è arrivato, lei si è ritirata deliberatamente lasciando il salotto, cosa che prima non aveva mai fatto, e poi ha mandato Joseph a chiamarti.
— Perché? So che mi disapprova perché faccio l'attore e sono ebreo, ma arrivare fino a questo punto...? Caroline si accorse di avere le lacrime a fior di pelle. Si sentì dolere la gola. — No! No! Non ha niente a che vedere con te. Ha paura che Samuel sappia qualcosa sul conto della propria madre, qualcosa che era vero anche per quel che riguarda lei medesima, qualcosa di spaventoso, di cui si vergognava talmente da non sopportare che qualcun altro lo sapesse. Era angosciata all'idea che lui me lo riferisse e così ha voluto che tu buttassi Samuel fuori di casa costringendolo a non tornarci mai più. A questo modo il suo segreto sarebbe stato al sicuro. Ne era tanto terrificata che, per lei, non aveva più importanza se, con quell'azione maligna, rovinava la mia felicità. Joshua, adesso, la stava fissando sbalordito. Era molto pallido. La sua faccia non esprimeva collera, bensì orrore. — Io so di che si tratta — mormorò Caroline. — E credo di poterle perdonare quello che ha fatto. Se non ti spiace, preferirei non raccontarti cosa ha sofferto, ma lo farò se ci sono costretta. La sua faccia si rilassò. Era troppo stanco, forse, per sorridere ma c'era una gentilezza in lui che a Caroline non poteva sfuggire. — No — disse piano. — No, non voglio saperlo. Lasciamo che il suo segreto rimanga tale. Dagli occhi di Caroline sgorgarono lacrime che sccsero a rigarle il viso. Si accorse di avere un nodo alla gola. — Ti amo — bisbigliò. Lui si eresse sulla persona e le tese le braccia, un po' incerto. Di colpo Caroline misurò fino a che punto fosse rimasto offeso e ferito. Gli buttò le braccia al collo, a sua volta, e lo strinse con tale forza che lo sentì trasalire. — Mi dispiace di non essermi comportata in modo che tu lo capissi — gli disse con la faccia nascosta contro la spalla. Lui non parlò, e mosse solamente le labbra, sfiorandole i capelli piano piano. 10 Pitt e Tellman, intanto, stavano continuando ad approfondire la questione di Henri Bonnard e del suo litigio con Orlando Antrim. Pitt, in tutta franchezza, non era allatto convinto che ne avrebbero ricavato qualcosa di utile perfino se fossero riusciti a scoprire l'intera verità sulla questione. Se Bonnard era scomparso di sua volontà, poteva diventare qualcosa di preoccupante e di estremamente fastidioso per l'ambasciata francese, ma non
riguardava più la polizia. L'unico vero legame con la morte di Cathcart era la fotografia. Che i due si assomigliassero era una pura coincidenza e lui non riusciva a provare un vero interesse per quel fatto, anche perché era assolutamente sicuro che il cadavere scoperto a Horseferry Stairs fosse quello di Cathcart e che Orlando Antrim avesse litigato con Bonnard. — Pensate che il motivo sia veramente stato quello delle fotografie? — chiese Tellman dubbioso mentre viaggiavano a bordo di un hansom in direzione di Kew dove erano stati informati che il club si trovava a fotografare certe interessanti varietà di fogliame nelle sene delle piante tropicali. — È davvero possibile che qualcuno possa commettere un delitto per una fotografia? Cioè — si affrettò a soggiungere — una fotografia che non sia quella di qualcuno che sta facendo qualcosa che non deve. — Ne dubito — ammise Pitt. — Ma suppongo che potrebbe essere stata l'esca di un litigio che poi ha preso la mano a qualcuno. Tellman si sporse verso di lui. Appariva imbronciato. — Credevo di cominciare a conoscere le persone e i motivi di quello che fanno, ed eccomi alle prese con un caso di questo genere! Ho la sensazione di non capire più niente. Pitt guardò le sue spalle angolose e la faccia tetra, dalla mandibola pronunciata, e si rese conto fino a che punto doveva essere confuso. Tellman aveva idee talmente radicate sulla società in cui vivevano, su quello che era giusto e su quello che non lo era..! Erano frutto di una giovinezza povera, del livore che, sotto sotto, stimolava il suo desiderio di cambiare le cose, di ottenere una maggiore uguaglianza fra chi lavorava e chi, a quanto poteva vedere, non faceva un bel niente, anche se aveva ricevuto tanto dalla vita. Ora, le fotografie alle quali pareva che questi giovanotti privilegiati tenessero tanto, gli sembravano sicuramente belle, ma anche di un valore molto relativo. E quindi non il movente comprensibile per un delitto. Pitt si sentiva abbastanza d'accordo con lui. Ma al momento non avevano niente di meglio su cui indagare. Nessuno, nel quartiere dove Cathcart viveva, aveva osservato qualcosa di utile e Lily Monderell non aveva più detto niente riguardo alle fotografie che aveva portato via e venduto con tanto profitto. Ecco che di nuovo si tornava alle fotografie. Si sarebbe detto che il movente dell'omicidio avesse qualcosa a che vedere con loro. Ai Kew Gardens procedettero fino alla serra tropicale, una stupenda torre di vetro che conteneva palme gigantesche con fronde lunghe più di un metro, felci esotiche, piante rampicanti coperte di fiori... Pitt fu il primo a scorgere i fotografi che cercavano di tenere in equilibrio i cavalletti sulla
superficie irregolare del terreno, che spostavano le macchine ad angolature ardite per inquadrare grovigli di rampicanti e un intricato motivo di fronde, oppure cercavano di cogliere la luce sulla superficie di una foglia. Si accostò a un giovanotto biondo, dall'espressione vivace, che in quel momento si ombreggiava gli occhi con la mano fissando il culmine di una palma svettante. Pitt allungò il collo anche lui alzando gli occhi e vide un intrico di fronde che si allungavano attraverso il soffitto, e componevano cerchi e curve, erratici e capricciosi, contro la regolarità geometrica delle lastre di vetro. Peccato interromperlo, ma era necessario. — Scusate! Il giovanotto, con un gesto dell'altra mano tentò di scacciare quell'elemento di disturbo. — Fra un po', signore, avrete la mia attenzione più totale. Siate tanto cortese da tornare fra mezz'ora. — Mi spiace, ma non ho mezz'ora da buttar via — si scusò Pitt. — Sono il sovrintendente Pitt della stazione di polizia di Bow Street e sto indagando sull'omicidio di un fotografo. Bastò a catturare tutto l'interesse del giovanotto. — Uno del nostro club? Assassinato? Mio Dio... chi? — Non uno del vostro club, signor... — McKellar, David McKellar. Parlavate di un fotografo? — Delbert Cathcart. — Oh! — Sembrò vagamente sollevato. — Oh, sì. Ho letto qualcosa in proposito. Derubato e buttato nel fiume, a quanto sembra. Sono molto addolorato. Era brillante. — Arrossì lievemente. — Ma io non so nulla in proposito. Cosa potrei raccontarvi? — La mattina del giorno in cui Cathcart è stato ucciso, è avvenuto un litigio fra l'attore Orlando Antrim ed Henri Bonnard dell'ambasciata francese. Ne sapete qualcosa? Pare che motivo del litigio fossero le fotografie. — Davvero? — McKellar sembrava sconcertato ma non dava l'idea di essere totalmente all'oscuro della faccenda come sarebbe stato ragionevole supporre se l'argomento non avesse avuto alcun senso logico per lui. — C'è gente che litiga per le fotografie? — domandò Pitt. — Be', suppongo di sì. Ma in tutto questo cosa c'entra il povero Cathcart? — Voi vendete le vostre fotografie? — Tellman chiese di punto in bianco. — Cioè, mi spiego, si possono far soldi con questo lavoro? — Il rossore che copriva le guance di McKellar si accentuò notevolmente. — Be', a volte. Aiuta... il fondo cassa. Tutta questa attrezzatura costa parecchio. Non che... sentite, forse sto parlando a sproposito, sapete? Io mi
sono limitato solo a vendere qualche fotografia di tanto in tanto, e basta. — Di tralci e foglie? — disse incredulo Tellman. — C'è gente che paga per questo? McKellar sfuggì il suo sguardo. — No... no, non direi. In genere si tratta del grazioso ritratto di una giovane signorina, magari di qualche fiore... qualcosa di più... più personale, con più attrattiva... cose di questo genere, ecco. — Una giovane signorina con... forse... qualche fiore — ripeté Pitt, alzando lievemente le sopracciglia. — E anche un vestito addosso, oppure no? McKellar non nascose il proprio imbarazzo. — Be', suppongo di sì. Ma qualche volta... no. — Si scoprì a fissare Pitt negli occhi e stavolta il suo tono fu quasi veemente. — Solo un po' artistiche. Niente di volgare! Pitt sorrise. Evitò con cura di ricambiare l'occhiata di Tellman. — Capisco. E queste vendite servirebbero ad accrescere il vostri fondi per le spese di lastre, pellicole e via dicendo? — Sì. — E le giovani signorine in questione ricevono parte del profitto? — Ricevono copie di... una o due delle fotografie. — E sono al corrente del fatto che il resto viene venduto per essere comprato, presumo, dal pubblico in genere? McKellar rimase in silenzio per un momento. — Io... io penso di sì — rispose, a disagio. — Mi spiego... la ragione è chiara, vero? — Chiarissima. — Pitt convenne con lui. — Voi volete mettere insieme un po' di soldi per finanziare questo hobby. — La sua voce era più fredda di quanto non intendesse. McKellar arrossì violentemente. — E dove vengono vendute queste fotografie? — insistette Pitt. — Il sergente Tellman prenderà nota del nome e indirizzo di tutti i negozianti con i quali siete in rapporto di affari. — Ecco... io... — Se non ve li ricordate, vuol dire che ci accompagnerete dove potrete ottenere le informazioni necessarie, e noi partiremo di lì. McKellar si arrese. Deglutì convulsamente. — E tutto più che innocente, sapete! — Protestò. — Sono soltanto... soltanto immagini! Nel pomeriggio Pitt e Tellman cominciarono a far visita ai negozianti che vendevano cartoline. In principio quello che videro furono civettuole illustrazioni di una varietà di giovani donne in pose abbastanza convenzio-
nali, con i volti gentili che fissavano la macchina fotografica, alcune un po' impacciate e vergognose, altre sfrontate, con un sorriso, perfino un'espressione di sfida. Le cartoline venivano vendute per pochi pence ed erano di buona qualità. — È tutto qui quello che avete? — domandò Pitt, più che altro per abitudine ma senza nessuna speranza di venire a sapere qualcosa di più, che avesse un certo valore. Si trovavano in un negozietto di libri e tabacchi di Half Moon Street, nei pressi di Piccadilly, con gli scaffali pieni zeppi di roba, l'impiantito di legno che scricchiolava a ogni passo. L'aria odorava di cuoio e tabacco da naso. — Be'... — fece il negoziante dubbioso. — Ce ne sono ancora altre, più o meno simili a queste. Tutto qui. — Vediamole — disse Pitt in tono fermo. Parecchie altre dozzine di cartoline vennero tirate fuori e, con Tellman, le fecero passare abbastanza rapidamente. C'era una certa varietà, qualche serena scena di campagna con graziose fanciulle in primo piano, qualcuna quasi domestica, qualche altra in pose studiate, artificiose. Pitt riconobbe la forma tondeggiante, il tipo di fogliame, i giochi di luci e ombre che aveva visto studiare dai giovani soci del club fotografico. Gli sembrò perfino di riconoscere qualche parte della Hampstead Heath. Poi ce n'erano altre le quali, con un uso più raffinato delle luci e delle ombre, risultavano scattate con grande pratica e molta maggior abilità artistica. — Mi piacciono queste rotonde — osservò Tellman, passando e ripassando fra le mani le cartoline. — Cioè mi piace la forma dell'immagine che, però, ha lo svantaggio dello spazio sprecato; quindi nel complesso direi che le immagini quadrate, in un certo senso, sono migliori. Ce n'è una mezza dozzina, forse di più. — E Tellman ne passò quattro a Pitt. Pitt le esaminò. La prima era molto buona, ma abbastanza comune come soggetto. La seconda era ottima. La ragazza aveva capelli neri, ricci, scompigliati dal vento e arruffati intorno al viso, e stava ridendo. Sullo sfondo, la scena lontana del fiume, con un gioco di luci sull'acqua e qualche figura sfocata, appena poco più che accennata. Sembrava felice, e come se fosse pronta a fare tutto quanto poteva essere divertente: quel tipo di ragazza con la quale la maggior parte degli uomini sarebbe felice di passare una giornata, e forse anche più di una. Il fotografo l'aveva colta nel momento perfetto. Quella successiva era altrettanto buona ma estremamente diversa. Qui la ragazza era bionda, quasi eterea. I suoi occhi non fissavano la macchina
fotografica, la luce creava un'aureola intorno ai suoi capelli, e le spalle di un pallido chiarore rilucevano come raso dove la veste era scivolata un po' in basso. Il risultato era un miscuglio brillante di innocenza ed erotismo. La ragazza si appoggiava lievemente a un piedistallo, di pietra o di gesso, intorno al quale era intrecciato il tralcio di una pianta rampicante. Fece affiorare qualcosa alla memoria di Pitt che però non riuscì a localizzarla. L'ultima era il ritratto di una fanciulla dalla bellezza classica, sdraiata su una dormeuse. Aveva visto una fotografia della famosa Lillie Langtry in una posa simile. Solo che questa fanciulla fissava direttamente la macchina fotografica e sulle sue labbra aleggiava un lieve sorriso, come se l'osse consapevole di una ironia segreta. Di colpo ricordò dove aveva visto le colonne della fotografia precedente perché la dormeuse proveniva dallo stesso luogo. Appartenevano a Delbert Cathcart; Pitt aveva visto quegli arredi nel suo studio. — Sono molto buone — disse meditabondo. — Vi piacciono? — chiese il negoziante, interessato, annusando la possibilità di una vendita. — Vi farò un buon prezzo. — Le avete comperate legalmente? — chiese Pitt aggrottando le sopracciglia. L'uomo si mostrò indignato. — Naturale! Faccio tutti i miei affari nel modo più corretto e con la massima legalità. — Bene. In tal caso potete dirmi dove avete comprato queste. Dalla signorina Monderell, forse? — Mai sentita. Le ho comprate dall'artista in persona. — Davvero? E.. sarebbe... dal signor Delbert Cathcart? Anzi posso dirvi — e Pitt sorrise — che sto proprio indagando sull'omicidio del signor Cathcart. L'uomo impallidì visibilmente e deglutì. — Oh? Davvero? — domandò spostando il peso del corpo da un piede all'altro, inquieto e turbato. Pitt continuò a sorridere. — Sono sicuro che sarete ansioso di aiutarmi per quanto è possibile, signor Unsworth. Secondo me, se avete acquistato queste fotografie da Cathcart non è escluso che possiate averne anche altre che, forse, valgono ancora di più. E prima di lasciarvi commettere un errore negando che sia stato così, devo avvertirvi che non ho nessuna difficoltà a rimanere qui a parlare con voi di questo argomento intanto che il sergente Tellman va a procurarsi un mandato per la perquisizione dei vostri locali. — No... no! — L'idea di un poliziotto in uniforme bastò perché il signor Unsworth prendesse una decisione immediata. Sarebbe stato un brutto
guaio per gli affari, soprattutto fra quei signori che avevano gusti piuttosto particolari. — Vi mostro il resto io in persona. Di sicuro. Dare un po' di colore alla vita è una cosa, ma al delitto bisogna porre un limite. Prego, da questa parte! — E li precedette su per una scala tortuosa e traballante. Le cartoline che aveva nel locale superiore erano molto più esplicite di quelle che teneva in bottega. Molte donne avevano praticamente abbandonato i loro indumenti ed erano in posa, coperte da poco più di qualche lembo di tessuto, un ventaglio piumato o un mazzolino di fiori. Erano belle donne nella prima giovinezza o appena un poco più mature, con seni alti e sodi e cosce floride. Qualcuno dei loro atteggiamenti era più erotico di altri. — Tutte assolutamente innocue — affermò Unsworth. — Sì, è vero — convenne Pitt, e poi si mise a guardarle con maggior attenzione. Ne vide una mezza dozzina o anche più che avrebbero potuto essere opera di Cathcart. Perché lì l'immagine era di qualità, e rivelava una ricerca più sottile nel gioco delle luci e delle ombre, un'allusione più delicata a qualcosa che andava al di là della carne. Una donna stringeva fra le mani un fascio di gigli che le nascondevano in parte il seno. Un miscuglio fortemente evocativo di castità e dissolutezza. Un'altra donna dalla folta capigliatura scura era sdraiata su un tappeto turco con un narghilé in ottone alle spalle, come se fosse lì lì per aspirare il fumo di qualche erba aromatica. Più l'osservava, più Pitt si convinceva che fosse opera di Cathcart. C'erano il simbolismo, l'abilità allusiva, oltre a un uso esperto della macchina fotografica in sé e per sé. Ma nessuna di queste immagini, per quanto buona fosse, poteva valere il prezzo della teiera di Lily Monderell, e tantomeno dell'acquerello. — Sì, vedo — disse ad alta voce. — E adesso... per le altre, quelle più costose? Me le portate voi da vedere o sono costretto a cercarmele da solo? Unsworth rimase esitante, perché evidentemente non riusciva a capire fino a che punto poteva illudersi di cavarsela senza finire in guai più grossi. Pitt, allora, si volse a Tellman: — Sergente, vedete un po' se trovate... — E va bene! — sbottò Unsworth, la faccia cupa, la voce che fremeva di rabbia. — Ve le farò vedere io personalmente! Siete un uomo spietato. Che male c'è in qualche cartolina? Nessuno ne soffre. Nessuno è stato costretto a farle contro la sua volontà. Non c'è niente di reale in tutto questo! — Di malagrazia Unsworth tirò fuori le fotografie, sbattendole sul tavolo di fronte a Pitt; poi indietreggiò di qualche passo e incrociò le braccia. Queste erano differenti. L'innocenza era completamente scomparsa.
Qualcuna possedeva ancora qualcosa di artistico, ma già indirizzato a uno scopo preciso. Nelle prime quattro le donne sorridevano lascive, i corpi in un atteggiamento quasi di un'estasi, clamorosa, totalmente fisica. Pitt le fece passare rapidamente. Avrebbe preferito non guardarle neanche. Ognuna di queste donne non molto tempo prima era stata una bambina, avida di affetto e di tenerezza, non di lussuria. Salvo, naturalmente, quelle che avevano conosciuto, a lungo, violenza e maltrattamenti da parte di quelle stesse persone che avrebbero dovuto proteggerle. Ecco come poteva essere descritta qualcuna di loro, con quegli occhi tragici, che avevano visto di tutto. Altre erano ancora peggiori, vi erano scene di violenza simulata; alcune erano oscene, alcune blasfeme. Molte donne vi indossavano le vesti di ordini religiosi, debitamente ritoccate per farne la satira, monache con le gonne strappate, scaraventate al suolo o contro la balaustra di una scala come se lo stupro andasse considerato alla stessa stregua del martirio, e con la sottomissione alla violenza si potesse ottenere qualche specie di estasi religiosa. E ce n'erano anche altre, parimenti orribili, con immagini maschili e perfino di bambini. Emblemi di morte e di sacrifici umani, in alcune di esse, pareva volessero alludere a rituali satanici; in due o tre apparivano l'ombra di una testa di caprone, calici di sangue e vino, barbagli di luce che scintillavano sulla lama di un coltello. Fra tutte quelle immagini riconobbe quella di un volto bellissimo, non più giovane, privo dell'incantevole freschezza di un'adolescenza ancora intatta ma con quella linea limpida della gola e delle guance, il perfetto equilibrio prodotto da un'ossatura forte e insieme delicata, l'alone di capelli chiari che le davano un fascino tutto speciale. Era Cecily Antrim, in veste monacale, la testa buttata indietro, le braccia legate per i polsi a una ruota, il corpo piegato all'indietro su di essa. Un uomo stava inginocchiato di fronte a lei, e la sua faccia rifletteva l'estasi. Un quadro strano, a metà pornografico, a metà blasfemo, che turbava intensamente e profondamente, molto meno facile da dimenticare di quelle fotografie che erano semplicemente erotiche. Ne guardò altre, forse una dozzina. Era arrivato quasi in fondo al mucchio quando la vide. E dall'ansito subito soffocato che sfuggì a Tellman, al suo fianco, comprese che l'aveva vista anche lui nello stesso istante. Era di nuovo Cecily Antrim, che indossava una lunga veste di velluto verde, sdraiata sul dorso in un barchino a fondo piatto, circondata da fiori che galleggiavano a pelo d'acqua. Aveva le ginocchia leggermente rialzate. Caviglie e polsi erano incatenati alla barca. Di nuovo, ecco la parodia di Ofelia, e l'immagine faceva pensare che proprio il fatto di essere
imprigionata dalle catene fosse quello che l'eccitava, e l'estasi che cominciava ad affiorare in lei appariva nitida e reale sul suo viso. — È disgustosa! — disse Tellman con voce strozzata. — Ma come può una donna fare qualcosa del genere? Qual è l'idea che dà a un uomo, eh? — Puntò il dito ossuto sul cartoncino lucido. — Un uomo che contempla tutto questo sta per... pensare... Dio soltanto sa cosa! È ripugnante. Bisogna fare smettere tutto questo! Cosa succederebbe se venisse qui qualche ragazzo? — Io non vendo ai ragazzi — intervenne Unsworth, tagliando corto. — Questo materiale è soltanto per clienti speciali, clienti che conosco. Pitt si voltò di scatto affrontandolo, gli occhi incandescenti, la voce rauca. — E naturalmente sapete con esattezza cosa ne fanno loro, vero! Sapete che ognuna di queste cartoline viene messa al sicuro, sotto chiave, da qualche persona responsabile e sana di mente che tratta la propria moglie come un'amica preziosa, una signora, la madre dei suoi figli? Non ce n'è proprio nessuno che si serve di queste immagini per dare esca ai propri sogni e poi realizzarli nella realtà? E non capita mai che qualcuno di loro le venda a ragazzi curiosi e ignoranti che non sanno neanche come è fatto il corpo di una donna nuda e smaniano dalla voglia di scoprirlo? — Be'... — farfugliò Unsworth. — Be', non potete considerarmi il responsabile di... io non sono il custode di mio fratello! — No, signor Unsworth, forse sono persone come il sergente Tellman e me, i suoi custodi, e adesso siamo proprio noi che provvederemo a fare quello che va fatto. Vi diamo la scelta: potete fornirci un elenco dei vostri clienti che comprano queste cartoline... un elenco completo... altrimenti dovrò presumere che le tenete qui per il vostro unico piacere, e dal momento che ciò costituisce la prova di un omicidio, che state proteggendo chi lo ha commesso... o lo avete commesso voi stesso. Cosa decidete di fare? — Io... eh... io... io... — Unsworth digrignò i denti. — Vi darò l'elenco. Ma volete rovinarmi! Finirò all'ospizio di mendicità! — È quello che spero — disse Pitt. Unsworth gli scoccò un'occhiata velenosa ma andò a prendere carta, penna e calamaio, e scrisse una lunga lista di nomi per Pitt. Ma senza gli indirizzi. Pitt lesse quei nomi, ma non ne riconobbe nessuno. Pensò di procurarsi l'elenco dei soci del club fotografico, e confrontarli, ma senza molte speranze che le due liste ne avessero qualcuno in comune. — Raccontatemi qualcosa di ognuno di questi uomini — disse con aria
truce a Unsworth. Unsworth scrollò la testa. — Sono clienti. Comprano fotografie. Cosa ne so io, di loro? — Sapete molto — replicò Pitt, continuando a fissarlo imperterrito. — Se non sapeste niente, non correreste il rischio di vendere proprio a loro le cartoline. E voglio anche un elenco dei vostri fornitori di questo materiale. Prima di rifiutarvi di farlo, dovete sapere che è stata una di queste immagini a suggerire l'omicidio di Cathcart. L'assassino l'ha vista e ha disposto il corpo di Cathcart nella stessa posizione della fotografia. — Si sentì molto soddisfatto quando si accorse che Unsworth impallidiva paurosamente e gli si copriva di sudore la fronte. — Difficile pensare a una coincidenza — continuò. — Specialmente dal momento che è stato Cathcart a scattare la fotografia. Ho bisogno di sapere chi altri l'ha vista. Mi capite, signor Unsworth? Voi siete la chiave di un delitto che io ho intenzione di risolvere. Potete dirmelo adesso... oppure posso chiudere il vostro esercizio fino a quando non vi deciderete a farlo. Allora, quale è la vostra scelta? — Voi mi dite quale è la fotografia, e io vi dico chi l'ha portata qui e a chi l'ho venduta — rispose Unsworth, burbero. Pitt indicò la fotografia di Cecily Antrim sulla barca. — Oh. Be', come avete detto voi, è stato Cathcart a portarmela. — Ne avete i diritti esclusivi? — domandò Pitt con voce tagliente. — Magari! No, naturalmente! Era una bugia. Pitt se ne accorse dallo sguardo fisso dei suoi occhi. — Già. E quindi non potreste sapere i nomi degli altri negozianti che ce l'hanno anche loro perché non siete stato voi a vendergliela? Unsworth si agitò di nuovo, spostando il peso del corpo da un piede all'altro. — Proprio così. — Allora ditemi tutto quello che potete sulle persone a cui l'avete venduta. — Ma ci metterò l'intera giornata! — protestò Unsworth. — È probabile — convenne Pitt. — Ma il sergente Tellman e io abbiamo a disposizione tutto il tempo che serve. — Sarà come dite, accidentaccio, ma io no. Io devo guadagnarmi da vivere! — In tal caso farete meglio a cominciare subito, vi pare?, e a non sprecare il vostro tempo così prezioso, continuando a discutere — disse Pitt in tono pieno di buonsenso. Ma anche così passarono svariate ore nella stanzetta del piano di sopra
mentre il negozio rimaneva chiuso per tutto quel tempo, senza venire a sapere niente, purtroppo, che sembrasse di qualche utilità a farli progredire nelle indagini relative all'omicidio di Cathcart. Uscirono di lì che ormai era quasi buio e si avviarono per le strade illuminate dai lampioni a gas con un crescente senso di oppressione. Camminarono in silenzio per un po' attraversando la strada fra cani, barrocci, carrozze che correvano veloci, vetture leggere come gli hansom, tutti con i fanali accesi. Brandelli di nebbia volteggiavano intorno ai lampioni rendendo il loro lume più fioco. — Perché lo fanno? — domandò Tellman d'un tratto, allungando il passo per rimanere al fianco di Pitt il quale, tanto era il suo furore, senza accorgersene si era messo a marciare sempre più in fretta. — Voglio dire, perché una donna come la signorina Antrim permette che le facciano fotografie del genere? Non ha bisogno di quei soldi. Non è né affamata né alla disperazione, e si può pagare l'affitto. È una persona d'alto livello! Dovrebbe avere più buonsenso! Pitt si accorse che Tellman era confuso e, soprattutto, misurò il suo disappunto. Lo capiva fin troppo bene. Perché lo provava anche lui. Quale perversità aveva indotto una donna bella e brillante a degradarsi così? — Secondo voi, è stata ricattata? — domandò Tellman. — Può darsi. — Avrebbe dovuto chiederlo. Quasi quasi si augurava che quella fosse la risposta. La disillusione che aveva nel cuore, era più forte di quanto avrebbe potuto immaginare. Un sogno era stato spezzato, una vivida luce si era spenta. Per Caroline la questione di Samuel Ellison non era ancora del tutto finita. Lo aveva trovato molto simpatico e non voleva che il loro distacco venisse ricordato con rancore. Alzò gli occhi per guardare Joshua, seduto con lei al tavolo della colazione. Erano soli. La vecchia signora era rimasta nella sua camera. — Posso scrivere a Samuel per dirgli che abbiamo risolto il mistero delle lettere e ci scusiamo per l'equivoco che hanno provocato? — No — disse lui con voce limpida e chiara, ma i suoi occhi erano colmi di dolcezza, e le stava sorridendo. — Si è comportato ugualmente in un modo non del tutto corretto. Ti ammira, il che rivela un ottimo gusto, ma è stato troppo esplicito nel lasciarlo capire... Sarò io a scrivergli. Gli racconterò quello che è successo, almeno per quanto ne so. Non posso riferirgli il motivo per cui la vecchia signora lo ha fatto perché lo ignoro. Chiederò scusa per il modo raccapricciante in cui si è comportata, e lo inviterò fuori a cena... al mio club — concluse, prendendo un'aria divertita e vagamente
compiaciuta. — Poi lo condurrò a teatro, se accetta, e lo presenterò a Oscar Wilde. Lo conosco passabilmente bene ed è un personaggio molto gradevole. Ma non ho intenzione di averlo qui, in casa. La signora Ellison può essere molto abile a seminare zizzania, ma Samuel mostra ancora un po' troppa simpatia per mia moglie per la mia pace dello spirito. Caroline si sentì le guance che diventavano di fiamma ma, stavolta, di piacere: un piacere intenso e delizioso. — Che ottima idea — disse con gli occhi fissi sul pane tostato che aveva nel piatto. — Sono sicura che sarà un gran godimento per lui. Ti prego, fagli i migliori auguri da parte mia. — Certamente — replicò lui, allungandosi per prendere la teiera. — Ne sarò lieto. Dopo che Joshua se ne fu andato, Caroline salì a informarsi sulla salute della signora Ellison. Mabel le disse che fino a quel momento non si era ancora alzata e sembrava che, per quel giorno, non avesse nessuna voglia di farlo. Comunque le lasciò capire che questo la preoccupava e forse sarebbe stato opportuno chiamare il dottore. — Non ancora — replicò Caroline con fermezza. — Credo che non si tratti di niente di più di un semplice mal di testa... Per favore, tranquillizzatevi. — E senza continuare la discussione, procedette lungo il pianerottolo fino alla camera della vecchia signora. Bussò seccamente alla porta. Nessuna risposta. Bussò di nuovo, aprì ed entrò. La signora Ellison era a letto sostenuta da un mucchio di guanciali, i capelli brizzolati sciolti sulle spalle, la faccia pallida, con le occhiaie talmente profonde da sembrare grandissime. — Non ti ho dato il permesso di entrare — disse acida. — Abbi tanto decoro da andartene, prego. Ma non posso neanche permettermi di stare sola in questa casa? — No, non potete. Sono venuta a dirvi che ieri sera ho parlato con Joshua... — Mariah la fissò con gli occhi sbarrati, la faccia che era diventata livida per l'angoscia. — ...e gli ho detto che siete stata voi a scrivere la lettera a Samuel... ma senza spiegarne il perché — continuò Caroline. — Ho detto che si trattava di qualcosa che vi aveva addolorato enormemente, e lui non ha chiesto di che si trattasse. Adesso il silenzio era totale nella stanza. La signora Ellison esalò lentamente il respiro accasciandosi su se stessa. Fece per parlare, ma poi preferì tacere. I suoi occhi continuarono a rimanere fissi sulla faccia di Caroline. Le era grata, ma farglielo capire a parole avrebbe dato un peso e una realtà
alla sua gratitudine, e non si sentiva ancora pronta a farlo. Caroline le rivolse un breve sorriso, poi si alzò in piedi e uscì. E per tutto il giorno non rivide più la vecchia signora. Alla sera, quando Joshua era già uscito per andare a teatro dopo una leggera cena, la cameriera le annunciò l'ispettore Pitt e Caroline fu felicissima di vederlo. — Thomas! Entra — disse con piacere. — Come stai? Mio caro, devi essere tremendamente stanco. Siediti. — Gli indicò la capace poltrona vicino al fuoco. — Hai mangiato? — Lui aveva un aspetto ancor più trasandato del solito e l'aria smarrita. Ma fu soltanto dopo che ebbe ubbidito e il lume della lampada a gas mise meglio in risalto l'espressione del suo viso che lei si accorse di come fosse, anche, profondamente infelice. — Thomas, cosa c'è? Cosa è successo? Lui abbozzò un sorrisetto, un po' malinconico e un po' imbarazzato. — Lo lascio capire fino a questo punto? Era stato il giorno dell'onestà. — Sì. — Forse era con Joshua che volevo parlare. Avrei dovuto rendermi conto che a quest'ora non era possibile trovarlo qui. — Posso riferirlo a Joshua quando torna a casa — gli rispose lei subito, cercando di parlare con disinvoltura per non metterlo in imbarazzo. — Di che si tratta? Il teatro, immagino. È qualcosa che ha a che vedere con l'omicidio del fotografo? — Sì. Ma tutto sommato è qualcosa che non andrebbe discusso con una donna. — E perché mai? Sei imbarazzato? — No. — Pitt era esitante. — Ecco... Caroline pensò amareggiata a quello che le aveva raccontato la suocera. Qualsiasi cosa Pitt avesse da dire, era un po' difficile che potesse essere più oscena o più degradante per l'io più intimo di una persona. — Thomas! Io non ho bisogno di essere protetta dalla vita. Se hai paura che non sappia tenere un segreto, allora... — Non si tratta affatto di quello! — protestò lui. — È semplicemente... molto, molto sgradevole. — Quanto a questo, te lo leggo in faccia. Sei convinto che l'omicidio di Cathcart abbia a che vedere con il teatro? — Penso di sì. È un fatto assodato che lui conoscesse Cecily Antrim... molto bene. — Vuoi forse dire che erano amanti? — Era divertita da tanta delicatez-
za. — Non necessariamente. Sarebbe qualcosa di scarsissima importanza. — Si sistemò più comodamente nella poltrona allungando le gambe. Ma la sua feccia era aggrottata. Evidentemente gli riusciva ancora difficile rivelarle quello che lo turbava. — Ho trovato fotografie di Cecily Antrim in un negozio di tabaccaio — si decise a dire alla fine. — Non abbiamo riferito ai giornali come sia stato trovato Cathcart, salvo che era sul fondo di una barca. In effetti portava addosso una veste di velluto verde... un po' lacera e strappata... ed era incatenato per i polsi e le caviglie... in una specie di parodia oscena del quadro di Millais che raffigura Ofelia. Qua e là intorno a lui erano sparsi dei fiori... artificiali. — Tacque. — E questo... cosa avrebbe a che vedere con Cecily Antrim? — Nel negozio c'erano parecchie altre fotografie sue, oscene o blasfeme, e una di esse era la riproduzione quasi esatta del quadro. Non può essere stata una coincidenza. La stessa veste, le stesse ghirlande di fiori. Sembrava perfino la stessa barca. Lui è stato ucciso, e poi il suo corpo sistemato esattamente nella stessa posizione. Chiunque sia stato l'assassino, aveva sicuramente visto la fotografia. Caroline fu colta da un brivido gelido. — Pensi che lei sia coinvolta in qualche modo? — Come ne sarebbe rimasto addolorato Joshua che l'ammirava tanto per il suo coraggio, la passione, l'integrità morale! Possibile che una donna simile si prestasse a fare della pornografia? Pitt la stava osservando, scrutava la sua faccia, gli occhi, le mani che adesso erano strette convulsamente in grembo. — Erano molte, queste fotografie? — chiese. — Cioè, potrebbero essere state vendute a molte persone oppure usate per qualche ricatto? — Il padrone del negozio mi ha fornito un elenco dei suoi clienti — disse Pitt. — Ma niente mi garantisce che sia completo. Dovremo esaminarlo più a fondo. — La sua faccia era triste e stanca sotto il lume a gas. — Qualcuno sarà sicuramente un commerciante che le venderà ad altri. Chissà quale sarà mai la fine della catena! Il guaio è che potrebbero finire nelle mani di chiunque... gente giovane, ragazzi ansiosi di conoscere qualcosa delle donne... ragazzi che non sanno niente... Che orrore, per un adolescente, vedere qualcosa di simile alla brutalità descritta dalla signora Ellison, o le fotografie per le quali aveva posato Cecily Antrim. Ragazzi e giovani uomini sarebbero cresciuti immaginando così le donne... disposte volontariamente a lasciarsi incatenare... E poteva anche essere successo così per il sedicenne Lewis Marchand! Quando era
arrossito a quel modo c'era da pensare che lo avesse fatto per qualcosa che aveva fatto sbizzarrire le sue fantasie perché l'aveva ricavato direttamente dall'Amleto, dallo scherno con cui era stata presa di mira Ofelia nel testo di Shakespeare... oppure perché aveva visto la fotografia di Delbert Cathcart? Non le restava altra scelta, dal punto di vista morale, che andare dai Marchand e metterli in guardia. — Devi impedirlo, se puoi! — gli disse ad alta voce. — Thomas, devi proprio farlo! — Lo so — rispose lui. — Naturalmente abbiamo portato via tutte quelle cartoline al negoziante. Ma questo non gli impedirà di comprarne altre. È impossibile impedirlo. Un uomo con una macchina fotografica può riprendere quello che gli piace. Un uomo con una matita o un pennello può disegnare o dipingere quello che vuole. Caroline pensò a Daniel e Jemina, con i loro faccini innocenti che contemplavano ancora il mondo senza immaginarne la crudeltà... pensò a Edmund Ellison, e a Mariah da giovane, terrificata, ad aspettare la sofferenza che sarebbe puntualmente arrivata... Se qualcuno avesse fatto qualcosa del genere a una delle sue figlie, lei lo avrebbe ucciso. Non capiva che rapporto potesse esserci fra quelle fotografie e le azioni che riproducevano, se incitassero a farle, scatenando un certo tipo di eccitazione... oppure ne fossero il sostituto. Si sentiva confusa e stanca, incerta sul modo di aiutare. Eppure di questo soltanto era sicura, più di tutto il resto: che doveva offrire il suo aiuto. Rimase in silenzio, con Pitt. Nella stanza non si udivano altro che il crepitio del fuoco e il tic tac dell'orologio, e nessuno dei due si sentì obbligato a spezzare quel senso di comprensione che adesso li univa con parole assolutamente inutili. Passò un bel po' di tempo prima che si decidessero a parlare di Charlotte a Parigi, delle sue descrizioni estasiate della visita al Quartiere latino, della colazione a Saint-Germain, dei poeti che indossavano una camicia rosa e di un'altra giornata di piacevoli passeggiate sotto gli ippocastani degli Champs Elysées. 11 La vecchia signora non scese neanche a colazione la mattina dopo e Caroline si accorse di non esser capace di gustare il toast spalmato di una delle tante varietà di conserve di frutta tra le quali poteva scegliere. E quella di albicocche era deliziosa. Joshua alzò gli occhi e la guardò. — Cosa c'è? È successo qualcosa? Fino a quel momento non gli aveva detto niente. Era troppo assorto dal
suo lavoro e lei sapeva fino a che punto potessero essere estenuanti le prime rappresentazioni di una nuova commedia. Tutti si preoccupavano di come sarebbe stata accolta, come avrebbe reagito il pubblico, cosa avrebbero detto i critici, se le vendite dei biglietti sarebbero rimaste soddisfacenti. Una gola irritata e dolente, che rappresentava un fatto semplicemente spiacevole per la maggior parte della gente, era la rovina per un attore. La voce era lo strumento della sua arte. In principio Caroline aveva trovato difficile capirlo perché nella sua vita con Edward non aveva mai sperimentato niente di simile. Adesso almeno sapeva quando fosse opportuno tacere oppure come dire cose intelligenti perché, in quello, Joshua esigeva la più totale onestà e non sopportava di essere trattato con condiscendenza. Era in quei momenti, per quanto capitassero di rado, che lei aveva tutta la misura della sua vulnerabilità. — Ieri sera è stato qui Thomas. Naturalmente sente la mancanza di Charlotte... e il caso di cui si sta occupando gli dà qualche preoccupazione. — Non è quello che capita sempre? — Joshua prese un'altra fetta di pane tostato. — Mi spiace per Cathcart, era brillante nella sua professione. Suppongo che Thomas sia ancora molto lontano dallo scoprire cosa è successo, vero? — Non credo. Tu non lo conoscevi? Lui rimase sorpreso. — Cathcart? No. Solo di fama. Ma conosco la sua opera. Come tutti... be', suppongo che la gente di teatro lo conosca più degli altri. — Si volse a guardarla con più attenzione. — Perché? No, non era brava a ingannarlo come avrebbe voluto. Joshua aveva intuito che non gli stava raccontando tutto quanto sapeva. Ed era già stato offeso tanto profondamente per la faccenda di Samuel Ellison, anche se adesso era acqua passata! Si sforzò di far apparire più spontaneo il suo sorriso. — Il povero Thomas si è messo d'impegno a cercar di scoprire tutto quanto è possibile sul suo conto perché sembra un delitto scaturito da qualcosa di personale, di privato, una questione di rancori o di beffe. Se tu sai qualcosa sul suo conto e non lo conosci soltanto di fama, potrebbe essergli utile. Joshua ricambiò il suo sorriso e continuò a mangiare. Caroline si scusò e salì al piano di sopra. Anche la questione di Lewis Marchand andava risolta, ma non fino al pomeriggio. Adesso bisognava occuparsi della signora Ellison. Come il giorno prima, era ancora a letto. — Non ricevo visitatori — disse gelida all'entrata di Caroline. — Io non vengo in visita — replicò Caroline, sedendosi sul bordo del
letto. — Io vivo qui. La vecchia signora le lanciò un'occhiataccia. — Mi stai forse ricordando che io non ho casa? — Sarebbe assolutamente inutile. Ve ne siete lagnata talmente tante volte che non potrei averlo dimenticato. — È qualcosa che non si dimentica — ritorse la signora Ellison. — Non ti è mai concesso, e in mille modi uno più sottile dell'altro. Lo imparerai anche tu un giorno, quando sarai vecchia e sola, e tutti quelli della tua generazione saranno morti. — Visto che ho sposato un uomo abbastanza giovane da poter essere mio figlio, come non vi stancate mai di ripetermi, è molto poco probabile che io gli sopravviva o che mi capiti di ritrovarmi sola per molto tempo — le fece rilevare Caroline. La vecchia signora continuò a fissarla con gli occhi socchiusi, la bocca ridotta a una linea sottile, dura. Caroline sospirò. — Se non vi sentite abbastanza bene da alzarvi, mando a chiamare il dottore. Non è consigliabile rimanere troppo in fondo a un letto, perché ci si indebolisce. — Sono perfettamente in grado di alzarmi! Ma non voglio farlo! — E la signora Ellison le lanciò un'occhiata di fuoco, sfidandola a obiettare. — Più rimandate, più difficile sarà. Volete far nascere qualche dubbio, qualche supposizione? La vecchia signora alzò le sopracciglia. — Che dubbi, che supposizioni dovrebbero esserci? A chi importa qualcosa di quello che io faccio o non faccio? Vattene, per favore. Sono esausta e preferisco rimanere sola. — La sua faccia sembrava una maschera di solitudine e disperazione che respingeva Caroline, e chiunque altro. — Tu non capisci. Tu non hai neanche la più vaga idea. Almeno lasciami soffrire in privato, senza venire a guardarmi con tanto d'occhi. Non ti voglio qui. Abbi la decenza di andartene. Caroline si scoprì esitante. Le pareva di sentire la presenza del dolore della suocera come se fosse qualcosa di vivo, lì nella camera, ma qualcosa che non era in suo potere affrontare. Ormai le cicatrici di quel dolore erano strettamente intessute alla trama della vita di Mariah Ellison; non si trattava più soltanto dell'umiliazione in sé e per sé ma del fatto che aveva dovuto subirla per anni e anni. Non c'era di mezzo soltanto quello che Edmund le aveva fatto, ma quello che lei aveva fatto a se stessa. Si era odiata talmente a lungo da non saper più come rinunciarvi. — Fuori dalla mia camera! — disse a denti stretti la vecchia signora. Caroline la guardò, rannicchiata in quel letto, le mani nodose strette alle co-
perte, la faccia che pareva l'emblema dell'infelicità, le lacrime che scendevano lente sulle guance. Sentendosi incapace di fare qualcosa per aiutarla, Caroline girò sui tacchi e uscì richiudendosi dietro la porta, rimanendo sbalordita nello scoprire che aveva anche lei la gola chiusa da un nodo di pianto. Andò in visita a casa Marchand quanto più presto la decenza permetteva, forse perfino un po' in anticipo rispetto alle consuetudini. La signora Marchand fu stupita di vederla, ma ne sembrò ugualmente contenta. Rimasero a conversare dei soliti argomenti banali per parecchi minuti nel salotto comodo e accogliente, dal mobilio massiccio, prima che la signora Marchand si rendesse conto che Caroline, se era venuta a farle visita, aveva uno scopo ben diverso da quello di trovare un modo piacevole di riempire un pomeriggio vuoto. Quanto a Caroline, a un certo momento si accorse che non stava ascoltando quello che la signora Marchand le diceva. Adesso che si trovava ad affrontare il problema di esprimere a parole i suoi timori, scopriva come fosse ben più difficile di quanto avesse immaginato. La guardò dritto nei grandi occhi azzurri, fissò quel suo viso grazioso e capì fino a che punto fosse sicura del suo mondo, dei suoi regolamenti e delle sue convenzioni. Li aveva insegnati coscienziosamente anche al figlio. Caroline ebbe la certezza che non le fosse mai passato per la mente che Lewis potesse azzardarsi a non tener conto di quei valori, e avesse osato sconfinare oltre, nel proibito. — Vi sentite proprio bene, mia cara? — domandò la signora Marchand premurosamente, corrugando la fronte e sporgendosi un poco verso di lei. — Sembrate un po' pallida. Non avrebbe potuto esserci occasione migliore. Caroline doveva coglierla. — A dirvi la verità, ci sono state diverse questioni a darmi preoccupazione in questi ultimi tempi — cominciò un po' imbarazzata. — Mi scuso se avete pensato che fossi distratta, poco fa, non ascoltandovi. Non avevo nessun desiderio di essere così... scortese. — Oh, per niente — e la signora Marchand si affrettò a negarlo. — Posso esservi di aiuto, anche soltanto per ascoltarvi? A volte condividere con qualcuno una difficoltà la fa sembrare un po' meno pesante. Caroline osservò quel bel volto grave, e vi lesse soltanto la bontà e la gentilezza. La faccenda stava diventando ancora peggio di quanto non si aspettasse. La signora Marchand era così vulnerabile! E lei, forse, si stava sbagliando di grosso. Forse le osservazioni di Lewis su Ofelia, l'espressio-
ne che aveva colto nei suoi occhi erano state soltanto frutto della sua fantasia, resa ancor più sbrigliata dalla storia della signora Ellison e da quanto le aveva raccontato Pitt. E se invece fosse stato il contrario? Se Lewis avesse avuto in suo possesso le fotografie di Cathcart, e non una sola ma parecchie, tutte immagini che potevano corrompere i suoi sogni e provocare molti dispiaceri per il futuro — a lui, e a qualche giovane ragazza ignara e innocente come era stata Mariah Ellison mezzo secolo prima? — Mio genero è funzionario di polizia, come sapete... E in questo momento sta lavorando su una questione che riguarda un club fotografico... — Che eufemismo ridicolo! Deglutì a fatica e si decise a buttarsi a capofitto. — Da qualcosa che Lewis ha detto quando ero qui l'altro giorno, credo che possa essere incappato casualmente in determinate informazioni che potrebbero essere di aiuto. Posso avere il vostro permesso per parlare con lui? — Lewis? — La signora Marchand rimase incredula. — E come mai sarebbe possibile? Ha soltanto sedici anni! Se avesse visto qualcosa... di male, o di brutto... lo avrebbe detto a me, oppure a suo padre. — Magari non ha capito che era qualcosa di male — si affrettò a ribattere Caroline. — Si tratta puramente di un'informazione. Non sono neanche sicura se non sto sbagliando io stessa. Ma se invece ho ragione, potrebbe riuscire infinitamente utile alla giustizia sentirmelo confermare da lui. Per favore, posso parlargli... in via riservata, se è possibile? — La signora Marchand sembrava incerta. Caroline fu lì lì per insistere, poi cambiò idea. Mostrarsi troppo ostinata avrebbe potuto suscitare qualche sospetto. Aspettò. — Ecco... sì, certo — disse la signora Marchand battendo rapidamente le palpebre. — Sono sicura che a mio marito farebbe piacere se Lewis potesse essere di aiuto. Un club fotografico? Non sapevo che s'interessasse di fotografia. — Non lo so neanch'io — ribatté prontamente Caroline. — Il fatto è che penso che lui possa aver visto una particolare fotografia, e possa dirmi dove l'ha vista. A questo modo potrei riferirlo a Thomas senza accennare alla fonte delle mie informazioni. — Oh. Capisco. — La signora Marchand si alzò. — Ecco, è di sopra con il suo istitutore. Sono sicura che potremo interromperli per qualcosa di tanto importante. — Suonò il campanello e alla cameriera, quando si presentò, diede ordine di andare a chiamare Lewis. Lui arrivò nel giro di pochi minuti, felicissimo di essere stato interrotto perché stava ripassando qualcuno dei più astrusi fra i verbi irregolari latini.
Seguì volonterosamente Caroline in biblioteca e si dispose ad ascoltarla con interesse. Qualsiasi cosa lei avesse da dire, per quanto noiosa o pedestre fosse, sarebbe senz'altro stata meglio delle bizzarrie del passato remoto di parole che mai, in vita sua, avrebbe avuto motivo di usare. — Sì, signora Fielding? — disse cortesemente. — Siediti, Lewis, per favore — rispose lei, accomodandosi a sua volta nella poltrona di cuoio un po' consunto davanti al camino. — È cortese da parte tua dedicarmi un po' del tuo tempo e non ti avrei interrotto se non si trattasse di una questione di grande importanza. — Certamente, signora Fielding. — Venne a sedersi di fronte a lei. — Se posso essere utile in qualche modo. Caroline rimpianse di non aver avuto anche dei figli maschi oltre alle femmine. Non aveva nessuna familiarità con i ragazzi di sedici anni. Anche i suoi fratelli erano stati molto più grandi di lei, e la loro adolescenza le era sempre sembrata un mistero impenetrabile. Ma adesso non era più possibile battere in ritirata, altrimenti avrebbe fallito in pieno nel suo intento. Né era possibile mandare Pitt a svolgere il compito che si proponeva anche se sarebbe sicuramente stato all'altezza della situazione, se non addirittura migliore di lei! Purtroppo non era stato Thomas ad ascoltare le osservazioni di Lewis su Ofelia, né aveva visto l'espressione dei suoi occhi. Ma non aveva nessun desiderio di umiliarlo e, in fondo, non era neanche necessario. Però fissando quel suo viso giovanile, serio, cortese, non molto interessato, dalle guance lisce e l'espressione innocente, si accorse di non avere preparato parole delicate, e allusioni sottili, per affrontare un discorso scabroso. — Lewis, non ho raccontato a tua madre l'intera verità; potrai farlo tu, se vuoi. La questione sulla quale mio genero sta indagando è veramente molto grave... si tratta di un omicidio. — Davvero? — Non sembrò né sconvolto né allarmato. Nei suoi occhi azzurri apparve un lampo d'interesse. Si mise seduto un po' più dritto, e anche la sua voce si fece più alta. — In che modo posso essere d'aiuto, signora Fielding? Lei provò un vago senso di colpa per quanto stava per fare. — Qualche giorno fa, quando ero qui da voi e stavamo parlando, tu hai fatto un'osservazione che adesso mi induce a credere che tu possa sapere qualcosa di utile — disse. Lui fece segno di sì con la testa per indicarle che stava ascoltando. — In modo che tu possa essere di aiuto — continuò Caroline — è necessario che ti racconti qualcosa su questo crimine... qualcosa di cui nessuno è
al corrente all'infuori della polizia e della persona che ha commesso il delitto... e ne sono al corrente anch'io, perché la polizia me ne ha parlato. È qualcosa di riservato, lo capisci? Lui assentì con ancora maggior entusiasmo. — Sì, sì, certo che lo capisco. Non lo racconterò a nessuno, ve lo giuro. — Grazie. Purtroppo è una cosa molto penosa... — Per carità! — la rassicurò lui, respirando a fondo e mettendosi un poco più impettito al suo posto. — Non preoccupatevene, prego. Caroline avrebbe voluto sorridere ma ebbe paura che quel sorriso venisse frainteso. Lewis era così giovane, e ignaro. — L'uomo assassinato è stato colpito alla testa — cominciò solennemente, guardandolo in faccia. — Poi è stato rivestito con un abito di velluto verde... un abito femminile... e infine è stato disteso in una barca a fondo piatto con caviglie e polsi incatenati alle fiancate. — La pelle di Lewis aveva perduto ogni colore, lasciandolo livido. Il suo respiro si era fatto affannoso. — E su di lui sono stati sparpagliati dei fiori — concluse Caroline. — Aveva le ginocchia un po' rialzate, in un atteggiamento che sembrasse una parodia del piacere. — Non c'era bisogno di proseguire. Era chiaro, penosamente chiaro, dalle sue guance che adesso erano diventate di fiamma e dall'infelicità dei suoi occhi, che Lewis aveva visto quell'immagine e, anzi, gli era rimasta impressa in modo indelebile nella memoria. — Dove hai visto tutto questo, Lewis? — gli domandò piano. — Mi occorre saperlo. Sono sicura che ti renderai conto che l'assassino l'ha visto anche lui, e non si tratta di un genere di illustrazione facile da trovare in giro. Lui deglutì a fatica, come se avesse uno spasmo alla gola. — Penso che tu lo sappia — continuò Caroline. — Si tratta di una posa studiata accuratamente. Non è che le donne si comportino realmente così, è una finzione, per chi ricava piacere facendo soffrire gli altri... — Lo vide trasalire ma non s'interruppe. — Ci sono persone che hanno desideri morbosi, che non riescono a godere e a provare soddisfazione allo stesso modo della maggioranza di noi e, allora, fanno cose di questo genere, cose crudeli e terribili... e a loro non importa in che modo torturano gli altri. Dove hai visto questa illustrazione, Lewis? Lui fece per scrollare la testa. Aveva difficoltà a controllare la propria voce e soprattutto non voleva umiliarsi, piangendo di fronte a una donna che conosceva soltanto superficialmente. Si sentiva braccato, con le spalle al muro. Senza via di scampo.
— Non te lo chiederei se non ci fosse una relazione con l'omicidio, Lewis — riprese lei dolcemente. — L'uomo che ha scattato la fotografia è quello che è morto. Puoi capire perché sia così importante sapere chi sono tutti quelli che l'hanno vista. Lui aveva il fiato mozzo. — S-sì. Io... io l'ho comprata in un negozio. Posso dirvi dove... volete? — Sì, prego. — In Half Moon Street, a poca distanza da Piccadilly, più o meno a metà della via. È un negozio che vende libri, tabacchi, e cose del genere. Non ne ricordo il nome. Lei fu lì lì per domandargli anche come fosse venuto a sapere dell'esistenza di quel negozio. Cartoline del genere non dovevano certo essere esposte in vetrina. Ma ebbe paura che, a insistere troppo, Lewis non volesse più collaborare. — Va bene così — preferì rispondere. — Sono sicura che lo troveranno. Lui adesso teneva gli occhi bassi. Caroline ebbe la sensazione che volesse dire ancora qualcosa. E pensò che, per lei, quasi più importante delle notizie da trovare, e riferire a Pitt, fosse entrare ancor più in confidenza con il ragazzo e convincerlo che le fotografie che aveva visto rappresentavano un'aberrazione e non quello che le persone normali pensavano o provavano. Lewis aveva visto l'immagine di Ofelia, ma lei non sapeva quali o quante altre di quelle cartoline potesse aver avuto sotto gli occhi. Come riuscire a farlo senza tradire la fiducia che lui aveva nei genitori, di idee talmente rigide da costringerlo a usare un mezzo del genere per venire a sapere quel poco che doveva sapere sulle donne e i rapporti sessuali? — Immagino che avessero anche altre fotografie — gli domandò. Lewis evitò di guardarla negli occhi. — Sì. — Erano più o meno simili... di donne? — Ecco... più o meno. — Adesso aveva le guance in fiamme. — In qualcuna... c'erano uomini... che facevano... — Non riuscì a dirlo. Lei lasciò correre, per non mettere in imbarazzo tutti e due. — Preferiresti vedere qualcosa di un po' più... delicato? — gli chiese. — Qualcosa di più simile a quel tipo di donna che un giorno anche a te piacerebbe conoscere? Lui sgranò gli occhi e la fissò, letteralmente sgomento. — Volete... volete parlare di donne... donne perbene? — Diventò ancora più rosso in faccia e la sua voce si spense in un balbettio confuso. — Veramente, no — rispose Caroline, cercando di non sentirsi imbaraz-
zata neanche lei. —Voglio dire... non lo so bene... Certo che le donne oneste non si fanno fotografare a quel modo. Ma tutti noi abbiamo bisogno di sapere certe cose sugli uomini e le donne. Le immagini che tu hai visto... sono molto brutte e hanno a che vedere più con l'odio che con l'amore. A me pare che tu abbia bisogno di cominciare dal principio, non dalla fine. — I miei genitori non lo permetterebbero mai! Mio padre odia... — deglutì a fatica — ...la pornografia. Ha passato la vita intera a combatterla. — Se mi permetti di accennare a queste fotografie, credo di riuscire a persuaderli. — No! — La voce di Lewis era diventata stridula per la disperazione. — No, vi prego! Avevate promesso che non avreste parlato! — E non lo farò — rispose subito Caroline. — A meno che tu non me ne dia il permesso. Ma non pensi che, alla lunga, sarebbe meglio? Un giorno tuo padre dovrà pur parlarti di certe cose. Non sei pronto perché questo succeda presto? — Be'...io... — Le sai già — concluse Caroline, e poi si pentì di quello che aveva detto. Poi fissando la sua faccia tormentata, ebbe la sicurezza che non sapesse niente. Lewis era confuso, terribilmente imbarazzato dalla sua ignoranza e dalla sua curiosità, e così vergognoso da essere diventato rosso fino alle orecchie. — Secondo me, sei tu stesso che dovresti parlarne con tuo padre — disse con dolcezza. — Quello che tu provi è comune a tutti noi. E lui capirà benissimo. — Si augurò con tutto il cuore che fosse vero. Ma adesso si sentiva molto meno sicura di Ralph Marchand di quanto non lo fosse stata anche soltanto un'ora prima. Si alzò in piedi e lasciò la stanza senza aggiungere altro. Aveva affrontato nel miglior modo possibile la questione delle fotografie. Avrebbe mandato l'indirizzo del negoziante a Bow Street a Pitt, poi sarebbe andata ad affrontare di nuovo la signora Ellison perché quella situazione non poteva andare avanti così all'infinito. Era una limpida e fresca giornata autunnale, con le strade inondate da un sole un po' nebbioso, e il traffico vi scorreva veloce. Guardandosi intorno poteva vedere persone a dozzine che si godevano il puro e semplice piacere di passeggiare. Lei stessa non si sentiva ancora pronta a cercare una carrozza. Forse se lo poteva spiegare sia con il bel tempo sia perché vedeva con terrore l'idea di tornare a casa. La situazione non poteva continuare così, un giorno dopo l'altro. Nel giro di una settimana Emily sarebbe tornata e quindi andava affrontata e risolta prima. E questo faceva nascere un altro
problema, che aveva evitato fino a quel momento. Cosa dire a Emily, o a Charlotte? Impossibile tacere con Emily. Doveva pur fornirle qualche spiegazione per il cambiamento avvenuto nella vecchia signora. E qualsiasi cosa decidesse di raccontare a Emily, avrebbe dovuto essere raccontato anche a Charlotte. L'onestà era l'unica cosa che avesse importanza, vero? Rimpianse di non avere qualcuno con cui parlare, qualcuno a cui domandare consiglio, ma senza scaricare sulle sue spalle un fardello che sarebbe stato ingiusto chiedere a chiunque di portare. Era impensabile pretenderlo da Joshua, soprattutto adesso, quando si era ancora alle prime rappresentazioni di una nuova commedia. Non poteva chiederlo nemmeno a Charlotte; e sicuramente neanche a Pitt. In fondo, non era un problema che ci tenesse a discutere proprio con un uomo... figurarsi poi con un uomo di una generazione più giovane della sua e con il quale era legata da stretti rapporti familiari! Lanciato a gran carriera passò sulla strada un tiro a quattro di una splendida carrozza che portava uno stemma sugli sportelli, un cocchiere in livrea a cassetta e un valletto seduto dietro. Era un piacere guardarla. Lady Vespasia Cumming-Gould, ecco la risposta. Certo, poteva anche non essere in casa oppure non aver voglia di riceverla. Avrebbe potuto considerare impertinente una sua visita, un atto di familiarità non autorizzato dalla loro conoscenza che era molto superficiale. D'altra parte, però, forse non si sarebbe rifiutata di aiutare Caroline come aveva già aiutato Charlotte molte volte. Chiamò con un cenno la prima vettura di piazza di passaggio, e diede al conducente l'indirizzo di Vespasia. Quell'ora del pomeriggio era più che accettabile per una visita. Vespasia la ricevette con interesse e piacere, e non perse tempo a fingere che, la sua, fosse unicamente la solita visita di cortesia. — Sono sicura che non siete venuta a parlare di cose mondane, e neanche del tempo. È evidente che qualcosa vi preoccupa — disse quando si ritrovarono sedute a quattr'occhi nel suo salotto luminoso, ammobiliato elegantemente, con le finestre che davano sul giardino. — Spero che non sia successo qualcosa di brutto a Charlotte. — No, tutt'altro — le assicurò Caroline. — Credo che si stia divertendo enormemente. Vespasia sorrise. La luce rendeva argentei i suoi capelli e dava calore al suo viso, che era molto bello malgrado l'età. — In tal caso farete meglio a raccontarmi di che si tratta. Ho dato istruzioni alla mia cameriera di ri-
spondere, se venisse qualche visita, che non sono in casa per nessuno. Ma non mi diverto a giocare con le parole. Ho raggiunto un'età in cui la vita sembra fin troppo corta; e non voglio sprecarne inutilmente neanche un attimo... a meno che non si tratti di qualcosa di divertente. E a giudicare dalla vostra faccia, questo non lo è. — No, purtroppo. Ma apprezzerei molto il vostro consiglio — ammise Caroline. — Non sono sicura di quale sia la scelta migliore per quello che dovrei fare. Vespasia la fissò con attenzione. — Cosa avete fatto finora? Nel modo più conciso possibile, Caroline le descrisse il suo incontro con Samuel Ellison a teatro, le sue visite in casa e la crescente tensione della signora Ellison. Vespasia ascoltò senza interromperla fino a quando Caroline raggiunse il punto in cui, recuperata la lettera, aveva affrontato la signora Ellison esigendo di sapere la verità. E qui trovò inaspettatamente difficile ripetere l'oscenità dei fatti che la vecchia signora, alla fine, si era decisa a confidarle. — Penso che sarà meglio dirmelo — osservò con voce quieta. — Suppongo che sia estremamente sgradevole altrimenti vostra suocera non avrebbe certo deciso di ricorrere a simili misure per continuare a tenerlo nascosto. Caroline chinò gli occhi sulle proprie mani che teneva intrecciate in grembo. — Non sapevo che le persone si comportassero in modi simili. Ho sempre avuto antipatia per mia suocera. Non l'ho mai ammesso prima, ma è la verità. È una donna amareggiata e crudele. Durante tutta la mia vita coniugale l'ho vista cercare sempre il modo di ferire o offendere le persone. Adesso mi scopro ad avere pietà di lei... e a essere arrabbiata con me stessa perché non riesco a trovare alcun modo di essere d'aiuto. Sta morendo, consumata dalla collera e dalla umiliazione e io non so come trovare il contatto con lei. Non mi permette di farlo, e questo è un ostacolo che non riesco a superare. Vespasia rimase in silenzio tanto a lungo che Caroline cominciò a convincersi che non avesse nessuna intenzione di risponderle. — Mia cara — disse infine Vespasia — ferite come quelle a cui alludete si possono guarire, a volte, se ci si riesce abbastanza presto. Un uomo dolce e gentile, un uomo pieno di tenerezza avrebbe potuto insegnarle cose ben diverse, e lei avrebbe imparato cosa può essere l'amore. Credo che per vostra suocera sia molto, troppo tardi. Ha odiato se stessa talmente a lungo che non trova il modo di tornare indietro. — Caroline si sentì agghiacciare, si accorse di avere le mani irrigidite. Non era quello che voleva sentirsi dire. — Non ha
senso rimproverare voi stessa se non siete capace di rendere più lieve il suo dolore — continuò intanto Vespasia. — Non è colpa vostra. Il massimo che potete fare per lei è trattarla con qualche forma di rispetto e non permettere a questa cosa nuova che sapete sul suo conto di distruggere quella poca dignità che ancora le rimane. — Non è, poi, moltissimo! — obiettò Caroline stizzita. — Assomiglia molto a una specie d'istinto di conservazione. — Mia cara — disse Vespasia con gentilezza — ho scoperto che quando succede qualcosa di veramente terribile, e deve essere affrontato, la cosa più saggia è considerare la questione nei termini il più pratici possibile. Concentrate la vostra attenzione sul dolore al quale sapete di poter arrivare, soppesate con molta cura quelli che possono essere i risultati più probabili delle vostre azioni, e se sono quelli che desiderate. E lasciate che il resto si risolva da solo. Caroline sapeva fino a che punto Vespasia avesse ragione eppure non riuscì a trattenere un'ultima protesta. — Tutto qui? Davvero? Mi sento così... dovrebbe esserci... Vespasia scrollò lievemente la testa. — Non potete guarirla però potete concederle tempo e spazio perché lei guarisca se stessa... almeno un po'... se vuole. Dopo tutti questi anni di rancore ci vorrebbe un miracolo... Ma di tanto in tanto qualche miracolo succede. — Non sembra un granché — osservò Caroline riluttante. Vespasia si mosse appena, e la luce ebbe un guizzo argenteo sui suoi capelli. — Il danno provocato da quel genere di violenza è molto, molto profondo. La parte fisica, la parte materiale, al confronto non è niente. È la ferita alla fede, a ciò che una persona crede di se stessa, che può essere irrevocabile. Se tu non ami te stesso e non ti credi degno di amore, ecco che amare chiunque altro diventa impossibile. Caroline rifletté per qualche minuto su tutto questo. Pensò anche a Pitt, alle fotografie di Cecily Antrim e alla faccia di un adolescente come Lewis Marchand. Con parole concise, asciutte, raccontò a Vespasia anche quello. Quando ebbe finito, Vespasia stava sorridendo. — Dev'essere stato molto difficile per voi — disse in tono pieno di approvazione. — Vi prego, non incolpatevi di ciò che non potete cambiare. Esiste un limite a tutto quanto ciascuno di noi può fare, e a volte ci attribuiamo la colpa per cose sulle quali non abbiamo il potere di influire. Possiamo pregare, supplicare, discutere, e dovremmo farlo, ma in conclusione l'unica persona che si può cambiare, ...siamo noi stessi. Per favore, accontentatevi di questo. Non ri-
ceverete nient'altro in cambio, ve lo assicuro. E non dovreste ricevere nient'altro. È sufficiente. — Ma... e quelle cartoline? — domandò Caroline. — Parliamo con grande libertà di non censurare l'arte. Ma chi lo dice non pensa al danno che può fare. Se quella gente avesse visto la faccia di Lewis, il giovane Marchand, non avrebbe pensato che la loro libertà potesse valere tanto. Loro non sono persone con figli... loro... — Tacque di colpo, rendendosi conto di quanto fosse sbagliato ciò che diceva. — Sì, lo sono... perlomeno Cecily Antrim lo è. — Corrugò la fronte. — E io sono antiquata, repressa, arretrata nel mio modo di pensare? Lei direbbe che sono noiosa e sto diventando vecchia! — Io invece non sto diventando vecchia, lo sono già — replicò Vespasia energicamente. — Abbiate un poco più di fede nella vita, mia cara. E per quel che riguarda il fatto di essere noiosa, la gentilezza e l'onestà non lo sono mai. Invece lo sono sempre la crudeltà, l'ipocrisia e l'arroganza... lo sono in modo esasperante. Uno sciocco può non essere interessante ma se è generoso e s'interessa a voi, scoprirete di trovarlo simpatico per quanto limitate siano le sue facoltà mentali. — Per quale motivo Cecily Antrim dovrebbe posare per simili fotografie? — Caroline stava seguendo il filo del proprio ragionamento. — Quando lo scoprirà, Joshua ne rimarrà talmente afflitto... penso... — Poi, di colpo, si scoprì terrorizzata al pensiero che potesse succedere il contrario e piuttosto fosse lei stessa che Joshua poteva giudicare fuori strada, piena di critiche, imprigionata in concetti antiquati. Vespasia la stava fissando con grande attenzione. I suoi occhi avevano una luce grigio-argentea nella luminosità di quel salotto dalle linee così pulite, così semplice nell'arredamento. Il sole splendeva sull'erba, al di là delle finestre, gli alberi erano immobili contro il cielo azzurro. Caroline ebbe la sensazione che tutti i suoi pensieri e i suoi timori fossero trasparenti, messi a nudo. — A me pare che siate un pochino ingiusta nei suoi confronti — le disse con franchezza. — Certo, lui rimarrà addolorato, e vorrà giudicarla più gentilmente di quanto potrebbe risultare possibile. La delusione ferisce molto a fondo. Lui avrà bisogno che siate molto sicura di voi stessa. — Si protese appena appena verso Caroline. Una mossa quasi impercettibile ma che le diede un'impressione d'intimità. — Siete più vecchia di lui, e questo vi inquieta. — Era un'affermazione, non una domanda. — Mia cara, lo siete sempre stata. E lui vi ha scelto per quello che siete. Non rovinate tutto cercando di essere qualcun altro. Se in questa disgraziata
faccenda dovesse perdere un'amica che ha ammirato, avrà bisogno che voi siate forte e sappiate rimanere onesta per combattere per i valori che rappresentate per lui. — L'ombra di un sorriso le incurvò le labbra. — Verrà il giorno in cui potrete rovesciare i ruoli e consentirgli di essere più forte, o più saggio, o l'una e l'altra cosa! Basta che questo venga fatto con accortezza. Mettete da parte i vostri dubbi per un po'. E non arrabbiatevi mai. È sconveniente, in un modo che non immaginate neanche! A dispetto di se stessa, Caroline si mise a ridere. Anche Vespasia rise. — Vi presto carta e penna? Così potrete mandare un messaggio a Thomas per dargli l'indirizzo di quel negoziante. Lo farò consegnare a Bow Street dal mio cocchiere. Confesso di trovare estremamente irritante che Charlotte se ne sia andata a Parigi. Non ho la minima idea di cosa stia facendo Thomas, e mi annoio da morire! Sono diventata letteralmente dipendente dalla vita e dalle vicende della polizia, e trovo la buona società infinitamente noiosa. È ridotta, in pratica, a una nuova generazione di persone che fanno né più né meno quello che facevamo noi, e sono convinti di essere i primi ad averci pensato. Ma come credono di essere venuti al mondo, perbacco? Caroline si ritrovò a ridere fino alle lacrime. Tutto d'un tratto si sentì di nuovo piena di energia e di vitalità e incredibilmente affamata. Come avrebbe gradito un bel tè... con i pasticcini! Mentre Caroline si tormentava per Mariah Ellison e tentava inutilmente di trovare il modo di consolarla, Pitt, seduto al tavolo della cucina, a casa sua, stava leggendo l'ultima lettera di Charlotte ed era talmente assorto da lasciar raffreddare il suo tè. Carissimo Thomas, mi sto godendo i miei ultimi giorni qui in un modo assolutamente unico. È stata una vacanza meravigliosa e sicuramente nel preciso momento in cui partirò, farò il possibile per imprimermi tutto nella memoria nel modo migliore. Ecco perché mi sono messa a osservare ogni cosa con un'attenzione speciale... e così guardo il modo in cui la luce batte sull'acqua del fiume e il sole sulle antiche pietre... Ci sono palazzi di una tale bellezza da lasciare quasi sgomenti, e di quanta storia sono impregnati! Mi domando se gli stranieri che vengono nella nostra città vedono anche loro le grandi ombre del passato: Carlo I che va alla
morte calmo e sereno dopo anni di guerra civile, la regina Elisabetta che si presenta a incoraggiare le truppe davanti all'Armada, Anna Bolena... Perché si tratta sempre di esecuzioni capitali? Sommosse, spargimento di sangue e morti gloriose... Immagino che si tratti sempre dell'estremo sacrificio, vero? A proposito, parlando di estremo sacrificio, be', non proprio estremo suppongo... ma comunque... un giovane diplomatico francese, Henri Bonnard, così si chiama, ha appena fatto un notevole sacrificio per amor di un amico. C'è tutto sui giornali, così dice Madame. A quanto pare, lavora all'ambasciata a Londra ed è tornato a Parigi per testimoniare al processo di cui ti parlavo... quello dell'uomo che diceva di non aver ucciso la ragazza perché in quelle ore si trovava in un nightclub? Be', è proprio vero... era al Moulin Rouge! E il diplomatico si trovava con lui... e ci è rimasto per tutta la sera. Sembra che tutto sia cominciato nel modo più rispettabile, e poi si siano trattenuti anche quando la più famosa di quelle ballerine che hanno tutte una pessima fama, La Goulue, si è messa a ballare il cancan... senza niente di sotto, come al solito... e poi hanno continuato per tutta la nottata ad andare in cerca di altri divertimenti sempre più sconvenienti. Ma... insieme! E questo l'ha dichiarato sotto giuramento... con molta riluttanza, potrei aggiungere. Il suo ambasciatore non ne sarà per niente soddisfatto. E oggi tutta Parigi ride di questa storia. Il povero monsieur Bonnard ha pagato un prezzo molto alto per salvare un amico. Spero che non perda il posto. Stasera andiamo all'opera. Dovrebbe essere divertentissimo. Tutti saranno vestiti all'ultima moda. Proprio come a Londra, con la miglior parata di prostitute d'alto bordo in cerca di clienti, solo che naturalmente si presume che io non debba saperlo! Tutte cose meravigliose da osservare, a cui assistere... ma il meglio di tutto è sapere che fra pochi giorni sarò di nuovo a casa e con tutti voi. Suppongo che tu non abbia notizie da parte di Gracie, vero? Mi pare che non sia ancora abbastanza sicura della sua calligrafia e naturalmente Daniel e Jemina non ci pensano neanche, a scrivere! Spero che costruiscano castelli di sabbia, trovino granchi e pesciolini nelle cavità degli scogli pieni d'acqua, mangino dolciumi, finiscano a mollo, si coprano di sporcizia e si divertano in modo
indimenticabile. Immagino che tu stia lavorando sodo. Il caso che descrivi sembra macabro. Chissà che tragedia dev'esserci dietro. E la casa? È terribilmente silenziosa senza di noi? Oppure meravigliosamente quieta? Mi fido di te e spero che non dimenticherai i micini, Archie e Angus, vero? Ma non penso che te lo permetterebbero. Ti manchi e sarò felice di essere presto a casa. Sempre tua Charlotte Thomas la rilesse con cura, non perché gli fosse sfuggito niente di quel che gli raccontava ma perché gli dava la sensazione di averla più vicina. Non solo, ma gli risolveva anche, finalmente, il problema di cosa era successo a Henri Bonnard. Si scoprì a sorriderne. Era abbastanza piacevole, fra tante altre miserie, pensare che se la fosse squagliata per il più generoso dei motivi. Era stato per quello che aveva litigato con Orlando Antrim? Forse Orlando aveva tentato di persuaderlo a partire? C'era da pensare che, alla fine, avesse acconsentito. Pitt finì il tè che ancora rimaneva nella tazza, facendo una smorfia perché era gelido, mentre a lui il tè piaceva il più bollente possibile, e si alzò dimenticandosi di avere Archie sulle ginocchia. E Archie gli si attorcigliò intorno alle gambe, facendo le fusa, e lasciandogli un mucchio di peli bianchi e rossicci sui pantaloni. A Pitt non rimaneva alternativa se non quella di mettere Cecily Antrim di fronte alle fotografie. Avrebbe preferito evitarlo e conservarsi le illusioni che si era fatto su di lei, continuando a sperare che potesse fornire una spiegazione tale da rendere comprensibile l'accaduto e soprattutto da potersi scagionare di ogni colpa. Era stata ricattata e costretta a posare per quelle fotografie per salvare una persona... o qualsiasi altra cosa purché non dicesse che ci si era prestata volontariamente. Non che pensare tutto questo richiedesse un particolare sforzo di fantasia, ma non poteva immaginare facilmente Cecily Antrim come la vittima di qualcuno. Era troppo vibrante, troppo coraggiosa, troppo disposta a seguire ciò in cui credeva anche fino all'annientamento di se stessa. La trovò nelle prime ore del pomeriggio a teatro durante le prove dell'Amleto. Con lui c'era Tellman, che si era trascinato dietro riluttante. Co-
me la volta precedente ottennero il permesso di entrare, ma concesso solo di malavoglia dal portiere, e furono costretti ad aspettare fra le quinte che si presentasse il momento opportuno per parlare con la persona che volevano vedere, cioè quando questa non fosse stata necessaria alla rappresentazione. Quel giorno stavano facendo le prove del quinto atto, nel cimitero. Due uomini, mentre scavavano una tomba, parlavano del suicida che vi sarebbe stato sepolto benché quella fosse terra consacrata. Dopo aver scherzato un po', uno dei becchini si allontanò lasciando da solo l'altro, che si era messo a cantare tra sé. Entrarono Amleto e Orazio, stavolta in costume. Non mancava molto alla prima dello spettacolo e Pitt si accorse subito di come la loro interpretazione fosse molto più elaborata e sicura. — "Ahimè, povero Yorick!... Io lo conobbi, Orazio; un uomo di un'arguzia infinita, di una fantasia senza pari..." Tellman ascoltava sgranando gli occhi. Si era dimenticato completamente della presenza di Pitt. Fissava il teschio di gesso che Orlando Antrim teneva in mano e apprezzava profondamente la lotta fra i diversi sentimenti che lo dilaniavano. — "E adesso affacciati allo specchio della mia bella" — disse Orlando, con voce che fremeva d'ironia, resa aspra dal dolore — "...e devi dirle, dille che si dipinga quanto vuole, a questa apparenza dovrà venire: che ne rida, se può... ti prego, Orazio, dimmi." — "Cosa, monsignore?" — domandò l'altro attore. — "A quali bassi usi può capitarci di tornare, Orazio! La nostra fantasia non può seguire le tracce della nobile polvere di Alessandro, fino a ritrovarla usata per tappare un fusto di birra? Cesare imperator, fatto cemento." — Orlando pronunciò queste parole piano, dolcemente, come se fossero colme di secoli di stupore e di musica, come se gli avessero intessuto un'atmosfera di magia. — "...Ottura un buco per parare il vento; o dell'argilla a cui il mondo si prosterna, si farà un muro contro il freddo inverno! Ma silenzio, silenzio! Ripariamoci: sta venendo il re." E dalle quinte avanzò una processione lenta e triste, adorna di vesti severe e sontuose. Sacerdoti, il feretro di Ofelia seguito dal fratello di lei, poi il re, e Cecily Antrim, bellissima, che interpretava Gertrude. Era incredibile il modo in cui riusciva ad attirare l'attenzione di tutti anche se non era lei la protagonista della scena. Il suo volto irradiava una luce, da lei si diffondeva una tale carica emotiva, che non era possibile ignorarla. Lo svolgimento del dramma continuò, e né Pitt né Tellman si mossero
fino alla fine. Poi Pitt si fece avanti e attraversò, solo, il palcoscenico per accostarsi a Cecily Antrim. — Chiedo scusa se v'interrompo ma c'è una questione di cui devo parlare, e che non può aspettare. — Per amor di Dio, signore! — sbottò Bellmaine indignato, e la sua voce era resa aspra dalla tensione. — Ma non avete un cuore, e neanche un briciolo di sensibilità? Andiamo in scena fra due giorni! Qualsiasi cosa vogliate, può aspettare! Pitt non si tirò indietro, e rimase immobile. — No, signor Bellmaine, non può aspettare. Non porterà via molto tempo alla signorina Antrim ma ne richiederà ancora meno se voi mi permetterete di cominciare subito invece di mettervi a discutere. Bellmaine si abbandonò a un profluvio d'imprecazioni tanto varie quanto colorite, ma agitò anche le braccia come se volesse congedare tutti, lasciando capire che dovevano ritirarsi in direzione dei camerini. Quello di Cecily Antrim era pieno di portabiti a cui stavano appesi costumi di velluto e di raso ricamato. Una seconda parrucca era posata sul suo sostegno su un lungo tavolo sotto lo specchio in mezzo a un'accozzaglia di barattoli, scodellini, pennelli, ciprie e rossetti. — E allora? — domandò lei con un sorriso ironico. — Si può sapere cosa c'è di tanto urgente da costringervi addirittura a sfidare Anton Bellmaine? Sono divorata dalla curiosità. Ma vi assicuro che continuo a ignorare chi abbia ucciso il povero Delbert Cathcart, o perché. — Non lo so neanch'io, signorina Antrim — rispose lui, cacciandosi energicamente le mani nelle tasche della giacca. — Ma so che chiunque sia stato, ha visto una determinata fotografia vostra che non è accessibile alla maggior parte della gente, e che, per lui, aveva la massima importanza. Lei non nascose di essere incuriosita, ma il sorriso che le aleggiava sulle labbra era troppo divertito perché Pitt potesse credere che avesse anche solo una vaga idea di quello che lui stava per mostrarle. — Ne esistono a ventine, di mie fotografie, sovrintendente. La mia carriera è più lunga di quel che mi piaccia confessare. Non saprei neanche da dove cominciare per dirvi chi ha potuto vedere l'una o l'altra di esse. A Pitt garbava poco quello che adesso gli toccava fare. Tirò fuori la cartolina che raffigurava quella specie di parodia del celebre ritratto di Ofelia e gliela mise davanti agli occhi. Lei la guardò stupefatta. — Buon Dio! E dove ve la siete procurata? — Lo fissò attentamente. — Avete tutte le ragioni... è proprio una delle fotografie di Delbert. Ma non verrete a dirmi che è stato ucciso per questa. Che
assurdità. Probabilmente si possono comprare a mezze dozzine in certi negozietti di qualche strada secondaria. E me lo auguro vivamente. Se non è così, avrei sopportato scomodità e disagi per niente. Quel velluto bagnato era ripugnante, una volta incollato alla pelle, e infinitamente gelido. — Pitt rimase sbalordito. Per un momento non seppe cosa rispondere. — Ma ottiene un certo effetto, non trovate? — Sì, fa effetto. — Ripeté quelle parole come se appartenessero a una lingua sconosciuta. Intanto fissava il bel viso di lei, pieno di animazione, con la bocca delicata, e la stupenda struttura ossea. — Sì, signorina Antrim, non ho mai visto un'immagine più efficace di questa. A lei non sfuggì la commozione che vibrava nella sua voce. — Voi disapprovate, sovrintendente. Serve ugualmente. Perlomeno, ve la ricorderete; e può darsi che vi faccia riflettere. L'immagine che non ha nessun potere di turbare probabilmente non ha neanche nessun potere di cambiare. — Cambiare? — lui domandò con la voce un po' rauca. — Cambiare cosa, signorina Antrim? Lei lo guardò con fermezza. — Cambiare il modo in cui la gente pensa, sovrintendente. Cos'altro vale la pena che venga cambiato? — La sua espressione si fece disgustata. — Se il lord Ciambellano non avesse fatto togliere dal cartellone, e sospendere le recite della commedia che siete venuto a vedere anche voi, forse Freddie Warriner non si sarebbe perduto di coraggio e avremmo potuto far passare una proposta di legge per rendere più egalitarie le leggi relative al divorzio. Se si può cambiare l'idea, si può cambiare il mondo — concluse a bassa voce. Pitt si cacciò più a fondo le mani nelle tasche, strette con forza a pugno. — E qual era il pensiero che intendevate cambiare con questa fotografia, signorina Antrim? Lei sembrò vagamente divertita. A Pitt non sfuggì il lampo che le era apparso negli occhi. — Il concetto che le donne si accontentino di un ruolo passivo in amore. Siamo prigioniere delle idee che gli altri hanno su chi noi siamo e su cosa proviamo, su quello che ci rende felici... oppure che ci ferisce e ci fa male. E noi permettiamo che questo avvenga. Dio solo sa se non è già abbastanza brutto ritrovarci prigioniere dei nostri stessi convincimenti; ma essere prigioniere di quelli altrui, è mostruoso. — Parlando, si era tutta illuminata in faccia. Da lei irradiava una specie di bellezza luminosa come se fosse in grado di vedere, ben oltre l'immagine materialmente sconvolgente di quella cartolina, la libertà dello spirito che andava cercando, non tanto per se stessa quanto per le altre donne. Era una crociata soli-
taria, ma lei ci era preparata e aveva abbastanza coraggio per affrontarla. — Non capite? — insistette di fronte al silenzio di lui. — Nessuno ha il diritto di decidere cosa le altre persone vogliono o provano! Invece noi lo facciamo di continuo, perché è quello che abbiamo bisogno che loro vogliano. Ci sentiamo più a nostro agio, ci serve la conferma dei nostri preconcetti, delle idee che abbiamo su noi stessi. E loro dovrebbero esserci grate. È per il loro bene. È giusto o naturale... ma soprattutto è ciò che Dio vuole! Che arroganza monumentale, la nostra, decidere che tutto quanto è comodo e facile per noi sia quello che vuole anche Iddio Onnipotente! — Tutte quelle fotografie? — Pitt domandò con una sfumatura di sarcasmo nella voce, che risultò forzata anche alle sue stesse orecchie. — Ce n'è qualcuna che a me è sembrata blasfema. — Ah, sì? — Gli occhi stupendi di Cecily si fecero più grandi. — Mio caro, banale e pedestre sovrintendente! Blasfemo, dite! Ma cos'è l'empietà? — Credo che sia la beffa e l'irriverenza per tutto ciò in cui gli altri credono — rispose senza scaldarsi. — Riuscire a farli dubitare sull'esistenza del bene e far apparire ridicola la devozione. Verso quale Dio non importa. Non è una questione di dottrina religiosa ma piuttosto il tentativo di distruggere l'idea innata che abbiamo della divinità, di qualcosa di migliore e di più sacro di ciò che noi siamo. — Oh... sovrintendente. — Lei si lasciò sfuggire un lieve sospiro. — Se penso che sono appena stata sconfitta da un poliziotto! Per favore non ditelo a nessuno... non riuscirebbero mai a dimenticarlo. Chiedo scusa. Sì, l'empietà è quella... ma non era mia intenzione commetterla. Io volevo che la gente cominciasse a domandarsi se certi stereotipi sono validi, che provasse a osservarci come individui, ciascuna diversa dall'altra, che non dicesse mai più: "È una donna, e quindi prova questo o quello... e se non lo fa, dovrebbe farlo". Mi capite? — Certo che vi capisco, signorina Antrim. — Ma non siete d'accordo con me. Ve lo leggo in faccia. Voi pensate che io scandalizzo la gente, e questo è doloroso. Voi siete qui per mantenere l'ordine, proteggere i deboli, prevenire un cambiamento violento, o qualsiasi cambiamento che non abbia il consenso delle masse. — Allargò quelle sue mani forti, molto belle. — Ma l'arte deve precedere, essere di guida, sovrintendente, non seguire. È compito mio abbattere le convenzioni, far intravedere quel disordine da cui nasce il progresso. Se voi doveste ottenere il successo... il successo più totale... non avremmo avuto il fuoco, e figuriamoci poi la ruota!
— Io sono completamente a favore del fuoco, signorina Antrim, ma non per mettere al rogo la gente. Il fuoco non solo crea, ma distrugge anche. — Come tutto quello che ha un vero potere — ribatté lei. — Avete visto Casa di bambola? La commedia... di Ibsen! Casa di bambola! — ripeté spazientita. Pitt non l'aveva vista ma sapeva di cosa parlasse Cecily. Il commediografo aveva osato creare una protagonista la quale si era ribellata a tutto quanto ci si aspettava da lei e, alla fine, lasciava la casa e il marito per una libertà pericolosa e piena di solitudine. L'aveva sentita elogiare da Joshua quasi con lo stesso focoso entusiasmo che adesso stava mostrando Cecily Antrim. — C'è qualche differenza — azzardò. — Uno sceglie di andare a teatro. Queste cartoline sono in libera vendita. E se qualche giovane capitasse... ragazzi con poco giudizio... Lei accantonò l'obiezione. — Si corrono sempre dei rischi, sovrintendente. Non c'è guadagno senza pagare un certo prezzo. Oh... e non perdete il vostro tempo a domandarmi chi ha visto questa fotografia. Se potessi ve lo direi... sono molto addolorata che Delbert Cathcart sia morto... era un grande artista... ma non posso dirvelo perché non ne ho la minima idea! — E con queste parole girò sui tacchi e uscì dal camerino lasciando la porta spalancata dietro di sé; e Pitt udì il rumore dei suoi passi che a poco a poco si spegneva lungo il corridoio. Si ritrovò solo e si guardò intorno contemplando tutti quei simboli dell'illusione scenica; il cerone e i costumi, che aiutavano la fantasia, erano una piccolissima parte della vera e autentica magia del palcoscenico; a farla diventare realtà erano le parole, la gestualità, l'ardore dello spirito. Guardò di nuovo la fotografia. Quante persone erano prigioniere dei convincimenti che gli altri avevano sul loro conto? E lui stesso... si aspettava che Charlotte fosse diversa da quello che era la sua vera natura? E Jemina, allora? Certo avrebbe preferito che lei, con il suo cervellino pronto e indagatore, non vedesse mai una fotografia come questa... certo, almeno non finché avesse avuto l'età che aveva adesso Charlotte. Eppure un giorno anche lei si sarebbe sposata. E suo marito sarebbe stato gentile, le avrebbe concesso una certa libertà pur continuando a proteggerla? Oppure avrebbe cercato di farla adeguare alla propria opinione di ciò che era giusto? Per quanto in gran parte lui si trovasse d'accordo con quanto Cecily Antrim stava cercando di fare, quella fotografia continuava a offenderlo, non solo perché ne aveva vista la parodia nel delitto ma per l'innata violenza che ne irradiava.
In ogni caso, avrebbe mandato Tellman a stabilire senza possibilità di dubbio dove si trovasse Cecily Antrim la notte dell'omicidio di Cathcart, anche se non credeva che lo avesse ucciso lei. Come, e per pura formalità, dove si trovasse anche lord Warriner nella stessa notte. Ma Cecily aveva posato volontariamente per quella fotografia; anzi, a quanto aveva detto, l'idea era stata sua. E voleva che si vendessero. L'ultima cosa al mondo che potesse farle piacere era che una sua interpretazione, anche di quel genere, rimanesse senza un pubblico. S'infilò la cartolina di nuovo in tasca avviandosi alla porta. Riuscì a ritrovare la strada verso l'uscita passando oltre quinte pitturate, che raffiguravano alberi e pareti, e alcuni arredi in legno, squisitamente scolpiti. Poi giunse alla porta del palcoscenico. 12 Caroline tornò a casa rincuorata e salì immediatamente di sopra prima di pentirsene. Bussò alla porta della vecchia signora e quando non ottenne risposta, l'aprì ed entrò. La signora Ellison giaceva semisdraiata sul letto. Le tende erano ben chiuse per impedire che entrasse anche un solo filo di luce e lei sembrava addormentata. Se non avesse notato l'impercettibile guizzo delle palpebre, Caroline ci avrebbe creduto. — Come state? — domandò più che altro per attaccar discorso, mentre andava a sedersi sull'orlo del letto. — Stavo dormendo — replicò la signora Ellison, gelida. — No, non è vero — la contraddisse Caroline. — Avreste piacere di venire a teatro con noi? La vecchia signora aprì di scatto gli occhi. — E per quale motivo? Non ci vado da anni. Lo sai benissimo. Cosa ci andrei a fare? — Ad assistere alla rappresentazione? — insinuò Caroline. Poi sorrise. — E a osservare il pubblico. Spesso il dramma che si svolge sul palcoscenico non è l'unico. Mariah esitò solo per un attimo. — Non vado a teatro. E in ogni caso, quelle che rappresentano sono stupidaggini, robaccia moderna, volgare e di poco conto! — Danno Amleto. — Oh. Caroline cercò di ricordare le parole di Vespasia. — Comunque, l'attrice che fa la parte della regina è molto bella, piena di talento e terribilmente
schietta ed esplicita. Ne sono terrificata. Mi sento sempre come se fossi lì lì per dire qualcosa di stupido o d'ingenuo quando la vedo dopo lo spettacolo, e lo facciamo sempre perché Joshua considera un dovere andare a congratularsi con lei. Sono grandi amici. La vecchia signora parve interessata. — Davvero? Credevo che la regina, in Amleto, fosse la madre del principe. Non è certo la protagonista, lei! — A Joshua piacciono le donne più anziane. Mi pareva che lo aveste capito — ribatté Caroline asciutta. La signora Ellison sorrise a dispetto di se stessa. — E tu ne sei gelosa. Caroline decise di dire la verità. — Sì... un po'. Lei sembra così sicura di sé... di tutto quello in cui crede... e sono cose di ogni genere! Che non c'è male peggiore della censura, che lo spirito e la volontà devono essere liberi, e qual è il valore dell'arte... mi fa sentire tremendamente all'antica... e... noiosa, ottusa. — Non essere una pappetta! Ci sarà pure qualcosa di cui sei sicura. Non puoi vivere nella tua epoca senza avere almeno una certezza. Qual è? Caroline sorrise. — Che non so niente di tutto quanto credevo di sapere. Raccolgo fatti e stabilisco giudizi sulle persone e le cose, ma tanto spesso c'è ancora una cosa in più che non sapevo, e invece, se l'avessi saputa, avrebbe cambiato tutto. La signora Ellison bofonchiò ma era chiaro che un po' della rabbia che la divorava era sbollita. — Vuol dire che tu sei più saggia di questa donna se immagina di sapere tanto — disse burbera. — Vai a dirglielo. Caroline non ripeté la sua domanda se la vecchia signora voleva andare a teatro con loro. Sapevano tutte e due che sarebbe stato inutile. Si alzò e andò alla porta. La stava già aprendo quando la vecchia signora parlò di nuovo: — Caroline! — Sì. — Divertiti. — Grazie. — Si volse di nuovo per uscire. — Caroline! — Sì? — Metti l'abito rosso. Ti sta molto bene. Non si voltò a guardarla per non rovinare quel momento. — Grazie — accettò. — Buonanotte. Caroline si vestì con molta cura per la prima dell'Amleto. Rimase incerta per un bel po' prima di dare ordine alla cameriera di tirarle fuori l'abito di
cui aveva parlato la suocera, di un intenso e caldo color vino, sicuramente di grande effetto. Le pareva che fosse un po' troppo vistoso. Sedette davanti allo specchio e contemplò la propria faccia mentre la cameriera la pettinava. Non aveva la vitalità radiosa di Cecily Antrim né quella sicurezza interiore che le dava tanta leggiadria, e che non nasceva solo dal fatto di essere più giovane di lei, ma pareva piuttosto parte del suo carattere. Al suo confronto Caroline continuava a sentirsi spenta e opaca, si sentiva bigia... confrontata con il luccichio dell'oro. Si accorgeva di avere una gran confusione in testa e si domandava come comportarsi, e cosa era opportuno dire per mostrarsi onesta e generosa, ma non piena di smancerie. Le si accapponava la pelle al pensiero di poter apparire la donna in cerca dell'approvazione altrui, che voleva farsi notare con elogi esagerati che non potevano essere veramente sinceri in quanto non conosceva bene quello di cui stava parlando. Ogni istinto le diceva di comportarsi con riserbo, con una quieta dignità, e parlare poco. Ma in questo caso c'era il rischio di apparire di cattivo umore, imbronciata, e quindi di sentirsi, e rimanere, ancora di più, un'esclusa. Sia nell'uno come nell'altro caso Joshua si sarebbe vergognato di lei. La cameriera aveva finito. La sua acconciatura era splendida ma, del resto, lei aveva sempre avuto bellissimi capelli. — Grazie — disse per mostrarle il proprio apprezzamento. Adesso era pronta per il vestito. Detestava l'idea di andare sola a teatro, ma la commedia in cui recitava Joshua sarebbe finita soltanto non molto prima dell'Amleto. E lui avrebbe fatto in tempo ad assistervi soltanto per l'ultimo atto. Il teatro era talmente affollato che si vide costretta ad avanzare a fatica fra la gente, salutando ogni tanto qualche persona che conosceva, per raggiungere il palco che Joshua le aveva fatto riservare. Era molto più semplice non arrivare in ritardo in modo da non disturbare gli altri, anche se c'era il rischio di sentirsi un po' troppo sola seduta al parapetto senza nessuno che le tenesse compagnia. Passò il tempo guardando chi arrivava; le bastava un'occhiata per individuare in una donna la condizione sociale, il reddito, le aspirazioni mondane, la sicurezza o no di sé, il gusto e quello che pensava di se stessa. C'erano dame eleganti che sembravano diffidenti, vestite in colori sobri, blu scuro o verde; si domandò se non avrebbero preferito mettersi addosso qualcosa sempre di ottimo taglio, ma un po' più audace, se ne avessero avuto il coraggio. Fino a che punto ciascuna di loro si vestiva in modo da uniformarsi a quello che gli altri si aspettavano da lei?
E poi c'erano le signore vestite a colori vivaci che morivano dalla voglia di farsi notare. C'era il rischio che facesse parte anche lei di questo secondo gruppo con il suo vestito rosso, una toilette un po' teatrale e di grande effetto, per camuffare il suo vero aspetto di donna che, invece, di teatrale non aveva proprio niente? No. Come Vespasia aveva detto, lei era libera di scegliere di essere quello che voleva. Se preferiva non mostrarsi teatrale, e lasciarsi mettere in ombra da Cecily Antrim, ebbene... era sua la decisione di rimanere in disparte e di nascondere le proprie opinioni per non mostrarsi sgradevole nei confronti degli altri. Ma a questo modo poteva rimanere fedele ai valori in cui credeva. Finalmente le luci si abbassarono e la sala diventò vibrante di aspettativa. Il sipario si aprì sulla scena degli spalti del castello di Elsinore. Caroline scoprì di stare in ansia per Orlando Antrim. Era il ruolo più importante che avesse mai recitato. Ma, del resto, quello di Amleto era sicuramente il ruolo più impegnativo che chiunque potesse affrontare... e non era anche il sogno di ogni attore? All'inizio lui sembrò esitante e Caroline provò un tuffo al cuore. Sarebbe stato dominato e messo in ombra anche stavolta da sua madre, che sembrava assumere sempre una posizione predominante su qualsiasi palcoscenico metteva piede? Gli altri rientrarono fra le quinte e Orlando rimase solo. Si fece avanti verso le luci della ribalta. Era pallidissimo, quasi emaciato, benché probabilmente molto del suo pallore fosse dovuto al trucco. Ma niente, o nessuno, avrebbero potuto imporgli l'atteggiamento del corpo, la gestualità, né tantomeno l'angoscia nella voce. — "O, se questa troppo, troppo solida carne potesse fondere, evaporare, ricadere in rugiada... se l'Eterno contro il suicidio non avesse eretto la sua legge!..." — Pronunciò l'intera, lunga battuta, senza incertezze e la concluse con un grido che pareva di strazio, che erompeva dall'anima di un giovane uomo. — "... spezzati, cuore, devo frenare la lingua!" Per un momento, quando calò il sipario, il silenzio fu profondo. Poi, di colpo, gli applausi rimbombarono nel vasto spazio del teatro, salendo fino alle volte della sala. E da quel momento in poi fu come se l'aria fosse carica di elettricità, e di emozioni e sentimenti talmente profondi che l'intera rappresentazione sembrò prendere ancora più slancio. Intanto la tragedia continuava a svolgersi implacabilmente: la sofferenza di Amleto sembrava palpabile nell'aria; la doppiezza del sovrano, il saggio consiglio di Polonio
inutilmente pronunciato per chi non voleva ascoltarlo... ma erano parole ormai familiari da secoli e la splendida voce di Bellmaine riempì il cuore e lo spirito. Ofelia cominciò a scivolare senza lottare verso la follia e la morte, vittima innocente sacrificata all'ambizione, l'avidità o l'ossessione di altri. Joshua entrò in punta di piedi e prese posto in silenzio nel palco limitandosi a sfiorare la spalla di Caroline. La regina Gertrude ormai aveva segnato il proprio destino pur continuando a ignorarlo cinicamente fino all'ultimo sorso della coppa avvelenata. Malgrado l'abilità e la personalità di ogni attore sul palcoscenico, Amleto si rivelò decisamente superiore a tutti. E quando Caroline si alzò in piedi per applaudire aveva le guance rigate di lacrime. Gli applausi finalmente si spensero e le luci illuminarono di nuovo la sala mentre gli spettatori cominciavano ad avviarsi all'uscita. Caroline si volse a Joshua. La sua faccia rivelava un miscuglio di gioia e di dispiacere. La gioia era indubbiamente più visibile, come l'ammirazione e l'eccitamento, ma lei vi scorse anche un'ombra lieve e subito si rese conto, in cuor suo, fino a che punto anche a lui sarebbe piaciuto recitare la parte di Amleto, e possedere quel dono che trascendeva di molto il puro e semplice talento, e si elevava fino al genio. Joshua sapeva di non possederlo. La sua arte era tutta giocata sull'arguzia e la compassione, nel far ridere la gente, spesso anche di se stessa, nel far scoprire nell'animo degli spettatori una nuova gentilezza reciproca. Col passare degli anni avrebbe potuto recitare la parte di Polonio; quella di Amleto, mai. Caroline cercò qualcosa da dire che fosse onesto ma senza una traccia di condiscendenza, o degnazione. Joshua l'avrebbe trovato insopportabile. Eppure quel silenzio aveva bisogno di parole, e lei non riusciva a trovarle. — Mi sento come se non avessi mai visto l'Amleto prima d'ora — confessò. — Non avrei mai pensato che nessuno così giovane potesse capire tanto a fondo il... il tradimento. Il suo livore contro la regina era tanto dolente, come una ferita aperta... e anche tanto vicino all'amore... Pensi di andare a parlare con Cecily? La faccia di Joshua si illuminò di un sorriso. — Oh, sì! Non posso farne a meno. Lei è stata brava... ma Orlando, migliore! È la prima volta che qualcuno l'ha messa in ombra... chissà quello che sta provando... Una gran confusione... orgoglio per Orlando... perché non si può non essere orgogliosi dei propri figli... — Non è sempre facile — gli rispose Caroline con franchezza. — Puoi invidiare la loro gioventù ed esserne esasperato. Puoi soffrire atrocemente
per i loro errori, soprattutto quando tu già li vedi perfino nel momento in cui li commettono. E naturalmente non smetti mai di sentirti in colpa per tutto quello che fanno e finisce male... Joshua le circondò le spalle con un braccio. — Vieni! Andiamo a congratularci con Cecily o a dolerci per lei... o quel che sembra meglio. — Ma sorrideva. Il camerino era già affollato quando ci arrivarono, ma stavolta Orlando non era presente. Era lui, adesso, al centro dell'interesse generale, e non brillava più della luce riflessa dalla madre. Cecily era ferma in piedi con le spalle volte al tavolo da toilette e allo specchio. Indossava ancora l'abito sontuoso dell'ultimo atto. Aveva la faccia raggiante, i capelli biondi che formavano un alone intorno a lei. Di primo acchito Caroline pensò che, come madre di Amleto, la sua scelta era stata sbagliata. Appariva troppo giovane, troppo vibrante. Poi ricordò con un sussulto che Cecily, nella vita reale, era la madre di Orlando e quindi non poteva trattarsi di una scelta sbagliata, salvo per l'immaginazione. Cecily vide Joshua quasi subito. — Tesoro! — Venne avanti allargando le braccia per stringerlo a sé. — Come sono contenta che tu sia riuscito a venire. Sei arrivato almeno per la fine? — Lasciò che lui la baciasse sulle guance prima di tirarsi indietro di un passo e fingere di accorgersi soltanto allora della presenza di Caroline. — È la signora Fielding... Caroline, vero? Com'è stato generoso venire, da parte vostra. — La generosità non c'entra affatto — replicò Caroline con un sorriso augurandosi che, almeno quello, fosse più caloroso di tutto quanto lei sentiva nel cuore. — Sono venuta perché lo desideravo... per me stessa, fin dal principio. E sono felicissima di averlo fatto. È di gran lunga il miglior Amleto che io abbia mai visto. Cecily la guardò sgranando gli occhi. — Veramente? E ne avete visti così tanti? Caroline rimase imperturbabile, con lo stesso luminoso sorriso di prima sulle labbra. — Certamente. Da quando andavo a scuola in poi. L'avrò visto forse venti volte. Ma vostro figlio gli ha dato una vita e una schiettezza nuovi. Dovete essere molto orgogliosa di lui. — Naturale. Come siete gentile a dirlo. — Poi tornò a rivolgersi a Joshua. — È stato quasi meraviglioso, vero? È una sensazione stranissima quella di vedere tuo figlio che comincia a recitare, e a quel punto le sue interpretazioni sono un po' incerte, poi progredisce fino alle parti secondarie e infine si ritrova con un intero teatro ai suoi piedi. — Proruppe in una ri-
satina. — Puoi immaginare quello che provo? Caroline si accorse che, per un istante, un'ombra aveva incupito la faccia di Joshua. Appena una settimana prima si sarebbe sentita annientata da una frase del genere perché lei non poteva più dare dei figli a Joshua. Stavolta provò soltanto una gran collera che Cecily, per difendere se stessa, avesse scelto proprio quel mezzo per addolorarlo. E prima che lui potesse rispondere, si intromise dicendo con voce soave: — È sempre stupefacente accorgersi quanto i propri figli siano cresciuti. Poi, di colpo, ecco che sono proprio loro che riescono a eclissarti, e addirittura in quel campo nel quale tu ti sei sempre sentita superiore... — Cecily sembrava impietrita. — Naturalmente si resta commossi ed emozionati per loro — continuò Caroline in tono giulivo. — E come non potrebbe essere così? A parte lady Macbeth, tutte le tragedie di Shakespeare sembra che siano articolate su protagonisti maschili. Eppure io sono sicura che voi potreste essere insuperabile in qualcuna delle grandi interpretazioni della tragedia classica greca. Io stessa, per esempio, sarei capace di fare la coda tutta la notte per trovare un biglietto in modo da vedervi recitare la parte di Clitennestra o di Medea. Nel camerino era calato il silenzio più totale. Tutti fissavano Caroline con tanto d'occhi. Nessuno aveva sentito aprirsi la porta per fare entrare Orlando. — Clitennestra! — esclamò lui. — Che idea brillante! È straordinariamente geniale da parte vostra, signora Fielding. La mamma non ha mai recitato i greci. Sarebbe una camera interamente nuova, e superba! E c'è anche Fedra! — Si rivolse a Cecily. — Sei troppo vecchia per fare Antigone, ma Giocasta... quella sì, potresti sempre farla... La signora Fielding ha ragione. Cecily fissò Caroline a testa alta, gli occhi scintillanti. — Dovrei esservi obbligata, signora Fielding. E sono sorpresa, lo ammetto. Non avrei mai pensato che foste tanto... progressista e priva di pregiudizi nelle vostre opinioni sull'arte. Ma ditemi... perché pensate che potrei essere una buona interprete del personaggio di Clitennestra? — Rise. — Spero che non sia soltanto perché ho dei figli già adulti? Caroline ricambiò il suo sguardo con lo stesso luminoso candore. — No, naturalmente, anche se è qualcosa che fa una differenza nella vita di chiunque. Stavo invece pensando che Clitennestra è un personaggio con tali passioni da essere sempre predominante nella trama. L'uccisione del marito non è un atto che possa riscuotere simpatie eppure, se si pensa al sacrificio di sua figlia, la maggior parte delle madri si identificherebbe con
lei. Ci vuole un'attrice di forza straordinaria per trascinare il pubblico senza giocare sulla sua compassione o perdere la propria dignità. — Respirò a fondo. Tutti erano ammutoliti e non avevano fatto un solo gesto. Nessuno l'aveva interrotta. — Dovrebbe fare leva totalmente sui sentimenti della gente, e il pubblico uscirebbe da questa esperienza più maturo e forse più comprensivo di prima. Per la prima volta Cecily la guardò dritto negli occhi. — Siete sorprendente — disse infine. — Avrei giurato che non aveste una sola idea rivoluzionaria in testa, e men che meno nel cuore. E invece eccovi qui a raccomandarci di dare una bella scossa a una società beata e soddisfatta di sé, mettendo a nudo davanti ai suoi occhi le passioni di Clitennestra! Farete fioccare le lettere al "Times" e attirerete tuoni e fulmini da parte dell'arcivescovo, per non menzionare la disapprovazione della regina, a suggerire che perfino ammazzare il marito può essere accettabile! — Nella sua voce si era insinuato di nuovo un tono vagamente beffardo. — Joshua carissimo, farai meglio a stare attento a come tratti le figlie di tua moglie! Per amor del cielo, tesoro, non sacrificarle agli dei o potresti finir di vivere, da un momento all'altro, con un coltello nel cuore. C'è una tigre che sonnecchia in questa tua consorte così calma e piena di dignità. — Sì, lo so — disse Joshua compiaciuto e soddisfatto. Per un attimo posò la mano sul braccio di Caroline, ma fu un gesto di possesso, e Caroline si sentì attraversare dalla testa ai piedi da una vampata. La porta si aprì per far passare Bellmaine che portava ancora il costume di Polonio. — Magnifico! — disse raggiante. Parlava rivolto a tutti ma era su Orlando che erano posati i suoi occhi. — Splendido, miei cari. Avete superato voi stessi. Cecily, hai portato la tua Gertrude alla perfezione. — Grazie. — Lei accolse con garbo il complimento, sorridendogli, ma il suo sguardo rivelava una strana fragilità. — Se posso commuoverti fino alle lacrime per Gertrude, sento di poter fare qualsiasi cosa. Bellmaine si rivolse a Orlando mentre la sua espressione si addolciva e diventava di autentica gioia. — Quanto a te, mio caro ragazzo, sei stato sublime. Non so quasi cosa dire. Mi sembra di non aver mai visto realmente l'Amleto prima di stasera. Mi hai fatto imboccare una via nuova. Mi sento un uomo diverso. — Allargò le braccia come se non riuscisse a dire di più. Caroline si rese conto di comprenderlo pienamente. Anche la sua esperienza era stata nuova, approfondita. Si accorse che annuiva, d'accordo fino in fondo. Cecily tornò a rivolgersi a lei, con voce un po' tagliente. —
Dunque siete felice di sentirvi turbata da tutte queste angosce, signora Fielding? Durante la vostra visita precedente mi era sembrato di capire che foste favorevole almeno a un po' di censura. Sareste invece disposta ad ammettere che la limitazione delle idee è il male assoluto? L'arte dev'essere libera se l'uomo dev'essere libero. Non crescere è il principio della morte, sia pure una morte lenta, che potrebbe anche richiedere una generazione, o più di una. — Adesso guardava Caroline dritto negli occhi. Era una sfida che nessuno, nel camerino affollato, poteva lasciarsi sfuggire. Forse era provocata dal successo di Orlando, da una necessità di rivendicare i propri diritti, e farsi valere. Non si rinunciava facilmente a essere al centro del dramma, in palcoscenico. Tutti adesso aspettavano che Caroline parlasse, e lei lanciò un'occhiata a Joshua. Sorrideva. Non sarebbe intervenuto nel dibattito per toglierle la possibilità di rispondere. Doveva essere onesta. Pensò alle sue figlie, a Jemina, alla vecchia signora rannicchiata nel suo letto. — Certo che non crescere è la morte. Ma tutti noi cresciamo più o meno in fretta, e a volte in modi differenti. Non cercate di far assumere un significato generale alla vostra argomentazione per giustificarvi del modo particolare in cui la difendete. — Ma... vi eravate preparata prima a questo dibattito? — insinuò Cecily, pronta. — Dunque cosa avete intenzione di censurare, in generale, e in particolare? Avete già detto che permettereste l'uccisione di un marito in Clitennestra, quella di un bambino in Medea, e che un uomo sposi sua madre e metta al mondo con lei dei figli, in Edipo. Bontà divina, mia cara. Ma cosa può essere quello che disapprovate? Dunque, secondo voi, sarebbe tutto giusto fintanto che si salvano determinati valori? Caroline adocchiò subito la trappola. — I valori di chi? — domandò. — Non è questo che volete dire? Cecily si addolcì in un sorriso. — Precisamente. Se state per rispondermi che sono la società, la civiltà o perfino Dio, allora vi domanderò: il Dio di chi? Quale parte della società? La mia? La vostra? Quella di un mendicante che vive in strada? — I valori che adottiamo saranno quelli con i quali la prossima generazione vivrà — rispose Caroline. — Nessuno può togliervi la responsabilità di quanto dite, in qualsiasi forma. E più brava siete nel farlo, più bella o possente è la vostra voce, più grande è il peso che portate sulle spalle, e dovete usarla con saggezza ed estrema attenzione. — Oh, mio Dio! — esclamò Cecily, forse a voce un po' troppo alta.
— Brava! — E Orlando, per elogiarla, le fece un piccolo saluto militaresco. Caroline si voltò a guardarlo. E trasalì perché la sua faccia era così piena di commozione, gli occhi sbarrati, le labbra socchiuse... Joshua stava fissandola. Bellmaine era rimasto immobile, ma la sua faccia esprimeva lo stupore e uno strano sollievo doloroso che pareva impossibile interpretare. Caroline rimase sconcertata quando gli vide gli occhi lucidi di lacrime. — Il potere più grande, a volte, sta nel non fare una cosa — concluse. Aveva abbassato la voce ma non avrebbe rinunciato a dire tutto quello che pensava. — La gente vi ascolta, signorina Antrim. Potete far scatenare le nostre emozioni e farci riconsiderare ogni genere di concetti che abbiamo radicati in noi. Questo è molto intelligente. Ma non sempre è saggio... Cecily aprì la bocca come per ribattere qualcosa poi diede un'occhiata alla faccia di Joshua e cambiò idea. Si rivolse di nuovo a Caroline con un sorriso abbagliante: — Chiedo scusa per avervi giudicato troppo superficialmente. Penso che avrei dovuto prestarvi ascolto con più attenzione. Prometto che lo farò in futuro. — Poi si rivolse agli altri che affollavano il camerino. — E adesso, mandiamo a prendere lo champagne e facciamo un brindisi a Orlando? Merita tutte le nostre lodi... e la nostra massima esultanza. Domani il mondo intero si congratulerà con lui. Cerchiamo di essere i primi, e di farlo stasera stessa! — Si sentì bussare alla porta e qualcuno entrò con lo champagne e un vassoio pieno di bicchieri. Tornando a casa per le strade silenziose, seduta vicino a Joshua, in vettura, Caroline si sentiva stanca ma provava anche, in cuor suo, un senso di pace come non le capitava da tempo. Sorpresa, adesso si rese conto che era stato un tempo molto lungo. E quanto, di quel tempo, e troppo, aveva passato a guardare nello specchio, a fissare ciò che non le piaceva, a spaventarsene, a proiettare in Joshua sentimenti ed emozioni che scaturivano da quella paura! Adesso comprendeva molto di più i motivi per cui la vecchia signora era diventata la persona che era, ma cosa aveva spinto Edmund Ellison a cercare il suo piacere nella crudeltà? Quali demoni si erano insinuati nella sua anima alterandola al punto di toglierle tutto quanto aveva di umano? Non l'avrebbe mai saputo. La risposta era sepolta con lui, meglio lasciarla andare adesso, lasciare che dileguasse nelle tenebre del passato e venisse celata e sostituita con altre memorie. — È stato brillante, vero? — La voce di Joshua si levò sommessa dall'ombra al suo fianco. Al di là dello spessore del proprio mantello e del suo
cappotto si accorse che aveva il corpo irrigidito. — Oh, sì — rispose sinceramente. — Ma mi domando se questo lo renderà mai felice. Joshua rimase in silenzio per qualche minuto prima di decidersi a domandarle: — Cosa vuoi dire? — È riuscito a darci un'interpretazione terrificante del dolore di Amleto. Come se si fosse ritrovato a vedere in faccia qualche specie di follia. Non sono del tutto convinta che basti l'immaginazione ad aiutare un attore a interpretarla sul palcoscenico. Probabilmente è facile trasformare un orrore nell'immagine di un altro orrore, ma non evocarlo senza averne avuto qualche esperienza o aver assaggiato la sua realtà. Era ancora lì, in lui, molto dopo, a sipario calato. — È questo che pensi? — Ma la voce di Joshua non aveva un tono combattivo. Lei gli si fece più vicina... ma tanto poco che Joshua non se ne accorse. — Quello che mia suocera mi ha raccontato mi ha aperto gli occhi su molte cose che prima non avevo capito. Una di esse è il danno che la crudeltà può infliggere a qualcuno, specialmente quando si deve tener nascosta la sofferenza e non se ne può guarire. Essere intelligenti o dotati farà ridere la gente e riflettere e, forse, crescere e maturare sotto certi aspetti; ma quello che può dare la felicità è soprattutto essere generosi d'animo. Non augurerei mai a una persona alla quale voglio bene di essere un successo come artista se questo dovesse significare che è sempre stato un fallimento come essere umano. Joshua allungò una mano, la posò su quelle di Caroline, dolcemente, e vi diede una stretta. Si voltò e si sporse verso di lei. Con infinita dolcezza la baciò sulle labbra. Lei sentì il calore del suo fiato sulla guancia, e alzando la mano guantata gli accarezzò i capelli. Joshua la baciò di nuovo, e Caroline si strinse più forte a lui. 13 Pitt ricevette la lettera di Caroline con l'indirizzo del secondo negoziante che vendeva fotografie e cartoline, anche questo in Half Moon Street e, divorato dalla rabbia, andò a cercarlo facendosi accompagnare da Tellman. — No! — protestò l'uomo indignato. — No, non vendo fotografie se non sono più che corrette, e così decenti che si potrebbero far vedere a una signora! — Non vi credo — ribatté Pitt, gelido. — Ma sarà abbastanza facile
scoprirlo. Metterò un poliziotto qui alla porta e lui potrà esaminare tutte quelle che vendete. Se sono decorose come dite, basteranno un mese o un mese e mezzo, e lo sapremo. Poi vi chiederò scusa. — L'uomo imprecò, invelenito, ma sottovoce. — E adesso — riprese Pitt energicamente — se volete dare un'altra occhiata a questa fotografia mi potrete dire quando l'avete presa in carico, quante copie ne avete venduto, e a chi, signor...? — Hadfield... E non posso ricordarmi a chi le ho vendute! — La sua voce si trasformò in uno squittio d'indignazione. — Sì, che potete — insistette Pitt. — Cartoline e fotografie come queste vengono vendute soltanto a gente che si conosce. Ai clienti abituali. Naturalmente, se non siete capace di ricordare quelli ai quali piace questo genere di cose, basterà consegnarmi un elenco di tutti e io andrò a interrogarli uno per uno... L'elenco deve essere completo e deve riguardare tutti i vostri clienti ai quali piace questo genere di fotografie. E se ne lasciate fuori qualcuno, penserò che lo avete fatto per proteggerli perché sapete che sono coinvolti in questo tipo di commercio. Ci siamo capiti? — Eccome, se ci siamo capiti! Ma per chi mi prendete? Un imbecille? — A proposito, intanto che mi preparate l'elenco, io darò un'occhiata al resto della vostra mercanzia per vedere se c'è qualcos'altro che potrebbe dirmi chi ha ammazzato Cathcart e chi ne sapeva qualcosa... e possibilmente anche perché è stato ammazzato. L'uomo allargò le braccia in un gesto di dispetto. — Be', allora sì che vi ho capito! È un modo meschino e volgare di metter le mani su quelle cartoline per poterle guardare gratis, ecco come la vedo io! Pitt lo ignorò e cominciò a esaminare scaffali e cassetti dove si ammucchiavano illustrazioni, fotografie, cartoline e volumetti di disegni. Tellman cominciò dal lato opposto. In gran parte erano abbastanza comuni, quel genere di pose che aveva visto almeno cento volte in quell'ultima settimana, graziose fanciulle in una varietà di vestiti civettuoli. A un certo momento aprì un ennesimo cassetto che conteneva una certa quantità di libriccini. Ne aprì il primo, più per curiosità che per la convinzione che avesse qualche importanza nella morte di Cathcart. Si trattava di una serie di disegni in bianco e nero. Fra questi ce n'erano alcuni che rappresentavano belle donne sensuali e fantasiose, eseguiti con grande abilità. Veramente superbi. Ce n'era anche qualcuno di osceno, figure con facce maliziose e lascive, e organi maschili e femminili, spudoratamente esibiti. Lo richiuse in fretta. Capiva perché uomini come Marchand si battessero così appassionatamente contro la pornografia, non tanto perché se ne sentissero offe-
si loro stessi ma perché poteva suscitare strani turbamenti erotici in altre persone. Non perdette il suo tempo a sfogliare altri libretti di disegni. Cathcart lavorava solo nel campo delle fotografie. Passò al cassetto successivo. Alzando gli occhi si accorse che Tellman appariva indignato e sconvolto. A dispetto di tutta la sua esperienza, questo lo confondeva. Dagli artisti si aspettava qualcosa di un livello più alto. Come chi non aveva potuto studiare molto, ammirava l'istruzione negli altri; dunque tutto questo lo deludeva ed era qualcosa che non si aspettava né capiva. Pitt preferì non dirgli niente. Intanto esaminava il contenuto del cassetto appena aperto: solite illustrazioni gradevoli, qualcuna un po' spinta, ma in genere si trattava delle foto ricavate dalle lastre rettangolari su cui lavoravano i professionisti e rivelavano lo stesso uso abbastanza ripetitivo di luce e ombra, angolature ed esposizioni. C'era anche qualcuna di quelle fotografie rotonde che rivelavano un individualismo più spiccato nel gusto anche se erano frutto di un lavoro meno specializzato. Dovevano essere opera di dilettanti, del genere dei soci del club fotografico che lui aveva interrogato. Una o due erano buone anche se un po' teatrali. Riconobbe pose che sembrava fossero state prese direttamente dal palcoscenico, come una Ofelia diversa da quella per cui aveva posato Cecily Antrim, ma vivida e angosciata in modo inquietante, ai limiti della follia. L'attrice vi appariva con i capelli scuri, gli occhi sgranati, le labbra socchiuse, in un atteggiamento vagamente erotico, affascinante. Non doveva avere più di vent'anni. Qualche altra era di stampo arturiano, chiaramente romantica, e gli faceva venire in mente i pittori preraffaelliti. Una di esse attirò la sua attenzione soprattutto per l'uso delle luci, più che di uno specifico materiale scenico. Al centro una giovane donna che vegliava inginocchiata. Sull'altare, un calice e una spada da cavaliere. Lo fece pensare a Giovanna d'Arco. Una terza aveva tratto ispirazione dal teatro greco classico, e raffigurava una fanciulla che stava per venire sacrificata. Lo stesso piedistallo di legno scolpito e intagliato era usato in tutte e tre con molta intelligenza e dava una profondità particolare all'immagine con il gioco di luci e ombre che ne mettevano in evidenza il motivo ornamentale ripetuto più volte nella decorazione. Pitt l'aveva già visto ma ci volle qualche attimo perché ricordasse dove. Poi gli tornò in mente. Era passato di fianco a quel pilastro di legno scolpito uscendo dal camerino di Cecily Antrim per avviarsi alla porta del palcoscenico. — Dove avete comprato queste fotografie? — domandò. — Chi
ve le ha portate? Hadfield depose la penna, schizzando inchiostro sulla pagina, e si lasciò sfuggire un'imprecazione. Stizzito, si avvicinò a Pitt e fissò le fotografie al di sopra della sua spalla. — Che ne so. Qualche giovane fotografo convinto di poter guadagnare qualche spicciolo. Perché? — La sua voce trasudava sarcasmo. — Avete proprio in mente soltanto cose sconce. A me sembrano innocenti come un bicchier d'acqua. — Chi ve le ha portate? — ripeté Pitt con voce tagliente che vibrava di collera anche se, in cuor suo, provava soltanto una grande tristezza. Non voleva sentire la risposta che quasi sicuramente gli sarebbe stata data. — Vi ho detto che non lo so! Ma cosa credete? Che vada a domandare nome e indirizzo di ogni giovane dilettante di fotografia che viene qui a offrirmene una manciata? Sono buone. Non c'è niente che non vada, qui dentro! Le ho comprate. A un prezzo onesto. Non ho altro da dire. — Descrivetelo! Alto o basso? Bruno o biondo? Vi ho detto di descriverlo! — ripeté Pitt a denti stretti. — Alto! Biondo! Ma non c'è niente di male in queste fotografie! Potete trovarne di simili in tutta Londra... in tutta l'Inghilterra. Si può sapere cosa vi prende? — E lui ha visto le vostre altre cartoline? Come quella di Ofelia incatenata nella barca? L'uomo esitò. A Pitt bastò quell'attimo per capire che era stato Orlando a portargli le fotografie e aveva visto quella che Cathcart aveva scattato a sua madre. Fino a quel momento Pitt si era aggrappato alla speranza che fosse stato Bellmaine o, addirittura, per qualche oscuro gioco del destino, Ralph Marchand, che continuava a battersi nella sua crociata contro la pornografia. — Sergente Tellman! — Pitt si voltò verso di lui, e la sua voce era secca. Tellman si alzò in piedi di scatto lasciando cadere le cartoline sul pavimento. — Sì, signore? — Andate a cercare qua nei dintorni il poliziotto di ronda. Vena a fare la guardia. Penso che dovremo continuare questa discussione nel nostro ufficio di Bovv Street. — E va bene! — Hadfield ormai non riusciva più a controllarsi. — Potrebbe averle viste! Che ne so io! — Come si chiama? — Devo guardare nei miei registri.
— E allora, guardate! Borbottando qualcosa fra i denti, Hadfield tornò al suo scrittoio ma ci vollero parecchi minuti, che si prolungarono in un silenzio penoso, prima che tornasse sventolando un foglio di carta. Sopra c'erano soltanto la somma in denaro, una breve descrizione della fotografia e la data, due giorni prima della morte di Cathcart. Ma nessun nome. — Grazie — disse Pitt a mezza voce. Poi scrisse una ricevuta per le fotografie che, se ne sentiva convinto, erano state scattate da Orlando Antrim, e per la relativa fattura con la data dell'acquisto. Fuori l'aria sembrava rinfrescata. Tellman lo guardò come se volesse porgli una domanda. — Orlando Antrim — rispose Pitt. — Era qui due giorni prima della morte di Cathcart. Se ha visto quella fotografia di sua madre, e forse qualcuna delle altre, come pensate che possa essersi sentito? La faccia di Tellman pareva emaciata, consunta dal rammarico. — Non lo so — disse e inciampò mentre scendeva dal marciapiede per attraversare la strada. Pitt tentò d'immaginarsi al posto di Orlando. Cecily era un'attrice. Faceva parte della sua professione esprimere sentimenti particolari in pubblico e comportarsi in modo da far scatenare tutta una serie di passioni. Doveva esserci abituato. Ma era possibile che qualcosa gli rendesse accettabile una immagine simile? Vedeva quella grottesca parodia del ritratto di Ofelia con gli occhi della mente, e la vedeva con tale chiarezza da non aver bisogno di tirar fuori la cartolina di tasca per rinfrescarsi la memoria. Raffigurava una donna imprigionata da catene autentiche, materiali, che però dava l'impressione di provare il parossismo dell'estasi sessuale come se la prigionia alla quale era sottoposta la eccitasse come nessuna sensazione di libertà avrebbe potuto fare. Lasciava pensare che spasimasse dalla voglia di essere sopraffatta, costretta alla sottomissione. Era la lussuria a illuminare il suo viso, lì sdraiata, e nella sua espressione non c'era nessuna tenerezza e sicuramente niente di quello che lui aveva sempre interpretato come un sentimento di amore. Se Pitt, per una qualsiasi ragione, avesse visto sua madre a quel modo e in quella posa, ne sarebbe rimasto inorridito in modo indescrivibile. Ma quell'immagine non aveva niente a che vedere con l'amore o con le cose che uomini e donne fanno in privato. Anzi ne era l'atroce presa in giro. Certo, il mondo era pieno di persone con idee differenti, e lui ne avrebbe trovato offensive le azioni se si fosse messo a considerarle attentamente. Ma quando tutto ciò riguardava la propria famiglia, era diverso. Se lui avesse visto Charlotte raffigurata a quel modo... si sentì salire il sangue alla faccia, i muscoli irrigiditi, le mani che si chiudevano
istintivamente a pugno. Cecily Antrim riusciva a comprendere tanto profondamente persone così diverse tra di loro, di ogni condizione e stato sociale... come aveva potuto lasciarsi sfuggire la misura dell'angoscia e del tormento che qualsiasi uomo avrebbe provato vedendo la propria madre così raffigurata? Non sapeva immaginare il dolore e la confusione che ne sarebbero derivati? Pensò a Orlando. Se aveva visto quella fotografia, o una qualsiasi delle altre, sarebbe uscito da quella bottega come accecato, completamente incapace di vedere quello che lo circondava: un mondo fatto di strade e pietre e cielo, fuliggine nell'aria, brusio di voci, odore di fumo e di acque luride nei rigagnoli e di cavalli... niente di tutto questo avrebbe fatto la minima presa su di lui. Si sarebbe consumato nella sua angoscia segreta, e forse l'odio lo avrebbe devastato. Ma, in modo particolare, si sarebbe fatto la stessa domanda di Pitt... perché? C'era realmente una causa per la quale valeva la pena di battersi a questo modo? Se Pitt poteva domandarselo, e scoprirsi deluso e amareggiato nei confronti di una donna di cui aveva ammirato lo splendido talento, quanto infinitamente più forte doveva essere stata la reazione di Orlando? Fin dal primo momento Pitt si era convinto che la morte di Cathcart fosse un delitto passionale, e non semplicemente un tentativo per sfuggire a qualcosa, neppure alle grinfie di un ricatto che dissanguava. Perché il ricatto avrebbe portato alla paura e all'odio mentre c'era molto di più dell'uno e dell'altro nel modo in cui il corpo di Cathcart era stato adagiato sul fondo di quella barca, in una beffarda parodia del quadro di Millais, c'erano disperazione e un senso di offesa profonda, incancellabile. — Pensate che conoscesse chi ha scattato quella fotografia? — La voce di Tellman, insinuandosi nelle riflessioni di Pitt, era aspra ma nello stesso tempo talmente sommessa che lui fece fatica a sentirla. — No — gli rispose. — No. L'ha vista due giorni prima della morte di Cathcart. E credo che ci abbia messo tutto quel tempo per scoprirlo. — Intanto fissava il vuoto davanti a sé, al di là della strada. Non sapeva neanche dove stesse andando... — Ma come ci è riuscito? — Tellman domandò, facendo una corsettina per raggiungerlo e restargli alla pari. — Da dove può aver cominciato? Impossibile che l'abbia chiesto a lei. Anzi, fossi stato io al suo posto, non gliene avrei neanche parlato. — Lui fa l'attore — replicò Pitt. — E suppongo che, quanto a mascherare i propri sentimenti, sia molto migliore di noi due. Era logico che imma-
ginasse che si trattava di un fotografo professionista... Il tempo di esposizione, le lastre rettangolari. I professionisti non usano quelle rotonde. Non si ottengono buoni risultati, salvo che alla piena luce del giorno. — Tellman, profondamente disgustato, si lasciò sfuggire un grugnito. Camminava con le spalle curve, contratte, a testa bassa. — Deve aver cominciato a considerare chi potesse essere fra i tanti fotografi professionisti che ci sono. — Pitt continuò con le sue riflessioni ad alta voce. — E sicuramente ha fatto tutto con la massima discrezione. Doveva già pensare al delitto... o, come minimo, a un confronto aperto. Da dove potrebbe aver cominciato? — Mah! Se cercava di conservare il segreto, è un po' difficile che l'abbia domandato in giro — ritorse Tellman. — È probabile che abbia ridotto le sue ricerche ai fotografi professionisti che usano quel tipo di scenario. Ne avrà studiato lo stile. Lui stesso fa fotografie. E sa come un artista può disporre di oggetti in questo o quest'altro modo, cercando di ottenere esattamente l'effetto giusto. È un po' come mettere a una fotografia la propria firma. — Già, ma come potrebbe aver notato lo stile delle fotografie di Cathcart? — Tellman si voltò a guardarlo. — Saranno dozzine! Come poteva sapere addirittura dove andare a cercarle? — Be', a ogni modo c'è riuscito! — insistette Pitt. — Lo ha trovato in meno di due giorni, quindi qualsiasi tentativo abbia fatto, e in qualsiasi senso, è stato efficace. — Oppure ha avuto fortuna. Pitt lo guardò in tralice. Tellman si strinse nelle spalle. — Un'esposizione — esclamò Pitt di punto in bianco. — Può essere andato a informarsi se c'era un'esposizione fotografica da qualche parte. Dove lui potesse vedere il maggior numero possibile degli artisti più diversi. Tellman affrettò leggermente il passo. — La troverò! Datemi mezz'ora, e saprò se ce n'è qualcuna in giro. Due ore più tardi Pitt e Tellman si trovavano fianco a fianco in una grande galleria di Kensington a fissare, una dopo l'altra, fotografie di stupendi scenari, donne bellissime, uomini vestiti con grande eleganza, animali e bambini con grandi occhi limpidi. Qualcuna di quelle immagini era di una bellezza indimenticabile, un mondo ridotto a sfumature seppia, momenti di vita, un gesto, un sorriso colti e immortalati per sempre dall'obiettivo. Pitt stava cercando un determinato stile, un uso un po' particolare delle grandi distese d'acqua, qualcuno che cogliesse la simbologia degli oggetti più comuni. Naturalmente, lui sapeva che stava cercando Delbert
Cathcart. Orlando non aveva la minima idea di chi fosse colui che voleva trovare, o perché quell'uomo avesse usato sua madre. Si era convinto che ci fosse di mezzo un ricatto, una costrizione di qualche genere che avesse indotto Cecily a farsi fotografare? Sicuramente doveva esserne stato convinto. Qualsiasi altra possibilità era inaccettabile. Guardò Tellman, fermo a pochi metri di distanza, con gli occhi fissi sulla fotografia di una ragazzina, una domestica sorpresa nel momento in cui, distratta da chissà cosa, s'interrompeva mentre stava battendo un tappeto appeso a una corda nel cortiletto di servizio. Era piccola, minuta, con un faccino arguto. Pitt capì che gli ricordava Gracie e rimase sconcertato al pensiero che qualcuno potesse pensare a lei come a un soggetto per una foto artistica. Tellman in quel momento si girò di scatto e lo raggiunse. — Qui non si cava un ragno dal buco — disse piano. — Da tutta questa roba non impariamo niente. — Pitt preferì non fare commenti. La sala successiva si rivelò più utile e, in quella dopo ancora, videro alcune immagini che Pitt riconobbe subito come opera di Cathcart. Il gioco di luce e ombra, l'importanza data al punto focale della fotografia erano tutti simili alle opere che aveva visto in casa del celebre fotografo e presso ì suoi clienti. Ce n'erano perfino due con il fiume come sfondo. — Ecco, ci siamo — disse Tellman. — Ma come poteva capirlo Antrim? Non è una prova convincente, salvo la conferma che anche la produzione di Cathcart è esposta qui. Come vi aspettavate che fosse. — Tocca a noi confermare che c'è un legame fra le due cose — disse Pitt. — Antrim ha scoperto chi fosse il fotografo. Probabilmente per mezzo di questa mostra. — Esaminò con attenzione altre opere del fotografo fino a che ne trovò diverse altre che rappresentavano distese d'acqua, qualche barchetta, un giardino e anche una mezza dozzina in cui comparivano fiori artificiali. E infine una in cui appariva una lunga veste di velluto. — E queste, di chi sono? — domandò Tellman. — Secondo il cartellino, l'autore è un certo Geoffrey Lyneham. Chissà se Antrim è andato da lui? — disse Tellman come se riflettesse ad alta voce. — Oppure, prima, è andato da Cathcart? In questo caso sarà più difficile da provare, dal momento che lui non può dirci più niente e la signora Geddes non lo sa, altrimenti ce lo avrebbe raccontato. — Prima è andato da Lyneham — disse Pitt, ragionandoci su. — E probabilmente anche in qualche altro posto. Ci ha messo due giorni a trovare Cathcart. Non credo che abbia aspettato più del necessario. — Io, di certo, non avrei aspettato! — Tellman sbottò, stringendo le lab-
bra. — E dove lo troviamo, questo Lyneham? Era già il tardo pomeriggio e cominciava a far buio, i lampioni a gas si accendevano a poco a poco nelle strade e l'aria era diventata fredda e frizzante quando salirono le scale della casa di Geoffrey Lyneham a Greenwich. Da un piccolo falò acceso in un giardino poco distante un fumo di legna si levava nell'aria umida, e l'odore di terra e di foglie era dolce. Lyneham era un ometto dalla faccia vivace e intelligente. Doveva avere cinquant'anni, forse qualcuno di più, e i suoi capelli erano bianchi sulle tempie. Rimase stupefatto quando Pitt gli spiegò chi loro fossero. — La polizia? E perché? Non credo di avere infranto nessuna legge. Pitt si sforzò di sorridere. — La questione è importante, signore. E riguarda la fotografia. — Ah! — Immediatamente la faccia di Lyneham s'illuminò d'entusiasmo. Spalancò l'uscio e si tirò indietro. — Entrate, signori, entrate! Sarò felicissimo di dirvi tutto quanto posso. Cosa vorreste sapere? — Li precedette nel suo salotto, sempre agitando energicamente le braccia, e lasciò che ci pensasse Tellman a richiudere l'uscio e a raggiungerli. — Ho visto parecchie vostre fotografie all'esposizione di Kensington — cominciò Pitt, cortesemente. — Oh, sì... davvero? — Lyneham annuì aspettando gli inevitabili commenti. — Un uso eccellente della luce sull'acqua — disse Pitt. Lyneham parve sconcertato. — Vi è piaciuta? Trovo che sia molto interessante lavorare con quella materia. A ogni modo, è curioso quello che mi dite. Un paio di settimane fa, c'è stato qui da me un giovanotto che mi ha detto più o meno la stessa cosa. Pitt si accorse di avere lo stomaco chiuso di colpo, come da una morsa. Cercò di rimanere impassibile. — Veramente? Chi era? Forse lo conosco. — Ha detto di chiamarsi Harris. — Alto, biondo, sui venticinque anni? — chiese Pitt. — Occhi azzurro cupo? — Sì, precisamente! Dunque lo conoscete — fece Lyneham accalorandosi. — Ed era molto interessato. Con la passione della fotografia, anche lui. Un ottimo occhio, a giudicare dalle sue osservazioni. Un dilettante, certo. Ma molto attento. Ha voluto sapere quali fossero le località migliori, a mio giudizio, e altre cose del genere. Mi ha domandato qualcosa sull'uso delle barche. Che, a dir la verità, può creare qualche complicazione. Hanno
la tendenza a muoversi, ovviamente. — Già, capisco. E quali località gli avete raccomandato? Oppure è un vostro segreto? — No, no, figuriamoci! Per quello che mi riguarda, le Norfolk Broads. Ci sono luci stupende nella East Anglia. Ci sarà pur un motivo se da quelle parti i pittori sono così numerosi, vero? — Dunque per voi... sempre e soprattutto le Broads? — gli domandò Pitt, benché fosse sicuro della risposta. — Per quello che mi riguarda personalmente, sì — replicò Lyneham. — Ho una casa da quelle parti. Mi semplifica tutto, ed è mollo comoda per approfittare del tempo appena possibile. Così, quando è bello, lo sfrutto subito. Ho anche qualche immagine incantevole di cigni. Creature bellissime, con la luce sulle ali candide. — Posso immaginarlo — dichiarò Pitt, pienamente d'accordo. — Sul Tamigi, mai? Lyneham arricciò le labbra e scosse la testa. — No, personalmente no. C'è chi ci ha lavorato, e molto bene anche. Per esempio un certo John Lawless ha fatto lavori eccellenti. Lui è uno specialista delle fotografie di bambini e di povera gente. Lavandaie, persone che giocano, battelli in gita di piacere, e così via. — La sua faccia s'incupì. — E il povero Cathcart, naturalmente. Anzi lui aveva addirittura una casa sul fiume. L'opportunità migliore sottomano, per così dire. — Aggrottò le sopracciglia. — Perché volete saperlo? Tutto questo ha qualcosa a che vedere con la morte di Cathcart? — Sì, è quello che temo, purtroppo — ammise Pitt. Tirò fuori la locandina del teatro in cui appariva il ritratto di Orlando, e glielo mostrò. Lyneham l'osservò solo per un momento, poi tornò a guardare Pitt. — Sì — disse piano. — È proprio il giovanotto di cui si parlava. Spero che non sia coinvolto seriamente in quello che è successo. Era così... Sembrava una persona talmente perbene! — Di che umore era? Pensateci bene, per favore. — Turbato. Profondamente turbato — disse Lyneham senza esitare. — Oh, sapeva nasconderlo bene, ma evidentemente c'era qualcosa che lo angosciava. Naturalmente non ha detto di che si trattasse. Voleva soltanto qualche informazione sugli stili del nostro lavoro, e cose del genere... nient'altro. E non ha mai menzionato Cathcart. — Non ne dubito affatto. Credo che a quel punto non sapesse neanche il suo nome. Dove lo avete indirizzato, signor Lyneham?
Lyneham lo guardò dritto negli occhi, incupito, arricciando lievemente le labbra. — All'esposizione di Warwick Square — rispose. — Stampe, incisioni, ma veramente ottime. Ho pensato che avrebbe avuto l'occasione di vedere in quella sede qualcosa sul modo migliore di sfruttare elementi come l'acqua, la luce e via dicendo. E con questo... ho dato il mio contributo... al delitto, signore? Me ne rammarico profondamente. — No — gli assicurò Pitt. — Se non l'avesse saputo da voi, glielo avrebbe detto qualcun altro. — Povero me! — Lyneham scrollò la testa. — Oh, bontà divina. Sembrava un giovanotto così simpatico. Come mi dispiace! Pitt e Tellman arrivarono all'esposizione di Warwick Square quando l'ora di chiusura era ormai prossima. Ma bastò una ventina di minuti per girare dall'una all'altra di una mezza dozzina di sale e vedere le fotografie in mostra. Le più importanti, per quello che li riguardava, erano i ritratti femminili, le distese d'acqua e l'uso di certi simboli e sfondi romantici. — Questa assomiglia proprio al quadro di quel... come si chiama? — disse Tellman a un certo momento, accennando alla fotografia di una ragazza seduta in una barca a remi, con i lunghi capelli sciolti sulle spalle e tanti fiori che fluttuavano a pel d'acqua. — Millais — gli disse Pitt. — È vero. — Salvo che lei è viva e ci sta seduta in quella barca! — fu il commento di Tellman. — Gira e rigira, il concetto non cambia. — Pitt andò avanti. Non sarebbe stato difficile a Orlando Antrim scoprire il nome di Cathcart in quella mostra. Era scritto a caratteri evidenti su un nitido cartellino sotto almeno una mezza dozzina di fotografie, e vi era anche aggiunto il suo indirizzo nel caso qualcuno volesse servirsi delle sue capacità professionali. Tutte le sue opere erano forti, e portavano la sua impronta caratteristica; ce n'era una in cui aveva usato perfino lo stesso abito di velluto guarnito di quei ricami assolutamente unici, ma qui era intatto, senza strappi, e lo indossava una esile fanciulla dai lunghi capelli neri. Pitt cercò d'immaginare cosa dovesse aver provato Orlando quando aveva finalmente scoperto non solo chi avesse scattato la fotografia, ma perfino dove abitava. Impossibile che, osservando quello stesso vestito, gli fosse rimasto ancora qualche dubbio. — È proprio lo stesso vestito, vero? — domandò Tellman, ma non aveva più dubbi. — Povero diavolo. — La sua voce era piena di compassione. — Sì — confermò Pitt, piano.
— C'è bisogno di chiedere a qualcuno se l'hanno notato qui, nelle sale? Pitt si cacciò energicamente le mani in tasca. — Sì. — C'era un custode in servizio alla mostra e si ricordava di Orlando Antrim benché, naturalmente, non lo conoscesse per nome. Ma poteva bastare. Fuori, al freddo, mentre camminava in cerca di un hansom che lo riportasse a casa, Pitt tentò di mettersi nei panni di Orlando. Cosa avrebbe fatto? Doveva avere il cervello in tumulto; la ferita al suo io più intimo, e la sensazione di tradimento, dovevano averlo fatto soffrire in modo intollerabile. Forse poteva anche non aver dato nessuna colpa a Cecily. E lottato per trovarle una scusa. Sapeva dove trovare Cathcart; adesso era venuto il momento di decidere il da farsi. La sua intenzione era di fargli del male, forse anche ucciderlo. Avrebbe dovuto scoprire tutto quello che poteva sul suo conto, ma con la massima discrezione, adesso. Magari fissargli addirittura un appuntamento per avere la certezza di trovarlo a casa. — Domani dovremo scoprire se ha provato a chiedere a qualcuno dei vicini qualcosa su Cathcart e le sue abitudini — disse ad alta voce. — E anche dove si è procurato l'arma — soggiunse Tellman. — Qualcuno può averlo visto. Basterà essere insistenti, non mollare. — Sì... lo penso anch'io. — Ma non provava piacere, non si sentiva soddisfatto per essere arrivato alla soluzione, era solo oppresso da quella immane tragedia. Passò una nottata irrequieta e piena di tristezza. La casa sembrava fredda senza Charlotte e i bambini, anche se aveva voluto tenere accesa la stufa in cucina. Ma si sentiva depresso. Sapeva di non potersi aspettare più altre lettere di Charlotte in quanto, se il tempo sulla Manica lo permetteva, nel giro di un paio di giorni sarebbe rientrata di nuovo a Londra. Nel frattempo doveva seguire i passi di Orlando Antrim, procurarsi le prove del modo in cui aveva assassinato Cathcart e poi andare ad arrestarlo. Si sentiva il cuore di piombo tanto era in collera verso Cecily Antrim così arrogante, e sicura di sapere quale fosse il modo migliore di battersi per la propria causa senza mai pensare alle conseguenze! A questo modo aveva distrutto suo figlio. Si trovò con Tellman a Battersea, in fondo al ponte, appena passate le nove. Tellman era già arrivato: una figura solitaria che si delineava nella nebbia del primo mattino, il colletto rialzato, il cappello calato sugli occhi. — Stavo riflettendo su una cosa — disse quando, sentito il passo di Pitt, rialzò la testa. — Non aveva nessun bisogno di domandare dove abitasse Cathcart. Lo sapeva già. E non avrebbe avuto interesse a mostrarsi troppo
apertamente incuriosito sugli altri eventuali abitanti della casa... se c'era un domestico fisso che potesse accorrere in soccorso del padrone o anche una cameriera pronta a ricordarsi di lui e magari a richiamare l'attenzione con i suoi strilli. Prima di tutto avrebbe dovuto controllare se c'erano dei vicini, e come entrare da Cathcart, e poi venir via. — Sì, avete ragione — ammise subito Pitt, affrettando il passo. — E quale arma intendeva usare? — riprese Tellman, con aria imbronciata mentre procedevano insieme sulla strada verso il fiume e la casa di Cathcart. Pitt non aveva nessuna voglia di affrontare quella domanda, ma era inevitabile. — Quanto a questo, avremo la risposta quando sapremo in che momento l'ha scelta. — Non sappiamo cos'abbia adoperato — gli rammentò Tellman. — E in ogni caso, ormai, adesso è in fondo al fiume. Io, almeno, me ne sarei liberato così, e voi? — A meno che non gli sia caduta per sbaglio, al buio — replicò Pitt. — Avrei dovuto chiedere alla signora Geddes se mancava qualcosa. — Se la prese mentalmente con se stesso. Che svista! — Possiamo sempre farlo. Sappiamo dove abita. — Sembrava che Tellman si offrisse di occuparsene lui. Bisognava risolvere quel problema. E Pitt accettò. — Bene! — Tellman si raddrizzò sulla persona, baldanzoso. — Vi raggiungo al Crown and Anchor per l'una. — E si avviò a passo lesto lasciando a Pitt un obiettivo molto più confuso, cioè seguire passo passo le eventuali indagini che Orlando doveva aver fatto per sapere qualcosa sulla vita e le abitudini di Cathcart. Tornò in direzione della Battersea Bridge Road, allontanandosi dal fiume e dalla nebbia che allungava le sue soffici volute sull'acqua; l'autunno era nell'aria come l'odore della terra smossa, del fumo di legna, dell'ultima falciatura dell'erba, dei crisantemi. Raggiunse il centro del quartiere, i negozi e i pub, tutti posti dove Orlando poteva essere entrato a chiedere informazioni o a comprare qualcosa da usare come arma. Rifletté che doveva essere un oggetto di peso considerevole perché il colpo, inferto con esso, potesse uccidere. Un pezzo di tubo di piombo, o magari il manico di un attrezzo da giardino. Passò davanti a un negozio di farmacista con le bottiglie di vetro azzurro esposte nella vetrina, e a quello di un droghiere. Attraversò la strada. C'era una fila di poche case di fronte a una modista e a un guantaio. Da quella stessa parte, un commerciante di vini. E se Orlando si fosse rivolto lì? Una bottiglia era un'arma eccellente. Provò la lavanderia, la latteria, l'ortolano e il macellaio.
Nessuno ricordava una persona che rispondesse alla descrizione di Orlando. Avrebbe potuto essere entrato da loro... oppure, no. Non erano in grado di dirlo. Si ritrovò al Crown and Anchor prima dell'una, e ordinò un bicchiere di sidro per sé e uno per Tellman, pronto per quando fosse arrivato. — Non manca niente — disse Tellman ringraziandolo con un cenno del capo. Bevve avidamente, guardando spesso in direzione della porta che dava in cucina dalla quale arrivava a folate un profumino stuzzicante di pasticcio di carne e rognone. Aveva un debole per quelli con una bella crosta grondante di grasso, come Pitt. — Ne prendiamo un po'? — Non c'era bisogno di specificare altro. Erano le prime ore del pomeriggio quando cominciarono a prendere in esame il problema dell'arma adatta e di dove Orlando potesse averla trovata o comprata. — Ecco, non può essere un oggetto pericoloso perché si sarebbe notato subito — disse Tellman, scuotendo il capo. Aveva l'aria profondamente depressa, malgrado l'ottimo pasto. — Chi avrebbe mai pensato che persone tanto intelligenti dovessero finire per assassinare qualcuno? — disse afflitto. — Hanno qualcosa di... magico... nella loro personalità. Mi ha proprio lasciato... — Rimase lì senza saper trovare le parole adatte a esprimere lo stupore, l'emozione e il timoroso rispetto provati per quel mondo a cui gli era stato concesso di dare un'occhiata. Pitt capì che non era necessaria una risposta. Condivideva pienamente tutte le sensazioni di Tellman. Entrarono, per prima cosa, in un negozio di ferramenta, che sembrava il posto più logico da dove partire, una bottega letteralmente rigurgitante di ogni attrezzo o utensile concepibile e immaginabile per la casa, dagli innaffiatoi alle forme per gelatina, dagli scaldini per i piedi, da carrozza, alle lanterne a gas, dai cavatappi ai gong da tavolo, dai porta-toast a zappe, forconi e falci, alle bagnarole di zinco, agli attrezzi da falegname e a una sfilza di coltelli da usare per ogni scopo possibile. Vide i grossi aghi da cucina, per legare i volatili prima di cuocerli allo spiedo, gli spinotti per lardellare gli arrosti, cavatorsoli, frullini per uova, seghe per la carne e un massiccio matterello in ceramica. Le parole gli uscirono di bocca prima che facesse in tempo a riflettere. — Bell'oggetto, quello lì. Ne avete venduto qualcuno ultimamente? — Lo prese in mano. Era l'arma perfetta: tondo, duro, pesante, facile da maneggiare. — È l'ultimo che mi è rimasto, fino a che non me ne arrivano altri — replicò il negoziante. — Avete ragione, signore. Ne vendiamo una quantità.
Sono veramente ottimi. — Sembrava che l'uomo fosse deciso a realizzare un buon affare a ogni costo. — Non ne dubito affatto — replicò Pitt, sentendosi travolgere da un'ondata di collera e di angoscia. — Ma io sono un funzionario di polizia e sto indagando sull'omicidio del signor Cathcart, avvenuto più o meno a un chilometro e mezzo di qui, e ho bisogno di una risposta alla mia domanda. Ne avete venduto uno a un giovanotto alto, con i capelli biondi, due settimane fa? Il negoziante impallidì visibilmente. — Io... io non sapevo che ci fosse qualcosa di male! Sembrava... molto tranquillo, parlava educatamente. Ma, no, non aveva i capelli biondi, a quanto ricordo, ma piuttosto... come se... — I capelli non hanno importanza! — esclamò Pitt, spazientito. — Era alto, snello, giovane... sui venticinque anni? — Anche se Orlando, adesso che ci pensava, avrebbe potuto camuffarsi in molti modi diversi. — Non... non ricordo. Però, quel giorno, ne ho venduto uno. Lo so perché sono molto attento a controllare le mie scorte. — Grazie. Può darsi che vi venga richiesto di rilasciare una deposizione in merito, quindi conservate con cura i registri delle vendite. — Senz'altro! Ve lo assicuro. Quando si ritrovarono fuori, Tellman si fermò di botto a fissare Pitt con aria grave. — Qui non c'è molto di più da fare, vero? Potrebbe aver fatto passare il tempo fino alla sera in uno qualsiasi dei pub che ci sono qui intorno. Se volete, vado a informarmi, ma mi par di capire che non è più necessario, adesso che abbiamo il matterello. — No, effettivamente no. Sarà meglio provare a vedere se riusciamo a ritrovarlo anche se, probabilmente, è in fondo al fiume. Sarebbe una prova. Tellman si tirò su il colletto del cappotto e si misero in marcia, in silenzio, per tornare alla casa sul fiume. Dovevano farlo prima del buio, e rimanevano ancora un paio di ore di luce. La signora Geddes, che era stata mandata a chiamare, li aspettava. Rimase a osservarli, diffidente e sospettosa, quando entrarono in casa di Cathcart e cominciarono a ricostruire solennemente l'assassinio: Pitt faceva la parte di Orlando, e Tellman quella di Cathcart. — Lui dev'essersi trovato qui — disse Tellman, stringendo le labbra, mentre andava a fermarsi vicino al piedistallo dal quale il vaso era caduto, andando in mille pezzi, sostituito prontamente da quell'altro. — Mi domando perché — disse Pitt, meditabondo. — Voltava le spalle a Orlando quando è stato colpito, e questo mi porta a domandarmi come Orlando ab-
bia camuffato il matterello. Nessuno va in visita da una persona portandosi dietro uno di quegli attrezzi. Tellman gli scoccò un'occhiata truce. — Quindi deve averlo dissimulato in qualche modo. Magari infilandolo in un rotolo di carte, come un fascio di disegni o roba simile? — Questo sembra più probabile. Quindi se Cathcart si trovava dove siete voi adesso e Orlando qui... — e Pitt indicò il posto con un gesto — è evidente che Cathcart doveva avere tutta la sua attenzione concentrata su qualcos'altro, o avrebbe notato subito che Orlando svolgeva il fascio dei fogli da disegno e ne tirava fuori un matterello, e si sarebbe allarmato... È un atto che non ha una spiegazione ragionevole. — Allora vuol dire che non ha visto — ribatté Tellman tagliando corto. — Stava andando in qualche posto, e precedeva Orlando. Lui lo ha colpito alle spalle... almeno questo lo sappiamo. Pitt fece il gesto di alzare il braccio come se volesse colpire Tellman. E Tellman piegò le ginocchia e si lasciò scivolare sul pavimento, abbattendosi più o meno nello stesso posto in cui poteva essere caduto Cathcart. — E adesso? Se pensate che io mi lasci mettere addosso una qualche veste... — Zitto! — esclamò Pitt, seccamente. — Rimanete dove siete! Ma, piuttosto... dove erano conservati il vestito verde e le catene? Qui no, di sicuro! — Molto probabilmente su, nello studio — replicò Tellman, sempre bocconi sul pavimento. — Con tutto l'altro materiale di cui si serviva per le fotografie. Quello che vorrei sapere io, invece, è come Orlando fosse al corrente che la barca a fondo piatto si trovava qui, e non altrove. Avrebbe potuto essere ovunque, in un lago o fiume qualsiasi, a chilometri di distanza... magari, addirittura, in un'altra contea. Pitt non gli rispose. Nel suo cervello stava cominciando ad affiorare una nuova idea, assolutamente straordinaria. Tellman rotolò supino e poi si mise seduto sul pavimento, accigliato. — Allora? Cosa state pensando? — Sto pensando che non è sceso sicuramente a girovagare per il giardino, al buio, per vedere se c'era una barca ormeggiata sul fiume — replicò Pitt. — Penso che sia stato qui prima, e abbastanza di frequente, per sapere che tutte queste cose c'erano già e dove trovarle esattamente... — Ma non è così... — ribatté Tellman con decisione. — Ha dovuto domandare dove fosse la casa... al padrone del pub. Questo, lo sappiamo. — Oppure qui c'era anche qualcun altro — rispose Pitt. — Qualcuno che
sapeva... qualcuno che ha finito il lavoro che Orlando aveva solo cominciato. — Ma... se è venuto solo! — Tellman si tirò su di nuovo, in piedi. — Secondo voi, quella stessa sera, qui c'era qualcun altro? — Non so cosa pensare — confessò Pitt. — Ma non posso credere che Orlando Antrim abbia assassinato Carthcart, in un accesso di furore, per il modo in cui si era servito di Cecily, e poi si sia messo a frugare per tutta la casa per vedere se poteva trovare le vesti e le catene, e la barca, per fare una grottesca riproduzione di quella fotografia. Prima di tutto, non c'era nessun segno di lotta quando la signora Geddes è arrivata al mattino, e questo significa che, se ha frugato di qua e di là, poi ha messo di nuovo tutto esattamente nel posto dove l'aveva trovato. Vi sembra il modo di comportarsi di un uomo in preda alla follia omicida, questo? — No. Ma Cathcart è morto — obiettò Tellman con molto buonsenso. — E qualcuno gli ha infilato quel vestito e l'ha incatenato alla barca, e poi ha sparso intorno tutti quei fiori... e sono pronto a giurare su qualsiasi cosa vogliate che si è trattato di qualcuno che lo odiava... e lo odiava per via di Cecily Antrim. In più, sappiamo che Orlando è stato qui, e ha comprato il matterello. — Faremo meglio ad andare a cercarlo — disse Pitt con aria afflitta. — Prima che faccia buio. Abbiamo solamente poco più di un'ora. Si avviarono insieme lungo il sentiero che portava al fiume mentre la signora Geddes rimaneva a osservarli dalla porta che dava sul giardino. Erano bagnati fradici, coperti di melma, e stava calando la sera quando Tellman ci mise sopra un piede e scivolò sull'orlo dell'argine. Imprecò e lo tirò fuori ripulendolo nell'acqua del fiume e alzandolo, in un gesto di rabbioso trionfo, per farlo vedere a Pitt. Furono costretti a strappare il negoziante di ferramenta dalla sua cena per identificarlo. Si presentò sulla porta con il tovagliolo infilato nel bordo del panciotto, in atteggiamento singolarmente riluttante. Occhieggiò il matterello con disgusto. — Sì. È uno dei miei. Ci metto il mio marchio in blu, proprio così. Lo vedete? — E indicò un minuscolo timbro blu all'estremità del matterello, vicino al manico. — Ne siete sicuro? — Certamente. Non lo direi in caso contrario. E i miei registri lo dimostreranno. — Grazie. Spiacenti di avere interrotto la vostra cena. — E adesso? — domandò Tellman quando si ritrovarono fuori, al buio.
— Basta per arrestarlo? — Sembrava stanco e dubbioso. Pitt era pieno d'incertezze anche lui. Però non ne aveva nessuna sul fatto che Orlando Antrim avesse visto la fotografia di sua madre, rimanendo turbato e sconvolto. Si era messo in cerca delle fotografie e aveva trovato l'abitazione di Cathcart. Era stato lui a comprare il matterello. Ma non era altrettanto facile essere sicuri che avesse provveduto lui a vestire il cadavere di velluto verde per incatenarlo, poi, sulla barca cospargendolo di fiori. C'era da pensare che, oltre a Cathcart, quella sera ci fossero state lì due persone? E in tal caso, di chi si trattava? Sapeva che le coincidenze sono sempre possibili, ma era un'idea che gli garbava poco. — Non so se possiamo arrestarlo — rispose riscuotendosi. — Be', non può che essere stato lui — insistette Tellman. — Era qui, lo sappiamo. E aveva un mucchio di ragioni per uccidere Cathcart. Ha comprato l'arma del delitto e noi l'abbiamo trovata. Cos'altro resta... a parte stabilire come sapesse dove trovare la veste di velluto e le catene? — E la barca — soggiunse Pitt. — Be', qualcuno dev'essere pur stato. — Tellman non nascondeva la sua esasperazione. — Su questo, non potete discutere! E se non si tratta di lui, allora chi c'era qui? E perché? Chi altri avrebbe potuto preoccuparsi di tutta quella messinscena con la barca e i fiori? Non avrebbero preferito squagliarsela in tutta fretta? Lasciarlo lì, dov'era. Perché vestire un cadavere... un uomo che qualcun altro aveva ucciso... e rischiare di venir colti sul fatto? — Il rischio non era poi molto — obiettò Pitt. — In fondo a un giardino sul fiume, nel bel mezzo di una notte nebbiosa. Con tutto ciò, si è preso la briga di farlo e quindi per lui doveva essere qualcosa di enormemente importante. Attraversarono la strada, a passo lento, tornando verso il ponte. — E se, dopo tutto, fosse stato qualcuno che lui ricattava? — insinuò Tellman. — Oppure, cosa più probabile, qualcuno che detestava quel genere di fotografie e le sensazioni che fa nascere nel cervello della gente? Pitt pensò a Ralph Marchand. Era plausibile. Intanto però, un'altra idea si andava formando nella sua mente, vaga, forse stupida, anche se diventava più chiara a ogni passo. Non appena vide passare una vettura di piazza, la fermò e, mentre Tellman lo fissava sbalordito, gli disse dove voleva essere portato: non era l'indirizzo del teatro ma quello del medico legale. — Cosa volete da lui? — domandò Tellman sbalordito. — Com'è morto,
lo sappiamo! Pitt non rispose. Quando arrivarono disse al vetturino di aspettare, salì correndo la rampa di gradini del palazzo, e vi entrò. Profondamente sollevato scoprì che il chirurgo era ancora nel suo studio. Sapeva benissimo quale fosse la sola domanda che voleva fargli. — C'era acqua nei polmoni di Cathcart? Il medico legale parve sconcertato. — Sì, un po'. Volevo dirvelo, la prima volta che mi fosse capitato di vedervi. — Socchiuse gli occhi. — Non fa nessuna differenza al vostro caso. — Ma lui, in sostanza, è morto per il colpo che ha ricevuto alla testa o per annegamento? — insistette Pitt. Il chirurgo lo guardò fissamente. — Da un punto di vista clinico, suppongo che sia stato l'annegamento prima della ferita, ma è una questione accademica, Pitt. Sarebbe morto comunque per il colpo alla testa... oppure di assideramento, ferito com'era, bagnato fradicio, e abbandonato all'aperto, sul fiume, a quel modo. In qualsiasi modo vogliate considerarlo, è sempre omicidio. È questo che vi interessava? — Non ne sono sicuro — disse Pitt con tutta onestà. — Grazie. Venite, Tellman. — E girò sui tacchi. — A teatro, adesso? — domandò Tellman, affrettando il passo per raggiungerlo mentre lui scendeva rapidamente i gradini e risaliva in vettura. Non parlarono più durante la corsa nel buio, per le strade illuminate dai lampioni a gas, accompagnati dal sordo rotolio delle ruote, mentre Pitt sedeva proteso in avanti, come se avesse potuto far affrettare il passo al cavallo con uno sforzo di volontà. Aveva già aperto lo sportello, scendendo prima ancora che si fermassero. Lasciò che fosse Tellman a pagare il vetturino e a seguirlo. Con enorme sollievo vide che il palcoscenico era ancora illuminato benché si fosse ormai alla fine dell'ultimo atto. Gertrude e il re erano già morti, come Laerte; Polonio e Ofelia non vivevano più già da tempo, lui per un incidente e lei suicida, annegandosi. Amleto, Osrico, Fortebraccio e Orazio erano circondati da cadaveri. Si udì un susseguirsi di spari. — "Che rumore è questo? Di guerra?" — chiese Amleto, volgendosi da quella parte. Gli rispose Osrico. Poi Amleto si voltò verso il pubblico, gli occhi stravolti dall'agonia, guardando fisso davanti a sé dove Pitt era in piedi, nel passaggio fra le file delle poltrone. — "Io muoio, Orazio; il veleno potente sopraffà il mio spirito. Non vivrò fino a sentire le notizie d'Inghilterra; ma profetizzo che la scelta cadrà su
Fortebraccio. Egli ha il mio voto morente. Digli questo, con i fatti, più o meno, che hanno provocato." — La sua voce era rauca, toccava il cuore. — "Il resto è silenzio." — Si ripiegò su se stesso accasciandosi al suolo. Adesso la sala era ammutolita e il pubblico avrebbe anche potuto non esistere, salvo per la tensione che vibrava nell'aria come all'arrivo di una tempesta. — "Ora si spezza un nobile cuore" — disse Orazio con la voce rotta dalle lacrime. — "Buonanotte, dolce principe, voli di angeli cantino per il tuo riposo!" Fortebraccio e gli ambasciatori inglesi entrarono mentre venivano pronunciate le ultime, tragiche parole. Dopo un attimo di completo silenzio, gli applausi proruppero come lo scroscio di un mare in burrasca e si poterono sentire voci che gridavano: — Bravo! — più di una volta. Calò il sipario e l'intera compagnia si presentò alle chiamate del pubblico, Orlando al centro, Cecily radiosa al suo fianco e Bellmaine livido, grigio in faccia, come se Polonio fosse uscito dalla tomba per ricevere la sua parte di lodi. Pitt salì sul palcoscenico. Non poteva permettersi di aspettare oltre. Tellman non lo mollò di un passo. Orlando si fece avanti. Aveva la faccia tirata, e appariva completamente esausto. Avanzò di un passo, ma tremava. — Siete venuto per me. — La sua voce era limpida, dolce. — Grazie di avermi lasciato finire. — Sono un poliziotto, non un barbaro — rispose Pitt, anche lui a mezza voce. Orlando venne ancora avanti, tendendo verso di lui le mani come se fosse pronto a farsi ammanettare. Non guardò sua madre neanche una volta. — Cosa succede? — domandò Cecily passando con gli occhi dall'uno all'altro. — Sovrintendente, cosa volete? È il momento meno adatto. Orlando ha appena finito di darci forse la più grande interpretazione di Amleto che ci sia mai stata. Se pensate di aver ancora qualcosa da domandare, venite domani... verso mezzogiorno. — Non capisci, mamma — disse Orlando senza voltarsi verso di lei. — Non hai mai capito. Il signor Pitt è venuto ad arrestarmi per l'assassinio di Cathcart. Benché non sia stato io a metterlo in quella barca sul fiume. Non so come sia successo, lo giuro. — Non essere ridicolo! — Cecily si fece avanti e stavolta si rivolse a Pitt, non a suo figlio. — È esausto. Non capisco perché dica cose simili. Che assurdità. Per quale motivo avrebbe dovuto assassinare Cathcart? Se
non lo conosceva neanche! Orlando si voltò lentamente verso di lei. Aveva la faccia esangue, gli occhi infossati: — L'ho ammazzato perché lo odiavo per quello che ti ha fatto diventare. Tu sei mia madre! E quando degradi te stessa, degradi anche me... — Non capisco di che cosa stai parlando! — protestò lei. E a giudicare dal suo sguardo franco e aperto, Pitt si convinse che continuava a non intuire cosa avesse fatto Orlando. Fu Bellmaine a spiegarglielo. Passò davanti a Orlando fermandosi vicino a Pitt, ma si rivolse a lei. — Hai combattuto la tua crociata senza pensare a come poteva colpire e ferire le persone che ti volevano bene, Cecily — disse con voce bassa, dolente. — Ti sei fatta fare certe fotografie perché pensavi che lasciassero la gente sconvolta e la costringessero a riflettere come tu desideravi. Hai scatenato emozioni e sentimenti nuovi e fortissimi; non ti sei fermata a pensare, o a preoccuparti, che così facendo potevi distruggere quanto quelle persone avevano di troppo caro per perderlo senza venirne straziate e distrutte interiormente. E così hai distrutto tuo figlio, Cecily. Il cervello può dirgli che la pornografia va benissimo se spezza e distrugge antichi pregiudizi, ma il cuore non può accettarlo. Il cuore dice soltanto: "Quella è mia madre! È lei che mi ha fatto quello che sono!". Ecco che finalmente l'orrore l'aveva toccata. Girò gli occhi verso Orlando. Lui non rispose. Ma il suo viso era abbastanza eloquente, tutta la collera, lo smarrimento, la sofferenza erano rivelati dai suoi lineamenti tirati, sconvolti. Di scatto, le voltò le spalle. Tese i polsi a Pitt. — No. — Bellmaine lo toccò con infinita dolcezza. — Tu l'hai colpito, ma non ucciso. A ucciderlo sono stato io. — Tu? — domandò Cecily. — Perché? — Perché l'odiavo. Continuava a ricattarmi — rispose Bellmaine, con voce affranta — per una fotografia per la quale avevo posato anni fa... quando avevo bisogno di soldi. Mostrata e messa in giro adesso, mi avrebbe rovinato. Un attore conta sull'immagine. Ma soprattutto per proteggere mio figlio... — Vostro figlio... — cominciò a domandare Pitt, poi passò con gli occhi da Cecily a Bellmaine, e a Orlando, e lo vide sui loro volti. Orlando aveva i capelli e gli occhi di sua madre, ma in lui c'era anche una grande somiglianza con Bellmaine. E ne trovò la conferma nel silenzio di Cecily. Orlando non lo aveva mai saputo. Anche questo era chiarissimo. — Come avete fatto a capire che Orlando era andato a casa di Cathcart?
— domandò Pitt. Bellmaine alzò le spalle. — Che importanza può avere adesso? Avevo capito che era molto sconvolto, già la sera prima. Non sapevo perché. Poi il giorno della sua morte, Cathcart mi mandò ad avvertire che non dovevo andare a casa sua a pagargli la somma che gli versavo mensilmente perché aspettava un nuovo cliente, che aveva preso appuntamento con lui quel giorno stesso. Un giovanotto che si chiamava Richard Larch. — E chi è Richard Larch? — domandò Cecily. — Il primo personaggio interpretato da Orlando — rispose Bellmaine. — Non te ne ricordi più? Allora ho capito, o perlomeno ho avuto paura. Avevo visto anch'io quel ritratto di Ofelia. Ecco perché l'ho vestito... — Deglutì a fatica e sembrò che vacillasse. — Ecco perché l'ho vestito a quel modo sistemandolo sulla barca. Era ancora vivo. Ma sapevo che non sarebbe durato molto al freddo... e nell'acqua. Era come se... — Gli morì il fiato in gola. — C'è una specie di rispondenza in tutto questo. Trent'anni fa anch'io sono stato un buon Amleto. Non buono come Orlando. Allora Cecily era la mia Ofelia. Pitt si accorse che la sua faccia livida si era coperta di sudore improvviso, e intuì. Fu contento di non aver avuto il tempo d'impedirlo. Bellmaine cadde in ginocchio. — "Io muoio, Orazio" — disse con voce rauca. — "Il veleno potente soppraffà il mio spirito... il resto è... è..." — Non finì la frase. Cecily gli chiuse gli occhi con le guance pallide rigate di lacrime. Orlando non le andò vicino. Per un attimo guardò Pitt, poi si curvò sul corpo immobile di suo padre. — "Buonanotte, dolce principe" — sussurrò. — "Voli di angeli cantino..." Ma anche lui non riuscì a concludere la sua battuta. Lo colpiva al cuore, troppo a fondo. In silenzio Pitt si voltò per andarsene, seguito da Tellman, con la faccia bagnata dalle lacrime. FINE