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(Marz., coll. THEOGN. 51 cit.), Af`gjl _ n8h vffjnk sh (cf. POLL. VIII 152s., insospettata fonte era ALCAE. fr. 70, 10 f$\l / g p $ f s ... g q \ l ), la cui scaturigine platonica era sfuggita: A ... n nj+ j e ` j o q c k m n m d l eefbn\d (cf. Resp. 560a m n m d l _ e \ v h n m n \ m d l e \ g q b ). Un binomio che risale, tuttavia, allo stesso ed archetipico ALCAE. fr. 130b, 11s. p`$^`dh n]h Af`gjhE mnmdh ^k / Akl ek[mmjh\l] j'e zg`dhjh hhfbh (cf. HERODOT. VIII 3,1 m n m d l ^ k g p o f j l Ajfgjo <j'e> gjpkjhjhnjl [-`hnsh Marz., coll. VIII 75] njdj$n< eedh mnd m< Af`gjl `khbl: le integrazioni sono mie, coll. HORAT. c. I 22, 12 fugit inermem, HESIOD. Op. 210 zpksh _’ l e’ cf Akl ek` mmjh\l vhndp`k a`dh), cf. CHANTRAINE, «RPh» XXIV (1950) 72s., nonché GENTILI, «Maia» I (1948) 62s. Nel contiguo Suda m 1005 mnmdl: A Ahj l ]d\ jo vhgjo (an ]d\ sh vhgsh? Marz.), il citatum patentemente risale al notissimo ALCAE. fr. 208(a), 1, per il tramite di POLYB. I 48, 2 vhgjo mnmdl (q.v.) Con Erodoto emergono i significativi m n \ m d a s (V 96 etc.), nonché m n \ m d 0 n b l (I 60, 61, etc.). Emblematico appare HERODOT. III 82 ( q c ` \) i :h m n m d ` l ^^ ^hjhn\d, e _ n8h m n \ m s h p h j l, e _ nj+ p h j o vA]b l g j o h \ k q b h . Per il sospetto di sofistica dottrina, cf. DEMOCR. fr. 249 D.-K. p c h j l m n m d j l v k q h v A ` k ^ a ` n \ d , HERODOT. VIII 3, già SOLO, fr. 4, 19 W.. Siffatto quadro strutturale risulta integralmente ignorato da H.-J. GEHRKE, La stasis, in I Greci. Storia, cultura, arte, società. 2, «Una storia
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«libertà» è lo scopo di questi «volontari», cf. Xenoph. An. IV 1, 26 &Ajmnl c`fjhnl Ajk`$`mc\d. Ma c ` f j h n k è unica forma in ] 291s., un passo al nostro scopo significativo: ^1 _’ vh _ gjh }n\ kjol / \r’ c`fjhn k\l moffijg\d (cf. Xenoph. An. VIII 4, 8 fqjh... moh`fi\nj, soprattutto Herodot. I 59 e\n\pkjhm\l nh nok\hh _\
^`dk` nk nbh mnmdh, moffi\l _ mn\md0n\l e\ n> f^< n8h &A`k\ek sh Akjmnl). È Atena, che nella Odissea recluta i primi “volontari della libertà”, organizza il putsch, il cui modello operativo è testimoniato (nelle varie fasi) da Alceo68. Siffatto schema, a ben considerare, risulterà trasversalmente iscritto nelle parole tumultuose, scambiate tra Egisto ed il Corifeo, in Aesch. Agam. 1649–5469: ––––––––––––––– greca», II. Definizione, Torino 1997, 453–480. Manca, tuttavia, ogni traccia della drammatica vicenda di Alceo, delle aspre vicissitudini della antica Lesbo, della copiosa né sempre unanime letteratura in proposito. Nell’Indice compare il solo ed inatteso «Alcaeus (Diehl) fr. 50 (= 350 Lobel-Page): 516 n. [“mercenarii”]», ignorando la ormai canonica edizione della Voigt (1971). A pag. 472 si legge «l’esilio, c o m m i n a t o in giudizio»: ovviamente, «irrogato», qui gergalmente travolto. Quanto ad ALCAE. fr. 130b, 11 (da noi citato), lo stesso LSJ, Revised Supplement (1996), 279 (s.v.), ingiunge di inserire «Alc. 130, 26 L.-P.», trascurando (sistematicamente) la edizione della Voigt, ma soprattutto il fatto che nel v. 13 da tempo viene riconosciuto l’incipit di un nuovo e diverso carme. 68 Il tradimento di Pittaco costituisce drammatica evenienza, in un regime (oligarchico) democraticamente costituito. È significativo, che i primi A k j _ n \ d siano testimoniati da Erodoto (VIII 30, 128, 144, Akj_jm b, VI 10; 88; 100; 102, VIII 128, ma cf. PIND. fr. 160 Sn. c\hhnsh _ e\ [f^jd expunxit Bergk: f^< Marz.] p fjd Akj_n\d, singolare è l’unicismo di [AESCH.], Prom. 1068 (nj%l Akj_n\l... gdm`h), soltanto in LYS. fr. 71, emergeranno i Akj_n\d n8h kesh. In Tucidide frequente è A k j _ j m \ , singolare è III 19 Akj_n\l n8h Ak nj+ p fsh (cf. gli ulteriori III 40, IV 114). Quanto a Pittaco spergiuro, conviene richiamare la sintetica valutazione trasmessaci dal cit. DIOG. L. I 78: egli diffidava dal tradire, predicava, infatti, `'m]`d\h vme`h, mspkjm$hbh pdf`h, vfc`d\h q`dh, A mndh, gA`dk \h, Ad_`id0nbn\, }n\dk \h, Adgf`d\h. La }n\dk \h certamente qui significa «generosità», ma vivamente recalcitra l’alcaico giuramento, che parimenti, anche se monco (fr. 129, 14ss.), ...gb_g\ gb_’ h\ n8h n\ ksh (ove si impone, a dispetto degli editori, un finale punto fermo). Quanto ad c`fjhnl, esso è frequente in Erodoto (I 5, Elena fuggitiva, 9x), come in Tucidide (4x). In ANACR. fr. 388, 5 spicca l’ c`fAjkhjl (hapax) Artemone. 69 Quanto segue, fino alla pag. 47, fu anticipato in «MCr» XXXII–XXXV (1997– 2000) pp. 37–45, con l’emblematico titolo di «La riscossa degli esuli»: sono lievi gli adeguamenti. Ignoro le reazioni di alcuni studiosi, da me puntualmente contestati. Il testo tragico qui trascritto è quello, autorevole, di Eduard FRAENKEL (Aeschyl. Agam., vol. 3, Oxford 1950, Add. II 829–32), frutto del più scrupoloso, ma anche dialettico confronto con la sterminata (ed altrimenti inaccessibile) letteratura variorum: una sorta di moderno e scaltrito Eustazio. L’infaticabile commen-
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FN.
zff’ A` _je`l n_’ k_`dh e\ f^`dh, ^h0m nq\. `\ _, p fjd fjqn\d, nj*k^jh j 'q }e l n _ `. ZT. `\ _, i pjl AkesAjh Al ndl `'nk`Adans. FN. vff ev^1 gh AkesAjl ej'e vh\ hjg\d c\h`h. ZT. _`qjghjdl f^`dl c\h`h m`E nh n$qbh _’ \kj$g`c\. OP. gb_\g8l, 9 p fn\n’ vh_k8h, zff\ _kmsg`h e\e.
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Le evidenze sono molteplici, per la maggior parte sfuggite ai segugi della intertestualità: non solo di carattere formale, ma topiche, a dispetto delle curvature situazionali. Le diverse prospettive appaiono speculari, Eschilo descrive, infatti, l’ambascia che travolge il Palazzo (l’alcaico g ^ \ l _ g j l), nella imminenza dell’assalto rivoluzionario. Il tiranno sa di essere solo, si affida alla truculenza: il contrattacco resta verbale, confusamente si abbandona alle minacce, moralmente soccombe, una estrema volta. Il singolare ribaltamento non può non confondere la cartacea indagine, innanzitutto travolgere la struttura della interlocuzione, condurre gli studiosi a conclusioni generalmente candide, incomprensibili. Protagonista, per noi, è il Corifeo, che al tiranno ha rinfacciato viltà, intuisce l’incombente ritorno di Oreste (v. 1647 e \ n ` f c 1 h ... Ak`og`h`... n$q), l’uccisore della innominabile coppia (v. 1648 vgpjh njh_`). Si appropria della parte giocata (dall’esterno) da Alceo in persona, costituisce il maggiore «attante» nello scagliare (v. 1616) _bgjkkdp`l ... f ` o m g j o l v k l. A Egisto non rimane che prendere atto delle ingiuriose aspettative, assicurare al protervo subordinato la debita punizione (vv. 1649s.). Ambigui risultano, del resto, k_`dh come f^`dh, l’uno ––––––––––––––– tario, come si vedrà, non solo consente conclusioni talvolta diverse da quelle che sostiene l’Autore, ma ne costituisce, oltre che provocatorio spunto, garanzia di credibilità, se non di verità. Invidiabile scepsi oppose DENYS PAGE al monumentale travaglio di Fraenkel: egli aveva inoltre il merito di avere rielaborato il vasto e complesso materiale, che J.D. DENNISTON lasciò in abbozzo (1949: cf. DENNISTON-PAGE, Aeschyl. Agam., Oxford 1957). Di lucida esperienza critica e ricostruttiva, Page darà prova nella edizione di AESCHYL. Tragg., Oxford 1972. Inattendibile risulta M.L. WEST, Aeschyli Tragg., Leipzig 1990, la più recente a noi nota. L’apparato, sorprendentemente loquace (quello dei Lirici, dal medesimo curato, al confronto è spettrale), testimonia la velleitaria misura della impresa. Risultano eccezionali gli «arcaici» tetrametri trocaici, usati da Eschilo: essi esprimono la impetuosa drammaticità di questo finale (edhbndeh è siffatto metron, nonché Ak\endeh, cf. ARISTOT. Poet. 1459b37s.), cf. SOPH. OR 1515–24, unico parallelo. Come nei successivi Agam. 1665–73, ove si tratta egualmente di cataletti, che esaltano la singhiozzante sticomitia (cf. KOSTER, Traité de métrique grecque, 106s.), dispettosamente messa in dubbio: ignoto ai soli acataletti è siffatto metron, consueta la struttura e\n mn qjh, nel nostro caso però non eludibile.
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riferito alla impresa di Oreste, l’altro alla conclamata aspettativa del Corifeo (cf. v. 1667). Pentimento (jk^\ / k^jh) ingiunge ^ h 0 m n q \ (v. 1649), una perifrasi tuttavia debole, trasversa. Per mezzo di identica, ma vibrata espressione, Clitennestra aveva rintuzzato il medesimo avversario, nel v. 1425: ^ h 0 m _d_\qc` l r ^j+h n mspkjh`h. Non diversamente, infine, Egisto, nei vv. 1619s.: ^ h 0 m ^ksh 7h 2l _d_me`mc\d ]\k% / n> nbfdej$n<, cf. v. 1670 (F^.) mcd gjd _0msh zAjdh\ n m_` gsk \l qkh<, nonché vv. 808ss. (Zjk. contra Aegisth.) ^h0m _ qkh<... / ... nh ve\ ksl / Afdh jejokj+hn\ Ajf nsh, v. 1628 (F^.) e\ n\+n\ nzAb ef\ognsh vkqb^`h . In Platone (Gorg. 505c, al.), \'nl ^h0m ha valore assoluto, è perentoria minaccia (cf. Agam. 808 cit.), consolida il colloquiale stereotipo. L’infelice intervento di Egisto non può avere seguito. Tanto meno persistere nel verso seguente, esplodere in un incongruo incitamento (`\ _), blandire con il troppo confidenziale p fjd le immaginarie guardie del corpo, proclamare non lontano nj*k^jh... n_` (v. 1650, ma cf. v. 1498 n_` nj*k^jh gh, sulle labbra di Clitennestra, nonché Eum. 731, Prom. 57, Soph. OC 941). Il deittico positivamente rimanda all’evento, che il Corifeo ha vagheggiato, Egisto dovrebbe scongiurare: la imminente riscossa di Oreste, la vittoriosa (v. 1648 A\^ek\nl) soppressione della tirannica coppia. Con nj*k^jh... n_`, Eschilo letteralmente riprende la ominosa clausola dell’Ode alcaica (at cf. fr. 310 n _ ’ k ^ j h v^m\dnj n\ ek\), ne riaccende forma, e contenuto, col medesimo spirito libertario (cf. Plaut. Pseud. 725ss. hominem … d o c t u m , q u i q u a n d o p r i n c i p i u m p r e h e n d e r i t, / porro sua virtute teneat q u i d s e f a c e r e o p o r t e a t ). Il Corifeo, del resto, ha già rinfacciato ad Egisto la connaturata incapacità all’azione (v. 1635 _km\d n _ ’ k ^ j h j'e nfbl \'njenhsl, an -hjl Marz.), sarebbe quanto meno superfluo un siffatto incitamento, il cui oggetto rimane irrefutabilmente oscuro70. ––––––––––––––– 70 Il tràdito n _ (`) venne arditamente corretto da Lobel in n ^’ (AM p. 56): senza alcun séguito. L’ascendenza (in realtà, la citazione) alcaica, evidentemente, è sfuggita (cf. vv. 13s. A ` / _ Ak0ndmn’ 'A n9k^jh mn\g`h n_`). Le ragioni opposte da FRAENKEL, II 775, sono esteriori. Alle sigillate minacce di Egisto, rispondono ambigui sberleffi del Corifeo: una dimensione ironica, che esprime patetica risposta all’ulteriore vessazione. Che il tiranno non la colga (paradigmaticamente, sordo all’ironia), addirittura ne materializzi le parole, conforta il farsesco profilo del medesimo. Il valore di f j q n b l sembra ambiguo, lo chiarisce puntualmente SOPH. OR 750s.: (Oed.) An`kjh q0k`d ]\dl, Ajffj%l qsh zh_k\l / fjq n\l, j’ vkqb^nbl, cf. Choe. 768 (Orestes) ` i%h fjq n\dl `n` e\ gjhjmnd] (cf. KÜHNER-GERTH, I 271s.): qui in tutto sono cinque (v. 752), siffatti «Angestellten» costituiscono la guardia del corpo, quale si addice ad un sovrano. Tale sembrerebbe la intenzione del Corifeo, che l’arrogante interesse
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La disputa sui suppositi f j q n \ d appare ultronea: che non si tratti di milizia è chiaro, altrettanto però l’accattivante (ma sarcastico) augurio, che nella imminente occasione (j ' q } e l, de tempore, non d e l o c o , ut Italie perperam monet) lo diventino. Ciò che Clitennestra impedisce, rispedendoli tutti giudiziosamente a casa (vv. 1656ss. \_jjd ^kjhn`l, cf. v. 940 [F^.] j*njd ^ o h \ d e l mndh g`k`dh g q b l, ex Hom. K 492, Aesch. Sept. 200). Il v. 1651 non ripete, con banale anafora, il precedente: lo ribadisce, energicamente ribaltandone i beffardi contenuti. Una interpretazione, cui provvede con primordiale semplicismo il potentato Egisto, trasferisce il lessema dal piano prospettico a quello ingiuntivo, impartisce ordini, i motteggiamenti del Corifeo si trasformano in militare disposizione: i discussi fjqn\d si muniscano di sguainate spade (che patentemente non indossavano, cf. vv. 74s. mq%h / m A \ d _ \ hgjhn`l A m e A n k j d l), passino al contrattacco, senza eccezione. Sofocle (Ichn. 86ss.) ne offre puntuale conferma: jde`h
_b e[ / z^’ `\ _ Al ... (Al [ndl Marz., coll. Agam. 1649ss. _ j e ` l ... / `\ _, ... / `\ _, ... Al ndl). ––––––––––––––– di Egisto conferma ed attua, ordinando un grottesco assalto (v. 1651), cf. ARISTOPH. Pax 426 (Hermes) &gn`kjh hn`+c`h k^jh, 9h_k`l. Che k ^ j h equivalga ad impresa solenne, suggerisce il cit. ALCAE. fr. 310 n _ ’ k ^ j h ( k ` o j l ? ) v^m\dnj n\ ek\ (c\h\, cf. fr. 325,1), sistematicamente THUC. I 23 n 8 h A k n ` k j h k ^ s h g ^ d m n j h Akqcb n Qb_deh (cf. I 17 Akqcb j'_ vA’ \'n8h k ^ j h v i d f j ^ j h ), VII 21 k^jh zidh njd edh_$hjo l nh Af`gjh e\n`k^m\mc\d, EUR. Heraclid. 672
_b ^k 2l l k ^ j h 4 A f d m n \ d (!) mnk\nl, duplicemente sulle coordinate della nostra Ode. Significativo è [SIMON.] fr. 103, 3s. D. j'_h As njdj+njh Adqcjh sh ^h`n’ v h _ k 8 h / k ^ j h h A` k< e\ e\n Ahnjh {g\ (sc. la vittoria sulla Persia, ad opera di Cimone). Il testimone, DIOD. S. XI 62,3, annotava: _ _ gjl n8h cbh\ sh _ ` e n b h i ` f g ` h j l e n 8 h f \ p $ k s h v h c b e ` n > c ` > e \ A d ^ k \ p h enf. Ove la prassi dedicatoria riserva alla divinità la decima del bottino, mentre nel successivo fr. 106b4 questa si riduce a nl _`en\l _`en\h (confermato da Suda _ 71, cf. AP VI 214, 2–4). In XENOPH. An. V 3,4 si spartisce n vA n8h \qg\f0nsh ^`hg`hjh vk^$kdjh. e\ n h _ ` e n b h , h n> Affshd i`fjh e\ n p`m kngd_d, _df\]jh j mnk\nb^j n g k j l e \ m n j l p o f n n ` d h n j l c ` j l. (5) S`hjp8h j,h n gh nj+ Affshjl v h c b g \ A j d b m g ` h j l v h \ n c b m d h `l nh h I`fpjl n8h c b h \ s h cbm\okh e\ A ^ k \ r ` n n ` \ & n j + hjg\ e\ n Ukji h j o (..). (6) n _ n l kngd_jl n l p`m \l (...) e\n\f` A`d A\k Q`^\]$a< n > n l k n g d _ j l h ` s e k <, nd \'nl edh_oh`$msh _e`d h\d, e\ Amn`df`h enf. Sicuramente, i trofei accecanti del tempio di Alceo costituiscono soltanto una parte delle prede. Tuttavia non ristretta, se ambìta da una fazione ribelle, ritenuta indispensabile per la propria salvezza, a dispetto dei santi: come la nostra Ode ingiungeva.
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Siffatto comando viene impartito da Sileno ai Coreuti, come Egisto lo ingiungeva agli improbabili armigeri71. Analogamente, in Aristoph. Vesp. 430 sarà Filocleone (emergente stratega) a spronare i renitenti accoliti: `\ h+h, 9 ioh_de\mn\ . Ma ancora nella Pace (vv. 457ss., cf. 517–9), analoghi &An`dh` _ Al ... / 7 `\ / `\ gf\ / 7 `\ enf., si alternano sulle labbra di Trigeo, ovvero del suo protettore Hermes, con una distinzione dei ruoli imprecisabile, perché convergenti72. La strategia di Egisto (incomprensibile, se attribuita al Corifeo) è rozza, quanto improvvisata, il valore di ` ' n k ` A d a n s viene adeguatamente suggerito da Eur. IT 470s. (Iphigenia) `'nk`A a`n` (!) / y qk ’A njl A\kj+md e\ hjg a`n\d73. La resistenza imbastita da Egisto non differisce da quella ordinata, in Eur. Or. 1473ss., ai disordinati difensori della reggia (Aj+ _’ n’ vg$h`dh j e\n mn^\l Yk$^`lD): sfondare ogni uscita, sbloccare la reclusione (hc’ g ghjg`h), reciprocamente sostenersi (]jb_kjgj+g`h zffjl zffjc`h mn^\l), chi ricorrendo alle pietre, chi ai giavellotti (v. 1477), _ i pj l A k es Aj h h q`kjh qsh (v. 1478). È lo scenario di cui si illude Egisto, supponendo i Coreuti tutt’altro che disponibili: qualcuno ha già dichiarato la supremazia della morte (cf. 1364s. vff e\nc\h`h ek\n`E / A`A\dnk\ ^k gjk\ n l nok\hh _jl). L’alcaico assalto produrrà effetti inevitabili, che la tragedia (da Eschilo ad Euripide) provvede a sviluppare e rappresentare, nel più generoso spazio teatrale. Il verso successivo (1652) spetta al Corifeo, che vibratamente (cf. Denniston, GP 342: questi preferisce vff gh ev^0) si proclama tutt’altro che escluso (vff ev^1 gh) è privo di senso, se attribuito ad ––––––––––––––– 71 Per il collegamento dell’imperativo con (Al) ndl, cf. KÜHNER-GERTH, I 85s. (emerge con HERODOT. I 50, III 79, SOPH. Ai. 28). L’analogo aliquis, in Plauto e Terenzio, sembra calco dell’originale greco. Per `\ _, un A\k\e`f`omndeh A kkbg\, cf. HERODIAN. I 495. 72 Cf. B. MARZULLO, Aristoph. Pax 400–519, “MCr” XVIII (1983), 120s. In Pax 515ss.
_b ’mn nj+n ’ e`hj, seguito da un tristico farcito di 7 `\ h+h, 7 `\ Al, richiamano il primo Agam. 1650, gli altri analoghi ingiuntivi. La interiezione è ancora in Eschilo (frr. 47a, 23; 78a, 18 R.), in Sofocle (frr. 221, 4; 227b 7,4 R.), spesso in Euripide. Di cui significativi appaiono: Med. 1236ss. p f\d, _ _ j e n \ d n j * k ^ j h, vv. 1242ss. vff’ `’ Af ajo, e\k_ \, .../.../ z^’, 9 nf\dh\ q` k g, f\] i pjl, / f]’. Non meno rilevante risulta Or. 1060s. vff’ `’, Asl... / e\nc\hj$g`c’ vid0n\n\. 73 Cf. HERODIAN. II 4, 14 Stav. n gh _ Akl nh Af`gjh ^`hh\ sl `'nkAda`h, nonché APOLL. D. synt. 145b n Akl nh _\n\ `'nk`A ajomdh, cf. 148b. L’ordine di armarsi non può provenire da un civile, egli stesso patentemente inerme. Lo proclama (da gaglioffo) il tiranno, disponendo il contrattacco, nei confronti del vendicativo esule, il cui sbarco nella convinzione del Corifeo (vv. 1647s. e\n`fc1h ... pjh`$l, nonché 1283s. po^l ... en`dmdh) è imminente: come quello, che costituisce premessa dell’Ode di Alceo.
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Egisto), si professa a sua volta AkesAjl. Retoricamente, egli riprende il peculiare lessema anticipato dall’antagonista, con una angolazione che confonde amanuensi e studiosi (AkjeAjl, AkejAnjl, AkesAjl). Non è agevole l’evidente (in realtà, beffardamente polemico) calembour. Nella sticomitia (soprattutto) è fisiologica la immediata, ma distorta ripresa di termini «proposti» dall’avversario. Emblematico risulta Agam. 263 `*pksh (Chor.), 265 `'pkhbl (Clyt.), 271 pkjhj+hn`l (ead.), v. 266 qkg\ (ead.), 270 q\k (Chor.), 538 q\k` (salve, Chor.), 539 q\ ks (gaudeo) <^`> n`chh\d (!) (Clyt.), 550 c\h`h Ajff qkdl (Chor.), cf. v. 1314 vke` ns ] jl (Cass.). Il termine A k e s A j l (che Fraenkel immagina coniato da Eschilo) riconduceva, estensivamente, a progredior, in Herodot. I 190 j'_h n8h Ak\^gnsh A k j e j A n j g h s h, una accezione esplicitata in NT LUC. II 52 bmj+l A k j e j A n ` h h n mjp e\ fde (proficiebat), confermata da Apollon. Vita Aeschin. 20ss. Bl. A k j e A n s h _ n fde , A n Ajfdn`$`mc\d e\ n ejdh Aknn`dh vAefdh`. Non sembrano da escludere siffatte connotazioni esistenziali, garanti di più matura, sperimentata efficacia. La positiva acquisizione è, del resto, già suggerita da Alcae. fr. 335, 2 A k j e r j g ` h ^k j'_h vmg`hjd (cf. Hom. N 116 v\mgbh, j'_’ vh\ hjg\d): egli dissuade dalla disperazione, nulla guadagnando ad affliggersi, unico farmaco proponendo il vino. Identico stilema riemerge in Eur. Alc. 1079 n _’ xh A k j e A n j d l, ` cf`dl v` m n h ` d hD (cf. Hec. 961, Hipp. 23, 1297). Il nostro Corifeo si dichiara più che “pronto”, efficacemente disponibile (come la invocata spada) a dare la propria vita, senza alcuna esitazione, quanto assicura immediatamente c\h`h74. La perentoria clausola era già nel v. 583 hde0g`hjl f^jdmdh j'e v h \ h j g \ d , risulta peculiare in Eur. IA 1503 c\hj+m\ (!) _’ j'e v h \ h j g \ d, pittorescamente anticipato da Aesch. Suppl. 800s. eom h.../ khdmd _`Ahjh j 'e v h \ h j g \ d Af`dh (cf. Hom. F 5)75. La addotta motivazione (v. 803) paradigmaticamente spicca: n ––––––––––––––– 74 Ripreso nel successivo v. 1653 f^`dl (cf. v. 1649 _je`l... f^`dh: un vezzo, di nuovo rinfacciato al verboso Corifeo) c\h`h m`, cf. EPICH. fr. 230,4 K.-A. v A j c \ h ` h † n ` c h h \ d j* gjd _d\pk`d. Attribuendo il v. 1652 ad Egisto, la provocatoria risposta c \ h ` h viene interpretata (già dal Fraenkel) come un omen, anticipato dal medesimo tiranno: che nessuno immaginerà proclive alla morte, a dispetto del v. 1610 j(ns e\fh _ e\ n e\nc\h`h gj . Concettualmente, cf. v. 550 (Cho.!) e\ c\h`h Ajff qkdl ]kjn>, v. 1304 (id.) vff’ `'ef`8l njd e\nc\h`h qkdl ]kjn>, v. 1364 vff’ j'e vh`enh, e\nc\h`h ek\n`. 75 Un poetismo, largamente omerico, ignoto alla Lirica (exc. PIND. Pae. IV 36 ?), a Sofocle, ad Erodoto (falso IX 53 n\+n’ vh\dhjghjo: n\+n\ h`gjghjo), nonché a Platone (exc. Phil. 57). Le cinque ricorrenze di Teognide ne confermano la peculiare atticità. Sintatticamente (ma anche strutturalmente) confuso è <e>j'e
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^k c\h`h f`oc`kj+-/n\d pdf\densh e\e8h. Per la improvvisata congiura vale quella medesima alternativa, cui si erano obbligati gli alcaici n\dkjd (fr. 129,16ss.): preferiscono chjhn`l ^h Adgg`hjd / e` m`mc\d, qualora non riuscissero a uccidere gli avversari, finalmente affrancarsi, _gjh 'Ai vqsh #$`mc\d (cf. fr. 70,12 _gjh gh `l von\h z^sh)76. Nel v. 1653, Egisto, col protervo uso del plurale, prende atto (cf. v. 1659 _`qj g`c’ zh) di quanto assicuratogli: fraintende, si direbbe h
c`d, il fatidico c\h`h, il cui piano asseverativo (non ottativo!) è ribadito da Xenoph. An. I 8, 17 vff _qjg\ n`, pb, e\ nj+nj mns, che solo indirettamente implica l’oracolo77, si allinea invece con il fattuale Soph. El. 688 _`igbh n "bch, ovvero quei f^jd / _`l p fjo A\k’ vh_kl, che il Pedagogo reca a Clitennestra ed Egisto assieme (v. 1060), riconducibili a Hom. o 271 _`q0g`c\ g+cjh. La regina non potrà che dirsene soddisfatta, nella sostanza ringraziare: lo farà anche Clitennestra, nel cit. Agam. 1659, riecheggiando lo stolto consorte. Il finale nh n$qbh \kj+g`c\ (ma cf. v. 1647 e\n`fc1h ... A k ` o g ` h ` n $ q , Orestes) risulta meno determinante ed ottimistico di quanto appaia: Aesch. Suppl. 380 _ k m \ n` g _km\ n` e\ n $ q b h } f ` h, esprime tragica incertezza, forse la rimordente coscienza (cf. Prom. 1072s. gb_... / ggrbmc` n $ q b h). Clitennestra si affretta a rifiutare la oscura evenienza,
––––––––––––––– vh\ hjg\d di molti editori, ancora una volta fuorviati dal Lobel. Va sottolineato, che il semplice e corretto j'e vh\ hjg\d è ossequioso stilema del Corifeo anche in Suppl. 801, o di altro subordinato (pkjok) in Agam. 300, gelidamente esasperato da Clitennestra nel v. 1380 (n _ ’ j ' e v k h m j g \ d , cf. 1373 j'e vA\dmqohcmjg\d). 76 Siffatta coscienza comunitaria è, ovviamente, solo implicata nell’Agamennone: risulta ambigua, sia per cautela, sia perché ne scaturisca ludibrio per lo stolido avversario. 77 Da questo passo, affiancato (già in LSJ 382 I b) ad Agam. 1653, scaturisce l’estensione del misterioso «oracolo» vel «omen», che imperversa tra gli studiosi (cf., in proposito, le considerazioni sorprendentemente confuse di FRAENKEL, II 791). È opportuno citare ELLENDT-GERTH, LS 165 (s.v. _qjg\d): «deflectitur autem verbum ad dicta et facta significanda, quae attente et benevole (!) audiuntur vel feruntur». Quanto ad h
c`d, cf. il dottrinale schol. SOPH. Ai. 354 h n\l ^k v g p d ] j f \ d l n 8 h A k j m 0 A s h _ ` n j +
c j o l m n j q a ` m c \ d e \ _ d \ m n f f ` d h n A k m s A j h . Suggestivo, in proposito, è il contributo di G.M. RISPOLI, L’ironia della voce, Napoli 1992, 95ss., sebbene disordinata la documentazione, non di rado confusa la interpretazione, cf. supra, p. 4, n. 2.
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cui si affida irresponsabilmente l’altro: con femmineo senso della realtà, scongiura ulteriori (non prevedibili) mali78. Nel v. 1653 Egisto ha colloquiato con il Corifeo: _`qjghjdl vs m`, quindi \kj$g`c\ (plur. maiest.). Che si tratti di lui (e non del vecchio), conferma immediatamente Clitennestra nel verso successivo, senza dubbio ^foe$Adekjh. Perentorio, infatti, è l’iniziale divieto (gb_\g8l, la prima attestazione di questo avverbio, cf. tuttavia Alcae. fr. 129, 16 gb_g\, 117b 13 ]_\Cg\), ma inequivoca tenerezza esprime il vocativo 9 p f n \ n’ v h _ k 8 h. Questo non può riferirsi che al più caro dei suoi affetti, sarebbe grottesco se fosse destinato al (singolo) Corifeo. In p f n \ n j l, la originaria appartenenza espressa dall’aggettivo appare sublimata, in una scelta affettuosamente esclusiva. In Eschilo il superlativo risulta sempre rivolto a parenti (Agam. 329, Eum. 100), addirittura al fratello (Choe. 234s.), più in particolare risulta dolorosa (tragicamente dilatata) la invocazione di Clitennestra, nei confronti del proprio amasio, cf. Aristoph. Eccl. 970, nonché Choe. 893 j ’^0E nchbe\l, p fn\n’ F^ mcjo ] \, nel v. 894 Oreste conferma l’esclamazione con pdf`l nh zh_k\. Che letteralmente però ripete la pertinenza del rigido stilema, pronunciato da Clitennestra: ove all’aulico ]kjn8h si sostituisce il carnale vh_k8h79. La distribuzione degli interventi, quale da noi ricostruita, inizia––––––––––––––– 78 Usando l’analogo _ ` q j g ` c \ (v. 1659), tuttavia col senso primario di ferre. Il medio \ k j $ g ` c \ , nel v. 1653, notoriamente significa preferenza, cf. XENOPH. mem. I 2, 16 }fmc\d xh gffjh ... n`chh\d, PLAT. Apol. 38e \kj+g\d... :_` vAjfj^bmg`hjl n ` c h h \ d e ` h s l a h . 79 Di ambito sociale qui è p fjl, cf. CHANTRAINE, DELG 1204: la connessione con il pronominale mpd- (Kretschmer) risulterebbe insostenibile. La costituzione di Agam. 1649–53, da noi induttivamente prospettata, corrisponde a quella a suo tempo adottata da DENNISTON-PAGE (1957), quindi PAGE (1972). Incomprensibile risulta la redazione di E. FRAENKEL (1950), seguìto da LLOYD-JONES (1983, riedizione di WEIR SMITH, 1926). Quanto argomentato dal mio scolaro E. DETTORI («MCr» XXI–XXII, 1986–87, 28–31, sue sporadiche riprese e conferme nel conseguente volume, L’interlocuzione difficile. Corifeo dialogante nel dramma classico, Suppl. «MCr», Pisa 1992), è del tutto incongruo. Nella confezione di questi lavori, in cui spicca puntigliosa diligenza, avevo pertinacemente sconsigliato non poche ed arbitrarie ipotesi. Dettori (Interl. cit. 21) mi dà atto della affettuosa sollecitudine, ricorda in particolare ciò che avevo scritto in passato sulla interlocuzione nella commedia arcaica, adeguandosi ai criteri e parametri da me elaborati. Egli mi ringrazia, tra l’altro, «dei suggerimenti ricevuti (anche dei molti che non ho seguito [immo seguiti])». Che sono troppi (nell’a.a. 1992–3, con pari arditezza, aveva pubblicizzati suoi seminari dedicati, nell’ambito della mia cattedra romana, «in particolare all’ a s p e t t o t e m p o r a l e » del verbo greco). La sua «interlocuzione» eschilea è polarmente lontana da quella, che qui ho ribadita ed illustrata: pur consapevole della aggressiva struttura sticometrica, egli attribuisce ad Egisto,
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va innegabilmente con il grossolano (ed inquietante) Egisto, si conclude con una interdizione imposta allo sventato macho, con femminea, ma aspra ironia formulata dalla regina. La grottesca vicenda dello hen-pecked man (cf. v. 1671 v f e n s k 4 m n ` c b f ` \ l A f \ l: un discendente di Margite, in realtà) acquisisce tragica dimensione. Nei confronti dell’alcaica impresa, quella che riemerge contro il Palazzo di Micene dimostra la sua inconsistenza, la debolezza di pur autentici impulsi rivoluzionari. La improvvisata forza, malgrado la nobiltà della funzionale compagine (cf. v. 855 1393 A k m ] j l k^` sh n_`, ––––––––––––––– tutti assieme e di seguito, Agam. 1649–51, immaginando («MCr» cit. 30), sulle derelitte orme dello Stanley (London 1663), che la coppia 1649s., con anaforico incipit, si spieghi col fatto, che «forse Egisto aveva un fjq nbl per parte, a cui si rivolge con la medesima interiezione» ! Una rappresentazione quanto meno «circense»: non solo i meccanismi drammaturgici, ma quelli dialogici, ne risultano travolti. Ipotizza addirittura (ib., n. 38), che «l’anafora potrebbe anche essere dovuta allo stato di eccitazione di Egisto». Conclude, infine, che «la breve StreitStichomythie [immo Streitstich.], voluta da gran parte degli editori […], viene probabilmente impedita dal brutale ricorso di Egisto alle armi». Sebbene siffatta struttura metrica venga riconosciuta «subito dopo, ai vv. 1665–71»: nella conclusione dell’opera! Convinzioni patentemente false. Nella p. 28, trascrivendo in epigrafe il brano dell’Agamennone, stampa f^`d al v. 1649, invece del necessario f^`dl: una negligenza, di cui mi sento corresponsabile. In «Eschilo, Orestea. Introduzione di V. DI BENEDETTO. Testo greco a fronte», con la incongrua collaborazione di svariati satelliti, Milano 1995, 360ss., il nostro passo viene stereotipicamente sottratto dalla edizione del Page, non senza discostarsene nelle verbose annotazioni. Nient’affatto motivando perché la interlocuzione, che nel testo greco è in genere del Page (ottima!), nella traduzione (si fa per dire) risulta radicalmente diversa. Si attinge, evidentemente, a fonti diverse, contaminandole senza scrupolo: `e e\ q$_bh. Nella impervia Introduzione, abusando di un argomentare _jimjpjh (di cui in genere si compiace), l’A. polemizza con i miei Sofismi di Prometeo (Firenze 1993, tuttavia sdegnati nella Bibliografia), in punti trasversi ma non casuali. L’uso della gbq\h, invenzione provocatoriamente euripidea (Medea, a. 431), su cui insiste, con effettuose modalità circensi, il «Maestro del Prometeo», ignoto non solo a Eschilo, ma (programmaticamente) allo stesso Sofocle (cf. I Sofismi, pp. 42s., n. 41, pp. 153ss.), viene tortuosamente rivendicato all’arcaico Poeta. Non merita attenzione, chi all’occasione inventa «una facciata che doveva essere collocata verso la parte più profonda, dal punto di vista degli spettatori, dell’orchestra». Una «novità», si sottolinea (contestualmente, p. 156), «ma naturalmente non siamo in grado di dire se il procedimento fosse stato usato da Eschilo in altre tragedie, a noi non pervenute»! Invocare la «eccelsa capacità inventiva di Eschilo» (p. 5), oppure (p. 7) «i vertici espressivi non più mai [sic] superati» di siffatto taumaturgo, proclamarlo (p. 156) «grande ideatore di trovate [sic] teatrali», «cui si accompagnava – a livello di trovate [sic] scenico-teatrali – uno sperimentatore fervido e quasi [sic] inquieto», siffatti ejgAmg\n\ significano povertà concettuale e formale, soprattutto incapacità di vaglio storico e culturale, di filologica intelligenza.
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Clitennestra!), è in realtà composta di decrepiti vecchi (vv. 72s. g`l _’ v n n \ d m\ke A \ f \ d ), di gracile possanza (vv. 74s. mq%h / mA\d_\ hgjhn`l A meAnkjdl), lo stesso would-be tiranno si comporta (come abbiamo visto) da succubo gallinaccio. La battaglia rimane tuttavia }el, smentendo l’impazienza dei vv. 1650s.: non ha né precedenti, né futuro. È unicamente affidata al reciproco odio, alla ironia di una velleitaria fazione. Il Personenwechsel di questi versi dispettosi suggerisce il contrasto, non più che verbale, tra forze parimenti imbelli, solo capaci di vili prepotenze, di scherno pungente, di cordiale dispregio80. Spicca la gigantesca, e tuttavia dolorante, ambiguità di Clitennestra: arcaica, ma seducente eroina della femminilità, scagliosa, abbacinante presenza non solo teatrale. L’Agamennone (vv. 1649–54) si è rivelato una ardimentosa prospezione, per così dire à rebours, di un paradigmatico assalto «controrivoluzionario», del vindice ritorno dell’esule, soprattutto del terrore che divampa ed acceca all’interno della tirannica fortezza. In Alceo era un evanescente, in verità «mitico» tempio, conteso da una esplosiva, storica comunità.
––––––––––––––– 80 Lo stilema è eccezionale, ritornerà (contrastivamente) in EUR. Alc. 460 9 p f\ ^oh\de8h (lyr.). Cf. Choe. 193s. v ^ f d m g gjd nj+ p d f n n j o / ] k j n 8 h ¡kmnjo, v. 1051 p f n \ n’ vhck0Ash A\nk , nonché SOPH. El. 15 9 p fn\n’ vh_k8h A k j m A f s h (!). SOPH. Tr. 232 9 p f n \ n’ v h _ k 8 h è, significativamente, sulle labbra di Deianira, rivolto al servo Lichas.
Cap. V – Fertilissime icone Esaminando la struttura dell’Ode, sono emerse coordinate essenziali, sia di contenuto che di forma. Si evidenzia una «intertestualità» rilevante, stilisticamente significativa, anche se contingente sotto l’aspetto rappresentativo: ma illuminante, ai fini del senso «poietico». Nella sostanza, una verifica di ordine squisitamente semiologico. Se prescindesse, tuttavia, da ogni ipotesi storica, rischierebbe la preclusione dell’eventuale senso (la _dhjd\ di platonica [Phaed. 63d], prima che aristotelica memoria, cf. Poet. 1450a6), non riuscirebbe a vivificarne i significati, abbandonandoli a livello fenomenologico, in realtà ambiguamente fantasmatico, illusorio. La monumentale grandezza di questa Ode non si esaurisce negli aguzzi pregi formali, ma, attraverso la scabra classicità della concezione, esercita una affabulatoria persistenza, nella coscienza non soltanto letteraria della civiltà greca: rivendica una storicità, mirabilmente produttiva. Vistose testimonianze della successiva ricezione sono occasionalmente affiorate. Un più generale, e sistematico, piano cartesiano ci informerà non soltanto della sua fortuna, della tradizione futura, ma della stessa radice concettuale e funzionale, da cui scaturisce. Nella lirica non risultano, in verità, tracce: la scabra temperie ne è verosimile motivo, a parte il naufragio (presso che) totale di siffatto genere. Sarà del resto Eschilo, aguzzo ma sigillato cantore di epocali conflitti, di tragiche stragi, a restituirne obliqui riverberi, angosciate risonanze: l’analisi di Agam. 1649–54 (supra, p. 37– 46) ne ha fornito un vistoso quanto ignorato esempio. Ma verificabile già nei Sette a Tebe. Non spaventa Eteocle la descrizione di corrusche, in realtà fantasmagoriche armature (vv. 397s.): e m g j h gh vh_kl j*ndh’ xh nkm\dg’ ^0, / j'_’ } f e j A j d ^ ^h`n\d n mg\n\. Non atterriscono che «verbalmente» le truculente decorazioni delle armi (v. 399): fpjd _ e0_sh n’ j ' _ e h j o m’ zh`o _jkl, cf. Aristoph. Ran. 86181. All’emblematico apparato di Alceo sembra richiamarsi la sfida ––––––––––––––– 81 L’efficace _ e h j o m d scaturisce (epesegeticamente) da } f e j A j d l (v. 399, hapax). La lancia qui viene proclamata arma decisiva, in uno scenario (fantasioso): a differenza di Alceo, la cui tattica oplitica privilegia la spada (ogni sorta di spada), nell’esclusivo corpo a corpo. Essa manca significativamente nell’Ode: non costituisce (sembrerebbe) singolare trofeo, per la diffusa reperibilità della medesima. L’eroe omerico, notoriamente (R 260ss.), può vantare _ j $ k \ n \ ... e \ ~ h
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romanzesca di Eschilo (emgjl < e`emgbn\d), seguono identici fpjd, che hanno tuttavia dismesso i candidi ed ossessivi riflessi dell’esemplare lirico (diventano addirittura e\nmed jd, v. 384), vengono introdotti rudimentali campanacci, banalmente ribaditi nei vv. 385s. &A’ vmA _jl _’ ms / q\fef\njd efajomd e0_sh`l p]jh (cf. [Eur.] Rhes. 308). L’alcaico bagliore di metallici scudi si concentra nel centrale plenilunio, la cui barocca trasversalità non risulta neppure decorativa82. Il finale (Sept. 400s.) e\ h$en\ n\$nbh h f^`dl A’ v m A _ j l / zmnkjdmd g \ k g \ k j o m \ h j'k\hj+ eok`h, conclude con ulteriore ridondanza (in realtà, esibita sciatteria) le sofisticate allusioni, riscattandosi con l’epico respiro del v. 401, appena trascritto: a dispetto di deliranti implicazioni profetiche. Ove riemerge il balenante Spitzwort del nostro Alceo, al quale richiama (ulteriormente divagando) un conclusivo apoftegma, quel finale messaggio che molti impongono alla nostra Ode (v. 411): \ m q k 8 h ^k vk^l, g e\el _’ `h\d pdf`83. La precarietà dell’incombente ––––––––––––––– e \ ` e j m d _ ` d l / } m n \ n’ h e f d m A k l h 0 A d \ A \ g p \ h s h n \ , / Wk0u\, n en\ghsh v A j \ h o g \ d (abstuli !). Egli non è abituato a combattere vh_k8h _omg`hsh }el mng`hjl, ne consegue (vv. 264s.): n8 gjd _ j $ k \ n n’ mnd e\ v m A _ ` l g p \ f ` m m \ d , / e\ e k o c ` l e\ c 0 k b e ` l f \ g A k h ^ \ h s h n ` l . Conseguirà (vv. 339ss.), p k d i ` h _ gqb ... ^ q ` m d / g \ e k l ...E mm` _’ zg`k_`h / \ ' ^ q \ f e ` b e j k $ c s h z A j f \ g A j g ` h s h / c0kbe0h n` h`jmgensh m\esh n` p\`dh8h / kqjghsh zgo_dl. Topici gli ingredienti, malgrado la battaglia non sia frontale: lance, il bagliore delle metalliche punte, risultano irrilevanti nella mischia, come tra i mirabolanti trofei di Alceo. Sintomatico è che nel precedente R 331 m%h hn`md _\d_\fjdmdh la tradizione rechi il più specifico (ma negativo!) f`o^\fjdmd: che dovrà pertanto riferirsi allo scudiero, immediatamente prima nominato, in subordine con il padrone (\ ' n h e \ c ` k A j h n \, cf. APOLL. S. 87,15 ... nh h _`onk ni`d p f j h ). La interpunzione posta dagli attuali editori dopo c`kAjhn\, sarà pertanto da eliminare. Ultronea, ma non meno significativa, è la variante g\kg\ kjhn\l, in cui si riecheggia Alceo. 82 Ovviamente, nel v. 389 A\hmfbhjl tralascia il sostantivo 4k\, testimoniato da HERODOT. II 47 (bis), VI 107, 120, ARISTOPH. Ach. 84, cf. THUC. VII 50. Siffatta preminenza era già in SAPPH. fr. 96, 8, ove al tramonto la luna appare A h n \ A ` k k q j d m’ z m n k \ . Il Akm]dmnjl tra gli astri di Eschilo sarà ripreso da SOPH. fr. 582 R. (correttamente attribuito al sole), ricorre in HHom. XXX 2, detto della terra. 83 Cf., in particolare, M.G. BONANNO (1990) 128, che nel conclusivo n8h j'e mnd fc`mc\d di Alceo (vv. 13s.) intende una diffida a «non infamare la propria schiatta», la stessa orgogliosamente proclamata nel fr. 6: ghmcbn` n8h Akjdc` ... / ... / e\ g e \ n \ d m q $ h s g ` h [... / mfjdl nje \l (vv. 11–14), per cui cf. EUR. Hel. 999ss., e già 940, nonché l’omerico prototipo in s 508, ripresi da EUR. IA 505, e già ARISTOPH. Pax 1301. Emblematico paradigma del nostro luo-
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scontro provvede a confermarne lo scioccante (v. 414) … k^jh _’ h e$]jdl kbl ekdh`. Di Alceo, tuttavia, incalza il sonoro k ^ j h, la persistenza della medesima divinità, non soltanto simbolica. La trasparenza alcaica è, senza dubbio, balenante, astrusa, contorta. A nostro conforto interviene, tuttavia, uno scolio al citato } f e j A j d l, unico in Aesch. Sept. 39884. La lancia viene proclamata arma decisiva, a differenza del luogo di Alceo, ove manca del tutto: che si voglia correggerlo, polemicamente dimostrandone conoscenza e disaccordo operativo? La tattica oplitica innegabilmente privilegia scudo e spada: identificandosi con il corpo a corpo, rifiutando lo scagliare di aste, dardi, sassi, efficaci sulla distanza85, ovvero, unicamente, in primissima linea, cf. le assennate considerazione di V.D. Hanson, L’arte occidentale della guerra – Descrizione di una battaglia nella Grecia classica, Milano 2001, 118–24. Costituisce questa una indagine minuziosa, intelligente, il larga parte scaturita dalla personale esperienza nell’ultimo conflitto mondiale. Lo scolio recitava: j'_’ }fejAjd ^ h`n\d n\+n\ A \ k f e \ j oE j' ndnk0me`d n A mbg\ Af\, j'_ \'n e\c’ }\on _$h\gdh q`d, ` g zk\ pksh \'n, h ^`hh\jl86. Quanto corre da ndnk0me`d alla fine appare gratuita parafrasi di n mg\n\, si riferisce strettamente al lemma, con la conferma della medesima, ma più pertinente annotazione in ulteriore scolio: j'_’ }fejAjd ^ h`n\d]
^joh j' ndnk0me`d. Il primo interpretamentum ha evidente carattere generale, ne
––––––––––––––– go è in N 527 g g h b g \ d n _ ` k ^ j h ^1 Af\d, j* n` hjh ^`. L’eschileo v k ^ l (Sept. 411) verosimilmente risale al medesimo ALCAE. fr. 6,9s. e\ g n d h ’ e h j l gfc[\ejl / f]E A k _ b f j h ^ k, che introduce i vv. 11s. del frammento ora citato. Quanto alla gnome, sembra sfuggito THEOGN. 1177s., che patentemente ne deriva: ` e’ `bl k ^ s h \ m q k 8 h v A \ c l e \ v ` k ^ l , / O$kh`, g`^ mnbh e`h A`k\h qjdl v k ` n l (cf. HOM. I 320 enc\h’ g8l n’ v ` k ^ l vhk n` Ajff s k ^ l, nec non n 27). Che induce ad introdurre nel cit. AESCH. Sept. 411 w k ^ l. 84 HESYCH. e 2138 } f e j A j d l E e\c\k l, erba urticante, è diverso, anche se residuo triviale di più ampii glossarii. 85 La descrizione (bombastica) di Eschilo presuppone una cornice fantasiosa, i cui elementi valgono per gli effetti verbali scatenati, non per la reciproca coerenza e tolleranza. 86 Il A\k
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assicura n\+n\, che si riferisce al luogo giudicato topico, tuttavia ritenuto citazione da Alceo87. Non si può che di nuovo richiamare Sophr. fr. 30 Kai. n8h _ q\fejgnsh e\ n8h vk^okjgnsh ^ k ^ \ d k ` h w j e \. È tramandato da Athen. VI 230a, che tuttavia recava gkg\dk` _jed\ (sic). Schweighäuser congetturò _je`\, supponendolo variante di _jq`\, che ha il torto di significare «recipiente» e non repositorium. Dindorf corresse con il palmare w je \, che obbliga al tràdito gkg\dk`, a suggerire infine gkg\dk`h _’ je \. Questo riecheggia (buffonescamente) il nostro g ^ \ l _ g j l, corroborato dall’irrefutabile g\kg\ k`d, ma anche nel successivo storpiato in q\fejgnsh (un aulicismo beffardo, cf. Aristoph. Vesp. 1214, nonché fr. 451 K.-A. q\fe0g\n\ Akjme`pf\d\ (bronzei cuscini, oppure e`pf\d\ ?). La variante ^ k ^ \ d k ` (cf. Cratin. fr. 321 K.-A., Timoth. Pers. 107), suggerita erroneamente da schol. Aristoph. Ach. 3, adottata da Kaibel, costituisce un evidente e letterario lapsus. Non è irrilevante, che non si tratti di triviali oggetti d’uso, ma di un pretensioso corredo, puntualmente illustrato in coppe del V secolo, anch’esse appese ai muri, esibizionisticamente (cf. MacDowell, ad Vesp. 1214). In Aristofane, sulla probabile scia di Sofrone, ma certo sul modello «classico» del nostro Alceo, esso è debitamente parodiato. La successiva ingiunzione (v. 1215 kjph c \ m \ d, ek`e_d’ \'f l c \ $ g \ m j h) esprime, evidentemente, il senso della alcaica rassegna, collocata in alto, verso il soffitto (vv. 3ss. en / nh ... e\nA`kc`h). Dove usa apparire la dea Atena, per lo stupore di chi guarda, cf. Hom. q 298 ... &rc`h i kjp lE n8h _ pkh`l Anj bc`h (ma in Aristoph. Nub. 172s. (Socrates) zhs e`qbhnjl / v A n l k j p l h$ensk ^\f`0nbl e\nq`m`h: per analoga plaisanterie, cf. Pherecr. fr. 126 K.-A.). Per la mirabolante struttura del tempio egiziano di Latona, ed in particolare della kjp, il cui e\nmn`^g\ è costituito da un solo blocco, munito di A\kskjp _`l di quattro cubiti (ca m. 1,50), cf. Herodot. II 155. In Eur. Andr. 1118s. il giovane Neottolemo viene proditoriamente aggredito: j _’ ionenjdl p\m^hjdl 2 A f d m g h j d / e`hnj+m’ vn`oq A\_’ qdffsl fck. Egli indietreggia, i colpi non sono gravi. Sfugge, dunque (v. 1121ss.): ... ife`d _ e\ (i`fe. Diggle suspect., e\ : eve Marz.) A\k\mn_jl / e k ` g \ m n n ` $ q b A \ m m f s h e \ c \ k A m \ l / m n b ’A ]sgj+ ^jk^l A f n b l _ ` h (an p\h` l V, coll. v. 458 ^jk^l Af nbl p\h` l, nec non Heraclid. 699 h`^q’ Af nbl [-nbh: Elmsley] emgjh), cf. v. 1146 m n b p \ ` h h j l _`mAnbl m n f ] s h Afjdl. Le circostanze vengono sommariamente ––––––––––––––– 87 Ad ALCAE. fr. 112,10, la Voigt cita il nostro scolio, senza visibile riferimento al testo. In LOBEL-PAGE cit., esso costituiva del resto il fr. 427.
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indicate, con tutta evidenza rappresentano uno scenario ed evento comune: alle pareti, appese ai rispettivi pioli, si offrono armature complete, efficienti88. L’eroe se ne impossessa, contrattacca come un perfetto oplita. Il tempio, in verità, è stipato di oro (v. 1092s. kn`... / qkomj+ ^gjhn\ ^ $ \ f \, cbm\okj$l)89: è un deposito di ricchezza (comunitaria), ma anche di trofei, gli stessi che Alceo ha immortalato, che realisticamente pendono da identici A\mmfjd (v. 1122). Ancora una volta, un termine metonimico, verosimilmente d’uso. Gli scolii soccorrevolmente intervengono: A\mn_\l f^`d h+h nj%l g`n nh `mj_jh }e\nksc`h A\kdmn\ghjol (immo A`kdmn$fjol Marz.) nj qjol. Descrivono ciò che il flash allucinato di Alceo tralasciava, uno scenario concretamente accessibile, fruibile. A proposito del cit. v. 1093, lo scoliasta precisava: 2l `l zmofjh ^k Ajffj []kjn8h] `kh e` A\k`n c`hnj n qkg\n\ }\on8h. Schwartz espunse ]kjn8h, dopo `kh sarà da interpungere, l’insulso Ajffj (om. F) nasconde probabilmente Ajffedl90. Il tempio, oltre che luogo di culto, serve quale rifugio dei beni, ––––––––––––––– 88 In Andr. 1099 si sottolineava, che guardie armate sono disposte (per iniziativa di singoli) h A ` k d m n $ f j d l _ g j d l (an _kgjdl Marz., coll. EUR. HF 425s. _kgsh n’ zffsh v^fg\n’ ... _d fc`). In HERODOT. II 148, 153 ricorre \'f A`k mnofjl, la supposta \'f di Alceo dovrebbe identificarsi, tuttavia, con un tradizionale, schematico g^\kjh. Analoga alternativa è, sorprendentemente, nella nostra Ode: nel cui v. 2 ricorre un imbarazzante g^\l _ k g j l, per testimonianza di STRAB. XVII 805, che cita CALLIM. fr. 715 Pf. (q.v.), un “corridoio” che conduce al tempio di Anubi ad Alessandria. Con quest’ultimo lo scriba dimostra maggiore consuetudine, che con l’enigmatico _gjl di Alceo (cf. RE I 1384 «Hauptstrasse», ib. V 1716 «breite und geradgestreckte Fahrstrasse in Stadt und Land», POLL. IX 41 Af`sl _’ \, gkb e\ m n j \ e\ _ k g j d e\ Af\dmnk\d e\ _ k g j l i o m n , cf. V 1, V 11, EUST. 119, 65s.). 89 Cf. HESYCH. ^ 968 ^ $ \ f \ E c b m \ o k j , n\g`\, e j f \ (an ejdf<0g\n\>, Marz., coll. 969), i cui primi due termini costituiscono « c o p p i a c o n t i g u a », attinta dal nostro Andr. 1093. Il Marciano fornisce ejdf \, che ARISTOT. meteor. 349b4 etc., equivale a cavitas. EUR. Ion. 219ss. m njd, nh A\k h\h \'-/_8E cgdl ^ o f s h & A ` k -/] h \ d , v. 223s. gp\fh / ^l Yj ]jo e \ n q ` d _ g j l , v. 226 c$m\n` ... Ak _gsh, v. 228 _gsh g Akdn’ l goqh, v. 233 c`j+ ^ $ \ f \ n _’ ` m d _ ` h , forniscono funzionali dettagli circa i lemmi qui in discussione. 90 An Ajffj Ajffedl Marz., coll. EUR. Tro. 1015? Ulteriore scolio scrive: zffsl: vA n8h cok8h nj+ (< n j q j o > Marz.) ek`g\mnE h ^k n\l `m_jdl ekg\hnj, cf. POLL. VII 121 ¤A`k` _bl (fr. 289 T.) _ e\ nj+ A\kj_ jo nj qjo `kbe`h. Dopo nj+ bisognerà inserire qualcosa come
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e ovviamente delle persone: esposto però al saccheggio, sebbene guardato a vista da appositi armigeri (v. 1098s.). Costituisce deposito di trofei, un simbolico vanto, ma potenziale arsenale, esattamente come in Alceo, in ulteriori occasioni, tutt’altro che infrequenti. Con la consueta e stringata puntualità, V. Tammaro indicò91 in Eur. El. 1000 una patente citazione del nostro Alceo, una conferma del h\l, divinato da M.G. Bonanno, sua contubernale. La trascrizione del luogo suggerisce ulteriori considerazioni: m e $ f j d m d gh ^k c ` 8 h e ` e m g b h n \ d _ g j d. Alla rituale consacrazione nei templi, Clitennestra oppone (con inattesa agudeza semasiologica), che, dai mirabilia troiani, a risarcimento per la morte della figlia (1003), h vA0f`m\, mgdekh ^k\l, e\fh _ eenbg\d _gjdl92. Per siffatta consuetudine, basterà ricordare Thuc. II 13 l n` n AkjA$f\d\ n l vekjAf`sl e\ nzff\ jej_jgg\n\ ... e\ m e + f \ Q b _ d e e\ ` nd njdjonnkjAjh ... nd m e\ n e n 8 h z f f s h ` k 8 h Akjm`n c`d qkg\n\, III 57 j'_ Akl `kjl njl ejdhjl (cf. Alcae. fr. 129, 2s. ng`hjl g^\ i+hjh) me+f\... vh\n`c h\d, IV 134 nkjA\ n` vgpn`kjd mnbm\h e\ me+f\ l I`fpj%l vAA`gr\h93. Ma sorprendente è l’esempio connesso, in Eur. IT 74s.: T§. ckd^ejl _’ &A’ vonjl m e + f’ kl knbgh\D UX. n8h e\nc\hhnsh ^’ v e k j c h d \ ihsh.
––––––––––––––– 91 Cf. «MCr» X–XII (1975–77), 55, un contributo che la Bonanno segnatamente recepisce (Allus. 140), tuttavia escludendo, che «si tratti obbligatoriamente di quattro puntuali richiami ad ALCAE. fr. 140» (così CAVALLINI, 1986, 150, riguardo ad AESCH. Agam. 578s., EUR. El. 1000s., Heraclid. 695ss., Rh. 179s.). 92 Il cui analogo è nella medesima El. 6s. (Agam.) & r b f 8 h _’ A / h\8h n c ` d e ` m e + f \ A f ` m n \ ] \ k ] k s h , nonché Tro. 573ss. (Andr.) A k ` _ k j l q \ f e j d l / enjkjl A f j d l m e $ f j d l n ` Y k o ^ 8 h (an n’ <e> Yk. Marz.) / _jkdcbknjdl, / jmdh qdffsl A\l ... / mnr`d h\j%l v A W k j \ l . Cf., inoltre, SOPH. Phil. 1428s. me+f n’ l gf\ck\ m / Agr`dl. In [EUR.] Rhes. 619s. n\$n\l (A0fjol) en\hhn` _`mAnbh, ejg a`n`, / effdmnjh jejdl me+fjh: una preda, quindi, non un trofeo, esattamente come nel nostro El. 1003. 93 La s p o l i a z i o n e d e i c a d u t i (tranne le armi) è biasimata in PLAT. Resp. 469c: costituirebbe un vile attardarsi, a danno dei cadaveri. Ignobile, del resto, è spogliare i conterranei, col pretesto di arricchire i templi: ne deriverebbe grave iattura (470a g nd g \ m g \ Akl `kh n njd\+n\ v A n 8 h j e ` s h pk`dh, an
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Patentemente, l’iniziale c k d ^ e j l viene anticipato da c k d ^ e 0 g \ n \ nella clausola precedente94. Com’è noto, si tratta del coronamento superiore dei muri, cf. k 266s. A m e b n \ d _ j \'f / nj q< e\ ckd^ejmd95, che lo scolio consente di chiarire96. I trofei, questa volta, sono le teste tronche delle vittime, cf. Amm. M. XXII 8,33 Tauri … caesorum capita f a n i p a r i e t i b u s p r a e f i g e b a n t (segnalato da Platnauer, ad l., cui V. Tammaro aggiunge Eur. Bacch. 1212ss.): che conferma la persistenza di un modello, il cui prototipo è nel nostro Alceo. Singolare è, tuttavia, v e k j c h d \ («the best of the spoils»), una formazione che emerge soltanto con Pind. N. VII 41 q`nj _ Akl c`h, en\n’ z^sh Wkj\c`h vekjcdh sh, cf. Simon. fr. 97, 1s. D. nj$m_’ v A W o k k b h 8 h vekjc hd\ Yj ]< z^jhn\l / ~h Af\^jl ... enkdm`h97. ––––––––––––––– 94 Per siffatte r i p e t i z i o n i , cf. DENNISTON, ad EUR. El. 341s. (“Euripides was, I think, more insensitive than other Greek writers”). I greci erano insensibili (quanto i latini) a questa ecolalia. In realtà la (spesso isterica) idiosincrasia emerge nel Settecento: qui si tratta non di sciatteria, ma di una funzionale anafora, motivata dalla sticomitia. Più efficace è la variatio, cf. LAUSBERG, Hdb. d. lit. Rhet. 630 (p. 319), nonché 649 (p. 329). 95 Per quanto metaforico, cf. PLAT. Resp. 534e zk’ j,h _je` mjd, pbh ^0, 4 m A ` k c k d ^ e l njl g\cg\mdh _ d \ f ` e n d e g h A h s e ` m c \ d , e\ j'en’ zffj nj$njo g cb g\ v h sn ks , kc8l xh A d n c ` m c \ d , vff’ q`dh
_b n f j l n n 8 h g \ c b g n s h . 96 Il valore che fornisce per A m e b n \ d è, significativamente, e ` e m g b n \ d . Quanto a c k d ^ e l , esso equivale ad vmn^\mnh nd A`k pk\^g\ Ak (an A`k ?) n8h jebgnsh (an jej_bgnsh? Marz.). HESYCH. c 749 ckd^elE ...
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Significativo, anche per le circostanze della nostra Ode, è Plat. Leg. 946c v e k j c h d j h Affshd e \ n n h A \ f \ d h h g j h vh\n cbmd ejdhh e\ f <. La indagine delle presenze «classiche» di v e k j c h d \ conduce ad una serie di significativi Realien, che basterebbe sommariamente segnalare98. Alcuni luoghi si rivelano, tuttavia, illuminanti per la sostanza della vibrante Ode alcaica. Tra questi, spicca ancora Euripide, con Heraclid. 693–701, il cui rilievo appare sfuggito: NT. 2l g g`hj+hnd nzff\ mjd f^`dh Ak\. MJ. A8l j,h A f n b l n ` o q s h z n ` k p \ h D NT. mn’ h _ g j d m d h h _ j h \ q g f s c’ A f \ n j m _’, j m d q k b m g ` m c \ e v A j _ 0 m j g ` h a 8 h n ` l, c \ h h n \ l _’ j'e vA\dnm`d c`l. vff’ `mdc’ `ms e v A A \ m m f s h } f 1 h h`^q’ A f n b h e m g j h 2l nqdmn gjd. \mqkh ^k j e j $ k b g \ ^ ^h`n\d n_`, nj%l gh gq`mc\d, nj%l _ _`df gh`dh99.
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Il c`kAsh, costitutivamente dubbioso (e tuttavia ironico), contesta la mancanza di armi, con cui contrastare l’assetto oplitico degli assalitori: un evento non inconsueto, paradigmatico in Alceo, significato nella sua stessa Ode. Il vecchio Iolao (cf. v. 636 ^kjhnl mg`h ej'_\g8l k k 0 g ` c \, cf. Aesch. Agam. 419 kk`d Am’ pkj_ n\) non sembra dubitare eccessivamente di dover contrattaccare (v. 672
_b ^k 2l l k^jh 4Afdmn\d mnk\nl, nonché Agam. 1650 nj*k^jh j'q } e l n _ `, cf. 1346, Heraclid. 722 2l ^^%l w^0h), gli farà perplessa eco lo stesso servitore, chiedendogli (v. 729): A \ d _ \ ^ s ^ ` h ^k nh Af nbh qk`0hD Non senza ulteriore ironia, ha, del resto, riaffermato (v. 720): A f s h gh
_b nh_’ kl A \ h n ` o q \ h (cf. v. 787, ove con il medesimo termine indicherà la panoplia, vittoriosamente strappata agli aggressori). Al decrepito Iolao (che si conferma modellato sul Corifeo dell’Agamennone), della cui volontà non dubiterebbe, ma non altrettanto delle capacità (v. 692 _ k h gh m$ ^’ j'q jl n`, ] j $ f ` m c \ d _’ msl, cf. Eur. Med. 1077s.), chiedeva rudemente (v. 694): A8l j,h A f n b l ––––––––––––––– 98 Un superficiale cenno è in CAVALLINI 1986, 150: richiama, tuttavia, il solo tramite di Agam. 578, per cui cf. supra, p. 52, n. 91. 99 Nel v. 694 Af n\dl è insensato, sarà da correggere con Af nbl, cf. EUR. Andr. 1122 (già suggerito da Elmsley), identico Af nbl valga nel v. 699, per il tràdito Af nbh: cf. supra p. 50. Il lessema manca in Sofocle, nel v. 695 il plurale _gjd è sostanzialmente un «aumentativo», di stile aulico, cf. P 122, etc. (cf. SCHWYZERDEBRUNNER, II 43). La medesima caratura stilistica del nostro g^\l _gjl.
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n ` o q s h z n ` k p \ h D cui subito Iolao ribatte, con uno spazientito m n d incipitario, che le armi sono immediatamente disponibili (vv. 695s. mn’ h _ g j d m d h h _ j h \ q g f s c’ A f \ / njm_’): quelle sottratte ai nemici, consacrate nel tempio che lo accoglie100. Una struttura, materiale e funzionale, evidentemente estrapolata dal nostro Alceo. Sopravvivendo, il vecchio assicura, saranno restituite, come tradizione e devozione impongono (avranno imposto anche ad Alceo), certamente non reclamate dalla divinità, in caso di morte. Viene prospettata la identica alternativa etica, che l’ardimentoso ribelle ingiungeva ai suoi consorti: cf. il fr. 129, in cui si giura di morire (v. 17ss. vff’ chjhn`l ... e` m`mc`), ovvero di riconquistare la libertà trucidando gli avversari (e\eenhjhn`l \*njdl). Non resta che penetrare nel tempio, staccare dai pioli (v. 698 evA A\mmfsh }f1h h`^e`) lo A f n b h (immo Af nbl, cf. n. 99) e m g j h (cf. 725 emg< Aoeajo n>_`), con una procedura persino verbalmente alcaica. Anche il finale ammonimento di Iolao risulta tale: senza dubbio lo \mqkh, la discriminatoria viltà, in cui si riducesse lo jej$kbg\ del cittadino101. Che il modello alcaico venga trasferito e rappresentato all’interno del tempio, invece che verbalmente prospettato, conferma la «classicità», né soltanto la flessibilità operativa, dell’allucinato «miraggio». Un’ultima, per quanto sommaria (e maldestra) rievocazione di Alceo è in [Eur.] Rh. 154ss. Ettore offre qualsiasi ricompensa a Dolone, che tuttavia pretende specifiche condizioni (v. 157): A nj$njdl n h _’ & p m n \ g \ d A h j h. Ove l’alcaico (v. 14) 'A n9k^jh mn\g`h n_` costituisce non sospetto modello, con la probabile mediazione del cit. Eur. Suppl. 189 (Afdl) ghb _$h\dn’ xh n h _’ & A j m n h \ d
––––––––––––––– 100 Opportunamente, DIGGLE scrive _gjdmdh... Af\ / njm_’, jmd, eliminando lo scorretto njl _’ j,md (sintomaticamente, L). 101 La morale dell’\mqkh è predicata nel fr. 298,1ss. di Alceo, il giuramento che obbliga alla resistenza è nel più volte richiamato fr. 129, 14 et 23, cf., inoltre, fr. 75, 13 (n]ok\hh`$-, cf. 348, 3), 117b, 31. Il contenuto civile dell’alcaica gnome viene patentemente mutuato da AESCH. Agam. 807ss. ^h0m _ qkh<... / n h n ` _ d e \ s l e\ n h v e \ k s l / Afdh j e j o k j + h n \ Ajfdn8h. Il significato verrà, ludicramente, distorto da ARISTOPH. Vesp. 968ss.: dei due cani (!) l’uno mangia teste e spine di pesce, ej'_Ajn’ h n\'n> gh`d, l’altro jejokl ghjh (immo g h j l Marz.) \'nj+ ghsh... _eh`d. Per il senso di j e j o k ` h , cf. FRAENKEL, ad l. (II 369s.). In proposito, significativo è PLAT. Resp. 451d nl cbf` \l n8h pofesh e o h 8 h ..., nl gh j e j o k ` h h_jh enf.
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A h j h 102. Sulla variazione insiste, significativamente, il volgare personaggio, cf. vv. 161s. j'ej+h A j h ` h gh qk, A j h j + h n \ _’ zidjh / gdmch pk`mc\d, insiste (ironicamente?) il Corifeo, cf. v. 197 Ahjl _’ `'ef`l103. Ribadisce Dolone, con ulteriore trivialità (vv. 162s.): A\hn ^k Akjme` g`hjh / e k _ j l A k l k ^ < nh qkdh n en`d _dAfh. L’ k ^ j h è l’epica e disinteressata impresa, cui si accingeva, con irrefragabile determinazione, Alceo. Al contrario, e k _ j l è la nuova, proterva aspirazione di una civiltà confusa ed ingorda, cf. Thuc. IV 59 n e k _ b g ` a s p \ h ` m c \ d n 8 h _ ` d h 8 h, già in Soph. Ant. 222 zh_k\l (!) n e k _ j l Ajffedl _ d 0 f ` m ` h. In Rh. 178ss. emergono due battute, aulicizzanti, malgrado la persistente trivialità. Dolone rifiuta ogni e più lungimirante promessa, ostentando da villan rifatto la ricchezza della propria casa (v. 170): (qkoml) vff’ mn’ h jejdlE j' ] jo mA\h ajg`h. Rozzamente ribadendo (v. 178): e\ Akmc`h `AjhE mnd qkoml h _gjdl. Una protervia, che diviene più sfacciata, nel seguito della sticomitia (vv. 179s.): JO. e\ gh f \ p $ k s h ^’ \ ' n l \km A\k0h. IT. c`jmdh \'n A\mmf`o` Akl _gjdl. Quest’ultimo verso non soltanto risale al nostro Alceo, ma fornisce filologica chiosa, alla storditezza dei sedicenti «storici». Gli Stichworte di Alceo sono eclatanti: di siffatti f p o k \ barbaglia l’Ode, ma soprattutto _ g j l riecheggia, nel puntuale significato di tempio (con la promozione dell’aulico plurale), alle cui pareti vengono inchiodati i trofei, che Dolone spregia. Consiglia ad Ettore di trastullarsi lui con siffatte devozioni. La mediazione di Aesch. Agam. 578s. (c ` j l f p o k \ ... / A \ m m f ` o m \ h vkq\jh ^hjl, cf. supra, p. 12) è innegabile. Esso reduplica la fascinazione alcaica, la prepotenza della sua invenzione, del conio verbale. Molteplice significato ha il conclusivo n _ ` (v. 1650, cf. p. 39). Spicca, infatti, per la finale (epperò estrema) posizione, per la aguzza efficacia espressiva, per la funzionale perentorietà. Ha valore marcatamente deittico (hic-Deixis), ribadisce l’antecedente n j * k ^ j h , il valore prospettico dell’articolo che lo introduce, la esuberante crasi. Si riferisce alla incom––––––––––––––– 102 Termine ossessivo diventa A h j l , già omerico (in genere sinonimo di gqb, ma cf. Y 525 Ahjh e\ e_`\), trionfalmente tragico, cf. il cit. SOPH. Ai. 866 A h j l A h < A h j h p k ` d. 103 Il versetto del Corifeo riprende, ironicamente, le spropositate lodi, elargite da Ettore a Dolone, cf. vv. 159s. Ak h `'ef` _gjh / ... cbe\l `'ef`mn`kjh. L’esplicito A h j l _ `, nel v. 197, obbliga a scrivere il determinativo g^\l w^0h due versi prima.
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bente impresa, i cui mezzi emergenti risultano finalisticamente decantati, attualizzati, parallelamente introdotti. L’enfatico n_` sottolinea il rapporto immediato con il folgorante armamentario (v. 13 n8h, ille-Deixis), ingiunge programmatica appropriazione, equivale in sostanza ad un possessivo, che di norma è riferito alla prima persona (cf. Kühner-Gerth I 643, con predominanti esempi in Sofocle): un vibrato richiamo, quindi, alla «nostra» iniziativa. Esso esprime l’alto grado di valutazione e di esaltazione («siffatto») dei referenti (Kühner-Gerth cit.), per la puntuta collocazione. Conferma, in sostanza, l’assenza dell’oggetto dall’occhio della mente (ibid. 644), «specie parlando di persone o di cose, che non si possono mostrare», direttamente (cf. Chantraine, GH II 168). Un pregnante sintagma, che si imprime nella memoria poetica della tradizione. Ai debiti già illustrati (supra, p. 38) di Eschilo con lo mn\mdsndeh alcaico, si aggiunga Agam. 1650 `\ _, p fjd fjqn\d, n j * k ^ j h j'q }el n _ `. Di cui sorprende, oltre alla pari intenzione, in identica sede, la verbale iterazione di nj*k^jh, e del conclusivo n _ `. Anticipato già nel v. 1346 nj*k^jh ` k ^ m \ m c \ d _ j e ` g j d: cf., del resto, v. 1497 \'q`l `h\d n _ ` nj*k^jh gh, nonché Choe. 298 nj*k^jh mn’ k ^ \ m n j h, [Aesch.] Prom. 57 ej' g\n nj*k^jh n _ `, Soph. OC 942 nj*k^jh n _’ iAk\i\, Eur. Hec. 1122 m% n j * k ^ j h `k^\m\d n _ `. La forma n9k^jh si deve a Lobel (AM p. 119), generalmente oggi adottata. Il normale nj,k^jh era motivato in Kühner-Blass I 331 (2), ove l’iniziale par. 61 va corretto con par. 51, cf. Hesych. n 1209 nj,k^jh (significa ambiguità della più generale tradizione)E n k^jh, e\n moh\ k`mdh n8h pshbhnsh. Ancora una volta una evenienza «intertestuale», vigorosamente indicata da contrappuntistiche ricorrenze. Il cui valore non è tanto formale (nonché strutturale), ma di ordine rettorico, ostinatamente modulare. Ribadisce una ritmica (piuttosto che «letteraria») intelaiatura, nella concezione specifica di una poesia «ininterrotta»: unitaria nella ispirazione, nelle forme, come nelle scelte funzionali, comportamentali, in conclusione «estetiche». Il regime «operettistico» di siffatta ripresa consente il passaggio (troppo atteso, ed inseguito) alla commedia (non è l’unico!). Nel tardo Pluto, Carione ingiunge al Giusto di togliersi il mantello, evidentemente sordido (v. 935s., njonjh è spregiativo). L’interessato protesta, lo aveva già promesso al dio Pluto, per grazia ricevuta. Quale dedica migliore, insiste perfido Carione (vv. 938s.), che le spalle di un malfattore? Conclude, perentoriamente: Ufj+njh _ ejmg`h g\n jdl m`ghjl AkA`d. Quanto alle scarpe, altrettanto miserabili, la destinazione è immediata. Inchiodarle, per sovrammercato, in fronte al delinquente (vv. 942s.):
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e\ n\+n\ A k l n g n s A j h \'n e\ _ gf\, 4mA`k ejn h< A k j m A \ m m \ f ` $ m s njon< 104. Il Sicofante si arrende, deve constatare che questo mqokl c`l, in realtà, e\n\f$`d A`kdp\h8l `l 7h ghjl / nh _bgjek\n \h, traviando (Adc0h = (e\n\)A` m\l) sia la civica ]jof, sia la eefbm \, l’Assemblea popolare: si è fatto, evidentemente, tiranno. Sarcasticamente (v. 951), il cittadino Giusto lo spedisce ad intrupparsi tra i delinquenti, che affollano i bagni pubblici. La stessa sorte, cui è destinato l’archegeta dei demagoghi, alla fine dei Cavalieri (vv. 1400–3). Ricorrendo ad un modulo, sorprendentemente alcaico (cf. 117, 29 !]l A [ k h] \ d m d h g f f ` d), quindi anacreonteo (fr. 388, 5 P. e v c ` f j A k h j d m d h g d f s h). Che questo fosse il suo posto, è indubitabile. Ma il termine m n m d l, in un contesto apertamente antitirannico, significa primariamente, quanto meno richiama la “fazione” politica: una definizione sprezzante, che già Alceo ebbe occasione di non capire, sconvolto dalla bufera105. Il Giusto sottolinea di avergli (malgré soi) consegnata la sua A\hjAf \: un termine sarcastico, ma emblematico della rivoluzionaria atmosfera, quale spicca nello scenario, patentemente alcaico106. Già in Av. 830s. si contesta, che una divinità, per una sventura nata femmina, A\hjAf \h m n b e’ qjom\: non diversamente da un Clistene armato di spola, un pederasta convertito al telaio. Anche il nostro Sicofante, A\hjAf \h qsh ... ejkop\jl }mnbe0l, si riparerà dal freddo nei pubblici bagni. I due passi, più che ––––––––––––––– 104 Il significato di g n s A j h è tutt’altro che ovvio, 4 m A ` k e j n h < richiama strumentalmente l’olivastro. La nominata «fronte» non può quindi essere che un metaforico «frontone»: di un edificio (cf. HERODOT. I 178, II 124), addirittura di un tempio, cf. SIG 282 II 20 (Priene, IV a.). 105 Si tratta del cit. (n. 97) fr. 208a, 1, per la cui corretta interpretazione cf. il cit. B. MARZULLO, «Philol.» CXIX (1975) 27–38. Cf. 130b 11s. p`$^sh n]h [A]f`gjhE m n m d h ^k / Akl ek[` mmjh\l (Marz., coll. HESIOD. Op. 210 [zpksh _’, l e’ cfb Akl e k m m j h \ l vhndp`k a`dh], nec non PIND. P. II 88 qk / _ Akl c`h j'e k a`dh, N. X 72 q\f`A _’ kdl vhck0Ajdl gdf`h ek`mmhsh) j'e zg`dhjh (an j' effdjh Page) hhfbh, cf. HERODOT. V 36, 2 Af`gjh vh`f`h. 106 Il termine non è anteriore a Erodoto, a differenza di A\hn`oq \, cf. AESCH. Sept. 31 mj+mc` m%h A \ h n ` o q , nonché fr. 304.3 N.2, in realtà SOPH. fr. 581,3 R. ck\m%h A`nk\jh khdh h A\hn`oq , che LSJ, Rev. Suppl. (1996) non registrano (cf. ARISTOPH. Av. 435, 830, Pl. 951, fr. 240 K.-A., ripreso in ARISTOPH. fr. 5 K.-A. A \ h n ` o q \ h _ nj+ c`j+). In HERODOT. I 60 ricorre il travestimento di una finta Atena: ^oh\e\ m e ` o m \ h n ` l A \ h j A f . Con siffatta messinscena venne assicurata la tirannide, a Pisistrato. Significativo risulta DIOD. S. IV 10 e \ n m A \ m ` h e n 8 h h \ 8 h n l A k j m b f s g h \ l A \ h j A f \ l (cf. Eq. 859 cit.).
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paralleli, risultano gemelli, in virtù di mnbe\: l’assurgere ad una rivoluzionaria conquista. La cui natura, ideale e espressiva, spicca in Alceo, da questi dipende, ludicramente forzandolo. L’iniziale `kh, il successivo e j m g ` h ... m`ghjl107, il finale A k j m A \ m m \ f ` $m s costituiscono innegabili marche di siffatta manipolazione. Ma indicano funzionale conferma della impresa, cui nient’affatto nebulosamente si accingeva il poeta, fattosi controrivoluzionario. Grazie ad oplitiche armature: tutt’altro che un «miraggio» di sprovveduti interpreti, ma fortunosamente collocate (spesso con identica intenzione) in un pubblico sacrario108. La più stupefacente delle alcaiche riprese è, tuttavia, sfuggita. Nei Cavalieri di Aristofane incombe la rivoluzione, la conduce il Paflagone, triviale, astuto, spudorato (vv. 843–59). Egli vanta il mirabolante colpo di mano, gli scudi spartani, da lui conquistati a Pilo109. Con tale impresa, ha ––––––––––––––– 107 C’è da sospettare m ` g h 8 l , cf. Vesp. 585 e\ n e^q n Aho m ` g h 8 l n j l m b g ` j d m d h Aj$m, Plut. 1198s. nl q$nk\l, \l nh c`h / _komg`c\, f \ ] j + m \ ... pk` / m ` g h 8 l . 108 Significativo è THUC. III 114, ove il terzo n8h me$fsh, riservato agli Ateniesi, venne ricatturato per mare, mentre n _ h + h v h \ e ` g ` h \ h n j l n n d e j l ` k j l Ibgjmch`d i k c b m \ h n k d \ e m d \ d A \ h jAf \d. 109 Il numero degli opliti prigionieri fu di 292 (THUC. IV 38): sembra dubbio, che tutti i loro scudi siano stati esposti nella mnj Ajde fb, è verosimile che fossero ridotti a quella «decima», di cui sopra. Seicento anni dopo, Pausania (I 15,4) aveva potuto personalmente ammirarli, in loco (infra, n. 128). Emozionante è la testimonianza pervenutaci dello m e + f \ ^ k p ` d h , in. EUR. Phoe. 572ss. ... nkjA\\ A8l zk\ mnm`dl Id (an _jk ? Marz.) ... / e\ m e + f \ ^ k r ` d l A 8 l ...D (evl Valckenaer, inepte), cui segue M ] \ l A o k 0 m \ l n m _ ` ... c ` j l / v m A _ \ l c b e `. Uno di questi scudi fu sorprendentemente scoperto in una fortunata campagna di scavi, condotta nell’Agorà, cf. TH. L. SHEAR, «Hesperia», VI (1936) 346ss., nonché VII (1937) 140–3: sul fondo di una cisterna ellenistica, in pessime condizioni (supra, Tav. I). Di forma ovale (95 x83 cm.), porta inscritto, nella parte convessa, su quattro linee: FMLRFNTN / FUTPFOJI / FNQ[TR]NBR / JO[UX]PT, v. quindi «Archaiol. Ephem.» VII (1937b), 140–3 (cf. infra, n. 128, nonché il recente M. LIPPMAN – D. SCAHILL – P. SCHULTZ, Knights 843–59. The Nike Temple Bastion and Cleon’s Shields from Pylos, «AJA» CX 4 [2006] 551–63, una complessa e dettagliata integrazione ai suddetti materiali, nella sostanza però invariati). L’Autore sottolineava conclusivamente, che le forme ionizzanti di L ed B concordano con qualcuno degli armigeri «alleati», che secondo Tucidide (IV 28) Cleone selezionò per la sua spedizione: questi aveva, per la verità, dispettosamente escluso ogni Ateniese. Notizie in proposito già in PAUS. I, a c. di D. MUSTI – L. BESCHI, Milano 1982, p. 317. Non marginali considerazioni impone la iscrizione, fortunosamente ritrovata. Nella conclusione del paragrafo è tramandato, infatti, che l’epigramma P \ e ` _ \ d g j h s h (an e P\e. Marz.) `h\d f^`n\d. Sarebbe da correggere `h\d
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messo in ginocchio l’intera frotta degli avversari (vv. 844s.): gj ^k mn’ `k^\mghjh n j d j + n j h k ^ j h, 4mn` / wA\iA\hn\l ... Admnjg a`dh. Dispone, pertanto, di un’arma segreta (v. 846): sl xh n 8 h v m A _ s h n 8 h e U $ f j o n d f j d A h. Il Salsicciaio capisce al volo, gli ingiunge di fermarsi110, con questi scudi gli ha data la presa giusta111. Malgrado il decantato amore per il Popolo, non avrebbe dovuto farli appendere \ ' n j m d n j l A k A \ i d h112. ––––––––––––––– dai colludenti -\d ed vh\-, col sussidio di PLUT. Mor. 582a e ^k\ggnsh v h \ f ^ ` n \ d Ajfgjol g`^fjol, nonché di CALLIM. Ep. XXIII 4 ^kgg\ v h \ f ` i g ` h j l. Significativa è l’alternanza delle preposizioni, ambedue (vAj-, e-) esprimono provenienza. La prima un punto di partenza «umano», la seconda quello «locale» (e U$fjo): correttamente già nel cit. Eq. 846, ossessiva pertinenza negli ulteriori vv. 702, 742, 1167, 1208, cf. Nub. 186. KÜHNER-GERTH I 458, premettono, che non di rado lo scambio avviene «senza turbare i rispettivi rapporti di riferimento», tra i casi anomali, diversamente funzionali, segnalano quindi THUC. I 35 v A n ` n 8 h hmAh_sh mn\d Afbkj+h nl h\+l ... e\ e n l z f f b l ff_jl e\ ... v A n 8 h &g`nksh &Abesh, ... v A n l ... iogg\q \l ... e\ v A n l ... 3p`f \l (cf. infra, n. 124). Rilevante, che lo stilema e U$fjo nei Cavalieri ricorra persistentemente, come sopra indicato. Da sottolineare è che il cit. v. 846 testimonia della sistemazione «urbana» dei fatidici scudi, ormeggiandone la formale iscrizione: sl xh n8h vmA _sh n 8 h e U $ f j o n d f j d A h . Lo schol. al cit. v. 846 reca n vA U$fjo e\ Vp\enbk \l (an [e\ ] n l V. Marz., coll. THUC. IV 8, 6ss., h mjl Vp\enbk \ e\fjoghb, nec non II 15,5 e\fjogh, ... 3hjg\mgh enf., STRAB. VIII 348), in cui vA risulta generalizzato. Nella ricostruita epigrafe, va integrato alla fine e U $ f j [o . PAUS. cit. (I 15,4) hc\+n\ v m A _ ` l e ` h n \ d q \ f e \ conferma l’allineamento al suolo degli scudi (cf. I 27,1 e ` n \ d _ h n> h\> ... vhcbg\), come nel nostro Alceo (v. 10) era prefigurato. Mentre gli schinieri pendono da appositi uncini, corazze e scudi risultano «gettati» per terra (e n ... ] ` ] f g ` h \ d ). Che l’espressione alluda alla notoria "dr\mA \ (PAGE, SaA 218) sembra da escludere, potrebbe costituire tuttavia irridente richiamo alla codardia nemica. Il significato di e \ n \ ] f f s risulta qui oggettivo, in una esposizione intesa da parata. 110 E. FRAENKEL, Beob. z. Aristoph. 49, ha il merito di aver isolato A m q ` l , facendone un avverbio («alto là»), cf. «Gnomon», XL (1968) 2. Esso ricorre 7x in Aristofane, prevalentemente in incipit, spesso seguìto da j-njl, cf. CRATIN. fr. 69 K.-A. A m q ` l \ ' n j +. 111 Il sintagma f \ ] 1 h h _ _ s e \ l introduce il necessario A k A \ i d h , con maligno doppio senso: è anticipato nel v. 841 da f \ ] h _ _ s e ` h , parimenti figurato. Della anfibolia sono consapevoli gli scolii, cf. inoltre HESYCH. f 11 (cf. EM 554, 10 f.: ... ggrdl, i.e. f rdl Marz., coll. POLL. II 155 f rdl e\ f\]), che va riportato al cit. Eq. 814. 112 Non soltanto gli Spartani, diffidenti degli Iloti, nella propria casa disattivavano lo scudo (cf. CRIT. fr. 37 D.-K.): la generale prassi si sarà dovunque ispirata alla prudenza.
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Si tratta di un finalizzato machiavello (v. 848 e Akjhj \l): quando (il) Popolo decidesse di fermare il criminale, non gli riuscirebbe più. Hanno fatto un solo blocco113, giovani conciapelli, facinorosi di non diversa risma. Se mai il Popolo con un ruggito minacciasse di sbatterli in esilio (!), h $ e n s k e \ c \ k A m \ h n ` l n l v m A _ \ l cjhn`l (cf. Eur. Andr. 1122ss. e\ A\k\mn_jl / ek`g\mn n`$qb A\mmfsh e \ c \ k A m \ l / m n b ... A f n b l), occuperebbero immediatamente i pubblici granai, situati vicino alla Stoa, dove erano «esposti» gli scudi. (Il) Popolo schianta (v. 858): jgjd nf\lE q j o m d ^ k A k A \ e \ l. Realizza lo scopo dello stratagemma, micidiale prima che blasfemo. Il verbo q`dh ha valore forte, altisonante: significa abbigliarsi, indossare, quindi armarsi, cf. R 436, V 538, 595 (LSJ s.v. A II 3). Lo schema, per così dire tattico, è innegabilmente alcaico. Il njdj+njh k^jh di Eq. 844 appare identico al n9k^jh ... n_` della nostra Ode, viene significativamente anticipato, perché già compiuto (ib. `k^\mghjh), costituisce tuttavia modello e strumento della ulteriore impresa. Il ricorso agli scudi è perfettamente parallelo: bottino di guerra, in ambedue le occasioni, dedicato secondo convenzione alle divinità comuni, se non diversamente nominate, cf. Thuc. III 57 n j l ` k j l n j l e j d h j l m e + f \ ... v h \ n ` c h \ d). Per precauzione, evidentemente, gli scudi venivano «disinnescati»: senza il bracciale di sostegno (e di manovra), sarebbero inutilizzabili114.
––––––––––––––– 113 Per l’espressione nj+nj _’ ` l ~ h m o ^ e ` e o p l , cf. HERODOT. III 82 j ^k e \ e j + h n ` l n e j d h m o ^ e $ r \ h n ` l Ajd`+md, nonché VII 145 pkjhm\hn`l ` esl h n` ^hjdnj n ffbhdeh e\ ` m o ^ e $ r \ h n ` l n3on Akmmjd`h A h n ` l. LUCIAN. bis accus. 4, ne esplicita la denotazione clandestina: `l n p\h`kh gh j,h njfg8md f^`dh, & A j n j h c j k $ a j o m d _ m o ^ e ` e o p n ` l . 114 Il A k A \ i (cf. A` ks / A`khb) viene definito da schol. SOPH. Ai. 576 come f8kjl (i.e. lorum vel lorus, cf. PLAUT. Truc. 783 ita l o r a l a e d u n t brachia, etc.), _d’ j- e\nc`fj+md nh vmA _\, l f^`n\d e\ q\hjh (cf. HESYCH. j 1987 q \ h j h E n l vmA _jl A k A \ i e\ _`mgl). Nessuna ricorrenza di AkA\i è in Eschilo, una in Sofocle, quattro in Euripide. Lo ignorano Erodoto e Tucidide. La sua rarità lo obbliga ad un particolare, né diffuso, tipo di scudo. Il solo Esichio (A 3051), del resto, reca: A k A \ iE f \ ] n j + A f j o. Sicuramente, la glossa risale ad Eq. 841 (f\]), 849 (AkA\idh), con una innegabile «coppia contigua», cf. infra, n. 133.
Cap. VI – Enigma o miraggio? Anche in Alceo si può supporre una siffatta ed insidiosa «risorsa», tutt’altro che illusoria, né letterario miraggio. Intimando di non dimenticarsene (v. 13 n8h j'e mnd fc`mc\d), il poeta non alluderà banalmente alle armi in quanto tali, oppure alla programmatica disponibilità, altrettanto ovvia, delle medesime, ma allo stratagemma attuato, in vista della ardimentosa congiura. Sfacciatamente, il Paflagone vanta l’esclusiva capacità di bloccare i ribelli, nulla sfuggendogli di quanto si trama in città (Eq. 862 j'_h h n Af`d i o h d m n g ` h j h, cf. Aristoph. Lys. 577 j iohdmng`hjd, «cospiratori»). La ripresa di questo verbo sottolinea consapevole determinazione, rivoluzionaria reattività: richiama un concordato progetto. Significa un piano di attacco, tempestivamente ordinato (v. 15 'A ... mn\g`h, cf. Thuc. III 57 _$j v^8h\l nj%l g`^ mnjol & A m n b g ` h), che Aristofane traduce con e Akjhj \l (v. 848), illustra con farsesco sbigottimento115. I successivi versi (862s.) ne danno letterale conferma. Il Paflagone, despota vittorioso, vanta: A \ o m \ n j % l i o h s g n \ l, sonoro allarme contro ogni trama ordita nella città. Già nei vv. 476ss. proclamava la denuncia delle i o h s g j m \ d, delle notturne i$hj_jd, delle congiure contro il Re persiano (v. 478 i o h 0 g h o n `), nonché i pasticci combinati con i Beoti (v. 479). Il modello alcaico ne risulta cogente: viene a sua volta illuminato dalla parodia di Aristofane, non meno folgorante (scenicamente rappresentata)116. ––––––––––––––– 115 Non è casuale, che il Salsicciaio poco prima (vv. 834s.) si auguri di cogliere l’avversario _ s k j _ j e m \ h n’ e Q o n d f h b l / Af`h ghl n`nn\kejhn\. Uno scolio a LUCIAN. Tim. 30, ricorda la somma di trenta talenti, con cui quelli di Lesbo (!) residenti in Atene avrebbero corrotto Cleone. Corruzione, non soltanto rivoluzione, sono incise nella memoria collettiva degli Ateniesi. L’analogo è, del resto, in ALCAE. fr. 69, 1ss. ... P+_jd gh A\mqf\hn`l / ... _dmq`f jdl mn[nbk\l / zgg’ _se\h, \ e` _oh\ g`c’ k[\h l Afdh (cf. HOM. \ 2, d 165 ` k h A n j f ` c k j h ) f c b h (cf. e n j _ j l , in HERODOT. I 60, 61). 116 La vocazione del personaggio risulta ossessivamente repressiva, come si addice ad ogni tiranno. Spitzwort è A \ + m \ d («vietato vietare», opponevano candidamente i nostri scolari, in una stagione non lontana), cf. vv. 877 (~ 879), 880, 1383.
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Cap. VI
Gli antichi studiosi erano consapevoli di questa coincidenza. Nel v. 842 il Coro incoraggia Paflagone, di cui magnifica la forza (Af`okl qsh n\$n\l). Il termine viene argutamente (?) chiosato quale metafora: non i «fianchi», ma i «fiancheggiatori»117. Non soltanto le fattezze essi intendono (ma l’alcaico prototipo del Masaniello risulta soprannominato Y$mesh, ovvero Hmnksh, cf. Alcae. frr. 128, 2; 429, 4, nonché Sophr. fr. 22 K.-A. Y$meb, Aristoph. Ran. 200 Hmnksh, appellativo di Dioniso)118, precisando: njonmndh }n\dk \h qsh njd\$nbh119. È questo mnpjl di ignobili accoliti, però `l ~h mo^e`eopl, che abbiamo già sottolineato: quei congiurati, cui Alceo ingiungeva coesione indefettibile (scenicamente rappresentata). Quanto al v. 846, gli scolii commentano: cjl _ h n vA n8h Ajf`g sh Af\ h njl `kjl vh\ndch\d (che in realtà trascrive Thuc. III 57, da noi già segnalato), quindi {A`k vhcbe\. Il che sembra inesatto, trattandosi della Stoa. Ma vero nel caso di Alceo: però archetipico, ossessivo modello, di un topos ormai stucchevolmente letterario, incomprensibile. In margine al cit. v. 849 (\'njl njl AkA\id) viene, tra l’altro, ribadito vh\n cbm\h _ n e n8h A j f g s h 120 Af\ zh`o n8h qhsh, ––––––––––––––– 117 Ma cf. HOM. [ 716 A f ` o k l n` e\ 6gjol. NICOL. COM. fr. 1, 27s. K.-A. pretende che il parassita debba innanzitutto avere A f ` o k h ... ,/ AkmsAjh n\gh, in perfetto parallelo con Eq. 842, nel fisico come nel comportamento. Significativo risulta CIC. de orat. I 60 (255) quae v o x , quae l a t e r a , quae v i r e s, ribadito da QUINT. XII 11,2 v o c e , l a t e r e , f i r m i t a t e (constat orator): ove i primi due termini sono in evidente rapporto di causa ed effetto. La nostrana malavita definisce il camorrista o mafioso «òmme ’e panza»: di salde viscere, sembrerebbe. 118 Già di Pittaco medesimo, cf. ALCAE. fr. 429, ove il teste spiega: nd A\q%l h. Una silhouette, che non sembra tuttavia si addica a Dioniso: giovane (adolescente, cf. hjl, A\l, ejok ash, in genere effeminato, _ gjkpjl), tutt’altro che panciuto, malgrado una memorabile interpretazione di Tino Buazzelli, nella primavera del 1976, nel Teatro greco di Siracusa (nella mia traduzione, Milano 1982). 119 Di sicuro } n \ d k \ h q s h non può chiosare Af`okl qsh, del testo: sospettiamo, che il glossema si riferisca invece allo mnpjl poco distante, già interpretato con m$mnbg\, Af cjl. Questi due sinonimi, tuttavia, riconducono ad }n\dk` \h, ibid. }n\dk` \h e\ _$h\gdh p fsh qsh e\ je` sh, PLUT. Pericl. 14 }n\dk` \h v h n d n ` n \ ^ g h b h e \ n f o m `, già EUPOL. 99, 28 K.-A. n l }n\dk \l (-` \l Marz., praee. Demian´czuk) _ nj$nsh nj+l p fjol me[`gghjl (Marz.), THUC. III 82, 5 n l n` } n \ d k \ l _d\fonl ... n mo^^`hl nj+ }n\dkdej+ (cf. VIII 48). «Auxiliares copiae ad imperatoris et palatii custodiam», ThGL IV 2177 (s.v.), L. DINDORF. Nel greco moderno può equivalere a unità militare (= fqjl, «compagnia»). 120 Ead. Suda A 2090. In ambedue i casi è tramandato n e n 8 h A j f g s h A f \ : sarà da correggere con A j f ` g < > s h . L’unico Ajf`gdel di Erodoto
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h\ g }nj gsl qjomdh (qsmdh Marz., coll. T 348, etc.) \'njl qk mc\d, precisando ulteriormente: gbqhbg\ _, mnk\n^bg\, e\ej$k^bg\. Ciò risulta puntualmente rilevato nel caso del Paflagone, dovrà tuttavia inferirsi anche in quello (paradigmatico) di Alceo. La autorità, che a suo tempo consacrò gli scudi (con siffatta riserva mentale), sarà quella stessa, che ora predispone lo specifico colpo di mano, arringando i congiurati. Il previdente stratagemma va quindi attribuito ad alleati, quanto meno tatticamente insinceri (non diversamente da Pittaco: ma à la guerre, comme à la guerre). Si tratterà di Alceo, a difesa dal i o h s g n b l, che già si sospetta protervamente tiranno, pronto a calpestare i patti. Pittaco, dunque, a suo tempo simulatore, ma (come accade ai bugiardi) nella sostanza ingenuo, se non inesperto di guerriglia.
––––––––––––––– (III 4), viene per altro contrastato dal più corretto Ajfgdjl: lo stilema n A j f g d \ z f e d g j l, qui favorisce l’errato scioglimento della abbreviazione finale.
Cap. VII – La tradizione del modello La continuità letteraria del carme di Alceo risulta già meritoriamente rintracciata da M. G. Bonanno (1990). Conviene richiamare i tratti salienti della indagine, marcandone peculiarità unificanti, distorsioni storicamente significative: esse congiurano, organicamente, nel confermare la ipotesi del tempio (ovvio depositorio di offerte devozionali), contro gli alieni arsenali, di cui ostinatamente vagheggiano interpreti superficiali. La poetessa Anite (AP VI 123 = I G.-P.) dà voce ad un Cretese, che raccomanda al giavellotto omicida di r e s t a r e dov’è esposto: v. 1 m n \ c d n_`, che a giudicare dall’analogo [Simon.] AP VI 52, 1s. j(ns njd, g`f \ ..., A j n e j h \ g\ekh / m j ... g h j o m \, cf. \ 127 = k 29 ^ q j l m n b m ` A k l e j h \, che indicano l’abituale appoggio. Del resto, puntualmente ripreso nel v. 3: vff’ vh g \ k g k ` j h _ g j h gh\, che di Alceo non indica fatua ripresa, ma ammirata dipendenza. Si tratta del famoso tempio di Atena sull’Acropoli di Tegea, in cui la devozione di chi offre appare identicamente ispirata dalla vanagloria. Tuttavia proclamando un valore, per così dire aggiunto: umanitario, moralistico, rimordente. L’offerente (o la poetessa?) si augura, che la micidiale arma finalmente smetta di sgocciolare sangue, si trasformi in evangelico messaggio: mai più assassina121. Più esplicito, ai nostri fini, appare Leonida (AP IX 322 = XXV G.-P.). Ove irrompe lo stesso Ares, a protestare contro le intatte armi, deposte nel suo santuario. Le disconosce d’acchito, le rifiuta (vv. 1s.): j'e g n\+n\ f p o k \. Si chiede: n l c k d ^ e j m d h v h r \ l / kbjl n\$n\h nh z q \ k d h q k d n \D (cf. Aesch. Agam. 1545, Choe. 43, Eur. IT 566). Sono, infatti, cimieri assolutamente incontaminati dal sangue, non diversamente dagli scudi, come integre sono le fragili lance (che Alceo ignorava): si tratta in realtà di consumistiche offerte, venali copie di inesi––––––––––––––– 121 Un tema simile appare topico: oltre a [SIMON.] AP VI 52, 1, cf. AP VI 121, 2s. e ` n \ d ... ni\ A\k’ kngd_dE / ... h+h _ A A \ o n \ d , AP VI 124 vmA l ... | g g \ d / h\> & A j k k j p \ , AP VI 125
_b n_` g h s Ajfgjo _ q\, AP VI 128, 1s. m j e\n’ ^c`jh n_’ vhenjkjh, v m A l p\`hh, / z h c ` g \ P\n= _ujh kngd_d. Si tratta sempre di situazioni individuali, verosimilmente fittizie o letterarie. Il vivo, allucinato afflato di Alceo è dileguato, emergono non più che verbali larve.
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stenti originali (cf. infra, nn. 128 et 129). È vergognosa la dedica, vadano a decorare nuziali talami (A\mn_\ ndl ... e\ vh_k`d8h\ e\ \'fh / ejmg` ns e \ n h h o g p _ d j h c f \ g j h), siti però borghesi122. Egli pretende che, soltanto se intrisi di sangue, gli k`ol123 _’ \g\n`hn\ _ d s i A A j d j (cf. Bacch. IX 44) f p o k \ / h b h e j m g j b. Viene fermamente riscattata, con risonanti stilemi, la esaltante devozione di Alceo: inerti, li dichiarano le decorative fantasie di interpreti storici o letterati, in realtà semplici «miraggi». Patentemente, il tempio costituisce il fulcro culturale (non solo cultuale) della fantasmagorica visione di Alceo: come del bellicoso Leonida, sanguigno, inesausto avversario degli orridi Lucani. Nello stesso Leonida (AP VI 324, 1ss. = G.-P.) Ares dispregiava agresti e floreali offerte, offensivamente dedicate a lui. Roba da Ninfe, pervicacemente egli rifiuta sacrifici v h \ d g e n j o l. Meleagro agevolmente lo surclassa (AP VI 163 = CXX G.-P.): n l n_` gjd chbn8h
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L’aberrante modello viene ripreso da Antipatro (AP IX 323 = LX G.-P.). Si tratta di una variazione, altamente letteraria, di innegabile respiro. Ma l’attacco, con n l cnj g \ k g \ k j h n \ ] j ^ k d \, risale più direttamente ad Alceo, le cui vmA _`l vengono nobilitate per mezzo di un problematico ]j^kd\ (una agudeza, attinta da Q 22, U 296, cf. Hesych. ] 766 ]j^kd\E vmA _\l). Subentrano vpkoen\ _j$k\n\, sorprendentemente trascurati in Alceo, seguono delle vkk\^\l ekoc\l, che si precisano v ^ e k ` g m \ l k b u gmnjkd e m g j h z e j m g j h. Ove Alceo spicca, concettualmente e per le peculiari forme: se il participio costituisce funzionale tecnicismo, kbu ribadisce quel dativo dedicatorio, che faticosamente emergeva dal v. 2 del nostro Alceo, persistente è la iunctura ckd^e8h hnl, un preziosismo tipicamente alessandrino rappresenta e m g j h z e j m g j h 125. La conclusione ormeggia Meleagro, ma j'e v A ’ g 8 h " r ` d n\+n\ ndl Af\ _gsh (v. 4), non soltanto ribadisce il problematico _ g j l di Alceo, di nuovo attribuendolo ad Ares, ma gioca, concettosamente, con l’emblematico " r\mAdl (cf. Eur. El. 820 " r\l vA’ 6gsh AjkAg\n\ [Eur., pl. tantum], quindi Lys. X 9, etc.), in Alceo ambiguamente suggerito: conferma la sua presenza sotto l’alcaico e n z m A d _ ` l ] ` ] f g ` h \ d, da noi rivendicato (supra, p. 17). Soltanto di esibizionistiche magioni sarebbero degne queste troppo lucide armi, certamente j ' c k d ^ e 8 h h n l h o \ f j o. La conclusione rivendica soltanto me+f\ ... vgp _koAn\ (hapax, salvo Paul. Silent. VI 84, in contesto parimenti anatematico) e\ ffoghsh {_` f$ckjl / vh_k8h, protestando la propria e sanguinaria natura. Nella costellazione qui descritta, M.G. Bonanno rileva (1990, 143s.) «una sorta di catena allusiva, capace di agganciare Alceo a Meleagro, per insinuante ma ferma “memoria”». La procedura, in realtà, è peculiare della letteratura greca, di quella latina, di ogni tradizione, di cui istitutivamente si nutre la creazione poetica. Ma anche musicale, che nella odierna rifioritura programmaticamente si alimenta (come per lusus, con ammiccamenti tipici dell’alessandrinismo) di tutto il passato: lo manipola con provocatoria arguzia, lo metabolizza in nuovi, eccitanti barbagli. Il topos, inaugurato da Alceo, ha il vigore prepotente del puro «classico»: le successive occasioni non sono tuttavia gratuite, ma patentemente legate ai rispettivi contesti.
––––––––––––––– 125 Simpatetico col nh z q \ k d h q k d n \ di Leonida (v. 2), il cui antecedente è lo pseudo-eschileo Prom. 545 (lyr.), indebitato con Agam. 1545 (z q \ k d h q k d h ), Choe. 1545 (q k d h z q \ k d h ), cf. EUR. IT 566 (q k d h z q \ k d h ). Ma e m g j h z e j m g j h significa sostanziale arbitrio in IULIAN. AP VII 561, 6.
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Da essi concordemente prodotte, a garanzia di storica (e non soltanto letteraria) necessità126. Pierre Waltz, a proposito di Meleagro (AP VI 163, p. 91, n. 1), sottolinea «la satira violenta di una bellicosa genia, che consacra armi ad Ares, senza mai aver fatta la guerra». Gow-Page citt. rifiutano sprezzanti simile ipotesi, ritengono, che il poeta (alessandrino) non potrebbe che infischiarsene. Se la gara tra numerosi versificatori è tipica di una età, il cui maggior culto è lo a fjl, innegabile risulterà il privilegio di un tema siffatto, la insistenza non certo casuale su un topos, stucchevolmente letterario. Significa, infatti, testimonianza di una lettura di Alceo, verosimilmente diretta, sebbene manipolata, rovesciandone i fini. Nella realtà, come suggerisce l’intero libro VI della Palatina, la dedica delle armi è pretesto fittizio, ambiguamente commemorativo. Questo riuso, non soltanto formale, ludicamente agonistico, conduce ad una conclusione obbligata: il modello alcaico esibiva armi di abbagliante splendore, ma senza dubbio ripulite a dovere, solo esteriormente decorative, consapevoli «memorials»127. Il restauro, precedente all’offerta, appare intuitivo128: i cantori alessandrini ––––––––––––––– 126 Emblematica è l’esperienza (lucidamente epistemologica) di LUCIANO BERIO, costruttore di una più «Vera storia», non soltanto musicale, che risaputamente costituisce il nocciolo, ed il titolo, della sua rinnovata «opera lirica». Azzerata, ed esemplata sul livello dei «cantastorie», si riaffida alla intuizione, a disadorna ma schietta passione. Nel suo «ricercare» impaziente, premono istanze aguzzamente cognitive, sprizzano finalistiche, se non provocatorie, accensioni della memoria. La cui struttura (annullato il tempo) perennemente rievoca ogni esperienza, ogni e riconoscibile momento della «storia» musicale: seducentemente li « a n a m o r f i z z a », li riattiva a dispetto (ma anche grazie) delle persistenti «forme» della specificità stilistica. Questo meccanismo richiamavo nella «lectio magistralis», in occasione della Laurea honoris causa (in «Discipline delle arti, della musica e dello spettacolo») a me consegnata, contestualmente a Berio e allo scrittore Elie Wiesel, premio Nobel per la Pace (1986), dalla Università di Bologna (Corso DAMS), il 20 ottobre 2000, ora in «QUCC», n.s. 68, nr. 2 (2000) 151ss. Cf. infra, p. 144, n. 292. 127 GOW-PAGE cit. 670, forniscono una puntuale tabella delle concordanze, strutturali e formali, dei tre epigrammi in discussione (omettono LEON. AP VI 324, da noi richiamato, cf. p. 67). Non si interrogano, tuttavia, né sulla occasione, né sul significato di siffatte, ed ecolaliche, iterazioni. Le giudicano composizioni non più che epidittiche, virtuosistiche, gratuite. Variazioni libresche le ritiene WALTZ, ad AP IX 323, p. 130, n. 4, per quanto nella Introduzione del volume (p. XXI) egli denunci «une critique détournée des ‘stratèges en chambre’». L’ironico appellativo fu dedicato da Romain Rolland agli strateghi francesi della prima guerra mondiale! 128 PAUS. I 15,4 ha personalmente constatato, che nella Stoa gli scudi, ritenuti il bottino di Sfacteria (`h\d f^`n\d ?), risultavano pitturati con la pece, perché non li rovinasse il tempo, né la ruggine. Specifiche patine sono, in proposito, note a
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negano l’imbarazzante artificio, biasimano indignati, ironici, chiunque lo sospetti. Enfatizzano una intransigenza aguzza, un moralismo candido perché nella realtà inesperto, non più che (letterariamente) vagheggiato. Usano di Alceo non per la mirabolante esposizione, ma per il raffinato estremismo: che essi recuperano in chiave diversa, non più civile, morbidamente però sociale. La pura i n t e r t e s t u a l i t à costituisce fonte di «miraggi», di indifferenza alla storia: non solo alcaica129. La costellazione individuata favorisce una sorta di « i p e r t e s t o », emblematicamente alcaico. Una fertile, quanto rischiosa prospezione: il cui valore è tuttavia formale, eminentemente letterario (lo si direbbe «epifenomeno»). L’ancoraggio storico difenderà dall’assoluto, alla cui fantasiosa propensione fornisce referti inequivoci: non soltanto i significati necessarii, ma l’intrinseco senso della composizione, delle successive, spesso contraddittorie (se non polemiche) variazioni. Il Fortleben della nostra Ode è conquista recentissima, ma i contesti che l’hanno provocata costituiscono premessa indispensabile, per una ricezione integrale, illuminante. Che si trattasse di armi deposte in un tempio, ritualmente dedicate (per ragioni diverse!) alla divinità, occasionalmente riutilizzate, è circostanza acclarata con fatica: a dispetto di una consuetudine, di cui la cultura greca fa ininterrotto, conclamato vanto.
––––––––––––––– SIG 284,15 (Chios, IV a.) _`_i\mc\d..., Asl _ e \ c \ k l j + m n \ d vh_kdl e\ mn`p\hscm`n\d v` enf., vengono illustrate da PLUT. Mor. 395b c\$g\ajh _ nj+ q\fej+ n vhcbkh, 2l j' A h< Akjm`del j'_ >, ]\p _ eo\hj+ m n f ] j h n j l . Il medesimo PAUS. I 27,1, ribadisce, che nel tempio della Poliade e ` n \ d ... v h \ c g \ n \ ... z i d \ f^jo..., f p o k \ _ v A Q _ s h , Q \ m d m n j o c 0 k \ i ... e \ v e d h e b l Q \ k _ j h j o f ` ^ g ` h j l , cf. HERODOT. VII 54, IG I 170, 17, X 19,4 cbh\jd gh nl vmA _\l v A n j + k ^ j o (!) nj+ Q\k\c8hd vhc`m\h, enf., nonché PLUT. Timol. 31 Qg`kejl... egA\a` hdem\l nj%l gdmcjpkjol, e \ n l v m A _ \ l v h \ c ` l n j l c ` j l f ` ^ ` j h & ] k d m n d e h A ^ k \ r `E nm_` mnk`dj^k\p`l e\ qkom`f`p\hnbfenkjol v m A _ \ l v m A d _ j d l ` f j g ` h ` ' n ` f m d (!). Significativo, quanto riferito da AESCHIN. III 116: _^g\ ..., A`hnejhn\ n\fhnjdl abgd8m\d nh _ gjh n8h cbh\ sh, nd q k o m l v m A _ \ l v h c ` g ` h A k l n h e \ d h h h ` 1 h Ak h i\km\mc\d, e\ A ` ^ k r \ g ` h n A k j m e j h A ^ k \ g g \ E cbh\jd v A Q _ s h e \ M b ] \ s h , n` (an nd Marz., cf. KÜHNERGERTH, II 462s.) nvh\hn \ njl ffbmdh gqjhnj. 129 Ulteriore, ma inopinata categoria di siffatte consacrazioni segnala il medesimo PAUS. VI 23,7 A`k _ \'n v m A _ ` l v h e ` d h n \ d , c \ l h ` e \ e\ j ' e l k ^ j h (!) A j f g j o A ` A j d b g h \ d (facticiae). Una operazione patentemente celebrativa, ma per così dire posticcia, teatrale: truffaldinamente concepita e prodotta.
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L’intento di consimili esibizioni viene lucidamente formalizzato da Demostene, a suggello dell’orazione «Per la libertà dei Rodii» (XV 35): gli antenati si indussero alle rituali consacrazioni di armi e armature, non solo per suscitare la meraviglia di chi le ammirasse, vff’ h\ e \ g d g m c ` nl n8h v h \ c h n s h v k ` n l (quanto dire, epicamente, i progenitori) 130. Un proposito certamente implicito anche in Alceo, ma, a dispetto di fantasiosi interpreti, nient’affatto esternato: insufficiente dimestichezza con il greco ha condotto a riconoscerlo nel v. 13 n8h j'e mnd fc`mc(\d), di più immediato e pragmatico senso (supra, p. 25ss.). È sfuggito, del resto, che simile referente risulta esplicito in fr. 72, 7ss.: e h j l (!) _ n j $ n s h j ' e A ` f c ` n j / 6 h b k, A ` _ A k 8 n j h h n k j A `, vv. 11ss. m% _ n`\$n\l e ^ ` ^ h s h / ql / nh _i\h j\h zh_k`l f ` $ c ` k j d (!) / m f s h jhn`l e n j e s h. Identica finalità, con identiche espressioni, Demostene usa in XIII 26: si tratta di un radicato convincimento, epiditticamente proclamato. Il medesimo, cui si ispira l’Ode alcaica, ove la memoria non pragmatica, ma squisitamente passionale (fonte e garanzia di memoria sono, com’è noto, le emozioni), costituisce spunto primario, obbliga ad un rinnovato confronto con la realtà, induce al riscatto non soltanto civile, ma esistenziale131.
––––––––––––––– 130 Il gdg`mc\d di Demostene continua, in positivo, la opposta amnesia degli alcaici congiurati: la cui struttura concettuale è chiara in EUR. Hippol. 288ss. n8h Akjdc` gh f^sh / f\c0g`c’ zgps, cf., nella nostra Ode, il cit. v. 14. Un eventuale oppositore di Demostene commenterebbe (suppone l’Oratore stesso, cf. XIII 12):
_b _ ndl ... Ajo f^sh ... A \ k ` f c 1 h &g8h, n\h \'n> _i, h A f b m ` n 9 n \ f ^ s h , e\ _ d m o k ` n A\khn\, e\ nj%l A k j ^ h j o l A h ` m ` h , e\ g ` n ` s k m \ l e \ p o m m \ l & g l e \ n ] b . Ha valore forte f ^ s, cf. XENOPH. Cyr. I 3,10 f^sh ... nh }\onj+ "0gbh, ma già HOM. f 374 m% _ gjd f ^ ` c m e ` f \ k ^ \ , i 197 f^sh g e _ ` \ c o g j +. 131 Contraddittorio sembrerebbe PLUT. capit. descr. 273 c/d _d n n8h n j l c ` j l v h \ n d c ` g h s h g h \ n m e + f \ h`hgdmn\d A`kdjkh v p \ h d a g ` h \ n> qkh<, e\ g n ` A k j m e o h ` h g n ` A d m e ` o a ` d h D Le risposte si riferiscono soltanto ai trofei in campo aperto, che in determinate occasioni (e regioni) conveniva obliterare: sarà da credere, per convenienza politica. Il divieto di restauro (confuso con le cure, di cui a n. 128), era dedicato tuttavia ad esposizioni «urbane». Del resto, DIOD. S. XIII 24,5s. avvertiva, come gli antenati di tutti i Greci decretarono, che i trofei non fossero fatti di pietra, ma di legname, facilmente disponibile (e deperibile). Sospettava, che siffatti memorials (offensivi per i nemici di oggi) si volessero pertanto di breve durata. Questo passo appare fonte del citato Plutarco.
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Un significativo episodio viene ancora ricordato da Erodoto (VIII 37). A Delfi, avvicinandosi i Persiani132, lo sbigottito prelato dovrà constatare con i propri occhi, che le a r m i c o n s a c r a t e all’interno giacevano Ak nj+ hbj+ Akje` g`h\ msc`h e nj+ g`^kjo i`hbh`d^gh\ k. Diffonde la notizia: miracolosamente, le spoglie depositate dentro al santuario si trovano esposte all’esterno, per quanto fosse notorio sacrilegio toccarle, senza eccezioni133. Il santuomo informa gli accoliti, i barbari, ––––––––––––––– 132 Intenzionati a saccheggiare il tempio, per consegnarne i rinomati tesori al Re: il dio sconsigliò dal salvaguardarli, perché avrebbe provveduto … da solo (36). 133 Nel testo A f \ ed k , rilevanti all’inizio ed alla fine della proposizione, il valore dell’ultima qualifica è predicativo, cf. schol. ARISTOPH. Pl. 937 ` k h f^jomd Ah n v h \ n d c g ` h j h n j l c ` j l, che ricorre anche in Suda d 185 ` k h : { ^ d j h , n > c ` > v h \ h ` c ` d g h j h , seguìto dal più corretto `kh ^k f^jomd Ah n vh\ndcg`hjh njl c`jl (ex schol. Pl. 937 cit.), evidente esempio di « c o p p i a c o n t i g u a », supra p. 61, n. 114. Che costituisce sintagma squisitamente lessicografico, nient’affatto rettorico o linguistico di termini non di necessità qualificanti: designa una contestuale situazione (paradigmatica), non una significativa funzione (associativa) dei medesimi, come implicherebbe la mutata definizione in «coppia endiadica», di recente spacciata come nuova. Di fronte al persistente equivoco, ho cercato di richiamare il più ambizioso dei dissidenti (non mancano provinciali rdg\c`l) alla necessaria correttezza istituzionale, cf. «MCr» XXIX (1994) 292,1. Ho tuttavia constatato che R. TOSI (mio assiduo scolaro) persisteva, nel canonico «Neuer Pauly», s.v. Lexicographie, I 124s., nell’ignorare perfino quanto avevo ribadito nel cit. «MCr» (nessuna traccia, sorprendentemente, della mia Coppia contigua in Esichio, «QIFGC» III [1968], pp. 70– 87), invocando motivazioni impertinenti. Se opportuno è ricordare, a dispetto della claudicante redazione in tedesco, che siffatte «coppie assomigliano [?] a una serie onomastica» (ne discendono, in realtà, meccanicamente), rimane indimostrato che si tratti di una banale endiadi, pertanto di una supposta « c o p p i a e n d i a d i c a ». Endiadi non è né greco né latino, ha origine medievale, viene correttamente qualificato come «figura rettorica, per cui un concetto viene espresso con due termini coordinati, di solito due sostantivi al posto di un sostantivo determinato da aggettivo o complemento di specificazione» (così, fortunosamente, il Vocabolario [Treccani] della lingua italiana, III, 1987, 262). All’inizio dell’apparente nodo si pongono, storicamente, dei repertori «onomastici» (Polluce), il cui allineamento descrittivo viene verticalizzato, trasformando la serie occasionalmente sinonimica in equivalenze però incongrue, una volta smarrita la ragione esegetica, spesso coinvolgendo in processi schizoidi elementi del tutto eterogenei. Devo tuttavia ricordare le valutazioni autorevolmente già espresse da H. HUNGER (Die hochsprachliche Profane Literatur der Byzantiner, in «Byzantinisches Handbuch» V Teil / II Bd., München 1978, 36ss.), sull’illuminante principio da me individuato («jüngst von B. Marzullo entdeckt: ... an vielen Stellen aus der klassischen Literatur wurden durch die Tätigkeit der Lexicographen zwei bis drei Begriffe isoliert, zerlegt, durch mechanische Übertragung einander gleichgesetzt und in Form von Glossen normalisiert». Egli cita il caso di HESYCH. A 109 (< ARISTOPH. Av. 365),
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arrivati all’altezza del tempio di Atena, vengono a loro volta colpiti da un ––––––––––––––– tra i più eclatanti, da me illustrato: sottolinea che «applicando il paradigma della “coppia contigua”, sorprendente ma assolutamente risolutivo, si riesce a spiegare parecchie glosse del Lessico di Esichio». Si chiede, legittimamente, se questo metodo si confermi per gli altri glossarii e lessici. Trattandosi di un meccanismo strutturale, l’intera lessicografia greca si è dimostrata, nel mio lavoro degli ultimi decenni, fruttuosamente alimentata e garantita dallo stesso. La «coppia contigua» è accertamento di verità «testuale», non di rado consente il recupero di lezioni autentiche, meccanicamente però travolte. Un estremo esempio va qui segnalato: in HESYCH. A 121 Af\dE Ajn, riferito già dagli scholl. ad ARISTOPH. Pl. 1002 Af\d An’ m\h zfedgjd Qdfmdjd. Si tratta di un incisivo adagio, prelevato da un onomastico, ma rimasto tronco, falsamente spaccato nei due membri attuali: trasformato in «coppia contigua», immemore della funzione originaria, tutt’altro che «endiadica». P.A. HANSEN, recentissimo editore (Berlin, III 2005, p. 8), ha il merito di aver ricordato, che un cirilliano (63) reca il prezioso A\f\dE Ajn` \kqbc`h vg., unde SCHMIDT, ad gl. A 1096 (cuius expl. erat Af\d Ajn) vult Af\d AjnE vkq c`h: tuttavia manca di riconoscervi la integrale tradizione, che sarà da adottare anche nel nostro caso. Ma, considerato che vkq c`h è ignoto all’attico (salvo AESCH. fr. 464 N.2, in realtà un adespoton, et SOPH. fr. 126 R. [?]), ricorre però numerose volte in Erodoto, quindi nell’età imperiale, costituirà quel glossema, anche in A 121 indispensabile. Del resto PHRYN. Syn. 450,4 lo aveva puntualmente ostracizzato. Nella frequente serie di Aristofane il graffiante sintagma ha significative presenze, cf. Nub. 1312s. jg\d ^k \'nh \'n q’ `&km`dh A`k / A f \ d A j n’ A n`d (A`an`d RV: Bergk, cf. autem Av. 465 abn8 nkdAf\d), Eccl. 948 Af\d Ajc8h, Pl. 642 nj+nj ^k Ajcj+m’ ^1 Af\d. Le squisite scaturigini, sentimentali e stilistiche, squillano nel dilacerato grido di SAPPH. fr. 49 k g \ h gh ^s mc`h, ncd, A f \ d A j n . Il cui nostalgico modello aleggiava già in ARCHIL. fr. 24, 4 W.2 e\ n_’ w k A \ f a j g \ d , malinconico refrain riecheggerà in CATULL. VIII 3 f u l s e r e q u o n d a m candidi tibi soles, 8 f u l s e r e v e r e candidi tibi soles. L’assenza di Af\d in Tucidide avrà ragione, oltre che topica, dialettale. POLL. I 72 significativamente registra e\ Ajn e\ Af\d, con una inversione cui converrebbe restituire ordine. Un problematico esempio di «coppia contigua» fu individuato dallo stesso TOSI, in «MCr» VIII–IX (1973–74) 258. Nel corrotto q 35 Schm. q \ f \ k { f o m d l E ..., egli ne ribadiva la fonte in THUC. II 76,4 vp `m\h nh _jeh q \ f \ k \ l n \ l w f $ m ` m d , il cui discusso binomio risulta incogruamente separato, trasformato nell’attuale glossa, che egli emendava quindi in q\f\kE {fomdl. È sfuggito, che nel testo di Tucidide precedeva _jej%l ... vknm\hn`l w f $ m ` m d g \ e k \ l md_bk\l, del tutto parallelo a _jeh q \ f \ k \ l ... w f $ m ` m d . Che verosimilmente sarà stato presente nel medesimo onomastico: ancora una volta abolendo la supposta finalità sinonimica, fornendo in conclusione il parallelo semantico. Un più corretto schema ricostruttivo potrebbe quindi suggerire q\f\k {fomdlE <e\ g\ek\l. Mjoeo_ _bl> (II 76,4). Di sicuro risulterebbe eterogenea la «coppia endiadica», che io avevo tentativamente escogitata all’inizio della mia ricerca, tempestivamente però abbandonata, per manifesta (ma trascurata) impertinenza.
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miracolo ancora più grande: per un nuovo prodigio, analoghe armature appaiono esposte fuori dal tempio, \ ' n g \ n \. Questo episodio viene giudicato il più allucinante dei «miraggi». Stavano per entrare nel santuario, quando scoppia una tempesta di fulmini, si staccano dall’alto due macigni con grande fragore (vA _ U\khbmmj+ vAjkk\^`mc\d _$j ejkop\ ), da cui moltissimi vengono investiti134. Dall’interno si levano grida e strepito, gli invasori fuggono terrorizzati, la guarnigione li incalza e massacra. L’evento è leggendario, anche se Erodoto assicura che i due macigni sono ancora intatti nel ng`hjl di Atena, nel punto in cui travolsero i barbari. Verosimilmente, a farli precipitare avevano provveduto gli stessi uomini della guarnigione, che in grandissima parte – si è detto (36) – vh]bm\h l nj+ U\khbmmj+ nl ejkopl. Altri avranno provveduto allo stratagemma della esposizione esterna: ingenua, e tuttavia terroristica, confidando nella religiosa credulità degli uni e degli altri135. Indirettamente, si confermano le coordinate della Ode alcaica: sottolineando però il sacrilegio di chi attenti alle armi consacrate in un tempio. Un ostacolo, non dei minori, che Alceo si fa carico di smontare, con appassionata veemenza (v. 13 n8h j'e mnd fc`mc\d). Un esempio di Tucidide (III 114) offre più trasparente contesto storico (presa di Ambracia): dopo la vittoria, le forze alleate assegnarono il terzo delle spoglie (me+f\) agli Ateniesi, spartirono le rimanenti tra gli altri. Quelle ateniesi furono catturate nella traversata per mare: di quante ora sono esposte (vh\e` g`h\) nei templi attici, ben trecento panoplie, costituivano la quota personale assegnata a Demostene, che le aveva portate con sé, rientrando in patria. Il numero straordinario136 delle prede ––––––––––––––– 134 Si deve ad Agostino Masaracchia la segnalazione del passo erodoteo, cf. BONANNO, (1990) 144, n. 46, che riferisce soltanto del primo episodio. In Herodot. VIII 37, in luogo di e \ n f \ ] j h m o q h j $ l sarà da scrivere e \ n ] \ f j h , già proposto dal Reiske, cf. IV 64, VII 211, IX 63 (qui alternativo di e\n]\ffjh è e\nf\]jh, ispirato da e\n\f\g]\hg`hjd, che immediatamente precede). 135 Consimile miracolo è in XENOPH. HG VI 4,7 vAb^^ff`nj ... 2l j n` h ` > A h n ` l \ ' n g \ n j d v h ` = ^ j h n j , \ n` k`d\d f^jd`h 2l h ebh j c`j p \ h j d ` h E e _ nj+ k\ef` jo e\ n A f \ p\m\h v p \ h
`h\d, 2l nj+ k\efjol `l nh gqbh iskgbghjo. j gh _ ndh`l f^jomdh, 2l n\+n\ Ahn\ n ` q h m g \ n \ h n 8 h A k j ` m n b e n s h . Un modulo, di cui HOW-WELLS, Comm. to Herod., VIII 38, forniscono ulteriori e significativi esempi. 136 I numeri sono di frequente sbalorditivi, cf. l’emblematico esempio offerto da POLYB. V 8,9 gj sl _ e\ n 8 h A f s h n 8 h h n \ l m n j \ l v h \ e ` d g h s h , n gh A j f o n ` f e \ c \ d k j + h n ` l vA`egdajh, ndh _’ &Aff\nnjh, n _ f j d A m o h \ c k j m \ h n ` l <l> (Marz.) A + k v h ] \ f j h E h _ n\+n\ Af` s n8h gok sh A`hn\edmqdf sh (Thermos, 218 a.C.). Non meno significativo risulta DIOD. S. XII 5 gsl _ njmj+nj
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viene ripartito tra molti sacrarii, il caso illustrato da Alceo, lungi da ogni «miraggio», fa verosimilmente seguito ad analoga spartizione: purché non si tratti di preliminare decimazione (supra, p. 39s. n. 70), se non di esemplari selezionati, a testimonianza di episodi varii e successivi137. Più significativo risulta il caso riferito da Senofonte (HG V 4, 8ss., a. 379). I Tebani, dopo una spericolata incursione nel domicilio ateniese di Fillida, con un boccaccesco stratagemma liberano dalla prigione alcuni congiurati. Che immediatamente riforniscono delle armi prelevate dalla Stoa ( e n l V n j l A f s h e \ c ` f h n ` l 4 A f d m \ h), le depositano, per la notte, nel sacrario dell’eroe Anfione138. Subito dopo ordinano il raduno di tutti i Tebani, cavalieri oppure opliti che fossero, 2 l n 8 h n o k h h s h n ` c h ` n s h (!). L’episodio sarà ripreso da Plut. gen. Socr. 598d, ribadendo, verbalmente, n j l g h n n ` q f j d l n8h m o h d m n \ g h s h (cospiratori) A f \ A \ k ` q j h \ c’ (an \ _’ Marz.) } m n \ d (an m n j \ Marz., coll. Xenoph. HG 4,8 cit., Polyb. V 8, 9 cit., cf. supra, p. 75s., n. 136) A f k ` d l j ,m \ d A \ h n j _ \ A 8h f \ p $k s h (!). Ulteriore e letterale ripresa è in Pelop. 12 A`gr\h (sc. nuntium, cf. Thuc. I 91, II 81, etc.) gh `l nndeh A nj%l & A j f ` f ` d g g h j o l e ` n 8 h p o ^ _ s h, efjoh _ nj%l A j f n \ l A n h f ` o c ` k \ h, e\ nj%l Akjmdhn\l 4 A f d a j h, v p \ d k j + h n ` l v A n 8 h m n j 8 h n A ` k d e ` ––––––––––––––– A f c j l h n 8 h v h \ d k ` c h n s h , 4mn` nj%l Mb]\ jol e n l n 8 h f \ p $ k s h n d g l n h n` m n j h n h g ` ^ f b h h v ^ j k e \ n \ m e ` o m \ d e \ q \ f e j l vh_kdmd e j m g m \ d , n j % l _ h \ j % l e\ nl e \ n n h v ^ j k h m n j l n j l A f j d l n j l e n 8 h m e $ f s h Akjmbfsc`md e\n\q\fe8m\d. Si noti la ribadita distinzione, non soltanto topografica, tra h\j , la mnj g`^fb, la v^jk, cf. XENOPH. Hell. V 2,29 h n h v^jk mnj. Lo svuotamento dei templi si rendeva indispensabile: ad Olimpia, le sovrabbondanti armature esposte venivano spesso utilizzate come riempitivo dei bastioni, o sostegno per le gradinate dello Stadio (quando non finissero in apposite discariche), cf. SNODGRASS, 1967, 49. 137 Eventualità simile veniva scongiurata dai Plateesi, battuti dagli Spartani (III 57): ... j'_ A k l ` k j l n j l e j d h j l m e + f \ v A g 8 h ... v h \ n ` c h \ d . In IV 134, incerto l’esito di uno scontro tra quelli di Mantinea e di Tegea, innalzarono egualmente i rispettivi trofei: quindi vgpn`kjd m n b m \ h e \ m e + f \ h I ` f p j l . Analoga predazione (me+f\) ricorre in VI 71, VII 86. Erodoto registra il solo meof`$s (I 82 bis, IX 80). Sia in Erodoto che in Tucidide, mancano i fpok\, in Erodoto non ricorrono n me+f\ (spolia). 138 Cf. HERODOT. V 75 vhn \ c`hnj n A f \ , nonché XENOPH. HG VI 4, 14 c`hnj n A f \ e\n q0k\h hc`h 4kgbhnj. Il sintagma cmc\d n Af\ ha molteplici significati, che LSJ 1790s. provvedono a specificare.
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g ` h \ (nel nostro Alceo, v. 7) m e + f \ (in realtà i trofei della battaglia di Delio, a. 424), con procedura che abbiamo già segnalata nel cit. Senofonte. Schematicamente, l’episodio ricalca quello che il poeta prefigurava: esposizione di armature in luogo pubblico, con tutta evidenza consacrati trofei di guerra, riuso arbitrario delle medesime, da parte di ribelli decisi al riscatto, con la conseguente uccisione dei tiranni. Altro e taumaturgico evento riferisce il medesimo autore (ib. VI 4, 7, cf. supra, n. 135). I Tebani decidono di contrattaccare gli Spartani, proprio dove sorge il gh g\ delle vergini, suicidatesi per lo stupro subìto dal nemico. Prima della battaglia emgbm\h ... nj+nj n gh g\. Fu loro annunciato, che in città j n` h`; Ahn`l \ ' n g \ n j d vh`=^jhnj (cf. l’analogo in Herodot. VIII 37, supra, p. 73ss.), le sacerdotesse spiegano, che gli dei assicurano con ciò la vittoria. Ma soprattutto annunciano, che dal tempio di Eracle persino (e\ ) le armi erano scomparse, come se la divinità si disponesse alla battaglia. Più rilevante, però, è che, a dire di alcuni, tutti questi miracoli erano n`qhmg\n\ ... n8h Akj`mnbensh (!). Il nemico viene sconfitto, grazie ai sortilegi, dichiaratamente strategici. Ancora una volta, «miraggi» per gli stolti. I Tebani, ovviamente, e\ nkjA\jh mnm\hnj (15). Il modello alcaico risulta nuovamente attivato, il modulo miracolistico ha parallelo interrelato nello stesso Senofonte, come avevamo suggerito139. Modulo, strutturalmente analogo a quello alcaico, registra Diod. S. I 55, 10ss.: (Sesoosis) vckj m\l \qg\f0nsh n` e\ n8h z f f s h f \ p $ k s h A f c j l vhoAk]fbnjh A\h fc`h `l nh A\nk _\, g`^ mn\l Aki`dl n8h Ak \'nj+ e\n`dk^\mghjl ... e\ n gh ` k Ahn\ e\ e\n’ F^oAnjh v h \ c g \ m d h v i d j f ^ j d l e\ m e $ f j d l e m g b m ` (cf. supra, p. 75s., n. 136). Il quadro cui si ispira la nostra Ode non appare diverso: non solo per la costellazione in cui si obbligano vittorie, prede, templi, né per la devozione rituale, ma per la continuità culturale delle generazioni, dell’onore familiare, il cui rispetto si suppone (ultroneamente) richiamato anche nella nostra occasione (supra, p. 73s.). ––––––––––––––– 139 Collaterale interesse presenta STRABO, VII 7, 6: sul golfo di Ambracia si affaccia un colle, su cui si leva un tempio, ai piedi dello stesso un bosco sacro e una darsena, ove Cesare vhcbe` ... nh _`e\n\\h vekjc hd\h, una scelta flottiglia navale, per augurale devozione. Altrettanto valga per DION. HAL. II 34 ... vA ^`h i (vA’ Marz., cf. n. 35) jejo nh _$h\gdh, z^sh me+f n` v A n 8 h A`Ansensh (vAj esh cod., A`mhnsh Kiessling, v A j d q j g h s h Marz., coll. PIND. P. I 93 vAjdqjghsh vh_k8h) e\n n h g q b h e\ v e k j c h d \ f \ p $ k s h c ` j l. Il modello operativo si trasforma, abitualmente, in truffaldino espediente, fornisce fantasiose coperture strategiche.
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Ancora Diodoro (IV 10, 3s.) narra, che nfgbm` Akidh Adn`fm\d A`kd]bnjh. Mutila (mani e piedi!) e scaccia dalla città gli insolenti esattori dei Minii, infine, convinti i compagni a liberare la patria, e \ n m A \ m ` h e n8h h\8h nl A k j m b f s g h \ l 140 A \ h j A f \ l, yl j A k ^ j h j d m e + f \ njl c ` j l m\h v h \ n ` c ` d e n ` l. Non era, infatti, possibile trovare in tutta la città un _dsndeh Afjh: i Minii avevano spogliato Tebe, perché in futuro nessuno degli abitanti concepisse alcuna vAjmnm`sl hhjd\h. Ancora una volta spiccano i templi, che gloriosi antenati avevano ornati di panoplie, in onore degli dei, ma anche si verifica il pur interdetto ricorso a queste armi, maturata ormai la ribellione, confidando nella consacrata quanto obbligante risorsa: come in Alceo. Altrove, sempre in Diodoro (XV 53, 4), Epaminonda, abusando della superstizione dei soldati, colpiti da alcuni presagi, pdfjndg`nj _d n l _ \l Adhj \l e\ mnk\nb^ \l g`n\c`h\d nl nj+ Afcjol `'f\]` \l. Conseguentemente, convinse un gruppo di persone sopraggiunte dalla città, a raccontare, che le armi depositate nel tempio di Eracle A \ k \ _ i s l v p \ h ^ ^ j h `: con un trucco già noto in Erodoto (supra, p. 73), e ad accreditare la diceria, secondo cui n8h k 0 s h n 8 h v k q \ s h v h ` d f b p n s h \'n, con lo scopo di correre in aiuto dei Beoti. L’effetto risultò assicurato (54, 4): Ahn`l g`nc`hnj nl ^h0g\l e\ n l gh _`dmd_\dgjh \l vA`f$cbm\h. Il modulo, connesso con il supposito «miraggio» di Alceo, appare evidente: risulta ancora una volta liberatorio. Diretto testimone di siffatte consuetudini è Pausania. Egli narra (I 27, 1), che nel tempio della Poliade, tra gli v h \ c g \ n \ degni di menzione, spiccavano le spoglie sottratte ai Persiani, come la corazza di Masistio, che comandava la cavalleria a Platea (cf. Herodot. IX 22), nonché corazza e scimitarra che si vogliono di Mardonio (c0k\i ... vedhebl). La verosimiglianza di quest’ultima attribuzione gli appare dubbia, che contraffazioni «archeologiche» fossero d’uso, oltre che comprensibile, risulta testimoniato (infra, n. 278). La esibizione di verosimili cimeli offre un’arma propagandistica, superiore alla eventuale disponibilità. Precedentemente (I 15, 4), del resto, Pausania ha segnalato la presenza degli scudi di bronzo, alcuni contrassegnati da un A ^k\gg\, che li dice strappati a quelli di Scione, altri spalmati di pece (perché non li corrodano tempo e ruggine), ––––––––––––––– 140 Ovviamente A k j m b f s g h \ l equivale a AkjmA\mm\f`ojgh\l, richiamando gli alcaici (e indispensabili) Amm\fjd, cf. ARISTOPH. Pl. 943 c. schol. ~ Suda A 2781 ... `0c\md ^k ejn h< ... AkjmA\nn\f`$`dh n vh\cg\n\, nonché POLL. VII 107 A k j m b f j + h , _ d \ A \ n n \ f ` $ ` d h , A k j m A \ n n \ f ` $ ` d h.
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P\e`_\dgjh sh ... f^`n\d (an <e> P\e. Marz., cf. supra, p. 59s., n. 109), addirittura testimonia di quelli catturati a Sfacteria. Ambedue le dichiarazioni affettano la verità, purché orgogliosa, nella sostanza terroristica141. Il medesimo Pausania provvede a ribadire altrove (X 419, 4), che le armi, collocate A Admnof jdl142, sono d’oro, furono senza dubbio gli Ateniesi a dedicare gli scudi conquistati a Maratona: palesemente, il prezioso metallo denuncia millanteria, proterva, sistematica.
––––––––––––––– 141 Le scenografiche falsificazioni, denunciate da PAUS. VI 23, 7 (supra, n. 129), non sono motivate da impulsi decorativi, ma da quei princìpi, cui si ispira ogni psychological warfare. 142 L’architrave, sembrerebbe (cf. columen): ma in Vitruvio il termine si accompagna, strutturalmente, con porticus, cf. V 1,5.
Cap. VIII – Mitologia della Caria Le informazioni, che Erodoto (I 171, 1) tramanda sui Ok`l, sono di eccezionale rilevanza. Egli li definisce, infatti, soggetti al conquistatore Minosse (ma cf. Thuc. I 4, VII 1), li dice chjl fj^dg0n\njh143 n8h chsh wAhnsh144, e\n nj+njh {g\ nh qkhjh g\ek> gfdmn\. L’enfasi di queste affermazioni con probabilità corregge la scarsa valutazione, se non lo spregio, che ai suoi tempi veniva loro assegnato145. In realtà, ai Carii Erodoto attribuisce tre i`okg\n\ tra loro connessi (nkdi), di cui i Greci ebbero a giovarsi. Sono, infatti, i Carii ad avere insegnato a legare dei cimieri (fpjol) sulla cresta degli elmi, nonché a mettere vistosi emblemi sugli scudi. Ma soprattutto per primi fornirono i medesimi di manici ( q\h\)146. Precisa, che fino allora, chiunque se ne servisse, li manovrava con cinghie di cuoio, allacciate intorno al collo e alla spalla sinistra (n`f\g8h`l): non ancora disponendo di più funzionale ––––––––––––––– 143 STEPH. BYZ. s.v. O \ k \ (p. 359, 19 M.) registra _jedg0n\njh: ignora che f^dgjl (-n\njl) è Lieblingswort del solo Erodoto, cf. i due sinonimi in POLL. I 176 _ e d g j d ... f ^ d g j d . 144 La interpunzione, dopo wAhnsh, fu giustamente suggerita da Eltzius, cf. CREUZER-BAEHR, I 334 (ad l.). 145 Il termine etnico costituisce un molteplice dispregiativo, cf. HESYCH. e 818 O \ k d e h E `'n`fl, gdekh. Ibfj e\ vpkj_ mdh
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sostegno (zh`o qhsh). Innovazione rivoluzionaria, che inaugura la tattica oplitica, impone l’intera A \ h j A f \ 147. Le indicazioni di Erodoto, per quanto sommarie se non sconciate (meccanicamente?), privilegiano i Carii come inventori della straordinaria armatura: ingenuamente perseguendo una ricerca, a suo tempo ossessiva, del Ak8njl `&k`nl148. Questa segna, tuttavia, una cesura, non soltanto nei materiali, ma inaugura una nuova tattica da combattimento. Non più grandi, quadrati eserciti, aristocraticamente muniti di carri ed attrezzature pesanti, di infrastrutture gerarchiche (c`kAjhn`l), ma unità mobili, compatte, perché provviste di armi più leggere, che consentono veloci assalti, fughe non meno provvidenziali: di accessibile pregio ed uso, di consumistica disponibilità. Forze da sbarco, non da campagna si direbbero, per una civiltà che opera più spesso (se non esclusivamente) in prossimità del mare, da questo provenendo. Una task force, che confida sul singolo e tuttavia comunitario individuo (il cittadino della Afdl), sulla ––––––––––––––– 147 Anche se l’archeologia, finora, non ha confermato le origini Carie di queste «invenzioni», cf. A.M. SNODGRASS, «JHS» LXXXIV (1964) 107–118. Le notizie di Erodoto meritano correzioni, ampie articolazioni (non diversamente da quelle, analoghe ma ampliate, di AELIAN. HA 30). Ma i Greci, non soltanto nel periodo arcaico, ai Carii fanno riferimento in genere metonimico, sprezzante: come l’odierno Occidente, nei confronti dei cosiddetti Balcanici, dei Bulgari, etc. Del medesimo SNODGRASS (ib., LXXXV, 1965, 110–122), è un ulteriore contributo, dedicato a The Oplite Reform and History: sommarie categorie vengono demolite, il fenomeno oplitico ne risulta discontinuo, progressivo, tutt’altro che «rivoluzionario». Legato ad oligarchie ribelli, ma politicamente consapevoli, collegato con le insorgenti tirannidi. In un milieu, che le vicende di Alceo (questa Ode) sembrano vitalmente corroborare. 148 Significativamente, PLIN. NH VII 56, 2ss. enumera una serie non breve di siffatti primati: proelium Afri contra Aegyptios primi fecere fustibus, quod vocant p h a l a n g a s . C l u p e o s invenerunt (…), loricam Midias Messenius, g a l e a m, g l a d i u m, h a s t a m Lacedaemonii, o c r e a s et c r i s t a s Cares. Correttamente Varr. LL V 116, 4 ocrea, quod ponebatur (opponebatur: Sciop.) ob crus. Non sfugga, all’inizio del successivo paragrafo (203), auguria ex auibus [immo augeo], C a r a q u o C a r i a a p p e l l a t u r . La inaffidabilità dei Carii viene testimoniata, proverbialmente, da CIC. fin. XXVII 65 vulgatum est, si quid cum periculo experiri velis, i n C a r e id potissimum esse f a c i e n d u m, cf. CRATIN. fr. 18 K.-A. h O \ k n h e h _ o h j h («in corpore vili») ... A`dkmc\d («experiri», perperam Ajd`mc\d A`k\h, post Cobetum edd.): ma già in HOM. I 378 n s _ gdh h O k l (!) \ m . In AELIAN. VH XII 30 (cf. HERODOT. V 119) viene ricordato un significativo Zeus, Okdl n` e\ Vnkndjl, come in PLAT. Leg. 800e una O\kde Qj$mb, con cui si accompagnano i funerali: a conferma della ossessione mercenaria della loro cultura. Quanto agli heurematographoi (il termine manca in LSJ, e successive filiazioni), notoria è l’opera di Eforo (FGrH 70 7 1: A`k `&kbgnsh), di cui possediamo frammenti papiracei.
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responsabilità soggettiva, che egli si assume, che di conseguenza lo difende. I Carii, malgrado il glorioso passato, mai raggiungono unità e consistenza statuali, si accrediteranno (ovunque) come infaticabili (ma pur vili) mercenari. Ne assicura Strabone (XIV 662): (Okdjd) ec’ fbh Af\hcbm\h nh ff_\, g d m c j + m n k \ n ` $ j h n ` l. Già Archiloco, del resto (secondo Porph. in Hom. Il. IX 378 [Ok\l] v` fjd_jk` Ajdbnl), temeva di procurarsi una nomea sicuramente ingiuriosa (fr. 216 W.): e\ _ ’A e j o k j l 4 m n ` O k e`efmjg\d. La valenza di A e j o k j l non è del tutto negativa, se Alceo vanta un glorioso fratello mercenario, distintosi ai confini della terra (fr. 350). Molti Greci, nella medesima epoca, militavano in Oriente, non meno in Egitto149. Nella sostanza, Omero ignora i Carii, di conseguenza quelle peculiarità e connesse primazie, di cui discutiamo. Le uniche occorrenze sono recenziori, nel Catalogo (G 867ss.) viene segnalato che Rmnbl ... O \ k 8 h ^m\nj ] \ k ] \ k j p 0 h s h, / j Q fbnjh qjh Ycdk8h n’ kjl ... / Q\dh_kjo n` "jl Qoefbl ... ekbh\ (!), nella Dolonia (O 428) risultano accampati Akl gh wfl Ok`l. Alleati dei Troiani, godono della esclusiva qualifica di ] \ k ] \ k p s h j d, patentemente ingiuriosa, che riaffiora in un oracolo testimoniato da Herodot. VIII 20 (epicizzante), come del resto in IX 43 (]\k]\kpshjh o^h). Ma nel medesimo Omero (Il. IX 378) qck _ gjd nj+ _8k\, n s _ gdh h O \ k l \ m (anticipa timeo Danaos et dona ferentes), lo spregio si eleva ad estrema ripulsa. Del resto, nel discusso Archil. fr. 216 W., il medesimo testimone spiegava O\kl jjh` _j$fjo, parafrasando ndg8g\d \'nl (\'nh West) h gdmcjpkjo e\ n j + n o q h n j l m n k \ n d 0 n j o g j k 150.
––––––––––––––– 149 Sembra sfuggita una ulteriore testimonianza, offerta da schol. G al cit. HOM. I 378 ( h O \ k l \ m ): n O\kl f e \ j l gh Ad^k\gg\njAjdl ^ep\fjh
ejom`h vA nj+ h n> ek `h\d (immo h n> O\kl `h\d Marz., g`fjAjdl et O\kl emendatis). Rimane oscuro il referente, non meno dubbio fe\jl, promosso ad epigrammatico. Difficilmente però scambiato con gli omonimi alessandrini, sia quello di Messene, sia di Mitilene. In genere negletti, ma significativi appaiono SIMON. fr. 519, fr. 32,1 P. ]hnj O\k8h vfe gsh.[, nonché carm. pop. 37 (PMG 883 P.) c$k\a` Ok`l, j'en’ hc`mnkd\, che sembra ricordare i nostri «cani in chiesa». 150 Cf. HESYCH. e 823 O\kdgj kjolE nj%l h gb_`gd gj kE gdmcjpkjol, _d n nj%l Ok\l Ak0njol (an Ak8njh) gdmcjpkjol ^`hmc\d. Il lemma appare probabile manipolazione di O\kl gj k (HESYCH. e 848), il referente è attinto dall’Erodoto sopra citato: se il modello strutturale è c`gjdkjl, non resterà che emendare con O\kdjgj kjol, già nello Schmidt, quindi in LSJ, tuttavia ignorato dal Latte.
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Il silenzio di Omero è, come spesso, ideologico. Egli arcaizza, affetta di ignorare valori e pratiche tuttavia correnti. Bandisce cavalieri e cavalleria, che giudica vile surrogato di carri e carristi. Ma lascia che Odisseo cavalchi, in un eccezionale paragone, un relitto, nella micidiale tempesta che lo porterà dai Feaci (` 371 e f b c ’ 2 l A A j h f \ $ h s h, preceduto dal significativo vgp’ }h _j$k\nd ]\h`)151. Ulteriore esempio è in O 513, ove Diomede, più ambiguamente, e\kA\f gsl AAsh A`]m\nj (cf. v. 541 j gh e\n]bm\h A qch\): preme tuttavia la necessità, siamo nella trasgressiva Dolonia, ancora una volta. Nello Scutum pseudo-esiodeo (v. 286), sarà normale, che ... h8c’ A A s h Ad]hn`l c$h`jh (ma cf. Lorimer, HaM 504, n. 2). È con il cit. Archil. fr. 216 W. che i Carii vengono (come oggi si dice, volgarmente) «sdoganati». Ma la intenzione resta, comprensibilmente, quella sprezzante, dell’Omero colloquiale. Lasciando provvisoriamente da parte il nostro Alceo, colpisce Anacr. fr. 401, 1s. P. Il testimone (Strabo, XIV 2, 27 Kr.) segnala, tra gli indizi dello a fjl, nutrito A`k n mnk\ndsnde, gli q\h\, gli Admg\n\ degli scudi, ed infine i fpjd. Precisa, che {A\hn\ ^k f^`n\d O\kde, cita Anacreonte fr. 401 P., cf. p. 81, n. 145:
_d _ b , n ` O \ k d e j o k ^ j l qhjo q`k\ † n d c g ` h j d †. Sappiamo che l’ q\hjh è invenzione e vanto dei Carii, ove qualcuno (il plurale sembra omologazione a livello generico, da parte del testimone) ha fissato la mano attraverso scudo e imbracatura152. Che viene tuttavia nobilitata da una neoformazione aulicizzante, per rivendicare l’opera ai Carii. Gentili ha opportunamente richiamato (ad Anacr. fr. 47) Herodot. VII 76 Akj]fjol (hastas?) _$j foedj`k^\l e\mnjl `q`153, di cui sono ––––––––––––––– 151 Altro è T 679 2l _’ n’ vhk A A j d m d e ` f b n a ` d h `, `_0l, una virtuosistica (non eroica!) bravata, lecita come al solito in un paragone omerico. Il «cavalcare» è di frequente riprodotto nella figurativa dell’ultimo VIII secolo. 152 Per il sospettato q ` k \ † n d c g ` h j d † (an q. ndcg`hjl Marz.), cf. O 34 zgp’ 6gjdmd n d c g ` h j h hn`\ e\f, G 382 `, _’ vmA _\ c m c s: sarà da riconsiderare, in Anacreonte, la v.l. ndcg`h\d (an q. ndcg`hjl Marz. )? HESYCH. j 1997 q\hjhE... e\ Ajo g]ffjomd nl nk q\l: immo q`k\l, Marz., coll. VERG. Aen. II 671s. … clipeoque sinistram / insertabam aptans (cf. n. 146). Notoria è la connessione di q \ h j h con q s , ribadita dal lat. h a b e n a . Non sfugga, che _b,n` è aulicismo, ignoto alla prosa, frequente nella lirica: soprattutto in incipit, per marcare la nuova e rilevante occasione del canto: privilegiatamente erotico, cf. in particolare SAPPH. 1,15; 16; 18, ed ANACR. 356a 6, b 1 P., etc. 153 Attenzione merita f o e d j ` k ^ l, che, lungi dal connotarsi con f$ejl (quindi pj]`kh, cf. HESYCH. f 1374 f o e ` j h E pj]`kh, ex AESCH. Sept. 145), si alli-
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muniti i Traci dell’Asia Minore, oltre a vmA _\l... 3gj]jh\l ... mgdekl, mentre sul capo indossano ekh`\ qfe`\, senza dire di ek`\ ]jl qfe`\, su cui A m\h _ e\ fpjd. Un equipaggiamento parallelo, se non identico a quello che Erodoto ha testimoniato per le stravaganti tribù della Caria (I 171). Il modello è trionfante nel VI secolo, generalmente asianico: irrefutabile, tuttavia, per lo stesso Alceo, tutt’altro che visionario armigero. L’ammirazione per i Carii (O\k sh`l restano tuttavia gli schiavi della commedia, cf. Aeschin. II 157 O\k sh\l e\ \hc \l, c. schol., non certo `'^`h`l né g`^\fcogjd)154 sembra accreditata (?) con Simonide. Nel cit. fr. 519, 1 P. (fr. 32) si legge un sonante ]hnj O\k8h vfCe gsh.[, nelle successive e disastrate righe non ricorrono pertinenze ulteriori. Ma altro e frammentario scolio reca (tra l’altro) ]mnk\njl e\d \^\cC[/ ..].n\ sn\ `hjcC[/ (cf. Q 35 gqb hjA n`), infine ].e\cjAfdajghsh[. Senza dubbio riferiti ai medesimi guerrieri: se v^\cl ha valenza guerresca, si raccomanderebbe h`mnk\njl, se non v^`m mnk\njl, ovvero pj]mnk\njl vel simm. Il verbo è specifico, viene di norma integrato da (o presuppone) A\hjAf \, cf. Aeschin. III 154 (preceduto da A\k\mnbmg`hjl ... h`\h mejol A\hjAf e`ejmgbghjol). L’armatura è peculiare dei Carii, ma anche il superstite v^\cl dovrebbe appartenere ad un combattente, per suggestione del nitido h`mnk\njl, un soldato di prima leva (cf. tiro): equivale ad zfedgjl, cf. Hesych. \ 3190, vh_k`jl. La tragedia non mostra attenzione per i Carii, neppure la retorica155. A differenza di Cratin. fr. 18 K.-A., che abbiamo ricordato156, lo stesso ––––––––––––––– nea con le p d f \ d Poedjok^`l di [DEMOSTH.] XLIX 31, cf. POLL. VI 97. Ma soprattutto da richiamare è HARPOCR. f 31 foedjok^`l Keaney (= DEMOSTH. cit.), che diffida dal collegare siffatte formazioni con nomi, che non siano di città ovvero etnici. Segnala e f h b Q d f b m d j o k ^ l, usato da CRIT. fr. 35 D.-K. (cui si affianca _ pkjl Qdfbmdjok^l), raccomanda anche il cit. Erodoto Poed(j)`k^l, in quanto n h Poe `k^\mgh\. In LOCKER, Rückl. Wörterb., si contano più di una dozzina di formazioni eponimiche, con -jok^l. 154 In LSJ (ed infaticabili propaggini) O \ k s h viene definito «prop. Dimin. of Ok, common name of slaves in Comedy»: con due erronee limitazioni. Non risulta, infatti, coinvolta la sola commedia, si tratta quindi di «nicht sowohl eigentliche Deminutiva, als spöttlische Bezeichnungen, und besonders Namen bildend», cf. I`df\ek sh, nnde sh, Q\f\e sh, Fmqk sh, ma anche la serie ornitologica mnkjoc sh, Ajkpok sh, mn`p\h sh, mqjdh sh, in KÜHNER-BLASS, II 279 (A. 5), (A. 6). Cf., inoltre, Amcdjh (Amcsh), in ARISTOPH. Pax 1300, MENAND. fr. 371 K.-A. Nonché B. MARZULLO, Un certo Cesarione, «Philol.» CL (2006) 92 n. 25, ove la formazione - sh / -io(n) indica il g e n t i l i z i o, astutamente assicurato da Cleopatra all’ incognito rampollo del ... Caesar. 155 Cf. DEMOSTH. XVIII 116 (decret.) e\c0Afdm\h nj%l h`\h mejol vmA mdh en\ejm \dl, ARISTID. II 154 D. ormeggia luoghi comuni, scrivendo: j'_’
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Aristofane non si distacca dalla proverbiale e sprezzante consuetudine, con distratti cenni. In Av. 764 ` _ _j+fl mnd e\ Ok, 4mA`k ibe`mn _bl, viene ribadita la condizione servile, già evidente in Cratino157. Alla spregevole auletica dei medesimi, si richiama tuttavia Ran. 130, ove Euripide viene accusato di attingere, fra l’altro, ai O\kde8h \'fbgnsh: un unicismo, riscattato da Plat. Min. 318b, a favore del mitico Marsia e dell’inseparabile A\d_de (scil. £fogAjl Yk$i), i cui \'fbgn\ c`dn\n\ mnd... e\ nd e\ h+h gh\ fjdA, 2l c`\ hn\. Ma Platone Comico (fr. 71, 12s. K.-A.) aveva già inneggiato, in occasione del simposio, ad una inquietante «artista»: \'fj%l _’ qjom ndl ejk meb O\kdeh gfjl <\,> (
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lenza158, constatano che qui e\n]\f` (cf. il nostro Alceo, v. 10 en ... ]`]fg`h\d) nh fpjh (cf. v. 279 n`kjl \, fpjh e\n`dfbp0l ndl khdl j&njm ). Non si tratta, in realtà, di un vAkjm_ebnjh, è perfettamente congruo, che siffatto volatile non abbia dismesso lo sgargiante pennacchio, continui insomma a pavoneggiarsi con l’orgogliosa cresta159. L’orpello consente ulteriori battute: arriva, infatti, uno stormo trafelato di uccelli, che sembrano impegnati nel _ \ofjl (la doppia corsa allo stadio, armati). Esibiscono, tuttavia, una vistosa f p s m d l 160: la spiegazione è, che 4mA`k j Ok`l gh j,h / A f p s h j e j + m d h ... vmp\f` \l j(h`e\. Restano, in realtà, gli «inventori», per non dire i depositarii, di quel singolare emblema guerresco, di cui Erodoto (per inveterata tradizione) ci ha edotti, che Alceo magnifica nella ouverture della sgargiante Ode. Senza questi gloriosi antecedenti, il pun di Aristofane risulterebbe insipido, indegno di una causticità, che sappiamo infallibilmente mirata. Il gioco era, del resto, anticipato nel v. 279, per sottolineare che n`kjl _’ \ , f p j h e \ n ` d f b p 0 l ndl khdl j&njm , viene finalisticamente anticipato lo schema, che la successiva battuta provvederà a comicizzare161. Che il vistoso f p j l costituisca emblematica vanagloria di un militare, sia di esotica quanto provocatoria estrazione orientale, dimostrava Lamaco, archetipico bersaglio di Aristofane. Con altra e più feroce arguzia (è ancora la esasperazione della attualità, ad innescarla), Diceopoli lo apostrofa in Ach. 575s.: 9 Pg\q’ ksl, n8h fpsh e\ n8h g\q8h162. ––––––––––––––– 158 In Av. 353 si richiama O f ` 0 h o g j h n h " r \ m A d h , nd _`dfn\njh, in Vesp. 15ss. un’aquila piomba (in un sogno) sulla piazza, afferra con le unghie un vmA _\ A q\fejh, spicca il volo alto nel cielo, la getta… In realtà, si tratta di Cleonimo, cf. vv. 22s. h ^ n’ vA]\f`h evh j'k\h> / evh n c\fnn cbk jh nh vmA _\, v. 27 _`dhh ^ Aj*mn’ zhcksAjl vAj]\f1h c6Af\ (Af\: Marz., coll. Av. 449, Lys. 277), v. 823 j*ejoh q`d ^’ j'_’ \'nl ksl 7h c6Af\ (Af\: Marz.). Già in Eq. 1372 nj+n’ _\e` nh AkA\e\ nh Of`sh$gjo. 159 Cf. AESCH. Sept. 384 nk`l e\n\me jol fpjol m` `d, nonché ARISTOPH. Ach. 965 Aff`d, ek\_\ hsh nk`l e\n\me jol fpjol, v. 1109 n fjp`jh ih`^e` n8h nkd8h fpsh. 160 Si tratta di un hapax. Cf. v. 94 n l AnksmdlD n l nkAjl n l nkdfjp \lD 161 La patente assonanza identifica l’etnico O k con e k / e k \ (cranium, ekbh\), la paretimologia si intreccia semasiologicamente con fpjl, «cresta montana, collo /-e, cimiero»). Col significato di «cresta montana», questo è già in HOM. f 596, A 471, HERODOT. II 124, 127, IV 175 (bis), in PIND. O. V 17, VIII 17 etc., nonché Tucidide, unico in PLAT. Leg. 682. Per la definizione, cf. HESYCH. f 1291 = schol. ARISTOPH. Ach. 1074 (sub fin.): n A`kde`p\f\ \l zekjh. 162 MÜLLER-STRÜBING sconciò l’inizio in 9 Pg\q’, ksl, con lui Coulon. L’autentico sintagma è ribadito nel v. 578 9 Pg\q’ ksl, vff enf.
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Che nel v. 1074 viene ludicramente variato: n\qsl f\]hn\ nj%l fqjol e\ nj%l fpjol (cf. il cit. Av. 279 fpjh e\n`dfbp0l). La farsesca armatura terrorizza il commoner ateniese, che scongiura lo smargiasso di togliersi nh g j k g h \ 163, di deporre a terra l’elmo, dargli infine una penna del piumaggio, che lo aiuti a vomitare (v. 586): ] _ ` f $ n n j g \ d ^k nj%l f p j o l 164. Oltranzosamente, chiede un robusto servizio (sessuale): ` * j A f j l ^ k ` (v. 592). La costituzione fisica qui è intesa primariamente, cf. Arist. HA 538b4 n8h a=sh nzkk`h\ ... ` ' j A f n ` k \ n8h cbf` sh (con intenzione oscena). Surrettizio bersaglio, in realtà, è lo sgargiante equipaggiamento. Che il servitore, alla fine, provvede a magnificare (vv. 964s.): _ ` d h l, n\f\$kdhjl, l n h H j k ^ h \ Aff`d, ek\_\ hsh nk`l e\n\me jol fpjol. Che Diceopoli schernisce nel v. 967: vff’ A n\k q`d nj%l fpjol e k \ _ \ d h n s. Il singolare e \ n m e d j l è già in Aesch. Sept. 384s., ove Tideo n k ` l e \ n \ m e j o l / m ` ` d, ekhjol q\ nsg\ (cf. Eur. Phoe. 654s. kh`mdh e\n\me jmdh h0ndm`h): il pennacchio oscurava, con evidenza minacciosa, non solo il volto, ma il busto del guerriero165. Il modello orientale, «expressely made in Caria», appare lontano, tuttavia persistente, ambìto, esibito, vagheggiato166. Con l’avvento della Pace (v. 545s.), i produttori locali vanno in crisi: e`dhjh ^j+h nh f j p j A j d h j'q kl / n ffjhc’ }\onhD Nel finale della stessa Pace (v. 1211), al commerciante fallito si chiede: j* n Ajo fjplD Se abbia «il male del fpjl», intendono LSJ (II 1062, «sul tipo di ]k\^qh, fdch, etc.». A questo, tuttavia, opponendo Hesych. f 1284 f j p E fpjo Adcog`: che, se emendiamo in fjp
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struggimento (cf. Schwyzer, I 732). La successiva contrattazione di una coppia di arnesi (vv. 1214ss.) rimanda al medesimo Aristofane (fr. 850 K.-A.), il cui testimone fornisce intorno a fjpjAsf`jh elucubrazioni lessicografiche, immaginarie. I f p j d, cui inneggia Alceo, sono autentici, di natura né commerciale, tanto meno consumistica. Decorano, con terrifica magnificenza, singolari prede belliche: lo splendore di questi aggressivi pennacchi (f`+ejd) incendia, né solo metaforicamente, il tempio ove sono deposti. Devotamente Alceo, del resto, offre ulteriore e più significativa prova dello splendido oggetto. Nel fr. 388 si legge, infatti: f p j h n ` m ` s h O k d e j h 167. Il cui testimone (Strabo, XIV 2, 27), come sappiamo, attinge a Erodoto, contestualmente fornisce il cit. Anacr. fr. 56 P. e \ k d e ` k ^ j h q\hjh. Il contesto del frammento alcaico è sfuggito: è reperibile, tuttavia, in Aristoph. Pax 1172ss., che descrive il frequente e stomachevole quadro di un n \ i \ k q j l, che esibisce n k ` l f p j o l ed una rutilante uniforme: en\ p`$^`d Ak8njl, come un gallinaccio (v. 1177 4mA`k ijocl A A \ f ` e n k o 0 h), n j % l f p j o l m ` s h 168. Lo stilema ––––––––––––––– 167 Nel cit. «QIFGC», II (1967) 105, n. 38 (cf. supra, n. 146), suggerivo di leggere O k d j h , coll. An. Par. IV O k d j h f p j h , che W. BÜHLER (ib.) prontamente riferì al nostro Alceo, ritenendo corrotto il tràdito Okoejh. Segnalavo, che la glossa ne deriva per un processo di «coppia contigua», la forma O k d j l viene tramandata da STEPH. BYZ. 359, il cui lemma, con O\k \, fornisce conferma. Ribadito da O \ k s h , lo schiavo per eccellenza, che nel Miles di Plauto diventa C a r i o (vv. 1397, 1427: coquos). Cf. schol. PLAT. Lach. 187b e\ nj%l g d e k j % l mnk\nd0n\l ndhl O \ k s h \ l Akjmb^k`ojh («Marmittoni», in realtà lo «sguattero», «giovane recluta, lavapiatti, [sguardiano]» di turno, comunque spregevole). Che gdekl debba intendersi come ` ' n ` f l , oppure come in J 801 Wo_`$l njd g d e k l gh bh _g\l, vff g \ q b n l ? 168 Significativo è che in PLUT. Artax. X 2s., al soldato che colpisce Ciro viene dato come premio un «gallo d’oro», da ostentare in cima all’asta, schierandosi in battaglia. Si credeva, infatti, che \'nj%l nj%l Ok\l v f ` e n k o h \ l j Ukm\d _d nj%l f p j o l, j l e j m g j + m d n e k h b , A k j m b ^ k ` o j h . La pur tarda diffusione del g a l l o è dovuta ai Persiani: THEOGN. 864 non dovrà considerarsi interpolato, ma lo stesso autore collocarsi in pieno V secolo. Cf., del resto, CRATIN. fr. 179 K.-A., nonché ARISTOPH. Av. 485, 707, 833. Nel penultimo luogo, il Comico sbeffeggia la prosapia del pennuto, eziologicamente promovendolo a capostipite di tutti i sovrani (n $ k \ h h j d ), anteriori ai Darii e Megabazi. Per la introduzione del gallus gallinaceus, cf. O. KELLER, Antike Tierwelt, II 131ss. Quanto a m ` s, ha comunemente come oggetto ^q` \l, ^q`\, g`f bh, in T 321 \^ _\, in ANACR. fr. 49 P. q\ nbh, in ARISTOPH. Lys. 1312 eg\d ... m` jhn\d, con una Verschiebung evidentemente progressiva. Non sfugga AESCH. fr. 74, 7ss. R. n k \ _kb Affjhn\ q`kjhE / n k \ _’ nbl meb Akjn` hsh,
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ricalca quello di Alceo, lo distorce ferocemente: che l’originale si riferisse ad un protervo caporione, conferma il successivo calco del cit. Aesch. Sept. 384s. (Wo_`$l) njd\+n’ v¦n8h n k ` l e \ n \ m e j o l f p j o l / m ` ` d, ekhjo q\ nsg\ (hapax). Resta il sospetto, che anche in Alceo si trattasse di un vanaglorioso generale, tuttavia in fuga. Che senso avrebbe descrivere un siffatto v f \ a 0 h, se non per beffeggiarlo? Chi scuote l’orpello è personaggio grottesco, odioso, inevitabilmente topico. Che i suoi pennacchi finiscano alle pareti di un tempio (non necessariamente nemico), a futura memoria? Non sembra fuori luogo, a proposito di terrificanti pennacchi, ricordare lo spavento di Astianatte (K 469s.): n\k]m\l q \ f e h n ` _ f p j h A A d j q \ n b h, / _ ` d h h v A’ vekjnnbl e k o c j l h ` $ j h n \ hjm\l, finché il padre non lo depone (vv. 472s.): ekoc\ ... e\ncbe`h ... A \ g p \ h s m \ h, di nuovo (v. 495) A A j o k d h.
––––––––––––––– / n k ` l _’ Admm` sh fpjol, cf. ARISTOPH. Av. 94, STRAB. III 3,6, X 4,6: nkdfjp \. Significativo, infine, è HESYCH. n 922 ndh\enjAfbiE m`dmfjpjl (immo m ` d m f j p j l Marz., cf. SCHWYZER, I 442s.): si tratta del nkdep\fjl Hbkojh`$l, cf. HESIOD. Th. 287. Nel precedente v. 6 del frammento eschileo, si legge †nkd$n\njh†, vanamente tentato: non si dovrà suggerire n k d e k b h j h , che Triclinio recava in luogo del vulgato nkdep\fjh?
Cap. IX – Fantasmagoriche armi Nelle incandescenze del tempio, spiccano (stupendamente ordinati) scintillanti caschi: f g A k \ d m d h e o h \ d m d h. Ove il coriaceo indumento esibisce riflessi tipici del metallo, cf. § 269 f \ g A k m d ejk$c`mmd, ma soprattutto R 132s.: r\+jh _’ A A e j g j d e k o c ` l f\gAkjmd pfjdmd h ` o h n s h, 2 l A o e h j p m n \ m \ h vfffjdmd. È difficile intendere l’aggettivo quale traslato, come nell’unico n 234 (il qdn0h di Odisseo): n1l gh bh g \ f \ e l f \ g A k l _’ h f d j l 4l, suscitando la ammirazione di A j f f \ ... ^ o h \ e ` l. In Alceo, le successive (v. 9) e h g d _ ` l sono qualificate dall’identico e ossessivo f g A k \ d, pertinentemente, perché introdotto da q f e d \ d (v. 7). Una qualità dominante, anche nel nostro caso (in apparenza anomalo), in perfetto parallelo con q f e < del v. 2, con f g A k \ d m d h del v. 3, qui in discussione. È irrefutabile, che la motivazione sia offerta da p f j d, l’elemento «forte» del copricapo: indispensabile per la difesa, ma anche quale sostegno del fascinoso pennacchio169. Risulta formulare, del resto, una coppia di versi, ancora per noi modello imprescindibile (H 336s. = T 480s., U 137s., q 123s.): ––––––––––––––– 169 Altrimenti detti p f \ k \ , definiti da Aristonico (cf. schol. U 106) n e\n n gmjh n l A`kde`p\f\ \l gdek v m A d _ m e d \ , {ndh\ e m g j o q k d h A c`n\d, nonché _d n p\h `h\d e\ f \ g A k , ovvero }e\nksc`h \'n l e m g j l . Cf. Etym. M. 787, 9 ... nh e m g b m d h nh e\n n g n s A j h n 8 h A A s h n n 8 h ^ h c s h m e ` A m g \ n \, ib. 14 n ejmgg\n\, cf. schol. R 799 (p \ f b k d s) e nj+ p8 n p \ h s, vp’ j- e\ p \ f h , n f\gAkh e\ p\fdh. Nonché HESYCH. ` 7260 ` ' p f \ k \ E f\gAk. Sorprende l’abbinamento operato in HESYCH. p 125 p f j l E f p j l n l A`kde`p\f\ \l enf. Si tratta, evidentemente, di un meccanico compendio lessicografico, operato in conseguenza della «coppia contigua», cf. R 614
njd gh e k o c j l p f j h
f\m`h AAj_\m` bl / zekjh & A f p j h \ ' n h (immo \'nl, Marz.). Segue in HESYCH. p 125 cit.: e\ n k o p f ` d \ n k ` l e ` p \ f l qjom\, patentemente assurdo. Si intenderà nk`l p f j o l qjom\, cf. ARISTOPH. Ran. 1016s. f ` o e j f p j o l n k o p \ f ` \ l / e \ A f b e \ l.
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Cap. IX
ek\n _’ A’ pc g< e o h b h `*noenjh cbe`h A A j o k d hE _`dhh _ f p j l e \ c $ A ` k c ` h h`o`h. Le ulteriori variazioni sono numerose, P 41s. recita ek\n _’ A’ vgp p\fjh eohbh cnj n ` n k \ p f b k j h / A A j o k d h (P 42 = H 337), nuovo adattamento è in R 614s.
njd gh ekocjl pfjh
f\m`h A A j _ \ m ` b h / zekjh &A f p j h \'nh. La diffusione del casco leggero è irrefutabile: la dimessa Odissea (m 378, q 102) si inventa addirittura e\ eohbh A ^ q \ f e j h, A ekjnpjdl vk\ko\h, in q 111, 145 esibisce q \ f e k ` \ l A A j _ \ m ` \ l, più audacemente in e 206 introduce efkjol _’ h eoh q\fek`d Affjg`h 9e\. La rozza berretta ha esaurito il suo percorso: da una fase per così dire artigianale, autarchica, alla guerresca assunzione170. Significa la pressione di una economia diversa, povera, tuttavia adeguata a nuove esigenze. La t a t t i c a o p l i t i c a è fondata su un reclutamento semiproletario, su una manovalanza agricola e marinara. La ispira una Weltanschauung semplificata, ove la desolata individualità si conforta (e sublima!) nella falange. Acquista dignità, addirittura orgoglioso splendore, a dispetto della rimordente tradizione: obbligandosi però ad un codice stupefacentemente nuovo, sebbene soggiogato dall’antico. La finalità decorativa sembra conclusivamente sottolineata nei vv. 5s. di Alceo: e`pf\dmdh zh-/_ksh v^fg\n\. Si privilegia l’aspetto estetico (l’incipitario g \ k g \ k ` d fornisce una imperativa chiave di lettura) su quello funzionale, in genere indifferente alla poesia. Per i susseguenti schinieri, altrettanto f g A k \ d, si preciserà ulteriormente, nel conclusivo v. 8, k e j l m q $ k s ] f ` j l: prelevato da J 316 kejl g`h ]`fsh171, cf. I 137, T 646 k e j l v e h n s h (lorica), I 299 (Ajfgjdj). Malgrado le apparenze, v ^ f g \ n \ non ha valenza esclu––––––––––––––– 170 In ARISTOPH. Nub. 268 il contadino Strepsiade (ma non capiterebbe soltanto ad un rustico) lamenta: n _ gb_ e o h h jejc`h fc`h g nh e\ej_\ gjh’ qjhn\. Per la formazione, cf. ANAXANDR. fr. 68 K.-A. v k e n , f ` j h n , A \ k _ \ e , g j m q , e o h (ex POLL. V 16), sottinteso è l’ovvio _ j k . Da segnalare sono i precocissimi e o h b n \ o k ` b (O 257), end_b (O 335), \^` b (s 231). Significativi risultano HERODOT. VII 77 A`k nmd e`p\fmd (`qjh) e _dpc`ksh A`Ajdbgh\l e o h \ l , nonché II 151 (bis), 152 n h e o h b h j + m \ h q \ f e ` b h , addirittura nel medesimo VII 78 Qmqjd _ A`k gh nmd e`p\fmd e o h \ l i o f h \ l `qjh, v m A _ \ l n` (_: Marz.) e \ \ q g l m g d e k l E f^q\d _ Am\h g`^f\d (armatura perfettamente oplitica!). Il lessema è inesistente in Tucidide, uno ionismo sembrerebbe. 171 Preceduto da efor`h, nell’explicit del v. 315, che fa rima con l’identico efor` di J 310: nel v. 7 della nostra Ode significativa persistenza stilistica rappresenta e k $ A n j d m d h , altrimenti incongruo.
Fantasmagoriche armi
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sivamente soggettiva, laica. In I 141, una schiava Meonia ma anche una O`dk\ (!), decorano un pezzo di avorio, A\kujh gg`h\d AAsh. Agognato oggetto, per moltissimi: si precisa, provocatoriamente, che esso ]\mdf u _ e`n\d z^\fg\, offerta preziosa e votiva. A giudicare dall’esegetico c 509 g^’ z^\fg\ c ` 8 h c ` f e n k d j h `h\d (schol. nkA`d ^k c`j%l n vh\cg\n\). Con un dispettoso rovesciamento del connotare, tipico della lirica, il termine significherà innanzitutto vanitoso ornamento, in più oggettiva occasione, sincera offerta di eccellente fattura. Già Archiloco (fr. 5 W.) insegnava, infatti, che vmA _d gh V\sh ndl v ^ f f ` n \ d (cf. Hesych. \ 293 v ^ f f ` n \ dE nkA`n\d, ^\okd, la glossa gli va riferita): in Alceo analoga preda, destinata alla decorazione di un sacrario, rivendica quale aspetto primario, si direbbe ormai corrente, la pertinenza umana, sia operativa, sia sollecitata nella propria, lusinghevole coscienza. Inevitabilmente, già omerica, cf. V 131s. (hn`\) ensk \'nl qsh 6gjdmdh v^ff`n\d172. Il momento pragmatico viene recuperato in Alceo (vv. 5s. e`pf\dmd zh_ksh, cf. Alcm. fr. 1, 67ss. P. g nk\ /... h`\h _sh /... z^\fg\, nonché _ 602 (AAjol) h c _ ` f ` r s z ^ \ f g \), la sovrastante e più produttiva finalità ne costituisce eclatante prova: z ^ \ f g \ non è, in genere, scindibile dalla divinità e dal suo tempio, quel santuario indispensabile alla sacrale strategia di quanti hanno «giurato assieme». Sottrae definitivamente il luogo della consacrazione ai conati di ricercatori ancillari, nel meccanismo stesso della Ode. In R 330s., i Troiani vedono irrompere tempestosamente (seguìto dal c`kAsh) Idomeneo, pfj^ `e`fjh vfeh ... / ... m%h h n ` m d _ \ d _ \ f j d m d 173, impaziente di combattere ^q` md / g\ekl. Significativi sono i successivi vv. 340–3:
––––––––––––––– 172 Cf. ^ 273s. (Aegisth.) Ajff _’ v^fg\n’ vh r`h, g 346s. A jh\ ... hbh (cf. G 549) / n`$ijg`h, h _ e` c`g`h v^fg\n\ Ajff e\ mcf, ma, esplicitamente, HHAp. I 10 e\ j vh\mnmjomdh v^fg\n\ Aff’ h hbjl, che costituisce la matrice del nostro Alceo, cf. [SIMON.] fr. 101, 155; 156 D. Q fshjl n_’ z^\fg\ e\fj+ e\fh enf. (z ^ \ f g \ = «statua» è postomerico). Per la laicizzazione del termine, cf. il cit. ALCM. fr. 1, 67ss. P. h`\h _sh ... z^\fg\, le numerose ricorrenze in Pindaro significano «glory, delight», quindi «statue», monumento (POLL. I 7, verosimilmente ispirato da APOLL. SOPH. 6,30, registra unicamente la nuova accezione). Solo il primo, e convenzionale, significato, è in Bacchilide. Non va trascurato l’ulteriore ALCAE. fr. 298, 21, incontrovertibilmente la statua (v. 17 ] . [ ]. h\l Uff\_jl: c\h\l U.?), estremo rifugio di Cassandra (qk]md _’ zgpj]dh A\kc`h e\h fsh / ... A\k`mnej]dm\h v^fg\nd). 173 Significativa è la variante g \ k g \ k j h n \ l , che costituisce il germe primario (epperò autentica lezione) dell’incipit alcaico. La via al vulgato _ \ d _ \ f j d m d era suggerita da un ulteriore (ed aberrante) f ` o ^ \ f j d m d .
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Cap. IX
mm` _’ zg`k_`h \'^ q\fe` b ejk$csh zAj f\gAjg`hsh cskesh n` h`jmgensh m\esh n` p\`dh8h k q j g h s h z g o _ d l. I barbagli risultano incalzanti, né solo nella sostanza: sono quegli stessi di Alceo. Li affronta, tuttavia, una formazione animata dagli identici impulsi, unita nei medesimi comportamenti, obbedendo ad un unico ordine (v. 332 e ` e f g ` h j d). Ne consegue, strutturalmente (vv. 337s.): 5l zk\ n8h g m’ f c ` gqb, gg\m\h _’ h c o g > / vfffjol e\c’ gdfjh h\dkg`h iu q\fe> (anticipati da vv. 332s. e ` e f g ` h j d e \ c’ g d f j h A’ \'n> A h n ` l ] b m \ hE n8h _’ g h mn\nj h`ejl , cf. f 514 j*Ajn’ h Afbcj gh`h vh_k8h j ' _’ h g f <). Singolare, quanto ribadita marca è g m `, che ricorre nell’ulteriore Q 24, gli scolii traducono gj+, `l n \'n, da Esichio (j 799) distorto in `l nh \'nh nAjh. In realtà, è e \ c’ g d f j h a spiegarla, il più tardo _ 791 (in un paragone) descrive un leone v h _ k 8 h h g f < / _` m\l, una squadra però compatta, terrificante174. Che costituisce un parallelo unico, emergente: significa, infatti, la falange, implica quella tattica oplitica, su cui Omero affetta ignoranza, per cui dissimula spregio, con spirito letteralmente «filocavalleresco». Ne conferma il sintagma h cog> del cit. v. 337: che si dovrà correggere con } h c o g > 175. In a 183 rispunta gjpkjh`h (v. 181, la g j p k j m $ h b coniugale, cognitivamente superiore alla latina concordia). In Z 262s., lupi ed agnelli mai avranno gpkjh\ cogh, ad illustrazione della m o h b g j m $ h b, formalmente qui eccezionale. A motivare il fraintendimento, sospingono J 160 ` h } h _ p k < h n \ l (~ E 609, P 103), soprattutto P 127 ` h } h _ p k < h n \ l g j + _ ’ q j h 3 e \ l A A j o l. ––––––––––––––– 174 Cf. g d f \ _ h , eccezionale in Q 3 (j _’ gqjhnj) k^`jd e\ Wk8`l gd f\ _ h , nonché T 277, § 730, ma soprattutto s 415 j _’ zk’ g 8 l v j h n ` l pj nsh zffjc`h zffjl, ove g8l non sembra riferirsi ad p j n s h («with one consent»), ma ad v j h n ` l . 175 Del tutto infrequente h c o g > , risultando sufficiente il semplice strumentale: sempre però in incipit, per convenienza metrica (come per h cog>), cf. H 9, S 50, T 566, q 411. Coerentemente si integra, come in e 461 cogh h m n c ` m m d f]bn`, ma soprattutto in T 710 h \ c o g h qjhn`l (contra d 302 n ` k j l _ g ` c o g l koe`), cf. R 487 j _’ zk\ A h n ` l h \ pk`m c o g h qjhn`l, U 219 Unkjefl n` e\ F'njg_sh, h \ c o g h q j h n ` l (~ § 267, ^ 128), nonché R 704 m j h c o g h q j h n ` l , cf. Z 263s. g p k j h \ c o g h q j o m d h , / vff e\e p k j h j o m d _ d \ g A ` k l v f f f j d m d h.
Fantasmagoriche armi
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Già in U 216ss. incombeva il compatto schieramento, 2 l A o e h j p m n \ m \ h v f f f j d m d: in ` 480s., del resto, A o e h j / v f f f j d m d h p o h A \ g j d ] \ _ l (hapax, schol. h\ffi). Patentemente, è v f f f j d m d a costituirne la marca, che indica non soltanto solidarietà, mutualità, ma uno spirito di «corpo» severissimo, imprescindibile176. Archil. fr. 25, 2 W. v f f ’ z f f j l z f f < e \ k _ b h \ h`n\d (cf. a 155s. m p m d c o g l / \ h \ h ` n \ d), lo identifica con la passione carnale, soprattutto se il frammento viene (legittimamente) integrato con i 228 (z f f j l ^ k n’ z f f j d m d h / v h k AdnkA`n\d k^jdl), cui il relativo scolio lo riferisce. Ad antifrastica illustrazione di un maligno principio, per cui la ripresa lirica è in genere puntigliosamente polemica, piega candide moralità ai drammatici impulsi del poeta: secondo una prassi dissacratoria, che le trascina sul piano scabrosamente esistenziale, prima che formale. Il pronome della «reciprocità»177 ha una evoluzione complessa, quanto generale. Non sarà privo di senso, che in Omero i libri F e W lo ignorino. Il suo irrompere e dilagare nei poemi potrebbe ascriversi alla materiale, fisica solidarietà dello schieramento oplitico, tuttavia camuffato: manca, infatti, lo specifico A f n b l, mentre A f a s, con il valore di «armarsi», affiora nei tardi M 55 (Troiani), s 495 (contadini!), per legittimarsi in Herodot. I 127 Q_jol ... 4 A f d m ` Ahn\l, etc.), tecnicizzarsi in Thuc. III 27 A f a ` d nh _ gjh A k n ` k j h r d f h h n \ (cf. Herodot. VII 158). Nell’unico Pind. I. 1, 23 è v m A d _ j _ j $A j d m d h A f n \ d l _ k g j d l.
––––––––––––––– 176 ALCAE. fr. 130b, 7 n8h v f f \ f j e e s h Ajf n\h offre una stupefacente neoformazione, con cui marchia gli avversari. Più incisivo appare PIND. O. II 46 v f f \ f j p j h \ , fr. 163 Sn.-M. v f f \ f j p h j o l ... f^q\l. 177 Che è altro dal semplice riflessivo, anche se non lo esclude, cf. KÜHNER-GERTH, I 573ss., ma soprattutto l’illuminante WACKERNAGEL, VüS II 89–101.
Cap. X – Il trionfo oplitico Il primo esempio di A f n b l emerge, in realtà, con il cit. Pind. I. 1, 23s. f g A ` d _ m\pl vk`n / h n` ^ o g h j m d m n \ _ j d l mp mdh h n’ v m A d _ j _ j $ A j d m d h 178 A f n \ d l _ k g j d l. Una speciale corsa in armi (ma cf. O. IV 22 q \ f e j d m d _’ h h n ` m d), la cui valenza arcaizza, a giudicare dal rimbombo degli scudi, irrimediabilmente però metallizzati, turriti, cf. Paus. VI 10, 2 (scudo, elmo, schinieri). La stravaganza dell’equipaggiamento si conferma tale in Egitto, quando «necessità» obbliga Ioni e Carii (emblematicamente, però, affiancati) ad una scorreria in quella terra. Il veridico oracolo di Buto aveva già preannunciato al Re Psammetico, detronizzato, un salvifico avvento d’oltre mare, q \ f e s h v h _ k 8 h A d p \ h h n s h (Herodot. II 152). Allo sbalordito sovrano179 verrà presto annunciato, che sono sbarcati proprio gli incredibili uomini «corazzati»: stupore nei fatti e nel commento, 2 l q f e ` j d z h _ k ` l v A d ^ g h j d v A c \ f m m b l (qui unicum) f ` b f \ n ` + m d n A ` _ j h. Suggestionato dal prodigioso oracolo, il Re accoglie gli straordinari armigeri, con il loro aiuto si libera dai propri usurpatori. Una storia di ordinaria rivoluzione, si direbbe: ma non diversa da quella, che analoga forza da sbarco sta progettando per «liberare» Lesbo, sotto la guida di Alceo. Non meno significativo è, che ––––––––––––––– 178 La solitaria neoformazione è indebitata col formulare I 504 (7x, solo iliadico) _ j $ A b m ` h _ A`m0h, vk]bm` _ n ` $ q ` \ A’ \'n>, con palese Verschiebung del soggetto. L’Ode pindarica è successiva alla battaglia di Platea (a. 479). 179 Psammetico I troneggia nella seconda metà del VII secolo: alle spalle, ma non parallelamente, delle alcaiche imprese. Che gli strabilianti «corazzieri» costituissero un corpo mercenario inviato da Gige al Re disarcionato, sospettava anche MAZZARINO, OO 141: forze tutt’altro che precarie, sebbene formate da esuli politici (meglio outcasts), giusta il caso di Antimenida, fratello di Alceo, cf. frr. 306Ae, 7s., ib. f, 5ss., soprattutto fr. 350. Le analoghe vicende del fratello di Saffo, Carasso (fr. 213A b,7), appaiono tutt’altro che romanzesche, anche se l’esplosiva temperie sembra collocarle in una storia non più che personale, familiare. La facoltà individualizzante, evenemenziale della lirica è straordinaria, capovolge, sconvolge la fantasiosa esperienza epica. Per lo sbalordimento provocato dal lampeggiante assetto oplitico, Erodoto (ibid.) sottolinea, che il testimone dello sbarco era colpito, 2 l j ' e _ 1 h A k n ` k j h q \ f e > z h _ k \ l A f d m c h n \ l.
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Cap. X
Ioni e Carii (con una sorte prepotentemente unica) si stabiliscano in Egitto, divengano in seguito la guardia del corpo («corazzieri») del Re (ib. II 154)180. Il numero di siffatti «corsari» non risulta indagato. Dal contesto si evince sparuto, per quanto sfavillantemente armati: per uno scontro «campale», non per occasionali scorrerie. Straordinari corsari, secondo Erodoto, comunque armati alla leggera. Agiscono di sorpresa, con una strategia spiazzante, con un’armatura funzionale, quella stessa, che agli occhi di Alceo (nella madrepatria) barbaglia come un «miraggio»: depositata però in un sacrario, glorioso quanto inconsueto bottino, a giudizio dello stesso Alceo (non dei «congiurati», che egli redarguisce), risolutiva, fulminante arma «segreta». Uno scenario non difficile da descrivere (lo stile di Alceo è, palesemente, espressionistico), ma di ardua ricostruzione, di indaginosa interpretazione. Soltanto con Tirteo (fr. 11, 38 W.) emerge A \ h j A f \ d (cf. Aesch. Sept. 59 A h j A f j l k^` sh m n k \ n l)181. Ma, in Herodot. I 60, ––––––––––––––– 180 Analoga sarà l’esperienza di Amasi (nel secolo successivo), che ai soccorritori greci addirittura concesse un «libero» emporio, Naucrati: alla cui (ri)fondazione (?) parteciparono otto città greche, sebbene fosse F j f s h _ Q o n d f b h \ s h g j $ h b, cf. HERODOT. II 178. Commercio di vino lesbio vi esercitò il nominato Carasso, Dorica (sua malfamata corruttrice, vel ¥j_8Adl, cf. SAPPH. fr. 254 V.) era di origine tracia. La «colonia» greca ha sicuramente data più antica, la continuità ed integrazione locale hanno testimonianze (che non sorprendono) quanto alla Grecia. Lo splendido (e coevo) kouros di Samo, già nella gigantesca dimensione (più di cinque metri), dimostra suggestioni tipicamente egiziane, sebbene movimento, asimmetrie, scioltezza, sensualità, profilino una concezione non più statica dell’opera, ma spiritualizzata, peculiarmente greca. Punto di incontro sarà Naucrati, cf. H. RAHMS, Der Riese von Samos. Ägyptisches Vorbild, griechisch verwandelt, «Frankf. Allgem. Zeitung», 15. 3. 97. Gli archeologi parlano di «osmosi», da cui fiorisce l’arte classica: si tratta, in realtà, di un consapevole «Kunstwollen», quale scaturisce da ogni incontro (e scontro) di culture, di riflessive sollecitazioni (cf., nuovamente, la citata «F.A.Z.», 16.7.05). 181 Nel medesimo carme (v. 36), ai subordinati ^ o g h n ` l , usati quali frombolieri e lancieri, si ordina di fare blocco n j l A \ h A f j d m d : la correzione è del Dindorf, per il tràdito A \ h j A f n \ d l . Lo schema tattico estrapolabile da questo autore è integralmente oplitico. Le perplessità strutturali, spesso avanzate, scaturiscono dalla consueta riluttanza ad accettare la nuova strategia, tuttavia innegabile (cf., in proposito, le assennate pagine di C. PRATO, Tyrt. 104ss.). La salda struttura della falange verrà emblematicamente dichiarata da HERODOT. VII 104 A`mnd ^k mpd (Lacedaemonibus) _ ` m A n b l h g j l, ... j'e 8h p ` $ ^ ` d h j'_h Af cjl vhck0Ash e g q b l , v f f g h j h n \ l h n nid A d e k \ n ` d h v A f f o m c \ d . Alla cui radice appare il canto di Tirteo, ove la concezione, non diversamente da Omero, è immaginosamente sincretica. Nei vv. 29ss., si ingiunge l’uso della lancia ovvero della spada (!), segue nel dettaglio e\ A _ \ A k A j _ c ` l e\ A’ v m A _ j l v m A _’
Il trionfo oplitico
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una gigantesca figliola verrà addobbata come la dea Atena (m e ` o m \ h n ` l A \ h j A f ), più integrale camuffamento sarà attuato in IV 180 (ejdh A\kchjh nh e\ffdmn`$jom\h }emnjn` ejmgm\hn`l e o h n ` O j k d h c (!) e\ A \ h j A f f f b h d e , sorprendentemente esaurendosi le uniche occorrenze del lessema, che i Romani non registrano). Tucidide, del resto, lo usa una sola volta (III 114, ma si tratta di ben trecento panoplie, più che indicativo bottino di guerra), analogamente Isocrate (XVI 29), ove costituisce agognato premio di riconoscimento. Burlesche, ma significative, sono le ricorrenze di Aristofane, in Av. 435 la (gloriosa) armatura finisce parodicamente appesa in cucina, vicino al treppiede, più buffonesca metafora è in Plut. 951, sgangherata si giudica, infine, quella città, ove una divinità nata femmina si erge armata di panoplia (Av. 829s.). Nel medesimo Aristofane (fr. 240 K.-A.), addirittura alcune statue risultano decorate di p a n o p l i a, cf. Vesp. 822. La letteratura, la civiltà greca è costellata di panoplie, incombono di fatto, anche senza esplicita denominazione. Risultano consustanziali alla moderna tattica, di più arcaiche e gravose armature non c’è che il ricordo, o il fantasioso (quanto confuso) vagheggiamento dell’epica. In realtà, è alcaica la prima (ed accecante) testimonianza: non si vede, per la rappresentazione patentemente attuale, programmaticamente funzionale, quale altro modello si possa invocare, quale eterogeneo ed immaginifico referente si voglia escogitare. Patentemente «oplitiche» sono le alcaiche e h g d _ ` l (v. 9), di luminoso bronzo (q f e d \ d, f g A k \ d), nonché i c k k \ e ` l ... h s ––––––––––––––– k` m\l, / h _ f p j h n ` f p < e\ e o h b h e o h (cf. R 131s.) / e\ m n k h j h m n k h < A ` A f b g h j l (an A ` A f ` ^ g h j l , Marz.) vh_k g\qmcs (ma cf. I 449 = M 63): imponendo un blocco tanto serrato da scadere nel grottesco, da provocare irridenti distorsioni. Cf. ARCH. fr. 119 W. e\ A`m`h _kmnbh A’ vmeh e v A ^ \ m n k ^ \ m n k \ / Akjm]\f`h g b k j $ l n ` g b k j l (cf. ANACR. fr. 124 Gentili, LUCIL. fr. 305 M. ... t u m l a t u ’ c o m p o n i t l a t e r i e t c u m p e c t o r e p e c t u s, fr. 306… et c r u r i b u s c r u r a d i a l l a x o n . Sembrerebbe una oscena, ma esilarante caricatura del bellicoso hgjl falangista (cf. schol. EUR. Med. 679 v m e h nj hoh f^`d n h A ` k (an &A?) n h ^ \ m n k \ nAjh, ove il termine appartiene al gergo oracolare, cf. PLUT. Thes. 3. La oscena conferma, finora sfuggita, è in MARC. ARG. (AP V 128): m n k h \ A ` k m n k h j d l , g \ m n > _’ A g \ m n h k ` m \ l / q ` f ` n ` ^ f o e ` k j l q ` f ` m d m o g A d m \ l / ... e\ q k 8 n \ f \ ] 1 h (an ] \ f 1 h Marz.) A k l q k 8 n \ , n fjdA / md^8, gknol p’ jl f $ q h j l A`^kp`nj (an < A\k’ kdmnjph`d > Marz., coll. ARISTOPH. Eccl. 1, nec non DEMOSTH. LIV 31). Non sarà superfluo ricordare, che Marco Argentario fu definito, per la sua arguzia, «a truly Roman punster», poiché dimostra «an ingenious crudity, worthy of Martial himself», così R.G.M. NISBET, «JRS» LXVIII (1978) 1ss.
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f h s. La difesa delle gambe risulta indispensabile, una volta abbandonato lo scudo turrito, la fasciatura blindata è un efficace surrogato della tradizionale corazza, assicura scioltezza, ad una truppa sostanzialmente d’assalto182. Nel primo caso si tratta, nuovamente, di una protezione di uso contadino, come assicura s 228s. A ` k _ e h g m d ] j ` \ l / e h b g _ \ l "\Anl __`nj ^k\An+l vf`` hsh, affiancando ad essa (v. 230) q ` d k _ l n’ A q ` k m ] n s h h ` e \. Laerte, così conciato, sembra un servo (n`+ _g0l `l vh_k8hD gli domanda infatti Odisseo, v. 257). Oltre a guanti e gambali, altro lo distingue ed affligge (v. 230s.): \'nk ( A ` k c ` h / \ ^ ` b h e o h b h e ` p \ f q `, Ahcjl vish183. L’abbinamento risulta identico a quello alcaico, la fonte primaria sottolinea miseria non soltanto materiale, ma morale. La tradizione epica ha da tempo provveduto a nobilitare la modestia di siffatto corredo: Alceo a sua volta epicizza, a proprio vantaggio, con lirico (ma nuovissimo) orgoglio184. Omero ha creato un epitheton ornans, quell’ ` ' e h g d l, che copre ambedue i poemi, coinvolgendoli (però integralmente) nella nuova tattica oplitica: verosimilmente già achea, opposta a quella orientale, di cui Erodoto fa responsabili i Carii, ma anche distinta dalla «singolar tenzone», aristocratico rimorso. La fissità ne garantisce la stessa antichità: del lessema non ricorrono, infatti, che nominativo e accusativo plurali, sempre precedendo la cesura del terzo piede, anticipando il sostantivo: per designare, esclusivamente, gli q \ d j 185. Significativo, al nostro scopo, è che nella Odissea la iunctura ` ' e h g d _ ` l } n \ k j d qualifichi gli accoliti di Telemaco e di Odisseo (] 402, d 550), o del solo Odisseo (e 203, r 319). Alceo risulta perfettamente allineato con questo paradigma (radicalmente scomparso dopo Omero): nella sostanza innovativo, nella forma ––––––––––––––– 182 Una borchiatura metallica è ovvia, ne conferma L 41 q \ f e j e h g d _ ` l (hapax, ovviamente q\dj ). Come al solito, precoci esemplari sono già micenei, cf. LORIMER, HaM 250ss., ove la prima testimonianza è su un’anfora protoattica, ca. 680 a.C. 183 Singolare è il valore di questo A h c j l , equivale alla «misery», di cui in SOPH. Ai. 615 (lyr.), che ELLENDT, LS 621, traduce con «is de quo quis merito luget». 184 L’ Iliade ha il formulare e h b g _ \ l gh Ak8njh ehgmdh cbe`h (H 330, P 17, U 131, W 369), cf. V 459 e\ e\fl e h b g _ \ l, Admpok jdl vk\ko \l, V 612 n`+i` _ j e h b g _ \ l }\hj+ e\mmdnkjdj, nonché Y 592 vgp _ j ehbg l h`jn`$enjo e\mmdnkjdj (!), enf. HERODOT. VII 72 informa, che l’equipaggiamento leggero dei Paflagoni comprende A ` k _ n j % l A _ \ l A _ d f \ A d q 0 k d \ (!) l g m b h e h g b h v h \ n ` h j h n \ . 185 Significativamente, nell’unico q \ f e j e h g d _ ` l q \ d j vengono sottolineate le funzionali borchiature, il cui eccezionale barbaglio sarà esaltato nell’alcaica Ode (vv. 7ss.).
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aristocratico. Sulla scia della Odissea, egli rispettosamente ne riserva l’uso ai propri congiurati, n\kjd186. Quanto ai c k k \ e l n ` h s f h s, questi risalgono direttamente al Catalogo iliadico. In G 527ss., di Aiace Oileo si dice che non soltanto è n \ q $ l, ma g ` s h, non ha la statura del Telamonio, si insiste187. Concludendo: f ^ j l gh bh, f d h j c 0 k b i 188. Innegabile sembra il nesso tra predicato e predicativo, immediatamente integrato da un epesegetico (?) ^q` _’ e e \ m n j U \ h f f b h \ l ({.f.) e \ q \ d j $ l. Gli scolii protestano (a torto), non risultando che gli Elleni mai usassero di f d h j l c 0 k \ i dE _d A\hnl ^k q \ f e j q n s h \ l \'nj%l f^`d. A proposito di G 830 e del Troiano (questa volta) g p d j l f d h j c 0 k b i, annotano (induttivamente), che costui è m p ` h _ j h n b l n j i n b l. Un guerriero tipicamente orientale189, si ––––––––––––––– 186 Il debito con s 229s. è innegabile: al v. 9 k e j l m q $ k s ] f ` j l ricalca l’omerico, sebbene rustico, ^ k \ A n + l v f ` ` h s h (cf. il parallelo s 230 ]nsh h`e\). La iunctura si riferisce, patentemente, alle e h g d _ ` l , una virgola dovrebbe separare dai successivi c k k \ e ` l, come in PAGE, SaA 210. Lo stesso PAGE (215) ricorda, opportunamente, AESCH. Sept. 676 ehbg_\l, \qg l e\ Anksh Akj]fg\n\. 187 Già l’Enialio, in SOPH. Ai. 179 (lyr.), è detto q \ f e j c 0 k \ i (cf. PIND. Pae. II 1, BACCHYL. X 123). 188 Il motivo è ripreso in AP XIV 73, 3ss. vg` hjh`l ... /... k^`jd f d h j c 0 k b e ` l , e h n k \ Anjfgjdj. In [ 387, 430 nonché 337, ricorrono eccezionalmente e h n k j h e e ` h n s, riferiti allo sprone, visibilmente metaforico nel nostro caso (pace PAGE, SaA, 216, 3). La superiorità è assicurata dalla straordinaria mobilità, assecondata dall’equipaggiamento, dalla sorprendente tattica. Altrettanto eccezionale è U \ h f f b h ` l , altrove U \ h \ q \ d j , qui surrogato dall’imbarazzante q\dj . Il lessema ritorna in HESIOD. Op. 528, si afferma con ARCHIL. fr. 102 W., unico nella lirica arcaica. Secondo il cit. HERODOT. II 182, Amasis, il faraone filellenico (Naucrati!), ne offrì un esemplare al tempio Lindio di Atena (Rodi): c 0 k b e \ f h ` j h vidjcbnjh, tentò l’analogo a favore di Sparta (III 47): ... nj+ c0kbejl, nh \'njmd g\mdl ... A`gr` _8kjh. e\ ^k c 0 k b e \ f b m \ h n j ... j Vgdjd, hn\ gh f h ` j h e\ a=sh hop\mghjh moqh8h, e ` e j m g b g h j h _ q k o m > e\ `k jdmd vA i$fjo enf. PAUS. I 21, 5ss. descrive analoghi succedanei presso i Sarmati (scaglie ossee sopperiscono alla mancanza di metalli). Biasima, tuttavia, la insufficienza delle medesime, che vengono traforate dal ferro, se colpite violentemente: più utili per la caccia, perché frantumano denti di leoni e di leopardi (!). Assicura che è possibile vederne dedicati in svariati santuarii, per esempio quello di Apollo a Grineo (cf. STRAB. XIII 622). È opportuno segnalare PLIN. NH XIX 6,25 t h o r a c i b u s l i n e i s paucos tamen pugnasse testis est Homerus (G 529, 830 f d h j c 0 k b i, cf. infra, n. 273). 189 Siffatte «giubbe antiproiettili» sono largamente in uso e documentate nel vicino Oriente, già dalla metà del III millennio, cf. LORIMER, HaM 197ss., che ovvia-
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direbbe di seconda linea, non destinato al corpo a corpo, armato ancor più alla leggera190. Come Aiace: minore ma agilissimo, adatto alla scorreria, equipaggiato congruamente, secondo un modello di sicuro esotico, tale però da primeggiare non solo tra gli Achei, ma tra i Greci tutti. Per la task force di Alceo (pertinentemente oplitica), siffatta armatura risulta quanto mai agognata, si identifica con varie e pregiatissime prede: verosimilmente conquistate in Asia (o da questa provenienti), ora devotamente esposte nel civico santuario191. Lo splendore del lino non risulta unicamente metaforico: sono md^\f`hn\, in realtà, gli ` g \ n \ (cf. Z 154, etc.) e i " 0 ^ ` \ (a 38, etc.), hb^n`jl è ancora il q d n 0 h (cf. G 43), come il e k _ ` g h j h (S 184 e\fh, v.l. f\gAkh ... fdjl 4l), addirittura fdA\k gli stessi e k _ ` g h \ (5x, cf. fdA\kjek_`ghjl, in V 382, HHCer. 438, 458). Non è casuale, che siffatta peculiarità venga esaltata dalla sola Odissea, le sporadiche presenze iliadiche denunciano alterità, prima che novità. L’aggettivo h j l, di cui il materiale dell’armatura viene gratificato in Alceo, non può avere che senso reale: il tessuto vegetale si immaginerà consistente, finché fresco di fattura192, ma peculiarmente lucido per questa ragione. La sua diffusione risulta motivatamente occasionale: ad Atene, soltanto con
––––––––––––––– mente ritiene interpolata ognuna delle attestazioni omeriche. In Alceo esse concorrono, con tacito clamore, alla rutilanza dello scenario: tutt’altro che romanzesco, attualmente aggressivo, disponibile. 190 BACCHYL. XIX 43 reca f d h j m n f s h Ak$n[\hdh, detto di Epafo, sovrano di coloro che vestono, emblematicamente, di lino (cf. PLUT. Isid. 352c f d h j m n j f \ ). Già soldati di Ramsete II indossavano siffatte armature, la cui rinnovata diffusione emerge soltanto nel protogeometrico, in vista della tattica oplitica, cf. LORIMER, HaM 199ss. Largamente diffuso in Omero (24x) tuttavia risulta q \ f e j q n s h , epiteto fisso degli Achei, sempre in clausola, eccetto la Dolonia (O 287), cui si affianca R 439s. q d n 8 h \ / q f e ` j h , l j Akmc`h v A qkjl
ke`d f ` c k j h (cf. i vv. 9s. del nostro Alceo: k e j l . . . ] f ` j l / c k k \ e ` l ... h s f h s). La vasta generalizzazione rende improbabili meccaniche interpolazioni della risorsa oplitica nel corpo della Iliade, che la LORIMER, HaM, passim, si ostinava a ritenere omogeneamente (unitariamente) arcaico. Minore è il costo di una Iliade pienamente orientalizzante, a dispetto dell’immaginario ideologicamente arcaico supposto dell’epica. 191 AEN. TACT. XXIX 4, segnala, tra le altre armi, il contrabbando di c 0 k \ e ` l f h ` j d in una città assediata (Anfipoli?, cf. THUC. IV 103–7). Una fattispecie che si affianca alla predazione, alla donazione (anche da parte di sovrani stranieri), alle devozionali dediche finora esaminate. 192 Si deve considerarlo a più strati compressi. Non sfuggirà ALCM. fr. 110 P. je\l gh 2 k \ < f h <. In Alceo era tramandato hsd, alla correzione del Casaubon Lobel opponeva, con arroganza, «sed fort. aliud quid latet».
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Ificrate farà la sua apparizione. Costituiva prodotto esotico, di splendido pregio, soprattutto di agilissimo impiego, già nell’eccezionale Alceo193. Significative sono le testimonianze di Erodoto. Gli Armeni (I 195) si servono di e d c 8 h d A j _ b h ` e u f d h < 194, mentre il faraone Amasis v h c b e ` ... v h \ c g \ n \ ... l n h f f _ \, a Cirene invece spedì una statua dorata di Atena, ancora per la Atena venerata a Lindo due statue di pietra, e \ c 0 k b e \ f h ` j h v i d j c b n j h, già ricordata (II 182). L’altro c 0 k b i inviato da Amasis abbiamo già segnalato in III 47 (tris), per l’eccezionale pregio tuttavia predato dai Samii. Era f h`jl, con fitti ricami teriomorfi, intessuto di oro e di cotone195: ciascun filo (w k A ` _ h b, hapax) del medesimo era c s g m \ d z i d j h (cf. vidjcbnjh, ora citato). Pur sottile, conteneva centosessanta fili, Am\l p \ h ` k l (scintillanti?). Un orientale, fantasmagorico sfarzo, verosimilmente non ignoto agli esemplari alcaici. Gli Assiri (VII 63), e con loro i Babilonesi (I 174), indossavano elmi di bronzo, intrecciati in una foggia barbarica, difficile da descrivere (j'e `'\A^bnjh): portavano scudi, lance e pugnali simili a quelli egiziani, mazze ferrate, ma soprattutto f d h j o l c 0 k b e \ l: una attrezzatura precocemente (?) oplitica. Gli stessi Fenici (VII 89) A`k gh nmd e`p\fmd e o h \ l `qjh v ^ q j n n s A`Ajdbgh\l n k A j h n h f f b h d e h (!), h_`_oen`l _ c 0 k b e \ l f d h j o l, v m A _ \ l _ nol j'e qj$m\l `qjh e\ vehnd\. Una bordatura, che Esiodo conosce (negli ––––––––––––––– 193 In STRAB. III 3, 6 costituisce armatura peculiarmente adatta alla guerriglia: i Lusitani sono, infatti, descritti come h`_k`ondej , i`k`ohbndej , i`l, ej+pjd (sc. mnk\nd8n\d), `'`ifdenjd. Si aggiunge, che usano scudi larghi due piedi, curvi davanti, indossati con delle cinghie: non hanno infatti né anse né impugnature (…). Eccetto qualche cotta di maglia ed elmi a t r i p l i c e cimiero, si limitano a caschi fatti di tendini. Qualcuno è armato anche di lancia. Il quadro è singolarmente affine a quello integrabile nella modulare Ode di Alceo. Per la cotta in discussione, cf. CORN. NEP. Iphicr. I 2ss. prosertis atque aeneis l i n t e a s dedit, nonché MART. II 57, 5s. quem grex togatus sequitur et capillatus, / recensque sella l i n t e i s q u e l o r i s q u e (cf. LIV. IV 20,7 i n t h o r a c e l i n t e o ). 194 Cf. l’unico THUC. I 6 q d n 8 h \ l f d h j + l ... pjkj+hn`l, lo stesso Platone ha solo q d n 0 h d j h (2x) vel q d n s h m e j l (3x): si tratta degli Ateniesi d’antan, che da poco hanno abbandonato un costume palesemente w]kj_ \dnjl. La tragedia non ha, in sostanza, ricorrenze di f h j h . La introduzione del prezioso tessuto ha tracce sparute già in Omero, il termine è semitico, il tramite certamente fenicio: q d n 0 h non ha diversa origine ed etimologia, cf. RE VI (1909) 2435ss., nonché LORIMER, HaM 59 (a p. 397 si sottolinea, opportunamente, che i Greci non tingevano le stoffe di lino, pertanto candide, scintillanti). 195 Ai _ h _ k ` \ ... ` k d \ perfettamente corrisponde Baumwolle, cf. HERODOT. III 106 (India). Il cotone resterà ignoto fino ad Alessandro.
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unici I 486, J 724 sono i cerchioni, a rinforzo delle ruote del carro). Che Tyrt. fr. 15, 3 B (= carm. pop. 856, 3 P.), parodiando, addirittura identifica con il piccolo scudo196. Altrettale rinforzo si dovrà supporre per i peculiari scudi di Alceo?197. In Xenoph. An. IV 7, 15, i valorosi Calibi `qjh _ c 0 k \ e \ l f d h j + l gqkd nj+
nkjo, vhn _ n8h An`k$^sh mAkn\ A o e h m n k \ g g h \: anche il q d n 0 h dorico dispone di siffatte falde, cf. Eq. XII 4 n _ A`k n nkjh e\ n \_j\ [e\ n] e$ef< \ Anko^`l njm\+n\d e\ njd\+n\d..., 4mn` m n ^ ` d h n ] f b (cf. i nostri vv. 8s. k e j l m q $ k s ] f ` j l / c k k \ e ` l). Oltre alla descritta lorica, essi avevano e\ e h b g _ \ l e\ e k h b e\ A\k nh a0hbh (un accessorio, verosimile anche in Alceo?) g \ q \ k d j h mjh iofbh P\eshdeh... `qjh _ e\ _ k o 2l A`hn`e\ _`e\ Abqsh (cm. 360: Ahn` Pätzolt) g \h f^qbh qjh. Epicamente isolate appaiono, nel v. 10 di Alceo, e u f \ d ... z m A d _ ` l (mancano persino in Apollonio Rodio). L’epiteto è, tuttavia, omerico, generalmente delle navi (unito ad mb, cf. f 508), o di luoghi infossati. Mai riferito allo scudo, con seriori frequenze non significative (cf. Plat. Com. fr. 189, 2 K.-A., Menand. Dysc. 947s. e$njl). Soltanto una ricorrenza è in Erodoto (VII 89): si tratta di Egiziani, che portavano ekh`\ qbf`on198, nonché v m A _ \ l _ e j f \ l, nl n o l g ` ^ f \ l q j $ m \ l 199, e\ _k\n\ n` h\$g\q\ (cf. Hom. T 389, 677) e\ n $ q j o l g`^fjol. La maggioranza di costoro erano c s k b e j p k j d (sicuramente però di lino), g \ q \ k \ l _ g ` ^ f \ l `qjh. Si tratta di un equipaggiamento leggero, già in Omero caratteristico dei fanti di marina, cf. T 387s. j _’ v A h b 8 h ... / g \ e k j m d i o m n j m d (gqjhnj), n " mp’ A h b o m h ––––––––––––––– 196 Il termine n o l (cf. uiere, uires, uitus, vitis, it. «vite»?) manca in Eschilo e Sofocle (per q\fehsnjh n\h, cf. EUR. Tro. 1136, 1193, nonché ARISTOPH. fr. 650 K.-A., de scutis salignis, per cui cf. GOW ad THEOCR. XVI 79. Siffatto termine è caratteristico dello scudo oplitico, cf. LORIMER, HaM 169. 197 Spessore e splendore (A\q$nbl et e\ffjh) dei cavi di lino, usati dai Persiani per il ponte sugli stretti, vengono esaltati in HERODOT. VII 36, cf. 25, nonché 34 (f ` o e f d h j h ). 198 Cf. POLL. VII 83 e k h b q b f ` o n n A f ` e n k_jnjl (cit.), ove A f ` e n q b f ` o n costituisce migliore lezione. Segue EUPOL. fr. 418 K.-A. m e $ n d h \ q b f ` $ ` d h, che XENOPH. An. V 4, 13 provvede a confermare: q d n s h m e j o l _ h`_`_$e`m\h &Ak ^jhnsh, Aqjl 2l fdhj+ (immo fdh8h Marz., coll. AESCH. fr. 205 R., ARISTOPH. fr. 18 K.-A. A k j m e ` p f \ d j h n 8 h f d h 8 h ) mnksg\nj_mgjo, A n e`p\f _ ekhb me$ndh\. 199 Nella Iliade nol è sempre cerchione per le ruote, viene trasferito allo scudo da [HESIOD.] Scut. 314, identificato con questo in TYRT. 15, 3 W. (immo carm. pop. 856, 3 P., non registrato da LSJ, Rev. Suppl. 1996).
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e`dnj / h \ $ g \ q \ ejff`hn\ (nonché T 677, R 497). Che alle aste di ben ventidue cubiti (così T 677 cit.) unisce elmi a maglia, scudi concavi, ma sorretti da robusti cerchioni, martelli robustissimi (cf. Poll. VII 118), ma anche le inevitabili l o r i c a e l i n t e a e (Corn. Nep. Iph. I 2): una attrezzatura «orientale», di frequente segnalata o descritta da Erodoto200. Solo indirettamente vi allude Aesch. Sept. 495s. (de clipeo) e$njl / ... e j d f j ^ m n j k j l e $ e f j o (ripreso nel v. 1036, lupi), nulla in Sofocle: Eschilo verosimilmente riecheggerà l’unico Eur. Phoe. 1411 n e j f \ ^ \ m n k l 201. In Cass. Dio XLIX 30, 1s., che descrive la falange, ed in particolare la t e s t u g g i n e 202, risultano, sulle ali dello schieramento, n8h _’ A f d n 8 h j gh n\l A k j g b e m d h v m A m d n\l ej f\dl n\l (an n\l
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(l’aggettivo è ulteriormente in Aen. Tact. XVIII 6, Philom. II 244), Af\n`\, infine, si riferirebbe ad uno scudo, né alto né tondo, ma piatto205. Con l’insorgere della tattica oplitica, vmA l diventa referente unico, indicherà la stessa «guerra»: cf. Aristot. Poet. 1457b 19 h jn` Akjmndc\mdh vhc’ j- f^`d Akl mndE f^s ... v m A l A k l k b. In Senofonte si identificava con lo stesso fantaccino, di conseguenza con la fanteria, cf. An. I 7, 10 h n i j A f d m vkdcgl ^h`nj n8h gh ffhsh v m A l gok \ e\ n ` n k \ e j m \, A ` f n \ m n \ _ enf. Ove si tratta di barbarici lancieri, armati di caschi e chitoni a maglie, schinieri, dardi, muniti di piccoli scudi (A f n \ d), corti pugnali. Spiccano i Traci, secondo Herodot. VI 75, confermato da Thuc. II 29, 5, Xenoph. Mem. III 9, 2. Truppe leggere, di agilissimo impiego, secondo Thuc. III 97, 3, etc. Già in Thuc. IV 93, siffatte vmA _`l si identificano tout court con la fanteria, cf. [Eur.] Rh. 410206. Lo scudo circolare risulta noto, in realtà, nel vicino Oriente alla fine del secondo millennio: lo testimonia, tra l’altro, il disco di Phaistos, lo testimoniano perfino vasi tardo-geometrici. Un ariballos protocorinzio lo documenta nel 680 (che valga come ante quem non), è diffuso insomma nell’intera area egea, cf. Lorimer, HaM 173s. Risponde ad una guerra di veloce movimento, sue peculiarità sono leggerezza, manovrabilità, un uso per così dire attivo: in sostanza offensivo. Viene opposto contro ogni colpo e proiettile, facilmente abbandonato (e riacquistato, con gli interessi!), in caso l’attacco fallisca. Ha dimensioni generalmente ridotte, la forma circolare ne riduce drasticamente peso ed ingombro, la convessità ne irrobustisce la saldezza, consente la eventuale inserzione di una manopola o più funzionale appiglio207. È ricoperto, necessariamente, di cuoio, cui ––––––––––––––– 205 Cf. plat-nus > pla-nus. La iunctura non è testimoniata, è forse estrapolata da J 796 Af\njl n`f\g8hjl, cf. R 588 vA Af\njl Anopdh. Scudi «piatti» risultano assiri, diffusi nel vicino Oriente già del IX secolo, cf. LORIMER, HaM 174. Il passo di CASSIO DIONE (cf. n. 204) descrive un armamentario rozzamente sistematico: sarà, scolasticamente, interpolato? 206 Cf. PLUT. Aristom. 21 gok \l gh v m A _ \ l , qdf jol _ A A j o l: an qdf bh _ AAjh Marz., coll. HERODOT. V 30 en\edmqdf b v m A l, V 63 qdf b A A j l , cf. KÜHNER-GERTH, I 13. 207 STRABO III 6, 1 assegna ai Lusitani un esemplare prototipo di siffatto scudo: v m A _ d j h (!) _’ \'nj%l _ Ajoh q`dh nh _dg`nkjh (ca 60 cm.), e j f j h `l n Akmc`h n ` f \ g 8 m d h i b k n b g h j h E j*n` ^k A k A \ e \ l j*n` v h n d f \ ] l q`d. Siffatti scudi, di ridotto formato e peso, hanno alta ascendenza (Assiria, cf. LORIMER HaM 174, 1). Quelli ritrovati ad Olimpia misurano cm. 80/100, quelli di Pilo cm. 95x83, cf. supra, p. 59, n. 109.
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provvede lo meonjngjl208, è placcato di bronzo, per cui interviene il q \ f q ` $ l (Q 295s.). Finché non si adegua alla tattica oplitica, viene integrato da due lance, riservate in seguito soltanto ai combattenti di seconda linea, stabili (T 283 h mn\_ ). Con la introduzione del movimento, veloce, improvviso, di massa, le aste vengono tralasciate209, sostituite da armi da taglio. Significativamente, Tideo sarà detto m \ e m A \ f j l (J 126, hapax): ma egli è anche A A n \, per cui non può usare rigidamente l’arma, ma agitarla, dirigerla contro i proiettili210. ––––––––––––––– 208 Omero ha una sola volta m e + n j l (i 34), per m e o n j n g j l = m e o n ` $ l emergerà con ARISTOPH. Av. 491. In Eq. 740, Lys. 414 riaffiora m e o n j n g j l , «calzolaio». 209 Adatte all’assalto. L’assenza di queste armi nell’Ode alcaica, né segnalata e neppure lamentata, non può avere altra spiegazione: a parte la più facile reperibilità di simili strumenti. LORIMER, HaM 172, constatando tale assenza, sottolinea che «the pair of t h r o w i n g - s p e a r s which on Attic Geometric ware is the regular accompaniment of every shield, whether of the hour-glas round, or rectangular form, is incompatible with the hoplite shield and tactics» (corsivo nostro). SNODGRASS, 1967, 58, conclude in proposito, con rassegnazione: «It is a measure of our ignorance, that we cannot pronounce directly on such a basic question». Va sottolineato, tuttavia, che nel Vaso Chigi (ca 700) la precocissima rappresentazione della falange documenta il corredo di due lance. Cf., infine, I 281s. _ujh l Af`gjh A o e d h \ e hohnj p f \ ^ ^ ` l / e o h ` \ d (cf. U 66 e o h ` j h Wk0sh h p j l ), m e ` m h n ` e \ ^ q ` m d A ` p k d e o \ d . La lancia risulta indispensabile, almeno nel V secolo, cf. EUR. HF 190ss. v h k A f n b l _j+fl mnd n8h Afsh / ck\$m\l n` f ^ q b h j'e q`d n> m0g\nd / ch\njh vg+h\d, g \h q s h (an } f 1 h Marz., coll. T 474 } f 1 h _jfdqh _ko) v f e h ghjh. È tuttavia sfuggita la preziosa testimonianza della S t e l e d e l l’ A v v o l t o i o, innegabile prototipo monumentale della falange: un patente muro costituiscono quattro scudi, perfettamente allineati e congiunti (sono quadrangolari), superiormente dominati da otto volti, chiusi nei rispettivi elmi. Rappresentano la sigillata fronte della falange, vistosamente guidata dalla isolata figura di un e j m g n s k. In parallelo, lungo la blindata parete degli scudi, sono allineate due dozzine di lance, vistosamente impugnate ciascuna da una robusta mano. Nella parte inferiore della stele sono riprodotti quattro scudi, li sovrastano numerosi guerrieri, armati di aste (faticosamente) sollevate (cf. NIESE, Hom. Poesie, 170). Li precede, verosimilmente su un carro, il medesimo ejm g n s k, che stringe un’aquila (vittorioso?). 210 Modello funzionale sembra offerto da J 594 h A\fgmd A`f0kdjh ^ q j l h 0 g \ , cf. T 677, nonché Y 245 (n i j h), p 393 n i j h h 0 g \ Ahn v h \ m n k j p 8 h , QUINT. SM. III 439 h j g m \ m c \ d m e j l (!), suggerito dal cit. J 126 (m \ e m A \ f j l). Ma ricalcato su ^qmA\fjl (G 131, S 449, T 605, cf. AESCH. Agam. 117), cf. HESYCH. ` 341 et 344 (an ^ q ` m [ ] A \ f j d Marz., coll. ^ q ` m g s k j l ), ex Hom. scholl. I moderni Shakespeare, Crollalanza, Caccialanza (anche Aldrovandi / Aldobrandi: ma «brando» è «tizzone», quindi «spada» fulgente), non hanno significato diverso.
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Omero affetta di ignorare cavalieri e cavalleria211, surrettiziamente ne celebra tuttavia l’arte, in alcuni paragoni212: in O 513 Diomede ne usa _d nh qk` \h. La forma AAn\ (ignota alla prosa attica) è notoriamente artificiale, costituiva un arcaico vocativo, il corrente A A ` $ l (il maldestro AAdjqkgbl è sospetta neoformazione, cf. B 257, f 259) veniva ambiguamente adoperato per cavalieri ed aurighi (cf. G 810 = M 59 = s 70 A`aj c’ AA l n`, patentemente antagonisti), non mette conto distinguere in un sincretismo, deliberatamente perpetrato. Lorimer cit., segnala un frammento ceramico (Vrokastro), di stile geometrico, che mostra un uomo a cavallo, munito (necessariamente) di uno scudo circolare. Ancora in un paragone, del resto, si celebra la AAjm$hb, cf. T 679 2l _’ n’ vhk A A j d m d e ` f b n a ` d h / `_0l: ove il virtuoso cavalca ben quattro animali, un significativo funambolismo, a dispetto della ipocrita norma213. Se isolato, o quanto meno infrequente, risulta il sintagma euf\d... zmAd_`l, una sorprendente coincidenza è di recente emersa in Tyrt. fr. 19, 7 W.: ] \ d e j f l v m A m d p k \ i g [ ` h j d. È imminente lo scontro fra le opposte schiere dei combattenti, che si dispongono come già in § 268 p k \ q c h n ` l m e ` m d h q \ f e k ` m d h214. Nel v. 12 di Tirteo, viene ingiunto un compatto stringersi assieme, ––––––––––––––– 211 Cf. ARISTON. ad T 679 e f b n \ \'nl gh j_`, qksghjol nj%l ks\l j' moh mnbmdh: [HESIOD.] Sc. 286 esorbita dalla convenzione epica. Cavalieri sono rappresentati nella figurativa, già alla fine dell’VIII secolo, ed ancora prima a Creta, che funge da ponte con il vicino Oriente, cf. LORIMER, HaM 504, n. 2. Paradossalmente (ma non troppo), NIESE, Hom. Poesie, 120s., sostenne che carri e relative battaglie fossero tardivi inserti, archeologizzanti, cf. RE II A 442. 212 Ma cf. ` 37 ¡_omm`%l vgp’ }h _j$k\nd ]\h`, e f b c’ 2 l A A j h f\$hsh, nonché HERODOT. VII 86 h_j ...
f\ohjh _ efbn\l e\ {kg\n\. Cf. HESYCH. e 2168 e`fbndhE e`fbn a`dh. AA`$`dh (<Adcog`>, Marz.). Singolare è Suda e 1301 nd n e ` f b n a ` d h <e\ > (Marz.) Ak nj+ ¢gkjo (cf. T 679, hapax), cf. n. 211. 213 Significativamente, i Frigi nel solo O 431 sono detti AAg\qjd. LSJ Rev. Suppl. 1996, 174, s.v. e`fbn as, ingiunge: «delete ‘of one who leaps from horse to horse’», come veniva correttamente indicato alla vecchia p. 937. Chi sappia leggere il relativo passo (j 682ss. Ajf`l...E _’ gA`_jh ... / ... v g ` ] ` n \ d ), non potrà non rifiutare la Besserwisserei, di cui patentemente si compiacciono gli improvvisati revisori del LSJ. Da rifiutare l’analoga ingiunzione di cancellare la intera sez. III di efbl, con i suoi riferimenti osceni tuttavia irrefutabili. 214 Il modello di siffatta struttura è in R 130 p k i \ h n ` l _ k o _ j o k , m e j l m e ` d , ripreso nel successivo v. 11 di Tirteo. Da richiamare è, tuttavia, MIMN. 13a,1 W. 5l j A k ] \ m d f j l , A`[ "’] [h] ` _ i \ n j
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m $ g A \ h n ` l v f j d b m j [ g ` h, che non suppone un e` hjol (quale azzardato dagli editori), ma l’ovvio }\onj$l, inaugurato a quanto pare da Alceo stesso (fr. 78 Bergk), di frequente usato per v f f f j o l 215. Ne conferma, immediatamente (v. 13), v ] h _ k m d h \ q g b n \ l ^ ^ $ c ` h m [ n g ` h j d, cf. fr. 11, 38 n j m d A \ h A f j d m d h A f b m j h m n g ` h j d, ma soprattutto gli analoghi (ed eloquenti) vv. 35ss. &g`l _’, 9 ^ o g h n ` l, &A’ v m A _ j l z f f j c ` h z f f j l / A n 0 m m j h n ` l ... / …/ njl A\hAfjdmdh Afbm jh mng`hjd. Si forma, evidentemente, la falange: sul modello di T 710 v f f ’ j ^ ’ ^ ^ $ c ` h m n g ` h j d h \ c o g h q j h n ` l (cf. v. 703 j gh n pkjhjhn`l p m n \ m \ h v f f f j d l), nonché P 593 = R 488 A f b m j d m n b m \ h , m e ` ’ 6 g j d m d e f h \ h n ` l 216. Il successivo _ ` d h l _’ v g p j n k s h mn\d e n $ A j l non può scaturire che dallo scontro degli opposti schieramenti (quali evidenti dal cit. U 563 v g p j n k s c ` h e\kn$h\hnj pf\^^\l), quindi (v. 15) v m A _ \ l `'e$efjol v m A m d n o A n [ j g h s h: dal cozzare degli scudi, di cui sono ambedue (Greci e Troiani, con «omerico» sincretismo) ––––––––––––––– g + c j h , /
[u i \] h e j f [ l v ] m A m d p k \ i g ` h j d , che suggerisce anche all’inizio del nostro luogo
ui\h (spicca il perentorio ordine del «comandante»). Pertinente appare già ARCHIL. fr. 146, 7s. W. sCh] w c k j d ^`hj g`c[\ / ]mbl n ` $ q ` m d h A ` p k [ \ ^ g h j d (Marz.), cui segue un emblematico ]mpl v g p d e j o k b (hapax) f][`h (Marz.). Cf. SOPH. fr. 426 R. vff’ v m A d _ n b h h n \ e \ A ` p k \ ^ g h j h, nonché SOPH. OC 378s. Akjmf\g]h`d / ... m o h \ m A d m n l p f j o l , EUR. Cycl. 38s. G\^q < / e8gjd m o h \ m A a j h n ` l. Per la tecnica, cf. XENOPH. HG VII 4, 23 j _’ ke_`l v c k j d m o h \ m A d _ j + h n ` l enf. 215 Sostituendo } \ o n h e \ m n j l . Per il riflessivo in luogo del reciproco, cf. KÜHNER-GERTH, I 573s. 216 È sfuggito, che già § 268 pk\qchn`l me`mdh q\fek`mdh configura una falange, tuttavia d i f e n s i v a , opposta al massiccio assalto dei Troiani, cf. vv. 266s. \'nk q\dj / m n \ m \ h vgp Q`hjdnd_ h \ c o g h q j h n ` l , / p k \ q c h n ` l m e ` m d h q \ f e k ` m d h , HERODOT. IX 61 p k i \ h n ` l ^k n ^kk\ j U k m \ d vA `m\h n8h nji`ognsh Ajff vp`d_sl, altrove opposti agli scudi (VII 61 v h n _ v m A _ s h ^ k k \ ), in quanto di intrecciati vimini, cf. XENOPH. Cyr. VII 1, 333, etc. Nel citato HERODOT. VII 61 se ne descrive in dettaglio l’equipaggiamento: per copricapo `qjh ndk\l e\f`jgh\l, A fjol vA\^\l (hapax: «fragili»), A`k _ n m8g\ e d c 8 h \ l q`dkd_snj%l A j d e f j o l (che non significa «de couleurs variées», come Legrand, costretto quindi a porre in successiva lacuna il contraddittorio <e\ c0kbe\l> di Biel. Riferito ad armi, l’aggettivo indica metallo lavorato a scaglie, r d h q c o ` d _ j l), infine delle vh\iok _`l, «pantaloni» comuni del resto agli orientali (cf. V 49, XENOPH. An. I 5, 8), invece di scudi i suddetti ^ k k \ , lance, robuste frecce. Un’armatura ultra-leggera, palesemente d’assalto, ignara di tradizionali corazze o di compattati scudi.
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dotati. È notorio, che n $ A n s significa comminus vulnerare, ] f f ` d h invece eminus, cf. R 228 ` A`k ^k e` ] f ` j Ajh`$g`hjl n o A ` b l, P 191 = 206 _jok n o A ` l, ] f g ` h j l > (cf. T 495 ] f g ` h j l n o A ` l). Nel v. 15, la finale integrazione del Wilamowitz trova conferma in Y 20s. n$An` _’ Admnkjp_bh n8h _ m n h j l khon’ v`del, / zjkd c`dhjghsh, che si trivializza con q 308s. ~ s 184s. (Procos) n $ A n j h Admnkjp_bhE n8h _ m n h j l k h o n’ v ` d e l, / e k n s h n o A n j g h s h (cf. M 60ss.). La matrice del peculiare schema tattico è in I 446ss. Già nel v. 445 Eris interviene nella mischia, pffjom\ m n h j h v h _ k 8 h. I quali (vv. 446s.) l q8kjh h\ ioh jhn`l ejhnj, / m$h "’ ]\fjh "dhj$l217, m%h _’ ^q`\ e\ g h ` \ v h _ k 8 h / q \ f e ` j c s k e s h. Segue (v. 450s.) hc\ _’ {g’ vgjd^ n` e\ `'qjf Af`h vh_k8h / ff$hnsh n` e\ ffoghsh. In un successivo paragone, è richiamato il conflagrare di montani torrenti, di cui il pastore avverte da lontano il _j+Ajh218. Conclude il paragone un incisivo (v. 456) 5l n8h gdm^jghsh ^h`n’ \ q n ` A h j l n `, anticipato (v. 453) da g d m ^ ^ e ` d \ h, qui eccezionale, ripreso in Plat. Phileb. 62d (g. Ajdbnde). Il lessema veniva interpretato da Eust. 492, 23 ej fb q\k_k\ (= schol. ej fsg\), cf. Hesych. g 1442 gdm^^e`d\E nAjl ejfjl, Ajo mogg ^hon\d (-ohn\d Marz., coll. Apoll. S. 113, 4) (_\n\ Ajff, confermato da Suda g 1110 (bis).
––––––––––––––– 217 Cf. Q 263 "dhjmd ]j8h pki\hn`l Afi`dl, ove si tratta di scudi patentemente leggeri, oplitici. La p f \ ^ i n 8 h A f d n 8 h emerge in XENOPH. An. VI 5, 27, opposta ai A ` f n \ m n \ (ib. 25), ovviamente agli AA`l (Cyr. VI 3, 2). Significativo, vedremo subito, è U 563 j _’ A` vgpjnksc`h e \ k n $ h \ h n j p f \ ^ ^ \ l (cf. P 215 = Q 415). 218 L’analogo risulta in U 633ss., ancora una volta in un paragone, anch’esso montano: n8h _’ 4l n` _ k o n g s h v h _ k 8 h k o g \ ^ _ l ksk`h j*k`jl h ]mml, e\c`h _ n` ^ ^h`n’ v e j o . 5l n8h k h o n j _ j + A j l vA qcjhl `'koj_` bl, q \ f e j + n ` " d h j + n ` ] j 8 h n’ ¦Ajdbnsh, h o m m j g h s h i p ` m h n` e\ ^ q ` m d h vgpd^$jdmdh. Ove ^ q j l , a dispetto di interpreti antichi e moderni, significa genericamente arma, addirittura «spada», come in SOPH. Ant. 287, etc. (cf. PIND. P. IX 28 zn`k ^ q s h ). Persino la palla di Nausicaa sembra indicata con ^qjl (SOPH. fr. 781 R.). Difficilmente significa «lancia», a doppio taglio: problematicamente, essa manca nel nostro Alceo.
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Ne consegue, che nel residuo fr. 19, 16 ]Cmjomdh A’ v f f f j d m d A[ non resti che integrare A[`mhn`l (Lobel)219, suggerito dal finale G 175. Nel v. 17, immediatamente successivo, risulta c 0 k b e ` [ l, irrefutabilmente imposto dal funzionale contesto: ma I 449 = M 63 Afbhn’ vfffmd, Ajf%l _’ k $ g \ ^ _ j l 3 k 0 k ` d fornisce il patente modello sostanziale. La integrazione dell’incipit, su questa linea, appare obbligata: 2l gh & A \ h n d ] C m j o m d h 220. Basti confrontare K 17 Akmc`h &A\hndm\l, il cui Akmc`h ha generato il nostro A[f\mc`h, anche foneticamente (cf. K 399 j A`dn’
hnbm`). La matrice, tuttavia, ricorre nell’analogo L 423 j _’
h n ` j h v f f f j d m d h. La conclusione del carme risulta palmare. Nel v. 17 dovremo leggere c0kbe`[l _’ vh_k8h mnc`mdh zg[pd p fjdl, coll. G 453s. \qgbn\ g`g\8n`l k`enmdh (hapax) g`f md / c0kbe\l "i`dh _bsh vgp mnc`mmd (nonché I 313, 360 etc. h mnc`mmd p fjdmdh), nel successivo fjd^]h ksmjomdh k`deg`hj[d A`k _jok , coll. R 438ss.: vnkg\l }mn\n\ mn cjl gmjh j*n\m` _jok ksl _jg`h`$l, " i ` h _ j vgp q d n 8 h \ q f e ` j h, l j A k m c ` h v A q k j l
k e ` d f ` c k j h _ nn` ^’ \,jh z¦m`h k ` d e g ` h j l A ` k _ j o k 221. Nel v. 19, infine, al q`kg\_ sh ... g[`^fsh del Wilamowitz, si dovrebbe preferire q`kg\_ sh ... A[`nksh, coll. e 121ss. j "’ vA A`nksh vh_k\qcmd q`kg\_ jdmd / ] f f j hE zp\k _ e \ e l e h \ ] j l ––––––––––––––– 219 Verosimili appaiono tuttavia ghjhn`l, cf. g 373 j _ ’ n \ k j d g ^ \ k ^ j h gbn m\hnj g h j h n ` l, ma soprattutto il medesimo TYRT. 7, 1 9 hjd, vff gq`mc` A\k’ vfffjdmd ghjhn`l, nonché 10, 15 j gh ^k n j f g 8 m d A\k’ vfffjdmd ghjhn`l, infine cjkhn`l, cf. P 70 = U 770 2l Wk8`l e\ q\dj A’ vf f f j d m d c j k h n ` l. 220 Il preverbo di questo unicismo è, senza dubbio, ispirato da & A \ m A _ d j l , cf. R 158 (~ U 609) &A\mA _d\ AkjAj_ ash. 221 Cf. O 21 (~ 171) A`k mnc`mmd qdn8h\. L’ultimo editore scriveva soltanto zg[pd, quindi k`deg`hj[d, (A`k _jok e.g. già Allen). Nell’iniziale v. 16 West fantasiosamente integrava ^q`\ _’ \r’] mjomdh (?): incredibile, j _ ]jh] mjomdh noluit Wilamowitz. Che nel v. 18 ksmjomdh significhi fluere (coll. F 303), col Wilamowitz, o desisto (coll. R 776, W 710 ks m\d Ajfgjdj) col Tarditi, è parimenti improbabile. R 57 (Hectorem) mm$g`hh A`k sm\dn’ vA hb8h soccorre, col significato di repello, e non retineo, come GEHRING, LH I 482. Si tratta di un hapax. L’ottimo f j d ^ h del v. 18 (adespoto in Wilamowitz) è ispirato da F 67 ]j$f`n\d vhndm\l (cf. v. 16) gh vA fjd^h vg+h\d, cf. F 341, 398, 456, etc. Per TYRT. 19, 2 W. suggeriamo f ` o m n ] k l n ` f c s h e\[ (]fbn] k\l Snell, sic), cf. HESYCH. f 759 f ` o m n k \ E pjh\ f cjdl vh\dkj+hn\, ex schol. LYCOPHR. 1187 f`omn k\E nh fdcj]fjh (cf. Etym. M. 561, 51) vel nh e\n\f`omn k\ (desideratur ap. LSJ, Rev. Suppl.).
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e\n h \l k 0 k ` d h / v h _ k 8 h f f o g h s h enf. (nec non U 104s.). La coincidenza delle alcaiche euf\d ... zmAd_`l con Tyrt. fr. 19, 7 W. appare, sotto ogni aspetto, significativa. Il cit. (p. 17, n. 28) Mimn. fr. 13a W., tuttavia, fornisce una ulteriore e più stringente analogia: 5l j A k ] \ m d f j l, A`[ "’] [h] ` _ i \ n j g + c jC hC ,
[u i] \ h e j f [ l v] m A m d p k \ i g ` h j d. La iunctura occupa, in ambedue le occasioni, il centro del pentametro: ciò rende improbabile una derivazione diretta da Omero, che d’altra parte ignora il peculiare referente. Nel primo caso, la frammentarietà del papiro impediva la sostanziale interpretazione, in Mimnermo sembrano più evidenti le circostanze. Nel papiro (un commentario ad Antimach. Coloph., fr. 180 Wyss) si legge, infatti, m[oh^`]dh (an g[mm]dh Marz., coll. A 336 ekoi gh "\ g m m d g`n _ g < m d h `dA`h) _g< [dm’ h _ i ` n \ dE vhn nj+ A[dn]i. Segue Q gh`kg[jl] _’ [h] n Vgokh_d. Ove si tratta di una «ingiunzione», il cui agente viene correttamente marcato da A\k(). Sarà da sottolineare, tuttavia, che il preverbo (con il genitivo) già in Omero esprime la connotazione del «persuadere», addirittura «ingannare», cf. F 555 A\k` A, K 337 A\k`dAj+m\, K 62, L 121, P 793 = T 404 A\k`dA0h (cf. Chantraine, GH II 120). Ma soprattutto è da segnalare, che nelle forme passive A\k, sostituendosi ad &A, significa che «l’azione scaturisce dalla immediata prossimità, dai mezzi, dalla stessa capacità di disporne, sia dal punto di vista materiale, sia spirituale», così Kühner-Gerth, I 510. Tra gli esempi addotti, decisivo risulta (per il nostro caso) Xenoph. Cyr. VI 1, 42 n A \ k m j + f ` ^ g ` h \, Comm. I 3, 4 n A \ k n 8 h c ` 8 h m b g \ d h g ` h \. Ne consegue, a giudicare dal conclusivo g + c j h, che si tratta di un ordine perentorio, indiscutibilmente accettato. Della prima ipotesi (comunicazionale), si faceva garante il testimone stesso, concludendo: e\ [m] j_jlE [h _’] zk\ ej$k\dl _ [ i ] \ n j (Hesiod. fr. 242 M.-W., cf. Pind. O. VII 58 vAjhnjl _’ j*ndl h _ ` d i ` h fqjl `f jo, già Q 413 2l p\c’ j _ z h \ e n j l &Aj_` m\h`l g s e f h / g f f j h A ] k d m \ h ] j o f b p k j h v g p z h \ e n \ (cf. B 265). In Mimnermo, la puntuale ricezione ed esecuzione risulta assicurata dal duplice aoristo, la struttura viene confermata dai paralleli Herodot. I 60 h _ ` i \ g h j o _ n h f ^ j h e \ g j f j ^ m \ h n j l A n j $n j d m d U ` d m d m n k n j o, V 96 j'e ... h ` _ e j h n j nj%l f^jol vAjp`kjoghjol j cbh\jdE j'e h _ ` e j g h j d m d _ mpd enf., ib. 98 n j % l f ^ j o l j ' e h ` _ e j h n j, VIII 77 vhndfj^ \l... A\k’ zffsh h _ e j g \ d, ma
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soprattutto ib. 142 f ^ j o l h _ e ` m c \ d A \ k n j + ] \ k ] k j o. Con due conseguenze, di ordine non solo formale. Nella clausola del v. 1, si potrebbe congetturare il lapalissiano g + c j [ l, ma il perentorio o 271 e\ q\f`Ah A`k hn\ _`q0g`c\ g+cjh q\dj obbliga a difendere il tràdito g+cjh, sebbene la virgola improvvidamente posta prima di A` vada collocata avanti a Ak222. Notoriamente, f ^ j l è soltanto due volte in Omero, significa sempre, al dativo plurale223, un f ^ ` d h continuato, dilettevole racconto (cf. T 393, \ 56, HMerc. 317), g+cjl esprime, oltre al semplice «parlare» (cf. H 76, etc., in genere connesso con v e j $ s), la perentoria «ingiunzione» (cf. F 25 = 379, etc., che è analogo ad h _ q j g \ d, A d n m m s citt., etc.), «minaccia» (cf. F 388 A` fbm`h g+cjh, nonché il cit. U 200), «comando» (cf. G 16 A ` n h g + c j h z e j o m `, etc.), «consiglio» (cf. F 273s. e\ gh g ` o ] j o f s h i $ h d ` h A ` c j h n n ` g $ c <E / vff A c ` m c ` e\ (gg`l, A` A ` c ` m c \ d zg`dhjh). Non diversamente, però, dai nostri guerrieri, subordinati al capo (]\mdf`$l), nella mirabile testuggine. Ciò è verosimile, purché il tràdito h`_i`n\d non venga ricondotto a _` ehogd (sic), ma a _qjg\d (excipio): l’ingannevole (e tuttavia consolidata) ricostruzione si deve a Thumb– Scherer (Handb. d. griech. Dialekte, II 278), a indicarvi un supposto ionismo fu il Bechtel, Griech. Dialekte, III2 180. I passi omerici da lui illustrati in nota (224) già raccomandano la necessaria correzione. Nel cit. papiro Coloph. abbiamo visto spiegare h _ i \ n \ d con il congruo A[dn]i. La forma h`_i\nj è notoriamente plurale (epica), cf. Schwyzer, I 671 (3), nonché Chantraine, GH I 475. Più che semplice ingiunzione, Mimnermo esprime un «ordine» di combattimento224, immediatamente eseguito. Il verbo costituisce un arcaico epicismo, il cui aoristo è tre volte nella Odissea, più numerose negli Inni (ma cf. Pind. fr. 33a Sn.-M. A _ mnk\nh zum[m` Lobel, immo vm[mjhn\ vel simile quid). Ma Bacchyl. XIII 133ss. 5l Wk8`l, A ` ––––––––––––––– 222 Innegabile risulta A` ["’], garantito dal cit. HESIOD. fr. 242 M.-W., inteso a marcare la interdipendenza (cronologica e causale) tra due proposizioni, cf. KÜHNER-GERTH, II 317ss. 223 Il primo esempio è in HESIOD. Op. 106 ... n`kjh ... f^jh ... / ... m% _’ h p k ` m ] f f ` j mmdh. Il contesto che si evince in Mimnermo è confortato da U 211 gffjh _ m n q ` l z k c ` h , A ` ] \ m d f j l z e j o m \ h , nonché W 255 ... nj _’ zk\ A h n ` l A’ \ ' n p d h \ n j m d ^ / k ^ ` j d ..., v e j $ j h n ` l ]\mdf jl. 224 VOGLIANO, editore del papiro, a proposito di 5l j...
[d]i\h, segnalava G 87, 459ss., del tutto impertinenti. In ALCAE. fr. 298, 26 (nec non 38 !) si legge zui` Ahnjh, tuttavia diverso.
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e f $ j h ..., v. 143s. l A ` _ j h ek\n`kh / z u i \ h & m g h \ h p k j h n ` l, risulta perfettamente analogo, verosimilmente pedissequo del frammento di Mimnermo225. Ebeling, LH 57, sottolineava, che il lessema è «de iis, quae sua sponte moventur, aut moveri videntur»: la connotazione rilevabile nel nostro luogo esattamente esprime lo spontaneo, immediato consenso all’azione. Il costituirsi della falange comporta, del resto, non solo uno scattare compatto, ma unanimità, automatica subordinazione al comando. Lo schema sembra, patentemente, prescritto in U 210ss.: (qdff`%l) 5 l ` A 1 h n k o h ` ghjl e\ cogh } e m n j oE / g f f j h _ mn q`l z k c ` h, A` ]\mdf jl zej om\h. Una siffatta arringa galvanizza i combattenti, che si dispongono nel più serrato (gffjh ... zkc`h) degli incastri, appena sentito il condottiero226. La situazione viene puntualmente ripresa da Mimnermo: in Omero, il successivo paragone ribadisce z k c ` h con v k k Aoedhjmd f cjdmd, quale difesa dalla violenza dei venti, ostinatamente si serrano in un blocco (z k \ k j h), sia gli elmi, sia gli scudi ombelicati227. Automaticamente, scudo blocca lo scudo, elmo l’elmo, uomo l’altro uomo. Si toccano i chiomati elmetti, scotendo (formularmente) le molteplici creste: tanto fitti si stringevano l’un l’altro, gli uomini228. ––––––––––––––– 225 La contemporaneità delle due azioni è rilevabile per mezzo di 2 l ed il motivante A ` , cf. KÜHNER-GERTH, II 446s. ed il cit. II 317ss. Paradigmatico deve considerarsi HOM. \ 2 A f ^ q c b , A ` ... A ` k m `. È sfuggita la imbarazzante coincidenza di MIMN. 13a 2 col cit. (p. 113) TYRT. fr. 19, 7. 226 Alla blindata struttura della falange occorre un saldo ed esclusivo perno: un capo dalla voce forte e irrefutabile. Quando G 200ss. eleva il biasimo della A j f o e j d k \ h b, non rivendica, malgrado le apparenze, il carisma dell’aristocratico sovrano, ma del novello ` l ] \ m d f ` $ l , che si erge sui velleitari A h n ` l (v. 203), subordinati (quanto mimetizzati) proletari, tenuti «in conto di nulla» (v. 202 j*n` Ajn’ h Ajfg< h \ k c g d j l j'n’ h ]jof). L’Ode alcaica dichiara la responsabilità, se non il rango, acquisito dallo stesso poeta, che, ormeggiando il modello (tuttavia già omerico, G 180) ... v^\hjl A`mmdh k n o ` p8n\ e\mnjh, cf. v. 189 ... v ^ \ h j l A ` m m d h k b n $ m \ m e ` A \ k \ m n l attiva il e\n\e`f`omgl, cf. Strab. IX 3,10. Il ]\mdf`$l qui esaltato è Gige, il ricchissimo sovrano Lidio dalla tradizione mitizzato, di cui Archiloco spregia la g ` ^ f b n o k \ h h l: morì meno che trentenne, combattendo contro i Cimmerii, barbarici abitatatori delle steppe (infra, p. 117, n. 235). 227 Il subitaneo intransitivo (zk\kjh) dopo l’attivo (vkk) indusse Bentley ad emendare con ekocl n` e\ vmA _\l, infelicemente. TYRT. fr. 11, 29ss. W.2 ribadisce fedelmente la prassi ormai oplitica: vff ndl ^^%l 1h \ ' n j m q ` _ h ... /.../ e\ A’ v m A _ j l v m A _’ k` m\l enf. 228 Paradossale, se non incredibile, la serrata compattezza della schiera, nell’aneddotica riferita da CASS. DIO XLIX 30,1, che abbiamo segnalata alla n. 204.
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Il ej fl vmA md pk\ig`hjd di Mimnermo, ma già di Tirteo, significano la medesima, compatta difesa229: innegabilmente però descritta da R 125ss. (p k i \ h n ` l _ k o _ j o k , m e j l m e ` u A k j c ` f $ g h <)230, dove intorno ai due Aiaci fanno blocco d u e falangi motivatamente formidabili (v. 126 mn\hnj pf\^^`l e\kn`k\ ). Sono i migliori (zkdmnjd), che tengono testa ai nemici, i tre successivi vv. 131–3 ritornano identici in U 215–7, patentemente prefigurando, indubbio miraggio, la falange: che il generico plurale tenta di mimetizzare («ranghi»)231. Gli studiosi espungono R 131–3 (Bethe), malinconicamente obliterando l’inquietante schema tattico. Che, innegabilmente, invece traspare in R 337–44: 5l zk\ n 8 h g m’ f c ` g q b, gg\m\h _’ h cog> v f f f j o l e \ c’ g d f j h h\dkg`h iu q\fe>. pkdi`h _ gqb pcdm g]kjnjl ^q` md g \ e k l, yl `qjh n \ g ` m q k j \ lE mm` _’ zg`k_`h 340 \'^ q\fe` b ejk$csh zAj f\gAjg`hsh cskesh n` h`jmgensh m\esh n` p\`dh8h
––––––––––––––– 229 Il cit. TYRT. fr. 11, 31 A’ v m A _ j l v m A _’ k ` m \ l ricalca fedelmente R 131 = U 215, che subito citeremo, ed il conclusivo v. 133 2 l A o e h j p m n b m \ h v f f f j d m d h. Cf. inoltre § 268 p k \ q c h n ` l m e ` m d q \ f e k ` m d h , nonché HERODOT. IX 61 p k i \ h n ` l n ^ k k \ , cf. n. 217. Solo con Senofonte insorge l’espressivo m o g p k m m s (HG I 1, 7). 230 Il senso «radicale» di A k j c f o g h j l è suggerito da NONN. XXII 183 A n k b h A k j c f o g h j h ... cnj A n k , funzionalmente da n ` n k \ c f o g h j l («strati di uno scudo»), in T 479 = q 122. Il passo di Nonno risale al medesimo U 212s. 2l _’ n` n j q j h vhk v k k A o e d h j m d f c j d m d / _ 0 g \ n j l &rbfjj: nella falange, un metaforico «far muro». Assennate, come di consueto, le perplessità etimologiche di P. CHANTRAINE, DELG 427. 231 Il singolare è solo (et pour cause, cf. T 360 p\f\^^b_h) in K 6 W k 0 s h " i ` p f \ ^ ^ \ (pf\^^` Ven.): al barbarico nemico viene, sprezzantemente, inflitta la volgare morfologia. La forma costituisce, in realtà, un collettivo. Cf. HESYCH. p 78 p f \ ^ ^ ` l E A j f ` g d e \ n i ` d l (immo Ajf`gdmn8h Marz., coll. HESYCH. p 84, nonché R 131 = U 215, citati alla n. 229), vA nj+ Af\l vfffsh ` h \ d (an h \ d Marz.). e\ n n8h _\en$fsh zkck\. La cui punteggiatura andrà, tuttavia, capovolta: il secondo interpretamentum inizia con e\ , per cui la frase merita punto fermo prima di vA, nessuna marca precederà l’avverbiale e\ . Il lessema è unico in HERODOT. III 97 (trunci), con ARISTOT. HA 493b29 passa alla «mano», il traslato militare è già omerico.
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k q j g h s h z g o _ d lE gf\ e`h ck\moek_djl `b, l nn` ^ b c m ` d h _ 1h A hjh j '_’ ve qjdn j232. Si tratta di un esemplare modello, cui si ispira il medesimo Alceo, sia per le f g A k \ d m d h e o h \ d m d, sia per i c k k \ e ` l, senza dubbio h s f h s (ma dotati di sfavillanti placche metalliche), sia per il sonoro g \ k g \ k ` d ... q f e < incipitario, di cui \'^ fornisce l’abbagliante marca. Sono del resto anticipati, nel v. 331, da m%h h n ` m d _ \ d _ \ f j d m d, cui una v.l. alterna f ` o ^ \ f j d m d. Ma altra redazione sostituisce il peculiare g \ k g \ k j h n \ l (cf. R 801, U 279): uno Stichwort che Alceo avrà recepito, stupendamente magnificato233. Affrancato dagli obblighi arcaizzanti di Omero, sarà quindi Mimnermo a nominare (e storicizzare) la falange. Alcuni degli antenati (fr. 14, 2s. W.) j gdh _jh / ... A o e d h l efjhjhn\ p f \ ^ ^ \ l (< J 96), uno schieramento, che amplia la dimensione del termine, lo estende addirittura alla cavalleria (parimenti rinnegata in Omero), ma soprattutto lo associa ai Lidii, all’universo orientale, le cui falangi risultano orgogliosamente sconfitte. La elegia di Mimnermo ha struttura epico-narrativa, vanta presuntuose imprese contro la cavalleria dei barbari, esalta verosimilmente una allocuzione del loro re, che ordina di costruire il salvifico blocco. Si tratterà di Gige, per il nostro poeta già leggendario († 652), della conquista di Smirne234: nel fr. 12, 6 W.2 c`8h ]jof Vg$khbh `fjg`h ––––––––––––––– 232 Peculiare è g m ` (cf. R 343 z g o _ d l , 338 e \ c’ g d f j h ), unico in R 337, tranne Q 24 («in unum confluere fecit fluvios», scil. Phoebus: significa «blocco contrario»). Il concetto è ribadito nel successivo } h c o g > , che sarà da correggere con A c o g > , esplicitato da vfffjol e\c’ gdfjh (cf. J 334, § 462 Ajf%h e\c’ gdfjh, § 532). Lo stesso n \ g ` m q k s l del v. 340, ancora in I 511 q \ f q h ... n \ g ` m q k j \ , è eccezionale, unicismo privo di seguito. 233 Sul modello, ed anzi modulo iliadico, è palesemente articolata la falange di Tirteo, soprattutto nel fr. 11 W., ove lo scudo appare tuttavia macroscopico (vv. 23s. gbkj$l n` ehg\l n` ens e\ mnkh\ e\ 6gjol / v m A _ j l ` ' k ` b l ^ \ m n k e \ f o r g ` h j l), gigantesca la lancia (v. 25 4]kdgjh ^qjl, v. 29 ^q`d g\ek>, v. 34 _ko g\ekh), il rifugio dei fantaccini sotto l’uno e l’altro scudo (vv. 35s.). Si tratta di armi pesanti, l’ampio scudo protegge infatti cosce e stinchi di sotto (ens), quindi petto e spalle, con il suo ventre accogliente: un quadro idealmente arcaico, che il finale v. 38 njmd A \ h A f j d m d Afbm jh mng`hjd provvede a correggere (e smentire). La perversione «archeologica» di Omero continua, romanzescamente, a proliferare: con le medesime incertezze, inverosimiglianze. 234 Secondo HERODOT. I 14, 4 m]\f` gh hoh mnk\ndh e\ j-njl, A` n` ki`, l n` Q fbnjh e\ l Vg$khbh, e\ Ojfjp8hjl n zmno `f`. Sarà, tuttavia, Aliatte, che Vg$khbh n` n8h vA Ojfjp8hjl endmc`m\h `f` (I 16).
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Fjf _\, non può, tuttavia, che riferirsi alla (omerica) conquista da parte dei Colofonii, cantata dal medesimo Mimnermo235. Sono due le indicazioni, che Tirteo e Mimnermo forniscono, sulle identiche coordinate di Alceo. La più moderna tattica, nonché le corrispondenti armi oplitiche: l’uso dello scudo «cavo» e della «falange», come forza d’urto o impenetrabile difesa. Che l’armatura sia più leggera, è collaudato (e documentato) fatto storico, l’avvento di soldatesche popolari esclude aristocratici apparati, soprattutto materiali: ne fa irridente getto, come Archiloco testimonia. Alle catafratte (in realtà romanzesche) armature «medievali», si sostituiscono armi più lievi, di ridotto costo ed ingombro, facilmente manovrabili, reciprocamente integrabili. Una task force, senza dubbio, la cui mobilità ed efficacia richiede ordini ed ordinamenti perentori, fiducia ed obbedienza immediate. Un autoritario e j m g n s k f \ 8 h, che significativamente emerge solo in F 16 = 135, H 236, cf. m 152, nonché G 805s. njmdh e \ m n j l v h k m b g \ d h n s j m A ` k zkq`d, / n8h _’ ib^` mcs ejmgbmg`hjl Ajfdn\l (hapax, cf. Herodot. I 59 nh Afdh ejmgsh e\f8l n` e\ `,), un energico ] \ m d f ` $ l, insomma, quale icasticamente raffigurato nella citata Smirneide di Mimnermo (fr. 130, 1 W.), funzionalmente configurato in Tyrt. 5, 1s. W. g ` n k < ] \ m d f u ..., / h _d Q`mmhbh ` f j g ` h 236. La unicità del comando viene rivendicata dal (più moderno!) Odisseo, che sottolinea come non tutti gli Achei siano destinati al comando237. Chi si arroghi, tuttavia, questa esclusiva funzione, si vota alla tirannide. Le vicende di Alceo ne testimoniano, i suoi allucinati «miraggi» ne confermano238. Paradigmatico è un intervento di Achille, energico, risolutivo. Conduce alla formazione immediata della falange, quale abbiamo già illustrata in U 210s. 5 l ` A 1 h nkoh` ghjl e\ cogh }emnjoE / g f f j h _ mn q`l zkc`h, A ` ] \ m d f j l z e j o m \ h. Sulla peculiare struttura ––––––––––––––– 235 La complessa vicenda venne indagata da S. MAZZARINO, OO 59s.: Gige si riconferma protagonista, la falange viene testimoniata per episodi, di cui il poeta ha cognizione, grazie ai Akn`kjd, che l’hanno sperimentata una o più generazioni prima, cf. MIMN. fr. 14, 2s. W.2 e` hjo ... / njjh gj Akjnksh A ` $ c j g \ d , j gdh _jh / P o _ 8 h A A j g q s h (AAg\qjd Marz., coll. O 431, hapax) Aoedhl efjhjhn\ p f \ ^ ^ \ l, W 151s. qdf \ ... _bn\d / ... Wk0sh fejhn\ pf\^^\l, cf. XENOPH. Ages. II 3 A A g \ q j d A k l A f n \ l . 236 Cf. Q 319ss. g n ` k j d ] \ m d f ` l , che j' gh vef``l Poe bh en\ e j d k \ h j o m d h , ma Poe jdmd g n \ A k 0 n j d m d g q j h n \ d. 237 Cf., supra, n. 235. 238 ARISTOT. Pol. 1292a13, cita Omero, chiedendosi smarrito se non si tratti di pluralità, … conglobata nel singolo (cf. G 204s. j'e v^\ch Ajfoejdk\h bE ` l ej k\hjl mns, ` l ]\mdf`$l).
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che ne consegue, conviene insistere. Il Pelide, in realtà, distribuite accuratamente le forze e i rispettivi comandanti (vv. 198ss.), e k \ n ` k h _’ A g + c j h n ` f f `. Proclama, pertanto: Qokgd_h`l, g n l gjd vA`dfsh f`f\cmcs, quali destinate al nemico troiano (cf. R 209s.), coinvolgendo (e\ g’ nd\mc` e\mnjl) la sua stessa persona: l A\k hbom h q`dl v`ehn\l }n\ kjol. Lapidariamente, conclude (vv. 207s.): h+h _ Ap\hn\d239 / p o f A d _ j l g ^ \ k ^ j h, b l n A k h ^’ k\mc`240. L’Ode di Alceo non differisce, nella sostanza, da questa epica arringa, malgrado sulla aridità argomentativa (retorica!) trionfi un possente visibilio figurativo, l’impeto lirico. Ma intenzione, strategia, scopi ne risultano identici: attraverso accorte parole, il capo241 stimola forza e coraggio di ciascuno, entusiasma i combattenti. Termine chiave è f ` f \ c m c s, che motiva ed investe di più coinvolgente denotazione la diffida del nostro verso 14 (n8h j'e mnd fc`mc\d). Il deittico iniziale242, piuttosto che a ––––––––––––––– 239 La forma Ap\hn\d (III pl. pf., cf. SCHWYZER, I 672, 1; 769, 13; III 94, cf. [HESIOD.] Scut. 166 Ap\hnj) è comune al solo G 122 nfjl _’ j* A0 nd Ap\hn\d (p \ h s), ispirato dal g^\ k^jh del nostro luogo. 240 Da sottolineare è, che p$fjAdl non è semplice sinonimo di Af`gjl: sulla falsa riga di I 82 "’ \,ndl A f ` g j l _ e \ e l e\ p $ f j A d l \ h , si sviluppa in V 242 p o f A d _ j l e k \ n ` k l e \ g j d j o A j f g j d j, cf. R 635 p o f A d _ j l e j k m \ m c \ d g j d j o A j f g j d j (HESYCH. p 1006 p$fjAdlE Ajfgjl, gqb nasce da siffatto luogo, cf. R 789, col processo della «coppia contigua»). Il senso della iunctura viene chiarito (anzi smentito) da Q 270s. A` j*As Ahn`l g j j d / vhk`l h Ajfg<. Significativo è W 157ss. A` j'e f ^jh qkhjh mn\d / p $ f j A d l, `,n’ xh Ak8njh gdfmjomd p f \ ^ ^ ` l / vh_k8h. 241 Significativo è e j m g n s k (F 16 = 375, ~ H 236, m 152, un omerismo esclusivo, contro ejmgbnk), per cui cf. PLUT. Q. conv. I 2, 2 e\ nj%l vk mnjol e\ nj%l ]\mdfdesnnjol A j d b n l (!) `sc` e j m g n j k \ l f\8h Akjm\^jk`$`dh. Cf. U 170ss. A`hnejhn’ m\h zh_k`l A efbmdh } n \ k j d (Achilles)E / Ahn` _’ zk’ ^`gh\l A j d m \ n j n j l A ` A j c ` d (!) / m b g \ h ` d h E \'nl _ g^\ e k \ n s h
h \ m m `, nonché Q 93 n8h c’ }nksh Ukdl kq` enf., che significativamente si trasforma (h 266) in v f f ’ z f f s h z k q j h } n \ k s h , per quella stessa via che conduce al nostro Alceo. 242 Il cui valore, oltre che «zurückweisend» (KÜHNER-GERTH, I 660), può essere «preparatorio» (ib. 658, n. 3). Per la equivalenza di n con nj+nj, cf. ib. 659. Il richiamo ad esperienze ed impegni pregressi, è tipico degli mn\mdsnde: già W. BARNER, NAPO, 60ss., meritoriamente sottolineava l’affinità del nostro con il fr. 6 : v. 7 p\ki0g`c\ 3l 6edmn\, v. 11 ghmcbn` n1h Akjdc`, v. 12 h+h ndl zhbk _edgjl ^`[hmcs (cf. AESCH. Pers. 87 _edgjl ... `k^`dh), v. 27s. gjh\kq \h _.[/ gb_ _`e0g[`c\. Da richiamare è ancora HESYCH. g 1604 gjhkqjoE nokhhjo, Suda g 1214a gjh\kq>E ^`hde: si tratta, con tutta evidenza, di un genitivo eolico, sicuramente da ricondurre ad Alceo (gjhkqs igitur). In
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memorabili armi, a pregressi (e familiari!) trionfi, rimanda compendiariamente a recentissimi impegni, quel congiurare delle volontà maledettamente affievolitesi, anzi tradìte. Sono gli identici v e j h n ` l } n \ k j d dell’omerico episodio a dimostrarlo, pregnantemente. Il cui g ^ \ k ^ j h costituisce l’allucinato fulcro della impresa: l’alcaico finale ('A n9k^jh mn\g`h), tutt’altro che occasionale o pragmatico, ne discende coerentemente.
––––––––––––––– DIOG. L. I 50,3s. l _ gjhkqjo / _ gjl \_k _jofjm$hbh A`m`h, risulta attribuito a Solone (fr. 10 Diehl2), soppresso in West. In ALCMAE. B 4 D.-K. gjh\kq \ è metaforizzato, attribuito nella medicina ad uno solo degli elementi opposti, prevaricante.
Cap. XI – Armi supplementari Ulteriori trofei risultano allineati nel tempio, arricchendone la disponibilità lussuosa, anche se non (dichiaratamente) «splendidi». Ad elencarli, provvede Ak _ ..., ribadito nei vv. 13 e 14. Una struttura ellittica, per indicare continuità, in questo caso la contiguità di elementi, considerati (secondo rettorica) extra ordinem. Una marca dall’evidenza simbolica, in questo caso « p r o s s e m i c a »243, che significa tutt’altro che materialmente, allinea piuttosto mentalmente, procede ben oltre nella strabiliante esposizione: attiva una climax dalla fascinazione irresistibile. Non si tratta di marginali supplementi, ma di più ambiziose, verosimilmente risolutive armature. Con valore avverbiale, il lessema è frequente in Omero, in frasi nominali, sottolinea opportunamente Chantraine, GH I 120. Esempi quali H 135 vmA md e`efdghjd (cf. Archil. fr. 2, 2 W. h _ j k e ` e f d g h j l), A \ k _’ ^ q ` \ g\ek AAb^`h, P 631s. A \ k _’ v f p n j o `kj+ venh, / A k _ _A\l A`kde\ffl , offrono paradigmi smaglianti dell’alcaica struttura. In realtà si tratta di una più forte espressione, di una sprezzatura che accresce la aggressiva tensione del canto. Il verbo A k ` d g d (qui ellittico) «de rebus dicitur, quae aut adsunt et conspiciuntur, aut quae penes non sunt, aut praesto sunt et in promptu, aut quae nunc ipsum geruntur praesentes»244. La formulazione si deve ad Ellendt, LS 604, si attaglia perfettamente ad Alceo (meno negli esempi sofoclei). Ma paralleli omerici risultano illuminanti, cf. F 174 A k’ g j d ^ ` e \ z f f j d, cf. [ 479 A k \ ^k e\ vg` hjh`l zffjd. Ma soprattutto ^ 324s. A k \ njd _ pkjl n` e\ AAjd, / A k _ n j d o`l gj , j njd AjgA `l (immo mjd Marz., coll. o 364 g j AjgA\l) mjhn\d. Per un viaggio sulla terra ferma sono disponibili non soltanto cocchio e cavalli, ma, per sovrammercato, ––––––––––––––– 243 Il termine è recente (E.T. HALL), nulla ha da vedere con proximus (così Vocab. L. I., III 1156), rimanda rozzamente a Akjmmbg\ hs, cf. B. MARZULLO, Sofismi 316 et n. 5; 406, n. 20. Che sia ispirato dall’ingl. proxy, «sostituto»? 244 Non sfugga, che l’avverbiale A k \ , oltre che «daneben», può significare «ist (sind) vorhanden, zur Verfügung (= Ak`mnd, Ak`dmd)», così SCHWYZERDEBRUNNER, GG II 429. Una connotazione, che appare predominante nella strategia della nostra Ode. La forma Ak (lat. por-) è rara nella tragedia (lyr., AESCH. Suppl. 553, SOPH. Tr. 636), ignota all’attico.
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gli stessi figli di Nestore, che a Telemaco faranno da guida. La coppia Ak\ njd ..., Ak _ njd introduce, con incisiva ellissi (e la conseguente enfasi), eventualità del tutto extra ordinem, senza dubbio inopinate: le più fortunate delle occasioni245. In particolare, il duplice A k _ enfatizza una prospettiva incalzante, esclude la banale contiguità, allineamento locativo o narrativo. Sono le Z \ f e _ d e \ d m A c \ d a creare sorpresa, ad aumentare stupore ed attesa. Lo stesso Page cit., sottolinea la rilevanza dei nuovi termini, cita Poll. X 45 (immo 145) nd _ nh (immo n) mAcb[h] A nj+ i pjol (immo nj+ i pjl Marz.) `ke\mdh, cui fornisce un esempio di Euripide (fr. 373 N.), uno ulteriore di Filemone (fr. 73 K.-A.): mAcbh A\k\p\ hsh _bf\_ qkomh_`njh. Altro ancora di Menandro (Mis. fr. 6 S.): vp \ h ` l ^`^h\mdh \ mAc\d, nonché vv. 177s.246. L’arma si distinguerà dallo i pjl, per la foggia (tracotante) innanzitutto, non per il breadth of blade, come Page, SaA 219 suppone247. Cui è sfuggi––––––––––––––– 245 Cf. H 440 A k \ ^ k c`j `md e\ gh, J 603s. n> _’ \` A k \ ` l ^` c`8h, l fjd^h vg$h`d (= X 98, cf. J 185s.), Y 192 e\ ^k mj Ajn\gl ^` Ak\ g^\l, ^ 348ss. j* nd qf\h\d e\ "^`\ Aff’ h je<, / ... / \'nk gj A k \ gh qf\h\d e\ "^`\ e\f, _ 559 (= ` 16 = k 145, ~ =` 141) j' ^k j A k \ h `l Ak`ngjd e\ }n\kjd, ` 489 g Ak\ ^` njh`l zffjd, d 125 j' ^k Ooef0A`mmd h`l A k \ ... , / j'_’ zh_k`l hb8h hd nenjh`l, j n` egjd`h enf., A 45 A k \ _’ vhk l e\n\cm`d, k 452 ... A` A k \ Ajff }emn<, ed infine l’ottimo q 106 jm` csh, l gjd vg$h`mc\d A k’ umnj . Va sottolineato, che alla disponibilità marcata da Ak\, segue spesso una relativa, che specifica qualità ed eventuale progettualità del referente. Altrettanto si deve rilevare per il nostro Alceo (vv. 14s.), rispettoso dell’epico sintagma. 246 Ove si legge \ nf\l, n ]j$f`n\dD / h n> ^]k je< nl mAc\l n8h ^`dnhsh: che viene riferito al Thrasonides Miles. Si tratta della ^k\+l, spaventata dallo smargiasso, che appare vistosamente munito di m A c \ d (destinate a scomparire nella conclusione, cf. fr. 6 cit.): n f \ l , e nel v. 186 g n 1 c ` 0, confermano il locutore femminile. Analoga situazione è nella Periciromene, ove il Servo viene incaricato di prelevare (vv. 354s.) n h q f \ g $ _ \ ... / e \ n h m A c b h . Identica commissione in Sam. 659s.: qf\g$_\ e\ mAcbh ndh / h`^e gjd.:: (Servus) mAcbh ^0 mjdD È notorio che il I`df \l di Teofrasto (XXV 4), nel cuore della mischia, afferma: nd nh m A c b h f \ ] ` h &A mAjo_ l A`fc`nj. Quanto al formulare qf\g$_\ e\ mAcbh ndh, l’indefinito marca la consuetudine di siffatta arma, che diremmo di ordinanza. Per il binomio, LSJ 1623 richiamano «capa [sic: né corretto nei Suppll. ] e spada», non privo di pertinenza. 247 Verosimilmente è la larghezza, che ne distingue il filo, cf. EUR. fr. 373 N. m A c ejfj$sh p \ m ^ h j o g ` f \ h _ n j o. Per il lat. spatha, connesso con spatula, cf. CELS. VIII 15, 3 necessaria est spatula lignea, nonché m A _ s h , Verschnittner, che PERSSON, Beitr. I 405ss., connetteva con mAs, cf. HORAT.
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to, che la scimitarra di Filemone è singolarmente detta q k o m h _ ` n j l (hapax, ma cf. Herodot. III 41 mpkb^ l... qkom_`njl nonché chrysendetos, cf. Martial. II 43, 11, VI 94, 2, XIV 97, 1), una sfavillante peculiarità, che già qualificava l’arma sfoggiata dal fratello di Alceo (fr. 350, 1s.), reduce da orientali battaglie, mercenarie: f c ` l e A`knsh ^l f ` p \ h n h \ h f ] \ h n 8 i p ` j l q k o m j _ n \ h qsh. Che sia tempestata d’oro, non soltanto nell’elsa (di per sé eburnea), è verosimile, ma la puntuale affinità rischia di far coincidere una delle numerose m A c \ d, esibite nel tempio, esattamente con quella ostentata dal soldato di ventura (fortunosamente rientrato chez soi), quale testimonianza dell’incredibile impresa affrontata, superata. Ma la suggestiva ipotesi orientale (il termine è prepostero, si tratta di civiltà potentemente integrate) sembra smentita dall’epico Z \ f e _ d e \ d. Già per Archiloco, Calcide era rinomata per la collaudata eccellenza degli spadaccini. Sul campo di battaglia, essi non privilegiano dardi e fionde (fr. 3, 3ss. W.), ma lo i d p s h ... k ^ j h: n\$nbl ^k e`hjl _ \ g j h l ` m d g q b l _ ` m A n \ d J']j bl _ j o k d e f o n j . Combattono in campo aperto, corpo a corpo248, forti di straordinarie lame, che rinomate miniere ed una organica industria loro assicurano249. ––––––––––––––– Epod. IX 13s. spadonibus servire, scil. eunuchis. La diffusione del termine è ellenistica, in ambedue le lingue. Si tratta, in realtà, di lama corta, piatta, ricurva, se il termine significa anche “costola” (cf. POLL. II 181), ma soprattutto “scapola” (cf. HIPPOCR. Gland. XIV 13, hapax). Significativo è che spatha indichi un’arma “larga, a doppia lama, senza punta”, cf. TAC. Ann. XII 35, 3, ove ai gladiis et pilis legionariorum, si oppongono spathis et hastis auxiliarium. In neogreco m A \ c l è “spada, sciabola”. Una “scimitarra”, quindi, orientale. L’emergere in Alceo, la stupefatta esibizione suggerirebbero ulteriore modello orientale, verosimilmente del lessema medesimo. L’alcaica ricorrenza è ignota in RE III A 1544s., s.v. spatha (Lammert). Vanno, tuttavia, segnalati mA\c l in ARISTOPH. fr. 210 K.-A. (= POLL. IX 120), EUB. 98,2 K.-A. n mA\c _d nh A0^sh gjo ... / ... g$kmdhjh. Significativo è POLL. I 185 n gh ee\c\kjh nh nkq\ (scil. nj+ AAjo) A n ` k > j d e l i $ f j h m A c b, cf. SOPH. fr. 475 R. 248 All’inizio del v. 3 h A`_ <, STRABO, X 1, 13s., a proposito degli Eubei, vanta la gqbh ... nh mn\_ bh (cf. L 244 h mn\_ ), e\ momn_bh f^`n\d e\ e q`dkl. Con il meccanismo della «coppia contigua», questi materiali diventano HESYCH. m 1586 (s.v. mn\_ b). Il modello veniva descritto in L 241 j_\ _’ h mn\_ _b< gfA`mc\d kbu. 249 Cf. HESYCH. q 84 Z \ f e d _ d e E V e o c d e (an Ojfqd_de Marz., coll. [AESCH.] Prom. 415ss. Ojfq _jl n` ... e\ Ve$cbl gdfjl ?). n gn\ff\ nj+ md-
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Aesch. fr. 356 R. f\]1h ^k \ ' n c b e n j h J']jdeh i p j l ne conferma, purché si legga \'ncbenjl (a dispetto di ogni ed esibito visibilio congetturale). Fornisce, questa personalissima cura delle armi, il significato di _ \ g j h ` l 250, secondo Platone (Crat. 398b) identico a _\gjh`l, motivato da R 811 j* nj nd g q b l v _ \ g j h l `g`h, cf. J 634 hnd gqbl v_\gjhd psn . Si tratta, secondo il testimone (Plut. Thes. V 2), degli Abanti, noti per la retroversa acconciatura delle chiome, ma soprattutto perché hn`l Ajf`gdej e\ v^q`g\qjd, e\ gfdmn\ _ Ahnsh l q`k\l 3c`mc\d njl h\hn jdl g`g\cben`l. Primitiva popolazione della Eubea, specialista nel rude assalto all’arma bianca: compattamente serrati nella falange, costituiscono il possente nucleo di quella Hoplitenpoliteia, che si impossesserà (_`mAn\d) della intera isola, con il trionfo di Calcide251. La struttura sintattica costituita da A k _ ... A k _ ..., suggerisce una disponibilità ulteriore, apparentemente estranea alla esaltazione lirica: di ordine non più evocativo, ma descrittivo. Induttivamente anche le Z \ f e _ d e \ d m A c \ d brillano, di bronzei riflessi, costituiscono tuttavia confortevole riserva, una risorsa ancora una volta straordinaria, anche se natura e rilevanza non emergono «fulgidamente». Calcide è, notoriamente, centro mondiale della produzione di ferro, come Toledo lo ––––––––––––––– _kjo e` Ak8njh `&kbchn\: una invenzione, che si direbbe post eventum. La espunzione, cui Schmidt condannò la glossa, è del tutto immotivata. Sebbene HESYCH. q 120 Z\fo]_deE n l Veoc \l, Ajo md_kjo gn\ff\, imbarazzi: nasce infatti da [AESCH.] Prom. 714 md_bkjnenjh`l ... Zfo]`l, cf. 133s. en$Ajo ^k vq1 / qfo]jl enf. In realtà, la glossa q 84 risale al cit. [AESCH.] Prom. 415–7 Ojfq _jl ... Ve$cbl, i cui termini (ancora una volta per «coppia contigua») passano, a dispetto dell’originario allineamento, a significare sommaria derivazione. Non senza banalizzare il nuovo lemma, per suggestione dell’ossessivo q\fel. Contro _jokdefonj del verso archilocheo PAGE, SaA 219, n. 2, obiettò il contrasto con il vantato i pjl. L’epiteto è motivato dal cit. G 543, salvo emendare con J']j \l _jokdennbl, cf. EUR. Hec. 478 _jok enbnjl k^` sh (qc0h). Già in G 536s. si legge, tuttavia: j _’ J*]jd\h qjh gh`\ Ah` jhn`l ]\hn`l, / Z\fe _\ n’ Jknkdh n`, v. 541 un Z\fes_jhnd_bl è (motivatamente) della stirpe che li guida (= I 464). Intorno al capo (G 542s.), n> _’ {g\ ]\hn`l Ajhnj cjj , Admc`h ejgshn`l, / \qgbn\ g`g\0n`l k`enmdh g`f md / c0kbe\l "i`dh _bsh vgp mnc`mmd. Un assalto oplitico in piena regola, lancia in resta contro più fortunati detentori di corazze, ma ancora più di «spade», per quanto di foggia contadina. 250 Cf. HESYCH. _ 73 _ \ g j h ` lE j c`j , _\gjhl ndh`l hn`l, jjh gA`dkjd
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sarà nella Europa medievale (cf. Snodgrass, 1967, 70). Alla splendida visionarietà dell’Ode però subentra realistica, non meno raccomandata pragmaticità. Sembra confermarne la successiva iunctura, che esibisce a 0 g \ n \ e e o A m m d _ ` l (v. 12), sottolineandone il numero considerevole. Ma qualificante, a differenza delle precedenti armi, che spiccavano per la comune peculiarità: quello splendore, il serrato ordine della esposizione, che obbliga al g \ k g \ k ` d iniziale. Un barbaglio, che investe possentemente l’Ode: funzionali risorse, l’incitamento finale, la trasformano in bellicoso proclama. La e $ A \ m m d l, secondo Polluce (VII 60), è uno m g d e k l q d n s h m e j l, tessuto di lino, che arriverebbe a mezza coscia: ne testimonia Ione di Chio, in una problematica citazione (fr. 59 Sn.). Più significative indicazioni fornisce la medesima fonte (Harpocr. e 96 Keaney), specificando che l’indumento è bisex, ma soprattutto che, secondo Ecateo (h A`kd_< J'k0Abl, fr. 284 J.), O mmdjd _ mc n\ pjkjomd e o A m m ` d l U`kmdej$l (< q d n 8 h \ l > Marz.)252. Veniva segnalato Lisia (fr. 58 S.), infine Aristofane (fr. 522 K.-A.). La testimonianza ulteriore di Ipponatte (fr. 32, 4s. W.) viene, in genere, sottovalutata253. All’iniziale _l qf\h\h e\ eoA\mm mejh seguono, infatti, e\ m\g]\f me\ evme`k me\: non semplici capi di abbigliamento, ma raffinati
––––––––––––––– 252 Lo stesso Polluce elencava l’oggetto tra le specialità persiane (VII 58ss.): e\ U`km8h g _d\ ..., Po_8h _ qdn0h ndl ]\mk\ (immo ]\mmk\, coll. HESYCH. ] 305 ]\mmk\dE qdn8h`l, j)l pkjoh \ Mked\d G^q\d), ... _ e $ A \ m m d l ... mgdekl qdn0h. Di e$A\mmdl ci siamo occupati in «MCr» XXX–XXXI (1995–96) 127ss. Si tratta di un «grazioso» corsetto femminile, di cui si ammanta Eracle, in vena di atteggiamenti vezzosi, dedicati alla perversa regina Onfale. La connotazione è spregiativa, in Alceo prevarrà l’esotica, sconvolgente rilevanza. Quanto al termine, la tradizione alterna maschile e femminile nel designare e$A\mmdl. Avevo già segnalata la anomalia nel cit. «MCr»: non si può che insistere sul femminile, per la struttura del lessema (-d_- è suffisso, che di solito esclude l’opposto nel corso del greco), il genere viene «transitivamente» mutato, ad opera dell’indiscutibile qdn0h, che ne costituisce il referente. Già nel citato Esichio, sarà da correggere con _ e., sopraffatto dall’immediato qdn0h, cf. ulteriormente n. 255. 253 DEGANI, in edit., p. 162, registra un ulteriore frammento «ipponatteo», col n. 186: in realtà ridondante, autoreferenziale, viene sommariamente inscritto (con altri due) nella rubrica «Fragmenta utrum iam laudata necne incertum» (sic). Il reperto è costituito dal citato Harpocr., integrato proprio dal fr. 42b, 1 (= fr. 32,4s. W.), con l’esibito coacervo di informazioni, che, debitamente selezionate, potrebbero integrare più funzionali apparati.
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accessorii della volgare qf\h\254. La ulteriore richiesta di sessanta stateri d’oro ingigantisce la pretesa, l’esotico pregio del e$A\mmdl. Soltanto Hermes potrebbe consentirne l’acquisizione, il dio dei ladri255. È tuttavia sfuggito, che a 0 g \ n \ ... e\ e o A m m d _ ` l costituiscono una integrata unità: sul modello, si direbbe, di a 38 a 8 m n k n ` e \ A A f j o l e \ " ^ ` \. In Leonida di Taranto (AP VI 202 = 1955 G.-P.), una puerpera dedica a Latona `'c$m\hjh (hapax) a 0 h b h n j d g j + e \ n h _ ` e $ A \ m m d h. Altrettale offerta celebra un epigramma di Perse (AP VI 272, 1s. = 28b, 3 G.-P.): a 8 g n j d ... e\ vhc`g`hn\ e $ A \ m m d h / e\ g n k \ h enf.256. Si tratta, patentemente, di un ulteriore accessorio, di una fascia che cinge i fianchi, diversamente funzionale257. Esso non differisce dagli alcaici (v. 12) ––––––––––––––– 254 Significativo modulo è costituito da i 487ss.: vff g` q`g\ / _gh\n\dE j' ^k qs q f \ h \ h E A\k g’
A\p` _\ gsh / jjq nsh’ g`h\d (an h\d, v.l.), cf. POLYB. XIV 11, 2 gjhjq nsh\. 255 Sorprende il maschile di e $ A \ m m d l: il suffisso è femminile, suggerisce appartenenza e subordinazione, produce diminutivi (eoA\mm mejl risulta affettivamente iperdeterminato). Esso caratterizza numerosi capi di abbigliamento, cf. Ajkpok l, mnjf l, etc. (CHANTRAINE, FN 342ss.). Non a caso, nel cit. HARPOCR. e 96 K., si legge e o A m m ` d l U`kmdej$l (!): lussuoso attire (tuttavia visto in sogno), di cui fa parte anche il nostro indumento, in HEROND. VIII 30s. m n j f _ \ l _ h`]kj+ (cf. EUR. Hel. 1358s.) q f \ h d _ s h e\n`a0mcb / e \ f d h b h e $ A \ m m d h vgp njl 6gjdl, che ribadisce la sequenza ipponattea, ma chiarisce il nostro Alceo. Se dalle spalle della toilette scendeva la e$A\mmdl, Dioniso indossava, tuttavia, nei due versi precedenti, una femminea veste colorata (cf. schol. ARISTOPH. Ran. 46 I d j h o m d \ e h p k b g \ E e k j e s n l ), aperta, che offriva alla vista la morbida rotondità della coscia (gbkj+): parallela alternanza è rilevabile in peplus / peplum. In AP IX 616 (anon.) ricorre l’unico AAf\, il termine ricorre soltanto in Omero, Tragici. 256 Una ulteriore e $ A \ m m d l è destinata ad Artemide, in AP VI 358: era di Onfale Po_, che se ne spoglia (nuovamente), per entrare nel letto di Eracle. Per la terminologia, cf. HESYCH. a 262 asmnkE Ahs nj+ c0k\ejl (pectus) qk8hnj. a0hb, a8g\, A`k asg\, n vA n8h gbk8h e\ gqkd n8h ]jo]hsh moa`o^h$g`hjh n> c0k\ed (I 132 ...), enf. 257 Notoriamente, a 0 h b è cintura, che poggia sui fianchi, cf. ` 231 (Calipso) (pkjl) A`k _ a0hbh ]f`n’ io (lumbus), identico a e 544 (Circe). Specificamente maschile è a s m n k, cf. P 234s. e\n a0hbh c 0 k b e j l h ` k c ` h / h$i(`)... / j'_’ njk` asmn k\ (APOLL. SOPH. 81, 13, HESYCH. a 234 a0hbE... e\ nj+ c0k\ejl f`^jghb c s k \ e j a 0 h b (ex schol. P 234). Diverso è a8g\, che Aristonico (ad I 133) definisce: &Aj]]fbnj n> mn\n> c0k\ed n f`^g`hjh a8g\, e\c ejh gqkd n8h ^jhnsh vA n8h f\^hsh. Altrove a8g\ sta per lorica, cf. HESYCH. a 228 a8g\E c0k\i, qdn0h, già POLL. II 166 e`h`1h ... e\ a0hb, vp’ l... a8g\, _dasg\ e\ asmnk, e\ a 0 h b nd Afjh g0hogjh n> gk`d (partim?), h j ¥sg\jd e\fj+md p \ m e \ h . Significati-
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a 0 g \ n \ A f f \ (!), sebbene il dettaglio sorprenda, non meno dello stesso indumento: all’apparenza, tutt’altro che bellicoso, tuttavia luculentemente orientale. Simile verso sembra tradire una (sconcertante) caduta di tensione, una indegna incongruità strutturale. Ma l’esotico oggetto, oltre che di cotone, ha lucida blindatura metallica, conservando leggerezza e manovrabilità. È analogo al f d h j c 0 k b i, che eccezionalmente ricorreva in G 529, 830, munisce di metalliche scaglie un comune corsetto, lo trasforma in più agevole corazza, tipicamente oplitica: la stessa che, in primo luogo, risultava celebrata in Alceo (v. 9). Che non trascura, tuttavia, il modello, non più di stoffa ma di cuoio, blindato di scaglie bronzee, eventualmente anche d’oro258. Un metallizzato q d n 0 h che funge da corazza, più leggera, adatta al combattimento veloce: non si accompagna di solito con la vmA l, da solo costituisce «the most conspicuous element» della panoplia oplitica. È della Lorimer (HaM 210) la lucida formulazione. La illustre archeologa è, tuttavia, convinta, che questo «revolutionary and epoch-making plate-corslet» ha surrettiziamente invasa la stessa Iliade, postula pertanto abili interpolazioni, impercettibili forzature, dimostrabili manipolazioni (ib. 204). Un concepire caparbiamente positivistico, un pretestuoso ricostruire, un rifiuto che non impedisce tuttavia di riconoscere alterate testimonianze del fenomeno. Di anticipare la concezione oplitica, a dispetto delle proscrizioni archeologiche, ma soprattutto culturali, storiche, stilistiche. L’Ode alcaica, anche in questo enigmatico punto, obbliga a coordinate tutt’altro che incongrue: consente puntuale, risolutiva interpretazione dello storico oggetto. Siffatto corsetto a scaglie è, in realtà, noto al Vicino Oriente dal secondo millennio, risulta diffuso anche in area achea: il Vaso dei Guerrieri ne offre significativa testimonianza, il periodo cosiddetto geometrico tace in proposito (Lorimer, HaM 202). Il trionfo di Psammetico (663 a.C.), con l’aiuto di armigeri Ionii e Carii (cf. Herodot. II 152, di cui supra, p. 97), dimostra una massiccia diffusione della armatura e della connessa tattica. Alceo ne offre primaria conferma: nella sua Ode verosimilmente si esibi-
––––––––––––––– vo appare I 185ss. j'e h e\dk < i% A^b ]fjl, vff Akjdc`h / ` k $ m \ n j a s m n k n` A\h\ jfjl (ARISTON. ad O 77 n A\h\ jfjl A n8h f \ g A h n s h ) _’ &Ah`kc` / a 8 g n` e\ g n k b, nh q \ f e ` l egjh zh_k`l. Che si tratti di armi di bronzo, o blindate con metallo, risulta evidente. Per la funzione dello asmnk, cf. I 132, X 414s. asmn kjl q `l / qk$m`djd m$h`qjh (nonché J 615, Q 189, § 578), ma soprattutto i 72 a s m n k d ... moh`k^` qdn8h\. 258 Cf. LORIMER, HaM 201 (Pl. XII 2), 202, 248.
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scono anche offerte votive di mercenari, di molti mercenari (Aff\), miracolosamente tornati, come suo fratello, in patria. La natura sostanzialmente «metallica» del singolare q d n 0 h 259 è innegabile, la impongono esempi, quali offerti da R 439s.: ove l’asta di Idomeneo trafigge l’avversario in mezzo al petto, " i`h _ j v g p q d n 8 h \ / q f e ` j h, l j Akmc`h v A q k j l
k e ` d f`ckjh260. L’epiteto q \ f e j q n s h, del resto, è comune non soltanto ad Achei ed Argivi, ma anche ad Epei e Beoti: ai Cretesi compete una sola volta (R 255)261, ai Troiani (sincreticamente!) due, con la medesima formula (J 180 = § 485), malgrado una pertinenza che si supporrebbe maggiore262. Non l’epiteto, ma il suo referente risulta pienamente contestualizzato: un fatto non di lingua, ma di ornato, immaginifico stile263. La duttilità di questa «cotta di maglia» sembra confermata da un particolare sintagma, quale m m \ h n j A`k qks h 0k j A \ q \ f e h (cf. Apoll. S. 117, 21 h 0 k j A \ n h f \ g A k h: 383 = 467 = 500, ~ G 578), ove, oltre al metallico barbaglio espresso dall’epiteto, significativo è il verbo, che denota strutturalmente il «vestire» (cf. vestis), ad es. `g\n\ mm`, normalmente odissiaco (_ 253, etc.), qf\h\h mm`h, ancora ––––––––––––––– 259 Va segnalato, che q d n 0 h , come il parallelo t u n i c a , sono imprestiti semitici, cf. hebr. ketonet, arab. hattán, significativamente però eguali a «lino». Esso è già noto al miceneo (Cnosso). In SAPPH. fr. 140,2 è indumento femminile, come in HERODOT. I 8 (lo indossa la moglie di Candaule!), nonché c 88: fu inflitto dagli Ateniesi alle loro donne per privarle dello spillone, con cui avevano massacrato un luttuoso araldo (l’abituale peplo era sostenuto da siffatta arma, il chitone era cucito in alto). 260 LEAF ad l. giudicava i vv. 440s. una probabile «interpolazione, per trasformare l’indumento di lino… in bronzeo corsetto». Nella App. B (I 580), sottolineando che q d n 1 h q f e ` j l è unico, lo sospetta «tardiva invenzione»: non svista né strappo, in realtà, ma involontario (legittimo) uso della coeva attualità. 261 «Il parafraste di § omette il v. 255», segnala trionfalmente Leaf : obliterandolo nel testo e nell’apparato. 262 Struttura identica è nel medesimo 75–9 h `l m\d Ak8n\d `k$\n\d z^qd c\fmmbl, / fesg`h, ... k$mmjg`h ... / ... kg mmjg`h ... / ... kom\ g`c\, introdotto da un più significativo verso formulare, G 139 (= I 26= 700 = Q 75 = 74 = 370 = T 294 = V 297 vff’ z^`c’, 2l xh ^1h `As, A`dc0g`c\ Ahn`l). 263 Innegabile imbarazzo suscita S 371s. vmA _`l mm\d zkdmn\d h mnk\n> _ g^dmn\d / }mmg`hjd enf., dove la vg. soccorre con un assurdo vmA _\l: Leaf, pertanto, escludeva (con Reichel) la possibilità di «breast-plates». Il significato si è generalizzato (cf. il nostro «indossare»), poco oltre, nel v. 383, ricorre il formulare mm\hnj A`k qks... q\feh. Il valore pregnante è indicato nel successivo incipit, da un parallelo ek$r\hn`l, cf. R 191s. Al _’ zk\ q\fe> / ... e`efoAnj.
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odissiaco (e 250 = i 320 etc.). Del resto, Q 463 f g A ` _ q \ f e > / mg`k_\f< (mg`k_\fjh Eust., cf. a 137, attamen X 260), nh `mnj A`k qks, non allude alla complessiva armatura di Ettore, ma alla singolare corazza, i cui terrificanti bagliori producono le discusse eoAmmd_`l di Alceo. Il perfetto analogo è in P 16 ... h _’ \'nl _$m`nj h0kjA\ q\feh, che introduce l’intera e complessa armatura264, malgrado nei vv. 18ss., al ribadito e generico \, c0kbe\ ... _oh`, si faccia seguire la fantasiosa descrizione delle decorazioni a sbalzo, incise sulle bande265. Particolare attenzione meritano I 132–7, ove Atena riesce a deviare una freccia destinata a Menelao: \'n _’ \ , n’ coh`h cd a s m n k j l q ` l q k $ m ` d j d m$h`qjh e\ _ d A f j l
hn`nj c 0 k b i. h _’ A`m` a s m n k d vkbknd Adekl umnlE _ d g h x k a s m n k j l f f \ n j _ \ d _ \ f j d j, 135 e\ _d c0kbejl A j f o _ \ d _ f j o kk`dmnj g n k b l c’, h pk`d k o g \ q k j l, k e j l v e h n s h. Viene colpito il punto, ove si stringevano gli aurei fermagli della «cintura», congiungendo le due parti della «corazza» (^ $ \ f \). I vv. 132s. ricorrono identici in X 415s., con una formularità, che non si estende alla sostanza266. Senza dubbio, il c0kbi deve intendersi quale generica difesa, una copertura flessibile, «vestibile», integrata pertanto da uno a s m n k, in difetto di adeguato profilo strutturale267. Hesych. c 1014 c 0 k \ iE Afjh. A $ k ^ j l. qdn0h. mn cjl. m8g\ (immo
––––––––––––––– 264 Precedeva, in P 15, l’ordine di a 0 h h o m c \ d . 265 Leaf puntualmente espunge la dettagliata descrizione, ritenendola (oltre che seriore) di maniera, come nello Scudo di Achille in V (474, 565, 574). Quanto a P 19 _`$n`kjh \, c0kbe\ A`k mnc`mmdh _oh`, LEAF, I, App. B III, p. 577 ne sottolinea la formularità, ricorrendo in H 332, U 133, W 371: assume a suo carico, che «può essere sempre espunto, spesso con grande vantaggio del contesto» (!). 266 LEAF cit., considerando il «terribile stato di confusione» che affligge I, lo giudicò debitore di X, «without understanding»: istiga pertanto alla espunzione di I 136 (ripetuto in H 358, L 252, P 436). «Corsetto» e scudo rotondo, secondo la convinzione del Reichel, sarebbero simultaneamente interpolati (con certa frequenza) alla fine dell’VIII secolo. LEAF (cit.) lo ormeggia, su fondamento archeologico (Vaso del Guerriero, del III elladico: cortissimo c0k\i, bacino coperto da ampio asmnk, g nkb, cf. fig. 11, p. 574), postula intrusioni ed anacronismi nel rifacimento (poetico) dello scenario miceneo (p. 579). 267 Cf. VERG. Aen. IX 705ss. p h a l a r i c a … / … quam nec d u o t a u r e a t e r g a / nec d u p l i c i s q u a m a l o r i c a fidelis et auro / s u s t i n u i t .
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enf.268, dà sommaria conferma di questa generalità, la equivalenza con qdn0h lo identifica con una «cotta d’armi», quale si imporrà fino al medioevo (ed oltre). Il v. 133 chiarisce il bersaglio: la freccia colpisce lo a s m n k, che il participio dichiara acconciamente forgiato (v k b k n d ), in realtà perfettamente integrato in più complesso congegno difensivo. Trapassa, quindi, la «elaborata» (v. 135 _ \ d _ \ f j d j) fascia, sfonda lo elaboratissimo c 0 k b i (v. 136 A j f o _ \ d _ f j o)269, nonché la sottostante g n k b, che Menelao normalmente indossava (v. 137s.), a difesa del corpo270. ––––––––––––––– 268 Latte giudica A $ k ^ j l «vix sanum»: sanissimo, chi consideri HERODOT. I 181 nj+nj gh _ n n ` q j l c 0 k b i mn (immo Amnb Marz., coll. U 700s.), ... h gm< _ nj+ kj+ A $ k ^ j l mn`k`l jej_gbn\d, ... e\ A nj$n< n> A$k^< zffjl A $ k ^ j l Ad]]be`, ... h _ n> n`f`on\ < A $ k ^ < h b l A ` m n d g ^ \ l (!). È sfuggito, che la sconnessa glossa esichiana sommarizza, in realtà, schol. ARISTOPH. Vesp. 1195. Quanto a q d n 0 h, EM 460,20 c0k\i n Afjh, md_bkj+l qdn0h, provvede a integrarlo. Il ripetuto m e j l . n ` A $ k ^ j h (L 219, P 485, § 128), più che alla dimensione, può riferirsi alla funzione altamente difensiva. Per f s k e d j h , cf. schol. ARISTOPH. Pl. 450 c 0 k \ e \ : ... f j o k e b h (immo fsk ebh, Marz.), nonché Suda g 139 g \ h _ $ \ l : `_jl g\n jo, A`k e\f`n\d f s k e d j h . L’origine del connesso mantus sembra persiana (aulica), il nostro «mantello» potrebbe porsi su questa linea (cf. ISID. Orig. XIX 24,15 m a n t u m Hispani vocant etc.). Per Latte A$k^jl è «vix sanum», ma cf. HERODOT. I 181 nj+nj gh n n`qjl c0kbi mn ..., A$k^jl enf. (ex I 334, 347), i materiali in discussione sono in gran parte in schol. ARISTOPH. Vesp. 1195. 269 Cf. M 195 _ \ d _ f ` j h c 0 k b e \ , nh p\dmnjl eg` n`$qsh. Il v. 136 è formulare, ricorre ancora in H 358, L 252, M 516, P 436 (l’unica volta che Odisseo indossa un variegato «corsetto»): LEAF, I 577, espungerebbe il supposto intruso. Come tra le integrate difese si inserisca lo stesso c0kbi, sarebbe difficile intendere. Se non ricordando la genericità del lessema, equivalente a semplice «armatura» (Afjh), qui tuttavia estremamente elaborata. Si tratta del «corsetto» (di lino, di cuoio), con balze metalliche, l’alcaica e $ A \ m m d l. Un cortissimo indumento, molteplicemente integrato nella parte inferiore da artefatti altrettanto leggeri, blindati (a8g\, a0hb, g nkb). Cf. il cit. Etym. M. 460, 17 n A f j h , m d _ b k j + l q d n 0 h (R 437), A`k mnd f j o k e d j h (immo fsk -), riferendosi a R 438ss. mn cjl gmjh j*n\m`... / ... " i`h _ j vgp qdn8h\ / qfe`jh, l j Akmc`h vA qkjl
ke`d f`ckjh. La vecchia filologia giudicava interpolati i vv. 440s., per la unicità, la imbarazzante novità, cf. LEAF, I 580. 270 La g n k b è difesa metallica «inferiore», eccezionalmente nota a I 137, 187, 216, J 856s. Ak`dm` _... chb / h` \njh l e`h`8h\, cd a s h h $ m e ` n j g n k b , schol. I 133 ... A`k _ n k n k j h (immo nkjh, Marz.) g nk\, cf., tuttavia, J 707 \ j f j g n k b l , U 419 v g d n k j q n s h ` l (hapax). LEAF cit. dichiarava enigmatico l’uso di siffatto arnese, lo immaginava primaria integrazione dello scudo oplitico («a rudimentary half cuirasse»), completata in seguito da più elaborata corazza (in realtà, il discusso «corsetto»).
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Trafigge anche quest’ultima, l’aguzza punta lacera la carne, dalla ferita sgorga sangue. L’eroe rincuora il fratello, abbandonatosi alla disperazione (vv. 184–7): ckm`d, gb_ n As _ ` d _ m m ` j f\h q\d8hE j'e h e \ d k < i% A ^ b ] f j l, vff A k j d c ` h ` k $ m \ n j a s m n k n` A \ h \ j f j l _’ &Ah`kc` a 8 g n` e\ g n k b, nh q \ f e ` l egjh zh_k`l. Il colpo non è mortale, lo hanno parato innanzitutto lo a s m n k, quindi lo &Ah`kc` a 8 g \ e la connessa (n` e\ ) g n k b, il cui metallo è opera di specializzati fabbri. Tre indumenti sovrapposti, di robusta maglia, secondo uno schema, che i successivi 213–6 provvedono a letteralmente rovesciare: \'n e\ _’ e a s m n k j l v k b k n j l fe`h umnhE n j + _’ i ` f e j g h j d j A f d h z ^ ` h i`l ^ejd. f + m ` _ j a s m n k \ A \ h \ j f j h _’ & A h ` k c `, a 8 g n ` e \ g n k b, nh q \ f e ` l egjh zh_k`l271. Il binomio a 0 g \ n \ A f f \ e \ e o A m m d _ ` l, che ha imbarazzato in Alceo, concettualmente risulta già omerico, senza dubbio però oplitico. Esso designa una difesa più leggera, un kit in due pezzi, per eliminare più scoperta vulnerabilità. La denominazione orientaleggiante significa pregio, addirittura ostentazione. Se in Omero il congegno entra surrettiziamente (c 0 k \ i induce, maliziosamente, in errore, cf. n. 266) nel problematico g ^ \ l _ g j l, quest’armatura spicca innanzitutto per la esoticità, però gloriosa, quindi per la più moderna ed efficace «tecnologia», per la ulteriore disponibilità (si direbbe inattesa, se non dimenticata) di superiori, abbondanti, più funzionali risorse. Non ultima, essa conclude, con studiata evidenza, una rassegna progredientemente éclatante, ––––––––––––––– 271 Più significativa è la struttura di O 75ss. A \ k _’ h n ` \ A j d e f’ e ` d n j (cf. O 504), / v m A l e \ _ $ j _ j + k ` (cf. \ 256 vmA _\ e\ _$j _j+k`, m 377, \ 101) p\`dh n` n k o p f ` d \ . / A k _ a s m n k e ` n j A \ h \ j f j l , "’ ^`k\dl / a 0 h h o c’, n’ l Af`gjh pcdmhjk\ c s k m m j d n j. Un rinnovato splendore di armi, cui Alceo di sicuro si ispira: colpisce A k _ , qui tuttavia in funzione locativa, non meno il ribadito ()e ` d n j, che significa «disposizione» prima che «disponibilità». Nella panoplia della Dolonia, sebbene paradigmatica, manca la «corazza»: supplisce goffamente il finale verbo, che solo indirettamente la evoca. Altra e paradigmatica scena di vestizione, è in Z 119–125 (Agamennone), che si conclude con `f`nj _’ zfedg\ _ j + k ` _ $ s, e ` e j k o c g h \ q \ f e > , lance «intenzionalmente» trascurate da Alceo.
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di fatto radiosa. La maglia di lucido lino, lucentissime borchie metalliche, non soltanto assicurano splendore, ma producono micidiale terrore. L’Ode di Alceo confida in questa esperienza, che si direbbe primordiale. Ancora ne garantirà Polibio (avrà qualche fonte?), introducendo basiche istituzioni di strategia (XI 9). Egli raccomanda di studiare profittevolmente diarii militari, di seguire metodicamente le istruzioni degli esperti, quindi le acquisizioni della pratica personale. Filopemene, ad esempio, assicura che la f \ g A k n b l delle armi contribuisce grandemente A k l e A f b i d h degli avversari, molto concorre quindi la funzionalità delle stesse, costruite adeguandole agli scopi. Raccomanda, che alle armi il coscritto dedichi la medesima cura, che vanitosamente presta al suo guardaroba: per la salvezza personale, nell’interesse della comunità. Alla vigilia di una campagna, controllerà che gli stivali siano in ordine e lucenti (m n f ] j o m \ d), più che le s c a r p e o i c a l z a r i (civili), cf. Plaut. Miles 1–4, supra p. 6, n. 5. Quando maneggi scudo, corazza ed elmo, il signorino si accerti che siano più splendenti (e \ c \ k ` d n ` k \) e sfarzosi di c l a m i d e e c h i t o n e. Chi privilegiasse tuttavia l’appariscenza ( A d p h ` d \) sulla necessità, immediatamente tradirebbe il suo destino sul campo di battaglia. Se, infine, l’eleganza del vestiario è vizio delle femmine, in genere vanesie, la ricchezza e la m a g n i f i c e n z a d e l l e a r m i pertengono ai soldati valorosi, decisi a salvare gloriosamente se stessi e la patria. Un manuale tutt’altro che rettorico, se le medesime premesse, implicite nell’epica, non ispirassero con esasperato fervore lo stesso e risplendente carme di Alceo272. ––––––––––––––– 272 Per il solare barbaglio dei politissimi scudi (però euf\d, quindi ricurvi), significativi sono 9ss. m e j l `f` ..., / e ` g ` h j h h efdm ... / q \ f e > A \ g p \ h j h , ma soprattutto W 373ss. m e jl ... / `f`nj, n j + _ ’ v A h ` o c ` m f \ l ^ h ` n ’ . n ` g h b l , vv. 375ss. 2l _’ n’ xh e Ahnjdj m f \ l h\$nmd p \ h / e \ d j g h j d j A o k l ..., vv. 379s. 5l vA’ qdff jl m e ` j l m f \ l \ c k’ e \ h ` / e \ f j + _ \ d _ \ f j o. Non si tratta di poetica fantasticheria: i taglienti riverberi dell’arma consentono un più efficace p s y c h o l o g i c a l w a r f a r e. Siffatto splendore è vanto dal duplice interesse: sul piano pragmatico, non meno però su quello estetico. Traslucido, lo scudo si sostituisce addirittura allo specchio, in CALLIM. Hymn. V 19ss.: la stravagante Cipride userà per la sua toilette un ( k ` q \ f e j h ) _ d \ o ^ \ q \ f e h , della medesima ed abbagliante targa sarà opportunamente munita Pallade, in luogo del volgare e n j A n k j h (v. 17). Il lessema emerge in [HESIOD.] Scut. 122, ove significa una targa di rame e di zinco, di cui sono fatti gli schinieri (ehgd_`l, nel nostro ALCAE. v. 7): Callimaco (v. 19) lo sostituisce, eccezionalmente, al e n j A n k j h previamente descritto (tuttavia lo esclude), lo attribuisce, et pour cause, a Cipride, che per due volte si specchia le chiome. Per siffatta identificazione, cf. W. SCHNEIDER, Der Spiegel der Pallas (CALL. H. 5, 19ss.), «Philol.» CXLI (1997) 297–321. VERG. Aen. III 637 Argolici c l i p e i aut P h o e b e a e l a m p a -
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L’assetto oplitico è patentemente orientale, tuttavia in uso da secoli, già noto e praticato in età micenea. Come sottolineava Polibio (supra, p. 132), è frutto di concezioni strategiche adatte ai luoghi (caldi, sconfinati), ad emergenti scopi273. La Suda (c 439) segnala una accurata descrizione della armatura (c0k\i), portata da un cavaliere Partico (in realtà Arrian. Parth., fr. 20 R.-W., II 232). Una «cappa», evidentemente globale, che ricopre torace, cosce, estremità superiori, gambe, nonché schiena, collo, l’intera testa. Apposite fibbie sono predisposte sui fianchi, da far risultare il cavaliere, una volta chiuse da ambedue i lati, integralmente di ferro. Nessun ostacolo costituisce il metallo, né per la estensione né per la contrazione delle membra: tanto perfettamente si adegua alla misura del corpo274. Allo stesso modo viene armato di ferro l’intero cavallo, fino agli ––––––––––––––– d o s i n s t a r , testimonia ulteriormente del solare barbaglio di uno scudo (rotondo: è l’occhio del Ciclope, qui descritto). Per la nostra sensibilità, l’abbagliante fulgore di siffatte armature appare eccessivo, se non incomprensibile. Dalla terrifica efficacia, evidentemente sperimentata, Omero e più di lui Alceo risultano ossessionati. Per la nostra sensibilità, l’abbagliante fulgore di siffatte armi appare eccessivo, se non incomprensibile: dalla traumatica efficacia del medesimo, Omero e (tra i suoi continuatori) più di lui Alceo, risultano ossessionati. Affinità col nostro carme suggerisce l’ulteriore fr. 179: nei vv. 5s. spicca fgAks n` / _d’ zmAd_jl (cf. G 839, H 357, etc.), abbacina nel v. 12 .].nkAn` (immo
]mnk\An` m _\k[jl Marz.), ove prolungato è un raggiare di lampi. 273 LORIMER, HaM 206, n. 3, ne suppone la conoscenza dai tempi dell’insediamento miceneo ad Ugarit, escludendone finalisticamente un ininterrotto uso nei secoli successivi. Omero attribuisce a Lici e Troiani la significativa formula (A $ e \ ) c s k b e n s h (Q 317; T 689, 739; Y 277): ma Y 429 tradisce un k ^ ` j d m d ... c s k b e n m d h , anomalo per la insolita flessione, come per il referente. Significativa illustrazione è già rilevabile nel Vaso dei Guerrieri (XIII a.C.), lo adotta l’Egitto, il Faraone Amasi, il generoso benefattore dei Greci di Naucrati (570–526), addirittura spedisce una panoplia ad Atena di Lindo, cf. il cit. (n. 188) HERODOT. II 182 c 0 k b e \ f h ` j h v i d j c b n j h (non meno del nostro ALCAE. v. 10), ricordata in III 47, che specifica come ciascuna fascia della cotta offriva decorazioni zoomorfe, degne di ammirazione. Già i mercenari greci di Psammetico, dopo la vittoria sugli Assiri (663 a.C.), ne diffondono gloriosi esemplari in Grecia, quali dediche altrettanto votive, c’è da supporre: sul prossimo esempio di Alceo. La figurativa geometrica non offre alcun esempio, il primo risale al 680 a.C., cf. n. 182. 274 Con tutta evidenza, si tratta di «maglia» sostanzialmente metallica, di sicuro laminata. Lo suggerisce VERG. Aen. XI 769ss., di cui infra (n. 275). Par superfluo ricordare l’affresco senese di Simone Martini, che celebra il trionfo di Guidoriccio da Fogliano: cavallo e cavaliere sono congiuntamente protetti da una ermetica «gualdrappa», di stoffa dorata, attraversata da file oblique di pittoresche losanghe nere. Che si giudicano decorativi «indumenti» da parata: riteniamo più probabile una funzionale armatura leggera, intessuta su maglie metalliche. Un modello irrefutabile, che va dal «cacciatore» di Enkomi alle eoAmmd_`l di Alceo.
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zoccoli: a nulla gioverebbero le personalissime armi, qualora la cavalcatura soccombesse prima del guerriero275. Il brano viene attribuito ad Arriano (Parth. fr. 20 St.), la fonte è di sicuro più antica, Pomp. Trog. XLI 2, 10 ne fornisce sostanziale notizia: m u n i m e n t u m i p s i s (Parthis) e q u i s q u e l o r i c a e p l u m a t a e sunt, quae u t r u m q u e t o t o c o r p o r e t e g u n t a u r i a r g e n t i q u e nucleus nisi i n a r m i s u s u s. In Sallust. Hist. IV 64 si leggeva, del resto, et sequebantur e q u i t e s c a t a f r a c t i 276, che Servio (suo testimone), in Verg. Aen. XI ––––––––––––––– 275 Il cavallo del semitico Re di Enkomi esibisce blindatura identica a quella del cavaliere, cf. LORIMER, HaM 198 (Pl. XI). Asiatica è la «cavalleria corazzata», di cui in POLYB. XXX 25, 9 ( e \ n p k \ e n j l A A j l ), una denominazione significativa. ARRIAN. Tact. III 5 distinguerà tra A A d e e \ n p k \ e n j l ed z p k \ e n j l: combattenti, i primi, muniti di armature a scaglie (c 0 k \ i d p j f d _ s n j l), di lino oppure di cuoio, nonché di gambali, i cui cavalli sono blindati sia sui fianchi come sulla fronte. La pragmatica conclusione di Arriano, nonché le premesse, erano anticipate in XENOPH. eq. XII 8ss. A` _’
hA`k nd Amq A A j l , h A\hn edh_$h< e\ v h \ ] n b l. Ma anche nella sostanza: Af a`dh _` e\ nh AAjh A k j g ` n s A d _ < e\ A k j m n ` k h d _ < e\ A \ k \ g b k d _ j d l , questi in comune con il cavaliere. Soprattutto il e`h`0h della bestia si deve proteggere, il punto più vulnerabile. Il cit. passo di Senofonte discende da Cyr. VI 4, 1 4Afdajh _ e\ AAjol Akjg`nsAd_ jdl e\ Akjmn`khd_ jdlE e\ nj%l gh g j h A A j o l A\k\gbkd_ jdl, nj%l _’ &A n j l { k g \ m d h hn\l A\k\-Af`okd_ jdl (cf. POLL. II 167) 4mn`
mnk\An` gh q\fe> (cf. ALCAE. 179, 12
]mnk\An` m _\k[jl Marz., supra n. 272). Da richiamare è, infine, An. III 4, 48 n$^q\h` _ e\ c0k\e\ qjh n AAdeh (qsh nh: Marz., coll. VI 5, 29, etc., nec non KÜHNER-GERTH I 14, 3, i.e. j AA`l). De camelis (!) et cataphractis equitibus trattava sommariamente Vegezio, nella sua Epitome de re militari (fine IV p.): avvertendo che siffatti militi, a dispetto della blindatura, propter inpedimentum et pondus armorum capi faciles et laqueis frequenter obnoxii, contra dispersos pedites quam contra equites in certamine meliores et simm. La compilazione ci risarcisce avaramente della perdita sostanziale di siffatta opera. Significativo è POLYB. XXXI 3, ... e\npk\enjl AAjl, je` sl n Akjmb^jk n8h AAsh e\ n8h vh_k8h me`A\mghsh njl Afjdl. 276 Si dovranno, tuttavia, ricordare HERODIAN. IV 15, 4 j gh ]k]\kjd n> Afc`d n8h nish njl n` Adge`md _k\md n 8 h e \ n \ p k e n s h v A n ` A A s h e \ e \ g f s h ndnksmehnsh \'nj%l zhsc`h, enf., nonché PROP. III 12, 12 (Medus) ferreus aurato (immo aerato, Guyetus : cf. VERG. XI 770s. ... e c u m , q u e m p e l l i s a ë n i s / i n p l u m a m s q u a m i s a u r o (an aere Marz.?, cf. autem III 467, V 259) conserta t e g e b a t, nec non SALL. Hist. IV 66 M., PROP. III 22,12 [Medus] ferrens aurato) neu c a t a p h r a c t u s equo, LIV. XXXV 48,3 l o r i c a t o s q u o s c a t a p h r a c t o s vocant, XXXVII 42, 2 cum auxiliis et c a t a p h r a c t o e q u o, cf. 40, 5, IUST. XLI 2,15 loricae plumatae (le alcaiche e o A m m d _ ` l), TACIT. Hist. I 79… lapsantibus equis c a t a p h r a c t a r u m («corazze»!) pondere. Illuminante è, tuttavia il cit. SALL. Hist. IV fr. 65 (Serv.) e q u i s paria o p e r i m e n t a erant, † quae l i n t e o f e r r e i s l a m i n i s in modum plumae
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770, spiegava: qui et i p s i f e r r o m u n i t i s u n t e t e q u o s s i m i l i t e r m u n i t o s h a b e n t. Il cit. Virgilio (768–71) è il più esplicito testimone: Chloreus olimque sacerdos / i n s i g n i s longe P h r y g i i s f u l g e b a t i n a r m i s / spumantemque agitabat e c u m, quem p e l l i s a ë n i s / i n p l u m a m s q u a m i s a u r o c o n s e r t a t e g e b a t 277. Ove i termini-chiave sono più che evidenti: soprattutto Phrygiis, nonché la puntuale descrizione delle metalliche scaglie (p l u m a e), agganciate come fossero autentiche squame su una pelle. L’ampiezza di questo scenario, la sua millenaria persistenza, isolano l’armatura «omerica», la fanno apparire eccezionale: una proiezione mitica, nella sostanza in realtà nostalgica, archeologica, squisitamente letteraria. La rassegna di Alceo è tutt’altro che visionario inganno: ignora il passato, si integra in una concezione nuova, niente affatto rivoluzionaria, quale generalizzata nei medesimi decenni. La «storicità» dell’Ode le conferisce appassionato impulso, la funzionale strumentalità ne garantisce lirica, personalissima urgenza. Si dovrà constatare, come nessuna delle fiammeggianti armi, da lui invocate, appartenga a remote vicende, si esaurisca in patetica celebrazione, o costituisca visionario vagheggiamento: un «miraggio». L’epicità è soltanto di maniera, esaltante fatto linguistico, insopprimibile necessità stilistica: già nei lessemi, nelle convenzionali iuncturae, nobili perché desuete. Sono improbabili, del resto, la materiale sopravvivenza di esemplari arcaici, addirittura «depositi» di armature, quali ipotizzati dagli studiosi: una privata sala d’armi, ovviamente blasonata, ovvero un pubblico arsenale (_ g j l ?), di cui mancherebbe documentazione, precoce conferma monumentale278. ––––––––––––––– a d n e x u e r a n t , nunc autem pro l i n t e o « p e l l e m » posuit, et « a e n e a s s q u a m a s » a e r e a s l a m i n a s intellegimus. 277 In Polibio, e \ n p k \ e n j l è generalmente delle navi (il primo esempio di siffatte «fregate» è in ARISTOPH. Ach. 95 h \ $ p k \ e n j h ] f A ` d l , cf. FRAENKEL, Beob. z. Aristoph., 168, 1), della A A j l è detto in XVI 18, 6 / 8, XXX 25, 9. Cf. CASS. DIO XL 12, 2 A A j n j i n \ d e \ e j h n j p k j d , n A j f f e \ n p k \ e n j d , già POLYB. XVI 18, 6; 8, XXX 25, 9 e \ n p k \ e n j l A A j l . Cf. inoltre ARRIAN. Tact. IV 4, PLUT. Crass. XXIV (Parthi) n A k j e \ f $ g g \ n \ n 8 h A f s h e \ n \ ] \ f h n ` l 6pcbm\h \'nj n` p f j ^ j ` d _ ` l e k h ` m d e \ c 0 k \ i d , nj+ Q\k^d\hj+ m d _ k j o m n f ] j h n j l i% e\ A ` k d f \ g A lE j c’ AAjd e \ n \ p k \ ^ g h j d q \ f e j l e \ m d _ b k j l m e ` A m g \ m d h enf., Alex. XVI Afjdl e \ n \ A ` p k \ ^ g h j o l e \ A A j o l f\$hsh enf. 278 Dalla archeologia si sarebbe attesa immediata conferma della ipotesi, che vede in g ^ \ l _ g j l un santuario, in realtà consueto deposito di armature, offerte per devozione. Sommari riscontri sono dovuti a A. GIULIANO, Arte greca. Dalle origini all’età arcaica, Milano 1986, che segnala Olimpia e Delfi quali santuari panellenici, ove in larghissima parte sono emersi siffatti reperti, per quanto (a suo giu-
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All’intervento di M.G. Bonanno, ormai classico, si riconosce lealmente, che «possiede i meriti innegabili di un autentico lavoro pioneristico» (cf. Del Freo, p. 381, cf. infra, n. 283). Ha, per la prima volta, suggerito la terza e funzionale soluzione. Si tratta in realtà di un tempio, che è luogo di culto comunitario e di memoria, ma anche di aggregazione: all’occasione cardine difensivo della A f d l, difesa e disponibile riscatto della medesima. La cui emergenza è tutt’altro che arcaica, generalmente «ignorata» da Omero: risulta perfettamente riconoscibile, se non descritta, per impazienti (in realtà incoercibili) strappi alle vanità dell’epica «cortina». Nella disputa, che siffatta intuizione ha suscitata, si è tuttavia dimenticato (più spesso obliterato), che tutti i reperti bellici in nostro possesso, comunque a nostra
––––––––––––––– dizio) presentino «difficoltà di interpretazione» (p. 160). Nel periodo orientalizzante (cui le preferenze di Alceo obbligano le decantate armature), egli conferma che «armi furono dedicate in moltissimi santuari» (p. 162), «sia in forme miniaturistiche (Gortyna, Palaikastro, Praisos), sia di armi vere. (...) Armi furono esportate da Creta, per essere dedicate soprattutto nei santuari di Olimpia o di Delfi». Si assicura, quindi, che di «maggiore interesse sono: scudi, elmi, corazze (destinate a proteggere il torace [?], mithrai [siffatta grafia, con indebita aspirazione, è generalizzata]. Ad Olimpia, «le dediche di armi erano frequentissime nel santuario. Città, o personaggi di particolare prestigio, potevano dedicare armature che, issate su pali, come un trofeo, si ergevano nel santuario, in particolare ai bordi dello stadio. I trofei non dovevano rimanere a lungo esposti: frequentemente sostituiti, venivano poi sepolti come doni votivi [?]. La tradizione, iniziata(si) [sic] nella età geometrica, è costante sino alla classica. Olimpia ha restituito una vera e propria armeria di oggetti provenienti dalle città più diverse e dalle fabbriche più disparate». Più largo spazio (p. 165s.) egli dedica ad uno straordinario rinvenimento avvenuto ad Arcades: il tesoro del santuario di Atena, ricchissimo, «soprattutto armi (elmi, corazze, mithrai [sic])». Il clamoroso esempio fornito da Alceo, la sovrabbondante letteratura, rintracciata dalla Bonanno in poi, sono fatti, più che ignorati, patentemente considerati eterogenei: non più che fantasiosi « m i r a g g i » (dei filologi, ovviamente). Da ricordare, tuttavia, che n k A \ d j h costituisce solo un memorial, provvisoriamente eretto nel territorio del nemico, ove questi si è abbandonato alla fuga (n k j A , cf. EUST. Il. X 465), successivamente sistemato in pertinenti santuari o loro mnj\ (Alcaico more). Siffatto lessema è, significativamente, del tutto ignoto ad Erodoto, ma occorre 58x in Tucidide (cf., in particolare, II 92) mnbm\h ... n k j A \ j h 2l h`hdeben`l n l nkjA l, una sola volta in Polibio (IV 8, 6). È istituzione strettamente connessa con la tattica oplitica, cf. il fondamentale contributo di F. LAMMERT, RE VII A 663ss., tuttora disponibile, anche per gli archeologi. Strutturalmente però implicito nella cultura, e nelle strategie, della polis. Eccellente è il contributo di W. KENDRICK-PRITCHETT, The Greek State at War, Part II, University of California Press, Berkeley 1974, cap. XIII, The Battlefield Trophy, pp. 246–75.
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conoscenza, hanno una sola e pertinente fonte, il tempio. Una constatazione, che da sola metterebbe fine ad ogni caparbio e dispettoso contendere.
Cap. XII – Consacrazione e Rivoluzione Che non si tratti di privata raccolta di tipo araldico, di puro omaggio alla tradizione, alle glorie familiari, prova (imbarazzantemente) la natura non soltanto esotica, ma di sicuro alternativa di siffatti materiali. Si è giustamente ricordato, che gli ondeggianti cimieri (cf. fr. 388 cit., p. 89 e n. 146) sono di origine anatolica, in Tyrt. fr. 11, 6 W. essi caratterizzano equipaggiamenti peculiarmente oplitici. Le stesse e h b g _ ` l (cui Alceo addirittura dedica tre stupefatti versi) sono assenti nella iconografia del «geometrico», emergono però da siti archeologici cretesi, nella prima metà del VII secolo279. Si è trascurato, che questo espediente difende le gambe, lasciate scoperte dal piccolo, tondo scudo oplitico280. Ancora una volta, sono note ad Omero, ove ricorrono frequentemente quelle metalliche: la presenza in ––––––––––––––– 279 LORIMER, HaM 250, assicura che, se mancano reperti per tutta l’età del bronzo, coerentemente apparirebbero insieme con scudo oplitico, cotta metallica, elemetto corinzio, primo documento risultando l’anfora proto-attica dell’Imetto (Berlino), databile ca. 680 a.C. Difficilmente si accetterà, tuttavia, che ¦ e h g d _ ` l , epiteto fisso degli Achei in Omero (ovvero Greci, 41x), sia conseguentemente «late and intrusive». La collocazione fissa, dopo la cesura del terzo piede, precedendo il sostantivo, assicura al lessema un regime grammaticalizzato, saldamente però integrato nel codice epico. 280 STRABO III 3, 6 (cit. nn. 193, 207), informava, che gli agilissimi Lusitani (i`l, ej$pjol, `'`i`f enjol) v m A _ d j h ... _ Ajoh q ` d h nh _dg`nkjh, e j f j h ` l n A k m c ` h ( Admc`h Marz., coll. SOPH. Ai. 1249 e\ nj%l A d m c ` h l n A k m c ` h zijg`h), n`f\g8mdh ibknbghjhE j*n` ^k A k A \ e \ l j*n’ v h n d f \ ] l q`d. (...) f d h j c 0 k \ e ` l j Af` jolE mAhdjd _ w f o m d _ s n j l qk8hn\d e\ n k d f j p \ d l , j _’ zffjd h`ok hjdl e k h ` m d h E j A`aj _ e\ ehbg_\l qjomdh, vehnd\ _’ e\mnjl Af` sE n d h l _ e \ (!) _ k \ n d q k 8 h n \ d : un equipaggiamento congruo, non diverso però da quello esemplato in Alceo (salvo il _ko). Si noti, che w f o m d _ s n l è, in POLYB. VI 23, 15, indumento di maglia metallica, altrimenti detto mnk`Anl qdn0h, cf. ARISTON. (non ARISTARCH., come LSJ et Suppl. ) ad J 113, Y 31: opposto a f d h j c 0 k \ i, come il c 0 k \ i m n _ d j l , di cui in APOLL. RH. III 1226, che lo schol. (cf. HESYCH. m 1589 m n _ d j l q d n 0 h E m n \ n l c 0 k \ i, CALLIM. fr. 293 Pf.) oppone all’altro, in quanto `'A\^l. In AP XIV 73, 6, sono esaltati gli k^`jd f d h j c 0 k b e ` l , e h n k \ A j f g j d j, che in Y 429 venivano, incongruamente, detti c s k b e n m d h (cf. supra, n. 273), fdhjc0kbi ricorreva unicamente in G 529, 830.
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un verso formulare (H 330 = P 17 = U 131 = W 369 ehbg_\l gh Ak8n\ A`k ehgbmdh cbe`, cf. V 459, 612, Y 592) significa esibizione, stilizzata ma inattendibile. Una diffusione innegabile, per quanto coartata281. Singolare è q \ f e j e h g d _ ` l, specifico degli A c h e i in L 41, più significativo risulta ¦ e h g d _ ` l, sistematico attributo degli stessi (negli odissiaci ] 202, d 60, 550, e 203, r 319, si sostituisce loro il più confidenziale } n \ k j d), formalmente allogato dopo la cesura del terzo piede, precedendo il sostantivo. Malgrado la misoneistica censura dell’epica, il peculiare supporto è innegabilmente oplitico, pervade surrettizziamente l’intera e spocchiosa Iliade. Esso viene trionfalmente dichiarato, confidentemente esaltato nel disinibito Alceo: un rilievo ancora una volta éclatant, considerando che il lessema (suo malgrado aulico) è destinato a scomparire nella letteratura greca282. La «corazza» di lino, invece, risulta meno estranea alla cultura greca di quanto non si sostenga: per la Lorimer (HaM 210s.) si diffonderebbe soltanto alla fine del VII secolo. Che quindi potesse «benissimo essere oggetto di uso comune ai tempi di Alceo», è puro (ed interessato) arbitrio: la rarità dell’oggetto, la più funzionale alterità, hanno consapevole rilevanza nella esaltata incitazione del poeta283. Non restano successive tracce ––––––––––––––– 281 Una variante agricola è in s 228s. cit., ovviamente però in cuoio (] j ` \ l e h b g _ \ l). 282 Isolato esempio è in AESCH. Sept. 676 e h b g _ \ l , \ q g l e \ A n k s h A k j ] f g \ n \ , significativamente ispirato al nostro Alceo (v. 8 e h g d _ ` l , k e j l mq$ks ]f`jl). Nessuno ricorre nei Lirici, né in Sofocle, Euripide, è del tutto ignoto a Tucidide, nonché a Senofonte, esempio unico in CASS. DIO LXII 5, 2. Altamente significativa è l’unica ricorrenza in HERODOT. VII 92 c s k b e j p k j d n` jhn`l e\ e h b g d _ j p k j d : sono, ovviamente, i Lici, portano la medesima armatura, suppletivamente esaltata da Alceo, tuttavia orientale, trattandosi di alleati persiani. Al contrario dei Panfili, appena nominati, che (si sottolinea) sono f f b h d e j m d A f j d m d m e ` o \ m g h j d , non diversamente però dai Fenici (89), che eoh\l `qjh v^qjnns A`Ajdbgh\l n k A j h n h f f b h d e h , h_`_oen`l _ c0kbe\l fdhjol. Nello stesso luogo, gli Egiziani portano v m A _ \ l _ e j f \ l ..., e\ n$qjol (an n$ejol, «ascie», cf. EUR. HF 945) g`^fjol. n _ Af cjl \'n8h c s k b e j p k j d m\h, g \ q \ k \ l _ g ` ^ f \ l `qjh (grandes bipennes, Valla). Ancora una volta si avverte letteraria eco del nostro Alceo, indiscutibilmente “classico” è il netto discrimine con le armi da lui cantate in esordio. 283 La deduzione è di DEL FREO (1993), 388, che la eleva a tesi del suo lavoro, diligente, e tuttavia generalmente ingenuo: incredibile è, infatti, che in gioco sia «il palazzo del poeta, o comunque l’aristocratica dimora di qualcuno dei suoi compagni di eteria» (377), è nient’affatto «verosimile che Alceo, con intento parenetico, diretto indiretto [?], attraverso la descrizione delle armature sue o dei suoi compagni [?] da un lato, e attraverso i riecheggiamenti delle scene di vestizione
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della preziosa armatura, se non in Timoteo: Pers. 791, col. II 15,15 P., ove ricorre A f ] ` o k l f d [ h j a 0 m n j o l («fasciame» delle navi), nel v. 74 A _ e \ n \ a ` o q c ` m \ f d h j _ n < 284. Si tratta, ovviamente, di Persiani: ma anche di oggetti sostanzialmente estranei alla civiltà, oltre che alla prassi greca. Una emergenza, non soltanto stilistica, da nessuno rilevata in Alceo, misconosciuta (o contrabbandata) negli stessi poemi omerici. Con persistente candore: tanto schematico quanto caparbio285. Nella struttura espositiva dell’Ode sembrano distinguersi tre scenari diversi. Il primo si limita ad allineare i barbaglianti oggetti con un incisivo asindeto (e o h \ m d h, f p j d), il secondo introduce con _, marcatamente oppositivo, le strabilianti e h g d _ ` l, ritenute inusuali, ma inscindibilmente collegate con i successivi e non meno insoliti c k k \ e ` l, quindi con le e u f \ d ... z m A d _ ` l: per mezzo di un ribadito n`, che marca la comune disomogeneità, ma tuttavia obbliga la risorsa di nuovo tipo (hs f hs) ad un più singolare usbergo (euf\d). Un sintagma più corresponsivo che connettivo, il cui esemplare canonico è reperibile in F 45 n i’ 6gjdmdh qsh vgpbk`p\ n ` p \ k n k b h, cf. Denniston, GP 497286. Terzo (e più sconvolgente) settore viene introdotto e segnato dal nesso A k _ , anaforicamente quindi ribadito, per esprimere seriale contiguità, tuttavia alternativa nei confronti delle precedenti serie. Concinna spirale (Ringkomposition) chiude imperiosamente l’Ode, con un ultimo e «concertato» distacco, secondo uno schema che risulta già classico in Saffo: il suo terzo libro raccoglieva tutte le composizioni, costituite da siffatti distici asclepiadei.
––––––––––––––– epica [?] dall’altro, volesse risvegliare il coraggio degli n\dkjd, cementandone lo spirito di coesione [?] di fronte ad un possibile o reale rischio [?] di conflitto armato» (nella conclusiva p. 392). 284 Cf. AESCH. Suppl. 134 A f n \ ... f d h j k k \ p l n` / _ g j l (navis !) {f\ mn^sh _jkl, Pers. 69 f d h j _ m g < m q ` _ , quindi EUR. IT 1043 ... h \ + l q \ f d h j l f d h j _ n j d l kg` mc`h. In AP VI 231, 1, Iside, patrona dell’Egitto, viene, significativamente, invocata f d h A ` A f `. 285 Il claudicante intervento di DEL FREO (1993), cf. supra n. 283, si giova del costante incoraggiamento e consiglio di infaticabili samaritani (L.E. Rossi, L. Godart), durante le «fasi di preparazione» (p. 277*): un sostegno, in genere distratto, spesso impertinente. 286 Raffinata, più del solito, è la formulazione di KÜHNER-GERTH, II 243: la coppia significherebbe il legame tra concetti e pensieri, intrinsecamente congiunti in una sola unità, in maniera più recisa e determinata che il semplice n`: rimandano il primo n` al successivo e viceversa, evidenziando il reciproco legame tra elementi apparentati.
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Rispettivamente, si direbbero «tradizionale», «innovativa», «opzionale» l’ultima, perché estranea all’uso, al gusto corrente287. Si tratta di parures smagliantemente esotiche, anche se foltamente rappresentate nel peculiare (e provvisorio!) deposito: Aff\ esprime, attraverso la sovrabbondanza, la consuetudine di Alceo, e della sua eteria (degli stessi cittadini, quindi), nei confronti delle miracolose, sebbene barbariche armi. Ma è lo splendore delle stesse, del folto coacervo, ad imporsi, in una fantasmagoria compatta, allucinata, provocatoria. Il duplice registro della rassegna consente una finale deduzione: agli n\dkjd di Alceo si offrono, verosimilmente, due nuovi modelli di armatura, oltre quello consueto, falsamente epico. Per quanto di foggia prevalentemente esotica, sono diversi, addirittura concorrenziali: rispondono a tattiche senza dubbio differenti, sebbene unica la strategia dell’assalto rivoluzionario. Che sarà improvviso, fulmineo, micidiale. Tipico, insomma, della guerriglia, di quella task force, in cui si costituiscono gli esiliati. Le e o A m m d _ ` l , congiunte epperò integrate dagli a0g\n\, si rivelano parte di un kit protettivo, il cui specifico interesse investe la parte inferiore del corpo, protetta da una placca, se non metallica, blindata. Con tutta evidenza, e $ A \ m m d l offriva un riparo, più che corto, ridottissimo: Poll. VII 60 la definiva m g d e k l q d n s h m e j l, zqkd g m j o g b k j + (an gmsh gbk8h?), non senza contraddizione. Non raggiunge, del resto, la parte più bassa del corpo, e soprattutto gli \_j\, cui provvedono, rispettivamente, lo a s m n k 288 e la g n k b. Nella puntigliosa ––––––––––––––– 287 Singolare conferma ne offre Etym. M. 460, 14ss. c 0 k \ iE n vA nj+ nk\qfjo gqkd \_j sh e\c ejh e$njl (cf. PLAT. Tim. 69e nj+ c0k\ejl \, n e$njl). Correttamente sottolinea la LORIMER, HaM 198, che nel draught-box di Enkomi (Cipro) siffatta corazza viene indossata dall’auriga, necessariamente privo di scudo (si tratta di una scena di caccia, in cui lo stesso corsiero risulta opportunamente catafratto, cf. supra, n. 275). Che invece viene strettamente (cf. il n`, di cui supra, n. 285) associato ai ckk\e`l hs f hs, nel primo caso di Alceo. 288 Ne assicura lo stesso POLL. II 170 n &A nh gp\fh Ah zqkd n l &Ak \_j\ nkdq0m`sl n k j h . HESYCH. b 955 nkjhE... n &A nh gp\fh
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definizione di Polluce la correzione di gbkj+ con
nkjo risulterà inevitabile289. Ma altrettanto obbligatorio è che, se e$A\mmdl rappresenta un semplice corsetto (il cui modello è peculiarmente femminile)290, i ckk\e`l, innanzitutto nominati, ne costituiscono l’opposto modello, perché fatti del medesimo lino. Una più lunga «cotta» d’armi, tuttavia orientale: di cui nascostamente si adorna la stessa Iliade, ma si inorgoglisce Alceo, a dispetto di archeologiche (in realtà positivistiche) discriminazioni. La struttura di questa Ode si è dimostrata perfettamente concepita, geometricamente ordita. Con lirico empito rappresenta una realtà incombente, esprime ansiosa reazione, vigorosa determinazione. Insorge il nuovo «individuo», dinamicamente però integrato in una compagine unitaria: perno ideativo di fulminea strategia, vittoriosa perché ideologicamente rivoluzionaria. Sulla tradizionale, operativa possanza ora prevale ––––––––––––––– 289 Il cit. HARPOCR. e 96 K. segnala, che il lemma e$A\mmdl è un qdn8hjl `_jl, maschile secondo alcuni ^fsmmj^kpjd, femminile per altri (j gh ^oh\de` jo, j _ vh_k` jo: immo ^oh\de`jh ... vh_k`jh). Per PHOT. e 1225 Th. sarà tout court h_og\ ^oh\de`jh, per Suda e 2733 emgjl ^oh\de`jl (il cui finale nc l A \ k c ` h s h c e`h (A`kc` cok8h, tratto da AP VI 202, 1s. (195ss. G.-P.), andrà concordato con nh_` e$A\mmdh, quindi corretto con A \ k c h d j h ). La testimonianza cit. di ION, fr. 59 Sn. ]k\q%h f hjo e$A\mmdh l gbkh gmjh / mn\fghjl (an gbk8h gmjh Marz., coll. POLL. II 188 n _ g`n\i% \'n8h g ` m j g b k \ ), risulta funzionale, soltanto se Eracle si «trasveste» con un provocante indumento femminile, verosimilmente sottratto alla disiata Onfale. Siffatta «minigonna», usata dalle donne spartane, procurò loro la qualifica di p\hjgbk _\d, cf. POLL. VII 55, nonché IBYC. 339, 58 P. (POLL. II 187 p\dh-). 290 Aderisce alla ipotesi della Bonanno un filologo romanzo, R. GUERRINI, «GIF» XLV (1993) 123s., recensendone L’allusione necessaria. Tuttavia, egli ne accetta la angolazione «araldica», supposta in «tutti i ^`hcfd\ fpok\ aristocratici» indicati in Alceo, già affermata, del resto, nel sottotitolo del relativo cap. VII, «Blasone e lotta armata» (pp. 125–146). Siffatta convinzione, che distorce nel senso dell’onore la asserita parenesi, è radicalmente infondata. Prezioso, tuttavia, è il richiamo di Guerrini a VERG. Aen. VII 177ss., finora sfuggito: v e t e r u m effigies ex ordine a v o r u m / … / v e s t i b u l o a d s t a b a n t a l i i q u e a b o r i g i n e reges /…/ multaque praeterea sacris in postibus arma, / captivi pendent currus curvaeque secures / et cristae capitum et portarum ingentia claustra / spiculaque clipeique e r e p t a q u e r o s t r a c a r i n i s. Si tratta della reggia di Latino, immensa (v. 170 t e c t u m a u g u s t u m i n g e n s , c e n t u m s u b l i m e c o l u m n i s), baldanzoso ricettacolo, nonché di armi innumerevoli, anche degli ingenti chiavacci di inimiche porte, addirittura dei rostri strappati a navi avversarie. La bombastica dimensione domiciliare è innegabile, nel fantasioso contesto la esposizione delle armi risulta fatto privato, pubblicamente esibito. Alceo è lontano da siffatte elucubrazioni, il suo apparente «miraggio» è reale, accessibile, risolutiva risorsa: per chi saprà ricordarsene, farne disperato uso.
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l’astuzia organizzativa, il dirompente assalto dell’agile, compatta falange. Lo squillante «sonetto»291 costruisce incalzanti campiture, pur con occhio abbacinato ne discerne progredienti assetti: di armature e di armi, minacciose e tuttavia disponibili, risolutive. Un rappresentare non più narrativo, ma costruito su fulgenti, sconnessi flashes, imbarazzantemente lirici. Sia per gli «splendidi» oggetti che per le finalità, si affida ad un modello squisitamente letterario, suggestivo. Ancora una volta attinge ad Omero, ad una «ricorsiva», inesausta tradizione, che nell’o b b l i g o s t i l i s t i c o trova la propria forza, rigenerata capacità inventiva. Il «vernacolare» isolamento, cui veniva relegata la cultura eolica, si dimostra sclerotica pretesa critica, «rettoricamente» predicativa, improduttiva: si tratta della fascinazione omerica, non di prelevato (ma neppure letterario) imprestito, forzosamente elucubrato, ma di procedura sontuosamente evoluta, anamorfizzata. Non costituita da stucchevole «memoria» del passato, né da banausica elaborazione, ma da vigorose esplosioni di sedimentarie esperienze. Quello che Luciano Berio, attingendo alla propria ed illuminante esperienza, ha nominato «Memoria del futuro», protocollo di ogni e creativa cultura292. ––––––––––––––– 291 Esattamente di quattordici versi, ambedue le strutture metriche: antica e medievale. Il «sonetto» viene in genere ricondotto (attraverso il provenzale, col significato di aria di musica) a «canzonetta», definendolo «breve composizione poetica, per canto e strumenti, facilmente orecchiabile», cf. CORTELAZZO-ZOLLI, DELI I 198. Una specificazione in realtà posteriore (XVIII sec.): si dovrà correttamente ricondurlo alla primaria base di «sonata», con privilegio del momento musicale. Significativo è che la cinquecentesca definizione era «canzone da sonare», nel successivo processo di separazione tra «ricercare» e «toccata» (per strumenti a tastiera) funzionalmente si distinguerà l’ambito musicale da quello vocale. Nel modello originale (l’alcaico _ / v` _s) si fondeva questo con quello verbale, di cui non poteva che salvarsi la trascrivibile traccia derivativa, solo successivamente quella alternativa, di ordine semantico, cf. P. TEKAVI, Grammatica storica dell’italiano, Bologna 1972, III 183. 292 È il titolo della sua ultima opera (postuma, Torino 2006), in realtà sei splendide «lezioni americane» tenute ad Harvard, con amorosa intelligenza critica pubblicate dalla moglie Thalia Pecker. Riteniamo doverosa qualche citazione, a conforto delle nostre procedure: «O alter Duft aus Märchenzeit» (...): è il primo verso dell’ultimo brano, il ventesimo, del Pierrot lunaire di Arnold Schönberg. Se vi dico che anche la musica, come la vita, può essere permeata di v e c c h i p r o f u m i, non è per annunciarvi una conferenza nostalgica o sentimentale. Non allarmatevi, il vecchio profumo, l’antica fragranza, che cercherò di evocare, è quello in sintesi dell’ ‘ o p e r a a p e r t a ’, un’esperienza che ha marcato profondamente i musicisti della mia generazione e che continua, ogni tanto, a suscitare antichi quesiti» (p. 65). Anche in qualche filologo, per quanto non più che malinconico Musikschwärmer. Argutamente, Berio prevedeva, che «le volpi decostruttiviste non sembrano tentate di mangiare l’uva musicale, forse pensando che non sia ancora
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Agli k bk`l }n\kjd Odisseo si rivolgeva, allo scoppio di terrificanti vortici di fumo, ondate gigantesche, fragore assordante: nella corrente rimbombano i remi da loro abbandonati, appena in vista delle rocce di Scilla (g 201–233). La nave si blocca, l’ «eroe» affronta di petto ciascun guerriero, con parole per l’occasione melliflue (v. 207). Li redarguisce infine con un imperioso, ma rituale 9 p fjd, opportunamente: ricorre 21x nella Iliade, 19x nella Odissea, stilema allocutivo, che la nostra Ode tuttavia omette, evitando una banale allocuzione «epistolare». Rettoricamente Odisseo celebra le proprie qualità (v. 211s. g vk`n ]jof n` h> n`), di cui disponendo altra volta si salvarono tutti: di questo giudica obbligatorio il «ricordarsi», una vigorosa ma indispensabile risoluzione ( e p $ ^ j g ` h, e\ Ajo n 8 h _ ` g h m ` m c \ d s)293. La nostra Ode riutilizza la «classica» esortazione, la ribadisce nel conclusivo v. 13, traendone rituale invenzione, incisiva lucidità. Trascura tuttavia la successiva ed epica ingiunzione (v. 213 h+h _’ z^`n`, 2l xh ^1 `As), era tollerabile (e funzionale) solo sul pristino piano narrativo e descrittivo. Una rinnovata formula ricorrente in ] 139 = d 26, 700, g 75, i 74, 370, 297 (vff’ z ^ ` c ’ 2l xh ^1 `As, A`dc0g`c\, ma già Q 213, R 179), emblematica per la strategia della dilagante falange.
––––––––––––––– matura» (p. 12). «Si tratta di una prospettiva, che ci invita a rinnovare la nostra percezione della storia, a rinnovarne il senso, ad accettare l’idea di una storia che si esplora e ci permette di ritrovarne sempre un ricordo al futuro» (p. 38, corsivo nostro). Su questa «semiosi illimitata», cf. p. 68. «Abbiamo da una parte una indecifrabile macroforma, e dall’altra una microforma, facilmente percepibile e segmentabile (p. 76, corsivo nostro). Sembra opportuno ricordare, di T.S. Eliot, l’incipit dei Four Quartets: Time present and time past / Are both perhaps present in time future, / And time future contained in time past. Circolarmente ribadito nel trittico finale. Rilevante è la data (1942), una tempestosa Zeitwende, per la nostra sensibilità culturale ed esistenziale. Per il mio fortunoso (ahimé, tardivo) incontro con Luciano Berio, cf. supra, p. 71, n. 126. 293 La formulare ingiunzione viene puntualmente ripresa da Alceo (v. 13), marcandola con una perentoria litote. La riflessiva ipotesi si trasforma tuttavia in un motto, già formalizzato in W 64 _bkh g l e\ m l kd_jl g h m ` m c \ d, cui ricorre Achille. Riecheggiato in VERG. Aen. I 203 ... f o r s a n h a e c o l i m m e m i n i s s e i u v a b i t , cf. VI 514 ... e t n i m i u m m e m i n i s s e n e c e s s e s t.
Conclusioni Il recupero «integrale» (p. 3s.) di questa Ode evidenzia molteplici e più complesse valenze storiche, culturali, letterarie: tutte e organicamente concordi, segni e più spesso segnali della effettiva identità. La sottrae, innanzitutto, dall’arrogante cimitero dei cosiddetti «frammenti», dovrebbe pertanto indurre a ribattezzare più pertinenti raccolte dei materiali superstiti, restituire la aperta indicazione di «Opera», irrefutabilmente congrua ed impregiudicata, sostituirla ai generici e teatrali apospasmata. Ciò vale, oltre che per Alceo, già per Saffo: della cui maggiore Ode (fr. 31) né antichi testimoni, neppure moderni filologi hanno mai dubitato, o disattesa la conclusa compostezza, la musicale Ringkomposition. Viene però messa in crisi la stessa ed ancora attuale concezione del «frammento», la cui fortuna terminologica si è giovata di un dilagante (quanto artificioso) manierismo estetico, in realtà di arbitrario «gusto»294. ––––––––––––––– 294 Sul termine «frammento» segnaliamo il nitido contributo di G. MILANI–M. PEPE, Dizionario di arti e letteratura, s.v. frammento, frammentismo, Bologna 2002, pp. 220s. Il lessema appare del tutto ignoto alla antichità, il greco ʱą&ȼąȫȼȶȫ ed il latino fragmentum indicano il residuo di un corpo solido, in conseguenza di uno strappo violento («brandello», «squarcio», «frustulo», laciniae), metaforicamente già di una «flotta», cf. LUCAN. IX 29ss. (partes) / quas ne per litora f u s a s c o l l i g e r e t ... / ... mille carinis / abstulit ... secum fragmenta ruinae, cf. nau-fragium, LUCR. II 152, etc.). Il corrispondente greco non ricorre, significativamente, in Ippocrate che una sola volta (Offic. XXIII 2), coordinato con i sinonimici ȴąȽ@ȶȫȽȫ ˃ ȼȽȺ ȶȶȫȽȫ ˃ ȮȳȫȼȽȶȫȽȫ ˃ ʱ ą ȹ ȼ ą ȼ ȶ ȫ Ƚ ȫ ˃ ʱąȹȴȵ ȼȶȫȽȫ ˃ ȮȳȫȼȽȺ ȶȶȫȽȫ, cf. HESYCH. ȫ 6645 ʱą&ȼąȫȼȶȫȊ ȶ ȺȹȻ, ʱą&Ƚȶȱȶȫ, attinto da VT, IEREM. XLVI 20. L’uso letterario è umanistico, cf. CIC. Att. II 1,3 ʱąȹȼąȫȼȶ Ƚȳȹȷ legis agrariae, una forma d’uso (cf. cerebrum / cerebellum), essendo il neutro tutt’altro che diminutivo, malgrado LSJ I 218. Un esibizionistico riuso del lessema offrono i recentissimi Frammenti di frammenti, opera postuma di G. CONTINI, Firenze 2007, come provocatoriamente egli l’aveva intitolata, più generosi adepti hanno epistologicamente promossa. Devo quantomeno ricordare alcune pregevoli opere, di recente apparse. L’ottimo Collecting Fragments / Fragmente sammeln, primo di una serie di cinque volumi, «aristotelicamente» dedicati alla definizione e classificazione delle residue tracce di siffatti materiali, a cura di GLENN W. MOST, Göttingen 1997, con le autorevoli Introductory Considerations di A.C. DIONISOTTI (1-33), nonché W. BURKERT, Fragmentsammlungen philosophischer Texte der Antike, Göttingen 1988, infine Selecta collligere, Herausg. R.M. PICCIONE u. M. PERKAMS, Alessandria 2003,
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Conclusioni
«I frammenti dei Lirici greci» non costituiscono soltanto l’esempio primariamente fornito da un autorevole e diffuso Dizionario della nostra Lingua295, ma anche di una mia fortunata opera, concepita qualche decennio fa, con mimetica abilità saccheggiata, a favore di innocenti ma lucrabili tirones. Ancora manca, tuttavia, nei correnti Lessici lo specifico «frammentismo», che il benemerito «Vocabolario della Lingua Italiana» (vol. II, Roma 1987, p. 516) definisce quale «indirizzo e gusto letterario, che si svilupparono in Italia negli anni avanti e dopo la prima guerra mondiale, ed ebbero come espressione caratteristica il frammento, cioè la composizione lirica breve, in versi o in prosa (...). Al centro della poetica dei frammentisti era il concetto della poesia come brevità, immediatezza, folgorazione lirica dei sensi (sic), inconciliabile perciò con la narrativa di ampio respiro». Lo stesso ed «aurorale» «M’illumino d’immenso» costituisce, prima che orecchiabile apoftegma, una boutade argutamente futuristica, lenita da un affettuoso ghigno. La si direbbe una verbalizzata interiezione, innegabile artefatto296: a dispetto del sornione intento. La serrata struttura dell’Ode alcaica (fr. 140) esclude ognuna delle fantasiose, ma banali elucubrazioni, che ne hanno tentata collocazione, finalità, significato. Che si trattasse di uno (ahimé, troppo) sgargiante arsenale era evidente, ma non altrettanto la insidiosa promiscuità degli oggetti esaltati: consueti alcuni, eterogenei (ed anzi alieni) altri. L’abbagliante splendore di tutti confortava, oltre che per la coeva confezione di queste armature, per la condizione d’uso senza dubbio recente, che ne assicurava però la indispensabile, immediata efficienza. Garantiva la fruibilità delle medesime, in condizioni emergenti, imprevedute, anomale: si arguiva, dalla congerie degli imbarazzanti strumenti, un molto significativo limite. Offensivi o difensivi che fossero, essi risultavano infatti disponibili soltanto per un uso ravvicinato: mancano tutti quelli da tiro, ––––––––––––––– con istruttivi contributi conclusivi di G. STAAB e B. LIENHARD, dedicati alla Neuordnung und Umformung gesammelter Texte. Essi inducono a rinnovata riflessione, non solo per la rilevanza metodica, ma per l’arricchimento e la comprensione dell’accidentato, sebbene altamente remunerativo settore. 295 Cf. «lo ZINGARELLI», Vocabolario della lingua italiana, Bologna 2006, 737. Nella cui explicatio, al generico «brano più o meno ampio» sostituiremmo «parte o anche isolato lemma» di un’opera letteraria, criticamente richiamata. La mia opera titolava «Frammenti della lirica greca», Firenze 1965, più sobriamente «Lirici greci. Antologia», a c. di E. DEGANI e G. BURZACCHINI, Bologna 19752, quella che «trascrivono» i suppositi scolari. Nello stesso greco moderno, identicamente, ricorre un erudito Ϯąȹȼą ȼȶȫȽȫ Ϸȵȵȷɂȷ ȜȾȺȳȴHȷ. 296 Proverbiale autore è, notoriamente, GIUSEPPE UNGARETTI, significativi sono i «Frammenti lirici» di CLEMENTE REBORA (1913), ove incandescente è la concentrazione, «apoplettica» la «impressione».
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innanzitutto gli archi, enigmaticamente le stesse lance, coppie di lance, in genere lunghissime, ma funzionalmente incongrue: presuppongono (come gli archi) un tragitto lineare, contro un bersaglio tuttavia lontano. Sono utilizzabili soltanto a distanza, o in primissima linea, per dissuadere, scardinare la schiera nemica, senza intralciare la propria. Pretendono l’assalto ravvicinato, un allineamento o p l i t i c o, in veloce movimento: lo scontro tattico, non strategico. La pertinente utilità delle speciali armature presuppone colpi cortissimi, in nessun caso campali: quello che in termini moderni si dice «colpo di mano», cozzi di potere e non tradizionali assalti, scorrerie fulminee e non espugnazioni, il ribaltamento di «politiche» guarnigioni, di blindate strutture. Quali un tiranno appronta e difende, asserragliato nel Palazzo, soprattutto quando il «colpo di Stato» si sostituisca alla scaramuccia occasionale. Siffatte lance, una volta scagliate, risultano irrecuperabili, costituiscono addirittura un ingombro, contra producentem è il caso di dire297. L’ossessivo splendore di queste armi non è soltanto esornativo, segnale di fasto epperò del potere. Esso genera formidabile abbaglio: induce terrore298, quale pertiene ad ogni scontro, produce i devastanti effetti di quello che correttamente si dice psychological warfare, con termini non ancora registrati, largamente e ferocemente sperimentato nell’ultimo conflitto mondiale. L’escandescente, monumentale luogo ove si esibiscono le favolose armature non costituisce pertanto un «memorial», termine elargitoci dai vincitori dell’ultima guerra: si tratta invece di un occasionale giacimento, di un devozionale, consacrato deposito. Il cui luogo deputato non può essere che quello formale del culto: il tempio, il massimo tempio, non occasionale, ma di rigorosa pertinenza: nella guerresca fattispecie risulterà quello dedicato ad Ares. Lo dichiara preliminarmente la stessa Ode, con un esplicito, risonante Ȯ & ȶ ȹ Ȼ, nel cui soccorrevole riscatto in altra (e non meno concitata) occasione confida il disperato Alceo299. In difetto di immaginazione critica (ma anche di prag––––––––––––––– 297 L’efficace sintagma proviene dallo spagnolo, ove ha collocazione giudiziaria, significa prova che si ritorce contro chi la ha «prodotta». 298 AMMONIO (128 N.) finemente distingueva: Ȯ ȹȻ ȶ ȷ ȭ Ⱥ ȼȽȳ ą ȹ ȵ Ⱦ ɀ Ⱥ & ȷ ȳ ȹ Ȼ ȴȫȴȹ8 2ą&ȷȹȳȫȊ ȿ&ȬȹȻ Ȯ ą ȫ Ⱥ ȫ Ⱦ Ƚ ȴ ȫ ąȽ&ȱȼȳȻ. Ȯȳ&ąȯȺ ϽȺ&ȮȹȽȹȻ (IV 115)Ȋ ˂ȶ ȫȻ ʿɀȯȳ ȿ & Ȭ ȹ Ȼ Ƚȯ ȴȫ Ȯ ȹ Ȼ , tra valenza continua ovvero aoristica (cf. THUC. II 11 ąȵȲȹȻ ȮȯȮȳ&Ȼ, ove il lessema significa metus, cf. SCHWYZER– DEBRUNNER, GG II 409, 20). 299 Cf. fr. 401 B (a) ... ȴȯȵȯ0ȼȫȻ ʱȭȭȯȵȫȳ Ƚ ȹ Ȼ ȷ ȹ ȴ L ϲȵȴȫȹȻ ȼ ȹ Ȼ ȴȽȵ. Sul valore prevalentemente figurato di ȹȴȹȻ («demeur» vs ȹȴȫ, cf. XENOPH. Oec. I 5), CHANTRAINE, DELG 781. In ALCAE. fr. 311 ȹȴɂ ... ą Ⱥ ȼH, di ȹȴȹȻ ricorre l’unica, ma significativa occorrenza nell’eolico. L’alcaico (non contratto) ȼ ȹȻ risulta eccezionale, ma isolato (v.l.) in HOM. A 117, luogo imitato da Alceo (?).
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matica razionalità) la perentoria indicazione della divinità è stata dichiarata, con incredibile perplessità, «presumably corrupt» (Page, SaA, 210). A individuare u n t e m p i o nello svettante Ȯ & ȶ ȹ Ȼ, termine aulico, ma di tranciante denotazione (non esclusivo soltanto nelle lingue classiche), fu una giovanissima studiosa, già negli anni settanta: provocando sdegnate ripulse, non soltanto nel neghittoso ambito filologico, ma sorprendentemente in quello archeologico. Da parte di irritati censori, né sempre tirocinanti300. Senza sosta, in seguito, ho sollecitata la benemerita filologa a ribattere, persistere nel «decostruire» formalmente, in una prospettiva motivatamente storica, la felice intuizione. Andavo segnalando, da inveterato cultore di Aristofane, un risolutivo passo dei Cavalieri301: ove lo strutturale paradigma devozionale inaugurato da Alceo viene l e t t e r a l m e n t e ripreso, burlescamente sceneggiato, funzionalmente sottratto ad accidiosa latenza, ludicramente rivitalizzato. È il burlesco Demos l’eroe di una illuminazione fulminea, tutt’altro che casuale, né impertinente. Nella burrascosa temperie che tradisce l’esplodere della «controrivoluzione», egli intuisce sbalordito che gli scudi spartani, recentemente conquistati a Pilo, vennero esposti nel tempio muniti dei «bracciali»: quanto dire non «disarmati», pronti al riuso, finalisticamente innescati. Il «sovversivo» Cleone, che lanciò la disfida di Pilo, ne catturò da solo l’agguerrita guarnigione, ne dedicò quindi le armi nel massimo santuario: non eliminandone però le i m b r a c c i a t u r e, dolosamente assicurando all’assalto dei novelli congiurati la immediata disponibilità dei collaudati strumenti. Per l’episodio aristofaneo, né gli esegeti antichi e tuttavia moderni hanno segnalata in Alceo la «scintillante» testimonianza: tutt’altro che latente (o «dormiente», con uno stilema di recente strappato all’architettura), quando filologica dimestichezza fortunatamente intervenga. Nulla di casuale, quindi, in ogni ricerca: «io non cerco, trovo», rivendicava un genio della moderna pittura. Agisce la medesima logica, promossa da curiosità fin lancinante, finalisticamente orientata. Essa non interviene soltanto in ambito letterario, le scoperte archeologiche sono in gran parte dovute a predisposte, progettuali ricerche. Anche nel caso di Pilo, convergente col «paradigma» di Alceo, non fortuite combinazioni, ma intrinseche, perspicaci ibridazioni hanno ripagato. Nella Agorà di Atene, infatti, la induttiva abilità degli archeologi ha recuperato uno degli scudi strappati a Pilo, che Pausania aveva personalmente «visitati»: essi risultano siglati da una vistosa ––––––––––––––– Questi alcaici messaggi sembrano preconizzare le «Lettere da lontano», inviate dall’esule Lenin (1917) ai compagni rimasti a Mosca e Pietrogrado in attesa della rivoluzione, ribadendo una drammatica e «classica» risorsa. 300 Cf. da ultimo DEL FREO, 1993, 390 n. 53. 301 Cf. vv. 843-59, supra, pp. 61ss.
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iscrizione, che ne vanta provenienza e circostanza, orgoglioso sigillo di autenticità, monumento di una non più fantasmatica istoria (supra, p. 78). Lo straordinario evento induce ad estrapolare analoghe circostanze anche rispetto al caso archetipico di Alceo, e a ribadirne procedure costanti non solo ad Atene o a Lesbo, ma persistenti nella civile tradizione di ogni popolo della Grecia: addirittura trasferite nella ellenizzante (ancora una volta non più che rettorica) produzione latina. Decine di forbite (spesso immaginarie) emulazioni sono riemerse infatti nella Anthologia Palatina, innumerevoli persistenze ne abbiamo rilevate nella poesia successiva, nella tragedia, per sollecitazione da Alceo. Ne emerge «una sorta di catena allusiva» (cf. M.G. Bonanno, supra p. 69), incessante di siffatte prove, tra loro solidali, spesso promosse da uno zelo spiccatamente letterario, lautamente fornisce testimonianze pregevoli, anche per il testo dell’Ode. Il corale, ricorrente (e tuttavia dispettoso) esercizio esibisce spesso non accidentale arguzia, il sale primario di ogni ed ambiziosa letteratura. Il fulgore degli alcaici (ma anche arcaici) scudi evolve in «alessandrine» lepidezze, la vanità di ogni nuovo episodio si stempera in aggraziato, e tuttavia patetico «romance»: si direbbe una musicale «romanza», riacciuffando la spinta sentimentale di consimili gorgheggi. Un dissimulato specchio, sembrerebbe, dell’umana fatuità. A vantaggio di Alceo, l’indagine evince ulteriori considerazioni, di carattere formale, ma anche «reale». Se la tessitura «musicale» di siffatte ed incontinenti variazioni è per noi irrecuperabile, nelle modalità inventive e performative fortunatamente soccorre ostinato l’obbligo del ritmo, melico epperò melodico. L’Ode, in realtà una precoce epistula, fu affidata ad un messaggero, risulterà personalmente «verbalizzata», intrinsecamente «intonata»: la primaria componente «psicagogica» resta consegnata ad una rigorosa struttura prosodica e metrica, nitidamente memorizzabile, incisivamente però trasmissibile, fortunosamente ricevibile. La sostanza canora dell’Ode (una «c a n z o n e» quindi, non più un «s o n e t t o») andrebbe altrimenti smarrita, oltre alla sommaria «intonazione» ogni pragmatico sviluppo verrebbe soppresso, la modulazione (in genere contrassegnata da funzionali indicazioni) integralmente abolita. Che resterebbe della ricordata Sopra la lontananza del suo fratello dilettissimo di Bach (cf. supra, p. 28), se la vivida emozione perdesse l’involucro sonoro, in realtà la unica ed autentica forma, a favore dei contenuti verbali, dichiaratamente occasionali, non di rado accidentali, quando non futili? All’incognito «messaggero» si dovrà riconoscere competenza, oltre che professionale, specificamente musica e canora, addirittura restituirgli l’apposito strumento, verosimilmente la cetra? È arduo immaginare la ulteriore «rappresentazione», le performative e più complesse obbligazioni dell’alcaica epistola. Non sono utilizzabili le
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peculiarità dell’italico «sonetto», la cui estensione ed articolazione comunicativa risulta incredibilmente pari nella scintillante, già provocatoria Ode: si tratta di quattordici versi, stroficamente ordinati, un messaggio rigorosamente formalizzato, perché esplosivamente reattivo. La struttura, finalmente recuperata, conferma brevità, speditezza, appassionata urgenza, è destinata a trasmettere vibranti ingiunzioni: persistente emozione. Non casuale, nella esagitata biografia di Alceo. In altra e più disperata occasione (fr. 401 B [a], supra p. 21s.), egli invia ai familiari un messaggero per comunicare «telegraficamente», che Alceo è salvo, cessino pertanto dai funerei singhiozzi: gli Ateniesi – aggiunge con tagliente distacco – hanno sospeso nel tempio di Atena la sua armatura, di cui si era liberato, salvandosi con la fuga (cf. Herodot. V 95 ȿȯ0ȭɂȷ ȴȿȯ0ȭȯȳ, elegantemente riecheggiando Aesch. Pers. 508ss. *ȼȹȳ Ȯ ȵȹȳąȹ ȴʵȽȾɀȹȷ ȼɂȽȱȺȫȻ, / ... ˆȴȹȾȼȳȷ ȴȿȾȭ&ȷȽȯȻ ... / ..., BȻ ȼȽ ȷȯȳȷ ą&ȵȳȷ). Alceo fu due volte testimone della disavventura, nel bene e nel male: la evenienza delle armi precipitosamente abbandonate, cui segue la dolorosa esposizione nel maggior tempio dei nemici. Della prima si libera con l’irridente modello di Archiloco (fr. 5 W.2, a dispetto dello scotto letterario), alla «rimozione» dell’altra provvederà la cifrata Ode: la trionfale prospettiva, cui le fulgenti armature fortunosamente obbligano i congiurati. La precarietà degli esiti è tuttavia priva di sconvolgimento, trionfa la razionalità tersa, che «classicamente» già illumina la sua poesia: la trasforma in paradigma fecondissimo, comportamentale, prima che letterario. Sostituisce agli epici gorgheggi (persistenti nella parallela irrisione di Archiloco) un pragmatismo nuovo, soggettiva, tuttavia politica esaltazione. Alceo si erge, con lucida ma già ironica passione, su un crinale che sarebbe semplicistico designare come «storico». Il suo implosivo canto, pur sostanziato di risonanti forme e stilemi, dei persistenti canoni epici, inaugura un futuro incontenibile, dei cui moduli tuttavia ci nutriamo noi, con sbalordimento. Raffinato, limpidissimo continuatore di secolari trascorsi (certamente anche lesbii), egli è squillante testimone di una civiltà rinnovata, di angolate, geometriche strutture concettuali, rigorosamente prospettiche (balenanti, richiamano Mondrian!): egotisticamente incentrate sull’individuo. Un rivoluzionario paradigma, che la nostra Ode ha evidenziato, che già Saffo aveva esercitato, esaltato. Già sviluppato nella rituale (e tuttavia sofferente) preghiera ad Afrodite, con più drammatica icasticità, nella Ode provocata dalla esasperante gelosia (fr. 31). Scava impietosamente nella propria interiorità, ne rivela con acuminato crescendo i dilacerati patemi: la esibita «tecnica» della descrizione tradisce precocissime competenze medicali, oltre alla consumata esperienza «tonale», di cui musiche curvature sfumano l’assetto.
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La conclusione della incandescente Ode saffica è, ancora, monca, enigmatica. La luttuosa «cadenza» del suo «compianto» risultava (già metricamente) frantumata dalla trasmissione medievale, sconciata dalle moderne elucubrazioni302. A proposito del terminale distico (vv. 15s.): ... ʿȶʹ ȫ6[ȽȫȳȊ ʱȵȵ ąȷ Ƚ&ȵȶȫȽȹȷ, ąȯ †ȴȫ ą ȷȱȽȫ†, il duo Lobel-Page (PLF, ad fr. 31) lapalissianamente sentenziavano «nondum expeditum», disseminando la tenebra di teatrali croci. Non senza avere lamentata la totale assenza di epicismi (?!), denunciata la straordinaria prosaicità del luogo (?). Tuttavia convinto il Page (SaA 30), che nella fattispecie «lo stile è in armonia con il dialetto», che ambedue siano «prodotti di natura, non artificio. Purissimo eolico, autentico stile di Saffo», esilarato suggello. Considerazioni prive di pertinenza, né linguistica, tanto meno stilistica. Una insperata integrazione si deve a Manfredo Manfredi, papirologo attento, discepolo di Giorgio Pasquali303. Restituendo, infatti, nel v. 16 un significativo ȿ ȫ ȷ ȹ ȶʹ ... ʿȶʹ ȫ 6 [ Ƚ ȫ ȳ, egli ha fornito la decisiva (quanto semplicissima) chiave del malinteso «miraggio»304. Basterà constatare, che ––––––––––––––– 302 Significativa, in proposito, una storpiatura (sostanziale, oltre che formale) suggerita da M.L. WEST, «Maia» XXII (1970) 313: non meriterebbe ricezione, se non per scongiurare la fantasiosa attività di irrefrenabili misturatori di testi classici: ąȯ <Ȳȯ&Ȼ Ƚȹȳ> (sic) ȴȫ ą ȷȱȽȫ [ąȵȹ0ȼȳȹȷ ȫɁʹ ʿȲȱȴȯȷ, costituisce da solo insensata vacuità. 303 Cf. PSI [1965], 16s. «Sull’Ode 31 L.-P. di Saffo»: in D. PAGE, Suppl. Lyr. Graec., Oxford 1974, erroneamente attribuita a V. Bartoletti. D.A. CAMPBELL, Greek Lyric, Cambridge M. – London 1990, 80s., disinvoltamente trascrive ʿȶʹ ȫ6ǽȽ[ȫǽ , traduce «and it seems to me», azzerando non solo il greco. 304 Scompare nel v. 15 la ingombrante ϲ<ȭ>ȫȵȵ<ȳ>, vagheggiata amichetta di Saffo: già dichiarata «the worst of many bad guesses» (PAGE, SaA 26). Il nome risultava altrimenti ignoto, veniva taciuto che il complesso terminologico, imparentato con ʱȭȫȵȵȳ ɂ, risulta però usato (LSJ I 5) in malam partem: nella lessicografia viene chiosato da ȵȹȳȮȹȺ ɂ, cf. HESYCH. ȫ 268 ʱȭȫȵȶ&ȻȊ ȵȹȳȮȹȺȫ. Una ulteriore connessione con Taranto è inspiegabile. Ma Agallis è già etera ateniese (RE I 718), nonché una Grammatikerin (cf. ATHEN. I 14d), correttamente anche folgorante nome di fiore: il trasferimento da questo (cf. HHCer. 426 ʱȭȫȵȵȻ era già iris Attica) a persona femminile non è impossibile, cf. BECHTEL–FICK, Griech. Personennamen, Göttingen 1894, 327, ʱȶąȯȵȼȴȱ, Ampelisca (PLAUT. Rud. 1406), con l’evidente vezzeggiativo. Agallide non è sola, né la prima, a scomparire. Notorio è il caso di Arignota (SAPPH. fr. 96, 4), da tempo appigionata chez Saffo, per opera dell’industre Wilamowitz, tollerata dalla VOIGT, che tuttavia scrive un farisaico †Ȳȯȫȯȳȴȯȵȫȷ ʱȺȳ-/ ȭȷ@Ƚȫ†, in luogo di Ȳ ȫȳ ȼʹ ȴ ȵȫȷ ʱȺȳ-/ȭȷ@Ƚȫ (sic), che PAGE, SaA 87, adottò e ... corresse. Noi avevamo vivacemente rifiutato («Maia»
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––––––––––––––– V 1952 [86-92]) il corrente ȼȯ Ȳ ȫ<ȳ> ȴ ȵȫȷ, ϮȺȳȭȷ@Ƚȫ (DIEHL, fr. 98), per quanto insipido e rettorico il supposto vocativo, motivata e riqualificata la pertinente divinità (12x), contestualizzata. L’imbarazzante (?) aggettivo non significa «for all to see», come arioleggia il cit. Page, ma semplicemente «il più riconoscibile», cf. BACCHYL. V 29s., del resto già in ANACR. 347, fr. I 12 P. Ƚȷ ʱ Ⱥ ȭ ȷ ɂ Ƚ ȹ ȷ ȭȾȷȫȴȫ, ma attribuito a ȶ&ȵąˤ nel pur accurato FATOYROS, Index verborum z. frühgr. Lyrik, 53. Uno spicco superlativo anche fra le donne Lidie, ove la ragazza si trova, insiste Saffo, richiamando la splendente supremazia della luna (vv. 611). Ma avevo indicato (p. 90) in Ȱ 108s. l’innegabile matrice del qualificativo: . ȯ Ƚ ʹ ʱ Ⱥ ȳ ȭ ȷ @ Ƚ ȱ ą ȵȯȽȫȳ, ȴȫȵȫ Ȯ Ƚȯ ą ȼȫȳȊ EȻ ˆ ȭʹ ʱȶȿȳą&ȵȹȳȼȳ ȶ ȯ Ƚ ą Ⱥ ȯ ą ȯ ąȫȺȲ ȷȹȻ ʱȮȶȻ, cf. Ȯ 207 . ȯ ȫ Ȯ ʹ ʱ Ⱥ ȭ ȷ ɂ Ƚ ȹ Ȼ ȭ&ȷȹȻ ʱȷ ȺȹȻ, Ȱ 300 (Ȯ@ȶȫȽȫ) . ȯ ȫ Ȯ ʹ ʱ Ⱥ ȭ ȷ ɂ Ƚ ȫ , quindi M 104 (ʵ Ⱥ ȳ ȼ Ƚ ȹ ȳ) ... + Ȯʹ ʿ ą Ⱥ ȯ ą ȯ ȴȫ Ȯȳ ą ȷȽɂȷ, i cui «singolari» tasselli vengono puntualmente mutuati (ed anamorfizzati) da Saffo, ulteriormente elaborati da BACCHYL. 9, 27 ȷ ą Ⱥ ȯ ą ȯ ȷ, BȻ / ʵȼȽȺɂȷ Ȯ ȳ ȫ ȴ Ⱥ ȷ ȯ ȳ ȿ ȱ / ȷȾȴȽ'Ȼ ȮȳɀȹȶȱȷȮȹȻ ȯ 3 ȿ ȯ ȭ ȭ Ȼ ȼȯȵ ȷȫ. Saffo patentemente anticipa il perno strutturale omerico, «traduce» e razionalizza il paradigmatico .ȯȫ nello specifico (v. 21) ȯ ] 6 ȶ ȫ Ⱥ [ ȯ Ȼ (non ancora omerico, ma istitutiva sigla proverbiale in Alceo [69, 7], Teognide [cf. 875 vs ʱȺȭȫȵ ȹȻ], Pindaro, Bacchilide, Democrito [fr. 223 D.-K. ȯ3ȶȫȺ ɂȻ ʵȽȯȺ ȶ&ɀȲȹȾ ȴȫ ȽȫȵȫȳąȹȺȱȻ], etc.), concettualmente però anticipato dal contrastivo, ma qualificante ʱ Ⱥ ȳ ȭ ȷ @ Ƚ ȫ . Il lessema incontestabilmente significa «facilità», operativa e quindi percettiva: per cui è impossibile confrontarsi con gli dèi in tema di «amabile venustà», cf. fr. 132, 1-3 ʿȼȽȳ ȶȹȳ ȴ ȵ ȫ ą ɇ Ȼ , ossessivamente insiste Saffo (cf. 86,1 .ȫȴ ȵȫ.[, immo ʱ ȴ ȵȫ [ą ȳȻ), riprendendo il torbido stilema dedicato a Cleide, sua adorata mignonne, ma non f i g l i a : cf. Suda ȴ 251 Ƚ' ȴ ȫ ȵ & Ȼ ( Ⱥ @ ȶ ȯ ȷ ȹ Ȼ , già POLL. III 71 Ⱥ@ȶȯȷȹȻ Ⱥ ȹ ȶ ȷ ȱ (!), ą ȫ ȳ Ȯ ȳ ȴ , ... ȴ ȫ ȵ ' Ȼ 2 ą Ⱥ ȴ ȫ ȵ ȹ Ȼ ą ȭ ȴ ȫ ȵ ȹ Ȼ ą ȺȫȼȽȹȻ, SAPPH. fr. 27, 4 ȴȫ ȭȺ Ȯ ȼ1 ą ȳ Ȼ ąȹȽ[ ... / (v. 6s.) ... Ȱ ȵȯȸȫȳ, ȴʵȶȶȳ ʱą1 ȽɂȮȯȴ[ (immo ȽA Ȯ ȴ[ Marz.) / ʵȷȮȺȫ ɀ Ⱥȳȼȼȫȳ, schol. ARISTOPH. Vesp. 99 ȴȱȶ'Ȼ ȴ ȫ ȵ & Ȼ (...) ʿȲȹȻ Ȯ ˇȷ ȽȹȻ Ⱥ ȫ ȼ Ƚ ȫ Ȼ ąȳȭȺ ȿȯȳȷ ąȫȷȽȫɀȹ8 Ƚ' ȽHȷ ą ȫ ȳ Ȯ ȳ ȴ H ȷ ,ȷȹȶȫ, perfrequentes autem inscriptiones, cf. KAIBEL, Epigr. 1125, nec non ARISTOPH. Ach. 143s., LUCIAN. Meretr. 287 (3). Anche in italiano (il) «bello» è l’amato (antonomasia), cf. CARDUCCI, Il Re di Tule (XLIII 3) «morì l’amor suo bello» etc. La valenza del peculiare ȴ ȵ ȫ ą ɇ Ȼ del fr. 132, 1 viene illuminata dal modulo da cui discende: Ƚ 353 ʿȼȽȳ Ȯ ȶȹȳ ȭ Ⱥ ȱ ; Ȼ ą ȫ ȵ ȫ ȳ (questo lessema non ricorre in Saffo), modello di rettitudine: ąȾȴȳȷ ȶȮȯȫ ʿɀȹȾȼȫ (cf. Ƚ 345 ȯ ȶ ȽȳȻ ȭ Ⱥ ȱ 8 Ȼ ȼ Ƚ ȳ ą ȫ ȵ ȫ ȳ , ȴ ȯ Ȯ ȷ Ȯ Ⱦ ȫ ). Contro ɀ 359, ą ɇ Ȼ ʵ ȿ Ⱥ ɂ ȷ va confortato da ȼ 216 ą ȫ Ȼ ʿ Ƚ ʹ A ȷ ȴȫ ȶ˦ȵȵȹȷ ȷ ȿȺȯȼ ȴ ȺȮȯȫ ȷ@ȶȫ. La «ripresa» di Saffo è tuttavia motivata, polemica: questa ȴ ȵ ȫ ą ɇ Ȼ si sarà rivelata quanto meno d i s s e n n a t a , inaffidabile, certo riottosa. Addirittura ʵ ɀ ȫ Ⱥ ȳ Ȼ , come suggerisce altro ed omologo frammento (49, 2) ȼ ȶ ȴ Ⱥ ȫ ȶȹȳ ą ɇ Ȼ ʿȶȶȯȷʹ ȿȫȷȯȹ ȴ ʵ ɀ ȫ Ⱥ ȳ Ȼ (cf. ALCAE. fr. 75, 7ss. ȶ ]ȶȷȫȳȶʹȊ ʿȽȳ ȭȺ ą ȳȻ / ]. ȼȶȴȺ[ȹ]Ȼ
Conclusioni
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––––––––––––––– ąȼȮȫȷȹȷ / ]ȷ ȹȮȫ Ƚȳȶ.[). Senza dubbio provocatorio, una sfida alla convenzione, alla tradizione, non soltanto letteraria: oggi si direbbe un irridente outing, di cui si diletta la inquieta pedofilia. Significativa, perché inopinata conferma alla confessione di Saffo, risulta la recente, analoga rivendicazione di una deputata tedesca, ultracattolica: «Questa è la persona che amo» («l’Unità», 6.7.07, che attinge dalla «Bild-Zeitung»). Incredibile è la sottolineatura di Wilamowitz (SuS 55): «“ich glaubte du wärst noch ein Kind, zu jung für die Ehe”, denn das bedeutet ʵɀȫȺȳȻ: ein Grammatiker hat das mit diesem Citat bekräftigt usw.». Il significato del glossematico ʶɀȫȺȳȻ (gratus / ingratus) è in THEOGN. 1340 ȼȹ Ȯʹ, I ąȫ, ɀ ȺȳȻ ˀȼȽʹ ȹ3Ȯȯȶȫ ąȺ'Ȼ ȶȹ8, la cui motivazione risulta dai vv. 1264s. I ąȫ, +Ȼ ȯ9 ˀȺȮȹȷȽȳ ȴȫȴȷ ʱą ȮɂȴȫȻ ʱȶȹȳȬȷ, / ȹ3Ȯ ȽȳȻ ʱȷȽʹ ʱȭȫȲHȷ ȼȽ ɀ ȺȳȻ ąȫȺ ȼȹ (cf. EUR. Or. 466s. ȹ Ȼ ʱą Ȯɂȴʹ ʱȶȹȳȬȻ ȹ3 ȴȫȵ Ȼ), cf. 105, 108. La prima testimonianza dell’amoroso sintagma è in THEOGN. 1350 ȸȯȮ ȶȱȷ ȴ ȫ ȵ ȹ 8 ą ȫ ȳ Ȯ ' Ȼ ʿȺɂȽȳ ȮȫȶȯȻ (cf. 1344, SAPPH. 102, 2), quanto all’ammiccante ȴ ȫ ȵ & Ȼ , cf. KRETSCHMER, GrVInschr. p. 86. Scolara di Pitagora fu ϮȺȳȭȷ@Ƚȱ, cf. RE II 283, non diversamente dalla vagheggiata Agallide (!). Il superstite carme di Saffo (fr. 96) sembra procedere per una ulteriore dozzina di versi, tuttavia inintellegibili, verosimilmente esuberanti, se non estranei. L’estremo dei quali (v. 36 [¯ ˘ ¯ ˘ ¯ ¯] ȯȺȹȷ ȸȹ[ȶ ¯˘ ) costituirà l’inizio di una strofe, cui seguono ulteriori due linee (tuttavia non segnalate, nella edizione della VOIGT, come nello smarrito primo verso). È opportuna qualche considerazione: se ȸ ȹ [ ȶ (?) indica un futuro, augurato ovvero ingiunto dalla protagonista, si dovrebbe attribuire a Saffo la intimazione, indirizzata all’esiliata: che si aggira in preda alla nostalgia, al desiderio di «scomparire laggiù» (v. 18 ȴȲ<ȳ> Ȯʹ ʿȵȲȱȷ), qualora fosse impossibile l’evenienza del ritorno. Non incredibile, se altra volta Saffo esclamava (48,1, cf. ą 23 ˇȵȲȯȻ, ȣȱȵ ȶȫɀȯ, ȭȵȾȴȯȺ'ȷ ȿ ȹȻ) ˇ ȵ Ȳ ȯ Ȼ , †ȴȫ† ą&ȱȼȫȻ, ovvero ȴ ȵ ʹ ą&ȱȼȫȻ Marz., coll. THEOGN. I 511 ˇ ȵ Ȳ ȯ Ȼ Ȯ, ... ȷȲ Ȯ(ȯ), nonché 1249s. ąȫ, ȼ1 ȶ ȷ ȫ 9 Ȳ ʹ ... / ȫ 9 Ȳ ȳ Ȼ ... ˅ ȵ Ⱦ Ȳ ȯ Ȼ : ma già ARCHIL. fr. 78, 3 ȹ3Ȯ ȶ ȷ ȴȵȱȲȯȻ ˇ ȵ Ȳ ȯ Ȼ , ȹ ȫ Ȯ ȿ ȵ ȹ Ȼ , SOPH. OC 327s. I Ƚ ȴȷȹȷ, ˆ ȴ ȯ ȳ Ȼ , ... / Ƚ ȴȷȹȷ, ą ȿȱȷȫȻ, EUR. Alc. 629 ȹ6Ƚʹ ˇ ȵ Ȳ ȯ Ȼ . . . ȴ ȵ ȱ Ȳ ȯ Ȼ , Med. 472 ȯ 9 Ȯ ʹ ą & ȱ ȼ ȫ Ȼ ȶ ȹ ȵ @ ȷ, El. 599 ȴȫȺȳȹȻ ȭȺ ˅ ȵ Ⱦ Ȳ ȯ Ȼ , Or. 212 BȻ ˂Ȯ0 ȶȹȳ ą ȫ Ⱥ ȵ Ȳ ȯ Ȼ. Il topos, pregnantemente, verrà sviluppato da [THEOCR.] XII (ʱȽȱȻ), 1s. ˅ ȵ Ⱦ Ȳ ȯ Ȼ , I ȿȵȱ ȴȹ8Ⱥȯ, ... / ˅ ȵ Ⱦ Ȳ ȯ Ȼ, 3 *ȼȼȹȷ (~ 4, 5, 6) ... 4 ˆ Ȯ ȳ ȹ ȷ , 8 Ƚ&ȼȼȹȷ ʿȶʹ ȯ6ȿȺȱȷȫȻ ȼ1 ȿ ȫ ȷ ȯ Ȼ (cf. VERG. Ecl. I 1 Tityre, tu patulae ... sub tegmine fagi), 23 ȭA Ȯ ȼȯ Ƚ ' ȷ ȴ ȫ ȵ ' ȷ ȫ ȷ ɂ ȷ , ARISTOPH. Pax 823 I Ȯ ȼąȹȲʹ, ˆ ȴ ȯ ȳ Ȼ, Ran. 503 I ȿȵȽȫȲʹ, ˆ ȴ ȯ ȳ Ȼ, TERENT. Heaut. 407 salvum v e n i s s e g a u d e o. Significativo (si direbbe modulare) esempio ricorre nella antica poesia egiziana, che trascrivo dalla mia occasionale fonte (Erik HORNUNG, Altägyptische Dichtung, Stuttgart 1996, 152): «Die Geliebte ist gekommen, mein Herz jaucht, / meine Arme sind offen, sie zu umarmen. / Mein Herz ist so froh an seinem Platz, / wie die Fische in ihrem Teich. / O Nacht, ewig gehörst du mir, / seit meine Herrin zu mir kam!». Superfluo è il richiamo al saffico Ȯ ȮȾȴȯ ȶ ȷ ʱ ȼȯȵ ȷȷȫ. Si ipotizzerebbe, pertanto, un lieto fine: un melodioso «tornerai», purché al corrente ȸȹ[ (comunque incongruo, ignoto a Erodoto e ai Tragici) si sostituisca ȸ[ȯȫȳ. Un paradigma già evidente in Ȓ 27 4 ȼ Ƚ ȯ Ⱥ ȹ ȷ ȫ 9 Ƚ ȳ Ȼ &ȷȽȫ (cf. ȕ 392 ʵɁʹ ʵȺʹ ʱ ȷ ȯ Ⱥ ɀ ȹ ȶ ȷ L , ȫ 317 ȫ 9 Ƚ ȳ Ȼ ʱ ȷ ȯ Ⱥ ɀ ȹ ȶ ȷ L ), esplicito in SOPH. Ai. 858 ą ȫ ȷ 0 ȼ Ƚ ȫ Ƚ ȹ ȷ Ȯ ȴȹ6ąȹȽʹ ȫ 9 Ƚ ȳ Ȼ 4 ȼ Ƚ ȯ Ⱥ ȹ ȷ .
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Conclusioni
la perspicace lettura non solo risponde all’iniziale ȿ ȫ ȷ ȯ Ƚ ȫ ȶ ȹ ȳ ȴȷȹȻ (v. 2 ʿ ȶ ȶ ȯ ȷ ȫ ȳ > v. 15 ʿ ȶ ȶ ȳ, cf., ancora di Saffo, lo straziante 26,11 ʿȭɂ Ȯʹ ȶʹ ȫ6Ƚȫȳ Ƚȹ8Ƚȹ ȼ0ȷȹȳȮȫ, leggiadramente ripreso in Aristoph. Thesm. 476s. ȭA ȭȺ ȫ3Ƚ ... / ȼ0ȷȹȳȮȫ ȶȫȾȽ), ma gli si oppone concinnamente, rovesciando sulla protagonista stessa la trasparenza del fortunato rivale, che con stilema perfettamente parallelo rassomigliava agli dei, lui giovane aitante305. Con risonante epicismo questo risale all’omerico, e già assonante, ȵ 336 ȥ ȫ ȱ ȴ ȯ Ȼ, ąHȻ 4 ȶ ȶ ȳ ȷ ʱ ȷ Ⱥ *Ȯȯ ȿ ȫ ȷ ȯ Ƚ ȫ ȳ ȯ ȷ ȫ ȳ: detto dalla regina Arete, dimostratasi innegabilmente informata di consimili fatti. Saffo ha compiuto, del resto, l’interiore rovesciamento prospettico, figurando se stessa «poco lontana ()ȵȭɂ ąȳȮȯ0ȱȻ) dall’essere morta». Non sfuggirà che il perfetto designa la funerea condizione, tuttavia incompiuta ( ą ȳ Ȯ ȯ 0 ȱ Ȼ, cf. il singolare ɂ 171 ą ȹ ȵ ȵ ' ȷ ą ȳ Ȯ ȯ Ⱦ ȯ Ȼ ˇȶȯȷ), che le consenta la residua capacità di esprimere la propria agonia. Significativo è che il perfetto Ƚ Ȳ ȷ ȱ ȴ ȯ sia caratteristico della sola Odissea, denoti una lacerante consapevolezza della propria fine, finora sconosciuta appercezione: si direbbe che gli «eroi» muoiano senza conoscere la morte, la propria. Una conquista di Saffo, che altrove ricorda come qualcuna si allontanasse (tra sonorissimi singhiozzi), inducendola a proclamare un più avvilito, perché perfettivo Ƚ ȯ Ȳ ȷ ȴ ȱ ȷ Ȯʹ ʱȮ&ȵɂȻ Ȳ ȵ ɂ (fr. 94, 1s.), di cui l’iridescente Plauto (As. 901) registra l’alessandrina eredità: p e r i i s s e cupio. Ma, ossessivamente, Saffo confessava altrove (fr. 95, 11ss.): ȴ ȫ Ƚ Ȳ ȷ ȱ ȷ Ȯʹ ȶ ȯ Ⱥ & Ȼ ȽȳȻ [ ʿ ɀ ȯ ȳ ȶȯ ... / Ȯȱȷ (an [ȶʹ 2ąȵȲȯ Marz., coll. Eur. Med. 57, Hippol. 836s.). Un liberatorio stilema, che significativamente ricorre ancora in Sofocle (OC 1725s. ȶ ȯ Ⱥ ȹ Ȼ ʿ ɀ ȯ ȳ ȶ Ƚ ȳ Ȼ ... / Ƚȷ ɀȲȹȷȫȷ ȼȽȫȷ Ȯ ȯ ȷ): tracciando un percorso interiore, che in Omero sarebbe inconcepibile, nello stesso e pragmatico Alceo improponibile: dilagante in tempi moderni, traviati da un suggestivo «desiderio» della morte (Todesqual). Cui Saffo di nuovo ha creata una geometrica, lucidissima cornice, reciprocamente rispecchiando il baluginio tormentoso della coscienza: con un ribadito ȿ ȫ ȷ ȯ Ƚ ȫ ȳ ȶ ȹ ȳ ȴ ȷ ȹ Ȼ vs ȿ ȫ ȷ ȹ ȶʹ ȶʹ ȫ 6 Ƚ ˤ, che dal livello oggettivo esplode in concinni frantumi: la distruttiva soggettività dell’essere, modernamente predicata. Questa perentoria «cadenza» può finalmente concludersi, interrompe la tensione, esaurita la sconvolgente esperienza. Una ricaduta nell’iniziale guizzo, che esclude ulteriori affronti, ogni e prosastica supposizione. Imbarazza, quindi, il residuo v. 17, di cui ––––––––––––––– 305 Che il giovane Telemaco costituisca il prototipo del saffico ȼ&ȲȯȹȻ ȿ@Ȼ, si evince dal (programmatico) ȫ 32, peculiarmente nel successivo ȫ 124. L’epiteto ȼ&ȲȯȹȻ ricorre 12x nella Iliade, con significativa restrizione nella citata coppia odissiaca.
Conclusioni
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ogni séguito è formalmente, ma già nei contenuti, improponibile. Considerando, infatti, l’avversativo iniziale, sembrerebbe profilarsi l’incitazione a sopportare i tormenti lamentati (ą ȲȹȻ non ricorre prima di Erodoto, nell’unico V 4 per elencare gli ʱȷȲȺɂąȳȫ ą Ȳȱ, negli ulteriori II 171, V 67 quelli «divini», significativamente però celebrati Ƚ Ⱥ ȫ ȭ ȳ ȴ ȹ ȼ ȳ ɀ ȹ Ⱥ ȹ ȼ ȳ): è sembrato un invito alla rassegnazione, che la pur moritura Saffo rivolgerebbe a se stessa. Più indecifrabile resta l’estremo ȴ ȫ (?) ą ȷ ȱ Ƚ ȫ (an ą ȷȱȽȳ? Marz.), che non ricorre prima di Sofocle (Phil. 584), soprattutto se conseguente (ąȯ) alle lamentate «sofferenze». Suggestivo appare, tuttavia, il modulare Soph. Ph. 633s. ʱ ȵ ȵʹ ȼ Ƚʹ ȴȯȷL ą ȷ Ƚ ȫ ȵ ȯ ȴ Ƚ (imprudentemente soppresso dalla Voigt nella citazione, già nel LSJ p. 1803), ą ȷ Ƚ ȫ Ȯ Ƚ ȹ ȵ ȶ ȱ Ƚ . Che significa ben altro, una «indicibilità» però stridente in Saffo, congrua nella temperie tragica, come dimostrerà il connesso Eur. Hipp. 875 ȴ ȫ ȴ ' ȷ ȹ 3 Ƚ ȹ ȵ ȶ ȱ Ƚ ' ȷ ȹ 3 Ȯ ȵ ȯ ȴ Ƚ & ȷ. Il tràdito v. 17 non appartiene quindi alla nostra Ode, la caratura gnomica e stilistica gli garantiscono plausibilità letteraria, alla espunzione integrale (suggerita dal rinascimentale Muretus) si dovrà preferire un materiale dislocamento. In una silloge di carmi saffici esso introduceva, verosimilmente, un carme dello stesso metro, alla fine di una colonna: a questa venne meccanicamente accodato, senza cura né traccia dello sviluppo successivo del canto. Prudentemente, andrebbe confermato nella silloge di Saffo, munito di una coronide (dopo l’iniziale ʵȵȵȫ manca tuttavia una particella connettiva): considerandolo mutilo del successivo corpo, verosimilmente smarrito in una seconda colonna. Il pregio delle fulminanti «canzoni», inaugurate da Saffo, da Alceo (necessariamente però frutto di più diffusa e rivoluzionaria cultura)306, consisteva nell’irruente irrompere di una struttura chiusa, compatta, radicale, con l’unico sollievo dell’obbligo strofico. Una concezione evidentemente capovolta dello spazio figurativo, nella sostanza fantasmatica, frastagliata. Agli epici indugi ora si oppongono il trasalire induttivo, esistenzialmente irripetibile, una abbagliante concentrazione, prodotta da impulsi istintivi, ––––––––––––––– 306 Un pregnante scorcio del diversificato panorama, confluito a Lesbo, sembra affiorare nel discusso SAPPH. fr. 106, in lode del più anziano Terpandro: ą Ⱥ Ⱥ ȹ ɀ ȹ Ȼ , B Ȼ ,Ƚʹ ʵȹȳȮȹȻ ) Ȝ ȼȬȳȹȻ ʱ ȵ ȵ ȹ Ȯ ą ȹ ȳ ȼ ȳ ȷ (cf. 96,8). Il primato che Saffo rivendica a Terpandro testimonia di una coscienza, che si direbbe «multietnica», di cui si alimentava la cultura dell’intero territorio micrasiatico, che in ogni tempo formò una (indivisibile) «Schicksalsgemeinschaft», cf. F. SCHACHERMEYR, Etruskische Frühgeschichte, Berlin – Leipzig 1929, 307. Siffatta contiguità e continuità vengono acutamente evidenziate da Walter BURKERT, Da Omero ai magi. La tradizione orientale nella cultura greca, Venezia 1999, con sensazionale attenzione agli imprestiti di quest’ultima all’altra.
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Conclusioni
apparentemente irrazionali, ritmicamente obbligati. Scatta una allucinatoria esperienza: intraducibile, aguzzamente poetica, tuttavia direttamente (e non «allusivamente») esprimibile negli schemi istituiti, emotivi, cantabili, musicali che fossero. Eccetto la intonazione performativamente musicale, l’«unisono» delle concordi componenti resisterà quale modello privilegiato della «nuova» poesia: fortunosamente denominata «lirica», malgrado la perdita integrale dello strumento originario, melodioso per eccellenza. Il nuovo spazio, conciso, balenante, esclusivo, culmina nella patetica poesia di Saffo, nel canto, protervo e tuttavia malinconico, di Alceo (già di Alcmane, in verità). Quasi nulla si è salvato dei loro «canzonieri», quanto casualmente viene recuperato fornisce modelli non agevolmente declinabili del comporre (ą ȹ ȳ ȯ ȷ), per la esemplarità delle esperienze, ma soprattutto per la vitrea, assoluta qualità delle forme. In questa eccezionale, stringata perché esplosiva qualità, è l’essenza del «classico», un prodotto che pur banalmente si giudicò di prima «classe», ma della massima, travolgente valenza. La figurativa coeva concepisce e si esprime con paradigmi (formali e contenutistici) del tutto paralleli: spazialmente ritradotti, concepiti in un rigoroso stile, contratto ma tutt’altro che monotono, quale Adolf Furtwängler incisivamente definì «geometrico»307. Designano la manieristica fascinazione della virtuosa dimensione, ove ossessivo (quasi un «basso ostinato») è l’ininterrotto supporto di fasce e linee rette, angolate, circolari, concentriche (le cui matrici tuttavia provengono dall’Asia anteriore). Appare quello stesso che il moderno «astrattismo» ha rivendicato (Kandinskij, 1912), con polemica intransigenza308. Persino la mitizzazione della «morte» costituisce un evento non più banalmente o assurdamente deleterio, già in Saffo risulta fantasmaticamente liberatorio, foriero di orizzonti paradisiaci. Ove acquisisce umana inflessione, è godibile riparo dalla disperazione (amorosa): «sottile (ȽȳȻ, quidam) un desiderio mi assale, di vedere le sponde dell’Acheronte, folte di
––––––––––––––– 307 Notoriamente padre di Wilhelm, il più sensibile dei moderni Direttori di orchestra (†1954). La presenza di un cosiddetto «stile subgeometrico», giunto fino al sec. VII inoltrato, segnalava A. RUMPF, Handb. der Arch., VI Lieferung, München 1953, 20. 308 L’iniziatore fu Arnold Schönberg, le cui istigazioni provocano l’esplodere pittorico e teorico di KANDINSKIJ, cf. Über das Geistige in der Kunst (1912). Un lucido repertorio sull’arte astratta è nel prezioso Origini dell’astrattismo: verso altri orizzonti del reale, Catalogo della Mostra nel Palazzo Reale, Milano 18.10.1979-18.1.1980, Milano 1979 (nuovamente ripetuta fino al 24.6.07, «Kandinsky e l’astrattismo in Italia, 1930-1950», Palazzo Reale, Milano).
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roride ninfee» (fr. 95, 11s.). Un desiderio ulteriore, attualmente introdotto da un paradossale ma trascurato ȴȫ (tenus): una trepida, perché incredibile, femminea aspirazione. Nella figurativa l’esperienza della morte ha già ricevuto monumentale riscatto, raffigurato sulla archetipica anfora del Dipylon, che inaugura una serie di esorbitanti suppellettili (cm. 180 max., Metropolitan Museum, New York). Non più illustrata da rudimentali segnacoli, ma ritualmente strutturata da angoscianti griglie di linee, geometricamente ordinate da un rigoroso, ossessivo «contrappunto»: il medesimo cui Johann Sebastian Bach (oltre due millenni più tardi) obbligherà la sua concezione «monumentale» dello spazio, spigolosa e tuttavia protettiva, liberatoria. Riservando significativi riquadri a chi non sopporti l’agonica esperienza, ambisca a una trionfale beatificazione: troneggiano sulle ricurve spalle, in opposti e privilegiati scomparti (in realtà integralmente liberati), due scabre scene in evidenziato contrasto: della «esposizione» e quindi del «trasporto» finale (ąȺ&ȲȯȼȳȻ ed ȴȿȹȺ ) del cadavere, drammatiche e già tragiche sequenze. Con severo «contrappunto» si dispiega, con superba fascinazione, l’allineamento dei congiunti in lacrime, ordinati su due registri di silhouette, di cui emblematico indizio è la spada per gli uomini, l’abbozzo dei seni per le donne. Ma lo stesso sudario funebre risulta svolazzare, sollevandosi per scoprire il cadavere, suggerirne la prospettiva, identificarne la figura, una estrema e sempiterna volta. Sono queste, nella sostanza, le incisive parole di Andreas Rumpf, che mi anticipava in una lontana sera, nel giardino della sua casa a Colonia309. Il pittore di questo grandioso manufatto è tuttavia più anziano dello stesso Alceo: ambedue testimoniano la medesima visione, un modello di rappresentazione essenziale, linearmente concepito, scandito liricamente, epperò desultoriamente rappresentato. Con sorvegliata, ma inusitata eleganza, essi realizzano un modello, impropriamente detto «arcaico».
––––––––––––––– 309 Abitava (ancora nel 1955) in una villetta a sud della città, sulla riva del turbidus et torquens flaventis Hister harenas: non lontano da quella di Günther Jachmann, al cui magistero mi sentivo, per mia fortuna e conforto, già da qualche anno affiliato. Erano vecchi contubernali di Giorgio Pasquali, mio sagace ȮȳȮ ȼȴȫȵ&Ȼ Ƚȯ ȴȫ ˂ȭȯȶ@ȷ.
INDEX LOCORUM Aelian. VH XII 30................82, n. 148 Aesch. Agam. 577-82 ...................... 12s. 578s. ............................56 581.................... 13, n. 21 807ss. .............55, n. 101 1346.............................57 1649-54......... 37s., n. 69 1650.............................57 Sept. 242s. ............................21 384..... 87, n. 159, 88, 90 397s. ............................47 411.................... 49, n. 83 495s. ..........................105 676................140, n. 282 1036...........................105 fr. 74, 7ss. R. ..............89, n. 168 fr. 356 R. ...............................124 [Aesch.] Prom. 415ss. ....... 123s., n. 249 625................... 15, n. 26 732................... 53, n. 97 Aeschin. II 157......................86, n. 157 III 116 ....................71, n. 128 Alcae. fr. 6, 9s.......................... 49, n. 83 fr. 69, 1ss. ...................63, n. 115 fr. 70, 10........................ 36, n. 67 fr. 72, 6ss. ................................32 fr. 72, 7ss. ................... 24, 33, 72 fr. 112,10....................... 50, n. 87 fr. 117, 29.................................58 fr. 129............................ 29ss., 55 fr. 129, 2s. ................................52 fr. 129, 14ss. ................. 37, n. 68 fr. 129, 16ss. ........ 29, n. 53, 43s. fr. 130 (a), 1ss............... 30, n. 54 fr. 130 (b), 7................95, n. 176
fr. 130 (b), 11s. ...........58, n. 105 fr. 179 ....................... 133, n. 273 fr. 208 a,1s. 30, n. 54, 36, n. 67, 58, n. 105 fr. 298,1ss....................55, n. 101 fr. 298, 20s. ......... 34, 93, n. 172 fr. 298, 26................. 113, n. 224 fr. 306Ae, 5ss. ............97, n. 179 fr. 310 ...............5, n. 3, 40, n. 70 fr. 325,1 .........................40, n. 70 fr. 332, 1s. ...............................24 fr. 335, 2 ...................................42 fr. 350, 1 .........27, n. 50, 83, 123 fr. 383, 2 ..........................9, n. 12 fr. 388 ................... 81, n. 146, 89 fr. 401 B (a,1) ............. XV, 149, n. 299, 152 fr. 429 ..........................64, n. 118 Alcm. fr. 8, 9 P....................................25 Anacr. 347, fr. I 12 P. ........ 154, n. 304 fr. 388, 5 P. ..............................58 fr. 504 P.................. 22, n. 39, 23 AP VI 52,1s. (Simon.)....................67 VI 121,2s. (Callim.)....67, n. 121 VI 123 (Anit.) ..........................67 VI 124, 1ss. (Leonid.)68, n. 124 VI 128, 1s. (Mnas.) ....67, n. 121 VI 129,1s. (Leonid.)...68, n. 124 VI 163 (Meleag.) . 68, n. 124, 70 VI 202,1s. (Leonid.) .......... 126, 143, n. 289 VI 215 (Simon.) ...........13, n. 23 VI 272, 1s. (Pers.) ................ 126 VI 358 (Diot.).......... 126, n. 256 VII 430, 1s. (Diosc.)..68, n. 124
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Index locorum
VII 561, 6 (Iul.)..........69, n. 125 IX 322 (Leonid.).....................67 IX 323 (Antipat.) ....................68 APlan. 6 ..................................68, n. 124 Apoll. Soph. 106, 20ss............ 25, n. 47 122, 30........................... 18, n. 30 Archil. fr. 3, 3ss. ..............................123 fr. 5 ...... 7, n. 7, 20, 23, 93, 152 fr. 24, 4 ......27, n. 50, 74, n. 133 fr. 25, 2 ....................................95 fr. 30 ...........................88, n. 165 fr. 31 ...........................88, n. 165 fr. 102 .......................101, n. 188 fr. 119 .........................99, n. 181 fr. 124b3 ...................... 27, n. 50 fr. 128, 5 ....................... 30, n. 54 fr. 146, 7s. ................109, n. 214 Aristoph. Ach. 575s. .........................87 Av. 290-3 .................................86 435 .....................................99 1709ss......................... 6, n. 5 Eccl. 1...........................99, n. 181 Eq. 450-7 .......................... XXVI 843-59 ................150, n. 301 860ss....................... 27, n. 50 862 .....................................63 Lys. 592 ............................. XXIX Nub. 268......................92, n. 170 Pax 1172ss...............................89 Plut. 454 ............................... XXI 935s. ................................ 57 951...................................99 Vesp. 15ss....................87, n. 158 822 ................................99 968ss. ................55, n. 101 fr. 18 K.-A. ...............104, n. 198 fr. 240 K.-A.............................99 fr. 850 K.-A.............................89 Aristot. HA 493b29 ...........115, n. 231 Poet. 1450b 17............... 28, n. 50 1453a 29s..............XXXIII [Aristot.] Rh. Alex. 1430a29 ...... 4, n. 2
Arrian. Parth. fr. 20 St. .................... 134 Tact. III 5................. 134, n. 275 Athen. XIV 627 ab...............XVII, 3ss. Auson., Praef. XII........................... XX Bacchyl. 9, 27 Sn. ............... 154, n. 304 18, 59 Sn........................18, n. 32 20B 13 Sn..........................6, n. 5 Bach J.S., Sopra la lontananza del suo fratello dilettissimo ......... 28, n. 50, 151 Callim. Hymn. V 19ss. ........ 132, n. 272 fr. 202,27s. Pf....................XXI fr. 715 Pf.....................51, n. 88 Cass. Dio XLIX 30 ....105, 114, n. 228 Catull. VIII 3..........................74, n. 133 IX 1ss. ..........................27, n. 50 Cic. orat. I 60 (255) ................64, n. 117 fin. XXVII 65..............82, n. 148 Corn. Nep. Iphicr. I 2ss. ..... 103, n. 193 Cratin. fr. 18 K.-A. ....... 82, n. 148, 86, n. 156 fr. 179 K.-A. ..............89, n. 168 Crit. fr. 37 D.-K. ................61, n. 112 fr. 44 D.-K. ..................20, n. 36 Demosth. XIII 26 ..............................72 XV 35 ................................71 LVII 64...................33, n. 64 Diod. S. I 55.......................................77 IV 10, 3s.............................77 XII 5 ......................75, n. 136 XII 53 ..........................4, n. 2 XIII 24,5s..............72, n. 131 XV 53, 4 .............................78 Diog. L. I 50,3s................... 119, n. 242 I 78........ 29, n. 53, 37, n. 68 Diogen. VI 24 (=Apost. X 100)86, n. 155 Dion. Hal. II 34 ... 20, n. 35, 77, n. 139 imit. VI 2, 8..................4, n. 2 comp. VI 19, 7..............4, n. 2
Index locorum
Etym. M. 460, 14ss. .............142, n. 287 Eupol. 99, 28 K.-A. ..............64, n. 119 Eur. Alc. 1079 .................................42 Andr. 1093 ...............................51 1122 ....... 51, 54, n. 99, 61 Cycl. 38s.....................109, n. 214 El. 6s. ............................ 52, n. 92 585 .......................... 27, n. 50 598 .......................... 28, n. 50 1000s. ..................... 52, n. 91 Heraclid. 693-701.....................54 HF 190ss. .................107, n. 209 476......................... 53, n. 97 Hippol. 288ss................72, n. 130 836s.............................156 Ion 219ss........................ 51, n. 89 IT 74s. ......................................52 Med. 212 .......27, n. 50, 28, n. 50 387s...................... 51, n. 90 472..................... 27s., n. 50 Or. 212 ....................... 27s., n. 50 Phoe. 138......................... XXXIV 203........................ 53, n. 97 654s. ................................ 88 Suppl. 188s...............................35 Tro. 573ss...................... 52, n. 92 fr. 373 N.²........ 122, 122, n. 247 [Eur.] Rh. 154ss................................. 55 178ss.................................56 410..................................106 469s. ...................... 14, n. 24 Eust. 1319, 65s. ........................... 3, n. 1 1483,42............................... 5, n. 4 Gell. XIX 7,16................................ XXI Gorg. fr. 11,17 D.-K. ............. 53, n. 97 A 4 D.-K........................... 4, n. 2 Harpocr. ȴ 96............ 125, 143, n. 289 ȵ 31 .......................85, n. 153 Hellanic. FHG 4 F, 71a J. ...... 22, n. 39 Hermipp. fr. 55 K.-A. ............. 15, n.26
163
Herodian. IV 15 ................. 134, n. 276 Herodot. I Praef. ........................4, n. 1 I 14..................... 116, n. 234 I 59.................................. 117 I 60... 58, n. 106, 63, n. 115, 99, 112 I 120..........................8, n. 11 I 171...................................81 I 181................... 130, n. 268 II 152 ........................97, 127 II 154 ................ XXXVI, 98 II 178 ....................98, n. 180 II 182 101, n. 188, 133, n. 273 III 47..........101, n. 188, 103 III 82.......................36, n. 67 III 97.................. 115, n. 231 III 106 ............... 103, n. 195 III 127 ...............................35 IV 180................................99 V 24 ..................... 27s., n. 50 V 36 ......................58, n. 105 V 80 .......................... XXXV V 94 .................................XV VII 25 ................ 104, n. 197 VII 34 ................ 104, n. 197 VII 36 ................ 104, n. 197 VII 61 ................ 109, n. 216 VII 72 ................ 100, n. 184 VII 86 ................ 108, n. 212 VII 89 ............................. 104 VII 92 ................ 140, n. 282 VII 104 .................98, n. 181 VIII 3......................36, n. 67 VIII 37.....73, 75, n. 134, 77 VIII 64..................... XXXV IX 61 109, n. 216, 115, n. 229 Hesiod. Th. 811.....................................7 Op. 72 .....................................11 Op. 106 ................... 113, n. 223 Op. 210 ......................58, n. 105 fr. 43a 4 ...........................7, n. 8 [Hesiod.] Scut. 286 .............. 108, n. 211
164
Index locorum
Scut. 122...............132, n. 272 Hesych. ȫ 293 ....................................93 2606 ....................... 53, n. 97 6353 ....................... 32, n. 61 6645 ...................147, n. 294 7308 ......................... 9, n. 12 ȭ 154 ......................... 13, n. 22 968 ......................... 51, n. 89 Ȯ 73 .......................124, n. 250 ȯ 341 .....................107, n. 210 344 .....................107, n. 210 ȱ 955 .....................142, n. 288 ȳ 305 ........................... 8, n. 11 311 ........................... 8, n. 11 324 ......................... 34, n. 64 ȴ 818 ......................81, n. 145 2138 ....................... 49, n. 84 2168 ...................108, n. 212 4796 ................................XV ȵ 11 .........................60, n. 111 1284 ..................................88 ȶ 293 ............................. 7, n. 9 483 ......................... 10, n. 13 1442 ................................110 ȹ 799 ....................................94 1987 .....................61, n. 114 1997 . 81, n. 146, 84, n. 152 ą 109 .......................73, n. 133 121 .......................74, n. 133 2869 ..........................XXXV 3051 .....................61, n. 114 ȼ 995 ............................. XXIX 1586 ...................123, n. 248 2430-1................105, n. 202 Ƚ 172ss.......................XXXIII 327 ......................... 11, n. 16 922 .......................90, n. 168 1209 ..................................57 ȿ 78 .......................115, n. 231 84 .......................115, n. 231 125 .......................91, n. 169 843 ......................... 17, n. 29
1006................... 118, n. 240 ɀ 35..........................74, n. 133 84....................... 123, n. 249 120..................... 124, n. 249 HHAp. I 10 ............................93, n. 172 HHCer. 171 .........................................10 426.................................... 153, n. 304 HHMerc. 178ss......................................7 246, 252.................................8, n. 11 HHVen. V 65......................................12 113........................... XXXV Hippocr. Offic. XXIII 2 ..... 147, n. 294 Hom. Ȓ 273s. .................................. 113 495........................................25 ȓ 200ss..................... 114, n. 226 204s. ..........................18, n. 31 527ss.................................. 101 542s. ..................... 124, n. 249 544.............................18, n. 33 602..............................XXXIV 777s. ............................9, n. 12 804s. ............................ XXXV Ȕ 48 ...............................XXXVI 336s. .....................................91 440........................ 122, n. 245 ȕ 132-7 ................................. 129 141........................................93 438..............................XXXIV 446ss.................................. 110 449..................................... 111 Ȗ 213..........................................9 529-32 .......................29, n. 51 ȗ 6 ............................ 115, n. 231 301..............................XXXIV 469s. .....................................90 Ș 77ss.......................................13 Ț 527.............................49, n. 83 ț 75ss....................... 131, n. 271 251-3 ........................... XXXII 267..........................................8 287........................ 102, n. 190 420............................... XXXV
Index locorum
Ȝ
ȝ Ȟ
̑ Ƞ ȡ
Ѣ Ȣ ȣ
424s..............................XXXV 431 ........................108, n. 213 513 .....................................108 15s.........................129, n. 264 19...........................129, n. 265 191 .....................................110 593 .....................................109 270s. .....................118, n. 240 319ss. ....................117, n. 236 125ss. .................................115 130 ........................108, n. 214 132s......................................91 191s.......................128, n. 263 228 .....................................110 255 .....................................128 330s......................................93 337-44............................. 115s. 340-3....................................93 438ss. .................................111 439ss. .. 18, n. 33, 102, n. 190 488 .....................................109 614s......................................92 835s......................................25 9ss. ........................132, n. 272 75-9 .......................128, n. 262 371s.......................128, n. 263 495 .....................................110 561-4......................... 29, n. 51 710 .....................................109 170ss. ....................118, n. 241 210ss. ........................ 114, 117 211 ........................113, n. 223 215-7..................................115 216ss. ...................................95 563 ........................110, n. 217 633ss. ....................110, n. 218 266ss. ........................ 18, n. 31 268 ........................109, n. 216 37...................................... XVI 373ss. ....................132, n. 272 375ss. ....................132, n. 272 379s.......................132, n. 272
165
Ȧ 119-125 ................ 131, n. 271 409....................................XVI ȧ 479..................................... 121 ȭ 324s. .................................. 121 ȯ 37 .......................... 108, n. 212 Ȱ 108s. ..................... 154, n. 304 183........................................94 Ȳ 523-30 ..............................XVI ȶ 201-33 ............................... 145 312............................... XXXII ȸ 34 .......................... 107, n. 208 487ss..................... 126, n. 254 Ƚ 172ss. ....................... XXXIII 234........................................91 353........................ 154, n. 304 Ⱦ 271..................................... 113 ɀ 440.............................11, n. 17 ɂ 229s. ..................... 101, n. 186 Horat. c. I 32, 5s. ........................4, n. 2 I 36,1ss.....................27, n. 50 II 7, 9 .......................20, n. 36 II 13, 26.......................4, n. 2 IV 9, 7s. .................... 4, n. 1s. s. I 1,23ss. .........................XXI II 6,79-83.............. XXXVIII Ibyc. 286,6s. ................................XXIX Ion, fr. 59 Sn. ...................... 142, n. 288 Lucan. IX 29ss.................... 147, n. 294 Lucil. fr. 305 M. .....................99, n. 181 fr. 955 M..................................XV Lucret. I 826.................................XXIV Mart. II 57, 5s. .................... 103, n. 193 Menand. Dysc. 438.................81, n. 145 Epitr. 399 ........................XIX Mimn. fr. 12, 6 ....................................17 fr. 13a,1 ............. 17, n. 28, 109, n. 214, 112 fr. 14, 2s. .............................. 116
166
Index locorum
Nicostr. 30 K.-A., 1ss............. 20, n. 36 Nonn. XXII 183 .................115, n. 230 Ovid. Her. XV 155...................... XXIX Paus. I 15, 4 . 59, n. 109, 70, n. 128, 78 I 21, 5ss. .....................101, n. 188 I 27, 1 .....................70, n. 128, 78 VI 10,2 ......................................97 VI 23,7 .........................71, n. 129 X 419, 4.....................................79 Pherecyd. 158 J........................ 28, n. 50 Philem. fr. 17 K.-A. ..............86, n. 156 Pind. I. I 23s. .....................................97 I 72 .............................. XXXIV O. VII 86....................... 10, n. 13 VIII 76...................... 23, n. 42 P. II 88 ........................58, n. 105 Plat. Com. fr. 71, 12s. K.-A..............86 Plat. Leg. 931a...................................31 Phaed. 60c...................... 28, n. 50 Resp. 398e....................... XXXIV 470b...................... 36, n. 67 Plaut. Amph. 1067 ..................... 8, n. 10 As. 901 ...................................156 Aul. 561-8...................81, n. 145 Ep. 153................................. XIX Miles 1-4 ....................6, n. 5, 132 681.................................XX Pseud. 725ss..............................39 Trin. 39 ..................................... 32 Plin. NH VII 56, 2ss. .........82, n. 148 XIX 6, 25.........101, n. 188 Plut. Artax. X 2s. .................89, n. 162 capit. descr. 273 c/d.....72, n. 131 gen. Socr. 598d ............... 20, n. 35 Pelop. 12......................... 20, n. 35 Timol. 31......................71, n. 128 Crass. XXIV...................... 6, n. 5 Poll. I 72...............................74, n. 133 I 80 ................................ 11, n. 16 I 149 .................................. 6, n. 5
I 185 .......................... 123, n. 247 II 108 ..............................XXXVI II 170 ........................ 142, n. 288 II 181 ........................ 123, n. 247 II 188 ........................ 143, n. 289 III 71......................... 154, n. 304 III 98..............................13, n. 22 VII 58ss.................... 125, n. 252 VII 60 .................................... 142 IX 41..............................51, n. 88 X 145 ..................................... 122 Polyb. V 8,9............................75, n. 136 XI 9........................................ 132 XXX 25, 9................ 134, n. 275 XXXI 3 .................... 134, n. 275 Pomp. Trog. XLI 2, 10................... 134 Quintil. III 11,18 ............................XIX IX 4,18 ......................... XXXII X 1,63......................................4 XII 11,2....................64, n. 117 Sapph. fr. 17, 9ss. ................................31 fr. 26, 11 ................................ 156 fr. 27, 4 ..................... 154, n. 304 fr. 31 ..................... 147, 152, 153 fr. 48, 1 ............ 27s., 155, n. 304 fr. 49 ............................74, n. 133 fr. 86, 1 ..................... 154, n. 304 fr. 95, 11s. ............................. 156 fr. 96, 4 . ................... 154, n. 304 fr. 96, 8 ..........................48, n. 82 fr. 98b, 8 ..................................30 fr. 105a........................... XXXIII fr. 106 . ..... XXXVI, 157, n. 306 fr. 132, 1-3................ 154, n. 304 fr. 213A b,7.................97, n. 179 Schol. Aristoph. Pl. 450..... 130, n. 268 Vesp. 1195 .130s., n. 268 Vesp. 99...... 154, n. 304 Schol. Eur. Andr. 1093 ...........51, n. 89 Schol. B Hom. I 378 .............83, n. 149
Index locorum
Schol. Hom. ȕ 133 .............130, n. 270 [Simon.] fr. 108 (=AP VI 215). 13, n. 23 Simon. fr. 608, 1a P. ..... XVI, 21, n. 37 Solo, fr. 10 Diehl2 ...............119, n. 242 Soph. Ai. 615.......................100, n. 183 OC 378s. ...................109, n. 214 1725 .................................156 Ph. 633s..................................157 882s......................... 28, n. 50 Tr. 183........................... 53, n. 97 fr. 126 R......................74, n. 133 fr. 426 R....................109, n. 214 Sophr. fr. 22 K.-A..............................64 fr. 29 K.-A. ...................... 5, n. 4 Steph. Byz. s.v. țȫȺȫ..........81, n. 143 Strab. III 3, 6 .......................103, n. 193 VII 7, 6........................77, n. 139 XIII 622....................101, n. 188 XVII 805 ...................... 51, n. 88 Suda ȫ 3289 ................................ 4, n. 1 ą 316 .................................. XXVI 2090...........................64, n. 120 2717 .........................81, n. 145 ȼ 1005s........................... 36, n. 67 Suet. Tib. 56 ................................. XXXI Terent. Eun. 422-32....................... XIX 548............................XVII [Theocr.] II 64 ............................. XXIX X 28 ...............................XXX XX 45 ............................XXX XXV 59............................XV Theogn. 864...........................89, n. 168 1177s......................... 49, n. 83 Thuc. I 132 .............................. 53, n. 97 II 13..........................................52
167
II 76 .............................74, n. 133 III 57.................................. 61, 64 III 114.. 13, n. 21, 59, n. 108, 75, 99 Timoth. Pers. 791, col. II 15,15 .... 141 Turpil. fr. 191 R.......................27, n. 50 Tyrt. fr. 7, 1 ......................... 110, n. 219 frr. 10-12 .......................19, n. 34 fr. 11,38 ....... 28, n. 50, 98, 108s., n. 214 fr. 12, 15 ........................31, n. 57 fr. 19, 7 ............................. 17, 108 fr. 19, 12 ................................. 108 Varr. LL V 116, 4 .................82, n. 148 Veget. Epitome de re militari 134, n. 275 Verg. Aen. I 203.................. 145, n. 293 III 637 ............... 132, n. 272 VI 687-702.............27, n. 50 VII 177ss........... 143, n. 290 IX 705ss. ........... 129, n. 267 X 1 ............................9, n. 12 XI 769ss. ........... 133, n. 274 Xenoph. An. III 4, 48........ 134, n. 275 IV 7, 15..................... 104 V 4, 13 ......... 104, n. 198 VI 5, 27........ 110, n. 217 Cyr. I 3,10 .................72, n. 130 VI 1, 42 ....................... 112 VI 4, 1 ............ 134, n. 275 Eq. XII 4 ............................ 104 XII 8ss. .......... 134, n. 275 HG V 4, 8ss...........................76 VI 4,14 ..............76, n. 138 VII 4, 23 ........ 109, n. 214
INDEX VERBORUM ϲȭȫȵȵȳȻ ................................153, n. 304 ʵȭȫȵȶȫ ...................................93, n. 172 ȫȽȳȹȷ ........................................ 24, n. 43 ȫȼɀȺ&Ȼ...................................55, n. 101 ʱȴȺȹȲȷȳȫ............................................. 54 ʱȴȺ&ąȹȵȳȻ................................... 8, n. 11 ʱȵȫȵ ......................................... XXXIV ʱȵȫȵȱȽ&Ȼ ................................... XXXIV ʱȵȵȫȵ&ȴȫȴȹȻ..........................95, n. 176 ʱȵȵ&ȭȵɂȼȼȹȻ ........................... XXXVI ʱȵȵȹȮȫą&Ȼ ...............................XXXVs. ʱȵȵ&ȲȺȹȹȳ.................................. XXXVI ʱȶ ȺȾȭȶȫ..................................... 7, n. 8 ʱȷȫȷȹȶȫȳ ................................. 42, n. 75 ʵȷȮȺȯȻ .................................................. 97 ʱąȹ- / ȴ-...............................60 n. 109 ʱą' Ȳȫȵ ȼȼȱȻ ...................................97 ʱąȹȲ0ȶȳȹȻ................................. 32, n. 61 ʱą&ȼąȫȼȶȫ (- Ƚȳȹȷ) .........147, n. 294 ʱȺȭ&Ȼ ........................................ 49, n. 83 ʱȺȭȷɂȽȹȻ (-ȱ)....................154, n. 304 ʱȼąȳȮ&ȮȹȾąȹȻ....................................97 ʱȼąȻ..................................................106 ʵȼȾȵȹȷ................................................. 51 ʵɀȫȺȳȷ ɀ ȺȳȽȫ ......................69, n. 125 ʵɀȫȺȳȻ ...................................154, n. 304 ȬȫȺȬȫȺ&ȿɂȷȹȳ ...................................83 Ȭȫȼȳȵȯ0Ȼ ............................................117 Ȭȫȼȼ Ⱥȫ ..............................125, n. 252 ȭ ȷȹȻ......................................... 13, n. 22 Ȕ ȼȽȺɂȷ.............................................. 64 ȔȵȫȾȴɂąȯȹȷ ........................... 21, n. 38 ȭ&ȹȻ.................................................. XVI
ȭȺȱ;Ȼ.................................... 154, n. 304 ȭ0ȫȵȫ........................................51, n. 89 ȮȫȴȽȾȵ&ȮȯȳȴȽȹȻ...................................33 (Ȯ ȶɂ) Ȯ ȶȫȻ............................11, n. 14 Ȯȳȫȵ ȭȯȼȲȫȳ..............................31, n. 57 Ȯ&ȶȹȻ ................... 8, n. 11, 9, n. 12, 153 ȮȺ&ȶȹȻ .......................................51, n. 88 ȯȫ Ȯ ........................................41, n. 72 ȯȺȳȫ (Ȯ ȷȮȺȯȫ) ................... 103, n. 195 ȴȿȹȺ ............................................... 159 ȵȯ0ȲȯȺȹȻ .............................................32 ʼȵȴȹąȹȳ&Ȼ.............................................49 ȷ ȲȾȶN ........................94, 116, n. 232 ąȯ Ȯ..............................................23s. ąȼɀȯȻ ....................................60, n. 110 ąȼȱȶȫ.....................................49, n. 86 ʿȺȭȹȷ .................................................56s. ȺȱȺȯȻ ʼȽȫȺȹȳ ................................ 145 ʼȽȫȳȺȫ ......................................37, n. 68 ȯ]6ȶȫȺ[ȯȻ ............................. 154, n. 304 ȯ3ȽȺȯąȰɂ............................................41 ȯ3ȴȷȶȳȻ.....................................100, 140 ˇȲȹȻ..........................................4, n. 2, 43 ˇȽȺȹȷ.................................... 142, n. 288 Ȳ@Ⱥȫȸ................................................ 131 ȯȺ&ȷ ........................................73, n. 133 ȯȺȹȼȾȵ ɂ.............................. 33s., n. 64 ąą&ȶȫɀȹȻ ........................... 108, n. 213 ąąȹȼ0ȷȱ.......................................... 108 ąą&Ƚȫ ............................................107s.
170
Index verborum
ȼȽȹȺȫ........................................3s., n. 1 ȽȾȻ ...........................104, n. 196, n. 199 ȴ ȵȫ ą ɇȻ ............................154, n. 304 țȫȺȳȴ&Ȼ................................................ 82 țȫȺɂȷ..............................85, n. 154, 86 ȴ Ƚ .......................................................17 ȴȫȽȫȬ ȵȵɂ .................................. 6, n. 5 ȴȫȽ ȼȴȳȹȻ............................... 48, 88, 90 ȴȫȽ ȿȺȫȴȽȹȻ ąąȹȻ...........134, n. 275 ȴȫȽ ąȯȺȲȯȷ, ȴȫȽ0ąȯȺȲȯȷ..................10 ȴ ȽȹąȽȺȹȷ ...........................132, n. 272 ȴȯȳȶȵȳȹȻ .............................................. 32 ȴ ȵȱȻ......................................108, n. 212 ȴ ȺȮȹȻ .................................................. 56 ȴȷ ȶȳȻ .................................................100 ȴȹȵȹȻ ...................... 17, 51, n. 89, 104s. ȴȹȼȶȽɂȺ107, n. 209, 117, 118, n. 241 ȴ&ȼȶȹȻ (ʵȴȹȼȶȹȻ) .................69, n. 125 ȴȺ0ąȽɂ.................................. 14s., n. 26 ȴȾȷ.........................................92, n. 170 ȴ0ąȫȼȼȳȻ ....... 126, n. 255, 130, n. 269, 143 ȴɂȴ0ɂ............................................. XVs. ȵȫȬ ........................................60, n. 111 ȵ ȿȾȺȫ .............................56, 76, n. 137 ȵȯȾȴ&ȵȳȷȹȻ ............................103, n. 194 ȵȳȷȹȲ@Ⱥȱȸ.................... 101, n. 188, 127 ȵȷȹȷ ......................................103, n. 194 ȵ&ȭȹȻ..................................................113 ȵȹȭȹȮȫȮȫȵȹȻ ...................................XX ȵ&ȭȹȻ ȶ ȭȫȻ............................. 53, n. 97 ȵ&ȿȹȻ.......................... 81, n. 146, 87, 89 ȵȹȿȳ ɂ................................................. 88 ȵ&ȿɂȼȳȻ ............................................... 87 ȵȹɀȽȱȻ................................................. 40 ȵȾȴȳȹȯȺȭȻ .......................... 84s., n. 153 ȵɂȺȴȳȹȷ ............................ 130, n. 268s. ȶȫȺȶȫȺɂ ........................................... 5s. ȶȫȺȶȫȺȾȭ .................................. 7, n. 8
ȝ ȭȫȺȫ.................................... 9s., n. 13 ȶ ȭȫȺȹȷ ......................................9, n. 13 ȶ ȭȫȻ ʲȭ@ȷ ...........................56, n. 103 ȶ ȭȫȻ Ȯ&ȶȹȻ ...............................7, n. 10 ȶ Ƚɂąȹȷ...............................................58 ȶȽȺȱ..................................... 130, n. 270 ȶȹȷȹȴȹȳȽ ɂ ...................................XXIX ȶ&ɀȲȹȻ ..................................................30 ȶ8ȲȹȻ.................................................. 118 ȝȾȺȼȷȱȹȷ..................................9, n. 12 ȷȫ8ȹȻ ...........................................8, n. 11 ȷ ȹȻ .................................................... 105 ȷȱ&Ȼ..............................................8, n. 11 ȹȴȫ, ȹȴȹȻ.......... XV, 5, n. 3, 8, n. 11, 149, n. 299 ȹȴȹȾȺȯȷ (-ȱȶȫ) ....................55, n. 101 )ȵȹȵȾȭ .....................................XXXIV *ȵɂȻ...........................................25, n. 47 (ȶȳȵȫȮ&ȷ .................................94, n. 174 (ȶȹȿȺȹȷ ɂ ((ȶ&ȿȺɂȷ) ......................94 *ȶɂȻ...............................................3, n. 1 (ąȵȰɂ (-ȽȱȻ)................... 19, n. 34, 97 )ȺȯȴȽ&Ȼ......................................18, n. 30 ,ɀȫȷȹȷ.............................. 61, n. 114, 81 ą ȲȹȻ ................................................ 157 ąȫȭȷȳȹȷ....................... XXI, XXXVIII ą ȵȫȳ....................................73s., n. 133 ȡȫȷȫɀȫȳȹ (ȡȫȷ ȵȵȱȷȯȻ)..............100s. ąȫȷȹąȵȫ (ą ȷȹąȵȹȻ) ......... 21, n. 37, 27s., n. 50, 58, n. 106, 82, 98ss., 116, n. 233 ąȫȷȼ ȵȱȷȹȻ ..............................48, n. 82 ąȫȷȽȯȾɀȫ ... 27s., n. 50, 54, 58, n. 106 ąȫȺȫȼąȳȼȽȻ...................... 105, n. 202 ą Ⱥ (ą Ⱥȫ, ąȫȺ )..113, 121, n. 244, 124, 131, n. 271 ąȫȺȫȭȺȫȶȶȫȽȰɂ........................XXVI ą Ⱥȯȳȶȳ ................................. 121, n. 244 ąȫȺɀȱȼȳȻ ....................................XXIV
Index verborum
ąȫȺȹȷȹȶȫȼȫ............................... XXIV ąȫȼȽ Ȼ ................................................ 51 ą˦Ȼ ȽȳȻ...................................... 41, n. 71 ąȫ0ɂ ......................................63, n. 116 ą ȷȲȹȻ ...................................100, n. 183 ąȯȺ, ą Ⱥȳ................................. 15, n. 27 ąȯȺȳȴȯȶȯȷȹȻ ............................. 19, n. 35 ąȵȫȽȯȫ .............................................106 ąȵȯȾȺ ....................................64, n. 117 ąȹȳȯȷ .................................................158 ąȹȳȴȵȹȻ ................................109, n. 216 ąȹȵ ȶȳȹȻ............................... 64s., n. 120 ąȹȵȵ ȴȳȻ................................... 51, n. 90 ąȹȵȾȴȹȳȺȫȷȱ..... 18, n. 31, 114, n. 226 ą&ȷȹȻ................................................. 55s. ą&Ⱥąȫȸ...................................61, n. 114 ąȹȽȳȲ0ȶȳȹȻ................................ 32, n. 61 ąȺ ȼȬȳȼȽȹȻ .............................. 48, n. 82 ąȺȹȮ&ȽȱȻ.................................. 37, n. 68 ąȺȹȲ ȵȾȶȷȹȻ ........................115, n. 230 ąȺ&ȲȯȼȳȻ ............................................159 ąȺȹȴ&ąȹȻ, ąȺ&ȴȹąȽȹȻ, ąȺ&ȴɂąȹȻ ......................................42 ąȺ'Ȼ ȲȾȶ&ȷ .............29, n. 53, 32, n. 61 ą0ȺȭȹȻ..................................130, n. 268 .ȯȫ........................................154, n. 304 .ɁȫȼąȳȻ ................................87, n. 158 ȼȫȴ ȼąȫȵȹȻ......................................107 ȼ ȹȻ ............................. XV, 149, n. 299 ȼȫȿȷȯȳȫ ...................................... 4, n. 2 ȼȯɂ...................................... 89s., n. 168 ȼȯȳȼȵȹȿȹȻ ..............................90, n. 168
171
ȼȴ8ȵȹȷ..................................................52 ȼȴ8ȽȹȻ .................................. 107, n. 208 ȼą Ȳȱ .............................................123s. ȼąȫȲȻ ................................122s., n. 247 ȼȽ ȼȳȻ ............................... 36, n. 67, 58 ȼȽ ȭȱ ........................................11, n. 16 ȼȽȹ .....................................................76 ȼȾȭȴȯȴȾȿ@Ȼ ...........................61, n. 113 ȼȾȶȿȺ ȼȼɂ......................... 115, n. 229 ȼȾȷȱȶȹȼ0ȷȱ.........................................94 ȼȾȷ&ȶȷȾȶȳ .................................30, n. 55 ȼɀȱȶȫȽȳȼȶ&Ȼ.................................4, n. 2 ȽȫȶȯȼɀȺɂȻ ......................... 116, n. 232 Ƚ ȭȹȻ..........................................11, n. 16 2ą ȼȽȱ......................................35, n. 66 ȿȫȷɂ.................................... 118, n. 239 ȿ ȵȫȭȸ................................. 110, n. 217 ȿ ȵȫȺȫ (ȿ ȵȹȳ).....................91, n. 169 ȿȫȷȹȶȱȺȮȱȻ ........................ 143, n. 289 ȿȾȭ .....................................................30 ȿ0ȵȹąȳȻ ................................ 118, n. 240 ȥ0ȼȴɂȷ................................................64 ɀȫȵȴȹȲ@Ⱥȫȸ ........................ 101, n. 187 ɀȫȵȴȹȴȷȶȳȻ.................100, n. 182, 140 ɀȫȵȴȹɀȽɂȷ ..............................101, 128 ɀȯȳȺȻ.................................................. 100 ɀȯȵ@ȷȱ ...............................105s., n. 204 ɀȳȽ@ȷ ...............103, n. 194, 128, n. 259 ɀȺȾȼ ȷȮȯȽȹȻ ..................................... 123
NOTABILIORA Agallis....................................153, n. 304 allusiva (arte) ............................... XVIII anagramma.....................................XXV anamorfismo..........................70, n. 126 Anfora del Dipylon .........................159 archi ...................................................149 Arignota................................154, n. 304 arsenale ...........................................XVII Beethoven .................................... 5, n. 4 Berio, Luciano ......................XVI, XXI, XXVII, 69, n. 126, 144s., n. 292 Ca’ Quirino ................................ 8, n. 11 canzone .............................................151 citazione ....................................... XXIII «coppia contigua»..............XIX, 51, n. 89, 73, n. 133 cotone ................................................103 deittico...............................................118 dialetto .......................................... XXXI domus ........................................... 9, n. 12 Eliot, T.S., Four Quartets .....145, n. 292 epistola...................................... XV, 151 Faraone....................................... 8, n. 11 fragmentum (frammentismo) ............148 gallo.........................................89, n. 168 golpe de estado ............................. 36, n. 67 hic-Deixis .............................................. 56
ille-Deixis...............................................57 intertestualità.......................................71 ipertesto ...............................................71 kouros di Samo........................98, n. 180 lancia ................................................. 149 lino....................... 103, n. 194, 125, 132 lorica lintea.......................................... 105 lucidatura delle armi....................6, n. 5 ȶ ȭȫȺȹȷ ......................................9, n. 12 memoria......................................... XXII mente.............................................XXIII «opera aperta» ..................... 144, n. 292 palatium ........................................9, n. 12 panoplia ......................................99, 127 peplus / peplum...................... 126, n. 255 prossemica........................... 121, n. 243 ąȺHȽȹȻ ȯ2ȺȯȽȻ .................................82 psychological warfare ........79, n. 141, 132, n. 272, 149 ricordo...........................................XXIII rimozione.............................................25 Ringkomposition.................................. 147 romanza ............................................ 151 slang................................................XXXI sonetto .........................144, n. 291, 151 Stele dell’Avvoltoio............ 107, n. 209 tempio (modello votivo) ..........8, n. 11