Presentazione
1. STRATEGIA E METODI 1.1. Quando, nel 1981, si avviarono i lavori di scavo nell’area interna all’isolato...
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Presentazione
1. STRATEGIA E METODI 1.1. Quando, nel 1981, si avviarono i lavori di scavo nell’area interna all’isolato di S.Caterina dei Funari, al momento di delineare i limiti del settore in cui concentrare le prime indagini stratigrafiche (saggio I), si decise di risparmiare un’area di circa 100 mq, corrispondente alla estremità settentrionale del giardino di S.Caterina della Rosa (l’area è ben individuabile nella panoramica pubblicata in Crypta Balbi 3, p. 11, fig. 4). I motivi di quella scelta furono molteplici: era necessario infatti mantenere un collegamento per uomini e mezzi tra il cortile dell’isolato e l’area di scavo aperta nell’esedra del monumento antico (saggio II); era preferibile conservare su almeno uno dei quattro lati dello scavo una sezione in parete (cfr. Crypta Balbi 3, p. 104, fig. 67); era infine consigliabile riservare per una indagine dilazionata nel tempo una parte dell’area che servisse anche da controllo della stratificazione che si andava ad indagare e della sequenza stratigrafica che se ne sarebbe desunta ( cfr. in proposito Crypta Balbi 3, p. 9). Questo volume segna ora la conclusione di questo secondo momento della indagine e viene ad integrare la esposizione dei risultati conseguiti in questi anni di lavoro sul sito del giardino del Conservatorio. Il volume – per la sua stessa origine – non vuole avere una fisionomia autonoma, ma si presenta come un complemento dei primi due tomi pubblicati nel 1985 (Crypta Balbi 3). La sua lettura e la sua consultazione non possono pertanto prescindere dalla conoscenza di questi ultimi, nei confronti dei quali esso offre un supplemento di dati per quanto riguarda sia la interpretazione storico-topografica del sito e la definizione dei suoi aspetti stratigrafici e cronologici, che la documentazione relativa ai reperti mobili, che vengono editi con l’intento di integrare i repertori già proposti in Crypta Balbi 2 e Crypta Balbi 3. Nella pubblicazione sono confluiti anche i segmenti di sequenza stratigrafica (fig. 12) ed i materiali relativi ad alcune zone della porzione meridionale del giardino il cui scavo non era stato ultimato nel momento in cui vide la luce Crypta Balbi 3. Si è ritenuto utile comprendere in questa pubblicazione anche alcuni pochi materiali, specie lapidei, raccolti nella prosecuzione dello svuotamento. delle fosse praticate nel 1961/62 nell’area del saggio II, al di fuori quindi dell’area qui presa in esame. Questi reperti appartengono infatti dal punto di vista stratigrafico ad un contesto di età recentissima (periodo VI), che interessa tutta la superficie interna dell’isolato, nella quale le distinzioni topografiche per saggi perdono gran parte del loro di significato. 1.2. Nella redazione della sequenza stratigrafica di questo volume (fig. 12) si sono evidentemente adottate le stesse numerazioni delle attività stratigrafiche edite in Crypta Balbi 3, apportando, ove necessario, le opportune correzioni. Nel testo sono state quindi riprodotte, ma non descritte, le intestazioni delle attività già prese in considerazione nella precedente pubblicazione, a meno che non si siano [5] rese necessarie modifiche ed integrazioni dettate dalle verifiche prodotte dall’allargamento dello scavo. Il diagramma stratigrafico che qui si pubblica riprende quindi, integrandolo e riformulandolo, quello edito in Crypta Balbi 3, p. 76, fig. 40, e deve considerarsi il diagramma stratigrafico definitivo dell’area indagata. Si noterà che il nuovo diagramma integra considerevolmente i dati relativi al periodo iniziale di vita del giardino (periodo I), precisandone la cronologia, ed anche al periodo precedente la sua formazione (periodo 0), alla cui situazione stratigrafica era stato riservato solo un rapido cenno in Crypta Balbi 3, p. 77 (cfr. comunque ibid., pp. 20-22). Al tempo stesso, il diagramma definitivo semplifica sul piano della distinzione per fasi la sequenza relativa ai periodi a noi più vicini (specie per il periodo IV), in omaggio ad un maggiore snellimento della edizione complessiva dello scavo, che si è cercato di effettuare anche nella edizione dei reperti (facilitati in questo dalla presenza del volume Crypta Balbi 3 e dalla relativa esiguità numerica di alcune classi di reperti). Queste scelte riflettono d’altra parte la conduzione stessa dello scavo nel settore
settentrionale del giardino, nel quale si è sperimentata, in presenza anche di necessità di cantiere, una indagine più sintetica, facendo ricorso anche ai mezzi meccanici, sia per la demolizione dei manufatti conservati in fondazione e per lo svuotamento della fossa praticata nel 1961, della quale si conosceva l’esistenza da documenti d’archivio (cfr. Crypta Balbi 1, p. 40, fig. 19 e Crypta Balbi 3, p. 114, fig. 77c), sia per l’asportazione di quelle porzioni di giardino che non presentavano una situazione di certezza stratigrafica tale da consigliarne un’analisi più approfondita (sui problemi connessi all’uso dei mezzi meccanici cfr. Crypta Balbi 1, p. 70 e Crypta Balbi 3, pp. 13-14). Di conseguenza, i materiali raccolti in questi settori della stratificazione sono da considerarsi ovviamente come una selezione dei reperti più significativi. Il metodo stratigrafico è stato naturalmente seguito nello scavo di contesti non rimescolati e in particolare nello svuotamento della grande fossa (att. 138), che segna l’inizio delle attività edilizie cinquecentesche nel futuro giardino del Conservatorio. I contesti del XIX e XX secolo sono stati trattati quindi con maggiore rapidità (nella pavimentazione dell’amb. 30, ad esempio, non ci si è soffermati in un tentativo precario di distinzione dei diversi interventi di restauro e rattoppo). Dal momento che i contesti del XVIII secolo, peraltro scarsamente presenti, erano stati oggetto di esame in una precedente pubblicazione (Crypta Balbi 2), lo scavo ha dunque volutamente privilegiato l’analisi dei contesti del XVI secolo per i quali questo supplemento apporta infatti un contributo di analisi, interpretazione e ricostruzione cronologica. 1.3. La natura di supplemento della presente pubblicazione ha consigliato di mantenere inalterata la struttura della edizione, secondo i criteri già esposti in Crypta Balbi 3, pp. 58-59, cui senz’altro rinviamo. Il problema della edizione scientifica degli scavi e del rapporto, all’interno di essa, tra presentazione e discussione della sequenza stratigrafica ed analisi dei reperti è tuttavia presente ai ricercatori impegnati nel cantiere della Crypta Balbi. Risposte diverse da quelle elaborate per Crypta Balbi 3 e per questo suo supplemento sono in via di sperimentazione nei volumi che verranno ad integrare la serie di pubblicazioni sin qui edite. Mi riferisco alla edizione della stratificazione di età medievale dell’area dell’esedra (Crypta Balbi 5, a cura di L. Saguì e L. Paroli: se ne vedano anticipazioni in MANACORDA et al. 1985, SAGUÌ 1985, 1986 e 1987) ed alla edizione [6] dello scavo del fronte N dell’isolato prospiciente Via delle Botteghe Oscure, la quale ha richiesto una formulazione profondamente diversa del rapporto tra sequenza stratigrafica e materiali (Crypta Balbi 6, a cura di D. Manacorda e E. Zanini: se ne vedano anticipazioni in MANACORDA 1987 e MANACORDA-ZANINI c.s.). 2. I PERIODI STORICI 2.1. Tracce delle epoche precedenti Come si era già verificato nello scavo del resto del giardino, anche tra le terre del settore N la quantità di materiali residui è parsa molto abbondante. Trattandosi di reperti decontestualizzati, il loro studio è stato limitato soltanto a quegli elementi, i quali potessero arrecare dati utili sul piano tipologico, funzionale o cronologico. In alcuni casi (nello studio dei vetri, ad esempio, e dei manufatti in metallo) si sono considerati tra i residui solo quei reperti sicuramente riferibili ad età precedenti l’epoca rinascimentale, trattando tra i materiali in fase quelli di più incerta cronologia. In altri casi, per agevolare la presentazione organica dei materiali per classi, alcuni reperti sicuramente in fase con i decenni iniziali di vita del giardino sono stati considerati insieme con i materiali residui delle epoche precedenti: è il caso, ad esempio, della ceramica ingubbiata e graffita pisana. Alcune classi di materiali sono confluite, interamente o in massima parte, nel capitolo dei residui. È il caso delle monete, nessuna delle quali è parsa riferibile ad età successiva all’inizio del XVI secolo (unica eccezione la n. 23: periodo VI), e dei manufatti in pietra. Gli elementi in marmo o travertino che presentavano aspetti significativi erano tutti costituiti infatti da manufatti antichi o medioevali casualmente presenti tra le terre oppure reimpiegati nelle strutture di età rinascimentale e moderna.
Tra questi si segnalano alcuni pezzi frammentari, la cui presenza può essere considerata quale tarda testimonianza delle attività delle calcare della contrada, note da età remota, e comunque sicuramente in funzione sino al XVI secolo. Si vedano i numerosi frammenti di rocchi di colonne in travertino (nn. 125-126; cfr. già Crypta Balbi 3, p. 602, fig. 142, 3), provenienti da contesti di età recente, ma evidentemente riferibili alla attività di calcare altomedievali, impegnate forse nello smantellamento delle stesse strutture architettoniche della Crypta di Balbo (una di queste era in funzione tra VIII e X secolo nella stessa area dell’esedra antica attigua al settore indagato: cfr. SAGUÌ 1986 e 1987). Si vedano inoltre i frammenti di sculture in marmo e, in particolare, di iscrizioni funerarie di età imperiale (figg. 41-42), che danno evidente testimonianza del trasferimento nel quartiere del Calcarario, o nei suoi dintorni, dei marmi provenienti dai recuperi effettuati nelle necropoli extraurbane. Tra i marmi antichi raccolti nel riempimento delle fosse praticate nel 1961 (att. 3) merita particolare attenzione la lastra n. 130, la quale testimonia la ristrutturazione dell’antica esedra augustea da ambiente con probabile funzione scenografica a latrina pubblica di vaste dimensioni, in una fase che l’analisi delle cortine laterizie e dei bolli doliari ha permesso di collocare intorno alla tarda età adrianea (cfr. MANACORDA 1986; SAGUÌ 1985, pp. 472-474). Tra i residui sono abbondanti anche i frammenti di laterizi antichi, talora occasionalmente rinvenuti tra le terre, talaltra reimpiegati quale tegolozza nelle [7] strutture del XVI secolo. Ben 11 bolli, ora su tegola ora su mattone, provengono dal segmento settentrionale del collettore (att. 51) che attraversa l’area del giardino. La cronologia dei bolli, compresa tra la fine del I secolo e l’età severiana, non consente di affermare che la tegolozza impiegata nella costruzione della fogna provenisse dallo smantellamento dei ruderi presenti sul sito, anche se il fenomeno è assai probabile. È certo comunque che il piano di scorrimento della fogna in questione fu apprestato ponendo in opera anche tegole intere di età gota, le quali non possono essere messe al momento in relazione con interventi edilizi di VI secolo, altrimenti non attestati nell’area della Crypta. Per quanto riguarda le ceramiche residue, lo scavo ha confermato sostanzialmente il panorama già visto nel resto dell’area, caratterizzato da una discreta presenza di materiali di età repubblicana e da una massiccia quantità di materiali di età tardo-antica (cfr. Crypta Balbi 3, pp. 59-60), testimonianza – ci sembra – della situazione precedente l’impianto del monumento augusteo e della sua progressiva distruzione tra IV e V secolo. Il vuoto di documentazione ceramica relativa alla prima e media età imperiale non fa che confermare lo stato di manutenzione dell’edificio durante quei secoli e quindi la sua efficienza. 2.2. L’area tra XV e XVI secolo Come si è detto, il supplemento di indagine archeologica ha portato nuovi dati riferibili in particolare a quel lasso di tempo, che abbiamo chiamato Periodo 0, durante il quale il sito dovette assumere un aspetto di più o meno completo abbandono, in attesa di una generale ristrutturazione dell’area, avvenuta con la fondazione del nuovo monastero di S. Caterina solo alla metà del XVI secolo. 2.2.1. Riteniamo di poter fissare i termini cronologici del Periodo 0 (su cui cfr. già Crypta Balbi 3, pp. 20-24) nel settantennio compreso tra il 1480 e il 1550. Risale infatti all’8 febbraio 1479 l’intervento con il quale Sisto IV procedette alla “suppressio primiceriatus et canonicatuum beate Marie de Rosa de Urbe” e, contemporaneamente, alla “erectio eiusdem in monasterium monialium” (ASV, Registro Vaticano 597, ff. 97r- 99v: ringrazio Donatella Barbalarga per aver trascritto il testo della bolla papale). Con quel documento il Papa veniva infatti a prendere atto dello stato di abbandono nel quale versava l’antica chiesa di S. Maria Domine Rose almeno dalla metà del secolo (cfr. ASR, Coll. Not. Cap., 480, f. 429, cit. in Crypta Balbi 3, p. 21), e che doveva essere andato peggiorando nel corso dell’ultima generazione, dal momento che – apprendiamo dalla bolla – né il primicerio né i canonici erano soliti ormai più risiedere presso la chiesa, in essa non si celebravano più con regolarità i servizi divini e le sue porte erano praticamente sempre chiuse alla devozione ed al culto, tanto che le strutture dell’edificio davano cenni di essere sul punto ormai di cedere da un momento all’altro.
La soppressione si accompagnava alla attribuzione della chiesa ad un gruppo di donne romane, guidate da una certa Caterina, “que ordinem Sancti Ambrosii ad nemus extra muros Mediolanenses sunt professe”, in vista della istituzione di un nuovo monastero “cum abbatissali dignitate decenti clausura et intra illam dormitorio refectorio claustro ortis ortaliciis et aliis necessariis officinis” (ASV, Registro Vaticano 597, f. 97 r). Il testo sembra descrivere una situazione di fatto, relativa ad una struttura architettonica e ad una organizzazione degli spazi già esistente, nella quale dovremmo riconoscere ciò che restava dell’antico monasterium Rose, della cui persistenza, [8] accanto alla chiesa, le fonti coeve ci danno d’altronde certa testimonianza ancora nel 1473 (cfr. MARCHETTI LONGHI 1922, p. 720, nota 6: “. . . declaramus dictum loccum in dicto mandato contentum et descriptum spectare et pertinere ad dictam ecclesiam et monasterium domine Rose et primicerium et canonicos eiusdem”). Ma in altra parte della bolla (ibid., f. 98 R-V: “... ut apud ecclesiam ipsam monasterium huiusmodi cum dormitorio claustro refectorio ortis ortalitiis et officinis predictis ac decenti circumcirca clausura construi et edificari facere...”) la consistenza dell’erigendo monastero di donne sembra meno definita, e in parte solo in fase di progetto, a meno che l’accenno alle parti da edificare non si debba ritenere limitato al muro di clausura, evidentemente non esistente o non sufficiente alla nuova istituzione. Sembra – tuttavia – che alla bolla sistina non facesse seguito una effettiva presa di possesso della chiesa e del monastero da parte di Caterina e delle sue seguaci, a giudicare almeno dal testo di una seconda bolla, emessa a quattro anni di distanza (MONTENOVESI 1942), nella quale Sisto IV, a proposito di una cappellania “ad altare Corporis Christi situm in ecclesia Sancti Saturnini, monasterio Bela Rosa nuncupata” cita espressamente il primicerio e il capitolo della chiesa stessa, mentre non si fa menzione alcuna della comunità religiosa femminile. La chiesa tuttavia ha ormai cambiato nome: risale appunto al 1483 la prima attestazione a noi nota della dedica a S. Saturnino, un santo le cui reliquie si conservavano nella chiesa insieme con quelle di S. Romano e S. Sisinnio (cfr. ALEANDRI BARLETTA 1978, p. 11, nota 1), fino a che non furono traslate nella nuova chiesa di S. Caterina dei Funari con bolla di Pio V in data 27 novembre 1570 ( cit.in CORVISIERI, BV, b. XV, fasc. 3, f. 4). 2.2.2. Nello scorcio del XV secolo la chiesa esistente presso il Monastero della Rosa verrà abitualmente indicata come S. Saturnino. Oltre alla citata bolla di Sisto IV incontriamo infatti le seguenti menzioni: 1479-1510: Sancto Saturnino ad mon. della Rosa (Anniversari dell’Ospedale di S. Maria in Portico: EGIDI 1908-14, II, p. 551); 1485: venerabilis ecclesia Sancti Saturnini alias vocata monasteri della rosa (casa di Biagio del Pettine posta sotto il censo della, chiesa: ASR, Coll. Not. Cap., 1667, de Setonicis, ff. 512-514); 1492: Monast(erium) et aedes S. Saturnini cog(nomento) Rosae (Catalogo delle chiese di Roma: HUELSEN 1927, p. 77, n. 227); 1493: ecclesia S. Saturnini (donazione di una casa confinante per un lato con le res capelle Corporis Jeshu Christi della chiesa stessa: MARCHETTI LONGHI 1922, p. 716, nota 3); 1499: cappellanus ecclesie Sancti Saturnini monasteri de la rosa (dominus Johannes quondam Salvatoris clericus Salernitanus, citato come teste in ASR, Coll. Not. Cap., 263, Hier. de Brachinis, f. 509); 1500: cappellanus ecclesie S. Saturnini de lo monasterio de la Rosa (citato in qualità di testimone: MARCHETTI LONGHI 1922, p. 717, nota 3); 1503: aedes divi Saturnini in regione S. Angeli (citata a proposito di un parto eccezionale di gemelli siamesi: ibid., p. 718, nota 3); 1515: res ecclesie S. ti Saturnini (citate quali confini retrostanti all’orto acquistato da Mattia Bongiovanni: ASR, Coll. Not. Cap., 1094, de Masiis, f. 141 r). Ancora alla fine del XV secolo, tuttavia il Libro degli Anniversari della Società del SS. Salvatore cita ripetutamente la nostra chiesa con l’appellativo di S. Maria della Rosa in occasione delle sepolture di Paluzio di Giovanni Vallati, [9] padre della Elisabetta attrice dei documenti nei quali appare in qualità di teste il cappellano di S. Saturnino, e di Antonio di
Paolo Funari (EGIDI 1908-14, I, pp. 512, 516). Un documento del 1495 (ASR, S. Spirito, 1444, ff. 72v, 73r, cfr. MARCHETTI LONGHI 1922, p. 721, nota 1) cita ancora la “parrocchialis ecclesia B. Marie della Rosa” quale oggetto di una concessione in enfiteusi alla famiglia Mattei da parte dell’Ospedale di S. Spirito in Sassia, che ne godeva evidentemente il possesso. E ancora nel 1499 un documento relativo alla donazione di una vigna torna a citare fra i testimoni il presbiter Johannes Salvatoris clericus Salernitanus in qualità, questa volta, di cappellanus ecclesie Sancte Marie donne Rose (ASR, Coll. Not. Cap., 1728, de Taglientibus, f. 350). È possibile quindi che, in seguito al fallimento dell’istituzione monastica di Caterina, la chiesa e il monastero di S. Maria fossero state acquisite dal ricco Ospedale, forse per conto della Camera Apostolica, come era già avvenuto nel 1480, quando l’Ospedale dovette acquistare il Casale Pantano Monastero sulla Via Ardeatina, già di proprietà dei canonici di S. Maria Domine Rose, soppressi dal Pontefice con la citata bolla del 1479 (cfr. MONTENOVESI 1939, p. 215). È altresì possibile che la chiesa di S. Saturnino, che sembra regolarmente officiata in quegli anni, costituisse una porzione, forse solo una cappella, della chiesa di S. Maria, che il documento del 1495 ci descrive in termini drammatici come “dilapsa et ruinosa” e prossima ormai “ad totalem . . . ruinam”, come già si percepiva d’altronde nella bolla sistina di sedici anni prima. Oggetto dell’enfiteusi è non solo la chiesa, ma anche il complesso di case ad essa pertinenti ed attigue, dotate di un orto e di un pozzo e anch’esse bisognose di “magna reparatione”. 2.2.3. La chiesa continuò comunque a sussistere nella prima metà del XVI secolo, anche se di essa non vi è traccia nella lista di conventi e chiese che ricevettero la largizione gratuita del sale sotto Leone X (ARMELLINI-CECCHELLI 1942, I, pp. 79-81). Ancora nel 1533 troviamo comunque citata la cappella del Corpo di Cristo nella chiesa di S. Saturnino del monastero della Rosa in due atti notarili (ASR, Coll. Not. Cap., 1296, Leonardus Petri, ff. 251-252) relativi alla locazione di una casa, sita presso la Torre del Melangolo, a magister Iulius Iohannis calzolarius da parte del cappellano Iohannes Baptista de insula hispanus. La cappellania appare d’altronde controversa, dal momento che di essa si dice intestatario al tempo stesso anche Iulius de Sinebarbis “per deputationem et electionem domini Antimi de Sinebarbis sui patris heredis quondam Antonii Pauli Funarii donatarii dicte domus”. Antimo de Sinebarbis – si noti per inciso – era figlio di Angelotia Funari, sorella di Antonio di Paolo, ed appunto erede di quest’ultimo; aveva regalato alla madre nel 1493 la casa già ricordata, confinante da un lato con le “res capelle corporis Jeshu Christi site in ecclesia Santi Saturnini”, dall’altro con la casa di una certa Sabetta, vedova di Francesco Santi, e prospiciente la via pubblica, forse, cioè, la stessa piazza di S. Maria domine Rose (cfr. MARCHETTI LONGHI 1922, p. 716, nota 3). Nel citato documento de Brachinis del 1499 lo stesso Antimo compare quale confinante di una casa di Elisabetta de Vallatis nello stesso rione (per i rapporti genealogici fra Funari e Sinebarbi cfr. Crypta Balbi 5, c.s.). A partire dagli anni ‘20 sembra comunque affacciarsi e consolidarsi la nuova denominazione di S. Caterina (cfr. Crypta Balbi 1, pp. 27-28 e Crypta Balbi 3, pp. 21-22, nonché il versamento fatto alla Compagnia del SS. Salvatore da Pelegrina [10] de Mutacio, uxor q. Dominici Stephanelli per la sua sepoltura “in ecclesia S. Catharinae Monasterii della Rosa” in data 28 novembre 1524: cit. in IACOVACCI, BAV, 2551, III, p. 1266), in qualche modo legata alla presenza dei Funari nella zona, le cui prime testimonianze risalgono alla seconda metà del XIV secolo (MARCHETTI LONGHI 1922, p. 687 ss.). E’ noto, infatti, che la ruota del martirio di S. Caterina trovava un preciso corrispondente nella ruota usata per la produzione delle funi e fu quindi alla base della assunzione della santa di Alessandria a patrona dei Funari (fig. 1). La costruzione della nuova chiesa di S. Caterina dei Funari, eretta dal card. Cesi tra il 1560 e il 1564, comporterà a qualche anno di distanza la demolizione della vecchia chiesa medioevale, incorporata nelle strutture del nuovo monastero a partire dalla metà del secolo (cenni sulla chiesa in Crypta Balbi 3, p. 33 e in MANACORDA 1986). La demolizione della chiesa porterà anche allo smantellamento delle lastre tombali accumulatesi negli anni al suo interno. L’Adinolfi (ASC, Pigna, f. 69r) ricorda quelle dei
Saragona, degli Spannocchia, dei Vallati, dei della Vetera e di Biagio del Pettine (cfr. gli anniversari della Società del SS. Salvatore e dell’Ospedale di S. Maria in Portico che citano rispettivamente i Saragona, i Funari, i Vallati: EGIDI 1908-14, I, pp. 325, 392, 512, 536, e i più modesti del Pettine, de Gilio, Pietro Antonio calzolaro: ibid., II, p. 551). Il Lanciani (LANCIANI 1902, II, pp. 64-65) ricorda quelle, cinquecentesche, di Francesco di Tommaso de Veteranis (un della Vetera?) e di Peregrina, vedova di Stefanello Totti (si tratta in realtà della già citata Pelegrina de Mutacio). Lo scavo ha dato testimonianza di altre sepolture, documentate da una iscrizione e da due lastre tombali frammentarie, venute in luce sia nell’area del giardino che nel cortile del Conservatorio (cfr. MANACORDA 1985, figg. 13 e 15). 2.2.4. L’iscrizione, assai mal conservata e attualmente in corso di studio, fu reimpiegata, probabilmente nel XVII secolo, per la costruzione di un tombino della grande cisterna che venne ad occupare nel cortile del nuovo Monastero l’area [11] su cui si stendeva un tempo la navata centrale della chiesa (cfr. MANACORDA 1985, fig. 15). Le altre due lastre sepolcrali non conservano traccia delle iscrizioni funerarie. La prima, reimpiegata in un muretto settecentesco (att. 19), denuncia i segni di una lunga usura e conserva gran parte di uno stemma araldico contornato da una corona d’alloro. È possibile che lo stemma vada attribuito alla famiglia romana dei Cerasa (cfr. IACOVACCI, BAV, 2549, II, p. 905; AMAYDEN 1915, I, p. 354 e infra, p. 109), della cui presenza in zona non abbiamo più precise testimonianze (figg. 2 e 4a). Gli elementi superstiti dello stemma della seconda lastra (fig. 3) non sono sufficienti per una identificazione certa. La sua tipologia consiglia una cronologia compresa tra la fine del XV secolo ed i primi decenni del successivo (la cronologia è suffragata in questo caso anche dalle scarse tracce di usura della superficie del marmo). La sua analisi ci offre comunque l’occasione per una messa a punto della topografia di un settore dell’isolato di S. Caterina intorno alla fine del XV secolo, ricostruibile sulla base di documenti d’archivio editi e inediti e delle evidenze archeologiche apparse in questi ultimi anni (sono grato a Donatella Barbalarga per avermi aiutato nelle ricerche d’archivio ed a Marco Ricci e Claudio Varagnoli per aver a lungo discusso e confrontato i dati in mio possesso con quelli oggetto delle indagini da loro attualmente avviate rispettivamente negli isolati di S. Caterina e dei Mattei). I due frammenti superstiti, combacianti, e provenienti dai livelli di distruzione del convento riferibili ai primi anni ‘40 di questo secolo, conservano parte del lato destro della lastra, costituito da una fascia piana e da una gola diritta, e parte dello specchio. Una corona circolare di foglie e frutti circonda uno stemma a basso rilievo, parzialmente consunto, di cui resta solo parte del lato destro, occupato dalla figura ritta di un leone rampante, poggiante sulla zampa sinistra, con la lunga coda ricurva, nell’atto forse di reggere un oggetto con l’altra zampa. Tra gli stemmi delle famiglie attestate nella zona troviamo talora due leoni rampanti affrontati (si vedano, ad esempio, gli Amodei e i Fabii in AMAYDEN, 1915, I, pp. 48 ss., 384 ss.). Un solo leone rivolto a sinistra è presente negli stemmi di diverse famiglie, tra cui quella dei Mattuzi de Arenula (cfr. AMAYDEN 1915, II, p. 27). Ma attirano in particolare la nostra attenzione l’insegna dei Bellomo (AMAYDEN 1915, I, pp. 123-124: d’azzurro al leone d’argento con testa, criniera e branca destra d’oro) e quella dei Coleine (ibid., I, pp. 310-319: d’azzurro al leone d’argento tenente un ramo di rosa di verde fiorito di un pezzo di rosso) (fig. 4bc). 2.2.4.1. La famiglia Bellomo (o Belli hominis o de Bellis Hominibus) appare già in vista tra le famiglie mercantili della zona nella prima metà del XIV secolo:un Angelus Andree Belli hominis ed un Petrus Pauli Belli hominis compaiono rispettivamente tra gli elettori ed i“consiliarii acceptati” nella Congregazione generale dei mercanti del 1328 (GATTI 1885, p. 73). Alla fine del secolo una casa in proprietà di Antonio Bellomo compare in alcuni documenti notarili checonsentono di collocarla sul lato sud-orientale dell’isolato, sul versante del rione Campitelli (cfr. MARCHETTI-LONGHI 1922, p. 693, nota 4 e Crypta Balbi 5, c.s.). Nel secolo seguente troviamo tracce dei Bellomo tra le carte dell’Ospedale del Salvatore, che segnalano nel
1428 un Cecco figlio di Pietro, nel 1439 un Antonius Cole Belli hominis e nel 1442 una Domina lacoba, uxor quondam Antonioti Bellihominis regionis Sancti Angeli (ASR, S. Salvatore, 1005, ff. 181r-v ).[12] Un Cecchus de Bellis hominibus sarà nel 1446 e nel 1448 tra i Maestri di strada (RE 1920, p. 88). La casa di un ramo della famiglia (attestazioni in AMAYDEN 1915, I, p. 123, nota 2) poteva trovarsi allora nel rione S. Angelo: Gabriella, moglie di Evangelista di Cecco Bellomo, trovò sepoltura infatti nella chiesa di S. Maria della Massima (ADINOLFI, ASC, S. Angelo, f. 73r ). Tuttavia non sappiamo se coglie nel giusto l’Adinolfi, quando ritiene di identificare la casa dei Bellomo in quella situata nell’odierna Via di S. Angelo in Pescheria, no 30, che conserva sull’architrave d’ingresso lo stemma con leone rampante a sinistra contornato da una corona di frutti, che presenta evidenti analogie con quello attestato sulla nostra lastra tombale (fig. 5). 2.2.4.2. La famiglia dei Coleine era ritenuta di antica nobiltà trasteverina. Un Sebastiano Coleine, patrizio romano e caporione di Trastevere, riceve sepoltura nel 1557 in S. Pietro in Montorio ad opera dei fratelli Cola, Marcello e Pietro Paolo (FORCELLA 1869, V, n. 705). In Cola riconosciamo l’autore del Diario composto da Cola Colleine Romano del Rione di Trastevere, conservato presso la Biblioteca Apostolica Vaticana (Cod. Barb.lat. 4936), nel quale sono narrati eventi accaduti a Roma dal 1521 al 1561 (estratti anche in BAV, Cod. Capponi 53, ff. 281-282). Si tratta evidentemente del providus vir dominus Cola de Coleinis, “il quale fu di onesta famiglia, ma poco letterato” (BAV, Cod. Barb.lat. 4936, f. 38v), di cui è noto il testamento per gli atti del notaio Curtius Saccoccius in data 22 febbraio 1562 (AMAYDEN 1915, I, p. 318, nota 2). L’unica testimonianza relativa ad età anteriore al XVI secolo addotta dall’Amayden, sulla scorta dello Jacovacci (BAV, 2549, p. 1338 ss.), riguarda un Cola Coleine sartor de regione Sancti Angeli, noto nel 1478. Su questo personaggio, che lega la famiglia al nostro quartiere almeno per lo scorcio del XV secolo e che potrebbe essere avo dell’omonimo diarista, è possibile raccogliere altre testimonianze. Queste ci consentono di definire con buona approssimazione il sito sia della casa dei Coleine, assai vicina alla chiesa di S. Maria domine Rose, sia delle case di alcune famiglie di funari. [14] Un documento del 1473, steso in occasione di una controversia sorta tra un certo Biagio del Pettine e il Primicerio e i Canonici di S. Maria domine Rose, da un lato, e, dall’altro, Cola de Colegino e i submagistri edificiorum et stradarum Urbis, indica infatti la sua casa nei pressi della platea monasterii dompne Rose e accanto a quella dello stesso Biagio (CORVISIERI, BV, b. XV, fasc. 4; MARCHETTI LONGHI 1922, p. 720, nota 6). Dal documento apprendiamo, fra l’altro, che Biagio, di professione funaro (un documento del 1496 relativo ad una “societas ad ortum faciendum” tra lo stesso Biagio e un certo Symeon Dominici de Florentia è stipulato “in apoteca funarie dicti Blaxii”: ASR, Coll.Not.Cap. 1728, de Taglientibus, f. 230), aveva indebitamente praticato “fossata et cahones (sic) . . . iuxta parietes dicti Cole . . . versus plateam monasterii dompne Rose iuxta ortum Andreotii de Buccamatijs et domum dicti Blaxii et alios fines”, ed aveva pertanto ricevuto l’ingiunzione [15] di ripristinare il sito e di non più esercitarvi la propria attività: “Nec de cetere in dicto loco laborare aut laborari facere quoniam fuit compertum dictum et allegatum dictum locum esse publicum”. L’ingiunzione valeva anche “omnibus magistris in dicto loco laborantibus” e sembrava essere dettata dall’esigenza di evitare che le attività lavorative dei funari presenti nella zona si espandessero a detrimento dell’uso pubblico del suolo, anche se la sentenza successiva, affermando i diritti della chiesa di S. Maria domine Rose sul sito conteso, andava piuttosto in direzione di una salvaguardia degli interessi dei funari, evidentemente collegati in questa circostanza a quelli della chiesa (“declaramus dictum locum in dicto mandato contentum et descriptum spectare et pertinere ad dictam ecclesiam et monasterium domine Rose et primicerium et canonicos eiusdem, salvo tamen iure vicine et vicinorum si qua competunt, quibus per presentem sententiam preiudicare non intendimus ac etiam salvo iure transeundi prout extitit consuetum”). Il contenzioso tra le famiglie del Pettine e Coleine non doveva comunque limitarsi a quello esposto nella controversia del 1473. Lo stesso Blaxius quondam Antonii Pectinis funarius de regione Sancti Angeli (il padre Antonio è noto come teste in un atto del 1452; cfr. IACOVACCI, BAV, 2552, II, p. 465) compare quale attore di un documento in data 3 luglio 1482 insieme con domina
Bensivenuta uxor quondam Cole de Coleyne sutor de regione Sancti Angeli, evidentemente passato nel frattempo a miglior vita. Dal documento deduciamo che la casa degli eredi di Cola doveva trovarsi a fianco di quella di Biagio, il cui retro affacciava sulla piazza di S. Maria domine Rose, e precisamente ad ovest di essa, dal momento che la prevista copertura del loggiato della casa di Biagio avrebbe impedito ai Coleine la vista della chiesa dell’Aracoeli, situata ad est del nostro isolato. Afferma in particolare il documento (ASR, Coll.Not.Cap., 1729, de Taglientibus, f. 136v): “Ex causa quia dictus Blaxius intendit copriri facere certum lovium discopertum situm in dicta domo dicti Blaxii videlicet retro dictam domum et prope lovium domus dictorum filiorum et heredum dicti quondam magistri Cole de Coleyne quod lovium dicti Blaxii habet aspectum ad plateam et ecclesiam Sancte Marie Donne Rose . . . dicte partes videlicet dictus Blaxius et domina Bensivenuta . . . ad infrascripta pacta devenerunt videlicet quod dictus Blaxius possit coperire seu coperiri facere suis propriis expensis dictum lovium suum hoc modo videlicet quod faciat seu faciat fieri cossas necessarias cum archis et supra dictas cassas et archos faciat coperimentum dicti lovii et . . . dictus Blaxius . . . dimictat dictos archos apertos et non liceat sibi et suis heredibus et successoribus remurare . . . ad hoc per dictos archos habeatur lumen in lovio domus dictorum filiorum et heredum dicti quondam Cole de Coleyne per quod lovium dictorum filiorum et heredum possit videri ecclesia Sancte Marie de Aracoeli”. Un documento di pochi giorni successivo (17 luglio 1482) specifica meglio la topografia del luogo ed aiuta a definire le posizioni reciproche delle case dei Coleine e di Biagio del Pettine (ASR, Coll.Not.Cap., 1729, de Taglientibus, ff.138v-139v): “Cum hoc sit quod Blaxius quondam Antonii de Pectine funarius de regione Sancti Angeli habeat . . . quandam domum positam in dicta regione Sancti Angeli infra hos fines cui ab uno latere tenet et est domus heredum quondam magistri Cole de Coleyne sutoris, ab alio latere tenent et sunt res heredum quondam Johannis Pauli della Vetere via publica mediante, retro tenet et est platea ecclesie Sancte Marie Donne Rose, ante est via publica . . . et honesta domina Bensivenuta [16] uxor quondam dicti magistri Cole ac mater et legitima tutrix filiorum et heredum dicti quondam magistri Cole similiter teneat et possideat aliam domum positam in dicta regione Sancti Angeli inter hos fines cui ab uno latere tenet et est dicta domus dicti Blaxii, ab alio latere tenet et est domus Antonii Pauli Funarii, retro tenet ortus Lodovisi de Mattheis, ante est via publica . . . dicte partes . . . convenerunt . . . dictus Blaxius promisit non amplius altiare facere parietem sive murum lovii coperti domus predicte dicti Blaxii videlicet lovium retro dictam domum prope ecclesiam Sancte Marie Donne Rose . . .”. Questo secondo documento collega dunque le case dei Coleine e dei del Pettine ad un orto di Ludovico Mattei ed alle case di Antonio di Paolo Funari e degli eredi di Giovanni di Paolo della Vetera. La casa di Biagio compare ancora, nel 1485, in uno strumento notarile nel quale è indicata come pegno dotale verso la moglie Caterina de Vellis (ASR, Coll.Not.Cap., 1667, de Setonicis, ff. 512-514). La casa, “terrineam solaratam tegulatam cum cameris lovis coquina cantina puteo”, è posta nel rione S. Angelo “inter hos fines cui ab uno latere tenent res heredum quondam Cole de Coleine sutori ab omnibus aliis lateribus sunt vie publice”. Parte di essa è – come abbiamo visto –sotto il censo della chiesa di S. Saturnino, a conferma dei legami che univano i del Pettine alla chiesa stessa. Si tratta comunque della stessa casa descritta nel documento del 17 luglio 1482, anch’essa limitata per tre lati da vie o piazze e per un lato dalla casa dei Coleine. La morte di Biagio si pone poco dopo il 1507 (IACOVACCI, BAV, 2552, II, p. 600; ADINOLFI, ASC, Pigna, f. 68V ; la famiglia Del Pettine aveva la sua sepoltura nella chiesa di S. Saturnino: ELIDI 1908-14, II, p. 551 ; cfr. i n f r a il testamento di Ludovico Mattei da cui si evince che Biagio era già morto nel 1513, nonché un atto del 2 2 marzo 1 5 0 8 che lo testimonia ancora quale affittuario di una casa e di una apotheca funarie in platea Piscine (Piazza Mattei), di proprietà di Maria “uxor quondam Antonii Pauli Funarii olim de reg. S. Angeli et nunc de regione Columne”: ASR, Coll.Not.Cap., 1732, de Taglientibus, f. 89). In seguito conosciamo il testamento di Alexius Blasii de Pectinis, rogato nel 1514 (ASR, Coll.Not.Cap., 567, de Caecis, ff. 2v-3v), e la sua presenza nella zona è ancora attestata dal censimento del 1526 (10 bocche), insieme a quella di Prudentius de Pectino (GNOLI 1894, p. 502).
2.2.4.3. L (IACOVACCI, BAV, 2554, II, pp. 405-406) ci è testimoniata ancora, a distanza di circa sessanta anni, dai documenti redatti per conto dei Magistri viarum nel 1559 in occasione del parziale raddrizzamento della Via di S. Caterina, cioè dell’attuale Via Caetani (cfr. Crypta Balbi 3, pp. 22-23). In essi si cita infatti “la casa di messer Vicencio della vetera” (ASR, Presidenza delle strade, Taxae viarum, vol. 445, f. 374 r), da identificare probabilmente nel luogo dove sorgeva, lungo “la strada verso tore delli melangoli” anche “lostaria” dello stesso personaggio (ibid., f. 376v), verisimilmente quella stessa al posto della quale sarebbe sorta di lì a poco la nuova chiesa di S. Caterina (cfr. GIOVANNONI 1912, p. 405, nota 1: “sc. trenta pagati a m-ro nani architetto . . . per lo amatonato ho selziato fato fare denante a la ciesia sino l’anno 1559 quando era ostaria”). Al capitano Vincenzo della Vetera affitterà nel 1567 un casale Ludovico Mattei per gli atti del notaio Curzio Saccoccio (IACOVACCi, BAV, 2554, II, p. 406). 2.2.4.4. Antonio Funari era figlio di Paolo, morto nel 1448 (o già nel 1446: una Mariola uxor q. Pauli Funarii è ricordata in IACOVACCI, BAV, 2550, II, p. 410) [17] e sepolto in S. Maria domine Rose (ELIDI, 1908-14, I, p. 391). Anche Antonio, morto nel 1491/92 (ibid., p. 516; di lui si ha ancora notizia nel 1490 in un atto relativo ad una casa in Trastevere: ASR, Coll. Not. Cap., 1664, de Setonicis, f. 41), fu sepolto nella stessa chiesa. Sappiamo inoltre che egli aveva diritti di giuspatronato sulla Cappella del Corpo di Cristo presso la stessa chiesa (MONTENOVESI 1942). La casa degli eredi di Paolo doveva trovarsi nei pressi della chiesa, sul lato meridionale dell’isolato, come evinciamo da un documento del 1455, in cui è citata quale confine della casa di Paulus Eunuphrii Iohannis Pauli (ASR, S. Salvatore, 457, n. 31; cfr. MARCHETTI LONGHI 1922, pp. 689 e 695, con alcune imprecisioni nelle date e nelle segnature archivistiche), sulla quale avremo occasione di tornare in altra sede. La casa citata nel documento del 1482 doveva invece essere venuta in possesso di Antonio Funari solo dopo il 1473, come si ricava da un atto nel quale il providus vir Silvester Cortesius quondam Bartholomaei notarius de regione Sancti Angeli si impegnava a vendere al Funari “quamdam domum astricatam tegulatam et testatam cum camera in ea et certo discoperto retro eam . . . sitam in dicta regione Sancti Angeli cui ab uno latere tenet domus Cole Coleyne sutoris, ab alio domus Iacobi quondam Francisci Mutacii funarii, retro post dictum discopertum tenet ortus Andreotii de Buccamatiis, ante est via publica” (ASR, Coll.Not.Cap., 1727, de Taglientibus, ff. 238 R-239 R). 2.2.4.5. Di Francesco Mutacio, a sua volta figlio di Giacomo, conosciamo la moglie Giulia, sepolta in S. Angelo in Pescheria nel 1485 (IACOVACCI, BAV, 2551, II, p. 1265). Negli anni Venti del XVI secolo ci sono noti anche uno Hieronymus q. Francisci de Mutaciis aromatarius, che contrae nel 1527 un fidanzamento con Lavinia di Bernardino Orsini, e la già ricordata Pelegrina (ibid., pp. 1265-1266), sorella di Francesco (il testamento di Giacomo è in ASR, Coll. Not. Cap., 1736, de Taglientibus, ff 71 r-v). Le “res Francisci Mutatii” compaiono nel 1502 in un atto di vendita (ASR, Coll.Not.Cap., 1184, de Pacificis, ff. 130 r-, 188 v, segnalato in FINOCCHI VITALE-SAMPERI 1985, p. 34, nota 12) come confine di una casa di proprietà [18] del discretus vir Petrus Paulus quondam Francisci Gregori, “terrineam, solaratam et tectatam cum sala, camera et aliis suis membris” affacciata sulla via e delimitata sull’altro lato dai beni dell’acquirente, il nobile Ludovico Mattei. La casa di Pietro Paolo è a sua volta ricordata nel testamento dello stesso Ludovico Mattei nel 1513 (ringrazio della segnalazione Claudio Varagnoli, che ha in corso lo studio del documento): da esso si evince che i beni lasciati dal testatore al nipote Ciriaco riguardavano fra l’altro la striscia di isolato della casa citata “usque ad domum heredum quondam Blasij de Pectine”. 2.2.4.6. I Mattei, la cui presenza nella parte SW dell’isolato che da loro prenderà il nome è testimoniata a partire dal 1473 (cfr. FINOCCHI VITALE-SAMPERI 1985, pp. 19-20), compaiono dunque già nel 1482 come proprietari di un ortus Ludovici de Mattheis, retrostante la casa dei Coleine e da identificare quindi con l’antico orto dei Boccamazzi. Dall’acquisizione originaria di quell’orto dovette partire una progressiva espansione, di cui abbiamo traccia nei
citati documenti del 1502 e del 1513, e che possiamo ancora seguire nel 1540, tramite l’atto mediante il quale Ciriaco Mattei pervenne ad acquistare da Cristofano Mutacio “duas ipsius Cristofani domos simul iunctas sitas in Regione Sancti Angeli iuxta bona seu domum babitationis dicti domini Ciriaci”. Queste case erano affacciate sulla via e confinavano per un lato con le “res Francisci Nerdulini” (ricordato, insieme ai Del Pettine, nel censimento del 1526: GNOLI 1894, p. 502), per l’altro e sul retro con i beni già in possesso dello stesso Mattei (ASR, Coll. Not. Cap., 101, de Amannis, ff. 3 r-4 r si tenga presente che Cristoforo Mutacio possedeva nel 1541 una casa anche sulla piazza di S. Valentino, ad ovest quindi dell’isolato dei Mattei: MARCHETTI LONGHI 1919, p. 498, nota 1). Una delle due case, posta “sub proprietate venerabilis cappelle sub vocabulo Sancte Marie Madalene et Sancti Nicolai site in ecclesia Sancti Ambrosij della Maxima”, è indicata “ubi est turris” e doveva quindi trovarsi, rispetto all’altra, più vicina ad una torre, cioè verisimilmente nei pressi della Turris Salitule, tuttora visibile sul fianco ovest del Palazzo Mattei di Giove allo sbocco della Via dei Funari (l’antica via recta iuxta trullum) verso Piazza Mattei (cfr. MARCHETTI LONGHI 1919, p. 502 ss.). 2.2.4.7. Sui Mattei, ma anche sui Funari, i Coleine, i del Pettine e i Mutacio traiamo informazioni decisive per la topografia della zona da altri tre documenti, già segnalati dal Marchetti Longhi (1922, p. 720), relativi agli anni 14941496. Da questi possiamo dedurre: 1) che la casa di Antonio di Paolo Funari, passata in eredità al nipote Antimo de Sinebarbis e poi da questi venduta nel 1495 al rev. Nicola de Grictis, che si affacciava sulla via pubblica, era limitata da un lato dalla casa di Giovanni di Cola Coleine, dall’altro da quella di Francesco Mutacio e sul retro dall’orto di Ludovico Mattei (ASR, Coll.Not.Cap., 264, de Brachinis, f. 124; 1728, de Taglientibus, f. 234; cfr. anche 263, de Brachinis, f. 248); 2) che una casa di proprietà di una Lavinia, moglie di Antonio di Matteo, venduta a Biagio del Pettine ad integrazione della metà dell’abitazione già in suo possesso, confinava sul davanti e per un lato con la via pubblica, per l’altro con la casa degli eredi di Cola Coleine e sul retro con i filatoria e con parte della piazza su cui si affacciava anche l’orto della famiglia Vitrani/Veterani (ASR, Coll.Not.Cap., 1728, de Taglientibus, f. 185). Alla metà del Cinquecento i filatoria appartenevano alla chiesa di S. Caterina e dovevano occuparne parte della piazza antistante. A partire dal 1555, infatti [19] , il Libro mastro di S. Caterina registra il pagamento della “pigione della piaza dove se fano le fune de contro a nostra gesia” in favore di Stefano Centolini da Gallese (ASR, S. Caterina, 641, f. 15). Costui era figlio di Flaminio, rettore della chiesa (cfr. ASV, Registro Vaticano 1666, ff. 1-2), al quale la Venerabile Società delle Vergini miserabili pagò regolarmente durante gli anni Cinquanta l’affitto della chiesa ed anche “della casa et stanze vechie che abitono le nostre zitelle quale sono attenente a s.ta caterina” (ASR, S. Caterina, 641, f. 15 e passim). La nuova istituzione, d’altra parte, subaffittava a sua volta i filatoria a diversi funari (ibid., ff. 136 x 165). La loro posizione almeno parzialmente coincidente con il sito oggetto della controversia del 1473, appare abbastanza chiara anche nel citato documento del 1559, steso in occasione della apertura della strada “innanzi al Monasterio di Santa Catelina delli funari che risponde dalla strada delle boteghe scure alla via della Tore delli Melangoli”. Il Monastero e la chiesa di S. Caterina si impegnarono allora infatti a levare “tuti li filatori delle fune che se fano in detta strada” (ASR, Presidenza delle strade, Taxae viarum, 445, f. 376 I) e quella operazione segnò probabilmente l’inizio della scomparsa dei funari dall’intera contrada crf la testimonianza in CORVISIERI, BV, b. XV, fasc. 3, f. 2 “Prope S. Catharinam . . . ubi etiam anno 1587 torquebantur funes”; sul rapporto tra la chiesa di S. Caterina e la produzione delle funi nella prima metà del Cinquecento cfr. le fonti citate in Crypta Balbi 1, pp. 27-28). 2.2.4.8. Mentre i filatoria appaiono dunque collocati principalmente sulla pubblica via, una seconda area dedicata ad attività artigianali, ed in particolare alla lavorazione dei panni, sorgeva all’interno dell’isolato. Un ortum sive reclaustrum cum tiratoriis actis ad tirandos pannos ci è noto infatti da un documento del 1482, che lo pone davanti alla platea que vocatur la preta de monastero della Rosa (LANCIANI 1901, pp. 263-264). Lo stesso sito, o parte di esso, verrà più tardi definito come
lochum sive claustrum vulgariter appellatum li tiratori, quando verrà affittato nel 1516 da Marco Antonio Specchi al calcarario Antonio da Soldino (ASR, Coll.Not.Cap., 1187, de Pacificis, f. 182 r : corrige il nome dell’affittuario dato in MARCHETTI LONGHI 1922, p. 690, nota 1). Il sito, in quo loco et territorio in presenti tempore sunt tiratorie pannorum, è indicato iuxta monasterium de la Rosa, e pensiamo di doverlo collocare a nord del monastero stesso, verso dunque la Via delle Botteghe oscure. Era questa, d’altronde, da tempo centro dell’arte dei mercanti di panni di lana (cfr. RODOCANACHI 1894, pp. 5371; la caratteristica persisteva ancora nel XVII secolo, quando le botteghe oscure erano indicate come il luogo “dove stanno quei che fanno coperte di lana da letto”: MARTINELLI 1658, p. 486). Più in particolare sappiamo che “nonnulla domuncula cum horto dicto Monasterio (scil. di S. Caterina) contigua”, proprietà di Marco Antonio Specchi, discendente dell’omonimo locatore del terreno nel 1516, furono vendute alla chiesa di S. Caterina nel 1634 in previsione dei lavori di ampliamento e restauro curati dal cardinale Antonio Barberini (su cui cfr. Crypta Balbi 3, p. 38 ss.), che interessarono prevalentemente il sito compreso tra la chiesa e la via, appunto, delle Botteghe oscure (cfr,il breve di Urbano VIII in ASR, S. Caterina, 46; sulla topografia di questa zona dell’isolato e i documenti relativi torneremo comunque più diffusamente in altra sede). 2.2.4.9. In conclusione, è possibile definire alla fine del XV secolo una serie di otto case contigue allineate in senso est ovest e affacciate a sud sulla via pubblica (l’attuale Vicolo dei Delfini Via dei Funari) e a nord sulla piazza di S. Maria Domine Rose [20] e gli orti, già dei Boccamazzi e poi dei Mattei, divenuti – tramite la enfiteusi del 1495 già ricordata – i grandi proprietari dell’area. Questo lotto di case, abitate prevalentemente da funari (i del Pettine, i Funari stessi, i Mutacio) occupavano in parte il sito di forma triangolare indicato nella pianta del Bufalini del 1551 (fig. 7) allo sbocco S della Via di S. Caterina verso la Piazza della Torre del Melangolo, e in parte il lato nord della via recta, che ne derivò il nome di Via dei Funari. I filatoria, un luogo evidentemente di forma allungata che consentisse il lavoro dei funari, dovevano identificarsi con parte della piazza della chiesa e con la più orientale delle stradine che delimitavano l’isolato triangolare, destinato a scomparire in seguito ai lavori connessi alla costruzione della nuova chiesa di S. Caterina da parte del card. Federico Cesi. La “Misura et stima delle case quali vano butatte per aprire la strada che passa da la strada delle boteghe scure alla strada della Tore deli Marangolli et passa innanti a Sancta Catalina delli Funarj” (ASR, Presidenza delle strade, Taxae Viarum, 445, f. 374r) indica con precisione le case distrutte in quell’intervento, e precisamente: “La casa di ms Ascanio di bianchini . . . La casa di ms christopheno notario ciovella che supra alle moniche et la casetta acanto che vene infino alla strada . . . La casa delle le moniche de sancto Ambrosio che hano da baso di ms christopheno . . . La casa di ms vicencio delle vetera quello che li va butato . . . La casa delle moniche di tor di Spechio quale che si buta in terra . . . ” Mentre nella casa delle monache di Tor de’ Specchi si deve riconoscere lo stabile presente allo sbocco N della via, sul lato delle Botteghe oscure, le altre case sono da individuare tutte sullo sbocco orientale. Esse sono indicate in ordine progressivo, da W verso E, come dimostra il fatto che per ultima sia citata la casa dei della Vetera, solo parzialmente distrutta e forse riconoscibile nelle rovine tuttora esistenti sotto la navata della chiesa di S. Caterina (cfr. Crypta Balbi 1, p. 31, fig. 12). Sulla base di questa identificazione sembra possibile riconoscere le case delle monache di S. Ambrogio e di Cristoforo notaio nel complesso un tempo appartenuto [21] alla famiglia del Pettine, e quelle di Ascanio Bianchini nell’antica casa dei Coleine ormai – lo sappiamo – da tempo trasferitisi in Trastevere. Questa casa in particolare avrebbe occupato l’angolo dove ora sorge la cantonata del palazzo Mattei di Giove; i Mattei avrebbero infatti ottenuto in quell’occasione di “tirare il filo” delle loro proprietà , regolarizzando l’angolo SE del loro complesso: “Lo Palazo del Mag.co ms Paulo Mattei – conferma il citato documento della Presidenza delle Strade, f. 37 6 I – paghi tute le case che sono presso la casa sua cio he quella di ms Ascanio bianchini et quella delle
moniche di Santo Ambrosio della maxima et le case di ms sano palmiro secondo la stima fatta et butta in terra quello che va in strada et habia tuti li sitti publici che restano dalla banda sua . . . ”. Dai documenti non risulta traccia della strada che delimitava a ovest l’isolato triangolare delineato dal Bufalini. La casa dei Coleine (poi Bianchini) risulta direttamente confinante con quella già di Antonio di Paolo Funari, che abbiamo visto nel 1540 in proprietà del Nardulini e non menzionata nell’atto del 1559 perché evidentemente esterna al perimetro oggetto della disposizione dei Maestri di strada. È possibile che il vicolo in questione fosse meno rilevante di quanto appare nella pianta del Bufalini, o che esso fosse stato aperto solo nel corso della prima metà del XVI secolo, forse dagli stessi Mattei, per collegare alla via pubblica le loro proprietà interne all’isolato. A ovest della casa dei Coleine troviamo quindi allineate alla fine del XV - inizio del XVI secolo, e ben riconoscibili, la casa già di Antonio Funari, le due case dei Mutacio, la casa di Pietro Paolo di Francesco Gregori e, infine, la torre (Turris Salitule). Il fronte sud dell’isolato di S. Caterina ci appare dunque assai meno permeabile in quest’epoca di quanto non lo sarebbe stato dopo la metà del Cinquecento. Sia i filatoria che la strada ad essi convergente immettevano verso un’area interna nella quale sorgeva la chiesa con le sue pertinenze, davanti alla quale si apriva la piazza (la preta del Monastero della Rosa) e si stendevano gli orti. Tra le pertinenze della chiesa dobbiamo considerare il gruppo di case ad essa contigue e parzialmente rovinate citate nell’enfiteusi del 1495 (e forse la stessa casa de Sinebarbis adiacente ai beni della cappella di S. Saturnino), comprese tra la chiesa stessa e la via pubblica, affacciate, forse, sulla piazza, che ci dovrebbero dare testimonianza concreta della consistenza del costruito all’interno dell’isolato alla fine del XV secolo. Una situazione analoga doveva verificarsi allo sbocco nord della via aperta nel 1559. Le indagini in corso nelle case presenti sul lato E di Via Caetani e un documento del 1635 rintracciato nell’Archivio di S. Caterina, sul quale avremo modo di tornare in altra sede (ASR, S. Caterina, b. 21, f. 374), ci consentono di ristabilire con precisione l’allineamento della fronte delle case in quel settore dell’isolato (fig. 8) e di riconoscere la porzione delle case delle monache di Tor de’Specchi abbattuta nel 1559. Anche se non conosciamo nulla al momento della consistenza dell’angolo NE del futuro Palazzo Caetani sullo scorcio del XV secolo, appare verisimile che anche in questo settore l’accesso alla piazza di S. Maria Domine Rose fosse relativamente disagevole, e comunque piuttosto stretto. Il valore assegnato alla casa da abbattersi da parte dei Maestri di strada (250 scudi) può anche far supporre che la fronte delle case affacciate.sulla Via delle Botteghe oscure proseguisse ancora verso W, restringendo ulteriormente gli accessi all’interno dell’isolato. Questo avrebbe dunque conservato ancora alle soglie del XVI secolo pressochè [22] intatta la sua conformazione medioevale, testimone di un’epoca in cui le rovine del teatro e della crypta di Balbo avevano originato un complesso fortificato arroccato sui ruderi del teatro (il futuro trullum di Iohannes de Statio, su cui torneremo in altra occasione) e difeso, per una fronte di diverse centinaia di metri, dai ruderi delle antiche murature, alle quali si erano andate addossando, sin dal XII secolo, le case sorte con la ripresa dell’abitato al confine tra i rioni di Pigna e S. Angelo (cfr. MANACORDA-ZANINI C.S.). Sulla base dei documenti sin qui ricordati e delle osservazioni che siamo andati svolgendo, e scontando le incertezze che ricostruzioni topografiche di tal genere comportano, ci sembra che la restituzione schematica del sito nei decenni a cavallo tra XV e XVI secolo che qui si propone (fig. 9) possa ritenersi con buona approsimazione plausibile. [23] 2.3 Il nuovo monastero di Santa Caterina Le maggiori novità nella interpretazione della sequenza stratigrafica e nella cronologia delle fasi relative riguardano il periodo I, alla cui origine si pongono quelle attività (43, 138) che rappresentano le operazioni preliminari alla edificazione del monastero o comunque all’assetto del suo giardino. 2.3.1. In particolare, il riconoscimento dell’att. 138 consente di ricostruire parzialmente il paesaggio dell’area abbandonata, dominata evidentemente dal rudere del muro diametrale dell’esedra antica, a ridosso del quale venne praticata una grande fossa allo scopo di sondare il
terreno e soprattutto di recuperare le lastre e i blocchi di travertino del monumento antico. Possiamo anzi supporre che il rudere, mentre veniva indagato nel sottosuolo alla ricerca di pietre da costruzione, veniva anche sfruttato nella sua parte in vista per il recupero della tegolozza, che troviamo impiegata in abbondanza nelle strutture edilizie originarie del monastero. I materiali di riempimento della fossa rappresentano un contesto ceramologico assai più omogeneo di quelli recuperabili nelle terre del giardino. Esso va riferito ad accumuli provenienti dall’area circostante, testimonianze dei consumi di una o più case della zona, evidentemente precedenti l’inizio della vita della nuova comunità religiosa. Da questo punto di vista, considerati anche i termini cronologici precisi cui assegnare il contesto (ante 1550), i dati relativi alla cultura materiale, e specie alle produzioni di maiolica e di ceramica invetriata, acquistano un valore particolare di conferma dei dati emersi dalle analisi esposte in Crypta Balbi 3, ma anche di ampliamento del quadro e di precisazione dei repertori ceramici disponibili a Roma nella prima metà del XVI secolo (cfr. p. 114 ss.). 2.3.2. La datazione attorno al 1550 – coerente con quanto emerso dallo studio dei materiali si basa anche sui dati cronologici connessi alla vita dell’istituzione (cfr. Crypta Balbi 1, pp. 28-32 e Crypta Balbi 3, pp. 24-25). Se il Libro Mastro [24] della Compagnia di Santa Caterina della Rosa (ASR, S. Caterina, Libro Mastro 641) si inizia nel 1550, sappiamo che un primo nucleo di “povere Zitelle et alcune Donne per loro governo” si era già formato su iniziativa di Ignazio di Loyola già almeno nel 1542 (ASR, S. Caterina, registro 556), poco prima della istituzione di una congregazione “composta di persone pie e nobili, per aiutare il santo nel buon governo delle donzelle, e nell’amministrazione delle limosine relative al loro mantenimento” (MORONI 1840, XVII, p. 16). Negli anni ‘40, dunque, l’istituzione era già funzionante, e lo confermano sia un documento relativo alla professione di dodici zitelle, che porta la data del 3 giugno 1548 (ASR, Camerale III, Roma, Chiese-Monasteri, b. 1876), sia il testamento di Giampietro Crivelli, del 12/9/1548 (ma la prima stesura è già del 4/2/1546), ove sono citate, fra gli altri, anche le Virgines Sanctae Catherine apud apothecas obscuras (GNOLI 1891). Ciò non implica che i grandi lavori edilizi che portarono nel successivo decennio alla erezione del nuovo monastero fossero al tempo già compiuti o anche solo avviati. Le “Conventiones et pacta” con i maestri muratori Luca e Bernardo per “murum ... edifici conficere” e “muros novos ... incohare” risalgono infatti al settembre 1549 (ASC, Not. A.C., 6151, ff. 654r-565r). Al novembre dello stesso anno risale l’acquisto da parte della Venerabile Società delle Vergini miserabili di un pezzo di terreno di venticinque canne (circa 125 mq) dai beni di Gerolamo Bongiovanni (sui possedimenti della famiglia nella nostra zona avremo modo di tornare in altra sede). L’atto di acquisto (ASR, Not. A.C., 6151. ff. 1012 r -1013r ) descrive con precisione il sito del terreno, delimitato a N dai beni rimasti in possesso del Bongiovanni, a ovest e a sud dalla chiesa di S. Caterina e dai suoi orti e a est dai beni degli eredi del notaio de Pacificis, divisi da quelli del Bongiovanni da un “murum divisorium” nel quale è possibile riconoscere quanto allora emergeva del muro diametrale in laterizio dell’esedra antica. L’area acquistata corrisponde con precisione pertanto al rettangolo (fig. 11) compreso fra la testata posteriore della navata sinistra della chiesa, a ovest, e il muro dell’esedra, a est, mentre a sud è delimitata dal muro medioevale, conservato in fondazione (cfr. infra, p. 35), che delimitava un tempo i possedimenti dei Funari da quelli dei Saragona (sull’argomento si veda Crypta Balbi 5 c.s.). Solo dopo questo acquisto sembra dunque possibile inquadrare le attività di scavo nell’area testimoniate dall’att. 138: una grande fossa che sembra comunque aver intaccato in parte anche il terreno rimasto in proprietà del Bongiovanni. A quest’ultimo la Società delle Vergini miserabili continuerà d’altronde a pagare ancora per qualche tempo la pigione del “passo del suo orto” (ASR, S. Caterina, 641, ff. 4, 19, 37), a mano a mano che procedevano i lavori di costruzione del nuovo monastero, resi possibili dall’acquisto di altri stabili e terreni circonvicini, specie sul versante sud dell’isolato (ibid., ff. 4, 28, 132; cfr. ASR, Not. A. C., 6154, ff. 485 r -486 r : vendita Albertoni del 13 nov. 1550; 6156, ff. 99r101r: vendita Frangipani del 4 maggio 1551).
Gli anni Cinquanta sembrano dunque costituire un punto di riferimento cronologico piuttosto preciso per le attività svolte nell’area dell’orto di S. Caterina, che in quegli stessi anni venne nuovamente impiantato, come testimonia ancora il Libro Mastro, a partire dal 1552. In quell’anno infatti si registrano spese per aver “fatto lavorare lorto per schassare e spianare fare incannucciati seminare e piantare arbori e vite in detto orto” (ASR, S. Caterina, 641, f. 55), cui fanno seguito, nel 1560, le spese “per la portatura de 76 caretate de teracio” e “per doi opera de garzoni per portare la terra su lorto alla fabricha” (ibid., ff. 117-118), [25] che riflettono forse l’allestimento del nuovo giardino. Questo è concomitante, d’altronde, ad una ripresa delle attività edilizie - mai interrotte comunque negli anni Cinquanta – che segnano forse la conclusione della prima fase costruttiva del nuovo monastero di S. Caterina (ibid., ff. 172 ss.). 2.3.3. Definizioni cronologiche più puntuali si sono potute conseguire anche per l’avvio della seconda fase del periodo. I documenti di archivio, in particolare il Libro di fabricha per S(an)ta Chaterina (ASR, S. Caterina, registro 545), testimoniano le “spese dei materiali occorsi per l’ingrandimento della Fabrica del M(onaste)ro di S. Cat.a della Rosa negl’anni 1581 e 1582 e delle giornate pagate al M(ast)ro Muratore e garzoni” e lasciano pertanto intendere che a trenta anni circa dalla erezione del monastero si dovette procedere ad un suo sensibile ampliamento, giustificato anche dal considerevole aumento del numero delle zitelle ospitate (per il 1583 se ne contano già 150: ASR, S. Caterina, 53, f. 3). È probabile che questo ampliamento vada riconosciuto anche nei due corpi (att. 75 e 108) che vengono a limitare sui lati sud e nord l’area del giardino, la cui cronologia sembra ora preferibile anticipare di qualche decennio rispetto a quanto supposto in Crypta Balbi 3, p. 40 ss. La nuova fase edilizia sul lato settentrionale del complesso fu resa possibile dall’acquisizione in data 15 settembre 1579 di 96,5 canne di terreno (circa 480 mq) dalla proprietà Bongiovanni, allora amministrata da Orazio Foschi in qualità di tutore delle nipoti di Gerolamo Plautilla e Cristofora (sulla famiglia Bongiovanni torneremo in altra sede). L’atto di vendita (ASR, Not. A.C., 2351, ff. 5 7 4 r - 5 7 7 v ; ringrazio Carolina Mariani per averne segnalato la traccia in ASR, S. Cecilia, 4067) viene a chiudere una controversia sollevata nel 1578 dal Monastero di S. Caterina per la cessione a suo favore di parte della proprietà Bongiovanni in forza della recente bolla di Gregorio XIII (su cui cfr. BORGNANA 1855). Il terreno, situato tra il Monastero stesso a ovest e a sud, i beni Bongiovanni a nord e quelli di Antonio Baroncini a est – dove nel frattempo la chiesa di S. Salvatore in pensilis era in via di trasformazione nella nuova chiesa di S. Stanislao dei Polacchi (cfr. JANASIK 1939, p. 10 ss.) – viene così definito: “ab angulo muri et parietis domus quam inhabitat dominus Jo. Baptista Sella usque ad calcariam veterem pro ut tendit murus vel paries divisionis”. Se la casa Sella non è meglio localizzabile – ma si trovava evidentemente nel complesso dei beni ad est dell’appezzamento – il muro citato va identificato secondo l’allineamento dell’attuale alto muro di clausura, che nello stesso atto il Monastero si impegnò ad edificare per separare i suoi beni da quelli del Bongiovanni. La “calcara vecchia” si trovava probabilmente nell’angolo nord est dell’appezzamento, e viene così indicata per distinguerla da una seconda calcara, citata nell’atto come presente nello stesso sito. Questo si presentava allora tenuto a sodo, con erba e pergolati, come appare dalla presa di possesso del terreno effettuato il giorno seguente all’acquisto, “in dictum terrenum intrando per eum deambulando, agrestas in pergula dicti terreni existenti et herbas manibus propriis colligendo” (ASR, Not. A.C., 2351, f. 577v). Le due calcare erano date in concessione dal Foschi a Francesco del Monte, calcararo, e a Memmo Basso, scalpellino, i quali – anzi – conferma l’atto (ibid., f. 576r), le avevano essi stessi costruite. La calcara nuova può essere pertanto identificata con quella riemersa nel saggio III, al di sotto dell’amb. 31, [26] che dimostra infatti di essere stata rasata dalla costruzione della nuova ala del monastero prima ancora di venir utilizzata (lo studio della calcara non rientra in questa pubblicazione: cfr. comunque fig. 11). Per questo motivo, nel luglio 1580, troviamo registrato un pagamento di 40 scudi in favore dello stesso Francesco del Monte a risarcimento dei “melioramenti suoi fatti nella calcara del sito
comprato per la nostra Compag.a . . . a canto al mona.ro di essa s.ta catta.na dal m.co ms Horatio foschi” (fig. 10). I dati desumibili dall’atto notarile e i riscontri archeologici sul terreno permettono quindi di posizionare con precisione l’appezzamento acquistato nel 1579. L’area, di forma pressochè rettangolare (m 20x24), così definita (fig. 11), occupa infatti una superficie esattamente corrispondente alle 96 canne citate nel documento. Un altro documento del 1581 attesta un “pagamento per lavori nella fabbrica nuova e per il condotto dell’acqua” (ASR, S. Caterina, b. 41Obis) e conferma la relazione, già a suo tempo supposta per motivi stratigrafici, tra le nuove fabbriche del monastero e la messa in opera del grande collettore (att. 51) che attraversava da sud a nord l’area del giardino. Anche in questo caso la sua cronologia ne risulta quindi rialzata di qualche decennio rispetto a quanto supposto in precedenza. Questa nuova datazione concorda d’altra parte con i dati desunti dai materiali ceramici impiegati nella muratura del collettore, e in particolare nel conglomerato cementizio della sua volticella (cfr. infra, p. 44). Un “conto dei lavori per portare l’acqua dalla fontana dei Mattei” al monastero è steso in data 17 gennaio 1582 (ASR, S. Caterina, b. 41Obis). Il grande collettore sembra dunque costituire la testimonianza archeologica più concreta dell’allacciamento del monastero alla rete idrica cittadina, avvenuto - come si sa - solo dopo la concessione di un’oncia d’acqua Vergine da parte di papa Gregorio XIII nel 1580 con apposita bolla (ASR, S. Caterina, 46, fasc. 8; ALEANDRI BARLETTA 1978, p. 31, n. 22; Crypta Balbi 3, p. 37). [27] DANIELE MANACORDA
La sequenza stratigrafica PERIODO 0 (ca. 1480-1550). Nella prima metà del XVI secolo la progressiva parcellizzazione del terreno che era stato di pertinenza del monastero medievale di S. Maria Domine Rose ad opera delle famiglie della zona sembra essere giunta a compimento (Crypta Balbi 3, pp. 20-21); la zona appare in uno stato di parziale abbandono, testimoniato tra l’altro dal rinvenimento di alcune carcasse di animali (att. 99 e att. 48). 110. Terreno di calpestio dell’area ad est del muro diametrale dell’esedra antica (Crypta Balbi 3, p. 77). 99. Terreno di calpestio dell’area ad ovest del muro diametrale dell’esedra antica (Crypta Balbi 3, p. 77). L’accumulo di terra e materiale formatosi in seguito alla frequentazione della zona dà origine ad un livello di terreno presente su tutta l’area; probabilmente si tratta di episodi – e quindi di momenti diversi di stratificazione (US 422, 425, 430, 455, 755, 781, 783, 784, 791, 1584, 1666, 1668 e 1695) – riconducibili ad un uso sporadico dell’area; nell’angolo sud-orientale del futuro giardino viene gettata la carcassa di un bovino (US I 668; cfr. infra, pp. 195-196, fig. 59). Il frequente rimescolamento del terreno dovuto sia ad alcune attività agricole, che devono aver continuato ad interessare parte dell’area, che agli sconvolgimenti effettuati con l’impianto della fabbrica del Conservatorio e, successivamente, del suo giardino, impedisce di isolare con certezza reperti datanti. 48.
Fossa per la sepoltura di un asino. Al centro dell’area viene scavata una buca (US 541) di forma pressoché circolare all’interno della quale viene gettata la carcassa di un asino (US 542; cfr. p. 196, fig. 58). La deposizione dell’asino è riferibile alla prima metà del XVI secolo poiché tra i denti dell’animale è stato rinvenuto un frammento di boccale in maiolica tipo Crypta Balbi 3, nn. 558-560 databile entro il primo terzo del XVI secolo; altri due frammenti dello stesso tipo erano tra le costole. La presenza di questa carcassa negli strati riferibili all’epoca immediatamente precedente l’impianto della fabbrica del Conservatorio conferma lo stato di parziale abbandono dell’area. PERIODO I (metà XVI-inizio XVII secolo). F as e A (metà XVI secolo; tav. I, 1). Con la metà del secolo l’area subisce un processo inverso a quello verificatosi negli anni precedenti e torna a ricostituirsi come un terreno unitario destinato ad accogliere la fabbrica del Conservatorio di S. Caterina della Rosa; ne sono testimonianza tra l’altro due documenti della metà del secolo che citano l’acquisto di appezzamenti di terreno da Giulia de Albertonibus (Crypta Balbi 3, p. 25); e dalla proprietà Bongiovanni (cfr. infra, att. 135, e supra, pp. 25-27). Intorno alla metà del XVI secolo vengono effettuate le principali opere di allestimento della fabbrica del Conservatorio, dalle attività di scasso precedenti [29] la fondazione dei muri (att. 138, 42, 43, 139 e 135) alla posa in opera delle murature (att. 84 e 90), di un pavimento (att. 133) e di parte dell’impianto idrico (att. 92), fino al livellamento dell’area con uno strato unitario di terreno atto alla coltivazione (att. 83). 113. 118. 138.
Scavo di una fossa di fondazione a ridosso del muro semicircolare dell’esedra antica (Crypta Balbi 3, p. 78). Scavo di una fossa di fondazione in corrispondenza della nicchia dell’esedra antica (Crypta Balbi 3, p. 78). Scavo di una fossa a ridosso del muro diametrale dell’esedra antica (fig. 13). Nella parte orientale dell’area, in un punto in cui emergevano ancora in elevato parti delle
antiche strutture relative al lato orientale della Cripta di Balbo, viene scavata una grande fossa orientata in senso nord sud, di forma grossolanamente rettangolare (US 501). Il lavoro di scavo deve aver richiesto un certo tempo: lo testimonia il riconoscimento di tagli successivi e a volte sovrapposti, spiegabili forse come aggiustamenti e regolarizzazioni successive della forma della buca in seguito allo smottamento delle pareti. Quest’indagine tendeva probabilmente alla verifica statica della struttura antica a cui ci si voleva agganciare per l’erezione della muratura moderna (a questo proposito cfr. Crypta Balbi 3, pp. 29-30 e 78, att. 113 e 118) e alla ricerca di materiali da riutilizzare: in quest’occasione, infatti, vengono asportati alcuni blocchi di travertino dallo spigolo settentrionale dell’esedra antica (US 584), le lastre di marmo cipollino che fungevano da cornice decorativa della parte inferiore del muro in laterizio e le lastre di travertino che coprivano un collettore antico (US 640). La grande fossa taglia il pavimento del monumento romano (US 620, fig. 14) e parte delle stratificazioni sottostanti fino a mettere in luce e distruggere parzialmente i collettori antichi. Le terre che riempiono la fossa – distinte durante lo scavo in diversi strati (US 459, 525, 543, 546, 552, 556, 563, 571 e 572) facenti parte però di un riempimento unitario – hanno restituito una notevole quantità di materiali sia residui (si tratta in questo caso per lo più di reperti romani poichè lo scasso ha intaccato profondamente una stratigrafia riferibile all’abbandono del monumento antico avvenuto tra V e VI secolo), che coevi allo scavo: tra questi sono particolarmente abbondanti la maiolica e la ceramica invetriata mentre è minima la presenza di ceramica acroma. L’analisi delle due classi di materiali più rappresentate, e in particolare della maiolica, fa propendere per una datazione alla metà del XVI secolo, immediatamente dopo l’acquisto del terreno dal Bongiovanni (cfr. supra p. 25): il termine più tardo sembra infatti indicato dai piatti tipo Crypta Balbi 3, nn. 341-343, riferibili al secondo terzo del secolo. La cronologia è anche confermata dal fatto che all’interno della fossa è stato messo in opera uno dei pilastri della fondazione del muro perimetrale settentrionale del giardino del Conservatorio e che questo sembra essere costruito per lo meno con tre lati a vista; ciò dimostra quindi che al momento della messa in opera dei muri perimetrali la grande fossa era ancora per lo meno parzialmente aperta. 42.
Scavo di una fossa all’interno dell’att. 138 (fig. 13). Nelle terre di riempimento dell’att. 138 viene scavata, presumibilmente dopo un brevissimo lasso di tempo, una nuova fossa rettangolare posta in senso est-ovest (US 522). La trincea si presenta molto regolare e con pareti perfettamente spiombate: queste caratteristiche e il suo orientamento coerente con quello del corpo di fabbrica che si andava impiantando possono far ipotizzare che il suo scavo fosse finalizzato alla posa in opera di una fondazione non più realizzata (poteva trattarsi della sede in cui si intendeva erigere il muro settentrionale del giardino, poi costruito un paio di metri più a nord, in un settore della grande fossa – att. 138 – ancora aperto). La terra di riempimento della trincea (US 523) ha restituito una notevole quantità di [32] reperti, anche in questo caso per lo più di ceramica invetriata e di maiolica, relativi ad esemplari spesso ben ricostruibili. La cronologia, come per l’att. 138, può essere fissata intorno alla metà del XVI secolo, ma in questo caso i materiali si presentano molto più omogenei (cfr. infra, pp. 143-153). [Ada Gabucci] 139.
Scavo di una grande fossa (fig. 15). Nella parte meridionale del futuro giardino del Conservatorio viene scavata una fossa di forma grossomodo circolare (US 1921), che in seguito viene riempita da terra argillosa mista ad una notevole quantità di materiale edilizio e frammenti ceramici (US 1693). La grande quantità di materiale edilizio ritrovato può far supporre che si tratti di uno scarico effettuato in seguito ai lavori di sistemazione dell’area per l’erigendo Conservatorio. I materiali formano dei nuclei omogenei e pertanto – benché non si possa stabilire con certezza la loro provenienza – è possibile che fossero servizi in uso in un’abitazione dell’area limitrofa oppure in un primo insediamento di monache e zitelle stanziate nella zona prima della fondazione del Conservatorio (cfr. supra, p. 25). La cronologia di questi materiali – tutti molto comuni nel corso
del XVI secolo – può essere circoscritta alla prima metà del ‘500. Particolare rilievo, ai fini di una datazione, si deve attribuire alla maiolica rinascimentale. In base ai dati quantitativi risulta che sono presenti servizi da tavola di produzione locale (piatti con piede ad anello tipo Crypta Balbi 3, nn. 334, 335, 337 e 342-347, ciotole carenate tipo Crypta Balbi 3, nn. 504-507 e boccali trilobati tipo Crypta Balbi 3, nn. 558-564) insieme a servizi imitanti le produzioni faentine e valdarnesi (piatti tipo Crypta Balbi 3, nn. 314-317, scodella tipo Crypta Balbi 3, nn. 416418, ciotole emisferiche tipo Crypta Balbi 3, nn. 469-470). Il materiale di produzione locale presente nelle terre di riempimento della fossa è databile entro la prima metà del XVI secolo; la medesima cronologia può essere proposta anche per i prodotti di origine faentina e valdarnese che, collocabili su base tipologica nei secondi due terzi del XVI secolo, compaiono qui con le decorazioni più antiche. La classe di materiali numericamente più attestata è l’invetriata rinascimentale. È presente solo la produzione più antica (produzione 1; cfr. Crypta Balbi 3, p. 471; infra, p. 163), il cui inizio si data al XVI secolo. È interessante notare che tra le forme individuate, quali pignatte e tegami, compaiono anche alcuni recipienti (boccali e contenitori cilindrici), attestati solamente in un altro contesto analogo a questo (att. 138; cfr. infra, pp. 143-153). I materiali residui costituiscono il 30% di tutti i reperti provenienti dalla fossa. In particolare sono attestate classi ceramiche medievali rivestite da ingobbio o vetrina; ciò è dovuto al fatto che durante lo scavo della fossa si sono certamente intaccati livelli medievali di orto. [Leonella Tesei] 135.
Spoliazione di murature preesistenti (fig. 15). Nella parte occidentale dell’area del futuro giardino del Conservatorio vengono spoliati due muri, mediante lo scavo di due trincee ortogonali tra loro (US 780, 786 e 1697); le fosse vengono poi riempite di terra mista alle macerie derivanti dalla demolizione delle murature. I materiali contenuti nel riempimento della fossa sono complessivamente di modesta entità. Sono rappresentati per il 70% da residui di età classica e tardoantica ed in particolare da pareti di anfore africane. Tra i materiali in fase, l’analisi della maiolica rinascimentale contribuisce a fissare una datazione alla metà del XVI secolo; sono presenti infatti boccali riferibili al primo terzo del ‘500 (tipo Crypta Balbi 3, nn. 558-560). La presenza di abbondante materiale di epoca classica e tardoantica in una fossa che taglia solamente stratificazioni di età bassomedievale può far ritenere che questo scavo sia stato praticato contemporaneamente ad altri scassi di profondità maggiore (att. 138) in [34] un’area interessata dai lavori per l’impianto della fabbrica del Conservatorio. Le murature spoliate (US 782 e 804) sono da considerare testimonianza delle vecchie delimitazioni di proprietà; la loro analisi, in rapporto con le strutture ancora oggi esistenti in elevato nella zona meridionale dell’isolato, permette di ipotizzare la pertinenza di questi muri di confine all’orto un tempo dei fratelli Funari, le cui case sorgevano sull’attuale via dei Delfini accanto al palazzo che sappiamo, tra XIV e XVI secolo, di proprietà dei Piermattei Albertoni. Il muro spoliato US 804 costituiva anche – all’atto della costruzione del Monastero – il confine meridionale della proprietà Bongiovanni che sappiamo ceduta, per una superficie parzialmente coincidente con quella oggetto di questa indagine, alla Venerabile Società delle Vergini Miserabili nel novembre 1549 (cfr. supra, p. 25 e fig. 11). I resti monumentali, i documenti di archivio e l’analisi della stratificazione e dei materiali, concorrono a datare al 1550, o poco dopo, l’abbattimento di un confine di proprietà ormai divenuto inutile; per un ulteriore approfondimento cfr. Crypta Balbi 5. 43.
Scavo di una fossa. Nella parte settentrionale dell’area viene scavata una fossa di forma pressochè quadrangolare (US 438) fino a raggiungere un piano di malta probabilmente riferibile ad una costruzione di epoca bassomedievale; lo scavo viene poi riempito con terra mista a materiale edilizio forse derivante dalla distruzione della struttura stessa. I limiti della fossa non corrispondono, almeno in buona parte, a quelli originari poiché sono stati tagliati dalle trincee di fondazione dei diversi corpi di fabbrica del Conservatorio (att. 90 e 108). [35] 84. Costruzione del muro che delimita ad Ovest il giardino del Conservatorio (Crypta Balbi 3, pp.
78-80). Il muro che separa ad ovest il giardino dal refettorio viene edificato mediante tre elementi sovrapposti: una fondazione continua in conglomerato cementizio, sovrastata da nove piloni alternati a bocche di lupo e, in elevato, da una muratura in tufo e mattoni di cui, al momento dello scavo, restavano solo pochi frammenti. Nell’area settentrionale del giardino, oggetto di questa pubblicazione, si trovano solamente tre dei nove piloni di fondazione del muro; poichè essi corrispondono pienamente alla descrizione complessiva della struttura fatta in Crypta Balbi 3, pp.78-80, non è parso necessario ripeterne l’analisi dettagliata. 90.
Costruzione dei muri perimetrali settentrionali del giardino del Conservatorio (Crypta Balbi 3, p. 78). Lungo il limite nord del futuro giardino viene tagliata una trincea di fondazione molto netta; al suo interno, nella porzione più orientale, viene eretta una muratura a sacco in conglomerato costituita da due diverse gettate: la prima serve ad innalzare due piloni – uno dei quali compare all’interno della grande fossa scavata a ridosso del muro diametrale dell’esedra antica (att. 138) – posti a distanza irregolare e la seconda ad unire i piloni mediante archi di scarico difformi l’uno dall’altro, gettati su terra (US 143; figg. 17-18). Nella porzione occidentale della trincea, invece, la gettata di fondazione è in conglomerato cementizio pieno senza archi di scarico. Al di sopra della fondazione viene poi eretta la muratura in elevato (US 14) costituita da pezzame di tufi sbozzati, frammenti di laterizi e pietre legati da malta e rivestiti di intonaco (fig. 19). Nella costruzione di questo muro, in corrispondenza del futuro amb. 31, viene prevista l’apertura di una porta che doveva mettere in comunicazione gli ambienti interni con l’esterno. La conferma dell’assetto dell’area in questo periodo ci viene dal confronto [37] delle quote della soglia dell’amb. 31 con quelle esterne relative all’att. 83 (fig. 20), da cui si deduce che il dislivello era superato mediante una rampa in salita verso l’esterno, formata presumibilmente da tre gradini. 102.
Costruzione di un muro nell’area dell’esedra romana (Crypta Balbi 3, p. 80).
107.
Costruzione di un pozzo nell’area dell’esedra antica (Crypta Balbi 3, p. 80). [Ada Gabucci]
92.
Costruzione di un pozzo nero e di due canalette di scolo (Crypta Balbi 3, pp. 80-81). Il settore sudoccidentale del giardino si presenta in questo periodo come un nodo centrale della canalizzazione dell’area: è probabile che le strutture dell’att. 92 fossero utilizzate per l’eliminazione dei detriti organici, mentre un pozzo addossato al muro perimetrale occidentale (att. 84; Crypta Balbi 3, p. 80), doveva servire all’immissione delle acque chiare. È interessante notare che nell’amb. 252, in corrispondenza del pozzo esterno, ve ne era uno gemello interno: è pertanto probabile che le due strutture, comunicanti, fossero utilizzate per approvvigionare di acqua un ambiente cantinato che in una sua prima fase sembra essere stato una cucina. 133.
Pavimento in cocciopesto (fig. 21). Nell’area sud-occidentale del giardino viene gettato un pavimentino in cocciopesto ottenuto mediante il compattamento di due strati sovrapposti di terra mista a scagliette di tufo, mattoni e marmo (US 1622 e 685). Brandelli di un pavimento analogo, ma di superficie più ampia, sono stati rinvenuti, più o meno alla stessa quota, in un settore più meridionale dello scavo (US VII 689 e 592). La presenza di queste tracce su di un’area piuttosto vasta fa supporre l’esistenza di una zona – forse a cielo aperto – adibita a servizi successivamente ristretta e poi eliminata dalla costruzione di un ambiente porticato (amb. 27; Crypta Balbi 3, p. 86, att. 75). Una datazione, per entrambi i pavimenti, alla metà del XVI secolo è confortata dall’analisi della maiolica rinascimentale e in particolare dalla presenza di ciotole (tipo Crypta Balbi 3, nn. 452-453), boccali (tipo Crypta Balbi 3, n. 561) e piatti (tipo Crypta Balbi 3, n. 337). Le decorazioni attestate sono quelle di produzione locale databili intorno
alla prima metà del XVI secolo. [Leonella Tesei] 40.
Costruzione di un pozzetto. Nel vano della finestra più settentrionale del muro diametrale dell’esedra antica, il cui rudere era in quel tratto ancora affiorante, viene costruito un pozzetto (US 515) con una muratura molto irregolare che in parte riutilizza la cortina laterizia del muro romano (figg. 22-23). Al di sotto della struttura muraria il pozzetto sembra proseguire in uno scasso praticato nella cortina laterizia romana; questa rottura serviva forse a contenere un tubo di scarico che – a giudicare dalla traccia nel muro – potrebbe essere [38] stato utilizzato come scolo a perdere nelle terre friabili e ancora poco compatte che avevano riempito la grande fossa scavata a ridosso del muro diametrale dell’esedra antica (att. 138). Al momento dello scavo la struttura risultava obliterata da un corpo di fabbrica più tardo (att. 108) che aveva anche tagliato qualsiasi rapporto tra il pozzetto e un’eventuale canalizzazione nelle terre del giardino. La posizione stratigrafica dell’attività e il fatto che la struttura sembra cedere acque alla parte del giardino ad Ovest del muro diametrale dell’esedra, possono far pensare ad un suo collegamento con un pozzo costruito nel medesimo periodo a ridosso del muro perimetrale semicircolare dell’esedra antica (Crypta Balbi 3, p. 80, att. 107), mediante una canalizzazione in seguito distrutta (Crypta Balbi 3, pp. 104-105, att. 31 e 4). [39] 97.
Obliterazione delle strutture dell’att. 133 (Crypta Balbi 3, p. 81).
88.
Scavo di una fossa nel centro del giardino (Crypta Balbi 3, pp. 81-82).
111.
Riporto di un lembo di terra del giardino (Crypa Balbi 3, p. 82).
130.
Fondazione di un muretto di contenimento nell’area dell’esedra antica (Crypta Balbi 3, p. 82).
83.
Sistemazione delle terre del giardino e loro frequentazione (Crypta Balbi 3, p. 82). Dopo la fine delle opere di impianto del Conservatorio viene riportato uno strato di terra a livellare l’area destinata a giardino (US 418, 419, 420, 421, 521, 554, 762, 764, 765, 766, 767). Questo terreno, lavorato e rimescolato, costituisce il piano di calpestio relativo ai primi decenni di vita del Conservatorio (cfr. supra, pp. 24-26). Fase B (metà XVI secolo-1580 circa; tav. I, 1). È la fase che vede le prime attività di allestimento del giardino vero e proprio dopo che sulle attività di costruzione della fase precedente è stato steso uno strato unitario di terreno (att.83). Si riconoscono principalmente lavori di canalizzazione superficiale (ad esempio att. 37 e 86), restauri e obliterazioni di strutture idriche precedenti (att. 132 e 122) e sistemazioni dell’area aperta (att. 30). 103. Costruzione di una vasca nell’area dell’esedra antica (Crypta Balbi 3, p. 83). 86.
Costruzione di una canaletta a ridosso del muro diametrale dell’esedra antica (Crypta Balbi 3, p. 82).
87.
Allestimento di aiuole nell’area centrale del giardino (Crypta Balbi 3, p. 82).
85.
Scavo di alcune fosse nell’area centrale del giardino (Crypta Balbi 3, p. 82).
37.
Posa in opera di una canalizzazione. Il vano della finestra centrale del muro diametrale dell’esedra antica viene chiuso da una toppa (US 716) costituita da un nucleo cementizio ricoperto da una cortina laterizia con tegolozza disposta irregolarmente su letto di malta di spessore variabile. Nella tamponatura viene ricavata
un’apertura riquadrata superiormente da una lastra di peperino di reimpiego (US 715). L’interno di questa apertura, verso l’esedra, appare sagomato forse per l’inserimento di una fistula di cui però non si conserva alcuna traccia (figg. 24-25). Anche in questo caso – come per l’att. 40 – possiamo pensare ad un rapporto con il pozzo addossato al muro perimetrale dell’esedra antica che in questo primo periodo di vita del Conservatorio sembra rifornire di acqua il giardino (Crypta Balbi 3, p. 80, att. 107). Le acque di scolo che uscivano dalla canalizzazione ricavata nel vano della finestra del muro romano dovevano perdersi nelle terre di una fossa scavata in corrispondenza dell’apertura nella toppa (US 473); il taglio, regolare, era riempito di terre friabili e sabbiose ricche di sassi e frammenti adatti al drenaggio dell’acqua (US 456, 457, 458, 481, 483). 122.
Restauro del pozzo dell’esedra antica (Crypta Balbi 3, p.83).
30.
Posa in opera di una pavimentazione. Nella parte nordorientale del giardino viene sistemata una pavimentazione costituita da mattoni legati tra loro con malta posti direttamente sul terreno (US 416, fig. 26). Il tratto di pavimentazione superstite sotto l’arco di fondazione di una muratura posteriore (att. 108) presentava, sul lato orientale, il suo limite originario: questo dato, unito alla mancanza di qualsiasi preparazione che lo isolasse dal terreno, fa supporre che si trattasse di un piccolo marciapiede o di un camminamento tra le aiuole del giardino. [40] I laterizi utilizzati – la cui misura media è di circa cm 26,7x13,5 – sono riportabili al tipo Crypta Balbi 3, p. 590, n. 2. Si tratta di un mattone tipico della Roma del XVI e XVII secolo, che, all’interno del Conservatorio, trova impiego in numerose strutture (cfr. ibid., pp. 67-69 e 589-594; infra, pp. 192193; più in generale cfr. VARAGNOLI 1983). 77.
Costruzione di una canaletta nel settore meridionale dell’ambiente 28 (Crypta Balbi 3, p. 84).[41] [Ada Gabucci]
132.
Restauro di una canaletta (Crypta Balbi 3, p. 83). Nella parte meridionale del giardino viene eseguito il restauro di una delle due canalette di scolo delle acque nel pozzo nero (att. 92) mediante lo scavo di una fossa, successivamente riempita (US I 646). L’analisi del materiale in fase, e in particolare della maiolica, permette un inquadramento cronologico negli ultimi due terzi del XVI secolo; sono infatti presenti boccali tipo Crypta Balbi 3, nn. 562-567, e piatti tipo Crypta Balbi 3, nn. 317-320. 137.
Obliterazione di una canaletta di scolo. La canaletta I 923, che si immetteva nel pozzo I 433 (att.92) viene abbandonata e riempita di terra mista ad abbondante materiale di scarico (US I 903). I materiali rinvenuti sono costituiti per l’80% da ceramica invetriata marrone e da maiolica rinascimentale; la loro omogeneità permette di indicare una datazione entro la seconda metà del XVI secolo. Per quanto riguarda la maiolica sono presenti servizi di imitazione valdarnese e faentina (piatti tipo Crypta Balbi 3, nn. 314-317 e scodelle tipo Crypta Balbi 3, nn. 416-417), mentre sono scarsamente attestati quelli di produzione locale della prima metà del secolo. E’interessante notare che tra i materiali sono stati rinvenuti un servizio di posate in bronzo, anch’esso databile alla seconda metà del XVI secolo (cfr. infra, p. 187) e un esemplare piuttosto raro di ciotola smaltata a macchie (cfr. infra, p. 155). 79.
Allestimento di una pavimentazione nella parte meridionale del giardino (Crypta Balbi 3, p. 82).
114.
Obliterazione del pozzo nero. Il pozzo nero US 1433 (att. 92) viene abbandonato contemporaneamente alla canaletta che vi si immetteva (US 1923, att. 137) e viene riempito di terra mista a calcinacci e materiale ceramico (US I 673, I 681, I 687, I 922, 1 1005). I reperti presenti in notevole quantità hanno caratteristiche analoghe a quelli rinvenuti nelle terre dell’att. 137. Complessivamente dall’esame della classi in fase risulta confermata la datazione alla seconda metà del XVI secolo, già proposta sulla base della posizione stratigrafica dell’attività. In particolare per la maiolica si nota, rispetto alle attività più antiche, un incremento dei servizi da tavola prodotti localmente, ma imitanti tipologie e decori toscani del XVI secolo (ad esempio piatti tipo Crypta Balbi 3, nn. 314-317). 134.
Obliterazione di una canaletta nel settore meridionale del giardino (Crypta Balbi 3, p. 83). Nel settore meridionale del giardino viene scavata una fossa (US 1909), poi riempita di terra granulosa (US I 910). Nessun elemento rilevante si nota nei reperti in fase, se si eccettua una totale omogeneità con i dati emersi dall’analisi dell’att. 114; anche in questo caso, pertanto, la datazione proposta rimane fissata alla seconda metà del XVI secolo. [Leonella Tesei]
Fase C (1580-1610; tav. I, 2). Coincide con una fase di ristrutturazione dell’area del giardino – e forse di tutto il Conservatorio – la cui data di inizio potrebbe essere messa in relazione con la concessione – nel 1580 - da parte di papa Gregorio XIII al Monastero di S.Caterina della Rosa dell’uso dell’acqua Vergine e quindi con l’allacciamento alla rete idrica cittadina (Crypta Balbi 3, pp. 36-38; cfr. supra, p. 27). Probabilmente connessa a questo atto è la costruzione di un grande collettore (att. 51) che attraversava l’intera area del giardino e, con altre ramificazioni, raccoglieva le acque di tutto il Conservatorio prima di raggiungere la rete fognaria cittadina nell’attuale via Caetani. Contemporanea all’impianto del collettore è la costruzione di due nuovi ambienti posti a nord e a sud dell’area aperta (att. 108 e 75).[42] 75. 108.
Costruzione di un ambiente porticato a sud del giardino (Crypta Balbi 3, pp. 86-87).
Costruzione di un corpo di fabbrica nell’area settentrionale del giardino (ambb. 29, 30 e 63). Un nuovo edificio formato – al piano terreno – da due ambienti (29 e 30; per una possibile ricostruzione dell’alzato cfr. Crypta Balbi 2, pp. 23-26) viene eretto a ridosso del muro settentrionale del giardino in modo da riutilizzare murature già esistenti; vengono invece edificati exnovo i limiti orientale (US 11 2) e meridionale (US 194, 196, 197 e 244) dell’edificio. Il muro est del nuovo corpo di fabbrica viene impostato sul muro diametrale dell’esedra antica; la sua tecnica costruttiva – analoga a quella delle strutture erette nella fase I A – è costituita da scapoli di tufo, laterizi spezzati e pietre legate da malta; le facce a vista vengono poi rivestite di intonaco. Il limite meridionale del fabbricato, invece, è segnato da un muro costruito ex-novo scavando una trincea in cui vengono gettati dei piloni in cementizio uniti da archi di scarico irregolari tra loro – sempre in conglomerato cementizio –gettati su terra probabilmente di riporto (US 197; fig. 27). In questa fondazione viene prevista un’apertura (US 206) per il passaggio del nuovo collettore che avrebbe collegato il Conservatorio alla rete fognaria cittadina. Un muro secondario (US 193), eretto in senso nord sud con una fondazione in conglomerato cementizio, divide il corpo di fabbrica in due ambienti. Al di sopra del conglomerato di fondazione viene innalzata la muratura, analoga a quella del muro orientale (US 194, 196 e 244). All’altezza dell’amb. 29 viene prevista un’apertura che doveva collegare l’edificio con il giardino; il precedente passaggio tra i fabbricati e l’esterno diviene quindi la comunicazione tra due ambienti interni (30 e 31). L’elevato dell’ambiente 30 – come si può desumere da una pianta redatta poco prima della demolizione del Conservatorio (Crypta Balbi 2, p. 24, fig. lla) – presentava, almeno nel suo aspetto più recente, tre grandi finestroni o porte finestre aperte verso il giardino, a cui si accedeva dall’interno mediante tre
gradoni. 51.
Sistemazione della rete fognaria. Un grande collettore per acque scure viene costruito lungo l’asse longitudinale del giardino con pendenza da sud verso nord fino a raggiungere l’apertura prevista nella fondazione 197 (att. 108, US 206; Crypta Balbi 3, pp. 88-89, figg. 28-30). In una profonda trincea (US 1536) viene fatta una gettata di fondazione (US I 672) in conglomerato cementizio di circa 25 cm di spessore. Su questa base vengono innalzate – appoggiate contro terra – le spallette in laterizi legati da malta; il fondo del collettore viene poi pavimentato con tegoloni riutilizzati di età classica e tardoantica (cfr. p. 100) a cui sono state prima tagliate le alette. Da ultimo viene gettata una volticella in [43] cementizio che costituisce la copertura del condotto (US 1334); in questa struttura vengono previsti alcuni fori quadrangolari lungo i lati e – nella parte settentrionale del collettore – un pozzetto di ispezione (US 748). Nell’opera cementizia che costituiva la base e la copertura del collettore risultano inglobati molti frammenti ceramici; la loro quantità e le loro proporzioni, ma soprattutto la scelta accurata delle forme (quasi esclusivamente maiolica – in particolar modo le ciotole carenate tipo Crypta Balbi 3, nn. 504-507 – e ceramica acroma – soprattutto ciotoloni tipo Crypta Balbi 3, nn. 816-819 e grandi vasi troncoconici tipo Crypta Balbi 3, nn. 820-822), fanno ritenere che il loro utilizzo risponda alla necessità dei costruttori di utilizzare materiale, come gli scarti di fabbrica, reperibile ad un costo piuttosto basso (per un’analisi più approfondita dei singoli problemi cfr. infra, pp. 150153). 91.
Costruzione di una canaletta nella parte sud-occidentale del giardino (Crypta Balbi 3, pp. 8384).
115.
Scavo di una fossa nell’area sud-orientale del giardino (Crypta Balbi 3, p. 84).
116.
Formazione di uno strato di terra a ridosso del muro diametrale dell’esedra antica (Crypta Balbi 3, p. 87).
81.
Scavo di una fossa nel settore sud-occidentale del giardino (Crypta Balbi 3, p. 84).
27.
Allestimento degli ambienti 29, 30 e 63. Un vano (amb. 63), ricavato al di sotto dell’ambiente più occidentale, viene adibito a camera per la raccolta delle acque provenienti dal collettore fognario (att. 51). Le fondazioni dei muri – in parte scalpellate – vengono foderate in laterizi in modo da garantire una maggiore impermeabilità (fig. 31); nelle murature di fondazione preesistenti [44] (att. 84 e 90), vengono create due aperture analoghe a quelle previste nelle strutture del nuovo corpo di fabbrica (att. 108) in funzione del passaggio del collettore fognario. Da ultimo viene gettato un pavimento (US 222) in calce su frammenti di tufo legati da malta, con leggera pendenza da est verso ovest (Crypta Balbi 2, pp. 1718). L’ambiente più occidentale (amb. 29) viene probabilmente sistemato come corpo scale (Crypta Balbi 2, pp. 23-24, figg. lla-c). L’ambiente più orientale (amb. 30), invece, viene pavimentato con mattoni disposti “a canestro” (due mattoni di testa e due di taglio), con una tessitura piuttosto regolare; nella parte occidentale del vano una scala di tre gradini scendeva verso l’ambiente 31. 80.
Restauro di una canaletta nell’angolo sud-occidentale del giardino (Crypta Balbi 3, p. 85).
73.
Scavo di alcune fosse nel settore meridionale del giardino (Crypta Balbi 3, p. 84).
50.
Obliterazione di parte del sistema di approvvigionamento idrico. Nella fossa (att. 37), insieme al terreno adatto al drenaggio, si accumulano detriti ed altro materiale che, nel momento in cui la canalizzazione cessa di avere una funzione, non vengono più rimossi. Alcuni reperti in maiolica, come ad esempio i boccali tipo Crypta Balbi 3 nn. 562-566, con decorazione tipo Crypta Balbi 3, p. 385, 121, sono gli elementi più tardi del riempimento e sono
databili alla fine del XVI secolo. La canalizzazione ha probabilmente cessato di esistere in concomitanza con la chiusura del pozzo dell’esedra antica (att. 136) e in connessione con il mutato sistema di approvvigionamento idrico dell’intero edificio che, fino al 1580, si era basato unicamente sull’esistenza di una serie di pozzi e pozzetti collegati fra loro (att. 84, 92 e 40). 136.
Obliterazione del pozzo nell’area dell’esedra antica (Crypta Balbi 3, pp. 84-85).
69.
Riporto di terra e rialzamento di livello del giardino (Crypta Balbi 3, p. 89). Uno strato di terra coltivabile viene steso su tutto il giardino in modo da uniformare l’area dopo gli interventi di costruzione del grande collettore e del nuovo fabbricato (att. 51 e 108). Le terre di questa attività sono state soggette a rimescolamenti successivi nel corso di più di un secolo. I materiali rinvenuti – e in particolar modo la maiolica – indicano un arco di tempo che sembra durare nel corso del XVII secolo (per. II) per concludersi all’inizio del XVIII secolo, quando viene realizzato un nuovo rialzamento delle terre del giardino (per. III, att. 47).[45] PERIODO II (ca. 1610 - inizio XVIII secolo). Il momento iniziale del II periodo di vita del Conservatorio – assente nell’area interessata da questa analisi – può essere fatto coincidere con il completamento della costruzione degli edifici interni alla clausura effettuato all’incirca tra il 1608 e il 1610, quando viene terminato l’ultimo dormitorio (ASR, S. Caterina, Libro Mastro 642, foglio 191, in data 26 giugno 1609). Il periodo II, per quanto riguarda la vita del giardino, sembra essere caratterizzato da attività di coltivazione (ad esempio Crypta Balbi 3, pp. 90-9 1, att. 100 e 101) e di risistemazione di piccoli problemi idrici (ad esempio lo scavo di fosse di scarico: Crypta Balbi 3, p. 91, att. 62 e 65). La fine di questo periodo può coincidere con il momento in cui – presumibilmente tra la fine del XVII e i primi anni del XVIII secolo – si effettua un nuovo allestimento dell’area del giardino con il riporto di altro terreno coltivabile (per. III, att. 47). 109.
Formazione di uno strato di detriti (Crypta Balbi 3, p. 87).
100.
Scavo di una fossa per albero (Crypta Balbi 3, p. 90).
101.
Scavo di una fossa per albero (Crypta Balbi 3, pp. 90-91).
60.
Scavo di una fossa (Crypta Balbi 3, p. 91).
62.
Scavo di una fossa di scarico (Crypta Balbi 3, p. 91). 65. Scavo di una fossa di scarico (Crypta Balbi 3, p. 91). PERIODO III (XVIII secolo; tav. II, 1).
Con il XVIII secolo il giardino del Conservatorio di S. Caterina della Rosa è nuovamente soggetto a risistemazioni sostanziali quali il rialzamento del suo livello di terreno (att. 47), la edificazione di un ambiente lungo il lato occidentale dell’area aperta (att. 19), la ristrutturazione di parte del collettore fognario (att. 25) e la costruzione di una fontana (att. 26). 56.
Formazione di uno strato di detriti a ridosso del muro diametrale dell’esedra antica (Crypta Balbi 3, p. 91).
47.
Rialzamento delle terre del giardino (Crypta Balbi 3, p. 94). Su tutta l’area del giardino viene steso uno strato di terreno coltivabile (US 719, 721 e 723) al di sopra della terra (att. 69) che veniva ormai lavorata da circa un secolo (Crypta Balbi 3, pp. 91-97). Anche il materiale rinvenuto nelle terre dell’att. 47 si presenta cronologicamente disomogeneo a causa dei frequenti lavori di dissodamento. Ciononostante possiamo ricavare alcuni dati che confermano una cronologia al pieno XVIII secolo: la maiolica rinascimentale va diminuendo notevolmente in quantità; sono presenti tipi ascrivibili alla fine del XVII-inizi XVIII secolo (come il piatto tipo Crypta Balbi 3, n. 384 e le scodelle tipo Crypta Balbi 3, nn. 427 e 440) e anche al pieno XVIII secolo (come il piatto tipo Crypta Balbi 3, n. 387, che però è in uso anche agli inizi del secolo seguente). Accanto alla maiolica si verificano le prime attestazioni di prodotti in terraglia e porcellana (cfr. pp. 158-161). 25.
Interventi all’interno del collettore fognario. Un intervento di ristrutturazione viene compiuto nel tratto settentrionale del collettore [46] fognario e all’interno dell’ambiente 63 (cfr. att. 51 e 27) probabilmente allo scopo di ottenere una pendenza maggiore del condotto e quindi un miglior deflusso delle acque (Crypta Balbi 2, pp. 1820). Nella porzione settentrionale della conduttura – ancora nell’area del giardino – viene asportata, intervenendo dall’interno, la pavimentazione originaria (US 1570) con un taglio piuttosto profondo (US 797) che incide anche sulla sua preparazione (US I 670). Nell’amb. 63 vengono costruiti due muretti paralleli (US 230 e 231; per i materiali provenienti da queste strutture cfr. Crypta Balbi 2, pp. 22-23) per congiungere i diversi rami del collettore fognario; nella parte occidentale dell’ambiente viene tagliato il pavimento preesistente. Viene poi stesa una preparazione (US 372) formata da un letto di malta mista a numerose piccole schegge di vetro, molto più spesso nel tratto sudorientale dell’amb. 63; in tal modo si elimina un dislivello esistente in precedenza tra il tratto del collettore nell’area del giardino e l’amb. 63 e si crea una pendenza utile ad un miglior deflusso delle acque. In seguito viene sistemata la nuova pavimentazione (US 205) costituita da coppie di mattoni uniti di testa (Crypta Balbi 2, p. 19, fig. 4). Nell’amb. 63, ai lati delle spallette 230 e 231, vengono gettate delle terre di riporto (US 207, 208, 209 e 211) prelevate probabilmente da uno scarico di rifiuti in altra giacitura; l’analisi dei materiali rinvenuti è in Crypta Balbi 2. Una probabile descrizione di queste operazioni è in ASR, S. Caterina, Libro della Fabbrica del Monastero, b. 545. Dalla lettura completa di questa parte del Libro appare evidente che l’intervento di ristrutturazione non è stato limitato a quello riscontrato durante lo scavo, ma deve aver interessato numerosi altri bracci del collettore che si erano ostruiti o comunque si erano dimostrati insufficienti e inadatti alle necessità. Tra le altre notizie ve ne sono alcune che sembrano riguardare più da vicino il nostro settore dello scavo. “Seg. altro Braccio di Chiavica vecchia che attraversa il Giardino, e raccoglie Li Scoli, Acqua piovana, e Perenne di d. Giardino della Vasca dell’Insalata E la materia del monosedile e la conduce nella desta (sic!) Latrina ridotta a Chiavica... fare li cavi, e scoprire li bottini per calarci dentro... detta materia è stata collocata parte in due vani vecchi restati chiusi in d. Latrina... Per il mattonato ord. con astrico sotto fatto nel fondo del sito...”. Il nuovo assetto del collettore doveva certamente servire a evitare ristagni d’acqua in una zona in cui si raccoglievano due grossi rami della conduttura, quello proveniente da sud che serviva tutta l’area del giardino e i fabbricati meridionali del Conservatorio, e quello proveniente da nord che era utilizzato dall’area scoperta settentrionale del Monastero (saggio V) nonché dagli ambienti nordorientali dell’edificio. Il vano così risistemato raccoglieva anche lo scarico di una latrina ricavata nel vano scale soprastante (amb. 29; cfr. Crypta Balbi 2, pp. 24-25, fig. 12). 19.
Costruzione di un ambiente scoperto (amb. 49; Crypta Balbi 3, pp. 91-94). Lungo il limite occidentale del giardino viene costruito un ambiente scoperto pavimentato in cotto e delimitato ad est da un muretto di contenimento (US 1 103; Crypta Balbi 3, p. 92, figg. 5152, p. 93, fig. 53 e p. 94, fig. 54) gettato contro terra da ovest verso est; solamente il tratto più meridionale della muratura – costituita da frammenti di laterizi di reimpiego, frammenti di vasi da fiori spezzati, marmi riutilizzati (cfr. p. 108) e mattoni sistemati in modo da riportare i piani di
posa – sembra essere stato a vista anche dalla parte del giardino. L’ingresso al nuovo vano avveniva da una soglia in travertino posta nella parte più settentrionale del muretto 1103, laddove il dislivello tra questo e il pavimento interno risultava minore. In tutto l’ambiente viene alloggiato un pavimento in mattoni la cui tessitura originaria doveva essere “a canestro” incorniciata lungo i bordi da un filare di mattoni disposti di testa (US 742 e 744). L’ipotesi che la tessitura “a canestro” sia relativa al primo impianto dell’ambiente 49 si basa sia sul confronto con l’assetto pavimentale di altri vani dello scavo (US V 624, riferibile alle prime strutture di servizio dell’area scoperta settentrionale del Conservatorio) che sulla presenza di reperti più recenti nelle terre scavate immediatamente al di [48] sotto di tamponature che presentano tessiture diverse (att. 17). Lungo il muretto di contenimento, verso ovest, viene praticato un taglio nel terreno (US 753) per l’alloggiamento di una canaletta, la cui fistula è stata poi asportata probabilmente nel corso delle demolizioni dell’edificio (att. 6). La creazione dell’ambiente 49 è dovuta all’abbassamento del livello del terreno lungo la fascia occidentale del giardino; questa risistemazione della zona è connessa probabilmente alla necessità di non togliere luce alle bocche di lupo che servivano ad illuminare gli ambienti cantinati posti sotto il refettorio (saggio VIII, ambb. 251-252). 59.
Allestimento del giardino (Crypta Balbi 3, pp. 94-95).
57.
Costruzione di una vaschetta (Crypta Balbi 3, p. 95).
67.
Costruzione di una vasca (Crypta Balbi 3, p. 95).
26.
Costruzione di una fontana (Crypta Balbi 3, pp. 95-96).
61.
Scavo di una fossa di scarico (Crypta Balbi 3, p. 96).
64.
Scavo di una fossa di scarico (Crypta Balbi 3, p. 96).
66.
Scavo di una fossa per la messa a dimora di piante (Crypta Balbi 3, p. 96).
125.
Costruzione di un servizio igienico pensile e relativo pozzo nero (Crypta Balbi 3, p. 96).
18.
Costruzione di due aiuole nell’amb. 49 (Crypta Balbi 3, p. 96).
55.
Scavo di una fossa per la messa a dimora di piante (Crypta Balbi 3, p. 97). PERIODO IV (XIX-inizi XX secolo; tavv. II, 1 e III).
Comprende tutti gli avvenimenti e le attività di ristrutturazione effettuate nell’area del giardino nel corso del XIX secolo (Crypta Balbi 3, pp. 97-100). In questo periodo va inserita la redazione di un progetto, mai realizzato completamente, di trasformazione dell’Istituto Religioso in un Ospedale (Crypta Balbi 2, p. 25, fig. 112; Crypta Balbi 3, pp. 52-53); è probabile comunque che la ristrutturazione non interessasse che marginalmente l’area del giardino; per ora tracce archeologiche sicure di queste opere edilizie sono riscontrabili solamente nell’area scoperta settentrionale (saggio V). Con l’inizio del XX secolo il giardino del Conservatorio sembra essere avviato ad un lento degrado: viene ancora utilizzato, ma non vi si effettuano più grossi lavori di mantenimento e miglioramento. 120.
Obliterazione della scala e della porta di accesso all’amb. 31 (Crypta Balbi 3, p. 97).
28.
Costruzione di una canaletta (Crypta Balbi 3, p. 97).
46.
Rialzamento del livello di terra nel settore orientale del giardino (Crypta Balbi 3, p. 97).
20.
Rialzamento del terreno del giardino (Crypta Balbi 3, p. 97). Viene effettuato un nuovo riporto di terra coltivabile (US 704) su tutta l’area del giardino: in tal modo risulta totalmente obliterato il muro diametrale dell’esedra che nei periodi precedenti aveva costituito una emergenza all’interno dell’area del giardino. 12.
Allestimento di aiuole (Crypta Balbi 3, p. 99). Viene rinnovato l’allestimento di tutta l’area del giardino creando nuove aiuole e vialetti dopo l’ultimo riporto di terreno. Nell’area presa in esame sono state rinvenute soltanto poche tracce delle aiuole delimitate [49] da mattoni o da tegole (US 702 e 705) nonché alcune porzioni del terreno molto friabile e scuro ad esse pertinente (US 709 e 720). 29.
Riadattamento dello scarico di un gabinetto pensile (Crypta Balbi 3, pp. 99-100).
23.
Costruzione di una canaletta e di un marciapiede (Crypta Balbi 3, p. 100). [50]
21.
Ripavimentazione della fontana (Crypta Balbi 3, p. 100).
45.
Formazione di strati battuti nell’area del giardino (Crypta Balbi 3, p. 101).
44.
Obliterazione di strati battuti nell’area del giardino (Crypta Balbi 3, p. 101).
41.
Costruzione di aiuole in muratura e di una vasca nell’area dell’esedra antica (Crypta Balbi 3, p. 101).
39.
Costruzione di un piccolo marciapiede (Crypta Balbi 3, p. 101)
24.
Parziale chiusura delle arcate del porticato meridionale del giardino (Crypta Balbi 3, pp. 101-102).
15.
Costruzione di un’aiuola in muratura. Lungo il lato settentrionale del giardino, lungo la parete dell’ambiente 30, viene fabbricata un’aiuola in muratura con scaglie di tufo e frammenti di laterizi di reimpiego legati da abbondante malta (US 1636; fig. 32); la faccia esterna viene ricoperta da uno strato di intonaco. La struttura viene poi riempita con una terra molto friabile (US I 637) adatta alla coltivazione di piante probabilmente ornamentali (Crypta Balbi 3, p. 101, att. 41). Il terreno all’interno dell’aiuola ha restituito un certo numero di frammenti ceramici ricostruibili tra cui due esemplari di ceramica invetriata marrone, il catino n. 225 (cfr. p. 163) e la pignatta n. 236 (cfr. p. 165), entrambi residui o copie di materiali più antichi. 22.
Canalizzazione relativa all’ambiente 49 (fig. 33). Nell’area settentrionale del giardino, addossato al punto di giuntura tra le pareti degli ambienti 29 e 30, viene costruito un pozzetto quadrangolare (US 751) in mattoni legati da letti piuttosto regolari di malta, con lo scopo di raccogliere le acque provenienti da un discendente in lamiera zincata che doveva trovarsi sul muro dell’edificio (cfr. assonometrie ricostruttive in Crypta Balbi 2, fig A e Crypta Balbi 3, fig. B). Le acque raccolte nel tombino risultano convogliate, tramite una canaletta, in un pozzetto più grande (US 1640)
– costituito da una muratura regolare in laterizio – ottenuto mediante il rialzamento del primitivo tombino di ispezione aperto sul tetto del collettore fognario (att. 51). Nella parte settentrionale dell’amb. 49 viene praticato uno scasso nel pavimento per la posa in opera di un pozzetto e di alcune canalette che dovevano raccogliere le acque provenienti per lo più dai tubi di gronda dei muri circostanti per poi portarle verso il [51] tombino 1640. Dopo la posa in opera di questa canalizzazione – che al momento dello scavo si presentava in buona parte sconvolta – il pavimento dell’amb. 49 viene rattoppato (US 738) con mattoni disposti irregolarmente. 17.
Restauri nel pavimento dell’amb. 49 (Crypta Balbi 3, p. 102). Restauri di varia grandezza e diversa tessitura vengono effettuati per colmare le lacune prodottesi nella pavimentazione dell’ambiente (US 729, 731, 733, 736, 740). Solo in alcuni casi (cfr.ad esempio US 731 e 736) la tessitura è piuttosto regolare e costituita da mattoni interi. 36. Costruzione di un’aiuola in muratura (Crypta Balbi 3, pp. 102-103). 13.
Costruzione di un’aiuola in muratura. Nell’area settentrionale del giardino, addossata al muro dell’amb. 29 e ad un’aiuola già esistente (att. 15), viene costruita un’altra aiuola (US 1634) in muratura abbastanza regolare costituita per lo più da laterizi disposti di taglio e da parecchi elementi di reimpiego (cfr. infra, pp. 106 e 109). All’interno dell’aiuola viene steso uno strato di terra friabile (US 1635). Un muretto (US 1638) – orientato in senso est ovest – viene addossato alle due aiuole in muratura; è costituito da corsi di mattoni, in parte interi e in parte frammentari, disposti di testa e di taglio, e da spezzoni di tufi legati da malta; la faccia esterna viene rivestita da un intonaco grigio poco lisciato. Questa struttura, che per le sue caratteristiche costruttive si presenta analoga ad un’altra rinvenuta nell’area dell’esedra del monumento romano (Crypta Balbi 3, p. 103, att. 38), deve aver avuto principalmente funzioni di consolidamento della più antica aiuola in muratura (att. 15), ma poteva venire utilizzato anche come panchina. 38.
Costruzione di un muretto di tamponamento (Crypta Balbi 3, p. 103).
16.
Costruzione di un marciapiede. Davanti alla soglia esterna dell’amb. 29 una piccola area viene pavimentata in maniera piuttosto irregolare utilizzando materiali vari, per lo più di reimpiego (marmo, travertino, mattoni), legati da malta. Il limite occidentale della pavimentazione viene a coincidere con la soglia di travertino che immette nell’amb. 49. Questa pavimentazione probabilmente aveva lo scopo di creare una passaggio tra l’amb. 29 e l’amb. 49 e una zona di rispetto tra il giardino e l’ingresso alle aree interne. [52] PERIODO V (prima metà XX secolo) L’ultimo periodo di vita del Conservatorio coincide con un mutamento nella sua gestione, passata, nel 1917, dalle Agostiniane alle Suore del Preziosissimo Sangue. Nell’area del giardino non si avvertono comunque sostanziali modifiche (Crypta Balbi 3, p. 53). 2.
Ristrutturazione della soglia dell’amb. 29. Una nuova pavimentazione in mattonelle di graniglia (US 195) viene messa in opera nel vano della porta esterna dell’amb. 29. Un esempio di pavimentazione analoga, nell’area del Conservatorio, si ha in un piccolo locale per servizi igienici eretto nello stesso periodo nell’area sudoccidentale del giardino (att. 8). 8.
Costruzione di un piccolo locale per servizi igienici – amb. 50 (Crypta Balbi 3, p. 107).
89.
Restauro del marciapiede al limite meridionale del giardino (Crypta Balbi 3, p. 103).
10.
Degenerazione di aiuole (Crypta Balbi 3, p. 103).
9.
Riempimento del pozzo nero (Crypta Balbi 3, p. 103).
11.
Formazione degli ultimi battuti (Crypta Balbi 3, p. 103). Nell’area nordorientale del giardino un vialetto battuto (US 703), in direzione estovest, che fiancheggia il lato di una aiuola, è una delle tracce dell’ultima frequentazione anche in questa area. PERIODO VI (1940-1980 ca.) Fase A. È il periodo immediatamente seguente al 1937 – anno in cui l’isolato fu acquistato dalla Società Generale Immobiliare (Crypta Balbi 3, pp. 56-57). L’area in esame è interessata unicamente dalle attività di demolizione (att. 6 e 5). 31.
Sondaggi effettuati nel 1941 (Crypta Balbi 3, p. 104).
35.
Creazione di un nuovo accesso verso Vicolo dei Polacchi (Crypta Balbi 3, p. 104).
6.
Prime demolizioni dell’edificio (Crypta Balbi 3, p. 104). Nel pavimento dell’amb. 49 – ormai abbandonato – vengono praticati alcuni scassi probabilmente per l’asportazione di tubature in piombo e di altro materiale recuperabile (US 724 e 734). 5.
Demolizione degli edifici e riporto di uno strato di macerie (Crypta Balbi 3, p. 104). L’intero Conservatorio, passato in proprietà dell’I.N.C.E. – tranne l’angolo sudovest – viene raso al suolo (US 15) e su tutta l’area viene steso un potente strato di macerie derivanti dalle demolizioni degli alzati (US 2). 34.
Chiusura dell’accesso verso Vicolo dei Polacchi (Crypta Balbi 3, p. 104).
Fase B. Coincide con il periodo di abbandono successivo alla demolizione degli edifici e con gli interventi della Soprintendenza Archeologica di Roma, praticati circa venti anni più tardi. 33.
Formazione di humus (Crypta Balbi 3, p. 105). [53]
7.
Obliterazione definitiva del sistema fognario (Crypta Balbi 3, p. 105). Negli anni successivi alla demolizione e all’abbandono definitivo del sito tutte le condutture si riempiono di terra e detriti (US 1643 e 557). 4.
Sondaggi archeologici (Crypta Balbi 3, p. 105).
Negli anni 1961-1962 nell’area vengono effettuati alcuni sondaggi archeologici tesi a stabilire quale fosse realmente il monumento antico sito nella zona (Crypta Balbi 1, pp. 40-44 e Crypta Balbi 3, p. 57). Una fossa di grandi dimensioni (US 711; fig. 34) viene scavata nell’area settentrionale del giardino. Nell’approfondirsi il taglio di fossa diviene più regolare e, alla fine, si presenta come una buca quadrangolare (fig. 35; Crypta Balbi 1, p. 40, fig. 19: la fossa US 711, di forma rettangolare, compare al centro dell’area). La fossa continua in profondità fino a tagliare il pavimento del monumento antico, nonché una conduttura fognaria sottostante (la stessa già tagliata dalla fossa cinquecentesca, att. 138 e 42, pp. 2-3).
3.
Riempimento dei sondaggi archeologici (Crypta Balbi 3, p. 105). La fossa (att. 4) viene riempita con la terra di risulta dello scavo mista ai reperti (US 712).
Fase C. Corrisponde al periodo di abbandono nel ventennio intercorso tra i sondaggi degli anni 1961-1962 e la ripresa della indagine archeologica nell’autunno del 1981. 1.
Formazione di humus (Crypta Balbi 3, p. 106).
32.
Nel ventennio 1961-1981 su tutta l’area si forma uno strato di humus (US 1). Impianto di puntelli (Crypta Balbi 3, p. 106). [Ada Gabucci] [55]
Materiali residui di età classica, tardoanticae medievale
Monete e tessere I reperti numismatici, rinvenuti nel settore del giardino del Conservatorio di S. Caterina della Rosa che stiamo esaminando in questa sede, sono in tutto 28. Si tratta di una esigua quantità paragonabile a quella rilevata nella parte di giardino adiacente a questa, che aveva presentato una situazione stratigrafica molto simile (Crypta Balbi 3, pp. 131-137). Si tratta sempre di reperti residui, la cui presenza trova spiegazione nella stessa qualità della stratificazione del giardino (per quanto riguarda le modalità dell’intervento cfr. p. 6). Si tratta infatti, in alcuni casi, di livelli formati da terre continuamente rimescolate per le attività di impianto del monastero o di giardinaggio (per. 0, att. 99; per. I A, att. 83; per. I C, att. 69; per. III B, att. 47), e di riempimenti di buche (per. I A, att. 138 e 42), in cui l’alta percentuale di ceramica sia romana che medievale si associa al riemergere di monete coeve. Se si prende in considerazione l’arco cronologico coperto dalle monete, che si collocano tra l’età adrianea e il regno di Umberto I, si nota che, in rapporto al periodo di emissione, varia notevolmente la quantità di monete residue. Tra queste, gli esemplari di età imperiale, 10 su un totale di 28, costituiscono circa 1/3 del totale e confermano il tasso di residualità che si ritrova anche negli strati bassomedievali dell’area dell’esedra del monumento augusteo, benché in quest’ultima si sia scesi fino a livelli più antichi (Crypta Balbi 5). La documentazione numismatica in esame non è continua. Una prima frattura si registra dal periodo di Onorio (cfr. n. 8) alla seconda metà del XII secolo, in corrispondenza della diffusione del denaro lucchese (cfr. n. 2). Un’altra significativa cesura è osservabile per l’età compresa tra gli inizi del XVI secolo, a cui risalgono due quattrini senesi (nn. 5 e 20), e il 1897 (n. 23). Tra i materiali residui più antichi sono da segnalare alcuni AE 4 (nn. 7-9), probabilmente fusi, dei quali devo a Claude Brenot l’identificazione proposta. Il fenomeno delle monete fuse è ampiamente attestato soprattutto dall’età severiana alla seconda metà del IV secolo. Si ritiene comunque che le contraffazioni, sia fuse che coniate, abbiano interessato soprattutto alcune aree provinciali in periodi segnati da tensioni politiche ed economiche, in cui la probabile difficoltà di produzione delle zecche e l’accresciuta domanda di monete di bronzo, per il fabbisogno degli eserciti, possono aver facilitato la messa in circolazione di pezzi di imitazione (BASTIEN 1985, pp. 143-177, riguardo alle imitazioni coniate; per quelle fuse GARA 1978, pp. 229-252, BASTIEN 1982, pp. 257-259, BRENOT-MORRISSON 1983, pp. 191211). L’Italia è generalmente considerata esclusa o comunque solo marginalmente toccata dalla circolazione delle monete contraffatte (ERCOLANI COCCHI 1978, p. 372. Per i secoli V e VI si veda anche l’opinione analoga di ARSLAN 1983, p. 228). È comunque ancora da verificare in che misura questa opinione non sia conseguenza della scarsa attenzione prestata dagli studiosi ai materiali di provenienza italiana, che non sono mai stati oggetto di esami dettagliati [61] (CALLU-GARNIER 1977, in particolare p. 282, nota 6 e la risposta di G. Gorini, ibid. p. 314). È possibile dunque che in Italia non si sia verificata la considerevole produzione di imitazioni riscontrata ad esempio in Francia (si vedano le altissime percentuali provenienti da numerosi siti in DELMAIRE 1982, pp. 280-281), ma non per questo si deve limitare la circolazione delle emissioni non ufficiali alle aree marginali. Una volta entrate in circolazione, le contraffazioni potevano rifluire ed essere tollerate anche in zone più controllate dal potere centrale. Ricorderò infatti solo alcuni recenti casi di imitazioni rinvenute in Italia: nell’ambito del III secolo i radiati di Tetrico I e TI da Villa Armerina in Sicilia (DI VITA 1972-73, pp. 254256) e da Vallermosa in Sardegna (TRONCHETTI 1979, pp. 269-274), e un radiato di Claudio
Gotico, del tipo Consecratio, dall’area dell’esedra della Cripta di Balbo (Crypta Balbi 5; riguardo alla diffusione di queste imitazioni in Italia, BOON 1974, p. 115 e nota 90); per il IV secolo sono noti una moneta da Vetulonia (GORINI 1984, pp. 231-232) e alcuni esemplari del tipo del cavaliere caduto, Securitas Reipublicae e Spes Reipublice, insieme ad un esemplare, forse del V secolo, da Santo Stefano ai Lupi nei pressi di Livorno (VOLK 1983, nn. 69 e 85). Al periodo compreso tra il 324 e il 393 d.C. risale il ripostiglio di Salto del Lupo in cui sono state riconosciute numerose imitazioni, in particolare del tipo Securitas Reipublicae, Gloria Romanorum e Victoria Auggg (ERCOLANI COCCHI 1986, p. 216). Dalla Magliana provengono una decina di antoniniani barbari dei quali, per giustificarne la presenza alle porte di Roma, è stata proposta un’origine africana in relazione al passaggio di Genserico (BRENOT-MORRISSON 1983, pp. 197-198). Gli esemplari rinvenuti nell’area in esame sono stati classificati secondo la cronologia delle emissioni ufficiali, essendo note le incertezze legate alla datazione delle imitazioni (CALLU-GARNIER 1977, pp. 284-285; BASTIEN 1985, pp. 163-171). Per quanto riguarda l’età moderna, la totalità delle monete rinvenute, a cui si deve aggiungere una tessera mercantile (n. 11), è costituita da spiccioli, come è quasi la norma nei reperti provenienti da scavo. Sappiamo inoltre che le monete depositate dai pellegrini presso gli altari costituivano, anche in occasioni solenni come gli Anni Santi, oblazioni “non ex magnis auri vel argenti donis, sed ex usualis monete provintie cuiusque minutiis”, secondo la testimonianza del cardinale Stefaneschi, presente al primo Giubileo (QUATTROCCHI 1900, p. 306). Quanto è stato osservato per il 1300 si è con tutta probabilità ripetuto anche in seguito. A prescindere dagli oboli, le monete di mistura e di rame costituivano comunque la base del circolante, ed è con queste monete, o, tutt’al più, con quelle d’argento, che venivano pagati i salari. Malgrado quindi che nella seconda metà del ‘500 in alcuni settori si registrassero, anche da parte di operai, richieste di fissare i salari in valuta d’oro, è chiaro che la maggior parte della popolazione assai difficilmente era in grado di possederla (STUMPO 1985, pp. 23-42). Anche il rinvenimento di esemplari coniati da diverse zecche, come è già stato notato per l’area adiacente del giardino, non ha bisogno di particolari commenti in quanto rientra nel quadro della complessa circolazione monetaria di Roma, meta di viaggiatori e pellegrini. D’altra parte la circolazione monetaria di Roma non era esclusivamente legata ai movimenti creati dal fatto di essere un centro religioso. Roma era una tappa focale per i traffici che si svolgevano [62] sia nella direzione nord sud che in quella est ovest ed era anche, ad esempio, il centro postale più attivo della penisola e, forse, d’Europa (DELUMEAU 1957-59, 1, pp. 37-39 e 126-129). Non sembrerebbe quindi aver avuto il successo desiderato il divieto di Sisto IV di importare monete straniere unito alla definizione di particolari cambi per le valute più richieste (THEINER 1862, pp. 488-491, n. CCCXII). Analoghi, inutili tentativi si registrarono durante il pontificato di Sisto V (1585-1590) che regolò l’accesso a Roma persino dei quattrini battuti nelle zecche pontificie di Bologna, Macerata e Castro (DELUMEAU 1957-59, II, p. 683). Nel testo sono state osservate le seguenti abbreviazioni: AE = bronzo; R = rame; M = mistura; d. = destra; s. = sinistra; c.b. = conservazione buona; c.d. = conservazione discreta; c.m. = conservazione mediocre; c.c. = conservazione cattiva; c.p. = conservazione pessima; c.lin. = corona lineare; c.perl. = corona di perline; c.rig. = corona rigata; mm = diametro in millimetri; g. = grammi; // = cambio di riga nella legenda. Periodo 0 (fig. 37) 1.
Att. 99, 1684 (n. 143). Diocleziano. Alessandria, 296-297 d.C. AE, frazione radiata, g. 2,56, mm 20,80; c.c. D/ [IMP C C]VAL[DIO]CLE[TIANVS P F AVG] busto dell’imperatore radiato a d. R/ [CONCORDIA MI] - LITVM Diocleziano, stante a d., riceve da Giove, stante a
2.
3.
4.
5.
s., la Vittoria su globo, sotto A, in esergo [A]LE. RIC, VI, p. 667, n. 47. Att. 99, III 430 (n. 157). Repubblica di Lucca a nome di Enrico. Lucca, sec. XII, seconda metà. M, denaro; g. 0,80, c.p. (frammentato). D/ Legenda illeggibile. Nel campo tracce di LVCA in croce. R/ Illeggibile. Cfr. MASSAGLI 1870, tav. VI, 9. Att. 99, 1 559 (n. 142). Giovanna e Ludovico di Taranto. Napoli, 1352-1362. M, denaro; g. 0,24, mm 15,50; c.c. D/ + Lv[...]EI GRA campo partito di Gerusalemme e d’Angiò in c.rig. R/ [...]IER[...] croce patente accantonata da quattro gigli in c.rig. Cfr. CNI, XIX, p. 42, n. 34, tav. III, 10 e ss. Att. 99, III 455 (n. 162). Federico II di Montefeltro. Gubbio, 1444-1482. M, picciolo; g. 0,30, mm 15,30; c. m. D/ + FEDE[R]ICVS rosetta CO stemma feltresco. R/ Tre anelletti EV stella GV stella BI[ ...] mezza figura di S. Ubaldo, ai lati S V in c.rig. Cfr. CNI , XI V, p. 25, n. 14. Att. 99, III 781 (n. 151). Repubblica di Siena. Siena, ordinanza del 1511 o del 1514. M, quattrino; g. 0,72, mm 17,10; c.c. D/ [...]NA•VETV[...1 grande S fogliata. R/ [...]CIVI[...]VIRGIN• croce trifogliata. Cfr. CNI, XI , tav. XXIV, 19 e 28. [63]
Periodo I A 6.
7.
8.
9. 10.
Att. 138, III 563 (n. 168). Adriano. Roma, 125-128 d.C. AE, asse; g. 9,80, mm 25,30; c.d. D/ HADRIANVS - [AVG]VSTVS testa di Adriano laureata a d. R/ [C]OS[III] Minerva gradiente a d. con giavellotto e scudo. Nel campo S C. RIC, II, p. 426, n. 664. Att. 138, III 571 (n. 169). Costante. Roma, 347-348 d.C. AE 4; g. 1,46, mm 13,30; c.c. (fusa?). D/ [CONSTAN] - S P F AVG busto laureato, drappeggiato e corazzato a d. R/ VICTO[RIAE DD AVGGQ NN] due vittorie affrontate con corone, segno di zecca non visibile. Cfr. RIC, VIII, pp. 253-255. Att. 138, 111 543 (n. 166). Onorio. Zecca indeterminata, 394-423 d.C. AE 4; g. 1,30, mm 12; c.m. (fusa?). D/ DN HONO[...] busto a d. R/ [...]AV[...] Vittoria a s. con corona e palma (Victoria Augg o Victoria Auggg). Att. 138, 111 459 (n. 164). Sec. V (?). AE 4; g. 1,38, mm 11,90; c.p. (fusa?). Att. 138, III 459 (n. 165). Senato di Roma. Roma, secc. XIII-XIV. M, denaro piccolo; g. 0,44, mm 13,40; c. m. D/ SE[ ...]Q. R. croce patente con estremità tricuspidate.
11.
12.
13. 14.
15.
16.
17.
18.
19.
R/ R[...] mezzo busto frontale con palma e globo crucigero. CNI, XV, p. 154, n. 448, tav. IX, 27. Att. 138, III 552 (n. 167). Genova. Tessera mercantile dei Boccanegra. Secc. XIII-XIV. Ottone; mm. 19,70; c.d. D/ Scudo crucigero con le armi dei Boccanegra. La croce interseca la c.perl. e la corona di bisanti. R/ Come sopra. Cfr. PITON 1893, p. 95, n. 179 (per l’uguaglianza del diritto e del rovescio vedi in particolare pp. 59-60). Att. 138, III 459 (n. 163). Sisto IV. Roma, 1471-1484. M, picciolo; g. 0,40, mm 14,20; c.m. D/ SI[ ...]IIII stemma semiovale sormontato da chiavi decussate. R/ [...]A-RO[...] busto del santo appena visibile. MUNTONI 1972, p. 82, n. 35, tav. 17. Att. 43, III 439 (n. 160). M; g. 0,24; c.p. (frammenti). Att. 135, 1 698 (n. 144). Costanzo II e Giuliano. Zecca indeterminata, 355-361 d.C. AE 4; g. 0,80; mm 15,60; c.p. D/ Legenda illeggibile. Busto diademato a d. R/ Legenda illeggibile. Imperatore elmato a s. con lancia e globo (Spes reipublice). Att. 40, III 431 (n. 158). Senato di Roma. Roma, secc. XIII-XIV. M, denaro piccolo; g. 0,56, mm 15,20; c.c. D/ Legenda illeggibile. Croce patente. R/ + -RO[ ...]APVT. leone a s. con testa di fronte in c.perl. MUNTONI 1973, p. 193, n. 94, tav. 214.[64] Att. 40, III 431 (n. 159). Secc. XIII-XIV. M, denaro; g. 0,28, mm 13,30; c.p. D/ Tracce di croce patente. R/ Illeggibile. Att. 40, III 446 (n. 161). Monetazione anonima pontificia. Bologna, sec. XV. M, quattrino da due denari; g. 0,80, mm 16,10; c.c. D/ [...]rosetta DE o BO[...] tracce delle chiavi decussate. R/S o PETR[...]IVS tracce della figura di S. Petronio. MUNTONI 1973, p. 163, n. 12. Att. 83, III 419 (n. 155). Senato di Roma. Roma, secc. XIII-XIV. M, denaro provisino; g. 0,28, mm 14,10; c.c. D/ [...]NAT’P•Q•R. croce patente, nel terzo angolo stella. R/ [...]MA CAP[...] Pettine sormontato da S fra stella e crescente. MUNTONI 1973, p. 193, n. 92, tav. 214. Att. 83, III 419 (n. 154). Francesco Foscari. Venezia 1423-1457. M, picciolo per Verona e Venezia; g. 0,22, mm 11,70; c.m. D/ FR - [AF] - OD - [v]x croce a braccia uguali, che intersecano la legenda, accantonata da quattro anelletti. R/ [...]M.[...]E[...1 testa di S. Marco in c.lin. Cfr. CNI, VII, p. 136, n. 100, tav. V, 8.
Periodo I C 20.
Att. 69, III 760 (n. 150). Repubblica di Siena. Siena, ordinanza del 1511 o del 1514. M, quattrino; g. 0,62, mm 17; c.c. D/ + SENA[...]TVS grande S fogliata. R/ [...]IR[...1 tracce della croce trifogliata. Cfr. CNI, XI, tav. XXIV, 19 e 29.
Periodo III 21.
22.
Att. 47, III 723 (n. 148). Antonino Pio. Roma, 156-157 d.C. AE, dupondio; g. 12,30, mm 26,90; c.d. D/ ANTONINVS AVG - PIVS [P P IMP II] testa radiata a d. R/ TR POT XX - COS IIII Annona drappeggiata a d. con timone nella mano d., gamba s. piegata e appoggiata ad una prua, sul ginocchio tiene un moggio con spighe. S C a s. e d. nel campo. RIC, III, p. 146. n. 969. Att. 47, III 723 (n. 149). AE; g. 3,20, mm 19,60; c.p. (illeggibile).
Periodo VI A 23.
Att. 5, 111 2 (n. 96). Umberto I. Roma, 1897. R, 2 centesimi; g. 1,90, mm 20; c.b. D/ UMBERTO I - RE D’ITALIA testa nuda a s., sotto S. R/2//CENTESIMI//1897 in corona di rami di lauro e quercia, sotto R. PAGANI 1965, p. 35, n. 622. [66]
Periodo VI C 24.
25.
26.
27.
28.
Att. 1, III 718 (n. 147). Antonino Pio o Marco Aurelio. Roma, 147-180. AE, sesterzio; g. 18,30, mm 31,10; c.c. D/ Legenda illeggibile. Busto di Faustina Il a d. R/ Tracce di figura femminile stante a s. Att. 1, II, 120 (n. 182). Sec. IV, prima metà (?). AE, follis (?); g. 0,84, mm 15,10; c.p. D/ Legenda illeggibile. Busto diademato a d. R/ Illeggibile. Att. 1, III 718 (n. 146). Senato di Roma. Roma, secc. XIII-XIV. M, denaro piccolo; g. 0,20, mm 13,90; c.c. D/ Legenda illeggibile. Croce patente. R/ Legenda illeggibile. Tracce di Roma in trono. MUNTONI 1973, p. 193, n. 95 e ss. Att. 1, II 120 (n. 181). Senato di Roma. Roma, secc. XIII-XIV. M, denaro provisino; g. 0,68, mm 14,30; c.d. D/ + [SE]NATV•P.Q•R- pettine con le estremità tricuspidate sormontato da rosetta e crescente. R/ + ROMA-CAPVD-M• croce patente, nel secondo e terzo angolo fuso. CNI, XV, p. 150, n. 410. Att. 1, III 710 (n. 145). Venezia. Sec. XIV, seconda metà. M, tornesello; g. 0,36, mm 13; c.c. (tosato).
D/ [...]V[...] croce patente. R/ Legenda illeggibile. Leone in soldo. Cfr. CNI , VI I , tav. III, 18; STAHL 1985.[67] [Alessia Rovelli]
Reperti ceramici residui di età classica e tardoantica
Ceramica a vernice nera Campana A 1 –
Coppe: Luni I, tav. 67, 2: un frammento, probabilmente scarto di fornace, formato da due fondi, impilati, congiunti tra di loro: cfr. MOREL, tav. 232, 212 c 3. Secondo quarto del II sec. a.C. circa. Per. VI C (att. 1). La presenza dei due fondi congiunti tra di loro è da interpretare – probabilmente – come scarto di fornace, fatto che forse potrebbe suggerire la presenza in età repubblicana di un’officina di tale ceramica nei pressi dell’area dove sarebbe sorta la Crypta Balbi. Attività artigianali di questo tipo nella zona sembrano essere segnalate in un epigramma di Marziale (MART. XII. lxxiv, 2), in cui Flacco viene invitato ad usare, invece delle preziose stoviglie egiziane, vasi prodotti a Roma, sicuramente meno fragili e più funzionali: accipe de circo pocula Flaminio. Fornaci e officine di vasai – se il passo di Marziale è da interpretare in questo senso – funzionavano dunque ancora alla fine del I secolo d.C., eredi, forse, di una tradizione artigiana più antica.
Ceramica sigillata africana Produzione D 2 –
Scodella: orlo simile ad Atlante, tav. XLVIII, 7; Hayes 81. All’interno presenta una decorazione a rotella lungo l’orlo. 360-440 d.C. Per. I A (att. 138).
Ceramica comune da mensa o da uso domestico Catini 3 – 4 – 5 – 6 –
7 – 8 – 9 –
Orlo a tesa e listello, vasca ampia e profonda. Per. 0 (att. 99). Orlo ingrossato a tesa discendente, gola fra tesa e parete, corpo troncoconico. Per. I A (att. 139). Orlo ingrossato, sagomato a fascia applicata, parete troncoconica. Per. I A (att. 139). Orlo ingrossato, estroflesso, breve collo, parete espansa. Per. I A (att. 139). I tipi 4-6 sono analoghi ad esemplari rinvenuti, sempre a Roma, alla Schola Praeconum (WHITEHOUSE et al. 1982, p. 71, nn. 182-184, fig. 13) e datati genericamente al V secolo. [69] Orlo a tesa rivolta verso l’alto, bordo ingrossato, arrotondato, parete espansa molto assottigliata. Per I A (att. 139). Bordo assottigliato all’estremità, tesa rivolta verso l’alto, parete quasi perpendicolare all’orlo. Per. I A (att. 139). Orlo a tesa orizzontale, bordo ingrossato all’estremità, parete svasata. Per. I A (att. 139). È possibile il confronto con un gruppo di casseruole della Schola Praeconum, datate al V secolo (WHITEHOUSE et al. 1982, p. 67, nn. 95-97, fig. 8).
Coperchi 10 – Orlo indistinto, ingrossato superiormente, parete svasata. Per. I A (att. 139). 11 – Orlo ingrossato, ripiegato all’esterno, parete troncoconica. Per. I A (att. 139).
12 – Orlo a fascia con listello inferiore, parete troncoconica. Per. I A (att. 139). Esemplari simili, anche in questo caso, sono stati rinvenuti a Roma durante le indagini condotte alla Schola Praeconum (WHITEHOUSE et al. 1982, p. 69, nn. 122-124, fig. 9).
Tav. VI
[70]
Ceramica comune da cucina Casseruole 7 – Orlo a tesa rivolta verso l’alto, bordo ingrossato, arrotondato, parete espansa molto assottigliata. Per I A (att. 139). 8 – Bordo assottigliato all’estremità, tesa rivolta verso l’alto, parete quasi perpendicolare all’orlo. Per. I A (att. 139). 9 – Orlo a tesa orizzontale, bordo ingrossato all’estremità, parete svasata. Per. I A (att. 139). È possibile il confronto con un gruppo di casseruole della Schola Praeconum, datate al V secolo (WHITEHOUSE et al. 1982, p. 67, nn. 95-97, fig. 8). Coperchi 10 – Orlo indistinto, ingrossato superiormente, parete svasata. Per. I A (att. 139). 11 – Orlo ingrossato, ripiegato all’esterno, parete troncoconica. Per. I A (att. 139). 12 – Orlo a fascia con listello inferiore, parete troncoconica. Per. I A (att. 139). Esemplari simili, anche in questo caso, sono stati rinvenuti a Roma durante le indagini condotte alla Schola Praeconum (WHITEHOUSE et al. 1982, p. 69, nn. 122-124, fig. 9). Anfore PRODUZIONI ISPANICHE Dressel 23 13 – Ostia I, 565; un frammento di orlo a profilo triangolare caratterizzato da una netta inclinazione della superficie superiore, incavo interno abbastanza profondo, collo basso, ansa corta a sezione circolare imposta alla base dell’orlo e sulla spalla. III-V sec. d.C. Per. VI C (att. 1). Almagro 51 C 14 – Ostia IV, 255-257; un frammento di orlo a disco ingrossato, arrotondato e rovesciato all’esterno, incavo pronunciato. Gli esemplari più antichi risalgono alla metà III sec. d.C. Per. VI B (att. 3). PRODUZIONI ORIENTALI Kapitän I 15 – Ostia I, 550; un frammento di orlo ingrossato, leggermente sagomato, piatto in superficie, ansa a nastro molto largo, impostata sul collo cilindrico. Seconda metà II-III sec. d.C. Per. VI C (att. 1). PRODUZIONI AFRICANE Africana II A 16 – Ostia I, 523; un frammento di orlo ingrossato ed arrotondato all’esterno con [71] profilo a mandorla e collo troncoconico. Sul collo presenta un graffito, profondamente inciso, in calligrafia corsiva. Per. VI C (att. 1).
Tav. VII
[72]
Tav. VIII
[73]
Tripolitana III 17 – Un frammento di ansa a sezione quasi circolare recante sul dorso un cartiglio, nel quale compaiono, retrograde, le lettere MARTIAL; le lettere M ed A risultano in nesso. Per. VI C (att. 1). Bolli MARTIALIS sono attestati a Roma (CIL, XV, 3025b), in Spagna (CABEZON, p. 138, n. 47), a Mt. Beuvray, a Vechten, a Zugmantel e a St. Colombe (CALLENDER, n. 1024, p. 176). ANFORE DI PROBABILE PRODUZIONE AFRICANA 18 – Ostia IV, 479; un frammento di orlo ingrossato, arrotondato, con piccolo listello al centro della superficie esterna. Per. I C (att. 69). PRODUZIONI NON IDENTIFICATE 19-20 – Tre frammenti di orlo con incavo profondo che segna la superficie interna; la superficie esterna è leggermente pronunciata ed arrotondata; argilla rosso chiaro (2.5 YR 6/6), superficie di colore rosato (7.5 YR 8/4). Per. I A (att. 83). 21 – Un frammento di orlo ingrossato, con faccia superiore leggermente arrotondata e distinta, lieve incavo interno, collo troncoconico; argilla di colore rosso chiaro (2.5 YR 6/8), con superficie esterna ingubbiata di colore rosato (7.5 YR 7/4). Per. I A (att. 83). 22 – Piccolo orlo triangolare su collo troncoconico con anse a sezione circolare; argilla come la precedente. Per. I A (att. 83) e I C (att. 69). 23 – Un frammento di orlo ingrossato, piatto in superficie, rovesciato all’esterno, ansa a sezione ircolare, impostata alla base dell’orlo, collo cilindrico; argilla di colore giallo rossastro (5 YR 6/8), superficie esterna con ingubbiatura di colore rosato (7.5 YR 8/4). Per. VI C (att. 1). L’esiguità e l’eterogeneità dei reperti residui di età romana non permettono di giungere a particolari conclusioni. Anche in questo caso si può notare la totale mancanza di reperti per il periodo che va dal I sec. a.C. alla seconda metà del II sec. d.C.: le considerazioni espresse in Crypta Balbi 3, pp. 167-168 sull’assenza di materiale di prima e media età imperiale risultano pertanto confermate. [Marcello Spanu, Leonella Tesei] [74]
Reperti ceramici residui di età medievale
Ceramica acroma da fuoco Tegami 24 – Orlo ingrossato, appiattito superiormente, parete ricurva, svasata. Per. 0 (att. 99). 25 – Orlo ingrossato ed estroflesso, appiattito nella parte superiore, parete rettilinea e svasata. Per. IV (att. 20). Un confronto può essere istituito con un esemplare proveniente da Tuscania, datato tra la fine del XIII e la metà del XV secolo (Tuscania 1973, p. 51, fig. 2, n. 11). Testo da pane 26 – Orlo poco distinto, leggermente estroflesso, appuntito, fondo quasi piano. Per. VI C (att. 1). Un esemplare molto simile è stato rinvenuto, sempre nell’area della Crypta Balbi, nelle stratificazioni bassomedievali (XIII secolo) dell’esedra antica (Ceramica medievale 1986, p. 543, tav. XIII, n. 4). Olle 27 – Orlo ingrossato estroflesso, appiattito nella parte superiore e arrotondato esternamente, corpo globulare. Per. VI C (att. 1). Potrebbe trattarsi di una variante dimensionale (è circa di un terzo più piccolo) di un esemplare proveniente da S. Cornelia (WHITEHOUSE 1980, p. 134, fig. 5, n. 50). 28 – Orlo estroflesso, corpo globulare. Per. I A (att. 138). Boccale 29 – Becco trilobato, parete espansa. Per. 0 (att. 99). Per la particolarità e la rarità della forma si potrebbe supporre che si tratti del becco di un esemplare analogo a Crypta Balbi 3, n. 72. [Giandomenico Spinola]
Ceramica invetriata da fuoco Tegame 30 – Orlo distinto inclinato verso l’interno, a sezione quadrangolare, appiattito con lievi depressioni nella parte superiore, sia internamente che esternamente, parete rettilinea svasata. Per. I C (att. 90). [75]
Tav. IX
[76]
31 – 33 – 34 – 35 – 36 –
37 –
38 –
39 –
40 – 41 –
Olle Orlo estroflesso a tesa appena accennata, parete emisferica. Per. I A (att. 135). 32 - Orlo a breve tesa rivolta verso l’alto, bordo assottigliato, breve collo, parete troncoconica. Per. 0 (att. 99). Orlo ingrossato, estroflesso, assottigliato in corrispondenza dell’attacco della parete espansa. Per. I A (att. 139). Orlo estroflesso, breve collo, parete espansa. Per. I A (att. 139). Orlo estroflesso leggermente appiattito all’esterno, parete troncoconica. Per. I A (att. 139). Orlo ingrossato e arrotondato, estroflesso, parete emisferica. Per. I A (att. 139). Olle analoghe a queste sono state rinvenute, sempre nell’area della Crypta Balbi, nelle fasi medievali dell’esedra antica; in particolare i nn. 31, 32 e 34 sono attestati in stratificazioni databili all’VIII-IX secolo, mentre i nn. 35 e 36 (ma probabilmente anche lo stesso n. 34) compaiono fino al IX-X secolo (Crypta Balbi 5). Orlo leggermente ingrossato ed estroflesso con margine arrotondato, parete espansa. Per. I A (att. 138). Un esemplare simile, biansato, è descritto in MAZZUCATO 1979, p. 70, tav. II, n. 21, ed è datato tra la prima metà del XIII e l’ultimo quarto del XIV secolo. Orlo a fascia leggermente estroflesso, corpo globulare. Per. I A (att. 83). In ambito laziale sono noti esemplari simili a questo e datati sia tra l’ultimo quarto del XIV e la metà del XV secolo (MAZZUCATO 1979, p. 71, tav. III, n. 35; Crypta Balbi 3, n. 101) che fino all’inizio del XVI secolo (MAZZUCATO 1976, p. 79, fig. O). Orlo a fascia estroflesso, appiattito esternamente e con leggera depressione nella parte interna, corpo globulare. Per. I A (att. 83). Per questo tipo può essere istituito un confronto con un’olla rinvenuta a S. Cornelia che però presenta l’orlo leggermente più piano (WHITEHOUSE 1980, p. 134, fig. 5, n. 35). Orlo distinto con piccola tesa rivolta verso l’alto, leggermente estroflesso, a sezione quadrangolare con lievi depressioni nella parte superiore, sia internamente che esternamente, piccolo becco trilobato, corpo ovoidale. Per. 0 (att. 99). Orlo estroflesso a fascia leggermente convessa con margine arrotondato e inclinato verso l’interno, parete espansa. Per. I A (att. 138). Un’olla di forma molto simile, ma in ceramica da fuoco priva di rivestimento, è in WHITEHOUSE 1980, p. 134, fig. 4, n. 38.
Brocca 42 – Orlo verticale assottigliato, leggermente introflesso, collo inclinato verso l’interno, spalla molto espansa. Per. I C (att. 51). Catino 43 – Orlo trilobato estroflesso e assottigliato, con il margine arrotondato e con una lieve depressione nella parte interna, parete svasata leggermente curvilinea. Per. I A (att. 83). Anforaceo 44 – Fondo convesso, corpo globulare. Per. I A (att. 138). [Giandomenico Spinola, Leonella Tesei] [77]
Ceramica acroma depurata Olla 45 – Orlo a tesa, ingrossato, estroflesso, impostato sulla spalla mediante una gola sottolineata da un piccolo listello da cui parte la convessità della spalla. Per. I A (att. 138). Un esemplare simile, ma con gola meno marcata, è in WHITEHOUSE 1980, p. 134, fig. 4, n. 36. Anfore 46-47 – Due frammenti appartenenti a due diverse anforette dello stesso tipo: orlo indistinto assottigliato, collo leggermente svasato, anse a sezione quasi ovale impostate sotto l’orlo, spalla molto convessa decorata con serie oblique di puntini incisi e, sotto, serie di linee parallele incise. Per. I A (att. 138). Esemplari simili sono piuttosto noti (MAZZUCATO 1977a, pp. 11-12, fig. 13; WHITEHOUSE 1978, fig. 29, 1, 4; WHITEHOUSE 1980, p. 136, fig. 6, nn. 70-71, datati alla fine dell’VIII-inizi del IX secolo; WHITEHOUSE 1982, p. 318, fig. 6.5, 14-15, con una cronologia rialzata al VI secolo; Crypta Balbi 3, n. 115; Ceramica medievale 1986, p. 526, tav. VII, n. 2 e tav. XXI, nn. 1-5, rinvenuti in stratificazioni riferibili al IX secolo). 48 – Orlo distinto estroflesso ingrossato esternamente, appiattito nella parte superio re e con una scanalatura lungo il margine esterno, collo leggermente concavo, ansa a sezione ovale impostata sull’orlo. Per. VI C (att. 1). 49 – Orlo distinto con margine assottigliato sotto il quale si imposta un’ansa rimontante a nastro, corpo emisferico. Per. I A (att. 138). 50 – Orlo estroflesso, ansa a nastro impostata sotto l’orlo e rimontante. Per. I A (att. 138). Simile al tipo Crypta Balbi 3, n. 121, ma con orlo più estroflesso; un ulteriore confronto può essere istituito con MALLET-WHITEHOUSE 1967, p. 137, fig. 13 (datata tra il 1275 e il 1400) e con WHITEHOUSE 1982, p. 320, figg. 6 e 6d. Coperchi 51 – Orlo appena distinto, ingrossato, appiattito esternamente, parete leggermente convessa. Per. I C (att. 51). Si tratta di un tipo vissuto durante un arco cronologico piuttosto ampio e che conosce antecedenti nella “sparse glazed”; nell’area della Crypta Balbi è attestato nelle stratificazioni dell’esedra antica dal X al XV secolo (Crypta Balbi 3, n. 147). 52 – Orlo indistinto, parete rettilinea, fondo piano. Per. I A (att. 83). Simile al tipo Crypta Balbi 3, n. 143, ma con parete rettilinea, e a MAZZUCATO 1981, p. 51, figg. 6-7, datato tra la fine del XIII e la fine del XIV secolo. È presente anche nelle stratificazioni di XIII-inizi XV secolo nell’area dell’esedra antica della Cripta di Balbo (Ceramica medievale 1986, p. 529, tav. IX, n. 2). 53 – Orlo indistinto, parete sagomata, fondo piano. Per. VI C (att. 1). Simile al tipo Crypta Balbi 3, n. 145, trova confronti anche in MAZZUCATO 1970, p. 356, fig. 27 – datato tra la fine dell’XI e gli inizi del XII secolo –, in WHITEHOUSE 1980, p. 131, fig. 3, n. 1, in ANDREWS 1982, p. 116, fig. 3, n. 6; è inoltre attestato nelle stratificazioni di XII-XIV secolo nell’area dell’esedra antica della Crypta Balbi. 54 – Presa cilindrica, concava superiormente, impostata su di una parete convessa, probabilmente appartenente ad un coperchio. Per. I A (att. 138). [78]
Tav. X
[79]
Piedistalli 55 – Orlo assottigliato con margine dentellato, parete espansa decorata con un motivo a rombo continuo inciso superficialmente, privo del fondo. Per. I A (att. 138). 56 – Simile al precedente, con parete meno espansa, alto piede ingrossato con listello esterno dentellato e fondo piano, parete decorata con un rozzo motivo a treccia inciso profondamente. Per. I A (att. 135). 57 – Parete svasata, piede a disco con listello interno dentellato e fondo piano, parete decorata con linee verticali incise a punta sottile sia all’interno che all’esterno e riempite con punti in pasta vitrea di colore verde e turchese. Per. I A (att. 139). Gli esemplari di piedistalli reggianfore sono riconducibili al tipo Crypta Balbi 3, n. 148 e ad altri frammenti rinvenuti, sempre nell’area della Crypta Balbi, nelle stratificazioni di XIVfine XV secolo dell’esedra del monumento romano. I nostri esemplari, però, differiscono da questi sia per la dentellatura del listello che per il motivo inciso sulla parete; in particolare il tipo n. 57 sembra essere di tradizione più antica come dimostrerebbe anche la presenza di grani di pasta vitrea già documentata su anse di anforette datate al IX secolo. Brocca 58 – Orlo distinto esternamente, con beccuccio espanso e verticale. Per. 0 (att. 99). Si tratta probabilmente di una produzione acroma del XIII secolo derivata dagli esemplari in “sparse glazed” della fine del XII secolo (a questo proposito cfr. il commento al tipo Crypta Balbi 3, n. 111). Olla 59 – Orlo indistinto, estroflesso, rettilineo, spalla espansa e decorata da due lievissime scanalature. Per. VI C (att. 1). Catini 60 – Orlo distinto estroflesso, leggermente ingrossato ed appiattito in superficie, piccolo collo concavo, corpo convesso. Per. I A (att. 135). L’attribuzione di questo tipo alla forma del catino è dubbia: esso infatti è simile ad un esemplare di dimensioni minori edito in WHITEHOUSE 1980, p. 134, fig. 5, n. 52, datato tra il IX e l’XI secolo, ma, se rovesciato, riprende la forma dello scaldavivande in “forum ware” tipo Crypta Balbi 3, n. 150, riferibile al IX-X secolo. 61 – Presa di forma semicircolare, concava inferiormente. Per. VI C (att. 1). Microvasetti 62 – Fondo piano con piccolo piede svasato, corpo globulare con fitte scanalature sulla parete esterna. Per. I A (att. 138). 63 – Fondo piano con piede svasato, parete ricurva svasata con scanalature sia all’interno che all’esterno. Per. I A (att. 138). Simili al tipo Crypta Balbi 3, n. 141. Non è da escludere comunque che possa trattarsi di residui di epoca tardoantica poiché esemplari non molto dissimili dai nostri sono attestati a Roma in stratigrafie, ancora inedite, di IV-VI secolo (in particolare nel cantiere della Vigna Barberini sul Palatino e in quello dell’Ospedale Militare del Celio). Lucerne 64 – Orlo indistinto, parete estroflessa ed ingrossata verso il fondo piano. Per. I A (att. 138). [80] 65 – Coppa convessa, stelo troncoconico cavo, base a piattino. Per. 0 (att. 99). Questo esemplare è riconducibile ad un tipo rinvenuto nella Torre della Fame a Pisa, datato tra la fine del XIII e gli inizi del XIV secolo (Basi 1984, p. 470, tipo 2, tav. II). [Giandomenico Spinola, Leonella Tesei]
Tav. XI
[81]
Tav. XII
Forum Ware e Sparse Glazed Ceramica a vetrina pesante (Forum Ware) 66 – Cannello e diaframma di brocca di probabile forma ovoide; il diaframma presenta cinque fori praticati prima della cottura. Per. VI C (att. 1). Il tipo sembra essere piuttosto diffuso, anche se il nostro esemplare è piuttosto mal conservato (MAZZUCATO 1972a, fig. 4). Ceramica a vetrina pesante di tipo transizionale (Sparse Glazed “A”) 67 – Microvasetto con orlo assottigliato, leggermente entroflesso ed appiattito esternamente, corpo ovoide bombato, fondo piano. Per. I A (att. 83). Un tipo analogo, ma datato tra la fine del XIII e la metà del XV secolo e quindi probabilmente pertinente a produzioni invetriate più tarde, è stato rinvenuto a Tuscania (Tuscania 1973, p. 60, fig. 7, n. 64). Ceramica a vetrina pesante a macchie (Sparse Glazed “B “) 68 – Coperchio con orlo appena introflesso, arrotondato, parete leggermente sagomata. Per. VI C (att. 1). Osservazioni su tipi analoghi a questo sono in MAZZUCATO 1972b, p. 24 e in Crypta Balbi 3, p. 218. [Giandomenico Spinola] [82]
Ceramica invetriata verde Coppette 69 – Orlo appuntito, parete troncoconica, ansa a nastro con attacco in corrispondenza dell’orlo e del fondo. Per. I B (att. 134). Ciotole 70 – Orlo esternamente indistinto ed internamente appiattito, corpo troncoconico. Per. I A (att. 83). Catini 71 – Orlo svasato, ingrossato e leggermente sagomato, in maniera più evidente nella parte superiore, breve tesa diritta, corpo troncoconico. Per. VI C (att. 1). La forma è avvicinabile a tipi conosciuti a Roma (Crypta Balbi 3, n. 194) e databili alla seconda metà
del XIII-prima metà del XIV secolo. 72 – Corpo troncoconico, fondo indistinto, attacco della tesa. Per. VI C (att. 1). È riconducibile a forme della ceramica laziale (Crypta Balbi 3, n. 227) databili alla fine del XIII-prima metà del XIV secolo. Boccali 73 – Orlo indistinto, arrotondato, collo cilindrico leggermente rastremato, poco distinto dal corpo. Per. I B (att. 37). Il profilo è noto a Roma (MAZZUCATO 1972a, p. 110, fig. 5, n. 5, tav. XXXVII, I; Crypta Balbi 3, n. 195); è presente anche nelle forme della ceramica laziale (WHITEHOUSE 1980, p. 150, n. 151; Crypta Balbi 3, nn. 214-215) ed è databile dagli inizi del XIII alla prima metà del XIV secolo. Coperchi 74 – Orlo indistinto, arrotondato. Per. I A (att. 83). La forma è riconducibile a tipi di acroma depurata di fine XIII-prima metà XIV secolo. LE DECORAZIONI 1. Su forma chiusa non identificata: rosetta ad otto petali entro circolo (fig. 38, 1). Per. 0 (att. 99). [Leonella Tesei] Ceramica laziale Piatti 75 – Orlo arrotondato, breve tesa ingrossata, cavetto poco profondo; sulla tesa onde alternate a punti in verde ramina (fig. 38, 2). Per. I A (att. 139). Ciotole 76 – Orlo piatto ingrossato, leggermente estroflesso, cavetto emisferico, corpo carenato con spigolo smussato, piede a disco poco accentuato; sul fondo cerchio irregolare riempito da punti, in verde ramina (fig. 38, 3). Per. I B (att. 134). [83] 77 – Orlo ingrossato e arrotondato, defluente verso l’esterno, carenatura ben evidente, cavetto interno emisferico, esterno troncoconico. Per. VI C (att. 1). 78 – Orlo indistinto, assottigliato, alta fascia leggermente concava verso l’esterno, carenatura ben evidente, cavetto all’interno e all’esterno troncoconico; dec. Crypta Balbi 3, p. 251, 3. Per. VI B (att. 3). Forma conosciuta a Tuscania (Tuscania 1973, p. 65, fig. 9, n. 80; Ricci PORTOGHESI 1976, p. 61, n. 3) e a Orvieto (WHITEHOUSE 1976, p. 64, fig. 2, n. 22; Ceramica Orvietana 1983, fig. 14), ma generalmente di dimensioni inferiori. È databile alla seconda metà del XIII-prima metà del XIV secolo. LE DECORAZIONI 1. Su ciotola non identificata, sul fondo cespugli stilizzati in verde ramina (fig. 38, 4); datata alla prima metà del XIV secolo (cfr. Crypta Balbi 5). 2. Su boccale di tipo non identificato, testa di uccello a tutto campo, in ramina e manganese (fig. 38, 5). Un particolare ringraziamento va ad Alessandra Molinari e Lidia Paroli per i preziosi suggerimenti forniti. [Leonella Tesei]
Tav. XIII [84]
Maiolica arcaica Ciotole carenate 79 –
80 –
81 – 82 –
83 – 84 – 85 –
86 –
87 –
Orlo ingrossato e arrotondato, defluente verso l’esterno, ben distinto dalla fascia, listello poco marcato, cavetto all’esterno troncoconico e all’interno emisferico; si conserva parte dell’attacco dell’ansa. Per. I C (att. 1). Il profilo è avvicinabile a tipi conosciuti a Roma (MAZZUCATO 1982, p. 22, profilo O), datati alla seconda metà del XIV secolo. Orlo arrotondato indistinto, fascia leggermente svasata, listello pronunciato, cavetto emisferico; all’interno in prossimità dell’orlo, linea di punti, in manganese (fig. 38, 6). Per. I A (att. 83). A Roma sono conosciuti sia la forma (Crypta Balbi 3, n. 234) che il motivo decorativo (MAZZUCATO 1982, p. 56, n. 7), e sono databili entrambi alla prima metà del XV secolo. Orlo appuntito estroflesso, cavetto emisferico all’interno, troncoconico all’esterno, piede a disco sagomato. Per. I A (att. 139). Questo tipo è presente – nell’area della Crypta Balbi – nelle fasi bassomedievali dell’esedra antica datate alla seconda metà del XIV secolo. Orlo ingrossato leggermente defluente verso l’esterno, fascia concava svasata con listello pronunciato leggermente rivolto verso il basso, basso cavetto troncoconico; dec. prossimità dell’orlo, all’interno Crypta Balbi 3, p. 274, D, all’esterno Crypta Balbi 3, p. 274, L. Per. 0 (att. 99) e VI C (att. 1). La forma è avvicinabile a tipi conosciuti a Roma (MAZZUCATO 1982, p. 23, profilo A). Databile alla prima metà del XV secolo. Orlo arrotondato leggermente svasato, carenatura con spigolo accentuato rivolto verso l’alto, cavetto emisferico. Per. I B (att. 134). Orlo assottigliato ed appuntito, carenatura molto evidente, cavetto emisferico. Per. 0 (att. 99). Si tratta di una variante dei tipi Crypta Balbi 3, nn. 230-233. [85] Orlo assottigliato, fascia verticale senza listello, cavetto troncoconico, piede a disco leggermente ingrossato; dec. in prossimità dell’orlo Crypta Balbi 3, p. 274, B; cobalto e manganese. Per. I A (att. 138). La forma è conosciuta a Roma (MAZZUCATO 1982, p. 26, profilo F; Crypta Balbi 3, n. 43), e datata alla prima metà del XV secolo; presenta inoltre strette analogie con esemplari della maiolica rinascimentale (Crypta Balbi 3, n. 246). Orlo assottigliato, fascia con tre scanalature nella metà inferiore, cavetto all’esterno troncoconico e all’interno emisferico. Per. VI C (att. 1). Questo tipo è riconducibile a forme conosciute a Roma sia in maiolica arcaica (MAZZUCATO 1982, p. 26, profilo F), che in maiolica rinascimentale (Crypta Balbi 3, nn. 497-498); in entrambi i casi è possibile una datazione al XV secolo. Orlo arrotondato indistinto, con tre profonde scanalature, basso cavetto troncoconico; dec. interna in prossimità dell’orlo Crypta Balbi 3, p. 274, B; cobalto. Per. I A (att. 138). Forma largamente conosciuta a Roma nelle forme della maiolica sia arcaica (MAZZUCATO 1982, p. 26, profilo F), che rinascimentale (Crypta Balbi 3, nn. 497-498), entrambe datate al XV secolo.
Tav. XIV
[86]
Ciotole emisferiche 88 -
Orlo arrotondato indistinto, bordo esterno sagomato a listelli poco accentuati, corpo emisferico; la superficie risulta illeggibile per difetti di cottura. Per. 0 (att. 48). La forma è avvicinabile a esemplari rinvenuti a Roma (MAZZUCATO 1982, p. 28, profilo P; Crypta Balbi 3, n. 242) e datati alla seconda metà del XIV secolo
Scodelle 89 – Tesa confluente con orlo arrotondato e leggermente ingrossato, lieve rigonfiamento esterno in prossimità del cavetto; all’interno decorazione non identificata in cobalto, ramina e manganese. Per. 0 (att. 99). 90 – Tesa larga con orlo indistinto leggermente ingrossato verso l’alto, cavetto troncoconico, fondo piano apodo; dec. sulla tesa Crypta Balbi 3, p. 274, N, all’interno del cavetto Crypta Balbi 3, p. 274, B, in cobalto ramina e manganese. Per. I A (att. 138). 91 – Fondo piano con piede a disco leggermente ingrossato e appuntito; dec. non identificabile in cobalto e manganese. Per. VI B (att. 3) . 92 - Tesa con orlo arrotondato e leggermente ingrossato verso l’alto; dec. sulla tesa Crypta Balbi 3, p. 274, N, in cobalto e manganese. Per. I A (att. 138). 93 – Ampia tesa con orlo ripiegato verso l’alto, cavetto troncoconico, fondo piano apodo; all’interno lo smalto si presenta bruciato in cottura; dec. Crypta Balbi 3, p. 274, N, in cobalto e manganese. Per. I A (att. 138). 94 – Tesa con orlo a dente rialzato, cavetto troncoconico, fondo piano apodo; dec. Crypta Balbi 3, p. 274, N, in cobalto, ramina e manganese. Per. I A (att. 138). 95 – Tesa con orlo ripiegato verso l’alto, attacco del cavetto; dec. Crypta Balbi 3, p. 2 7 4, N, in cobalto, ramina e manganese. Per. I A (att. 138). Avvicinabile a tipi conosciuti a Roma (MAZZUCATO 1 9 68 , tav. 19; Crypta Balbi 3, n. 248), datati alla metà del XV secolo. 96 – Tesa con orlo arrotondato e ingrossato verso l’alto, con progressivo aumento dello spessore verso l’attacco del cavetto; dec. Crypta Balbi 3, p. 274, B, in cobalto e manganese. Per. VI C (att. 1). I tipi 93-96, nonostante le variazioni che presentano nell’altezza del cavetto e ampiezza dalla tesa, sono riconducibili a forme ampiamente conosciute a Roma, sia in maiolica arcaica (MAZZUCATO 1968, tav. 13), che in maiolica rinascimentale (Crypta Balbi 3, nn. 3 3 5 3 4 0 ) , datate alla seconda metà del XV-inizio del XVI secolo. [87] Catini 97 – Orlo svasato, ingrossato e defluente verso l’esterno, carenatura evidente, cavetto troncoconico, ansa a nastro piuttosto larga con impressione digitale; dec. Crypta Balbi 3, p. 274, A, in ramina. Per. 0 (att. 99), I C (att. 51) e VI C (att. 1). E conosciuto a Tuscania (Tuscania 1973, p. 82, fig. 20, n. 144), datato alla metà del XIV-inizio del XV secolo. 98 – Fondo piano con piede a disco arrotondato, corpo troncoconico; sul fondo volto di profilo in ramina e manganese. Per. I A (att. 138). Boccali 99 –
Beccuccio tubolare a sezione circolare. Per. IV (att. 13). È avvicinabile a tipi di produzione orvietana (SATOLLI 1981, p. 159, fig. 115116, p. 161, fig. 119; BERNARDI 1982, tav. XII; Ceramica Orvietana 1983, figg. 92, 94), databili alla seconda metà del XIV secolo. 100 – Fondo piano, svasato e rastremato. Per. IV (att. 13). Forma rinvenuta ad Arezzo (FRANCOVICH-GELICHI 1983, p. 38, tav. 6, n. 2) e databile al XIV secolo.
101 – Orlo leggermente confluente all’interno, leggero spigolo di stacco fra orlo e fascia; dec. Crypta Balbi 3, p. 274, B, in cobalto, ramina e manganese. Per. VI C (att. 1). Databile alla metà del XV secolo. Orcioli 102 – Collo cilindrico con orlo indistinto e svasato, leggermente ingrossato verso l’esterno; dec. Crypta Balbi 3, p. 274, A, in cobalto, ramina e manganese. Per. I A (att. 83). Tipo avvicinabile ad una forma nota in Toscana (FRANCOVICH 1982, p. 129, n. A.10.1; CORA 1973, tav. 11, 13) e databile alla fine del XIV secolo. LE DECORAZIONI Motivi principali Vegetali 1. Foglie bilobate con riempitivi a molle; scansione dello spazio a linee verticali e orizzontali; cobalto e manganese (fig. 38, 7). Sulla parete di un boccale di tipo non identificato. Troviamo una sintassi decorativa simile in Corsica (BERTI-TONGIORGI 1977, p. 54, fig. 67), datata alla seconda metà del XIV secolo. 2. Rametto che si apre in tre steli, con al culmine fiori trilobati, fra questi piccole bacche e motivi a molle, il tutto racchiuso da una stretta fascia; cobalto e manganese (fig. 38, 8). All’interno di una ciotola emisferica tipo Crypta Balbi 3, n. 241. Motivo conosciuto nel Lazio (CECCARELLI-MOCCI 1972, tav. II, n. 4), databile alla prima metà del XV secolo. 3. Incrocio di due foglie lanceolate da ognuna delle quali partono quattro steli con fiore; ramina e manganese (fig. 38, 9). Sul fondo di un catino di tipo non identificato. Diffusa nel Lazio (CECCARELLI-MOCCI 1972, tav. X, n. 14) alla fine del XIV secolo. Araldici 4. Fascia con onda che separa crescente lunare e stella entro scudo sormontato da cespuglio stilizzato e circondato da reticolo; in manganese su fondo bianco (fig. 38, 10). Su ciotola tipo Crypta Balbi 3, nn. 230-231. Sembra trattarsi dello stemma Costanzi (MAZZUCATO 1977b, tav. XIII, fig. 2, p. 26). [89] 5. Monogramma entro scudo; in manganese e cobalto su fondo bianco (fig. 38,11). Su ciotola tipo Crypta Balbi 3, nn. 232-233. A figura umana 6. Parte inferiore di veste femminile con pieghe in rilievo; in ramina e manganese su fondo bianco, applicata (fig. 38, 12). Su forma non identificata.
Tav. XV
[88]
Motivi secondari A. Doppia treccia intersecantesi; ramina (fig. 38, 13). All’interno di un catino tipo Crypta Balbi 3, n. 251. Si ritrova su esemplari toscani di fine XIV-inizio XV secolo (CORA 1973, tav. 23, fig. 23 c). B. Tratti verticali paralleli intersecati da una linea continua orizzontale; ramina e manganese (fig. 38, 14). All’interno di un catino tipo Crypta Balbi 3, n. 249. [Clara Dal Miglio]
Fig. 38 – Ceramica invetriata verde (1); ceramica laziale /2-5); maiolica arcaica (6-14); ceramica d’importazione (15-16)
Ceramica d’importazione Ceramica di produzione spagnola 103 – Ciotola emisferica: fondo con rigonfiamento centrale nella parte esterna e piede ad anello, cavetto emisferico piuttosto basso; sul fondo tracce di decorazione a tratti blu. Per. I A (att. 83). Questo esemplare presenta strette analogie con la produzione tardo andalusa primo catalana (BLAKE 1972, p. 98, fig. 4, n. 23), databile alla prima metà del XV secolo. 104 – Ciotola emisferica: orlo indistinto arrotondato, cavetto emisferico, fondo leggermente concavo con piede a disco con piccolo spigolo esterno; dec. illeggibile. Per. I A (att. 138). Tale forma presenta analogie con esemplari della produzione valenziana, databili fra il XIV (ZOZAYA 1980, p. 290, fig. 19 H) e la prima metà del XV sec. (FRANCOVICH-GELICHI 1984, p. 24, tav. V, n. 16). Ceramica dell’Italia meridionale 105 – Bacino: orlo ingrossato estroflesso, corpo emisferico, sulla parete esterna compaiono due lievi accenni di spigolo; internamente decorato con archetti da cui si dipartono raggi confluenti verso il centro del vaso; ramina e manganese. Per. VI B (att. 3). 106 – Bacino: orlo piatto e appena arrotondato all’esterno, fascia molto svasata, cavetto troncoconico; la fascia interna è decorata con una linea ondulata fra linee continue orizzontali; ramina e manganese. Per. VI B (att. 3). Questo pezzo, anche non permettendo confronti precisi con esemplari noti, sembra trovare riscontri fra le forme della produzione di ceramica invetriata bicroma in verde e bruno dell’Italia meridionale, di XIII secolo per la Puglia (PATITUCCI UGGERI 1977, pp. 102-106), e di pieno XIII-XIV secolo per la Campania (FONTANA 1984, pp. 93-117). 107 – Catino: piede ad anello arrotondato all’estremità, parete svasata notevolmente assottigliata nel punto di massima espansione; sulla superficie interna rombi entro partiture in manganese e ramina (fig. 38, 15). Per. I A (att. 139). [91]
Tav. XVI
L’esemplare è simile ad un frammento rinvenuto a Napoli datato al XIII secolo (JACOE 1985, tav. CLXIX, fig. 13, p. 383). 108 – Bacino: orlo arrotondato, piccola tesa piana aggettante, gola esterna tra tesa e parete, corpo emisferico; sul fondo spirali in bruno e verde ramina (fig. 38, 16). Per. I A (att. 139). 109 – Bacino: orlo ingrossato, carenatura non molto evidenziata tra orlo e parete, corpo emisferico; sulla tesa dec. tipo Crypta Balbi 3, p. 291, n. 95. Per. I A (att. 139). Si tratta di un esemplare di probabile produzione campana. [Leonella Tesei] [92]
Ceramica ingubbiata e graffita 110 – Scodella: orlo leggermente ingrossato e squadrato, tesa larga e obliqua, cavetto assottigliato; vetrina e ingobbio avorio solo all’interno; sulla tesa due motivi: a) tra due fasce, una in ramina e l’altra in manganese, motivo geometrico a rombi alternati in ramina, manganese e antimonio (o ferraccia diluita) (fig. 39, la; b) fascia in ramina diluita all’orlo e motivo geometrico curvilineo in ramina, manganese e ferraccia (fig. 39, lb). Per. I C (att. 69). 111 – Catino: orlo arrotondato, bordo a fascia ingrossato, sagomato e carenato, parete troncoconica; vetrina trasparente, ingobbio verde oliva; sul bordo linee parallele incise in giallo ferraccia (fig. 39, 2). Per. I A (att. 139). Il frammento è simile, sia per la forma che per la decorazione ad un esemplare di produzione arcaica di Rimini datato alla metà del XV secolo (GELICHI 1984, p. 70, n. 7a, tav. IV). 112 – Catino: fondo piano, parete troncoconica; vetrina trasparente, ingobbio giallo; sulla parete interna foglie lanceolate a doppia punta alternate a foglie polilobate in giallo e verde (fig. 39,
3). Per. 0 (att. 99). La decorazione di questo tipo è ascrivibile alla produzione umbra (BIGANTI 1981, p. 176, n. 140). 113 – Catino: orlo assottigliato, parete troncoconica; vetrina trasparente, ingobbio avorio; sul bordo serie di S rovesciate entro fasce in giallo e verde (fig. 39, 4). Per. 0 (att. 99).[93]
Tav. XVII
[93]
LE DECORAZIONI (fig. 39, 5-8) Produzione umbra 1. Nastro annodato, graffito; manganese, giallo antimonio e verde ramina; vetrina molto spessa, ingobbio avorio. Su di un frammento di catino non identificabile. Per. VI C (att. 1). La stessa decorazione è su di un boccale proveniente da Todi (BIGANTI 1981, p. 168, fig. 127). 2. Nastro annodato con elemento fitomorfo; giallo antimonio e verde ramina; vetrina molto spessa, ingobbio avorio. Su di un frammento di scodella di tipo non identificabile. Per. IV (att. 12). Una decorazione molto simile è riconoscibile su di una ciotola proveniente da Todi (BIGANTI 1981, p. 181, fig. 150). Il patrimonio decorativo della ceramica graffita umbra non è molto vario e ricorrono spesso gli stessi elementi composti in varie soluzioni; la colorazione si presenta di frequente, come sui nostri reperti, a macchia, non rispettando i limiti posti dal graffito. Ambedue le decorazioni possono essere datate alla seconda metà del XV secolo, momento in cui Todi si presenta come l'unico centro di notevole produzione di ceramica in Umbria. Produzione pisana 3. Barrette oblique a stecca affiancate da tre filettature graffite, seguite a loro volta da archetti decrescenti a stecca alternati a inflorescenze a graffito e a stecca; due filettature graffite alla fine della tesa; monocroma; vetrina giallo paglierino. Sulla tesa di un piatto tipo Crypta Balbi 3, n. 297. Per. 0 (att. 99) e I C (att. 51). I singoli elementi che compongono l'insieme della decorazione si ritrovano su materiali rinvenuti a Pisa dalle discariche di Lungarno Simonelli e Piazza Solferino, databili al XVI-inizi XVII secolo (BERTI-TONGIORGI
1982, p. 155, figg. 6:8, 6:10, p. 165, fig. 12:1). L'attribuzione non è però sicura poiché se per decorazione e forma il pezzo è riconducibile all'ambiente pisano, l'argilla rosata (Crypta Balbi 3, p. 295, n. 3) è più simile a quella delle produzioni valdarnesi e maremmane; potrebbe trattarsi pertanto di un prodotto locale d'imitazione. Produzione non identificata 4. Fascia manganese all'orlo seguita da due filettature, motivo fitomorfo con elemento lanceolato al centro in ferraccia e ramina delimitato da una fascia sottile affiancata da due filettature; vetrina avorio, ingobbio chiaro, graffito appena accennato. Su un frammento di ciotola di tipo non identificato. Per. VI B (att. 3). [Cynthia Mascione, Leonella Tesei] Ceramica marmorizzata Questa classe ceramica è rappresentata complessivamente da cinque frammenti, di cui solo due identificabili e riconducibili a tipi già editi in Crypta Balbi 3 (catino n. 299 e piatto n. 301). Poiché i nostri due frammenti appartengono alla produzione pisana del XVI secolo (MANNONI 1975, p. 70, fig. 61, n. 3, tipo 556; BERTI-TONGIORGI 1982, p. 171, fig. 15, nn. 15, 16b), la loro presenza nei periodi IV e V va considerata come residua. Per un commento più ampio a questa classe rimandiamo a Crypta Balbi 3, pp. 297298. [94] [Cyinthia Mascione]
Vetri Bicchieri 114 – Corpo troncoconico rovesciato, fondo probabilmente concavo con peducci a goccia ottenuti mediante pinzatura; verde. Sul corpo costolature con leggero andamento spiraliforme. Per. I A (att. 138). Frammenti simili appartenenti alla tradizione bizantina e datati tra il XIII e XIV secolo sono stati rinvenuti in Sicilia (D’ANGELO 1976, pp. 379 ss., figg. 2 e 6); esemplari analoghi, riferibili però al secolo XV, provengono, invece, dalla Francia meridionale (FOY 1985, p. 62, fig. 56, n. 4). Calici 115 – Stelo cilindrico leggermente svasato; incolore; dec. a fascia ondulata applicata. Per. I A (att. 42). Il confronto più puntuale è con un frammento rinvenuto a Lucera e datato al XIII secolo (WHITEHOUSE 1966, p. 177, fig. 31, n. 4). Calici simili provengono da Paestum, S. Rufina e Orvieto: sono attestati tra il XII e il XIII secolo e sembrano confermare una connessione tra la Grecia bizantina e l’Europa occidentale forse per tramite delle fabbriche vetrarie venete (GASPARETTO 1979, p. 91). Per quanto riguarda la decorazione, l’uso di “cordoncini applicati” è testimoniato, nella manifattura veneta, anche su alcuni colli di bottiglia datati tra il XIII e XV secolo; questi elementi decorativi possono essere ricondotti alla produzione vetraria siriaca dell’XI e XII secolo (GASPARETTO 1979, p. 83, fig. 10, n. C1 e fig. 11). 116 – Corpo probabilmente emisferico, fondo convesso; blu; dec. a raggiera applicata. Per. 0 (att. 99). Per la forma e la decorazione il tipo potrebbe essere avvicinato ad un “calice su alto piede”, dipinto, datato alla seconda metà del XV secolo (GASPARETTO 1958, tav. 22; Venezia 1982, p. 74, fig. 23). 117 – Orlo indistinto, corpo troncoconico rovesciato; incolore; dec. a bugnato formato da piccoli rombi regolari. Per. VI C (att. 1). Decorazioni simili sono attestate nella manifattura vetraria del basso medioevo (FOSSATI-MANNONI 1975, p. 61, fig. 69, tav. II). Per quanto riguarda la diffusione nel vasto panorama italiano, cfr. Crypta Balbi 3, pp. 553-554. Bottiglie 118 – Collo alto, cilindrico, leggermente svasato verso l’orlo irregolare e tagliato a glossarium. Per. I A (att. 83). Simili “bottiglie senza labbro”, datate tra il XIV e il XV, secolo sono presenti nella produzione vetraria muranese (GASPARETTO 1979, p. 83, figg. C2-C4). Lampade 119 – Corpo probabilmente cilindrico, ansa a sezione circolare piegata a formare un leggero uncino, applicata nella parte inferiore del corpo e pinzata nella sua parte terminale; verde. Per. 0 (att. 99). [95] Un'ansa molto simile, attribuita a lampade di tradizione bizantina e datata al XIII secolo, è stata rinvenuta a Genova (ANDREWS 1977, p. 186, tav. XXXVII, n. 143). [96] [Luca Demitry]
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Suppellettili I piccoli oggetti fabbricati in materiali diversi – e destinati agli usi più vari – emersi da questa porzione di giardino, vanno ad arricchire gli esemplari già editi in Crypta Balbi 3, pp. 561-568; in questa sede si segnalano solamente i frammenti più significativi. –
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Statuina-fischietto in terracotta rappresentante una figura femminile acefala, vestita con lunga ed ampia tunica panneggiata; sul dorso è visibile la parte terminale di un piccolo mantello o cappuccio (fig. 39, 8); a matrice; h. 7. Per. 0 (att. 99, III 455). Esemplari simili sono in CINI-RICCI 1980, pp. 522 ss., n. 1/15 e p. 543, Al e A2. Pedina da gioco: si tratta della parte superiore di un cavallo per il gioco degli scacchi; intagliata in osso (fig. 39, 9); h. 4,5. Per. I B (att. 137, I 932). Lamina d’osso ricavata da una diafisi di metacarpo di grosso erbivoro (bue o cervo) finemente lavorata. L’incisione mostra due figure stanti, semiabbracciate e vestite entrambe con ampia tunica panneggiata (fig. 39, 10); 7,7x2,4. Per. I C (att. 69, III 760). Si tratta, probabilmente, di una piccola piastra ornamentale del tipo di quelle solitamente utilizzate per ornare reliquiari, montature di specchi, cassettine per gioielli o cofanetti vari, e caratterizzate da una lavorazione che, sulla scia della ricca produzione eburnea del gotico d’oltralpe, conobbe diffusione e lustro anche in Italia sul finire del XIV e per quasi tutto il XV secolo, grazie soprattutto all’attività artigiana della famiglia degli Embriachi (EUA, II, 270 e VI, 485). Intagliatori in osso, forse di origine genovese ma attivi soprattutto a Firenze e a Venezia, autori anche di opere notevolissime come il grande dossale d’altare della Certosa di Pavia (1400-1409), gli Embriachi caratterizzarono il loro stile decorativo proprio con l’inserimento di incisioni del tipo di quella che stiamo esaminando entro cornici o intelaiature lignee nel modo comunemente detto “alla certosina”. Un esempio dell’arte degli Embriachi è un cofanetto conservato al Musée de Cluny di Parigi, in cui le piastre ornamentali inserite, nel caso specifico in avorio, ci forniscono un evidente termine di confronto per il nostro esemplare che, senza azzardare più puntuali attribuzioni, collocheremmo proprio nel contesto storico-artistico dei suddetti artigiani e dei loro epigoni. Per quanto riguarda l’iconografia del nostro manufatto, l’atteggiamento affettuoso delle due figure potrebbe far pensare ad una coppia di amanti (CINIRICCI 1980, p. 525, n. 20; manoscritto veneto contenente l’Acerba di Cecco d’Ascoli, Firenze, Bibl. Laurentiana, ms. Plut. 40,52). In tal caso si dovrebbe riconoscere la figura femminile in quella che occupa la posizione alla destra dell’osservatore, dal viso più affilato e dai capelli più lunghi con una piccola ciocca che scende fino sulla parte anteriore della spalla sinistra. Una tale esegesi si accorderebbe perfettamente anche con i soggetti generalmente scelti per questo tipo di lavori: accanto a temi religiosi si ritrovano quelli profani più graditi alla cultura raffinata delle classi più abbienti e, in particolare, quegli amorosi attinti da novelle e romanzi (specialmente del ciclo bretone) o da leggende dell’antichità. [97] Acciarino ricavato da una selce lavorata con ritocco diretto mesiale destro e ritocco inverso mesiale sinistro; sono visibili, sulla faccia inferiore, il bulbo di percussione e, su quella superiore, tracce della corteccia. Per. I A (att. 138, III 459). Si tratta molto probabilmente di un acciarino anche perché mostra, insieme ai ritocchi, molte scheggiature dovute all'uso (GARDINI-GORICCHI-ODONE 1972, p. 40, tav. I, figg. 4 e 5).[98] [Stefano Dalle Luche, Leonella Tesei]
Metalli Accessori per il vestiario Fibbie 120 - Fibbia di cintura in ferro, di forma rettangolare, convessa, manca dell'ardiglione. Per. 0 (att. 99). Un esemplare simile è stato rinvenuto a Rougiers ed è datato alla fine del XIII secolo (DEMIANS D'ARCHIMBAUD 1980, p. 1187, tav. 423, n. 11). 121 - Fibbia di cintura in ferro, di forma trapezoidale, a sezione quasi quadrata, con ardiglione legato al lato minore. Per. I A (att. 83). Alcune fibbie simili vengono da Rougiers e sono databili tra la seconda metà del XIII e gli inizi del XIV secolo (DEMIANS D'ARCHIMBAUD 1980, pp. 11801181 e 1185- 118 6, tav. 422, n. 18) , ma sono attestate altrove anche fino alla seconda metà del XIV secolo (ibid., tav. 423, nn. 9, 10, 13, 18). Speroni 122 - Sperone di ferro con braccia sottili, a sezione ovale, rivolte verso l'alto, collo rotto su cui è infilato un anello di ferro. Per. I A (att. 83). Simile a Crypta Balbi 3, n. 1053, ma di dimensioni minori; altri confronti, riferiti al XIII secolo, sono in LAKING 1920, p.164, fig. 968, nn. a-d.[99] [Giandomenico Spinola]
Prodotti laterizi I dati emersi dal completamento delle indagini nell’area del giardino del Conservatorio di S.Caterina della Rosa confermano il reimpiego di prodotti laterizi antichi nelle strutture edificate nel corso del I periodo di vita del complesso; i materiali antichi, infatti, dovevano essere piuttosto abbondanti dopo gli scavi effettuati per l’impianto della fabbrica del Conservatorio. Gli unici esemplari di tegole antiche emerse quasi integre dallo scvo sono stati rinvenuti riutilizzati per la pavimentazione del collettore che attraversava tutta l’area del giardino (per. I C, att. 51). Alcuni esemplari risultano bollati (nn. 1-3; cfr. anche Crypta Balbi 3, pp. 586-589, nn. 4, 12, 15-17, 19). Tutti i laterizi antichi identificati, se si eccettuano alcuni mattoncini da opus spicatum e due esemplari di bipedali, uno dei quali bollato (n. 9), sono mattoni triangolari ottenuti dalla frattura in otto parti di sesquipedali, e sono riferibili al tipo Crypta Balbi 3, p. 586, n. 2; le misure relative ai nostri esemplari sono: cateti 15,5-22, ipotenusa 25,3-28, spessore 3,5-4,3; impasti Crypta Balbi 3, pp. 593, n. 5 e 594, n. 12. Per. I A (att. 42, US 523) e I C (att. 51, US 1334 e I 570). Nel catalogo che segue verranno citati unicamente i mattoni bollati. Per quanto riguarda i materiali provenienti dal settore sud-occidentale del giardino, in questa sede sono stati esaminati unicamente i bolli laterizi provenienti dagli strati di terra poiché i reperti rinvenuti riutilizzati nelle strutture erano già stati analizzati in Crypta Balbi 3, pp. 585-596. Bolli laterizi (fig. 40) 1.
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Framm. 53 + , 36 + , 4,5. Per. I C (att. 51, 1334). Bollo a forma orbicolare; sig. 9,8; orb. 4,2; litt. 1,1, 1,2, 0,9; lin. 1, 2, 2. EX PR STAT [SEV] T CAM [N]A[RCIS] / PAET [E]T AP [RO] / COS tratto orizzontale sulla terza riga non è visibile o manca come in C.L.L., XV, 1451. Il bollo si data al 123 d.C. Cfr. anche L.S.O., n. 1063. È da notare comunque che l’esemplare riportato dal C.L.L. e da L.S.O. presenta – a differenza del nostro – la scritta COS rovesciata. Framm. cm 29 + , 23,5 +, 4. Per. I C (att. 51, I 334). Bollo a forma orbicolare; sig. 9,6; orb. 3,5; litt. 0,9-0,7; lin. 1, 2, 2. EX PR[TI TVTINI SENT SATRI]AN AB EVRIP / EX OFF //// [VERO III ET EGG]IO / [SOC] Prodotto dall’officinator Ti. Tutinius Sentius Satrianus delle figlinae ab Euripo, nell’anno 126 d.C.; C.L.L., XV, 108; L.S.O., n. 151. Framm. cm 39 +, 42, 3. Per. I C (att. 51, I 570). Bollo a forma orbicolare: sig. 9,3; orb. ?; litt. 0,91-0,7; lin. 1, 2, ?. [SE]R I[II E]T VARO EX FIG CAE N SE[NPTIMIAN FIG] / [RAVS]IO [PRIMO] / [C]OS Prodotto dall’officinator Rausius Primus delle figlinae Septimianae; anno 134 d.C.; C.I.L.. XV, 536b; L.S.O., n. 469. Framm. 6,7 + , 10,5 + , 3,5. Per. I C (att. 51, 1334). Bollo a forma orbicolare; sig. ?; orb. ?; litt. 1,2; lin. 1, ?, ?. [---1 MAXIMI Si può supporre che appartenga al gruppo di bolli di Ti. Claudius Maximus proprietario [100] delle figlinae ab Isis, padre dell’omonimo console suffetto intorno al 144/145 d.C. (BLOCH, B.L., p. 181). Il confronto più pertinente appare quello con L.S.O., nn. 256-257, 259-260. Non è da escludere comunque che possa trattarsi anche di un bollo delle figlinae Macedonianae di T. Statilius Maximus Severus Hadrianus (123-138 circa) simile a quello edito in C.I.L., XV, 1458. Framm. 29 + , 23,5 + , 4. Per. I C (att. 51, 1334). Bollo lineare a lettere cave; sig. ?; litt. 2. [PAN]TAG SVL
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Prodotto dalle figlinae Sulpicianae di M. Vinicius Pantagathus intorno agli inizi del Il sec. d.C.; C.I.L., XV, 566b; STEINBY 1974-75, p. 89, nota 6, p. 91, nota 4; Crypta Balbi 3, p. 587, n. 10. Framm. 5,6 + , 8,2 + , 3. Per. VI B (att. 3, II 15). Bollo a cartiglio rettangolare; sig. ? x 3,2; liti. 1. [L ALFI] RVB / [SATV]RNINI Cfr. S 218, ma incompleto e con lettura errata ALFI RVFI. Bolli analoghi sono stati rinvenuti in altre aree dello scavo come, ad esempio, negli strati bassomedievali dell’esedra del monumento romano; lo stesso bollo, completo e in piú esemplari, è stato ritrovato anche, sempre a Roma, nell’area dell’Ospedale Militare del Celio, in relazione a strutture attualmente in corso di studio. Il tipo di cartiglio e la posizione stratigrafica dei rinvenimenti dello scavo del Celio fanno propendere per una datazione all’inizio del II secolo. Framm. 21,5 + , 18 + , 3,5. Per I C (att. 108, III 194). [---]INI SVLP Non identificato. Si può supporre che si tratti di un bollo prodotto dalle figlinae Sulpicianae di M. Vinicius Pantagathus agli inizi del II sec. d.C. Cfr. C.I.L., XV, 548 ss.; nel nostro caso il bollo sembra male impresso. Framm. cm 14,5 + , 12 + , 4. Per. I C (att. 51, 1334). Bollo a forma orbicolare; sig. 11,2; orb. 2; litt. 1,3-1; lin. 1,2,1. OP · D · [EX · PR · AVG · N · FL · DOM]ITI] ITI/ANAS · [MAIORES] nux pinea Prodotto dall’officinator Lanius Pisentinus delle figlinae Domitianae Maiores nel periodo in cui appartennero a Settimio Severo, cioè tra il 193 e il 198 d.C.; C.I.L., XV, 163; L.S.O., n. 190. Framm. cm 52, 29 +, 3. Per. I C (att. 51, 1570). Bollo a forma orbicolare; sig. 11; orb. ?; litt. 1,4-1; lin. 1, ?, ?. [OPV]S [D]OL DE PRAED AVGG NN [EX]/[FIGL V]ET CA[E]CIL AM[AN]DA mulier sinistrorsum respiciens dextra protenta ramum palmae, sinistra cornucopias tenet. Il centro del sigillum rivela tracce di rilievo non identificabili. Prodotto dalle figlinae Veteres di Caecilia Amanda, si data agli anni compresi tra il 198 e il 212 d.C.; C.I.L. XV, 195. Framm. cm 17 + , 28 + , 2,5. Per. 0 (att. 99, 1666). Bollo a forma orbicolare; sig. 10,7; orb. 1,9; litt. 1,8; lin. 1, ? OPV DOL DE PRAED [DOM N] AVG EX / FIG V[ET CAEC AMA]NDAE C.I.L. XV, 192, L.S.O., n. 215. Il bollo è databile in età severiana e proviene, come quello precedente, dalle figlinae Veteres di Caecilia Amanda. Framm. cm 52 + , 42 +, 3 + . Per. I C (att. 51, 1570). Bollo a forma orbicolare: sig. 10; orb. 2; litt. 1,3-1; lin. 1, 1, ?. OP DOL [EX P]R M AVRELI ANTO / NINI AV[G] N POR[T] LIC Prodotto dalle figlinae di Portus Licini tra il 212 e il 217 d.C., il signum centrale è scomparso o, più verosimilmente, del tutto assente; C.I.L., XV, 408e. Framm. cm 7,5 + , 8 + , 3 + . Per. I B (att. 114, 1673). Bollo a forma orbicolare; sig. 9,8-10; orb. 1,9; litt. 0,9; fin. 1, 1,9. OPVS [DOLIARE EX PRE] / DOMINI N A]VG aper ss. currens Databile in epoca severiana; C.I.L., XV, 762b. [102] Framm. 16 + , 12 + , 3,5. Per. I C (att. 51, 1334). Bollo circolare anepigrafe con incavo circolare nel centro; _ 3, 2 e 0,8 per l’incavo. Bolli simili presentano spesso un cartiglio iscritto annesso non conservatosi nel nostro caso. Cfr. L.S.O., nn. 1286 e 1291, ed un esemplare proveniente, sempre dall’area della Crypta Balbi, dagli strati bassomedievali dell’esedra antica (US II 358; Crypta Balbi 5). Framm. 12 +, 11 +, 2. Per. I B (att. 114, I 673). Bollo anepigrafe; sig. 4,5. Stella a dieci punte con quadrato inserito; realizzato a stampo. 15. Framm. 11,5 + , 8,4 +, 3,5. Per. VI B (att. 3, II 15). [EX PR TI·IVLI·IVLIANI OF] / [IVSTAES E]T RVFIN[I]
Dovrebbe trattarsi di un bollo analogo a C.I.L., XV, 2174, databile alla metà del II secolo. [Stefano Dalle Luche, Leonella Tesei]
Manufatti litici
In questa sede sono stati esaminati sia i materiali provenienti dai contesti in esame che alcuni frammenti rinvenuti, sempre nell’area della Crypta Balbi, ma fuori da contesti stratigrafici (si tratta per lo più di materiali provenienti dai sondaggi praticati tra il 1940 e il 1961). In entrambi i casi si è adottato il criterio di schedare – corredati di disegno e/o fotografia – i reperti più interessanti e comunque identificabili; tra questi solo uno è di epoca moderna (fig. 41, 4). Iscrizioni -
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Frammento di lastra; marmo bianco a grana fine; cm 9 x 8 x 2, 2; litt. 3,7. Vi si legge parte di un’iscrizione frammentaria: DIS [MANIBVS] che consente di interpretare il frammento quale parte di un’iscrizione funeraria romana d’età imperiale (fig. 41, 1). Per. I A (att. 138, III 459). Frammento di lastra; marmo bianco a grana grossa; cm 16,5 x 14 x 3. Si legge parte di un’iscrizione funeraria su tre righe: [---]HCA[---] / [---] [---] / E [---] (fig. 42, 1). Per. I A (att. 139, I 693). Si tratta di un’iscrizione funeraria di un personaggio di origine greca, vissuto a Roma probabilmente nella prima età imperiale. Frammento di lastra funeraria per loculo; marmo bianco a grana grossa; cm 9,5 x 6 x 2,5. Oltre ad un foro per il fissaggio il frammento presenta parte dell’iscrizione dedicatoria; vi si legge, su tre righe: D[---]/NI[---] /NATA[---] (fig. 41, 2) Per. I A (att. 138, III 459). Frammento di lastra; marmo bianco a grana fine; cm 8 x 5 x 3,7; da un lato presenta la quadrettatura tipica di una “tabula lusoria” (lato cm 4); dall’altro, invece, resti di un’iscrizione bassomedievale su due righe di incerta lettura (fig. 41, 3). Per. VI C (att. 1, III 710). Frammento di lastra; marmo bianco; cm 19 x 8,2 x 3,8; presenta lungo due bordi un finissimo solco che funge da cornice. L’iscrizione, in latino, riporta: [P]OST RVINAS (fig. 41, 4). Per. VI C (att. 1, III 710). L’iscrizione, databile al XVIII-XIX secolo, allude presumibilmente ai ruderi di qualche parte del monumento antico, ancora emergenti nella zona.
Frammenti scultorei -
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Frammento di statua; marmo bianco lunense (?); cm 17,5 x 14 x 9,5. Si tratta di una mano destra maschile, quasi integra: manca infatti solamente parte del corpo e sono parzialmente danneggiati pollice, indice e mignolo. La mano presenta le quattro dita maggiori flesse in avanti con il solo indice che tocca il pollice (fig. 42, 2). Per I A (att. 139, 1693). La mano è resa accuratamente fino nei minimi dettagli: un profondo incavo nella parte inferiore del palmo - piegato - lascia supporre che la mano poggiasse su di un bracciolo o su di un altro elemento con superficie piana e che il personaggio, ritratto in grandezza per lo meno doppia del reale, fosse raffigurato seduto. Frammento di sarcofago strigilato (fig. 42, 3); marmo bianco a grana grossa; cm 48 x 21 x 8. Per. I A (att. 90, Il 3). [104]
Decorazioni architettoniche 123 - Frammento di piccola colonna o pilastro; marmo bianco a grana grossa; h. cm 22, 0 cm 10. Il fusto non è completamente circolare, ma appare in parte sbozzato ed evidenzia cinque
superfici piane come quelle di un prisma; queste, larghe circa cm 4, costituivano forse la faccia a vista del fusto che per il resto poteva essere murato. Potremmo però anche trovarci di fronte ad un manufatto concepito come un pilastrino a prisma ottagonale non portato a termine. Per. VI C (att. 1, III 710). 124 - Frammento di colonnina; marmo bianco a grana fine; h. cm 25,5, 0 base cm 9,5, 0 fusto (calcolato all’altezza della frattura) cm 7. La base, in un solo blocco con il fusto, presenta modanature non troppo accentuate. Per. 0 (att. 99, III 783). È difficile stabilire con precisione a quale struttura appartenesse; per le sue ridotte dimensioni è possibile pensare, ad esempio, alla decorazione di un ciborio da centro altare ( cfr. esempio Crypta Balbi 3, n. 1063). 125-126 - Frammenti di rocchi di colonne scanalate in travertino (20 pezzi, fig. 125: disegno ricostruttivo); le misure delle scanalature oscillano – anche a causa dell’usura – tra gli 8 e i 9 cm, quelle dei denti tra i 2 e i 2,5 cm. Per. VI B (att. 3, II 15 e 16) e VI C (att. 1, III 710). Si tratta molto probabilmente di materiale preparato per essere trasformato in calce in un impianto che doveva essere funzionante nell’area della Crypta Balbi in epoca basso medievale (cfr. Crypta Balbi 5). Frammenti di cassettonato con decoro a bottoni (fig. 42, 4); cm 12 x 13,5 x 2,8, cm 14 x 20 x 7. Per. VI B (att. 3, II 15). Piccolo capitello a foglie liscie: modanatura di base tripartita da cui partono 4 foglie liscie maggiori con il margine leggermente ingrossato e rivolto verso l’esterno; negli intervalli tra le foglie maggiori, in secondo piano, sono 4 foglie minori con costolatura centrale; al di sopra è un abaco liscio (fig. 41, 5); marmo bianco; h. cm 21,5. Per. I A (att. 90, III 14). Il pezzo si inserisce, anche per la sua forma molto allungata, nella produzione dei capitelli bassomedievali del XIII-XIV secolo. Il frammento è stato riutilizzato nella costruzione del muro perimetrale settentrionale del giardino del Conservatorio. 127 - Frammento di cornice modanata; marmo bianco venato di grigio; cm 14 x 6 x 8. Per. I C (att. 51, I 672). La cornice era stata riutilizzata nella costruzione del collettore fognario che attraversava l’intera area del giardino. Frammento di decorazione scultorea a kyma lesbio (fig. 41, 6); marmo bianco a grana fine; cm 25 x 15,5 x 7. Per. VI B (att. 3, Il 25). Come il precedente (fig. 41, 7); cm 9,5 x 11 x 6. Per. I C (att. 27, III 415). Per i due frammenti, in origine forse appartenenti allo stesso impianto decorativo, cfr. Crypta Balbi 3, fig. 142,2. 128 - Frammenti contigui di grossa mensola (?) marmo bianco a grana fine; cm 14 x 11 x 15 (frammento rettilineo), cm 21 x 11 x 15 (frammento ad angolo ottuso). Per. IV (att. 13, 1638). I due pezzi erano reimpiegati nella costruzione di una sorta di panchina addossata ad un’aiuola in muratura. 129 - Frammento di cassettonato; marmo bianco a grana fine; cm 62 x 25 x 14; decorazione a quadrati con rosetta stilizzata all’interno (lato del quadrato cm 2). Per. VI B (att. 3, 11 16). 130 - Frammento di piccola cornice architettonica; basalto (?); finissima decorazione a motivi floreali (fig. 41, 8); cm 9,5 x 10 x 4. Per. I A (att. 138, 111 563). L’elemento architettonico – forse un capitello di parasta di dimensioni assai ridotte – ha una decorazione che parte da un basso listello di base da cui si dipartono due foglie di acanto a lobi arrotondati; al centro, un’altra foglia d’acanto [107] vista frontalmente, si presenta con i lobi leggermente frastagliati e divisa in due da una nervatura centrale a sezione triangolare. Ai lati della foglia centrale, da due foglie protezionali si generano due lunghi e sinuosi steli desinenti in due calici semi-dischiusi; al centro della composizione, sopra la foglia mediana, da un altro calice si genera una palmetta le cui sette foglie hanno i margini arrotondati e leggermente rivoltati verso l’esterno. L’abaco è costituito da una semplice fascia liscia. Il motivo decorativo richiama, pur con notevoli differenze, un capitello di parasta proveniente dal Foro Romano e datato ad epoca adrianea (RONCZEWSKI 1931, pp. 22-23, fig. 20). Il leggero uso del trapano nel nostro esemplare può far pensare ad una datazione
analoga o addirittura precedente, anche se il contesto di provenienza del frammento - la grande fossa rinascimentale scavata a ridosso del muro perimetrale dell’esedra antica - non permette di escludere una composizione rinascimentale classicheggiante. Lastre tombali -
Frammenti contigui di grossa lastra tombale scolpita; marmo bianco; cm 64 x 41 x 12. Per. I B (att. 114, II 101 e II 174). I due frammenti conservano parte del rilievo di uno stemma araldico inquadrato in uno scudo circondato da una grossa ghirlanda fiorita di ottima fattura. All3 vista frontalmente, si presenta con i lobi leggermente frastagliati e divisa in due da una nervatura centrale a sezione triangolare. Ai lati della foglia centrale, da due foglie protezionali si generano due lunghi e sinuosi steli desinenti in due calici semi-dischiusi; al centro della composizione, sopra la foglia mediana, da un altro calice si genera una palmetta le cui sette foglie hanno i margini arrotondati e leggermente rivoltati verso l’esterno. L’abaco è costituito da una semplice fascia liscia. Il motivo decorativo richiama, pur con notevoli differenze, un capitello di parasta proveniente dal Foro Romano e datato ad epoca adrianea (RONCZEWSKI 1931, pp. 22-23, fig. 20). Il leggero uso del trapano nel nostro esemplare può far pensare ad una datazione analoga o addirittura precedente, anche se il contesto di provenienza del frammento - la grande fossa rinascimentale scavata a ridosso del muro perimetrale dell’esedra antica - non permette di escludere una composizione rinascimentale classicheggiante.
Varia 131 - Frammento di coppo; marmo bianco a grana grossa; cm 42 + , 21 x 14; su uno dei lati brevi è visibile una traccia di decorazione a motivi vegetali. Per. I B (att. 37, III 458). 132 - Frammento di coppo; marmo bianco a grana grossa; cm 20 x 17 x 13. Per. VI B (att. 3, 11 16). 133 - Frammento di mortaio; marmo bianco a grana fine; 0 ricostruito cm 14 circa. Per. VI C (att. 1, III 710). 134 - Parte di contenitore di forma cilindrica in pietra lavica; h cm 16, 0 ricostruito cm 50 circa, cavità interna h cm 6, 0 ricostruito cm 39 circa. Per. IV (att. 13, I 638). l manufatto, forse un mortaio (Crypta Balbi 3, n. 1055), è stato rinvenuto, spezzato in nove frammenti e reimpiegato come materiale da costruzione in una sorta di panchina in muratura addossata ad una delle ultime aiuole sistemate nel giardino. [109] [Stefano Dalle Luche, Leonella Tesei]
Reperti pertinenti alle fasi di vita del Conservatorio (XVI-XX secolo) [111] Ceramica smaltata su ingobbio La ceramica smaltata su ingobbio è documentata nell’area della Crypta Balbi solamente da tre frammenti. Non è attestata a Roma tra i materiali editi di altre aree, mentre si trova a Castro nell’ultimo quarto del XVI secolo (Lezi ROMAGNOLI 1981, pp. 87-88, nn. 86-89). Poiché di questa classe non si conoscono i centri di produzione, né la cronologia, in questa sede è possibile fornire unicamente i dati desunti dall’analisi dei contesti stratigrafici di provenienza dei reperti. Scodelle 135 - Orlo assottigliato, lunga tesa obliqua, cavetto emisferico poco profondo, fondo concavo; sulla tesa foglie stilizzate alternate a tratti obliqui entro fascia in giallo, ocra e blu (fig. 43, 1). Per. 0 (att. 99). 136 - Come la precedente, ma con tesa quasi piana, apoda; sulla tesa fascia di linee in rosso e ocra (fig. 43, 2). Per. I B (att. 114). Questi frammenti, insieme ad un altro di forma e decorazione non identificata provengono da fasi la cui cronologia va dal primo terzo alla fine del XVI secolo. La decorazione del tipo n. 136 è realizzata in colore rosso, normalmente molto poco diffuso nelle produzioni della stessa epoca. [113] [Leonella Tesei]
Tav. XX
Maiolica rinascimentale Si è già ricordato nell’introduzione come lo studio dei reperti provenienti dalla zona nord del giardino del Conservatorio di S. Caterina costituisca necessariamente un momento di ampliamento, ma anche di ripensamento e di verifica delle tipologie individuate e delle considerazioni esposte nella pubblicazione della parte centrale e meridionale del giardino stesso. Il catalogo presentato si propone quindi come integrazione a quanto già esposto in quella sede e riporta solo i tipi più significativi dal punto di vista morfologico e decorativo, che costituiscano elemento di novità rispetto a quel contesto. I dati quantitativi relativi alle varie fasi di vita del giardino sono esposti in maniera sintetica in tabelle in cui si fa esplicito riferimento alle tipologie presentate in Crypta Balbi 3, pp. 303-424. L’obiettivo del presente studio, che si basa su un quantitativo non grandissimo di frammenti, non è infatti quello dell’arricchimento di un repertorio tipologico che ha trovato una sua base solo recentemente e che è tuttora in fase di rapido accrescimento (cfr. da ultimo Crypta Balbi 3, pp. 303-424, che riporta anche la bibliografia precedente). Si tenterà piuttosto di analizzare più a fondo alcuni contesti significativi per poter precisare meglio, attraverso lo studio delle associazioni, le cronologie dei tipi ceramici e delle decorazioni, tentando nel contempo di approfondire l’analisi su alcuni aspetti dell’uso, della produzione e della commercializzazione della maiolica a Roma a partire dai decenni centrali del 1500. Questo lavoro, pur breve, deve molto alla collaborazione amichevole di Carla Compostella e Cristina Uva sia nella schedatura dei reperti che nella elaborazione dei dati. [Enrico Zanini] LE FORME Piatti Piatti riconducibili a produzioni toscane, o a loro imitazioni, del XVI secolo. 137 - Orlo leggermente rialzato, larga tesa molto confluente ed appena distinta dal cavetto, apodo, con fondo leggermente incavato; dec. Crypta Balbi 3, p. 355, 6A. Per. VI C (att. 1). Sulla base della decorazione può essere datato molto probabilmente alla fine del XV-inizi del XVI secolo (Crypta Balbi 3, p. 355). 138 - Orlo arrotondato, lievemente assottigliato, cavetto poco evidenziato, piede a disco; dec. 55. Per. I A (att. 133). Si tratta di una variante del tipo Crypta Balbi 3, n. 315, che però nella stratigrafia attualmente in esame è scarsamente attestato. In base alla decorazione e al contesto di provenienza l’esemplare può essere datato agli ultimi due terzi del XVI secolo.[114]
Tav. XXI
[115]
Tav. XXII
[116]
139 - Orlo lievemente estroflesso ed arrotondato, cavetto indistinto, piede a disco,fondo piano; dec. 26F. Per. VI C (att. 1). 140 - Orlo estroflesso con una leggera solcatura sul bordo, piede a disco con fondo a ventosa; dec. Crypta Balbi 3, p. 394, 138. Per. I A (att. 42). 141 - Bordo arrotondato, orlo ingrossato, scanalato internamente, parete obliqua; dec. Crypta Balbi 3, p. 368, 84G. Per. I A (att. 139). 142 - Simile al precedente, ma con orlo a tesa piana; dec. Crypta Balbi 3, p. 394, 138. Per. I A (att. 42). Si tratta di quattro varianti di una forma piuttosto diffusa (Crypta Balbi 3, nn. 313-321) ben databile, sulla base della stratigrafia e delle decorazioni, agli ultimi due terzi del XVI secolo. 143 - Orlo a piccola tesa confluente quasi piana, cavetto poco profondo, piede a disco; dec. Crypta Balbi 3, pp. 372-374, 104Ad. Per. I A (att. 83) e I B (att. 137). Questo tipo sembra essere una variante di Crypta Balbi 3, n. 321, datato alla seconda metà del XVI secolo. Piatti riconducibili a produzioni umbre, o a loro imitazioni, del XVI secolo. 144- Orlo arrotondato, larga tesa piuttosto confluente, cavetto emisferico esternamente indistinto, apodo, con fondo incavato; dec. Crypta Balbi 3, p. 355, 01. Per. I C (att. 69). Si tratta di una variante di un tipo già attestato nella parte centrale e meridionale del giardino (Crypta Balbi 3, nn. 329-330); la mancanza di decorazione policroma potrebbe far pensare ad una imitazione locale di prodotti di origine umbra. 145 - Orlo arrotondato leggermente rialzato, breve tesa concava, ampio cavetto emisferico ben distinto; dec. Crypta Balbi 3, p. 355, 01. Per. VI B (att. 3). Si tratta, probabilmente, di una variante piuttosto antica dei piatti di tradizione umbra con piede ad anello (Crypta Balbi 3, nn. 331 e 333). 146 - Orlo indistinto, ampia tesa quasi piana, cavetto appena accennato, piede ad anello; dec. 17M. Per. 0 (att. 99). Si tratta di una variante dei tipi Crypta Balbi 3, nn. 358-359. 147 - Ampia tesa poco confluente, ampio cavetto emisferico ben distinto, alto piede ad anello; dec. 26A. Per. 0 (att. 99). 148 - Simile al precedente, orlo leggermente rialzato, cavetto più ampio, piede meno alto; dec. 17H. Per. I A (att. 42). Si tratta di varianti dei tipi Crypta Balbi 3, nn. 333-336, attribuibili, sulla base della decorazione, alla produzione umbra della metà del XVI secolo. Piatti riconducibili a produzioni locali del XVI-XVII secolo. 149- Tesa inclinata, orlo tronco, cavetto poco profondo e ben evidenziato esternamente, piede ad anello; dec. 42. Per. I A (att. 139). Il tipo esaminato corrisponde a Crypta Balbi 3, n. 336, di cui completa il profilo. Il contesto di provenienza conferma la datazione proposta tra la fine del XV e la prima metà del XVI secolo. 150 - Orlo nettamente rialzato, breve tesa leggermente concava, cavetto emisferico ben distinto, piede ad anello, pareti di notevole spessore; dec. Crypta Balbi 3, p. 376, 115. Per. I A (att. 42). Si tratta di una variante di un tipo molto attestato nelle terre del giardino (Crypta Balbi 3, nn. 344-350), ma probabilmente già in circolazione prima della metà del XVI secolo. 151 - Orlo ingrossato a dente molto accentuato, cavetto poco profondo, piede ad anello; dec. 43N. Per. I B (att. 114). 152 - Simile al precedente, ma con proporzioni diverse fra tesa e cavetto; dec. 43L. Per. I A (att. 139). 153 - Orlo ingrossato, dente rilevato sia internamente che esternamente, lieve stacco [117] esterno tra tesa e cavetto emisferico, piede ad anello; dec. 430. Per. I A (att. 139). I tipi nn. 151-153 si possono considerare varianti di Crypta Balbi 3, nn. 346348. Questo gruppo, di produzione locale, è considerato uno dei servizi in uso nel Conservatorio durante la seconda metà del XVI secolo. Nel nostro caso, però, la frequente attestazione di esemplari di questo genere in attività relative alle prime fasi di impianto del monastero fa ritenere che la produzione fosse già iniziata durante la prima metà del XVI secolo.
Scodelle Scodelle riconducibili a produzioni umbre dei primi due terzi del XVI secolo. 154 - Cavetto troncoconico con parete piuttosto verticale, apoda con fondo leggermente incavato; dec. 20A. Per. 0 (att. 99). L’esemplare presenta evidenti tracce di riutilizzo dopo la rottura della tesa: questa appare infatti completamente asportata ed il cavetto molato nella parte superiore. Questo genere di riuso, peraltro assai raramente documentato fino ad ora in quest’area, trova forse una giustificazione nel fatto che l’esemplare doveva essere considerato piuttosto pregiato almeno dal punto di vista decorativo. 155 - Ampia tesa quasi piana, cavetto emisferico ben distinto, apoda, con fondo leggermente incavato; dec. 17. Per. I A (att. 138). Si tratta di una variante dei tipi Crypta Balbi 3, nn. 408-409, ben databile, sulla base della decorazione, attorno alla metà del XVI secolo. Scodelle riconducibili a produzioni toscane, o a loro imitazioni, del XVI secolo. 156 - Orlo arrotondato e leggermente rialzato, tesa piana leggermente convessa all’esterno, cavetto emisferico ben distinto, apoda, con fondo incavato; dec. 51B. Per. I A (att. 42). Si tratta di una variante dei tipi Crypta Balbi 3, nn. 406-407, ben databile, sulla base delle attività di provenienza, alla metà del XVI secolo. 157 - Simile alla precedente, tesa più ampia, cavetto più ampio e profondo, spessore delle pareti inferiore; dec. 58. Per. VI C (att. 1). Si tratta di una variante dei tipi Crypta Balbi 3, nn. 410-414, che può essere datata, sulla base della decorazione, entro il secondo terzo del XVI secolo. 158 - Orlo appuntito, cavetto emisferico ben accentuato, fondo a ventosa; dec. 56B. Per. I A (att. 139). 159 - Orlo arrotondato, breve tesa piana, cavetto troncoconico con parete piuttosto inclinata; dec. Crypta Balbi 3, p. 355, 01. Per. I C (att. 51). Si tratta di una forma finora non attestata nell’area e che sembra comunque avere una diffusione assai limitata. Scodelle riconducibili a produzioni locali del XVI-XVII secolo. 160 - Orlo tronco con doppia cordonatura ad impressioni digitali, breve tesa leggermente confluente, basso cavetto troncoconico, apoda con fondo piano; dec. Crypta Balbi 3, p. 355, 01. Per. VI C (att. 1). Si tratta evidentemente di una variante, nella decorazione ad impressioni dell’orlo, di un tipo (Crypta Balbi 3, n . 436) databile probabilmente al XVI secolo. 161 - Piccola scodella con orlo tronco, brevissima tesa piana, cavetto emisferico ben distinto, apoda con fondo piano; dec. Crypta Balbi 3, p. 355, 01. Per. I C (att. 51). 162 - Piccola scodella simile alla precedente, ma con piede a disco con cordonatura e fondo piano; dec. Crypta Balbi 3, p. 355, 01. Per. 0 (att. 99). Si tratta di varianti dei tipi Crypta Balbi 3, nn. 441-443, databili, sulla base delle attestazioni, al XVI secolo; da interpretare probabilmente come contenitori per salse o spezie.[118] 163 - Orlo arrotondato e leggermente rialzato, tesa piuttosto confluente; dec. Crypta Balbi 3, p. 355, 01. Per. 0 (att. 99). Il tipo dovrebbe essere databile, sulla base delle attestazioni, attorno alla metà del XVI secolo. Ciotole 164 - Orlo arrotondato leggermente rientrante, parete troncoconica; dec. Crypta Balbi 3, p. 355, 01. Per. I A (att. 83). 165 - Bordo assottigliato, orlo appuntito, cavetto ampio, poco profondo, piede ad anello; dec. 22. Per. I A (att. 139). Il tipo descritto si può considerare variante di Crypta Balbi 3, n. 453. Si tratta di una produzione faentina databile alla prima metà del XVI secolo. 166 - Orlo appuntito, parete baccellata, piede a disco, fondo a ventosa; dec. 17 I. Per. I A (att. 139).
L’esemplare è analogo - anche se non uguale - a Crypta Balbi 3, n. 456, di cui completa il profilo. In base alla decorazione e al contesto stratigrafico di provenienza si può datare alla prima metà del XVI secolo. 167 - Cavetto emisferico, ampio e poco profondo, piede ad anello sagomato; dec. 19A. Per. 0 (att. 99). Il frammento preso in esame integra parzialmente il tipo Crypta Balbi 3, n. 466. 168 - Orlo arrotondato, cavetto emisferico poco profondo; dec. 16. Per. I B (att. 134). Il tipo si può inserire nel gruppo Crypta Balbi 3, nn. 452-456, datato alla prima metà del XVI secolo. 169 - Orlo indistinto, parete emisferica, piede a disco con fondo piano; dec. Crypta Balbi 3, p. 355, 01. Per. I C (att. 69). 170 - Simile alla precedente, ma con piede a disco più largo e fondo leggermente incavato; dec. Crypta Balbi 3, p. 355, 01. Per. I A (att. 42). 171 - Simile alle precedenti, ma con parete quasi verticale, alto piede a disco molto incavato; dec. Crypta Balbi 3, p. 355, 01. Per. VI C (att. 1). Si tratta di varianti di un tipo ceramico di produzione locale che può essere datato, sulla base delle attestazioni, al pieno XVI secolo. 172 - Orlo estroflesso, cavetto quasi troncoconico, piede ad anello; dec. 29C. Per. I B (att. 139) e I B (att. 114). 173 - Orlo leggermente estroflesso, cavetto emisferico con parete molto spessa, piede a disco; dec. 29B. Per. I A (att. 139).
Tav. XXIII
[119]
174 - Simile alla precedente, ma con cavetto molto profondo, piede a disco, fondo a ventosa; dec. 30C. Per. I A (att. 139). 175 - Simile alle precedenti, ma con parete molto spessa e piede ad anello; dec. 30B. Per. I A (att. 139). Si tratta di varianti dei tipi Crypta Balbi 3, nn. 468-469. In base al contesto di provenienza e all’associazione ai repertori decorativi faentini, si possono datare alla prima metà del XVI secolo. La frequenza dell’attestazione di questi tipi nelle attività dei periodi 0 e I A fa ritenere che si tratti di esemplari in uso anche prima della fondazione del Conservatorio. 176 - Orlo arrotondato e leggermente appuntito, parete troncoconica leggermente estroflessa; dec. 24B. Per. I A (att. 42). Può essere attribuito, sulla base della decorazione e della attestazione, alle produzioni toscane o romagnole della metà del XVI secolo. 177 - Orlo a breve tesa piana, parete emisferica; dec. Crypta Balbi 3, p. 391, 133. Per. I A (att. 83). Anche questo tipo può essere attribuito, sulla base della decorazione, a produzione toscana della metà del XVI secolo. [120]
Tav. XXIV [121]
Tav. XXV [122]
178 - Orlo indistinto, parete troncoconica con netta carenatura all’esterno, piede a disco con fondo a ventosa; dec. Crypta Balbi 3, p. 382, 116N. Per. 0 (aut. 99). 179 - Simile alla precedente, ma con fondo piano; biscotto. Per. I A (att. 42). Si tratta di varianti di un gruppo di ciotole molto attestate nelle terre del giardino (Crypta Balbi 3, nn. 500-507); la loro presenza è però più massiccia nell’att. 51 (costruzione di un collettore fognario) che fornisce come termine di datazione ante quem l’ultimo terzo del XVI secolo. Meno chiaro e tuttora discusso è il momento dell’inizio della produzione; l’attestazione nell’att. 99 potrebbe risultare piuttosto significativa consentendo di spostare almeno alla prima metà del XVI secolo il momento più antico di sicura produzione a Roma (Crypta Balbi 3, p. 327). Ciotole ampie di produzione locale della seconda metà del XVI secolo, caratterizzate da orlo a listello, corpo emisferico, piede ad anello.
180 - Orlo a doppio listello, con fascia superiore piana; dec. Crypta Balbi 3, p. 376, 115. Per. VI C (att. 1). 181 - Orlo a doppio listello poco evidenziato ed inclinato all’esterno; dec. Crypta Balbi 3, p. 376, 115. Per. I A (att. 42). 182 - Orlo a listello leggermente incavato ed inclinato all’esterno; dec. Crypta B a l b i 3, p. 376, 115. Per. I C (att. 69). 183 - Simile al precedente, ma con orlo verticale; dec. Crypta Balbi 3, p. 376, 115. Per. I C (att. 51). Si tratta di ulteriori varianti dei tipi Crypta Balbi 3, nn. 509-515. Anche in questa area le attestazioni fanno propendere per una conferma della datazione agli ultimi due terzi del XVI secolo. 184 - Orlo assottigliato e arrotondato, ampio cavetto emisferico, piede a disco sagomato, fondo ventosa; dec. 46. Per. I B (att. 137). L’esemplare integra il tipo Crypta Balbi 3, n. 518, datato alla prima metà del XVI secolo. Coppe 185 - Alto piede ad anello, fondo leggermente convesso; dec.Crypta Balbi 3, p. 399, 146. Per. I C (att. 51). Il frammento è piuttosto esiguo, ma costituisce un esempio di prodotti di un certo pregio poco attestati nel nostro contesto. Forme simili sono state rinvenute nell’area del Foro della Pace e contribuiscono all’assegnazione di questi prodotti a manifatture locali del pieno XVI secolo (MAZZUCATO 1986, pp. 114-116). 186 - Sottile parete troncoconica, piede ad anello appena rilevato, fondo leggermente incavato; dec. 20B. Per. 0 (att. 99). Sulla base della decorazione, il tipo può essere attribuito alla produzione umbra della prima metà del XVI secolo. Costituisce una importante testimonianza di una produzione di pregio che troviamo attestata con significativa frequenza nei livelli di occupazione immediatamente precedenti la fondazione del Conservatorio di S. Caterina. Catini Catini di produzione locale del XVI-XVII secolo, caratterizzati da orlo a fascia, parete troncoconica, piede a disco, fondo piano. Tutti gli esemplari presentano la dec. Crypta Balbi 3, p. 355, 01. 187 - Orlo inclinato verso l’esterno, ben distinto dal cavetto. Per. I C (att. 51). 188 - Simile al precedente, pareti più sottili. Per. I A (att. 138). 189 - Orlo verticale, piede a disco piuttosto rilevato. Per. I A (att. 42). [123] 190 - Simile al precedente, ma con carenatura meno netta e listello decorato da quattro solcature orizzontali parallele. Per. I C (att. 51). 191 - Simile al precedente, ma con pareti meno verticali e di minore spessore. Per. 0 (att. 99). Si tratta di varianti dei tipi Crypta Balbi 3, nn. 530-539, le cui attestazioni nelle attività dei periodi 0 e I contribuiscono a confermare una datazione agli ultimi due terzi del XVI secolo. Boccali 192 - Parete cilindrica con restringimento alla base, versatoio ricavato da un ripiegamento della parete; dec. 9. Per. 0 (att. 99). Si tratta dell’unico esemplare rinvenuto nell’area del Conservatorio; in base alla decorazione e alla posizione stratigrafica dell’attività di provenienza si può proporre una datazione al primo terzo del XVI secolo. 193 - Orlo a listello leggermente incavato, alto collo cilindrico; dec. Crypta Balbi 3, p. 382, 118A. Per. 0 (att. 99). 194 - Piede a disco appena distinto, fondo piano; dec. Crypta Balbi 3, p. 355, 6. Per. 0 (att. 99). Si tratta di frammenti riconducibili, sulla base della decorazione e del tipo di rivestimento interno (vetrina verdastra), a produzioni toscane - o a loro imitazioni - della fine del XV- inizi del XVI secolo. Questa datazione appare confermata dalla loro presenza, ancorché sporadica, nelle attività precedenti l’insediamento del Conservatorio. 195 - Bocca trilobata, orlo arrotondato, corpo globulare, basso piede a disco appena
distinto, fondo piano; dec. Crypta Balbi 3, p. 389, 128. Per. VI C (att. 1). 196 - Corpo globulare, piede a disco sagomato; dec. 47E. Per. I A (att. 139). 197 - Piccolo corpo globulare, piede a disco, fondo leggermente incavato; dec. Crypta Balbi 3, p. 382, 118. Per. I C (att. 51). 198 - Simile al precedente, ma con piede nettamente distinto, fondo piano; dec. Crypta Balbi 3, p. 399, 146. Per. I C (att. 69). 199 - Simile al precedente, ma di dimensioni maggiori e con piede meno distinto; dec. Crypta Balbi 3, p. 382, 118. Per. I C (att. 69). Si tratta di una serie di varianti del tipo di boccale più attestato a Roma nella seconda metà del ‘500 (Crypta Balbi 3, nn. 564- 567). Particolarmente interessanti sembrano i boccaletti nn. 197-19 Orcioli e contenitori 200 - Corpo probabilmente ovoidale, piede a disco nettamente distinto, fondo piano; dec. Crypta Balbi 3, p. 355, 01. Per. I C (att. 51). 201 - Parete svasata, piede a disco; dec. Crypta Balbi 3, pp. 384-385, 119. Per. I B (att. 114). 202 - Corpo cilindrico con parte terminale troncoconica, piede a disco appena distinto, fondo piano; dec. Crypta Balbi 3, p. 411, 187. Per. IV (att. 15). L’esemplare integra i tipi Crypta Balbi 3, nn. 602 e 611, il secondo dei quali è attestato anch’esso con la dec. Crypta Balbi 3, p. 411, 187. 203 - Corpo ovoidale, orlo arrotondato; dec. Crypta Balbi 3, p. 355, 01. Per. I C (att. 69). Si tratta di una variante dei tipi Crypta Balbi 3, nn. 617-620. 204 - Microvasetto: orlo piano sporgente, corpo troncoconico, cordonatura esterna, piede a disco, fondo piano; dec. Crypta Balbi 3, p. 355, 01. Per. I A (att. 138). La forma trova confronto in materiali inediti del Museo di Montelupo Fiorentino. [124] LE DECORAZIONI Produzioni toscane, o loro imitazioni, della fine del XV-inizi del XVI secolo (fig. 44) 1. Archeggiature intersecantesi in bianco, arancio e blu. Su forma aperta di tipo non identificato. 2. Fiore a cinque petali inserito in girali stilizzati, all’esterno serie di righe concentri che in blu. Su Crypta Balbi 3, n. 411. Si tratta di un motivo ravvicinabile a Crypta Balbi 3, p. 356, 12, che trova confronti parziali in materiali di produzione toscana dei primi decenni del XVI secolo. 3. Parete di boccale con fasce verticali a graticcio alternate a serie di tre righe verticali parallele in blu. Su Crypta Balbi 3, n. 355. Si tratta di una delle numerose varianti della decorazione cosiddetta “italo moresca”, molto diffusa in area toscana nel primo ‘500 particolarmente su forme chiuse (CORA 1973, tav. 139b), ma finora non attestata nei contesti del giardino. 4. Graticcio riempito da punti limitato da coroncina ad archetti in blu, arancio e verde. Su forma chiusa non identificata. Il motivo si può confrontare con un decoro fiorentino della fine del XV-inizi XVI secolo (CORA 1973, gruppo XIV, tav. 260 B). 5. Parete di boccale con campo centrale, recante il monogramma bernardiniano in lettere gotiche, circondato da una fascia continua da cui si dipartono raggiere in blu. Su Crypta Balbi 3, n. 555. Si tratta di un motivo piuttosto vicino a Crypta Balbi 3, p. 356, 8 che trova confronti in produzioni toscane dei primi decenni del XVI secolo (CORA 1973, tav. 138 C).[127]
Tav. XXVI
[125]
Tav. XXVII
[126]
Tav. XXVIII
[127]
Produzioni umbre, o loro imitazioni, della fine del XV-inizi del XVI secolo (figg. 44-45) 6. Tesa a scomparti. A - Intreccio in giallo e blu, foglie lanceolate a file sovrapposte in azzurro e blu; all’esterno motivo a canestro in arancio e blu. Su Crypta Balbi 3, n. 408. B - Foglia lanceolata blu e marrone su fondo giallo, motivo a squame in rosso e bianco; all’esterno archetti in blu. Su forma aperta non identificata. C - Motivo a girali vegetali stilizzati, cespi di foglie e frutta, motivo a squame; colori blu, arancio, giallo e verde. Su Crypta Balbi 3, n. 335. Si tratta di un motivo decorativo tradizionale del repertorio umbro (Deruta 1980, p. 75), che spesso presenta anche decorazioni più o meno complesse all’esterno (FIOCCO-GHERARDI 1983, pp. 90-92). Un esemplare di grande piatto da pompa con decorazione 6C è conservato presso il Museo Nazionale di Castel S. Angelo a Roma (Castel S. Angelo 1979, p. 11). Questo particolare motivo dovette avere una lunga persistenza, forse anche attraverso imitazioni locali, testimoniata da un esemplare, piuttosto semplificato, con lo stemma di Pio IV Medici (1559-1565; FIOCCO-GHERARDI 1984, tav. CXXVIa). 7. Fondo con motivi geometrici. A - Delimitato da una linea blu e da un giro di archetti a punti in rosso e blu. B - Motivi geometrici triangolari in blu e giallo. C - Cartiglio epigrafico tra squame, circondato da fascia a tratteggio ed archetti in blu, azzurro e rosso. D - Simile al precedente, semplificato. E - Motivo ad intreccio in blu. Tutte le varianti del motivo 7 sono su Crypta Balbi 3, nn. 408-409. Si tratta di un gruppo di motivi che compaiono frequentemente nella produzione
umbra, associati sia a motivi di tipo 6 che a motivi di tipo 11. Si possono ben datare tra la fine del ‘400 e la prima metà del ‘500 (Deruta 1980, pp. 67, 75, 80). 8. Fondi con figure umane. A - Frammento con spalla di figura in abiti maschili e cartiglio epigrafico in blu, azzurro e ocra giallo. Su forma aperta non identificata. B - Figura in abiti femminili in blu, arancio e verde. Su forma aperta non identificata. 9. Foglia di quercia, da un lato rapace su elmo, dall’altro motivo non identificato; in blu, senape, giallo e verde. Sul tipo 192. Il motivo integra il decoro Crypta Balbi 3, p. 358, 19. 10.Tese figurate. A - Frammento di edificio (casa o torre) in blu e azzurro. B - Case turrite in blu e arancio. Entrambe le varianti sono su forma aperta non identificata. 11.Tesa a fasce concentriche in blu, rosso, arancio e bianco. A - Fasce a corda, a tratteggio, geometriche, ad archetti e ad intrecci. B - Simile alla precedente, ma senza il motivo ad intrecci. C - Simile alle precedenti, ma senza il motivo ad archetti e con diverse varianti di fasce a corda; completa il motivo Crypta Balbi 3, p. 358, 22H. D - Simile alle precedenti, ma con intrecci di tipo diverso. Tutte le varianti sono su Crypta Balbi 3, nn. 408-409. Si tratta del motivo decorativo più attestato nella produzione umbra della fine del XV secolo e dell’inizio del successivo, spesso associato con la dec. 2 (Deruta 1980, p. 67). Frammenti ceramici con questa decorazione, che viene definita “petal back”, provengono anche da contesti di scavo a Deruta (BUSTI-COCCHI 1987, p. 16, tav VI A-B). 12.Parete con motivo vegetale, bordo con fasce a corda e tratteggio in verde e blu. Su Crypta Balbi 3, nn. 452-453. 13. Motivi geometrici semplificati in blu. A - Sulla tesa rombi concentrici e due righe sull’orlo. Su forma aperta non identificata. B - Fondo con motivo a corda, circondato da due linee, sull’orlo due linee e fascia geometrica ad intreccio. Su Crypta Balbi 3, n. 442. C - Fondo con motivo a girandola circondato da fascia a corda. Su Crypta Balbi 3, nn. 408-409. 14. Motivi floreali in blu. A - Fondo a fogliami stilizzati in bianco e blu su arancio, circondato da due linee blu, sulla tesa motivo floreale stilizzato, sull’orlo tre righe blu, all’esterno motivo ad intreccio in blu. Su Crypta Balbi 3, n. 354. B - Sulla tesa motivo analogo al precedente, ma fortemente semplificato. Su forma aperta non identificata. [128]
Fig. 44 – Maiolica rinascimentale: decorazioni (1-17h) [129]
Si tratta di un motivo che trova evidenti affinità con le decorazioni “alla porcellana” di produzione romagnola e toscana, e che appare qui riproposto in una interessante variante policroma. 15.Motivo a foglie entro fascia a corda, in blu, verde e azzurro. Su fondo di scodella non identificata. Si tratta di un decoro inseribile nel gruppo Crypta Balbi 3, p. 360, 47a. 16.Parte superiore di cornice di stemma, in giallo, verde e marrone. Sul tipo 168. L’esemplare trova confronti con un motivo derutese datato al 1515 (RACKHAM 1977, tav. 76, n. 491). 17. Decorazione a “bianco su bianco”. A - Motivo a torcia o fiore molto stilizzato disposto radialmente. Su Crypta Balbi 3, n. 358. B - Motivo ad intrecci non meglio identificabile. Su Crypta Balbi 3, n. 358. C - Motivo ad intrecci floreali. Su Crypta Balbi 3, nn. 408-409. D Intreccio geometrico con archetti e losanghe. Su Crypta Balbi 3, nn. 408-409. E - Rabesche e girali. Su Crypta Balbi 3, n. 457 (si tratta di un motivo simile a Crypta Balbi 3, p. 362, 53He). F - Fasce a tratteggio poste radialmente, centro circondato da tre linee e fascia a tratteggio in blu. Su forma non identificata. G - Simile al precedente, ma con fasce concentriche a corda e tratteggio in blu. Su forma non identificata. H - Motivo con archetti e foglie stilizzate intrecciati, sull’orlo ed intorno al fondo fasce geometriche in blu (completa il motivo Crypta Balbi 3, p. 362, 53A). Sul tipo 148. I - Sulla parete motivo Crypta Balbi 3, p. 362, 54, sul fondo fiore a petali stilizzati riempiti da punti, inseriti entro circolo a corda, in blu e arancio. Sul tipo 166. L - Sulla parete motivo Crypta Balbi 3, p. 364, 54, sul fondo monogramma bernardiniano in lettere gotiche, circondato da una fascia a tratteggio. Su Crypta Balbi 3, n. 456. M - Sulla tesa motivo a girali fra due fasce policrome con motivo a corona di foglie
molto stilizzato; all’esterno motivo a festone di foglie e frutta fortemente semplificato in blu e arancio. Sul tipo 146. Questo tipo di decorazione, piuttosto ben attestato in tutta l’area del giardino, in particolare nelle fasi più antiche, presenta un gran numero di varianti attestate però sempre da pochi frammenti, che sembrano testimoniare una produzione poco standardizzata. 18.Teoria di strumenti musicali, in senape e blu. Su scodella di tipo non identificato. Il motivo può essere confrontato con un decoro di Casteldurante, datato al 1510 circa (RACKHAM 1977, figg. 529 e 717). 19. Fondi con figure in “stile compendiario”, in verde, marrone, giallo e blu. A - Figura virile inginocchiata. Sul tipo 167. B - Putto a rilievo. Su Crypta Balbi 3, nn. 457-458. Questo genere di figurazione a rilievo è abbastanza frequente in Umbria, particolarmente su ciotole emisferiche, ed è attestato anche in decorazioni a “lustro metallico” (Deruta 1980, p. 95), un tipo di smalto che trova una notevole diffusione tra le imitazioni locali (MAZZUCATO 1986, p. 111). Per quanto riguarda il nostro esemplare è da notare che il braccio sinistro del putto è dipinto in posizione diversa da quella prevista nello stampo impresso nell’impasto. 20. Decorazione a “lustro metallico dorato”. A - Fondo con motivo a foglie stilizzate circondato da una fascia di archetti. Sul tipo 154. B - Fondo con leone alato accovacciato sul pavimento reso prospetticamente, circondato da fascia a rombi e ovali, parete a scomparti con cespo di foglie lanceolate e squame. Sul tipo 186. C - Tesa con doppio motivo geometrico ad apici e fiori stilizzati, intervallati da una serie di linee a festone. Su forma non identificata. D - Simile al precedente. Su forma chiusa non identificata. E - Cespuglio a foglie lanceolate riempite da tratti e punti, in blu e lustro dorato. Su ciotola di tipo non identificato. Questo tipo di decorazione, caratteristica dell’area umbra della prima metà del ‘500, appare piuttosto ben attestata particolarmente nella primissima fase di impianto del giardino. Piuttosto raro è il decoro 20D (Deruta 1980, p. 93), che si trova molto più frequentemente su forme aperte (cfr. 20C). Per quanto riguarda il motivo[130] 20E, invece, si tratta di una variante della decorazione Crypta Balbi 3, p. 360, 41.
Fig. 45 – Maiolica rinascimentale: decorazioni (17i-26i) [131]
Produzioni romagnole, o loro imitazioni, della prima metà del XVI secolo (fig. 45) 21.Motivi vegetali e floreali in policromia su fondo azzurro, lumeggiature bianche; all’esterno serie di linee in blu su azzurro. Su forma aperta non identificata. Si tratta di un motivo piuttosto diffuso in area faentina (BOJANI 1979, tav. LXX, b), ma ancora non attestato nel giardino del Conservatorio di S.Caterina. L’arco cronologico della sua produzione non è del tutto definito, ma alcuni esemplari confrontabili con il nostro sono datati dal Cora attorno al 1530 (cfr. esemplare inedito inv. 21297/a, Museo Internazionale della Ceramica di Faenza, collezione Cora). 22. Figura virile inginocchiata con verga e corona entro paesaggio, in blu, giallo, verde e senape. Sul tipo 165. Integra il motivo Crypta Balbi 3, p. 364, 61C, di produzione faentina della prima metà del ‘500. 23.Sul bordo fascia a cerchi e losanghe, nel centro graticcio, in blu e giallo. Su Crypta Balbi 3, n. 470.
Si tratta di un motivo di produzione faentina detto “geometrizzante” datato alla prima metà del XVI secolo, che integra la decorazione Crypta Balbi 3, p. 364, 64Fg. Produzioni toscane, romagnole, o loro imitazioni, del XVI secolo con decoro cosiddetto “alla porcellana”, in blu (figg. 45-46) 24.Motivi ad intrecci geometrici. A - Sulla tesa intreccio di rombi, cerchi ed esagoni tra due fasce e serie di fiori stilizzati a tre petali; al centro emblema araldico della famiglia Strozzi. Su Crypta Balbi 3, n. 314. B - Simile al precedente, ma con motivo a nodi; all’esterno serie di linee orizzontali parallele. Sul tipo 176. C - Intreccio di rombi, circoli e graticci. Su Crypta Balbi 3, n. 415. D - Simile al precedente, con al centro motivo analogo circondato da ghirlanda fortemente stilizzata. Su Crypta Balbi 3, n. 314. Si tratta di una serie di varianti di un motivo decorativo ben attestato soprattutto in area valdarnese (GORA 1973, tav. 252b; VANNINI 1977, tav. XII; Crypta Balbi 3, p. 368, 84). 25.Sulla tesa motivo floreale “a cespo”, sull’orlo linea e fascia. Su Crypta Balbi 3, nn. 314-316. 26.Motivi con tralci floreali. A - Tralcio con grandi fiori tondeggianti, intorno al centro quattro linee e una fascia. Sul tipo 147. B - Al centro motivo floreale stilizzato circondato da una fascia con tralcio anch’esso fortemente stilizzato. Su Crypta Balbi 3, nn. 314-316. C Sulla tesa tralcio fortemente schematizzato. Su forma aperta non identificata. D - Sulla tesa doppio tralcio con grande fiore a dodici petali e foglie polilobate. Su Crypta Balbi 3, n. 415. E Simile al precedente, meno schematizzato. Su Crypta Balbi 3, n. 415. F - Simile al precedente, con foglie trilobate, al centro motivo ad intreccio di rombi e quadrati. Su Crypta Balbi 3, nn. 314-316. G - Centro con motivo paesaggistico non identificabile in blu e giallo, circondato da fascia di cerchi e crocette alternati. Su Crypta Balbi 3, nn. 314-316. H - Centro con fiore molto stilizzato. Su Crypta Balbi 3, nn. 415-419. I - Centro con intreccio di rombi e nodi, circondato da una fascia a corda. Su Crypta Balbi 3, n. 315. Si tratta di una serie di varianti di un motivo decorativo, ben attestato nel giardino (Crypta Balbi 3, p. 368, 84), che è molto frequente in area toscana, ma che trova interessanti confronti anche in area romagnola ( cfr.ad. es. VANNINI 1977, tav. XXXVII; MOORE VALERI 1985, p. 377). 27. Tese con tralci floreali. A - Tesa con tralcio a volute interrotte da gruppi di foglie, al centro uccello con sfondo a motivo vegetale stilizzato. Su Crypta Balbi 3, n. 416. B - Al centro volute disposte geometricamente che hanno origine da un tratto centrale. Su Crypta Balbi 3, n. 417. C - Centro a fiore geometrico con corolla e graticcio. Su Crypta Balbi 3, n. 417.[132] Si tratta di motivi decorativi (Crypta Balbi 3, 84) attestati sia nelle fasi precedenti la fondazione del Conservatorio che nei primi decenni di vita di questo; pertanto gli esemplari possono essere datati al secondo terzo del XVI secolo. Produzioni romagnole del XVI secolo con decoro cosiddetto “alla porcellana” in blu (figg. 4648). 28.Sul fondo doppio circolo con all’esterno cespugli stilizzati e all’interno iscrizione A[---]. Su Crypta Balbi 3, nn. 416-417. Il motivo rientra nei decori del gruppo Crypta Balbi 3, p. 670, 85, ed è databile alla prima metà del XVI secolo. 29.Sul bordo fascia a palmette. A - Nel centro elemento vegetale entro doppio circolo contornato da palmette e cespugli stilizzati, in blu e giallo. Su Crypta Balbi 3, n. 496. B - Nel centro quadrati sfalsati entro doppio circolo riempiti da motivo floreale e monticelli stilizzati. Sul tipo 173. C - Nel centro motivo a riccioli e semicircoli. Sul tipo 172. I motivi 29B e C integrano i decori Crypta Balbi 3, p. 370, 86 e 91, permettendo l’associazione tra bordi a palmette e fondi geometrici.
Fig. 46 – Maiolica rinascimentale: decorazioni (27a-32)
[133]
30.Sul bordo fascia a palmette. A - Intorno al centro tre righe e serie di fogliette stilizzate. Su Crypta Balbi 3, n. 469. B - Nel centro doppio ovale e cespugli stilizzati entro due circoli. Sul tipo 175. C - Nel centro fiore entro fascia poligonale inscritta in tre circoli, in blu e arancio. Sul tipo 174. Si tratta di motivi decorativi che, anche in questo caso, forniscono una integrazione tra decori di fondi e tese, già editi separatamente (Crypta Balbi 3, p. 370, 87A e C e 91). 31.Sul bordo tralcio stilizzato con volute a ricciolo e palmette, sul fondo quadrati sfalsati entro doppio circolo riempiti da circoli, palmette e cespuglio stilizzato. Su Crypta Balbi 3, n. 469. In questo esemplare si presentano associati i motivi decorativi Crypta Balbi 3, p. 370, 89B e 91.
Fig. 47 – Maiolica rinascimentale. Decorazioni (33a-37b)
[134]
32.Sulla tesa motivo analogo al precedente, nel centro botticella entro tre circoli con palmette e cespugli. Su Crypta Balbi 3, n. 417. L’esemplare completa il motivo decorativo centrale Crypta Balbi 3, p. 370, 91A con una tesa analoga a Crypta Balbi 3, p. 370, 89B. 33.Tesa a fascia a denti di lupo, centro geometrico. A - Nel centro fiore formato da tre volute contornato da cespugli stilizzati entro tre circoli. Su Crypta Balbi 3, n. 417. B - Sul bordo fascia simile alla precedente, ma con campiture a doppi tratti decrescenti. Su Crypta Balbi 3, n. 496. La variante A completa il motivo decorativo Crypta Balbi 3, p. 370, 90C. 34.A - Nel centro quadrati sfalsati riempiti da tratti decrescenti entro circolo. Su Crypta Balbi 3, nn. 416-417. B - Nel centro doppio quadrato riempito da motivo floreale stilizzato entro doppio circolo. Su Crypta Balbi 3, n. 416. 35.Sul bordo stretta fascia a tralcio floreale sinuoso. Su Crypta Balbi 3, nn. 413-415. 36.Tesa a tralcio fogliato. A - Tesa a tralcio fogliato sinuoso. Su Crypta Balbi 3, n. 315. B - Nel centro uccello circondato da rami di foglie. Su Crypta Balbi 3, n. 416. C - Nel centro doppia losanga contornata da cespugli stilizzati entro triplo circolo. Su Crypta Balbi 3, n. 417. 37.Motivo con centro a paesi. A - Sulla tesa due linee e fascia di archetti, al centro motivo paesaggistico con casa, circondato da due linee e fascia, in giallo e arancio. Su Crypta Balbi 3, n. 415. B - Centro con uccello reso naturalisticamente, in basso motivo vegetale. Su Crypta Balbi 3, nn. 415-419. C - Simile al precedente, molto schematizzato. Su Crypta Balbi 3, nn. 415-419. D - Centro con motivo floreale. Su Crypta Balbi 3, nn. 415-419. E - Due case entro circolo. Su Crypta Balbi 3, n. 417. Si tratta di una serie di varianti di un tipo di
decorazione ben attestato a Roma (MAZZUCATO 1969, p. 50) e che costituisce uno dei serviti più comuni nei contesti del giardino del Conservatorio (Crypta Balbi 3, pp. 373-374). Particolare interesse [135] riveste la variante coloristica 37A piuttosto poco nota e non ancora attestata in quest’area. La presenza di almeno tre esemplari diversi all’interno dello stesso contesto (att. 138-42) farebbe comunque escludere la possibilità di una produzione del tutto occasionale. Questa stessa attestazione conferma come terminus ante quem per la datazione il decennio centrale del XVI secolo (GARDINI-MILANESE 1978, p. 101). Produzioni locali del XVI secolo (figg. 48-50) 38. Sulla tesa fascia a corda ed archetti, sulla parete del cavetto fascia a corda e treccia, in blu, arancio e bianco. Su forma aperta non identificata. Questo motivo, probabilmente di origine umbra, trova una certa diffusione in area romana e sembrerebbe ascrivibile a produzioni della prima metà del XVI secolo. 39. Sulla tesa motivo a ghirlanda fortemente stilizzata, in verde e arancio. Su Crypta Balbi 3, nn. 335-336. Questo motivo, abbastanza ben attestato nell’area del giardino del Conservatorio (cfr. Crypta Balbi 3, p. 376, 114) su forme di tradizione locale, trova interessanti confronti in produzioni toscane di ceramica ingubbiata e graffita (cfr. BERTITONGIORGI 1982, fig. 10, n. 18) e di maiolica (CORA 1973, tav. 268b; Montelupo 1984, p. 70), e potrebbe probabilmente essere datato alla prima metà del XVI secolo. 40. Motivi geometrici in blu. A - Due righe e treccia. Su forma non identificata. B - Motivo a catena. Su forma non identificata. Si tratta con ogni evidenza di motivi mutuati dal repertorio decorativo dell’ultima maiolica arcaica e con ogni probabilità ascrivibili a produzioni piuttosto povere della prima metà del XVI secolo. 41. A - Nel centro fascia circolare a corda riempita da motivo floreale, in blu, azzurro e bianco. Su Crypta Balbi 3, n. 334. B - Nel centro piccoli punti e linee, in blu e azzurro. Su Crypta Balbi 3, n. 334. Questi motivi si possono associare al decoro Crypta Balbi 3, p. 376, 114. 42. Sulla tesa occhio di pavone ed archi, sul fondo foglie accartocciate, in senape, verde e blu. Sul tipo 149. Questo decoro integra i motivi Crypta Balbi 3, p. 365, 68A e pp. 376-379, 115b. Si tratta di una produzione romana databile alla prima metà del XVI secolo. 43. Motivo a “monticelli”. A - Fondo con figura femminile e cartiglio epigrafico (PRUDENTIA B.). Su Crypta Balbi 3, n. 341. B - Fondo con emblema araldico, probabilmente della famiglia Cybo. Su Crypta Balbi 3, nn. 344-351. C - Simile al precedente, ma con stemma D’Aragona duca di Calabria. Su Crypta Balbi 3, nn. 344-351. D - Fondo con grande fiore a otto/dieci petali in blu, verde e arancio. Su Crypta Balbi 3, nn. 344-351. E - Fondo con rombi concentrici racchiusi in circoli, in blu, verde e arancio. Su Crypta Balbi 3, nn. 341-343. F - Nel centro bande in cui compaiono le lettere [---ITO[---I, in blu e giallo. Su piatto non identificato. G - Nel centro cespuglio stilizzato entro circolo, in blu e arancio. Su Crypta Balbi 3, nn. 341-344. H - Nel centro graticcio riempito da punti entro circolo, in blu e arancio. Su Crypta Balbi 3, n. 348. I - Nel centro piccola croce circondata da monticelli sfalsati entro circolo, in blu, verde e senape. Su Crypta Balbi 3, n. 348. L - Simile al precedente con punti di riempitivo, in blu, senape e verde. Sul tipo 152. M - Nel centro fiore quadrilobato stilizzato, con monticelli di riempitivo entro circolo, in blu, verde e arancio. Su Crypta Balbi 3, n. 348. N - Nel centro monticelli, riccioli e volute disposti senza ordine entro circolo, in blu. Sul tipo 151. 0 - Nel centro foglie a cartoccio, in blu, marrone, senape e arancio. Sul tipo 153. Tutti i motivi descritti sono realizzati su piatti di tradizione locale molto attestati a Roma (Crypta Balbi 3, p. 376, 115); questa produzione è presente in un arco di tempo piuttosto vasto che comprende gran parte del XVI e l’inizio del XVII secolo (Crypta Balbi 3, p. 379); la presenza di questi materiali nelle terre di attività relative al periodo 0 fa ritenere che si tratti di oggetti in uso anche prima della fondazione
[136] del Conservatorio. Per gli stemmi cfr. MAZZUCATO 1977b, p. 68, fig. 21e, tav. 20, n. 48. 44. Tesa monocroma bianca, nel cavetto motivo a raggiera non meglio identificabile e lettera S, forse parte di un monogramma bernardiniano. Su Crypta Balbi 3, n. 345. La presenza di questo motivo in un unico esemplare, su un tipo di piatto normalmente decorato con motivi analoghi alla dec. 43, fa pensare che possa trattarsi di un prodotto particolare, non molto diffuso. 45. Sulla tesa motivo a tralcio in blu su sfondo a fasce blu, arancio e verde, sul fondo motivo floreale molto stilizzato in blu. Su Crypta Balbi 3, nn. 415-419. Questo motivo costituisce un unicum nei contesti dell’area della Crypta Balbi. La forma su cui compare è quella tipica delle produzioni toscane del XVI secolo, ma la decorazione, la scarsa qualità degli smalti e gli evidenti difetti di cottura fanno propendere per l’assegnazione a produzioni locali. La datazione al XVI-inizio del XVII secolo è da ritenersi puramente indicativa ed ipotizzata sulla base della forma (l’esemplare, infatti, proviene dai contesti moderni del periodo VI). 46.Sul fondo monogramma bernardiniano sovrastante una lettera C, circondati da due linee; sul bordo due linee concentriche, in blu. Sul tipo 184. Il motivo integra il decoro Crypta Balbi 3, p. 385, 125B. 47.Motivo con medaglione centrale circondato da fascia a tratteggio in blu ; tutte le varianti compaiono su Crypta Balbi 3, nn. 558-570. A - Emblema araldico: in alto mezzaluna marrone in campo blu sormontata da alcune stelle (famiglia Callicola?; cfr. MAZZUCATO 1977b, tav. 22, n. 58). B - Emblema araldico non identificato: fasce orizzontali parallele e graticcio di linee perpendicolari, in blu e verde. C - Emblema araldico non identificato: al centro linea ondulata blu in campo bianco, al di sopra fascia a monticelli alternati e al di sotto fascia a bande parallele inclinate verso destra. D - Motivo floreale molto stilizzato, fiore a quattro petali e monticelli, in arancio, verde e blu (attestato in numerose piccole varianti). E - Fiore quadrilobato, stilizzato con monticelli e zig zag, in verde, blu e arancio. Sul tipo 196. F - Fiore stilizzato a quattro petali con monticelli, zig zag e punti, in blu, verde e giallo. Su Crypta Balbi 3, n. 564. G - Graticcio riempito da punti, in blu e arancio. Su boccale di tipo non identificato. Si tratta di varianti del motivo decorativo più attestato nelle fasi iniziali di vita del giardino (Crypta Balbi 3, p. 334-336, 118) e può essere con buona sicurezza datato agli anni centrali del XVI secolo, anche in considerazione del fatto che gran parte degli esemplari qui presentati provengono dalle att. 42, 138 e 139. 48.Motivo analogo al precedente, ma con fascia in marrone. A - Nel campo centrale bande parallele inclinate verso destra, in blu, all’esterno motivo policromo ad “occhio di pavone”. Su Crypta Balbi 3, nn. 558-570. B - Graticcio, in verde, arancio e blu. Su Crypta Balbi 3, n. 561. C - Stemma Colonna stilizzato, in giallo, arancio, blu e verde. Su boccale di tipo non identificato. Questi motivi appartengono al raggruppamento Crypta Balbi 3, p. 384, 119B. Sono diffusi nella seconda metà del XVI secolo, ma compaiono già, seppure sporadicamente, nelle fasi precedenti alla costruzione del Conservatorio. 49.Su tutto il corpo motivo floreale in blu, marrone e giallo. Su Crypta Balbi 3, nn. 558-570. Si tratta di una variante assai poco attestata dei decori Crypta Balbi 3, p. 384, 119B e BC, che può essere ascritta alla produzione locale del XVI-XVII secolo solo sulla base della forma su cui compare. 50. Parete di albarello con fasce a motivi geometrici e vegetali molto stilizzati, in blu, arancio e verde. Su Crypta Balbi 3, n. 605.
Fig. 48 – Maiolica rinascimentale: decorazioni (37c-43a)
[139]
Fig. 49 – Maiolica rinascimentale (43b-44)
[139]
Fig. 50 - Maiolica rinascimentale: decorazioni (45-50) [140] Produzioni toscane, o loro imitazioni, del XVI secolo (fig. 51) 51. Decorazione cosiddetta “blu graffito” (cfr. Crypta Balbi 3, n. 133). A - Motivo a spirale tra due serie di righe concentriche, al centro della tesa fascia gialla con punti [137] rossi. Su Crypta Balbi 3, n . 411. B - Motivo a tralcio stilizzato tra righe gialle e blu, sul fondo raggiera in giallo e blu. Sul tipo 156. C - Simile al precedente, ma con motivo a doppio tralcio intrecciato, sul fondo motivo ad intreccio in blu. Su Crypta Balbi 3, n. 411. D - Motivo a rombi e circoli alternati tra due serie di righe concentriche. Su Crypta Balbi 3, n. 411. E Motivi vegetali e circolari alternati. Su Crypta Balbi 3, n. 415. F - Serie di fiori fortemente stilizzati. Su Crypta Balbi 3, n. 415. G - Tralcio più disteso e fortemente stilizzato,
policromia nelle fasce concentriche. Su Crypta Balbi 3, n. 315. Si tratta di un motivo decorativo molto noto nell’area valdarnese (VANNINI 1977, tav. XXIII; Montelupo 1984, pp. 65 e 69) ed attestato particolarmente nelle attività 138 e 42, su tipi, in particolare il n. 156, che possono essere datati alla metà del XVI secolo. 52. Sulla tesa baccellature radiali dipinte, al centro motivo floreale policromo. Su Crypta Balbi 3, n. 314. 53. Al centro busto di donna ritratta di profilo, sullo sfondo tendaggi, policromia su fondo blu. Su Crypta Balbi 3, n. 316. Sembra trattarsi di un esemplare di piatto figurato, databile, sulla base della forma, alla seconda metà del XVI secolo. 54. Sulla tesa motivo a doppio nastro spezzato con piccoli rombi negli interspazi, sul fondo quadrati sfalsati riempiti da scacchiera entro linee circolari, in verde, giallo, blu e senape. Sul tipo 138. Si tratta di una variante del motivo Crypta Balbi 3, pp. 391-394, 135; nel nostro caso si tratta di una derivazione da repertori toscani del XV secolo (CORA 1973, tav. 267a). 55. Sulla tesa scomparti con motivi a raggiera, separati da fasce con serie di punti disposti radialmente, intorno al fondo serie di linee concentriche. Si tratta con ogni probabilità di una variante poco attestata, almeno in questo contesto, del motivo a girandole e monticelli (Crypta Balbi 3, p. 394, 138), che riprende tipologie decorative più antiche note in area toscana (cfr. CORA 1973, tav. ). 56. A - Sulla tesa serie di motivi a girandola posti radialmente, intervallati da monticelli, in rosso, ocra e marrone su fondo bianco. Su Crypta Balbi 3, n. 313. B - Sulla tesa girandole e monticelli, nel centro circolo monocromo a tratti incisi disposti a vortice, in blu e arancio. Sul tipo 158. Si tratta di varianti del motivo Crypta Balbi 3, p. 394, 138, molto diffuso a Roma negli ultimi due terzi del XVI secolo e ampiamente attestato nel giardino del Conservatorio di S. Caterina. Per quanto riguarda la variante A la sua presenza in un unico esemplare, in un contesto databile alla metà del XVI secolo (att. 138-42), lascia supporre che possa trattarsi di una fase iniziale di elaborazione di una tipologia decorativa che troverà il suo compiuto sviluppo solo nella seconda metà del secolo. 57. Sulla tesa fascia a tamburi alternati a grandi fiori, nel centro tamburo, in blu, verde e arancio. Su Crypta Balbi 3, n. 417. Questo motivo deriva dal repertorio valdarnese già documentato in Crypta Balbi 3, p. 394, 137. 58. Sulla tesa intrecci di archeggiature e motivi floreali stilizzati in blu su bianco. Sul tipo 157. Si tratta, con ogni probabilità di una variante del motivo Crypta Balbi 3, pp. 394395, 139, molto attestato nel giardino, nei livelli riferibili alla seconda metà del XVI-inizi del XVII secolo. 59. Sul fondo parte superiore di uno stemma, in blu. Su scodella di tipo non identificato. Produzioni locali del XVII secolo (fig. 51) 60. Sulla tesa motivo a tralcio vegetale molto stilizzato, sul fondo motivo floreale, nel cavetto fascia di punti, in blu su fondo bianco. Su Crypta Balbi 3, n. 422. Si tratta di un motivo decorativo ancora non attestato nel giardino, ma che potrebbe [141] appartenere al gruppo Crypta Balbi 3, p. 411, 189-190, databile alla prima metà del XVII secolo. 61. Sulla tesa due fasce concentriche con segmenti circolari e segmenti inclinati, separate da una fascia blu, in blu e rosso. Su Crypta Balbi 3, n . 426. 62. Motivo simile al precedente, ma con un’unica fascia di segmenti angolari orientati alternativamente, in verde e marrone. Su Crypta Balbi 3, n. 426. 63. Simile alla precedente, ma con linea ondulata che separa i segmenti angolari, in blu su fondo bianco. Su Crypta Balbi 3, n . 426. Si tratta di un gruppo di motivi ricollegabili a Crypta Balbi 3, pp. 411-412, 195-202, che possono essere datati alla metà del XVII secolo e che potevano costituire tentativi di imitazione di materiali più pregiati di importazione (Crypta Balbi 3, p. 412). [LT-EZ]
Fig. 51 - Maiolica rinascimentale: decorazioni (51°-63))
[142]
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE Dal punto di vista dello studio tipologico dei materiali l’esame dei frammenti di maiolica rinascimentale provenienti dal settore nord del giardino del Conservatorio di S. Caterina conferma sostanzialmente la validità sia del repertorio tipologico che delle cronologie proposte nello studio della parte più ampia del giardino stesso (Crypta Balbi 3, pp. 303-424). Le novità e le integrazioni presentate nel catalogo sono legate per lo più a varianti, sia nelle forme che nelle decorazioni, di tipologie ampiamente attestate nel settore centrale e meridionale dell’area. Le novità più interessanti riguardano soprattutto il repertorio delle decorazioni che, particolarmente per alcune aree produttive (Valdarno superiore ed Umbria), si arricchisce di
alcuni esemplari significativi. Si ampliano infatti le attestazioni in ambito romano di alcuni decori - il “blu graffito”, il “bianco su bianco”, il “lustro metallico dorato” (nn. 51, 17 e 20) - che, rappresentando per certi versi una produzione di livello qualitativo piuttosto elevato e di un certo pregio commerciale, si trovano presenti in maniera solo sporadica nel nostro contesto. Per quanto attiene al repertorio tipologico delle forme sembra opportuno segnalare: la coppa n. 186 di produzione umbra, un tipo piuttosto diffuso e conosciuto ma ancora non comparso nell’area del giardino; le ciotole nn. 164 e 177, presenti però con un solo esemplare ciascuna e con frammenti assai piccoli, ma che testimoniano comunque la presenza di materiali anche fortemente diversificati; la scodella n. 154, che sembra poter essere assegnata alla produzione valdarnese della metà del XVI secolo, agli inizi, cioè, della grande fase di trasformazione produttiva e di espansione commerciale che le fornaci dell’area fiorentina attraversarono dal secondo terzo del ‘ 500 fino alla prima metà del ‘ 600. Tra le produzioni di area fiorentina va inoltre segnalato il versatoio n. 192 che costituisce un esemplare assai raro di una tipologia poco diffusa e non ancora ben definita. L’analisi quantitativa delle varie produzioni negli strati in cui la maiolica risulta in fase (per. 0 e I) offre qualche spunto interessante per confermare, e in qualche misura approfondire, l’analisi sulla produzione ed il commercio della maiolica a Roma nel XVI secolo che già era stata avviata nello studio della parte meridionale del giardino. Anche in quest’area gli strati non rimaneggiati sono scarsi ed i continui rivolgimenti del terreno nel corso degli anni hanno provocato alcuni inquinamenti. [143] Ciò nonostante appare possibile tracciare, almeno a grandi linee, un quadro dell’uso della maiolica in ambito romano. Mentre per quanto riguarda le forme le percentuali di attestazione nei periodi 0 e I sono sostanzialmente omogenee a quelle riscontrate nel settore centrale e meridionale del giardino, alla cui edizione si rimanda (Crypta Balbi 3, pp. 350354), per quanto attiene alle decorazioni e alle relative aree di produzione, si è ritenuto opportuno riassumere i dati in una serie di istogrammi sintetici. Particolarmente interessante appare il raffronto fra le percentuali di presenza nel periodo 0 e nel periodo I delle varie produzioni (nell’istogramma relativo al periodo I non sono stati inseriti i dati delle attività 138-42 e 51 che presentano caratteristiche molto particolari, che saranno discusse in seguito e che avrebbero falsato i dati complessivi). Nell’istogramma relativo al periodo 0 (cfr. istogramma 1) appare un quadro di presenza delle varie produzioni che rispecchia sostanzialmente la situazione verificata nell’area centrale e meridionale del giardino, nella fase immediatamente precedente la costruzione del Conservatorio. Le produzioni toscane della fine del XV-inizi del XVI secolo appaiono ben attestate, così come le coeve produzioni umbre; ben attestate sono anche le produzioni cosiddette “alla porcellana”, di area faentina e/o toscana, mentre non molto rappresentate (almeno rispetto alle evoluzioni successive) appaiono le produzioni di area valdarnese. Le produzioni locali rappresentano la schiacciante maggioranza, sia in frammenti che in peso, mentre le altre aree produttive (Romagna, Liguria, ecc.) compaiono in maniera del tutto episodica. Nel periodo I (cfr. istogramma 2), invece, la situazione sembra cambiare radicalmente: le produzioni toscane più antiche diventano sporadiche, quelle umbre diminuiscono notevolmente la loro frequenza, mantengono sostanzialmente lo stesso livello le produzioni “alla porcellana”, mentre calano piuttosto sensibilmente le produzioni locali più economiche e inizia la diffusione più sostenuta delle produzioni locali più fini (ad esempio il cosiddetto “Compendiario”) che triplicano quasi la loro presenza. Tra le produzioni meno rappresentate fa la sua comparsa, ancorché ovviamente episodica, anche il materiale di provenienza marchigiana. Ma il dato certamente più rilevante è quello del notevole aumento della presenza in percentuale di materiali di produzione montelupina, che iniziano quella fase di espansione che li porterà ad essere i materiali di gran lunga più rappresentati nelle fasi successive della vita del Conservatorio. Le ragioni di questo profondo mutamento nel panorama sono ovviamente molteplici e si collegano da un lato all’evoluzione particolare dell’area in esame, dall’altro a problemi più generali di evoluzione della produzione e della commercializzazione della maiolica nell’area romana. La maggiore eterogeneità nelle attestazioni che riscontriamo nel periodo 0 può essere spiegata con il cambiamento d’uso intervenuto nell’area con la costruzione del Conservatorio. È infatti molto
probabile che i terreni su cui venne impiantato il giardino fossero utilizzati dai precedenti proprietari anche come luoghi di discarica dei rifiuti domestici, rifiuti che presentavano appunto una eterogeneità forzatamente maggiore di quella riscontrabile negli scarti di una comunità socialmente ed economicamente molto più omogenea come quella che faceva capo al nuovo Conservatorio. Questo passaggio risulterà ancora più evidente negli anni successivi (quelli riferibili al secondo periodo di vita del Conservatorio) in cui i materiali diverranno ancora più omogenei (Crypta Balbi 3, pp. 420-421, tabella VI) [144] Da un punto di vista più generale il profondo mutamento che vede il rovesciamento dei rapporti tra le produzioni umbre e quelle valdarnesi nel passaggio tra il periodo 0 e il periodo I può essere spiegato con le novità profonde che si erano nel frattempo create nella produzione e nel commercio dei materiali ceramici a Roma. Il forte incremento di popolazione che tutti i quartieri di Roma, non esclusi appunto Pigna e S. Angelo, stavano subendo in quest’epoca, assieme ad un miglioramento netto nel tenore di vita (DELUMEAU 1979, pp. 65-87), dovette creare una notevole espansione nel mercato delle ceramiche da mensa decorate. Ad esempio la richiesta di materiali umbri doveva essere in forte aumento se l’Università de’ Vascellari di Roma (la corporazione che organizzava i produttori ed i mercanti di ceramiche), nella sua riunione del 22/6/1544 per il rinnovo degli statuti, reclamava l’imposizione di nuove gabelle e di un maggior controllo sulle importazioni di merci derutesi. In questa presa di posizione si può leggere certamente una richiesta di politica “protezionistica” (RAGONA 1982, pp. 90-95) ma anche la volontà di controllare più direttamente un mercato che stava diventando molto fiorente. [145] Per i fornaciari romani, che si caratterizzano per essere oltre che produttori anche commercianti di prodotti propri e di importazione, la preoccupazione maggiore riguardo la produzione umbra è sì quella di un preciso ed attento controllo doganale, ma anche quella di un’equa ripartizione tra tutti i membri dell’associazione della maiolica umbra in arrivo a Roma. Negli Statuti del 1549 si legge infatti: «Item hano statuito et ordinato-che tucti li lavori de vassellame che se portara de deruta de peroscia se debia presentare alli Signori consoli et accio ogni home de larte ne resti contento et participe li Signori consoli possano decti lavori distribuire et darne una cesta per maestro pagandola alhora et non la pagando la possano distribuire alli altri ... ;» (ASR, Statuti, f. 9). Questo elemento evidenzia dunque come i manufatti di produzione umbra fossero fortemente richiesti sul mercato, tanto che alcuni commercianti cercavano di rifornirsi anche al di fuori dei canali ufficiali: «Item hano statuito che nesuno possa comprare decti lavori de deruta in lo loco de deruta o vero per strada et li comprara in decti loci li debia presentare alli Signori consoli ...» (ASR, Statuti, f. 9). In tale situazione quindi, di fronte a questa nuova richiesta quantitativamente e qualitativamente maggiore di ceramica fine, nasce per i vasai romani e per quelli dell’area toscana la necessità della produzione e della commercializzazione di materiali sufficientemente economici, ma di qualità tale da reggere la concorrenza umbra. Questa evoluzione nella produzione locale è piuttosto evidente anche nei nostri contesti, particolarmente con il notevole incremento delle produzioni locali in stile cosiddetto “Compendiario”. Una analisi più ravvicinata dell’evoluzione della produzione locale (cfr. istogramma 3) permette di aggiungere qualche ulteriore elemento. Nel passaggio tra il periodo 0 e il periodo I assistiamo ad un calo nella presenza in percentuale dei grossi piatti tipo Crypta Balbi 3, nn. 333-340 con decorazione Crypta Balbi 3, pp. 376-379, 115, mentre per contro rileviamo un notevole aumento delle ciotole carenate tipo Crypta Balbi 3, nn. 502-507 con decorazione Crypta Balbi 3, pp. 379-382, 116 (sullo sviluppo di questo tipo ceramico ci soffermeremo meglio in seguito); ai boccali con decorazione Crypta Balbi 3, 118 (di tradizione faentino/valdarnese) si affiancano quelli con decorazione Crypta Balbi 3, pp. 384-385, 119, che nella fase successiva rappresenteranno l’elemento distintivo delle mense del Conservatorio (Crypta Balbi 3, pp. 384-385). Per quanto riguarda le produzioni montelupine e/o faentine cosiddette “alla porcellana” assistiamo ad una tenuta di questo genere di decoro mentre appare notevole l’incremento del decoro Crypta Balbi 3, 104 (cosiddetto “a paesi”), di cui si registrano alcuni significativi prototipi proprio nelle attività 138-42, e che costituirà anche esso una costante nel periodo successivo.
Nell’ambito della stessa produzione montelupina, che nel complesso, come abbiamo visto, registra un notevole incremento, particolarmente sensibili sono gli aumenti nelle percentuali di presenza delle decorazioni Crypta Balbi 3, pp. 394-395, 137, 139 e 140. Un caso a parte deve essere considerato quello della decorazione Crypta Balbi 3, p. 394, 138 che, quasi assente nel periodo 0, nel periodo I e all’inizio del successivo (cfr. Crypta Balbi 3, p. 421, tabella VI) diventerà il decoro dominante nei serviti del Conservatorio. A questo notevole rinnovamento degli stessi repertori decorativi montelupini potrebbe anche non essere estranea la necessità di adeguarsi meglio, anche dal punto di vista coloristico (passando da decori legati alle tonalità del blu a decori policromi), alle richieste di un pubblico che probabilmente mostrava di gradire materiali di notevole ricchezza coloristica come quelli di tradizione umbra. L’ipotesi che il decennio centrale del XVI secolo possa effettivamente rappresentare un momento di svolta nel panorama del commercio delle maioliche da mensa a Roma viene confermata, almeno in quest’area, dall’analisi dei reperti delle attività 138-42. I materiali relativi a questo contesto provengono dal riempimento di una fossa che può essere datato con sufficiente certezza dal punto di vista stratigrafico alla primissima fase dei lavori per la fondazione del Conservatorio [147] e quindi negli anni attorno al 1550 (Crypta Balbi 3, p. 25). Il riempimento si presenta fortemente omogeneo, tanto da far escludere la possibilità di inquinamenti successivi alla deposizione originaria. La presenza di molti frammenti contigui di diversi esemplari (particolarmente per i boccali è stato possibile ricostruire integralmente diverse unità), un indice di frammentarietà piuttosto basso e, per contro, la presenza di frammenti sporadici appartenenti a molti esemplari diversi e la grande quantità di terra che costituiva il riempimento, permettono di ipotizzare che possa trattarsi di materiale proveniente da una zona di discarica di rifiuti, posti nel contesto in questione solamente in seconda giacitura. A confermare questa ipotesi concorrono alcune considerazioni che possono essere desunte dall’analisi della presenza percentuale delle varie forme (cfr. istogramma 4). [148] La presenza di piatti in numero maggiore che non le scodelle, che rovescia il dato individuato nel settore centro-meridionale del giardino, in cui si contavano quattro/cinque scodelle per un piatto (Crypta Balbi 3, p. 419), la mancanza di esemplari attribuibili allo stesso servito, la mancanza di segni di riconoscimento graffiti sul fondo (Crypta Balbi 3, p. 437), confermano che questo materiale proviene da una discarica di una o più case private dei dintorni. Da notare a margine è anche la forte presenza percentuale di boccali, che può essere efficacemente spiegata con il processo di continuo ricambio cui questi elementi dell’arredo domestico erano sottoposti a causa della loro fragilità e dell’impossibilità di riuso o uso alternativo dopo una rottura. [149] L’analisi delle decorazioni, raggruppate per grosse aree di produzione (cfr. istogramma 5), conferma, come dicevamo, le considerazioni già esposte esaminando il passaggio dal periodo 0 al periodo I nel resto dell’area. I dati di questo contesto si collocano infatti in posizione intermedia fra quelli che abbiamo già esaminato (vale forse la pena di ricordare che le attività 138-42 sono le più antiche del periodo I, ed individuano proprio i decenni centrali del XVI come momento di svolta nella diffusione della maiolica almeno in quest’area). Un secondo contesto particolarmente interessante per la storia di alcune tipologie di maiolica da mensa è quello relativo alla att. 51 (costruzione di un grande collettore fognario) in cui una grande quantità di frammenti ceramici (essenzialmente maiolica rinascimentale e ceramica acroma) viene inglobata nel conglomerato cementizio che costituisce la copertura, ed in parte le spallette, del grande collettore (cfr. supra, pp. 43-44) [150] del grande collettore (cfr. supra, pp. 43-44). Appare evidente che la grande quantità di ceramica non possa essere stata occasionalmente inglobata nel cementizio assieme alle terre necessarie all’impasto, ma debba essere il risultato di una selezione in funzione di una esigenza costruttiva. Dall’istogramma 6 appaiono alcune evidenze interessanti: in primo luogo appare chiaramente rovesciato il consueto rapporto, verificabile nei contemporanei livelli di vita del giardino, tra i manufatti di produzione locale e quelli riferibili alla produzione montelupina o a sue imitazioni (particolarmente evidente è il rapporto di 9:1 considerando il peso dei frammenti). Tra il materiale di produzione locale troviamo una grandissima quantità di ciotole carenate (essenzialmente [151] mente i tipi Crypta Balbi 3, nn. 504-507), che presentano tra l’altro un indice di frammentarietà molto basso, e di ciotole ampie (Crypta Balbi 3, nn. 509-516) che sono presenti in quantità decisamente
superiore alla media. Per contro il materiale di produzione montelupina presenta, sia per i piatti che per le scodelle, un indice di frammentarietà notevolmente superiore alla media, elemento questo che contribuisce ulteriormente a far considerare la presenza di questo materiale come del tutto occasionale, frutto di utilizzi sporadici di materiali a disposizione. L’impressione che si ricava da questi dati è dunque, come si diceva, quella di un uso alternativo e volontario di prodotti ceramici locali (con ogni probabilità scarti di fornace) impiegati come materiali da costruzione. La scelta di un particolare tipo ceramico, le ciotole carenate, con caratteristiche peculiari in quanto a spessore di pareti (da questo punto di vista assimilabili ai grandi contenitori in ceramica acroma, peraltro molto presenti in questo contesto) che garantiscono una notevole solidità, una sufficiente leggerezza ed una buona resistenza all’umidità, sembra essere legata alle particolari esigenze costruttive di un collettore per acque scure, in cui non erano previste tubature per separare i liquami dalle pareti e dal tetto della struttura. Si tratterebbe dunque, anche se l’ipotesi andrà meglio verificata, di un modo per sostituire efficacemente una parte di quei «mattoni et tegolozza» che esplicitamente venivano Istogramma 5 - Dati percentuali relativi all’attestazione delle diverse forme nelle attività 138-42, ripartite per aree di produzione[150]
indicati nei contratti per la realizzazione delle condotte delle acque chiare costruite nella zona alla fine del ‘500, in relazione al nuovo acquedotto dell’Acqua Vergine (PECCHIAI 1944, pp. 98102). Che del resto il cotto di qualità pregiata (non solo ceramica da mensa e da dispensa, ma anche mattoni antichi) fosse materiale assai utilizzato per questo tipo di realizzazioni è provato anche dal riuso di grandi bipedali di epoca romana e gota come pavimentazione dello stesso collettore (cfr. supra, pp. 43-44). Se rimane dunque difficile precisare meglio le cronologie assolute dei tipi maggiormente rappresentati (possediamo solo il terminus ante quem, rappresentato dalla costruzione del collettore: circa 1580, ma gli scarichi di fornace cui si era attinto potevano essere più antichi) è però possibile ipotizzare qualcosa in merito alle botteghe di provenienza del materiale stesso. E infatti credibile che a fornire questo tipo di materiali (scarti di fornace in qualche misura selezionati in base al possibile riuso) potessero essere le stesse fornaci che producevano le condotte di terracotta di cui proprio tra la fine del ‘500 e l’inizio del ‘600 si inizia a fare grande uso, anche e soprattutto in relazione alla grande ristrutturazione della rete di approvvigionamento idrico della città (PECCHIAI 1944, pp. 98-102). Da questo punto di vista le fornaci romane sarebbero orientate verso una produzione fortemente eterogenea che andava dalle condutture, ai grandi contenitori da dispensa e alla suppellettile da giardino, fino ad arrivare agli stessi prodotti da mensa. Questa ipotesi sembrerebbe confermata, anche se i dati sono ancora troppo parziali e limitati, da alcuni ritrovamenti di scarichi di fornace: uno di modesta entità rinvenuto nell’ambito della stessa area della Crypta Balbi, in una cantina degli stabili prospicienti via delle Botteghe Oscure (saggio VI, amb. 514, in corso di studio), l’altro rinvenuto durante gli scavi condotti in alcuni edifici presso il Foro della Pace (MAZZUCATO 1986). In ambedue i casi si sono avuti ritrovamenti di materiali fortemente eterogenei che vanno dalla ceramica da dispensa, a quella da mensa, fino ad elementi plastici decorativi. [152] In questo senso, se tale ipotesi dovesse trovare ulteriori conferme, le fornaci romane proseguirebbero dunque quella tradizione che abbiamo già sottolineato, volta al soddisfacimento di richieste di un mercato sempre piuttosto articolato, marcando in questo una netta differenziazione dalla tradizione montelupina che sembra andare, almeno sulla base dei dati finora disponibili, verso una produzione fortemente standardizzata e nettamente orientata alla esportazione. [EZ] Produzioni valdarnesi e produzioni locali in due contesti del XVI secolo
Abbiamo potuto osservare come il primo periodo di vita del Conservatorio di S. Caterina coincida con una fase di sostanziale mutamento nella commercializzazione e nell’uso della maiolica a Roma. La progressiva introduzione ed affermazione delle ceramiche prodotte nell’area valdarnese e romagnola (o delle loro imitazioni locali) appare piuttosto evidente nell’analizzare due contesti particolari individuati nell’area sud-ovest del giardino: il riempimento di una fossa (att. 139) e l’obliterazione di un pozzo (att. 114). Sulla base dell’evidenza stratigrafica, il contesto della att. 139 può essere datato alla metà del XVI secolo, mentre quello della att. 114 si colloca nella seconda metà del secolo e comunque prima del rinnovamento della rete fognaria con la costruzione del collettore att. 51 (1580 circa). Il contesto della attività 139 appare caratterizzato da una presenza in quantità equivalente di materiale di produzione locale (Crypta Balbi 3, pp. 376-385, nn. 114-119) e di produzione valdarnese e romagnola (Crypta Balbi 3, pp. 368370, nn. 84-91 e pp. 372-374, nn. 101-105) mentre le produzioni più fini, quella derutese (Crypta Balbi 3, pp. 362-364, nn. 53-54) in particolare, compaiono solo con pochi frammenti. Nel contesto della att. 1 14 i rapporti quantitativi appaiono significativamente alterati: la presenza di materiali di produzione locale diminuisce sensibilmente, mentre aumenta la percentuale di materiali legati all’ambito produttivo valdarnese e romagnolo; le produzioni più raffinate risultano in questa fase assai poco attestate. Al progressivo affermarsi delle produzioni toscane ed emiliane (e delle loro imitazioni locali) sembra corrispondere anche un mutamento nella attestazione dei vari tipi ceramici. Nel contesto della att. 139 prevalgono le scodelle (tipo Crypta Balbi 3, nn. 416-419) e le ciotole emisferiche (tipo Crypta Balbi 3, nn. 469-479), per quanto riguarda la produzione montelupina e romagnola, mentre il materiale locale è rappresentato essenzialmente da piatti con piede ad anello (tipo Crypta Balbi 3, nn. 333-337) e ciotole carenate (tipo Crypta Balbi 3, nn. 506-507), cioè dai tipi più frequentemente attestati in tutta l’area del giardino. Per quanto riguarda l’att. 114, invece, tra i materiali di ambito toscano e romagnolo prevalgono assai nettamente le scodelle, mentre tra le produzioni locali fanno la loro comparsa in maniera massiccia i boccali. Il netto prevalere di queste forme può probabilmente essere messo in relazione con l’inizio della attività del Conservatorio e quindi con la creazione dei primi servizi individuali per le monache e le zitelle. In questa prima fase comunque le ospiti del monastero dovevano essere ancora [153] in numero limitato come proverebbe la mancanza di graffiti per l’identificazione del vasellame, che divengono invece usuali nelle successive fasi di vita del Conservatorio. Come si diceva i materiali provenienti dalle att. 139 e 114 non presentano particolari divergenze rispetto ai reperti delle fasi coeve pubblicati in Crypta Balbi 3. In queste prime fasi di vita del Conservatorio sembra abbastanza evidente l’assenza di veri e propri servizi di pertinenza della Confraternita: come sappiamo anche dai dati d’archivio, infatti, le zitelle, al momento dell’ingresso nel Conservatorio, dovevano essere dotate di un corredo che comprendeva anche le stoviglie (Costituzioni 1785, p. 38; Crypta Balbi 2, p. 171). A riprova di ciò nei due contesti esaminati, sono stati rinvenuti alcuni boccali - diversi tra loro - con decori centrali (dec. 43C e 47G, 43M e 47E) uguali a quelli riscontrati su piatti con piede ad anello provenienti dalle stesse stratificazioni. Desidero ringraziare Marco Ricci per i preziosi consigli forniti e Carla Camporella per l’aiuto prestato. [LT][154]
Ceramica marmorizzata a macchie Ciotole 205 – Orlo appuntito, cavetto emisferico, piede ad anello, fondo piano; smalto nero a chiazze bianche (fig. 51, 1). Per. I A (att. 139). 206 – Simile alla precedente, ma con diverse proporzioni; smalto nero a chiazze gialle. Per I A (att. 139). 207 – Piede ad anello, fondo a ventosa; smalto nero a chiazze gialle. Per. I A (att. 139). Si tratta probabilmente del fondo dell'esemplare precedente. Brocche 208 – Corpo emisferico, piccolo piede a disco sagomato; smalto nero a chiazze chiare (fig. 51, 2). Per. I B (att. 137).
Tav. XXIX
[155]
Questa classe di materiali si distingue per essere realizzata con un tipo di impasto chiaro simile a quello della maiolica e per essere rivestita da uno smalto nero più o meno diluito su cui compaiono chiazze bianche e, in alcuni casi, sbavature di colore giallo. Si tratta di una produzione rinvenuta nell'area della Crypta Balbi anche nei contesti della chiesa bassomedievale di S. Maria Domine Rose (saggio XII) in un riempimento datato alla fine del XVI secolo. Anche in questo contesto le forme documentate sono brocche e ciotole; si potrebbe pertanto ipotizzare che si tratti di servizi lavamani composti dalle ciotole per l'acqua e dalle brocche per versarla. L'uso di questa ceramica marmorizzata a macchie nel Conservatorio di S. Caterina si può porre sulla base delle attuali attestazioni tra il secondo terzo e la fine del XVI secolo. [155] [Leonella Tesei]
Fig. 52 – Ceramica marmorizzata a macchie (1-2); maiolica moderna (3-4); porcellana (5)
Tav. XXX
[156]
Maiolica moderna Tra i reperti ceramici della parte settentrionale del giardino del Conservatorio sono stati rinvenuti soltanto 25 frammenti di maiolica moderna, riconducibi li ad 11 oggetti diversi. Dei quatto reperti provenienti dal periodo I C, uno risulta essere sicuramente un inquinamento poiché, rinvenuto in strati riferibili al primo terzo del XVII secolo, presenta la decorazione Crypta Balbi 2, p. 76, 35, tipica dell'ambiente ligure della fine del XVIII secolo. Dal periodo IV, invece, provengono due frammenti residui, una fondina con decorazione Crypta Balbi 3, p. 412, 203, di produzione romana databile al XVII-XVIII secolo, e la tazzina tipo 212, con decorazione Crypta Balbi 2, pp. 71-72, 15, ligure della metà del XVIII secolo. 209- Cache-pot con orlo ingrossato all'esterno e squadrato, parete liscia leggermente obliqua, piede ad anello, squadrato, reso curvo dalla smaltatura; su smalto bianco brillante fiori in arancioruggine con centro celeste-grigio, invertibili, foglie realizzate con pennellate di colore verde molto diluito, rami e contorni in marrone (fig. 51, 3). Per. IV (att. 12 e 13, dieci framm. gran parte ricomponibili). 210 - Piattino con orlo indistinto, assottigliato, parete arrotondata, piede ad anello molto sottile; motivo floreale in "manganese a spugna" su fondo bianco brillante. Per. VI B (att. 7). 211 - Salvadanaio con presa arrotondata all'apice, corpo sferico su cui è visibile la fessura per l'inserimento delle monetine, piede a disco con leggera modanatura, fondo piano; cerchielli neri intrecciati a coppia su fondo verde diluito (fig. 51, 4). Per. VI C (att. 1). 212 - Tazzina con orlo indistinto, assottigliato, leggermente estroflesso, parete cilindrica arrotondata sulla pancia, ansa impostata superiormente subito sotto l'orlo e inferiormente sulla pancia; dec. Crypta Balbi 2, pp. 71-72, 15. Per. IV (att. 13). La tazzina è forse da porre in relazione con il piattino da caffè Crypta Balbi 2, n. 94 che presenta la stessa decorazione. [Cinthia Masci one] [ 157]
Terraglia
Il materiale analizzato in questo studio è del tipo più comune, di uso giornaliero. Fanno eccezione i tre frammenti con decorazioni Crypta Balbi 3, p. 446, 2, p. 449, 12 e p. 450, 19, di un certo rilievo artistico, e non a caso tra i pochi a fornire, come vedremo, elementi di datazione piuttosto precisi. In complesso lo studio riguarda 84 frammenti riconducibili per lo meno a 15 esemplari diversi. I materiali sono distribuiti in gran parte nei periodi IV-VI; in particolare sono da considerarsi in fase nel periodo IV il piatto 215, con decorazione detta “Jardinière” (Crypta Balbi 3, p. 446, 2), il piatto di tipo non identificato con decorazione detta “Willow pattern “, di origine inglese ma riproposta da varie fabbriche europee, fra cui Richard, negli anni 1873-1884 (MORAZZONI 1956, p. 150; Crypta Balbi 3, p. 450, 19), il piattino con decorazione Crypta Balbi 3, p. 449, 4, confrontabile con Bosio 1964, p. 136, fig. A, databile al periodo 18481860, e il piatto tipo Crypta Balbi 3, n. 680, con marchio S.C. Richard (Crypta Balbi 3, p. 453, 4), prodotto successivamente alla creazione della S.p.A. (1873). In parte in fase è da considerarsi la terraglia presente nel periodo III (XVIIIXIX secolo), anche se alcuni frammenti potrebbero rivelarsi un po’ più recenti, come in particolare il frammento con decorazione Crypta Balbi 3, p. 449, 12, databile alla seconda metà del XIX secolo. L’attestazione del frammento di coperchio n. 219 nel periodo I C, invece, è da vedersi certamente come un inquinamento. Piattini 213 – Orlo indistinto leggermente assottigliato, parete concava, piedino poco pronunciato e appuntito; dec. Crypta Balbi 3, p. 449, 12. Per. VI C (att. 1). 214 – Orlo distinto con piccola tesa orizzontale, parete concava; dec. Crypta Balbi 3, p. 451, 36. Per. VI C (att. 1). L’esemplare è probabilmente da porre in relazione con la tazza Crypta Balbi 3, n. 696, con la quale doveva costituire un servito. Piatti 215 – Orlo indistinto leggermente assottigliato, tesa obliqua, spigolo tra tesa e cavetto poco evidenziato, basso piede ad anello; dec. Crypta Balbi 3, p. 446, 2. Per. IV (att. 12). Questo tipo di decorazione, detta “Jardinière”, veniva prodotta dalla fabbrica lorenese Sarraguemines, e fu copiata da Richard alla fine del XIX secolo e da Laveno nel periodo 18801900 (MORAZZONiI1956, p. 168; BROSIO 1964, p. 125). Tazze 216 – Orlo indistinto leggermente assottigliato, parete obliqua; dec. Crypta Balbi 3, p. 453, 44. Per. VI C (att. 1). Coperchi per zuppiera 217 – Tesa assottigliata con piano d’appoggio leggermente obliquo, corpo a campana; [158] sull’orlo dec. impressa a cordicella seguita da una leggera modanatura. Per. IV (att. 12). 218 – Tesa con orlo arrotondato e piano d’appoggio leggermente obliquo, corpo emisferico; leggera modanatura sulla tesa. Per. IV (att. 17). 219 – Presa pigniforme con punta arrotondata. Per. I C (att. 69). LE DECORAZIONI 1. 2.
Su fondo bianco, motivo floreale stampato in marrone; coperta bianca-giallastra, brillante. Su un frammento di tazza di tipo non identificato. Per. IV (att. 20). Su fondo bianco, fascia regolare in argento sotto l’orlo interno; coperta bianca compatta e brillante. Su un frammento di piattino di tipo non identificato. Per. IV (att. 12).
3.
Su fondo bianco, fascia regolare all’orlo e filettatura all’inizio del cavetto, in blu scuro; coperta bianca, brillante. Su un frammento di piattino di tipo non identificato. Per. VI B (att. 3). I MARCHI
1. 2. 3.
Sul fondo di un piatto di tipo non identificato, non decorato.Impresso in nero, leone rampante verso sinistra inserito in “SOCIETE CERAMIQUE MAEST [---] MADE IN HOLLAND”. Per. VI C (att. 1). Sul fondo di una tazza di tipo non identificato. A stampo in verde, frammentario: parte posteriore di un elefante con dicitura non leggibile. Per. VI C (att. 1). Sul fondo di un piatto di tipo non identificato e non decorato. A stampo in verde: cavalluccio marino attraversato dalla dicitura “CERAMI CA PALERMO”. Per. VI C (att. 1). [Cinthia Mascione] [160]
Tav. XXXI
Porcellana
Il materiale in esame è composto da frammenti di cui non è stato spesso possibile ricostruire forme intere; il 40% del materiale è risultato infatti non identificabile. In fase risultano solo i reperti del periodo IV (XIX-inizio XX secolo), mentre la maggior parte dei frammenti proviene dal periodo VI, da attività posteriori alla demolizione del convento: può trattarsi quindi sia di oggetti appartenuti alle occupanti del convento, che di rifiuti successivi all’abbandono degli edifici anche se – come già detto – non possiamo fornire datazioni più precise. Piattini 220 – Orlo indistinto, parete arrotondata, incavo per l’appoggio della tazza, piede ad anello; dec. Crypta Balbi 3, p. 467, 18. Per. IV (att. 12). Il frammento è ricomponibile con uno già edito in Crypta Balbi 3, p. 467 per la sua decorazione, ma la cui forma non era stata identificata. Tazze 221 – Orlo indistinto, assottigliato, leggermente estroflesso, parete diritta leggermente ingrossata all’interno; a stampo su fondo bianco filetto dorato all’orlo da cui partono una serie di festoni semicircolari bordati in giallo con fondo nero su cui spiccano tre roselline, tra due festoni e nel punto di massima espansione, violette con foglioline verdi e rametti gialli. Per. VI C (att. 1). 222 – Orlo indistinto, assottigliato, parete diritta con leggera baccellatura e un ingrossamento all’interno; sotto l’orlo esterno fascia in argento su fondo bianco appena visibile. Per. VI C (att. 1). 223 – Orlo indistinto, assottigliato, parete obliqua, ansa a sezione quasi circolare impostata sulla parete; in oro su fondo bianco fascia sotto l’orlo esterno, filettatura all’interno e sottile fascia desinente a punta sull’ansa. Per. IV (att. 20). Portacandela 224 – Orlo assottigliato, decisamente estroflesso e con leggera modanatura esterna, bassa parete cilindrica con piccola apertura verticale, pancia arrotondata, sulla parete esterna, blu, tre ordini di baccellature: una a rilievo sulla pancia e due incavate sulla parete e sulla spalla, interno liscio con modanatura tra spalla e parete (fig. 51, 5). Per. VI C (att. 1). LE DECORAZIONI 1.
Fondo bianco: sotto l’orlo esterno motivo floreale in oro marginato in rosso-arancio fra filettature dello stesso colore; sulla parete motivo a stellette in nero. Su un bricco di tipo non identificato. Per. VI C (att. 1). [Cynthia Mascione] [161]
Ceramica invetriata
L’analisi dei dati ricavati dallo studio della ceramica invetriata rinvenuta nel settore nord del giardino del Conservatorio di S.Caterina ha costituito un’occasione di approfondimento e verifica della valutazione tipologica delle produzioni cinquecentesche (prod. 1) e postcinquecentesche (prod. 2-7) avviata in Crypta Balbi 2, pp. 89-120 (analisi di uno scarico di rifiuti del XVIII secolo) e in Crypta Balbi 3, pp. 471-498 (scavo del settore centrale e meridionale del giardino del Conservatorio). In questa sede – considerata la natura del contesto scavato – abbiamo dedicato maggiore spazio allo studio della produzione cosiddetta “marrone” (prod. 1) che, tra le produzioni invetriate presenti in questo settore del giardino, è di gran lunga la più attestata, poiché costituisce il 95% dei frammenti invetriati rinvenuti. La disponibilità di un numero elevato di esemplari frammentari, parzialmente o interamente ricostruibili, ha offerto la possibilità di condurre uno studio tipologico più approfondito, tale da permettere, grazie all’apporto di nuovi elementi ad integrazione dei dati già noti, di arricchire il repertorio morfologico di quella produzione, e di definire al contempo il profilo di alcune forme, sinora solo parzialmente conosciute. Tale produzione, oltre ad essere la più attestata, è anche la più antica; si trova infatti costantemente presente, e in abbondante quantità, negli strati relativi al periodo I, contesto in cui questa produzione, databile a partire circa dalla metà del XVI secolo, risulta in fase. Ad essa si affianca la produzione cosiddetta “verde” (prod. 2), non decorata, ma caratterizzata da un tipo di vetrina trasparente di colore verde, il cui effetto è determinato dall’aggiunta di ossido di rame nella soluzione piombifera. Le altre produzioni postcinquecentesche caratterizzate da decorazioni floreali, dipinte (prod. 3, 6 e 7) o applicate (prod. 4), e da decorazioni definite “a macchie” (prod. 5), sono attestate da uno scarsissimo numero di frammenti. Le variazioni riscontrate nello studio dei frammenti ceramici attribuibili alle produzioni più recenti sono di carattere morfologico, o stilistico, poiché il rivestimento delle superfici non sempre presenta la stessa tonalità di colore, assumendo a seconda dei casi, toni più o meno accesi. Anche i motivi decorativi, lì dove è stato possibile identificarli, sia quelli realizzati mediante l’applicazione di elementi modellati che quelli semplicemente dipinti – che compaiono soprattutto nelle produzioni di epoca più recente –non sembrano discostarsi dai temi consueti ed esauriscono il proprio repertorio in disegni floreali stilizzati o in pennellate di colore distribuite in maniera disomogenea sul manufatto. Desidero ringraziare Antonella Corsaro e Marina Parenti per l’aiuto fornito sia nella schedatura dei reperti che nell’elaborazione dei dati. [162] Produzione I Gli esemplari appartenenti a questa produzione sono caratterizzati da un tipo di impasto rossastro e granuloso determinato dalla presenza di inclusi che garantiscono una maggiore resistenza al fuoco. Sono stati distinti, sulla base di un’analisi macroscopica dei loro componenti, due differenti tipi di impasti: 1. 2.
Colore rosso 5YR 5/6, duro, ruvido con frattura irregolare; piccoli inclusi bianchi non distribuiti uniformemente con frequenza media, vacuoli. Caratterizza gli esemplari appartenenti unicamente alla prod. 1. Colore rosso 5YR 5/6, duro, ruvido con frattura irregolare; vacuoli. Apparentemente meno selezionato del precedente, ma analogo per colore e consistenza, risulta comune anche ad esemplari appartenenti alla prod.
Gli esemplari di prod. 1 sono inoltre caratterizzati dal rivestimento delle superfici interne che sono interamente coperte di vetrina trasparente e lucida stesa direttamente sul biscotto.
Utilizzata in massima parte per scopi domestici, adoperata per la cottura e conservazione dei cibi, questa ceramica non presenta un repertorio morfologico molto variato. Le forme che si ripetono, differenziandosi solo per alcune varianti che riguardano la conformazione degli orli e le dimensioni, sono riconducibili per lo più a catini o tegami troncoconici biansati a fondo piano, tegamini con presa cilindrica e corpo basso, e pignatte, anch’esse biansate e terminanti a fondo piano, caratterizzate da un profilo più o meno ovoidale. Rientrano inoltre in questa produzione alcune forme dalle caratteristiche strutturali analoghe a quelle da fuoco, ma strettamente funzionali all’uso di contenere e conservare il cibo. Recipienti di questo tipo, attestati in percentuale più ridotta, sono rappresentati da alcuni catini frammentari di varie dimensioni e dal profilo emisferico, da vasi troncoconici biansati e da boccali trilobati. [Paola Palazzo] Catini 225 – Orlo a breve tesa, labbro e parete arrotondati, anse a nastro complanari all’orlo. Per. I A (att. 138), I C (att. 69) e IV (att. 15). Per il tipo cfr. Crypta Balbi 3, n. 578. 226 – Orlo a breve tesa, labbro leggermente ingrossato ed arrotondato, parete emisferica. Per. I C (att. 69). 227 – Orlo a breve tesa leggermente concava, labbro ingrossato e arrotondato, parete emisferica evidenziata all’esterno da una sporgenza al di sotto dell’orlo. Per. I C (att. 69). Per il tipo cfr. Crypta Balbi 3, n. 760. 228 – Orlo a breve tesa con leggero incavo nella parte superiore, parete emisferica segnata all’esterno da una breve sporgenza. Per. I C (att. 69). Il tipo costituisce una variante dimensionale dell’esemplare precedente. 229 – Orlo a breve tesa leggermente confluente, labbro ingrossato parete arrotondata. Per. 0 (att. 99). L’esemplare è avvicinabile al tipo Crypta Balbi 3, n. 759. 230 – Orlo a breve tesa confluente, parete arrotondata. Per. I A (att. 138). 231 – Orlo a breve tesa leggermente confluente e concava, labbro piatto, parete troncoconica, anse a nastro complanari all’orlo. Per. 0 (att. 99) e I A (att. 83).[163] Tutti questi tipi, tranne i nn. 230-231, rappresentano varianti morfologiche e dimensionali di esemplari editi in Crypta Balbi 3. I nostri frammenti sono stati rinvenuti negli strati del giardino relativi al suo primo periodo di vita e all’epoca immediatamente precedente la sua fondazione, ad eccezione del tipo 225, attestato nella terra di riempimento di un’aiuola in muratura (US 1637, att. 15) di costruzione piuttosto recente (per. IV). Tegami 232 – Orlo indistinto leggermente ingrossato all’esterno, corpo dal profilo troncoconico terminante a fondo piano. Per. 0 (att. 99). 233 – Orlo ingrossato e segnato nella metà superiore da un incavo per l’alloggiamento del coperchio, corpo troncoconico, fondo piano leggermente concavo, ansa cilindrica cava. Per. 0 (att. 99), I A (att. 138), I C (att. 69), IV (att. 20) e V (att. 11). Per il tipo cfr. Crypta Balbi 2, n . 121; integra il tipo Crypta Balbi 3, n. 761, privo di ansa; quest’ultima, di forma cilindrica e cava all’interno, compare nello stesso catalogo su di un esemplare corrispondente al disegno n. 773. Recipienti troncoconici 2 3 4 – Orlo ingrossato ed estroflesso, arrotondato superiormente e segnato alla base, apodo, fondo piano leggermente concavo, corpo troncoconico. Per. 0 (att. 99) . 23 5 – Orlo a breve tesa piana leggermente confluente, labbro arrotondato, corpo dal profilo troncoconico e terminante a fondo piano, ansa a nastro complanare all’orlo. Per. 0 (att. 99), I A (att. 42) e I C (att. 69). Integra il tipo Crypta Balbi 3, n. 754, lì interpretato come tegame.
Pignatte 236 – Orlo diritto leggermente estroflesso, labbro ingrossato ed arrotondato, corpo dal profilo ovoidale con spalla espansa terminante a fondo piano, anse a nastro complanari all’orlo. Per. 0 (att. 99), I A (att. 138, 42, 40), I C (att. 51 e 69 ) e IV (att. 20 ).
T a v. XX XI I
[ 16 4]
237 – 238 – 239 – 240 – 241 – 242 – 243 – 244 – 245 – 246 –
Questa pentola rappresenta la forma più attestata tra i frammenti invetriati rinvenuti in quest’area. Il disegno raffigura una variante dimensionale dell’esemplare intero riprodotto alla fig. 53, 1. Integra il tipo Crypta Balbi 3, n. 784. Orlo arrotondato ed estroflesso, lievemente appiattito all’interno, corpo globulare terminante a fondo piano, ansa a nastro complanare all’orlo. Per. I A (att. 139). Fig. 53, 2. Simile alla precedente, ma di dimensioni minori, con orlo più ripiegato e solco interno in corrispondenza dell’attacco della parete. Per. I A (att. 139). Orlo estroflesso e concavo all’interno, labbro arrotondato, corpo globulare, ansa a nastro complanare all’orlo. Per. 0 (att. 99), I A (att. 138, 40 e 83), I C (att. 69), III (att. 47), IV (att. 12) e V (att. 2) . Orlo estroflesso con lieve incavo all’interno per l’alloggiamento del coperchio,labbro ingrossato; dec. Crypta Balbi 3, p. 489, 3, disposta verticalmente lungo la parete e ripetuta quattro volte. Per. I A (att. 138). Fondo piano; dec. Crypta Balbi 3, p. 489, 3. Per. I A (att. 138). Si tratta probabilmente del fondo del n. 240. Piccolo orlo indistinto leggermente estroflesso. Per. I A (att. 138). Piccolo orlo indistinto. Per. 0 (att. 99) e I A (att. 138). Orlo ingrossato e arrotondato all’esterno, parete arrotondata. Per. I A (att. 138). Orlo ingrossato con labbro arrotondato, parete diritta. Per. I A (att. 138). Orlo diritto ingrossato all’interno. Per. I A (att. 138). [165]
Coperchi 247 – Orlo indistinto con margine appiattito, parete svasata, fondo piano, presa cilindrica. Per. 0 (att. 99) e I A (att. 138). 248 – Orlo con margine rivolto verso l’alto, parete concava e svasata, fondo piano, presa cilindrica con parte terminale arrotondata (fig. 53, 3). Per. I A (att. 139). Fig. 52, 3. Boccale 249 – Orlo trilobato, collo cilindrico, corpo ovoidale, fondo piano, ansa a nastro complanare all’orlo. Per. I A (att. 138). Integra il tipo Crypta Balbi 3, n. 798. Forme non identificate 250 – Orlo indistinto, parete arrotondata, ansa a sezione circolare cava all’interno; il profilo interno è caratterizzato dalla presenza di una sottile intercapedine forse originariamente forata, impostata sotto l’orlo, di cui rimane un piccolissimo frammento. Per. VI C (att. 1). 251 – Orlo estroflesso, parete leggermente carenata. Per. 0 (att. 99) 252 – Fondo piano e sagomato, parete diritta. Per. I A (att. 138). [Paola Palazzo, Leonella Tesei] La produzione 1 risulta attestata soprattutto nei periodi 0 e I, dove costituisce il 99% dei reperti. Nei periodi III, IV e V le percentuali mostrano valori più bassi, che rimangono comunque sempre dominanti in rapporto con le altre produzioni. Le forme più significative di questa produzione sono rappresentate da alcuni esemplari integralmente ricostruiti, fra cui il contenitore troncoconico biansato n. 235 e la pignatta n. 236; quest’ultima corrisponde al tipo Crypta Balbi 3, n . 784, di cui però sino ad ora era noto solo il profilo dell’orlo e di parte della spalla. Altre forme di particolare rilievo sono rappresentate dal boccale trilobato n. 249, il cui orlo era già stato edito in Crypta Balbi 3 , n . 798, ed il tegamino n. 233, con presa cilindrica, attestato con profilo incompleto, sia nel contesto [166] del giardino (Crypta Balbi 3, nn. 761-773), che nel contesto settecentesco del “mondezzaro” (Crypta Balbi 2, n. 121). Recipienti analoghi a questi, e in particolare i tipi nn. 235-236, 247 e 249 (figg. 53, 1 e 3), sono
stati rinvenuti anche nelle terre di riempimento di una grande fossa (att. 139) praticata intorno alla metà del XVI secolo nell’area sudoccidentale del giardino (cfr. supra, p. 34). Tutti i tipi descritti nel catalogo, tranne la pentola n. 236 ed il tegamino n. 233, la cui presenza è quasi costante durante tutta la vita del giardino, provengono dai riempimenti di una fossa, la cui apertura si ritiene connessa alle prime fasi costruttive del Conservatorio di S. Caterina (metà XVI secolo, cfr. pp. 32-34).
Tav. XXXIII
[167]
Tav. XXXIV
[168]
Tav. XXXV – Nn.240,241: scala 1:3
[169]
Tale contesto (att. 138-42), sebbene non possa ritenersi sigillato, ha restituito materiali molto omogenei sotto il profilo sia morfologico che stilistico. I tipi ceramici rinvenuti, alcuni dei quali costituiscono degli unica (cfr. nn. 243246), risultano attestati inoltre negli strati relativi al periodo immediatamente precedente l’impianto del Conservatorio e raramente compaiono in contesti più recenti. La cronologia della fase iniziale di produzione della ceramica invetriata marrone è pertanto da porsi probabilmente nei primi decenni del XVI secolo, anche sulla base delle associazioni con materiali di altre classi ceramiche coeve. Produzioni decorate Produzione 3. Fra le produzioni decorate con sovradipinture, la più antica – ed anche quella rappresentata da un maggior numero di esemplari – è l’invetriata con decorazioni realizzate in
giallo, il cui repertorio morfologico appare strettamente affine a quello della produzione 1. La produzione 3 sembrerebbe una variante della 1, vivacizzata dalla presenza di motivi prevalentemente floreali, eseguiti direttamente sul biscotto prima dell’invetriatura; il disegno appare talvolta poco definito o appena abbozzato ed il motivo è il più delle volte stilizzato. L’utilizzazione delle forme appartenenti a questa produzione sembra la stessa dei tipi non decorati. Questo tipo di ceramica sovradipinta è ampiamente attestato, sempre nell’area della Crypta Balbi, in un contesto del XVII secolo; si tratta del riempimento di un pozzo nero, rinvenuto in una delle cantine (amb. 507) degli stabili situati sul fronte meridionale di via delle Botteghe Oscure, il cui materiale è attualmente in corso di studio; in tale contesto la produzione 3 – in massima parte pentoline biansate e tegami decorati con motivi floreali – rappresenta infatti, fra le produzioni invetriate, il gruppo ceramico quantitativamente più numeroso. Nel settore settentrionale del giardino del Conservatorio, invece, la produzione 3 è rappresentata soltanto da 24 frammenti (1,4% del totale); dei sei esemplari identificabili, tre sono attribuibili a tipi già noti (cfr. il colapasta Crypta Balbi 2, n. 131 e le pentoline Crypta Balbi 2, nn. 142-143), mentre i tre tipi che seguono sono attestati per la prima volta. 253 – Scodellina con piccola tesa piana, cavetto emisferico; dec. non identificata. Per. I A (att. 83). 254 – Tegame con orlo ingrossato e segnato all’esterno da un bordino in rilievo, basso corpo troncoconico con fondo piano retto da più piedini a sezione circolare; dec. non identificata. Per. I A (att. 83). [170] 255 – Coperchio conico con orlo indistinto; dec. non identificata. Per. VI A (att. 5). Le altre due produzioni decorate (prod. 6 e 7), datate a partire dal XVIII secolo, sono rappresentate da un numero molto basso di frammenti (0,7% del totale). Produzione 6. Tale produzione, che costituisce lo 0,5% dei frammenti invetriati raccolti in tutta l’area (per. I: 0,2%; per. III: 10%; per. IV: 1,5%), è caratterizzata da decorazioni dipinte in giallo e verde; nel contesto in esame è rappresentata da alcuni frammenti relativi alla pentola tipo Crypta Balbi 3, n . 786 e allo scaldino tipo Crypta Balbi 3, n . 802. Produzione 7. Questa produzione, la più recente tra le invetriate dipinte, è riferibile a fabbriche del Viterbese tuttora attive, il cui centro di produzione è individuato a Vetralla. La frammentarietà dei reperti – si tratta soprattutto di pareti – ha reso problematica l’attribuzione a tipi ben definiti. Questa ceramica, attestata nel giardino in bassissima percentuale (0,2%), e soltanto nei periodi III e IV, è caratterizzata da un tipico impasto di colore rosso molto scuro e da una decorazione, “a foglie e ulive” (Ceramica popolare 1982, pp. 28-29), realizzata nei colori giallo e verde. Produzioni 2 e 5. Di difficile collocazione cronologica, ma presumibilmente attribuibile ad un’epoca non anteriore al secolo XVII, è la produzione cosiddetta “verde” (prod. 2), testimoniata da una serie di contenitori, per lo più tegami, caratterizzati da un impasto molto granuloso e ricco di inclusi e da una vetrina colorata. Il rivestimento, che assume il colore verde per effetto dell’aggiunta di ossido di rame, ricopre interamente le superfici interne dei tegami e talvolta anche parte di quella esterna. Tali tegami, di cui esistono diverse varianti, hanno il corpo basso e troncoconico con fondo piano leggermente concavo, l’orlo ingrossato e rilevato e le anse a nastro larghe e complanari all’orlo con impressioni digitali, e rappresentano - assieme ai coperchi - la forma più nota della produzione 2. L’unico esemplare di pentola conosciuto è il tipo Crypta Balbi 3, n. 791, rinvenuto negli strati del giardino relativi al periodo V. I pochi frammenti rinvenuti (0,2% del totale dei reperti), attestati nei periodi I e IV, sono riferibili all’esemplare tipo Crypta Balbi 2, n . 126. Tale forma non sembra esclusiva della produzione 2, ma compare anche nel repertorio morfologico dell’invetriata “a macchie” (prod. 5), così definita per il caratteristico effetto che si ottiene schizzando con una tonalità più scura di colore le superfici dei manufatti, prima dell’invetriatura.
Tav. XXXVI
[171
Il repertorio tipologico della produzione 5 (1,1% del totale) è piuttosto articolato e comprende, oltre ai tegami e ai coperchi, le cui caratteristiche morfologiche sono analoghe a quelle della produzione precedente, anche pignatte e scaldini ed una varietà di oggetti miniaturistici. Tra questi, due esemplari frammentari trovano riscontro fra i tipi rinvenuti nel contesto dell’amb. 63 (Crypta Balbi 2, nn. 123 e 126), dove questa produzione è attestata con un’ampia percentuale di frammenti. L’unico tipo finora non ancora attestato nell’area del giardino del Conservatorio è un microvasetto il cui impasto appare del tutto diverso rispetto a quello delle altre produzioni sinora esaminate (colore marrone chiaro 7.5YR 6/4, duro e ruvido).[172]
256 – Microvasetto con orlo indistinto, corpo globulare con fondo piano. Per. I C (att. 51). Produzione 4. I pochi frammenti appartenenti a questa produzione – affine alla «terraglia nera di Albisola» (SIVIERO 1971, pp. 229-234; CAMEIRANA 1970, pp. 73-95) – rinvenuti nel nostro contesto sono attribuibili ai due scaldini tipo Crypta Balbi 2, n. 160 e Crypta Balbi 3, n. 806. Questa produzione, che costituisce qui l’l% dei frammenti, è attestata con una percentuale molto alta sia nel contesto settecentesco dell’amb. 63 (Crypta Balbi 2, p. 119), che negli strati dell’area centro-meridionale del giardino nei periodi III e IV, e copre un arco cronologico che va dal XVIII al XIX secolo (Crypta Balbi 3, pp. 496-497, fig. 124). Smaltata verde. Va infine segnalata la presenza di alcuni frammenti relativi ad un piccolo contenitore con orlo quadrato e fondo piano (Crypta Balbi 3, n. 815). Tale esemplare costituisce l’unica forma conosciuta di una produzione che presenta il tipico impasto granuloso e rosso della ceramica invetriata da fuoco e uno smalto di colore verde brillante che ricopre internamente le superfici del manufatto. Potrebbe trattarsi di una produzione coeva alla ceramica invetriata cinquecentesca “marrone”, a giudicare almeno dalle sue attestazioni nei periodi 0 e I. [173] [Paola Palazzo]
Fig. 53 – Ceramica invetriata
[166]
Ceramica acroma rinascimentale e moderna
L’analisi della porzione settentrionale del giardino ha fornito, complessivamente, dati piuttosto dissimili da quelli emersi dallo studio dell’area centro meridionale; qui, infatti, la ceramica acroma rinascimentale e moderna era la classe più rappresentata dopo la maiolica, mentre i nostri contesti non ne hanno restituito grandi quantità. In particolar modo è da notare la scarsità di suppellettile da giardino, probabilmente dovuta al fatto che la maggior parte. degli strati qui analizzati è anteriore o coeva alla seconda metà del XVI secolo, momento in cui per la prima volta in quest’area viene allestito un vero e proprio giardino (Per notizie riguardo l’impianto di giardino in epoca rinascimentale cfr. Crypta Balbi 3, pp. 516-519). Vasi da fiori I tipi nuovi individuati provengono dall’area settentrionale, mentre nell’angolo sudoccidentale la suppellettile da giardino risulta completamente assente; si tratta quasi sempre di vasi da fiori troncoconici con parete per lo più diritta ed inclinata verso l’esterno; verranno pertanto segnalati solamente i casi in cui la morfologia del vaso si presenti diversa. Vasi troncoconici 257 – Orlo estroflesso leggermente ingrossato, con nervatura a rilievo subito al di sotto. Per. I A (att. 83). 258 – Orlo estroflesso a margine leggermente assottigliato, attacco alla parete sottolineato da un ingrossamento appuntito. Per. I C (att. 69). 259 – Orlo estroflesso a sezione quadrangolare, margine superiore piano, parete segnata esternamente da almeno due ingrossamenti subito al di sotto dell’orlo. Per. I C (att. 69). 260 – Orlo ingrossato a sezione pressoché triangolare, margine superiore piatto segnato da due scanalature, inizio della parete sottolineato probabilmente da un ingrossamento. Per. I C (att. 69). 261 – Orlo estroflesso a sezione pressoché quadrangolare, margine superiore piano diviso dalla parete, esternamente, mediante una piccola gola, parete leggermente arrotondata. Per. IV (att. 15 e 13). I tipi nn. 257-259 si inseriscono piuttosto bene nel panorama della suppellettile da giardino relativa alle prime fasi dell’allestimento dell’area aperta all’interno del Conservatorio di S. Caterina della Rosa (a questo proposito cfr. in generale Crypta Balbi 3, tavv. LXXIII-LXXV). Anche per il tipo n. 260 è possibile un confronto con il materiale già edito proveniente dallo stesso contesto (Crypta Balbi 3, n. 838); in entrambi i casi, però, si tratta di raffronti generici che testimoniano la variabilità della morfologia dei singoli pezzi, che pure appartengono ad un panorama generale piuttosto unitario. Per quanto riguarda il tipo n. 261 la sua pertinenza alla suppellettile da giardino 174 è più dubbia, anche tenuto conto della forma apparentemente arrotondata della sua parete; l’esiguità del frammento, tuttavia, non permette una sicura identificazione né della forma né della funzione dell’oggetto. Cassette e vasi sagomati e su piede 262 – Cassetta quadrangolare con base modanata, pareti verticali e decorazione a foglie di palma inframezzate da un elemento a rilievo non identificato. Per. VI C (att. 1).
Tav. XXXVII
[175]
Contenitori da cucina e da mensa Anche in questo caso il numero di tipi nuovi è piuttosto limitato e si tratta per lo più di varianti di esemplari già esaminati in Crypta Balbi 3, pp. 519-529. Ciotoloni o catini 263 – Orlo a fascia ingrossato, inclinato verso l’interno con margine superiore leggermente scanalato, parete troncoconica, apodo, fondo piano; dec. Crypta Balbi 3, p. 516, n. 25, tav. LXXVIII (fig. 54). Per. I A (att. 139). In Crypta Balbi 3, (pp. 500-501, nn. 816-819) questi ciotoloni con il bordo a fascia e il corpo ottenuto mediante matrice erano stati inseriti tra i vasi da fiori – seppure con qualche incertezza. Infatti era stato rinvenuto un certo numero di fondi con foro centrale praticato prima della cottura. In realtà questo sembra essere stato un episodio sporadico e forse da riferire ad epoca piuttosto tarda (questi manufatti durano per un arco cronologico molto vasto che va dal XIV alla fine del XVIII secolo). In questa sede si è ritenuto più opportuno inserire l’esemplare tra i contenitori da cucina e da mensa, anche in considerazione del fatto che, provenendo da un’attività del periodo I A, dovrebbe trattarsi di un oggetto piuttosto antico (prima metà del XVI secolo). [176] Forme aperte 264 – Orlo leggermente estroflesso e arrotondato, margine superiore scanalato, parete rettilinea, inclinata verso l’esterno con ingrossamento appuntito poco sotto l’orlo. Per. I A (att. 135). La morfologia di questo contenitore è molto vicina a quella dei vasi da fiori esempio Crypta Balbi 3, n n. 828 e 836); l’esistenza, però, sul margine superiore, di una scanalatura potrebbe far pensare all’appoggio di un coperchio; si è ritenuto pertanto più congruo inserire il frammento fra i contenitori, tenendo sempre presente comunque l’interscambiabilità fra i due gruppi (vasi da fiori e contenitori) soprattutto quando l’esiguità dei frammenti non. consenta una ricostruzione completa della forma. 265 – Orlo a piccola tesa inclinata verso l’esterno, sottolineato da un ingrossamento appuntito all’attacco della parete diritta, inclinata verso l’esterno. Per. I B (att. 137). 266 – Orlo ingrossato e ricurvo all’esterno, parete leggermente emisferica. Per. I B (att. 114). 267 – Orlo estroflesso a sezione quadrangolare e margine superiore piano, parete inizialmente inclinata verso l’interno, corpo probabilmente di forma bitroncoconica. Per. 0 (att. 99) e VI C (att. 1). 268 – Orlo assottigliato ripiegato verso l’esterno, parete diritta, quasi verticale. Per. I A (att. 139). 269 – Orlo ingrossato e appuntito all’esterno, margine piano, nervatura appuntita esternamente sotto l’orlo all’attacco della parete, corpo apparentemente globulare. Per. 0 (att. 99). Brocche e borracce 270 – Borraccia con orlo leggermente ingrossato, breve collo diritto, corpo lenticolare, apodo, fondo convesso senza soluzione di continuità con la parete, due anse a tortiglione impostate superiormente alla base del collo e inferiormente nel punto di massima espansione della parete. Per. I A (att. 139). 271 – Brocca con orlo diritto leggermente appuntito con due lievi ingrossamenti subito al di sotto, corpo globulare. Per. I A (att. 83).
Altri oggetti 272 – Apodo, fondo piano, parete cilindrica con carenatura appena accennata ad 1/3 dell’altezza, in corrispondenza di fasce alternate, confluenti all’estremità superiore. Per. I B (att. 137). Si tratta probabilmente di uno scaldino o scaldavivande. L’analisi della ceramica acroma di epoca postmedievale proveniente dagli strati dell’area settentrionale del giardino del Conservatorio di S. Caterina della Rosa permette alcune considerazioni. Innanzitutto va notato come – contrariamente alle altre classi ceramiche coeve (maiolica e invetriata) – l’acroma rinascimentale risulti quasi totalmente assente dall’att. 138, cioè dai riempimenti della grande fossa praticata a ridosso del muro diametrale dell’esedra antica al momento dell’impianto della fabbrica del Conservatorio. Questa assenza è forse spiegabile con la cronologia dell’attività (metà XVI secolo): si tratta, infatti, di un’epoca di transizione dalla produzione e uso della ceramica acroma da fuoco, che per secoli era stata utilizzata in cucina, alla più massiccia diffusione della ceramica invetriata, certamente più adatta alla cottura dei cibi (questa classe di materiali, come abbiamo visto, è ben rappresentata nell’att. 138). Da questo [177] momento in poi, quindi, vengono ancora prodotti, in ceramica priva di rivestimento, prevalentemente contenitori per derrate da conservare, per lo più di grandi dimensioni. D’altra parte va notato che, alla metà del XVI secolo, la produzione di materiale acromo non aveva ancora visto il grande sviluppo della suppellettile da giardino, come avverrà a partire dalla seconda metà dello stesso secolo (a questo proposito cfr. Crypta Balbi 3, p. 518). Una grande quantità di ceramica acroma proviene, invece, da due attività di costruzione: dalle strutture del grande collettore fognario che attraversava tutta l’area del giardino (att. 51) provengono quasi 30 chili di frammenti (su un totale di 84) – pertinenti per lo più a ciotoloni tipo n. 263 e Crypta Balbi 3, pp. 500-501 nn. 816-819. La presenza di grossi frammenti ceramici utilizzati al posto di laterizi è probabilmente spiegabile con esigenze di risparmio mediante l’uso di materiale di prezzo inferiore (forse scarti delle fornaci degli stessi artigiani che fabbricavano anche i mattoni), ma pur sufficientemente resistente: sembrerebbe, infatti, che siano sempre stati accuratamente scelti frammenti di grosse dimensioni e non soggetti al rischio di una ulteriore frammentazione. Va notato anche che, in questo caso, sono stati utilizzati per lo più contenitori di tradizione medievale la cui produzione comincia a calare fino a scomparire nel corso del XVII-XVIII secolo. Quasi 19 chili di frammenti, invece, provengono dal muretto che delimitava ad est l’amb. 49 (att. 19, US 1 103); sono quasi tutti pertinenti ad un tipo di grande vaso trococonico (Crypta Balbi 3, n. 825), la cui diffusione inizia nel primo Rinascimento ma, con alcune modifiche, continua nei secoli successivi. [180] [Ada Gabucci, Leonella Tesei]
Tav. XXXVIII – N. 263; scala 1:3
[178]
Tav XXXIX
[179]
Vetri
Il totale dei frammenti vitrei rinvenuti durante l’indagine nella zona settentrionale del Conservatorio di S. Caterina ammonta a 182 pari a circa gr. 900 (in questo computo sono stati esclusi i reperti provenienti dal per VI) La presenza del vetro soffiato, costituito in massima parte da vetro incolore, è pari a circa il 65% dei frammenti. Di questi, più del 30% è risultato non identificabile, anche a causa dello stato di conservazione del materiale, che ha comportato non poche difficoltà in sede di studio. Una buona percentuale dei frammenti in vetro soffiato è costituita dalle forme da mensa e dalle lampade, mentre scarse sono le forme legate all’uso farmaceutico (fiale). Tra i materiali edilizi (lastre e dischi), anch’essi scarsamente attestati, sono presenti due dischi per finestra con bordo piegato e cavo: il primo, verde (diam. 11), è attestato nel per. I C (att. 69), mentre il secondo, incolore e con diametro leggermente maggiore, proviene dal per.VI B (att. 3). Altri due esemplari, verdi, rinvenuti rispettivamente nei per. 0 (att. 99) e I C (att. 69), presentano l’orlo tagliato a glossarium. Sono stati rinvenuti, inoltre, soltanto cinque frammenti di lastre, delle quali non è stato possibile individuare le reali dimensioni. Per quanto riguarda le forme del vetro soffiato nella maggior parte dei casi sono stati possibili costanti riferimenti a Crypta Balbi 3, pp. 537-560. Confronti sono stati possibili, in alcuni casi, anche con i materiali rinvenuti in uno scarico di immondizie del XVIII secolo, sempre nell’area della Cripta di Balbo (Crypta Balbi 2, pp. 125-139). Per il vetro pressofuso, invece, presente in misura maggiore dal per. III in poi (Crypta Balbi 3, p. 556), e costituito in massima parte da lastre per finestra, non si è ritenuto opportuno procedere ad una suddivisione tipologica delle forme. Un ringraziamento particolare va a Susanna Cini per l’aiuto datomi nell’individuazione preliminare delle forme e nella definizione cronologica dei reperti. [Luca Demitry] Coppe 273 – Orlo svasato, parete troncoconica; incolore con devetrificazione opaca; dec. a bugne in rilievo con canne opache fuse alternate a strisce incolori. Per. 0 (att. 99). 274 – Orlo a due fasce, vuoto, ottenuto per piegatura; questa tecnica di lavorazione è impiegata solo su una parte dell’orlo dell’esemplare; incolore. Per. I A (att. 138). 275 – Piede con bordo svasato e arrotondato, decorato con un filo blu unito a lume; corpo incolore, opaco, decorato da costolature rilevate con andamento spiraliforme, ottenute con la tecnica cosiddetta “a mezza stampatura” (Venezia 1982, p. 112). Per. I A (att. 83). Un esemplare ancora più frammentario attribuibile a questo stesso tipo, ma di diametro minore, è stato rinvenuto nello scavo dell’amb. 63 (Crypta Balbi 2, p. 128). Si tratta comunque di un piede avvicinabile ad un esemplare, datato alla 181 prima metà del XVI secolo, conservato presso il Museo Vetrario di Murano (Venezia 1982, pp. 112-113, fig. 133). Anche il motivo decorativo a filo blu applicato sembra essere diffuso nella vetraria muranese del XV-XVI secolo (ibid., p. 112); è presente, inoltre, su reperti provenienti da Monte Lecco (FOSSATI-MANNONI 1975, pp. 60 e 62) e su di un frammento proveniente da un contesto della fine del XV secolo a Genova (ANDREWS 1977, p. 174, n. 49, tav. XXXIII). Bicchieri 276 – Orlo indistinto, corpo troncoconico rovesciato; incolore, opaco; dec. a bugnato formato da motivi irregolari, circolari e a goccia. Per. I C (att. 69). L’esemplare è avvicinabile per la forma ad alcuni frammenti rinvenuti a Prato, in un contesto datato alla fine del XVI secolo (FRANCOVICH et al. 1978, p. 141, n. 432, tav. XL); gli elementi decorativi
presenti su questi ultimi non sembrano partire direttamente dall’orlo, come nel nostro caso, e non sono ottenuti a rilievo. 277 – Corpo con rigonfiamento circolare nella sua parte terminale; incolore. Per. I C (att. 69). 278 – Corpo troncoconico rovesciato, con due rigonfiamenti esternamente convessi, fondo convesso, piede troncoconico; corpo incolore, opaco, piede marrone rossastro, unito a lume. Per. VI C (att. 1). Calici 279 – Orlo diritto, corpo campaniforme, stelo a balaustro, piede piano; grigio fumo; dec. a losanghe nella parte centrale del corpo e linee verticali in corrispondenza dello stelo. Per. 0 (att. 99). Una decorazione simile è su esemplari rinvenuti nel convento di S. Silvestro a Genova (ANDREWS 1977, p. 174, n. 51, tav. XXXII, in questo caso però il decoro occupa tutta la superficie del calice), e a Prato, datato al XVI secolo (Prato 1976-77, p. 191, tav. LIX, n. 1021). 280 – Orlo svasato; incolore; dec. a stampo, con costolature diritte. Per. VI C (att. 1). 281 Fondo concavo, stelo con profilo curvato verso l’interno, piede ad anello; incolore. Per. 0 (att. 99). Integra il tipo Crypta Balbi 3, nn. 945-946. 282 – Corpo campaniforme, fondo convesso, stelo a balaustro; giallo. Per. VI B (att. 3). 283 – Stelo a balaustro, piede scanalato quasi piano; incolore, devetrificazione opaca. Per. 0 (att. 99). Il frammento è simile ad un esemplare fiorentino datato al XVI secolo (FRANCOVICH et al. 1978, p. 92, L130, tav. XXV). 284 – Stelo a balaustro con ingrossamento globulare schiacciato, corpo campaniforme; incolore, devetrificazione opaca. Per. 0 (att. 99). Simile ad esemplari rinvenuti a Genova (ANDREWS 1977, p. 176, n. 84, tav. XXXV, datati tra il 1525 e il 1550) e a Tuscania (Tuscania 1973, p. 127, fig. 35, n. 49). Bottiglie 285 – Orlo estroflesso con profilo irregolare, collo cilindrico; incolore. Per. I A (att. 138). Forme simili sono datate tra il XV e il XVI secolo (Tuscania 1973, p. 121, fig. 33, n. 22; CHAMBON 1961, nn. 27-28). 286 – Orlo arrotondato e svasato con tracce di pinzatura, collo cilindrico; azzurro. Per. VI C (att. 1). [182] Il tipo trova un preciso confronto in un esemplare rinvenuto a Prato in un contesto databile al XVI secolo circa (FRANCOVICH et al. 1978, p. 192, n. 1022, tav. LIX). 287 – Orlo arrotondato, collo troncoconico rovesciato; verde. Per. VI C (att. 1). Il tipo è confrontabile con un esemplare rinvenuto a Genova in un contesto del XVI secolo (ANDREWS 1977, p. 170, n. 17, tav. XXXI). 288 – Fondo concavo molto accentuato, corpo probabilmente globulare; incolore. Per. VI B (att. 7). Alla stessa bottiglia appartiene probabilmente un orlo rinvenuto all’interno dello stesso strato, che potrebbe rappresentare una variante dimensionale del tipo Crypta Balbi 3, n. 986. La frammentarietà dell’esemplare non ha tuttavia permesso la ricostruzione completa del profilo, il cui caratteristico fondo pronunciato potrebbe far ipotizzare una funzione di contenitore per sostanze medicinali. 289 – Collo trococonico; incolore, devetrificazione opaca; dec. a coste diritte in rilievo (soffiata entro matrice). Per. 0 (att. 99). Simile per il motivo decorativo a Crypta Balbi 3, p. 553, 1. 290 – Fondo concavo con apice arrotondato; verde. Per. I C (att. 69). Un esemplare molto simile, rinvenuto a Genova, è datato alla metà del XVI secolo (ANDREWS 1977, p. 175, n. 63, tav. XXXIII).
291 – Fondo concavo con apice arrotondato; rossastro. Per. I C (att. 69). Coperchi 292 – Presa a pomello; verde. Per. I A (att. 138). Lampade 293 – Orlo a fascia esternamente convesso e internamente concavo ottenuto per piegatura; verde. Per. III (att. 47). Un esemplare identico è stato rinvenuto, in un contesto datato alla prima metà del XVIII secolo, nello scavo delle cantine nord dell’area della Cripta di Balbo (amb. 507). Tale datazione sembrerebbe confermata anche da un frammento simile rinvenuto a Prato (FRANCOVICH et al. 1978, p. 91, L136, tav. XXV, considerato una forma aperta). 294 – Orlo fortemente estroflesso, corpo cilindrico; verde. Per. I C (att. 69). 295 – Come il precedente, ma a sezione inclinata; verde giallastro. Per. VI C (att. 1) Tappi 296 – Tappo di bottiglietta da profumo, a tortiglione con ingrossamento centrale; turchese. Per. I B (att. 134). Forme non identificate 297 – Lastrina applicata incisa a tratti obliqui; incolore, devetrificazione opaca. Per. 0 (att. 99). Simile ad un decoro attestato a Genova (ANDREWS 1977, p. 181, n. 113, tav. XXXVI). [184] [Luca Demitry, Leonella Tesei]
Metalli
L’edizione dei reperti metallici della parte settentrionale del giardino del Conservatorio di S. Caterina riprende quella adottata in Crypta Balbi 3, pp. 569-584. Anche in questo caso ci si limiterà, per quanto riguarda il periodo VI, a prendere in considerazione solamente i reperti più significativi.
Materiale edilizio Costituisce la maggior parte dei reperti in metallo, soprattutto nel periodo I, in concomitanza quindi con la costruzione degli edifici del Conservatorio. Chiodi Quantitativamente molto rappresentati, i chiodi possono essere tutti inseriti nel repertorio presentato in Crypta Balbi 3, pp. 569-570. Cardini 298 – Cardine “ad occhiello” in ferro, formato da un anello aperto da cui partono due braccia a sezione rettangolare, che erano inserite nel legno o nella muratura. Per. 0 (att. 99). Il cardine richiama, per forma ed uso, le cerniere Crypta Balbi 3, nn. 1035 e 1036. 2 99 – Lungo perno di ferro a sezione quadrata piegato ad “L”. Per. 0 (att. 99). 300 – Cardine simile al precedente, ma con sezione quasi piatta. Per. I A (att. 43). I cardini nn. 299 e 3 00 costituiscono due esempi dei perni che venivano piantati nella muratura e sui quali poi veniva a ruotare il “cardine femmina” della porta. 301 – Bandella di ferro a sezione rettangolare piatta, con fori per i chiodi che fermavano la staffa sulla porta; di questi se ne conserva uno piegato, con testa larga e piatta. Per. I A (att. 83). Si tratta di un “cardine femmina” che, inchiodato alla porta, ne permetteva la rotazione. Chiusure di porta 3 02 – Elemento in ferro ad “L”, a sezione quadrata. Per. I C (att. 69). Si tratta molto probabilmente del perno che, piantato al margine di una porta, serviva a bloccare il chiavistello in caduta. 303 – Simile al precedente, ma con sezione maggiore; ritorto nell’uso. Per. I A (att. 138).
Oggetti di arredo ed uso domestico Borchie 304 – Larga testa a calotta e stelo a sezione quadrata; bronzo. Per. 0 (att. 99). Probabile l’uso come decorazione per mobilio ligneo. Appliques e placche –
Lamina bronzea elegantemente decorata a sbalzo da un motivo a losanghe; la decorazione è costituita da una serie di rombi che presentano ciascuno una piccola rosetta quadrilobata inscritta, tutto su di uno sfondo puntinato (fig. 55, 1). Per. I C (att. 69). [185]
–
Probabilmente faceva parte di una decorazione di mobilio ligneo, forse dello stesso genere di quello della placca Crypta Balbi 3, n. 1037. Applique bronzea, probabilmente con funzione di chiusura, a forma di conchiglia; al centro un foro, con tracce di ferro ossidato, rivela la presenza del chiodo che la bloccava (fig. 55, 2). Per. I A (att. 40).
Posate –
305 – 306 –
307 – 308 – 309 – 310 –
Manico di bronzo a sezione quadrata terminante con una modanatura e una decorazione a forma di pigna (fig. 55, 3). Per. 0 (att. 99). Cucchiaino: manico di bronzo a sezione quadrata terminante con una modanatura, cavo ovale (fig. 56, 1). Per. I B (att. 137). Manico di coltello: la parte interna, in bronzo, ha sezione circolare e termina ad un’estremità con modanatura e decorazione a forma di pigna e all’altra con incavo per incassatura nella lama in ferro; il manico è rivestito da due lastrine cilindriche in osso con quattro fori per l’incasso; sulle superfici sono incise linee verticali e, in una di esse, è graffito il nome ANA (fig. 56, 3). Per. I B (att. 137). Con ogni probabilità queste posate fanno parte di un servizio caratterizzato dalla decorazione terminale a forma di pignetta; ne possediamo sette cucchiai e due coltelli. I cucchiai sono simili a Crypta Balbi 3, n. 1038 e ad un tipo rinvenuto a Pavia e datato al XVI secolo (WARD PERKINS 1978, p. 131, n. 1, fig. 29). In base al contesto stratigrafico di provenienza è possibile ipotizzare che si tratti di un servizio in uso durante i primi anni di vita del Conservatorio. Cucchiaino o spatolina: manico in bronzo a sezione circolare terminante con un uncino (probabilmente per essere appeso). Per. I A (att. 138). Forchetta: parte terminale di forma convessa con quattro denti appuntiti, priva del manico; bronzo. Per. III (att. 47). Coltello: manico di forma arrotondata leggermente allargato verso il fondo e lama con un solo taglio, spezzata, stampati e poi saldati insieme; ferro. Per. 0 (att. 99). Simile a Crypta Balbi 3, n. 1041. Coltello in ferro molto ossidato, di forma simile al precedente, ma con manico, non conservato, in altro materiale; rimangono parte della lama e l’inizio dell’immanicatura. Per. I A (att. 138).
Forbici 311 – Forbici in ferro, forse cesoie da sarto, con larga lama saldata ad una presa ad anello di diametro molto ridotto; tra i due elementi della presa e la lama sono due taglienti tacche per rompere le parti più resistenti. Per. I A (att. 83). 312 - Cesoie da sarto in ferro, simili alle precedenti, ma con sezione più sottile e anello della presa di diametro maggiore. Per. I C (att. 69). Campanelli –
Piccolo campanello bronzeo a calotta ovoidale, con piccolo appiccagnolo al di sopra, privo del battaglio (fig. 55, 4). Per. I A (att. 138).
Altri oggetti –
Due frammenti di una lastra di ferro, probabilmente una retina-filtro per tombino o vaschetta, con file regolari di fori praticati dal lato concavo verso quello convesso, che producono taglienti escrescenze sulla superficie (fig. 55, 5). Per. I A (att. 83).
313 – Elemento in ferro, molto ossidato, a forma di grande amo, con un anello ovoidale in cima per legarvi una corda. Per. I C (att. 69). Si tratta probabilmente di un arpione da pozzo o da camino, utilizzato per agganciare il secchio o il paiolo alla fune. [187] 314 – Staffa di ferro con i fori per i chiodi, terminante con un gancetto. Per. 0 (att. 99). Probabilmente si tratta della staffa che collegava un secchio di legno al suo manico. Per. 0 (att. 99). – Spillone o spatolina di bronzo con l’estremità appiattita e forata (fig. 55, 6). Per. 0 (att. 99). Si tratta probabilmente di uno spillone per acconciature o, forse, di un accessorio per il trucco; un esemplare simile è in Crypta Balbi 3, fig. 131, n. 10. – Spillone o grande ago di bronzo con traccia di piccola immanicatura individuabile tramite un netto restringimento dello stelo (fig. 55, 7). Per. I A (att. 83). 315 – Ago bronzeo con testa a calotta generata dalla contemporanea fusione di due tondini. Per. 0 (att. 99). Un esemplare analogo è in Crypta Balbi 2, n. 274. 316 – Ago bronzeo con testa sferica e stelo terminante a doppia punta, forse dovuta allo sfaldamento del bronzo. Per. 0 (att. 99). 317 – Coperchietto di bronzo o base di bottiglia di forma cilindrica con parete esterna decorata a linee incise e trattini paralleli alternati. Per. 0 (att. 99). Accessori per il vestiario Fibbie 318 – Fibbia per cintura in bronzo formata da due lastrine ripiegate, con estremità forate per l’aggancio alla stoffa; la parte piana è decorata da una serie di linee rette e ondulate formate da punti incisi; le estremità sono a dentelli (fig. 56, 4). Per. 0 (att. 99). 319 – Fibbia di ferro a doppia staffa, di forma rettangolare con un nastro di cuoio legato ad ogni staffa. Per. I A (att. 138). Può trattarsi sia di una fibbia per scarpa (LACROIX 1851, pp. 96-97) simile a [188] modelli databili alla seconda metà del XVIII secolo, che di un elemento per cintura (ANDREWS 1977, pp. 192-194, fig. 32) di cronologia piuttosto incerta, ma posteriore alla fine del XV secolo. Medagliette devozionali –
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Medaglietta ovale in ottone, coniata, con appiccagnolo trasversale. Sul dritto, molto corroso, sembra di vedere un personaggio stante con un grande vestito a forma di triangolo, forse interpretabile come una Madonna lauretana, coperta dalla rituale veste detta “dalmatica”; sul retro è raffigurata la Madonna Immacolata, volta di tre quarti, in piedi sulla mezzaluna e sul mondo, radiata, nimbata di sette stelle, con le mani giunte sul petto in preghiera (fig. 55, 8). Per. VI B (att. 3). Per l’iconografia della Madonna lauretana cfr. GRIMALDI 1977, tavv. 1, 3, 5, 7, 9. La medaglietta trova confronti, per dimensioni e raffigurazione, in esemplari datati al XVIII secolo (CORRAIN-ZAMPINI 1973, nn. 89 e 122), che però mostrano sull’altra faccia rispettivamente la Madonna del Rosario con Bambino in braccio ed un ostensorio. Fanno spesso parte dell’iconografia della Madonna Immacolata il serpente sotto i piedi e le nubi intorno (ibid., nn. 6, 12, 21, 25, 38, 60, 61, 67, 96, 98, 115, 141, 167, 195, 197, 234, 236, 243), che qui tuttavia non sono visibili, probabilmente per il cattivo stato di conservazione della medaglietta. Medaglietta circolare in ottone con appiccagnolo trasversale, molto corrosa; sul dritto profilo del Redentore con lunga chioma fluente e corona di spine; sul rovescio figura femminile velata molto evanescente, vista di tre quarti, piegata leggermente in basso verso sinistra (fig.
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55, 9). Per. VI B (att. 3). Per l’iconografia del Redentore cfr. CORRAIN-ZAMPINI 1973, p. 62, n. 208 e GRIMALDI 1977, pp. 36 e 79, n. 139/A, tav. 8, n. 139; l’esemplare riportato da Grimaldi è datato al XVIII secolo, ma, a differenza del nostro, raffigura il Redentore con il nimbo invece che con la corona di spine. Per il rovescio di questa medaglietta è possibile ipotizzare l’immagine della Madonna con il Bambino in braccio (CORRAINZAMPINI 1973, p. 12, n. 3 - ma con la Madonna volta a destra - e p. 67, n. 224, che prende a modello la Madonna della Seggiola di Raffaello), [189] Medaglietta circolare “incusa” – o applique di elemento ligneo – in ottone, lavorata a stampo, mancante di parte del contorno e dell’appiccagnolo; raffigura una Madonna con Bambino, entrambi coronati e con nimbo di sette stelle sopra le teste, su di un alto podio, ove è scritto «AVE MARIA». Ai due lati del podio sono due santi in abiti sacerdotali, un uomo a sinistra e una donna a destra, inginocchiati nell’atto di ricevere il rosario dalle mani della Madonna e del Bambino (fig. 55, 10). Per. VI C (att. 1). L’iconografia è derivata da quella del noto dipinto della Madonna del Rosario di Pompei, con S. Domenico a sinistra e S.Caterina da Siena a destra, ispirato ad un’opera del Sassoferrato (1640-1643) conservata in una cappella di S.Sabina a Roma. Il dipinto fu acquistato da un antiquario per poche lire da Bartolo Longo, il fondatore del Santuario Vesuviano, ed esposto nella cittadina dal 13 novembre 1875; dalla venerazione di quest’immagine sorse poi il santuario di Pompei. Riproducendo l’immagine della “taumaturgica” Madonna di Pompei, la medaglietta si dovrà datare tra lo scorcio del XIX secolo e l’inizio del XX.
Anelli 320 – Anello di bronzo liscio internamente e decorato da cinque nervature a rilievo esternamente. Per. I A (att. 138). Utensili vari Ferri di cavallo 321 – Sezione spessa e larga, ampio diametro, sono visibili i fori per i chiodi. Per. I C (att. 69). 322 – Come il precedente, ma di dimensioni minori, molto consumato. Per. I A (att. 83). 323 – Ferro ricurvo e tagliente sul lato convesso. Per. I C (att. 51). Potrebbe trattarsi anche di un utensile da taglio, ma è più probabile l’interpretazione come ferro di cavallo. Sono stati rinvenuti, inoltre, due chiodi del tipo Crypta Balbi 3, 1033, interpretabili come chiodi per ferrare i cavalli. Per. III (att. 19) e V (att. 10). Attrezzi da lavoro e armi 324 – Corta immanicatura con terminazione ritorta e saldata a formare un cerchietto (per il perno che bloccava il rivestimento del manico). Per. 0 (att. 99). 325 – Grande pala di ferro molto ossidata, in quattro frammenti, di forma tendente al triangolare, leggermente concava, con piccola costolatura centrale; l’immanicatura è cava per fissarvi l’asta lignea. Per. I A (att. 138). La pala proviene dalla grande fossa di spoliazione scavata a ridosso del muro diametrale dell’esedra antica in concomitanza con le prime
operazioni di edificazione del Conservatorio di S. Caterina, alla metà del XVI secolo. Si può pensare pertanto ad un utensile utilizzato proprio per lo scavo o il reinterro della buca e probabilmente gettato - in seguito alla rottura - nel riempimento della fossa. [Giandomenico Spinola, Leonella Tesei] [191]
Prodotti laterizi
I muretti di contenimento, le aiuole, le opere di canalizzazione e le altre strutture murarie rinvenute nel settore settentrionale del giardino del Conservatorio hanno restituito in prevalenza laterizi la cui tipologia era già stata individuata tra i reperti dell’area precedentemente scavata (cfr. Crypta Balbi 3, pp. 590 ss.). In questa sede ci occuperemo esclusivamente dei mattoni poiché il restante materiale edilizio (tegole, coppi, ecc.) è stato rinvenuto in condizioni di tale frammentarietà da rendere impossibile una integrazione dei dati già forniti in Crypta Balbi 3, pp. 590 ss. Per quanto riguarda le malte, invece, è stata eseguita ed archiviata una campionatura seguita dalla schedatura dei frammenti secondo i criteri che avevano regolato l’analisi delle malte dell’intera area del giardino. Gli unici due tipi di mattone nuovi rispetto ai 9 già descritti in Crypta Balbi 3, p. 590 provengono dalla terra di riempimento di una fossa di età molto recente (tipo 10) e da un pavimento (tipo 11). Si è ritenuto più opportuno proseguire la numerazione adottata in Crypta Balbi 3 per rendere più semplice l’utilizzazione di questi dati; si è ritenuto inoltre necessario ampliare la descrizione del tipo 8, e fornire alcuni dati nuovi sui tipi 1 e 2. 1. 2.
8.
10. 11.
Sembra trattarsi di uno dei tipi più antichi e quindi più frequentemente utilizzati nelle prime fasi costruttive del Conservatorio; è inoltre quasi totalmente assente dai contesti successivi al XVII secolo. Mancano esemplari integri. Cm. 26,5/26,8 x 13,5 x 3/3,5. La cronologia di questo tipo di mattone – anch’esso molto utilizzato nelle strutture murarie più antiche – è fissabile per lo meno a partire dalla metà del XVI secolo poiché è attestato in un pavimentino (att. 30, US 416, fig. 26) relativo al periodo I B obliterato nella fase immediatamente successiva dalla costruzione di un nuovo corpo di fabbrica; la sua presenza nelle attività del periodo 0, comunque, può far pensare anche ad una datazione più alta. Cm 31/31,7 x 14,7/15 x 2,8/3,2; queste misure trovano un confronto piuttosto preciso con la pianella da 17 once (SCAVIZZI 1983, p. 33, tabella 3). La cronologia di questo tipo può essere fissata a partire dalla seconda metà del XVI secolo poiché gli esemplari più antichi provengono dalle terre di riempimento di una grande fossa praticata a ridosso del muro diametrale dell’esedra antica nel momento della costruzione del Conservatorio. Cm 13 + x 13,5 x 3, con bollo 1. Per. IV (att. 22, US 757). Cm 26,5/27 x 13/13,4 x 2/2,5, faccia superiore arrotondata. Per. V (att. 110, US 738).
Nella tabella che segue sono stati riportati i dati relativi ai periodi di vita del Conservatorio in cui sono stati rinvenuti – nell’intera area del giardino – gli undici tipi di mattone; si è preferito comunque mantenere distinti i dati dell’a-. rea centrale e meridionale da quelli della zona settentrionale. [192] Bolli laterizi Da questo settore dello scavo proviene un solo bollo laterizio: – Bollo a lettere cave in cartiglio ellittico; assi cm 7 e cm 5,2; lett.cm. Mattone di tipo 10. Per. IV (att. 128, US 757). BERNARDO/[ROMA]/[TANLON]GO È stato possibile integrare il testo grazie ad altre attestazioni dello stesso bollo provenienti da un’altra area dello scavo (saggio V, US 270 e 273), il cui materiale è attualmente in corso di studio. Il sigillo è molto simile a quelli di altri laterizi prodotti tra XIX e XX secolo e rinvenuti in diversi settori del cantiere (Crypta Balbi 3, p. 72, figg. 3, 4, 7). Una datazione del bollo alla fine del XIX secolo è confortata dal contesto di provenienza sia del nostro esemplare che di quelli del saggio V, nonché dai dati relativi al personaggio citato nel bollo (fig. 57). [193] [Stefano Dalle Luche]
I reperti faunistici
Il presente studio dei reperti osteologici si ricollega strettamente a quanto pubblicato in Crypta Balbi 3, pp. 619-627, e ne costituisce il completamento. Il campione faunistico qui esaminato è composto di 5.306 resti, dei quali 1.471 (pari a circa il 30% del totale) identificabili, appartenenti in massima parte ai due periodi più antichi (tabella 1). Come già evidenziato in Crypta Balbi 3, p. 619, una notevole parte del materiale proviene da unità stratigrafiche non sigillate, e comprende quindi reperti residui ed estranei che possono aver inquinato le composizioni originarie dei diversi livelli. Si può però notare che per quanto riguarda il periodo I, più rappresentativo degli altri poiché ha restituito un numero molto maggiore di reperti, la composizione quantitativa dei diversi contesti sigillati (tabella 2 ) concorda sostanzialmente con quella ricavata dall’intera stratigrafia del giardino relativa a questi due periodi (tabella 1), indicando così che i reperti estranei non hanno variato in modo sensibile la composizione quantitativa della fauna, soprattutto per quanto riguarda le specie più importanti. La scarsa corrispondenza dei dati relativi ai contesti sigillati del periodo I con quelli della coeva attività 136 (riempimento di un pozzo; Crypta Balbi 3, p. 622) dipende invece molto probabilmente soltanto dalla particolare composizione di quest’ultima, caratterizzata da un’elevata quantità di resti di avifauna e da un basso numero di resti di bovini. Si è tuttavia ritenuto preferibile limitare lo studio archeozoologico dei reperti provenienti dal giardino alla sola analisi quantitativa dei dati, estendendolo, limitatamente alle attività stratigrafiche sigillate del periodo I ed alle specie domestiche più frequenti, al. rilievo dei principali dati osteometrici e alla determinazione dell’età di morte (secondo BARONE 1980), (questi dati, qui non riportati per esigenze di spazio, sono stati depositati in archivio). La maggior parte del materiale studiata è costituito da resti di pasto e rifiuti di cucina (come indicato dall’elevato grado di frammentazione delle ossa, dalla frequenza di tagli di macellazione e di tracce di scarnificazione, dalla presenza di qualche reperto calcinato o bruciato); pochi frammenti appartengono ad animali non usati nell’alimentazione, ma rimasti in modo fortuito all’interno dei depositi, quali il cane, il gatto, la volpe, il ratto e l’arvicola. Da due contesti non sigillati relativi al periodo 0 (att. 9 9 e 4 8 ) provengono inoltre gli scheletri quasi completi di un bovino e di un asino (figg. 5 8 - 5 9 ) , entrambi soggetti adulti, con epifisi delle ossa lunghe e corpi vertebrali completamente saldati, le cui età di morte, stabilite in base al grado di usura dei denti incisivi, sono state stimate in circa 9 - 1 0 anni per il bovino e in circa 10 per l’asino. Queste età così avanzate rispetto a quelle degli abituali resti faunistici rinvenuti negli scavi possono essere spiegate ammettendo che essi siano stati utilizzati per il lavoro (trazione) e, morti probabilmente in seguito a malattie, interrati intenzionalmente nell’area del giardino, in condizioni di abbandono in un momento immediatamente precedente la costruzione del Conservatorio di S. Caterina. Lo scheletro dell’asino, privo soltanto di alcune falangi, è stato rinvenuto [195] sino, privo soltanto di alcune falangi, è stato rinvenuto in deposizione primaria, come attestato dalla connessione anatomica di tutte le ossa e dalla sua stessa posizione, coricata sul fianco destro, con il collo ed il capo ruotati all’indietro e le zampe piegate in corrispondenza delle articolazioni del gomito e del ginocchio, forse per adattarlo ad una buca troppo piccola rispetto alle dimensioni della carcassa. I resti del bovino, tra i quali non sono conservati il cranio, gran parte [196] della mandibola, alcune ossa carpali, tarsali, falangi, e le ultime vertebre caudali, erano invece disposti alla rinfusa, solo in parte in connessione anatomica, in evidente deposizione secondaria. Si può ipotizzare che la carcassa, precedentemente interrata in quest’area, sia stata riportata alla luce, già scarnificata ma con le ossa almeno in parte ancora connesse, nel corso dei lavori che interessarono l’area in occasione dell’impianto del giardino, e che le ossa siano state raccolte e reinterrate. Nella tabella 1 è riportato l’insieme delle specie identificate nel campione faunistico. Il confronto con l’analoga tabella 1 di Crypta Balbi 3, p. 620, relativa a materiale proveniente dallo stesso giardino, mostra una buona corrispondenza nella composizione delle associazioni datate al XVI-XVII secolo (per. 0 e I) anche se le frequenze delle varie specie sono un po’ diverse. Sommando i dati relativi ai reperti provenienti dall’intera area del giardino del
Conservatorio di S. Caterina (tabella 3) si osserva che i risultati complessivi così ottenuti non si discostano da quelli ricavati nel lavoro precedente, almeno per quanto riguarda le specie più abbondanti. Si registrano soltanto differenze di leggerissima entità riguardo ai suini ed ai bovini, che però, passando dal periodo 0 al I, subiscono variazioni di entità minore di quelle che risultavano dai soli dati di Crypta Balbi 3. I dati complessivi confermano una variazione nella frequenza dei resti delle specie più comuni che può essere così sintetizzata: prima metà del XVI secolo (per. 0): gli ovicaprini rappresentano la specie più numerosa (oltre il 40% dei frammenti), e sono seguiti dai suini (circa il 27%) e dai bovini (circa il 17% del totale); XVI-XVIII secolo (per. I-I11): gli ovicaprini sono leggermente diminuiti rispetto al periodo precedente, mentre i suini sono rimasti su valori quasi costanti ed i bovini sono aumentati (entrambi sono presenti in quantità comprese tra il 20 e il 28% del totale, e quasi uguali tra loro; XIX-XX secolo (per. IV): i bovini subiscono un forte incremento, diventando la specie più frequente (circa il 38% dei resti) mentre i suini rimangono costanti (circa il 23%) e gli ovicaprini diminuiscono bruscamente, passando al 28% circa del totale. È inoltre da notare che gli equini e l’avifauna (rappresentata quasi esclusivamente dal pollame e solo sporadicamente dalle oche) sono numericamente molto scarsi in ogni periodo, non superando rispettivamente l’ l, l % e il 7,1 % del totale dei frammenti identificabili. Riassumendo, sembra quindi che nell’area del giardino del Conservatorio, passando dal XVI secolo ai successivi, gli ovicaprini abbiano perduta progressivamente importanza, a vantaggio soprattutto dei bovini. Un risultato analogo era stato ottenuto da Barker e Wheeler nello studio dei reperti osteologici provenienti da un altro contesto urbano: la Torre Civica di Pavia (BARKERWHEELER 1978, pp. 249-266). In questo insediamento le fasi corrispondenti al XVI secolo, e quindi al periodo 0 dell’area del giardino del Conservatorio, sono caratterizzate dalla particolare frequenza degli ovicaprini, mentre in quelle successive (post XVI secolo) i suini ed i bovini assumono maggior rilievo rispetto ad essi, con una leggera differenza rispetto al giardino (per. 1-IV), nel quale i suini si mantengono su valori costanti. Anche se le numerose differenze ambientali, culturali, geografiche e socioeconomiche esistenti tra i due insediamenti, e la mancanza di dati bibliografici [197] relativi ad altri analoghi contesti urbani impongono molta cautela, si può, almeno per il momento, ipotizzare che le analogie esistenti tra le due associazioni faunistiche non riflettano una semplice coincidenza, ma possano essere forse messe in relazione con qualche cambiamento di vasta portata verificatosi nell’economia postmedievale italiana, che può aver determinato una progressiva variazione nel tipo dei consumi alimentari, almeno dal punto di vista della qualità di carne usata più frequentemente. Considerando le quantità di carne commestibile fornite dalle specie di più frequente uso alimentare (pollame, suini, ovicaprini, bovini, equini), dall’analisi [198] dei reperti dell’intera area del giardino (tabella 4) si possono trarre le seguenti conclusioni: i bovini forniscono in tutti i periodi la maggiore quantità di carne, che varia da un minimo del 61,1% (per. 0) ad un massimo dell’81,3% (per. IV); i suini e gli ovicaprini sono costantemente equivalenti tra loro e danno, considerati insieme, una quantità di carne molto minore di quella bovina: nel periodo 0 essa è circa 2/3 di quest’ultima; nei periodi I-III corrisponde a circa 1/3 di essa, e nel IV a circa 1/5; gli equini ed il pollame danno un apporto in carne sempre molto limitato, i primi intorno all’1-2%, i secondi al massimo allo 0,05%, per cui la loro rilevanza nell’alimentazione appare del tutto trascurabile.[199] I risultati ottenuti dall’esame dei reperti osteologici concordano notevolmente con le informazioni sull’uso dei diversi tipi di carne riportate nella «tariffa delle porzioni fisse assegnate, per il Vitto, e Mantenimento Cibario delle RR. Monache e Zitelle Alunne del V. Monastero di S. Caterina
della Rosa» (Costituzioni 1785, pp. 179-182). La «tariffa» prescriveva infatti il consumo di carne ovina (agnello e castrato) da Pasqua a S. Giovanni, e di carne bovina («Vitella Capareccia») da S. Giovanni a Carnevale, oltre che durante tutto il corso dell’anno per le alunne e le monache ammalate o vecchie, e questi dati ben si accordano con i valori percentuali delle quantità di carne dedotti in base all’esame dei reperti archeologici e riportati nella tabella 4. I dati ricavati dalla fusione delle epifisi delle ossa lunghe e dall’usura dei denti definitivi sembrano inoltre indicare, per i resti di bovini rinvenuti nei contesti sigillati del periodo I, il consumo prevalente di carne appartenente a soggetti adulti macellati tra i 2 anni e mezzo e i 4; un solo dente incisivo (un secondo mediano quasi livellato) appartiene con certezza ad un individuo più vecchio, di circa 8 anni d’età. Non mancano infine alcuni resti che attestano la presenza di soggetti molto giovani, uccisi prima degli 1-2 anni. Risultati analoghi erano già stati ottenuti per il contesto dell’attività 136 (Crypta Balbi 3, pp. 623-624), dal quale però non risultava, a causa probabilmente della scarsità dei resti di bovini, il gruppo degli animali più giovani, minori di 1-2 anni. Sono presenti tutti i tipi delle ossa dei bovini; sono tuttavia più frequenti, a parte i denti liberi, le tibie, le ossa carpali e tarsali – soprattutto l’astragalo e il calcaneo – ed i metapodi. Sembra quindi che i tagli di carne più usati siano stati quelli corrispondenti alle zampe (rappresentate da astragalo, calcaneo, altre ossa tarsali e carpali, metapodi, falangi, estremità distali di radio e tibia) che attualmente sono impiegate per la preparazione di spezzatino, bollito e brodo. Sono comuni infine, tra i resti delle ossa lunghe, le parti corrispondenti alle articolazioni del gomito e del ginocchio, usate anch’esse soprattutto per la preparazione del brodo. Nel campione archeologico gli ovicaprini sono rappresentati sia dalle pecore che dalle capre, queste ultime meno frequenti. I dati relativi all’età di morte di questi animali indicano, come nel contesto (att. 136) studiato in Crypta Balbi 3, p. 623, un consumo preferenziale di animali piuttosto giovani, compresi in maggior parte tra 1 anno e i 2 e mezzo-3, e soprattutto tra 1 e 2 anni. Alcuni reperti, provenienti da individui minori di un anno di età, talvolta uccisi nei primi 3-5 mesi di vita, testimoniano il consumo degli agnelli e dei capretti di latte; pochi altri indicano invece quello di soggetti maggiori di 2 anni e mezzo di età, che forniscono una qualità di carne senz’altro di minor pregio. Anche nel caso degli ovicaprini sono presenti tutti gli elementi scheletrici appartenenti sia all’arto posteriore che a quello anteriore. L’abbondanza di resti di mandibole, di parti di cranio e delle ossa metacarpali, metatarsali e delle falangi indica anche il frequente consumo delle teste e delle zampe degli ovicaprini, che danno tagli di minore qualità. I suini sembrano invece un pò sovrarappresentati nel campione faunistico rispetto alla «tariffa», che prevedeva il consumo della loro carne solo alla domenica ed al giovedì sera come prosciutto, ed occasionalmente in sostituzione del pesce come «salume». Questo potrebbe dipendere però solo dalla maggiore fragilità delle ossa di questi animali, che, nelle stesse condizioni ambientali, si frammentano in misura molto più elevata di quelle delle altre specie, quali ad esempio i bovini e gli ovicaprini. Relativamente all’età di morte dei suini si rileva [200] che la maggior parte dei reperti appartiene a soggetti compresi tra 1 e 3 anni e mezzo d’età, adulti ma ancora giovani. Pochi resti provengono da porcellini di età inferiore a 5-6 mesi, consumati probabilmente come «porchetta», un solo frammento, infine, attesta la presenza di un soggetto più vecchio, maggiore di 3 anni e mezzo d’età. Una analoga conclusione era già stata tratta, per il XVIXVII secolo in Crypta Balbi 3, p. 623, ma nel contesto dell’att. 136 non compariva il gruppo degli animali minori di un anno d’età. Sono attestati tutti i tipi delle ossa dello scheletro dei suini in proporzioni quasi equivalenti, a dimostrazione dell’uso di tutti i tagli di carne suina, probabilmente sia fresca che conservata e salata, dalla testa (anche per l’estrazione del cervello e della lingua), alle zampe (preparazione dello «zampone»), ai quarti anteriori («spalla») e ai posteriori (prosciutto), forse con una leggera preferenza per questi ultimi. Inversamente a quanto osservato per i suini, il pesce, che dalla «tariffa» sembra aver rivestito una notevole importanza nella dieta, essendo consumato da monache e alunne al venerdì, nelle vigilie, di Quaresima e Tempora, è invece scarsissimo nel campione archeologico, ma molto probabilmente solo a causa della fragilità e delle piccole dimensioni dei suoi resti, che sfuggono facilmente alla raccolta manuale senza l’ausilio della setacciatura. La scarsa importanza della carne del pollame, addirittura non menzionata nella «tariffa», trova
riscontro nel basso numero di reperti appartenenti a questi animali. Il pollame, in prevalenza adulto e di sesso femminile, come indicato dall’analisi dei metatarsi, costituisce la maggior parte dell’avifauna, rappresentata, in misura molto minore e solamente nel periodo 0, anche dalle oche. Esso era allevato nel Conservatorio di S. Caterina della Rosa all’interno di apposite strutture (Crypta Balbi 3, p. 67), i «gallinari» ed i «pullari» ricordati da documenti del XVII e XVIII secolo, essenzialmente per la produzione delle uova, il cui consumo, abbondantemente previsto dalla «tariffa» del 1785, doveva essere molto comune anche nel XVI secolo. La carne di pollo doveva invece essere consumata solo eccezionalmente, in occasione dell’uccisione di esemplari vecchi o non più atti alla produzione delle uova. La particolare abbondanza delle ossa di pollo appartenenti all’arto posteriore può dipendere solo dalla migliore e più frequente conservazione dei femori, delle tibie e dei metatarsi, che sono le ossa più grandi e più robuste dello scheletro degli uccelli, e non da un consumo preferenziale di queste parti. Accanto a questi animali, che costituivano le maggiori risorse alimentari, sono presenti nel campione faunistico, anche se in quantità poco rilevanti, i resti di altri il cui consumo alimentare, peraltro non documentabile con certezza nella maggior parte dei casi, doveva essere del tutto occasionale. È il caso degli equini, rappresentati sia dal cavallo che dall’asino, la cui scarsità dei reperti non ne permette né la determinazione precisa dell’età di morte né il riconoscimento delle eventuali preferenze rispetto ai tagli di carne, dei mammiferi selvatici quali la lepre, l’istrice, la volpe, il cervo, la cui rarità ben si accorda con le caratteristiche di questo insediamento nel periodo in esame, dei molluschi, comprendenti soltanto specie commestibili, sia marine (tra le quali è frequentissima la «tellina» Donax trunculus) che terrestri (i cui gusci potrebbero però appartenere ad individui vissuti e morti nell’area del giardino). La tartaruga può essere stata usata nell’alimentazione (i frammenti disarticolati del guscio potrebbero indicarne lo “smontaggio” per la preparazione della zuppa: (BECK-BOSSARD 1981, p. 317) oppure, più probabilmente, mantenuta in [201] in cattività all’interno del giardino per l’eliminazione di lumache, chiocciole ed insetti. Non mancano infine i resti di animali non legati a scopi alimentari, la cui presenza all’interno del Conservatorio di S. Caterina appare del tutto naturale: il cane e il gatto, usati come animali da compagnia o, più probabilmente, rispettivamente per la guardia e per la caccia ai topi; l’arvicola, un roditore che vive all’interno dei giardini; il ratto nero, documentato però solo nel periodo 0, temibile parassita delle abitazioni.[202] [Elena Bedini]
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