Medicina dell’età prenatale Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
ANTONIO LUCIANO BORRELLI • DOMENICO ARDUINI ANTONIO CARDONE • VALERIO VENTRUTO
Medicina dell’età prenatale Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche 2a ed.aggiornata e ampliata
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ANTONIO L. BORRELLI
ANTONIO CARDONE
Centro di Diagnosi Prenatale Dipartimento di Scienze Ginecologiche, Ostetriche e della Riproduzione II Università degli Studi di Napoli Napoli
Dipartimento di Scienze Ginecologiche, Ostetriche e della Riproduzione II Università degli Studi di Napoli Napoli
DOMENICO ARDUINI
VALERIO VENTRUTO Istituto Internazionale di Genetica e Biofisica
Dipartimento di Chirurgia Area Ostetrico Ginecologica Università degli Studi “Tor Vergata” Roma Ospedale Fatebenefratelli Roma
CNR Napoli
Disclaimer: This eBook does not include the ancillary media that was packaged with the original printed version of the book. In allegato: CD contenente 3.288 disordini genetici e 22 raggruppamenti delle principali patologie fetali, presentati in shorts reports
La prima edizione dell’opera è stata pubblicata da Idelson-Gnocchi nel 2002.
ISBN 978-88-470-0687-4 e-ISBN 978-88-470-0688-1 Springer fa parte di Springer Science+Business Media springer.com © Springer-Verlag Italia 2008 Quest’opera è protetta dalla legge sul diritto d’autore. Tutti i diritti, in particolare quelli relativi alla traduzione, alla ristampa, all’utilizzo di illustrazioni e tabelle, alla citazione orale, alla trasmissione radiofonica o televisiva, alla registrazione su microfilm o in database, o alla riproduzione in qualsiasi altra forma (stampata o elettronica) rimangono riservati anche nel caso di utilizzo parziale. La riproduzione di quest’opera, anche se parziale, è ammessa solo ed esclusivamente nei limiti stabiliti dalla legge sul diritto d’autore ed è soggetta all’autorizzazione dell’editore. La violazione delle norme comporta le sanzioni previste dalla legge. L’utilizzo in questa pubblicazione di denominazioni generiche, nomi commerciali, marchi registrati, ecc. anche se non specificamente identificati, non implica che tali denominazioni o marchi non siano protetti dalle relative leggi e regolamenti. Layout di copertina: Simona Colombo, Milano Impaginazione: Graficando, Milano Stampa: Printer Trento, Trento Stampato in Italia Springer-Verlag Italia S.r.l., Via Decembrio 28, I-20137 Milano
Presentazione della Seconda Edizione La medicina dell’età prenatale è a pieno diritto diventata parte integrante della cultura ostetrica, assumendo un ruolo preminente, anche in considerazione dei progressi compiuti negli ultimi anni sia dalle tecniche di imaging fetale sia dalle metodiche biochimiche che di biologia molecolare. Cultura, ricerca, valutazione critica dei risultati insieme a esperienza maturata sul campo, intuizione clinica e audacia di voler osare sono gli strumenti necessari e indispensabili per raggiungere risultati importanti e a volte sorprendenti in tale ambito della medicina. È questo infatti un settore sul quale convergono le attenzioni della ricerca clinica e di base, e con cui, con pari dignità, si confrontano le arti mediche più varie, l’etica, le tradizioni popolari fatte spesso di antiche e sagge credenze, la giurisprudenza e la politica. La gestione della gravidanza, del travaglio, del parto e del puerperio sono sempre stati affidati al sapere e al saper fare del professionista ginecologo. Gli impressionanti progressi della tecnologia hanno sicuramente migliorato le possibilità di controllo del benessere fetale nel corso della gestazione e durante le varie fasi del travaglio e del parto. Il poter verificare in qualsiasi momento parametri come l’attività cardiaca fetale, la Doppler velocimetria e quindi le resistenze vascolari a livello del circolo materno e di quello placentare nonché la possibilità di avere dati sull’ossimetria fetale in corso di travaglio, insieme ai progressi delle tecniche di rianimazione e assistenza neonatale soprattutto nei prematuri estremi, rappresentano sicuramente passi in avanti impressionanti rispetto a quello che potevano fare i nostri predecessori, spesso costretti a vivere cocenti delusioni anche a fronte di un operato tecnicamente e culturalmente irreprensibile. Tuttavia, alcuni risultati e alcuni indici di rischio non sono cambiati nel tempo secondo le aspettative o, meglio ancora, non sempre il nostro deflagrante impatto culturale scientifico è in grado di cambiare la storia evolutiva di patologie caratteristiche dell’età perinatale e pediatrica. Un tempo era impensabile fare diagnosi in utero di cardiopatia congenita o di malformazione cerebrale o di ernia diaframmatica ecc., così come poco o nulla si sapeva circa il diabete e la sua caratteristica comparsa nel corso della gravidanza e ancora di patologie immunitarie, di genetica della trombofilia, di poliabortività, di malformazioni uterine ecc. Ma, riflettendo con attenzione, è realmente cambiata l’incidenza di queste patologie o siamo stati noi a spingere ad accanirsi verso il raggiungimento dell’“obiettivo vita” magari ad ogni costo o verso la selezione sistematica di soggetti affetti da patologia più o meno grave e più o meno com-
patibile con la vita stessa? E poi, magari dopo anni, siamo tornati sui nostri passi, alla luce di osservazioni ripetute sulla qualità di vita di neonati strappati alla morte con funambolismi tecnici ma segnati a vita da handicap enormi e devastanti o constatando che per alcune patologie esistono messaggi di speranza, di terapia e di guarigione prima impensabili. In tale contesto giunge attesa e gradita la seconda edizione ampliata e aggiornata del volume Medicina dell’età prenatale, arricchita di nuovi capitoli, rinnovata nella veste tipografica e nei contenuti, rianalizzati con equilibrio alla luce delle più recenti acquisizioni scientifiche. Un plauso quindi agli Autori e a tutti coloro che insieme a loro hanno collaborato fra mille impegni per voler ancora una volta riaffermare che la crescita culturale è segnata non solo da momenti di grande progresso tecnologico ma anche da riflessioni attente su quanto si può e si deve fare o a volte non fare. Roma, 13 luglio 2007
Prof. Massimo Moscarini Professore Ordinario di Ginecologia e Ostetricia Direttore del Dipartimento di Scienze Ginecologiche Università di Roma “La Sapienza”
Prefazione alla Seconda Edizione Questa seconda edizione del testo di Medicina dell’età prenatale nasce sia per la necessità di aggiornare quanto già trattato nella prima edizione, sia dall’esigenza di inserire nel nuovo testo capitoli relativi ad argomenti in precedenza solo accennati. L’ampliarsi delle conoscenze nel campo della prevenzione e della diagnosi precoce delle affezioni embrio-fetali, studi sempre più approfonditi in specifici settori della patologia ostetrica, nonché il perfezionarsi delle tecniche di sorveglianza del benessere fetale, hanno reso necessario il prezioso aiuto di vari esperti nell’elaborazione e trattazione degli argomenti di loro competenza. A tal proposito un doveroso e sentito ringraziamento va ai Professori Moscarini (presidente dell’AGUI), Calabrò, Colacurci, D’Addario, Di Lieto, Di Meglio, Guaschino, Martinelli, Nicolini, Paladini, Palmieri, Petraglia,Vaquero, Zurzolo e ai loro collaboratori che, nella trattazione dei capitoli loro affidati, hanno profuso la loro esperienza e la loro specifica competenza. Si è dato così vita ad un nuovo testo che raccoglie in modo organico le molteplici problematiche della medicina prenatale, il cui obiettivo è la prevenzione, la diagnosi precoce e, ove possibile, il trattamento delle patologie materno-fetali. I primi 5 capitoli, dedicati allo studio ecografico dello sviluppo embriofetale, alle nozioni basilari della genetica medica e alla diagnosi prenatale delle cromosomopatie, sono stati aggiornati ed ampliati. I capitoli dal 6 all’11 sono stati trattati ex novo e riguardano lo studio delle malformazioni dei vari organi ed apparati fetali. I capitoli 12, 13 e 14, anch’essi elaborati ex novo, riguardano gli ormoni feto-placentari, i tumori fetali e le possibili terapie endouterine di talune patologie fetali. Nei capitoli successivi sono state trattate le principali patologie ostetriche e i metodi di monitoraggio delle condizioni fetali, con particolare riguardo alla diagnosi e al trattamento della sofferenza e della restrizione dell’accrescimento fetale. Gli ultimi 3 capitoli sono dedicati all’uso gravidico dei farmaci, alla tossicodipendenza in gravidanza e ai problemi etici e medico-legali in medicina prenatale. Quest’opera, certamente perfettibile, vuole essere un utile e pratico manuale di consultazione per specializzandi e specialisti in Ginecologia ed Ostetricia, per genetisti, neonatologi, infettivologi e soprattutto per quanti vogliano dedicarsi allo studio della medicina prenatale con l’obiettivo di ridurre, per quanto possibile, l’incidenza delle affezioni embriofetali. Un doveroso riconoscimento va ai Dottori Anna Di Domenico, Maria Felicetti, Giuseppe Feroce, Maria Borrelli, Claudio Ferrara e Simona Sorrentino
che hanno fattivamente contribuito alla correzione delle bozze. Va, inoltre, reiterato un ringraziamento particolare ai Sig.ri Francesco, Salvatore e Luigi Carbone della tipografia Alba di Napoli senza la cui disponibilità e pazienza sarebbe risultato molto difficile se non impossibile realizzare questo testo. La più viva gratitudine ed un elogio sentito merita, infine, la casa Editrice Springer-Verlag per aver accolto e curato in ogni sua parte l’opera con professionalità, efficienza ed affettuosa sollecitudine. Napoli-Roma, settembre 2007
Gli Autori
Presentazione della Prima Edizione L’Ostetricia era considerata un’Arte dai nostri Maestri, e probabilmente lo era, un’Arte empirica, affidata alla cultura, alle esperienze, alle intuizioni, all’ispezione critica della gestante da parte del ginecologo durante tutta la gravidanza sino alla gestione del travaglio e all’espletamento del parto. Il destino della gravida e del prodotto del concepimento era tutto nel sapere e nell’operare del ginecologo, affidato alla sua saggezza nel porsi di fronte ai problemi di una madre clinicamente nota e di un feto quasi sconosciuto. Nacque così negli anni ’60 sia da un punto di vista dottrinale sia clinicooperativo, una nuova area di interesse ostetrico: la Puericultura Prenatale, dizione piuttosto ambigua, che tanti malintesi ha generato in campo perinatale e pediatrico-neonatale, in seguito più opportunamente convertita in Medicina dell’età Prenatale, area di esclusivo interesse ostetrico, centrata sullo studio della simbiosi materno-fetale. Oggi con il progresso della scienza e delle tecniche, con l’approfondirsi della ricerca sperimentale e clinica, con l’apporto di sempre più sofisticate ed innovative tecnologie biofisiche e biochimiche, è possibile seguire lo sviluppo morfofunzionale e strutturale dell’innesto gravidico e del prodotto del concepimento fetale durante tutto l’arco gravidico, dall’impianto della blastocisti al travaglio di parto. Per uno come me che è stato da sempre un convinto propugnatore della necessità programmatica di definire l’area culturale “Medicina Fetale” da integrare nella più vasta area di Fisiopatologia Ostetrico-Ginecologica, è stato un vero piacere constatare la realizzazione di un volume di Medicina dell’Età Prenatale aggiornato, completo, dotato di una eccellente iconografia, di facile consultazione per laureandi in Medicina e Chirurgia, in Ostetrica/o, specializzandi in Ginecologia e Ostetricia, per Pediatri neonatologi, Genetisti, Cardiologi pediatri e quanti altri interessati a quest’area di alto interesse scientifico e clinico. Complimentandomi con i tre Autori, che hanno profuso il meglio del loro sapere, dimostrandosi veri cultori della materia, auguro al libro il successo editoriale che certamente merita.
Prof. Ugo Montemagno Ordinario di Ginecologia e Ostretricia fr Università degli Studi “Federico II” Napoli
Prefazione alla Prima Edizione La Medicina dell’Età Prenatale è certamente il campo dell’Ostetricia moderna in più notevole espansione. La rapida diffusione di tecnologie innovative per lo studio del feto in utero e nuove metodiche diagnostiche entrate nella pratica clinica hanno notevolmente ampliato le conoscenze sulla fisiologia e fisiopatologia fetale: il prodotto del concepimento fin dalle prime fasi del suo sviluppo è diventato un “paziente” raggiungibile ed esplorabile, venendosi a realizzare nuove possibilità diagnostiche e terapeutiche del tutto insperate fino a poco tempo fa. Oltre che per l’attualità e il notevole interesse dell’argomento, questo testo nasce come risposta ad una effettiva necessità: quella di riunire in uno stesso manuale nozioni e dati di diversa estrazione, finora dispersi in pubblicazioni e trattati diversi. Si è voluto, quindi, dar vita ad un testo di facile consultazione che raccogliesse in modo organico, ma sintetico e pratico, i vari argomenti di questa nuova branca dell’Ostetricia i cui obiettivi sono la prevenzione, la diagnosi precoce e ove possibile il trattamento delle malattie fetali. I primi 2 capitoli del testo sono dedicati allo studio dello sviluppo embrio-fetale e all’inquadramento dei difetti congeniti. Nel 3° e 4° capitolo sono trattati, in modo semplice ma metodologicamente completo, argomenti talora misconosciuti e spesso dimenticati dai cultori della maleria e cioè i principi generali della genetica applicati alle eredopatie e l’importanza della citogenetica e della genetica molecolare in diagnosi prenatale. Sono successivamente trattate le varie tecniche invasive di diagnosi prenatale, i test di screening e i progressi attuali delle terapie fetali. Nell’8° capitolo, avvalendoci della competenza specifica del Prof. Michele Russo, infettivologo della nostra Facoltà, sono state trattate le malattie infettive di maggior interesse ostetrico, curando soprattutto i protocolli diagnostico-terapeutici. Nei capitoli successivi, accanto alla trattazione di patologie di particolare importanza (diabete in gravidanza, isoimmunizzazione e sofferenza fetale), notevole attenzione è stata dedicata al monitoraggio delle condizioni fetali e al conseguente trattamento ostetrico. Quest’opera certamente incompleta ed ancora perfettibile vuole essere un utile e pratico manuale di consultazione non solo per studenti, medici di base, per specializzandi e specialisti ostetrici, ma anche per genetisti, pediatri neonatologi, infettivologi, diabetologi etc. Nell’elaborazione del manuale ci si è avvalsi anche dell’opera dei colleghi che lavorano nel centro di Diagnosi Prenatale della II Università di Napoli, Carlo Alberto De Leo, Andrea Borrelli, Domenico Labriola, Antonio
Palagiano, Alfredo Laboccetta, Paola Salzano e della dottoressa Maria Luisa Ventruto del BIO. GE.M. di Napoli. Un ringraziamento particolare va ai colleghi Vito S. Zurzolo e Maria Felicetti che hanno fornito l’iconografia ultrasonica e hanno collaborato insieme alla dott.ssa Anna Di Domenico nella ricerca bibliografica e nella correzione delle bozze. Un grazie di cuore va ai Signori Francesco, Luigi e Salvatore Carbone della tipografia Alba di Napoli per la disponibilità e pazienza profuse nella realizzazione delle tabelle e degli schemi esplicativi presenti nel testo. Infine all’editore, dottor Guido Gnocchi, la più viva gratitudine per aver accolto e curato l’opera in ogni sua parte con somma cura e affettuosa sollecitudine.
Napoli-Roma, 2002
Gli Autori
Indice
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XVII
Sonoembriologia e studio ecografico dell’organogenesi embrio-fetale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1
Elenco degli Autori
CAPITOLO 1
A.L. Borrelli, V.S. Zurzolo, M. Felicetti
CAPITOLO 2 Difetti congeniti
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13
A.L. Borrelli, V. Ventruto, P. Borrelli
CAPITOLO 3 ......................
29
Diagnostica prenatale dei difetti congeniti: tecniche invasive e non invasive . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
55
Malattie genetiche nella medicina prenatale M.L. Ventruto, V. Ventruto
CAPITOLO 4
A.L. Borrelli, M. Felicetti, A. Di Domenico
CAPITOLO 5 Screening prenatale, ecografico e biochimico di cromosomopatie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
75
A.L. Borrelli, M. Felicetti, A. Di Domenico
CAPITOLO 6 Malformazioni del sistema nervoso centrale V. D’Addario, V. Pinto, L. Di Cagno
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87
XIV
Indice
CAPITOLO 7 Anomalie scheletriche
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103
...............................................
121
G. Vullo, A. Di Meglio
CAPITOLO 8 Malformazioni facciali
G. Vullo, A. Di Meglio, S. Sorrentino
CAPITOLO 9 Cuore fetale normale e patologico
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133
D. Paladini, M.G. Russo, M. Felicetti, R. Calabrò
CAPITOLO 10 Malformazioni gastrointestinali
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171
G. Vullo, A. Di Meglio
CAPITOLO 11 Anomalie dell’apparato urogenitale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 193 V.S. Zurzolo, A. Di Domenico, P. Borrelli
CAPITOLO 12 Utilizzo degli ormoni placentari e fetali in diagnosi prenatale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 209 G. Centini, L. Rosignoli, E. Faldini, F. Calonaci, F. Petraglia
CAPITOLO 13 Tumori fetali
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237
D. Arduini, G. Barraco, I. Oronzi
CAPITOLO 14 Terapia fetale
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247
U. Nicolini
CAPITOLO 15 Aborto spontaneo ricorrente: nuovi sviluppi patogenetici, diagnostici e terapeutici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 267 E. Vaquero, N. Lazzarin, G. Di Pierro, D. Arduini
XV
Indice
CAPITOLO 16 Malattie infettive in gravidanza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 295 S. Guaschino, F. De Seta, S. Smiroldo, E. Bianchini, C. Piva
CAPITOLO 17 Complicanze ipertensive della gravidanza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 315 L. Brienza, M.E. Pietrolucci, H. Valensise, D. Arduini
CAPITOLO 18 Alloimmunizzazione Rh e malattia emolitica feto-neonatale
...
359
A.L. Borrelli, C. Ferrara, P. Borrelli
CAPITOLO 19 Idrope fetale non immunologica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 367 M.E. Pietrolucci, L. Brienza, D. Arduini
CAPITOLO 20 Diabete mellito e gravidanza
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383
A.L. Borrelli, C. Ferrara, P. Borrelli
CAPITOLO 21 Sorveglianza della gravidanza
......................................
395
D. Arduini, I. Oronzi, G. Barraco, R. Mastrangeli
CAPITOLO 22 Monitoraggio delle condizioni fetali
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405
A.L. Borrelli, A. Di Lieto, P. Borrelli
CAPITOLO 23 .........................
431
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445
Ecografia 3D/4D in diagnostica prenatale L. Caserta, V.S. Zurzolo
CAPITOLO 24 Sofferenza fetale
M. Moscarini, F. Torcia, T. Di Netta
XVI
Indice
CAPITOLO 25 Patologia degli annessi fetali
........................................
459
A.L. Borrelli, A. Cardone, P. De Franciscis
CAPITOLO 26 Parto pretermine
.....................................................
481
G. M. Maruotti, A. Agangi, L. Mazzarelli, P. Martinelli
CAPITOLO 27 .....................................
497
..................................................
503
Restrizione della crescita fetale A.L. Borrelli, P. Borrelli
CAPITOLO 28 Gravidanza ectopica
N. Colacurci, P. De Franciscis, C. Scaffa
CAPITOLO 29 Farmaci e gravidanza
................................................
513
A.L. Borrelli, M. Felicetti, G. Feroce
CAPITOLO 30 Tossicodipendenze e gravidanza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 545 A.L. Borrelli, P. Borrelli, A. Di Domenico
CAPITOLO 31 Diagnosi prenatale: morale, deontologia e diritto
................
551
L. Palmieri, A.L. Graziussi
Indice analitico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 573
Elenco degli Autori
ANNALISA AGANGI
RAFFAELE CALABRÒ
Dipartimento di Ginecologia ed Ostetricia Università degli Studi “Federico II” Napoli
Unità Operativa Coronarica di Cardiologia Azienda Ospedaliera “Monaldi” II Università degli Studi di Napoli Napoli
DOMENICO ARDUINI Dipartimento di Chirurgia Area Ostetrico Ginecologica Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” Ospedale “Fatebenefratelli” Roma
GIANCARLO BARRACO Dipartimento di Chirurgia Università degli Studi di Roma“Tor Vergata” Roma
ERICA BIANCHINI Dipartimento di Scienze della Riproduzione e dello Sviluppo IRCCS “Burlo Garofalo” Università degli Studi di Trieste Trieste
ANTONIO L. BORRELLI Centro di Diagnosi Prenatale Dipartimento di Scienze Ginecologiche Ostetriche e della Riproduzione II Università degli Studi di Napoli Napoli
PAOLA BORRELLI Department of Obstetrics and Gynaecology University College Hospital London, UK
LETIZIA BRIENZA Dipartimento di Chirurgia Area Ostetrico Ginecologica Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” Roma
FRANCESCO CALONACI Centro di Diagnosi Prenatale Clinica ostetrica e ginecologica Dipartimento di Pediatria, Ostetricia e Medicina della Riproduzione Università degli Studi di Siena Siena
ANTONIO CARDONE Dipartimento di Scienze Ginecologiche Ostetriche e della Riproduzione II Università degli Studi di Napoli Napoli
LUIGI CASERTA Centro di Diagnosi Prenatale Dipartimento di Scienze Ginecologiche, Ostetriche e della Riproduzione II Università degli Studi di Napoli Napoli
GIOVANNI CENTINI Centro di Diagnosi Prenatale Clinica Ostetrica e Ginecologica Dipartimento di Pediatria, Ostetricia e Medicina della Riproduzione Università degli Studi di Siena Siena NICOLA COLACURCI Dipartimento di Scienze Ginecologiche Ostetriche e della Riproduzione II Università degli Studi di Napoli Napoli
XVIII
Elenco degli Autori
VINCENZO D’ADDARIO
ELISA FALDINI
Clinica Ostetrica e Ginecologica IV Università degli Studi di Bari Bari
Centro di Diagnosi Prenatale Clinica Ostetrica e Ginecologica Dipartimento di Pediatria, Ostetricia e Medicina della Riproduzione Università degli Studi di Siena Siena
PASQUALE DE FRANCISCIS Dipartimento di Scienze Ginecologiche, Ostetriche e della Riproduzione II Università degli Studi di Napoli Napoli
FRANCESCO DE SETA Dipartimento di Scienze della Riproduzione e dello Sviluppo IRCCS “Burlo Garofalo” Università degli Studi di Trieste Trieste
LUCA DI CAGNO Clinica Ostetrica e Ginecologica IV Università degli Studi di Bari Bari
ANNA DI DOMENICO Centro di Diagnosi Prenatale Dipartimento di Scienze Ginecologiche, Ostetriche e della Riproduzione II Università degli Studi di Napoli Napoli
ANDREA DI LIETO Dipartimento di Scienze Ostetrico-Ginecologiche, Urologiche e Medicina della Riproduzione Università degli Studi “Federico II” Napoli
ANIELLO DI MEGLIO Diagnostica Ecografica e Prenatale Aniello Di Meglio srl - www.dimed.com Napoli
TIZIANA DI NETTA Dipartimento di Scienze Ginecologiche, Perinatologia e Puericultura Università degli Studi “La Sapienza” Roma
GIUSEPPE DI PIERRO Dipartimento di Chirurgia Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” Ospedale “Fatebenefratelli” Roma
MARIA FELICETTI Centro di Diagnosi Prenatale Dipartimento di Scienze Ginecologiche, Ostetriche e della Riproduzione II Università degli Studi di Napoli Napoli
GIUSEPPE FEROCE Centro di Diagnosi Prenatale Dipartimento di Scienze Ginecologiche, Ostetriche e della Riproduzione II Università degli Studi di Napoli Napoli
CLAUDIO FERRARA Centro di Diagnosi Prenatale Dipartimento di Scienze Ginecologiche, Ostetriche e della Riproduzione II Università degli Studi di Napoli Napoli
ANNA LAURA GRAZIUSSI Medicina Legale delle Assicurazioni II Università degli Studi di Napoli Napoli
SECONDO GUASCHINO Dipartimento di Scienze della Riproduzione e dello Sviluppo IRCCS Burlo Garofalo Università degli Studi di Trieste Trieste
NATALIA LAZZARIN AFaR, Associazione Fatebenefratelli per la Ricerca Biomedica e Sanitaria Roma
PASQUALE MARTINELLI Dipartimento di Ginecologia ed Ostetricia Università degli Studi “Federico II” Napoli
GIUSEPPE MARIA MARUOTTI Dipartimento di Ginecologia ed Ostetricia Università degli Studi “Federico II” Napoli
XIX
Elenco degli Autori
ROBERTA MASTRANGELI
CATERINA PIVA
Dipartimento di Chirurgia Area Ostetrico Ginecologica Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” Roma
Dipartimento di Scienze della Riproduzione e dello sviluppo IRCCS Burlo Garofalo Università degli Studi di Trieste Trieste
LAURA LETIZIA MAZZARELLI Dipartimento di Ginecologia ed Ostetricia Università degli Studi “Federico II” Napoli
MASSIMO MOSCARINI Dipartimento di Scienze Ginecologiche, Perinatologia e Puericultura Università degli Studi “La Sapienza” Roma
LUCIA ROSIGNOLI Centro di Diagnosi Prenatale Clinica ostetrica e ginecologica Dipartimento di Pediatria, Ostetricia e Medicina della Riproduzione Università degli Studi di Siena Siena
MARIA GIOVANNA RUSSO UMBERTO NICOLINI Unità Operativa di Ostetricia e Ginecologia Ospedale “Vittore Buzzi” Milano
IRMA ORONZI Dipartimento di Chirurgia Università degli Studi di Roma“Tor Vergata” Roma
DARIO PALADINI Unità di Cardiologia Fetale Dipartimento di Ginecologia ed Ostetricia Università degli Studi “Federico II” Napoli
Unità Operativa Coronarica Cardiologia Unità Operativa Semplice Cardiologia Pediatrica Azienda Ospedaliera “Monaldi” II Università degli Studi di Napoli Napoli
CONO SCAFFA Dipartimento di Scienze Ginecologiche, Ostetriche e della Riproduzione II Università degli Studi di Napoli Napoli
SILVIA SMIROLDO
Medicina Legale delle Assicurazioni II Università degli Studi di Napoli Napoli
Dipartimento di Scienze della Riproduzione e dello Sviluppo IRCCS “Burlo Garofalo” Università degli Studi di Trieste Trieste
FELICE PETRAGLIA
SIMONA SORRENTINO
Centro di Diagnosi Prenatale Clinica ostetrica e ginecologica Dipartimento di Pediatria, Ostetricia e Medicina della Riproduzione Università degli Studi di Siena Siena
Dipartimento di Scienze Ginecologiche, Ostetriche e della Riproduzione II Università degli Studi di Napoli Napoli
LUIGI PALMIERI
MARIA ELENA PIETROLUCCI Dipartimento di Chirurgia Area Ostetrico Ginecologica Università degli Studi di Roma“Tor Vergata” Roma
VINCENZO PINTO Clinica Ostetrica e Ginecologica IV Università degli Studi di Bari Bari
FRANCESCO TORCIA Dipartimento di Scienze Ginecologiche, Perinatologia e Puericultura Università degli Studi “La Sapienza” Roma
HERBERT VALENSISE Dipartimento di Chirurgia Sezione di Ginecologia e Ostetricia Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” Roma
XX
Elenco degli Autori
ELENA VAQUERO
GABRIELLA VULLO
Dipartimento di Chirurgia Università degli studi di Roma “Tor Vergata” Ospedale “Fatebenefratelli” Roma
Diagnostica Ecografica e Prenatale Aniello Di Meglio srl - www.dimed.com Napoli
VITO S. ZURZOLO MARIA LUISA VENTRUTO Istituto Internazionale di Genetica e Biofisica, CNR Napoli
VALERIO VENTRUTO Istituto Internazionale di Genetica e Biofisica, CNR Napoli
Centro di Diagnosi Prenatale Dipartimento di Scienze Ginecologiche, Ostetriche e della Riproduzione II Università degli Studi di Napoli Napoli
CAPITOLO 1
Sonoembriologia e studio ecografico dell’organogenesi embrio-fetale A. L. Borrelli • V. S. Zurzolo • M. Felicetti
PREMESSA La realizzazione di ecografie ad alta risoluzione e soprattutto di sonde trans-vaginali (TV) ad elevata frequenza (5,5-7,5 MHz) ha consentito uno studio sempre più approfondito della morfogenesi embrio-fetale [1]. Si è così definita la sonoembriologia o embriologia ultrasonica [2] che, attraverso il rilievo ecografico delle varie fasi dello sviluppo embrio-fetale, pone le basi non solo per una corretta datazione della gravidanza1, ma anche per la diagnosi di patologie embrio-fetali2 già nel I trimestre. Poiché un numero notevole di gravidanze (~3,5%) presenta anomalie fetali in epoca gestazionale precoce ed essendo ormai accertato che gran parte di dette anomalie può essere riconosciuta, da operatori esperti, mediante l’ecografia transvaginale tra la 10ª e la 14ª settimana di gestazione [2], può essere utile l’impiego di questo mezzo diagnostico per lo studio dell’anatomia embrio-fetale nella fase iniziale della gestazione.
neurale, i cui bordi successivamente si elevano a formare due pliche che delimitano la doccia o solco neurale. In una fase ulteriore di sviluppo la fusione delle pliche (creste neurali) sulla linea mediana determina la formazione del tubo neurale (Fig. 1.1) che inizialmente resta aperto alle due estremità dette neuropori. Solco neurale Cresta neurale
a
Cellula della cresta neurale
Tubo neurale Ectoderma
SONOEMBRIOLOGIA - SVILUPPO PRENATALE DEI VARI ORGANI E APPARATI Sistema nervoso centrale (SNC)
b Fig. 1a, b. a Gravidanza 2ª sett.di sviluppo.Solco neurale e cresta neurale. b Gravidanza 3a sett.di sviluppo.Tubo neurale
Embriogenesi A 2 settimane dalla fecondazione (4ª settimana di amenorrea) il sistema nervoso comincia a strutturarsi da un ispessimento dell’ectoderma embrionale, il piatto
1
A 3 settimane circa dal concepimento (5ª settimana di amenorrea) si chiude prima il neuroporo anteriore e due giorni dopo quello posteriore. In questa fase dello
La datazione della gravidanza può essere calcolata facendo riferimento alla data di inizio dell’ultima mestruazione regolare (età gestazionale o di amenorrea) che normalmente, in un ciclo di 28 giorni, si verifica 2 settimane prima dell’ovulazione e quindi del concepimento. Poiché non è sempre possibile stabilire la data esatta del concepimento e quindi l’età concezionale o di sviluppo, in quanto l’ovulazione può verificarsi tra l’8º e il 20º giorno del ciclo anche in donne regolarmente mestruate, la datazione della gravidanza in base alla amenorrea può risultare non corretta. Per una esatta datazione della gestazione, quindi, bisogna spesso ricorrere alla misurazione ecografica dell’embrione (lunghezza vertice-sacro o CRL - Crown Rump Lenght) tra l’8ª e la 11ª settimana (Fig. 1.28). 2Il prodotto del concepimento è definito pre-embrione dalla 2ª alla fine della 4ª settimana di amenorrea, embrione della 5ª alla fine della 10ª settimana di amenorrea; si parla di feto dalla 10ª settimana fino al termine della gravidanza.
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
sviluppo il SNC appare come una struttura tubulare la cui porzione cefalica darà luogo al cervello, mentre la porzione caudale diverrà il midollo spinale. Dalla fine della 6ª settimana di amenorrea la porzione anteriore o cefalica del tubo neurale si differenzia nelle tre vescicole primarie dell’encefalo: il proencefalo o cervello anteriore, il mesencefalo o cervello medio, il romboencefalo o cervello posteriore (Fig. 1.2). Mesencefalo o cervello medio
Romboencefalo o cervello posteriore
Fig. 1.4. Gravidanza alla 10a settimana. Ecografia TV in sezione sagittale paramediana si evidenziano le vescicole cerebrali:diencefalica, mesencefalica e romboencefalica
Proencefalo o cervello anteriore
Fig.1.2. 6ª settimana di amenorrea.Dalla porzione cefalica del tubo neurale si differenziano le 3 vescicole primarie dell’encefalo:il proencefalo,il mesencefalo e il romboencefalo
Entro l’8ª settimana di amenorrea il proencefalo si differenzia in telencefalo e diencefalo, il mesencefalo rimane unico, mentre il romboencefalo dà luogo al metencefalo e mielencefalo (Fig. 1.3). Regione del futuro ponte (metencefalo)
Superficie esterna del romboencefalo Regione del futuro midollo (mielencefalo)
Proencefalo
Mesencefalo
Successivamente, dalla 9ª settimana di amenorrea comincia la differenziazione delle principali strutture encefaliche e le flessure delimitano le vescicole mesencefalica e pontina. Dal telencefalo si formano gli emisferi e i ventricoli cerebrali con i plessi corioidei, mentre dal diencefalo si sviluppano il talamo, l’ipotalamo e il 3° ventricolo. L’acquedotto di Silvio trae origine dal mesencefalo, mentre il cervelletto, il ponte e il 4° ventricolo dal metencefalo. Il mielencefalo darà origine al midollo spinale. Nella 10ª settimana di amenorrea la cavità dei ventricoli laterali risulta quasi totalmente occupata dai plessi corioidei [3] che assumono un aspetto ad ali di farfalla separati dalla falce (Fig. 1.5).
diencefalo telencefalo Fessura pontina Peduncolo ottico
Fig. 1.3. 8ª settimana di amenorrea.Il proencefalo si differenzia in telencefalo e diencefalo,il romboencefalo in metencefalo e mielencefalo
Tra la 9ª e la 10ª settimana, utilizzando sonde transvaginali (TV) ad elevata risoluzione, è possibile riconoscere nel polo encefalico le vescicole cerebrali diencefalica, mesencefalica e romboencefalica come formazioni anecogene mediane (Fig. 1.4).
Fig. 1.5. Gravidanza alla 10a settimana.Plessi corioidei
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Capitolo 1 • Sonoembriologia e studio ecografico dell’organogenesi embrio-fetale • A.L.Borrelli,V.S.Zurzolo,M.Felicetti
Tra la 11a e la 12a settimana è già possibile individuare le suture craniche, il 3° e 4° ventricolo, i talami. Successivamente, a partire dalla 18a settimana, le formazioni rilevanti dell’encefalo possono essere chiaramente identificate mediante scansioni assiali. I talami appaiono come strutture ipoecogene che circondano il 3° ventricolo (Fig. 1.6); il cervelletto e la cisterna magna sono visualizzati nella Figura 1.7.
Colonna vertebrale Nel corso della 6ª settimana di amenorrea comincia a strutturarsi la colonna vertebrale per la proliferazione di cellule somitiche intorno alla notocorda localizzata centralmente al tubo neurale. Successivamente si ha la formazione dei corpi e degli archi vertebrali per migrazione delle cellule somitiche intorno al tubo neurale (Fig. 1.8). La mineralizzazione della colonna comincia dall’8ª settimana, per cui è possibile individuarne ecograficamente la presenza come due linee ecogeniche parallele lungo l’asse maggiore dell’embrione (immagine a binario) (Fig. 1.9). Nelle settimane successive si distinguono i vari segmenti, ma solo dopo la 18ª settimana è possibile uno studio ecografico dettagliato (Fig. 1.10).
Arco neurale vertebrale in via di sviluppo
Placca dorsale embrionale
Arco neurale vertebrale in via di sviluppo
Fig. 1.6. Gravidanza alla 22ª settimana.Talami e 3º ventricolo.Per gentile concessione di Dimed Informatica srl (www.dimed.it)
Lamina basale Pavimento del tubo neurale
Notocorda
Cellula somitica
Fig. 1.8. 6ª settimana di amenorrea. Iniziale sviluppo della colonna vertebrale per proliferazione delle cellule somitiche intorno alla notocorda
Fig.1.7. Gravidanza alla 22 ª settimana.Cervelletto e cisterna magna.Per gentile concessione di Dimed Informatica srl (www.dimed.it)
Completatasi, nel I trimestre, la morfogenesi delle varie strutture encefaliche, l’accrescimento e la maturazione del cervello si realizza nell’ulteriore corso della gravidanza, completandosi soltanto dopo la nascita. Lo studio approfondito dell’anatomia cerebrale va effettuato nel corso dell’esame “morfologico” da realizzarsi tra la 20ª e la 22ª settimana di gestazione (vedi Capitoli 6 e 22).
Fig. 1.9. Gravidanza alla 8a settimana. Ecografia transvaginale, la colonna vertebrale appare come una struttura a binario
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successivamente (3° trimestre) a livello epifisario (cartilagini) come aree ipoecogene. Tra la 13ª e la 16ª settimana si verifica l’ossificazione del massiccio facciale e delle ossa metacarpali e metatarsali; successivamente si avrà l’ossificazione del piede e del calcagno. Solo verso la fine del 2° trimestre è possibile, quindi, visualizzare con chiarezza le varie strutture ossee fetali e individuare eventuali anomalie scheletriche la cui diagnosi tuttavia, in taluni casi, rimane particolarmente difficoltosa.
Apparato cardiocircolatorio Fig. 1.10. Rachide in sezione longitudinale
Scheletro Dall’8ª settimana si può individuare, a mezzo dell’ecografia, la conformazione iniziale dei vari segmenti scheletrici e l’abbozzo degli arti, la cui struttura sarà meglio definita non prima della 12ª-13ª settimana, quando inizia l’ossificazione (Fig. 1.11).
L’intero sistema cardiovascolare (cuore, vasi, e cellule del sangue) trae origine dal foglietto germinale mesodermico. Inizialmente il cuore primitivo consta di strutture tubulari appaiate che a partire dalla 5ª settimana di amenorrea danno luogo ad un’unica struttura tubulare leggermente incurvata che consta di uno strato endocardico interno circondato da un mantello mioepicardico esterno. Tra la 5ª e la 7ª settimana di amenorrea, il cuore primitivo va incontro a molteplici e successive modifiche evolutive che danno luogo poi alla caratteristica struttura a quattro camere. In embrioni con CRL≥5 mm (6ª settimana di amenorrea) si può visualizzare l’attività cardiaca con sonda vaginale, però solo a partire dalla 11ª-12ª settimana è possibile riconoscere gli elementi principali dell’anatomia cardiaca (Fig. 1.12).
Fig. 1.11. Gravidanza 12a settimana. Con sonda vaginale si evidenziano femore e omero
Nel 2° trimestre, nelle diafisi delle ossa lunghe, sono visualizzabili ecograficamente i centri di ossificazione primaria che appaiono come aree iperecogene. I centri di ossificazione secondaria possono essere evidenziati
Fig. 1.12. Gravidanza 12a settimana.Strutture cardiache (ventricoli)
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Tuttavia, è tra la 19ª e la 22ª settimana, mediante l’ecografia transaddominale con sonda da 3,5 MHz, che si ottengono le immagini migliori ed è possibile uno studio accurato del cuore fetale. Dopo aver individuato la posizione fetale e la normalità del situs (vedi Capitolo 9), la scansione “4 camere”, rendendo possibile lo studio dell’anatomia cardiaca (camere atriali e ventricolari, setto interventricolare ed interatriale e valvole atrio-ventricolari) (Fig. 1.13), consente di diagnosticare anche talune anomalie cardiache maggiori (difetti interventricolari, canale atrioventricolare, ecc.). In tali casi ed in presenza di quadri ecografici dubbi, va comunque sempre richiesto un approfondimento ecocardiografico di II livello multidisciplinare (cardiologo-pediatra, perinatologo). Posta la diagnosi sarà effettuato il counseling che servirà ad informare i genitori circa l’entità, le possibilità terapeutiche e la prognosi relative all’eventuale cardiopatia rilevata. A causa dell’ossificazione del torace fetale e della riduzione relativa del liquido amniotico, nel terzo trimestre peggiora la qualità delle immagini rendendo più difficile lo studio ecocardiografico del cuore.
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Fig. 1.14. Gravidanza alla 23a settimana.Stomaco,fegato e diaframma
dalla placenta al feto, penetra attraverso l’ombelico nell’addome fetale dove in parte raggiunge il fegato anastomizzandosi con la vena porta di sinistra e in parte si riversa nella cava inferiore attraverso il dotto venoso di Aranzio. L’inserzione ombelicale può essere visualizzata seguendo le strutture vascolari (arteria e vena ombelicale) che penetrano nell’addome fetale. Una scansione trasversa dell’addome fetale che visualizzi stomaco, punto di ingresso della vena ombelicale e colonna vertebrale si usa attualmente per determinare la circonferenza addominale (Fig. 1.15); detto parametro, rapportato alla circonferenza cranica e alla lunghezza del femore, fornisce utili elementi di valutazione circa l’accrescimento fetale (vedi Capitolo 22).
Fig. 1.13. Gravidanza alla 24a settimana.Cuore in proiezione “4 camere”
Apparato gastroenterico Il diaframma si forma tra la 6ª e la 14ª settimana di amenorrea, ma appare ben evidente nel secondo trimestre come una sottile stria ipoecogena che separa cuore e polmoni dai visceri addominali sottostanti; tra questi il fegato appare molto sviluppato ed ha un aspetto omogeneo ed uniformemente ecogeno (Fig. 1.14), al suo interno in epoche successive si possono evidenziare i vasi del circolo portale, le vene sovraepatiche, le arterie epatiche e i dotti biliari. La vena ombelicale, che veicola sangue ossigenato
Fig. 1.15. Gravidanza alla 25a settimana. Addome fetale in sezione trasversale.Si evidenziano stomaco,rachide e vena ombelicale
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Dopo la 20ª settimana al di sotto del fegato è visibile la colecisti come una struttura piriforme anecogena. Lo stomaco, che si struttura intorno alla 6ª settimana, può essere visualizzato dalla 9ª-10ª settimana come una formazione anecogena arrotondata o semilunare in rapporto al suo grado di riempimento. Nel secondo trimestre (15ª-16ª settimana) possono individuarsi diversi elementi dell’anatomia gastrica e la milza può essere evidenziata come una formazione triangolare in rapporto posteriormente e lateralmente con la parete addominale e medialmente con lo stomaco (Fig. 1.16). La visualizzazione ultrasonografica dell’intestino varia con l’epoca gestazionale. Nel II trimestre l’intestino tenue appare omogeneo ed iperecogeno e dotato di attività peristaltica che inizia generalmente già dall’11a settimana. La presenza di meconio ne altera l’omogeneità.Verso la fine del II trimestre le anse appaiono come formazioni tubulari ipoecogene localizzate al centro dell’addome di diametro non superiore a 7 mm. L’aumento abnorme dell’ecogenicità intestinale è stata associata a malattie genetiche (trisomia 21, fibrosi cistica) o ad infezioni da virus citomegalico. L’intestino crasso all’inizio del III trimestre può essere individuato come una struttura tubulare ipoecogena del diametro di 18-20 mm localizzata lungo il contorno dell’intestino tenue.
Arterie segmentali
Aorta dorsale Surrene
Glomerulo mesonefrico Mesonefro Gonade Blastema metanefrogenico Escrescenza ureterale
Fig. 1.17. Ontogenesi dell’apparato urinario
mana dal metanefro inizia lo sviluppo dei glomeruli , dei tubuli contorti e delle anse di Henle (vedi Capitolo 11). Ecograficamente i reni sono visualizzati dalla 10ª settimana come due strutture ovalari ecogene localizzate ai lati della colonna vertebrale in una sezione trasversa dell’addome; nel II trimestre (22-25 settimane) le varie componenti anatomiche sono più evidenti potendosi differenziare le piramidi midollari ipoecogene dalla corticale iperecogena (Fig. 1.18). Con l’evolvere della gestazione il grasso perirenale rende la capsula sempre più visibile contribuendo in tal modo alla migliore definizione dei reni dalle strutture circostanti. La produzione di urina inizia piuttosto precocemente (13ª settimana) tuttavia non influisce significativamente sul volume del liquido amniotico prima della 16ª-18ª settimana. Del sistema collettore l’unica formazione
Fig. 1.16. Gravidanza alla 25a settimana.Milza e stomaco
Apparato urinario L’ontogenesi dell’apparato urinario, che embriologicamente trae origine dal seno urogenitale, è caratterizzato dalla rapida regressione del pronefro e mesonefro e dello sviluppo verso il metanefro della gemma ureterale (Fig. 1.17) da cui traggono origine: pelvi renale, calici, tubuli collettori, ureteri e vescica. Verso la 10ª setti-
Fig. 1.18. Gravidanza alla 25a settimana.Sezione trasversale dei reni
Capitolo 1 • Sonoembriologia e studio ecografico dell’organogenesi embrio-fetale • A.L.Borrelli,V.S.Zurzolo,M.Felicetti
identificabile all’esame ecografico è la pelvi renale che appare come una formazione anecogena nella parte centrale dell’organo. Detta struttura si ritiene normale quando il diametro antero-posteriore non supera i 5 mm. Taluni autori tuttavia ritengono normali valori bilaterali della pelvi di 7 mm. Dilatazioni monolaterali di modeste dimensioni (<7 mm) generalmente regrediscono alla nascita (Fig. 1.19). Gli ureteri sono in genere identificabili solo se dilatati per un ostacolo al deflusso dell’urina. La vescica fetale è evidenziabile a partire dalla 10ª settimana come un’area anecogena situata al centro della pelvi renale; le sue dimensioni dipendono dal suo stato di riempimento e quindi dalla funzionalità renale (Fig. 1.20).
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In presenza di una normale quantità di liquido amniotico la mancata visualizzazione della vescica può indicare un suo recente svuotamento, in presenza di oligoamnios è utile ripetere l’esame ecografico dopo 30 minuti per confermare il riempimento vescicale considerando che di norma la minzione fetale si verifica ogni 20-25 minuti.
Genitali esterni La corretta identificazione del sesso fetale riveste particolare importanza non solo per la diagnosi prenatale delle malformazioni genitali, ma anche per la individuazione, nei casi a rischio, di affezioni genetiche legate al cromosoma X. L’esatta diagnosi di sesso risulta particolarmente utile anche nei casi di mosaicismi rilevati all’esame citogenetico. La distinzione dei sessi è possibile solo dopo la 12ª settimana, epoca in cui si è completata la differenziazione. I genitali maschili sono identificabili, infatti, dalla 15ª settimana quando è possibile evidenziare il pene e lo scroto al cui interno sono rilevabili in epoca successiva (30ª-32ª settimana), quando si è completata la migrazione, anche i testicoli (Fig. 1.21).
Fig. 1.19. Gravidanza alla 23a settimana. Sezione trasversa dei reni con evidenza di pielectasia renale monolaterale sinistra
Fig. 1.21. Gravidanza alla 35a settimana.Genitali maschili
Fig. 1.20. Gravidanza alla 25a settimana.Vescica fetale
Nel corso del 2° trimestre il sesso femminile può essere riconosciuto evidenziando le grandi labbra al cui interno è generalmente visibile una sottile linea mediana che deriva dalla separazione delle ninfe (Fig. 1.22). Va ricordato come un edema delle grandi labbra può determinare errori diagnostici in quanto dà luogo ad una immagine ecografica non dissimile da quella relativa al sacco scrotale.
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Alla fine della 5ª settimana la proliferazione dell’endometrio circostante può dare luogo ad una immagine a doppio anello dovuto all’area falciforme ipoecogena corrispondente allo spazio tra decidua capsulare e decidua parietale. I vasi deciduali materni si evidenziano al color doppler [4-7].
6ª settimana di amenorrea
Fig. 1.22. Gravidanza alla 24a settimana.Genitali femminili
Da 5 sett. + 0 gg. a 5 sett. + 6 gg. pm; 22-28 gg. pc. All’inizio della 6ª settimana (5 settimane+2-3 giorni) con sonda TV può essere evidenziato il sacco vitellino o sacco di Yolk che è la prima struttura embrionale presente nella camera gestazionale, ha una forma ad anello ed in genere non supera i 3 mm di diametro (Fig. 1.24).
GRAVIDANZA FISIOLOGICA: STUDIO ECOGRAFICO DELL’ORGANOGENESI EMBRIOFETALE Sino alla fine della 4ª settimana di amenorrea non è possibile la diretta osservazione, mediante ultrasuoni, delle prime fasi dello sviluppo embrionale.
5ª settimana di amenorrea Da 4 sett. + 0 gg. a 4 sett. + 6 gg. post-mestruali (pm); 15-21 gg. post-concepimento (pc). Nel corso della 5ª settimana di amenorrea è possibile visualizzare la camera o sacco gestazionale (SG) che appare come una struttura circolare del diametro di 3-6 mm, ipoecogena ed eccentrica; essa è circondata da un’area iperecogena di tessuto trofoblastico ed endometrio iperplastico (decidua) di spessore non uniforme (Fig. 1.23). In condizioni fisiologiche si può rilevare con sonda TV il sacco gestazionale quando la concentrazione di β-hCG supera le 800 mU/ml.
Fig. 1.23. Gravidanza nel corso della 5a settimana.Con sonda vaginale si evidenzia la camera gestazionale di 5,3 mm circondata dalla decidua
Fig. 1.24. Gravidanza alla 6a settimana.Con sonda vaginale si rileva, nella camera gestazionale,il sacco vitellino di 2,2 mm
Nel corso della 6ª settimana nel SG è evidenziabile,adiacente al sacco vitellino,l’embrione (CRL 2-5 mm) (Fig.1.25) che risulta già costituito dai tre foglietti embrionali (ectoderma,mesoderma ed endoderma).L’embrione è dotato di attività cardiaca che può essere rilevata quando il CRL ha raggiunto almeno i 5-6 mm; la frequenza cardiaca fetale inizialmente non supera i 90 battiti al minuto [4, 5].
Fig. 1.25. Gravidanza 6a settimana.Con sonda vaginale si evidenzia, nella camera gestazionale,l’embrione adiacente al sacco vitellino
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7ª settimana di amenorrea Da 6 sett. + 0 gg. a 6 sett. + 6 gg. pm; 29-35 gg. pc. Alla 7ª settimana di gestazione l’embrione (CRL 59 mm) è avvolto dalla membrana amniotica; in esso è già possibile distinguere l’estremo cefalico dal tronco dove è evidenziabile l’attività cardiaca che supera generalmente i 130 bpm (Fig. 1.26). In questa fase l’embrione, in conseguenza di movimenti di piegamento, assume una forma a C; esso appare collegato al trofoblasto mediante un peduncolo di connessione che si differenzierà poi in cordone ombelicale. Il sacco di Yolk viene estruso nel celoma extra-embrionario e l’ampia comunicazione tra embrione e sacco vitellino si riduce fino a formare un canale stretto e lungo: il dotto vitellino [4-7].
Fig. 1.27. Gravidanza alla 8a settimana. Con sonda vaginale si rileva un embrione di 13 mm accanto al sacco vitellino
Fig. 1.28. Gravidanza 8a settimana.CRL (Crown-Rump Lenght)
Fig. 1.26. Gravidanza 7a settimana.Attività cardiaca fetale
8ª settimana di amenorrea Da 7 sett. + 0 gg. a 7 sett. + 6 gg. pm; 36-42 gg. pc. L’embrione misura 10-14 mm (Fig. 1.27), determinando il CRL è possibile datare correttamente la gravidanza (Fig. 1.28). In questa fase lo sviluppo cerebrale procede rapidamente: la testa alla fine dell’8ª settimana diventa grande quasi quanto il resto del corpo. Mediante scansioni sagittali e coronali si evidenzia anteriormente il telencefalo dove sono riconoscibili i plessi corioidei che appaiono come formazioni ecogene simmetriche e posteriormente, nella porzione occipitale si rinviene la vescicola romboencefalica come una formazione anecogena (Fig. 1.29).
Fig.1.29. Gravidanza alla 8a settimana.Con sonda vaginale si rileva che l’estremo cefalico è grande quasi come il resto del corpo.Nella zona occipitale posteriore si rinviene la vescicola romboencefalica
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Si rilevano, inoltre, all’M-mode due camere cardiache separate da un setto interventricolare. Con l’ulteriore sviluppo del mesoderma cominciano a riconoscersi gli abbozzi degli arti (Fig. 1.30), ed è possibile individuare l’inizio dell’attività motoria fetale.
10ª settimana di amenorrea Da 9 sett. + 0 gg. a 9 sett. + 6 gg. pm; 50-56 gg. pc. Si completa la strutturazione dei vari organi ed apparati ad eccezione dell’encefalo la cui maturazione e differenziazione si realizza nell’ulteriore evoluzione della gestazione. Il feto raggiunge una lunghezza di 23-31 mm. Le dimensioni della testa prevalgono ancora su quelle del resto del corpo. Il profilo fetale è evidente ed in esso possono distinguersi la mascella e la mandibola; i due emisferi cerebrali sono separati dalla falce e i plessi corioidei sono evidenti nelle cavità dei ventricoli laterali (Fig. 1.5). Sono riconoscibili i quattro arti che hanno una lunghezza tale da raggiungere il lato mediale fetale e si possono riconoscere le dita delle mani e dei piedi. La cavità amniotica è estesa con riduzione del celoma extraembrionario. In questa fase è anche possibile rilevare modesti movimenti degli arti. Risulta ancora più evidente l’onfalocele fisiologico (Fig. 1.31).
Fig.1.30.Gravidanza alla 8a settimana.Con sonda vaginale si rinvengono gli abbozzi degli arti ai lati del corpo dell’embrione
La colonna vertebrale nelle scansioni coronali appare come una struttura a binario (Fig. 1.9). La membrana amniotica è chiaramente visibile come una formazione ovale che circonda l’embrione segnando il confine con il sacco gestazionale, mentre il sacco e il dotto vitellino sono definitivamente dislocati nel celoma extraembrionario. Il cordone ombelicale ben evidente si sviluppa sia in larghezza che in lunghezza.
9ª settimana di amenorrea Da 8 sett. + 0 gg. a 8 sett. + 6 gg. pm; 43-49 gg. pc. L’embrione procede nel suo sviluppo (CRL 15-22 mm) e inizia la differenziazione degli arti, prima superiori e poi inferiori. Si evidenzia l’onfalocele fisiologico con erniazione di parte delle anse intestinali riconoscibile come un rigonfiamento iperecogeno a livello dell’inserzione ombelicale del cordone onde la necessità di non porre diagnosi di onfalocele prima della 12ª settimana, epoca in cui normalmente questa ernia fisiologica regredisce [8]. Il cuore completa lo sviluppo strutturale e la frequenza cardiaca fetale risulta doppia rispetto a quella materna; in questa fase si chiude il setto interventricolare, l’ostium primum regredisce e si completa la separazione tra circolazione sistemica e polmonare. Nell’encefalo sono riconoscibili la linea mediana e la fossa romboencefalica dominante, mentre i contorni del telencefalo diventano più chiari. La colonna vertebrale si sviluppa ulteriormente [4-7].
Fig. 1.31. Gravidanza alla 10a settimana.Con sonda vaginale si evidenzia l’onfalocele fisiologico
Dall’11ª alla 13ª settimana si evidenziano le ossa della faccia, i principali organi interni (stomaco, reni e vescica). Nella colonna vertebrale si possono individuare i diversi segmenti. È possibile la misurazione della translucenza nucale (NT) e l’individuazione dell’osso nasale (Fig. 1.32).
11ª settimana di amenorrea Da 10 sett. + 0 gg. a 10 sett. + 6 gg. pm; 57-63 gg. pc. Il CRL fetale è compreso tra 31 e 40 mm ed è possibile misurare il diametro biparietale (BPD) le cui dimensioni variano tra 14 e 18 mm. Diventa più chiaro il profilo fetale, mentre nella parte inferiore del tronco
Capitolo 1 • Sonoembriologia e studio ecografico dell’organogenesi embrio-fetale • A.L.Borrelli,V.S.Zurzolo,M.Felicetti
Fig. 1.32. Gravidanza alla 12a settimana.Con sonda vaginale: misurazione della translucenza nucale e individuazione dell’osso nasale
appare la vescica. La cavità amniotica è estesa e comprime il sacco vitellino nel celoma. Amnios e corion cominciano a fondersi.
12ª settimana di amenorrea Da 11 sett. + 0 gg. a 11 sett. + 6 gg. pm 64-70 gg. pc. Il feto ha una lunghezza di 41-53 mm. Il BPD è compreso tra 18 e 21 mm. Si evidenziano lo stomaco, la vescica e i reni. Nel cuore sono individuabili i due ventricoli anche con l’ausilio del doppler; in scansioni coronali della faccia possono essere individuate le cavità orbitarie.
13ª settimana di amenorrea Da 12 sett. + 0 gg. a 12 sett. + 6 gg. pm; 71-77 gg. pc. Alla fine della 13ª settimana il CRL misura ~70 mm, il BPD 24 mm. È chiaramente distinta la faccia fetale, mentre non si osserva più l’ernia ombelicale fisiologica; si evidenzia il cordone ombelicale con il color doppler [4-7]. Lo studio ecografico dell’organogenesi embriofetale consente il rilievo sequenziale di markers ecografici di gravidanza che hanno molteplici e diverse implicazioni cliniche. In una gravidanza fisiologica, nel corso della 5ª settimana di amenorrea, dovrebbe sempre essere visualizzato il sacco gestazionale (SG) all’interno della cavità ute-
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rina; la mancata visualizzazione del SG in questa epoca di gravidanza e per concentrazioni di β-hCG ≥800 mUI/ml deve far sospettare o una sua evoluzione anomala o una gravidanza extra-uterina [9, 10]. • All’inizio della 6ª settimana di amenorrea di una gravidanza correttamente datata dovrebbe sempre essere visibile il sacco vitellino il che può essere utilizzato come criterio di certezza per la diagnosi di gravidanza intrauterina. • Alla fine della 6ª settimana (5ª sett.+5-6 giorni) quando il CRL raggiunge i 5-6 mm può essere identificato il battito cardiaco fetale che, in ogni caso, deve poter essere rilevato nel corso della 7ª settimana (6ª sett.+3-4 gg.); tutte le volte che venga visualizzato un polo embrionale (estremo cefalico, tronco) dovrebbe poter essere rilevata l’attività cardiaca; il mancato rilievo del BCF, in tali condizioni, depone per un probabile aborto [9, 10]. • L’8ª settimana è caratterizzata dalla comparsa di movimenti del corpo embrionale, mentre modesti movimenti degli arti non sono individuabili prima della 10ª settimana di amenorrea. • La fisiologica erniazione dell’intestino medio nel funicolo compare nella 9ª settimana e deve scomparire dopo la 11ª, per cui non si può porre la diagnosi di onfalocele prima della 12ª settimana, come non è possibile studiare le mani e i piedi del feto prima della 11ª settimana [9, 10].
STUDIO DELL’ANATOMIA FETALE PER LO SCREENING PRECOCE DELLE MALFORMAZIONI CONGENITE L’ecografia del I trimestre non ha come specifica finalità la ricerca di eventuali malformazioni embrio-fetali. Tuttavia alla fine del I trimestre, grazie ai progressi tecnologici in campo ecografico (sonde vaginali ad elevata risoluzione, 3D e 4D ecc.), è possibile riconoscere molte anomalie fetali. Tutto ciò induce ad effettuare precoci verifiche dell’assetto cromosomico fetale (villocentesi) con la conseguente possibilità di scelte consapevoli circa l’ulteriore destino della gravidanza [11]. Le anomalie fetali che è possibile diagnosticare tra la 10ª e la 14ª settimana di gravidanza [12] sono riportate nella Tabella 1.1 e verranno trattate in successivi capitoli3. Appare evidente, tuttavia, che la diagnosi precoce delle predette anomalie non è sempre agevole per l’evolutività oltre il I trimestre di alcune di esse; a ciò si
Le anomalie del SNC, quelle scheletriche, quelle cardiache addominali e renali, sono trattate rispettivamente nei Capitoli 6, 7, 9, 10 e 11.
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aggiunge il necessario impiego di apparecchi ecografici d’avanguardia e di operatori di notevole e provata esperienza. Per i motivi suddetti, lo studio dell’anatomia embrio-fetale nel I trimestre non può essere
utilizzato come screening routinario precoce delle malformazioni, ma può rappresentare un utile mezzo diagnostico nel caso di gravidanze ad alto rischio malformativo.
Tabella 1.1. Anomalie fetali che è possibile diagnosticare tra la 10ª e la 14ª settimana Sistema nervoso centrale (SNC) Encefalocele Sindrome Meckel Gruber Idrocefalia Morbo Dandy Walker Oloprosencefalia Iniencefalia Spina bifida Cardiache Diversi tipi di difetti cardiaci a volte associati ad altre anomalie Aumentata traslucenza nucale Addominali Ernia diaframmatica Onfalocele Gastroschisi
Renali Agenesia renale bilaterale Reni policistici dell’infanzia Rene multicistico Megacisti Scheletriche Acondrogenesi tipo II Nanismo tanatoforo Osteogenesi imperfetta Displasia toracica asfissiante Sindrome di Robert Ectrodattilia displasia ectodermica Palatoschisi Body stalk anomaly Sindrome della regressione caudale
BIBLIOGRAFIA 1. Beck F, Moffat DB, Davies DP (1985) Human embriology, 2nd edn. Blackwell, Oxford 2. Timor Tritsch IE, Monteagudo A (2002) Sonoembriologia: valutazione ecografica transvaginale nel I e II trimestre iniziale di gravidanza. Editoriale SIEOG News 1:9-13 3. Zurzolo VS, Borrelli AL, Pecchillo MA (1992) Diagnosi prenatale precoce di cisti dei plessi corioidei fetali associata ad onfalocele. Atti Soc Camp. Cal. Luc. di Ostetricia e Ginecologia, Venosa, 16-17 maggio 1992 4. Callen PW (1988) Ultrasonography in obstetrics and gynecology, second edition. WB Saunders, Filadelfia 5. Chervenak FA, Isaacson GC, Campbell S (eds) (1993) Ultrasound in obstetrics and gynecology. Little, Brown and Company, Boston 6. Fleischer AC, Romero R, Manning FA et al (1991) The principles and practice of ultrasonography in obstetrics and gynecology, fourth edition. Appleton & Lange, Norwalk
7. Filly RA (1994) Ultrasond evaluation during the first trimester. In: Callen PW (ed) Ultrasound in obstetrics and gynecology. WB Saunders, Philadelphia 8. Goldstein SR, Synder JR, Watson C et al (1988) Very early pregnancy detection with endovaginal ultrasound. Obstet Gynecol 72:200-204 9. Romero R, Pilu G, Jeanty P et al (1987) Prenatal diagnosis of congenital anomalies. Appleton & Lange, Norwalk 10. Timor Tritsch IE, Rottem S (1991) Transvaginal sonography, second edition. Elsevier, New York 11. Timor Tritsch IE, Rottem S (1994) Normal and abnormal fetal anatomy in the first 15 weeks of pregnancy using transvaginal ultrasoud. In: Sabbagha RE (ed) Diagnostic ultrasound applied to obstetric and gynaecology. JP Lippincott, Philadelphia 12. Souka AP, Nicolaides HK (1997) Diagnosis of fetal abnormalities at the 10-14 week scan. Ultrasound Obstetr Gynecol 10:429-442
CAPITOLO 2
Difetti congeniti A. L. Borrelli • V. Ventruto • P. Borrelli
DEFINIZIONE Sono congenite tutte le anomalie presenti alla nascita. Per difetto congenito deve, quindi, intendersi qualsiasi alterazione anatomica o funzionale che, determinatasi durante la formazione dello zigote o successivamente nel corso dello sviluppo embrio-fetale, compaia alla nascita. L’incidenza dei difetti congeniti è piuttosto elevata; non considerando infatti le gravidanze che si interrompono abortivamente per l’azione di noxe esogene e/o endogene, si può stimare che il 3-5% dei neonati siano portatori di un’anomalia congenita [1].
CLASSIFICAZIONE I difetti congeniti possono distinguersi in funzionali e anatomici. I difetti funzionali sono relativi ad anomalie della funzione di un organo anatomicamente normale (ritardo mentale, mucoviscidosi, talassemie, ecc.). I difetti anatomici, genericamente definiti “malformazioni”, si distinguono in: malformazioni vere e proprie, deformazioni, displasie e necrosi focali. Le malformazioni sono difetti di prima formazione di un singolo organo o più organi di un apparato o sistema e si verificano durante il periodo organogenetico (prime 8 settimane di sviluppo). Si riscontrano con
una frequenza di ~1 nato su mille. Esse possono essere dovute a morfogenesi incompleta o in taluni casi a mancata formazione di un organo (cardiopatie, labiopalatoschisi, onfalocele, anencefalia, agenesie, ecc.), a morfogenesi aberrante (tiroidi allocate in sede mediastinica, ecc.), a morfogenesi ridondante (polidattilia, reni soprannumerari) [2]. Le deformazioni sono difetti di forma e/o posizione di un certo organo, in precedenza normalmente differenziato e interessano generalmente strutture osteoarticolari (piede torto, lussazione congenita dell’anca, ecc.). Si verificano nella seconda metà della gestazione e sono legate all’azione prolungata di forze meccaniche endouterine che limitano i movimenti fetali (oligoamnios, uteri malformati, fibromi, ecc.). Le deformazioni hanno di solito prognosi migliore delle malformazioni in quanto possono essere più facilmente corrette alla nascita. Le caratteristiche differenziali tra malformazioni e deformazioni sono riportate nella Tabella 2.1. Un tipo particolare di deformazione è l’artrogriposi, caratterizzata da contratture muscolari con deficit funzionali di molte articolazioni (più spesso sono interessate quelle degli arti inferiori). Va ricordato che sono numerose le forme di artrogriposi primitive, genetiche ed ereditarie e pertanto non dovute ai fattori determinanti esterni sopra ricordati (Tabella 2.2) [3]. Le displasie sono difetti dell’organizzazione cellula-
Tabella 2.1. Caratteristiche differenziali tra malformazioni e deformazioni
Strutture colpite Periodo di insorgenza Grado di estensione del difetto Correzione spontanea Mortalità perinatale
Malformazioni Tutte Embrionale Organo/apparato Impossibile Elevata
Deformazioni Osteorticolari Fetale Area/regione colpita Possibile Nella norma
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
Tabella 2.2. Artrogriposi Disordine Arthrogryposis-renal dysfunction-cholestasis
Eponimi ARC syndrome Nezelof arthrogryposis syndrome
Amyoplasia
arthrogriposis multiple congenita nonlethal arthrogryposis-amyoplasia type intestinal atrophy-arthrogryposis
Arthrogryposis facial-limb anomaly syndrome Arthrogryposis,Illum type
Hall-Truog arthrogryposis syndrome
undefinable
arthrogryposis multiplex congenita with whistling face Illum arthrogryposis syndrome Mulliez arthrogryposis syndrome
autosomal recessive
AMCN1
autosomal recessive
Saraiva syndrome
X-linked recessive
Froster-Iskenius syndrome
autosomal recessive
Arthrogryposis Mulliez type Multiple arthrogryposis, congenital neurogenic type Arthrogryposis multiplex congenita-renal and hepatic Arthrogryposis-torticollis-malign ant hyperthermia syndrome Arthrogryposis X-linked moderately severe Arthrogryposis, X-linked lethal
Yuill-Lynch syndrome
Ereditarietà autosomal recessive supposed genetic heterogeneity supposed X-linked recessive sporadic supposed autosomal dominant
autosomal recessive
AMC distal type II X-linked recessive arthrogryposis X-linked II AMC distal type I X-linked recessive AMCX1 arthrogryposis X-linked I congenital neuropathy-arthrogryposis autosomal dominant multiplex
German syndrome
arthrogriposis-hypotonia-lymphoede supposed autosomal recessive
Pena-Shokeir I syndrome
arthrogryposis multipla autosomal recessive congenita-pulmonary hypoplasia genetic heterogeneity FADS fœtal akinesia deformation sequence fœtal akinesia sequence pseudotrisomy 18
Arthrogryposis-ectodermal dysplasia syndrome
Cote-Adamopoulos-Pantelakis syndrome
sporadic
Encha Razavi lissencephaly syndrome
lissencephaly syndrome type III and bone dysplasia
autosomal recessive
Da [3],con autorizzazione
Bibliografia OMIM ID:208085 J.Pediat.94,258-260,1979 OMIM ID:108110 Smith’s Recognizable Patterns of Human Malformation.5th Edition pag.170 Am.J.Med.Genet.113(1),23-28,2002 Baraitser-Winter: Congenital Malformation Syndromes Mosby&Wolfe Ed.1996,pag.84 Wiedemann H.R.-Kunze J.:Clinical Syndromes,Mosby-Wolfe Ed.1997 pag.464-465 Am.J.Dis.Child.129,120,1975 Am.J.Med.Genet.113(1),23-28,2002 OMIM ID:208155 Am.J.Med.Genet.113(1),23-28,2002 Arch.Fr.Pediatr.37,591-596,1980 Am.J.Med.Genet.113(1),23-28,2002 OMIM ID:208100 Am.J.Med.Genet.113(1),23-28,2002 OMIM ID:301820 Am.J.Med.Genet.113(1),23-28,2002 OMIM ID:217150 Am.J.Med.Genet.113(1),23-28,2002 OMIM ID:301830 Am.J.Med.Genet.113(1),23-28,2002 OMIM ID:301830 Am.J.Med.Genet.113(1),23-28,2002 OMIM ID:162370 J.Neurol.Neurosurg.Psychiat.37,316-323,197 Am.J.Med.Genet.113(1),23-28,2002 OMIM ID:231080 Am.J.Med.Genet.113(1),23-28,2002 OMIM ID:208150 Smith’s Recognizable Patterns of Human Malformation.5th Edition pag.174 Prenat.Diagn.20,422-425,2000 Am.J.Med.Genet.113(1),23-28,2002 Baraitser-Winter: Congenital Malformation Syndromes Mosby&Wolfe Ed.1996,pag.85-86 Wiedemann H.R.-Kunze J.:Clinical Syndromes,Mosby-Wolfe Ed.1997 pag.656-657 Hum.Hered.32,71-72,1982 OMIM ID:601701 Am.J.Med.Genet.113(1),23-28,2002 Am.J.Med.Genet.62,16-22,1996 OMIM ID:601160 Am.J.Med.Genet.113(1),23-28,200
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Capitolo 2 • Difetti congeniti • A.L.Borrelli,V.Ventruto,P.Borrelli
re di un sistema o di un organo; possono essere sistemiche o localizzate. Esempi di displasie sistemiche sono le displasie scheletriche, neurocutanee e cutanee; esempi di displasie localizzate sono gli angiomi, i nevi, ecc. Non hanno, in questo caso, significato di lesioni precancerose [4]. Le necrosi focali o distruzioni. Come per le deformazioni anche le distruzioni insorgono su tessuti o organi in precedenza normalmente differenziati. Sono difetti legati a turbe della vascolarizzazione estrinseca a monte di un organo (difetti da bande amniotiche, ischemie, emorragie, embolie). I difetti anatomici possono distinguersi in gravi e lievi. I primi incidono sensibilmente sulla salute del soggetto che ne è portatore e richiedono sempre un intervento chirurgico o medico; quelli lievi (difetti minori) sono soltanto delle modeste varianti rispetto alla norma della forma o delle dimensioni di una determinata struttura anatomica. Non incidendo, quindi, sulla salute del portatore possono soltanto alterarne talora l’aspetto. I difetti anatomici possono, inoltre, presentarsi isolati o tra loro associati nel medesimo individuo (Tabella 2.3). Tra i difetti multipli vanno segnalati le sindromi, le sequenze, i fenotipi e le associazioni additive.
Per sindrome si intende l’associazione di più difetti anatomici legati ad un’unica causa genetica o ambientale nota. L’eziologia può essere, infatti, cromosomica (sindrome di Down, sindrome di Patau, sindrome di Edwards, ecc.), genica per mutazione di un singolo gene (sindrome di Mechel, ecc.) o da teratogeni (fetal ACE inhibitors, rubella syndrome, ecc.). Per fenotipo intendiamo l’espressione fisica di un genotipo. I fenotipi si possono riferire tanto a malattie e sindromi genetiche note, quanto a patologie genetiche ancora non definite. Le sequenze malformative consistono in più difetti anatomici insorti come conseguenza di una specifica malformazione, un esempio è dato dalla sequenza di Pierre Robin dove il difetto primario è costituito da una grave micrognazia cui conseguono glossoptosi, compressione della lingua sul palato e palatoschisi. Va aggiunto, a proposito della Robin sequence, che si conoscono diverse sindromi genetiche in cui la sequenza dei tre difetti si associa ad altre patologie (Tabella 2.4). Associazioni additive sono date dal manifestarsi in uno stesso soggetto di difetti legati a meccanismi eziopatogenetici diversi o dalla coesistenza di difetti genetici e malformazioni da noxa ambientale (Tabella 2.3).
Tabella 2.3. Classificazione dei difetti congeniti Difetti funzionali Alterazioni della funzione di un organo anatomicamente normale (ritardo,mucoviscidosi,talassemie,ecc) Difetti anatomici Difetti anatomici singoli Malformazioni (difetti di struttura) Morfogenesi incompleta (cardiopatie,labiopalatoschisi,agenesie,ecc.) Gravi:agenesie,cardiopatie Epoca:periodo organo-genetico Morfogenesi aberrante (tiroidi in sede mediastinica) Lievi:polidattilia, ()8 settimane di sviluppo) Morfogenesi ridondante (polidattilia,ecc.) arteria ombelicale unica,ecc. Deformazioni (difetti di forma) Epoca:II metà della gravidanza
Anomalie dovute ad azione prolungata di forze meccaniche endouterine che limitano i movimenti fetali (oligoamnios,malformazioni uterine,fibromi,ecc.)
Gravi:lussazione congenita dell’anca,piede torto,ecc. Lievi:asimmetrie transitorie del volto
Displasie (difetti della organizzazione cellulare)
Anomalie sistemiche o localizzate dell’organizzazione cellulare di un organo o di un tessuto
Gravi:displasie scheletriche, displasie neurocutanee Lievi:nevi,angiomi
Necrosi focali o distruzioni (difetti da turbe della vascolarizzaione)
Anomalie dovute a turbe della vascolarizzazione estrinseca a monte di un organo
Gravi:difetti da bande amniotiche (mutilazione di una o più dita, encefalocele) ecc. Lievi:piccole cicatrici,costrizione alla base di un dito,ecc.
Difetti anatomici multipli Sindromi - Fenotipi - Sequenze malformative - Associazioni additive
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Tabella 2.4. Sindromi genetiche con Robin sequence Disordine Robin sequence with hyperphalangism
Robin sequence-oligodactyly syndrome Robin sequence
Robin sequence-heart malformation-clubfoot Robin sequence-facial digital anomalies Robin sequence-aniridia-growth delay Corpus callosum agenesis-facial anomalies-Robin sequence Robin sequence-sickle shaped scapulae Robin sequence-cleft lower lip Pieere Robin sequence-onychoterotopia
Eponimi Ereditarietà Catel-Manzke syndrome supposed X-linked recessive hyperphalangy-index finger clinodactyly-Pierre Robin syndrome index finger anomaly-Pierre Robin syndrome Pierre Robin syndromehyperphalangy-clinodactyly Robin sequence with hyperphalangism Stevenson syndrome Pierre Ribin sequence-oligodactyly supposed autosomal dominant
Bibliografia OMIM ID:302380 Smith’s Recognizable Patterns of Human Malformation.5th Edition pag.288 Wiedemann H.R.-Kunze J.:Clinical Syndromes, Mosby-Wolfe Ed.1997 pag.80-81
micrognathia-glossoptosis-cleft palate Pierre-Robin syndrome
OMIM ID:261800 Prenat.Diagn.19,567-569,1999 Smith’s Recognizable Patterns of Human Malformation.5th Edition pag.234 Wiedemann H.R.-Kunze J.:Clinical Syndromes, Mosby-Wolfe Ed.1997 pag.78-79 OMIM ID:311900
Pierre Robin-heart X-linked recessive malformation-clubfoot Chitayat syndrome supposed X-linked recessive Pierre-Robin-facial digital anomalies Robin sequence-aniridia-growth supposed autosomal recessive corpus callosum agenesis-facial anomalies-Robin sequence Robin sequence-sickle shaped scapulae Robin sequence-cleft lower lip Pieere Robin sequenceonychoterotopia Roger syndrome Lowry-Wesenberg-Hall syndrome
Robin sequence-multiple epiphyseal dysplasia Robin sequence-pectus Robin sequence-pectus excavatum-rib and scapular excavatum-rib and scapular anomalies anomalies Myopathy-Moebius myopathy-Moebius sequence-Robin sequence-Robin sequence sequence
Da [3],con autorizzazione
supposed autosomal recessive genetic heterogeneity sporadic
OMIM ID:172880
OMIM ID:311895 B.D.Encyclopedia 2578 p.1457
supposed autosomal recessive
OMIM ID:217980
sporadic
Br.J.Radiol.62,171-173,1989
sporadic sporadic
Int.J.Oral Surg.13,555-558,1984
sporadic autosomal dominant
autosomal recessive
Ann.Dermato.Venereol 113,235-242,1986 Am.J.Med.Genet.63,55-61,1996 OMIM ID:601560 Am.J.Med.Genet.73,247-250,1997 OMIM ID:602196 OMIM ID:254940 J.Pediat.101,858-868,1982 Am.J.Med.Genet.82,110-113,1999
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Capitolo 2 • Difetti congeniti • A.L.Borrelli,V.Ventruto,P.Borrelli
EZIOLOGIA I difetti congeniti, per molti dei quali ancor oggi è impossibile stabilire una eziologia certa, possono essere legati a malattie genetiche (alterazioni intrinseche o pre-zigotiche), all’azione di noxae esogene o ambientali (alterazioni estrinseche o post-zigotiche) o all’interazione di fattori genetici e ambientali (alterazioni o difetti multifattoriali) (Tabella 2.5) [2, 4, 5].
Difetti congeniti da malattie geniche e/o cromosomiche Le malattie geniche, unigeniche e poligeniche a seconda del numero dei geni alterati, si trasmettono al prodotto del concepimento secondo le leggi di Mendel. Il gene anomalo può essere presente in una delle 22 coppie di autosomi o essere localizzato sul cromosoma X [2, 4, 5]. L’ereditarietà mendeliana può essere dominante o recessiva; nel primo caso il carattere può essere trasmesso da uno solo dei genitori, nel secondo caso è necessaria la presenza del carattere patologico in entrambi i genitori. Esempi di malattie autosomiche dominanti sono: il rene policistico, le distrofie miotoniche, l’acondroplasia ecc.;
autosomiche recessive sono invece: la sordità congenita, la fenilchetonuria, la fibrosi cistica ecc. (Tabella 2.6). Le anomalie o aberrazioni cromosomiche possono riguardare il numero e/o la struttura dei cromosomi. Un esempio di aberrazione cromosomica numerica è dato dalle trisomie. La trisomia 21 (sindrome di Down), generalmente osservata nei feti di gestanti in età avanzata (>35 anni), è caratterizzata dalla non disgiunzione meiotica della coppia di cromosomi 21 per cui il prodotto del concepimento avrà un patrimonio cromosomico numericamente superiore a quello tipico della specie: 47 cromosomi invece di 46. Esempi di anomalie cromosomiche strutturali sono date dalle delezioni, traslocazioni non bilanciate ecc., per cui viene ad alterarsi la morfologia di uno o più cromosomi (vedi Capitolo 3) [6].
Difetti congeniti da teratogeni ambientali I difetti congeniti da noxae esogene sono malattie dovute all’azione di agenti teratogeni esterni o ambientali sul prodotto del concepimento. Agenti teratogeni ambientali in senso lato possono essere di natura chimica, fisica e infettiva (Tabella 2.7).
Tabella 2.5. Eziologia dei difetti congeniti Cause pre-zigotiche o intrinseche
Geniche
Monogeniche Poligeniche Numeriche Strutturali Virus,batteri,protozoi,ecc. Farmaci teratogeni,patologie metaboliche,ecc. Radiazioni,campi magnetici,esposizione al radon,ecc.
Cromosomiche Cause post-zigotiche o estrinseche (noxae esogene o ambientali)
Infettive Chimiche Fisiche Difetti multifattoriali
Interazione dei fattori genetici ed ambientali
Tabella 2.6. Incidenza delle principali malattie autosomiche dominanti,recessive e legate al cromosoma X Autosomiche dominanti Otosclerosi dominante Ipercolesterolemia familiare Rene policistico dell’adulto Esostosi multiple Corea di Huntington Neurofibromatosi Distrofia miotonica
‰ 3 2 0,8 0,5 0,5 0,4 0,2
Autosomiche recessive Fibrosi cistica Ritardo mentale (recessivo) Sordità congenita (recess.) Fenichetonuria Sindrome adrenogenitale Mucopolisaccaridosi Cecità (tipo recessivo)
(SIMP) Dati della Società Italiana di Medicina Perinatale
‰ 0,5 0,5 0,2 0,1 0,1 0,1 0,1
Legate al cromosoma X (X-linked) Ritardo mentale legato X fragile Ritardo mentale non specifico Distrofia muscolare di Duchenne Distrofia muscolare di Becker Emofilia A (difetto fattore VIII) Emofilia B (difetto fattore IX)
‰ 5 5 3 0,5 2 0,3
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
Tabella 2.7. Teratogeni esterni o ambientali Teratogeni di natura chimica
Farmaci
- Anticoagulanti orali (warfarina e derivati) - Antibiotici (tetraciclina,streptomicina) - Talidomide - Acido retinoico e derivati - Citostatici (ciclofosfamide,ecc.) - Anticonvulsivanti - Ormoni steroidi (estrogeni e progestinici di sintesi, glicocorticoidi naturali) - Ipoglicemizzanti orali - Amfetamine - Immunosoppressori
Malattie materne
- Diabete insulino-dipendente - Fenilchetonuria - Lupus eritematoso sistemico
Accumulo o carenza di metaboliti
- Carenza di acido folico - Accumulo di fenilalanina
Abitudini di vita e condizioni ambientali nocive
- Tossicodipendenza - Abuso di alcool,fumo,sedativi,ecc. - Esposizione ad elevate concentrazioni di piombo - Carenza di iodio - Esposizione a pesticidi
Teratogeni di natura fisica
- Esposizione a radiazioni ionizzanti (>5 rad) - Campi magnetici - Esposizione al radon (gas naturale)
Teratogeni di natura infettiva
- Toxoplasma gondii - Virus della rosolia - Citomegalovirus - Virus erpetici - Virus della varicella-zoster - Parvovirus B19 - Treponema pallidum
Teratogeni di natura chimica Le sostanze chimiche che possono causare malformazioni embrio-fetali sono molteplici; vanno ricordate tra queste taluni farmaci: gli anticoagulanti orali (warfarin), alcuni antibiotici (tetracicline, streptomicina), la talidomide, l’acido retinoico e derivati, i citostatici, l’aminopterina, alcuni anticonvulsivanti, gli ormoni steroidi (taluni glucocorticoidi naturali, estrogeni e progestinici di sintesi), gli antidiabetici orali; tra le sostanze teratogene per l’apparato cardiovascolare vanno segnalate le amfetamine e alcuni farmaci immunosoppressori [7] (vedi Capitolo 29).
Non va d’altra parte dimenticato come in gestanti portatrici di patologie metaboliche (diabete, fenilchetonuria, ecc.) l’aumento del rischio malformativo sia legato all’iperglicemia, all’accumulo di taluni metaboliti (fenilalanina) o a carenze vitaminiche (acido folico). Anche abitudini di vita non corretta: abuso di alcool, fumo, abuso di sedativi e tossico-dipendenza possono indurre difetti congeniti (vedi Capitolo 30). Nella Tabella 2.8 sono riportate più di 70 sindromi malformative fetali per la maggior parte non genetiche e causate da agenti teratogeni vari.
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Capitolo 2 • Difetti congeniti • A.L.Borrelli,V.Ventruto,P.Borrelli
Tabella 2.8. Sindromi indotte da teratogeni Malattia ACE inibitori fetali
Eredità Non genetica
Sintesi semeiologica Oligoidroamnios,ritardo nella crescita intrauterina, distress respiratorio,insufficienza renale perinatale,ipotensione neonatale anuria Infezione fetale da AIDS Non genetica Viso dismorfico,infezioni congenite,deperimento, anemia,segni neurologici,polmonite interstiziale linfoide,infezioni batteriche gravi,caratteristiche cliniche simili ad altre immunodeficienze gravi e combinate Sindrome da acinesia fetale Recessiva X-linked Acinesia fetale,arinencefalia,polidramnios Sindrome fetale da alcool Non genetica Carenza di crescita pre- e post-natale,ipoplasia di metà del viso,dismorfismo,difetti viscerali vari, difetti oculari inclusa l’anomalia di Peters (leucoma corneale,difetti dello stroma corneale e delle membrane di Descemet,aderenze iridee e lenticolari alla parte posteriore Ototossicità fetale da amminoglicoside Non genetica Perdita di udito,con o senza disturbi vestibolari Sindrome fetale da aminopterina Non genetica Idrocefalia,meningo-encefalocele,dismorfismo, micrognatia,labbro/palato leporino,assenza di ossa craniche Effetti fetali da anti-infiammatori
Non genetica
Effetti fetali da auto-anticorpi anti-tiroide
Non genetica
Effetti fetali anti-tiroide
Non genetica
Effetti fetali da barbiturici
Non genetica
Effetti fetali da benzodiazepina
Non genetica
Sequenza di distruzione del cervello fetale
Sporadica
Effetto fetale da carbamazepina
Non genetica
Effetto fetale da monossido di carbonio
Non genetica
Effetto fetale da Clomifene
Non genetica
Effetto fetale da cocaina
Non genetica
Oligoidroamnios,prematura/ parziale chiusura dei dotti arteriosi contratture delle giunzioni, scarso sviluppo polmonare,insufficienza renale,emorragia intracranica. Tendenza ad adenoma metarenale Ipertiroidismo transiente neonatale,ingrossamento della tiroide,ritardo nella crescita dovuto al passaggio attraverso la placenta degli autoanticorpi anti-tiroide da madre affetta da tiroidite di Hashimoto Occasionalmente,ipertiroidismo congenito,difetti del cuoio capelluto,difetti uracali,onfalocele Occasionalmente,dismorfismo simile alla sindrome fetale da idantoina,difetti cardiovascolari, labbro leporino,altri reperti Ipotonia sporadica,floppy baby,viso dismorfico ostruzione intestinale simile alla fibrosi cistica, altri reperti clinici Distruzione del cervello in utero che induce un collasso del cranio dovuto a ridotta pressione intracranica,grave microcefalia,marcate pliche del cuoio capelluto Occasionalmente microcefalia,spina bifida,altri reperti clinici Prematurità,contrazioni,altre anomalie muscoloscheletriche dovute a intossicazione materna da CO nel primo trimestre e a coma Occasionalmente,trisomia 21 o altre trisomie cromosomiche Malformazioni genito-urinarie simili alla sindrome prune-belly,anomalie cerebrali,malattia cardiaca, altri reperti clinici
Bibliografia [OMIM] BD Encyclopedia 2962 p.687
BD Encyclopedia 2497 p.682
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BD Encyclopedia 2992 p.685 BD Encyclopedia 0380 p.686 Smith’s Recognizable Patterns of Human Malformation,quinta edizione,p.570 BD Encyclopedia 3281 p.711
Prenat Diagn 19:468-471,1999
BD Encyclopedia 2926 p.707 Prenat Diagn 20:799-806,2000 BD Encyclopedia 2930 p.687
BD Encyclopedia 2929 p.688
BD Encyclopedia2254 p.689
BD Encyclopedia 2991 p.690 BD Encyclopedia 2510 p.697
BD Encyclopedia 2993 p.1347 BD Encyclopedia 2603 p.699 Segue →
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
Malattia Sindrome fetale da coxsackie B Citomegalovirus fetale
Eredità Non genetica Non genetica
Effetto fetale da DES
Non genetica
Effetto fetale da D-penicillamina
Non genetica
Encefalite equina fetale venezuelana Non genetica Effetto fetale da androgeni estrinseci Non genetica Sindrome del viso fetale
Autosomica dominante
Emangioendotelioma fetale Infezione fetale da epatite B Sindrome fetale da herpes virus simplex di tipo 1
Sporadica Non genetica Non genetica
Sindrome fetale da idantoina
Autosomica recessiva Non genetica
Foci fetali iperecogeni intra-epatici
Sporadica
Disordine fetale da carenza di iodio Probabilmente autosomica recessiva Sindrome fetale da isotretinoina
Non genetica
Esposizione fetale cronica al piombo Non genetica Sindrome fetale da listeriosi Non genetica
Effetti fetali da litio
Non genetica
Steatosi epatica acuta materno-fetale
Autosomica recessiva
Sintesi semeiologica Miocardite,meningoencefalite,epatite focale Ritardo di crescita fetale,epatoslenomegalia, porpora,ittero,anemia emolitica,microcefalia, coinvolgimento neuro-oculare inclusa cataratta. Occasionalmente idrope fetale,teratoma,tendenza alla leucemia Cambiamenti dell’epitelio vaginale,sostituito da adenosi o sostituzioni di epitelio colonnare mulleriano,fequenti anormalità cervicali,dell’utero o delle tube di Falloppio,occasionalmente cancro della vagina o della cervice,ambiguità genitale Ipersensibilità articolare simile alla Ehlers-Danlons, cute lassa,ernia,immunodeficienza,altri reperti clinici Dispnea,anossia,convulsioni,infezioni, necrosi cerebrale Pseudoermafroditismo femminile simile alla iperplasia surrenale di tipo III Bassa statura,alto rapporto neurocranio/ splancnocranio,facies tipica che suggerisce acondroplasia,distanza interorbitale accresciuta, ipoplasia genitale,brachimelia dell’avambraccio, altre anormalità Emangioendotelioma epatico fetale Cirrosi,epatite,occasionalmente cancro Rash vescicolare alla nascita/altre lesioni cutanee, microencefalia,calcificazioni intracraniche, idranencefalia,corioretinite,microoftalmia Deficienza di crescita pre- e post-natale, trigonocefalia,ipoplasia del viso,ipoplasia delle unghie/dell’ultima falange,ipospadia, anomalie oculari,singola arteria ombelicale, altri difetti (ganglioneuroblastoma,linfoma) Foci fetali iperecogeni intra-epatici isolati, generalmente con buona prognosi.Possono occasionalmente essere associati con altre anomalie, con cromosomopatie,infezioni prenatali,ecc. Manifestazioni cliniche che si presentano in Paesi con endemicità della gotta, caratterizzate da ritardo mentale,diplegia spastica, sordità,e dovute a carenza materna di iodio orecchie piccole o assenti,tacche preauricolari, micrognatia,palato leporino,idro-microencefalia, paralisi oculomotoria,altre manifestazioni oculo/viscerali Ritardo dello sviluppo intrauterino,ritardo mentale Distress respiratorio neonatale,convulsioni, epatosplenomegalia,rash,liquido amniotico macchiato da meconio; occasionalmente idrope fetale non immune Anormalità di Ebstein,ernia inguinale. mielomeningocele Cardiomiopatia,miopatia,ipotonia,ipoglicemia, convulsioni,aciduria lattica,morte improvvisa
Bibliografia [OMIM] BD OAS IV 7:59-63 1968 BD Encyclopedia 0381 p.691 Prenat Diagn 19:314-317,1999
BD Encyclopedia 2297 p.694
BD Encyclopedia 2260 p.692 BD Encyclopedia 2731 p.730 BD Encyclopedia 2734 p.702 18700 Smith’s Recognizable Patterns of Human Malformation, quinta edizione,p.130
Prenat Diagn 20:433-435,2000 BD Encyclopedia 3008 p.695 BD Encyclopedia 2988 p.713
261720 Smith’s Recognizable Patterns of Human Malformation, quinta edizione,p.559
Prenat Diagn 18:339-342,1998
228355
BD Encyclopedia 2261 p.722 Smith’s Recognizable Patterns of Human Malformation,quinta edizione,p.572 BD Encyclopedia 3194 p.705 Prenat Diagn 7:277-282,1987
BD Encyclopedia 2732 p.715 Am J Hum Genet 58:979-988,1996 600890 Pediatr Res 40:393-398,1996 Segue →
21
Capitolo 2 • Difetti congeniti • A.L.Borrelli,V.Ventruto,P.Borrelli
Malattia Diabete materno-fetale
Eredità Non genetica
Effetto materno-fetale da D-penicillamina
Non genetica
Somministazione maternofetale di Griseofulvina Ipertensione materno-fetale
Non genetica Non genetica
Effetti materno-fetali dell’ipertermia Non genetica
Sindrome materno-fetale da lupus Malattia di Lyme materno-fetale
Effetto materno-fetale da papilloma virus
Effetto materno-fetale da PKU
Autosomica dominante Non genetica
Non genetica Probabilmente autosomica dominante Autosomica recessiva
Sindrome di Sjogren-Mikulicz materno-fetale Fumo materno-fetale
Autosomica dominante Non genetica
Vasodilatatore materno-fetale
Non genetica
Sindrome fetale da metotrexato
Non genetica
Effetti fetali da metilmercurio
Non genetica
Sindrome fetale da minoxidil
Non genetica
Cisti fetali multiple
Etereogenicità genetica
Sindrome fetale da parvovirus
Non genetica
Sintesi semeiologica Peso sopra alla media alla nascita,obesità,aspetto simil-Cushing, visceromegalia con testa piccola, cataratta,altri difetti oculari,disordini metabolici, ipoglicemia,disordini vascolari/neuroscheletrici/ oculoviscerali/genitali.Alluci duplicati,microzia,anozia Iperestensibilità cutanea generalizzata simile alla Ehlers-Danlons e alla cute lassa, immunodeficienza,agenesia timica,danni cerebrali, idrocefalo,altri difetti Gemelli siamesi,altri reperti clinici
Bibliografia [OMIM] BD OAS XVIII(3A)55-57,1982 601759 J Med Genet 34:261-263,1997
Ritardo della crescita intrauterina, reperti clinici associati Difetti del tubo neurale,ritardo mentale, microoftalmia,ipoplasia del viso
BD Encyclopedia 2961 p.693
Basso peso alla nascita,ritardo mentale,ritardo nello sviluppo,malattia cardiaca congenita,altri difetti.Solo occasionalmente,microcefali Emocromatosi neonatale indotta dalla sindrome di Sjogren-Mikulicz materna Basso peso alla nascita,ritardo nella crescita intrauterina,abruptio placenta,placenta previa, SID,NNAL (metabolita della nicotina) nel liquido amniotico.Aumentato rischio durante la vita di cancro dei neonati la cui madre ha fumato durante la gravidanza Ipertricosi generalizzata; occasionalmente,facies dismorfica e/o altri reperti clinici Anomalie craniofacciali,anomalie digitali,ritardo nella crescita,nessun ritardo mentale Ritardo mentale,atassia,disturbi della parola, problemi di andatura,disturbi nella deglutizione, altri difetti neurologici,microcefalia,cecità Onfalocele,ipertricosi,criptorchidismo, viso dismorfico,altri dati clinici Edema generalizzato,cisti multiple,dermatolisi post-mortem,anomalie cromosomiche,difetti scheletrici,altre anomalie multiple Polidramnios,idrope fetale,anemia emolitica grave aplastica/non immunologica,inclusioni eritroblastiche, epatosplenomegalia,febbre,rash generalizzato, lesioni oculari incluse malformazioni del segmento anteriore; occasionalmente,necrosi miocardica
BD Encyclopedia 2236 p.705 Smith’s Recognizable Patterns of Human Malformation,quinta edizione,p.580 Am J Dis Child 147:1072-1075,2000
BD Encyclopedia 0233 p.692
BD Encyclopedia 2928 p.1721
BD Encyclopedia 2385 p.703 Smith’s Recognizable Patterns of Human Marformation,quinta edizione,p.578 Bradicardia repertata in utero,blocco cardiaco, BD Encyclopedia 2112 p.177 lupus cutaneo discoide,rash nel neonato Prenat Diagn 21:143-145,2001 Irritabilità,convulsioni,ipertonia,incoordinazione, BD Encyclopedia 3212 p.696 altri cambiamenti del comportamento,facies dismorfica Alla nascita o durante la prima infanzia,papillomi BD Encyclopedia 2965 p.1361 respiratori multipli,condilomi ano-genitali
Prenat Diagn 20:307-310,2000
BD Encyclopedia 2927 p.706 Teratology 57:51-55,1998 BD Encyclopedia 2495 p.716
Pediatrics 79:434-436,1987 BD Encyclopedia 2509 p.718
BD Encyclopedia 2980 p.719 Prenat Diagn 19:389-390,1999
Segue →
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
Malattia Effetto fetale da PCB
Eredità Non genetica
Effetto fetale da PCP
Non genetica
Sindrome fetale da primidone
Non genetica
Effetti fetali da propiltiouracile
Non genetica
Effetto fetale da radiazione
Non genetica
Sindrome fetale da rosolia
Non genetica
Effetto fetale del fumo Sindrome fetale da sifilide
Non genetica Non genetica
Sindrome fetale da talidomide
Sindrome fetale da toluene
Non genetica Probabilmente autosomica recessiva Non genetica
Sindrome fetale da toxoplasmosi
Non genetica
Sindrome fetale da trimetadione
Non genetica
Sindrome fetale da valproato
Non genetica
Sindrome fetale da varicella
Non genetica
Effetti fetali da verapamile
Non genetica
Sindrome fetale da warfarin
Non genetica
Persistenza ereditaria della emoglobina fetale,eterocellulare
Autosomica dominante
Sintesi semeiologica Iperpigmentazione,displasia delle unghie,basso peso alla nascita,altre anomalie Irritabilità,altri cambiamenti del comportamento,facies dismorfica Labbro/palato leporino,difetti cardiaci,coartazione dell’aorta,microcefalia,dismorfismo cranio-facciale simile alla sindrome fetale da idantoina,altri difetti Gotta fetale e ipotiroidismo causati dall’uso di propiltiouracile durante la gravidanza Microcefalia,ritardo mentale,cambiamenti nelle lenti delle capsule posteriori,conseguenti ad una esposizione sufficiente ed accidentale a radiazione ionizzante; rischi di leucemia Ritardo nella crescita prenatale,epatosplenomegalia, porpora/ittero,anomalie oculari inclusa cataratta, fontanelle larghe,microcefalia,sordità,difetti cardiaci. Occasionalmente idrope fetale.Sarcoma,glioma, tendenza alla leucemia Basso peso alla nascita Lesioni cutanee maculo papulari/alte, osteocondrite/periostite,lesioni orali/oculari/viscerali Difetti degli arti,emangioma nasale, atresia anale,stenosi duodenale, sordità,cambiamenti coroidoretinali, altri difetti oculo/viscerali Ritardo nella crescita,viso dismorfico,anomalie oculari,microcefalia,ritardo mentale,ipotonia, criptorchidismo,malformazioni renali,arteria ombelicale singola Prematurità,micro-idrocefalia,ritardo psicomotorio, microftalmo,corioretinite,calcificazioni periventricolari,altri coinvolgimenti viscerali. Occasionalmente idrope fetale.Il trattamento materno prenatale può dare una buona prognosi post-natale Ritardo mentale,dismorfismo,sopracciglia a V, labbro/palato leporino,elica anormale,cardiopatia, altre anomalie viscerali Spina bifida,dismorfismo,epicanto che si estende come un solco sotto l’orbita,difetti neurologici, altre anomalie viscerali Occasionalmente dovuta ad infezione materna con VZV (varicella-zoster virus) nelle prime 20 settimane di gestazione.Ulcerazioni/croste/ cicatrici/riduzioni focali cutanee,deformità,altri difetti multipli inclusa cataratta,cambiamenti coroidoretinici.Leucemia Cardiomiopatia ipertrofica congenita associata con espozione in utero a verapamile Ipoplasia nasale,distress respiratorio,punteggiatura epifiseale,estremità ipoplastiche,altri difetti multipli incluse anomalie oculari Persistenza asintomatica della emoglobina fetale concentrata in alcune cellule
Bibliografia [OMIM] BD Encyclopedia 2733 p.712 BD Encyclopedia 2986 p.696 BD Encyclopedia 2982 p.720
Prenat Diagn 15:599-604,1995 BD Encyclopedia 0383 p.721
BD Encyclopedia 0384 p.723 Smith’s Recognizable Patterns of Human Malformation,quinta edizione,p.574
BD Encyclopedia 2960 p.710 BD Encyclopedia 0385 p.725 BD Encyclopedia 0386 p.726
J Pediatr 106:922-927,1985
BD Encyclopedia 0387 p.727 Prenat Diagn 19:330-333,1999 Prenat Diagn 21:85-88,2001 Prenat Diagn 18:1186-1190,1998
BD Encyclopedia 0388 p.729 Smith’s Recognizable Patterns of Human Malformation,quinta edizione,p.564 BD Encyclopedia 2596 p.730 Smith’s Recognizable Patterns of Human Malformationi,quinta edizione,p.566 BD Encyclopedia 2499 p.708 Prenat Diagn 19:163-166,1999 Prenat Diagn 21:121-124,2001 Smith’s Recognizable Patterns of Human Malformation,quinta edizione,p.576 Prenat Diagn 15:1088-1089,1995 BD Encyclopedia 0389 p.731 Smith’s Recognizable Patterns of Human Malformation,quinta edzione,p.568 142470 Segue →
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Capitolo 2 • Difetti congeniti • A.L.Borrelli,V.Ventruto,P.Borrelli
Malattia Persistenza ereditaria della emoglobina fetale, eterocellulare,tipo svizzero Persistenza ereditaria della emoglobina fetale,pancellulare Idrope fetale,idiopatica
Eredità Dominante X-linked
Autosomica dominante Sporadica Probabilmente autosomica recessiva Intestino fetale iperecogeno isolato Cromosomica Eterogeneità genetica
Sintesi semeiologica Persistenza asintomatica della emoglobina fetale concentrata in alcune cellule
Bibliografia [OMIM] 305435
Persistenza asintomatica della emoglobina fetale 141749 concentrata uniformemente Nessuna idrope immuno-fetale,edema alla nascita, 236750 insufficienza cardiaca congestizia,nessuna incompatibilità materno-fetale L’incidenza dell’intestino iperecogeno (luminosità Prenat Diagn 20:909-913,2000 delle creste iliache) è 2-4 per 1.000 durante il secondo trimestre di vita del feto.Può essere dovuto a incremento del meconio,riduzione della motilità intestinale,cromosomopatia trisomica,infezione intrauterina,insufficienza placentare
Tra queste figurano diverse sindromi indotte dalla assunzione di specifici farmaci in gravidanza (inibitori ACE fetali, sindrome fetale da Warfarin, sindrome fetale da valproato, sindrome fetale da trimetadione, effetto fetale da benzodiazepine, effetto fetale da carbamazepina, effetto fetale da anti-tiroidei, sindrome fetale da idantoina, e diverse altre). Appaiono necessarie, quindi, a tal proposito alcune considerazioni. Il rischio di effetti teratogeni per l’assunzione di un farmaco nel corso della gravidanza, oltre che dalla intrinseca composizione della sostanza, dipende da molti altri fattori che non devono mai essere trascurati: 1. il tempo di somministrazione; 2. l’eventuale precedente, contemporanea o successiva esposizione ad altri agenti chimici o fisici ritenuti teratogenici; 3. l’imponderabile ma certamente significativa variabilità nella risposta individuale della donna; 4. l’epoca gestazionale in cui un farmaco è stato assunto (vedi successivamente; le benzodiazepine, ad esempio, nel primo trimestre non sembra abbiano effetti nocivi sul feto, mentre la somministrazione nell’ultimo trimestre comporta un maggiore rischio teratogenico) [8]. Al fine di escludere una semplice casualità dell’evento, va ricordato che una sostanza teratogena tende, di solito, a provocare sempre lo stesso tipo di danno embriologico. È utile, a tal proposito, il ricordo della talidomide responsabile della focomelia. Lo stesso specifico difetto degli arti può, però, essere presente in almeno una ventina di sindromi genetiche note (la malattia di Fanconi tipo I; la sindrome di TAR; la sindrome di Cornelia de Lange; la DK sindrome e tante altre) [7].
Riportiamo altri esempi utili a far riflettere su aspetti importanti di quanto stiamo trattando. In un neonato con labbro leporino, la cui madre ha assunto per un lungo periodo della gravidanza un farmaco potenzialmente teratogeno, saremmo portati a sospettare un rapporto di causa-effetto. Se però, dall’anamnesi genetica, risulta che analogo difetto era presente anche in uno stretto familiare della donna o del suo consorte, la patologia occorsa al feto è con ogni probabilità indipendente dal farmaco assunto durante la gravidanza. Non andrebbe però escluso, in questo caso, che il farmaco abbia agito come concausa dell’evento [7]. Il clomifene è un derivato non steroideo usato di frequente per indurre l’ovulazione; la sua somministrazione si accompagna, unitamente a gravidanze plurime, anche ad un’aumentata frequenza di aborti spontanei. È però difficile ritenere che il farmaco sia l’unico responsabile di quest’ultima evenienza, che può invece essere riportata ad una condizione predisponente di base, rappresentata dall’alterato equilibrio ormonale che d’altronde spiega l’impiego del farmaco. Che episodi come quelli riportati meritino estrema cautela interpretativa deriva anche dal fatto che, non di rado, nascono controversie medico-legali che vedono ostetrici rinviati a giudizio per negligenza e/o imprudenza.A questo proposito va anche tenuto presente che: più di 1/4 degli aborti spontanei è dovuto a cromosompatie o a cause del tutto sconosciute; malformazioni rilevanti, definite perciò “maggiori” sono presenti in circa il 3% degli embrioni umani; un feto su 25 va incontro a ritardo nella crescita intrauterina e ben l’8-10% ha una malattia genetica, ad esordio precoce o tardivo. Bisogna infine considerare che è invalso l’uso (o l’abuso) di segnalare nelle “avvertenze” che accompagnano le confezioni della maggior parte dei farmaci in commercio che una certa sostanza può essere nociva e per-
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
tanto se ne sconsiglia la somministrazione in gravidanza. Se queste avvertenze, disposte forse anche da decreti ministeriali, valgono a tutelare le industrie produttrici, tuttavia inducono troppo spesso nell’utenza ingiustificati timori [7].
Teratogeni di natura fisica Tra i teratogeni di natura fisica vanno segnalate le radiazioni naturali, i campi magnetici, l’esposizione al radon (gas naturale). Molta importanza hanno anche le radiazioni utilizzate a scopo diagnostico durante le prime 13 settimane di gravidanza. L’azione teratogena di queste radiazioni ed in particolare dei raggi X è stata oggetto di molteplici e approfonditi studi; nonostante la vastissima letteratura sull’argomento [9-11] non vi è ancora certezza circa gli effetti reali che esse determinano sul prodotto del concepimento e, allo stato, esiste ancora confusione circa le differenti azioni prodotte in vivo da raggi X, microonde, ultrasuoni, onde radar, sorgenti diatermiche ecc. Appare necessario, quindi, definire le caratteristiche fisiche e gli effetti biologici delle radiazioni più studiate. I raggi X e i raggi γ sono onde elettromagnetiche altamente penetranti nei tessuti dove inducono ionizzazione. L’effetto biologico è dovuto alle conseguenti reazioni elettrochimiche che, ad alte concentrazioni, inducono morte cellulare, arresto dello sviluppo, mutazioni e cancro. L’aumentata incidenza di cancro è stata trovata nei pazienti sottoposti a terapia radiante, negli operatori sanitari esposti per anni alle radiazioni senza le dovute precauzioni (come è occorso nel passato), nei minatori di miniere di uranio e di radium [9-13]. Le microonde, le onde radar, le radio-onde e le onde diatermiche sono onde elettromagnetiche che, pur con diversa capacità di penetrazione nei tessuti, non inducono in questi ionizzazione [12]. L’effetto biologico in questi casi è l’ipertermia. Le onde diatermiche elettromagnetiche hanno proprietà di penetrazione superiore alle microonde e inducono per questa ragione minore effetto ipertermico; va però notato che microonde con frequenze sopra i 10.000 MHz, pur con bassa penetrazione, provocano significativa ipertermia. Poco ancora si conosce circa gli eventuali effetti non termici dovuti alle irradiazioni elettromagnetiche; sembra però accertato che l’occhio sia l’organo più vulnerabile: infatti l’esposizione prolungata a microonde o radar fa sviluppare una cataratta con significativa frequenza. Gli ultrasuoni sono composti da onde con frequenze non percepibili dall’orecchio umano; non inducono ionizzazione dei tessuti esposti bensì una sorta di compressione-rarefazione sulla materia che incontrano. Al-
1
le dosi utilizzate a scopo diagnostico (come ad esempio nel monitoraggio fetale ecografico) i numerosi studi epidemiologici estesi a distanza di anni dalla nascita dei feti esposti, non depongono per effetti biologici nocivi [10]. Circa invece i danni indotti dai raggi X in utero, va detto quanto segue: gli effetti delle radiazioni sono diversi a seconda della sede irradiata, della fase di sviluppo del concepito e dell’entità dell’irradiazione [10]. Per quanto attiene alla sede, appare evidente la maggiore pericolosità di radiazioni che agiscono in sede addomino-pelvica rispetto ad altre sedi. Nella teratogenesi embriofetale molta importanza ha certamente l’epoca gestazionale, variando notevolmente la sensibilità agli agenti teratogeni in rapporto allo stadio di sviluppo. Nel I stadio (prime due settimane di sviluppo1), essendo l’embrione costituito da cellule totipotenti non ancora quindi specializzate nella strutturazione dei vari organi ed apparati, l’azione della noxa ha l’effetto del “tutto o nulla” nel senso che o si interrompe la gravidanza o non si verificano danni. In questa fase precoce di sviluppo vi è, quindi, un’elevata incidenza di effetti letali con bassa percentuale di effetti teratogeni. Il fatto, apparentemente paradossale, è probabilmente dovuto alla possibile sostituzione delle cellule colpite se ovviamente il loro numero è limitato. Nel II stadio, quello dell’organogenesi, (dalla fine della 2ª alla 10ª settimana di sviluppo) si ha la maggiore sensibilità agli eventuali insulti teratogeni ed è, quindi, questo il periodo in cui maggiore è l’incidenza di malformazioni [6]. Nel III stadio, quello della moltiplicazione cellulare (dopo la 10ª settimana di sviluppo) si vanno progressivamente riducendo gli effetti teratogeni a carico dei vari organi e l’insulto ambientale, agendo su strutture fetali già costituite, può determinare soltanto un ritardo di crescita o rallentare la differenziazione cellulare di un determinato organo. Soprattutto elevati sono, a tal proposito, i rischi sullo sviluppo del sistema nervoso centrale. Ancora scarse sono le conoscenze sui meccanismi che provocano le diverse patologie conseguenti alla esposizione ad alte dosi di radiazioni [9-11]: morte cellulare, difetti nella migrazione neuronale, anomalie cromosomiche, mutazioni somatiche; né tampoco si conoscono i meccanismi con cui possono avvenire anche danni a distanza, cioè dopo la nascita, consistenti in infertilità, cancro, riduzione della sopravvivenza media ecc. Le più frequenti manifestazioni patologiche sui feti umani esposti a radiazioni ionizzanti ritenute dannose sono: la microcefalia, il ritardo di crescita intrauterina, il ritardo mentale. Sono questi gli effetti pressoché
Per settimane di sviluppo si intendono quelle successive alla fecondazione.
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Capitolo 2 • Difetti congeniti • A.L.Borrelli,V.Ventruto,P.Borrelli
costanti che seguono esposizioni acute - quasi sempre accidentali - ad almeno 50.000 milli-rads. Queste dosi sono di gran lunga superiori a quelle impiegate nei normali esami radiologici diagnostici, che si mantengono di solito al di sotto dei 5.000-10.000 milli-rads2. Ai dati fin qui esposti, vanno aggiunte alcune altre considerazioni: 1. le radiazioni, a differenza dei farmaci, non hanno in pratica un effetto soglia, per cui la insorgenza di una mutazione non può essere esclusa anche dopo esposizioni minime; del resto non tutti gli studi epidemiologici condotti in vari Paesi del mondo escludono che l’esposizione anche a dosi inferiori a 5.000 milli-rads siano del tutto esenti da rischi [9-11]; 2. pur se gli effetti delle radiazioni sono dose-dipendenti, tuttavia non sappiamo ancora se la relazione dose-effetto sia lineare o esponenziale; 3. è stato segnalato un aumentato rischio di aborto spontaneo quando gli ovociti utilizzati per programmi di procreazione assistita erano ottenuti da ovaie esposte in precedenza a irradiazione; l’esposizione in utero a 1.000-2.000 milli-rads aumenta di due volte il rischio di insorgenza di leucemia infantile [12]. A parte tanti controversi pareri è convincimento quasi unanime che il rischio per un embrione sia molto basso per esposizioni a dosi che non superano i 5.000 millirads, come quasi sempre di fatto accade [9-12]. Va aggiunto che, pur non essendo ereditaria, è stata notata una non casuale ricorrenza familiare della leucemia per cui nella fratria dei leucemici il rischio della malattia è più elevato (1:700) contro quella stimata di 1:2000 nei soggetti esposti a radiazione diagnostica. Più elevato è il rischio per il feto, se la madre è esposta durante la gravidanza a terapia radiante, nel qual caso il feto assorbe dosi anche superiori a 50.000 milli-rads, con danni quasi sempre irreparabili [10-12]. A una donna sottoposta a irradiazione diagnostica delle gonadi si deve raccomandare di evitare il concepimento per almeno 3 mesi dalla esposizione; questa precauzione va presa perché, anche se non vi sono dati che dimostrino un aumento di anomalie congenite nell’uomo, si è dimostrato che l’evento occorre nelle femmine del topo. Naturalmente, nella valutazione complessiva del rischio vanno tenuti in conto, oltre a quanto analizzato, molti altri elementi eventualmente emersi da un’accurata anamnesi genetica familiare non esclusa la concomitante esposizione ad altri fattori teratogenici (infettivi, farmacologici, ecc.) che assumono, in tal caso, proprietà additiva.
2
L’unità di misura attualmente utilizzata è il Gray (Gy); 1Gy = 100 rads.
Teratogeni di natura infettiva Lo spettro di agenti infettivi responsabili di malformazioni è certamente ampio e ancora non del tutto conosciuto. Fermo restando i rilievi precedentemente esposti sui diversi stadi di sensibilità del prodotto del concepimento ai teratogeni ambientali, appare evidente il ruolo causale di infezioni batteriche, virali e protozoarie nella genesi dei difetti congeniti (vedi Capitolo 16). La sifilide è, tra le infezioni batteriche ad andamento cronico, quella dotata di un più spiccato potere teratogeno. Sono tuttavia le infezioni virali e soprattutto il gruppo di infezioni del complesso TORCH (acronimo che sta per toxoplasmosi, other, rubella, citomegalovirus, herpes virus) quelle più frequentemente implicate nella genesi della patologia malformativa embrio-fetale (Tabella 2.5). Molti difetti congeniti sono come già ricordato secondari ad un’interazione tra fattori genetici ed ambientali per esempio molte cardiopatie sono legate all’azione del virus della rosolia su un terreno di predisposizione genetica [14].
Glossario I termini congenito e genetico non sono sinonimi. Una malattia congenita non è necessariamente genetica e al contrario una malattia genetica può non essere congenita. Tipico esempio è dato dalla corea di Hungtinton una malattia degenerativa del sistema nervoso trasmessa come carattere autosomico dominante che si manifesta non alla nascita, ma in età adulta. Anche i termini di ereditario o eredo-familiare vengono in genere usati come sinonimo di genetico. Essi tuttavia non sono strettamente sovrapponibili e andrebbero riservati a quei caratteri genetici trasmissibili dai genitori ai figli. Pertanto una malattia come la sindrome di Down, pur essendo dovuta ad un’anomalia genetica non è in genere ereditaria, non è cioè trasmissibile in quanto i soggetti affetti sono di solito sterili.
Incidenza L’incidenza di una malattia è data dal numero di nuovi casi che si verificano in un determinato periodo (es. 50 casi per 100.000 individui in un anno).
Prevalenza La prevalenza è data dal numero totale di casi presenti in una popolazione in uno specifico periodo e comprende sia i casi nuovi che quelli vecchi.
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
Per cui su 100.000 individui potrebbe esservi, per una particolare malattia, una incidenza di 300 casi all’anno, ma una prevalenza di 3.000 casi perché la malattia ha una durata media di 10 anni prima di esitare nella guarigione o nella morte del paziente.
Ricorrenza È la probabilità che una certa malformazione o affezione possa ripetersi in una determinata famiglia. Le indagini sulla frequenza dei vari difetti anatomici nel parentado di un soggetto affetto, hanno permesso non solo di avanzare per talune affezioni una ipotesi eziologica (genetica, ambientale o multifattoriale), ma anche di stabilirne empiricamente il rischio di ricorrenza. Valutare il rischio di ricorrenza di una certa affezione è molto importante nella consulenza genetica di persone portatrici di un difetto o che abbiano già avuto un figlio affetto dalla stessa anomalia.
PREVENZIONE PRIMARIA E SECONDARIA DEI DIFETTI CONGENITI La prevenzione primaria dei difetti congeniti consiste nella identificazione degli agenti eziologici e, ove possibile, nella loro rimozione. Poiché le conoscenze attuali sulla eziologia di numerose malformazioni congenite sono frammentarie e spesso carenti, appaiono evidenti le difficoltà circa la realizzazione di una efficace prevenzione delle stesse. Ciononostante per i difetti congeniti ad eziopatogenesi nota sono state proposte diverse “strategie preventive”. Essendo la fase organogenetica quella a maggiore rischio malformativo, appare evidente che ogni intervento preventivo debba essere effettuato quanto più precocemente possibile e che il periodo preconcezionale è quello ottimale per realizzare una efficace profilassi. In fase pre-concezionale è importante: a. Identificare tra le future gestanti, quelle portatrici di affezioni (diabete, fenilchetonuria, ecc.) potenzialmente teratogene in modo da porre in atto appropriati interventi terapeutici tesi a ridurre il rischio malformativo. b. Valutare, mediante la determinazione dei tassi anticorpali specifici, lo stato immunitario nei confronti degli agenti morbigeni del complesso TORCH, della lue, della varicella. Per le gravide non immuni, a seconda dei casi, sarà valutata l’opportunità di praticare vaccinazioni (rosolia, varicella), di consigliare opportune norme igieniche e controlli immunologici durante la gestazione (toxoplasmosi) e specifici trattamenti antibiotici in caso di sifilide.
c. Raccogliere informazioni sull’uso che la futura gestante eventualmente fa di farmaci teratogeni per affezioni di cui è portatrice, rendendola edotta del rischio malformativo legato all’uso degli stessi in gravidanza. d. Individuare le fumatrici accanite, le alcooliste, quelle che fanno uso di droghe e quelle che, in genere, hanno abitudini alimentari o di vita inidonee e/o pericolose per un normale sviluppo embriofetale invitandole ad acquisire, in previsione della gravidanza, un regime di vita più consono alle norme igieniche della stessa. e. Consigliare le donne a risanare il proprio organismo da affezioni che possono influire negativamente sulla evoluzione della futura gravidanza quali endocrinopatie, alterazioni della crasi ematica, epatopatie, nefropatie ecc., assumendo, d’altra parte, dosi adeguate di vitamine del complesso B, di vitamina C e soprattutto di acido folico. Questa vitamina infatti, assunta nei tre mesi che precedono l’inizio della gestazione e nel periodo organogenetico alla dose di 0,4 mg/die, è in grado di ridurre non solo l’incidenza dei difetti di chiusura del tubo neurale del 60-70%, ma anche di altri difetti congeniti quali cardiopatie, malformazioni delle vie urinarie, labiopalatoschisi ecc [15]. La dose di acido folico da assumere a scopo preventivo è di 4 mg/die nelle gestanti con anamnesi positiva per DTN (difetti del tubo neurale). Secondo recenti ricerche l’effetto protettivo dell’acido folico sarebbe legato alla capacità di agire favorevolmente insieme alla vitamina B12 su di un difetto metabolico dell’omocisteina-metionina geneticamente determinato [15]. Oltre alla prevenzione primaria è di fondamentale importanza, soprattutto nelle coppie a rischio malformativo, la consulenza genetica (vedi Capitolo 3) che servirà ad informarle in modo chiaro ed esauriente sull’entità del rischio aiutando i partners, nel rispetto della libertà e delle altrui convinzioni, a scegliere tra le varie opzioni quella più soddisfacente e conveniente. La prevenzione secondaria delle malformazioni congenite può essere effettuata in gravidanza ponendo in essere scrupolosamente le norme dell’igiene della gravidanza e realizzando i programmi di screening ecografici e biochimici dei difetti congeniti che consentano di selezionare, nella popolazione in generale, le gravide a rischio da avviare alla diagnostica prenatale invasiva (Tabella 2.9). Posta la diagnosi saranno fornite alla gestante consigli genetici, informazioni sui possibili trattamenti e assistenza psicologica per una scelta consapevole circa l’ulteriore conduzione della gestazione.
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Capitolo 2 • Difetti congeniti • A.L.Borrelli,V.Ventruto,P.Borrelli
Tabella 2.9. Prevenzione primaria e secondaria dei difetti congeniti Prevenzione primaria (fase pre-concezionale) Individuare e correggere affezioni materne potenzialmente responsabili di difetti congeniti:diabete,endocrinopatie,epatopatie,ecc. Sierologia complesso TORCH.Vaccinazione soggetti non immuni (rosolia) e consigli circa le misure igieniche atte a prevenire altre infezioni Informare circa gli effetti teratogeni di alcuni farmaci Dissuadere da stili di vita non idonei in gravidanza (fumo,alcool,droghe,ecc.) Consigliare l’assunzione di acido folico in epoca pre-concezionale e nella fase organogenetica Prevenzione secondaria (fase post-concezionale) Osservanza scrupolosa delle norme dell’igiene della gravidanza,con particolare attenzione all’alimentazione Realizzazione di programmi di screening ecografici e biochimici dei difetti congeniti nella popolazione non a rischio Diagnosi prenatale invasiva dei difetti congeniti Monitoraggio accurato delle gravidanze a rischio
BIBLIOGRAFIA 1. Società Italiana di Medicina Perinatale (1990) Assistenza Perinatale in Italia, 2ª edizione 2. Associazione Italiana Studio Malformazioni (1987) Manuale per la prevenzione, diagnosi e terapia delle malformazioni congenite. Edizione Lions Club, Bergamo 3. Ventruto V, Di Luccio A (2006) A clinical database for 5.900 genetic disorders. www.genusonline.org 4. Borrelli AL (ed) (1996) Studio retrospettivo sulla patologia fetale malformativa occorsa nell’ultimo quinquennio presso la Clinica Ginecologica e Ostetrica della Seconda Università di Napoli. Atti del VI Congresso Nazionale Società Italiana di Medicina Perinatale. Spoleto 3-6 giugno 1996 5. Leck I (1994) Structural Birth Defects. In: Pless BI (ed) The epidemiology of childhood disorders, Oxford University Press, Oxford, pp 66-117 6. Mastroiacovo P (1993) Epidemiologia e prevenzione dei difetti del tubo neurale. Editeam Simposia 133-178 7. Pagano M, Mastroiacovo P (1988) La prescrizione dei farmaci in gravidanza. Guida alla valutazione del rischio genetico. McGraw Hill, Milano
8. McElhatton PR (1994) The effects of benzodiazepine use during pregnancy and lactation. Reprod Toxicol 8:461-475 9. Proceedings of the Symposium on the late effects of ionozing radiation. March 13-17 (1978) International Atomic Energy Agency, Vol I 10. Brent RL (1983) The effects of embryonic and fetal exposure to X-ray, microwaves, and ultrasound. Clin Obstet Gynecol 26:484-510 11. Brent RL (1980) Radiation teratogenesis. Teratology 21:281 12. Miller RW (1970) Epidemiological conclusions from radiation toxicity studies. Late effects of radiation. Taylor & Francis, Londra 13. HSE (1993) Management of health and safety at work, approved of practice. HMSO, Londra 14. Marino B, Dallapiccola B, Mastroiacovo P (1995) Cardiopatie congenite e sindromi genetiche. McGraw Hill, Milano 15. Mastroiacovo P, Botto L, Castilla EE (1994) I registri delle malformazioni congenite: una valutazione critica. Prospettive in Pediatria 24:227-233
CAPITOLO 3
Malattie genetiche nella medicina prenatale M.L. Ventruto • V. Ventruto
PREMESSA Per molte malattie ereditarie e sindromi plurimalformative è oggi possibile la diagnosi prenatale e la valutazione preconcezionale del rischio. Per il maggior numero di eredopatie era possibile, fino a pochi anni or sono, solo la valutazione del rischio di ricorrenza, basandosi sulla conoscenza dei modelli di eredità mendeliana. Nel caso tutt’altro che raro di eredopatie che non comportano al feto anomalie strutturali riconoscibili alla ecografia, le possibilità di diagnosi preclinica o presintomatica erano molto limitate: oggi sono invece numerose le malattie che possono giovarsi anche di un approccio diagnostico di laboratorio, con analisi biochimiche, molecolari o citogenetiche sul liquido amniotico o sui tessuti fetali. Le malattie ereditarie e le malformazioni congenite su base genetica sono numerose: il database GENUS [1] ne include circa 6.000. Si ha ragione di ritenere che in futuro, grazie alla sempre più approfondita conoscenza del genoma umano, sarà possibile risalire al difetto genico di un numero ancora maggiore di patologie. Più di un terzo delle cause di mortalità infantile e neonatale nelle società industrializzate sono dovute a malattie genetiche; questo numero è destinato anche a crescere in percentuale per la progressiva riduzione dei fattori di rischio esterni (malnutrizione, malattie infettive, disagevoli condizioni di vita, ecc.) che costituivano nei decenni passati la causa maggiore della mortalità infantile. Analoghe considerazioni spiegano perché il 40% dei ricoveri nelle Divisioni di Pediatria sono richiesti per patologie dovute a malattie geniche. Con l’aumento dell’età media della vita, anche le patologie croniche degenerative della terza età, quasi tutte su base genetica, sono divenute più frequenti. La ricerca volta al riconoscimento di mutazioni geniche e quindi alle cause delle malattie ereditarie, evidenzia una progressione non lineare ma esponenziale: come nella composizione di un complesso puzzle, a ma-
no a mano che si procede nella costruzione si accorciano sempre di più i tempi necessari alla collocazione dei vari tasselli, così ogni nuova conoscenza sulla struttura molecolare del genoma facilita la scoperta di nuovi geni, le loro caratteristiche, la collocazione sui cromosomi, le loro funzioni. Il lavoro non è certamente semplice, quando si consideri che i “tasselli” sono in ogni cellula tre miliardi ed i geni assommano a decine di migliaia.
Genotipo e fenotipo Il termine genotipo indica la costituzione genetica di un individuo; il fenotipo definisce invece le caratteristiche fisiche e funzionali della persona. Il genotipo è fissato al momento della fecondazione ed è costante (si modifica solo con l’intervento di mutazioni spontanee o indotte), mentre il fenotipo esprime i caratteri dell’individuo dettati dal proprio genotipo. L’insieme dei caratteri (o tratti), sia normali che patologici, costituiscono quindi il fenotipo di un individuo, rappresentato da proprietà biochimiche, processi cellulari, strutture anatomiche, funzione di organi, caratteristiche comportamentali; essi sono quindi, a differenza del genotipo, potenzialmente variabili e risultano sempre dall’interazione fra costituzione genetica e il mutevole ambiente che ci circonda.
Cromosomi umani e loro cariotipo I cromosomi sono strutture complesse situate nei nuclei di ogni cellula dell’organismo; sono costituiti da cromatina formata a sua volta dal DNA (depositario dell’informazione genetica) e da proteine che non solo intervengono nell’organizzazione del DNA e nel controllo dell’espressione genica, ma forniscono anche l’impalcatura di sostegno alla cromatina stessa.
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
I cromosomi possono essere osservati al microscopio ottico durante la metafase mitotica e meiotica della cellula. Ogni cromosoma è costituito da due cromatidi (detti fratelli) tenuti insieme a livello di una particolare struttura, il centromero (Fig. 3.1). Ciascun cromatide è formato da un braccio corto collocato verso l’alto detto “p” (dal francese petit) e un braccio lungo “q” (così detto perché 1-p=q).
Fig. 3.1. Tipi di cromosomi umani e denominazione delle varie componenti.Modificata da [2],con autorizzazione
In base alla posizione del centromero i cromosomi si classificano in: metacentrici, quando il centromero è in posizione centrale e le braccia sono di lunghezza pressocché uguale; submetacentrici, quando “p” è più breve di “q”; acrocentrici quando il centromero è in posizione terminale e “p” è molto più breve di “q”. I cromosomi acrocentrici posseggono particolari corpiccioli detti satelliti, collegati al cromatidio da sottili filamenti di cromatina. L’estremità di ciascun cromatide forma il telomero (Fig. 3.1). Il numero e la morfologia dei cromosomi è uguale in tutti gli individui di una specie, e differisce tra le diverse specie. Il cariotipo di una persona definisce il suo assetto cromosomico. Nella specie umana il cariotipo è di 46 cromosomi: 22 coppie di cromosomi autosomici e una coppia di cromosomi sessuali o eterocromosomi. Il cariotipo completo è quindi 46,XX nella femmina e 46,XY nel maschio.A ciascuna coppia di cromosomi è stato assegnato un numero progressivo da 1 a 22. In base alle dimensioni e alla posizione del centromero, i cromosomi umani sono stati divisi in ordine decrescente di lunghezza in 7 gruppi indicati con le lettere dell’alfabeto, dalla A alla G. I cromosomi del sesso (X e Y) formano gruppo a sé (Fig. 3.2).
Fig.3.2.*Piastra cromosomica non bandeggiata;# cariotipo normale femminile al bandeggio R.A ciascuna coppia di cromosomi è stato assegnato un numero progressivo da 1 a 22. I cromosomi sessuali X e Y formano un gruppo a sé.Fin dalla prima classificazione di Denver (1960) i cromosomi sono stati differenziati in base alla loro lunghezza nei seguenti gruppi:A (13); B (4-5); C (6-12); D (13-15); E (16-18); F (19-20); G (21-22)
– – – – – – – –
I gruppi di cromosomi sono: gruppo A: coppia di cromosomi 1-3; gruppo B: coppia di cromosomi 4-5; gruppo C: coppia di cromosomi 6-12; gruppo D: coppia di cromosomi 13-15; gruppo E: coppia di cromosomi 16-18; gruppo F: coppia di cromosomi 19-20; gruppo G: coppia di cromosomi 21-22; cromosoma X e cromosoma Y.
I cromosomi appartenenti ai diversi gruppi sono definiti autosomi (Fig. 3.2). Il riconoscimento di un cromosoma come di suoi singoli segmenti è stato reso possibile, agli inizi degli anni ’70, dalle tecniche di bandeggio. Il bandeggio consente l’identificazione di ciascuna coppia di cromosomi e il riconoscimento talvolta anche di tratti separati di essi. Si utilizzano diversi sistemi di bandeggiamento, indicati con le lettere G, R, Q, C, NOR, ecc. Con queste tecniche i cromosomi appaiono formati da
Capitolo 3 • Malattie genetiche nella medicina prenatale • M.L.Ventruto,V.Ventruto
tanti segmenti denominati bande, alcune chiare, altre più scure. È importante sapere che il numero e l’ampiezza delle bande è costante e specifico per ciascun cromosoma. Con metodi particolari si è oggi in grado di evidenziare in un cariotipo più di 800 bande e sottobande. Alla citogenetica classica, finalizzata alla identificazione dei cromosomi e delle loro anomalie, si è aggiunta negli ultimi anni la citogenetica molecolare1, che con la ibridazione in situ fluorescente (FISH) ed altri tipi di approccio diagnostico molecolare rendono possibile il riconoscimento di difetti cromosomici molto piccoli (ad esempio microdelezioni) impossibili altrimenti a essere diagnosticati anche con bandeggi ad alta risoluzione su cromosomi ottenuti in prometafase. Sonde molecolari specifiche consentono il riconoscimento di ciascun cromosoma di una piastra, mediante la colorazione con specifici differenti fluorocromi (cariotipi cosiddetti spettrali)*.
Codice genetico, geni e polimorfismi genici Le molecole dell’acido desossiribonucleico (DNA) sono formate da uno zucchero con cinque atomi di carbonio, un sale fosfato e 4 basi azotate (adenina, timina, guanina, citosina). Questi elementi, uniti da legami chimici, formano la lunghissima catena a doppia elica del DNA (Fig. 3.3). I geni sono formati da segmenti più o meno lunghi di questa catena.
Fig. 3.3. Molecola di DNA e sua replicazione che richiede normalmente l’accoppiamento delle basi complementari
1
Vedi Appendice alla fine del capitolo
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Il DNA trasmette in codice dal nucleo al citoplasma, mediante l’RNA messaggero, le istruzioni per formare le proteine necessarie alle funzioni e alle strutture di ogni cellula: dopo un processo di decodificazione le istruzioni infatti pervengono alle strutture citoplasmatiche che hanno il compito appunto di “fabbricare” le proteine. Il messaggio trasmesso in codice costituisce il “linguaggio” della natura. La chiave di lettura di questo linguaggio è stata scoperta negli anni cinquanta dai premi Nobel Watson e Crick. Esso consiste di soli 4 elementi fondamentali, le basi sopra indicate, che si devono considerare le “lettere” di questo linguaggio. Adenina, timina, guanina e citosina sono indicate con le rispettive iniziali: A, T, G, C. La successione lineare di 3 lettere forma una tripletta (GAA, GTG, TAT, AGG, e così via). Con le 4 lettere si possono formare non più di 64 differenti triplette, che rappresentano le “parole” la cui ordinata successione forma le “frasi” di questo linguaggio (Figg. 3.3 e 3.4). Mentre però il numero delle lettere e delle possibili differenti parole è obbligato (non più di 4 lettere e di 64 parole), le frasi possono essere praticamente in-
Fig.3.4.In alto:le 64 triplette che la natura utilizza in codice per fornire alle strutture cellulari le informazioni necessarie per strutturare le catene polipeptidiche.In basso:il codice genetico.Poiché le triplette sono 64 e gli aminoacidi 20,questi hanno a disposizione più triplette per essere riconosciuti nelle strutture cellulari ed impiegati nella composizione delle proteine
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
finite sia per successione che per lunghezza delle parole. Le frasi di questo linguaggio sono i geni, il cui numero nelle diverse specie varia non tanto in rapporto alla mole dei suoi rappresentanti quanto alla loro complessità strutturale. Il genoma umano ha circa tre miliardi di lettere che compongono alcune decine di migliaia di geni. Un virus ne può avere qualche decina; un batterio qualche migliaio; il moscerino dell’aceto (drosofila) ne possiede circa un milione. Negli ultimi due anni del secolo concluso, è stato realizzato il sequenziamento del genoma della drosofila e, a distanza solo di qualche mese da questa notizia, si è saputo che è stato sequenziato anche l’intero genoma umano. Il genoma non è costituito però solo da geni; se infatti si fa una stima di tutte le lettere necessarie alla composizione dei circa cinquantamila geni dell’uomo, ci accorgiamo che i conti non tornano: vi sono tantissime lettere in più. Ed infatti sono stati scoperti vasti tratti del genoma formati dalla ripetizione (DNA ripetitivo) non di triplette, ma di basi in coppia (AA, AT, CG, ecc.). Si formano così catene a volte brevi, altre volte lunghissime senza una apparente funzione. Sono i cosiddetti polimorfismi. Il loro numero è enorme ed è specifico per ciascuna persona, come lo sono le impronte digitali: i polimorfismi sono dissimili da un individuo all’altro (anche tra componenti di una stessa fratria) al punto che trovare due individui eguali per dieci o minor numero di polimorfismi rappresenta una probabilità di uno su molti milioni. I polimorfismi hanno destato molto interesse scientifico e hanno anche trovato importanti applicazioni pratiche, come ad esempio per il riconoscimento di paternità.
MALATTIE GENETICHE Classificazione • •
Le malattie genetiche si possono classificare in: cromosomiche, dovute ad anomalie numeriche o strutturali dei cromosomi; geniche mendeliane, dovute a mutazioni di singoli geni e trasmesse secondo le leggi di Mendel. Sono classificate a loro volta in: – autosomiche, se la mutazione è localizzata su uno degli autosomi; – X-linked, se la mutazione è sul cromosoma X; – geniche non mendeliane, quando la trasmissione non segue i modelli di eredità mendeliana; – mitocondriali, dovute a mutazione dei geni mitocondriali; – multifattoriali o poligeniche quando la malattia richiede la partecipazione poligenica e di fattori ambientali (per lo più sconosciuti) (Tabella 3.1).
Tabella 3.1. Classificazione delle malattie genetiche Cromosomiche
Malattie genetiche
Geniche ad eredità mendeliana
Numeriche Strutturali Autosomiche X-linked
Dominanti Recessive Dominanti Recessive
Geniche ad eredità non mendeliana Mitocondriali Multifattoriali
Malattie cromosomiche Frequenza delle cromosomopatie nella popolazione umana Le patologie cromosomiche - incluse quelle dei cromosomi del sesso - sono presenti in non meno dell’1% dei nati vivi. Le cromosomopatie sono tra le cause più frequenti di sterilità di coppia, di sindromi plurimalformative embrio-fetali e di ritardo mentale. Frequentemente sono anche causa d’aborto: molte malattie cromosomiche soprattutto quelle che coinvolgono le coppie degli autosomi sono letali e incompatibili anche con la sopravvivenza fetale per cui inducono precoce interruzione della gravidanza (spesso durante il primo trimestre). Va aggiunto che negli embrioni ottenuti dopo fecondazione assistita (FIVET, ICSI ecc.) sono state rilevate anomalie cromosomiche (mosaicismi, poliploidie, aneuploidie) in un significativo numero di casi, come dimostra la genetica preimpianto [3]. L’esame del cariotipo è oggi una procedura diagnostica necessaria al riconoscimento di molte patologie, prenatali e postnatali: di fatto il 10% delle morti endouterine sono dovute ad anomalie cromosomiche; i ritardi della crescita, i dismorfismi facciali, l’ambiguità dei genitali, sono patologie spesso dovute a cromosomopatie. Va inoltre ricordato che la trasmissione di un errore cromosomico avviene secondo i modelli della eredità autosomica dominante. È osservazione non rara nei casi di traslocazioni familiari. Non è ancora del tutto nota l’eziopatogenesi delle cromosomopatie, ma vi è motivo di ritenere che alla base vi sono complessi e non univoci disordini genetici, consistenti in mutazioni dei geni preposti al controllo della divisione cellulare.Vengono, così, in qualche modo ridimensionati, alcuni fattori o cofattori, come l’età materna non a ragione ritenuta ancora la causa principale delle anomalie cromosomiche fetali [4]. Le anomalie o aberrazioni cromosomiche, possono essere numeriche o strutturali (Tabella 3.2).
Capitolo 3 • Malattie genetiche nella medicina prenatale • M.L.Ventruto,V.Ventruto
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Tabella 3.2. Classificazione delle anomalie cromosomiche
Aneuploidie Numeriche Poliploidie
Delezioni
Strutturali
Trisomie Monosomie Markers soprannumerari Triploidie Tetraploidie Terminali Interstiziali Sindromi da microdelezione
Duplicazioni Inversioni Inserzioni Traslocazioni
Robertsoniane Reciproche
Cromosomi dicentrici Isocromosomi Cromosomi ad anello
Anomalie cromosomiche numeriche2 Le anomalie numeriche possono essere di due tipi: aneuploidie e poliploidie. I meccanismi che le inducono sono fondamentalmente differenti. Nella specie umana di norma il processo della divisione meiotica deve condurre a cellule germinali - sia maschili che femminili - con un numero di cromosomi aploide (1n=23 cromosomi): ciò avviene a seguito di due divisioni consecutive, dette rispettivamente riduzionale ed equazionale che fanno seguito ad una sola duplicazione cromosomica. All’atto della fecondazione la fusione dei due nuclei aploidi (1n) ripristina il numero diploide proprio della specie (2n=46 cromosomi) (Fig. 3.5) [4].
Aneuploidie Le più frequenti aneuploidie osservabili in epoca prenatale o dopo la nascita, consistono nella presenza di un cromosoma in soprannumero o di un cromosoma mancante (2n+1 o 2n-1): ne sono esempi più comuni la sindrome di Down (iperdiploidia o trisomia 47,+21) e la sindrome di Turner (ipodiploidia o monosomia 45,X). Il principale meccanismo all’origine di una aneuploidia è quello della non disgiunzione cromosomica3. Vediamo in che cosa consiste questo errore: prima della divisione cellulare, ogni cromosoma è formato da due cromatidi uniti a livello del centromero. 2
Fig.3.5. Normale processo di divisione meiotica.Da [4],con autorizzazione
Quando la cellula si divide i due cromatidi si separano, per migrare ciascuno in una cellula figlia (Fig. 3.5). Se per cause complesse e non univoche ciò non avviene, i due cromatidi fratelli, non disgiunti, migrano entrambi in una delle cellule figlie; si avrà come risultato una cellula con un cromosoma in più (24 o 47) e una cellula con un cromosoma in meno (22 o 45). Nella Figura 3.6 viene riportato un esempio di errore da non disgiunzione in 1ª divisione meiotica con il risultato di zigoti trisomici o monosomici; la Figura 3.7 mostra invece un esempio di errore da non disgiunzione in 2ª divisione meiotica: originano sia zigoti aneuploidi (trisomici o monosomici) che euploidi. Le trisomie, quando coinvolgono le coppie degli autosomi e non sono a mosaico, ma omogenee, cioè pre-
Per maggiori dettagli e per una più ampia trattazione si rimanda a [4]. La non disgiunzione si verifica nella gran parte dei casi prima del concepimento (non disgiunzione meiotica). Le non disgiunzioni che si verificano nelle mitosi post-zigotiche portano alla formazione di mosaicismi ovvero a due o più diverse popolazioni cellulari nello stesso individuo. 3
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
Fig. 3.6. Un errore da non disgiunzione in 1ª divisione meiotica dà origine a zigoti trisomici o monosomici.Da [4],con autorizzazione senti in tutte le cellule, sono quasi sempre incompatibili con la sopravvivenza del feto. Fa eccezione la trisomia del cromosoma 21 (sindrome di Down); anche le trisomie 13 (sindrome di Patau) e 18 (sindrome di Edwards) consentono una sia pur breve sopravvivenza (giorni o settimane). Diversamente dalle aneuploidie degli autosomi, quelle dei cromosomi sessuali (47,XXX; 47,XXY; 47,XYY) non sono letali. La monosomia 45,Y è sempre letale, mentre la condizione 45,X (sindrome di Turner) può consentire la sopravvivenza, pur se la maggioranza dei concepimenti ipodiploidi 45,X termina con un aborto spesso precoce. Le iperdiploidie dei cromosomi del sesso possono essere anche diverse dalla trisomia; queste sono compatibili con la sopravvivenza; sono conosciute le tetrasomie (48,XXXY; 48,XXXX; 48,XXYY) e le più rare pentasomie, dove il numero dei cromosomi è 49. Non sempre nelle cellule iperdiploidi riesce il riconoscimento del cromosoma soprannumerario. È quanto ad esempio può occorrere nel caso dei cromosomi ad anello e dei piccoli markers cromosomici soprannumerari.
Fig. 3.7. Un errore da non disgiunzione in 2ª divisione meiotica dà origine a zigoti aneuploidi (trisomici o monosomici) o euploidi.Da [4],con autorizzazione Nella diagnosi prenatale questi ritrovamenti pongono spesso di fronte a difficili valutazioni interpretative: ad esempio, il significato prognostico di un piccolo marker soprannumerario non è univoco, dipendendo dalla sua derivazione, dalla grandezza, dall’essere familiare o de novo, dal presentarsi in modo omogeneo o a mosaico.
Poliploidie Una cellula si definisce poliploide se possiede un numero di cromosomi multiplo della cellula aploide. Indicando con 1n il corredo aploide (23 cromosomi delle cellule germinali mature) e con 2n quello diploide (46 cromosomi delle cellule somatiche), le cellule triploidi (69 cromosomi) e tetraploidi (92 cromosomi) sono rispettivamente 3n e 4n. Poliploidie possono ritrovarsi in varie condizioni patologiche: tumori solidi, infezioni virali, corionepitelioma, mola idatiforme incompleta, aborti spontanei, feti plurimalformati. Cellule poliploidi sono però presenti anche in alcuni tessuti di normale formazione, come è il caso dei megacariociti del midollo osseo.
Capitolo 3 • Malattie genetiche nella medicina prenatale • M.L.Ventruto,V.Ventruto
Nel feto gli eventi che possono indurre una triploidia sono la ritenzione del secondo corpo polare o una dispermia (Fig. 3.8).
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Un cariotipo triploide può essere 69,XXX; 69, XXY; 69, XYY (Fig. 3.9).
a
b
Fig.3.9.Cariotipo 69,XXY (bandeggio RHG).Piastra metafasica triploide e cariotipo da neonato plurimalformato,deceduto in prima giornata (osservazione personale).Da [4],con autorizzazione
Mosaicismi
c Fig. 3.8. a Il normale processo della fecondazione. b Triploidia da ritenzione nell’uovo del secondo corpo polare.c Triploidia per mancata riduzione meiotica nell’ovogenesi (in alto);triploidia per fertilizzazione con spermatozoo diploide (in basso a sinistra);triploidia per fertilizzazione da parte di due spermatozoi (in basso a destra).Da [4],con autorizzazione
Si definisce mosaicismo la presenza contemporanea nello stesso individuo o in uno stesso organo di due o più linee cellulari originatesi nelle prime divisioni dopo il concepimento. I meccanismi di origine sono illustrati nella Figura 3.10. Il mosaicismo, quindi, è sempre un evento post-zigotico. Il mosaicismo di più frequente osservazione è quello del cromosoma 21 (circa nel 2% delle sindromi di Down, ma questa bassa percentuale potrebbe essere una sottostima del fenomeno). Molto frequenti sono pure i mosaicismi dei cromosomi sessuali: 45,X/47,XXX; 45,X/46,XX/47,XXX e altre combinazioni ancora. Sul piano clinico-prognostico va ricordato che le sindromi da mosaicismo cromosomico sono molto diverse, dipendendo dalla coppia cromosomica coinvolta, dalla percentuale di cellule aneuploidi, dalla differente distribuzione - per altro difficilmente documentabile - nei vari tessuti (cutaneo, nervoso, vascolare, ecc.).
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
Tabella 3.3. Numero di cellule necessarie ad escludere un mosaicismo (ai diversi livelli di confidenza).Da [5]
a
b
c Fig.3.10.a Da una cellula con 46 cromosomi (2n) originano due cellule figlie,ciascuna 2n.b Mosaicismo 45/47.Errore da non disgiunzione in prima divisione postzigotica: risultano due cellule figlie: una trisomica (47 cromosomi) e l’altra monosomica (45 cromosomi).Ciascuna può dare origine ad un clone cellulare.c Mosaicismo 45/46/47.Errore da non disgiunzione in seconda divisione postzigotica:possono derivare,da 4 linee cellulari,tre diversi cloni cellulari:uno a 45 cromosomi,due a 46 e uno a 47 cromosomi. Da [4],con autorizzazione
N cellule 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35
0,90 0,95 0,99 38 32 29 26 23 21 19 18 17 16 15 14 13 13 12 11 11 10 10 10 9 9 9 8 8 8 8 7 7 7 7
41 35 32 29 26 24 23 21 20 19 18 17 16 15 14 14 13 13 12 12 11 11 11 10 10 10 9 9 9 9
46 41 37 35 32 30 29 27 26 24 23 22 21 20 19 19 18 17 17 16 16 15 15 14 14 14 13 13
N cellule 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50-55 56 57-58 59-63 64-73 74 75 76-89 90-98 99-112 113 114-148 149-151 152-227 228-229 230-298 299-458 >459
0,90 7 7 6 6 6 6 6 6 6 5 5 5 5 5 5 5 4 4 4 4 4 3 3 3 3 2 2 2 2 1 1 1
0,95 8 8 8 8 8 8 7 7 7 7 7 7 7 6 6 6 6 5 5 4 4 4 4 3 3 3 2 2 2 2 1 1
0,99 13 12 12 12 11 11 11 11 10 10 10 10 10 9 9 8 8 8 7 7 6 6 5 5 4 4 4 3 2 2 2 1
rappresentatività cellulare necessaria affinché non sfuggano mosaicismi molto bassi (Tabella 3.3). Per quanto riguarda la diagnosi prenatale, va tenuto presente che un mosaicismo può coinvolgere contemporaneamente il feto e la placenta, ma può anche occorrere in maniera indipendente, solo nel feto o solo nella placenta, e ciò in relazione allo stadio precoce o tardivo in cui si realizza la non disgiunzione durante l’embriogenesi. Queste evenienze non del tutto rare pongono spesso di fronte a notevoli difficoltà interpretative. Va, inoltre, aggiunto che il numero forzatamente limitato di metafasi che si ottengono nelle colture di materiale fetale (villi, amniociti, ecc.) può non consentire la corretta valutazione della reale percentuale di un mosaicismo fetale. A questo proposito sono stati elaborati metodi statistici atti ad indicare quale deve essere la
Nei mosaicismi confinati alla placenta (spesso trisomie) sovente il cariotipo fetale è euploide. Questi eventi possono associarsi a sindromi genetiche feto-neonatali. Se ad esempio nella placenta si individua un mosaicismo 47,XY+15/46,XY e nel feto il cariotipo è euploide 46,XY le copie del cromosoma 15, in quest’ultimo, possono derivare entrambe dallo stesso genitore. Questa condizione, conosciuta come disomia uniparentale, determina nel feto l’insorgenza della sindrome di Prader-Willi (se i due cromosomi 15 sono di origine materna) o di Angelman (se sono di origine paterna). La scoperta delle disomie uniparentali ha dimostrato la necessità che alcuni cromosomi e le loro regioni ven-
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gano ereditati da entrambi i genitori affinché non compaiono patologie genetiche, come quelle sopra indicate. Si sa infatti che l’espressione di uno degli alleli è necessaria affinché la sindrome non si manifesti: questo fenomeno è noto come imprinting genomico (vedi anche Capitolo 4).
Anomalie cromosomiche strutturali
Chimerismo
Delezioni (del)
Si chiama chimerismo lo stato in cui un individuo possiede entrambi i genotipi, maschile e femminile. Il chimerismo può essere considerato una particolare forma di mosaicismo. Le cause possono risiedere nella fusione di due zigoti, nel qual caso si parla di chimerismo zigotico, oppure nella fusione - in una fase precocissima dello sviluppo - di due embrioni di sesso diverso. In questo secondo caso il chimerismo si definisce post-zigotico (Fig. 3.11).
Si riferiscono alla mancanza o alla perdita di una parte di cromosoma. A seconda della regione interessata, le delezioni si classificano in terminali o interstiziali (Fig. 3.12) [4]. Le due più note sindromi da delezione degli autosomi sono la sindrome di cri-du-chat (delezione 5p-) e la sindrome di Wolf-Hirshhorn (delezione 4p-)
Le anomalie strutturali dei cromosomi sono di diverso tipo4. Gli effetti sul fenotipo sono variabili ed i danni indotti al concepito da segregazioni meiotiche svantaggiose, sono differenti e spesso complessi.
a
Fig. 3.11. Modelli di chimerismo zigotico e post-zigotico. Da [4], con autorizzazione
A queste due modalità si devono aggiungere quelle indotte da trasfusioni post-natali o materno-fetali e da trapianti di midollo prelevato da persona di sesso diverso (chimerismo emopoietico). In questi casi il chimerismo è di solito transitorio. Generalmente il chimerismo non arreca alcuna patologia. Un mosaicismo prenatale 46,XX/46,XY obbliga a considerare anche altre evenienze e cioè: – contaminazione del campione di liquido amniotico da parte di cellule materne; – ermafroditismo vero maschile: in questo caso il medico genetista deve informare i genitori sul significato clinico e prognostico dell’evento. 4
Per maggiori dettagli e per una più ampia trattazione si rimanda a [4].
b
Fig.3.12.a Esempio di delezione interstiziale di un cromosoma della coppia 5. Descrizione del cariotipo: 46,XY,del(5) (p13p14) [46,XY,del(5) (pter→p14:p13→qter), sistema dettagliato]. Osservazione personale. b Esempio di delezione interstiziale di un cromosoma della coppia 6. Descrizione del cariotipo: 46,XY,del(6) (q12q14) [46,XY,del (6) (pter→q12:q14→qter),sistema dettagliato].Bandeggio RBG.Da [4],con autorizzazione .
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Duplicazioni (dup) Si verificano con meccanismi diversi e comportano la presenza nel cromosoma di un segmento aggiunto. A seconda che questo conservi, rispetto al centromero, la originale disposizione o ruoti di 180°, la duplicazione si definisce diretta o inversa. Si tratta di aberrazioni piuttosto rare (Figg. 3.13 e 3.14) [4].
Fig. 3.15. Inversione pericentrica: rotazione di 180° di un segmento cromosomico comprendente parte di entrambi i bracci del cromosoma;il centromero è incluso nella inversione.Da [4],con autorizzazione
Fig. 3.13. Duplicazione diretta di un segmento dei bracci lunghi. È conservata la normale disposizione sequenziale delle parti costituenti il segmento rispetto alla posizione del centromero.Da [4],con autorizzazione
Fig. 3.16. Inversione paracentrica:rotazione di 180° di un segmento cromosomico appartenente ad uno dei bracci;il centromero non è incluso nella inversione.Da [4],con autorizzazione
Fig.3.14. Duplicazione inversa di un segmento dei bracci lunghi. La rotazione di 180° comporta una disposizione sequenziale inversa delle parti costituenti il segmento, rispetto alla posizione del centromero. Da [4],con autorizzazione
Inversioni (inv) Queste anomalie si verificano quando un segmento di un cromosoma si stacca, ruota di 180° e si ricongiunge al cromosoma di origine. Le inversioni sono dette pericentriche o paracentriche a seconda che il segmento ruotato comprende o meno la regione centromerica (Figg. 3.15 e 3.16).
Nelle inversioni pericentriche all’appaiamento meiotico si configura un’ansa che comprende il centromero. Per un crossing-over all’interno dell’ansa originano due cromosomi anomali, definiti ricombinanti, con duplicazione/deficienza (Fig. 3.17) [4]. Nelle inversioni paracentriche all’appaiamento meiotico si configura un’ansa che non comprende il centromero. Per un crossing-over all’interno dell’ansa originano due cromosomi anomali: un frammento acentrico e un cromosoma dicentrico (Fig. 3.18). Le inversioni possono essere compatibili con fenotipi del tutto normali; i portatori però sono a rischio di avere gameti sbilanciati che inducono quasi sempre gravi malformazioni nei concepiti [4].
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Fig.3.17.All’appaiamento meiotico si configura un bivalente con un ansa che comprende il centromero.Se i crossing-over avvengono all’esterno dell’ansa, i cromosomi risultanti conservano la loro configurazione iniziale. Un crossing-over all’interno dell’ansa darà invece origine a cromosomi con duplicazioni/deficienza definiti ricombinanti.Va ricordato che per le inv(10)(p11q21) e la inv(2)(p11q13) non è segnalato alcun esempio di ricombinanti,né è stato notato finora aumento di aborti spontanei o infertilità.Da [4],con autorizzazione
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Fig. 3.18. All’appaiamento meiotico si configura un bivalente con un ansa che non comprende il centromero.Se i crossing-over avvengono all’esterno dell’ansa,i cromosomi risultanti conservano la loro configurazione iniziale.Un crossing-over all’interno dell’ansa darà invece origine a un cromosoma dicentrico e ad un frammento acentrico.Da [4],con autorizzazione
Inserzioni (ins) Sono anomalie piuttosto rare e consistono nell’inserimento di un segmento di cromosoma nel contesto dello stesso o di altro cromosoma. Il segmento inserito può conservare o meno, rispetto al centromero, l’orientamento originale. Nel primo caso la inserzione si definisce diretta, nel secondo si dice inversa. Si conoscono diversi modelli di inserzione, a seconda del modo e della sede in cui il passaggio del segmento avviene.
Traslocazioni (t) Costituiscono l’anomalia cromosomica strutturale più frequente. Consistono nel trasferimento - quasi sempre reciproco - di un segmento da un cromosoma su un altro generalmente non omologo (Fig. 3.19).
Fig.3.19.Traslocazione reciproca tra cromosomi non omologhi:scambio di frammenti tra due cromosomi non omologhi.Da [4],con autorizzazione
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Se il riarrangiamento non comporta la perdita o l’aggiunta di materiale genico, la traslocazione si definisce bilanciata, altrimenti la traslocazione è detta sbilanciata. Le traslocazioni sono spesso familiari, con trasmissione da una generazione all’altra, poiché l’anomalia, come già detto, segue i modelli di eredità autosomica dominante. Si possono distinguere due tipi di traslocazioni: robertsoniane e reciproche. Traslocazioni robertsoniane Una traslocazione si definisce robertsoniana quando il riarrangiamento avviene tra le coppie dei cromosomi acrocentrici (gruppo D: 13-14-15 e/o gruppo G: 21-22) (Fig. 3.20). Se sono bilanciate le traslocazioni robertsoniane non hanno conseguenze sul fenotipo.Va però ricordato che in modo particolare la traslocazione 13;14 induce, con significativa frequenza, infertilità maschile (oligozoospermia) [6].
Fig.3.21.Traslocazione reciproca tra coppie di cromosomi non omologhi. Appaiamento alla meiosi:figura tetravalente.Da [4],con autorizzazione
a
a b Fig.3.20.Traslocazioni robertsoniane tra acrocentrici omologhi (a) e non omologhi (b):origina un cromosoma non satellitato che è metacentrico se i cromosomi appartengono allo stesso gruppo (a), o submetacentrico se appartengono a gruppi differenti (b).La cellula, nell’uno e nell’altro caso è ipodiploide (45 cromosomi).Da [4],con autorizzazione
Traslocazioni reciproche Gli scambi di segmenti tra due cromosomi non omologhi possono essere vari e riguardare sia gli autosomi che gli eterocromosomi. Generalmente i portatori di una traslocazione reciproca bilanciata hanno un fenotipo normale, ma spesso ridotta o assente fertilità. Una traslocazione reciproca tra cromosomi non omologhi può dare segregazioni meiotiche svantaggiose col risultato di cromosomi deleti o duplicati. L’appaiamento sinaptico infatti non dà origine a figure bivalenti, ma tetravalenti (Figg. 3.21 e 3.22). Teoricamente una segregazione meiotica, se avviene
b
c Fig.3.22 Scambio intracromatidico in divisione mitotica.1-4:divisione di cromosoma ad anello,senza scambi intracromatidici:formazione di due singoli anelli.5:per rottura isocromatidica possono avere origine:per singolo scambio cromatidico, anello singolo ma di diametro doppio (6-8); per doppio scambio cromatidico due anelli concatenati di uguale diametro (9-11).Da [4],con autorizzazione
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a caso, lascia prevedere 50% di concepiti con cariotipo normale o bilanciato (per segregazioni alternate) e 50% con cariotipo sbilanciato (per segregazioni adiacenti). Nella realtà le proporzioni che si ritrovano si presentano spesso del tutto differenti dall’atteso. In uno studio condotto su spermatozoi di un maschio portatore di traslocazione robertsoniana, è stata segnalata una incidenza di segregazioni alternate, e quindi favorevoli, nel 91% delle cellule esaminate [6].Altre statistiche danno percentuali inferiori, ma concordano tutte nel riconoscere che le segregazioni sfavorevoli (specie quelle adiacenti 2) sono piuttosto insolite. Queste conoscenze devono essere tenute nel dovuto conto nella valutazione del rischio, specie nelle fecondazioni assistite.
Cromosomi dicentrici (dic) Si definiscono dicentrici i cromosomi che possiedono due centromeri. Per conservare, però, la loro stabilità nel cromosoma deve rimanere attivo solo uno dei centromeri. Sono infatti sempre cromosomi monocentrici pseudodicentrici. La formazione di un dicentrico avviene con modalità molteplici e complesse [4].
Isocromosomi (i) Sono formati dalla duplicazione di uno dei bracci del cromosoma. Così strutturati sono sempre metacentrici. Originano quando la separazione dei cromatidi avviene su un piano trasversale anziché longitudinale. Gli isocromosomi più comuni sono i sessuali, sia del cromosoma X che Y.
Cromosoma ad anello (r) L’aberrazione strutturale che porta alla formazione di un cromosoma circolare, a forma di anello, consiste nella rottura ad entrambe le estremità del cromosoma (telomeri) e successivo ricongiungimento dei punti di rottura. La grandezza dell’anello dipende dal cromosoma di origine e dalla lunghezza dei tratti deleti. In fase di replicazione, possono avvenire tra i cromatidi fratelli, singoli o doppi scambi con il risultato di anelli diversi dall’originale, in quanto dicentrici o con grandezza doppia.
Instabilità cromosomica È una condizione di imperfetto equilibrio che conduce a fratture, riarrangiamenti e scambi cromatidici tra cromosomi di gruppi diversi. Si può osservare in alcune malattie genetiche a eredità autosomica recessiva. Questi difetti creano forte predisposizione alla insorgenza di tumori fin dalla infanzia, in particolare leucemie e linfomi. La più conosciuta eredopatia con instabilità cromosomica è l’anemia di Fanconi; molto più rara è la malattia di Bloom.
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Siti fragili (fra) Accanto alle costrizioni primarie, normalmente presenti su molti cromosomi, si possono osservare su diverse regioni cromosomiche altre costrizioni, dette secondarie. Sono sede di facili rotture cromatidiche per cui sono indicate col nome di siti fragili. Un sito fragile può essere indotto da particolari terreni di coltivazione, ma può anche ritrovarsi in colture normalmente allestite. Si conoscono le sedi di più frequente riscontro dei siti fragili. Un sito fragile si considera un semplice eteromorfismo cromosomico, privo di effetti sul fenotipo. Talvolta però esso è espressione di specifiche patologie genetiche. L’esempio più conosciuto è dato dalla malattia di MartinBell (il più frequente ritardo mentale del maschio, dopo la sindrome di Down) in cui il sito fragile è nella regione Xq27.3.
Varianti (eteromorfismi) cromosomici Oltre ai siti fragili,esistono altre varianti,ritenute in genere prive di significato patologico. Queste sono: – la eterocromatina costitutiva delle regioni pericentromeriche. Una variabile estensione di queste regioni è propria delle coppie dei cromosomi 1, 9, 16. Si indicano qh+ e qh- le regioni più estese o meno estese (1qh-, 9qh+, 16qh+, ecc.). È frequente anche una inversione pericentrica all’interno di queste regioni. Il riscontro è privo di significato patologico, a differenza della inversione delle regioni non eterocromatiche. – Anche la regione pericentromerica Yq può essere di lunghezza variabile. La variante si eredita con modello autosomico dominante. Si considera una mutazione de novo quando non è presente anche nel genitore. – I satelliti dei cromosomi acrocentrici (gruppi D e G) possono essere doppi o di dimensioni maggiori della media (satelliti definiti giganti). Anche queste condizioni si considerano varianti prive di significato patologico.
Prematura divisione centromerica (pcd) Questa rara anomalia cromosomica consiste nel fatto che nelle metafasi i cromatidi fratelli sono prematuramente separati (come normalmente accade nell’anafase). Il significato non è univoco, poiché questa anomalia può non avere alcuna rilevanza patologica, o essere indicativa di qualche rara malattia mendeliana. La più nota a questo proposito è la sindrome di Roberts.
“Double minute chromosomes”(dmc) Indica la presenza di un numero variabile di piccoli frammenti cromosomici accanto agli elementi normali della piastra. Si possono ritrovare dmc in alcuni tumori, come ad esempio nel glioma maligno.
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Le più comuni sindromi da anomalie dei cromosomi Sindromi da anomalie dei cromosomi del sesso Sono tra le più conosciute aberrazioni cromosomiche e la ragione della loro frequenza è che molte anomalie dei cromosomi sessuali consentono quasi sempre una sopravvivenza del tutto normale. Sindrome di Klinefelter (47,XXY) È dovuta alla non disgiunzione meiotica della coppia di cromosomi XX. Ha una frequenza di 1 su 900 nati maschi. Determinando generalmente azoospermia, questa sindrome è responsabile di più del 10% dei casi di infertilità maschile. La povertà di segni clinici prima della pubertà spiega perché è molto spesso riconosciuta tardivamente, talvolta dopo un matrimonio a causa della infertilità. Segno patognomonico della sindrome è la sterilità, associata a un ridotto sviluppo dei caratteri sessuali secondari, per cui dopo la pubertà i testicoli tendono a rimanere più piccoli della norma, vi è la mancata crescita della barba e l’impianto dei peli pubici è di tipo femminile. Può essere notata in qualche caso l’insorgenza di una ginecomastia. La statura è generalmente alta (75° centile); il ritardo mentale non fa parte della sindrome, essendo il quoziente intellettivo (IQ) tra 85 e 90. Vi può essere però con discreta frequenza difficoltà nell’apprendimento e nell’espressione verbale. Possibili altri segni della sindrome sono costituiti dalla insorgenza di moderati tremori intenzionali, ansietà, difficoltà nell’inserimento nella vita sociale. La ginecomastia può indurre con frequenza abbastanza significativa il tumore della mammella, per cui la mastectomia ha la sua indicazione non solo per finalità estetica. La sindrome induce predisposizione alle varici degli arti e alla osteoporosi giovanile che può giovarsi della terapia testosteronica. I valori ematici del testosterone tendono a essere bassi, mentre sono elevate le gonadotropine. Sono stati segnalati casi di sindrome di Klinefelter con cariotipo 47,XXY in tutte le mitosi linfocitarie, alla biopsia testicolare si sono trovate cellule euploidi (46,XY) e cellule meiotiche con un normale numero aploide (23,X o 23,Y) ciò che ha reso possibile la riuscita della fecondazione in vitro [7]. Sindrome di Turner (45,X) Nella maggior parte dei casi la sindrome di Turner è dovuta ad un errore meiotico, con conseguente ipodiploidia. Anche le anomalie non numeriche, ma strutturali del cromosoma X (isocromosomi, cromosomi ad
anello, traslocazioni) possono indurre quadri clinici detti Turner-simili (Turner-like). La frequenza alla nascita della sindrome è di 1/3.000 femmine. Il numero dei concepiti è però maggiore di quanto le nascite lascerebbero supporre. Infatti più del 90% dei concepiti con cariotipo 45,X abortisce nel primo trimestre della gravidanza. Prevale anzi oggi l’opinione che tutti i casi che giungono alla nascita sono mosaicismi misconosciuti e che le forme omogenee 45,X sarebbero costantemente letali. I principali caratteri clinici del fenotipo Turner sono: la bassa statura (inferiore a 150 cm); lo sviluppo puberale ridotto o assente; l’amenorrea primaria; il ridotto sviluppo mammario con capezzoli distanziati; la disgenesia gonadica con ovari rudimentali (streak gonads). Sono anche componenti della sindrome lo pterigio del collo, la facies talvolta inespressiva con ptosi palpebrale, l’impianto basso dei capelli. Caratteristica per quanto non costante è la brevità del IV e del V metacarpo. Altri segni meno frequenti sono: le anomalie renali (agenesia unilaterale; reni a ferro di cavallo), anomalie cardiache (coartazione aortica), nevi pigmentati e dermofibromi. Il ritardo mentale non fa parte della sindrome. Alla nascita si può notare un transitorio linfedema dorsale alle mani e ai piedi (segno che deve essere motivo di sospetto diagnostico). La sindrome di Turner può comportare nel feto igroma cistico del collo e idrope. La diagnosi prenatale può anche essere sospettata con l’osservazione ecografica, ma può essere posta con certezza solo con l’esame citogenetico. Sindrome del triplo X (47,XXX) Insorge con una frequenza di 1 su 1.000 nate femmine. Non comporta particolari anomalie del fenotipo, al punto che attualmente si tende a non includerla tra le sindromi genetiche. Va aggiunto che generalmente sono donne di alta statura; possono comparire disordini mestruali, ma la fertilità non è in genere compromessa. Sindrome del maschio XYY I maschi con cariotipo 47,XYY hanno nella maggioranza dei casi un fenotipo del tutto normale, con performance ai limiti della normalità. La definizione di cromosoma della criminalità, un tempo data al cromosoma Y soprannumerario, è oggi solo uno spiacevole ricordo del passato. Con significativa frequenza possono insorgere acne nodulo-cistica, lievi anomalie dello scheletro, facies lunga con gabella prominente; è presente talvolta ipogenitalismo e ipospadia. La fertilità non è costantemente compromessa.
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Sindrome da anomalie degli autosomi Trisomia 21 (sindrome di Down) È la più frequente delle aneuploidie autosomiche che consentono la sopravvivenza. È però accertato che 2/3 delle gravidanze di concepiti con la trisomia 21 termina con l’aborto spontaneo. La frequenza della sindrome è 1 su 700 nati vivi. Nel 95% dei casi la trisomia 21 è libera in quanto dovuta a non disgiunzione meiotica di un gamete, per lo più materno. Come si è potuto dimostrare con l’uso dei polimorfismi del DNA, un quarto dei casi di trisomia 21 è di origine paterna. Resta comunque valido il fatto che la incidenza di concepiti Down è correlata all’età materna e l’aumento del rischio segue un andamento quasi esponenziale: in una donna di 20 anni il rischio è 1:1.800; a 35 anni sale a 1:330, per raggiungere la frequenza di 1:25 a 45 anni. Il perché di questo comportamento non è ancora conosciuto; sono state formulate diverse ipotesi, quali l’usura dei controlli genici sulla disgiunzione meiotica, le caratteristiche costituzionali delle gestanti, i danni ambientali che si accumulano nel tempo, ecc. In una piccola percentuale di casi (4%) la trisomia è dovuta a una traslocazione robertsoniana sbilanciata, in particolare la t 13;21 e 14;21. L’indagine citogenetica consente la diagnosi in epoca prenatale. I segni clinici della sindrome di Down sono a tutti noti: la facies è caratteristica con naso piccolo e radice appiattita; la rima palpebrale è rivolta all’esterno e in alto. Altri segni della sindrome sono la macroglossia, l’occipite piatto, la brachicefalia, le orecchie dismorfiche e ipoplasiche, il collo corto. Completano il quadro clinico: la bassa statura, la ipotonia muscolare, la cardiopatia congenita (in quasi la metà dei casi), malformazioni dell’intestino, la clinodattilia. I dermatoglifi sono molto caratteristici, al punto che il dermatogramma è peculiare nell’80% dei casi. Il ritardo mentale è costante, ma di grado variabile. Si è rilevata una aumentata insorgenza di leucemia nell’età pediatrica. In una percentuale non alta (2-4%) la sindrome ha un cariotipo a mosaico 47,+21/46. In questi casi la prognosi è generalmente migliore. Il rischio di ricorrenza di una cromosomopatia (anche diversa dalla trisomia 21) in caso di altro concepimento si valuta non superiore a 1%. Per i fratelli e altri collaterali è considerato, invece, non superiore a quello della popolazione generale. Trisomia 18 (sindrome di Edwards) Nella maggioranza dei casi la sindrome è dovuta ad errore da non disgiunzione meiotica di origine materna.
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La frequenza è di 1 su 10.000 nascite, con leggera prevalenza del sesso femminile. Spesso però il concepimento termina con l’aborto spontaneo. La sindrome è letale, con sopravvivenza solo di poche settimane; molto rare le sopravvivenze oltre il primo anno di vita. Il quadro clinico è caratterizzato da: dismorfia facciale, bocca piccola, micrognazia, rima palpebrale ristretta, padiglioni auricolari dismorfici. Il ritardo mentale è sempre grave; altri segni associati e costanti sono le anomalie cardiache e neuro-oculari, le malformazioni urogenitali; difetti meno frequenti sono l’onfalocele, il mielomeningocele e l’atresia esofagea. Non è rara la formazione di un polidramnios. In epoca prenatale significativo è il ritardo di crescita che si riscontra fin dal secondo trimestre di gestazione. Nella maggioranza dei casi la trisomia è libera, da non disgiunzione meiotica, e solo raramente la trisomia è il risultato di una traslocazione sbilanciata. Le forme a mosaico non sono rare (circa 10%) con fenotipo meno compromesso e compatibili con la sopravvivenza. Sono conosciute anche trisomie parziali del cromosoma 18 che delineano particolari quadri clinici, come la sindrome 18q- e la sindrome 18p-. È quasi sempre possibile la diagnosi citogenetica prenatale. Trisomia 13 (sindrome di Patau) La incidenza di questa cromosomopatia è di 1 su 20.000 nascite. Come la precedente, ha prognosi infausta e la gravidanza termina nel 97% dei casi con l’aborto spontaneo. Oltre alle forme di trisomia libera (che rappresentano circa l’80% dei casi) la trisomia 13 può dipendere da una traslocazione sbilanciata (de novo o per segregazione meiotica svantaggiosa in uno dei genitori portatore di traslocazione robertsoniana). Il quadro clinico ha segni caratteristici, più evidenti a livello neuro-oculare: microftalmia o anoftalmia, coloboma dell’iride, cataratta, oloprosencefalia, arinencefalia; l’aplasia cutis della volta cranica non è costante ma, quando presente, è un segno molto caratteristico. Frequenti sono anche la labio-palatoschisi, il dismorfismo auricolare, la micrognazia, le malformazioni di vari organi e apparati; comune è anche la polidattilia post-assiale. È rara, ma possibile, la sopravvivenza anche di qualche mese. L’esame citogenetico è idoneo al riconoscimento prenatale della sindrome. Sindrome 4p- (Wolf-Hirschhorn) È causata da una delezione parziale del braccio corto del cromosoma 4. Può essere compatibile con la sopravvivenza. I segni più caratteristici della sindrome sono: la facies con
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il naso definito ad elmo greco, la microcefalia, l’asimmetria del cranio, l’ipertelorismo, la gabella prominente, la rima antimongola, il coloboma dell’iride, lo strabismo, l’orecchio displastico. Sono presenti inoltre: un severo ritardo mentale, anomalie cardiache, scheletriche e uro-genitali. La delezione cromosomica può essere de novo o il risultato di segregazione svantaggiosa da parte di un portatore di traslocazione bilanciata. È possibile il riconoscimento ecografico prenatale di molte delle malformazioni. Per la diagnosi si deve talvolta associare allo studio citogenetico anche l’analisi molecolare con l’utilizzo di specifiche probes. Sindrome 5p- (cat-like cry; cri-du-chat; sindrome del grido di gatto) La sindrome è causata da una delezione parziale del braccio corto del cromosoma 5. Come la precedente, può consentire la sopravvivenza. Caratteristico è il pianto dei neonati che somiglia al miagolio di un gatto, dovuto a displasia del laringe. Costante è il basso peso alla nascita. Anche la facies è tipica: rotondeggiante (si modifica però con gli anni, divenendo asimmetrica), vi è epicanto, ipertelorismo, rima antimongola, strabismo, orecchio ipoplasico. Sempre presente e grave è il ritardo mentale. Segni frequenti sono pure: la ipotonia, i difetti cardiaci, le anomalie dello scheletro, il criptorchidismo, i difetti dell’apparato urinario. La delezione può essere de novo o il risultato di una segregazione svantaggiosa da parte di un portatore di traslocazione bilanciata coinvolgente il braccio corto del cromosoma 5. Possibile la diagnosi ecografica e citogenetica prenatale. Trisomia 8 (sindrome di Warkany) Quasi sempre si tratta di mosaicismo 47,+8/46. La sindrome è rara (1 su 30.000 nati vivi) con prevalenza nei soggetti di sesso maschile. Essa comporta disturbi neurologici (moderato o grave ritardo mentale e del linguaggio, occasionalmente convulsioni, agenesia del corpo calloso), dismorfia facciale (fronte prominente, ipertelorismo, padiglioni grandi con prominenza dell’antelice, strabismo, micrognazia, labbro inferiore protruso); camptodattilia, limitazione nei movimenti articolari, anomalie costo-vertebrali, cifoscoliosi, capezzoli soprannumerari, anomalie genito-urinarie, alta statura. È stata segnalata una particolare suscettibilità all’insorgenza di emopatie (leucemia acuta o mieloide cronica). Talvolta il mosaicismo è presente solo in alcuni tessuti (fibroblasti), mentre è omogeneo nel sangue periferico.
Trisomia 9p+ (sindrome di Rethoré) Nella metà dei casi la trisomia non è omogenea, ma a mosaico. Le principali caratteristiche della sindrome sono: il ritardo della crescita osservato dopo la nascita; il ritardo mentale e del linguaggio; la dismorfia facciale (ipertelorismo, rima palpebrale antimongola, enoftalmo, orecchio a coppa, angoli labiali cascanti, naso prominente); la ritardata chiusura della fontanella anteriore. Le dita sono brevi per la ipoplasia delle falangi distali (brachitelefalangia) vi è cifoscoliosi, ipoplasia muscolare. I dermatoglifi sono atipici per una caratteristica fusione di due triadi digitali. La severità clinica dipende dalla estensione del materiale triplicato (estensione valutabile con il bandeggio ad alta risoluzione e la FISH). Sindrome dell’occhio di gatto (cat-eye syndrome) Un piccolo marker soprannumerario, formato da quattro copie della regione q11 del cromosoma 22, è responsabile di una sindrome plurimalformativa dove il carattere più singolare è dato dal coloboma dell’iride per cui la pupilla appare verticalizzata, come quella dei gatti. La sindrome viene perciò conosciuta anche col nome di cateye syndrome.Altri segni sono la dismorfia facciale, il ritardo mentale (di solito lieve e non costante), l’atresia anale, i difetti cardiaci. La ibridizzazione in situ con sonde specifiche consente agevolmente la diagnosi. Sindrome 22qLa delezione interstiziale 22q11.21q23 è responsabile di due sindromi con caratteri abbastanza bene definiti. Sindrome di Shprintzen syndrome (velo-cardio-facial syndrome) Il nome deriva dalle strutture costantemente coinvolte, e cioè: cleft del palato secondario, cardiopatia congenita (frequente il difetto del setto interventricolare), anomalie digitali (mani e dita sottili, iperestensibili, ipotoniche). Completano il quadro clinico: la bassa statura, la dismorfia facciale, i difetti oculari. La delezione non è sempre osservabile all’analisi citogenetica, per cui di fronte al sospetto clinico si deve ricorrere alla FISH. Sequenza di Di George (Di George sequence) È caratterizzata da ipoplasia/aplasia del timo, infezioni ricorrenti per difetto della immunità cellulare. Le paratiroidi possono essere assenti o ipoplasiche, con conseguente ipocalcemia che causa crisi convulsive già nella prima infanzia. Il ritardo mentale è da lieve a moderato; possono evidenziarsi atresia anale e/o esofagea, ernia diaframmatica. Sono caratteristiche le anomalie dell’arco aortico e del tronco arterioso. La peculiarità delle malformazioni cardiache unita-
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mente alla ipoplasia/aplasia del timo e al polidramnios sono elementi di forte sospetto, che devono essere confermati con indagini di laboratorio citogenetiche e molecolari (FISH) atte ad evidenziare la microdelezione del cromosoma 22. Triploidie (69,XXY; 69,XXX; 69,XYY) Si è già fatto cenno ai meccanismi di formazione di un feto triploide. Le conseguenze sul fenotipo possono essere differenti, a seconda anche della origine dei cromosomi soprannumerari (se materni o paterni). Le gravidanze nel caso di feti triploidi possono essere complicate da polidramnios, gestosi e anomalie placentari; possono anche giungere a termine, ma i nati sono sempre sottopeso e plurimalformati. Non sempre nei nati vivi la triploidia si ritrova nei linfociti del sangue periferico, per cui, quando vi è il sospetto clinico, è opportuno procedere all’esame citogenetico dai fibroblasti, mediante una biopsia cutanea. Il rischio di ricorrenza nelle coppie che hanno avuto un concepito triploide si considera trascurabile. In diversi casi una gravidanza con feto portatore di triploidia è stata preceduta o seguita da gestazione con mola idatiforme parziale o incompleta. Va ricordato a questo proposito che la mola idatiforme completa, caratterizzata da una spiccata iperplasia trofoblastica in assenza di feto, ha un normale cariotipo diploide di derivazione esclusivamente paterna; è infatti una disomia uniparentale paterna derivante dalla fecondazione di un’ovocellula anucleata da parte di due spermatozoi. La mola può essere eterozigote (23,X+23,Y) o omozigote (23,X+23,X). Vi è il rischio di evoluzione verso il coriocarcinoma, rischio più alto nella forma eterozigote.
Malattie genetiche mendeliane Sono dovute a mutazioni di singoli geni, per cui si definiscono anche malattie monogeniche, monofattoriali, mendeliane semplici. Se ne conoscono non meno di quattromila e seguono i modelli di trasmissione dettati dalle leggi di Mendel. Le mutazioni, spontanee o indotte, sono modifiche della struttura del gene dovute alla sostituzione o alla perdita di una o più basi. Sono eventi imprevedibili, comuni a ogni specie vivente, e necessari a ottenere la variabilità e con essa la capacità di adattamento delle specie all’ambiente. Sono quindi uno dei principali meccanismi della evoluzione. Alle mutazioni vantaggiose, delle quali non possiamo renderci conto, vi sono quelle svantaggiose in quanto inducono malattie ereditarie o malformazioni congenite non sempre ereditarie; si
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deve anche considerare l’esistenza di mutazioni delle quali riesce difficile se non impossibile averne documentazione quando inducono un arresto di sviluppo dell’embrione in epoca precocissima della gestazione. È talvolta sufficiente in un gene la sostituzione o la mancanza anche di una sola base, per dare difetti gravi funzionali o strutturali.
Malattie genetiche e malattie ereditarie Tutte le malattie ereditarie sono genetiche, ma non tutte le genetiche sono necessariamente anche ereditarie. Si ereditano solo i caratteri contenuti nei geni delle cellule germinali. Le mutazioni delle cellule somatiche, che si determinano sia prima che dopo la nascita, non sono trasmissibili. Quasi tutti i tumori sono dovuti a mutazioni genetiche, ma solo pochi sono anche ereditari.
Modelli di eredità delle malattie genetiche mendeliane Quando si deve risalire al modello di eredità di un carattere, sia normale che patologico, si applicano le sempre attuali leggi di Mendel. Le malattie geniche, in base al modello di ereditarietà, si classificano in: – autosomiche dominanti; – autosomiche recessive; – X-linked recessive; – X-linked dominanti. Va aggiunta la eredità mitocondriale, che riconosce caratteristiche proprie.
Locus e allele Occorre preliminarmente richiamare l’attenzione su due termini importanti per la comprensione di quanto verrà detto in seguito: cosa è un locus genico e cosa significa allele. Il genoma di ogni individuo, sia i geni che il vastissimo tratto del DNA non genico (cioè non trascritto per la formazione delle proteine ) sono contenuti nei cromosomi, con queste peculiarità: 1. ogni gene ha una sua localizzazione cromosomica che è immutabile e specifica in tutti i componenti della specie. Ad esempio i geni della istocompatibilità (HLA) mappano sul cromosoma 6, quelli dell’emoglobina sui cromosomi 11 e 16, e così via. Ogni gene ha, quindi, la sua assegnazione cromosomica: la sede che il gene occupa sul cromosoma è definita locus. Oggi hanno trovato assegnazione cromosomica più di mille geni per cui conosciamo più di mille loci genici. 2. I cromosomi formano, come già detto, coppie di omologhi (fatta eccezione per quelli sessuali) essendo ereditati in singola copia da ciascun genitore. Ogni coppia è formata, quindi, da due cromosomi
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detti fratelli. Si comprende perché ogni gene è sempre presente in duplice copia (una su un cromosoma e l’altro sull’omologo corrispondente): naturalmente un gene occupa sui due cromosomi omologhi sempre la stessa posizione, si ritrova in altre parole sempre allo stesso locus. Il gene corrispondente a quello considerato è definito allele. Ad esempio: gli individui di gruppo AB hanno il gene dell’antigene A su uno specifico locus cromosomico; il gene dell’antigene B, rappresenta l’allele corrispondente, in quanto occupa sul cromosoma omologo lo stesso locus. Ad uno stesso locus, da quanto detto, non può corrispondere che un solo allele. Un gene di cui si conoscono più mutazioni, si definisce ad allelia multipla. Un esempio è offerto dalle emoglobinopatie delle quali si conoscono alcune decine di differenti mutazioni dello stesso gene (HbC, HbS, HbD, ecc.); un individuo non può avere però più di due forme all’eliche (HbA e HbS, oppure HbC e HbS, ecc.).
Omozigote, eterozigote, doppio eterozigote, emizigote Occorre conoscere il significato di questi termini perché legati ai modelli di trasmissione di un carattere mendeliano semplice. È omozigote l’individuo in cui ambedue le copie di alleli sono eguali. Il carattere può essere sia normale (naturale o selvatico) che mutato. Sono eterozigoti gli individui che portano ad un locus un gene mutato per un carattere ed al locus corrispondente il carattere normale. Se un individuo porta un carattere mutato su un allele ed una mutazione differente sull’allele corrispondente, viene definito doppio eterozigote e non omozigote. Un portatore di talassemia e falcemia (malattia microdrepanocitica) è un doppio eterozigote; un soggetto affetto da morbo di Cooley, nato da genitori entrambi beta-talassemici, è un omozigote. Per le mutazioni che interessano i geni dei cromosomi del sesso, essendo i maschi dotati di un solo cromosoma X, ogni singola mutazione su questo cromosoma, sia recessiva che dominante, si esprime. In questo caso si dice che l’individuo è emizigote per quel carattere.
Carattere recessivo, dominante, codominante Un carattere si definisce recessivo quando, per la sua espressione, deve essere presente su un cromosoma e sull’omologo corrispondente; l’individuo è quindi omozigote per quel carattere. Ad esempio un soggetto affetto da fibrosi cistica è omozigote per il gene della malattia avendolo ereditato da entrambi i genitori; questi a loro volta sono entrambi eterozigoti (portatori sani) per quel carattere. Nelle malattie recessive l’allele sano corrispondente a quello mutato agisce come dominante (in quanto è in grado, in singola dose, di impedire la
insorgenza del danno). Quando invece il gene mutato è in grado in singola dose di indurre la malattia, si definisce dominante. In questo caso la persona affetta da una malattia dominante è eterozigote per quel gene. L’omozigote per una malattia dominante, ha sempre un quadro clinico molto grave e spesso letale. È il caso della rara acondroplasia omozigote, derivante dall’incrocio di due acondroplasici eterozigoti. Una coppia eterozigote per una malattia recessiva, può concepire 25% di omozigoti malati, 50% di portatori sani eterozigoti e 25% di omozigoti sani e non portatori. Un affetto da una malattia autosomica dominante può trasmettere la malattia al 50% dei figli. Nelle malattie ad eredità X-linked recessive le femmine portatrici sono in genere sane perché l’allele sano ha effetto dominante. I maschi con una mutazione del cromosoma X sono invece sempre affetti, possedendo un solo cromosoma X. Un cenno meritano, infine, i termini di codominanza e semidominanza. Se due alleli hanno eguale espressività fenotipica si definiscono codominanti (a differenza delle malattie recessive e dominanti, dove l’allele corrispondente ad un carattere recessivo è dominante e viceversa). Un esempio di semidominanza è offerto dalle talassemie dove anche nell’eterozigote si ritrovano espressioni fenotipiche del gene anomalo (valore elevato della componente emoglobinica A2; frazioni anomale emoglobiniche lente o rapide, ecc.); la espressione fenotipica nei doppi eterozigoti (ad esempio nei portatori di emoglobina S e C) dimostrano entrambe le caratteristiche fenotipiche del disordine (sono infatti presenti, alla elettroforesi, entrambe le frazioni che hanno diversa mobilità).
Eterogeneità genica ed effetto pleiotropico Una stessa patologia può dipendere dalla mutazione di geni differenti.Ancora prima dell’introduzione delle tecniche di genetica molecolare (in particolare la FISH e la PCR), il sospetto era sorto dallo studio degli alberi genealogici,quando i modelli di eredità di una stessa malattia erano compatibili con modalità diverse di trasmissione. Quando una stessa sindrome genetica può essere causata da geni diversi, viene definita ad eterogeneità genica. Riconoscere il tipo di eredità di una malattia è importante per la valutazione del rischio di ricorrenza. Si conoscono più di 300 malattie ereditarie che hanno eterogeneità genetica, tra cui l’osteogenesi imperfetta, molte distrofie muscolari, molte atassie e neuropatie periferiche, alcune sindromi con idrocefalia, molte malattie oculari (glaucoma, retinite pigmentosa, cataratta congenita), alcune obesità, il diabete insipido nefrogenico. Diversa dalla eterogeneità genica (un carattere-molti geni) è la condizione inversa (un gene-molti caratteri). In
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questo caso si parla di pleiotropismo genico, proprio delle malattie ereditarie monogeniche a carattere sindromico, caratterizzate cioè da patologie di organi non collegati nel percorso embriogenetico. Non sempre in questi casi è stato chiarito il rapporto genotipo-fenotipo, intuibile solo quando si può risalire al prodotto del gene, cioè alla sua proteina. Ad esempio, il gene della fenilchetonuria comporta l’assenza di un enzima necessario alla trasformazione della fenilalanina in tirosina: ne deriva la carenza di tirosina e una quantità eccessiva di acido fenilpiruvico, il cui accumulo induce un deterioramento delle funzioni mentali; la carenza di tirosina provoca a sua volta una ridotta produzione di melanina, con conseguente depigmentazione della cute e dei capelli. Anche la mutazione del gene della sindrome di Marfan induce difetti in più apparati: alta statura, dita lunghe e sottili (aracnodattilia), lussazione del cristallino, anomalie dell’aorta, iperlassità legamentosa. In questo caso però vi è l’interessamento uniforme del tessuto connettivo e quindi non è corretto definire il gene ad effetto pleiotropico.
ALBERO GENEALOGICO (PEDIGREE) La compilazione dell’albero genealogico, che si serve di alcuni simboli convenzionali (Fig. 3.24), facilita il genetista nel compito di risalire alla trasmissione di un carattere ereditario. Si chiama consultand la persona che richiede la consulenza genetica e probando (caso indice) l’affetto dal quale parte la raccolta dei dati anamnestici necessari per la compilazione di un pedigree, che è compito di un medico genetista. Si cerca sempre di ottenere il maggior numero di informazioni possibili, estendendo la ricerca almeno ai consanguinei di I grado (genitori, fratelli, figli), di II grado (nonni, nipoti, zii) e di III grado (primi cugini). Si ricorda che i geni in comune sono 1/2 nei consanguinei di I grado, 1/4 in quelli di II grado e 1/8 in quelli III grado. Un attento esame degli alberi genealogici consente (spesso ma non sempre) di risalire al tipo di eredità di una malattia. Nella Figura 3.25 sono riportati alcuni modelli di trasmissione ereditaria. L’albero genealogico consente la visione immediata della distribuzione delle patologie in un parentado e ne fa comprendere la segregazione attraverso le generazioni. Ogni medico dovrebbe essere pertanto capace di leggere e di comporre un pedigree.
Fig.3.24.Simbologia utilizzata per costruire l’albero genealogico di una famiglia
MALATTIE MULTIFATTORIALI Oltre alle malattie monogeniche o monofattoriali, vi sono le malattie multifattoriali o poligeniche, cosiddette perché richiedono l’intervento contemporaneo di fattori multigenici ed ambientali. Va subito però detto che i fattori ambientali interagiscono sempre con quelli genici anche nelle malattie monofattoriali, pur se con più limitata incisività nell’espressione fenotipica della malattia (Fig.3.26).Molti geni (in particolare quelli responsabili delle risposte immunitarie,umorali e cellulari) condizionano la espressività e il decorso anche di malattie infettive e quindi non ereditarie, o anche patologie non infettive. A questi modelli di eredità,che potremmo definire classici,se ne aggiungono altri (eredità mitocondriale,sindromi da geni contigui,malattie da imprinting genomico,disomie uniparentali) che, pur non discostandosi dalle direttrici fondamentali ricordate, ricorrono con minore frequenza e hanno specifiche connotazioni. Queste affezioni non verranno considerate in questo capitolo e per un’ampia trattazione si rinvia ai testi specifici in materia [7, 10].
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Fig. 3.25. Vari modelli di alberi genealogici.Le generazioni vengono indicate con numeri romani, mentre l’ordine di genitura in una fratria utilizza i numeri arabi.La consanguineità di coppia viene rappresentata da una doppia linea.I soggetti maschi sono indicati da quadrati, le femmine da circoli. Le gravidanze sono indicate da un rombo tratteggiato (il punto interrogativo viene posto quando non si conosce ancora il sesso del nascituro). I simboli per rappresentare una patologia possono essere configurati in maniera diversa, ed il significato deve essere indicato nella leggenda (negli esempi qui riportati gli affetti sono indicati in nero). a Albero genealogico esteso a 5 generazioni.In II generazione i rombi avvertono che il sesso dei due componenti la fratria non è conosciuto (potrebbero quindi essere due maschi o due femmine oppure un maschio ed una femmina). In III generazione è segnalato un matrimonio tra primi cugini (linea doppia).La IV generazione è composta da 5 membri:tre femmine e due maschi.Due dei membri della fratria (un maschio e una femmina) sono affetti da eguale eredopatia. Una femmina affetta è in gravidanza (V generazione) ma non si conosce il sesso del nascituro. In questo esempio l’eredità della malattia è con forte probabilità autosomica recessiva: il feto deve ritenersi eterozigote per il gene della malattia e quindi un portatore sano avendo ereditato uno solo dei caratteri patologici della madre (l’allele corrispondente è del genitore che deve ritenersi non portatore). b Modello di eredità autosomica dominante. Il nascituro ha rischio del 50% di nascere affetto. c Modello di eredità autosomica dominante per un gene a penetranza incompleta. Un soggetto sano (II,1), fratello di un affetto (II,2) ha generato un figlio con la malattia (III,1).Il nascituro (IV,1) ha probabilità bassa,ma non esclusa di nascere affetto (poiché il genitore III,4 potrebbe essere portatore sano del gene). d Modello di trasmissione compatibile con una eredità X-linked recessiva. La malattia segrega attraverso le femmine che non sono affette e si manifesta solo nei soggetti maschi. Per i nascituri in IV generazione sussistono le seguenti possibilità: IV,1 non è a rischio di malattia; IV,2 non è a rischio di malattia (se maschio, sarà sano; se femmina sarà portatrice del gene); IV,3 se è maschio ha 1/4 di probabilità di essere affetto (la madre infatti ha rischio 1/2 di essere portatrice essendo sorella di un affetto.e Pedigree compatibile con una trasmissione autosomica dominante.Non può però essere esclusa la modalità X-linked dominante, in quanto non vi è nessun caso di trasmissione maschio-maschio della malattia.f Pedigree compatibile con una eredità autosomica dominante.A differenza dell’esempio precedente, qui viene esclusa la trasmissione X-linked dominante, in quanto è documentata la trasmissione maschio-maschio della malattia
CONSULENZA GENETICA Il consulto genetico è la prestazione professionale del medico genetista, richiesta quasi sempre per conoscere il rischio di occorrenza o di ricorrenza di una malattia genetica ereditaria. Dopo la raccolta dei dati anamnestici personali e familiari, espressi graficamente con la compilazione dell’albero genealogico, le notizie che il genetista deve ri
lasciare all’interessato sono di diverso contenuto: 1. informazioni inerenti la malattia: decorso, gravità, possibilità diagnostiche e terapeutiche; 2. informazioni sulle modalità di trasmissione della malattia e rischio di comparsa o di ricorrenza; 3. suggerimenti sulle possibili scelte riproduttive per le coppie a rischio (adozione, contraccezione, diagnosi prenatale, ecc).
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Fig. 3.26. Ogni manifestazione biologica, normale o patologica, deriva dalla interazione dei fattori ereditari con quelli ambientali,con diversa prevalenza degli uni sugli altri.Nelle malattie mendeliane predomina la componente genetica ed ha scarso rilievo il fattore ambientale;il contrario avviene per le patologie provocate da cause esterne (ad esempio malattie infettive).Nelle malattie ad eredità multifattoriale invece le due componenti tendono ad equivalersi
La consulenza deve concludersi sempre con la emissione di un referto scritto del medico genetista. È opportuno prevedere un follow-up con verifica dei risultati di quanto suggerito in sede di consulto medico. I quesiti posti al medico genetista in epoca prenatale possono essere numerosi e non sempre le risposte si presentano facili. Poiché molti rischi possono essere previsti ancor prima del concepimento, la consulenza in periodo preconcezionale si rivela spesso più utile di quella offerta a concepimento avvenuto. La consulenza può essere richiesta a seguito di un evento indesiderato avvenuto in precedenza (ad esempio la nascita di un figlio malformato): la donna, prima di intraprendere un’altra gravidanza, vuole conoscere il pericolo di ricorrenza dell’evento. In questi casi la consulenza offerta prima di un nuovo concepimento è preferibile a quella con gravidanza già in corso. I motivi sono ovvi: non sono sempre brevi i tempi necessari al riconoscimento di una patologia genica; le indagini di laboratorio per il riconoscimento di una mutazione non sono sempre rapide. A fronte delle numerose richieste, sono purtroppo ancora pochi i Centri di ricerca in Italia che fanno anche diagnostica. Alla luce di queste considerazioni, è quanto mai importante sensibilizzare la coppia a sottoporre il loro problema alla valutazione di un medico genetista il più pre-
sto possibile. Può accadere che al rischio di comparsa o di ricorrenza di una patologia (malattia o malformazione) siano interessati oltre la persona affetta o i genitori, anche i consanguinei (cugini, nipoti, zii), in quanto consapevoli che la occorrenza dell’evento indesiderato, pur se con ridotta probabilità, non può essere esclusa anche per essi. Le condizioni più insidiose, sotto questo aspetto, sono prodotte da alcune malattie autosomiche dominanti con gene a penetranza incompleta. Può ad esempio accadere che il fratello sano di una persona affetta da malattia autosomica dominante abbia rischio di generare figli con la malattia (Fig. 3.25c). Per le malattie ad eredità autosomica recessiva può invece accadere che la persona affetta omozigote voglia evitare volontariamente la procreazione per il timore di generare figli malati: in questi casi invece, salvo eccezioni, la prognosi non è sfavorevole, in quanto la situazione lascia prevedere la nascita di figli sani, anche se portatori eterozigoti (Fig. 3.25a). Un paradosso solo apparente è nel caso delle malattie X-linked recessive: un maschio malato genera infatti figli tutti non affetti (maschi sani e femmine portatrici) mentre una sua sorella sana, se portatrice, ha il rischio di avere figli maschi malati con elevata probabilità (50%) (Fig. 3.25d). Non raramente il consulto (prematrimoniale o preconcezionale) è richiesto per consanguineità della coppia. La consanguineità è tanto più importante quanto più rara è la frequenza della malattia nella popolazione. Il consulto genetico è spesso richiesto, con gravidanza in corso, per il timore di una patologia cromosomica, in particolare per la sindrome di Down. Può anche emergere dalla consulenza il rischio per una malattia genetica non cromosomica. Sono evenienze in cui occorrono specifiche analisi molecolari per il riconoscimento di una mutazione genica, che sono eseguibili su campioni ottenuti con la villocentesi o l’amniocentesi. La malattia genetica sospettata può anche essere metabolica. In questi casi le analisi sono indirizzate verso specifiche deficienze enzimatiche e/o mutazioni geniche, e devono essere estese anche ai due coniugi.
CONSIDERAZIONI SUI TEST GENETICI, NON SOLO NELLA MEDICINA PRENATALE Se il riconoscimento genetico molecolare, prenatale o postnatale, di una malattia ereditaria consentisse mirati ed efficaci interventi di prevenzione e di cura, non si sarebbe sentita la necessità di formulare linee-guida di comportamento in tema di esecuzione di analisi genetiche. Questa materia viene trattata dai Comitati di
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Bioetica che esprimono giudizi sulla liceità di esecuzione di test genetici che riconoscono la predisposizione del richiedente a particolari malattie (es. alcuni tumori). Eguali se non maggiori difficoltà pongono i casi in cui le analisi sono volte alla diagnosi presintomatica delle numerose malattie ereditarie ad inizio tardivo. Hanno i genitori il diritto di farle eseguire sui loro figli, ancora in benessere clinico? Ha diritto la persona di sapere con anni di anticipo se andrà sicuramente incontro ad una malattia per la quale, a priori, ha probabilità 50% di ammalare? Un feto riconosciuto portatore della mutazione deve essere considerato soltanto un potenziale candidato alla malattia, che ha insorgenza dopo 20 o 30 anni dalla nascita? Nel 1997 è stata adottata dall’UNESCO la “Dichiarazione Universale sul Genoma Umano e sui diritti dell’uomo” in cui vengono affrontati i diversi aspetti inerenti al tema, che impone una precisa regolamentazione volta a conciliare i diritti della persona con quelli della ricerca che, se applicata in modo non opportuno, può venire in conflitto con i primi. I principi guida, tuttora validi, mirano a salvaguardare la dignità umana e la libertà individuale, ma al tempo stesso la libertà della ricerca scientifica e l’utilizzo dei suoi risultati, che indubbiamente sono imprescindibili strumenti di progresso e di miglioramento della società civile. In Italia è stato redatto già da qualche anno (1999) un documento a cura della Presidenza del Consiglio dei Ministri affidato per la compilazione al Comitato Nazionale per la Bioetica. In esso sono tenute presenti anche le direttive della Convenzione europea di Bioetica e vengono affrontati i problemi etici e deontologici, nonché quelli rientranti in campo giudiziario, sia penale che civile (vedi Capitolo 31). La “Convenzione di Strasburgo sui diritti dell’uomo e la biomedicina” tra i suoi articoli ne contiene alcuni che confermano i principi sopra ricordati. Viene tra l’altro stabilito: – il divieto di discriminazione in base al patrimonio genetico (art. 11); – esecuzione di test predittivi diagnostici solo dopo consulenza genetica e con fini ben definiti (finalità di ricerca medica) (art. 12); – intervento sul genoma umano solo per motivi preventivi, diagnostici e terapeutici; vengono pertanto vietati atti finalizzati ad introdurre modifiche nel genoma dei discendenti che non siano, quindi, correttivo-terapeutiche (art. 13); – il divieto di selezionare il sesso del nascituro (salvo per le malattie sex-linked o sex-limited) (art. 14). Va ricordato che le prime sono malattie da geni localizzati sul cromosoma sessuale X, mentre nelle seconde i geni sono su cromosomi non sessuali, ma si espri-
mono soltanto in uno dei sessi (maschi o femmine). È quindi importante che i medici siano a conoscenza di queste direttive, in particolare gli ostetrici ed i medici genetisti. A questi ultimi spetta di fornire, attraverso la consulenza genetica, le informazioni sui rischi di occorrenza o ricorrenza di una patologia genetica. Pertanto il consulto genetico deve essere affidato sempre ed esclusivamente ad un genetista che sia medico e padrone di specifiche competenze tecnico-scientifiche. Qualsiasi indicazione sulla esecuzione di test genetici deve sempre essere fornita in sede di consulto genetico. Alcune peculiarità rendono del tutto singolari i test genetici a confronto delle tradizionali indagini medico cliniche. Abbiamo sopra visto come, capitolo del tutto nuovo per la medicina, l’applicazione di queste indagini diagnostiche consente di predire, con anticipo anche di diversi anni, l’insorgenza di specifiche patologie talora anche molto gravi (come ad esempio tumori, malattie neurologiche gravemente debilitanti, cecità, ecc.). Il risultato di un test genetico va quindi al di là delle implicazioni strettamente mediche: può porre il soggetto o la coppia di fronte a scelte che potrebbero però contrastare con i propri principi etici o di fede religiosa; potrebbero indurre, nel caso di test prenatali, alla interruzione della gravidanza (questo è il caso più frequente), o a scelte riproduttive alternative (inseminazione eterologa). Vi è il rischio che soggetti sani al momento delle analisi possano andare incontro, venuti a conoscenza del rischio, a stress psicologici anche gravi. Il significato del rischio può consistere tanto nella predizione di insorgenza di una malattia quanto nel riconoscimento di una forte suscettibilità o predisposizione ad alcune malattie. Nelle linee-guida di tutti i documenti europei figurano sempre alcune raccomandazioni di fondo, quali ad esempio il fatto che la esecuzione dei test genetici avvengano in laboratori con elevati standard di qualità, che sia garantita la completa autonomia decisionale da parte dell’utente con consenso informato, ed al tempo stesso la assoluta riservatezza dei risultati. Tuttavia sono ancora molti i punti controversi e per i quali è difficile giungere ad una adeguata regolamentazione: – i test possono automaticamente fornire informazioni anche su parenti prossimi all’interessato, che potrebbero preferire non conoscere la propria condizione; – potrebbero avere come conseguenza discriminazioni sociali, in pratiche assicurative sulla vita o sulle possibilità di impiego lavorativo; – dalla esecuzione dei test potrebbero venire informazioni non preventivamente richieste: potrebbe ad
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esempio risultare la non dichiarata paternità del sottoposto alla indagine. Come già prima accennato, una condizione particolarmente delicata si crea nel caso che i genitori desiderino attuare un test genetico su un nascituro o su loro figli già nati, per una malattia ad insorgenza tardiva. L’orientamento, in questi casi, è che il test è giustificato dopo la nascita solo per malattie per le quali è possibile apportare al nato un beneficio medico certo; purtroppo il numero di patologie è, sotto questo aspetto, veramente esiguo. Va tenuto presente che nel caso in cui i prelievi di materiale biologico servano a puro scopo di ricerca, i partecipanti devono essere liberi di conoscere o meno i risultati dello studio; vi è altresì l’obbligo di ottenere il consenso scritto se si desidera utilizzare lo stesso campione del DNA per scopi di ricerca futuri, diversi da quelli immediati e già concordati con il donatore. Accanto al diritto di sapere che è un concetto facilmente intelligibile, bisogna tenere conto anche del diritto di non sapere, che deve essere consentito a chi non vuole conoscere dati prognostici clinici che riguardano la propria persona. Accanto a questi diritti, sono previsti anche precisi doveri, quale l’obbligo di non fornire informazioni a compagnie assicurative sulla vita o a possibili datori di lavoro, che, col pretesto di salvaguardare la salute dell’interessato, opererebbero di fatto una discriminazione ritenuta inaccettabile. Meritano infine cenno i non pochi aspetti positivi dei test genetici: – la persona riconosciuta a rischio può responsabilmente rinunciare alla riproduzione, onde evitare la ricorrenza nelle generazioni successive della patologia prevista; – si possono attuare interventi di prevenzione, come ad esempio, nel caso di tumore ereditario del colon, con controlli endoscopici più ravvicinati fino a giungere alla resezione chirurgica prima della insorgenza del tumore; – infine non va sottaciuto che un risultato negativo dell’analisi giova a tranquillizzare il soggetto, che vivrebbe altrimenti una vita con l’incubo di un inevitabile e fatale destino. Sono stati anche prospettati programmi di screening di massa che consentirebbero di avere informazioni sulla epidemiologia di talune patologie di notevole rilevanza sociale (diabete, alcune vasculopatie, malattie degenerative proprie dell’età senile, ecc.) col ri-
sultato di porre in essere interventi preventivi sulla popolazione a rischio che possono andare da consigli sullo stile di vita e di alimentazione, alla valutazione dei rischi legati a particolari attività lavorative.
APPENDICE Nozioni essenziali di biologia molecolare in diagnosi prenatale5 La citogenetica classica [8], pur utilissima per individuare la gran parte delle aneuploidie fetali, è necessariamente limitata nelle sue possibilità diagnostiche dal potere di risoluzione del microscopio ottico e dalle relativamente lunghe attese per l’espletamento dell’iter diagnostico. I recenti progressi della biologia e della genetica molecolare [8] hanno consentito con tecniche innovative, quali la FISH e la PCR, l’analisi sulle cellule fetali non coltivate, permettendo in tal modo di ottenere diagnosi in tempi rapidi per le principali aneuploidie, in casi selezionati, di identificare aneusomie cromosomiche (delezioni e duplicazioni) non evidenziabili con la citogenetica tradizionale.
FISH (Fluorescent In Situ Hybridization) La FISH è una tecnica di biologia molecolare che consente di ricercare sui nuclei in interfase sequenze del DNA o RNA, utilizzando specifiche sonde (probes). L’introduzione della FISH nella citogenetica ne ha accresciuto le possibilità diagnostiche consentendo l’individuazione di molte cromosomopatie dovute a riarrangiamenti cromosomici al di sotto dei limiti risolutivi ottici (Fig. 3.27). Oggi si dispone di sonde molecolari specifiche per le diverse regioni cromosomiche e pertanto con fluorocromi adatti, si può valutare più compiutamente, l’assetto diploide fetale. Perché la FISH possa realizzare in diagnosi prenatale tutte le sue potenzialità diagnostiche (sensitività e specificità superiori al 98%), occorre che alcuni prerequisiti siano rispettati: 1. cellularità nel campione target sufficiente per l’iter diagnostico (devono essere analizzate almeno 50 cellule interfasiche con segnali chiaramente evidenziabili); 2. nel caso di liquido amniotico, il campione deve essere esente da inquinamento da parte delle cellule materne; 3. utilizzo di sonde molecolari a bassa reattività crociata e ad elevata specificità per il sito cromosomico bersaglio (esempio sonda cosmidica per il brac-
5 Le tecniche di biologia molecolare impiegate in diagnosi prenatale sono solamente accennate. Per approfondimenti si invia a testi specifici della materia.
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Fig. 3.27. Disomia 21,disomia 18,cellula XY cio lungo del cromosomico 21, regione critica per la sindrome di Down). I principali vantaggi della FISH sono: – rapidità dei risultati; – elevata risoluzione topologica (il segnale può essere individuato con notevole precisione): per cui si può riconoscere l’anomalia di un cromosoma o di una sua regione senza dover evidenziare con la coltura cellulare le metafasi da cui comporre il cariotipo; – possibilità di rilevare le immagini mediante sistemi elettronici (es. CCD) molto più sensibili dell’occhio umano. Nella diagnosi prenatale la FISH è in genere utilizzata per avere un responso rapido sulle più comuni aneuploidie autosomiche [9] (cromosoma 21, 13 e 18) e sui cromosomi del sesso (Fig. 3.28). L’utilizzo della FISH nella diagnostica citogenetica prenatale, è tuttavia limitata al riconoscimento soltanto delle aneuploidie [9] di poche coppie di cromosomi coinvolte nella genesi delle più comuni cromosomopatie. Ha, infatti, lo svantaggio di permettere diagnosi solo per aneuploidie per le quali è stata predisposta; costituisce, quindi, al momento, solo un ausilio alla citogenetica classica, restando sempre necessario l’esame dei cromosomi sulle piastre ottenute dalla coltivazione degli amniociti. Nella diagnosi citogenetica, prenatale e postnatale la FISH riveste inoltre un ruolo diagnostico di primaria importanza nella diagnosi di particolari sindromi genetiche, come quelle da microdelezione di geni contigui. Una variante della FISH, il chromosome painting, consente di ottenere una colorazione diffusa del cromosoma ibridato con una libreria “DNA cromosomaspecifico”. La metodica risulta molto utile quando è ne-
Fig. 3.28. FISH analysis su spermatozoi umani con probes X/Y cessario studiare particolari zone cromosomiche, come nel caso di traslocazioni complesse [11]. Una ulteriore variante della classica FISH è la Multicolor-FISH (M-FISH), che consente il riconoscimento simultaneo di tutti i cromosomi, per appartenenza di gruppo perché colorati con colori diversi (sonde WCP marcate con diverse combinazioni di fluorocromi). La MFISH si è rilevata utile nel caso di cariotipi complessi con riarrangiamenti cromosomici multipli, particolarmente nello studio dei tumori. Sono state allestite anche sonde per le sequenze centromeriche (DNA-satellite) e telomeriche, utilizzate, ad esempio, per il riconoscimento di particolari aneuploidie nello studio dei cromosomi dicentrici.
Cariotipizzazione spettrale (SKY) Rappresenta un’analisi differente dalla M-FISH, in quanto ogni coppia di cromosomi presenta un suo specifi-
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co spettro derivato dalla diversa combinazione di fluorocromi. Si serve di un interferometro collegato ad una video-camera che acquisisce l’immagine.Variazioni minime di colore, impercettibili all’occhio umano, vengono rilevate da un software che conferisce alle diverse coppie di cromosomi un colore prestabilito da un apposito algoritmo. Si ottiene così un’immagine digitale a colori in cui tutti i cromosomi non omologhi avranno colore diverso, permettendo così, il loro riconoscimento. La tecnica si è rivelata utile nel caso di riarrangiamenti complessi e nel riconoscimento di markers.
CGH (Comparative Genomic Hybridization) È una tecnica utile per rilevare variazioni del numero di copie di geni e per individuare delezioni e/o duplicazioni criptiche. Si basa su una competizione per il legame su un supporto normale (cromosomi in metafase) di 2 DNA marcati con fluorocromi diversi. Uno dei DNA appartiene al soggetto da analizzare, l’altro è composto da un pool di DNA genomico di riferimento. Il vantaggio è che in un’unica ibridazione si possono ottenere informazioni sulla dimensione e sulla localizzazione di tutti gli sbilanciamenti cromosomici. Viene utilizzato per lo studio dei riarrangiamenti nelle cellule tumorali, ma ha trovato applicazione anche nello studio delle aneuploidie degli aborti [12].
Array e micro-array CGH Questa tecnica sostituisce i cromosomi delle metafasi di riferimento con una matrice contenente frammenti di DNA di 150 Kb detti BAC o PAC, corrispondenti a loci specifici del cromosoma. Essa consente l’immediata correlazione tra l’alterazione e la localizzazione genomica. La risoluzione genomica dipende dalla lunghezza del DNA dei cloni utilizzati e dalla distanza tra un clone e l’altro. Con un singolo iter procedurale la tecnica consente il riconoscimento cromosomico, numerico e anche strutturale nelle cellule in interfase dei vari tessuti.
PCR (Polymerase Chain Reaction) La tecnica della PCR consente l’amplificazione selettiva di sequenze di DNA targets individuabile in specifiche sorgenti di DNA (cellule eucariotiche, batteri, virus, plasmidi, DNA mitocondriale) [13]. La PCR è il mezzo più rapido ed economico per amplificare enormi quantità di una specifica sequenza di DNA o RNA, partendo anche da pochissimo materiale disponibile (tracce di sangue, capelli, ecc.). Si ritiene che la tecnica della PCR abbia avuto la stessa importanza che a suo tempo ebbe la scoperta degli enzimi di restrizione. La PCR sfrutta la capacità della polimerasi termostabile di effettuare la sintesi di acidi nucleici a partire
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da un filamento stampo e, con una reazione a catena, produce un numero estremamente grande di copie di una specifica sequenza di DNA. In questa metodologia il prerequisito fondamentale è il design di primers (oligonucleotidi di 15-25 nt) complementari alle sequenze bersaglio (solitamente porzioni di gene) e fiancheggianti la regione da amplificare. Nelle sue linee essenziali una tipica reazione a catena consta di tre steps (cicli) ripetuti per 25-45 volte: 1. denaturazione ad alta temperatura del DNA target; 2. rinaturazione del DNA target con primers di innesco; 3. estensione replicativa dei primers con sintesi de novo di DNA mediata dall’enzima Taq DNA polimerasi. La reazione innescata si definisce a “catena” perché le nuove eliche di DNA sintetizzate fungono da stampo nei cicli replicativi seguenti, consentendo un’amplificazione esponenziale (x105-106) della regione bersaglio. Per migliorare la specificità della PCR viene impiegata in alcuni casi una tecnica modificata: la nested PCR. In questa procedura il DNA target è sottoposto a due reazioni sequenziali di amplificazione (PCR). I prodotti di questa amplificazione iniziale (I-PCR) sono diluiti ed utilizzati, come sorgente di DNA target, nella seconda reazione (II-PCR) in cui i primers di innesco sono localizzati all’interno della sequenza target precedentemente amplificata. Questa variante della PCR riduce la possibilità di artefatti amplificativi che si possono produrre in situazioni analitiche di DNA complesso o per dimerizzazione oligomerica. Un’importante implementazione della reazione a catena polimerasica è rappresentata dalla PCR real time o quantitativa (QF-PCR, Quantitative Fluorescent Polymerase Chain Reaction). L’utilizzo di probes interne ai primers d’innesco nella reazione polimerasica, marcati con molecole fluorescenti, consente di monitorare in real time il dispiegarsi della reazione e di quantificare il DNA target presente nel campione iniziale. Nella diagnosi prenatale la PCR e, nello specifico, la QF-PCR, trova elettiva utilizzazione nell’accertamento della trasmissione verticale di agenti infettivi in gravidanza e nella diagnosi molecolare della gran parte delle malattie geniche a trasmissione mendeliana (talassemie, fibrosi cistica, distrofie muscolari, ecc.). La valutazione molecolare [14] delle aneuploidie mediante QF-PCR effettuate su DNA estratto da materiale fetale (villi, amniociti, sangue fetale) rappresenta, inoltre, un valido supporto diagnostico in caso di dubbi ecografici in gravidanze avanzate, di fallimenti colturali, di scarsa cellularità nel campione prelevato, ecc.
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
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CAPITOLO 4
Diagnostica prenatale dei difetti congeniti: tecniche invasive e non invasive A.L. Borrelli • M. Felicetti • A. Di Domenico
INTRODUZIONE
TECNICHE INVASIVE
I progressi tecnologici nel campo dell’ultrasonografia, della biologia e della genetica molecolare e l’ampliarsi delle conoscenze nel campo delle ricerche genomiche hanno consentito l’affermazione della diagnosi prenatale quale parte integrante non solo dell’ostetricia moderna, ma anche della medicina preventiva. Questa nuova disciplina permette la diagnosi in epoca gestazionale precoce di un numero sempre maggiore di affezioni embrio-fetali congenite e/o ereditarie il che consente, in caso di diagnosi positiva identificata l’anomalia, di fornire alla gestante consulenze genetiche, informazioni circa possibili interventi terapeutici sia in utero che alla nascita e in definitiva assistenza per una scelta consapevole circa le varie opzioni possibili. Le tecniche di diagnosi prenatale si distinguono in invasive e non invasive [1]. Tra le invasive vanno menzionate: l’amniocentesi, la villocentesi, la funicolocentesi, l’embrioscopia e le biopsie fetali; la scelta della metodica dipende dalle indicazioni, dall’epoca gestazionale, dalla peculiarità del caso e dall’esperienza dell’operatore. Tra i metodi non invasivi ricordiamo: l’ecografia ultrasonica, la ricerca delle cellule e del DNA fetale nel sangue materno e nella cervice uterina, la diagnosi genetica preimpianto (Tabella 4.1).
Amniocentesi È la procedura di diagnosi prenatale invasiva più praticata e consiste nel prelievo di liquido amniotico (LA) mediante puntura trans-addominale del sacco amniotico (Fig. 4.1).
Fig. 4.1. Amniocentesi.Da [2],con autorizzazione
Tabella 4.1. Tecniche di diagnosi prenatale Tecniche invasive • Amniocentesi • Amniocentesi precoce o early amniocentesis (EA) • Prelievo dei villi coriali o villocentesi • Cordocentesi o funicolocentesi • Biopsie fetali • Embrioscopia
Tecniche non invasive • Ultrasonografia • Analisi sulla madre – Cellule e DNA fetale nel sangue materno – Cellule e DNA fetale nella cervice uterina • Diagnosi genetica preimpianto
L’amniocentesi “genetica” si effettua nel II trimestre generalmente tra la 16a e la 18a settimana di gestazione epoca in cui la vitalità degli amniociti è ottimale per le colture cellulari e la quantità di LA (150-200 ml) è tale per cui ne è possibile il prelievo di 20 ml senza alcun danno per il prodotto del concepimento [3]. Prima di effettuare l’indagine è necessario informare dettagliatamente (counseling) la gestante sull’entità del rischio genetico di cui è portatrice, sulle possibilità dia-
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
gnostiche e terapeutiche, così da offrirle la possibilità di decidere consapevolmente valutando rischi e benefici. Nel corso del counseling, che deve essere, quindi, informativo e non direttivo, il consenso informato1 costituisce una tappa obbligata da non trascurare. L’amniocentesi deve essere preceduta da un accurato esame ecografico preliminare che accerti il numero, la vitalità del/i feto/i, l’età gestazionale mediante la biometria fetale e che consenta di rilevare eventuali patologie utero-annessiali. Nel corso del predetto controllo, localizzata la placenta, dovrà poi essere individuata una tasca di liquido amniotico sufficientemente ampia e lontana da parti fetali dove infiggere l’ago (Tabella 4.2). Tabella 4.2. Counseling e indagini preliminari per amniocentesi • Counseling e consenso informato • Gruppo e fattore Rh • Coombs indiretto se Rh negativa • Test plasmatici relativi alle infezioni maggiori (epatiti,ecc.) • Accurato controllo ecografico
Tecnica Per il prelievo si usa un ago di 20-22 gauge e della lunghezza di 10-20 cm che, prescelta la sede, può essere inserito a mano libera, sotto controllo ecografico (amniocentesi ecoassistita) (Fig. 4.2) o utilizzando sonde da biopsia o sonde munite di stativi rigidi (amniocentesi ecoguidata) (Fig. 4.3). Tolto il mandrino si aspirano 20 ml di liquido amniotico (LA) dopo aver allontanato il primo ml, prelevato con altra siringa, per evitare contaminazioni materne.
Fig. 4.2. Amniocentesi ecoassistita
a
b
Fig. 4.3a, b. Amniocentesi ecoguidata.a Sonda Convex munita di stativo esterno.b Sonda da biopsia
L’amniocentesi è preferibile effettuarla sotto controllo ecografico continuo. La puntura transplacentare, da effettuare solo quando renda più facile l’accesso ad una tasca di liquido amniotico non altrimenti raggiungibile e lontano dall’inserzione del cordone ombelicale, non sembra aumentare il tasso di abortività [4]. Il prelievo viene effettuato ambulatorialmente2, a vescica vuota, senza anestesia (taluni autori utilizzano cloruro di etile per annullare la sensazione della puntura). La gestante può tornare a casa dopo 30 minuti di riposo dal prelievo. È consigliabile astenersi da attività fisica intensa per 2 giorni. Nel caso di gravidanza gemellare monocoriale va campionato un solo gemello; se la gravidanza gemellare è bicoriale, individuati i sacchi amniotici, si effettuano 2 prelievi distinti. Nei casi dubbi è utile l’introduzione di un colorante vitale (indaco carminio, rosso congo) nel primo sacco, dopo aver effettuato il prelievo. È buona pratica clinica evitare l’effettuazione della diagnostica invasiva in gestanti portatrici di virosi in fase attiva. Nelle gravide Rh negative non immunizzate con partner Rh positivo va praticata la profilassi con immunoglobuline anti-D (Tabella 4.2) per il possibile passaggio, soprattutto nei casi di amniocentesi transplacentare, di sangue fetale nel circolo materno. L’amniocentesi consente di ottenere materiale fetale (liquido amniotico ed amniociti) per esami citogenetici,biochimici e sul DNA [5,6].È possibile in tal modo la diagnosi di tutte le malattie cromosomiche, di tutte le malattie recessive legate al sesso, di taluni errori congeniti del metabolismo e di alterazioni del tubo neurale (incremento dell’AFP e dell’acetilcolinesterasi nel LA) [7]. L’analisi del DNA permette, inoltre, la diagnosi di molte malattie geniche ed è possibile,mediante tecniche di biologia molecolare (PCR) individuare eventuali agenti morbigeni nel LA [8,9].
1 È assolutamente necessario che la gestante prima della procedura legga e sottoscriva il consenso informato così che siano del tutto chiari modalità e limiti diagnostici della metodica, le possibili complicanze materno-fetali, i tempi tecnici per la refertazione ecc. (vedi modello di consenso informato in appendice). 2 L’amniocentesi, come le altre procedure invasive (villocentesi, cordocentesi, ecc.), vanno eseguite nell’ambito di ambulatori chirurgici o in regime di day-surgery da specialisti in Ostetricia e Ginecologia con competenze in diagnosi prenatale e dopo opportuno training [4].
Capitolo 4 • Diagnostica prenatale dei difetti congeniti:tecniche invasive e non invasive • A.L.Borrelli,M.Felicetti,A.Di Domenico
Indicazioni Le indicazioni all’amniocentesi del II trimestre sono molteplici (Tabella 4.3). Tabella 4.3. Amniocentesi:indicazioni Età materna avanzata *35 anni Pregressa aneuploidia fetale Riarrangiamenti cromosomici nei genitori Diagnosi di sesso per malattie legate al cromosoma X Storia familiare di aneuploidie Screening “positivo”ecografico e biochimico II trimestre Mosaicismo al CVS
Cariotipo fetale (livello di raccomandazione A)*
Malattie infettive (livello di raccomandazione A)*: - toxoplasmosi,malattia citomegalica,rosolia,ecc. Determinazione Rh fetale (livello di raccomandazione A)* Malattie geniche (livello di raccomandazione B)* Difetti congeniti del metabolismo (livello di raccomandazione B)*
Analisi del DNA
Esami biochimici (livello di raccomandazione B)*
Ricerca di agenti infettivi nel liquido amniotico Mediante tecniche di amplificazione genica quali la Polymerase Chain Reaction (PCR) è possibile ricostruire ed individuare il genoma di un agente infettivo [10, 11], ciò risulta di particolare importanza per documentare la trasmissione verticale di una 1ª infezione materna diagnosticata in base al rilievo dei movimenti anticorpali specifici. In caso di gravidanza a rischio di alloimmunizzazione Rh (madre Rh negativa, padre Rh positivo) risulta molto utile la determinazione sugli amniociti dell’Rh fetale. Se infatti il feto risulta Rh negativo non sono necessarie ulteriori indagini, mentre la presenza di un feto Rh positivo e di anticorpi anti-Rh nel sangue materno richiederà ulteriori indagini e un attento monitoraggio delle condizioni fetali (vedi Capitolo 18).
Errori congeniti del metabolismo Difetti del tubo neurale
Studio del DNA fetale.Malattie geniche ed errori congeniti del metabolismo
Determinazione del cariotipo fetale (indicazioni cromosomiche) La ricostruzione del cariotipo fetale va consigliata nei seguenti casi: età materna avanzata ≥35 anni (Fig. 4.4), pregressa aneuploidia fetale, genitori portatori di traslocazioni bilanciate, storia familiare di cromosomopaFrequenza della sindrome di Down per 1000 nati
tie, diagnosi di sesso per malattie legate al cromosoma X, malformazioni fetali rilevate all’esame ecografico, screening “positivo” biochimico (triplo test) e/o ecografico, eventuali mosaicismi alla villocentesi. L’amniocentesi va proposta anche a gestanti che abbiano praticato trattamenti di procreazione assistita per infertilità maschile (maggior rischio di anomalie cromosomiche de novo nel feto).
Determinazione dell’Rh fetale
*Linee guida S.I.Di.P.,2006
Grazie ai progressi della biologia e della genetica molecolare è possibile ricostruire le sequenze nucleotidiche di molti geni e quindi è possibile la diagnosi sugli amniociti di molte malattie geniche a trasmissione mendeliana e di molti difetti congeniti del metabolismo di cui siano note le mutazioni geniche. Tuttavia, come è chiarito successivamente (vedi villocentesi) per queste indicazioni il prelievo dei villi coriali si lascia preferire all’amniocentesi.
Esami enzimatici (indicazioni biochimiche) Difetti congeniti del metabolismo
18 14 10 6 2
Età materna
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15-19
20-24
25-29
30-34
35-39
40-44
45+
Fig. 4.4. Incidenza della sindrome di Down in relazione all’età materna
Come già detto, la diagnosi di molti difetti congeniti del metabolismo si effettua attualmente, mediante indagini di biologia e di genetica molecolare sul DNA fetale. Il liquido amniotico può essere ancora utile per la determinazione biochimica dei livelli enzimatici relativi ad alcuni difetti del metabolismo di cui sono ancora sconosciute le mutazioni geniche come la sindrome di Smith Lemli Opitz (determinazione dei precursori del colesterolo), la tirosinemia tipo I (determinazione del succinilacetone), acidemia metilmalonica (determinazione del metilmalonil CoA), ecc.
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
Difetti del tubo neurale In passato queste alterazioni si diagnosticavano in base all’aumento dei tassi di AFP e di acetilcolinesterasi nel LA; oggi per la diagnosi di questi difetti l’esame ultrasonico della colonna vertebrale tra la 18a e la 20a settimana di gravidanza risulta molto più sensibile ed accurato e si lascia nettamente preferire alla precedente metodica biochimica molto poco sensibile essendo gravata da un elevato tasso di falsi positivi.
Complicanze I limiti e le complicanze materno fetali conseguenti all’amniocentesi sono assolutamente modeste (Tabella 4.4) [12, 13]. Tabella 4.4. Limiti e complicanze dell’amniocentesi
Limiti
Complicanze materne
Complicanze fetali
Fallimenti colturali Insuccessi Mosaicismi Errori diagnostici Crisi lipotimiche Amnioite Contrazioni uterine Perdite ematiche Perdita liquido amniotico Isoimmunizzazione Abortività Trauma diretto fetale Anomalie arti
Incidenza 0,2% 0,2% 0,3% 1/5000 rara molto rara <1% <1% 1,7% non valutabile ~1% non valutabile 0,1%
L’amniocentesi del II trimestre, pur essendo una tecnica ampiamente sperimentata e con bassa incidenza di complicanze [12-15], presenta tuttavia un notevole limite costituito dalla impossibilità di avere risultati prima della 18a-19a settimana di gestazione. Le difficoltà psicologiche e cliniche relative ad eventuali interruzioni di gravidanza in tale epoca hanno indotto gli esperti ad accrescere il loro interesse per tecniche che potessero effettuarsi prima della 15a settimana quali l’amniocentesi precoce e la villocentesi.
no la 14a può non essere completamente fuso col corion onde difficoltà a trapassarlo e quindi necessità di infiggere l’ago più volte [16]. In secondo luogo il successo delle colture è talora inficiato dalla ridotta quantità del liquido prelevato (1 ml a settimana) e dallo scarso numero di amniociti desquamati (Tabella 4.5). Sono, inoltre, necessari tempi più lunghi di coltura nelle settimane più precoci (12a-13a settimana). Tabella 4.5. Amniocentesi precoce (EA) vs amniocentesi genetica II trimestre:difficoltà tecniche e complicanze EA (10-14 Amniocentesi (16-18 settimane; %) settimane; %) Insuccessi 1,6 0,2 Doppia inserzione ago 5,4 2,1 Fallimenti colturali 2,4 0,2 Abortività 2,3 ~1 Perdita liquido amniotico 3,5 1,7 Malformazioni arti 1,7 0,1 Complicanze polmonari neonatali 2,2 /
Complicanze L’EA è gravata da un tasso di complicanze nettamente superiore rispetto all’amniocentesi del II trimestre e al prelievo coriale effettuato per via transaddominale [12-17]. L’incidenza di aborti risulta in media del 2,3% ed aumenta quanto più precoce è il prelievo. Per quanto attiene alle complicanze a distanza in studi comparativi EA vs amniocentesi del II trimestre sono state trovate percentuali significativamente più elevate di perdita di liquido amniotico dopo procedura, di deformità agli arti e di complicanze polmonari neonatali [18, 19].
Prelievo di villi coriali o villocentesi Il prelievo dei villi coriali (Chorionic Villus Sampling, CVS) è una tecnica di diagnosi prenatale che trova il suo razionale nella considerazione che feto e trofoblasto traggono origine dallo stesso tessuto. Si effettua generalmente tra la 10a e la 13a settimana di gravidanza, ma può essere realizzato anche in epoche successive.
Amniocentesi precoce o early amniocentesis (EA) Tecnica Il desiderio di ottenere diagnosi più precoci ha indotto numerosi autori ad anticipare sempre più l’epoca dell’amniocentesi tanto da praticarla alla fine del I trimestre tra la 11a e la 13a settimana di gestazione [16]. Esistono, tuttavia, per l’EA ancora numerosi problemi sia tecnici che di laboratorio da risolvere. Innanzitutto l’accesso alla cavità amniotica può essere più difficile perché l’amnios nelle settimane che precedo-
Il materiale coriale, sotto guida ecografica continua, può essere ottenuto aspirandolo per via transaddominale (TA) mediante un ago di 18-20 gauge che si spinge attraverso la parete addominale e uterina sino al trofoblasto [20] (Fig.4.5) o per via transcervicale (TC) a mezzo di un catetere flessibile di polietilene di 16 gauge. Per via transcervicale villi coriali possono essere prelevati anche utilizzando un’idonea pinza da biopsia o un embrioscopio (Fig. 4.6).
Capitolo 4 • Diagnostica prenatale dei difetti congeniti:tecniche invasive e non invasive • A.L.Borrelli,M.Felicetti,A.Di Domenico
Ago Sonda ecografica
Tessuto coriale Utero Feto
Retto
Fig. 4.5. Villocentesi per via transaddominale.Da [2],con autorizzazione
Sonda ecografica
Utero Feto Tessuto coriale Retto
a
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Dopo il counseling ed il consenso informato e prima di effettuare la procedura, è necessario un esame ecografico accurato che consenta di stabilire il numero e la vitalità del/i prodotto/i del concepimento, l’epoca gestazionale mediante la biometria fetale, la sede di inserzione del trofoblasto e che permetta di individuare, anche in relazione alla posizione dell’utero (anteversoflessione-retroversione) e allo stato di riempimento della vescica, la via migliore di accesso al tessuto coriale. Nel corso di detto esame ecografico si potrà evidenziare l’eventuale presenza di anomalie d’impianto e/o anomalie uterine (miomi, ecc.), in rapporto a ciò, si potrà decidere, a seconda dei casi, per l’effettuazione dell’indagine o per l’astensione temporanea o definitiva dall’intervento. Nelle gestanti Rh negative non immunizzate con partner positivo deve effettuarsi la profilassi con immunoglobuline anti-D. Nelle gestanti già immunizzate l’esecuzione del prelievo coriale è controindicato. Il prelievo coriale si effettua ambulatorialmente e generalmente senza anestesia presso ambulatori chirurgici o in regime di day surgery [4]. Sul tessuto coriale prelevato, da esaminare allo stereomicroscopio in modo da separarlo da eventuali contaminazioni deciduali, è possibile praticare indagini citogenetiche per la determinazione del cariotipo fetale, indagini biochimiche sugli enzimi e indagini di biologia e genetica molecolare sul DNA.
Indicazioni Le indicazioni al prelievo coriale sono numerose e non sono dissimili da quelle per l’amniocentesi genetica del II trimestre (Tabella 4.6).
Sonda ecografica
Tabella 4.6. Indicazioni villocentesi
Utero
Pinza
Feto Tessuto coriale
Cariotipo fetale (livello di raccomandazione A)*
Retto
b Sonda ecografica
Embrioscopio Utero
Anali del DNA (livello di raccomandazione A)* Esami biochimici (livello di raccomandazione B)*
Feto Tessuto coriale Retto
c Fig. 4.6a-c. Villocentesi per via transcervicale.a Con catetere flessibile di polietilene.bCon pinza da biopsia.c Con embrioscopio.Da [2],con autorizzazione
Altre indicazioni *Linee guida S.I.Di.P.,2006
Età materna avanzata *35 anni Pregressa aneuploidia fetale Riarrangiamenti cromosomici nei genitori Storia familiare di anueploidie Screening “positivo”ecografico e biochimico I trimestre Malformazioni fetali rilevate all’esame ecografico Anomalie X-linked Malattie geniche Difetti congeniti metabolismo Ricerca paternità biologica Difetti congeniti del metabolismo (di cui non siano note le mutazioni geniche) Pregressa nascita malformati Pregressa poliabortività Pregressa morte endouterina del feto
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
L’indicazione più frequente al CVS è senz’altro la determinazione del cariotipo fetale per la diagnosi di aneuploidie (gestanti di età ≥35 anni, cromosomopatie in precedenti nati, riarrangiamenti cromosomici in genitori ecc.) (Tabella 4.6). La sempre maggiore diffusione dello screening combinato nel I trimestre ha, inoltre, di molto contribuito ad identificare nel CVS la tecnica di elezione nella diagnosi precoce di aneuploidie [21]. La villocentesi è da preferire all’amniocentesi per lo studio delle malattie geniche, e dei difetti congeniti del metabolismo di cui siano note le mutazioni geniche in quanto i villi coriali, per il loro alto indice mitotico, rappresentano una fonte di DNA certamente maggiore rispetto agli amniociti e forniscono migliori possibilità diagnostiche per le tecniche di genetica molecolare [22, 23]. Per la diagnosi di infezioni fetali alla villocentesi è da preferire l’amniocentesi che offre migliori possibilità nel riconoscere ed amplificare (PCR) anche piccole porzioni di materiale genetico dell’agente infettante. Sul tessuto coriale sono possibili esami biochimici per la diagnosi di difetti congeniti del metabolismo di cui non siano ancora note le mutazioni geniche. Altre indicazioni al CVS sono: abortività ripetuta, precedente morte endouterina del feto o pregressa nascita di malformati (Tabella 4.6). La villocentesi rispetto all’amniocentesi del II trimestre, accanto al vantaggio di diagnosi in epoca gestazionale più precoce (10ª-13ª settimana) offre anche la possibilità di ridurre i tempi di attesa per i risultati diagnostici. Le cellule trofoblastiche permettono infatti, per l’elevato indice di crescita mitotica, di eseguire colture long-term in soli 7-10 giorni; la possibilità di mitosi spontanee del tessuto coriale consente infine la diagnosi in sole 24-48 ore con la cosiddetta tecnica diretta. Tutto ciò, nel caso di una interruzione della gravidanza in presenza di danno fetale, comporta alla gestante minori traumi fisici e psichici rispetto all’amniocentesi che si effettua in epoca gestazionale più avanzata (16ª-18ª settimana). Nonostante i suddetti indubbi vantaggi il CVS stenta ad affermarsi come tecnica routinaria per talune problematiche ancora molto dibattute circa i limiti e le complicanze della metodica (Tabelle 4.7 e 4.8). Tabella 4.7. Limiti villocentesi TA vs TC
Insuccessi Fallimenti colturali *Linee guida S.I.Di.P.,2006
CSV/TA Incidenza (%) 0,2-1 0,5-1
CSV/TC Incidenza (%) 3,4 2,5
Tabella 4.8. Complicanze villocentesi TA Abortività
~1%
Malformazioni Incidenza trascurabile dopo la 10a settimana Falsi positivi Errori diagnostici
Falsi negativi
Mosaicismi confinati placentari (MCP) Pseudomosaicismi Contaminazione deciduale Mosaicismi
1% 1,1% 0,1% 1% 1,03% 0,03%
Limiti Il CVS effettuato per via transaddominale (TA) generalmente ha successo in circa il 98% dei casi al primo tentativo e nel 99,8% al secondo tentativo; gli insuccessi, quindi, in quest’ultimo caso non superano lo 0,2%. La quantità di villi coriali prelevata risulta adeguata (15-20 mg) nella gran parte dei casi e consente di porre diagnosi citogenetiche, biochimiche e di biologia molecolare. In circa lo 0,5% dei casi, per il fallimento delle colture cellulari, è necessario ricorrere all’amniocentesi [24, 25]. Per via transcervicale (TC) gli insuccessi del prelievo e i fallimenti colturali sono più frequenti raggiungendo percentuali rispettivamente del 3,4% e del 2,5% (Tabelle 4.7 e 4.8) [26].
Complicanze Rischio abortivo Per molto tempo si è ritenuto che il CVS fosse più rischioso rispetto all’amniocentesi del II trimestre in termini di perdite fetali. Questo dato è certo nel caso in cui il prelievo sia effettuato per via transcervicale [27], mentre per il prelievo transaddominale le differenze sono quasi del tutto trascurabili [22, 23, 27-29]. Infatti l’incidenza di aborti dopo CVS-TA è di circa l’1% vs lo 0,5-1% dell’amniocentesi. Numerosi fattori possono influire sul tasso di perdite fetali; esso decresce con l’aumentare dell’epoca gestazionale in cui si effettua la metodica, aumenta invece in presenza di mosaicismi placentari, con l’aumentare dell’età materna e con il numero di infissioni dell’ago specialmente in caso di transfissioni della cavità amniotica [31, 32]. Sull’abortività legata alla procedura incidono notevolmente anche l’esperienza e l’abilità dell’operatore: operatori esperti ottengono infatti percentuali più alte di successi e minor tasso di aborto. Inoltre va precisato che, in mani esperte, anche in presenza di placenta posteriore, ruotando opportunamente la sonda, modificando la direzione dell’ago e variando la posizione dell’utero (riempiendo o svuotando la vescica oppure a mezzo di assistente che agisca opportunamente sul collo uterino per via vaginale), è possibile effettuare la CVS-TA spesso evitando la trasfissione della cavità amniotica.
Capitolo 4 • Diagnostica prenatale dei difetti congeniti:tecniche invasive e non invasive • A.L.Borrelli,M.Felicetti,A.Di Domenico
Rischio malformativo Sono state riportate in letteratura segnalazioni relative a anomalie oro-mandibolari e malformazioni degli arti in neonati di gestanti sottoposte a CVS prima della 9a settimana [33].Ciò in relazione ad ipotetiche alterazioni vascolari con immissione in circolo di emboli e conseguente ipoperfusione placentare. Studi recenti non hanno confermato le suddette segnalazioni [25,30],tuttavia i protocolli della European Association of Perinatology Medicine (EAPM) e le raccomandazioni della WHO [34] concordano nel suggerire il CVS solo dopo la 10ª settimana, epoca in cui si è certamente completata l’organogenesi e la differenziazione degli arti e dello scheletro facciale (Tabella 4.8) [32].
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Per quanto attiene ai mosaicismi, la cui incidenza è, come già detto, dell’1%, va ricordato che essi sono dovuti a non disgiunzioni mitotiche post-zigotiche che in genere si verificano nelle prime fasi dello sviluppo. A seconda di quando si realizza la mancata disgiunzione mitotica si avranno diverse evenienze. Se questa si verifica nelle fasi iniziali della segmentazione dell’uovo fecondato (non oltre lo stadio di morula) avremo un mosaicismo vero generalizzato che coinvolgerà sia il feto che la placenta (feto 46/47, placenta 46/47). In tal caso i mosaicismi si avranno sempre a prescindere dalla tecnica invasiva praticata (Fig. 4.7).
Errori diagnostici Possono essere legati sia a contaminazioni del tessuto coriale da parte di cellule materne soprattutto nelle colture a lungo termine con conseguenti falsi negativi (1%), sia a discrepanze tra cariotipo fetale e cariotipo del tessuto coriale (mosaicismi e pseudomosaicismi). Dette discrepanze rilevabili in circa l’1% dei casi possono spiegarsi considerando che i villi sono tessuti non embrionari e che i mosaicismi possono essere confinati al solo tessuto coriale (falsi positivi) (Tabella 4.8). Va sottolineato che mosaicismi confinati e quindi falsi positivi si rilevano più di frequente nelle preparazioni dirette che studiano il cariotipo del citotrofoblasto, mentre sono meno frequenti nelle colture a lungo termine dove viene analizzato il cariotipo dei fibroblasti (asse vascolo-stromale del villo) che più fedelmente rispecchia il cariotipo fetale.Anche se molto raramente può verificarsi il contrario e cioè: in presenza di diploidie all’esame diretto (falsi negativi) si rilevano poi aneuploidie nelle colture e nel feto [35]. La sempre maggiore esperienza e sensibilità dei laboratoristi in questo settore, ha consentito di ridurre notevolmente l’incidenza di falsi positivi e falsi negativi [34], tuttavia in presenza di mosaicismi è necessario ripetere le indagini ricorrendo all’amniocentesi. Alla luce, infatti, della controversa letteratura esistente sull’argomento [22-24, 28-30] si può concludere che ad eccezione degli errori diagnostici, l’incidenza di complicanze conseguenti a CVS effettuato per via TA e da operatori esperti non è molto dissimile da quello relativo all’amniocentesi del II trimestre (Tabella 4.9). Tabella 4.9. Complicanze CVS TA vs amniocentesi II trimestre CSV/TA (%) Amniocentesi II trimestre (%) Abortività ~1 ~1 Fallimenti colturali 0,5-1 0,2 Insuccessi 0,2 0,2 Perdita liquido amniotico / 1,7 Malformazioni 0,1 0,1 Complicanze polmonari neonatali / / Errori diagnostici 2,1 0,3
Fig. 4.7. Villocentesi (CVS):mosaicismi
Se invece la non disgiunzione mitotica avviene successivamente (stadio di blastocisti) potranno realizzarsi due evenienze: la aneuploidia potrà interessare le cellule destinate a dare origine all’embrione oppure quelle che daranno luogo al tessuto placentare, nel 1° caso si avrà un mosaicismo vero nel feto non rilevabile nel citotrofoblasto (risultato falso negativo), nel secondo caso invece l’anomalia riscontrata nelle cellule corioniche non sarà presente nel feto (falso positivo) e si avrà un mosaicismo confinato placentare (MCP) (Fig. 4.7) [37, 38]. La maggiore frequenza dei mosaicismi confinati rispetto a quelli veri (1% vs 0,03%) deriva dal fatto che solo poche cellule della blastocisti (2 o 3 su 64) daranno origine all’embrione, mentre tutte le altre formeranno tessuto placentare extra embrionario (feto 46 placenta 46/47) (Fig. 4.7). Nel caso di MCP si tratta di falsi positivi (cariotipo del feto normale, anomalie cromosomiche confinate ai tessuti extra-embrionari) per cui gli effetti sul feto sono in genere del tutto trascurabili, ciò è vero soprattutto quando il mosaicismo col metodo diretto è rilevato solo nel citotrofoblasto; quando invece le anomalie citogenetiche riguardano la componente mesenchimale del villo (colture a lungo termine) è possibile l’associa-
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
zione col ritardo di crescita intrauterino. Quando però linee cellulari anomale sono presenti sia nel citotrofoblasto che nel mesenchima e quindi siano rilevate sia col metodo diretto che con il long-term (in particolar modo a carico delle coppie di cromosomi 2, 16 e 22), la
possibilità di iposviluppo, pre-eclampsia (PE) e morte fetale è molto elevata (50%) a causa delle alterazioni strutturali placentari che il MCP induce (Fig. 4.8). Un MCP rilevato al CVS, pur obbligando ad una verifica diagnostica mediante amniocentesi che eviden-
Fig. 4.8. CVS:mosaicismo confinato placentare (MCP) e danni fetali
zierà un cariotipo fetale normale, richiama, quindi, l’attenzione su alterazioni placentari che sarebbero rimaste misconosciute e che richiedono invece sempre un’attenta sorveglianza del benessere e della crescita fetale. In aggiunta a quanto già detto, meritano particolare attenzione, per le possibili conseguenze dannose sul feto, i mosaicismi relativi alle coppie di cromosomi 2, 15, 16. Una trisomia confinata alle strutture extra embrionarie può essere, anche se raramente, associata a disomie uniparentali3 (UDP). Talvolta nel caso di un mosaicismo vero generalizzato da non disgiunzione mito-
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tica postzigotica precoce che coinvolge quindi sia le cellule che daranno origine all’embrione sia quelle da cui si formerà la placenta, per un “meccanismo di salvataggio”, in una successiva divisione mitotica una cellula trisomica ad esempio, per la coppia di cromosomi 15, può perdere il cromosoma in eccesso; nel caso in cui questa cellula divenuta disomica dia luogo alla massa cellulare interna, il feto risulterà disomico e, in 1/3 dei casi, la coppia di cromosomi in questione sarà formata da cromosomi di sola origine materna o paterna [39]. In tale condizione, mentre la maggior parte della
Disomia uniparentale indica una condizione nella quale un soggetto, indipendentemente dal sesso, eredita un’intera coppia di cromosomi da uno solo dei genitori.
Capitolo 4 • Diagnostica prenatale dei difetti congeniti:tecniche invasive e non invasive • A.L.Borrelli,M.Felicetti,A.Di Domenico
placenta è trisomica, il cariotipo fetale sarà numericamente normale, ma il feto sarà a rischio per condizioni associate alla disomia uniparentale e cioè a malattie ad imprinting genomico4 paterno o materno. La disomia uniparentale per il cromosoma 15 è la più conosciuta ed è responsabile della sindrome di Angelman (ad imprinting materno) e di Prader-Willy (ad imprinting paterno). Nella Prader-Willy (obesità, ritardo mentale, mani e piedi piccoli, iperfagia, ipotonia intrauterina) entrambi i cromosomi sono di origine materna e perché non si manifesti la malattia è necessaria anche la presenza del cromosoma paterno. Quindi un mosaicismo placentare 46/47 può asso-
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ciarsi non solo a iposviluppo fetale e aumentato rischio di PE, ma a volte anche se raramente, a UDP e quindi a malattie ad imprinting genomico (Fig. 4.9). Tutto ciò a spiegare che i MCP rilevati dopo villocentesi, pur ingenerando dubbi diagnostici che rendono necessario un secondo approccio invasivo, richiamano tuttavia l’attenzione degli operatori su possibili anche se rare patologie fetali che andrebbero misconosciute se si ricorresse direttamente all’amnio del II trimestre. Ai fini del successivo iter diagnostico molta importanza va, in questi casi, attribuita all’entità del mosaicismo (numero di linee cellulari a mosaico) e ai cromosomi implicati (coppie 2, 6, 11 e 15).
Fig. 4.9. CVS:mosaicismo confinato placentare e disomie uniparentali (UDP)
4
Normalmente per la espressione di un carattere non ha importanza se questo è di provenienza materna o paterna. Tuttavia alcuni caratteri per esprimersi devono necessariamente avere origine paterna o materna. Imprinted viene definito un gene la cui espressione dipende dalla sua origine parentale. Se un gene imprinted è mutato o assente insorgono malattie genetiche che vengono appunto definite ad imprinting genomico.
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
Per tali motivi, da una disamina attenta dei vantaggi v/s svantaggi non esistono al giorno d’oggi elementi per scoraggiare il CVS soprattutto se si vogliono risposte diagnostiche precoci.
Ago
Sonda ecografica
Placenta Utero
Cordocentesi o funicolocentesi La cordocentesi (Percutaneous Umbelical Blood Sampling, PUBS) consiste nel prelievo percutaneo di sangue fetale da un vaso del funicolo ombelicale. Si effettua nel II trimestre generalmente tra la 20a e la 22ª settimana di gestazione. Questa indagine, essendo molto meno traumatizzante della fetoscopia la ha quasi completamente soppiantata. Dopo il counseling ed il consenso informato anche in questo caso è necessario un esame ecografico preliminare che accerti tra l’altro la vitalità fetale, l’epoca gestazionale e permetta, visualizzando la placenta e l’inserzione del cordone, di stabilire la sede del prelievo.
Tecnica Sotto controllo ecografico continuo il prelievo si effettua mediante un ago di 20-22 gauge che viene inserito in cavità uterina per via transaddominale. Se la placenta è anteriore o fundica l’ago viene introdotto attraverso la placenta nel funicolo a livello della sua inserzione (PUBS trans-placentare). L’inserzione placentare del funicolo essendo la parte meno mobile dello stesso,rappresenta la sede ideale del prelievo (Fig. 4.10). Se la placenta è posteriore o laterale e non si interpongono parti fetali l’ago attraversa la cavità amniotica e il prelievo potrà effettuarsi a 1-2 cm dall’inserzione placentare del funicolo. Se si interpongono parti fetali il prelievo potrà essere effettuato o a livello dell’inserzione fetale del cordone o su parti libere e mobili dello stesso il che lo rende meno agevole (PUBS transamniotico) (Fig. 4.10). Essendo il prelievo dalle arterie ombelicali associato ad un maggior rischio di bradicardia fetale, il vaso di scelta per il PUBS è la vena ombelicale. L’assenza di pulsatilità del vaso all’esame flussimetrico conferma l’origine venosa del prelievo. In presenza di obiettive difficoltà si può ricorrere al prelievo intracardiaco o a livello della porzione intraepatica della vena ombelicale con maggiori rischi per il prodotto del concepimento. Il PUBS viene attualmente eseguito, come per le altre tecniche invasive di diagnosi prenatale, nell’ambito di ambulatori chirurgici o in regime di day surgery. È opportuno conoscere preventivamente l’emocromo materno con particolare riguardo al volume globulare; la purezza del prelievo verrà in ogni caso accertata utilizzando un coulter counter che evidenzierà rispetto al sangue materno la differenza dei parametri ematologi-
Funicolo
Retto
Ago
Sonda ecografica Placenta
Utero Funicolo
Retto
Ago
Sonda ecografica
Funicolo Utero
Placenta Retto
Fig. 4.10. Funicolocentesi transplacentare e transamniotiche.Da [2], con autorizzazione ci (volume corpuscolare medio, curva di distribuzione delle emazie, numero dei leucociti ecc.) Effettuato il prelievo (2-3 ml), saranno controllati ecograficamente sia l’attività cardiaca fetale che la sede del prelievo per escludere sanguinamenti prolungati o la formazione di ematomi. Nelle donne Rh negative con partner Rh positivo sarà effettuata la sieroprofilassi con immunoglobuline anti-D per evitare isoimmunizzazione Rh.
Capitolo 4 • Diagnostica prenatale dei difetti congeniti:tecniche invasive e non invasive • A.L.Borrelli,M.Felicetti,A.Di Domenico
Indicazioni Nella Tabella 4.10 sono riportate le indicazioni alla cordocentesi. Tabella 4.10. Cordocentesi (PUBS):indicazioni Disordini ematologici (raccomandazione A*) Piastrinopenie Coagulopatie ereditarie Emoglobinopatie Deficit immunologici congeniti Rapida determinazione del cariotipo fetale (raccomandazione B*) Malformazioni fetali rilevate tardivamente (dopo la 21a settimana) Fallimenti o dubbi diagnostici all’amniocentesi Prenotazione tardiva (late-booking) Terapie fetali (raccomandazione B*) Somministrazioni di farmaci e nutrienti in feti iposviluppati Trasfusione fetale di piastrine piastrinopenie Trasfusione fetale di sangue (es.anemie fetali da idrope fetale non immune o da alloimmunizzazione Rh) Studio del DNA fetale e ricerca di agenti infettivi (raccomandazione C*) Studio del benessere fetale (raccomandazione D*) * Linee guida S.I.Di.P.,2006
Disordini ematologici La cordocentesi è indispensabile per lo studio dei parametri ematologici del feto. Particolarmente indicata è in presenza di emoglobinopatie (qualora la coppia si presenti tardivamente alla consulenza genetica) coagulopatie ereditarie, piastrinopenie, deficit immunologici congeniti [41, 42].
Determinazione rapida (48-72 ore) del cariotipo fetale La ricostruzione rapida del cariotipo fetale che si ottiene generalmente da colture di linfociti fetali in 48-72 ore può essere richiesta per i seguenti motivi: – malformazioni rilevate all’ecografia di I e II livello (anomalie cromosomiche sono presenti nel 10% dei malformati); – fallimenti o dubbi diagnostici rilevati all’amniocentesi o al CVS (mosaicismi veri e pseudomosaicismi); – prenotazione tardiva (late-booking) quando si richiede la diagnosi prenatale tardivamente dopo la 20ª settimana.
Terapie fetali Circa le anemie fetali, la cordocentesi svolge un ruolo essenziale nella diagnosi e nel trattamento delle predette patologie, soprattutto per quanto attiene alla valutazione della gravità della forma. Le principali indicazioni alla terapia trasfusionale intravasale endouterina sono date, infatti, dall’anemia fetale conseguente a molteplici patologie (più frequentemente all’infezione da
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parvovirus B19) e da quella secondaria ad alloimmunizzazione Rh (sempre più rara per l’immunoprofilassi anti-D) (vedi Capitoli 18 e 19). Va segnalata anche la possibilità di somministrare farmaci (es. digitale) per corregere aritmie fetali e nutrienti (aminoacidi essenziali) in caso di iposviluppo fetale.
Studio del DNA e ricerca di agenti infettivi I progressi della biologia molecolare hanno ridotto le indicazioni della cordocentesi; infatti molte malattie geniche a trasmissione mendeliana e le infezioni fetali possono essere attualmente diagnosticate più precocemente in gravidanza mediante tecniche meno invasive (amniocentesi, villocentesi) utilizzando specifiche sonde molecolari.
Valutazione delle condizioni fetali Nei casi di sofferenza fetale cronica con iposviluppo fetale, il PUBS può essere utile non solo per determinare il cariotipo (alterazioni cromosomiche in questi casi variano dal 2% al 7%), ma anche per avere i parametri relativi allo stato metabolico del feto (emogas-analisi ed equilibrio acido-base). Questi elementi sono indispensabili per distinguere l’ipossia fetale, generalmente ben tollerata dal feto, dallo stato di acidosi che invece richiede la sua rapida estrazione [43]. A tal proposito va, tuttavia, segnalato che informazioni molto attendibili circa le condizioni fetali possono essere ottenute precocemente con metodi non invasivi quali la doppler velocimetria e la cardiotocografia computerizzata. Alterazioni flussimetriche del dotto venoso (assenza o inversione dell’onda A) e o alterazioni della variabilità a breve termine determinata con CTG computerizzata sono fortemente predittive di grave compromissione della salute fetale. Le nuove possibilità diagnostiche offerte quindi dal monitoraggio biofisico hanno consentito di ridurre considerevolmente il numero di PUBS in feti già notevolmente compromessi e pertanto più esposti ai rischi della tecnica invasiva.
Complicanze Numerose sono le possibili complicanze conseguenti alla cordocentesi (Tabella 4.11) [44]. Tabella 4.11. Cordocentesi:complicanze Bradicardia fetale Sanguinamento della sede del prelievo Ematoma nella sede del prelievo Corioamnioite Morte fetale
4,3% 35-40% 0,1% 0,15% Patologia di base 3,2% Epoca gestazionale Esperienza dell’operatore
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
Bradicardia
Scelta della metodica
Si tratta generalmente di bradicardie transitorie (<100 bpm di durata inferiore al minuto) che si risolvono spontaneamente; sono più frequenti in caso di iposviluppo fetale e se il prelievo invece di essere effettuato, come di norma, dalla vena ombelicale è di origine arteriosa.
Sanguinamento dalla sede del prelievo È molto frequente soprattutto se il prelievo è arterioso. Però se ne osserva in genere la risoluzione nel giro di pochi secondi.
Ematoma o trombo nella sede del prelievo Piuttosto raro può, tuttavia, ostruendo il flusso determinare sofferenza fetale (Tabella 4.11).
Corioamnioite È infrequente soprattutto se si agisce in asepsi. È utile una copertura antibiotica dopo l’intervento.
Morte fetale È funzione della patologia che richiede il PUBS e dell’esperienza dell’operatore (durata della procedura e numero di inserzioni dell’ago). Un tempo inferiore a 10 min ed una singola inserzione dell’ago comporta una sensibile riduzione di perdita fetale. Dopo la 24ª settimana il prelievo è meno rischioso; nei casi a basso rischio l’incidenza di perdite fetali è di circa il 2%, nel caso di patologie gravi varia nelle diverse casistiche dal 3,5% al 5,1% (Tabella 4.11). Per la complessità della procedura è consigliabile che il prelievo di sangue fetale sia effettuato, quando non sono proponibili procedure meno invasive, da operatori di provata esperienza in specifici centri di riferimento [4].
Non esiste in letteratura unanimità di vedute circa la scelta della metodica. Tuttavia, generalmente, per la diagnosi delle malattie geniche a trasmissione mendeliana e per gli errori del metabolismo di cui siano note le mutazioni geniche, appare preferibile la CVS; per la diagnosi di infezioni in gravidanza la tecnica d’elezione è l’amniocentesi nel II trimestre. La positività degli screening del I trimestre e le condizioni ad alto rischio (entrambi genitori portatori di malattie autosomiche recessive, malattie X-linked, ecc.) indirizzano verso la villocentesi, mentre le gravidanze a basso rischio sono solitamente avviate all’amniocentesi. Lo studio dei disordini ematologici, la determinazione rapida del cariotipo fetale e le terapie fetali soprattutto in caso di anemie gravi del concepito, costituiscono indicazione specifica alla cordocentesi (Tabella 4.12). Presso il Centro di Medicina Prenatale del Dipartimento di Scienze Ginecologiche, Ostetriche e della Riproduzione afferente alla Facoltà di Medicina e Chirurgia del II Ateneo di Napoli, attenendosi a quanto su esposto nella scelta della metodica, sono state effettuate tra il 2000 e il 2006 circa 3.500 procedure invasive (villocentesi, amniocentesi, cordocentesi). In circa il 90% dei casi la tecnica utilizzata è stata l’amniocentesi del II trimestre anche perché, a tutt’oggi, la CVS risulta penalizzata da timori talora ingiustificati circa il maggior rischio abortivo connesso alla metodica rispetto all’amniocentesi. Nella nostra casistica, infatti, il tasso abortivo delle due metodiche presenta differenze trascurabili [45]. In definitiva, quindi, la scelta della metodica oltre che dalle indicazioni, dall’epoca di effettuazio-
Tabella 4.12. Scelta della metodica invasiva
Malattie cromosomiche
Età materna *35 anni Pregressa aneuploidia fetale Trasclocazioni bilanciate,ecc.
Malattie geniche Errori congeniti del metabolismo (da mutazioni geniche note) Positività degli screening I trimestre Condizioni ad alto rischio Malattie infettive in gravidanza Disordini ematologici Determinazione rapida del cariotipo fetale Terapie fetali Sospetta idrope fetale non immunologica
Entrambi i partner portatori di malattie autosomiche recessive Malattie X-linked,ecc. Complesso TORCH Virosi
Amniocentesi II trimestre o CVS
CVS (analisi del DNA)
Amniocentesi II trimestre
Cordocentesi
Capitolo 4 • Diagnostica prenatale dei difetti congeniti:tecniche invasive e non invasive • A.L.Borrelli,M.Felicetti,A.Di Domenico
ne dell’indagine, dall’esperienza dell’operatore e del laboratorio di riferimento, dipende anche dalla volontà della gestante debitamente ed esaurientemente informata.
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gauge. Sotto controllo ecografico si penetra nella massa e si aspira opportunamente prelevando il tessuto da utilizzare per l’esame istologico.
Endoscopia fetale Biopsie fetali Prelievo di cute fetale Quando si sospettino malattie dermatologiche ereditarie (epidermolisi bollosa, ittiosi congenita, condro-displasia puntata calcificante ecc.), per porre la diagnosi, è necessario ricorrere al prelievo bioptico del tessuto sede della patologia sospettata. Per la sua notevole invasività, detta procedura si effettua solo in centri di elevata specializzazione. Previa anestesia locale, una pinza da biopsia flessibile lunga 90 cm e di 1 mm di diametro si introduce in un ago di 16 gauge e si porta, sotto controllo ecografico, a contatto della zona da bioptizzare (Fig. 4.11). Il prelievo, praticato generalmente tra la 18ª e la 20ª settimana, è seguito da profilassi antibiotica intramniotica e, se indicato, anche da immunoprofilassi anti-D. La madre rimane in osservazione per un paio di ore e poi, dopo un ulteriore controllo ecografico, viene dimessa. Sonda ecografica
Funicolo Utero
I recenti progressi tecnologici degli apparecchi a fibre ottiche hanno consentito di ottenere endoscopi tanto sottili da poter essere introdotti nel lume di un ago di 18 gauge e tanto flessibili da seguire tragitti tortuosi per raggiungere sedi prefissate.
Embriscopia In epoca gestazionale precoce (9-10 settimane) quando i rilievi ecografici non consentono ancora una precisa visualizzazione delle varie strutture embrionali, può essere praticata l’embrioscopia che permette la visualizzazione diretta del prodotto del concepimento e trova indicazione quando si paventi una malattia genetica diagnosticabile mediante il rilievo di lesioni esterne caratteristiche o per confermare anomalie sospettate all’esame ultrasonografico.
Tecnica Sotto controllo ecografico continuo si inserisce, per via transaddominale, un ago di 18 gauge e della lunghezza di 15 cm all’interno della camera gestazionale senza forare l’amnios; rimosso il mandrino viene inserito l’embrioscopio del diametro di 0,5 mm. L’embrioscopia, nel corso della quale si può effettuare anche la villocentesi, consente lo studio dell’anatomia dell’embrione e soprattutto degli arti e dei genitali esterni.
Complicanze
Retto
Fig. 4.11. Biopsia cutanea fetale.Da [2],con autorizzazione
Biopsie di masse fetali La biopsia di masse fetali, individuate all’esame ultrasonografico, si pratica mediante siringhe particolari tipo surecut o istocut che si raccordano con aghi da 16
Trattandosi di indagine di recente applicazione e non entrata ancora nella routine clinica, non sono ancora disponibili casistiche circa il rischio abortivo che tuttavia come per la villocentesi dovrebbe attestarsi intorno all’1,5%. In epoca più avanzata della gravidanza, per il trattamento di specifiche patologie feto-annessiali può essere utilizzata la fetoscopia che ha attualmente indicazioni limitatissime. In centri pilota può essere utilizzata nel trattamento della Twin Twin Trasfusion Syndrome (TTTS). La fetoscopia operativa consente infatti la realizzazione di una tecnica selettiva di foto coagulazione laser delle anomale anastomosi AV placentari (SLPCV) (vedi Capitolo 14).
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
TECNICHE NON INVASIVE
Aspirazione di cisti ovariche fetali Si tratta generalmente di cisti ovariche sierose che quando superano i 5 cm di diametro possono torcersi provocando emorragia endocistica e atrofia dell’organo; in tal caso è necessaria l’ovariectomia monolaterale alla nascita. Nel corso della gravidanza, individuata la cisti, sotto controllo ecografico, può essere aspirata utilizzando un ago di 20 gauge. Il liquido aspirato va sempre inviato in laboratorio per l’esame citologico (Fig. 4.12).
Ecografia ultrasonica L’ecografia è senz’altro la metodica che ha permesso lo sviluppo e l’affermazione della diagnosi prenatale. Basti pensare all’esplosiva evoluzione tecnologica di cui questa indagine si è potuta giovare negli ultimi anni. Si è passati, infatti, in breve tempo dal real time al doppler continuo e pulsato, alle sonde endovaginali ad alta definizione e a frequenza multipla, all’ecografia 3D e 4D (vedi Capitolo 23). L’ecografia ultrasonica oltre a costituire, come abbiamo già visto, l’indagine preliminare indispensabile per la realizzazione delle tecniche invasive, sia diagnostiche che terapeutiche, fornisce alla diagnosi prenatale un contributo diretto notevolissimo. Essa infatti permette (ecografia di I, II e III livello) la diagnosi diretta di un numero elevato di anomalie e malformazioni congenite a carico dei vari distretti del corpo fetale (Tabella 4.13) il che consente di proporre alla gestante le varie possibili opzioni relative alla specifica patologia diagnosticata. Si è potuto, inoltre, rilevare che molte anomalie strut-
Fig. 4.12. Cisti ovarica fetale
Tabella 4.13. Principali malformazioni fetali diagnosticate con l’ecografia in epoca prenatale Craniche e intracraniche Agenesia del corpo calloso Anencefalia Stenosi dell’acquedotto Cisti aracnoidee Cisti dei plessi corioidei Idrocefalo Malformazione di Dandy-Walker Exencefalia Encefalocele Oloprosencefalia Iniencefalia Microcefalia Cisti porencefalica Schizencefalia Aneurisma della vena di Galeno Craniofacciali Anoftalmia Ciclopia Igroma cistico Schisi facciale Gozzo Ipertelorismo
Spinali Emivertebre Agenesia sacrale Teratoma sacrococcigeo Spina bifida Toraciche Assenza dei polmoni Atresia bronchiale Cisti broncogenica Ernia diaframmatica Idrotorace Ipoplasia polmonare Sequestro polmonare Tratto gastrointestinale Atresia anorettale Cisti coledocica Colelitiasi Atresia duodenale Cisti epatica Neoplasia epatica Morbo di Hirschprung Atresia digiuno-ileale Ileo da meconio Peritonire da meconio Cisti mesenterica
Apparato genito-urinario Agenesia renale Rene policistico Megavescica Megauretere Idronefrosi Cisti ovariche Idrocele Apparato scheletrico Nanismo tanatoforo Osteogenesi imperfetta Apparato cardiovascolare Ectopia cardiaca Atresia della polmonare Stenosi aortica Difetti settali atrio-ventricolari Coartazione arco aortico Cuore univentricolare
Capitolo 4 • Diagnostica prenatale dei difetti congeniti:tecniche invasive e non invasive • A.L.Borrelli,M.Felicetti,A.Di Domenico
turali evidenziate in utero si associano di frequente a cromosomopatie. La ricerca sistematica di dette anomalie configura l’ecografia genetica che ha consentito di identificare, in epoche gestazionali specifiche (fine I trimestre e fase intermedia del II trimestre) alterazioni morfologiche, varianti fenotipiche, possibili segni o markers di cromosomopatie, che richiedono un approfondimento diagnostico citogenetico. L’identificazione di tali markers ha indotto numerosi autori a realizzare un vero e proprio screening ecografico delle cromosomopatie (vedi Capitoli 5 e 12). Va tuttavia ricordato che i predetti segni, pur suggestivi di cromosomopatie, non hanno, singolarmente considerati, valore assoluto essendo invece la coesistenza di più markers in uno stesso feto a rendere concreto il sospetto e ad indirizzare verso l’effettuazione di una diagnosi prenatale invasiva.
Risonanza Magnetica Anomalie strutturali fetali possono essere rilevate anche mediante la risonanza magnetica (RM); va tuttavia rimarcato che allo stato attuale, la RM non può sostituire l’ecografia bi e tridimensionale. Un notevole ostacolo, infatti, è costituito dai movimenti fetali risultando, a questo proposito, più nitide le immagini nel III trimestre quando sono più frequenti i periodi di immobilità del feto rispetto alle fasi più precoci della gravidanza. La RM appare molto promettente per lo studio del volto, del cervello, del fegato e del tessuto sottocutaneo fetali, consentendo di evidenziare le modifiche di quest’ultimo tessuto nei casi di IUGR. Anche il volume del liquido amniotico e l’anatomia fetoplacentare possono essere indagate mediante RM. In un futuro non lontano questa metodica potrebbe infine essere utilmente impiegata per lo studio dell’equilibrio acido/base placentare e fetale.
Ricerca di cellule fetali nel sangue materno Il potenziale rischio abortivo delle procedure invasive e l’alta percentuale di cromosomopatie in gravide di età <35 anni e senza altre indicazioni per le predette indagini, hanno di molto accresciuto l’interesse degli studiosi per lo sviluppo di tecniche non invasive di diagnosi prenatale. Negli ultimi anni le ricerche si sono concentrate sulla possibilità di isolare cellule fetali nucleate (elementi del trofoblasto, linfociti, eritroblasti nucleati) nel sangue materno in base alla dimostrazione ormai accertata che
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la placenta non costituisce una barriera insuperabile per gli elementi cellulari, ma si trova piuttosto al centro di un traffico bidirezionale (fetal maternal trafficking) di cellule nucleate tra madre e feto [46]. Le cellule fetali nel sangue materno sono purtroppo rarissime (1-6 per ogni ml di sangue materno) e il loro isolamento necessita di procedure molto complesse per cui risulta evidente la notevole difficoltà a distinguerle da quelle materne, tranne nei casi in cui sia possibile il riconoscimento del cromosoma Y nelle cellule studiate [47]. Altro notevole problema è legato alla persistenza nel circolo materno di cellule fetali anche per decenni dopo il parto onde la possibilità di errori diagnostici legati all’isolamento ed analisi, in gravidanze successive, di cellule fetali relative a gravidanze precedenti. I progressi della biologia e della genetica molecolare hanno di recente consentito, utilizzando la PCR qualitativa (QF-PCR), di isolare DNA fetale libero (cell free DNA) nel plasma materno il che costituisce una nuova base per ricerche cliniche ed apre nuove applicazioni alla diagnostica prenatale [48]. Il DNA fetale, individuato usando come target una sequenza di DNA localizzato nel cromosoma Y (SRY), si è dimostrato essere presente nel plasma materno fin dalla 7ª settimana e che la sua concentrazione aumenta con il progredire della gravidanza ed in particolari condizioni patologiche (aneuploidia, gestosi, iposviluppo) [49]. Studiando campioni prelevati ad intervalli di tempo definiti dal parto è stato anche dimostrato che il DNA fetale viene eliminato rapidamente dal plasma materno [50] per cui ne consegue che le indagini miranti alla ricerca del DNA fetale nel plasma materno non sono inficiate dalla presenza di DNA fetale relativo a pregresse gravidanze. Numerosi sono tuttavia gli aspetti ancora da chiarire: modalità di passaggio del DNA fetale nel plasma materno, tempi di permanenza e modalità di eliminazione dal circolo materno e l’effettivo razionale dell’aumentato passaggio di DNA fetale nel sangue materno in presenza di patologia embriofetale e/o di sofferenza fetoplacentare. Il limite maggiore tuttavia per l’uso diagnostico routinario del DNA fetale è costituito dal fatto che finora si è potuto valutare solo il DNA fetale amplificando sequenze del cromosoma Y per cui permangono notevoli difficoltà nel caso di feto di sesso femminile. Numerosi sono ancora i problemi da risolvere per cui le varie possibilità di diagnosi prenatale non invasiva rimangono ancora in fase sperimentale e di studio. Per i motivi suddetti, pur essendo promettenti e incoraggianti le prospettive, l’applicabilità clinica di dette metodiche rimane ancora lontana dall’essere realizzata.
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
Diagnosi genetica preimpianto (PGD) La possibilità di indagini prenatali nel corso della fecondazione extra corporea e prima dell’impianto offre alle coppie a rischio di malattie genetiche la opportunità, in presenza di gravi anomalie, di evitare l’aborto. Per la PGD, attualmente non praticabile legalmente nel nostro paese, sono stati proposti due possibili approcci: – diagnosi preconcepimento: prima della fecondazione si analizza per la diagnosi una singola cellula (biopsia del I corpuscolo polare espulso dall’ovocita prima della fecondazione); – prelievo ed analisi di un blastomero dell’uovo fecondato in fase di segmentazione allo stadio di 4-8 cellule. I due metodi possono effettuarsi nel corso di tecniche di fecondazione assistita: il primo è utilizzato per
la diagnosi di anomalie cromosomiche di origine materna, il secondo può identificare anche i disordini genetici di origine paterna ed è quindi utilizzato per la diagnosi sia di anomalie cromosomiche che di patologie a trasmissione mendeliana. Risulta evidente che i progressi delle fecondazioni assistite o delle tecniche di micromanipolazione ed analisi di singole cellule (PCR-FISH) risulteranno determinanti per la definitiva affermazione della diagnosi genetica preimpianto. Attualmente i costi di questa tecnica diagnostica sono molto elevati; inoltre la perizia necessaria per la micromanipolazione dell’embrione e per l’analisi del DNA limita la possibilità di realizzazione di questa metodica a pochi centri altamente specializzati. A prescindere tuttavia da tali limitazioni va sottolineata la grande importanza di queste tecniche d’avanguardia non solo da un punto di vista scientifico, ma anche per le possibili future applicazioni cliniche.
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Capitolo 4 • Diagnostica prenatale dei difetti congeniti:tecniche invasive e non invasive • A.L.Borrelli,M.Felicetti,A.Di Domenico
APPENDICE
La sottoscritta Domiciliata in
di anni Via
n.
Tel. chiede di essere sottoposta ad amniocentesi per la diagnosi prenatale citogenetica di cromosomopatie. La sottoscritta è stata informata dettagliatamente di quanto segue: A) Scopo e limiti dell’indagine – L’indagine citogenetica prenatale ha lo scopo di accertare la presenza di anomalie cromosomiche numeriche e/o strutturali (trisomia 21, 13, 18 etc. e/o traslocazioni, delezioni, ecc.) escludendo i difetti fetali non dipendenti da tali anomalie. – In rari casi non possono essere stabilite con certezza le conseguenze cliniche associate ad una anomalia cromosomica, i chiarimenti del caso saranno forniti in sede di consulenza post-amniocentesi. B) Rischi e possibili complicanze – il rischio di interruzione della gravidanza in seguito ad amniocentesi è di circa lo 0,5% di incremento dell’abortività naturale; – sono possibili altre complicanze non abortive, peraltro molto rare, legate all’amniocentesi quali la rottura prematura del sacco gestazionale e infezioni amniotiche; – il rischio di complicanze per la paziente è estremamente raro e potrebbe essere necessario, in questi casi, i1 ricovero. C) Trattamento del campione: La componente cellulare del liquido amniotico viene raccolta e suddivisa in più colture indipendenti. La quantità minima di campione necessaria per l’allestimento delle colture è di 10 ml, quella ottimale è di 16-18 ml. Il successo delle colture cellulari è in relazione al numero di cellule vitali presenti nel campione. D) Diagnosi: – I criteri utilizzati per l’indagine citogenetica sono quelli raccomandati dalle linee guida della Società Italiana di Genetica Umana e del Gruppo Europeo di Studio sulla Diagnosi Prenatale. – In caso di riscontro di due o più linee cellulari con diverso cariotipo (mosaico) può rendersi necessaria una ulteriore indagine citogenetica su altro campione. In questa circostanza la paziente viene informata, in sede di consulenza genetica, riguardo alle possibilità di approfondimento diagnostico. – L’impossibilità di pervenire ad una diagnosi può verificarsi in rarissimi casi, per motivi generalmente correlati ad una ridotta crescita delle cellule in coltura oppure alla massiva presenza di sangue o meconio. – È possibile che il risultato richieda, per una sua più corretta interpretazione, l’estensione dell’esame citogenetico ai genitori o l’applicazione di indagini molecolari. – La qualità dei preparati cromosomici non garantisce la possibilità di individuare anomalie strutturali di ridottissima dimensione. – Esiste la possibilità di errore diagnostico,limitata a rarissimi casi,dovuto a discordanza fra l’esito della diagnosi citogenetica prenatale ed il cariotipo riscontrato alla nascita.Tale discordanza può essere imputata a cause diverse: contaminazione del campione con cellule di origine materna,mosaici a bassa percentuale o presenza di anomalie cromosomiche di struttura non rilevabili con le tecniche applicate. E) Refertazione La refertazione è prevista entro e non oltre 21 giorni dalla data dell’arrivo del campione in laboratorio. F) Consulenza post-amniocentesi È prevista una consulenza post-amniocentesi nel corso della quale saranno chiariti i risultati della indagine citogenetica effettuata fornendo, in caso di positività della stessa, informazioni su tutte le possibili opzioni. G) Altro
La sottoscritta, resa edotta riguardo ai punti di cui sopra, autorizza gli operatori ad eseguire 1’amniocentesi secondo la metodica di cui è stata ampiamente informata. Letto, confermato e sottoscritto Firma di chi ha raccolto e illustrato il consenso
Data
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
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CAPITOLO 5
Screening prenatale, ecografico e biochimico di cromosomopatie A.L. Borrelli • M. Felicetti • A. Di Domenico
PREMESSA L’interesse dei ricercatori nell’identificare marcatori di cromosomopatie nasce dalla considerazione che nelle gravide over 35, mediante tecniche invasive, sono diagnosticate solo il 40% circa delle alterazioni cromosomiche mentre il 60% delle cromosomopatie si rileva in nati da gestanti di età inferiore a 35 anni (molto più numerose delle gravide over 35) e senza indicazioni specifiche alla diagnostica invasiva. Poiché l’uso indiscriminato delle tecniche invasive nelle gestanti under 35 appare improponibile1 si può facilmente comprendere lo sforzo della comunità scientifica per mettere a punto test di screening capaci di identificare nella popolazione a basso rischio i soggetti cui consigliare la diagnostica invasiva [1, 2]. I test di screening si pongono il fine di identificare, in una popolazione ritenuta sana, le persone che sono portatrici di una certa patologia o che hanno un rischio elevato di svilupparla. Lo screening può essere di massa, se applicato a tutta la popolazione o selettivo se rivolto a soggetti a rischio per ragioni anamnestiche o ambientali. Si ritiene giustificabile la realizzazione di un test di screening quando la malattia in oggetto abbia le seguenti caratteristiche: 1) deve avere una sintomatologia ben definita ed essere abbastanza frequente e grave da costituire un problema per la salute pubblica; 2) deve essere suscettibile di trattamento, con prognosi più favorevole se identificata e trattata precocemente. I benefici ottenuti dall’effetuazione del test devono giustificarnei i costi. Il test, d’altra parte, deve essere ben accetto ai pazienti, di semplice esecuzione, non causare effetti negativi e risultare sufficientemente sensibile da evitare i falsi negativi e abbastanza specifico da evitare i falsi positivi.
La sensibilità di un test di screening è, infatti, la capacità di individuare le persone ammalate o che hanno un elevato rischio di sviluppare una malattia: sensibilità (detection rate)=VP/(VP+FN) dove VP sono i veri positivi e FN sono i falsi negativi al test. La specificità è la capacità del test di identificare le persone sane: specificità=VN/(VN+FP) dove VN sono i veri negativi e FP sono i falsi positivi. Il VP+ (valore predittivo positivo) è la probabilità di malattia in un soggetto con test positivo: VP+=VP/(VP+FP) Il VP- (valore predittivo negativo) è la probabilità di essere sano che ha un soggetto con test negativo: VP=VN/(VN+FN) In particolare lo screening delle anomalie cromosomiche si prefigge la stima del rischio di aneuploidia che si ottiene moltiplicando il rischio di base o di background (esistente in ogni gestante e legato a dati anamnestici, all’età materna e all’epoca gestazionale) per la likelihood ratio (LR) che è data dal rapporto tra la percentuale dei feti affetti e quella dei feti non affetti per specifici livelli dei marcatori (markers) rilevati effettuando i vari test. In base ai risultati ottenuti sarà valutata l’opportunità o meno di proporre alla gestante il ricorso alla diagnostica invasiva per la determinazione del cariotipo fetale [3].
CONSULENZA Lo screening prenatale per la trisomia 21 (Sindrome di Down) è indicato per le gravide che dopo aver ricevuto adeguata informazione lo richiedano [4]. Prima di praticare il test di screening è necessario effettuare il counseling nel corso del quale i genitori
1 Prima di 35 anni e senza indicazioni specifiche alla diagnostica invasiva, il rischio di aneuploidie è in media 1/900 mentre il rischio di aborto è di circa 1/100; in queste gestanti under 35 quindi il rischio abortivo è nettamente più elevato di quello di essere portatrice di un feto Down. Se tutte le predette gestanti fossero sottoposte a diagnostica invasiva, si avrebbe con notevole probabilità, un numero elevato di aborti ingiustificati (9 aborti per ogni Down diagnosticato).
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
vanno resi edotti delle caratteristiche probabilistiche del test che non ha, quindi, valore diagnostico. Vanno, inoltre, chiariti ulteriori dettagli circa la sensibilità e specificità dello stesso e circa la possibilità di ulteriori indagini diagnostiche. Il medico che effettua il test deve informare la coppia dettagliatamente, ma non essere mai direttivo imponendo la propria convinzione. L’accettazione o meno del test da parte della donna deve essere chiara e consapevole [4]. Il risultato del test espresso in termini numerici deve essere consegnato per iscritto. Deve essere poi effettuata una consulenza post-screening nella quale devono essere indicate le diverse opzioni disponibili conseguenti al risultato [4].
SCREENING BIOCHIMICO AL II TRIMESTRE Storicamente il primo test utilizzato per lo screening della sindrome di Down è il triplo test. Fondamentali, a tal proposito, sono le osservazioni di Merkatz che dimostrò essere ridotti i livelli sierici materni di alfafetoproteina in presenza di cromosomopatie fetali [5]. Nel 1988 Wald ha proposto l’utilizzazione nel II trimestre, tra la 15ª e la 20ª settimana, di tre marcatori biochimici (l’alfafetoproteina, la gonadotropina corionica e l’estriolo non coniugato) in combinazione con l’età materna quale test di screening per la sindrome di Down [6]. Nelle gestanti portatrici di feti affetti dalla sindrome di Down i tassi sierici di alfafetoproteina (AFP) e di estriolo non coniugato (uE3) si riducono, mentre la concentrazione di gonadotropina corionica (hCG) aumenta. I valori dei tre analiti, espressi in multipli della me-
diana (MoM) in combinazione con l’età materna, sono stati utilizzati per esprimere, mediante un calcolo computerizzato, il rischio di una gestante di dare alla luce un figlio affetto da sindrome di Down. Il rischio individuale per la suddetta sindrome può anche essere calcolato moltiplicando il rischio di base per la likelihood ratio dei suddetti markers. Le gravide che risultano avere, in base ai risultati del test, un rischio uguale o superiore ad un limite (cut-off) stabilito, sono considerate positive allo screening e vengono, dopo opportuna informazione, invitate a praticare l’amniocentesi. Va, infatti, chiarito che il tri-test, come ogni altro test di screening, non è una procedura diagnostica, ma solo un metodo per individuare i soggetti ad alto rischio per una patologia; soltanto con le tecniche invasive (amniocentesi, ecc.) si potrà porre con certezza la diagnosi ricostruendo il cariotipo fetale. Col tri-test, utilizzando un cut-off di rischio di 1:250, è possibile individuare il 60% dei feti Down con un 5% di falsi positivi (Tabella 5.1) [2, 3]. Alcuni autori hanno proposto di integrare il dosaggio dei 3 analiti menzionati con l’inibina A, trasformando il triplo in quadruplo test. Questa modifica migliora la sensibilità del test con una DR di circa l’80% e un 6% di falsi positivi [7]. Allo scopo di evitare un incremento dei falsi positivi sembra di particolare importanza un’accurata datazione della gravidanza. Alcuni fattori ostetrici, quali la gravidanza multipla e il diabete materno, possono diminuire l’accuratezza dello screening biochimico. La sensibilità non molto elevata dei test di screening biochimici ha indotto gli studiosi a ricercare altri markers di cromosomopatie.
Tabella 5.1. Screening delle cromosomopatie al II trimestre nella popolazione a basso rischio Screening biochimico (tri-test)
Diminuzione alfafetoproteina (AFP) Diminuzione estriolo non coniugato (uE3) Aumento gonadotropina coriale (hCG)
Indicatori biometrici
Screening ecografico
Indicatori morfologici
Ritardo di crescita Plica nucale Variazioni biometriche omero/femore DBP/lunghezza omero Alterazioni rapporto DBP/lunghezza femore Cisti dei plessi corioidei Intestino iperecogeno Foci iperecogeni cardiaci (golf ball) Arteria ombelicale unica Alterazioni quantitative LA (poliamnios,oligoamnios) Pielectasie e ventricolomegalie moderate Presenza/assenza osso nasale (NB)
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MARKERS ECOGRAFICI DI CROMOSOMOPATIE La gran parte dei feti con anomalie cromosomiche è portatore di malformazioni identificabili mediante l’ecografia strutturale dopo la 20ª settimana di gestazione. L’osservazione che anche modeste alterazioni dei parametri morfologici e biometrici (soft markers), rilevabili all’ecografia, si ritrovino isolati o variamente associati in feti con anomalie cromosomiche, ha stimolato la ricerca attenta ed accurata di segni ecografici sempre più precoci di cromosomopatie che consentano lo screening dei soggetti a rischio nella popolazione generale [8]. È così andata sempre più affermandosi la “ecografia genetica” che può definirsi come la ricerca sistematica di anomalie morfologiche e/o varianti fenotipiche (markers) che si rilevano in presenza di particolari cromosomopatie. Va tuttavia sottolineato che, mentre in presenza di una vera e propria malformazione è sempre utile determinare il cariotipo fetale per definire con esattezza la diagnosi, il valore predittivo delle varianti fenotipiche (markers) è incostante potendosi osservare anche nei feti normali e modificarsi nelle epoche successive della gravidanza [9]. Singolarmente considerati, questi markers non hanno quindi valore assoluto, ma a rendere concreto il sospetto di cromosomopatia è la coesistenza contemporanea di più segni nello stesso soggetto [10]. I periodi ottimali per la ricerca dei suddetti markers sono la fase intermedia del II trimestre (16ª-18ª settimana) e di recente anche la fase terminale del I trimestre (10ª-14ª settimana) per la migliorata risoluzione degli apparecchi ecografici.
SCREENING ECOGRAFICO AL II TRIMESTRE Nel II trimestre i soft markers sono stati distinti in indicatori biometrici e indicatori morfologici. Tra gli indicatori biometrici (Tabella 5.1) vanno segnalati: 1. il ritardo di crescita intrauterino; 2. la plica nucale; 3. le variazioni biometriche dell’omero e del femore; 4. le alterazioni del rapporto del diametro biparietale (DBP) rispetto alla lunghezza dell’omero e del femore. La precoce insorgenza del ritardo di crescita (<26 settimane) si associa spesso alla trisomia 18 (sindrome di Edwards) [11], alla trisomia 13 (sindrome di Patau) e alle triploidie ed ha un valore predittivo notevole se si
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accompagna a polidramnios. Lo IUGR (Intra-Uterine Growth Retardation) di tipo simmetrico si associa con maggiore frequenza alle aneuploidie; quello di tipo asimmetrico alle triploidie [10, 11]. La plica nucale (nuchal fold) è un ispessimento dei tessuti del collo fetale dovuto ad edema che si evidenzia soprattutto nella regione nucale in conseguenza di una connessione anomala tra sistema linfatico e sistema venoso; la misurazione dovrebbe essere fatta dal margine esterno della cute al margine esterno dell’osso occipitale, su di un piano mostrante il cervelletto. Quando il suo spessore supera il valore soglia di 6 mm si associa frequentemente a Trisomia 21. Sebbene il VP+ vari notevolmente nelle varie casistiche questo segno rimane il fattore di predizione maggiormente indicativo per la sindrome di Down [12]. La riduzione della lunghezza dell’omero e del femore rispetto a quelle attese (rapporto lunghezza omerale rilevata/lunghezza omerale attesa <0,9; lunghezza femorale rilevata/lunghezza femorale attesa ≤0,91) si osserva di frequente nella trisomia 21. Osservazioni successive hanno rilevato nella sindrome di Down rapporti alterati tra DBP (diametro biparietale) e lunghezza dell’omero e femore nel senso di un aumento del DBP e un raccorciamento degli arti e soprattutto dell’omero rispetto al femore, per un’asimmetria tra capo e lunghezza degli arti in questi soggetti [8]. L’ipoplasia del centro di ossificazione della seconda falange del 5º dito, l’angolo iliaco >90°, il piede a sandalo ecc. sono altri segni ecografici [13, 14] associati alla sindrome di Down: il loro valore predittivo è tuttavia modesto anche perché spesso sono di non facile individuazione. Tra gli indicatori morfologici (Tabella 5.1) [15-22] vanno segnalati: – le cisti dei plessi corioidei; – l’intestino iperecogeno; – i foci iperecogeni intracardiaci (golf balls); – l’arteria ombelicale unica; – le pielectasie e le ventricolomegalie moderate; – la presenza/assenza osso nasale (Nasal Bone, NB). Questi segni che si associano con frequenza variabile alle più comuni cromosomopatie non hanno, come già ricordato, un valore predittivo notevole se rilevati isolatamente; in questo caso, infatti, spesso regrediscono spontaneamente nell’ulteriore evoluzione della gravidanza e vanno, comunque, sempre inquadrati in un contesto generale più completo. Per ottimizzare l’uso dei vari markers Benacerraf [23] ha proposto un sistema (Index Score System, ISS)
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che prende in considerazione “il peso clinico” di ogni marcatore assegnando un punteggio (Tabella 5.2). Tabella 5.2. Index Score System (ISS) da Benacerraf [23] Plica nucale ispessita Pielectasia Cisti dei plessi corioidei Foci iperecogeni intracardiaci Intestino iperecogeno Femore corto Omero corto
2 1 1 1 1 1 1
SCREENING ECOGRAFICO AL I TRIMESTRE Nel I trimestre di gravidanza i markers ecografici di cromosomopatie di maggiore rilievo sono: l’igroma cistico, la translucenza nucale (NT) e l’osso nasale fetale. L’igroma cistico (Fig. 5.1) dipende da un anomalo drenaggio del sistema linfatico che determina la formazione di cisti, a volte settate, localizzate nei tessuti molli della regione posteriore del collo; si associa frequentemente ad aneuploidie (sindrome di Turner, trisomia 18 e 21 e triploidie), ma può anche insorgere in relazione ad idrope, difetti cardiaci o sindromi genetiche a trasmissione mendeliana [26].
È prevista l’offerta della diagnosi invasiva alle gestanti di età<35 anni solo nel caso in cui la presenza isolata o contemporanea di più marker dia una somma *2 Usando questo metodo l’autore riporta una sensibilità del 73% per la sindrome di Down con un 4% di FP. Nyberg [24], di recente, ha invece descritto un metodo computerizzato AAURA (Age-Adjusted US Risk Assessment) per valutare il rischio individuale per la sindrome di Down basato sulla presenza o assenza di diversi soft markers combinato con l’età materna. In particolare questo metodo, moltiplicando il rischio a priori della gestante con la likelihood ratio (LR=sensibilità/FP) specifica per ogni soft marker (Tabella 5.3), consente di rivalutare il rischio di cromosomopatia per quel feto personalizzandolo ulteriormente. Tabella 5.3. Likelihood ratio dei vari soft markers da Nyberg [24] Soft markers Plica nucale ispessita Intestino iperecogeno Femore corto Omero corto Pielectasia renale Focus intracardiaco iperecogeno Assenza di segni ecografici
Likelihood ratio assegnata 18,6 5,5 2,2 2,2 1,6 2,0 0,4
Usando un cut-off di 1/200 il metodo raggiunge una sensibilità del 74% circa. Tra i markers ecografici di trisomia 21 nel II trimestre si è data, di recente, importanza all’ipoplasia della regione mascellare e dell’osso nasale. In uno studio effettuato da Cicero et al. [25], l’osso nasale è risultato ipoplasico (non visualizzabile o di lunghezza <2,5 mm) nel 61% dei feti Down e nell’1% dei feti sani. Ulteriori conferme di questi risultati consentirebbero di individuare nell’ipoplasia dell’osso nasale il marcatore ecografico più specifico e sensibile del II trimestre.
Fig. 5.1. Igroma cistico del collo
La translucenza nucale (Nuchal Translucency o NT) (Fig. 5.2) è un marker rilevabile tra la 11a e la 14ª settimana (11 sett+0 gg-13 sett+6 gg.) essendo il CRL (Crown
Fig. 5.2. Traslucenza nucale (NT)
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Rump Lenght) compreso tra 45 e 84 mm. Essa appare come un’area translucente interposta tra la cute della nuca e i tessuti che rivestono il tratto cervicale della colonna vertebrale fetale [27]. La determinazione può essere effettuata per via transaddominale; solo raramente si deve ricorrere alla via transvaginale. I criteri forniti dalla Fetal Medicine Foundation di Londra [28-30] per una corretta misurazione della NT sono riportati nella Tabella 5.4. Tabella 5.4. Criteri per la corretta misurazione della NT • Età gestazionale compresa da 11 sett+0 gg e 13 sett+6 gg • CRL compreso tra 45 mm e 84 mm • Ecografo ad alta risoluzione con funzione di video-loop • Testa e parte superiore del torace fetale inclusi nell’immagine • Ingrandimento tale che ogni piccolo movimento dei calipers produce solo 0,1 mm di variazione della misura • Sezione sagittale del feto dopo attenta misurazione del CRL • Feto in posizione neutrale evitando la posizione estesa o flessa • La cute fetale deve essere distinta dall’amnios • Calipers on-on; ottenere più di una misura e valutarne la maggiore
Un appropriato training degli operatori, la rigida osservanza dei suddetti criteri e controlli periodici di qualità sono i requisiti essenziali per una buona pratica clinica [31, 32]. L’NT di spessore aumentato rispetto alla norma consente di selezionare i feti maggiormente a rischio non solo per cromosomopatie, ma anche per malformazioni soprattutto cardiache, sindromi geniche rare
(Fig. 5.3) [33, 34] e per condizioni morbose che, in ogni caso, alterino i meccanismi di formazione e drenaggio linfatico. L’eterogeneità delle predette patologie suggerisce diversi meccanismi patogenetici. Questi includono: l’insufficienza cardiaca conseguente ad anomalie del cuore e delle grandi arterie [35-37], la congestione venosa della testa e del collo causata da aumentata pressione intratoracica [38] (compressione mediastinica da ernia diaframmatica o spazio toracico ristretto da displasia scheletrica), l’alterata composizione genetica della matrice extracellulare [39], l’anomalo sviluppo del sistema linfatico [40], l’insufficiente drenaggio linfatico da ridotto movimento fetale in caso di disordini neuromuscolari [41], l’anemia fetale [42], l’ipoprotinemia, l’infezione congenita e conseguente anemia o disfunzione cardiaca [43]. Prescindendo dalla settimana di gestazione in cui veniva determinata, inizialmente si è ritenuto che di norma, tra la 11ª sett+0 gg e la 13ª sett+6 gg lo spessore della NT non dovesse eccedere i 2,5 mm. In seguito, tuttavia, valutando che lo spessore della NT, nei feti sani, tende ad aumentare con l’incremento del CRL sono sembrati più appropriati i criteri che utilizzano una soglia diversa per le varie settimane gestazionali [44]. La misura può essere espressa in percentili; in uno studio relativo a circa 10.000 gravidanze [45] si è valutato che per un CRL di 45 mm (11 settimane), la mediana e il 95° percentile possono variare tra 1,2 e 2,1 mm, e che per un CRL di 84 mm (13 sett+6 gg) gli stessi valori possono oscillare tra 1,9 e 2,7 mm; il 99° percentile non varia con il CRL ed è approssimativamente 3,5 mm (Fig. 5.4) [44, 45]. 3,5 3,0 Translucenza nucale (mm)
95° 2,5 75° 2,0
50° 25°
1,5
5°
1,0 0,5 0 45
50
55
60
65
70
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Lunghezza vertice-sacro CRL (mm)
Fig.5.3. Traslucenza nucale abnormemente ispessita (5,3 mm) in un feto con trisomia 21.Corretta posizione dei calipers on-on
Fig. 5.4. Variazioni dell’NT in relazione all’incremento del CRL
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Per traslucenza nucale aumentata si intende una condizione caratterizzata da uno spessore della NT al di sopra del 95° percentile; questo termine viene utilizzato indipendentemente dal fatto che la raccolta di liquido sia settata o meno e che sia limitata al collo o che interessi tutto il corpo fetale. Di solito dopo la 14ª settimana l’NT aumentata va incontro a risoluzione spontanea,ma può evolvere in alcuni casi in edema nucale o in igroma cistico. Come già detto, usando un software appropriato, il rischio individuale può essere calcolato moltiplicando il rischio a priori che tiene conto dell’età materna e dell’epoca gestazionale, per la likelihood ratio della traslucenza nucale che dipende dal grado di deviazione della misurazione dell’NT fetale dalla normale mediana attesa per un dato CRL. Quanto più è elevato il valore di NT, maggiore sarà la LR e quindi maggiore sarà il rischio. In tal modo la misurazione della NT tra la 11ª sett+0 gg e la 13ª sett+6 settimana di gravidanza è diventata una procedura molto diffusa per lo screening prenatale delle cromosomopatie. Determinato il rischio individuale con le modalità predette e utilizzando un cut-off di 1/300, in più trials, è risultata una sensibilità di circa l’80% con il 5% di falsi positivi [46, 47]. Inoltre nei feti con NT aumentata e cariotipo normale è stata evidenziata una maggiore frequenza di anomalie fetali (anomalie cardiache, ernia diaframmatica, body stalk anomaly, anomalie scheletriche e sindromi genetiche rare) [48, 49](Tabella 5.5). Tabella 5.5. Soggetti con cariotipo normale:prevalenza delle malformazioni fetali in relazione all’aumento di spessore dell’NT Translucenza nucale
<95° percentile 95°-99° percentile 3,5-4,4 mm 4,5-5,4 mm 5,5-6,4 mm *6,5 mm
Cariotipo normale Anomali fetali maggiori (%) 1,6 2,5 10,0 18,5 24,2 46,2
Difetti cardiaci (%) 1,6 1,0 3,0 7,0 20,0 30,0
Questi dati implicano la necessità di approfondimenti diagnostici: ecografia morfologica, ecocardiografia fetale, test genetici e screening infettivologici necessari per distinguere le gravidanze a prognosi infausta da quelle ad esito meno sfavorevole.
Down presentavano livelli sierici ridotti di proteina plasmatica associata alla gravidanza (Pregnancy Associated Plasma Protein A, PAPP-A) (circa 0,5 MoM) e livelli sierici più elevati di beta gonadotropina corionica libera (freeβ-hCG) (circa 2 MoM) rispetto ai feti normali. Queste osservazioni hanno indotto ad associare la determinazione dei due analiti PAPP-A e free-β-hCG all’età materna (bitest o duo-test) per lo screening biochimico della sindrome di Down.La sensibilità del bitest è risultata del 60% circa con un tasso di falsi positivi del 5% (Tabella 5.6) [51-53]. Tabella 5.6. Screening delle cromosomopatie al I trimestre nella popolazione a basso rischio Screening ecografico → Translucenza nucale (NT) ↓ Screening combinato
(età materna+NT+biochimica) Sensibilità 90%,5% falsi positivi
↑ Screening biochimico → β-hCG libera PAPP-A
SCREENING COMBINATO AL I TRIMESTRE: ECOGRAFICO E BIOCHIMICO (<14 SETTIMANE) Sulla base di questi ultimi rilievi, tenuto conto dell’indipendenza tra markers ecografici e biochimici, è sembrato logico associare la determinazione ecografica della NT alla biochimica del I trimestre. Infatti il test di screening combinato (NT+biochimica+età materna) ha dimostrato una sensibilità per la trisomia 21 del 90% con un 5% di falsi positivi (Tabella 5.6) [54]. Il test combinato ha dimostrato, inoltre, una elevata detection rate anche per altre cromosomopatie consentendo di identificare circa l’80%-90% delle anomalie cromosomiche diverse dalla trisomia 21 con un tasso di falsi positivi dell’1%. Di recente mediante lo sviluppo di nuove tecniche (accesso random del campione all’analizzatore usando il timeresolved-amplified-cryptate-emission) che permettono il dosaggio di marcatori chimici dopo solo 30 min dal prelievo di sangue materno, è stato possibile introdurre una metodica di screening che consente di valutare il rischio di cromosomopatie (test combinato) e di effettuare il relativo counseling con eventuale CVS in una sola seduta: sistema Oscar (One Stop Clinic for Assessment of Risk) [55].
SCREENING BIOCHIMICO AL I TRIMESTRE SCREENING INTEGRATI Muller et al. [50] hanno, d’altra parte, dimostrato che nel corso del I trimestre (tra l’11ª e la 14ª settimana di gravidanza) le gestanti portatrici di feti affetti da sindrome di
È stato, inoltre, proposto da Wald uno screening integrato e sequenziale associando ai parametri del I trime-
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stre (NT+biochimica+età materna) quelli del II trimestre (AFP, uE3, total-hCG, con o senza inibina A). La sensibilità del test per la trisomia 21 sarebbe del 94% con l’1% di falsi positivi [56, 57]. Lo svantaggio del metodo è costituito dal fatto che i risultati del I trimestre, anche se positivi, non vengono forniti alle pazienti fino alla 16ª settimana in attesa del risultato finale (Tabella 5.7). Tabella 5.7. Screening delle cromosomopatie integrato al I e II trimestre Screening integrato Parametri I trimestre (età materna+NT+biochimica=test combinato) Parametri II trimestre (quadruplo test) Alfafetoproteina (AFP) Estriolo non coniugato Gonadotropina coriale (hCG) Inibina A
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ca il 70% dei feti con trisomia 21 (Fig. 5.5). L’anomalia cromosomica sarebbe responsabile dell’ipoplasia o della mancata ossificazione del predetto osso [51, 53] per alterazioni connettivali presenti nella sindrome di Down. Tra l’11ª e la 13ª sett+6 gg la presenza/assenza dell’osso nasale è stato quindi identificato quale ulteriore marker ecografico di cromosomopatia. Per il corretto rilievo di questo marker, che può essere visualizzato nel corso dell’ecografia genetica per la misurazione dell’NT è richiesto il rispetto di specifici criteri da parte di operatori che abbiano effettuato un congruo training (Tabella 5.8) [60-62]. Tabella 5.8. Criteri per la corretta misurazione dell’osso nasale
NUOVI MARKERS ECOGRAFICI DI CROMOSOMOPATIE
• La testa e la parte superiore del torace fetale inclusi nell’immagine • Sezione sagittale del profilo fetale con sonda parallela all’asse longitudinale dell’osso nasale • In una sezione corretta si ottengono 3 linee:le prime due prossimali alla fronte,sono orizzontali e parallele tra loro somigliando al segno uguale (=). La linea superiore rappresenta la cute,quella inferiore,più spessa,l’osso nasale. Una terza linea che è in continuità con la cute, ma ad un livello più alto rappresenta la punta del naso • Quando la linea nasale appare sottile,meno ecogena di quella superiore,ciò suggerisce che l’osso non è ossificato il che induce a classificarlo come assente
Nel 1866 Langdon Down [58] riportava talune caratteristiche somatiche degli individui affetti da trisomia 21 tra cui: cute sovrabbondante rispetto al corpo,faccia piatta e naso piccolo e schiacciato.Nel 2001 un gruppo di ricercatori inglesi nel corso degli esami ecografici preliminari alla villocentesi e successivamente anche,come già detto,nel corso del II trimestre, hanno osservato che l’osso nasale non era evidenziabile nella gran parte dei feti Down [59]. Diversi studi [60-63] hanno successivamente confermato che tra la 11ª e la 13ª settimana+6 gg il profilo fetale può essere esaminato con successo all’esame ecografico nel 95% dei casi e che l’osso nasale è assente in meno dell’1% dei feti con cariotipo normale ed in cir-
Non essendovi interdipendenza tra i valori dell’NT e la presenza/assenza dell’osso nasale è possibile l’impiego contemporaneo di questi 2 markers nello screening della sindrome di Down. Aggiungendo lo studio del profilo fetale - presenza/assenza dell’osso nasale (Fig. 5.5) - a quello della NT, in associazione all’età materna e all’epoca gestazionale, la sensibilità del test per la trisomia 21 aumenta all’85% riducendo i falsi positivi all’1% [63]. Se al test combinato (NT+bitest+età materna) si aggiunge la valutazione dell’osso nasale, la sensibilità del test raggiunge circa il 95% con un tasso di falsi positivi del 2% (Tabella 5.9).
Nei casi in cui per un qualsiasi motivo non viene determinata la NT, si può ricorrere al test integrato sierologico che è costituito dal test integrato senza la NT e cioè duo-test nel I trimestre+quadruplo test nel II trimestre.
Tabella 5.9. Sensibilità dei vari test di screening per la trisomia 21 Test di screening
Fig. 5.5. Esame dell’osso nasale fetale nel I trimestre
Sensibilità Falsi positivi (%) (%) Età materna *35 anni 30,5 5 Tri-test (età materna+AFP+uE3+hCG) 60 5 Quadruplo-test ~80 6 NT+età materna ~80 5 Bitest (età materna free+βhCG+PAPP-A) 60 5 Test combinato (età materna+NT+bitest) 90 5 Età materna+NT fetale+ osso nasale 85 1 Test combinato+NB 95 2 Test integrato 94 5 (età materna+NT+PAPP-A+quadruplo-test)
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
Nel I trimestre di gravidanza, infine, sono stati evidenziati, in studi preliminari, altri segni ecografici suggestivi di cromosomopatie quali la riduzione di lunghezza dell’orecchio fetale, l’ipoplasia del mascellare e soprattutto le alterazioni flussimetriche del dotto venoso [64] spesso legate a cardiopatie associate alla trisomia 21 e l’insufficienza tricuspidalica [65]. Il dotto venoso di Aranzio, durante la vita fetale, collega la vena ombelicale con la cava ascendente in modo da assicurare, bypassando il circolo epatico, un adeguato apporto di sangue ossigenato al cuore. È possibile individuarlo nel I trimestre, dopo la 10a settimana mediante un piano di scansione longitudinale mediano del tronco fetale. In questo periodo lo studio velocimetrico del dotto consente il rilievo di un onda che, al doppler pulsato, mostra: un primo picco di velocità centripeta (S), prodotto durante la sistole ventricolare, un secondo picco più basso in diastole (D) e, prima che inizi un nuovo ciclo, la velocità di flusso si mantiene positiva (A) durante la contrazione atriale (Fig. 5.6). In condizioni di normalità, quindi, il flusso nel dotto è costantemente anterogrado senza che sia mai visibile una sua inversione [64].
Fig. 5.7. Dotto venoso:anormale velocimetria (fase A invertita);S,Sistole; D,diastole; A,fase A della contrazione atriale terazioni cardio-circolatorie sono responsabili dell’accumulo di fluido nella regione nucale. La doppler velocimetria del dotto venoso e l’NT essendo, quindi, correlati non possono essere usati come variabili indipendenti per aumentare la sensibilità dei test di screening [56]. La Doppler-velocimetria del dotto venoso ha, quindi, un ruolo soprattutto nel caso di NT aumentata di spessore (>4 mm) in feti con cariotipo normale per identificare quei casi che necessitano di follow-up intensivo per un rischio notevolmente aumentato di cardiopatie ed esiti neonatali avversi (Tabella 5.10). Tabella 5.10. Flow chart relativa al ruolo della flussimetria del dotto venoso nel management dei casi di NT aumentata
Fig. 5.6. Dotto venoso:normale velocimetria.S,Sistole;D,diastole;A,fase A della contrazione atriale In tutte le condizioni in cui, per un’insufficienza permanente o transitoria della funzionalità cardiaca, si ha un aumento della pressione telediastolica a carico dell’atrio destro, si avranno alterazioni circolatorie del dotto venoso caratterizzate da un aumento dell’indice di pulsatilità con scomparsa o inversione del flusso positivo durante la contrazione atriale (Fig. 5.7). La trisomia 21 può associarsi a cardiopatie congenite cui conseguono alterazioni flussimetriche del dotto venoso. D’altra parte alterazioni flussimetriche del dotto venoso si associano di frequente ad anomalie in eccesso della NT probabilmente perché, in questi casi, proprio le al-
NT>4 mm Patologico Cariotipo fetale Normale Normale Velocimetria DV Anormale Prognosi favorevole Follow-up intensivo
Di recente nella popolazione ad alto rischio di anomalie cromosomiche il gruppo inglese di Huggon [64] ha trovato in circa il 60% dei feti con trisomia 21, nel 50% di quelli con trisomia 18 e 13 e soltanto nell’8% dei feti normali, un ulteriore marker ecografico costituito dal rigurgito della valvola tricuspide (Fig. 5.8). La presenza/assenza di insufficenza tricuspidalica (IT) è rilevata mediante il doppler pulsato ponendo il volume campione attraverso l’orifizio valvolare in una sezione quattro camere apicale. L’IT è diagnosticata se la velocità del rigurgito durante la diastole raggiunge e supera gli 80 cm/s.
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blicato dal programma per la valutazione delle tecnologie sanitarie del servizio sanitario inglese (Health Tecnology Assessment, HTA) [66] e dello studio multicentrico statunitense FASTER (First and Second Trimester Evaluation of Risk) condotto dal National Institute of Child Health and Human Development (NICHD) [67], i test di screening migliori in termini di efficacia e sicurezza sono risultati (linee guida S.I.Di.P., 2006) [68]: 1. il test integrato al di sopra di tutti gli altri; 2. se non è possibile il rilievo della NT, il test integrato sierologico o biochimico; 3. se la donna giunge al controllo solo nel secondo trimestre, il quadruplo-test; 4. se la donna sceglie di sottoporsi al test solo nel primo trimestre, il test combinato. Fig. 5.8. 12ª settimana di gestazione, rigurgito della valvola tricuspide. Da [65] La prevalenza della IT decresce con l’epoca gestazionale, aumenta con l’aumentare dell’NT ed è più elevata nei feti con difetti cardiaci. Inoltre, nei feti con NT aumentata e cariotipo normale, l’insufficienza tricuspidalica si associa a rischio più elevato di cardiopatie congenite onde l’utilità di un riscontro ecocardiografico fetale in epoca precoce. Grazie alla elevata sensibilità raggiunta dai test di screening è oggi, quindi, possibile identificare, nella popolazione a basso rischio, la quasi totalità dei feti sospetti di aneuploidie e che realmente necessitano della determinazione del cariotipo. L’alta specificità degli stessi test consente, d’altra parte, di risparmiare la diagnostica invasiva alle gestanti a basso rischio di base e spesso anche alle gestanti over 35 che, negative ai predetti test e opportunamente informate, decidono di evitare procedure invasive con diminuzione quindi delle perdite di feti normali legate alle predette procedure. In conclusione, sulla base di un grosso lavoro pub-
Pubblicato sul Programma Nazionale Linee Guida (PNLG) va, da ultimo, segnalato lo SCA-TEST (screening computerizzato per le aneuploidie). Si tratta di un programma (raccomandazione A, linee guida SIDIP 2006) che consente di eseguire screening ecografici e biochimici completi e combinati per il calcolo del rischio di aneuploidie attraverso metodi di analisi matematica molto sofisticati. Utilizzando i predetti metodi è possibile, tra l’altro, eseguire lo screening morfobiometrico del I e del II trimestre. Nel I trimestre lo screening si effettua attraverso la valutazione ecografica di più parametri biometrici (CRL, NT e frequenza cardiaca fetale) e di più markers morfologici (osso nasale, rigurgito della valvola tricuspide); nel II trimestre con la valutazione ecografica di molteplici parametri biometrici (BPD, femore, omero, pielectasia e plica nucale) e morfologici associati (intestino iperecogeno, foci cardiaci, DIV, versamento pericardico, rigurgito della valvola tricuspide, sproporzione destra sinistra del cuore, tratti di efflusso ed anomalie strutturali) [68].
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
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CAPITOLO 6
Malformazioni del sistema nervoso centrale V. D’Addario • V. Pinto • L. Di Cagno
PREMESSA L’incidenza delle malformazioni del SNC è del 5,3 per 1.000 neonati; questa percentuale aumenta includendo i nati morti e gli aborti. La severità di queste patologie è estremamente variabile potendo spaziare da condizioni incompatibili con la vita post-natale tipo l’anencefalia a condizioni transitorie quali le cisti dei plessi corioidei [1].
ANATOMIA ECOGRAFICA NORMALE DELL’ENCEFALO FETALE Lo sviluppo dell’encefalo fetale può essere valutato sin dal primo trimestre con l’ecografia transvaginale. In queste settimane è già possibile visualizzare le vescicole telencefaliche da cui poi si svilupperanno gli emisferi cerebrali, il romboencefalo ed il diencefalo [2]. Durante il secondo trimestre la testa fetale viene di solito valutata mediante scansioni assiali effettuate a diversi livelli [3, 4]. Vi sono tre scansioni che andrebbero effettuate routinariamente per lo screening delle anomalie cerebrali: a
b
1. scansione transventricolare che mostra il cavo del setto pellucido, i corni frontali e gli atri dei ventricoli laterali contenenti i plessi corioidei; a questo livello si può misurare l’ampiezza atriale, che normalmente è 7,6±0,6 mm indipendentemente dall’epoca gestazionale (Fig. 6.1a); 2. scansione transcerebellare che attraversa la fossa cranica posteriore e mostra il cervelletto e la cisterna magna; a questo livello viene misurato il diametro trasverso del cervelletto (Fig. 6.1b); 3. piano transorbitario che evidenzia le orbite (Fig. 6.1c). Eseguendo correttamente queste scansioni è possibile diagnosticare il 95% delle principali malformazioni del SNC ed escludere i difetti spinali che nel 98% dei casi sono associati ad anomalie della fossa cranica posteriore [5]. Una valutazione più dettagliata del cervello fetale nel secondo e terzo trimestre può essere eseguita con la sonda transvaginale quando il feto è in presentazione cefalica [6].Allineando l’estremità della sonda con la fontanella anteriore si possono ottenere sezioni sagittali e coronali del c
Fig. 6.1a-c. Piani di scansione assiali utilizzati nell’esame di screening per la valutazione dell’encefalo fetale.a Piano transventricolare che mostra il cavo del setto pellucido, i corni frontali e gli atri (o trigoni) dei ventricoli laterali contenenti i plessi corioidei.b Piano transcerebellare che attraversa la fossa cranica posteriore e mostra il cervelletto e la cisterna magna.c Piano transorbitario che evidenzia le orbite
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
cervello fetale simili a quelle del cervello neonatale ottenute per via transfontanellare. Le scansioni sagittali evidenziano le strutture interemisferiche quali il corpo calloso con il tipico aspetto a C localizzato al di sopra del cavo del setto pellucido e del terzo ventricolo,e al di sotto del giro del cingolo; nella stessa scansione in sede sotto tentoriale si può riconoscere il verme cerebellare e il quarto ventricolo (Fig. 6.2a). Spostando la sonda lateralmente otteniamo una scansione parasagittale che mostra il ventricolo laterale con all’interno il plesso corioideo (Fig.6.2b). Inclinando ancora più lateralmente si evidenzia la superficie dell’encefalo e nel II trimestre è possibile riconoscere l’insula con i suoi opercoli (Fig. 6.2c). Ruotando la sonda di 90° otteniamo sezioni coronali che appaiono a
a diversi livelli in senso antero-posteriore rispetto alla testa fetale.Anteriormente si possono osservare i corni frontali dei ventricoli laterali separati dal cavo del setto pellucido (CSP) delimitato in alto dal corpo calloso (CC) (Fig. 6.3a), mentre posteriormente compaiono i corni occipitali dei ventricoli laterali (Fig. 6.3b) ed ancor più posteriormente il cervelletto (Fig. 6.3c). L’ecografia tridimensionale consente, tramite la modalità di visione multiplanare, di visualizzare una serie di innumerevoli piani di visione secondo i tre assi spaziali (sagittale, coronale e assiale) evidenziando anche il punto della loro inserzione (Fig. 6.4); in questo modo è possibile “navigare” all’interno dell’encefalo fetale alla ricerca del piano ottimale per la diagnosi [7-9].
b
c
Fig. 6.2a-c. Scansioni sagittali transvaginali sull’encefalo fetale.a Scansione sagittale mediana che mostra il corpo calloso con il tipico aspetto a C localizzato al di sopra del cavo del setto pellucido e del terzo ventricolo e al di sotto del giro del cingolo;in sede sottotentoriale si può riconoscere il verme cerebellare con il quarto ventricolo.b Scansione parasagittale interna che mostra quasi tutto il ventricolo laterale (corpo,trigono,corno occipitale e temporale) con all’interno il plesso corioideo.c Scansione parasagittale esterna che evidenzia la superficie dell’encefalo dove nel secondo trimestre è possibile riconoscere l’insula con i suoi opercoli
a
b
c
Fig. 6.3a-c. Scansioni transvaginali coronali sull’encefalo fetale.a Scansione coronale anteriore che mostra i corni frontali dei ventricoli laterali separati dal cavo del setto pellucido,delimitato in alto dal corpo calloso.b Scansione coronale intermedia che mostra i ventricoli laterali occupati dai plessi coriodei. c Scansione coronale posteriore che mostra i corni occipitali e il cervelletto
a
b
c
d
Fig. 6.4a-d. Ecografia tridimensionale nella modalità di visione multiplanare: i tre piani spaziali (a sagittale, b coronale, c assiale) vengono evidenziati contemporaneamente nel punto della loro inserzione (d)
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Capitolo 6 • Malformazioni del sistema nervoso centrale • V.D’Addario,V.Pinto,L.Di Cagno
IDROCEFALIA Il termine idrocefalia si riferisce ad uno spettro di condizioni patologiche che determinano una dilatazione delle cavità ventricolari con conseguente aumento della pressione del liquido cefalo-rachidiano. Essa può essere la conseguenza di un’ostruzione al circolo del liquor (idrocefalo ostruttivo) o di una sovrapproduzione di liquor. L’idrocefalo ostruttivo può essere classificato in due forme: comunicante e non comunicante. Nel primo tipo l’ostruzione è esterna al sistema ventricolare (ad esempio idrocefalo post-emorragico, malformazioni di Chiari II); nella forma non comunicante invece l’ostruzione è interna al sistema ventricolare (ad esempio stenosi dell’acquedotto). L’idrocefalo ostruttivo non comunicante è la forma più comune nel periodo prenatale. Esistono altresì situazioni in cui la dilatazione ventricolare non è dovuta ad un’ostruzione del flusso, ma ad uno sviluppo anomalo del parenchima cerebrale che circonda i ventricoli come ad es. l’agenesia del corpo calloso; in questa condizione non vi è aumento di pressione liquorale per cui è più appropriato il termine ventricolomegalia. La prevalenza dell’idrocefalia congenita è stata recentemente calcolata essere dello 0,81 per 1.000 [3] escludendo i casi associati a difetti spinali o tumori.
Diagnosi La diagnosi ecografica prenatale di idrocefalia si basa sul riconoscimento della dilatazione dei ventricoli laterali. Ciò è semplice quando la dilatazione è massiva per cui i ventricoli laterali appaiono come grosse masse cistiche occupanti gli emisferi cerebrali (Fig. 6.5). Nei casi di ventricolomegalia lieve o moderata sono stati proposti diversi parametri biometrici, il più datato dei quali è il rapporto ampiezza ventricolare/ampiezza emisferica. Questo valore tiene conto delle variazioni di forma e dimensioni dei ventricoli laterali durante la gestazione ed è 0,5 a 17 settimane di gestazione e si ridua
b
Fig.6.5.Ventricolomegalia severa:i ventricoli laterali appaiono come grosse masse cistiche occupanti gli emisferi con assottigliamento del mantello cerebrale
ce a 0,3 a 26 settimane. Un valore superiore di 2 DS sopra la media è indicativo di ventricolomegalia. Tuttavia la misurazione di questo parametro può non essere precisa soprattutto se i calipers ecografici vengono malposizionati. Oggi si preferisce misurare l’ampiezza dell’atrio piuttosto che il rapporto ampiezza ventricolo/ampiezza emisfero per diversi motivi: è più semplice da misurare, è più affidabile ed è indipendente dall’epoca gestazionale con valori medi di 7,6±0,6 mm (Fig. 6.6a) [5]. Il cut-off utilizzato è di 10 mm al di sopra del quale si pongono le ventricolomegalie; si definisce ventricolomegalia borderline quella compresa tra 11 e 14 mm (Fig. 6.6b); da 15 mm in poi siamo di fronte ad una ventricolomegalia marcata (Fig. 6.6c). c
Fig. 6.6a-c. Ampiezza del trigono ventricolare in un caso normale (a),uno di ventricolomegalia borderline (b) ed uno di ventricolomegalia marcata (c)
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Nella maggior parte dei casi la dilatazione è bilaterale; esistono condizioni di ventricolomegalia monolaterale inclusa la border line (Fig. 6.7). a
b
c
d
Fig. 6.7a-d. Ventricolomegalia borderline monolaterale: valutazione tridimensionale con modalità multiplanare e rendering
Altri segni ecografici che suggeriscono la presenza di ventricolomegalia sono il rimpicciolimento del plesso corioideo nella cavità ventricolare e la mancanza della concavità mediale della parete laterale del corno occipitale. Una volta fatta la diagnosi di idrocefalia, va indagata la causa della dilatazione ventricolare. Una valutazione accurata del cervello fetale permette il riconoscimento della causa di ventricolomegalia in molti casi [10, 11]. La stenosi dell’acquedotto è caratterizzata dalla presenza di dilatazione bilaterale dei ventricoli laterali e a
b
del terzo ventricolo (Fig. 6.8a); la dilatazione del terzo ventricolo, tuttavia, è difficilmente visualizzata nel periodo prenatale; un’altra caratteristica è la normalità della fossa cranica posteriore. Nella malformazione di Chiari II, nella quale sono ostruiti gli spazi aracnoidei della fossa cranica posteriore, la dilatazione dei ventricoli laterali è associata ad un fossa cranica posteriore di ridotte dimensioni con cervelletto piccolo e dismorfico e difetto spinale (Fig. 6.8b). Nel complesso di Dandy-Walker la ventricolomegalia è associata ad una cisti retrocerebellare comunicante con il quarto ventricolo attraverso un difetto vermiano (ipoagenesia) (Fig. 6.8c). Un’altra causa di ventricolomegalia congenita è l’agenesia del corpo calloso, condizione caratterizzata dall’assenza totale o parziale delle fibre commissurali del corpo calloso. La diagnosi prenatale di quest’anomalia si basa su segni indiretti dal momento che il corpo calloso non può essere visualizzato direttamente con le scansioni assiali normalmente utilizzate nella valutazione transaddominale [12, 13]; questi segni sono: 1. dilatazione a goccia dei corni occipitali dei ventricoli laterali (colpocefalia) (Fig. 6.9a); 2. dislocazione in alto del terzo ventricolo; 3. allargamento della scissura interemisferica (Fig. 6.9b); 4. dislocazione laterale dei corpi dei ventricoli laterali. Se il feto è in presentazione cefalica la valutazione transvaginale può mostrare direttamente l’assenza del corpo calloso in sezione sagittale e nella stessa scansione con il color doppler non si evidenzia l’arteria pericallosa (Fig. 6.10a). Le scansioni coronale e parasagittale sono utili per visualizzare la colpocefalia. c
Fig.6.8a-c. Scansioni assiali dell’encefalo in diverse cause di ventricolomegalia.a La stenosi dell’acquedotto è caratterizzata dalla presenza di dilatazione bilaterale dei ventricoli laterali e del terzo ventricolo;le altre strutture cerebrali,e in particolare la fossa cranica posteriore,appaiono normali.b Nella malformazione di Chiari II la dilatazione dei ventricoli laterali è associata ad un fossa cranica posteriore piccola con cervelletto dismorfico.c Nel complesso di Dandy-Walker la ventricolomegalia è associata ad una ipo-agenesia del verme cerebellare con dilatazione cistica del quarto ventricolo
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a
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a
b b
Fig.6.9a,b. Segni indiretti di agenesia del corpo calloso nelle scansioni assiali. a Dilatazione a goccia dei corni occipitali dei ventricoli laterali (colpocefalia).b Allargamento della scissura interemisferica e dislocazione laterale e modica dilatazione dei corpi dei ventricoli laterali
Prognosi La prognosi dell’idrocefalia congenita dipende principalmente da tre fattori: la severità della dilatazione ventricolare, la causa dell’idrocefalia e la presenza di anomalie associate [14, 15]. La severità della dilatazione ventricolare può esser valutata mediante la misura dello spessore del manto corticale per cui uno spessore sottile o assente si asso-
Fig.6.10a,b. Agenesia del corpo calloso.a Evidenziazione diretta dell’assenza del corpo calloso nella scansione sagittale mediana.b Confronto con un caso normale
cia ad una prognosi severa. Un altro fattore prognostico negativo è l’asimmetria degli emisferi cerebrali che può essere un segno secondario di cisti porencefalica. Inoltre la presenza di una quantità discreta di tessuto cerebrale non garantisce un outcome neurologico favorevole e ciò dipende dalla causa della ventricolomegalia e dalle anomalie associate. Il riconoscimento della causa di ventricolomegalia può esser utile in sede di counseling delle pazienti dal
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
momento che l’esperienza della neurochirurgia pediatrica ha mostrato la possibilità di un buon sviluppo neurologico in casi di idrocefalia trattati con procedure di shunting. Il problema principale nella valutazione prognostica di un feto con idrocefalia congenita è la presenza di anomalie associate (sia intra- che extracraniche). In una review di tutti i lavori pubblicati riguardanti la diagnosi prenatale di idrocefalia, la presenza di idrocefalia isolata varia dal 7% al 50%; la presenza di anomalie intracraniche del SNC associate varia dal 11% al 100% mentre quella di anomalie non associate al SNC va dal 16% al 70% [15, 17, 18]. Tuttavia sebbene la ventricolomegalia sia facilmente diagnosticabile, molte anomalie associate (20-40% dei casi) possono non essere identificate, limitando così la valutazione prognostica. Un altro importante fattore da considerare nella valutazione del feto con idrocefalia è l’associazione con anomalie cromosomiche. In 14 studi pubblicati sulla ventricolomegalia fetale la prevalenza media di difetti cromosomici è stata del 13%; la prevalenza è stata del 2% nei feti con idrocefalia isolata e del 17% in quelli con anomalie associate [16]. Nei feti con idrocefalia e difetto cromosomico il grado di ventricolomegalia è solitamente lieve. L’associazione con altre anomalie ed i difetti cromosomici spiega perché l’outcome dell’idrocefalia prenatale non è stato riportato essere favorevole come quello dell’idrocefalia neonatale; le forme più severe infatti inducono la coppia ad optare per l’interruzione di gravidanza, oppure si ha la morte fetale intrauterina. La stenosi dell’acquedotto isolata, infatti è quella a prognosi migliore; nella malformazione di Chari è possibile un outcome buono dal punto di vista intellettivo ma persistono il danno motorio e sfinteriale legati al difetto spinale costantemente associato. Nel complesso di Dandy-Walker la prognosi è in genere severa. Una valutazione prognostica particolare è quella che riguarda la ventricolomegalia borderline e quella dovuta ad agenesia del corpo calloso. Nel primo caso, se la ventricolomegalia borderline sia mono- che bilaterale è isolata (assenza di anomalie associate e di cromosomopatie) l’outcome è buono: lo sviluppo è normale nel 90% dei casi circa, con migliori risultati nei casi con dilatazione dei ventricoli compresa tra 10 e 12 mm. Molto complessa è la valutazione prognostica nelle ventricolomegalie dovute ad agenesia completa o parziale del corpo calloso (ACC). Anche in questo caso ancora una volta è molto importante la presenza di anomalie associate. Se l’ACC è isolata l’outcome è buono nell’80-85% dei casi circa, anche se in alcuni casi si può riscontrare nei bambini un rallentamento e una minore efficienza nella capacità di integrazione degli stimoli somatosen-
soriali più raffinati, in particolare quelli che richiedono una interpretazione rifinita delle caratteristiche spaziali di strutture composte. In caso invece di ACC associate ad altre anomalie la percentuale di ritardo psicomotorio supera l’80%.
OLOPROSENCEFALIA Il termine oloprosencefalia si riferisce ad una serie di malformazioni congenite del SNC dovute ad una mancata o incompleta divisione del prosencefalo nelle due vescicole telencefaliche [19]. È frequentemente associato ad anomalie cromosomiche quali soprattutto la trisomia 13 e 18. A seconda della severità del difetto esistono tre forme di oloprosencefalia: alobare, semilobare e lobare. La varietà alobare è caratterizzata dall’assenza della scissura interemisferica, dalla presenza di una singola cavità ventricolare, talami fusi ed assenza del terzo ventricolo. Nella varietà semilobare gli emisferi cerebrali sono parzialmente divisi posteriormente ed è presente una singola cavità ventricolare anteriore. Nella varietà lobare, la scissura interemisferica è normalmente sviluppata, vi è una parziale fusione dei ventricoli laterali a livello dei corni frontali e del giro del cingolo con assenza del cavo del setto pellucido. L’oloprosencefalia è frequentemente associata ad anomalie facciali quali la ciclopia (orbite fuse con arinia e proboscide frontale), etmocefalia (ipotelorismo con arinia e proboscide), cebocefalia (ipotelorismo e narice unica) e schisi facciale.
Diagnosi La diagnosi ecografica prenatale di oloprosencefalia è generalmente semplice nelle forme alobari e semilobari mentre è estremamente difficile se non impossibile nella forma lobare [20-22]. Nell’oloprosencefalia alobare, il cranio fetale è occupato da un’unica cavità ventricolare che comunica ampiamente con un recesso posteriore detto sacco dorsale. Il rimanente tessuto cerebrale è dislocato verso l’alto ed anteriormente ed assume la classica forma a boomerang o a zampa di cavallo. Altre caratteristiche sono l’assenza delle strutture interemisferiche ed i talami fusi (Fig. 6.11). Queste caratteristiche ecografiche sono così evidenti che possono essere riconosciute anche nel primo trimestre (Fig. 6.12). Una valutazione accurata della faccia fetale permette il riconoscimento delle anomalie facciali associate (Fig.6.13).
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Fig. 6.11. Oloprosencefalia alobare:il cranio fetale è occupato da un’unica cavità ventricolare che comunica ampiamente.Il rimanente tessuto cerebrale è dislocato verso l’alto ed anteriormente ed assume la classica forma a ferro di cavallo; i talami sono fusi
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Fig. 6.12. Oloprosencefalia alobare nel I trimestre
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Fig. 6.13a-c. Anomalie facciali associate ad oloprosencefalia.a Ipotelorismo.b Ciclopia.c Proboscide
La diagnosi differenziale include forme severe di idrocefalia, idranencefalia e porencefalia. Nell’idrocefalia severa è sempre visibile un’immagine ecogena sulla linea mediana; nel caso di idranencefalia, una lesione distruttiva secondaria ad ostruzione bilaterale dell’arteria carotide interna, il cranio fetale è interamente occupato da liquor senza alcun segno di presenza degli emisferi cerebrali mentre il cervelletto ed i gangli della base sono normali. La porencefalia è caratterizzata dalla presenza di strutture cistiche irregolari nel tessuto cerebrale secondarie ad emorragia od infarto, spesso comunicanti
con il sistema ventricolare. Nella varietà semilobare anteriormente si osserva un’unica cavità ventricolare la quale comunica posteriormente con rudimentali corni occipitali. La diagnosi prenatale della forma lobare è difficile. Il sospetto viene dal mancato riscontro di un normale cavo del setto pellucido. Il reperto principale che differenzia questa anomalia dall’agenesia del corpo calloso è l’aspetto dei corni frontali che, in sezione coronale, appaiono fusi con il terzo ventricolo e mostrano un tetto piatto, rispetto al classico aspetto a “testa di toro” dell’agenesia del corpo calloso (Fig. 6.14).
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Diagnosi
Fig.6.14. Oloprosencefalia lobare:nella scansione coronale sui corni frontali questi appaiono fusi con il terzo ventricolo e mostrano un tetto tipicamente squadrato e piatto
Prognosi La prognosi dell’oloprosencefalia alobare è estremamente severa; la maggior parte dei feti muore in utero nel periodo prenatale precoce.Altissima è anche la mortalità neonatale e i pochi sopravvissuti presentano severe manifestazioni neurologiche, pure presenti nella varietà semilobare. Per questo motivo, in caso di diagnosi precoce può essere offerta alla coppia la possibilità di interrompere la gravidanza. La varietà lobare è invece compatibile con la vita con compromissioni neurologiche sfumate o addirittura assenti.
La diagnosi ecografica prenatale è spesso tardiva giacché si basa su criteri biometrici che diventano evidenti alla fine del secondo ed all’inizio del terzo trimestre. Essa si basa sul riconoscimento di una circonferenza cranica (CC) piccola rispetto alla circonferenza addominale (CA) ed alla lunghezza del femore (LF). Un rapporto CC/CA<3 DS ed un rapporto LF/CC>3 DS per l’epoca gestazionale sono sospetti di microcefalia. Dal momento che il mancato sviluppo cerebrale coinvolge la parte anteriore del cervello un altro segno ecografico di microcefalia è un profilo alterato con un polo frontale piatto e basso (Fig. 6.15). Per questo scopo sono state sviluppate curve di normalità per la lunghezza dei lobi frontali misurata sulla scansione assiale della testa fetale [23]. La megalencefalia monolaterale è una condizione estremamente rara caratterizzata da una crescita anomala di uno dei due emisferi cerebrali rispetto all’altro. In questo caso, l’ecografia mostra un’asimmetria tra i due emisferi con uno spostamento delle strutture della linea mediana e ventricolomegalia unilaterale (Fig. 6.16). Nella lissencefalia (o agiria) le circonvoluzioni cerebrali non si sviluppano; dal momento che il loro sviluppo avviene nel terzo trimestre la diagnosi prenatale è possibile solo a gravidanza inoltrata e si basa sul mancato riscontro della opercolizzazione dell’insula e dello sviluppo dei solchi, in particolare del parieto occipitale e della scissura calcarina. Uno screening di
DISORDINI DELLA PROLIFERAZIONE E MIGRAZIONE NEURONALE In questo gruppo rientrano una serie di patologie caratterizzate da una alterazione dei processi di proliferazione neuronale e gliale, migrazione e organizzazione neuronale indispensabili ad un normale sviluppo della corteccia cerebrale. Per la evolutività di tale processo, in genere queste patologie vengono diagnosticate solo nel terzo trimestre o addirittura dopo la nascita. La forma più comune dei disordini della proliferazione neuronale è la microcefalia. L’eziologia di questa patologia è eterogenea; si conoscono sia fattori genetici che ambientali (infezioni, agenti tossici, farmaci). L’outcome neurologico dipende dall’eziologia e dalla severità del difetto.
Fig.6.15. Profilo di un feto con microcefalia:il polo frontale è piatto e basso
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trano i tumori cerebrali, le cisti aracnoidee e l’aneurisma della vena di Galeno. I tumori intracranici sono anomalie congenite estremamente rare per lo più rappresentate da teratomi, tumori gliali, neurogeni e vascolari [24, 25]. Ecograficamente appaiono come masse complesse ed irregolari che alterano l’anatomia intracranica (Fig. 6.17). Sono frequentemente associate l’idrocefalia e la macrocrania dovute all’ostacolo al flusso del liquor cefalorachidiano. Le dimensioni della testa possono essere tali da impedire il parto per via vaginale. Indipendentemente dalla malignità i tumori intracranici hanno una prognosi estremamente severa con conseguenze devastanti sullo sviluppo del cervello [26].
Fig.6.16.Emimegalencefalia:la scansione coronale sui lobi occipitali evidenzia l’asimmetria tra i due emisferi cerebrali con ventricolomegalia monolaterale
questa rara condizione, pertanto, non è possibile: essa può essere sospettata solo quando sono presenti altre anomalie intracraniche associate o è riportata anamnesi familiare positiva. La schizencefalia è una anomalia di organizzazione corticale che può essere dovuta a danni vascolari precoci che interferiscono con il normale sviluppo della corteccia cerebrale o a cause genetiche. Fig. 6.17. Teratoma cerebrale che appare come una massa complessa ed irregolare che altera l’anatomia intracranica
Prognosi La prognosi dei difetti di migrazione e proliferazione neuronale è in funzione della severità del difetto e della presenza di anomalie associate. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, è severa con presenza di ritardo mentale ed handicap neurologici. Purtroppo la diagnosi prenatale è quasi sempre effettuata nel terzo trimestre, per cui non è possibile offrire l’opportunità di una interruzione di gravidanza e il management non può essere che di tipo conservativo.
LESIONI OCCUPANTI SPAZIO Per lesioni occupanti spazio si intendono quelle patologie di diversa natura che comprimono o alterano la normale anatomia intracranica; in questo gruppo rien-
Lesioni occupanti spazio possono originare anche dai plessi corioidei. Il papilloma dei plessi corioidei è un tumore raro, spesso benigno, il quale causa idrocefalia per iperproduzione di liquor cerebrospinale. La diagnosi prenatale si basa sul riconoscimento di una piccola massa solida a livello del plesso corioideo e presenza di ventricolomegalia. Le cisti aracnoidee appaiono come lesioni cistiche localizzate nei compartimenti sia sopra- che sottotentoriali (Fig. 6.18). Esse non alterano lo sviluppo del cervello ma determinano solo un effetto massa che può causare idrocefalia. Se vengono trattate prima che ci siano danni irreversibili, l’outcome è favorevole. Le cisti dei plessi corioidei sono spesso benigne e rappresentano alterazioni transitorie dello sviluppo dei plessi corioidei; si pensa che originino dalle pie-
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Fig. 6.19. Cisti del plesso coriodeo
L’aneurisma della vena di Galeno appare come una massa cistica di forma irregolare localizzata in posizione posteriore mediana tra i due emisferi cerebrali al di sopra del cervelletto; con il color doppler mostra una tipica turbolenza (Fig. 6.20). Se di grandi dimensioni può causare idrocefalia e scompenso cardiaco.
Fig. 6.18a,b. Cisti aracnoidea interemisferica: sezione assiale (a) e sagittale (b)
ghe neuroepiteliali del plesso corioideo che si riempiono di liquor e detriti cellulari. Queste cisti si diagnosticano tra la 16a e la 21a settimana e nella maggior parte dei casi scompaiono prima della 25a settimana (Fig. 6.19). Sono un reperto comune dal momento che sono presenti nell’1% di tutte le gravidanze. Sono frequentemente bilaterali con dimensioni che variano da pochi millimetri a pochi centimetri; le più grandi sono spesso multiloculate. Esse non hanno alcun significato clinico e si riassorbono senza lasciar sequele. La loro rilevanza è legata al fatto che è stata descritta una correlazione con cromosomopatie in particolare la trisomia 18. Ciò vale soprattutto quando sono associate altre anomalie. Recenti studi hanno dimostrato che quando le cisti dei plessi corioidei sono isolate il rischio di cromosomopatia non è significativamente aumentato rispetto a quello atteso per l’età materna.
Fig. 6.20. Aneurisma della vena di Galeno: valutazione tridimensionale con modalità multiplanare e 3D power
ANOMALIE DELLA FOSSA CRANICA POSTERIORE La valutazione della fossa cranica posteriore è molto utile nel riconoscere una serie di anomalie del SNC caratterizzate da un aspetto alterato del cervelletto e/o della cisterna magna. Le patologie congenite cerebellari sono molteplici
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ma quelle più facilmente diagnosticabili in epoca prenatale rientrano in una serie di patologie raggruppate nel cosiddetto “complesso di Dandy-Walker”. Esse sono caratterizzate da un grado variabile di ipoplasia del verme cerebellare; a seconda della severità del difetto si hanno quadri ecografici variabili etichettati come segue. La malformazione di Dandy-Walker classica (DW) è caratterizzata da un’assenza parziale o completa del verme cerebellare e da dilatazione cistica del quarto ventricolo il quale comunica ampiamente con la cisterna magna con dislocamento laterale degli emisferi cerebrali e sollevamento del tentorio [27, 28]. Nel 90% dei casi questa patologia è associata ad idrocefalia (Fig. 6.21a). Le caratteristiche ecografiche della malformazione di Dandy-Walker sono già state descritte.
a
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Diagnosi Nella Dandy-Walker Variant (DWV) vi è agenesia od ipoplasia della parte inferiore del verme cerebellare. La diagnosi prenatale è difficile; la scansione assiale a livello della parte superiore del verme cerebellare appare normale a parte una modica dilatazione della cisterna magna. Spostando leggermente la sonda verso il basso, diventa evidente l’assenza del verme cerebellare inferiore con il classico aspetto a “buco di serratura” dovuto alla penetrazione della cisterna magna tra gli emisferi cerebellari (Fig. 6.21b). La megacisterna magna è caratterizzata da una cisterna magna allargata (>10 mm di ampiezza) senza idrocefalia, malformazione di Dandy-Walker o DandyWalker variant (Fig. 6.21c). Una scansione troppo obliqua della fossa cranica posteriore può dare una falsa impressione di difetto ver-
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Fig.6.22a,b. Falsa impressione di Dandy-Walker variant in un feto normale, ottenuta su un piano di scansione troppo obliquo che passa su un recesso inferiore della cisterna magna (vallecula) posto al disotto del verme cerebellare (a);la scansione sagittale mediana nello stesso feto mostra l’integrità del verme (b)
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Fig. 6.21a-c. Diverse espressioni di severità del “complesso di Dandy-Walker”. a Malformazione di Dandy-Walker (o Dandy-Walker classica), caratterizzata da severa ipoplasia del verme cerebellare con marcata dilatazione cistica del quarto ventricolo,dislocamento laterale degli emisferi cerebrali,sollevamento del tentorio e frequente associazione con idrocefalia.b Dandy-Walker variant,caratterizzata da modica ipoplasia del verme cerebellare che interessa prevalentemente la parte inferiore con conseguente dilatazione della cisterna magna che si inserisce con il tipicosegno del “buco della serratura”tra i due emisferi cerebellari. c Megacisterna magna,caratterizzata solo da un allargamento della cisterna magna (ampiezza >10 mm) con verme cerebellare apparentemente normale
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Fig. 6.23a,b. Scansione sagittale mediana che mostra l’ipoplasia del verme cerebellare (a),confrontata con un caso normale (b)
miano in quanto essa passa su un recesso della cisterna magna (la vallecula di Reil) che si estende al di sotto del verme cerebellare (Fig. 6.22a). La scansione sagittale sul verme permette di riconoscerne l’integrità (Fig. 6.22b) o in caso di ipoplasia di valutarne la severità (Fig. 6.23) [27, 28].
Prognosi Nella malformazione di Dandy-Walker l’outcome è variabile e dipende prevalentemente dalla presenza di anomalie associate incluse le cromosomopatie. Nelle forme isolate l’esito dopo lo shunt sul neonato viene riportato buono nel 40% dei casi, borderline nel 20% e severo nel rimanente 40%. Nella Dandy-Walker variant la prognosi è variabile e dipende principalmente dalle anomalie associate. Recentemente è stato ipotizzato che la DWV possa far parte di un complesso di patologie caratterizzate da ipoplasia/displasia del verme con eziologia diversa dalla DW classica, con frequente associazione ad altre anomalie e cromosomopatie, spesso nell’ambito di un quadro sindromico e pertanto con prognosi peggiore. L’estrema variabilità dell’outcome e l’impossibilità di potere offrire alla coppia certezze sul futuro sviluppo neurologico del neonato rendono il counseling molto difficile e limitato. In caso di megacisterna magna la prognosi dipende dalla presenza di anomalie associate ed in particolare dalle dimensioni del cervelletto: se questo appare ipoplasico si deve sospettare una trisomia 18 ed eseguire il cariotipo fetale. Nel caso invece in cui il cervelletto è di dimensioni e morfologia normali, la prognosi è solitamente buona.
DIFETTI DEL TUBO NEURALE Il termine “difetti del tubo neurale” (DTN) si riferisce ad una serie di malformazioni secondarie alla mancata chiusura del tubo neurale nel periodo iniziale dello sviluppo del SNC (17°-30° giorno dall’ovulazione).A seconda del livello e della severità del difetto, si possono sviluppare diverse patologie che spaziano dalle forme più severe incompatibili con la vita postnatale quali l’anencefalia,alle forme più leggere correggibili chirurgicamente quali i piccoli meningoceli. La maggior parte dei DTN sono sporadici o hanno origine multifattoriale. La prevalenza di questi difetti nelle classi socio-economiche più basse suggerisce l’ipotesi che l’assenza di vitamine e di oligoelementi nella dieta possa giocare un ruolo importante nella patogenesi dei DTN; la riduzione della loro incidenza dopo l’assunzione preventiva di acido folico nel periodo peri-concezionale conferma questa ipotesi. L’anencefalia è un’anomalia molto severa del SNC caratterizzata dall’assenza della volta cranica e degli emisferi cerebrali.Il difetto può essere ricoperto da un’area cerebrovascolare di stroma angiomatoso. La diagnosi ecografica è molto semplice e si basa sulla mancata visualizzazione del cranio fetale; grazie all’alta risoluzione delle sonde transvaginali, l’anencefalia può esser diagnosticata anche nel primo trimestre di gravidanza (Fig. 6.24). Una condizione molto simile all’anencefalia è l’exencefalia; in questo caso si osserva tessuto cerebrale ridondante che protrude dalla base cranica [30]. Alcuni autori credono che l’exencefalia sia il precursore embriologico dell’anencefalia prima cioè che intervenga la degenerazione del tessuto cerebrale esposto; tuttavia, si possono osservare casi di exencefalia sin dall’inizio del secondo trimestre, laddove l’anencefalia può esser presente già a 10 settimane.
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Fig. 6.24a,b. Esempi di anencefalia nel primo trimestre
Sia l’anencefalia che l’exencefalia sono incompatibili con la vita postnatale. Essendone possibile la diagnosi prenatale con elevato grado di accuratezza appare opportuno proporre ai genitori l’interruzione di gravidanza. Alcuni Autori hanno proposto l’utilizzo di feti anencefali come donatori di organi per trapianti. L’iniencefalia è una malformazione estremamente rara caratterizzata da un difetto osseo a livello occipitale associato a disrafismo cervicale. Il tipico segno ecografico è una costante ed eccessiva iperestensione della testa fetale. Anche in questo caso la prognosi è infausta. Il cefalocele è una malformazione caratterizzata dalla protrusione, attraverso un difetto osseo, delle sole meningi (meningocele) o anche di tessuto cerebrale (meningo-cefalocele). Nella maggior parte dei casi il difetto è localizzato sulla linea mediana principalmente a livello dell’osso occipitale e si associa nel 7-15% dei casi a spina bifida.Altre localizzazioni sono conseguenza di amputazioni del cranio secondarie a banda amniotica. Il cefalocele può a volte far parte di una complessa a
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sindrome quale la sindrome di Meckel caratterizzata da reni policistici, polidattilia e cefalocele [31]. La diagnosi ecografica prenatale di cefalocele si basa sul riconoscimento di una massa cistica o complessa protrudente da un difetto osseo solitamente localizzato a livello occipitale e raramente in regione frontale o nasofaringea. Le dimensioni della massa variano ampiamente, da piccole a giganti con microcefalia o idrocefalia secondaria (Fig. 6.25). La diagnosi differenziale include il teratoma, l’igroma cistico, l’emangioma e le cisti del plesso brachiale. L’identificazione del difetto osseo è forse l’aiuto più affidabile nella diagnosi di cefalocele ma in alcuni casi tale difetto può non esser così evidente a causa delle sue piccole dimensioni o per la presenza di oligoidramnios. L’ecografia transvaginale può esser d’aiuto nella diagnosi precoce e per una miglior valutazione del difetto in caso di feti nel secondo o terzo trimestre in presentazione cefalica. La prognosi di un feto con cefalocele dipende essenzialmente dalla presenza di tessuto cerebrale nel sacco erniato, dal volume del difetto e dall’associazione c
Fig. 6.25a-c. Esempi di cefalocele:la massa di dimensioni variabili e di ecostruttura cistica o complessa protrude da un difetto osseo.a Scansione assiale su un meningocele occipitale.b Scansione sagittale su un voluminoso encefalocele.c Rendering 3D su un piccolo meningocele occipitale
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con microcefalia o idrocefalia o altre anomalie non cerebrali. Nelle forme più severe, la diagnosi precoce può permettere l’eventuale interruzione della gravidanza; nei casi di grosse masse cistiche, può esser indicato il taglio cesareo per evitare rotture accidentali del sacco durante il parto vaginale e consentire così un migliore trattamento chirurgico sul neonato. Il termine spina bifida racchiude uno spettro di anomalie di diversa gravità caratterizzate da disrafismi spinali secondari alla mancata chiusura del tubo neurale caudale. Il difetto è quasi sempre posteriore e può esser di due tipi: chiuso e aperto. Nel primo caso il difetto è piccolo, è coperto da cute e solitamente è asintomatico; nella spina bifida aperta, il difetto coinvolge sia le vertebre che la cute sovrastante con esposizione di tessuto neurale. Il difetto può esser ricoperto da una membrana meningea contenente solo fluido cerebrospinale (meningocele) o fluido e tessuto neurale (meningomielocele). La maggior parte dei casi di spina bifida è associata alla malformazione di Chiari II caratterizzata, come già detto, da ipoplasia della fossa cranica posteriore con stiramento del cervelletto in basso nel forame magno e frequentemente da idrocefalia [32].
(Fig. 6.26a). La presenza di spina bifida può anche esser sospettata in una sezione coronale che attraversi le lamine vertebrali mostrando il tipico allargamento del canale spinale a livello del difetto vertebrale (Fig. 6.26b). a
b
Diagnosi La diagnosi ecografica prenatale è possibile solo nei casi di spina bifida aperta. Essa si basa sul riconoscimento della mancata fusione posteriore dei centri di ossificazione delle lamine vertebrali che produce il tipico aspetto ad “U” della vertebra in scansione assiale a
c
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d
Fig. 6.26a-d. Spina bifida. a Scansione assiale che evidenzia la mancata fusione posteriore dei centri di ossificazione delle lamine vertebrali con il tipico aspetto ad U della vertebra.b Scansione coronale che attraversa le lamine vertebrali mostrando il tipico allargamento del canale spinale a livello del difetto vertebrale. c Scansione assiale su una vertebra normale. d Scansione coronale su uno speco vertebrale normale
Fig. 6.27a,b. Esempi di meningocele. a Scansione assiale. b Scansione sagittale Una scansione sagittale anteroposteriore non è molto utile giacché in questo caso il cono d’ombra prodotto dai corpi vertebrali può coprire il difetto posteriore. La presenza di un meningocele o di un mielomeningocele facilita la diagnosi grazie al riconoscimento di una massa cistica o complessa di diverse dimensioni localizzata nella parte posteriore della colonna (Fig. 6.27). L’accuratezza dell’ecografia nella diagnosi di spina bifida dipende da diversi fattori quali l’esperienza dell’operatore, le dimensioni del difetto, la quantità di liquido amniotico, la posizione del feto e la composizione della popolazione esaminata; in un centro di riferimento ed in pazienti a rischio con alti livelli di alfafetoproteina, la sensibilità può arrivare al 100%. Tuttavia, nelle procedure di screening sulla popolazione normale piccoli difetti possono non essere identificati. Per questo motivo giacché la spina bifida è quasi sempre associata alla malformazione di Chiari II, durante un esame di
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Fig. 6.28a,b. Segni intracranici di spina bifida. a Deformazione del polo frontale del cranio (lemon sign) con modica dilatazione dei ventricoli laterali. b Fossa cranica posteriore ipoplastica con cisterna magna obliterata e cervelletto dismorfico (banana sign)
screening andrebbero ricercati i segni intracranici di questa malformazione [33]. Essi sono (Fig. 6.28): 1. fossa cranica posteriore ipoplastica con cisterna magna piccola o assente e cervelletto dismorfico (banana sign); 2. deformazione del polo frontale del cranio (“segno del limone”); 3. dilatazione dei ventricoli laterali. Il segno più caratteristico è la fossa cranica posteriore piccola mentre il “segno del limone” è presente nel secondo trimestre ma scompare nel terzo e la ventricolomegalia non è costantemente associata. Il riconoscimento anche di uno solo dei segni succitati deve indurre alla valutazione della colonna vertebrale alla ricerca del difetto spinale.
Prognosi e management La prognosi dei feti affetti da spina bifida dipende dall’entità e dal livello del difetto; quanto più è ampio e quanto più è localizzato sulle porzioni superiori della colonna, tanto più severo è l’outcome neurologico. In genere per lesioni al di sopra di L3 la possibilità di recupero della deambulazione dopo intervento sul neonato è pressoché
nulla, per cui ai fini del counseling prenatale è importante cercare di localizzare, quanto più accuratamente possibile, il livello della lesione. Tuttavia l’accuratezza dell’ecografia a tale scopo è piuttosto limitata, ma può sicuramente essere migliorata con l’uso del 3D che permette di localizzare il livello in rapporto alle ali iliache (il cui margine superiore corrisponde a L5) e alle coste (l’ultima corrisponde a T12). L’associazione con altre anomalie (essenzialmente idrocefalia) è un altro importante fattore prognostico. Nei casi in cui venga fatta una diagnosi precoce e ci siano difetti molto severi, la coppia può optare per l’interruzione della gravidanza. La modalità del parto per quelle pazienti che vogliano proseguire la gravidanza dipende dalle dimensioni e dalla localizzazione del difetto.Alcuni Autori suggeriscono il taglio cesareo per migliorare l’outcome, allo scopo di evitare la rottura del meningocele; tuttavia non ci sono dati che supportino il vantaggio di questa modalità di parto rispetto al parto tradizionale. Per ottenere esiti migliori è stato anche proposto il trattamento chirurgico intrauterino con chiusura “a cielo aperto” del difetto spinale. Il vantaggio di tale procedura sembra essere quello di arrestare lo sviluppo della ventricolomegalia e della ipoplasia della fossa cranica posteriore, con riduzione del numero di interventi di shunt ventricolo-peritoneale necessari in epoca post-natale.
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
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CAPITOLO 7
Anomalie scheletriche G. Vullo • A. Di Meglio
CLASSIFICAZIONE E FREQUENZA Le anomalie scheletriche o displasie scheletriche (ds), sono un gruppo eterogeneo di malattie genetiche caratterizzate da anomalie di forma, sviluppo e/o integrità delle ossa. Possono far parte di complessi sindromici o essere limitate al solo apparato scheletrico. I difetti scheletrici ereditabili includono malattie geniche dominanti, recessive o legate al sesso e patologie cromosomiche. Le malattie geniche dominanti si esprimono in forma eterozigote ed hanno un rischio di ricorrenza del 50% per il genitore affetto. In caso di neomutazioni geniche il rischio di ricorrenza è di circa l’1%. Le malattie recessive si esprimono in forma omozigote e si manifestano in nati da genitori portatori sani eterozigoti. Per una coppia eterozigote il rischio di avere un figlio malato è del 25%. Le malattie X-linked sono assolutamente rare. Si conoscono più di 400 ds, aventi differente decorso clinico, età di insorgenza, modello di eredità. Numerose sono le classificazioni proposte [1]. L’International Nomenclature of Constitutional Disorders of Bone classifica le displasie scheletriche in cinque gruppi [1, 2]: – osteocondrodisplasie (anomalie della crescita e dello sviluppo della cartilagine o dell’osso); – disostosi (anomalie singole o multiple dei segmenti ossei); – osteolisi idiopatiche (anomalie legate a disordine nel riassorbimento del tessuto osseo); – anomalie scheletriche sindromiche da cromosomopatie; – anomalie scheletriche da disordini primitivi del metabolismo. Considerando vari parametri clinico-radiologici ed istopatologici, le osteocondrodisplasie sono distinte in metafisarie, epifisarie, diafisarie, spondilo-epifisarie, spondilo-metaepifisarie, ecc. I difetti di crescita (nanismi) so-
no classificati, a seconda dei segmenti ossei coinvolti, in rizomelici, mesomelici, acromelici, acro-mesomelici, ecc. La frequenza delle displasie scheletriche è di circa 2 su 10.000 nati; va aggiunto che l’incidenza nei concepiti è maggiore se si tiene in conto che molte osteocondrodisplasie congenite sono letali già prima della nascita. Per l’invalidità che queste sindromi comportano, per la non rara occorrenza e per il loro carattere ereditario, esse costituiscono un serio problema sociale. Numerosi sono i siti internet sull’argomento, tra cui www.lpaonline.org.
EMBRIOGENESI Lo scheletro umano si sviluppa e matura nel corso dell’intera gravidanza; la sua organogenesi si realizza, tuttavia, nel corso del primo trimestre di gestazione. In particolare la formazione dello scheletro assile ed appendicolare avviene tra la 4a e la 8a settimana di gestazione a partire dal foglietto embrionale mesodermico. Dalla 6a settimana sono presenti gli abbozzi degli arti superiori e poco dopo anche quelli degli arti inferiori; essi crescono e si differenziano con una specifica sequenza, procedendo dai segmenti prossimali a quelli distali. A 7 settimane sono presenti gli abbozzi delle mani; a 8 settimane tutte le strutture scheletriche hanno una matrice cartilaginea. I meccanismi di ossificazione sono due: – ossificazione membranosa, propria della clavicola e della mandibola, dove la formazione del tessuto osseo origina direttamente dal mesenchima, senza il passaggio cartilagineo; – ossificazione cartilaginea o encondrale, propria di tutte le ossa lunghe; questo tipo di ossificazione inizia nei cosiddetti centri di ossificazione primaria, situati nella regione centrale (diafisi) delle ossa lunghe; vi sono poi anche centri di ossificazione secondaria, che compaiono, quasi sempre dopo la nascita, nel femore, tibia, ossa carpali e tarsali.
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ECOGRAFIA OSSEA FETALE Il sospetto di una displasia ossea insorge quando alla nascita la biometria delle ossa lunghe è inferiore al 3° percentile [3]. In epoca prenatale ciò non è sempre valido per ragioni diverse, non escluso un possibile errore di datazione dell’età gestazionale. È difficile diagnosticare una displasia scheletrica prima della 14ª settimana; la diagnosi è più agevole tra la 15a e la 30a; dopo tale periodo risulta progressivamente meno facile. Le difficoltà diagnostiche riguardano soprattutto le mani, i piedi ed il cosiddetto “arto posteriore” che è quello distale rispetto alla sonda ecografica. Lo studio ecografico [4, 5] dell’apparato scheletrico va effettuato secondo un protocollo preciso che prevede: – visualizzazione dei quattro arti; – valutazione della biometria dei segmenti ossei; – studio della morfologia dei segmenti ossei; – studio del grado di ossificazione; – valutazione dei movimenti fetali. È necessario quindi individuare, all’ultrasonografia, tutti i segmenti dei quattro arti: il tratto rizomelico o prossimale (femore ed omero), il tratto mesomelico o intermedio (tibia e perone, radio e ulna) ed il tratto acromelico o distale (piede e mano) (Figg. 7.1-7.3) [6]. L’assenza di un intero arto è definita amelia, quella di più arti diamelia, triamelia, tetramelia. Questi difetti sono diagnosticabili ecograficamente con facilità. I difetti di singole parti di un arto, dovuti talvolta a fattori esterni non genetici, quali ad esempio un insulto vascolare, la rottura precoce dell’amnios, non sono parimenti facili da diagnosticare. Si definisce focomelia l’assenza dei segmenti rizomelico e mesomelico, con un segmento acromelico attaccato al tronco. Emimelia è la condizione in cui il difetto è confinato ad un solo lato. Per micromelia si intende, invece, il grave accorciamento di un arto.
Quando il difetto è localizzato ai segmenti terminali si determinano condizioni patologiche definite acheiria, e apodia (Fig. 7.4). La fusione degli arti inferiori in sede mediana dà origine alla cosiddetta sirenomelia. Dopo il rilievo dei vari segmenti scheletrici si passa
Fig. 7. 1. Immagine dei segmenti rizomelici di entrambi gli arti inferiori. Per gentile concessione di Dimed Informatica Srl (www.dimed.it)
Fig.7.4. Quadro ecografico dell’apodia.Non si osserva il segmento acromelico di un arto inferiore. Per gentile concessione di Dimed Informatica Srl (www.dimed.it)
Fig.7.2. Immagine dei segmenti mesomelici di entrambi gli arti inferiori. Per gentile concessione di Dimed Informatica Srl (www.dimed.it)
Fig.7.3. Immagine dei segmenti acromelici di entrambi gli arti inferiori. Per gentile concessione di Dimed Informatica Srl (www.dimed.it)
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Capitolo 7 • Anomalie scheletriche • G.Vullo,A.Di Meglio
a
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c
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Fig. 7.5a-d. Differenziale tra IUGR e displasia scheletrica.Il riscontro di una biometria del femore ridotta pone il sospetto di displasia e richiede lo studio associato delle flussimetrie e delle biometrie degli altri distretti fetali (testa e addome).Per gentile concessione di Dimed Informatica Srl (www.dimed.it)
alla valutazione della loro biometria [6]. In caso di riduzione biometrica bisogna sempre escludere che si tratti di un errore dell’epoca gestazionale o di uno IUGR. L’errore circa la datazione della gravidanza si accerta confrontando le biometrie con l’ecografia eseguita nel primo trimestre, periodo in cui si ottiene la datazione più precisa dell’età gestazionale. Un ritardo della crescita intrauterina può essere sospettato già a metà gravidanza anche se vi è una riduzione poco vistosa della biometria, soprattutto della circonferenza addominale, rispetto al valore atteso. Inoltre si indaga circa la predisposizione al verificarsi dell’IUGR attraverso la valutazione del rischio di insufficienza placentare mediante lo studio della flussimetria uterina materna.A 20 settimane di gestazione è considerato sospetto di futura insufficienza placentare un indice di resistenza medio (RI) delle arterie uterine uguale o superiore a 0,63 e/o la presenza dell’incisura protodiastolica sull’onda flussimetrica di entrambe le arterie uterine, anche con valori normali di RI medio (Fig. 7.5). Se la riduzione biometrica riguarda il solo cranio (microcefalia) bisogna ricercare altri segni indicativi di un quadro sindromico. Di fronte al sospetto di displasia ossea bisogna stabilirne il grado (severa, moderata o lieve).
Le forme severe, incompatibili con la vita, sono numerose. Forme moderate, non costantemente letali, sono evidenziabili nel secondo trimestre di gestazione. Le forme lievi, talvolta evidenziabili nel terzo trimestre e spesso compatibili con la vita, sono le più numerose. Dopo la valutazione biometrica, si passa allo studio della morfologia dei segmenti ossei. Il primo dato da individuare è la presenza di curvature patologiche a carico delle ossa lunghe (Fig.7.6).Vanno anche ricercate eventuali malformazioni o deformità delle mani o dei piedi alcune delle quali difficili da diagnosticare, come la deformità delle dita “a chele di aragosta”, la polidattilia, la sindattilia, l’assenza del pollice, il pollice bifido, e altro. Si studia, quindi, il grado di ossificazione delle strutture ossee. In alcune displasie scheletriche vi è un ridotto grado di ossificazione di tutte le ossa come nell’ipofosfatasia e nell’osteogenesi imperfetta; in altri casi, come nell’acondrogenesi, la ridotta ossificazione riguarda solo le ossa del calvario (volta cranica) e della colonna vertebrale (Fig. 7.7). Altro dato importante riguarda i movimenti attivi fetali. Infatti se la paziente riferisce di non averne per-
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Fig. 7.6. Un caso di displasia camptomelica;si osserva l’aspetto ricurvo del femore.Per gentile concessione di Dimed Informatica Srl (www.dimed.it).
Fig. 7.7. Un caso di acondrogenesi.La visione così netta delle strutture endocraniche ci indica che il calvario è poco ossificato.Per gentile concessione di Dimed Informatica Srl (www.dimed.it) cepiti, ovvero se all’ecografia non si osservano movimenti degli arti, dopo aver escluso altre cause (quali l’obesità materna, la sofferenza fetale cronica, l’oligoidramnios ed altro) vanno ipotizzate probabili patologie come l’artrogriposi. La vastità dell’argomento rende impossibile trattare dettagliatamente tutte le displasie ossee; verranno, quindi, riportate soltanto alcune delle patologie più frequenti. Per ulteriori e più dettagliate informazioni sulle singole patologie, si rimanda alla consultazione del database GENUS (www.genusonline.org) [7].
Esse sono dovute ad anomala formazione della matrice cartilaginea (condrodistrofia). Hanno trasmissione ereditaria autosomica recessiva. La frequenza è di 1 su 140.000 nati ed il rapporto tra i sessi è di 1:1. Se ne distinguono diversi tipi, in base ai fenotipi ed alle mutazioni dei geni responsabili. TIPO 1A (Huoston-Harris): il difetto dell’ossificazione è molto grave e coinvolge il cranio, i corpi vertebrali e le ossa lunghe. Frequenti sono le fratture spontanee. Il gene responsabile COL1A2 (collagen tipo I, α-2 polipeptide) è stato mappato su 7q22.1 [8]. TIPO 1B (Parenti-Fraccaro): è meno grave del tipo precedente e sono meno frequenti le fratture spontanee. Il difetto genetico consiste in una mutazione della proteina di trasporto del solfato, il gene in questione DTDST (Diastrophic Dysplasia Sulfate Transporter) è stato mappato su 5q31-5q34.1 [9-11]. I segni ecografici fetali dell’acondrogenesi tipo 1 sono costituiti da anomalie del femore e delle ossa lunghe che hanno forma stellata, triangolare o globulare [10]. TIPO 2 (Langer-Saldino): è una forma meno severa con segni di normale ossificazione. Istologicamente è caratterizzata da ipercellularità della cartilagine con canali larghi e pieni di tessuto fibroso [12]. La diagnosi prenatale ecografica è possibile fin dalla 14ª settimana; sono caratteristici 3 segni, ma con grado a volte diverso di gravità: il nanismo micromelico (Fig. 7.8), la demineralizzazione del calvario e/o del rachide (Fig. 7.9) e la macrocrania. Possono anche essere presenti edema del sottocute, ascite o idrope fetale [13]. Il polidramnios, tardivo, compare nella metà dei casi. La diagnosi differenziale della sindrome di LangerSaldino va posta soprattutto con la displasia tanatofora (maggiore ossificazione ossea, femore a cornetta di telefono), con la sindrome di Greve e la displasia distrofica. È sempre utile eseguire l’esame autoptico del feto e una consulenza genetica.
ACONDROGENESI Sono gravi displasie scheletriche caratterizzate da micromelia estrema e da demineralizzazione del rachide e della volta cranica (calvario); completano il quadro sintomatologico la macrocrania e il tronco corto.
Fig. 7.8. Nell’acondrogenesi la micromelia interessa soprattutto i segmenti rizomelici degli arti inferiori.Per gentile concessione di Dimed Informatica Srl (www.dimed.it)
Capitolo 7 • Anomalie scheletriche • G.Vullo,A.Di Meglio
Fig. 7.9. Acondrogenesi.Ecograficamente si osserva una marcata demineralizzazione delle strutture ossee del calvario e/o del rachide.In questa immagine si possono ben osservare le strutture intracraniche,segno di ridotta ossificazione.Per gentile concessione di Dimed Informatica Srl (www.dimed.it)
Fig. 7.10. Nell’acondrogenesi il torace si presenta corto e stretto rispetto all’addome.Per gentile concessione di Dimed Informatica Srl (www.dimed.it)
Alla nascita i feti sono quasi sempre affetti da idrope e nanismo grave del tipo rizo-mesomelico. La testa è voluminosa con naso piccolo ed appiattito. Il torace è corto (Fig. 7.10) e l’addome è globoso. Il quadro radiologico alla nascita mostra ridotta ossificazione del calvario e delle vertebre; vi è mancata ossificazione del sacro e delle ossa pelviche, dove solo l’ileo può apparire mineralizzato, ma displastico. Normale può apparire invece la ossificazione delle clavicole, delle scapole e delle coste. La prognosi è sfavorevole.
107 minante. Il gene responsabile FGFR3 (Fibroblast Growth Factor Receptor-3) è stato mappato su 4p16.3 [13-15]. La malattia coinvolge le cartilagini di accrescimento e induce un rallentamento della ossificazione encondrale. Ne deriva il mancato sviluppo in lunghezza delle ossa lunghe, che hanno spessore normale o addirittura aumentato, non essendo alterata l’ossificazione periostale. La chiusura anticipata delle cartilagini di accrescimento determina la micromelia; l’abnorme brevità della base cranica, tipica di questa displasia, è dovuta al difetto di sviluppo della placca basilare (di Kolliker). Il naso, per alterato sviluppo dell’etmoide, appare insellato. Nella forma eterozigote i dati clinici salienti sono ben noti: nanismo rizomelico, arti curvi, lordosi, mano tozza con dita disposte a tridente, testa voluminosa con bozze frontali accentuate, naso a sella. Le ossa lunghe, che giungono a valori inferiori al 5° percentile, sono slargate e curve mentre la biometria cranica rientra in percentili superiori alla media. La circonferenza toracica appare lievemente ridotta. Sebbene le suddette caratteristiche siano facilmente identificabili nel neonato, in utero le ossa lunghe possono non mostrare una significativa riduzione della crescita prima della 24ª settimana. Dopo quest’epoca l’acondroplasia deve essere sospettata quando in un feto con brevità delle ossa lunghe (Fig. 7.11) coesistano bozze frontali accentuate e naso a sella (Fig. 7.12) [16, 17]. La diagnosi può essere confermata sul DNA fetale, prelevato mediante tecniche invasive, essendo riconoscibile la mutazione del gene [18, 19]. Frequentemente associata all’acondroplasia è l’idrocefalia. È possibile anche l’insorgenza di polidramnios nel III trimestre di gestazione. Nella forma eterozigote il management ostetrico non è modificato. Nella forma omozigote, i concepiti sono molto rari potendo nascere solo dall’incrocio di due acondroplasici. Questa evenienza è sempre letale. È consigliabile eseguire consulenza genetica.
ACONDROPLASIA È la più comune osteocondrodisplasia genotipica; la sua incidenza è di circa 1 su 28.000 nascite. Nell’80% dei casi è sporadica per mutazioni de novo. La mutazione si trasmette come carattere autosomico do-
Fig.7.11. Caso di acondroplasia.È presente micromelia di tipo lieve dei segmenti rizomelici.Per gentile concessione di Dimed Informatica Srl (www.dimed.it)
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Fig. 7.12. Acondroplasia. Il profilo facciale mostra accentuazione delle bozze frontali ed insellamento del naso.Per gentile concessione di Dimed Informatica Srl (www.dimed.it) Dopo la nascita sono possibili interventi chirurgici di allungamento degli arti (osteotomie) [19] e di correzione delle complicanze neurologiche da compressione (craniostomie, laminectomie) [19-21]. La statura definitiva è di 120-130 cm. Il quoziente intellettivo (IQ) è normale [22]. Le complicazioni possono essere: l’idrocefalia, le compressioni midollari da gibbo, le compressioni radicolari, la sordità [22, 23].
È spesso difficile giungere ad una precisa diagnosi del tipo di disordine. L’eziopatogenesi delle artrogriposi è infatti complessa, potendo interessare in grado differente primitive strutture connettivali, scheletriche, muscolari e nervose. Gli esami bioptici possono, quindi, fare evidenziare di volta in volta una atrofia sclerotizzante dei muscoli associata ad atrofia delle cellule delle corna anteriori del midollo spinale, una miastenia congenita, una distrofia miotonica congenita, difetti vari di sviluppo del SNC o del midollo spinale [30]. Accanto a sindromi dove l’artrogriposi è l’unico carattere presente, ve ne sono molte in cui ad esse si associano, in complessi sindromici, patologie di altri apparati ed organi (SNC, occhio, cute, faccia, ecc.) [31]. Alla ecografia fetale si può osservare l’abnorme atteggiamento degli arti, tenuti in estensione fissa, o incrociati o persistentemente flessi (Fig. 7.13). Il piede è solitamente torto del tipo equinovaro. Gli arti superiori sono generalmente flessi con le mani chiuse a pugno (Fig. 7.14). Il feto, nelle forme gravi, è immobile; la biometria fetale può essere del tutto regolare.
ARTROGRIPOSI L’artrogriposi è un’affezione indotta da un gruppo vasto ed eterogeneo di disordini genetici e consiste in contratture multiple delle articolazioni. Sono, infatti, più di cento le sindromi genetiche che ne determinano l’insorgenza. Alcune di queste sono cromosomopatie (la trisomia 18 è quella più frequentemente associata a questa patologia), altre sono sindromi geniche trasmesse con modelli vari: autosomico dominante, autosomico recessivo, X-linked [24-27]. Esistono anche forme sporadiche non ereditarie, dovute, per esempio, ad infezioni. Le artrogriposi possono essere divise in tre gruppi: a. forme con interessamento distrettuale distale (di un singolo arto) [28, 29]; b. forme con interessamento neuromuscolare generalizzato; c. forme con concomitante interessamento neuromuscolare e del SNC. Queste ultime possono presentare o meno un concomitante interessamento del sistema nervoso centrale. Le contratture riguardano le grandi articolazioni e possono essere monolaterali o più spesso bilaterali e simmetriche, con atteggiamento in flessione o in estensione.
Fig.7.13. Artrogriposi.Gli arti inferiori appaiono fissi in estensione;tale atteggiamento è definito “a canna di fucile”. Per gentile concessione di Dimed Informatica Srl (www.dimed.it)
Fig. 7.14. Artrogriposi. Le mani appaiono di solito in costante chiusura a pugno.Per gentile concessione di Dimed Informatica Srl (www.dimed.it)
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La diagnosi ecografica non è però sempre agevole. Di solito l’artrogriposi si rileva nel III trimestre,anche se,talvolta, nelle forme più gravi già nel II trimestre è possibile la diagnosi che può porsi solo dopo che,per un tempo sufficientemente lungo di osservazione, l’arto o gli arti interessati hanno mantenuto l’atteggiamento anomalo [31]. Anomalie associate riguardano il SNC nel 10% dei casi (idrocefalia, poroencefalia, agenesia del corpo calloso, microcefalia, Dandy-Walker, ecc.). Possono essere presenti difetti cardiaci,renali,gastrointestinali,facciali e oculari. La presenza del polidramnios per deficit della deglutizione è possibile, ma non frequente. Lo stesso dicasi per l’idrope fetale non immune. È utile l’ecocardiografia e l’esame del cariotipo fetale, pur se la maggioranza delle artrogriposi non rientrano nelle cromosomopatie. Il management ostetrico non è influenzato dalla patologia fetale. La prognosi è varia, dipendendo dalla patologia primitiva e dalle anomalie associate. Alcune forme infatti sono estremamente severe, altre inducono solo una limitazione funzionale di poche articolazioni. Da quanto detto,si comprende come sia sempre utile lo studio del prodotto del concepimento (autopsia, biopsie tissutali) e la consulenza genetica per cercare di individuare il tipo di artrogriposi e valutare il rischio di ricorrenza.
CRANIOSINOSTOSI Sono malformazioni craniche dovute a prematura fusione di una o più suture, ne conseguono differenti alterazioni nella forma e nelle dimensioni del cranio quali: scafocefalia, acrocefalia, oxicefalia, plagiocefalia, trigonocefalia, turricefalia. La frequenza è di circa 1/20.000 nati, con forte prevalenza tra i maschi (5:1). La eziopatogenesi delle craniosinostosi è varia: accanto a forme sporadiche (con familiarità del 40%, se coinvolta la sutura coronaria e del 20%, se coinvolta la sutura sagittale), si conoscono più di 300 patologie (geniche, cromosomiche, da agenti teratogeni) dove la craniostenosi fa parte di complessi sindromici. Circa le forme geniche [32, 33] talune sono trasmesse con carattere autosomico recessivo altre con carattere autosomico dominante; di alcune di quest’ultime è stata individuata la localizzazione del gene anomalo sul cromosoma 7 [32, 33]. Nelle craniosinostosi l’accrescimento dell’osso è ostacolato o rallentato in direzione perpendicolare alla sutura colpita e per compenso il cranio si sviluppa parallelamente alla sutura stessa.
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BPD, diametro biparietale; OFD, diametro occipito-frontale.
109 Quando l’interessamento riguarda molte suture, l’ostacolato accrescimento osseo si ripercuote su quello encefalico con conseguente ipertensione endocranica e danno cerebrale. Possono anche insorgere danni visivi [34]. Le più comuni craniosinostosi sono la scafocefalia e l’acrocefalia. La scafocefalia è conseguente alla chiusura precoce della sutura sagittale e il cranio assume l’aspetto dolicocefalico. Nell’acrocefalia la fusione precoce avviene a carico della sutura coronaria e l’aspetto del cranio è brachicefalico. Sia la scafocefalia che l’acrocefalia possono essere raramente riconosciute anche nel feto, valutando l’indice cefalico di Retzius dato dalla formula: 100xBPD/OFD1. Sono normali i valori compresi tra 75 ed 85; valori inferiori a 75 indicano una dolicocefalia (>OFD e
BPD). La oxicefalia è dovuta alla sinostosi contemporanea delle suture coronaria, sagittale e lambdoidea; questo difetto determina una testa alta, conica ed appuntita definita “a trifoglio”. La plagiocefalia si ha quando la saldatura precoce interessa una o più suture di un solo lato; in questo caso il cranio si sviluppa in maniera abnorme dal lato opposto, per cui appare asimmetrico. La trigonocefalia è dovuta alla saldatura anticipata della sutura metopica; l’osso frontale assume un aspetto carenato; vi è ipotelorismo che nei casi estremi giunge alla ciclopia. Nella turricefalia si ha la precoce chiusura della sutura coronaria per cui la fronte appare particolarmente alta. Come detto, le craniosinostosi rientrano in numerosi quadri sindromici. Quelle associate a sindattilia e polisindattilia, costituiscono il gruppo delle acrocefalosindattilie, le più conosciute delle quali sono le sindromi di Apert, Chotzen, Crouzon, Pfeiffer, Carpenter. La maggioranza sono ad eredità autosomica dominante [35-37]. La diagnosi prenatale ecografica delle forme isolate è molto difficile. In caso si sospetti una craniosinostosi deve essere eseguito il cariotipo fetale e può essere utile praticare anche l’ecocardiografia fetale [38, 39]. La prognosi dipende dalle anomalie associate, dal periodo di insorgenza della sinostosi e dalla causa che l’ha determinata: nel caso di una craniostenosi isolata dipende dalle suture coinvolte. È utile eseguire la consulenza genetica. La terapia è chirurgica nei primi mesi di vita postnatale.
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DISPLASIA CAMPTOMELICA O CAMPOMELICA È un disordine congenito caratterizzato da nanismo rizomelico con incurvamento delle ossa lunghe (camptomelia). Se ne conosce una forma grave a eredità autosomica dominante, in cui sono particolarmente curvi entrambi i femori e le tibie. Si associano a questa forma: dismorfismo facciale, ipoplasia dei polmoni, ambiguità dei genitali fino a sex reversal (cariotipo maschile con fenotipo femminile). Si tratta quindi di una sindrome plurimalformativa, quasi sempre letale. Il gene anomalo (CMD1) è stato mappato sul cromosoma 17q. La patologia è determinata da una mutazione della proteina SRY-box9, il cui gene SOX-9 è mappato in 17q24.3-q25.1 [40, 41]. Trattandosi sempre di una nuova mutazione, il rischio di ricorrenza in caso di altri concepimenti deve ritenersi trascurabile. La diagnosi differenziale va posta, tra l’altro, con il nanismo anisospondilo-camptomicromelico di Rolland e con la condrodisplasia-pseudoermafroditismo (sindrome di Nivelon), entrambe a eredità autosomica recessiva, per cui vi è un rischio di ricorrenza del 25%. Il nanismo camptomelico ha alcuni caratteri in comune con la displasia distrofica, che è una osteocondrodisplasia congenita non sempre letale. Va ricordato che vi è anche una displasia camptomelica ad eredità autosomica recessiva dove all’incurvamento degli arti inferiori non si accompagnano l’accorciamento degli stessi né altri difetti associati. All’ecografia fetale è abbastanza tipica la rizomelia associata all’incurvamento delle ossa lunghe (Fig. 7.15). L’incurvamento può raggiungere angoli molto acuti; frequente è l’ipoplasia della fibula (Fig. 7.16); inoltre si evidenzia un piede torto marcato che causa una grossolana torsione all’interno di tutto l’arto inferiore (campomelia), si osserva anche l’ambiguità dei genitali con genotipo maschile (46,XY). Il profilo facciale è piatto e la circonferenza toracica lievemente ridotta [42, 43]. I difetti cardiaci sono segnalati in un terzo dei casi e sono costituiti da DIV, DIA, tetralogia di Fallot, stenosi aortica; altre malformazioni congenite associate, ricorrenti in percentuali variabili, sono la palatoschisi (75%), l’idronefrosi (30%), l’idrocefalia (23%) [45, 46]. La diagnosi in utero è possibile tra la 15ª e la 18ª settimana quando la curvatura degli arti inferiori (femore e tibia) è notevole. Va tenuto presente che nel corso della gravidanza la curvatura degli arti può attenuarsi. Il management ostetrico non è modificato dalla patologia. Il parto deve avvenire in una struttura attrezzata per l’assistenza respiratoria neonatale. In circa l’80% dei casi la mortalità dopo la nascita è dovuta al grave distress respiratorio.
Fig. 7.15. Displasia campomelica. Il femore ha biometria ridotta e presenta curvatura patologica.Per gentile concessione di Dimed Informatica Srl (www.dimed.it)
Fig. 7.16. Frequentemente nella displasia campomelica è presente ipoplasia della fibula. Per gentile concessione di Dimed Informatica Srl (www.dimed.it) Nei neonati che sopravvivono vi è discreta presenza di ritardo mentale (50%) e di ipoacusia. Persiste dismorfismo facciale, ipotonia muscolare, mentre l’incurvamento scompare a 4-5 anni. È utile eseguire la consulenza genetica.
DISPLASIE MESOMELICHE Sono un gruppo di osteocondrodisplasie caratterizzate da accorciamento del tratto intermedio degli arti (braccia e gambe), prevalentemente di quelli superiori. La riduzione può interessare entrambe le ossa (radioulna e tibia-perone) o più frequentemente solo una delle due [44-46]. Si conoscono circa 30 displasie mesomeliche. Le più frequenti sono: – nanismo mesomelico di Nievergelt [47]: malattia autosomica dominante caratterizzata da ipoplasia del radio, dell’ulna, della tibia e del perone. Il piede è
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torto. La tibia assume forma romboide e il perone è relativamente più grande della tibia stessa. Nanismo di Robinow [48]: patologia autosomica dominante che si caratterizza per dismorfismo facciale con fronte prominente, ipertelorismo, micrognazia e difetti vertebrali. La displasia mesomelica riguarda soprattutto l’arto superiore. È presente inoltre displasia acromelica con dita tozze. I genitali esterni sono piccoli. Nanismo mesomelico di Langer [49]: patologia autosomica recessiva in cui la displasia è più marcata agli arti inferiori con interessamento prevalente del perone e dell’ulna.Vi è incurvamento della mano in senso ulnare e può essere presente micrognazia. Nanismo mesomelico di Reinhardt [50]: patologia autosomica dominante, caratterizzata da ipoplasia soprattutto del radio, ma anche della tibia. Nanismo mesomelico di Werner [51]: patologia autosomica dominante caratterizzata da displasia a prevelente interessamento dell’arto inferiore con ipoplasia o aplasia della tibia e con possibile polidattilia preassiale. Nanismo micrognato: malattia autosomica recessiva caratterizzata da micrognazia con displasia mesomelica che riguarda tutti gli arti. Sono presenti inoltre ipertelorismo e glossoptosi.
La maggioranza di queste displasie non si associa al ritardo mentale. Ad eccezione del nanismo micrognato, la prognosi è buona con alterazioni della deambulazione e intelligenza normale [52, 53]. La diagnosi ecografica [54] è in alcuni casi relativamente agevole; difficile o impossibile, in mancanza di dati anamnestici, l’inquadramento diagnostico della sindrome di cui la mesomelia è parte. È utile eseguire la consulenza genetica.
DISPLASIE TANATOFORE Sono displasie scheletriche letali causate da difetto della ossificazione encondrale e caratterizzate da un grave nanismo micromelico con ossa lunghe arciformi. La testa è larga, con bozze frontali prominenti; il torace è stretto. Sono tra le più frequenti e rappresentative forme di displasia scheletrica letale. Oggi se ne conosce la causa legata a nuove mutazioni geniche a carattere autosomico dominante [55, 56]. Si conoscono più tipi di questa osteocondrodisplasia, differenti sia sul piano clinico che genetico molecolare. Il tipo I è caratterizzato da femori definiti a “cornetta di telefono”, morfologia cranica non alterata, occasionalmente macroencefalia. Il tipo II si caratterizza
111 per la presenza del cranio a trifoglio (cloverleaf skull) e ossa lunghe non curve di lunghezza ridotta [57]. Di entrambe si conoscono le mutazioni geniche per cui ne è possibile la diagnosi prenatale sul DNA fetale [58]. Il quadro ecografico nel tipo I è caratterizzato da un grave nanismo micromelico, i femori, come già detto, sono particolarmente incurvati “a cornetta di telefono”; il torace è di normale lunghezza, stretto in antero-posteriore; le coste sono corte (Figg. 7.17-7.19); vi è una riduzione dell’altezza dei corpi vertebrali, che assumono una forma ad H; il cranio è voluminoso con prominenza delle bozze frontali. Nella forma tipo II invece il cranio ha la forma a trifoglio per concomitante craniosinostosi (Fig. 7.20); il forame magno è ristretto per cui si può determinare idrocefalia; le mani ed i piedi sono di solito normali per biometria, ma le dita sono corte ed assumono la forma a salsicciotto [59-62]. Possono essere presenti segni patologici extrascheletrici: anomalie renali (reni a ferro di cavallo, idronefrosi), difetti cardiaci (DIA, anomalie della tricuspide), ano imperforato, e altro.
Fig. 7.17. Displasia tanatofora.È caratterizzata da micromelia rizomelica grave,soprattutto a carico del femore che appare patologicamente incurvato,con aspetto a “cornetta di telefono”. Per gentile concessione di Dimed Informatica Srl (www.dimed.it)
Fig. 7.18. Micromelia rizomelica dell’arto superiore. Per gentile concessione di Dimed Informatica Srl (www.dimed.it)
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Alla ecografia fetale le ossa lunghe hanno un aspetto definito “a clessidra”, il profilo facciale è piatto con prominenza delle bozze frontali, spesso vi è piede torto. Un segno ecografico abbastanza caratteristico è l’assenza o la severa ipoplasia della fibula [64-66]. La malattia porta solitamente a morte entro le prime settimane dalla nascita. La diagnosi differenziale va posta con le displasie scheletriche demineralizzanti, tra cui le acondrogenesi, la ipofosfatasia, la osteogenesi imperfetta congenita, la displasia spondiloepifisaria congenita e soprattutto con la displasia tanatofora rispetto alla quale il femore non è incurvato. È utile eseguire la consulenza genetica. Fig.7.19. Il torace appare stretto in senso anteroposteriore,con coste corte. Per gentile concessione di Dimed Informatica Srl (www.dimed.it)
IPOFOSFATASIA
Fig. 7.20. La coesistenza di craniosinostosi è responsabile dell’aspetto “a trifoglio”della testa fetale.Per gentile concessione di Dimed Informatica Srl (www.dimed.it) È frequente lo sviluppo di un polidramnios piuttosto tardivo. La diagnosi differenziale va posta con molte osteocondrodisplasie letali, tra cui la distrofia toracica asfissiante, le acondrogenesi, la osteogenesi imperfetta, e molte altre. Il riconoscimento ecografico è di solito abbastanza agevole. La prognosi è infausta.
FIBROCONDROGENESI È una rara condrodisplasia dovuta ad un difetto nella sintesi del collageno di tipo 2. La malattia è ereditaria ed ha modalità di trasmissione autosomica recessiva. Il quadro clinico radiologico è caratterizzato da severa micromelia, metafisi slargate, torace stretto, facies appiattita con bozze frontali prominenti, vertebre appiattite (platispondilia). La demineralizzazione ossea è un carattere saliente e costante di questa displasia [63].
È una displasia ossea di origine metabolica caratterizzata da diminuzione delle fosfatasi alcaline sieriche e tissutali. Questo difetto induce marcata e generalizzata demineralizzazione ossea [67, 68]. È presente ipercalcemia con valori 12-13 volte maggiori rispetto ai normali. In rapporto all’epoca d’insorgenza si classificano quattro forme: neonatale o congenita, giovanile, adulta. A queste va aggiunta la forma latente ad eredità autosomica dominante, descritta da Bixler e Poland. La trasmissione è autosomica recessiva nella forma congenita e in quella giovanile, mentre è autosomica dominante nella forma ad insorgenza tardiva (dell’adulto) [69]. È una osteopatia rara (1/100.000 nati) con equilibrato rapporto tra i sessi. Il gene anomalo è stato mappato (1p34-1p36) per cui è possibile l’approccio diagnostico molecolare prenatale [70]. È anche possibile la diagnosi biochimica mediante misurazione della fosfatasi alcalina (ALP) sul liquido amniotico o anche sui villi coriali [71-73]. La diagnosi ecografica è possibile per la forma “congenita”. È caratteristico un “caput membranaceo” per una marcata demineralizzazione del calvario. Vi è ridotta biometria delle ossa lunghe che appaiono incurvate, demineralizzate e con fratture multiple. Nel III trimestre può essere presente polidramnios [74]. La diagnosi differenziale va posta nelle forme severe, congenite con le varie osteopatie demineralizzanti quali l’osteogenesi imperfetta; nelle forme moderate, con il rachitismo vitamino-resistente e con le diverse displasie metafisarie. Il management ostetrico non è influenzato dalla patologia. Nei casi ad insorgenza tardiva il quadro tende talvolta a migliorare, anche se permangono la bassa statura, le deformità ossee e le possibili fratture spontanee. La
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diagnosi nei portatori eterozigoti è possibile in circa il 60% dei casi con il dosaggio della fosfoetanolaminuria. La prognosi è infausta nella forma congenita ed è molto severa in quella insorgente nel I semestre di vita. La morte è spesso dovuta a complicanze renali, cerebrali o respiratorie. È utile eseguire consulenza genetica.
DISTROFIA TORACICA ASFISSIANTE (MALATTIA DI JEUNE) È una condrodisplasia a prevalente localizzazione toracica. Il torace è cilindrico, lungo, molto ristretto nella porzione superiore con riduzione sia del diametro antero-posteriore che trasverso; la porzione inferiore appare svasata a campana. Le clavicole sono a manubrio di bicicletta [75, 76]. La malattia è trasmessa come carattere autosomico recessivo. Il gene anomalo è stato localizzato sul braccio corto del cromosoma 12 (p12.2-p11.21). La frequenza di questa eredopatia è di 1/80.000 nati, con rapporto equilibrato tra i due sessi. All’ecografia fetale si riscontra, unitamente a un torace stretto, micro-rizomelia di grado lieve o moderata [76]. La testa appare normale, anche se sono segnalati casi con dolicocefalia. Il collo è corto, le ossa iliache displasiche. La polidattilia postassiale non è un segno obbligato della sindrome (14% dei casi). Possibili anche altre anomalie associate, quali: idrocefalia, rene multicistico, idronefrosi, cardiopatia congenita. La diagnosi differenziale va posta soprattutto con la sindrome di Ellis van Creveld, la sindrome di Majewski, alcune mucolipidosi, con la sindrome coste corte-polidattilia, e altre ancora. La diagnosi ecografica fetale non è agevole in quanto la biometria degli arti spesso può essere regolare e la riduzione dei diametri della gabbia toracica si evidenzia solo a partire dal II trimestre di gestazione [76]. Il management ostetrico non è modificato dalla patologia. La prognosi è infausta nel 70% dei casi. Molti neonati muoiono nei primi giorni di vita per grave insufficienza respiratoria. In altri casi la morte avviene entro il primo anno ed è dovuta a complicanze broncopolmonari, cardiocircolatorie o ad insufficienza renale. È utile eseguire la consulenza genetica.
OSTEOGENESI IMPERFETTE Le osteogenesi imperfette (OI) sono un gruppo di disordini del collageno caratterizzati da scarsa mineralizzazione ossea per riduzione dell’osteogenesi endostale,
113 dovuta a ridotta attività osteoblastica. Si conoscono ben 16 sindromi genetiche che rientrano nel gruppo delle OI. Tutte sono caratterizzate dalla fragilità ossea, ma il gruppo si presenta eterogeneo per quanto attiene il grado variabile di espressività clinica (dalle OI con fratture già presenti in utero, alle forme meno gravi con rare fratture postnatali); la sclera blu è un segno caratteristico, ma non costante di queste malattie [77, 78]. L’ereditarietà può essere del tipo autosomico dominante o autosomico recessivo. Nessuna forma si trasmette con modello X-linked. Per alcune delle più comuni forme di OI si conosce la mutazione genica, per cui vi è la possibilità di una diagnosi prenatale molecolare [79, 80]. Anche se ciascuna delle forme singolarmente presa è rara, le OI, se complessivamente considerate, costituiscono patologie piuttosto frequenti. Sillence ne distingue quattro tipi. Tipo I: è tra le più note forme di OI con frequenza di 1/30.000. Ha carattere autosomico dominante. Vengono distinte due forme: IA e IB. In entrambe la espressività clinica è variabile, potendo solo in alcuni casi essere evidente fin dalla nascita. Segni non costanti che si associano alla fragilità ossea sono le sclere blu (IB), il grado variabile di sordità (IA e IB), i difetti della dentinogenesi e l’opacità della cornea (IA). La statura è generalmente bassa per la deformità degli arti inferiori, secondaria anche alle fratture. Tipo II (A, B, C) (Vrolik A, B, C) (frequenza 1/60.000): sono le forme congenite più gravi di OI, essendo sempre letali. Hanno eterogeneità genetica, in quanto i casi descritti sono compatibili sia con il modello di trasmissione autosomico recessivo che dominante da nuove mutazioni. Non vengono del tutto escluse forme dominanti ricorrenti, per probabile mosaicismo germinale. Questa evenienza non è del resto rara nelle malattie genetiche (possibilità di un mosaicismo germinale è ad esempio ipotizzato nei rari casi di ricorrenza di nati affetti da genitori non acondroplasici). Le fratture nelle OI di tipo II possono essere presenti già prima della nascita. Sono anche possibili dismorfismi vari (macrocrania molle, macromelia, sclere blu, ecc). TIPO III: è definita come OI progressivamente deformante; le sclere sono blu alla nascita, ma con gli anni perdono questa colorazione. Vi è variabilità clinica, dalla morte perinatale alle forme solo lievemente deformanti e debilitanti. Il modello di eredità non è univoco, essendo conosciute forme sia ad eredità autosomica dominante che recessiva. TIPO IV: è una malattia molto rara (1/240.000). È simile al tipo III da cui si distingue solo per una meno grave manifestazione clinica. La diagnosi ecografica fetale dipende dalla presenza o meno di alcuni dei segni patognomonici.
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Sono state riportate in letteratura diagnosi prenatali ecografiche nelle OI di tipo III nel terzo trimestre di gestazione; impossibile la diagnosi ecografica per i tipi I e IV. Nel tipo II la diagnosi ecografica è possibile già nel II trimestre, potendo essere rilevate le fratture congenite delle ossa lunghe, che possono apparire di ridotta lunghezza, angolate e con alterato spessore osseo da esiti cicatriziali. Di solito le fratture sono localizzate ai femori e alle ossa della gamba, meno frequenti sono quelle localizzate agli arti superiori. La demineralizzazione è specialmente visibile a livello del cranio, ove la stessa forza impressa al trasduttore riesce talvolta a modificare la morfologia cranica; si ricava spesso l’impressione di un cranio di gomma. Va aggiunto che la rarefazione ossea consente uno studio cerebrale particolarmente chiaro anche della regione prossimale alla sonda. La presenza di fratture costali può anche modificare la morfologia toracica. Di solito la colonna vertebrale presenta regolare ecogenicità [79-81]. La prognosi delle OI dipende dalla severità del fenotipo specifico. È sempre grave nel tipo II. Nel tipo I e IV la prognosi quoad vitam è favorevole (anche se la metà dei pazienti muore entro il 50° anno). Nel tipo III la mortalità è elevata per insufficienza respiratoria; nei casi, poco frequenti, che giungono all’età adulta sono costanti le deformità ossee e la bassa statura. Il management ostetrico non è modificato dalla patologia. La diagnosi differenziale delle OI va posta con le acondrogenesi, con l’ipofosfatasia (dove tutto lo scheletro, compreso il rachide, appare demineralizzato) e con altre osteopatie demineralizzanti. È utile eseguire la consulenza genetica.
Fig. 7.21. Torace con coste corte. Si osservano le ridotte dimensioni del torace rispetto all’addome e la presenza di coste corte.Per gentile concessione di Dimed Informatica Srl (www.dimed.it)
SINDROMI “COSTE CORTE-POLIDATTILIA” Sono displasie scheletriche incompatibili con la vita caratterizzate da micromelia, torace stretto con coste estremamente piccole (Figg. 7.21 e 7.22). Se ne conoscono quattro tipi [82, 83]: – sindrome di Saldino-Noonan (tipo I); – sindrome di Majewski (tipo II); – sindrome di Verma-Naumoff (tipo III); – sindrome Beemer (tipo IV). Hanno tutte eredità autosomica recessiva. Nella sindrome di Saldino-Noonan si ha una severa micromelia con femore appuntito sui margini diafisari. Sono presenti anomalie di vari organi e apparati: difetti cardiaci (trasposizione dei grossi vasi, ventricolo destro a doppia uscita, difetti interatriali ed interventricolari), gastrointestinali (agenesia della colecisti, atresia intestinale, ano imperforato), dell’apparato genito-uri-
Fig. 7.22. Aspetto radiografico alla nascita di un feto affetto da sindrome delle coste corte
nario (rene policistico, anomalie dei genitali) e polmonari (ipoplasia del polmone). È possibile la presenza di idrope fetale. La sindrome di Majewski presenta una micromelia meno severa della precedente. Caratteristica è la notevole brevità della tibia. Le anomalie associate più frequenti sono: la schisi mediana del labbro, la palatoschisi, l’ambiguità dei genitali esterni; è stata anche descritta la pachigiria e l’ipoplasia del verme cerebellare. La sindrome di Verma-Naumoff ha molti caratteri in comune con le precedenti. Si differenzia per la presenza di metafisi ampie con speroni ossei e per la ipoplasia delle vertebre. La facies è caratteristica per il na-
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so a sella e la fronte prominente; completano il quadro sindromico la polidattilia postassiale, l’ano imperforato, la ipoplasia polmonare, le anomalie urinarie. La sindrome Beemer presenta corpi vertebrali piccoli e scarsamente ossificati, radio ed ulna curvi, tibia normale più lunga del perone; non mostra lesioni metafisarie. Altri segni sono la macrocefalia, l’ipertelorismo, la labioschisi, l’ernia ombelicale ed i genitali ambigui [84]. Possono essere presenti difetti cardiaci, gastrointestinali e genito-urinari. Segni ecografici comuni sono dati da: micromelia, torace stretto,collo corto,polidattilia delle mani (post-assiale nel tipo I e III e pre- o post-assiale nel tipo II) e dei piedi. La polidattilia è abitualmente assente nel tipo IV [85]. Sono presenti numerose altre anomalie tra cui cardiopatie (difetti settali, coartazione aortica, TGA) ed anomalie del tratto urogenitale (rene policistico, genitali ambigui, atresia vaginale). La diagnosi differenziale va posta con numerose sindromi che hanno molti caratteri comuni alle sindromi definite “coste corte-polidattilia”. Le elenchiamo qui di seguito, rimandando per le caratteristiche di ciascuna al database GENUS: distrofia toracica asfissiante; sindromi di: Meckel, Barnes, Beemer-Langer, Elejalde, Fraser-Jequier, Ellis van Creveld, Holmgren, idroletale, Knowles-Winter; disostosi toraco-pelvica; nanismo tanatoforico. La diagnosi prenatale delle sindromi “coste cortepolidattilia” è al momento solo ecografica, non essendo ancora noti i geni responsabili delle sindromi e non comportando anomalie dei cromosomi. La diagnosi ecografica è possibile in seguito all’osservazione di un feto micromelico, con torace stretto, polidattilia e altri difetti associati. La caratterizzazione del tipo di sindrome è possibile solo dopo la nascita con l’acquisizione di ulteriori dati clinici o con il riscontro autoptico. È utile eseguire la consulenza genetica.
SINDROME DI ELLIS VAN CREVELD È una displasia mesoectodermica, in quanto caratterizzata da contemporanea compromissione degli organi di origine ectodermica e mesodermica. Si trasmette con carattere autosomico recessivo. Il locus genico è mappato su 4p16. La displasia ossea è caratterizzata da un nanismo di grado moderato di tipo micromelico, con maggiore compromissione del tratto acro-mesomelico. Il torace è di regolare lunghezza, ma lievemente ristretto. Costante è la presenza di polidattilia postassiale (prevalentemente bilaterale) delle mani e in 1/5 dei casi anche dei piedi [86].
La displasia dei derivati ectodermici è provata dalla ipoplasia ungueale fino all’assenza (anonichia), dalle alterazioni nella comparsa della dentizione (che può essere anticipata, con denti già presenti alla nascita, o posticipata) e dalle alterazioni dell’apparato pilifero (capelli sottili e scarsi). Circa le anomalie degli organi di origine mesodermica, i difetti cardiaci sono presenti in più del 50% dei casi (soprattutto difetti del setto interatriale). Di Meglio ha diagnosticato un caso in cui la polidattilia era monolaterale. Frequenti sono le patologie dell’apparato genito-urinario. All’ecografia si riscontra un nanismo micromelico di grado moderato con prevalente interessamento del tratto acro-mesomelico [86, 87]. Costante è la polidattilia post-assiale (generalmente bilaterale e limitata alle mani); il torace è stretto (Fig. 7.23) [86-88].
Fig. 7.23. La sindrome di Ellis-van-Creveld si caratterizza per la presenza di polidattilia post-assiale sia a carico delle mani che dei piedi.Per gentile concessione di Dimed Informatica Srl (www.dimed.it) Altre anomalie associate possono essere: l’idronefrosi di grado variabile, l’idrometrocolpo, il criptorchidismo, l’idrope, il piede torto, l’ipoplasia tibiale. La diagnosi differenziale va posta con molte displasie associate a polidattilia. La diagnosi prenatale è ecografica a partire dal II trimestre; poiché il gene è stato mappato è possibile anche l’approccio diagnostico molecolare [89]. Il management ostetrico non è influenzato dalla patologia. La sindrome comporta in genere la sopravvivenza, anche se spesso la cardiopatia e l’insufficienza respiratoria ne possono accorciare la durata. È utile eseguire la consulenza genetica.
SINDROME DI KLIPPEL-FEIL È tipica di questa sindrome genetica la brevità del collo da estesa fusione delle vertebre cervicali e toraciche supe-
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riori,con la presenza anche di emivertebre e altre eventuali anomalie dello scheletro, non esclusa la spina bifida [90]. Il torace viene definito a botte; vi può essere torcicollo, nistagmo e strabismo convergente per la paralisi dei nervi abduttori dell’occhio; il collo appare sempre corto e l’impianto delle orecchie è basso. Non rare sono la sordità e le cardiopatie congenite; sono stati segnalati casi con palatoschisi e anomalie renali (rene a ferro di cavallo) [90]. La trasmissione della sindrome è nella maggioranza dei casi autosomica dominante con ridotta penetranza ed espressività variabile del gene; non esclusa anche la eredità autosomica recessiva [91]. Sono descritti quattro tipi di tale sindrome (da I a IV) in base anche alle diverse espressività cliniche. Il gene responsabile è KFSL (SGM1) che mappa su 8q22.2, ma le analisi di linkage dimostrano che anche altri geni possono essere coinvolti (su 5q11.2) [92]. Complicanze della sindrome possono essere manifestazioni neurologiche secondarie, quali brachialgia e paraparesi spastica agli arti inferiori. All’ecografia fetale sono presenti: collo corto, cifosi, spina bifida, torace a botte, cardiopatie, micrognazia. Possono essere evidenziate anche alcune delle malformazioni dei vari apparati coinvolti (orofacciale, scheletro, cuore, reni). La diagnosi differenziale deve anzitutto essere posta con la sindrome di Wildervanck (cervico-oculo-acustica): le due sindromi hanno molti dei segni in comune; la eredità della Wildervanck è però autosomica recessiva, mentre la KF è nella maggioranza dei casi autosomica dominante. Con molte altre sindromi genetiche si pone il problema della diagnosi differenziale: la sindrome di Noonan, la Jarcho-Levin, la displasia spondilo-costale, la Sprengel associata a palatoschisi, il torcicollo congenito, la sindrome di Turner e altre ancora. In teoria è possibile la diagnosi ecografia prenatale. La diagnosi di certezza tuttavia è soltanto radiologica. La prognosi è severa nelle forme gravi. Le possibilità terapeutiche sono modeste.
SINDROME DI ROBERTS È conosciuta anche con i nomi di “pseudotalidomide”, “sindrome di Appelt-Gerken-Lenz”,“tetrafocomelia con labiopalatoschisi”,“SC syndrome”. La malformazione scheletrica caratteristica è la focomelia, termine con il quale si indica un difetto trasverso rizo-mesomelico, con coinvolgimento parziale delle mani e dei piedi. L’ipogenesia può giungere fino alla agenesia, che interessa con maggiore frequenza il radio, ma anche le altre ossa lunghe degli arti, sia superiori che inferiori.
La sindrome di Roberts è prevalentemente, ma non esclusivamente, ossea. Infatti si ritrovano altri difetti associati, quali la labio-palatoschisi, le anomalie del SNC e oculari, i difetti cardiaci, genito-urinari, gastro-intestinali, articolari. I genitali possono essere ambigui [93, 94]. La sindrome ha eredità autosomica recessiva e si accompagna a una caratteristica anomalia dei cromosomi che consiste in una prematura divisione centromerica, per cui nelle piastre in metafase i centromeri appaiono separati [95]. L’anomalia, sotto questo aspetto, è del tutto tipica e consente di porre, in seguito a diagnostica invasiva (villocentesi), la diagnosi almeno presuntiva. La diagnosi ecografica [96, 97] è relativamente agevole. Il management ostetrico non è influenzato dalla patologia. La sindrome è quasi sempre letale. Molti nati vivi muoiono precocemente, quelli sopravvissuti hanno un severo ritardo psicomotorio. La diagnosi differenziale si pone con molte sindromi genetiche: l’amelia X-linked, la sindrome da bande amniotiche, la sindrome EEC (labiopalatoschisi-displasia ectodermica-ectrodattilia), l’anemia di Fanconi, la sindrome di Holt Oram, la sindrome di Nager, l’associazione VACTERL, l’embriopatia da talidomide, la facioauricolo-radiale, la FFU (femore-fibula-ulna), la sindrome di Fryns, la sindrome di Fried, e molte altre. È utile eseguire la consulenza genetica.
SINDROME DI VATER (SINDROME DI DUHAMEL) L’acronimo VATER sta per Vertebral anomalies - Anal atresy - Tracheo-Esophagea fistula - Radio agenesis. È di fatto una sindrome plurimalformativa. Le anomalie dello scheletro sono presenti nel 70% dei casi, mentre l’atresia anale si riscontra nell’80%; l’atresia esofagea con fistola tracheoesofagea è quasi costante (85%). Anomalie renali sono presenti in più della metà dei casi [98]. L’interessamento degli arti è dovuto a ipoplasie/aplasie, generalmente monolaterali, in particolare del radio (60%) e meno frequentemente degli arti inferiori (23%); frequenti pure le anomalie vertebrali (emispondili, fusioni) e la polidattilia preassiale [98]. Si suppone che la sindrome sia dovuta a un gene autosomico dominante, ancora non riconosciuto. Molti casi sono sporadici, essendo il risultato di nuove mutazioni [99]. Si conosce una sindrome denominata VACTERL-association (dove C sta per cardiopatia) con anomalie del SNC (idrocefalia da stenosi dell’acquedotto) a eredità autosomica recessiva [100]. Altra VACTERL-association è la sindrome descritta da Froster che ha eredità X-linked.
Capitolo 7 • Anomalie scheletriche • G.Vullo,A.Di Meglio
Il sospetto in utero di sindrome di VATER va posto in presenza delle anomalie dello scheletro associate a difetto tracheoesofageo, a cardiopatia congenita, ad anomalie renali (idronefrosi, rene multicistico) [101]; l’atresia anale non è diagnosticabile in utero. Può essere presente ambiguità dei genitali e una singola arteria ombelicale. È possibile la presenza di polidramnios. La diagnosi differenziale si pone con molte sindromi genetiche plurimalformative: le sindromi di Hausam, di Hunter-MacMurray, la Klippel-Feil, la Meckel e la Meckel-like; la ectrodattilia-displasia ectodermica-labioschisi; l’anemia di Fanconi; la sindrome di Holt-Oram, la TAR, la sindrome di Roberts, la sindrome da regressione caudale, la sindrome di Jarcho Levin, l’associazione MURCS e altre ancora. È utile eseguire cariotipo fetale. La prognosi è variabile, dipendendo dalla severità delle anomalie. La sopravvivenza è del 75%. I feti che sopravvivono hanno un QI normale.
TROMBOCITOPENIA CON RADIO ASSENTE Detta anche TAR (Thrombocytopenia-Absent Radium), è una sindrome rara caratterizzata dall’assenza o ipoplasia bilaterale del radio, con normale sviluppo del pollice e delle ossa metacarpali. Può essere però presente anche l’agenesia di altre ossa lunghe (omero, fibula, ulna) e la dislocazione della rotula e dell’anca. Un dato costante, anche se non sempre presente alla nascita, è la trombocitopenia ipo-amegacariocitica [102-107]. Altre anomalie associate sono la bassa statura, la cardiopatia congenita, il glaucoma e lo strabismo, l’ipoplasia cerebellare, il difettoso assorbimento alimentare, la diarrea, l’intolleranza al latte vaccino, l’epatosplenomegalia. Si ritiene che la sindrome predisponga
117 all’insorgenza dei tumori. Non vi è ritardo mentale. La sindrome è ereditaria con trasmissione autosomica recessiva. Non comporta anomalie cromosomiche, né si conosce ancora il gene anomalo [103]. All’ecografia fetale sono evidenziabili i difetti ossei riguardanti il radio (assenza o marcata ipoplasia bilaterale) come anche di altre ossa lunghe. Il pollice e le ossa del metacarpo sono presenti. Sono possibili alterazioni biometriche dell’omero e/o dell’ulna [104-106]. La diagnosi differenziale va posta con molte sindromi genetiche: la sindrome di Cornelia de Lange, l’anemia di Fanconi, la sindrome di Holt Oram, la sindrome di Nager (disostosi acrofaciale), l’aplasia radiale isolata, la sindrome di Roberts, la trisomia 13 e la trisomia 18, l’associazione VACTER, la sindrome facio-cardiomelica, la AASE, l’aplasia del radio associata alla craniosinostosi, la sindrome di Galjaard, la IVIC, la LeviHollister ed altre ancora. Il rilievo ecografico nel feto dei segni clinici (soprattutto l’assenza o la ipoplasia del radio) è possibile a partire dal II trimestre di gestazione. La trombocitopenia, come detto, non è sempre congenita ed è diagnosticabile mediante cordocentesi [107]. Il management ostetrico prevede l’esecuzione di un taglio cesareo elettivo per evitare al feto il trauma del parto e le complicanze emorragiche. È possibile prevenire l’emorragia intracranica antepartum con una trasfusione di piastrine. La diagnosi prenatale è possibile solo nel caso di ricorrenza della sindrome, come non raramente accade per le malattie a eredità autosomica recessiva. La prognosi dipende dall’insorgenza di emorragie perinatali, dalla possibilità di trattamento di queste e dalle altre anomalie associate; essa è severa nei primi anni di vita con una mortalità del 40%, migliora dopo il superamento della prima infanzia. È utile eseguire la
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CAPITOLO 8
Malformazioni facciali G. Vullo • A. Di Meglio • S. Sorrentino
INTRODUZIONE Protocollo di studio della faccia fetale Le strutture della faccia possono essere studiate ecograficamente dalla 14a settimana, quando possono essere visualizzate la fronte, le orbite, il naso, ecc. La faccia si struttura tra la 4a e la 10a settimana di gestazione per la fusione di 5 protuberanze di cui una impari (il processo frontonasale) e due pari (le protuberanze mascellari e mandibolari). Durante la 5a settimana si sviluppano il processo nasale mediano e laterale. A sette settimane, dal processo mediano, origina la parte centrale del naso e dai processi laterali le narici. A 10 settimane le protuberanze mascellari migrano medialmente e, saldandosi, formano il filtro nasale, il labbro superiore ed il palato anteriore. Il palato posteriore molle trae origine da due sottili bande di tessuto originate dalle pareti mediali delle protuberanze mascellari. Durante questo periodo si struttura il setto nasale. Alla 8a settimana si formano le strutture deputate allo sviluppo degli occhi. L’orecchio medio ed esterno originano dal II arco faringeo, mentre l’orecchio interno origina dal placode ottico. Lo studio della faccia può essere eseguito mediante scansioni sagittali, assiali e coronali. Il piano sagittale è usato per lo studio del profilo facciale ed è particolarmente utile per la valutazione della fronte e del mento. Le orecchie sono visualizzate, invero raramente, su un piano parasagittale tangenzialmente al calvario. Il piano assiale è utilizzato per la valutazione delle orbite, dei cristallini (Fig. 8.1). Muovendo la sonda caudalmente può essere visualizzata, in casi rari, la lingua. In questa scansione può essere eseguita la misura del diametro bisorbitario. Il piano coronale è quello più utilizzato per lo studio della faccia e consente di valutare le orbite, le palpebre, i cristallini, i movimenti oculari, il naso con le narici, il
labbro superiore, la bocca ed il mento. Della bocca possono essere valutati il movimento, la deglutizione, la sua eventuale apertura (essa è prevalentemente socchiusa). La biometria del diametro bisorbitario è più frequentemente eseguita su questo piano. Negli ultimi anni la faccia fetale è stato studiata anche con l’impiego dell’ecografia 3D e 4D con ricostruzione tridimensionale del volto (Fig. 8.2).
Fig.8.1. Scansione assiale della faccia:caso in cui è presente un’anomalia morfologica monolaterale della faccia.Si osserva iposviluppo della metà destra della faccia con evidente interessamento dell’orbita
Fig. 8.2. Immagine del viso ottenuta in 3D.Per gentile concessione di Dimed Informatica Srl (www.dimed.it)
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
Lo studio delle anomalie della faccia è importante perché queste ultime possono essere associate ad altre anomalie fetali e/o a cromosomopatie. Il riconoscimento dell’anomalia nelle forme isolate è utile così da consentire alla gestante di eseguire la consulenza genetica per stabilire le modalità del parto, l’eventuale assistenza neonatologica ed il recupero postoperatorio.
ANGIOMA Si tratta di un tumore benigno caratterizzato da neoformazioni ed ectasia dei vasi, che colpisce organi viscerali e/o la cute. È un tumore sporadico e rappresenta la neoplasia più comune dell’infanzia [1]. Gli angiomi appartengono al gruppo degli amartomi vascolari e possono presentare una componente linfangiomatosa.
agevole e l’angioma può essere diagnosticato solo se di grosse dimensioni.
Management Quando si sospetta la presenza di un angioma è utile effettuare una consulenza chirurgica pediatrica, l’esame del cariotipo e controlli ecografici seriati. Gli angiomi di grosse dimensioni, per l’elevato flusso a bassa resistenza possono, seppur di rado, indurre scompenso cardiaco e morte fetale [4]. Per tale motivo è necessario, al monitoraggio ecografico costante del feto, associare anche l’ecocardiografia. Le modalità del parto sono legate alle dimensioni ed alla sede della lesione. Masse di grosse dimensioni che arrivano fino alla regione anteriore del collo possono provocare delle distocie ed è, pertanto, indicato il taglio cesareo. Molti angiomi possono essere escissi in periodo neonatale.
Segni ecografici Gli angiomi possono presentare ecostruttura omogenea o mista (Fig. 8.3) e spesso mostrano flusso alla periferia. Frequentemente sono localizzati a livello della testa e del collo ed interessano la cute [2]. Nelle forme di dimensioni cospicue, si osserva una formazione ecogena omogenea, doppler positiva, per la ricca componente vascolare ad alto flusso data dalla presenza di shunt arterovenosi [3]. La massa può rimanere di dimensioni invariate o può, gradatamente, incrementare durante la gestazione. Gli angiomi di solito hanno una buona prognosi.
CEBOCEFALIA Si tratta di una malformazione caratterizzata dalla presenza di una proboscide localizzata generalmente sotto le due orbite [5]. Ha una incidenza di 1/16.000 nati. Il difetto primario è legato ad una anomalia del mesenchima precordale che induce un alterato sviluppo delle strutture mediane della faccia. La proboscide si forma per la fusione del placode olfattivo.
Segni ecografici All’ecografia si rileva la presenza di una protuberanza nasale con morfologia inusuale, situata sotto le orbite ed accompagnata da ipotelorismo [6]. È associata sempre a oloprosencefalia [7-9] e frequentemente a cromosomopatie (soprattutto la trisomia 13) [10, 11]. È facile il suo riconoscimento per la presenza oltre che delle anomalie facciali, anche di quelle cerebrali. È utile eseguire il cariotipo fetale.
CICLOPIA Fig. 8.3. Profilo di un feto che presenta una massa che parte dal mento ed occupa la regione anteriore del collo.Alla nascita fu confermata la diagnosi di linfangioma.T,torace; PROF,profilo; N,naso; B,bocca
La diagnosi differenziale va posta con l’encefalocele, l’igroma cistico anteriore ed il gozzo. Può essere presente polidramnios. Il riconoscimento in utero non è
Questa anomalia è caratterizzata dalla presenza sulla linea mediana di una singola cavità orbitaria. Rappresenta il grado estremo dell’ipotelorismo, in cui i due abbozzi ottici sono fra di loro fusi.Si riscontra nel 10-20% dei feti con oloprosencefalia [7]. Ha una incidenza di 1/40.000 nati. Il grado di fusione oculare è variabile e spesso si possono riscontrare due occhi fusi in una singola orbita.
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Segni ecografici
Management
Si visualizza una singola orbita in sede mediana. Il naso è assente e vi è una proboscide situata sopra l’orbita. La bocca può essere piccola o assente. Le orecchie hanno una inserzione bassa. Costante è l’associazione con la proboscide ed altre anomalie facciali che rientrano nel quadro sindromico dell’oloprosencefalia alobare; è perciò alta l’incidenza di trisomia 13. Meno frequente è l’associazione con la trisomia 18. Nelle forme non legate a cromosomopatia, è sporadica con bassissimo rischio di ricorrenza. Il riconoscimento ecografico risulta agevole. È sempre utile eseguire il cariotipo fetale [12, 13]. Questa malformazione è incompatibile con la vita.
Il secreto contenuto nella cisti è frequentemente sterile; solo raramente va incontro ad una infezione (dacriocistite) ed in questi casi può necessitare di rimozione chirurgica e bypass (dacriocistorinostomia). La digitopressione della cisti può determinare drenaggio nel naso. Rare le dislocazioni del globo oculare e le alterazioni nella dinamica dei suoi movimenti. Possono essere presenti deformità dei turbinati inferiori e del setto. La prognosi è eccellente; l’anomalia tende a risolversi spontaneamente sia in utero che dopo la nascita, soprattutto se di piccole dimensioni.Spesso infatti non supera le dimensioni di 1 cm. Il 71% dei neonati trattati non sviluppano nuovamente un dacriocistocele. Il rischio di ricorrenza è sconosciuto.
DACRIOCISTOCELE ETMOCEFALIA È la dilatazione cistica del dotto lacrimale (Fig. 8.4) per impervietà della sua porzione distale nell’angolo nasocantale. Approssimativamente il 30% dei neonati presenta un dotto lacrimale impervio con un rapporto M:F=1:3,5. Solo nel 5% dei casi è bilaterale. La patogenesi è legata alla completa ostruzione del dotto lacrimale, che può avvenire inferiormente a livello della valvola di Hanser o superiormente alla vavola di Rosenmüller.
L’anomalia è caratterizzata dalla presenza di una proboscide posta al di sopra delle orbite [5, 19].
Segni ecografici All’ecografia si rileva la presenza di una protuberanza nasale, con morfologia inusuale, situata al di sopra delle orbite. Di solito non si associa a difetto del labbro o del palato, mentre quasi sempre è presente ipotelorismo nei quadri complessi dell’oloprosencefalia; alta è l’incidenza di cromosomopatie (soprattutto trisomia 13). È facile il riconoscimento ecografico ed è sempre utile eseguire cariotipo fetale. La prognosi è sfavorevole.
IPERTELORISMO Consiste nell’aumentata distanza, rispetto alla norma, fra le commessure palpebrali mediali [20, 21]. Fig. 8.4. Caso di dacriocistocele:è presente una formazione cistica contigua alla cavità orbitaria
Eziopatogenesi Segni ecografici Vi è una piccola massa transonica che occupa la regione infero-mediale della cavità orbitaria [14-17]. Più del 30% dei casi di dacriocistocele vengono diagnosticati nel terzo trimestre. La diagnosi differenziale va posta con l’encefalocele frontale, con l’angioma, con la cisti dermoide e col mucocele da fibrosi cistica. Di solito non vi sono anomalie associate. Raramente è descritto ipertelorismo. In presenza di altre anomalie bisogna pensare a quadri sindromici [18].
In alcuni casi è stata descritta una trasmissione autosomica dominante. Ha una incidenza rara. Differenti meccanismi sono stati postulati per spiegare tale patologia: 1. arresto primario nella migrazione degli occhi; 2. arresto secondario della migrazione degli occhi per la presenza di una massa mediana come un meningocele frontale; 3. anomala crescita ossea con slargamento delle ali dello sfenoide; 4. anomala crescita dello splancnocranio per cattivo sviluppo delle ossa derivate dal primo arco brachiale.
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Segni ecografici
Management
Vi è aumentata distanza interoculare. Per quantificare l’ipertelorismo sono utilizzati diversi parametri [24]: il diametro bisorbitario, la misura cantale distinta in intercantale (tra i canti mediali) ed extracantale (tra i canti laterali), l’indice cantale (rapporto tra la misura intercantale e quella extracantale) e la distanza interorbitale. Quest’ultima è la misura più usata; l’indice cantale, anch’esso attendibile, può essere alterato da anomalie dei tessuti molli della faccia quali la plica epicantale, la distopia del canto, il criptoftalmo. L’ipertelorismo è bilaterale anche se in alcuni casi può essere unilaterale per una plagiocefalia o per una proboscide laterale. Può essere isolato o associato ad altri difetti sia extrafacciali che facciali come la displasia frontonasale, i difetti mediani del labbro con o senza difetto del palato osseo [23], le craniosinostosi [24] (sindrome di Apert, sindrome di Crouzon e sindrome di Carpenter). È un’anomalia presente in molte sindromi plurimalformative (Tabella 8.1) [25-32].
Per i suddetti motivi risulta molto utile lo studio del cariotipo fetale. In assenza di altre patologie non vi è indicazione a modificare il management del parto. Dopo il parto sono riportati buoni risultati estetici con procedure di cantoplastica, orbitoplastica e rinoplastica. La prognosi dipende dalle anomalie associate e nelle forme isolate rappresenta un problema estetico ed in alcuni casi comporta un’alterazione della visione stereoscopica. Altre anomalie associate possono essere: agenesia del corpo calloso, sindrome di Dandy Walker, ventricolo destro a doppia uscita, piede torto bilaterale, ecc. La displasia frontonasale [33-36] è una sindrome di solito sporadica ma descritta anche come autosomica dominante. Essa è caratterizzata da ipertelorismo quasi con la stessa frequenza con cui l’oloprosencefalia si associa a ipotelorismo; altro segno presente in tale displasia è un naso largo spesso con difetto mediano; meno frequente è la labioschisi. Il quoziente intellettivo (QI) è normale. In assenza di altre anomalie, la ricostruzione chirurgica craniofaciale dà un buon risultato estetico.
Tabella 8.1. Sindromi malformative in cui è presente ipertelorismo Frequente in Occasionale in Aerskog Displasia camptomelica Acrodisostosi Disostosi cleidocranica Apert Conradi-Hunermann Coffin-Lowry Criptoftalmia Di George Crouzon Sequenza displasica fronto-nasale Holt-Horam Larsen Hurler Lentiggini multiple Meckel-Gruber Neu-Laxova Nevo a cellule basali Noonan Oculo-dento-digitale Opitz Sjogren-Larsson Opitz-Frias XXXXX Oto-palato-digitale XXXXY Pena-Shokeir I 5pPfeiffer 18pPyle 18qRoberts Robinow Saethre-Chotzen Sotos Triploidia Trisomia 8 Trisomia 9p Weaver XXXX 4p9p13qImpiego di aminopterina Impiego di idantoina
IPOTELORISMO In questa affezione si ha diminuzione della distanza interorbitaria o diminuito diametro bisorbitario [20, 37].
Eziopatogenesi ed incidenza Ha una incidenza rarissima. Tranne casi sporadici, è un segno costante di anomalie complesse tra cui la più frequente è l’oloprosencefalia. Le strutture craniofacciali originano dal mesenchima primordiale che ha una duplice derivazione: il mesoderma e le creste neurali. C’è una stretta correlazione tra lo sviluppo delle strutture mediane della faccia ed il clivaggio del prosencefalo. I difetti di tali strutture sono da riportare al mesenchima primordiale che è interposto tra il prosencefalo ed il tetto della bocca primitiva. Tutto ciò spiega l’associazione dell’ipotelorismo con l’oloprosencefalia.
Segni ecografici Consistono nel rilievo della diminuita distanza interorbitaria o del diametro bisorbitario (Fig. 8.5) in rapporto al diametro biparietale [22]. L’ipotelorismo è associato quasi sempre ai segni tipici dell’oloprosencefalia ed inoltre si associa a trigo-
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romegalia, siano legate all’iperinsulinemia da iperplasia delle cellule di Langherans soprattutto in quei casi con anomalie citogenetiche che coinvolgono le bande p13-15 del cromosoma 11.
Segni ecografici
Fig. 8.5. Caso di ipotelorismo severo.Il diametro bisorbitario è al di sotto del 1° percentile
nocefalia, displasia oculodentodigitale, microcefalia, sindrome di Meckel e fenilchetonuria. È frequentemente segno di cromosomopatie (trisomia 13, 18p-, 21, 5p-, 14p+).
Consistono nel rilievo delle dimensioni della lingua e di una sua protrusione attraverso la rima buccale [41]. Può essere presente polidramnios. Di fronte a macroglossia associata ad onfalocele, visceromegalia e difetti renali bisogna pensare alla sindrome di Beckwith-Wiedemann [42, 43]. La macroglossia e la bocca costantemente aperta devono far sospettare una cromosomopatia. È riportato un caso di sindrome di Coffin-Lowry con macroglossia, ipertelorismo, bocca costantemente aperta e ritardo mentale. Il riconoscimento ecografico è difficile.
Management Management Il management ostetrico non cambia. È indicato eseguire il cariotipo fetale. La prognosi dipende dalle anomalie associate.
MACROGLOSSIA
È utile eseguire il cariotipo fetale. La prognosi dipende dalle anomalie associate.
MICROFTALMIA
È un’ipertrofia di origine muscolo-connettivale della lingua che, di solito, protrude dalla bocca [38, 39].
È una abnorme riduzione del diametro del globo oculare.
Eziopatogenesi ed incidenza Eziopatogenesi ed incidenza Quando è un difetto isolato, l’anomalia è sporadica. In pochi casi è stata descritta una trasmissione autosomica dominante. È presente nel 97,5% dei casi nella sindrome di Beckwith Wiedemann, patologia autosomica con incidenza di 1/3.000 nati vivi. È presente nell’ipotiroidismo congenito (Tabella 8.2). Il meccanismo che determina la macroglossia dipende dalla patologia di origine ed in molti casi non è spiegabile [40]. Nella sindrome di BeckwithWiedemann si ritiene che la macroglossia, come la visceTabella 8.2. Macroglossia Frequente in Beckwith-Wiedemann Gangliosidosi Ipotiroidismo 7q+ Trisomia 4p Trisomia 21
Occasionale in Coffin-Lowry Hurler Maroteaux-Lamy Robinow Rubistein-Taybi Scheie Triploidia
È presente in numerose sindromi (Tabella 8.3); la sua insorgenza è legata a vari fattori, genici, cromosomici, virali, ecc. [44]. Ha prevalentemente carattere ereTabella 8.3. Microftalmia Frequente in CHARGE associazione Rosolia Sequenza displasica frontonasale Goldenhar-Gorlin Goltz Hallermann-Streiff Meckel Gruber Oculo-dento-digitale Pena-Shokeir tipo II Triploidia Trisomia parziale 10q Trisomia 13 4p13q-
Occasionale in Cohen Alcool Fenilchetonuria materna Varicella Facio-auricolo-vertebrale Fanconi Ipertermia Toxoplasmosi Trisomia 4p Trisomia 9 a mosaico Trisomia 18 18q-
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ditario (trasmissione autosomica dominante, autosomica recessiva ed X-linked) o può essere anche un disordine sporadico. L’incidenza è di 1/5.000 nati vivi [45-47]. La forma severa di microftalmia è l’anoftalmia. La microftalmia e l’anoftalmia sono responsabili del 4% delle cecità.
Segni ecografici Il diametro orbitario è inferiore al quinto percentile [48-50]. Si associa ad anormalità intracraniche. Può essere mono- o bilaterale. È stata riportata nella sindrome di Fraser (malattia autosomica recessiva con criptoftalmo, sindattilia, atresia del canale uditivo, palatoschisi e difetti dei genitali esterni) e nella s. di GoldenharGorlin (microsomia emifaciale) [51]. Spesso si associa ad altre anomalie (micrognazia, sindattilia, campodattilia, piede torto, difetti vertebrali e cardiaci). Si può associare alla fusione delle palpebre identificando il criptoftalmo. Nei casi rari di assenza di anomalie associate viene definita anche nanoftalmo.
Management Il management ostetrico in assenza di altre anomalie non si modifica. È utile eseguire il cariotipo fetale. La prognosi dipende dalle anomalie associate.
Segni ecografici La diagnosi può essere sospettata in presenza dei seguenti segni ecografici: impossibilità a visualizzare la mandibola, presenza di orecchie con inserzione bassa e localizzate nella regione della bocca (Fig. 8.6), possibile polidramnios, mancata visualizzazione dello stomaco [52-55]. Nelle forme isolate non vi è compromissione del tessuto cerebrale [56]. Alcune forme sono intermedie tra la ciclopia e l’otocefalia.
Fig.8.6. Caso di otocefalia.Massiccio facciale:si osserva che le due orecchie hanno un impianto basso, verso la linea mediana, così da configurare il quadro dell’otocefalia. Per gentile concessione di Dimed Informatica Srl (www.dimed.it) Può associarsi ad altre malformazioni (oloprosencefalia, difetti del tubo neurale, cefalocele, proboscide, lingua ipoplasica, fistola tracheoesofagea, anomalie cardiache ed ipoplasia dei surreni) [57]. È una condizione incompatibile con la vita.
OTOCEFALIA PROBOSCIDE È un’anomalia complessa caratterizzata dall’assenza o dall’ipoplasia della mandibola, avvicinamento mediano delle ossa temporali ed una posizione orizzontale delle orecchie, site anteriormente per mancata ascesa durante l’embriogenesi.
Eziopatogenesi ed incidenza L’otocefalia è un’anomalia rara ad eziologia sconosciuta probabilmente dovuta ad un difetto nella migrazione del mesenchima nella prominenza mascellare alla 6a-7a settimana. È stata riprodotta sperimentalmente mediante l’irradiazione con raggi X e con la somministrazione di streptonigirina. Può avere una trasmissione autosomica recessiva.
È un’appendice carnosa tronchiforme con una (più frequente) o due aperture, di solito associata ad arinia [58, 59]. Secondo la classificazione di De Myer essa può essere localizzata al di sopra di una singola orbita (ciclopia) o delle due orbite (etmocefalia) o tra le orbite (cebocefalia). Le aperture della proboscide non comunicano con le coane.L’etmoide,le conche nasali,le ossa nasali e lacrimali sono assenti. In rari casi la proboscide può essere bilaterale.
Eziopatogenesi La presenza della proboscide è legata ad un difetto del mesenchima precordale che determina fusione del placode olfattivo. Modificazioni della posizione degli occhi possono essere presenti a causa della proboscide.
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Segni ecografici Si osserva una protuberanza nella regione nasale (Figg. 8.7 e 8.8), con morfologia inusuale, associata ad altri segni di anomalie facciali (ciclopia, etmocefalia, cebocefalia, schisi mediana del labbro) ed extrafacciali [54, 60, 61].
SCHISI MEDIANA DEL LABBRO SUPERIORE È un difetto mediano, triangolare o quadrangolare, che interessa il labbro superiore e si estende posteriormente al palato ed al pavimento nasale [63].
Incidenza ed eziopatogenesi Rappresenta lo 0,2-0,9% di tutti i casi di schisi. Il difetto deriva da un deficiente sviluppo del processo frontonasale che è normalmente indotto dal tessuto cerebrale [64]. C’è una stretta correlazione tra lo sviluppo delle strutture mediane della faccia ed il clivaggio del prosencefalo. I difetti di tali strutture sono da riportare al mesenchima precordale che è interposto tra il prosencefalo ed il tetto della primitiva bocca. Tale evento spiega l’associazione della schisi mediana del labbro con l’oloprosencefalia.
Fig. 8.7. Immagine della faccia:è presente una proboscide in cui si osservano due aperture
Fig. 8.8. Scansione della faccia in 3D:sono visibili i due occhi nella cavità orbitaria mediana.Si osserva la proboscide sovrastante
Segni ecografici È un ampio difetto che interessa la porzione mediana del labbro superiore (Fig. 8.9) che può essere triangolare o quadrangolare [65, 66]. C’è assenza della porzione centrale della mascella e del labbro superiore con un naso assente o sostituito dalla proboscide [67-69]. Questo difetto si associa ad altre anomalie della faccia come l’ipotelorismo e l’ipertelorismo [70]. Tale schisi è inquadrabile in due diversi quadri malformativi in relazione alla biometria del diametro bisorbitario: – l’oloprosencefalia [9], è in genere associata ad ipotelorismo, con assenza dell’osso premascellare, del setto e delle ossa nasali, della crista galli e con ipoplasia dell’etmoide; – sindrome della schisi mediana della faccia o displasia fronto-nasale [71]: è associata a ipertelorismo, naso bifido e cranio bifido occulto.
La proboscide si associa nella quasi totalità dei casi ad oloprosencefalia. È infatti raro che il difetto compaia in assenza della predetta patologia: in questi casi è presente usualmente aplasia nasale unilaterale e la proboscide si trova nella regione occupata normalmente dal naso. Il riconoscimento ecografico è abbastanza facile.
Management Il management ostetrico non è influenzato dal difetto [62]. È utile eseguire il cariotipo fetale. La prognosi dipende dalle anomalie associate.
Fig. 8.9. Immagine della faccia in cui si osserva un’ampia schisi mediana del labbro superiore
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Management) È utile effettuare lo studio del cariotipo fetale [72-75]. La schisi mediana del labbro nell’80% non si associa a ritardo mentale. Nelle forme associate a difetti del sistema nervoso centrale la prognosi è sfavorevole [76].
SCHISI LATERALE DEL LABBRO SUPERIORE La schisi laterale del labbro superiore è un difetto che coinvolge il labbro superiore a sinistra o a destra della linea mediana. Può anche essere bilaterale. Può verificarsi in forma isolata ovvero essere parte di sindromi malformative. Può associarsi a difetto del palato.
Incidenza ed eziopatogenesi È la seconda più comune malformazione congenita rappresentando il 13% di tutte le anomalie. Ha una incidenza di 1/1.000 nati con un rapporto M:F=2:1. Esistono differenze razziali con 1,5-2/1.000 in Asia e 0,5/1.000 nella popolazione di colore. Il difetto labiale, con o senza quello palatino, ha una frequenza doppia nei maschi rispetto alle femmine tranne che nella razza nera dove i maschi mostrano una bassa incidenza. Il rischio di ricorrenza è del 4% in presenza di altro bambino affetto, del 10% in caso di due bambini affetti e del 14% in caso di genitori e bambini affetti. La schisi si verifica più frequentemente a sinistra rispetto a destra con rapporto 2:1 ed è più comune di quella bilaterale. La labioschisi si ritrova nel 3% delle sindromi e nel 97% dei casi non sindromici. La labioschisi può essere trasmessa con carattere autosomico dominante ad incompleta espressività e penetranza (25%) o come disordine sporadico (75%); meno frequenti sono la trasmissione autosomica recessiva ed X-linked. Nel 65% dei casi il difetto riguarda il labbro ed il palato, nel 35% solo il labbro. La schisi è dovuta ad un difetto dell’unione del processo frontonasale con la prominenza mascellare laterale alla 7a-8a settimana di gestazione. Possono indurre tale difetto la fenilchetonuria materna, l’alcool, l’ipertermia, l’idantoina, il trimetadione, l’aminopterina ed il metotressato.
Segni ecografici È presente un difetto del labbro superiore di varia ampiezza potendo raggiungere il naso (Fig. 8.10); si può associare un difetto osseo della mascella e del palato [63, 65, 68, 77-81]. Il difetto più frequentemente associato nelle forme di labioschisi è il piede torto, mentre, nelle forme di labiopa-
Fig. 8.10. Schisi laterale del labbro superiore. Nella sezione frontale della faccia si osserva una schisi del labbro superiore a destra.Il naso appare regolare
latoschisi è la polidattilia. In presenza di labioschisi bilaterale, nella regione mediana ed inferiormente al naso, protrude una massa che potrebbe essere confusa con un teratoma o con una proboscide.La diagnosi di sospetto può essere formulata già a partire dalla 15ª settimana [82]; tuttavia,per la difficoltà di visualizzare il labbro in epoca precoce,la diagnosi richiede una conferma in epoca più avanzata intorno alla 19a-20a settimana di gestazione. La diagnosi è agevole in presenza di un ampia schisi. Il riconoscimento ecografico della sola schisi laterale del palato è quasi sempre impossibile. Può essere talvolta sospettato in presenza di un ampia labioschisi. È frequente l’associazione con altre anomalie (Tabella 8.4) [70, 82-85]. Tabella 8.4. Labioschisi Cause Familiare
Associazioni
Frequenza + Trisomia 13 ++ Trisomia 18 + Cromosomopatie Trisomia 21 + Triploidia ++ Sindromi da traslocazione ++ Sindrome di Roberts +++ Sindrome di Meckel-Gruber +++ Sindrome degli pterigi multipli +++ Sindrome da banda amniotica ++ Opitz ++ Acrocefalosindattilia ++ Sindromi CHARGE ++ malformative Displasia distrofica ++ Oloprosencefalia ++ Displasia di Kniest ++ Displasia congenita spondiloepifisaria ++ Anencefalia + Cardiopatie congenite + Idantoina ++ Iatrogene Trimetadione ++ Alcolismo + Materne Fenilchetonuria +
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Capitolo 8 • Malformazioni facciali • G.Vullo,A.Di Meglio,S.Sorrentino
Management Il management prevede [66, 73, 75, 86, 87]: – esecuzione del cariotipo fetale; – ecocardiografia fetale; – controllo ecografico mensile. Il management ostetrico non cambia. Il parto deve avvenire in centri abilitati alla rianimazione neonatale. La prognosi dipende dalle anomalie associate ed, in assenza di queste, è buona. È sempre necessaria la correzione chirurgica che permette di ottenere ottimi risultati [72].
MICROGNAZIA La micrognazia è caratterizzata dalla presenza di un profilo fetale alterato per la presenza di una mandibola ipoplasica (Figg.8.11 e 8.12).È presente in un notevole numero di sindromi (acondrogenesi, atelosteogenesi, displasia camptomelica, sindromi di Cornelia de Lange, Pierre Robin, Hanhart II, Roberts, Taybi, ecc.) Una sindrome in cui è costantemente presente micrognazia è la sindrome di Pierre Robin caratterizzata da micrognazia, glossoptosi e palatoschisi [76, 88, 89]. L’ipoplasia della mandibola determina una bocca piccola che come conseguenza causa glossoptosi; quest’ultima, a sua volta, può determinare un difetto palatino (schisi posteriore, palato ogivale).
Fig. 8.12. Osservazione in 3D di un feto con micrognazia
Segni ecografici La micrognazia è difficile da diagnosticare. A causa della glossoptosi, si può verificare polidramnios. La diagnosi di palatoschisi è quasi sempre impossibile. In circa il 10% dei casi è presente un’anomalia cardiaca.
Management
Fig. 8.11. Caso di micrognazia. Il profilo del feto è irregolare per la presenza di mento ipoplasico
Il management ostetrico non cambia. È opportuno eseguire consulenza genetica che è importante per il notevole numero di sindromi associate a micrognazia. È altresì utile eseguire ecocardiografia. La prognosi dipende dalle eventuali anomalie associate. Alla nascita vi possono essere problemi respiratori con ostruzione delle alte vie aeree.
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
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CAPITOLO 9
Cuore fetale normale e patologico D. Paladini • M.G. Russo • M. Felicetti • R. Calabrò
CUORE FETALE NORMALE ECOCARDIOGRAFIA FETALE Introduzione L’ecocardiografia fetale rappresenta un esame diagnostico di II livello, da praticare, cioè, in tutte le gestanti che presentano un rischio maggiore rispetto alla popolazione generale di dare alla luce un feto affetto da una cardiopatia congenita (CC), per la presenza di uno o più fattori di rischio specifici materni e/o fetali (Tabella 9.1). Tutta la restante popolazione, da cui deriva, però, la maggior parte (il 70%-75%) dei feti cardiopatici, dovrebbe essere sottoposta a test di screening [1, 2]. Tabella 9.1. Indicazioni all’ecocardiografia fetale Indicazioni materne • Familiarità per cardiopatie congenite • Malattie ereditarie • Malattie materne (diabete,fenilchetonuria,malattie autoimmuni) • Infezioni materne (rosolia,toxoplasma,citomegalovirus,ecc) • Esposizione a sostanze teratogene (litio,antiepilettici,alcool,ecc) Indicazioni fetali • Alterazioni cromosomiche • Sospetto di cardiopatia congenita fetale ad un esame di screening • Aritmia fetale • Positività al test per la translucenza nucale • Anomalie extra-cardiache • Ritardo di crescita intrauterino (IUGR) • Gemellarità monocoriale • Idrope fetale non immunologica
Finalità dell’ecocardiografia fetale è quella di verificare l’anatomia dei ritorni venosi, del cuore stesso e dei grossi vasi con un approccio definito sequenziale [3]. Tale tipo di valutazione viene effettuata mediante eco-
cardiografia bidimensionale. La valutazione funzionale viene poi effettuata con l’ausilio delle metodiche Doppler, color Doppler in primis, seguito dall’analisi quantitativa in Doppler pulsato ove necessario. La valutazione in M-mode viene utilizzata in caso di riscontro di aritmia e/o per lo studio dei movimenti valvolari. L’epoca ideale per uno studio accurato del cuore del feto è tra la 18a e la 24a settimana di gestazione, epoca in cui il sistema cardiocircolatorio fetale ha raggiunto una completa maturazione, le ossa fetali (soprattutto le coste) non sono ancora completamente ossificate e vi è ancora una quantità di liquido amniotico tale da permettere una corretta insonazione del feto. Naturalmente, nel caso in cui si sospetti una cardiopatia congenita, l’esame ecocardiografico può essere effettuato anche in epoche successive.
Requisiti tecnici e set-up dell’ecografo La variabile principale in ecocardiografia fetale è rappresentata dal know-how dell’operatore; seguono la qualità dell’ecografo e la sua impostazione. Le caratteristiche tecniche che un ecografo deve necessariamente possedere, per poter eseguire un’ecocardiografia fetale, sono rappresentate da un bidimensionale di ottima qualità, un color Doppler affidabile ed un Doppler pulsato. Per ciò che concerne il bidimensionale, i requisiti principali sono: una scala di grigi molto “dura”, senza molti grigi intermedi, un fuoco singolo, un elevato frame rate (o persistence molto bassa) al fine di ottenere una corretta visualizzazione di una immagine in movimento, quale il cuore fetale. Un frame rate elevato viene ottenuto con un fascio ultrasonico ristretto e fuoco singolo. Per il color Doppler sono validi gli stessi concetti generali appena espressi riguardo al bidimensionale: frame rate elevato, mantenuto con un box colore ristretto, per permettere un accurato mappaggio di flussi ad alta velocità, quali quelli intra-cardiaci fetali, e scala di velocità
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
adeguata a campionare il vaso di interesse (50-70 cm/s per il distretto arterioso, 20-40 per il venoso). Per quel che riguarda il Doppler pulsato, un punto fondamentale è rappresentato dalla possibilità di un corretto posizionamento del volume campione sull’immagine in bidimensionale. Il volume campione deve essere minimo (2-3 mm), e deve esservi la possibilità di lavorare in Doppler-mode sul bidimensionale a schermo intero, sì da scegliere il momento più idoneo per la registrazione Doppler. L’M-mode, come già accennato, viene utilizzato unicamente per la valutazione di eventuali aritmie fetali. Almeno un cenno meritano, infine, le caratteristiche dei trasduttori. La frequenza che viene maggiormente utilizzata è la 5,0 MHz (range 3,75-7,5). Essa offre una migliore definizione dell’immagine nella maggior parte dei casi. In presenza di obesità materna, o nel terzo trimestre di gestazione, quando si lavora a profondità maggiore, si utilizzano, invece, trasduttori caratterizzati da una frequenza inferiore (3,5-3,75 MHz), con la quale si riduce lievemente la qualità d’immagine, ma aumenta sensibilmente la penetrazione.
Ecocardiografia bidimensionale La finalità dell’esame ecocardiografico in 2D è quella di verificare: il situs, le dimensioni del cuore, le connessioni veno-atriali destra e sinistra, le connessioni atrio-ventricolari destra e sinistra, le connessioni ventricolo-arteriose destra e sinistra, l’integrità dell’arco aortico. Tali strutture vengono valutate mediante un set di scansioni base, al quale si aggiungono scansioni intermedie o suppletive, da utilizzare a proprio piacimento o secondo necessità (posizione fetale sfavorevole, ecc.). Le scansioni principali sono: 4-camere, asse lungo ventricolo sinistro (VS), asse lungo del ventricolo destro (VD), asse corto VD, scansione 3-vasi, sbocco delle vene cave in atrio destro (AD), scansione trasversa dell’addome (per il situs). Qui di seguito viene illustrato come si ottengono le scansioni precendemente elencate e cosa deve essere valutato in ciascuna di esse.
Scansione 4-camere La scansione 4-camere si ottiene dalla scansione trasversa dell’addome spostando cranialmente il trasduttore senza modificarne l’inclinazione.Viene definita apicale o trasversa a seconda della disposizione dell’asse maggiore del cuore (orizzontale nella trasversa, verticale nella apicale) (Fig. 9.1a).Vanno verificate entrambe, in quanto, per la fisica degli ultrasuoni, si valuteranno su ciascuna le strutture che vengono insonate ortogonalmente (in apicale soprattutto il piano valvolare atrio-ventricolare, in trasversa il forame ovale, il setto inter-ventri-
colare, lo spessore delle pareti miocardiche). Questa scansione rappresenta la chiave di volta di tutto l’esame; è dalla sua valutazione che prima si sospettano e poi si inquadrano gran parte delle cardiopatie congenite. Essa ci consente di visualizzare a livello del torace il cuore, tra i polmoni lateralmente, lo sterno anteriormente, l’aorta discendente e le vertebre posteriormente. Un suggerimento utile per “centrare” la scansione è quello di guardare le coste: essendo, queste ultime, perfettamente orizzontali, è facile capire che, se la scansione che si è ottenuta è perfettamente assiale apparirà una sola costa completa. Se al contrario si è troppo obliqui, sull’immagine compariranno diverse coste. Per un corretto orientamento delle camere cardiache, va tenuto presente che l’atrio posto subito anteriormente al rachide ed all’aorta discendente è quello sinistro e che, viceversa, il ventricolo situato al di sotto dello sterno è quello destro; le altre due camere vanno identificate di conseguenza (Fig. 9.1a). Si sottolinea che solo partendo da una scansione 4-camere perfetta sarà possibile ottenere una buona visualizzazione degli assi lunghi. Sulla sezione 4-camere è necessario soffermarsi a lungo. La check-list da controllare comprende: – il cuore si localizza per 2/3 del suo volume in emitorace sinistro; – l’apice è rivolto a sinistra (levocardia); – l’angolo tra la direzione del setto inter-ventricolare (che rappresenta la direzione del cuore in toto) e la midline è di 45°; – si visualizza lo sbocco in AS di almeno 2 vene polmonari; – gli atri sono di dimensioni pressoché sovrapponibili, con la valvola del forame ovale che apre in AS; – vi sono due valvole AV con regolare ecogenicità ed escursione dei lembi, che mostrano il classico aspetto offset; – esistono due ventricoli con un diametro pressoché sovrapponibile (lievemente prevalente il destro), ma di forma diversa (VS di forma allungata che arriva all’apice, il VD di forma più rotondeggiante per la presenza nella sua porzione apicale della banda moderatrice); – vi è una normale contrattilità delle pareti miocardiche di entrambi i ventricoli; – si visualizza un setto inter-ventricolare integro (per la parte visualizzabile in scansione 4-camere); – le pareti miocardiche ed il setto inter-ventricolare presentano regolare spessore; – vi è un sottile film liquido a livello del pericardio; – il ritmo cardiaco appare regolare. Per ciò che concerne la valutazione del setto interventricolare, si sottolinea come questo vada elettivamente valutato in 4-camere trasversa, quando, cioè, vi
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Fig. 9.1a-d. Cuore normale.Ecocardiografia Bidimensionale.a Scansione 4-camere:si evidenziano i due atri,i setti,le due valvole A-V ed i due ventricoli.Si noti anche lo sbocco di 2 vene polmonari in AS (atrio sinistro) (frecce).b Efflusso sinistro:si osserva la continuità mitro-aortica e l’aorta ascendente che emerge dal VS.c Efflusso destro:si osserva la parte infundibolare del VD (ventricolo destro) che dà origine al tronco polmonare.d Scansione dei 3 vasi:si osservano,da sinistra a destra,arteria polmonare,aorta e cava superiore;anteriormente vi è il timo (T),mentre la trachea è alla destra dei due tronchi arteriosi.Ao,aorta ascendente; LV,ventricolo sinistro; Pa,arteria polmonare comune; RA,atrio destro; RV,ventricolo destro; SVC,cava superiore
è un angolo di 90° tra il fascio ultrasonico e l’asse del cuore, per evitare false diagnosi di difetti inter-ventricolari sotto-valvolari dovuti ad un artefatto da assorbimento degli ultrasuoni da parte del setto stesso. Inoltre va segnalato che in scansione 4-camere non si riesce a visualizzare tutto il setto inter-ventricolare: la parte che separa gli efflussi, quella cosiddetta in out-
let, può essere visualizzata e correttamente verificata solo in asse lungo del VS.
Asse lungo di sinistra La scansione asse lungo di sinistra, deputata a valutare la concordanza ventricolo-arteriosa di sinistra e cioè la connessione tra un ventricolo con i caratteri morfolo-
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gici del VS ed un tronco arterioso con i caratteri anatomici dell’aorta, si ottiene dalla 4-camere, semplicemente inclinando il trasduttore verso la spalla destra del feto, sì da “aprirsi” l’aorta ascendente e la prima parte dell’arco. Sull’asse lungo di sinistra è necessario verificare (Fig. 9.1b): – la presenza di un vaso efferente con i caratteri dell’aorta (emergenza di un vaso ad angolo quasi retto, il primo vaso del collo, a distanza dalla valvola semilunare) e calibro regolare dal VS; – normale continuità setto-aortica; – presenza di una valvola semilunare con regolare escursione sisto-diastolica.
Asse lungo di destra Dall’asse lungo di sinistra, inclinando il trasduttore verso l’estremo cefalico fetale si ottiene l’asse lungo di destra (Fig. 9.1c). Il movimento richiesto per passare dall’asse lungo sinistro a quello destro è minimo e, così facendo, è possibile valutare l’incrocio (cross-over) dei grossi vasi. Questa scansione ci consente di verificare: – che vi sia un vaso emergente con i caratteri della polmonare (biforcazione ad angolo acuto); – che vi è una valvola semilunare con regolare escursione sisto-diastolica; – che esiste l’incrocio (cross-over) dei grossi vasi (alternando le due scansioni).
Fig. 9.2. Scansione longitudinale delle vene cave.Si osserva lo sbocco in AD di entrambe le vene cave. IVC, cava inferiore; RA, atrio destro; SVC, cava superiore
bile allinearsi perfettamente con la colonna vertebrale fetale, in modo da ottenere il classico doppio binario, per poi scivolare lateralmente alla colonna verso destra ed angolare medialmente: così facendo si visualizza tutto il decorso delle vene cave superiore ed inferiore ed il loro sbocco in AD. Con lievi movimenti, possono essere visualizzati anche il dotto venoso e le vene sovraepatiche.
Scansione trasversa addominale Asse corto di destra Rappresenta un’alternativa all’asse lungo di destra che si ottiene dalla 4-camere semplicemente ruotando il trasduttore verso la spalla sinistra fetale. Su questa scansione si effettuano valutazioni analoghe a quelle eseguite per l’asse lungo di destra. In aggiunta, è possibile confrontare sulla stessa immagine i calibri di aorta ed arteria polmonare.
Questa corrisponde alla sezione per la misurazione della circonferenza addominale. Ci consente di valutare il situs viscerale (aorta addominale anteriormente ed a sinistra della colonna vertebrale e cava inferiore ancora più in avanti ed a destra della linea mediana), di fondamentale importanza nella diagnosi delle sindromi isomeriche.
Color Doppler Scansione dei 3 vasi Rappresenta la scansione più alta del mediastino (Fig. 9.1d). In essa si visualizzano, in sezione trasversa: – l’arco duttale, a sinistra; – l’arco aortico, al centro; – la vena cava superiore, a destra; – la trachea, alla destra dei due archi; – il timo, anteriormente.
Sbocco delle vene cave in AD Nell’ambito di un esame ecocardiografico fetale, la scansione longitudinale più semplice da ottenere risulta essere quella relativa allo studio della connessione venoatriale destra (Fig. 9.2). Al contrario di ciò che accade per le scansioni illustrate precedentemente, è spesso più agevole ottenere i tagli longitudinali con il feto in vertebra anteriore o laterale. In questo caso è infatti possi-
Come premessa a questa sezione, va sottolineato come l’algoritmo che regola l’effetto Doppler prevede che, nelle misurazioni Doppler, l’errore di campionamento sarà tanto maggiore quanto più la direzione delle molecole in movimento è perpendicolare al fascio ultrasonico. Pertanto, nel caso dei flussi intra-cardiaci fetali, ove è necessario valutare anche le velocità assolute, l’angolo di insonazione deve necessariamente essere <30°, per evitare errori di rilevamento. Questo concetto è valido sia per il color Doppler che per il Doppler spettrale. Nell’interpretazione del color Doppler è fondamentale tener conto del fatto che i flussi in avvicinamento al trasduttore acquistano i toni del rosso, mentre quelli in allontanamento sono colorati in azzurro. Inoltre, va menzionato il fenomeno dell’aliasing, per il quale se la velocità di flusso supera la scala valutabile dal
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computer dell’ecografo (PRF, Pulse Repetition Frequency) per quelle particolari condizioni di lavoro, il flusso acquista il colore opposto. Infine, è utile sottolineare l’importanza di una corretta impostazione del gain (guadagno) sia del bidimensionale che del colore per una giusta valutazione funzionale cardiaca.
Scansione 4-camere In una scansione 4-camere apicale, l’analisi in color Doppler mostra, durante la sistole, segnale in allontanamento (blu) solo a livello del cono di eiezione aortico; in diastole, due colonne ematiche in avvicinamento (rosso) che rappresentano il riempimento ventricolare.A livello dell’AS, riducendo la PRF, è anche possibile evidenziare il drenaggio delle vene polmonari (Fig. 9.3a).
Asse lungo di sinistra Questa scansione ci consente di valutare in modo esauriente la funzione di tutto il cuore sinistro. In sistole, si
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evidenzia segnale in allontanamento (blu) a livello dell’efflusso aortico, mentre durante la diastole si osserva normale riempimento del VS dall’atrio (rosso) (Fig. 9.3b).
Asse lungo di destra In questa scansione è possibile valutare la funzionalità del cuore destro. Durante la diastole, si assiste al riempimento ventricolare con evidenziazione della colonna di sangue in movimento dall’atrio al ventricolo. Durante la sistole, si evidenzia la colonna di sangue in accelerazione dal cono di efflusso polmonare attraverso la polmonare comune sino alla biforcazione (Fig. 9.3c).
Scansione dei 3 vasi Questa scansione è di fondamentale importanza nella diagnosi di dotto-dipendenza e delle patologie dell’arco. Al color Doppler, entrambi gli archi devono mostrare la stessa direzione di flusso, in modo da escludere un’eventuale dotto-dipendenza (Fig. 9.3d).
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Fig. 9.3a-d. Cuore normale.Ecocardiografia color Doppler.a Durante la diastole, sulla scansione 4-camere, si osservano le due colonne ematiche di riempimento A-V.b In sistole,sull’efflusso sinistro si osserva l’eiezione del sangue in aorta ascendente,con flusso laminare.c Sempre in sistole,sull’efflusso destro,si osserva l’eiezione del sangue in arteria polmonare comune,sempre con flusso laminare.d Sulla scansione dei 3 vasi,si osserva la confluenza dell’arco aortico e di quello polmonare a livello del dotto arterioso (D).Ao,aorta ascendente;LV,ventricolo sinistro;Pa,arteria polmonare comune;RA,atrio destro;RV,ventricolo
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Doppler pulsato o spettrale Per il Doppler pulsato valgono le stesse considerazioni enunciate a proposito del color Doppler, che riguardano l’angolo di insonazione (<30°) e l’immobilità della mano dell’operatore. Il Doppler pulsato permette di effettuare le stesse valutazioni del color Doppler, e di quantificarle.
Connessione A-V: mitrale e tricuspide Lo spettro Doppler relativo al flusso A-V è simile per le due sezioni cardiache, ed è caratterizzato da un aspetto ad “M”, per la presenza di due cuspidi separate. La prima cuspide è dovuta alla prima fase, proto-diastolica, del riempimento ventricolare (picco E, da early). La seconda cuspide, telediastolica, è dovuta alla contrazione atriale (picco A, da atrial) del riempimento ventricolare. Nel feto, il picco E è sempre inferiore al picco A, ma con il progredire della gestazione tale differenza si riduce, sino ad annullarsi alla nascita. Lo spettro Doppler-flussimetrico è sovrapponibile per mitrale e tricuspide. L’unica differenza significativa riguarda le velocità assolute, maggiori nel cuore destro che nel sinistro (Fig. 9.4a).
Connessione ventricolo-arteriosa: aorta, polmonare e dotto arterioso Lo spettro Doppler-flussimetrico dell’aorta e quello della polmonare sono sovrapponibili, con velocità di picco maggiori in aorta che in polmonare, ma che non superano comunque 1 m/sec. L’onda Doppler-flussimetrica sistolica è costituita da una sola cuspide. Durante la diastole, non si osserva flusso a livello di aorta ascendente e tronco polmonare. Al contrario, se si campiona il dotto arterioso, questo mostra una significativa fase diastolica. Inoltre, la velocità di picco raggiunge spesso 1,3 m/s (Fig. 9.4b).
Ritorni venosi L’onda Doppler-flussimetrica relativa alle vene cave è simile per la superiore e per l’inferiore, ed è trifasica. La prima cuspide inizia durante il rilasciamento atriale e termina con la fine della sistole mentre la seconda corrisponde alla protodiastole. La terza ed ultima fase è rappresentata da un flusso retrogrado, che si registra durante la telediastole ed è dovuto alla contrazione a
b
Fig.9.4. Doppler spettrale.Onda velocimetrica rilevata a livello A-V (a,con evidenziati i picchi early,E,e atrial,A),e ventricolo-arterioso (b)
atriale; questo flusso non rappresenta, in condizioni fisiologiche, più del 5-7% del flusso anterogrado. Lo spettro flussimetrico delle vene polmonari è simile a quello dell’adulto e, a differenza di quello delle vene cave, presenta due cuspidi, la prima delle quali corrisponde alla sistole ventricolare, mentre la seconda segue il riempimento ventricolare rapido (protodiastolico) e precede la contrazione atriale (telediastolica). Solo raramente in concomitanza con la contrazione atriale si evidenzia un flusso retrogrado, come accade nella vena polmonare nell’adulto.
CARDIOPATIE CONGENITE Anomalie del situs Isomerismi atriali Definizione Normalmente gli organi fetali hanno una struttura e una posizione asimmetrica geneticamente determinata per cui, ad esempio, il cuore presenterà una specifica asimmetria laterale. Quando si altera il predetto meccanismo di regolazione i vari organi possono indirizzare la propria asimmetria in modo anomalo. Gli isomerismi sono dei disturbi della lateralizzazione caratterizzati dallo sviluppo simmetrico degli organi e strutture normalmente asimmetrici. La distribuzione dei visceri nell’organismo umano può avvenire secondo un situs solitus, un situs inversus o un situs isomerico. Ciascuno di questi è caratterizzato da una tipica disposizione spaziale degli organi a livello addominale, toracico e atriale che ne permettono il riconoscimento. Purtroppo, nel feto le anomalie splancniche, polmonari ed atriali non sono identificabili e, pertanto, la diagnosi di un isomerismo atriale, ovvero di una sindrome asplenica o polisplenica, si basa sullo studio del rapporto tra drenaggio sistemico ed aorta a livello addominale. In caso di isomerismo atriale destro (IAD), vi è una duplicazione della morfologia degli organi di tipo destro; a livello addominale il fegato è in posizione centrale, con lobi destro e sinistro di analoga grandezza, la milza è assente (sindrome asplenica), la vena cava inferiore è dallo stesso lato dell’aorta ed anteriore rispetto ad essa. A livello cardiaco vi sono costantemente anomalie gravi (più frequentemente si osserva un difetto del setto atrio-ventricolare o canale A-V con atrio unico, vasi malposti, stenosi- atresia polmonare). Le vene epatiche drenano direttamente nell’atrio posto a destra o in entrambi. Spesso si associa ritorno venoso polmonare anomalo totale. Nell’isomerismo atriale sinistro (IAS), vi è una duplicazione degli organi di tipo sinistro; a livello addominale il fegato si presenta mediano e sim-
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metrico, analogamente a quanto descritto per l’isomerismo destro; la milza, invece, è rappresentata da un grappolo di piccole milze (sindrome polisplenica) poste nell’ipocondrio destro o sinistro; la vena cava inferiore si interrompe nel tratto intra-epatico e la continuità vascolare è assicurata dall’azygos che è dallo stesso lato dell’aorta, ma posteriore rispetto ad essa. Il setto inter-atriale può essere normoconformato o presentare un difetto a livello del forame ovale, il BAV (blocco atrio-ventricolare) è stato segnalato nel 50% dei feti.
toposti a correzione univentricolare senza isomerismo e la sopravvivenza a cinque anni è di circa il 35% [6]. Le forme con isomerismo sinistro possono essere considerate meno severe. Nell’isomerismo sinistro la mortalità feto-neonatale è alta in presenza di BAV e idrope. Nell’isomerismo sinistro sono stati riportati dati di correzione biventricolare nel 70-80% dei casi con sopravvivenza del 63% a 15 anni e di sopravvivenza del 48% a 15 anni in caso di correzione secondo Fontan [7].
Incidenza e anomalie associate
Anomalie delle 4 camere
Le eterotassie sono forme rare, così come le anomalie cromosomiche sono rarissime nelle sindromi isomeriche [4, 5].
Difetto interventricolare (DIV) Definizione
Diagnosi La diagnosi intra-uterina di isomerismo atriale destro (IAD), si basa sul riscontro, a livello della scansione traversa addominale, di aorta addominale e cava inferiore dallo stesso lato della colonna vertebrale. È spesso concomitante un drenaggio polmonare anomalo. Al contrario, la diagnosi ecocardiografica prenatale di isomerismo atriale sinistro (IAS) si basa sulla mancata evidenziazione della cava inferiore, dal momento che il sangue refluo sistemico drena nell’85% dei casi attraverso il sistema azygos-emiazygos in cava superiore o direttamente in AD.
La ritardata o mancata chiusura del setto interventricolare [8], che avviene spontaneamente già in utero o dopo la nascita in oltre il 60% dei casi, è alla base della patogenesi del DIV. Questo può interessare qualunque parte del setto ventricolare1 (Fig. 9.5) e può essere multiplo e di dimensioni variabili. La forma più frequente è quella localizzata a livello del setto membranoso (80%) e della porzione muscolare ad esso adiacente (difetti perimembranosi) (Fig. 9.6). Decisamente meno fre-
SVC
Management ostetrico e modalità del parto Il parto può essere espletato in modo naturale, tranne nei casi di blocco atrioventricolare (BAV) completo associato.
PA
Counseling cardiologico prenatale:trattamento, prognosi e qualità di vita Il neonato con isomerismo destro e grave ostruzione polmonare, dopo la nascita appare cianotico; le condizioni cliniche sono spesso compromesse e vi è dotto dipendenza della circolazione polmonare. Pertanto è necessario iniziare immediatamente la terapia infusiva con prostaglandine. Nelle forme con ritorno venoso anomalo polmonare totale associate ad atresia o stenosi critica polmonare è indicata la chirurgia d’urgenza se il ritorno è ostruito. Per trattare la stenosi/atresia polmonare l’intervento palliativo è rappresentato dallo shunt succlavio-polmonare, successivamente si programma l’intervento di correzione univentricolare secondo Fontan con Glenn. La mortalità di questo intervento è in questi casi più elevata rispetto ai pazienti sot-
1
SETTO DI EFFLUSSO
IVC
SETTO SETTO DI AFFLUSSO TRABECOLARE SETTO MEMBRANOSO SETTO APICALE
Fig.9.5. Setto interventricolare visto dal ventricolo destro.Pa,arteria polmonare; SVC,cava superiore; IVC,cava inferiore
Il setto interventricolare (SIV) può essere distinto in due regioni: la regione settale membranosa (piccola area vicina alla base del cuore) e la regione settale muscolare che va distinta in una regione di afflusso (inlet), di efflusso (outlet) e regione trabecolare (Fig. 9.5).
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mento dello shunt sinistro-destro con conseguente iperafflusso polmonare. L’aumentato flusso di ritorno in atrio sx causa la dilatazione del cuore sinistro con sovraccarico di volume che può provocare scompenso cardiaco tardivo.
SVC
Diagnosi LA RA
VSD IVC
RV
LV
Fig. 9.6. Rappresentazione schematica del difetto interventricolare. RA, atrio destro; LA, atrio sinistro; RV, ventricolo destro; LV, ventricolo sinistro; VSD,difetto inter-ventricolare (Ventricular Septal Defect)
La diagnosi prenatale viene effettuata in scansione 4-camere per i DIV muscolari del terzo apicale e medio (Fig. 9.7), mentre è necessaria la scansione asse lungo di sinistra per l’identificazione dei difetti peri-membranosi. È inoltre necessario ricordare come per escludere la presenza di un DIV sia necessaria una scansione perpendicolare al setto inter-ventricolare, sia per la 4-camere che per l’asse lungo sinistro. La diagnosi di DIV è una diagnosi bidimensionale, che può essere però supportata dal riscontro al Doppler colore dello shunt. Va inoltre considerato come un DIV piccolo, parimenti a quanto accade in epoca pediatrica, può andare incontro a chiusura spontanea anche nel corso della vita intra-uterina. Infine è importante sottolineare come, in epoca prenatale, il DIV sia una delle patologie di più frequente riscontro in caso di aberrazione cromosomica. È, pertanto, necessaria un’attenta disamina ecocardiografica e morfologica del feto ed un cariotipo fetale anche in caso di DIV apparentemente isolato.
quenti (20%) sono i difetti esclusivamente muscolari, che non hanno rapporto con il setto membranoso e che possono essere localizzati nel setto di afflusso, trabecolare o di efflusso.
Incidenza e anomalie associate È la cardiopatia congenita più frequente sia in epoca fetale (5-10%) che neonatale (25-30%). La differenza di frequenza rilevata è dovuta sia alla percentuale di chiusura, che pure esiste in epoca fetale [9], che al riscontro di DIV associati a cromosomopatie e/o malformazioni extracardiache. È difficile stabilire la frequenza di tali associazioni in epoca fetale perché spesso la diagnosi di DIV viene posta in seconda istanza dopo l’accertata presenza di cromosomopatie e/o malformazioni extracardiache; mentre spesso un DIV isolato di piccole dimensioni sfugge alla diagnosi prenatale.
Fisiopatologia In utero DIV anche ampi non compromettono l’emodinamica fetale. Alla nascita si verifica uno shunt attraverso la comunicazione tra il ventricolo sinistro e il destro la cui entità dipende dalle dimensioni del difetto (restrittivo, moderato, ampio) e dalle resistenze vascolari polmonari. I DIV di piccola ampiezza o restrittivi non danno conseguenze emodinamiche. Nei DIV moderati o ampi, dopo i primi giorni di vita, al calo delle resistenze polmonari, si determina un au-
Fig.9.7. Difetto inter-ventricolare di tipo muscolare,del terzo medio (freccia), evidente in scansione 4-camere.LV,ventricolo sinistro;RA,atrio destro
Management ostetrico e modalità del parto Se si diagnostica in epoca prenatale un DIV isolato non è necessario modificare la normale condotta ostetrica in quanto non si tratta di una cardiopatia congenita ad emergenza neonatale. In assenza di controindicazioni di natura ostetrica è possibile l’espletamento del parto spontaneo presso una struttura di I livello.
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Counseling cardiologico prenatale:trattamento, prognosi e qualità di vita
Canale atrio-ventricolare (CAV) Definizione
L’outcome è influenzato dalla presenza di malformazioni associate e/o cromosomopatie. La prognosi dei DIV isolati anche ampi è estremamente favorevole. I piccoli difetti isolati hanno una prognosi ottima sovrapponibile a quella dei neonati normali; infatti i neonati sono asintomatici e presentano normale accrescimento senza alcuna limitazione funzionale. L’unica misura precauzionale indicata è la prevenzione dell’endocardite batterica con profilassi antibiotica prima di effettuare procedure dentarie o interventi chirurgici. Circa il 70% dei DIV muscolari e il 30% dei perimembranosi isolati rilevati alla nascita si chiudono spontaneamente nei primi anni di vita [8]. Anche la chiusura in epoca prenatale e possibile soprattutto se le dimensioni sono inferiori ai 3 mm di diametro [9]. I difetti moderato-ampi evolvono, se non trattati (storia naturale), in ipertensione polmonare grave e irreversibile nel 16% dei casi (sindrome di Eisenmenger con cianosi, policitemia, scompenso cardiaco destro) con mortalità del 27% a 20 anni e del 53% a 40 anni.I DIV di media ampiezza richiedono nella maggior parte dei casi inizialmente terapia medica (Ace-inibitori, digitalici e diuretici) [10]. I neonati risultano asintomatici nei primi giorni/settimane di vita, ma è possibile scompenso cardiaco nei primi 6 mesi tale da richiedere terapia chirurgica che consiste nella chiusura del DIV con patch di Dacron o di pericardio autologo. Dopo l’intervento la maggior parte dei pazienti ha una vita normale e normale attività funzionale con una sopravvivenza a 25 anni del 97%. I pazienti con ampio DIV richiedono terapia medica e nel I anno di vita vanno incontro a ricorrenti infezioni respiratorie e sono a rischio di scompenso (tachipnea, rientramenti intercostali, sudorazione eccessiva, epatomegalia, tachicardia, ritmo di galoppo). Il trattamento chirurgico precoce già descritto (entro il I anno) è associato a basso rischio di mortalità operatoria (1%) e di complicanze postoperatorie (0,4% di blocco A/V completo, 2% shunt interventricolare residuo) [11, 12]. Nel neonato pretermine o di basso peso (<3 Kg), se è presente notevole iperafflusso polmonare, scompenso intrattabile nonostante la terapia medica, è indicato un intervento palliativo di bendaggio della arteria polmonare che permette di ridurre il flusso polmonare. Nei DIV muscolari e recentemente anche nei DIV perimembranosi selezionati è possibile anche la chiusura con device in sala di emodinamica per via percutanea [13-15]. Tale procedura ha il vantaggio di evitare la sternotomia e la circolazione extracorporea ed è sicuramente meno traumatica e meno costosa rispetto a quella chirurgica.
Il CAV si riferisce ad uno spettro di malformazioni cardiache che comprendono anomalie dello sviluppo del setto interatriale, del setto interventricolare e delle valvole A-V. Secondo la classificazione di Rastelli, il canale atrioventricolare ha tre varianti: completo, intermedio e parziale. Il canale completo è caratterizzato da un difetto del setto interventricolare a livello dell’inlet, presenza di una valvola A-V unica, di solito a 5 lembi, e da un difetto del setto interatriale a livello della porzione inferiore (ostium primum) (Fig. 9.8). L’intermedio, associa al difetto interatriale ostium primum ed interventricolare dell’inlet, la presenza di due valvole atrio-ventricolari separate. Inoltre la valvola mitrale presenta una fissurazione (cleft) del lembo anteriore che è causa di rigurgito in atrio sinistro. La variante parziale infine si differenzia dall’intermedio per l’assenza del difetto interventricolare. Le forme complete possono presentare i ventricoli bilanciati o sbilanciati. SVC
LA
RA
IVC
RV
LV
Fig.9.8. Rappresentazione schematica del canale atrio-ventricolare completo. SVC, vena cava superiore; IVC, vena cava inferiore; RA, atrio destro; RV,ventricolo destro; LA,atrio sinistro; LV,ventricolo sinistro
Incidenza e anomalie associate L’incidenza del CAV in epoca prenatale è di circa il 18% mentre alla nascita è del 4-5%. Tale cardiopatia può associarsi ad anomalie della concordanza ventricolo-arteriosa (DORV, Fallot) o dei grossi vasi (stenosi polmonare, coartazione aortica). Il CAV completo classico bilanciato è la variante più frequente e si associa a trisomia 21 nel 70% dei casi. Accanto a questa variante ne esiste un’altra di CAV completo sbilanciato, che si presenta spesso in associazione ad isomeri-
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smo atriale, ventricoli sbilanciati, vasi malposti e/o ventricolo destro a doppia uscita. Possibile anche nell’isomerismo sinistro la presenza di blocco atrio-ventricolare completo, responsabile di scompenso intrauterino. Nel 14% dei casi sono presenti malformazioni extracardiache (ernia diaframmatica, atresia duodenale, onfalocele, igroma cistico) [4, 5].
Fisiopatologia Il quadro fisiopatologico dipende dall’anatomia della regione setto-valvolare atrio-ventricolare. La forma completa è una delle cause più frequenti di scompenso neonatale e il quadro è tanto più precoce quanto più severa è l’insufficienza della valvola AV comune. Se la valvola è continente il quadro fisiopatologico è simile a quello di un ampio DIV con iperafflusso polmonare.
Diagnosi La diagnosi ecocardiografica viene effettuata in scansione 4-camere, dove nel CAV completo, durante la sistole il piano valvolare A-V non mostra il caratteristico aspetto della tricuspide rispetto alla mitrale per la presenza della valvola comune a cinque cuspidi. Al di sopra ed al di sotto della valvola sono evidenti i difetti inter-atriale ed inter-ventricolare (Fig. 9.9a,b). Di solito i due ventricoli sono bilanciati, ma in alcuni casi, anche in relazione ad eventuali anomalie della connessione ventricolo-arteriosa, è possibile che vi sia la prevalenza del VS o del VD (Fig. 9.9c,d). Sebbene, nella maggioranza dei casi, la connessione ventricolo-arteriosa sia normalmente concordante, talvolta possono associarsi anomalie della suddetta connessione o anche dei grossi vasi, come già descritto precedentemente. Nel canale A-V bilanciato, al color Doppler si evidenzia in diastole la classica immagine di un inflow comune che si biforca a livello del residuo setto inter-ventricolare, per poi distribuirsi in maniera omogenea alle due camere ventricolari, con aspetto ad Y (Fig. 9.9b,d).
Management ostetrico e modalità del parto Il management ostetrico del CAV prevede accurati e seriati controlli ecografici morfostrutturali del feto nel corso della gravidanza per la frequente associazione con malformazioni extracardiache in particolare se coesistono aberrazioni cromosomiche. Il CAV bilanciato non rappresenta un’emergenza neonatale in quanto asintomatico alla nascita: pertanto la pianificazione del parto in una struttura di III livello, con una cardiologia e cardiochirurgia pediatrica per un eventuale tempestivo trattamento del neonato, non è necessaria. L’espletamento del parto, spontaneo in assenza di controindicazioni ostetriche ed aritmie fe-
tali, può quindi avvenire anche presso strutture di I e II livello. Le forme associate a sindromi isomeriche, d’altra parte, spesso rappresentano un’emergenza neonatale per la frequente associazione con un ritorno venoso anomalo polmonare totale (87%).
Counseling cardiologico prenatale:trattamento, prognosi e qualità di vita Senza il ricorso alla terapia chirurgica meno del 4% dei pazienti raggiunge l’età adulta. I neonati con CAV già nei primi mesi di vita possono presentare ritardo di accrescimento ponderale ed incorrere in frequenti infezioni respiratorie. Il CAV non trattato va incontro a scompenso cardiaco che nel neonato si manifesta con dispnea, polipnea, rientramenti intercostali, rantoli crepitanti ed epatomegalia. In attesa dell’intervento chirurgico, che si effettua tra il 3° ed il 6° mese, per fronteggiare le conseguenze dell’iperafflusso polmonare causato dalla malformazione, si ricorre a diuretici, ACE inibitori, digitale, sino all’intervento palliativo mediante bendaggio dell’arteria polmonare. Quando le camere ventricolari risultano bilanciate, la correzione radicale prevede la riparazione con patch in Dacron del DIA e del DIV e la separazione della valvola A-V comune in due valvole A-V separate. In caso di ventricoli sbilanciati si ricorrerà ad una correzione univentricolare. Dopo i quattro mesi di vita il piccolo verrà sottoposto al I stadio dell’ intervento di Glenn (correzione univentricolare), che consiste nel creare una anastomosi tra la vena cava superiore e il ramo destro dell’ arteria polmonare. Dopo il 2° anno di vita il piccolo è sottoposto al II stadio dell’ intervento di Fontan, che consiste nel dirigere anche il sangue della vena cava inferiore mediante un tubo intra- o extracardiaco nel ramo sinistro dell’arteria polmonare. La mortalità operatoria del CAV bilanciato varia dallo 0% al 3% con sopravvivenza a 20 anni dall’intervento dell’80% [16]. La prognosi è meno favorevole nel caso di CAV sbilanciato con mortalità operatoria intorno al 15% soprattutto se associato ad isomerismo e anomalie del ritorno venoso polmonare [16].
Cuore univentricolare - ventricolo unico (VU) e atresia della tricuspide (AT) Definizione Il ventricolo unico si caratterizza per l’apertura di entrambi gli osti atrio-ventricolari nella stessa camera ventricolare principale attraverso un’unica valvola atrio-ventricolare o due osti separati (doppia entrata). La camera principale ha più spesso morfo-
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Fig. 9.9a-d. Canale atrio-ventricolare di tipo bilanciato (a,b) e sbilanciato (c,d).Canale A-V completo bilanciato.a In scansione 4-camere,si evidenziano l’atrio comune (CA) ed il singolo ostio AV,con i lembi aperti,in diastole.b Al color Doppler,si dimostra il singolo inflow A-V.c Canale A-V completo sbilanciato, per ipoplasia severa del ventricolo sinistro: in scansione 4-camere, si evidenziano l’ipoplasia severa del ventricolo sinistro, e la mancata apertura della parte sinistra della singola valvola AV.d Al color Doppler,si conferma il mancato riempimento del ventricolo sinistro,ipoplasico.CA,atrio comune;LA, atrio sinistro; LV,ventricolo sinistro; RV,ventricolo destro
logia sinistra, molto più raramente destra, o può essere indifferenziata. Nel primo caso vi può essere una camera ventricolare rudimentale che comunica attraverso il forame bulbo-ventricolare con il ventricolo principale (Fig. 9.10). L’atresia della valvola tricuspide è caratterizzata
dalla mancanza di connessione tra atrio destro e ventricolo destro che è ipoplasico, e pertanto funzionalmente può essere anch’essa considerata una cardiopatia con un solo ventricolo funzionale (Fig. 9.11). In entrambe le malformazioni la connessione ventricolo-arteriosa può essere discordante con malpo-
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
SVC
sizione delle grandi arterie (80% nella doppia entrata in ventricolo sinistro) o concordante (70% nell’atresia della tricuspide).
SVC
LA
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LA
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a SVC
LA
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Il cuore univentricolare e l’atresia della tricuspide rappresentano circa il 2% delle cardiopatie congenite sia in epoca pre- che postnatale [17]. Mentre nell’atresia della tricuspide le grandi arterie sono nella maggior parte dei casi (70%) normocorrelate, nel VU quasi sempre (80%) i vasi sono malposti (l’aorta origina dalla camera accessoria e la polmonare dalla camera principale) [18]. La lesione cardiaca più frequentemente associata in entrambe le anomalie con vasi normocorrelati è la stenosi polmonare, mentre se i vasi sono malposti può essere presente la coartazione aortica. Inoltre il VU può essere presente nelle sindromi con eterotassia. In epoca fetale nel 20% dei casi possono essere presenti malformazioni extracardiache, mentre il rischio di aneuploidia è basso (<3%).
Fisiopatologia
b Fig. 9.10a, b. a Rappresentazione schematica della connessione atrioventricolare ad ingresso comune o a doppio ingresso. b Camera principale a morfologia sinistra.La camera ventricolare rudimentale è priva di connessione con l’atrio e comunica con il ventricolo principale mediante il forame bulbo-ventricolare. SVC, vena cava superiore; IVC, vena cava inferiore; RA,atrio destro; RV,ventricolo destro; LA,atrio sinistro; LV,ventricolo sinistro
SVC
Il ventricolo unico e l’atresia della tricuspide sono cardiopatie congenite (CC) ben tollerate durante la vita fetale grazie alla presenza degli shunts fisiologici tra circolazione sistemica e polmonare. Il rischio di morte endouterina e di scompenso cardiaco (2-4%) è elevato solo nei casi associati a blocco atrio-ventricolare (BAV), peraltro raro ed associato alle sindromi eterotassiche. Alla nascita il quadro fisiopatologico dipende dalle lesioni cardiache associate con presenza di cianosi in caso di stenosi polmonare severa o viceversa iperafflusso polmonare e scompenso cardiaco nei casi senza ostruzione polmonare.
Diagnosi
LA
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RV IVC
Incidenza e anomalie associate
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Fig.9.11. Rappresentazione schematica dell’atresia della tricuspide.SVC, vena cava superiore;IVC,vena cava inferiore;RA,atrio destro;RV,ventricolo destro; LA,atrio sinistro; LV,ventricolo sinistro
La diagnosi di ventricolo unico viene effettuata sulla scansione 4-camere, dove si evidenziano due camere atriali che si connettono tramite valvole A-V indipendenti alla stessa camera ventricolare di tipo sinistro (Fig. 9.12a) o tramite una sola valvola A-V in un ventricolo di tipo indeterminato. La diagnosi di cuore univentricolare è relativamente semplice, ma risulta talvolta arduo identificare la presenza di una eventuale camera rudimentale accessoria. Quest’ultima, come accennato precedentemente, è solitamente di tipo destro e si localizza pertanto antero-superiormente al ventricolo principale. Il color Doppler, oltre a confermare il dato del bidimensionale, è utile nella ricerca delle possibili anomalie della connessione ventricolo-arteriosa. La diagnosi di atresia della tricuspide è relativamente semplice. L’esame ecocardiografico evidenzia in scansione 4-camere una prevalenza delle sezioni sinistre, con una camera ventricolare di tipo sinistro dominan-
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te, connessa tramite un evidente DIV ad un VD rudimentale, di dimensioni ridotte (Fig. 9.12b).Al posto della valvola tricuspide è evidente tessuto solido, talvolta iperecogeno, che sostituisce il normale complesso valvolare. Il color Doppler dimostra in modo chiaro l’assenza del flusso diastolico di riempimento ventricolare a destra (Fig. 9.12b).
Management ostetrico e modalità del parto Il parto può essere espletato spontaneamente tranne in caso di BAV, ma va pianificato in una struttura di III livello in tutti i casi.
Counseling cardiologico prenatale:trattamento, prognosi e qualità di vita Il tipo di correzione nel VU è sovrapponibile all’AT. Nelle forme di VU con iperaflusso polmonare refrattarie alla terapia medica antiscompenso (diuretici, ACE-inibitori e digitale) il primo intervento palliativo che deve essere eseguito nelle prime settimane di vita è il bendaggio dell’arteria polmonare. Nelle forme di VU con ipoafflusso polmonare il primo intervento palliativo che deve essere eseguito nei primi mesi di vita è lo shunt sistemico-polmonare me-
a
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diante un’anastomosi tra l’ arteria succlavia ed il ramo polmonare omolaterale con un tubo di Goretex (Blalock-Taussig modificata). Una recente alternativa terapeutica allo shunt è il posizionamento di uno stent nel dotto di Botallo in sala di emodinamica. Tra i tre ed i sei mesi di vita il piccolo verrà sottoposto al I stadio della correzione univentricolare che consiste nel creare una anastomosi tra la vena cava superiore e l’arteria polmonare destra (shunt bidirezionale secondo Glenn). Dopo tale intervento il paziente mostrerà un variabile grado di cianosi rispetto al quale ci si regola per il timing chirurgico del secondo intervento secondo Glenn che consiste nel dirigere anche il flusso proveniente dal distretto inferiore verso il ramo polmonare sinistro mediante un tubo extra- o intra-atriale (dopo i due anni di vita). L’intervento finale tipo Fontan richiesto per queste anomalie ha un rischio operatorio e quindi una mortalità precoce a 30 giorni che si è notevolmente abbassata negli ultimi anni. Infatti da un 15%-20% degli anni ’70 e ’80 è passato a 1-3% nel 2000 [19, 20]. Anche la prognosi a medio termine è migliorata, infatti le sopravvivenze a 5, 10, 15 e 20 anni sono rispettivamente
b
Fig. 9.12a, b. a Ventricolo unico a doppia entrata:in scansione 4-camere,si evidenziano i due atri che drenano attraverso due valvole A-V in una singola camera ventricolare. b Atresia della tricuspide: sempre in scansione 4-camere, il color Doppler dimostra l’atresia della valvola A-V di destra ed il piccolo DIV dell’inlet attraverso il quale si riempie il ventricolo destro.LA, atrio sinistro; LV, ventricolo sinistro; RA, atrio destro; RV, ventricolo destro; SV, ventricolo unico
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del 91%, 80%, 73%, 69% [20, 21]. A 16 anni dall’ intervento il 72,3% pratica un lavoro full-time, il 16% un lavoro part-time e solo il 3% non è in grado di lavorare [21].
cavità del ventricolo destro è normale (tripartito: inlet, trabecolare, outlet) con ipertrofia delle pareti, mentre nelle forme critiche il ventricolo destro sarà ipertrofico con ridotta cinesi globale e displasia della valvola tricuspide che appare insufficiente con atrio destro dilatato.
Anomalie del cuore destro
Management ostetrico e modalità del parto
Stenosi polmonare Definizione La stenosi polmonare è un’ostruzione all’efflusso polmonare che può essere localizzata a vari livelli: valvolare, sopravalvolare, sottovalvolare, dei rami polmonari. La forma di gran lunga più frequente è quella valvolare (SPV) di cui tratteremo in questo capitolo.
Incidenza ed anomalie associate La frequenza fetale e neonatale della stenosi valvolare polmonare isolata è intorno al 10%. Rara è l’associazione con malformazioni extracardiache. Nelle serie postnatali il 5% è associato alla sindrome di Noonan [4, 5]. La stenosi polmonare può essere associata con diverse altre anomalie cardiache come la trasposizione delle grandi arterie, l’atresia della tricuspide, il ventricolo unico e il ritorno venoso totale anomalo. È inoltre parte del quadro polimalformativo della tetralogia di Fallot. È stata segnalata anche come conseguenza della rosolia contratta in gravidanza.
Fisiopatologia Nelle forme moderate l’ostruzione all’efflusso destro determina ipoafflusso polmonare con aumento di pressione del ventricolo destro che si ipertrofizza, ma è ancora in grado di mantenere una gittata normale. L’anatomia del ventricolo destro è conservata con normale evidenza delle sue tre componenti (inlet, trabecolare e outlet). Nelle forme severe o critiche alla chiusura del dotto arterioso può verificarsi scompenso e cianosi. La stenosi polmonare critica può evolvere già in utero nel 12% circa dei casi per la riduzione del flusso ematico, verso l’atresia polmonare con ventricolo destro riduttivo.Indicatori prognostici negativi sono l’insufficienza della tricuspide con atrio destro dilatato e il reverse flow nel dotto arterioso.
Diagnosi Al bidimensionale, la valvola polmonare può apparire ispessita con doming sistolico o displasica ed ipomobile, mentre il calibro del tronco polmonare è generalmente conservato, o con lieve ectasia post-stenotica. Fondamentale è il ricorso al Doppler, color e pulsato, che dimostrano la turbolenza del flusso trans-valvolare e l’aumentata velocità trans-valvolare. In sezione 4-camere nella maggior parte dei casi la
In caso di diagnosi ecografica prenatale sono necessari controlli seriati ecocardiografici per la evolutività della patologia cardiaca. Il parto può avvenire spontaneamente presso una struttura di III livello; nei casi con associato rigurgito tricuspidalico severo, compromissione della funzione contrattile del ventricolo destro e segni di scompenso cardiaco fetale è consigliabile il taglio cesareo elettivo.
Counseling cardiologico prenatale:trattamento, prognosi e qualità di vita Le forme lievi (gradiente di pressione VD-AP<40 mmHg) [22] hanno un decorso e una prognosi benigna. La totalità dei soggetti sono asintomatici e la diagnosi viene posta nel corso di una visita routinaria. La crescita e lo sviluppo dei bambini è normale e la qualità di vita sovrapponibile alla popolazione normale. Le forme moderate (gradiente tra 40 e 70 mmHg) sono anch’esse asintomatiche nella maggior parte dei casi, ma possono evolvere in forme più severe. Le stenosi severe (oltre 70) vengono sottoposte a valvuloplastica con palloncino in sala di emodinamica [23]. La sopravvivenza a 25 anni è del 93% e capacità di esercizio fisico normale nel 90% dei casi. Nel 37% dei pazienti una residua moderata o severa insufficienza polmonare, ma essa è di solito clinicamente ben tollerata [24-26].
Atresia polmonare a setto intatto (APSI) Definizione L’atresia polmonare è caratterizzata dall’assenza della connessione ventricolo-arteriosa destra. Questa cardiopatia, in genere, associa all’imperforazione della valvola polmonare, caratterizzata da lembi displasici e fusi tra loro, il tronco polmonare ed i suoi rami di calibro discreto, anche se non mancano forme con ipoplasia spiccata della polmonare comune. In relazione allo stato della valvola tricuspidalica, il VD potrà presentarsi ipoplasico e a pareti ipertrofiche,se la tricuspide è ipoplasica e stenotica; ovvero dilatato e con pareti sottili se la tricuspide displasica è anche insufficiente (Fig. 9.13).
Incidenza e anomalie associate È una cardiopatia rara con incidenza fetale del 2-5% e neonatale del 2,5%. Rara è l’associazione con le anomalie cromosomiche e le malformazioni extracardiache.
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Ciò provoca diminuzione del flusso ematico in VD ed aumento del flusso attraverso il forame ovale. Nei casi di APSI con displasia della tricuspide e insufficienza, l’evoluzione è verso lo scompenso cardiaco. Dopo la nascita il flusso polmonare è garantito dal dotto arterioso; la chiusura progressiva del dotto determina aumento di cianosi fino all’exitus.Si tratta quindi di una cardiopatia congenita ad emergenza neonatale. La diagnosi prenatale di dotto dipendenza, selezionando i feti a rischio, può migliorare l’outcome postnatale. Nelle forme con ventricolo destro bipartito è frequente la presenza di connessioni ventricolo-coronariche (sinusoidi) e nel 10% di queste una circolazione coronarica dipendente dal ventricolo destro.
Diagnosi Fig.9.13. Rappresentazione schematica dell’atresia polmonare a setto intatto.SVC,vena cava superiore;IVC,vena cava inferiore;RA,atrio destro;RV, ventricolo destro; LA,atrio sinistro; LV,ventricolo sinistro
Tra le anomalie cardiache associate ricordiamo la presenza di fistole ventricolo-coronariche [4, 5].
Fisiopatologia Durante la vita fetale l’atresia della valvola polmonare, per il mancato efflusso ventricolare destro,determina ipertrofia e riduzione della compliance ventricolare destra.
a
Come per tutte le patologie della connessione ventricolo arteriosa destra, la diagnosi viene effettuata sulle scansioni asse lungo e corto di destra. Tuttavia, per la frequente associazione con alterazioni della tricuspide (displasia, insufficienza o Ebstein) (Fig. 9.14a) e per il possibile instaurarsi di scompenso (quando vi è un severo rigurgito tricuspidalico), spesso si osservano significative alterazioni della 4-camere. All’esame in bidimensionale, spesso si osserva displasia (iperecogenicità) della tricuspide, con possibile atriomegalia destra. Se la valvola A-V è stenotica, perché displastica, il VD presenta dimensioni ridotte; al contrario, se la valvola è insufficiente lo stesso ventricolo si presenterà dilatato (Fig. 9.14b). Possono coesistere versamento pericardico e pleurico
b
Fig. 9.14a, b. Quadri associati alla atresia polmonare a setto intatto.a Displasia severa della tricuspide:in scansione 4-camere si osservano la cardiomegalia,dovuta all’atriomegalia destra,e l’ispessimento displastico (punta di freccia) della valvola tricuspide,responsabile dell’insufficienza valvolare.b Malattia di Ebstein:in questo caso,il lembo settale della tricuspide,oltre che displasico,appare anche inserito più in basso che di norma (freccia).LA,atrio sinistro; LV,ventricolo sinistro; RA,atrio destro; RV,ventricolo destro
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Fig. 9.15a, b. a Displasia severa della tricuspide:al color Doppler si dimostra l’evidente insufficienza della valvola tricuspidalica displastica.b In caso di atresia polmonare a setto intatto, alla scansione dei 3 vasi il color Doppler dimostra il flusso inverso a livello dell’arteria polmonare.Ao, aorta ascendente; D,dotto arterioso; LA,atrio sinistro; Pa,arteria polmonare comune; RV,ventricolo destro da scompenso. In asse corto di destra si evidenzia la valvola polmonare atresica ed iperecogena mentre l’arteria polmonare comune, come accennato, può essere ipoplasica o quasi regolare. Alla valutazione con metodica color Doppler sulla 4-camere si evidenzia in modo eclatante l’insufficienza tricuspidalica, ove presente, con jet retrogrado in AD (Fig. 9.15a), mentre in asse corto non si riesce ad evidenziare il passaggio del sangue dall’infundibolo destro in arteria polmonare; sulla scansione dei 3 vasi, è possibile osservare il riempimento retrogrado del vaso dal dotto arterioso (Fig. 9.15b).
Management ostetrico e modalità del parto Sono raccomandate ecografie seriate per identificare i segni di eventuale scompenso cardiaco. È possibile il parto spontaneo a termine in struttura di III livello dotata di cardiologia pediatrica. In presenza di segni di scompenso cardiaco (insufficienza tricuspidalica severa, idrope e cardiomegalia) può essere necessario invece anticipare il parto mediante taglio cesareo di elezione.
Counseling cardiologico prenatale:trattamento, prognosi e qualità di vita La cardiopatia è tollerata in utero tranne i casi con insufficienza della valvola tricuspide che sono a rischio di scompenso in utero e morte endouterina. Alla nascita la prognosi è diversa a seconda delle dimensioni del ventricolo destro. La presenza di connes-
sioni ventricolo-coronariche, di VD ipoplasico e di basso peso al primo intervento rendono la prognosi sfavorevole. Le manifestazioni cliniche iniziano alla chiusura del dotto arterioso (cianosi, ipossiemia e acidosi metabolica). È necessario l’uso di prostaglandine (PG) per mantenere il dotto arterioso pervio (ricorrendo eventualmente alla atriosettostomia secondo Rashkind per consentire un adeguato mixing atriale in caso di insuccesso del trattamento medico). Stabilizzate le condizioni cliniche neonatali è indicata la terapia interventistica o chirurgica che deve essere modulata in base alle condizioni anatomo-funzionali del ventricolo destro. In caso di ventricolo destro ipoplasico la scelta del trattamento include diverse considerazioni. È importante misurare la volumetria del VD e le dimensioni dell’anulus tricuspidalico al fine di valutare la possibilità di correzione biventricolare o monoventricolare. Il primo obiettivo da raggiungere è la decompressione del VD nel più breve tempo possibile ad eccezione dei neonati con circolazione coronaria dipendente dal ventricolo destro. Ciò si ottiene con la perforazione della valvola con catetere a radiofrequenza. Tale tecnica è indicata in caso di APSI con infundibulo polmonare e VD bi/tripartito. Una volta decompresso il VD è utile l’osservazione clinica e l’infusione di PG per 10 giorni. Alla sospensione se persiste cianosi marcata si può mantenere il dotto pervio impiantandovi uno stent coronarico o ef-
Capitolo 9 • Cuore fetale normale e patologico • D.Paladini,M.G.Russo,M.Felicetti,R.Calabrò
fettuare uno shunt succlavio polmonare (anastomosi tra la succlavia e il ramo polmonare omolaterale). Tra i 6 mesi ed 1 anno di vita dopo questa procedura si effettua una chiusura dello shunt e si valutano le dimensioni del VD per la possibilità di correzione biventricolare nei casi in cui il VD è adeguato. Questa procedura può essere sufficiente a garantire una buona qualità di vita. Se il VD è inadeguato a sostenere la circolazione polmonare si deve effettuare la connessione cavo polmonare bidirezionale secondo Glenn e successivamente il completamento dell’intervento modificato di Fontan. La sopravvivenza a 15 anni è di circa il 70%. Il 90% dei pazienti operati è in buone condizioni cliniche; circa 1/3 non assume farmaci antiscompenso [27-30].
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9.14b). Nei casi eclatanti, la diagnosi di displacement del lembo valvolare settale è agevole, ma nei casi più sfumati può risultare arduo differenziare una displasia della tricuspide con normale inserzione dei lembi valvolari (Fig. 9.14a), da una displasia della tricuspide associata a malattia di Ebstein. L’insufficienza valvolare, spesso condiziona uno scompenso cardiaco, talora già presente al momento della diagnosi. Il color Doppler è utile nell’evidenziare l’eventuale insufficienza valvolare associata (Fig. 9.15a). È necessario ricordare in questa sede che va sempre controllata la giunzione ventricolo-arteriosa destra per la frequente associazione con l’atresia polmonare.
Management ostetrico e modalità del parto Malattia di Ebstein (ME) Definizione La malattia di Ebstein rappresenta la forma più grave di displasia della tricuspide, caratterizzata da un’anomalia di struttura e di inserzione di tutti i lembi valvolari. Come conseguenza di queste grossolane anomalie dei lembi della valvola tricuspide, questa è praticamente sempre insufficiente e, spesso, anche stenotica. L’inserzione bassa, ventricolare, riguarda le cuspidi settale e posteriore. Il livello della parete ventricolare sul quale si inserisce il lembo anomalo è variabile, potendo giungere in casi estremi anche alla banda moderatrice di Leonardo. La malattia di Ebstein si associa spesso a DIV singoli o multipli e ad atresia della polmonare.
Incidenza e anomalie associate La ME è abbastanza rara e presenta un’incidenza in epoca fetale minore dell’1% mentre alla nascita solo dell’0,005%. Il rischio di aneuploidie è abbastanza contenuto 1%5%. Raramente si associa a malformazioni extracardiache [4, 5].
Fisiopatologia La severità della ME dipende dal grado di dislocamento apicale dei lembi settale e posteriore della valvola tricuspide rispetto al normale attacco all’anulus atrioventricolare del lembo anteriore e dall’entità della displasia degli stessi lembi che causa l’insufficienza dell’apparato valvolare; infine dal grado di atrializzazione del ventricolo destro con sua conseguente ipoplasia funzionale.
L’espletamento del parto, spontaneo in assenza di controindicazioni ostetriche ed aritmie fetali, dovrebbe essere pianificato in una struttura di III livello, con una Cardiologia e Cardiochirurgia Pediatrica.
Counseling cardiologico prenatale:trattamento, prognosi e qualità di vita La precocità e la gravità del quadro clinico dipendono dall’entità della dislocazione dei lembi e dal processo displasico. Le forme lievi, a frequente riscontro occasionale, possono essere asintomatiche oppure manifestarsi con cianosi, dispnea, astenia, palpitazioni durante l’esercizio fisico. In alcuni casi si può riscontrare tachicardia sopraventricolare. Nelle forme severe, se non si ha morte endouterina del feto, i neonati presentano cianosi e scompenso cardiaco durante i primi giorni di vita. Circa il 18% dei neonati sintomatici non trattati muore nel periodo neonatale. Il 30% muore prima dei 10 anni di solito per scompenso cardiaco. Nel 15% dei casi si riscontrano episodi di tachicardia sopraventricolare. La correzione chirurgica è effettuata secondo Danielson o secondo Carpentieri (mediante l’utilizzo della porzione di ventricolo atrializzato: questo viene plicato a formare una pseudovalvola a singola cuspide), o tramite la sostituzione della valvola tricuspide con protesi meccanica o biologica a seconda dei casi. La mortalità operatoria per i diversi interventi varia tra il 5% e il 20% [31].
Anomalie del cuore sinistro Diagnosi La diagnosi, analogamente a quanto avviene per le altre patologie della giunzione atrio-ventricolare destra, viene effettuata in scansione 4-camere. Il piano valvolare A-V, e la crux del cuore, non vengono evidenziati, per l’anomala inserzione della valvola tricuspide (Fig.
Stenosi aortica Definizione Nell’ambito di questa cardiopatia possiamo distinguere una forma sottovalvolare (di solito dovuta ad ipertrofia miocardica asimmetrica in corso di cardiomiopatia iper-
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
trofica), una forma valvolare e, molto più raramente, una forma sopravalvolare (con morfologia a diaframma o a clessidra).
Incidenza e anomalie associate L’incidenza in epoca fetale è intorno al 6% dei casi e corrisponde a quella neonatale. Può essere isolata o associata a coartazione aortica (11%), valvulopatia mitralica (25%) e DIV che, se tutte presenti, configurano la sindrome di Shone. Nelle serie pre- e postnatali la forma valvolare si associa nel 5% dei casi alla sindrome di Turner; la forma sopravalvolare è frequentemente associata (70%) alla sindrome di Williams (ritardo mentale, faccia da “elfo”, stenosi dei rami polmonari) [4, 5].
Fisiopatologia A seconda del grado di ostruzione all’efflusso sinistro avremo quadri diversi di gravità della stenosi aortica. Durante l’epoca fetale l’ostacolo all’efflusso sinistro si ripercuote sempre sul ventricolo sinistro che diventa ipertrofico, permanendo inizialmente una buona cinesi. La stenosi valvolare critica (Fig. 9.16) che di seguito trattiamo (le forme moderate e lievi sono difficilmente diagnosticate in utero e sono generalmente ben tollerate anche in epoca postnatale) rappresenta un’evenienza abbastanza frequente. L’anello valvolare è generalmente di normale calibro e la stenosi è legata ad un’anomalia della struttura valvolare; infatti questa patologia riconosce alla base diverse alterazioni: valvola bicuspide, tricuspide stenotica o unicuspide.
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Nelle forme critiche, essendo l’ostruzione emodinamicamente significativa, l’aumento del post-carico provoca dilatazione del ventricolo (VS sinistro) con fibroelastosi endocardica, rigurgito mitralico associato e con cinesi globale ridotta che nei casi più gravi può indurre scompenso cardiaco e morte endouterina del feto. Si tratta quindi di una cardiopatia congenita evolutiva e ad emergenza neonatale in quanto la circolazione sistemica è dotto dipendente.Alla nascita la chiusura del dotto nei primi giorni o settimane di vita provoca scompenso cardiaco congestizio. La diagnosi prenatale di dotto dipendenza (reverse flow nell’arco aortico) è utile perché consente di selezionare i feti a rischio di rapido deterioramento delle condizioni emodinamiche in epoca neonatale; il loro tempestivo trasferimento in un reparto di cardiologia pediatrica tende senz’altro a ridurre la morbilità e migliorare la sopravvivenza globale [32].
Diagnosi Nella maggior parte dei casi di stenosi critica la diagnosi viene effettuata sulla 4-camere, laddove è virtualmente sempre presente una dilatazione massiva del VS (Fig. 9.17a); più raramente, si rinviene la forma evolutiva e cioè l’ipoplasia dello stesso ventricolo. Come conseguenza del severo danno miocardico secondario agli elevati regimi pressori, si osserva cardiomegalia con evidente dilatazione del VS, il cui miocardio è severamente ipocontrattile, con fibroelastosi endocardica secondaria (Fig. 9.17a). La diagnosi diretta della lesione valvolare viene effettuata in asse lungo di sinistra, dove l’aorta appare decisamente ipoplasica, misurando spesso 2-3 mm di diametro. Talvolta concomita scompenso cardiaco fetale. Il color Doppler sulla 4-camere evidenzia il mancato (Fig. 9.17a) o ridotto riempimento ventricolare sinistro e l’imponente insufficienza mitralica, quando associata. Sull’asse lungo di sinistra con difficoltà si dimostra flusso anterogrado in aorta ascendente. In caso di stenosi serrata, si associa spesso flusso inverso a livello dell’arco aortico, evidenziabile sulla scansione dei 3 vasi (Fig. 9.17b). Nei casi di stenosi moderata (non critica), la patologia resta confinata alla valvola senza determinare alterazioni di rilievo del tronco aortico e del ventricolo sinistro.
Management ostetrico e modalità del parto In caso di VS dilatato con compromissione della funzione contrattile e scompenso cardiaco fetale è indicato il taglio cesareo elettivo. In caso di VS ipertrofico e normocontrattile il parto può essere spontaneo.
Fig. 9.16. Rappresentazione schematica della stenosi aortica. SVC, vena cava superiore; IVC,vena cava inferiore; RA,atrio destro; RV,ventricolo destro; LA,atrio sinistro; LV,ventricolo sinistro
Counseling cardiologico prenatale:trattamento prognosi e qualità di vita La prognosi dipende dalla severità della stenosi, dalle di-
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Fig. 9.17a, b. Stenosi aortica critica. a In scansione 4-camere, si osservano: dilatazione ed ipocontrattilità del ventricolo sinistro, che mostra anche fibroelastosi endocardica (punte di freccia); il color Doppler dimostra assente riempimento A-V sinistro.b Alla scansione dei 3-vasi,se la stenosi è critica,si osserva flusso inverso a livello dell’arco aortico, che talvolta, come nel caso presente, è anche sede di coartazione.Ao, aorta ascendente; D, dotto arterioso; LV,ventricolo sinistro; Pa,arteria polmonare comune; RA,atrio destro
mensioni e dalla possibilità di recupero del ventricolo sinistro dopo il trattamento neonatale e dalla presenza di anomalie associate. Il neonato con stenosi aortica critica richiede un trattamento di urgenza senza il quale non è in grado di sopravvivere, infatti compaiono presto i sintomi dell’insufficienza cardiaca a bassa gittata per l’incapacità del ventricolo sinistro di aumentare l’output cardiaco e per la dipendenza della circolazione sistemica dalla pervietà del dotto arterioso. Il management neonatale consiste nel somministrare prostaglandine per mantenere la pervietà del dotto arterioso assicurando la perfusione sistemica con diuretici e inotropi (dobutamina). Stabilizzate le condizioni neonatali è necessario passare al più presto al trattamento che consiste nella valvuloplastica percutanea con palloncino. Questa tecnica permette, nei casi con ventricolo adeguato, una buona sopravvivenza a 5 anni (75% dei casi) con mortalità della procedura interventistica di circa il 9%. Nei bambini al di sopra dei due anni, in presenza di disfunzione del ventricolo sinistro si può praticare la sostituzione valvolare aortica con una sopravvivenza a 5 anni è del 75%. La valvuloplastica a palloncino è una procedura di tipo palliativo. Nel tempo si renderà, quasi sempre, necessario sostituire la valvola aortica oppure eseguire l’intervento di Ross che consiste nel sostituire la valvola aortica con la valvola polmonare e nel posizionamento di
un condotto valvolare biologico in sede polmonare. Tale procedura consente una sopravvivenza a 8 anni dall’intervento del 97,3% [33-39].
Coartazione aortica (CoA) Definizione La coartazione aortica è dovuta alla presenza di un diaframma a semiluna a livello dell’arco aortico, che ne determina una brusca riduzione del calibro; essa può essere associata ad ipoplasia tubulare della regione istmica o
Fig.9.18. Rappresentazione schematica della coartazione dell’arco aortico
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
anche estesa alla porzione traversa dell’arco. È caratterizzata da un restringimento localizzato (shelf) a livello della parete posterolaterale dell’istmo aortico (Fig. 9.18).
Incidenza e anomalie associate La coartazione aortica isolata rappresenta il 4-7% delle cardiopatie congenite in epoca pre- e postnatale, ma in associazione ad altre anomalie cardiache la sua incidenza è più elevata. Sia la coartazione che l’ipoplasia aortica sono spesso associate ad altre lesioni intra-cardiache. Le più frequenti sono la valvola aortica bicuspide, il difetto interventricolare, la stenosi valvolare aortica e/o mitralica. Quando è associata ad anomalie della mitrale e alla stenosi subaortica può far parte del quadro clinico della sindrome di Shone [4, 5].
Fisiopatologia In epoca prenatale la CoA isolata, per la presenza di shunt fisiologici, è ben tollerata. Il quadro fisiopatologico alla nascita varia in relazione all’entità dell’ostruzione. Nelle forme più severe, la coartazione aortica determina un sovraccarico di pressione del ventricolo sinistro che può mostrare una riduzione della funzione di pompa con conseguente dilatazione dello stesso. Inoltre, il circolo sistemico posto a valle dell’istmo aortico è dipendente dallo shunt destro-sinistro a livello del dotto di Botallo (dotto-di-
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pendenza del circolo sistemico) e dalle resistenze polmonari, per cui la chiusura del dotto e la riduzione delle resistenze polmonari induce una ipoperfusione severa, in particolare a livello renale, e scompenso cardiaco (epatomegalia, dispnea, oliguria e acidosi). È presente anche l’ipertensione del distretto arterioso a monte della coartazione.
Diagnosi In relazione all’evolutività della lesione e alla possibile assenza di modificazioni significative della 4-camere, la diagnosi ecocardiografica di coartazione aortica in epoca prenatale è molto ardua. Essa si basa principalmente su segni indiretti rappresentati da una modica dilatazione ed ipertrofia del VD ed una chiara prevalenza della polmonare rispetto all’aorta ascendente (Figg. 9.19 e 9.20). Il riscontro di un DIV deve invece far sospettare la presenza di un’interruzione dell’arco, specialmente se il DIV è sotto-aortico. La diagnosi diretta si basa sulla dimostrazione, nella scansione dei 3 vasi, di una cospicua riduzione di calibro dell’arco trasverso (Figg. 9.19b e 9.20b). Va sottolineato, inoltre, come la coartazione aortica rappresenti una delle fonti principali di falsi negativi in ecocardiografia fetale. A proposito di quest’ultima notazione, può essere utile ricordare le conclusioni di uno studio britannico sulla diagnosi di coartazione aortica: le forme gravi ad insor-
b
Fig. 9.19a, b. Coartazione aortica.a Sulla scansione 4-camere, si osserva evidente prevalenza delle camere di destra, segno indiretto della coartazione aortica.b Sulla scansione dei 3-vasi,si dimostra l’ipoplasia dell’arco aortico,che mostra diametro praticamente dimezzato rispetto alla vicina arteria polmonare.Ao,aorta ascendente; D,dotto arterioso; LA,atrio sinistro; Pa,arteria polmonare comune; RV,ventricolo destro; SVC,cava superiore
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Fig.9.20a, b. Coartazione aortica.Al color Doppler,si dimostrano:ridotte dimensioni del cuore di sinistra.a Ipoplasia severa di tutta la parte trasversa dell’arco aortico.b Ao,aorta ascendente; LA,atrio sinistro; Pa,arteria polmonare comune; RV,ventricolo destro
genza precoce sono spesso diagnosticate nel secondo trimestre, con una discreta accuratezza diagnostica. Al contrario, le forme ad insorgenza tardiva e le forme lievi sono compatibili con un esame ecocardiografico perfettamente normale nel III trimestre. Infatti, per la fisiologica prevalenza delle sezioni destre e per la frequente prominenza dell’istmo aortico nell’ultimo periodo di gestazione, la diagnosi di coartazione aortica nel III trimestre è praticamente impossibile [40-42]. In conclusione, va sottolineato come molta attenzione debba però essere posta nell’eseguire la valutazione ecocardiografica nei casi in cui viene sospettata una coartazione aortica, poiché una seconda lesione cardiaca è presente in più del 70% dei casi.
Management ostetrico e modalità del parto Non è necessario eseguire il taglio cesareo. È consigliabile che l’espletamento del parto avvenga in una struttura di III livello in tutti i casi di sospetta patologia dell’arco aortico.
Counseling cardiologico prenatale:trattamento, prognosi e qualità di vita In epoca prenatale la CoA isolata è ben tollerata e non causa scompenso cardiaco.
Alla nascita, il primo sussidio terapeutico è la somministrazione di farmaci (prostaglandine) per mantenere pervio il dotto di Botallo. Inoltre, qualora compaiano segni clinici di scompenso cardiaco, occorre somministrare diuretici e farmaci inotropi positivi (dobutamina). La coartazione critica del neonato o del lattante, specie se associata a gravi segni di scompenso ed ipoperfusione renale, deve essere sottoposta tempestivamente a correzione chirurgica con resezione del tratto coartato e anastomosi termino-terminale o termino-laterale, o l’aortoplastica con patch, eseguibili in toracotomia sinistra e senza ausilio di circolazione extra-corporea (CEC). I casi con ipoplasia estesa dell’arco trasverso e le interruzioni dell’arco aortico richiedono un intervento per via sternotomica in CEC e con arresto di circolo. La prognosi dopo la nascita dipende dalla gravità dell’ostruzione e dalla presenza di anomalie associate. Il trattamento chirurgico è gravato da una mortalità operatoria intorno al 2%. In circa il 40% dei pazienti sottoposti a trattamento chirurgico con anastomosi termino-terminale si rileva una recoartazione a distanza nel 2-24% dei casi. La CoA può anche essere trattata mediante dilatazione in sala di emodinamica mediante angioplastica con o senza applicazione di stent. Un’altra
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complicanza possibile derivante dall’intervento chirurgico è la formazione di aneurismi a livello della zona decoartata (4-38% nei pazienti operati di aortoplastica con patch). Inoltre, anche in presenza di una correzione adeguata, è possibile il riscontro di ipertensione arteriosa (10-50%), più frequente nei soggetti operati tardivamente. Studi sulla qualità di vita dei pazienti operati di coartazione aortica dimostrano il buon risultato a distanza della chirurgia [43].
SVC
LV
Sindrome del ventricolo sinistro ipoplasico (HLH, Hypoplastic Left Heart) Definizione La sindrome del cuore sinistro ipoplasico oltre alla costante presenza di cavità sinistre di piccole o di piccolissime dimensioni, si associa ad un quadro variabile di anomalie mitro-aortiche sempre presenti (atresia aortica, ipoplasia-atresia mitralica) (Fig. 9.21).
Incidenza Tale patologia rappresenta il 12% delle cardiopatie in epoca prenatale e il 4% in epoca postnatale. Tale differenza di frequenza è dovuta alla relativa “faciltà” della diagnosi fetale che si effettua con la scansione 4-camere. Raramente si ritrova associata ad anomalie extracardiache [4, 5].
Fisiopatologia La sindrome del cuore sinistro ipoplasico è una lesione dotto dipendente; pertanto alla nascita la progressiva chiusura del dotto provoca scompenso cardiaco ed exitus.
a
LA
RA
IVC
RV
Fig. 9.21. Rappresentazione schematica del ventricolo sinistro ipoplasico.SVC,vena cava superiore;IVC,vena cava inferiore;RA,atrio destro;RV,ventricolo destro; LA,atrio sinistro; LV,ventricolo sinistro
Diagnosi La diagnosi ecocardiografica viene effettuata sulla scansione 4-camere, sulla quale si evidenzia la sproporzione tra sezioni destre normo-rappresentate e sinistre ipoplasiche (Fig. 9.22a). In realtà, in relazione alla gravità dell’ostruzione mitralica ed alla eventuale presenza di un DIV, il VS può essere di dimensioni variabili, da cavità virtuale a ipoplasico. Può coesistere fibroelastosi endocardica. In asse lungo sinistro, spesso si evi-
b
Fig. 9.22a, b. Sindrome del cuore sinistro ipoplasico.a In scansione 4-camere, si evidenzia severa ipoplasia del ventricolo sinistro, che mostra anche segni di fibroelastosi endocardica.b In scansione 3-vasi,si evidenzia la severa ipoplasia tubulare dell’arco aortico,associata quasi sempre al ventricolo sinistro ipoplasico.Ao,aorta ascendente; LA,atrio sinistro; Pa,arteria polmonare comune; RV,ventricolo destro; freccia,trachea
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Fig. 9.23a, b. Sindrome del cuore sinistro ipoplasico.a In scansione 4-camere, al color Doppler si evidenzia l’assente riempimento ventricolare sinistro, dovuto alla stenosi serrata/atresia mitralica.b In scansione 3-vasi,il color Doppler dimostra la severa ipoplasia tubulare dell’arco aortico e flusso inverso a livello dell’arco (freccia).Ao,aorta ascendente; LA,atrio sinistro; Pa,arteria polmonare comune; RV,ventricolo destro
denzia con difficoltà l’aorta ascendente severamente ipoplasica o atresica, mentre sulla scansione dei 3 vasi si osserva la costante severa ipoplasia di tutto l’arco aortico (Fig. 9.22b). Il color Doppler evidenzia un’unica connessione A-V per l’ipoplasia severa o l’atresia della valvola mitrale (Fig. 9.23a). Inoltre, si evidenzia inversione del flusso a livello del forame ovale (come conseguenza dell’ostruzione mitralica) ed a livello dell’arco aortico, che è anche spesso sede di severa coartazione (Fig. 9.23b).
Management ostetrico e modalità del parto Tale cardiopatia non costituisce un’indicazione al taglio cesareo d’elezione. La maggior parte dei neonati non richiede manovre rianimatorie in sala parto. In alcuni casi, però, è richiesto il taglio cesareo d’urgenza e la settostomia nelle prime ore di vita perché il feto presenta segni di scompenso cardiaco quando il forame ovale è restrittivo [32, 44].
Counseling cardiologico prenatale:trattamento, prognosi e qualità di vita In epoca prenatale la cardiopatia è ben tollerata per la presenza degli shunt fisiologici. In assenza di trattamento, quasi il 95% dei neonati muore entro il primo mese di vita. La terapia medica è di supporto al neonato fino all’intervento [45]. Questa consiste nell’infusione di pro-
staglandine-E per assicurare la pervietà del dotto arterioso e, quindi, la circolazione sistemica. Come in tutte le cardiopatie dotto-dipendenti la somministrazione di O2 è assolutamente controindicata. Il trattamento chirurgico consiste nella settostomia interatriale ed eventualmente nell’introduzione di uno stent per mantenere pervio il dotto di Botallo. Nel primo stadio della correzione palliativa (intervento di Norwood) si realizza uno shunt sistemico-polmonare tra la succlavia destra e l’arteria polmonare, la quale viene sezionata in lungo e suturata con l’arco aortico. In alcuni centri si preferisce modificare questo I stadio interponendo un condotto tra il ventricolo destro e l’arteria polmonare (intervento di Sano con possibilità di raggiungere il II stadio: 80%) [46, 47].A circa 6 mesi di vita si esegue il secondo stadio che consiste in un’anastomosi tra cava superiore e arteria polmonare destra (Glenn) e dopo i due anni, in relazione al grado di cianosi, si esegue la connessione cavopolmonare totale, per mezzo di un tubo intracardiaco. La cardiopatia tuttavia presenta ancora una alta mortalità operatoria e la sopravvivenza globale, dopo i tre interventi è del 54% a 4 anni. La qualità di vita dei bambini con HLH può essere inficiata da danni cerebrali occorsi durante il periodo intraoperatorio (circa il 18% dei pazienti ha un QI<70).Viceversa in uno studio è riportata un’alta percentuale (80%) di bambini dopo il II stadio della correzione chirurgica ben inseriti nella scuola e con una buona qualità di vita [48, 49].
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Cardiopatie tronco-conali
Fisiopatologia
Tetralogia di Fallot (TF) e sue varianti Definizione Nel feto gli elementi che caratterizzano la tetralogia sono in realtà solo tre per l’assenza dell’ipertrofia del ventricolo destro che si stabilisce solo durante la vita postnatale (Fig. 9.24) L’elemento morfologico essenziale di questa cardiopatia è la deviazione anteriore più o meno accentuata del setto infundibolare. Ne conseguono la stenosi polmonare, sempre infundibolare e spesso anche valvolare, il difetto inter-ventricolare (DIV) subaortico, dovuto al malallineamento delle due porzioni del setto, cioè l’infundibolare superiormente e la trabecolare inferiormente, e, infine, il cavalcamento aortico sul difetto con destroposizione aortica. Nel caso in cui la stenosi infundibolare è estrema sino all’atresia del vaso si parla di atresia polmonare con DIV che rappresenta la forma estrema di TF. Un’altra rara variante di TF che ne peggiora la prognosi è l’agenesia della valvola polmonare associata.
Incidenza e fisiopatologia La tetralogia di Fallot è la più comune cardiopatia congenita cianogena, la terza per frequenza tra tutte le cardiopatie (11%). Può associarsi a malformazioni extracardiache in particolare gastrointestinali (ernia diaframmatica, atresia duodenale, onfalocele) ad anomalie cromosomiche (trisomia 21 e 13) e a sindromi quale la microdelezione del cromosoma 22 [4, 5].
SVC
L’ipoafflusso polmonare e lo shunt destro-sinistro (ventricolo destro-aorta), che derivano dal quadro malformativo, determinano desaturazione sistemica con conseguente cianosi. L’entità della cianosi è proporzionale al grado di ostruzione all’efflusso del ventricolo destro.
Diagnosi La diagnosi di TF, come per tutte le patologie della giunzione ventricolo-arteriosa, non può essere effettuata sulla scansione 4-camere. Pertanto, è necessario ricorrere alla scansione asse lungo di sinistra dove si osservano il DIV alto con malallineamento e un’ampia aorta ascendente a cavaliere del difetto (Fig. 9.25a). L’ipertrofia del VD manca completamente, la stenosi infundibolare non è un reperto costante e, quindi, la stenosi polmonare viene sospettata all’esame bidimensionale quando il diametro di questo vaso è inferiore a quello dell’aorta (Fig. 9.25b). Poco aggiungono le valutazioni con color Doppler e pulsato. Quanto alla diagnosi differenziale questa va effettuata con il truncus e con il ventricolo destro a doppia uscita. Pertanto, ove si riscontri un cavalcamento aortico, se la polmonare è connessa al VD la diagnosi è di TF; se questa è atresica, si tratta di atresia polmonare con DIV; se la polmonare si diparte dal singolo vaso emergente, si tratta di truncus; se, invece, il cavalcamento aortico è >50%, in assenza di stenosi polmonare, la distinzione in utero con il ventricolo destro a doppia uscita è molto ardua, dal momento che anche questa patologia può essere associata ad anomalie della polmonare. In caso di valvola polmonare assente, il color Doppler mostrerà il cospicuo rigurgito in VD dovuto all’insufficienza valvolare. La TF spesso si associa ad anomalie extra-cardiache e cromosomiche che determinano un alto tasso di mortalità perinatale.
Management ostetrico e modalità del parto PS
AVOD
LA RA
VSD IVC
RV
LV
Fig.9.24. Rappresentazione schematica della tetralogia di Fallot.SVC,vena cava superiore;IVC,vena cava inferiore;RA,atrio destro;RV,ventricolo destro; LA, atrio sinistro; LV, ventricolo sinistro; VSD, difetto interventricolare (Ventricular Septal Defect);AVOD,aorta a cavaliere (Aortic Valve Overriding Defect); PS,stenosi polmonare (Pulmunary Stenosis)
Il management ostetrico della TF prevede accurati e seriati controlli ecografici per l’evolutività della lesione. È consigliabile pianificare l’espletamento del parto, spontaneo in assenza di controindicazioni ostetriche, presso un centro di III livello cardiologico pediatrico.
Counseling cardiologico prenatale:trattamento, prognosi e qualità di vita La storia naturale è variabile e nelle forme isolate è in gran parte legata all’entità dell’ostruzione all’efflusso destro che determina desaturazione sistemica con cianosi. Se non trattati, il 25% dei pazienti muoiono nel primo anno di vita, il 40% entro il terzo anno ed il 95% entro i 40 anni. In caso di cianosi severa si ricorre all’intervento palliativo di shunt succlavio-polmonare con un tubo di Goretex di 5 mm che anastomizza il ramo destro della pol-
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Fig.9.25a, b. Tetralogia di Fallot.a In asse lungo di sinistra,si osservano il DIV in malallineamento e l’aorta a cavaliere dello stesso.b In asse lungo di destra,si osserva il ridotto calibro dell’arteria polmonare,dovuto alla stenosi infundibolare caratteristica del Fallot.Ao,aorta ascendente;LV,ventricolo sinistro; Pa,arteria polmonare comune; RV,ventricolo destro
monare con la succlavia omolaterale. Tale soluzione temporanea migliora l’ipossia e la cianosi, riduce i sintomi, permette la crescita dei rami polmonari in previsione dell’intervento di correzione radicale ed aumenta la sopravvivenza. Recentemente un’alternativa all’intervento palliativo è il posizionamento di uno stent nel dotto di Botallo per via percutanea in sala di emodinamica in modo da assicurare un flusso aggiuntivo dall’aorta ai rami dell’arteria polmonare. Quando la TF si manifesta con cianosi lieve-moderata è possibile attendere 6-12 mesi prima di effettuare la correzione radicale che prevede la chiusura del DIV con patch in Dacron e la disostruzione dell’efflusso ventricolare destro mediante la infundibulolisi, la sola commissurotomia polmonare se l’anulus è di dimensioni adeguate, o viceversa l’interposizione di un patch transanulare o di un homograft in posizione polmonare. In circa il 30-40% dei casi a distanza di decenni dall’intervento si rende necessario un reintervento per la presenza di insufficienza polmonare severa postoperatoria. Un’altra complicanza post operatoria tardiva è l’insorgenza di aritmie (rischio di morte improvvisa per aritmie ventricolari del 6% a 30 anni dall’intervento, tachicardia sopraventricolare nel 10% dei pazienti studiati a 12 anni dall’intervento). Oggi la maggior parte dei pazienti è operata di correzione radicale precoce con bassa mortalità e scomparsa dei sintomi. La sopravvivenza a 30 anni dalla correzione chirurgica è di circa il
90%. Quando il trattamento chirurgico ripristina una buona funzione emodinamica, i pazienti avranno una vita essenzialmente normale con regolare tolleranza allo sforzo, normale vita scolastica e/o lavorativa. Lo sport agonistico è comunque controindicato [50-53].
Doppia uscita dal ventricolo destro (DORV) Definizione Questa cardiopatia si caratterizza per l’emergenza di entrambi i grossi vasi, o di almeno il 50% di uno dei due e la totalità dell’altro vaso dal ventricolo di destra. Con la dizione DORV ci si riferisce ad un ampio spettro di lesioni, a seconda della posizione relativa del DIV e dei grossi vasi fra loro (Fig. 9.26).
Incidenza Rappresenta il 3-6% delle cardiopatie diagnosticate in epoca prenatale e il 2% di quelle postnatali [4, 5].
Fisiopatologia A seconda della posizione del difetto interventricolare (DIV), la DORV può essere divisa in 4 tipi differenti: 1) DIV sottoaortico e stenosi polmonare (la fisiopatologia è sovrapponibile alla tetralogia di Fallot); 2) DIV sottopolmonare e vasi malposti (come TGA con DIV); 3) DIV sottoaortico e vasi malposti e stenosi polmonare (TGA+DIV+stenosi polmonare: 4) DIV sottoaortico senza stenosi polmonare (ampio DIV). Il DIV può
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può essere in normale relazione spaziale rispetto alla polmonare, ovvero destroposta, come nella TF (Fig. 9.27a). Sebbene la diagnosi ecocardiografica sia prettamente bidimensionale, il color Doppler può contribuire alla definizione delle connessioni ventricolo-arteriose e può dare conferma dell’eventuale presenza di stenosi polmonare (Fig. 9.27b). Anche in questo caso è frequente l’associazione con anomalie extra-cardiache e con aneuploidie, per cui è indicata l’esecuzione del cariotipo fetale. Per gli altri tipi di DORV si rimanda al paragrafo sulla trasposizione delle grandi arterie.
SVC
RA
Ao
Pa
LA
IVD IVC
RV
LV
Management ostetrico e modalità del parto Tale cardiopatia non costituisce un’indicazione al taglio cesareo d’elezione pertanto il parto può avvenire spontaneamente.
Fig.9.26. Rappresentazione schematica della doppia uscita dal ventricolo destro. SVC, vena cava superiore; IVC, vena cava inferiore; RA, atrio destro; RV,ventricolo destro; LA, atrio sinistro; LV,ventricolo sinistro; Ao,aorta; Pa,arteria polmonare; SVD, difetto interventricolare
trovarsi anche lontano dalle valvole semilunari (DIV non committed).
Diagnosi La diagnosi di DORV con DIV sottoaortico viene effettuata sugli assi lunghi, ove si evidenzia che l’aorta è connessa prevalentemente al VD, in presenza di DIV; essa
a
Counseling cardiologico:trattamento, prognosi e qualità di vita La prognosi dipende fortemente dal tipo anatomico di DORV. Nella forma solo con DIV sottoaortico e vasi normoposti è indicata la chiusura del DIV in epoca postnatale precoce per il possibile istaurarsi dell’ipertensione polmonare. Se il neonato è di basso peso e vi è un ritardo dell’accrescimento ponderale si renderà necessario eseguire prima l’intervento palliativo di bendaggio dell’arteria polmonare. La forma con DIV sottoaortico e stenosi polmonare è sottoposta alla correzione chirurgica come per la TF. Nelle forme con DIV sottopolmonare e vasi trasposti si esegue l’intervento
b
Fig. 9.27a, b. Ventricolo destro a doppia uscita.a Al bidimensionale,si evidenziano entrambi i vasi arteriosi,mal posti,connessi al ventricolo destro,con stenosi della arteria polmonare.b Il color Doppler conferma la doppia uscita da destra e dimostra accelerazione di flusso a livello dell’arteria polmonare. Ao,aorta ascendente; LV,ventricolo sinistro; Pa,arteria polmonare comune; RV,ventricolo destro
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di switch arterioso e chiusura del DIV (vedi TGA). Nella DORV con vasi malposti, DIV e stenosi polmonare il trattamento è sovrapponibile a quello della TGA con DIV e stenosi polmonare [54, 55].
Truncus arterioso (TA) Definizione L’elemento morfologico che caratterizza questa cardiopatia è rappresentato dalla presenza di un unico grosso vaso arterioso, posto a cavallo di un difetto del setto inter-ventricolare e connesso con entrambi i ventricoli di solito in maniera bilanciata, che dà origine alla circolazione polmonare, sistemica e coronarica (Fig. 9.28).
Incidenza e anomalie associate Nelle casistiche pre- e postnatali il truncus arteriousus è una cardiopatia congenita relativamente rara infatti rappresenta l’1,2% di tutti i difetti cardiaci in epoca pediatrica e l’1,2-1,4 % in epoca fetale. Si associa spesso ad altre cardiopatie congenite tra cui le più frequenti sono l’interruzione dell’arco aortico, l’assenza di un arteria polmonare, il difetto del setto interatriale. L’incidenza di aneuploidie varia dal 15-28% dei casi e la presenza di microdelezione del cromosoma 22 è del 33% dei soggetti [17, 18, 56].
Fisiopatologia In epoca prenatale il truncus non comporta generalmente particolari modificazioni emodinamiche. La fisiopatologia di tale CC e quindi il quadro clinico alla nascita dipendono dalla presenza o meno di ostruzione al flusso polmonare e dalle eventuali lesio-
ni cardiache associate (interruzione dell’arco aortico, coartazione aortica e significativa steno-insufficienza della valvola truncale). Nella variante con assenza di ostruzione al flusso polmonare, dopo il calo fisiologico delle resistenze polmonari, si verifica l’insorgenza di precoce scompenso cardiaco che nel neonato si manifesta con dispnea, polipnea, rientramenti intercostali, rantoli crepitanti ed epatomegalia.
Diagnosi Anche il truncus, come le altre patologie della giunzione ventricolo-arteriosa, non determina, di solito, significative alterazioni rilevabili mediante la scansione 4camere. Pertanto, la diagnosi viene posta in asse lungo di sinistra, dove si evidenzierà un singolo vaso di tipo aortico (caratterizzato cioè dall’emergenza dei vasi del collo) a cavaliere di un difetto del setto interventricolare (Fig. 9.25a). Frequentemente vi è un breve tronco polmonare che dà origine a due rami (tipo I Edwards). Alternativamente sul vaso truncale vi sono due orifici separati da cui nascono le arterie polmonari lato a lato (tipo II). Il tipo III, molto più raro, è caratterizzato dall’emergenza delle arterie polmonari dai lati opposti del vaso truncale. Occasionalmente un solo ramo polmonare origina dal vaso truncale (emitruncus). In caso di truncus, infatti, si osserverà l’emergenza del tronco polmonare principale o delle arterie polmonari destra e sinistra dal vaso arterioso truncale. Il Doppler, color e pulsato, permette inoltre di valutare la continenza dell’ostio valvolare e la frequente presenza di insufficienza della valvola truncale. Come per le altre anomalie del cono-tronco, è elevata l’incidenza di aberrazioni cromosomiche.
Management ostetrico e modalità del parto
SVC
In assenza di altra patologia associata è possibile il parto spontaneo a termine di gravidanza che va espletato tuttavia in una struttura di III livello a causa della rapidità con cui può instaurarsi lo scompenso cardiaco o viceversa la cianosi in caso di ostruzione severa al flusso polmonare.
Ao PT LA RA
CAT
IVD IVC
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RV
LV
Fig. 9.28. Rappresentazione schematica del truncus. SVC, vena cava superiore; IVC, vena cava inferiore; RA, atrio destro; RV, ventricolo destro; LA,atrio sinistro;LV,ventricolo sinistro;SVD,difetto interventricolare;Ao,aorta; PT,tronco polmonare; CAT,tronco arterioso comune
Counseling cardiologico prenatale:trattamento, prognosi e qualità di vita Il truncus richiede la correzione chirurgica per prevenire l’insorgenza di ipertensione polmonare e l’evoluzione in scompenso cardiaco. Infatti il TA non operato ha una mortalità del 50% entro il primo mese di vita (sopravvivenza ad un anno nel 15% dei casi). Nei bambini asintomatici o ben controllati dal trattamento medico (diuretici,ACE-inibitori e digitale) l’indicazione alla correzione radicale va posta dopo il primo mese di vita. Nei casi con ostruzione severa al flusso polmonare il primo intervento è lo shunt sistemico-
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polmonare. La correzione chirurgica si esegue nei primi tre mesi di vita e consiste nel distacco dell’arteria o delle arterie polmonari dal truncus e ricostruzione dell’aorta, chiusura del DIV e ricostruzione della continuità tra il ventricolo destro e l’arteria o le arterie polmonari mediante un omoinnesto “valvolato” o alternativamente di un condotto di Dacron contenente una valvola porcina. La mortalità operatoria è inferiore al 10% nel caso in cui la valvola truncale è normofunzionante e in caso di assenza di anomalie associate [57]. Infatti la presenza di coartazione aortica o interruzione dell’arco aortico, anomalie della valvola truncale (stenosi e/o insufficienza) modificano il quadro fisiopatologico, la mortalità operatoria e la prognosi. Altri fattori prognostici negativi sono l’associazione con anomalie coronariche, il tipo di truncus (III tipo), il ridotto calibro dei rami polmonari, il basso peso al momento dell’intervento chirurgico. Le sopravvivenze a 5, 10 e 15 anni dall’intervento sono rispettivamente del 90%, 85% e dell’83% [58] e circa il 19% dei piccoli pazienti è sottoposto a nuovo intervento o per sostituire il condotto o l’homograft o per sostituire la valvola truncale che è diventata molto insufficiente. La qualità di vita è buona infatti la maggioranza dei pazienti è in buon compenso emodinamico a 20 anni dall’intervento di correzione radicale [58].
SVC
Ao Pa LA
RA
RV
LV
IVC
Fig. 9.29. Rappresentazione schematica della trasposizione delle grandi arterie.SVC, vena cava superiore; IVC, vena cava inferiore; RA, atrio destro; RV, ventricolo destro; LA, atrio sinistro; LV, ventricolo sinistro; Ao, aorta; Pa,arteria polmonare
La trasposizione completa dei grossi vasi si caratterizza per la discordanza ventricolo-arteriosa. In particolare l’elemento morfologico distintivo di questa cardiopatia è rappresentato dall’emergenza dell’aorta dal VD e dell’arteria polmonare dal VS (Fig. 9.29).
sociano altre lesioni cardiache come la stenosi polmonare. Durante la vita fetale, per la presenza degli shunt fisiologici la TGA non comporta modificazioni emodinamiche significative, ma dopo la nascita la sopravvivenza è garantita solo dalla pervietà del forame ovale e del dotto arterioso, che consentono il mixing del sangue venoso con quello arterioso. La TGA rappresenta, quindi, un’emergenza neonatale; la maggior parte dei neonati presenta cianosi severa e tutti richiedono trattamento chirurgico.
Incidenza e anomalie associate
Diagnosi
La trasposizione delle grandi arterie presenta un’incidenza fetale e neonatale del 5%. Minima è la percentuale di associazione a malformazioni extracardiache e a cromosomopatie. Nel 50% dei casi sono presenti anomalie cardiache associate: difetto interventricolare (40%), stenosi polmonare (5-40%), coartazione aortica (5%) [4, 5].
In utero la TGA necessita della visualizzazione del mancato incrocio (cross-over) di aorta e polmonare, che appariranno parallele (Fig. 9.30a). È necessario, inoltre, identificare il vaso anteriore come aorta (vasi del collo) e quello posteriore come polmonare (biforcante ad angolo acuto). In asse lungo sinistro è possibile evidenziare il DIV associato in circa la metà dei casi. Di fondamentale importanza, nella diagnosi di TGA, è l’identificazione della connessione atrio-ventricolare. In particolare bisogna confermare che il ventricolo posto a destra sia morfologicamente un ventricolo destro (trabecola setto-marginale) per impianto basso della tricuspide: in caso contrario, la diagnosi sarebbe quella di trasposizione corretta dei grossi vasi (vedi dopo). L’impiego del color Doppler può aiutare nello studio della connessione ventricolo-arteriosa (Fig. 9.30b) e nell’evidenziazione dell’eventuale stenosi polmonare associata.
Trasposizione delle grandi arterie (TGA) Definizione
Fisiopatologia Nella TGA il circolo risulta funzionalmente trasposto con presenza, dopo la nascita, di due circoli distinti, in parallelo fra loro, anziché in serie, come di norma. Possiamo distinguere due varianti di TGA: una forma “semplice” con setto inter-ventricolare integro e comunicazione fra i due circoli, polmonare e sistemico, a livello del forame ovale e del dotto; l’altra variante è associata a difetti del setto inter-ventricolare (DIV). Spesso si as-
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a
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b
Fig. 9.30a, b. Trasposizione dei grossi vasi.a Al bidimensionale,si evidenzia la discordanza ventricolo-arteriosa,con vasi paralleli ed aorta anteriore che emerge dal ventricolo destro e polmonare posteriore che emerge dal ventricolo sinistro.b Il color Doppler conferma la discordanza ventricolo arteriosa e dimostra assenza di stenosi valvolare semilunare.Ao,aorta ascendente; LV,ventricolo sinistro; Pa,arteria polmonare comune; RV,ventricolo destro
Management ostetrico e modalità del parto Il management ostetrico non viene mutato dalla presenza della malformazione e quindi non vi è necessità di ricorrere al taglio cesareo; trattandosi di una cardiopatia ad emergenza neonatale è invece d’obbligo far partorire la gestante in un centro di III livello, in modo da assistere opportunamente e tempestivamente il neonato.
Counseling cardiologico prenatale:trattamento prognosi e qualità di vita Senza trattamento questa patologia è associata ad una mortalità del 30% nella prima settimana di vita, del 50% entro il primo mese e del 90% entro l’anno di vita. Quando invece la diagnosi viene posta già in epoca prenatale in modo da consentire tempestivamente il trasporto del neonato affetto da TGA in una struttura di III livello, l’outcome migliora sensibilmente riducendosi morbilità e mortalità [59]. Gli interventi palliativi iniziali comprendono la somministrazione di PGE1 ev per mantenere pervio il dotto di Botallo; nei neonati con forame ovale “restrittivo”, si esegue una settostomia atriale con catetere a palloncino (manovra di Rashkind) per creare una comunicazione interatriale di adeguate dimensioni; tale procedura può essere necessaria anche nelle prime ore dopo la nascita ed il più delle volte ha un rapido impatto sulle condizioni cliniche del neonato. Nei pazienti con TGA, DIV e stenosi polmonare severa, per migliorare il flusso polmonare, si esegue inoltre nelle prime settimane di
vita un intervento palliativo: lo shunt sistemico-polmonare cioè l’interposizione di un tubo protesico tra la arteria succlavia ed il ramo polmonare omolaterale. La correzione chirurgica vera e propria è rappresentata invece dallo switch arterioso che deve essere effettuato nelle prime settimane di vita; esso consiste nel ristabilire la connessione dell’aorta con il ventricolo sinistro e dell’arteria polmonare col ventricolo destro (correzione anatomica) e nella traslocazione delle arterie coronarie. Tale intervento presenta una mortalità precoce compresa fra lo 0% ed il 4%. La mortalità a lungo termine è del 3% [60]. Il 97% dei pazienti è asintomatico a distanza di vent’anni dall’intervento ed al test da sforzo il 94% dei pazienti mostra una normale capacità all’esercizio. Solo in caso di diagnosi tardiva, sepsi neonatale o altre cause che impediscono l’intervento precoce si esegue in alternativa, tra i tre e i sei mesi di vita, l’intervento secondo Mustard o Senning (correzione fisiologica) [61]. Esso consiste nella rimozione del setto intetatriale e nella creazione di patch di pericardio che dirige il flusso cavale attraverso la valvola mitrale nel ventricolo sinistro e il flusso proveniente dalle vene polmonari verso il VD. L’intervento di Mustard ha una mortalità precoce dello 0-15%, una sopravvivenza del 75-80% ad un follow-up di 30 anni. Nel follow-up postoperatorio, la quasi totalità dei pazienti è in buone condizioni cliniche, ma lo sviluppo tardivo di disfunzione del ventricolo destro e aritmie atriali sono complicanze molto frequenti.
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
Infine nei pazienti con TGA, DIV e stenosi polmonare severa, si esegue l’intervento di Rastelli che consiste nella connessione del ventricolo destro all’arteria polmonare mediante un condotto protesico; l’efflusso del ventricolo sinistro viene invece indirizzato verso l’aorta attraverso il DIV con un patch di Dacron; un intervento alternativo è rappresentato da quello di Lecompte (REV, reparation a l’ètage ventriculaire) in cui la continuità tra ventricolo destro e arteria polmonare viene effettuata senza interposizione del condotto. In entrambi i casi la mortalità precoce è del 5%, la sopravvivenza è di circa il 70% a venti anni. Nel follow-up postoperatorio circa il 98% dei pazienti è in buone condizioni cliniche. In conclusione la TGA è una cardiopatia che può essere trattata chirurgicamente, con una bassa mortalità precoce ed una alta sopravvivenza a lungo termine. La diagnosi in epoca fetale appare in questa cardiopatia di grande importanza per ridurre i tassi di morbilità e mortalità dei neonati affetti [18, 62].
Trasposizione corretta delle grandi arterie (TGAc) Definizione Nella trasposizione “corretta” dei grossi vasi si osserva la contemporanea presenza di discordanza ventricoloarteriosa e atrio-ventricolare, risultandone perciò funzionalmente corretto il circolo. Dal punto di vista anatomico, infatti, l’atrio destro è connesso con il ventricolo morfologicamente sinistro e da questo, tramite continuità fibrosa, origina il tronco polmonare. All’atrio sinistro, invece, fa seguito il ventricolo morfologicamente destro, connesso mediante infundibolo muscolare all’aorta (Fig. 9.31).
Incidenza e anomalie associate La trasposizione corretta delle grandi arterie è una cardiopatia rara e rappresenta lo 0,5-1,1% delle cardiopatie congenite diagnosticate in epoca fetale. Rarissima l’associazione ad aberrazioni cromosomiche e a malformazioni extracardiache [4, 5]. Nonostante la correzione funzionale del circolo, questa cardiopatia è spesso associata ad altre lesioni intracardiache, come destrocardia, difetto inter-ventricolare, anomalia di Ebstein della tricuspide sinistroposta, stenosi polmonare, blocchi atrio-ventricolari completi.
Fisiopatologia Sia in utero che alla nascita la discordanza A-V “compensa” la discordanza ventricolo-arteriosa permettendo il più delle volte una normale distribuzione dei flussi. Alla nascita il quadro clinico è molto variabile e dipende soprattutto dalle lesioni eventualmente associate. La valvola tricuspide quasi invariabilmente presenta vari gradi di displasia e pertanto diviene precocemente insufficiente.
SVC
LA Ao
RA Pa
RV IVC
LV
Fig. 9.31. Rappresentazione schematica della trasposizione corretta delle grandi arterie.SVC,vena cava superiore;IVC,vena cava inferiore;RA,atrio destro;RV,ventricolo destro;LA,atrio sinistro;LV,ventricolo sinistro;Ao,aorta; Pa,arteria polmonare
Nelle forme senza lesioni associate il neonato non presenta alterazioni emodinamiche significative, ma col passare degli anni il ventricolo destro va incontro ad una progressiva disfunzione contrattile. Nel 60-70% dei casi la trasposizione corretta delle grandi arterie si associa a DIV solitamente perimembranoso sottopolmonare; talvolta si associa a BAV congenito che, quando presente, può decisamente complicare il quadro emodinamico e clinico. Altre volte ancora può associarsi a ostruzione all’efflusso polmonare o ad ostruzione all’efflusso aortico.
Diagnosi Per la diagnosi di trasposizione corretta dei grossi vasi è molto importante la valutazione della scansione 4camere: su di essa vanno valutati il situs, e, soprattutto, la connessione A-V. Infatti, è necessario identificare che il ventricolo posto in connessione con l’AD sia di morfologia sinistra, e che il ventricolo posto a valle dell’AS sia di tipo destro, più rotondeggiante, con la presenza della trabecola setto-marginale in cui decorre la banda moderatrice di Leonardo (Fig. 9.32). Inoltre l’impianto più basso della tricuspide rispetto alla valvola mitrale è un ulteriore segno di riconoscimento del VD. La valutazione degli assi lunghi dimostrerà che l’aorta, destroposta, emerge dal VD posto a sinistra e che la polmonare emerge dal VS posto a destra. Frequente l’associazione con il difetto interventricolare e la stenosi della polmonare.
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te insufficienza della valvola AV sistemica (morfologicamente tricuspide). Nei casi in cui la sola terapia medica non la controlla, questa può essere corretta chirurgicamente. La prognosi a lungo termine della TGAc dipende non solo dalle lesioni associate, ma anche dalla possibile disfunzione del ventricolo destro sistemico. L’intervento combinato di switch arterioso e Senning (doppio switch) può migliorare l’outcome, ma è ancora praticato solo in pochi centri europei. Nella TGA corretta in assenza di ostruzione polmonare o di DIV o di altre anomalie associate, la storia naturale di questa cardiopatia è caratterizzata da una lenta ma progressiva disfunzione contrattile del ventricolo destro sistemico e da un aumento del rigurgito tricuspidalico [64-68]. Fig. 9.32. Trasposizione corretta dei grossi vasi. In scansione 4-camere, si evidenzia discordanza atrio-ventricolare, con ventricolo morfologicamente destro posto a sinistra,al di sotto dell’atrio sinistro al quale è connesso tramite una valvola tricuspide, con inserzione bassa; il ventricolo morfologicamente sinistro è posto a destra,al di sotto dell’atrio di destra.La freccia indica che l’apice cardiaco è formato dal ventricolo morfologicamente sinistro posto a destra.LA,atrio sinistro; LV,ventricolo morfologicamente sinistro;RA,atrio destro;RV,ventricolo morfologicamente destro
TUMORI CARDIACI Definizione Si tratta di neoformazioni a carattere benigno che possono localizzarsi a livello atriale o ventricolare e possono accrescersi sia nello spessore delle pareti cardiache o essere a sviluppo intracavitario.
Management ostetrico e modalità del parto La condotta ostetrica non è modificata dalla presenza della cardiopatia, a meno che non sia presente BAV congenito con bradicardia. In tal caso è indicato il taglio cesareo e, se è presente scompenso cardiaco fetale, l’espletamento anticipato del parto ove l’epoca gestazionale lo permetta. La trasposizione corretta delle grandi arterie non rappresenta inoltre una cardiopatia ad emergenza neonatale salvo in caso di BAV congenito o di severa ostruzione all’efflusso polmonare.
Counseling cardiologico prenatale:trattamento, prognosi e qualità di vita La TGA corretta non richiede trattamento chirurgico in assenza di anomalie associate; tuttavia nel tempo la valvola tricuspide diviene insufficiente e il VD sottoposto a pressioni sistemiche tende a diventare disfunzionale [63]. La presenza di anomalie associate richiede una correzione chirurgica la cui prognosi varia in relazione al tipo e all’entità della patologia associata. Il trattamento della TGAc dipende dalle lesioni associate. Nei casi in cui c’è solo il DIV, questo viene chiuso, solitamente con patch. Complicanza più frequente di questo intervento è la comparsa di BAV. Nei casi in cui il DIV si associa anche a una stenosi sotto polmonare, alla chiusura del difetto deve seguire una infundibulectomia o l’allargamento dell’efflusso VD con patch di Dacron. Nella TGAc è quasi invariabilmente presen-
Incidenza ed anomalie associate In epoca prenatale e neonatale i tumori cardiaci sono molto rari e principalmente rappresentati dai rabdomiomi. Meno frequentemente si osservano fibromi e teratomi. L’incidenza varia da 0,02-0;08% nei nati vivi e 0,12% nei feti. I rabdomiomi, se multipli, sono associati nel 50-60% dei casi a sclerosi tuberosa o sindrome di Bourneville-Brissaud [4, 5].
Fisiopatologia Nella maggior parte dei casi non modificano l’emodinamica cardiaca. Possono raramente determinare ostruzione valvolare ovvero tachicardia parossistica sopraventricolare. Entrambe queste condizioni possono condurre a scompenso cardiaco acuto e morte fetale improvvisa.
Diagnosi La diagnosi ecocardiografica è relativamente semplice, viene effettuata in scansione 4-camere e si basa sul riscontro di una o più formazioni nodulari, di solito iperecogene, comunque connesse alla parete miocardica
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
(Fig. 9.33). In rapporto a quanto espresso precedentemente, è importante, identificare il numero, la base di impianto, le dimensioni e l’eventuale impegno emodinamico che possono creare i vari noduli tumorali, in base ai loro rapporti con gli apparati valvolari. Il color Doppler ed il pulsato sono di ausilio nella valutazione dell’eventuale ostruzione dell’outflow ventricolare e nella ulteriore definizione del quadro anatomico. Infine, a sostegno dell’ipotesi secondo cui il principale responsabile della crescita tumorale sarebbe rappresentato dal particolare clima ormonale gravidico riportiamo l’osservazione del tipico comportamento bifasico che caratterizza di solito i rabdomiomi, i quali presentano un picco di crescita intorno alle 30-32 settimane, per poi regredire fin quasi a scomparire nella vita post-natale [69]. È possibile il riscontro di versamento pericardico come primo segno ecografico di tumore cardiaco.
mensioni e alla localizzazione del tumore. Il rischio di morte endouterina è legato alla presenza di ostruzioni valvolari o tachiaritmie, ma è tuttavia molto basso.
Rabdomiomi (~60%) I rabdomiomi, se multipli, sono associati nel 50-60% dei casi a sclerosi tuberosa o sindrome di Bourneville-Brissaud. In epoca prenatale l’emodinamica cardiaca può variare in relazione a numero, posizione e dimensioni di tali neoformazioni. Se non determinano ostruzione o aritmie gravi non bisogna programmare un taglio cesareo ed il neonato non manifesterà segni clinici di rilievo. Se, invece, le masse sono responsabili di ostruzione a livello delle valvole atrioventricolari o semilunari determineranno compromissione della funzione cardiaca fino a severe forme di scompenso già in epoca fetale, quando possono dare idrope e ridotta crescita intrauterina. In tali casi si rende necessario programmare il taglio cesareo ed instaurare in prima giornata di vita la terapia farmacologica: prostaglandine-E per mantenere pervio il dotto di Botallo ed assicurare, così, la circolazione polmonare (se i rabdomiomi ostruiscono l’efflusso ventricolare destro) o quella sistemica (se ostruiscono il sinistro). Spesso, inoltre, tali masse determinano aritmie quali: blocchi di branca, BAV I-II-III, pre-eccitazione ventricolare e tachicardie ventricolari. In questi casi si rende, pertanto, necessario associare anche una terapia antiaritmica. Esiste la possibilità di intervenire chirurgicamente riducendoli di dimensioni, se ciò non danneggia gli apparati valvolari [99, 100]. Spesso, però, non è possibile ricorrere alla chirurgia.
Fibromi (~15%) e mixomi (0,5%) Fig. 9.33. Rabdomioma cardiaco. In scansione 4-camere, si evidenzia la singola formazione nodulare iperecogena (t) a partenza dalla parte destra del setto interventricolare.LV,ventricolo sinistro; RA,atrio destro
Management ostetrico e modalità del parto Il parto può essere espletato per le vie naturali presso un centro di I-II livello, tranne nei casi di tumori di grosse dimensioni ed ostruttivi o di aritmie nel qual caso va programmato in un centro di III livello che consenta un eventuale intervento sul neonato.
Molto spesso sono asintomatici. Nella maggior parte dei casi vengono diagnosticati dopo il primo anno di età, con un picco fra i 30-40 anni. Nel 75% dei casi sono masse singole. Molto raramente, possono dare scompenso fetale. Come nel caso dei rabdomiomi, esiste la possibilità di ridurre chirurgicamente tali masse, se ciò non danneggia le strutture ad essa adiacenti, con risultati eccellenti e completa risoluzione dei sintomi associati, anche se la possibilità di ricorrenza è del 4-7% [72, 73].
ARITMIE Definizione
Counseling cardiologico prenatale: trattamento, prognosi e qualità di vita La prognosi varia in relazione al tipo istologico alle di-
Viene definita aritmia fetale una irregolarità del ritmo cardiaco indipendente da contrazioni uterine o un ritmo regolare che persista oltre 5 secondi al di sopra dei 200 bpm o al di sotto di 100 bpm [74].
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Incidenza Le aritmie cardiache fetali hanno un’incidenza dell’1-2%. È stato osservato [74] che l’87% delle aritmie fetali è rappresentato dalle TPSV (tachicardie parossistiche sopraventricolari) ed extrasistoli sopraventricolari; il 6% dalle extrasistoli ventricolari, il 3% da BAV completo e 3% bradicardia sinusale.
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di attivazione A-V non identificabile con l’utilizzazione della sola tecnica M-mode. In caso di blocco cardiaco completo, tuttavia, il flusso retrogrado in vena cava è di piccola entità. Pertanto, in assenza di altre cardiopatie associate, il blocco cardiaco completo è ben tollerato in epoca prenatale. Tuttavia, qualora la frequenza cardiaca sia molto bassa e in presenza di cardiopatie congenite complesse, si può verificare uno scompenso precoce da bassa gittata cardiaca fetale.
Diagnosi Aritmie ipercinetiche Durante la vita fetale, la diagnosi di aritmia viene ottenuta con ecocardiografia mono- e bi-dimensionale [75]. Quest’ultima viene usualmente utilizzata per studiare l’anatomia cardiaca, mentre la valutazione in color Doppler e Doppler pulsato permette una valutazione accurata del sovraccarico a livello dei vasi venosi. La valutazione in M-mode è, invece, utilizzata per definire la sequenza di attivazione atrio-ventricolare. Le aritmie sono state classificate in relazione alla frequenza bradicardica o tachicardica e al ritmo regolare o irregolare.
Aritmie ipocinetiche La bradicardia sinusale rappresenta l’aritmia ipocinetica più frequente ed è caratterizzata da una prognosi severa, se si manifesta come conseguenza di una sofferenza fetale estrema. Esiste un’altra forma di bradicardia sinusale, anch’essa frequente, legata all’accentuata pressione della sonda sull’addome materno, che verosimilmente determina una sindrome da ipotensione supina materna. In questo caso la frequenza può scendere per alcuni secondi anche a 40-50 bpm, fino all’asistolia momentanea, ma è sufficiente attendere pochi secondi perché il cuore riprenda la sua regolare frequenza. Tale bradicardia è, pertanto, assolutamente fisiologica. Tra le aritmie ipocinetiche propriamente dette troviamo il blocco atrio-ventricolare (BAV), che può manifestarsi in forma transitoria o stabile. La forma più comune è il BAV di 3° grado, o totale, che frequentemente si associa a cardiopatie congenite per lo più complesse, come difetto atrio-ventricolare e isomerismo sinistro, ventricolo unico, trasposizione corretta dei grossi vasi, o a connettivite materna (lupus-like-anticoagulant syndrome), con riscontro di anticorpi specifici anti-sistema di conduzione. In M-mode, si nota come la contrazione delle pareti atriali, sebbene avvenga ad una normale frequenza, sia tuttavia completamente dissociata dalla contrazione delle pareti ventricolari, che avviene con una frequenza decisamente inferiore. L’integrazione della tecnica color Doppler monodimensionale con quella in M-mode permette spesso di precisare la sequenza
L’extrasistolia (battito prematuro o ectopico di solito seguito da una pausa) è la più frequente aritmia ipercinetica (circa 60% di tutte le aritmie fetali) e, di solito, non associandosi a difetti strutturali, non rappresenta un problema di rilievo. Approssimativamente, nel 70% dei casi è di origine sopraventricolare (battiti atriali prematuri che possono essere condotti ai ventricoli determinandone la contrazione, oppure possono essere bloccati). La causa principale di questa aritmia è da ricercare nell’immaturità funzionale del miocardio fetale o, eventualmente, nella presenza di fibre o fasci abnormi, destinati ad involversi. L’extrasistolia può essere associata ad alcune cardiopatie congenite o a miocarditi fetali. In circa la metà dei casi si può avere la scomparsa spontanea dell’aritmia durante la vita fetale, altrimenti entro i primi mesi di vita (circa 3-6 mesi); raramente l’aritmia persiste oltre. Una sorveglianza maggiore va, tuttavia, riservata ai casi di extrasistolia sopraventricolare a cadenza più frequente o ripetitiva (bigeminismo/trigeminismo) che si possono raramente complicare, degenerando nella tachicardia parossistica sopraventricolare persistente. Un’altra forma di aritmia ipercinetica frequente è rappresentata dalla tachicardia parossistica sopra-ventricolare (TPSV) [76] che raramente si associa ad una cardiopatia congenita. Talora alla nascita si riscontra la sindrome da pre-eccitazione Wolff-Parkinson-White. Ne distinguiamo 2 varianti: episodica e persistente. La forma episodica, che raramente condiziona l’insorgenza di scompenso, non rappresenta un’indicazione al trattamento specifico in utero e, talvolta, va incontro a risoluzione spontanea già durante la vita intrauterina. Qualora essa insorga nel contesto di una aritmia extrasistolica più complessa, è necessario un attento followup in utero per escludere un eventuale passaggio verso la TPSV persistente. La TPSV persistente può insorgere nel corso del II-III trimestre di gestazione e può condurre in tempi variabili allo scompenso cardiaco. L’impegno emodinamico della tachiaritmia è evidenziato dalla presenza del rigurgito delle valvole atrio-ventricolari, da flussi intracardiaci di velocità generalmente
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più bassa rispetto alla norma per l’età gestazionale e dai segni classici dell’idrope fetale (in ordine di comparsa ascite, idrotorace, idropericardio ed edema sottocutaneo). Alla base dello scompenso è lo shunt del flusso, durante i battiti ectopici, verso il sistema delle vene cave, a più bassa resistenza, con conseguente notevole incremento del flusso retrogrado a livello del sistema venoso sistemico. Questo spiega la difficoltà che ha il cuore fetale a mantenere un adeguato flusso anterogrado durante un’aritmia ipercinetica cui consegue il facile e rapido sviluppo di scompenso cardiaco destro. La TPSV si instaura verosimilmente come conseguenza della presenza di un focus “automatico” ectopico localizzato negli atri o al di sopra del fascio di His, che genera impulsi di velocità superiore a quelli del nodo del seno, oppure per la presenza di un meccanismo di rientro scatenato di solito, da un’extrasistole sopra-ventricolare condotta per via retrograda (rientro nodale o per via accessoria). Come la TPSV anche il flutter atriale può insorgere nel II-III trimestre di gravidanza e può determinare l’insorgenza di scompenso cardiaco. Tuttavia nel flutter atriale, molto più raro della TPSV, la frequenza cardiaca più elevata (300-400 bpm) è responsabile della maggior frequenza e del più rapido sviluppo dello scompenso cardiaco. Alla base si riconosce un meccanismo fisiopatologico verosimilmente di tipo circolare, dal focus ectopico atriale verso il nodo atrioventricolare, con variabile blocco di conduzione atrio-ventricolare.
Management ostetrico e modalità del parto In caso di BAV, una volta raggiunta la maturità polmonare, se la frequenza cardiaca è inferiore a 60 bpm, o se sono presenti segni di scompenso cardiaco, è opportuno anticipare il parto ed effettuare un taglio cesareo. Al contrario se la frequenza cardiaca è superiore a 60 bpm, e le condizioni fetali sono buone, la gravidanza può essere portata a termine con un parto naturale. È comunque indispensabile che il parto avvenga in un centro di III livello o che quantomeno sia assicurato un trasferimento tempestivo del neonato. Anche per le tachiaritmie (TPSV e flutter atriale) il parto cesareo è indicato solo nei casi di scompenso cardiaco fetale.
Terapia L’extrasistolia fetale è quasi sempre un’aritmia benigna che non richiede alcun tipo di trattamento. Per il BAV il trattamento di scelta è l’impianto di un PMK (Pace-Maker) alla nascita. Per le tachiaritmie la digossina [77] rappresenta il farmaco di prima scelta, da sola o associata ad altri farmaci (sotalolo e flecainide) [78, 79]. La terapia antiaritmica somministrata in fase prenatale richiede un monitoraggio accurato della digossinemia materna e dell’ECG materno. In una buona percentuale di casi essa è in grado di controllare l’aritmia fetale.
Counseling cardiologico prenatale: trattamento, prognosi e qualità di vita La prognosi varia a seconda del tipo di aritmia. La prognosi di un BAV dipende dal grado di tolleranza del blocco stesso. Sono considerati fattori di rischio: idrope fetale, malformazioni cardiache associate, FC minore di 55 bpm, in questo caso il rischio di morte è del 50% e dopo la nascita è necessario l’impianto di un PMK. Le extrasistoli isolate in genere si risolvono spontaneamente prima o dopo la nascita e non rappresentano un problema. Feti con tachicardia non idropici hanno un’eccellente prognosi dopo trattamento farmacologico materno orale [80]. La mortalità dei feti idropici è molto alta 43%, ma la maggioranza delle aritmie associata ad idrope può essere controllata anche col trattamento farmacologico transplacentare. Inoltre il tasso di mortalità è più basso se l’aritmia è controllata in epoca prenatale. La tachicardia fetale ha una buona prognosi quando la conversione a ritmo sinusale o il controllo della frequenza siano ottenuti in utero. Vari autori hanno ipotizzato che il danno neurologico [81] possa realizzarsi nei periodi in cui si alternano fasi di tachicardia a fasi di ritmo sinusale. Ciò sottolinea la necessità di iniziare la terapia farmacologica il prima possibile in particolare nei feti idropici o con disfunzione ventricolare.
Capitolo 9 • Cuore fetale normale e patologico • D.Paladini,M.G.Russo,M.Felicetti,R.Calabrò
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CAPITOLO 10
Malformazioni gastrointestinali G. Vullo • A. Di Meglio
INTRODUZIONE Protocollo di studio dell’apparato digerente Lo studio ecografico degli organi intra-addominali fetali si esegue mediante scansioni trasverse dell’addome muovendo la sonda dalla porzione più craniale a quella più caudale e viceversa. L’apparato digerente fetale deve essere studiato valutando il situs, visualizzando lo stomaco, la colecisti, il fegato, la milza e l’intestino. La valutazione del situs viscerale dà importanti informazioni per lo studio del cuore fetale e per lo studio dell’apparato digerente. Il situs è definito solitus se lo stomaco occupa la parte sinistra dell’addome fetale ed è omolaterale all’apice cardiaco. In questo caso la colecisti è posta nella parte destra dell’addome; l’aorta è posta anteriormente ed a sinistra del rachide mentre la vena cava inferiore è situata anteriormente ed a destra dell’aorta (Fig. 10.1).
posta anteriormente ed a destra del rachide mentre la vena cava inferiore è davanti ed a sinistra dell’aorta. Quest’anomalia può essere priva di significato patologico ovvero può associarsi a malformazioni sia cardiache sia extracardiache quali l’atresia esofagea, l’atresia intestinale, ecc. Il situs è definito ambiguus quando vi è una discordanza tra la posizione dell’apice cardiaco, che in questo caso è sempre rivolto a sinistra, e quella dello stomaco fetale. In quest’anomalia lo stomaco può essere posto a destra o in sede mediana, la colecisti può essere mediana o a sinistra, l’aorta è a destra o è mediana e la vena cava inferiore è interrotta o è a sinistra (Fig. 10.2).
Fig. 10.2. Caso in cui vi è situs ambiguus.Vi è discordanza tra la posizione cardiaca e quella dello stomaco fetale
Fig. 10.1. Caso di normalità in cui il situs è solitus
Il situs è definito inversus quando lo stomaco è dallo stesso lato dell’apice cardiaco, ma è posto nella parte destra dell’addome fetale. In questo caso, l’aorta è
Sono frequenti le malformazioni associate sia cardiache che extracardiache. Bisogna passare poi alla visualizzazione degli organi addominali. La mancata visualizzazione dello stomaco fetale è da ricondurre, più frequentemente, a transitorio svuotamento gastrico. Questa situazione deve essere rivalutata più volte, a distanza di diverso tempo, perché si pos-
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
sa sospettare un’anomalia fetale. La mancata visualizzazione dello stomaco oltre che ad un temporaneo svuotamento dello stesso può essere ricondotta a molteplici cause quali: atresia esofagea, fistola tracheoesofagea, ernia diaframmatica, otocefalia, anomalie del sistema nervoso centrale, anomalie della deglutizione legate a massa orofaringea, cervicale o mediastinica, oligoidramnios severo. La presenza di uno stomaco dilatato è un evento raro prima delle 20 settimane. Questo segno si può osservare dopo la 24a settimana ed è di solito privo di significato patologico. Raramente può essere espressione di stenosi del piloro; un segno dirimente può essere la presenza di polidramnios che compare eventualmente dopo la 26a settimana. Altro segno nell’osservazione dello stomaco può essere la “doppia bolla”. Con questo termine si indica la presenza di due aree anecogene contigue che comunicano tra loro. Quando questo segno si associa a polidramnios è espressione di una patologia malformativa dello stomaco; anche in questo caso la presenza della doppia bolla e del polidramnios sono segni che compaiono alla fine del II trimestre. La patologia malformativa che può determinare tale segno è, più frequentemente, l’atresia duodenale; le altre possibili cause sono la stenosi duodenale, il pancreas anulare, l’atresia digiunale prossimale o la presenza di una pronunciata incisura angolare in assenza di polidramnios. Lo studio dell’intestino inizia dall’osservazione della sua ecogenicità. Le anse intestinali sono definite iperecogene se appaiono più sonolucenti dell’osso iliaco. Tale segno, di solito, è privo di significato patologico, ma può far sospettare alcune anomalie quali: condizioni di insufficienza placentare, fibrosi cistica, infezioni, cromosomopatie, atresia intestinale. Si valuta,poi,l’aspetto delle anse intestinali che possono apparire dilatate sia a livello del piccolo intestino sia a livello del colon-retto. Le possibili cause di dilatazione delle anse intestinali sono riportate nella Tabella 10.1. Tabella 10.1. Cause di dilatazione intestinale
Intestino tenue
Atresia digiuno-ileale Volvolo Ileo da meconio Peritonite da meconio Malattia di Hirschsprung Duplicazione intestinale
Colon e retto (considerati cause di dilatazione dell’intestino tenue)
Atresia anorettale Sindrome da ostruzione da meconio Malattia di Hirschsprung
Si studiano, quindi, il fegato, la colecisti e la milza. Il fegato può essere sede di calcificazioni che possono essere intraepatiche o della glissoniana e spesso non hanno significato patologico soprattutto quando si tratta di foci iperecogeni singoli. La presenza di calcificazioni potrebbe essere, tuttavia, correlata ad un’infezione fetale. Quando vengono osservate è opportuno, quindi, praticare un’attenta anamnesi, eseguire esami ematochimici per valutare il rischio di infezione svelabile con il complesso TORCH, effettuare controlli ecografici seriati anche in epoca postnatale per essere certi che la lesione calcifica sia sempre isolata e quindi di scarso valore patologico. La presenza di masse epatiche è da ricondurre ad un tumore. Le neoplasie che più comunemente colpiscono il fegato sono: l’amartoma, l’emangioma, l’epatoblastoma ed il neuroblastoma metastatizzato. L’epatomegalia è segno frequente in svariate sindromi quali quella di Albers-Schonberg, di BeckwithWiedemann, di Berardinelli (lipodistrofia), di Chediak-Higashi (associata a splenomegalia), di Hunter (associata a splenomegalia), Hurler-Scheie (associata a splenomegalia), di Leroy, di Morquio. Può essere presente anche in caso di patologie quali la gangliosidosi, l’omocistinuria o in caso di rosolia. Durante l’osservazione del fegato la colecisti fetale va sempre visualizzata. In qualche occasione potrebbe essere vuota e per tale motivo, nel corso dell’esame, bisogna ricontrollare l’addome fino alla visualizzazione della stessa. Se in momenti diversi la colecisti non è visualizzata, bisogna sospettare una possibile atresia delle vie biliari. Quando è visualizzata bisogna escludere una litiasi. La milza fetale può essere individuata in una scansione traversa dell’addome come una struttura solida localizzata accanto allo stomaco e sopra al rene sinistro. Visualizzata la milza, se in essa è presente una massa iperecogena si tratta molto probabilmente di un tumore. I tumori possono essere solidi ovvero cistici. La splenomegalia invece è da riferire a svariate possibili cause quali l’idrope immunologica, l’idrope non immune, infezioni, errori congeniti del metabolismo (Gaucher, Niemann-Pick, Wolman), cisti, leucemia. Si valuta, poi, la presenza di ascite e di eventuali masse addomino-pelviche. Per ascite si intende la presenza di una raccolta fluida in addome. Essa è frequentemente il primo segno di idrope fetale; può essere isolata ed in tal caso è dovuta a patologie che interessano uno o più organi addominali. La Tabella 10.2 riassume le cause che possono determinare ascite.
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Capitolo 10 • Malformazioni gastrointestinali • G.Vullo,A.Di Meglio
Tabella 10.2. Principali cause di ascite Idrope immune Idrope non immune
Cause genitourinarie (ascite urinaria)
Cause gastrointestinali
Cause epatiche
Malattia metaboliche
Ostruzione uretero-vescicale Ostruzione giunzione uretero-pelvica Ipoplasia renale Reni cistici displasici Sindrome nefrosica congenita Idrometrocolpo Anomalie della cloaca Cisti ovarica torta Peritonite da meconio Volvolo intestinale Atresia digiuno-ileale Ernia diaframmatica Epatite Fibrosi Atresia biliare Necrosi epatica Tumori Malattia di Wolman Morbo di Gaucher Gangliosidosi Sialidosi
Per le anomalie contenute nella tabella la patogenesi può essere ricondotta a meccanismi differenti. Per le patologie ostruttive dell’apparato urinario, quale meccanismo eziopatogenetico dell’ascite è stato ipotizzato il passaggio di urina in addome in seguito a lesione della via escretrice. Nella sindrome nefrosica congenita, l’ipoalbuminemia può essere causa di ascite. Nelle condizioni legate a nefromegalia si può ipotizzare che l’ascite sia dovuta a compressione sul sistema linfatico. Spesso, comunque, la patogenesi rimane oscura. Nelle malattie dell’apparato gastrointestinale l’ascite è, il più delle volte, secondaria a peritonite da perforazione intestinale. Nelle malattie metaboliche, così come nelle malattie epatiche, la patogenesi dell’ascite si può ricondurre ad ipoprotidemia. Nelle malattie del fegato l’ipoprotidemia può essere secondaria al danno epatico o alla compressione sul sistema venoso. Il riconoscimento ecografico è agevole quando l’ascite è vistosa, è invece difficile quando la falda liquida è modesta. Talvolta è necessario eseguire l’amniocentesi e la paracentesi per porre diagnosi eziologica di ascite. L’osservazione della presenza di una massa addomino-pelvica pone il problema della diagnosi differenziale fra molteplici condizioni morbose. Nella Tabella 10.3 sono riportati i caratteri differenziali delle masse addomino-pelviche.
Tabella 10.3. Diagnosi differenziale delle masse pelviche Anomalia Cisti ovarica
Aspetto ecografico Liquido amniotico In genere solitaria,margini regolari, Normale (aumentato possibili i setti nel 10% dei casi)
Anomalie associate In genere nessuna
Sesso Solo XX
Idrometrocolpo
Massa ovoidale,possibile un perineo Normale prominente
Genitourinarie Polidattilie
Solo XX
Uretropatia ostruttiva
Aumento dimensioni vescica
In genere diminuito
Displasia renale o idronefrosi
In genere XY
Megavescica,microcolon, Aumento dimensioni vescica, sindrome da ipoperistalsi idronefrosi,megauretere intestinale
In genere aumentato
Dilatazione intestinale
XX
Atresia anorettale
Dilatazione colon distale,spesso massa cistica conformata ad U
Diminuito o aumentato
Cloaca persistente
Massa cistica,spesso settata
Diminuito
Cisti uraco
Massa cistica
Normale
Sindrome VACTERL,sindrome da XX e XY regressione caudale,anomalie scheletriche, anomalie del SNC,anomalie gastrointestinali,frequente arteria ombelicale singola Anomalie multiple,simili all’atresia XX intestinale Rare XX e XY
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
ATRESIA ANALE L’atresia anale [1, 2] consiste nell’assenza congenita dell’apertura anale.
Eziopatogenesi ed incidenza L’atresia anale è provocata dall’arresto della divisione della cloaca [3] nel seno urogenitale e nel retto, fenomeno questo che si verifica durante la nona settimana dello sviluppo embrionale. L’incidenza è di 1/2.0001/5.000, con rapporto maschi/femmine di 3 a 2 e pattern di trasmissione sporadico. Sono descritti in letteratura rari casi di trasmissione familiare autosomica recessiva. Vi sono più di 80 sindromi genetiche, cromosomiche e sporadiche che sono riportate in associazione con l’atresia anale. Nel 50% dei casi di atresia anale vi sono anomalie associate che includono anomalie genito-urinarie (38%), anomalie scheletriche (30%), fistola tracheo-esofagea (10%) e malformazioni cardiache (5%). In particolare, l’atresia anale può far parte dell’associazione VACTERL [4, 5] (anomalie vertebrali, atresia anale, anomalie cardiache, fistola tracheoesofagea, atresia esofagea, agenesia e displasia renale, difetti degli arti), può riscontrarsi nella sindrome da regressione caudale ed, ancora, può essere presente in caso di trisomia 18 e 21.
Segni ecografici La diagnosi di atresia anale non è ecografica (prenatale) ma si effettua alla nascita [6-8]. Il riscontro di una dilatazione del colon, nel cui interno possono essere presenti foci ecogeni [9], associata ad altre anomalie (es. associazione VACTERL) può far sorgere il sospetto di atresia anale. Il liquido amniotico appare abitualmente normale nei casi di atresia anale isolata; può esservi oligoidramnios se la malformazione è associata a displasia renale bilaterale o polidramnios se vi è associazione con una fistola tracheoesofagea.
– TC con iniezione intra-amniotica di m.d.c. iodato che può risolvere talvolta l’incertezza diagnostica; – consulenza con chirurgo pediatra. La prognosi dipende dalle malformazioni associate. Se la lesione è isolata si ottiene la riparazione funzionale in oltre il 70% dei casi. Per l’elevata associazione con altre anomalie sarebbe preferibile che il parto avvenisse in un centro di terzo livello.
ATRESIA DUODENALE L’atresia duodenale è l’atresia congenita più comune dell’intestino tenue ed è caratterizzata dalla completa obliterazione del lume del duodeno [10]. Quasi sempre l’ostruzione si trova in prossimità dell’ampolla di Vater, distalmente ad essa nell’80% dei casi e prossimalmente nel restante 20%.
Eziopatogenesi ed incidenza Alla 5a settimana di vita embrionale, il lume del duodeno è obliterato dalla proliferazione dell’epitelio e la pervietà generalmente si verifica dalla 11a settimana. La mancata canalizzazione determina l’atresia duodenale. La lesione colpisce un neonato su 10.000 nati vivi [2]. In un terzo dei casi è presente trisomia 21 [11]. Il pattern di trasmissione è generalmente sporadico, con rari casi di ricorrenza familiare [12]. Anomalie associate si verificano nel 30-50% dei casi ed includono: – difetti scheletrici (30%): vertebrali, costali, agenesia del sacro, anomalie del radio e piede torto; – malformazioni cardiache (20%), soprattutto canale atrio-ventricolare; – anomalie gastrointestinali [13]: atresia del dotto biliare, pancreas anulare, atresia esofagea, fistola tracheoesofagea, malrotazione intestinale, diverticolo di Meckel ed atresia anale; – difetti renali.
Management In caso di sospetta atresia anale nel corso dell’esame ecografico, particolare attenzione va posta nell’escludere le anomalie associate. Si raccomanda di valutare attentamente, a tal proposito, gli apparati genitourinario, scheletrico, cardiovascolare, gastrointestinale ed il sistema nervoso centrale. È opportuno eseguire ulteriori indagini: – ecocardiografia; – cariotipo fetale;
Sono inoltre descritte in associazione più di 15 sindromi genetiche, cromosomiche e sporadiche.
Segni ecografici La diagnosi [14, 15] è possibile dalla 24a settimana [16]. Il segno ecografico caratteristico è rappresentato dal “segno della doppia bolla” (Fig. 10.3), dovuto allo stomaco ed al duodeno prossimale dilatati e pieni di li-
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quido, separati dal piloro. La continuità tra lo stomaco ed il duodeno prossimale rappresenta un elemento fondamentale di diagnosi differenziale con le masse cistiche endoaddominali. È presente severo polidramnios [17] che, in genere, insorge dopo la 24a settimana. L’atresia duodenale può occasionalmente essere associata ad atresia esofagea.
associate o alla prematurità e può arrivare al 36%. Il rischio di parto pretermine è alto nelle lesioni del digiuno prossimale. È opportuno che il parto avvenga in un centro di terzo livello per procedere all’immediato trattamento chirurgico postnatale. La prognosi nelle forme isolate è eccellente con sopravvivenza superiore al 95% [18, 19].
ATRESIA ESOFAGEA L’atresia esofagea è la mancanza congenita di continuità dell’esofago che termina a fondo cieco [20, 21]. Frequentemente si associa a fistola tracheoesofagea [22].
Eziopatogenesi ed incidenza
Fig. 10.3. Caso di atresia duodenale:il segno della “doppia bolla”
La diagnosi differenziale va posta con: – stomaco normale con una incisura angolare prominente: può essere confuso con il segno della doppia bolla, ma non vi è polidramnios e si tratta di un segno ecografico transitorio; – cisti del coledoco; – cisti epatiche; – stenosi duodenale: il sito di ostruzione è generalmente ad un livello più distale; – bande di Ladds: il sito di ostruzione tipico è nella terza porzione del duodeno; – atresia prossimale del digiuno: l’intero duodeno ed il digiuno prossimale sono dilatati; – volvolo intestinale: in questa condizione si osserva la dilatazione dell’intestino tenue; – duplicazione dell’intestino prossimale: in questa condizione lo stomaco appare normale; – pancreas anulare: non vi sono differenze ecografiche.
Management Posta la diagnosi di atresia duodenale è opportuno praticare: – cariotipo; – ecocardiografia. È importante, inoltre, effettuare un attento monitoraggio ostetrico per il rischio di parto pretermine dovuto al polidramnios. La mortalità è dovuta alle anomalie
L’atresia esofagea deriva dalla mancata divisione dell’intestino primitivo, intorno alla 4a settimana di gestazione, in una porzione anteriore (trachea) ed una porzione posteriore (esofago). Il 50% dei feti affetti presenta anomalie associate [23]: cardiache (20%), difetti gastrointestinali (10%), ano imperforato (10%). L’associazione VACTERL [24] (anomalie vertebrali, atresia anale, anomalie cardiache, fistola tracheoesofagea ed atresia esofagea, agenesia e displasia renale, difetti degli arti) si verifica in circa il 6% dei casi. Fino a 25 sindromi genetiche, cromosomiche o sporadiche sono descritte in associazione con atresia esofagea o fistola tracheoesofagea. Il 2-3% dei casi presentano trisomia 21. La malformazione è stata associata a teratogeni quali l’acido retinoico e l’alcool. Atresia esofagea è presente anche nella sindrome di Di George con microdelezione del cromosoma 22. L’incidenza di questa patologia è compresa tra 1/2.500 e 1/4.000 nati vivi, con rapporto maschi/femmine di 1/1 e con pattern di trasmissione sporadico. Nel 90% dei casi alla atresia esofagea si associa la fistola tracheoesofagea distale. Altre possibili varianti sono: atresia esofagea senza fistola, atresia esofagea con fistola del moncone esofageo prossimale, atresia esofagea con doppia fistola tracheoesofagea (entrambi i monconi dell’esofago hanno la fistola con la trachea).
Segni ecografici La diagnosi è in genere possibile dopo la 24a settimana poiché prima di quest’epoca la deglutizione fetale gioca solo un ruolo limitato nel ricambio del fluido amniotico. I segni ecografici di sospetto sono rappresentati dalla mancata visualizzazione dello stomaco e dal polidramnios
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[25, 26] (Fig. 10.4). La diagnosi è possibile solo in quel 10% dei casi in cui lo stomaco non si visualizza o resta sempre piccolo. Nelle altre pazienti la secrezione gastrica e la presenza della fistola permettono la visualizzazione dello stomaco [27, 28]. Il riempimento liquido dell’esofago prossimale o di un segmento esofageo distale ed il rigurgito dopo la deglutizione sono altri segni, di difficile individuazione, ma ritenuti di certezza.
Management Quando si pone diagnosi di atresia esofagea è utile eseguire [29]: – cariotipo fetale; – ecocardiografia; – consulenza col chirurgo pediatra. La gestione del travaglio e del parto non subiscono modifiche. La sopravvivenza e la prognosi sono determinate dall’eziologia e dalle malformazioni associate [30]. La maggior parte della mortalità è comunque correlata alle complicanze del polidramnios ed alla prematurità. In oltre il 90% dei neonati con fistola tracheoesofagea isolata, la prognosi dopo la correzione chirurgica è favorevole [31, 32].
ATRESIA INTESTINALE Fig. 10.4. Scansione traversa dell’addome in cui non si osserva lo stomaco
È l’obliterazione congenita del lume di segmenti dell’intestino crasso o tenue.
Il polidramnios è, in genere, un segno tardivo ed è presente in poco più del 50% dei casi e solo in un terzo dei casi si associa alla mancata visualizzazione dello stomaco. La mancata visualizzazione dello stomaco può essere un reperto normale transitorio o riconoscere cause diverse dall’atresia dell’esofago che vengono riportate nella Tabella 10.4.
Eziopatogenesi ed incidenza L’atresia dell’intestino tenue si verifica in 2-3 casi su 10.000 nati vivi con la seguente distribuzione percentuale per sede della lesione: – digiuno 50%, oltre il 30% tratto prossimale; – ileo 43%, oltre il 30% ileo distale; – atresia multipla digiuno-ileale 7%.
Tabella 10.4. Patologie fetali in cui non si osserva lo stomaco • Atresia esofagea • Ernia diaframmatica • Alterazione della deglutizione (masse facciali,masse del collo, masse toraco-polmonari) • Encefalocele • Anencefalia • Labiopalatoschisi • Anidramnios (agenesia renale bilaterale,rene multicistico bilaterale, altre cause) • Artrogriposi • Distrofia miotonica • Patologie del SNC • Cromosomopatie (trisomia 18,triploidie) • Sindrome VACTERL • Sindrome Pena-Shokeir • TTTS (Twin-Twin Transfusion Syndrome)
L’atresia del colon si verifica in 1 su 20.000 nati. Nella maggior parte dei casi si pensa che alla base dell’atresia intestinale vi sia un danno ischemico [33], un accidente vascolare, un volvolo, un’intussuscezione [34] o una malformazione vascolare. Tra le diverse classificazioni dell’atresia intestinale, quella più accettata è la seguente: – tipo 1: presenza di un diaframma mucoso ostruente il lume intestinale con pareti intatte; – tipo 2: presenza di 2 monconi intestinali terminanti a fondo cieco ed uniti tra loro da una benderella fibrosa; – tipo 3: presenza di 2 monconi intestinali terminanti a fondo cieco e senza alcun rapporto di continuità (rappresenta il 50% di tutte le atresie digiuno-ileali); – una variante estremamente rara del tipo 3,definita “atresia o buccia di mela”[35,36],presenta un quadro di trasmissione familiare e consiste nell’atresia del duodeno distale, di tutto il digiuno e dell’ileo prossimale; per i distretti interessati, la lesione si ritiene origini dall’occlusione dell’arteria mesenterica superiore.
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Nel 42% dei casi vi sono anomalie associate: ritardo di crescita (30%); peritonite da meconio (12%) [37, 38]; ileo da meconio (10%) [39]; fibrosi cistica (15%) [40]; onfalocele (7,5%); gastroschisi (12,5%); difetti cardiovascolari (7%); anomalie cromosomiche (7%); malrotazione; ano imperforato.
Quanto più numerose sono le anse dilatate e quanto più severa è la loro dilatazione,tanto più è probabile che la sede dell’ostruzione sia distale.Generalmente è presente polidramnios.Questo è tanto più spiccato quanto più è prossimale la sede dell’ostruzione. I segni ecografici principali (aumento del liquido amniotico e dilatazione delle anse intestinali),molto raramente si manifestano prima della 24a settimana di gestazione. In particolare, nelle ostruzioni ileali distali, il polidramnios può mancare del tutto.
Management La maggior parte delle anomalie associate riguarda il tratto gastrointestinale, mentre sono rare le anomalie extraintestinali. Ciò suggerisce che l’atresia intestinale sia dovuta ad un danno vascolare acquisito piuttosto che ad un disordine dell’embriogenesi. Oltre 15 sindromi genetiche, cromosomiche e sporadiche sono state descritte in associazione con l’atresia intestinale che si riscontra anche in rare sindromi genetiche autosomiche recessive. In circa il 25% dei casi di atresia digiunale e ileale è presente fibrosi cistica. La diagnosi differenziale si pone con il volvolo intestinale e l’ileo da meconio. Bisogna fare attenzione a non confondere con l’atresia intestinale le masse addominali cistiche (duplicazioni, cisti ovariche e mesenteriche), l’idronefrosi, il megauretere o i reni multicistici molto grandi. Le anomalie renali si associano raramente a polidramnios.
Segni ecografici L’atresia di un segmento intestinale determina dilatazione delle anse intestinali prossimali al segmento atresico [41] (Fig. 10.5). Tale reperto ecograficamente è pressoché identico se l’ostruzione è primitivamente legata a volvolo. È spesso indaginoso stabilire la sede esatta dell’ostruzione perché le dimensioni dell’intestino tenue e crasso in utero sono abbastanza simili [42]; tuttavia, è molto più frequente la dilatazione dell’intestino tenue.
Il management della gravidanza complicata da atresia intestinale [43] richiede: – esame del cariotipo da effettuarsi anche nei casi di lesioni più distali. Se il quadro ecografico è suggestivo di ileo da meconio deve essere effettuato anche lo screening per la fibrosi cistica; – ecocardiografia; – consulenza con chirurgo pediatra; – ecografia ogni 3-4 settimane, per individuare il polidramnios (raro nelle lesioni distali al digiuno) e monitorare il grado di dilatazione delle anse intestinali. È essenziale l’attenta valutazione dei segni di parto pretermine, poiché se la dilatazione intestinale non è molto marcata è utile protrarre il più possibile la gestazione instaurando un’adeguata terapia tocolitica.Viceversa, è indicato anticipare il parto se la dilatazione intestinale è severa, coesiste spiccato polidramnios e vi è un rischio elevato di evoluzione verso la peritonite da meconio. Non vi è indicazione al taglio cesareo. È fondamentale che il neonato alla nascita sia immediatamente valutato dal chirurgo [44]. Nelle forme isolate di atresia ileale distale, la prognosi, dopo correzione chirurgica, è eccellente. È meno buona invece nelle ostruzioni digiunali prossimali, soprattutto per la maggiore incidenza di prematurità legata al polidramnios.
CISTI COLEDOCICA È una formazione cistica localizzata a livello del coledoco.
Eziopatogenesi
Fig.10.5.Caso di atresia intestinale alla 34a settimana:si osservano le anse intestinali dilatate
Sono state formulate le seguenti ipotesi eziologiche: – flaccidità della parete coledocica; – stenosi coledocica a valle della cisti; – associazione di entrambi i precedenti fattori; – reflusso dei succhi pancreatici nell’albero biliare. La malattia è 4 volte più frequente nel sesso femminile.
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Segni ecografici
Segni ecografici
È presente una formazione cistica intraepatica, medialmente alla colecisti [45, 46] (Fig. 10.6). La cisti presenta forma sferica oppure ovoidale ed ha, solitamente, dimensioni inferiori a 3 cm. Le dimensioni tendono ad aumentare durante la gestazione.
Le cisti sono di solito singole, uniloculari o multiloculari, con pareti regolari e sottili [54, 55]. Le dimensioni variano, da pochi millimetri a molti centimetri. La diagnosi differenziale tra le diverse cisti addominali è impossibile. È impossibile anche la diagnosi differenziale con la cisti ovarica. Difficile è la diagnosi differenziale con altre formazioni cistiche e similcistiche addominali, quali la cisti coledocica, la cisti renale e l’atresia duodenale. La cisti coledocica è, solitamente, intraepatica. Nell’atresia duodenale la formazione similcistica comunica con lo stomaco. Nella cisti renale può essere alterato il profilo renale.
Management
Fig.10.6. Feto alla 29a settimana in cui si osserva una cisti addominale:si tratta di una cisti coledocica.È evidente il rapporto di contiguità tra la cisti addominale e la colecisti
Le cisti asintomatiche non necessitano di intervento chirurgico [56, 57]. La recidiva postchirurgica è alta nella cisti retroperitoneale.
CISTI OVARICA La diagnosi di cisti coledocica, sia pure di solo sospetto, non può essere posta prima della fine del II trimestre. L’ecografista deve osservare che la cisti è separata dalla colecisti e non comunica con lo stomaco.
Management È frequente l’insorgenza di cirrosi biliare alcuni mesi dopo la nascita. Ciò spiega l’importanza della diagnosi prenatale che è solo di sospetto e deve essere confermata alla nascita [47]. Il ricorso al trattamento chirurgico dipende dalle dimensioni della cisti.
È una tumefazione cistica dell’ovaio.
Eziopatogenesi ed incidenza In letteratura sono riportati circa 100 casi di cisti ovarica neonatale, prevalentemente di natura disfunzionale. Riteniamo che l’incidenza della condizione sia sottostimata in virtù della benignità (spesso, infatti, le cisti ovariche fetali scompaiono da sole). Le cisti ovariche in genere sono legate alla stimolazione ormonale materna e placentare e spesso scompaiono spontaneamente dopo la nascita. Frequenti sono anche le cisti ovariche di origine disontogenetica.
CISTI MESENTERICHE, OMENTALI, RETROPERITONEALI Segni ecografici Sono cisti presenti in cavità addominale che possono originare dal mesentere, dall’omento o dallo spazio retro-peritoneale [48, 49].
Incidenza ed eziopatogenesi L’incidenza è molto bassa. Statisticamente sono più frequenti le cisti mesenteriche, più rare quelle retroperitoneali. La genesi può essere riportata ad ostruzione di vasi linfatici [50-53].
È una tumefazione, prevalentemente cistica, nella pelvi di un feto di sesso femminile, senza rapporti di continuità né con i reni né con le anse intestinali (Fig. 10.7). È quasi sempre uniloculata, con pareti sottili ed ecoprive e dimensioni variabili, da pochi millimetri a diversi centimetri. Le cisti ovariche di grandi dimensioni si portano verso l’addome superiore. In rari casi, cisti piccole possono dislocarsi in alto per la notevole lassità del legamento largo. Solitamente sono monolaterali, anche se sono state de-
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Management
Fig.10.7.Presenza di una cisti addominale in un feto a termine di sesso femminile:la cisti non contrae rapporti di continuità con i reni e l’intestino.Alla nascita è stato confermato che si trattava di una cisti ovarica
Il management prevede controllo ecografico ogni 3-4 settimane per valutare l’evoluzione della patologia [62-65],dalla possibile scomparsa alle complicazioni [66,67],e la somministrazione di tocolitici in caso di polidramnios. Sebbene le cisti ovariche fetali tendano alla regressione spontanea, in utero o poco dopo la nascita, sono state segnalate complicazioni come torsioni (cisti peduncolate),rottura ed emorragia.La rottura di una cisti ovarica può essere molto pericolosa,al punto di causare la morte fetale o neonatale per emoperitoneo.Alcuni autori effettuano lo svuotamento per aspirazione della cisti [68-70].Le complicanze legate all’intervento in utero sono rare. Esiste, tuttavia, un rischio di rottura della cisti e di emorragia intraperitoneale.
FIBROSI CISTICA scritte cisti ovariche fetali bilaterali [58]. Raramente la cisti è settata, contiene fluido corpuscolato o presenta aspetti ecostrutturali misti. In caso di torsione o di emorragia la cisti ovarica può apparire ricca di aree solide [59]. Il polidramnios si associa nel 10% dei casi. La diagnosi ecografica prenatale di cisti ovarica viene eseguita quasi sempre nel III trimestre. La patologia ha incidenza elevata nelle donne diabetiche [60], ipertiroidee e nei casi di ipertensione indotta dalla gravidanza, immunizzazione Rh, iperplacentosi, condizioni queste caratterizzate da aumento, più o meno cospicuo, della β-hCG. Meno chiara è l’associazione con l’ipotiroidismo fetale riportata da Jafri [61]. Oltre al polidramnios, non sono segnalate anomalie associate in maniera significativa alle cisti ovariche. La diagnosi differenziale va posta con le altre formazioni cistiche o similcistiche addominali: – idrometrocolpo: è una raccolta fluida ovoidale, con maggiore asse longitudinale, sita in sede mediana; – cisti renali: contraggono rapporti con il parenchima renale; – pseudocisti meconiale: sono presenti calcificazioni contestuali; – cisti uracale: è posta in sede mediana, tra la vescica e l’ombelico; – cisti mesenterica: la diagnosi differenziale ecografica è impossibile; – persistenza della cloaca: è una tumefazione a sede mediana, associata a severe anomalie. Bisogna però precisare che, poiché l’aspetto ecografico dei casi su elencati è spesso molto simile, la diagnosi prenatale di cisti ovarica è, di solito, soltanto di sospetto.
È chiamata anche mucoviscidosi o fibrosi pancreatica ed è caratterizzata da cronica ostruzione del tratto respiratorio con malassorbimento intestinale ed insufficienza esocrina pancreatica. Gli individui affetti vanno incontro a ripetute infezioni che interessano soprattutto l’apparato respiratorio. Tutte le secrezioni appaiono più dense del solito. Il sudore contiene un’eccessiva quantità di sodio e di cloro. È frequente l’ostruzione intestinale. Si può verificare perforazione intestinale che, in epoca prenatale, è causa di peritonite da meconio.
Eziopatogenesi ed incidenza La fibrosi cistica è una malattia autosomica recessiva che colpisce con la stessa frequenza i due sessi. È la malattia genetica più diffusa nella popolazione bianca, con una frequenza di circa 1/2.000 nati. Il gene responsabile della malattia è stato localizzato sul cromosoma 7. Ne sono state descritte oltre 700 diverse mutazioni.
Segni ecografici All’esame ecografico il feto affetto da fibrosi cistica può non presentare alcun segno oppure mostrare i seguenti segni di sospetto: – intestino iperecogeno presente nel secondo trimestre e persistente nel terzo [71, 72]; – anse intestinali dilatate nel terzo trimestre [73]; – peritonite da meconio [74, 75]; – ileo da meconio [76]. In associazione con i segni precedenti, nel terzo trimestre è possibile osservare la comparsa di polidramnios.
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Management Nel secondo trimestre di gravidanza, in presenza di intestino iperecogeno [77, 78], è opportuno consigliare l’amniocentesi sia per lo studio del cariotipo fetale che per la diagnosi di fibrosi cistica. La ricerca va effettuata innanzitutto sui genitori che possono essere portatori sani delle quasi trenta mutazioni più importanti.
iperecogeno è di frequente riscontro in feti affetti da infezioni virali, soprattutto da citomegalovirus [86]. Può essere l’unico segno di sospetto per la fibrosi cistica [72, 87]. Si può osservare in caso di precoce riduzione della crescita fetale per insufficienza placentare e nella placentazione inadeguata, che non si associa ancora a ridotta crescita fetale [88]. L’intestino iperecogeno è stato infine osservato nei feti che, all’amniocentesi, presentavano liquido amniotico ematico [89, 90].
INTESTINO IPERECOGENO MALATTIA DI HIRSCHSPRUNG Si definisce iperecogeno l’intestino che, nel secondo trimestre di gravidanza [79], presenta ecogenicità uguale o superiore a quella dell’osso iliaco.
Segni ecografici In una sezione obliqua o longitudinale dell’addome fetale si osserva che l’intestino presenta ecogenicità uguale o superiore a quella dell’osso iliaco [80, 81] (Fig. 10.8). È un metodo empirico, pertanto bassa è l’affidabilità di questo segno che si osserva nello 0,5-1% dei feti a metà gravidanza.
La malattia di Hirschsprung (detta anche aganglionosi congenita intestinale o aganglionosi anale) è caratterizzata dall’assenza dei gangli del plesso mioenterico del colon. L’agenesia gangliare si estende prossimalmente a partire dal retto e può avere estensione variabile. L’aganglionosi totale del colon rappresenta circa l’8% di tutti i casi di aganglionosi ed è caratterizzata dall’agenesia dei gangli del plesso mioenterico per l’intera estensione del viscere.
Eziopatogenesi ed incidenza I gangli del plesso mioenterico derivano dalle creste neurali e invadono lo stomaco alla 6a settimana, l’intestino tenue alla 7a settimana, il colon alla 8a settimana ed il retto alla 12a settimana di gestazione. La loro maturazione si completa al 5° anno di vita. Si ritiene che la malattia di Hirschsprung sia dovuta alla mancata migrazione o alla degenerazione dei gangli. Nella maggior parte dei casi la malattia di Hirschsprung è sporadica. Sono descritti casi con pattern di trasmissione autosomico dominante ad espressività variabile. L’incidenza della malformazione è di 1/10.000, con rapporto maschi/femmine di 4:1.
Fig. 10.8. Scansione longitudinale dell’addome di un feto con intestino iperecogeno: si osserva come l’ecogenicità del piccolo intestino sia sovrapponibile a quella dell’osso iliaco del bacino
Segni ecografici
La presenza di intestino iperecogeno è stata segnalata in situazioni cliniche diverse [78]. Può essere priva di significato patologico. In molti feti, nel secondo trimestre di gravidanza, si osserva intestino iperecogeno che diviene normoecogeno nel terzo trimestre, con nascita di un neonato sano [82]. Può essere marker di cromosomopatia [83-85]. Sottoponendo ad esame del cariotipo tutti i feti che presentavano intestino iperecogeno, Benacerraf ha riscontrato anomalie cromosomiche nel 16% dei casi, con maggiore frequenza di sindrome di Down. L’intestino
Nei rari casi in cui è stato descritto, il quadro ecografico della malattia di Hirschsprung consisteva nella dilatazione parziale o totale del colon, associata a polidramnios (Fig. 10.9) [91]. Wrobleski e Wesselhoeft hanno descritto un caso di malattia di Hirschsprung in cui era dilatato l’intestino tenue [91]. La diagnosi ecografica di malattia di Hirschsprung è solo di sospetto poiché analoghi reperti ecografici sono stati descritti nell’ano imperforato e nell’atresia del colon. In tutti i casi la diagnosi è stata effettuata nel terzo trimestre.
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– dilatazione del tratto a monte dell’ostruzione con sovradistensione delle anse; – necrosi della parete intestinale; – perforazione con fuoriuscita di meconio [37]. I casi di peritonite da meconio nei quali non è possibile dimostrare un’ostruzione del lume intestinale vengono definiti “idiopatici” e sembrano essere secondari ad un danno vascolare primitivo, verosimilmente alla trombosi dell’arteria mesenterica. La reazione chimica peritoneale alla fuoriuscita di meconio conduce in pochi giorni alla formazione di calcificazioni. L’incidenza è rara, colpisce 1/30.000 nati vivi. Fig. 10.9. Presenza di anse intestinali dilatate in un caso di malattia di Hirschsprung
Segni ecografici I pazienti con malattia di Hirschsprung presentano la sintomatologia tipica dell’ostruzione intestinale. L’intestino posto a monte del segmento affetto da aganglionosi è iperperistaltico. L’aumentata motilità, associata alla paralisi del segmento colico agangliare, determinerà la progressiva dilatazione dell’intestino posto a monte del segmento affetto. Tale dilatazione si rende spesso manifesta dopo la nascita, giustificando l’esiguo numero di casi della malattia di Hirschsprung diagnosticato in epoca prenatale. La diagnosi definitiva viene eseguita con la biopsia del colon o del retto. Nel 2% dei casi la malattia di Hirschsprung si associa alla sindrome di Down.
Il riscontro di calcificazioni peritoneali è considerato il segno più caratteristico di peritonite da meconio [101, 102] (Fig. 10.10). Tali calcificazioni, in genere, hanno piccole dimensioni e forma variabile; esse possono essere associate a cisti intraddominali o ascite [103].
PERITONITE DA MECONIO Si tratta di un’infiammazione peritoneale da fuoriuscita di meconio derivante da perforazione intestinale, più spesso dell’intestino tenue [92, 93]. La continua perdita di meconio determina la formazione della cisti da meconio.
Eziopatogenesi ed incidenza Il 65% dei casi è dovuto ad ileo da meconio o ad atresia dell’intestino tenue. La maggioranza dei casi di ileo da meconio è associato a fibrosi cistica [94]. Altre condizioni frequentemente associate sono il volvolo e l’intussuscezione [38]. Sono stati descritti casi di peritonite da meconio in associazione ad abuso di cocaina [95], infezione da virus della rosolia [96], citomegalovirus [97], parvovirus B 19 [98] e virus dell’epatite A [99]. Molti casi di peritonite da meconio sono idiopatici. In genere, la sequenza che si verifica è la seguente [100]:
Fig. 10.10. Quadro di peritonite da meconio: è presente una falda ascitica e si osservano numerose calcificazioni intestinali
Tali calcificazioni peritoneali possono riscontrarsi in qualsiasi sede [104] della cavità peritoneale ed in prossimità della tunica vaginale dello scroto [105], sebbene la localizzazione più frequente sia subito sotto il diaframma al lato destro (peritoneo parietale che ricopre il fegato). Le calcificazioni sono spesso lineari, a differenza delle calcificazioni meconiali intraluminali che appaiono, viceversa, tondeggianti [106, 107]. È possibile la formazione di “pseudocisti meconiali” soprattutto nelle lesioni inveterate. In seguito all’organizzazione della reazione peritoneale si forma una struttura grossolanamente rotondeggiante a contenuto ipoecogeno ed orletto ecogeno regolare. In circa il 50% dei feti affetti da peritonite da meco-
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nio è presente ascite. Il liquido ascitico può presentare una certa ecogenicità specie se la perforazione intestinale è recente per la presenza di meconio libero in cavità addominale. In questi casi è praticamente impossibile individuare le calcificazioni. Nel 25% dei casi è presente anche dilatazione delle anse del piccolo intestino con ispessimento delle pareti. Nel 60% dei casi si osserva polidramnios; nei casi più gravi è presente idrope. La diagnosi differenziale va posta con calcificazioni e cisti di altra natura quali calcificazioni addominali intraluminali (atresia anorettale e del piccolo intestino), calcificazioni parenchimali (infezioni da citomegalovirus o toxoplasmosi), colelitiasi, intestino iperecogeno, cisti ovariche, cisti da duplicazione, cisti mesenteriche, colecisti distesa e cisti epatica.
Management Il management della gravidanza complicata da peritonite da meconio richiede l’amniocentesi non solo per lo studio del cariotipo fetale, ma anche per la ricerca del DNA del presunto agente infettivo o per la ricerca del locus della fibrosi cistica. È poi opportuno praticare controlli seriati per valutare la dilatazione intestinale, l’ascite, l’idrope fetale, che può indurre, nei casi severi (peritonite da meconio acuta), ad anticipare il parto. In caso di polidramnios può essere necessaria la terapia tocolitica per evitare il parto prematuro. La prognosi dipende dall’eziologia che sottende la malattia [74, 108]. In genere è buona, in assenza di fibrosi cistica, dopo l’intervento di resezione del tratto intestinale necrotico.
DIFETTI DELLA PARETE ADDOMINALE Introduzione Lo studio ecografico della parete addominale fetale deve essere eseguito utilizzando scansioni trasversali e longitudinali, valutando in modo particolare l’inserzione del cordone ombelicale. L’operatore deve accertarsi che la parete addominale sia integra. La parete addominale si chiude intorno alla 12a settimana. Questo significa che fino a quell’epoca un modesto onfalocele, costituito solo da anse del piccolo intestino, è da considerare fisiologico. La valutazione dell’integrità della parete addominale è semplice quando non vi sono altre strutture addossate all’addome fetale
e vi è il netto contrasto rappresentato dal liquido amniotico, mentre è difficile in tutte quelle condizioni che limitano una chiara osservazione della parete. Tali condizioni sono date da un oligoidramnios, da un’elevata epoca di gestazione, dalla gemellarità, da una malposizione fetale, dall’obesità materna. Se l’operatore osserva una lesione della parete addominale deve individuare se la sede della lesione è mediana o laterale. Se la lesione è mediana può riguardare la zona di inserzione del cordone ombelicale ovvero la porzione più caudale della parete addominale. È relativamente facile osservare un difetto mediano periombelicale, mentre è difficile identificare un difetto della parete addominale caudale. In questo caso si deve pensare ad una estrofia della vescica ovvero ad una estrofia della cloaca. La diagnosi ecografica di estrofia vescicale è difficile; essa viene sospettata quando, in presenza di normoamnios, non si visualizza la vescica fetale. La diagnosi di estrofia della cloaca è ancora più difficile. Questa può essere sospettata in presenza di un difetto addominale caudale associato a difetti scheletrici vertebrali, degli arti inferiori e genito-urinari. Se la sede del difetto è mediana, in rapporto con l’inserzione ombelicale, e gli organi erniati sono rivestiti da membrana si tratta di un onfalocele. Nei casi di onfalocele la presenza del peritoneo che riveste gli organi addominali erniati è pressoché costante; in taluni casi, però, questa membrana può essere rotta. Quando l’operatore identifica l’onfalocele deve descrivere la sede della lesione, la biometria del sacco erniario, gli organi presenti nello stesso ed il decorso del cordone ombelicale. Gli organi che possono essere presenti nel sacco erniario sono: l’intestino tenue, lo stomaco, la colecisti, il fegato, il colon, la milza ed i reni. La presenza dell’intestino tenue è quasi costante. Il cordone ombelicale attraversa la lesione (può essere di aiuto il color doppler) ed appare, di solito, dilatato. È possibile riscontrare nel sacco erniario una falda di liquido amniotico. Se la lesione della parete addominale è laterale si deve pensare alla gastroschisi in cui gli organi erniati non sono rivestiti da membrane. La diagnosi differenziale tra gastroschisi ed onfalocele rotto è difficile. In questo caso l’operatore oltre a descrivere gli organi erniati (di solito sono presenti anse intestinali), deve valutare l’eventuale presenza di una reazione degli organi stessi al contatto con il liquido amniotico. Quest’evento può sfociare in una parete intestinale edematosa ed ispessita, in anse intestinali dilatate espressione di possibile atresia intestinale. Nella Tabella 10.5 vi sono i segni ecografici dei difetti della parete addominale.
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Tabella 10.5. Segni ecografici utili nella diagnosi delle anomalie della parete addominale Difetto Gastroschisi Localizzazione Paraombelicale destra Dimensioni del difetto Piccole (2-4 cm) Membrane Assenti Interessamento epatico Assente Ascite Assente Ispessimento intestinale Presente Complicanze intestinali Comuni (15%) Anomalie cardiache Rare Altre anomalie Rare Cromosomopatie Liquido amniotico
Onfalocele Mediana,al sito di inserzione del cordone Variabili (2-10 cm) Presenti Possibile Comune Assente a membrane integre Assenti Comuni Comuni (50-70%)
Rare Comuni (30-40%) Possibile polidramnios Frequente polidramnios
GASTROSCHISI È l’erniazione di visceri addominali, solitamente dell’intestino tenue, attraverso un difetto paraombelicale della parete addominale, in genere situato a destra dell’inserzione del cordone ombelicale [20, 21].
Eziopatogenesi ed incidenza L’eziologia è eterogenea; l’anomalia può infatti derivare da accidenti vascolari, da abnorme involuzione della vena ombelicale o da errori nello sviluppo dell’arteria onfalomesenterica destra [115, 116], con conseguente infarto e necrosi tissutale. L’incidenza della gastroschisi è di 1/2.500-3.000 nati vivi, con rapporto maschi/femmine di 1/1 [117]. Il rischio di ricorrenza nelle gravidanze successive è molto basso. Sebbene rara in alcune famiglie si è evidenziata una trasmissione autosomica dominante. Lo screening mediante valutazione dei livelli sierici di alfafetoproteina può individuare i 3/4 dei casi di gastroschisi. Sono spesso osservati valori di 4-5 MoM.
Limb-body wall complex Laterale Ampie Presenti,contigue alla placenta Presente Assente Possibile Assenti Comuni Sempre (scoliosi,difetti cranici, difetti degli arti) Assenti Oligoidramnios
Estrofia vescicale Intraombelicale Variabili Presenti od assenti Possibile Presente od assente Presente od assente Assenti 10-15% Sempre (genitourinari,spinali) Presenti od assenti Normoamnios senza anomalie associate
L’inserzione del cordone è indenne ed il difetto coinvolge tutti gli strati della parete addominale. I vasi del cordone possono essere osservati a sinistra dell’intestino erniato. Se il difetto della parete addominale è piccolo, le anse intestinali, all’interno o all’esterno dell’addome, si presentano dilatate [111, 112]. Nei casi severi, la dilatazione delle anse può raggiungere e superare i 18 mm per fenomeni ostruttivi e/o ischemici con possibile complicanza verso la gangrena, perforazione, peritonite da meconio. Le anse intestinali, inoltre, possono apparire ispessite ed iperecogene per la presenza di uno strato di fibrina che le ricopre, secondario alla reazione infiammatoria, espressione di peritonite chimica per l’esposizione dell’intestino agli irritanti urinari contenuti nel liquido amniotico [109]. La malrotazione intestinale è comune, poiché le anse erniate non vanno incontro alla fisiologica rotazione e fissazione alla parete addominale. Lo stomaco può essere invertito o malposizionato.
Segni ecografici La gastroschisi non presenta membrane che rivestono il contenuto addominale erniato, generalmente costituito dal solo intestino e principalmente dall’intestino tenue [109]. Meno frequente è la presenza dello stomaco o dell’intestino crasso. Rarissima è la presenza di altri organi, quali i reni, il fegato o la vescica. L’immagine ecografica tipica è quella di anse intestinali liberamente fluttuanti nel liquido amniotico [110] (Fig. 10.11). L’intestino ernia attraverso il quadrante addominale inferiore destro. Rarissima è la gastroschisi che si verifica sul lato sinistro.
Fig. 10.11. Caso di gastroschisi:si osservano anse dell’intestino tenue non ricoperte da membrane e poste a diretto contatto con il liquido amniotico
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Il liquido amniotico è generalmente normale o lievemente diminuito. Tuttavia, se l’intestino è ostruito si può verificare polidramnios. Nel 48% dei casi si sviluppa IUGR [113]. Si sottolinea che le misure dell’addome non sono attendibili dato che parte dell’intestino è erniato fuori dell’addome. La diagnosi ecografica può essere posta fin dalla 14a settimana [114]. Prima vi può essere confusione con l’erniazione intestinale fisiologica. La diagnosi differenziale va fatta con il limb-body wall complex dove la gastroschisi è una componente della sindrome ma anche il fegato è fuori dell’addome e vi sono problemi vertebrali ed agli arti.
Management Quando viene posta diagnosi di gastroschisi è opportuno eseguire: – lo studio del cariotipo sebbene il rischio di anomalie cromosomiche risulti basso; – ecocardiografia fetale; – consulenza con un chirurgo pediatrico. È preferibile coordinare le cure in un centro di terzo livello [118], per la potenziale necessità di un intervento rapido. È utile eseguire l’esame ecografico ogni 3-4 settimane [119, 120] per individuare precocemente l’ispessimento delle anse intestinali o la dilatazione dell’intestino fetale,che sono segni prognostici negativi,e per valutare la crescita fetale. L’IUGR in caso di gastroschisi può complicare il management ostetrico.Il feto con intestino normale all’esame ecografico può nascere a termine.È stato dimostrato un miglioramento dell’outcome perinatale nei neonati da taglio cesareo elettivo [121], prima del travaglio. Nei feti con dilatazione o ispessimento dell’intestino,la prognosi può essere migliorata dall’anticipare il parto,non appena si sia ottenuta la maturità polmonare. Il parto andrebbe programmato in un centro di III livello con annessa rianimazione neonatale. Il management postnatale richiede l’immediato inglobamento dell’intestino in una busta sterile, contenente soluzione plasmatica riscaldata, elettroliti ed antibiotici, seguito dal trasporto all’unità di chirurgia pediatrica per un rapido intervento di chiusura dell’addome. A causa dell’ispessimento della parete intestinale può essere necessaria l’alimentazione a lungo termine per via endovenosa. È riportata una mortalità postoperatoria del 10%.
Eziopatogenesi ed incidenza L’onfalocele deriva probabilmente dall’arresto della migrazione ventromediale dei dermatomiotomi.Colpisce un neonato su 4.000, con rapporto maschi/femmine di 1/5. L’incidenza aumenta con l’età materna [124]. L’onfalocele presenta malformazioni associate [125, 126] in quasi il 50% dei casi, più frequentemente difetti cardiaci (30-50%).Possono inoltre riscontrarsi estrofia vescicale, ano imperforato, atresia, stenosi e malrotazione intestinale, difetti del tubo neurale, labioschisi con o senza palatoschisi ed ernia diaframmatica. Le anomalie cromosomiche sono associate nel 25% dei casi, particolarmente la trisomia 13 e 18 [127]. L’onfalocele può far parte della sindrome di BeckwithWiedemann [128] (onfalocele con macrosomia, macroglossia, organomegalia e ipoglicemia neonatale). Il rischio di ricorrenza nelle gravidanze successive è estremamente basso in caso di onfalocele con assenza di anomalie associate. Per quanto attiene all’onfalocele isolato,raramente sono stati riportati casi con trasmissione autosomica dominante e X-linked recessiva. Alcuni casi di sindrome di Beckwith-Wiedemann mostrano una trasmissione autosomica dominante. La determinazione dei livelli di MSAFP (Material Serum AFP) individua il 40% dei casi di onfalocele [129].
Segni ecografici La diagnosi può essere posta fin dalla 14a settimana, sebbene a questa epoca si possa generare confusione con l’erniazione fisiologica dell’intestino. L’intestino è l’organo erniato più frequentemente, ma stomaco, fegato e milza possono essere parzialmente o interamente presenti in oltre il 40% dei casi. Per la libera comunicazione con la cavità peritoneale, è generalmente riscontrabile un film liquido tra il contenuto dell’onfalocele e le membrane (Fig. 10.12).
ONFALOCELE L’onfalocele è un difetto ventrale della parete addominale, con erniazione dei visceri alla base del cordone ombelicale [20, 21]. Le strutture erniate sono rivestite da membrane.
Fig.10.12.Caso di onfalocele:in questa scansione sagittale si osserva l’eviscerazione di contenuto addominale attraverso un difetto di parete
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Nell’onfalocele o in addome può essere presente ascite. Il quadro ecografico varia in relazione alle dimensioni ed al tipo dei visceri erniati. La massa che fuoriesce dalla parete addominale in sede mediana, a livello dell’inserzione del cordone ombelicale è ricoperta da membrane, si presenta generalmente di dimensioni discrete e con ecogenicità omogenea tipica degli organi parenchimatosi nel caso di erniazione del fegato, mentre le dimensioni sono generalmente ridotte e l’ecogenicità aumentata nel caso di erniazione dell’intestino. L’inserzione centrale ed i rapporti con il cordone rappresentano i segni distintivi primari rispetto alla gastroschisi [122, 123], da ricercare pertanto anche con scansioni sagittali e oblique dell’addome fetale. La porzione intraepatica della vena ombelicale attraversa il difetto di parete nel caso di erniazione del fegato. Il versamento ascitico che spesso è presente nella massa erniata contribuisce ad evidenziare le membrane che la ricoprono. Nel 20% dei casi di onfalocele vi è solo intestino e/o ascite. La maggior parte delle anomalie cromosomiche si osserva in questo sottogruppo. La rottura dell’onfalocele è una rara complicanza. L’aspetto ecografico è simile alla gastroschisi, eccetto il fatto che il fegato può essere presente e che il cordone è localizzato al centro della massa. Nel 30% dei casi è presente polidramnios. La diagnosi differenziale va posta con: – la gastroschisi dove non si osservano membrane che circondano i visceri erniati, mentre il cordone ombelicale è posto a sinistra della massa erniata; – l’ernia ombelicale che è difficilmente distinguibile da un piccolo onfalocele; – l’estrofia vescicale dove la vescica non è visibile ma vi è una massa al di sotto dell’inserzione del cordone; – la body stalk anomaly nella quale si osservano alterazioni degli arti e la placenta è attaccata al feto; – la cisti allantoidea che è adesa al cordone ombelicale e non origina dal feto; può essere presente contemporaneamente una cisti dell’uraco cosicché l’allantoide e la cisti dell’uraco appaiono adiacenti. – la pentalogia di Cantrell, nella quale, accanto ad un voluminoso onfalocele vi è ectopia cordis, difetto diaframmatico e sternale.
Management Posta diagnosi di onfalocele e di eventuali anomalie associate è necessario eseguire [130, 131]: – cariotipo; – ecocardiografia; – consulenza con chirurgo pediatrico; – ecografia ogni 4 settimane.
Riguardo alla modalità del parto i dati riportati in letteratura non evidenziano vantaggi con il taglio cesareo [132] tranne in quei casi in cui l’onfalocele è tanto voluminoso da ostacolare l’espletamento del parto per le vie naturali. È preferibile che questo avvenga a termine, in un centro attrezzato per il management chirurgico del neonato. La prognosi dipende generalmente dalla presenza di malformazioni associate o, in caso di onfalocele isolato, dalle dimensioni [112] del difetto della parete addominale anteriore. In assenza di altre anomalie, l’outcome per il neonato affetto da onfalocele è buono, in quanto la riparazione chirurgica è realizzabile nella maggior parte dei casi. In presenza di anomalie maggiori la sopravvivenza è molto bassa (20%). Poiché normalmente l’onfalocele alla nascita è ricoperto da un sacco intatto, l’intervento chirurgico immediato, entro poche ore, non è sempre necessario, particolarmente quando il difetto è piccolo. Onfaloceli di piccole dimensioni, con difetto inferiore a 4 cm e senza erniazione del fegato, sono quasi sempre completamente riparati al primo intervento chirurgico. Quando la riparazione completa non è possibile, il difetto ed il contenuto viscerale erniato vengono coperti da una membrana di silastic a forma di borsa. Nei giorni successivi, gradualmente, sotto la spinta della gravità e della compressione esercitata sulla borsa di silastic i visceri entrano in cavità addominale, permettendo poi la chiusura chirurgica definitiva del difetto di parete.
ERNIA DIAFRAMMATICA Le ernie diaframmatiche comprendono un gruppo di difetti diaframmatici in cui parte dei visceri addominali protrude nella cavità toracica [20, 21]. Ciò si verifica più frequentemente (90%) attraverso un difetto posterolaterale (ernia di Bochdalek, nell’80% dei casi a sinistra, nel 15% a destra ed in circa il 5% bilaterale) o nel 2% dei casi, retrosternale (ernia di Morgani).
Eziopatogenesi ed incidenza L’ernia posterolaterale si verifica in 15-20 casi per 100.000 nati, con rapporto maschi/femmine di 2/1. L’ernia retrosternale ha un’incidenza di 1/100.000 nati. Probabilmente l’ernia si sviluppa tra la 6a e la 10a settimana quando l’intestino migra dal sacco vitellino ed il diaframma si sta sviluppando. Il meccanismo patogenetico probabilmente è rappresentato da un’alterazione del timing di questi eventi con migrazione toracica dell’intestino e deficit di chiusura del diaframma.
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Segni ecografici La diagnosi può essere talvolta fatta dalla 18a settimana di gestazione e si basa sulla evidenziazione ecografica di organi addominali nella cavità toracica [133-135] (Fig. 10.13). L’ernia localizzata a sinistra può essere diagnosticata osservando nel torace la presenza parziale o totale dello stomaco o di anse di intestino. Si verifica in genere uno shift del cuore a destra [136]. L’ernia localizzata a destra è più difficile da diagnosticare perché la parte erniata, il fegato, presenta caratteristiche ecografiche simili al polmone. Tuttavia, vi è shift mediastinico o idrotorace. Altri segni includono un’abnorme posizione della colecisti e delle vene epatiche. Lo stomaco si presenta allineato abnormemente su un piano orizzontale e verso destra [137]. Il liquido amniotico è in genere normale. Tuttavia, se si verifica ostruzione intestinale si osserva polidramnios. Il polidramnios compare raramente prima della 24a settimana e comporta una prognosi negativa perché si correla a ipoplasia polmonare. La presenza di translucenza nucale aumentata alla 11a-14a settimana [138], secondaria alla compressione vascolare, suggerisce una prognosi non sempre favorevole. Nell’ernia retrosternale è più frequente l’erniazione di parte del fegato mentre spesso lo stomaco conserva la sua localizzazione addominale. È possibile lo sviluppo di ascite e di versamento pleurico e/o pericardico, fino all’idrope. Vi può essere compressione o rotazione cardiaca, ma raramente si determina una significativa compressione polmonare [139]. Possono associarsi
Fig.10.13.Caso di ernia diaframmatica:si osserva l’erniazione di visceri addominali nel torace e la conseguente destroposizione cardiaca
anomalie strutturali o cromosomiche. La diagnosi differenziale va posta con la malattia adenomatoide cistica del polmone, dove il diaframma è intatto e non vi è peristalsi, con i tumori del polmone (estremamente rari e spesso associati a calcificazioni) e con la destrocardia. Nell’ernia diaframmatica, il cuore, sebbene dislocato a destra, punta ancora a sinistra.
Anomalie associate Le anomalie più frequentemente associate sono, nel 30% dei casi, a carico del sistema nervoso centrale, nel 20% cardiache. Alterazioni renali, vertebrali, polmonari, facciali, cromosomiche (particolarmente la trisomia 18 e 21) si riscontrano in circa il 25% dei casi di ernia diaframmatica. Quest’ultima può far parte di sindromi malformative multiple (sindrome di Fryn [140], di Cornelia de Lange, di Beckwith-Wiedemann [141, 142], di Pierre Robin). Il pattern di trasmissione è generalmente sporadico.
Management Quando si pone diagnosi di ernia diaframmatica è utile eseguire: – cariotipo fetale; – ecocardiografia; – consulenza con chirurgo pediatrico. Il management della gravidanza con feto affetto da ernia diaframmatica richiede la tocolisi profilattica in caso di polidramnios, in considerazione della scadente prognosi che si osserva se la prematurità complica la correzione chirurgica. È quasi sempre necessaria la rianimazione del neonato. Pertanto, il parto deve avvenire in un centro di terzo livello. Non vi sono indicazioni per un parto prima del termine o mediante taglio cesareo. I fattori principali determinanti la sopravvivenza sono: – grado di ipoplasia polmonare; – coesistenza di altre anomalie. La mortalità [143] è particolarmente alta (60-80%) nei casi diagnosticati prima della 25a settimana o complicati da polidramnios, IUGR, idrope fetale, ma resta alta anche nelle forme isolate di ernia diaframmatica. Nelle casistiche più recenti la sopravvivenza postoperatoria è di circa il 51%.
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Capitolo 10 • Malformazioni gastrointestinali • G.Vullo,A.Di Meglio
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CAPITOLO 11
Anomalie dell’apparato urogenitale V. S. Zurzolo • A. Di Domenico • P. Borrelli
INTRODUZIONE Le anomalie dell’apparato urogenitale presentano un’incidenza alla nascita dello 0,4% [1]. Esse sono diagnosticate mediante l’ecografia, piuttosto agevolmente, nel II trimestre di gravidanza, ma per l’evolutività di alcune lesioni è possibile un loro riscontro solo nel III trimestre. Le alterazioni dell’apparato urinario possono essere dovute ad anomalie dell’organogenesi, a patologia displasica, a ostruzione dei sistemi collettori e a patologia neoplastica.
CENNI DI EMBRIOLOGIA L’apparato urogenitale origina dal mesoderma intermedio, posto lungo la parete posteriore della cavità ad-
Sistema pronefrico vestigale
dominale. Dal punto di vista funzionale, l’apparato urinario e quello genitale sono completamente differenti, ma intimamente connessi dal punto di vista embriologico tanto che inizialmente i condotti escretori di entrambi gli apparati terminano in una cavità unica denominata cloaca [2]. Alla fine della 4a settimana di gestazione, in embrioni di 2,5 mm, incomincia a sostituirsi al rene primitivo (pronefro) non funzionante, il mesonefro che possiede già i corpuscoli del Malpighi, elementi renali tipici formati dalla capsula di Bowmann e dal glomerulo arterioso (Figg. 11.1 e 11.2). Alla 5a settimana compare il metanefro o rene definitivo le cui unità escretrici (nefroni) e il sistema collettore
Mesentere urogenitale
Tubulo escretorio del mesonefro Dotto mesonefrico Dotto paramesonefrico
Mesentere Intestino Mesonefro
Dotto mesonefrico
Glomerulo Gonade Capsula di Bowman Intestino Dotto vitellino Allantoide Unità escretrici mesofreniche Dotto mesonefrico Abbozzo ureterico
Fig. 11.1. Schema di un embrione alla 5a settimana. Si evidenziano i tubuli escretori dei sistemi pronefrico e mesonefrico. Da [2], con autorizzazione
Cloaca
Dotto paramesonefrico Gonade
Fig. 11.2. Schema di un embrione alla 5a settimana.Si evidenziano il tubulo escretorio del sistema mesonefrico e i rapporti delle gonadi con il mesonefro (dotto di Wolff).Da [2],con autorizzazione
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
si sviluppano dal contatto tra la gemma ureterale e il blastema metanefrico. La gemma ureterale, che origina dalla porzione distale del dotto mesonefrico, subisce una serie di divisioni dicotomiche in seguito alle quali si struttura il sistema collettore del rene (uretere, pelvi, calici e tubuli collettori). L’estremità in espansione di ogni ramo della gemma ureterale è detta ampolla. Il blastema metanefrico si dispone intorno ad essa e prolifera dando origine quindi a tubuli comunicanti che formano i nefroni. Sotto e medialmente al mesonefro si posiziona la cresta genitale dalla quale derivano le gonadi. Nella cresta genitale migrano le cellule germinali primordiali o gonociti fino all’inizio della 6a settimana. La linea di discendenza germinale si ritiene sia precocemente separata dalla linea somatica fin dalle prime moltiplicazioni cellulari (due, quattro blastomeri). Le cellule germinali maschili e femminili provengono dall’endoderma e migrano, attraverso il mesentere, nell’abbozzo della gonade sulla quale esercitano un’azione stimolante (Fig. 11.3). Alla fine della 6a settimana inizia l’ascesa dei reni e la discesa delle gonadi che, in entrambi i sessi, si posizionano nella regione pelvica (Fig. 11.4). Le gonadi, inizialmente in uno stato di indifferenza
Cresta genitale Intestino posteriore Cresta genitale
Cloaca
Mesonefro
Fig.11.3. Schema di un embrione alla 6a settimana.Si evidenzia la via migratoria delle cellule germinali primordiali lungo la parete dell’intestino posteriore e del mesentere dorsale.Da [2],con autorizzazione
Gonade Mesonefro Allantoide Vescica
Gonade e resti del mesonefro
Metanefro
Fallo
Cloaca Tessuto metanefrico
Segno urogenitale Uretere Fletto
Fig.11.4. Schema di un embrione alla fine della 6a settimana.Si evidenzia l’ascesa dei reni e la discesa delle gonadi.Da [2],con autorizzazione
sessuale, alla fine della 7a settimana, si diversificano così che si possano riconoscere i testicoli, in cui si sviluppa principalmente la parte midollare; mentre le ovaie, nelle quali si sviluppa la parte corticale, si distingueranno alla fine della 8a settimana. I condotti genitali si presentano anch’essi inizialmente indifferenziati (dotti mesonefrici o di Wolf e paramesonefrici o di Muller); i testicoli fetali producono una sostanza non steroidea (fattore antimulleriano) che stimola la differenziazione dei dotti mesonefrici (vasi deferenti ed epididimo) e inibisce i dotti paramesonefrici. Gli androgeni prodotti sempre dai testicoli inducono la formazione dei genitali esterni (pene e scroto) e della prostata. In assenza del fattore antimulleriano e per azione degli estrogeni sia materni che di quelli prodotti dalle ovaie fetali, si sviluppano dai dotti di Muller le tube, l’utero e il III superiore della vagina. Nello stesso modo, in assenza di androgeni, i genitali esterni indifferenziati stimolati dagli estrogeni si differenziano nelle grandi e piccole labbra, nel clitoride e nei 2/3 inferiori della vagina. Tra la 11ª e la 12ª settimana è difficile stabilire il sesso fetale in quanto i genitali esterni appaiono indifferenziati; si osservano in entrambi i sessi i toruli genitali con all’apice il tubercolo genitale, separati al centro dalla doccia uretrale e dalla plica uretrale (Fig. 11.5). Nella donna i toruli diventano le grandi labbra e le pliche uretrali le piccole labbra, divise al centro da un sol-
Tubercolo genitale Piega cloacale
Rigonfiamento genitale
Tubercolo genitale Pieghe uretrali
Membrana cloacale
Piega anale
Fig. 11.5. Schema dei genitali esterni di un embrione tra la 11a e la 12a settimana.Si evidenzia il tubercolo genitale e le pieghe uretrali.Da [2],con autorizzazione
Tubercolo genitale
Doccia urogenitale
Piega uretrale Rigonfiamento genotale
Uretra
Vagina
Clitoride Piccolo labbro Grande labbro
Perineo Ano
Fig.11.6. Schema dello sviluppo dei genitali esterni femminili.Da [2],con autorizzazione
Capitolo 11 • Anomalie dell’apparato urogenitale • V.S.Zurzolo,A.Di Domenico,P.Borrelli
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co che dà origine al vestibolo vaginale, mentre il tubercolo genitale genera il glande del clitoride (Fig. 11.6). Nell’uomo il tubercolo genitale, con il contributo delle pliche genitali, si trasforma nel pene mentre i due toruli si avvicinano e si uniscono medialmente dando origine al sacco scrotale dove migreranno i testicoli durante il VII mese di gestazione (Fig. 11.7).
Fallo
Lamina uretrale
Doccia uretrale Piega uretrale Rigonfiamenti scrotali Perineo Pieghe anali
Uretra peniena
Cordone epiteliale solido
Porzione uretrale nel glande
Sbocco uretrale Glande Linea di fusione delle pieghe uretrali Linea di fusione dei rigonfiamenti scrotali (setto scrotale)
Lume dell’uretra peniena
Fig 11.8. Agenesia renale monolaterale.Si nota la loggia renale destra vuota
Perineo Ano
Fig. 11.7. Schema dello sviluppo dei genitali esterni maschili.Da [2],con autorizzazione
ANOMALIE DELL’ORGANOGENESI Agenesia renale Si intende per agenesia renale l’assenza del rene e dell’uretere. Può essere mono o bilaterale. L’agenesia renale bilaterale si verifica con un’incidenza di circa 13:10.000 nascite e il rischio di ricorrenza è del 3%. Tale anomalia può trasmettersi per via autosomica dominante a penetranza incompleta, per via autosomica recessiva ed X- linked. Si associa spesso al consumo abituale di cocaina e all’assunzione di antitrombotici come il Warfarin. Essa può essere dovuta: – all’assenza della massa nefrogenica ai lati della cavità celomatica; – all’impossibilità dell’abbozzo ureterale di raggiungere il blastema metanefrico; – alla mancata differenziazione del blastema metanefrico. La forma monolaterale è una malformazione piuttosto frequente con un’incidenza di circa 20:10.000 nascite (Fig. 11.8). Nel 25-50% dei casi sono associate anomalie del tratto genitale, specie nei feti di sesso femminile.
Diagnosi La diagnosi ecografica della forma bilaterale si pone tra la 14ª e la 16ª settimana di gestazione con la mancata visualizzazione di entrambi i reni, della vescica, degli ureteri e delle arterie renali al color Doppler [3]. È sempre presente oligoanidramnios [4].
Altri segni che si possono associare, oltre alla biometria del torace ridotta, sono la deformità degli arti e la dolicocefalia. È sempre importante ricercare la presenza di un eventuale rene ectopico e distinguere i surreni dai reni, in base soprattutto alla diversa morfologia. Infatti, nei feti affetti da tale anomalia, le ghiandole surrenali appaiono ipertrofiche e d’aspetto discoidale potendosi facilmente confondere con i reni. Esse presentano due aree esterne ipoecogene ed una centrale più ecogena, ma mancano di una capsula ben definita e non hanno la pelvi centrale con il contenuto liquido. La diagnosi differenziale, tra la 14ª e la 17ª settimana, è difficile proprio per la mancanza di liquido amniotico. Se durante l’esame ecografico non si visualizza la vescica bisogna aspettare un’ora prima di essere certi che non vi sia produzione di urina. Bisogna escludere poi altre cause che possano determinare oligoamnios quali un severo IUGR, la displasia renale bilaterale e l’agenesia renale monolaterale con displasia controlaterale. Nel caso di agenesia renale monolaterale [5] la diagnosi ecografica è resa difficoltosa dal fatto che il liquido amniotico è normale, la vescica è visualizzata e la ghiandola surrenale ipertrofica può simulare un rene ipoplasico. La diagnosi differenziale va posta con l’ectopia renale e con quella crociata. Il color Doppler può essere di ausilio diagnostico per la mancata visualizzazione dell’arteria renale.
Prognosi L’agenesia renale bilaterale è incompatibile con la vita. Alla nascita il feto presenta aspetto vecchieggiante con la classica “sequenza di Potter” ovverosia l’aspetto tipico del viso ed il naso a becco, l’inserzione bassa delle orecchie e la plica prominente ai canti interni oculari nonché l’ipoplasia polmonare; tutti questi segni sono determinati dalla riduzione del liquido amniotico [6].
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All’agenesia renale si possono associare anomalie a carico del torace (ernia diaframmatica), del SNC (microcefalia, spina bifida, idrocefalia) e degli apparati genitale (ipospadia, epispadia, genitali ambigui) e cardiovascolare (DIV, tetralogia di Fallot, trasposizione dei grandi vasi, ecc.). Infine, l’agenesia renale bilaterale è associata a oltre 50 sindromi malformative. Tra queste ricordiamo soprattutto la VACTERL (anomalie vertebrali, ano imperforato, cardiopatie, fistola tracheo-esofagea, alterazione renale e deformità degli arti) e la sindrome MURCS (alterazioni “mulleriane”, renali e dei somiti cervicali). La forma monolaterale, invece, presenta una prognosi eccellente e il neonato non ha bisogno di alcun trattamento specifico.
Ectopia renale Si definisce ectopia renale la presenza del rene in sede anomala. Le forme più frequenti di ectopia renale sono il rene pelvico e l’ectopia crociata con un’incidenza di 1:1.200 e di 1:7.000 nati rispettivamente. Sono malformazioni poco note che spesso si confondono con l’agenesia renale monolaterale. Si associano frequentemente ad altre anomalie dell’apparato urinario sia ostruttive che displasiche. È frequente una concomitante presenza di anomalie extraurinarie a carico dell’apparato genitale, digerente e cardiovascolare [7].
Fig. 11.10. Ectopia crociata.Rene unico mediano
Se, come spesso accade, si verifica una difficoltà al deflusso urinario, è possibile evidenziare in entrambe le forme una dilatazione delle vie urinarie con pielectasia associata o meno a calicectasia e a megauretere.
Prognosi La prognosi di solito è buona, in particolare nelle forme isolate senza idronefrosi. Per quanto riguarda il management ostetrico è utile sottoporre la paziente a controlli ogni 3 o 4 settimane onde scongiurare l’insorgenza di eventuali complicanze quali appunto l’idronefrosi.
Diagnosi I segni ecografici di tale patologia non sono chiari e quindi il riconoscimento non è del tutto agevole. Nell’ectopia renale (Fig. 11.9) il rene fetale, di solito più piccolo, è localizzato nella pelvi al di sopra della vescica, mentre nell’ectopia crociata i 2 reni appaiono fusi di solito ai poli a formare un unico rene di volume aumentato e a forma bilobata (Fig. 11.10).
PATOLOGIA DISPLASICA Malattie cistiche renali Potter distingue 4 tipi di malattie cistiche renali: rene policistico infantile, rene multicistico, rene policistico dell’adulto, displasia cistica ostruttiva (Tabella 11.1). Tabella 11.1. Classificazione delle malattie cistiche renali secondo Potter Tipo I Tipo II
Rene policistico infantile Rene multicistico
II A - Reni di volume aumentato o normale,a larghe cisti II B - Reni di volume ridotto a piccole cisti
Tipo III Rene policistico dell’adulto Titpo IV Displasia cistica ostruttiva
Rene policistico infantile (tipo I di Potter) Fig. 11.9. Rene ectopico pelvico. Si nota il rene sinistro in sede e il rene destro ectopico paravescicale
Il rene policistico infantile, a trasmissione autosomica recessiva (Tabella 11.1) [8], è una malformazione bilaterale (totale o parziale) che talora si associa a fibrosi epatica con iperplasia dei dotti biliari.
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Tale patologia ha una ricorrenza del 25% e si ritrova in 1:60.000 nati vivi. A seconda dell’epoca d’insorgenza distinguiamo una forma perinatale, neonatale, infantile e giovanile. La manifestazione prenatale è la forma più comune ed è la più grave, ma paradossalmente ad essa non si associa la fibrosi epatica che di solito ritroviamo nella forma giovanile a prognosi migliore.
Diagnosi Dal punto di vista ecografico tale patologia è diagnosticabile dopo la 24ª settimana di gestazione, ma, nei casi più gravi, la diagnosi può essere posta in epoca precedente. Sono stati anche descritti casi di rene policistico diagnosticati tardivamente, nel III trimestre, dopo che tutti gli esami ecografici precedenti erano risultati nella norma. Il rene policistico infantile all’ultrasonografia appare aumentato di volume per la presenza di piccole cisti circondate da parenchima iperecogeno, localizzate soprattutto nella regione midollare e del diametro di 1-2 mm; il volume renale frequentemente supera il 90° percentile. Può occupare interamente l’addome fetale causando di conseguenza compressione degli organi addominali o delle vie urinarie controlaterali (Fig. 11.11). La regione corticale è in genere ipoecogena, la pelvi e i calici appaiono regolari. La presenza delle piccole e numerose cisti rende difficile la diagnosi differenziale con il rene displasico tipo II A della classificazione di Potter (Tabella 11.1). Trattandosi di una anomalia bilaterale non vi è produzione di urina, non si visualizza la vescica ed è presente oligoamnios. La forma ad insorgenza tardiva (forma giovanile), invece, è caratterizzata, in epoca prenatale, da liquido amniotico regolare e modesto aumento del volume renale [9]. Ecograficamente il fegato presenta cisti e fibrosi, ma è di volume normale.
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Prognosi La prognosi del rene policistico infantile non è favorevole. I casi più gravi sono quelli associati a seria compromissione del microcircolo renale evidente al doppler pulsato con un indice di resistenza dell’arteria renale aumentato. Nel caso in cui la diagnosi è piuttosto precoce, quindi prima della 24ª settimana, è giusto informare i genitori circa la gravità della prognosi onde decidere per un’eventuale interruzione della gravidanza [10]. Nella forma diagnosticata tardivamente, in epoca perinatale o neonatale, la prognosi varia a seconda della severità della forma, ma in genere è migliore.
Displasia renale multicistica (tipo II di Potter) La displasia renale multicistica (multicystic dysplastic kidney disease, MDKD) è una delle più comuni anomalie congenite renali con un’incidenza di 1:3.000 nati vivi e rappresenta, dopo l’idronefrosi, la causa più frequente di tumefazione renale palpabile del neonato [11]. La malattia può essere unilaterale, bilaterale e segmentaria ed è legata ad un’impervietà della via escretrice.Per un insulto ischemico durante lo sviluppo fetale o un deficit di fusione tra gemma ureterale ed il metanefro, l’uretere corrispondente è atresico o può mancare per un tratto. La lesione ureterale, che si instaura precocemente, danneggia il parenchima renale causando la displasia. Il rene, colpito nella sua totalità o solo in un emidistretto, risulta formato da un ammasso di cisti di dimensioni variabili (formate da tubuli collettori dilatati) non comunicanti con le vie urinarie spesso atresiche e da parenchima displasico. L’arteria renale può essere assente o molto piccola [12]. Potter ne distingue due tipi, il tipo II A e il tipo II B. Il primo è caratterizzato da reni di volume normale o aumentato; in quest’ultimo caso le cisti possono diventare così voluminose da comprimere gli organi addominali o le vie urinarie controlaterali. Nel tipo II B i reni hanno una biometria ridotta, sono rudimentali e presentano poche cisti oppure cisti di piccole dimensioni.
Diagnosi
Fig. 11.11. Rene policistico.Potter tipo I
La diagnosi è posta nel II trimestre mediante l’ultrasonografia che evidenzia la presenza di numerose cisti non comunicanti di dimensioni variabili da alcuni mm a diversi cm con scarso o assente parenchima renale integro (Fig. 11.12). Solo nella forma segmentaria è possibile osservare parenchima indenne nel rene affetto. Se l’anomalia è bilaterale non si visualizza la vescica ed è presente oligoidramnios, se monolaterale il volume di liquido amniotico è normale anche se sono stati riferiti casi di polidramnios, verosimilmente dovuti a compressione esercitata da tali formazioni sulle anse intestinali [13].
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Fig. 11.12. Rene multicistico.Potter tipo II
In presenza di patologia monolaterale, nel 30% circa dei casi si possono riscontrare anomalie del rene controlaterale (idronefrosi, megauretere, reflusso vescicoureterale, agenesia renale), ed extrarenali nel 5% circa (cuore, SNC, intestino, arti, palato). In quest’ultimo caso (patologie associate) è richiesto l’esame del cariotipo fetale [14]. La diagnosi differenziale si pone con l’idronefrosi in cui le cisti, per ostruzione dell’uretere, sono comunicanti. A volte essa può risultare difficoltosa richiedendo in alcuni casi la conferma diagnostica post-natale. Molto spesso, l’associazione della displasia renale con anomalie extra-urinarie rientra in un quadro sindromico più complesso come quello della sindrome di Prune-Belly, della Dandy-Walker, della sindrome di De George, ecc. È stata inoltre segnalata una maggiore incidenza di rene multicistico in feti di madre diabetica.
Prognosi Se l’affezione è monolaterale e la funzionalità del rene controlaterale è normale, la quantità del liquido amniotico sarà pressoché normale e buona la prognosi. Importante è la valutazione delle dimensioni delle cisti. Infatti anche nelle forme monolaterali, se le cisti sono molto voluminose possono comprimere gli organi addominali e/o le vie urinarie controlaterali compromettendo anche la funzionalità del rene controlaterale [15]. Il management ostetrico prevede lo studio del cariotipo fetale, l’ecocardiografia fetale, controlli ecografici ogni tre settimane per valutare l’evoluzione della lesione, e la consulenza dell’urologo pediatra. La presenza della patologia non richiede necessariamente, al momento del parto, l’intervento chirurgico di taglio cesareo.
La storia ha un’evoluzione generalmente favorevole; alla nascita è possibile una regressione spontanea della lesione (20%), ma le complicanze (ipertensione renale, degenerazione maligna), anche se rare, rappresentano un pericolo [16]. L’ipertensione arteriosa sembra imputabile all’ipertrofia compensatoria del rene controlaterale o all’iperplasia dell’apparato iuxta-glomerulare del rene funzionante. Le infezioni possono essere sostenute dalla patologia renale controlaterale. La degenerazione maligna in tumore di Wilms è possibile nel 3-5% dei casi ed è sostenuta dalla presenza di elementi blastomatosi nel tessuto displasico. Il management [17], alla nascita, prevede quindi un esame ecografico neonatale di conferma della diagnosi e l’esecuzione di esami strumentali (scintigrafia) anche per il rene controlaterale, il monitoraggio della pressione arteriosa, l’esclusione di infezioni ed una condotta di attesa con controlli periodici ecografici e clinici. La nefrectomia è indicata alla nascita solo in caso di rene multicistico molto voluminoso (>6 cm) con conseguente compressione diaframmatica o intestinale e infezioni ricorrenti. Se l’affezione è bilaterale si avrà oligoanidramnios, ipoplasia polmonare che andrà a sommarsi alla pressoché certa insufficienza renale; in questi casi la prognosi è infausta.
Rene policistico di tipo adulto (tipo III di Potter) Il rene policistico di tipo adulto è caratterizzato da cisti multiple renali di forma e di diametro variabile. Tale patologia è geneticamente determinata con un’ereditarietà di tipo autosomico dominante a penetranza completa ed espressività variabile [18]. Nell’85% delle famiglie colpite, la malattia è determinata da una mutazione del gene PKD1 localizzato in 16p13.3. I soggetti portatori del gene anomalo manifestano quasi sempre la malattia anche se con quadri clinici diversi per l’espressività variabile del gene mutato, per cui avremo forme che sono già letali in utero e forme praticamente asintomatiche scoperte, solo per caso, in soggetti adulti [19].
Diagnosi Da un punto di vista ecografico i reni appaiono aumentati di volume anche se la biometria rimane inferiore a quella del rene policistico di tipo infantile. Il parenchima renale risulta occupato da cisti multiple non comunicanti con le vie urinarie. Più frequentemente tale anomalia è bilaterale e il liquido amniotico è quasi sempre normale, solo in pochi casi ridotto [20] (Fig. 11.13). Il rene policistico può far parte di alcune sindromi come la sindrome di Meckel-Gruber e la sindrome di von Hippel Lindau.
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Fig. 11.13. Reni policistici.Potter tipo III
Fig. 11.14. Iperecogenicità renale bilaterale
Prognosi
bilaterale per l’ipoplasia polmonare conseguente all’oligoamnios. Nelle forme unilaterali l’outcome dipende dalla presenza di anomalie del rene controlaterale o anche di anomalie extra-renali associate.
Il rene policistico di tipo adulto si manifesta in genere intorno ai 35-40 anni con dolori lombari, ipertensione arteriosa e ridotta funzionalità renale. Tale condizione può determinare insufficienza renale cronica per cui è necessario ricorrere alla dialisi. Si associano talvolta cisti a livello epatico, nel pancreas, milza, testicoli, polmoni e ovaio.
Displasia renale cistica (tipo IV di Potter) La displasia renale cistica è dovuta ad una ostruzione severa e precoce dell’uretere, dell’uretra o della giunzione pelvi-ureterale; essa può essere mono o bilaterale e il rene si presenta di piccole dimensioni con deposizione fibrosa intraparenchimale e multiple, piccole cisti corticali.
Diagnosi Il caratteristico rilievo ecografico di reni piccoli, iperecogeni con cisti corticali periferiche, in presenza di idronefrosi e/o dilatazione sia della vescica e delle vie urinarie fetali sia dell’uretra prossimale fa supporre una condizione displasica. Nei feti maschi con ostruzione uretrale la dilatazione dell’uretra prossimale e delle vie urinarie superiori si manifesta ecograficamente con immagine a buco di serratura. Nelle forme bilaterali, dovute ad ostruzione uretrale, è presente oligoidramnios e ipertrofia delle pareti vescicali. Sebbene l’iperecogenicità [21] sia un segno suggestivo di displasia renale, il suo mancato rilievo non esclude tale patologia (Fig. 11.14). Occasionalmente la displasia ostruttiva può interessare parte del rene, in particolare il polo superiore nel caso di doppio distretto pelvi-ureterale, con ostruzione di una delle vie di efflusso. Tale patologia può ritrovarsi nel quadro sindromico della VACTERL.
Prognosi La prognosi è sfavorevole nel caso di displasia renale
Iperecogenicità renale Si intende per iperecogenicità renale un’ecogenicità del parenchima renale maggiore di quella del fegato. Può essere mono o bilaterale, associata ad altre anomalie o essere solo un riscontro isolato (fino al 21% dei casi), nel qual caso assume uno scarso significato patologico soprattutto se il liquido amniotico è regolare con conservata funzionalità dell’emuntorio (Fig. 11.14). Un riscontro ecografico analogo può osservarsi nel caso di patologie renali come la glomerulonefrite, la sindrome nefrosica, la malattia renale policistica, la patologia di tipo ostruttivo. Da un punto di vista patogenetico, l’iperecogenicità renale può dipendere da anomalie del distretto glomerulare, tubulare, interstiziale o vascolare. Si può ritrovare nei feti affetti da trisomia 13, dalla sindrome di Beckwith-Wiedemann e dalla sindrome di Pearlman. Inoltre si ritrova associata all’infezione da citomegalovirus e al ritardo di crescita intrauterino di grado severo [22]. La prognosi è sfavorevole se all’iperecogenicità renale si associa oligoidramnios che si evidenzia ecograficamente solo dopo la 25ª settimana. Se all’iperecogenicità non si associa riduzione del liquido è sufficiente sottoporre la paziente a controlli ecografici periodici.
Cisti renale semplice La cisti renale semplice sierosa è una formazione cistica isolata quasi sempre monolaterale, localizzata di solito al polo superiore nel contesto del parenchima re-
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nale, senza alcun rapporto con le vie urinarie. Tale patologia è estremamente rara con un’incidenza di 16 casi su 10.000 nati vivi. L’eziologia sembra sia legata ad un’ostruzione dei tubuli renali secondaria ad un danno vascolare o a fatti infiammatori [23].
Diagnosi Più frequentemente le cisti renali semplici sono uniloculari, a pareti sottili e contenuto transonico, di dimensioni che variano dai 2 ai 4 mm in un normale contesto nefroparenchimale (Fig. 11.15). La diagnosi differenziale della cisti del polo superiore si pone nei confronti dell’idronefrosi del polo superiore di un doppio distretto renale. In tale condizione si può osservare la dilatazione del calice e la cisti comunica con la pelvi renale [24].
2. ostruzione della giunzione uretero-vescicale; 3. anomalie ureterali; 4. ostruzione uretrale. La diagnosi ecografia in genere è tardiva in quanto il danno, derivante da tali anomalie, evolve nel tempo anche in relazione all’aumento della perfusione renale e della diuresi fetale.
Patologia della giunzione uretero-pelvica (giunto pieloureterale) Si intende per ostruzione della giunzione uretero-pelvica il restringimento del tratto urinario alla giunzione della pelvi renale con l’uretere, determinata da alterazioni della muscolatura, del giunto e dalla presenza di valvole o di aderenze. Si tratta di una patologia ad incidenza sporadica anche se sono stati descritti casi di familiarità a trasmissione autosomica dominante a penetranza incompleta [25]. Si manifesta piuttosto frequentemente e si riscontra nel 3%-5% degli esami ecografici nella sua forma meno severa.
Diagnosi
Fig. 11.15. Cisti renale semplice
Dal punto di vista ecografico, in base alla severità dell’ostruzione, si distinguono dilatazioni della pelvi renale di grado variabile [26]. In linea di massima si considera normale una pelvi di 5 mm a 5 mesi, di 7 mm a 7 mesi, di 9 mm a 9 mesi.Altro parametro adoperato dagli ecografisti è il rapporto tra il diametro della pelvi renale e il diametro antero-posteriore del rene che normalmente è inferiore a 0,5 (Fig. 11.16). In base a quanto detto, distinguiamo l’ostruzione in: – lieve, quando il diametro della pelvi non è maggiore di 7 mm nel secondo trimestre e di 10 mm a termine di gestazione e non vi è dilatazione dei calici;
Prognosi La prognosi è favorevole, perché non ci sono di solito anomalie associate, né danni funzionali del rene e si osserva una involuzione spontanea già in epoca fetale. Il management ostetrico prevede, in assenza di altre complicazioni, esclusivamente un attento monitoraggio della lesione che, se aumenta di dimensioni, può causare danni da compressione agli organi vicini.
PATOLOGIA OSTRUTTIVA Uropatie ostruttive Le uropatie ostruttive si distinguono, in base alla sede dell’ostruzione, in: 1. ostruzione della giunzione uretero-pelvica;
Fig. 11.16. Patologia giunzione uretero-pelvica
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– intermedia, quando coesiste calicectasia; – severa, quando vi è idronefrosi (dilatazione della pelvi renale >15 mm e dei calici) e corticalizzazione del parenchima renale. Nei casi estremi è possibile la rottura dei calici con la fuoriuscita del liquido in cavità peritoneale (ascite urinosa) o la formazione di una pseudocisti paranefrica (urinoma) con conseguente displasia renale. Nel 70% dei casi l’ostruzione è monolaterale e la quantità di liquido amniotico è normale. Il liquido si riduce nel caso in cui l’ostruzione sia bilaterale o quando vi è displasia renale controlaterale. Spesso l’ostruzione uretero-pelvica si associa ad altre anomalie dell’apparato urinario come la displasia del rene controlaterale, la presenza di una valvola uretrale posteriore o di un’ostruzione di tipo uretero-vescicale (Fig. 11.17).
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latazione dei sistemi collettori, dalla quantità di liquido amniotico e dalla presenza di anomalie associate. Durante la gravidanza è possibile osservare il miglioramento di tale condizione, sebbene nella quasi totalità dei casi la dilatazione persistente finisce prima o poi per richiedere l’intervento chirurgico durante l’infanzia [28].
Patologia della giunzione uretero-vescicale L’ostruzione della giunzione uretero-vescicale è una patologia che causa pielocalicectasia e megauretere. Di solito insorge da un solo lato e prevale nel sesso maschile [29]. Il rischio di ricorrenza è scarso. Dal punto di vista etiopatogenetico si distinguono una forma primitiva e una secondaria. La forma primitiva presenta un’eziologia sconosciuta; sembra sia dovuta ad un difetto intrinseco della parete muscolare dell’uretere. La forma secondaria è dovuta ad ostruzioni di tipo organico come la presenza di valvole, membrane, vasi a decorso anomalo, masse pelviche e inginocchiamento ureterale.
Diagnosi
Fig. 11.17. Patologia della giunzione uretero-vescicale Alla pielectasia per quanto riguarda l’apparato cardiovascolare possono associarsi difetti del setto interventricolare, mentre per quello gastrointestinale spesso si associa l’atresia esofagea, duodenale e l’ano imperforato oltre ad anomalie del SNC come l’idrocefalia e la spina bifida. Si è osservato che la pielectasia bilaterale lieve ha un rischio di insorgenza aumentato con l’avanzare dell’età della gestante. La diagnosi differenziale si pone con l’ostruzione della giunzione uretero-vescicale, dalla quale si distingue per la presenza, in quest’ultima, di megauretere. Le forme ostruttive uretero-pelviche bilaterali, invece, si differenziano dalle ostruttive uretrali per la presenza, in queste ultime, di megavescica e di dilatazione ureterale bilaterale [27]. In presenza di urinoma, inoltre, difficile è la distinzione dal rene multicistico nel quale le cisti, però, non comunicano con la pelvi.
Prognosi La prognosi di tale patologia dipende dal grado di di-
Da un punto di vista ecografico la diagnosi è indiretta e si basa sul rilievo di megauretere che appare come una struttura tubulare posta tra la pelvi renale e la vescica ad andamento rettilineo o tortuoso. Solo con il color doppler si può distinguere dai vasi. La diagnosi è comunque tardiva, nel III trimestre, mentre nei casi più gravi il riconoscimento del megauretere è sicuramente più precoce (Fig. 11.17) [30]. Altro segno ecografico, che è poi il primo ad essere rilevato, è la pielo-calicectasia [31]. La vescica mantiene dimensioni normali tranne che nelle forme più severe bilaterali in cui all’idronefrosi si associa una riduzione del suo volume. Anche il liquido amniotico è in genere normale; si riduce fino all’anidramnios nelle forme gravi e bilaterali.
Prognosi La prognosi è sicuramente favorevole nel caso di un’ostruzione monolaterale ad insorgenza tardiva,se non ci sono anomalie associate a carico dell’apparato genito-urinario come l’agenesia o displasia renale controlaterale e il criptorchidismo. In questo caso la prognosi dipende dalla funzionalità residua del rene colpito dall’ostruzione. Il management ostetrico nelle forme monolaterali con normale quantità di liquido amniotico e normale riempimento vescicale, prevede controlli ecografici ogni 2-3 settimane. Quando la patologia è bilaterale con una marcata riduzione della quantità di liquido amniotico, segni questi di una grave compromissione renale, si induce il parto se l’epoca di gestazione è di 30-32 setti-
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mane. Se l’epoca è intorno alla 25ª settimana si può ricorrere alla terapia intrauterina onde ridurre la compressione sul parenchima renale. Se, invece, l’epoca in cui si pone diagnosi è al di sotto di 25 settimane e l’ostruzione è precoce e severa si deve prospettare l’ipotesi di interrompere la gravidanza [32].
Anomalie ureterali: ureterocele Si definisce ureterocele la dilatazione cistica del tratto terminale intravescicale dell’uretere che, ostacolando il normale deflusso urinario, provoca un megauretere a monte. È presente alla nascita e si distingue una forma semplice o adulta in cui l’uretere dilatato sbocca in vescica all’altezza del trigono e una forma ectopica o infantile in cui sbocca a livello del collo vescicale o nella parte prossimale dell’uretra [33]. Nella donna si individuano altre sedi ectopiche come la vagina, la cervice e il corpo dell’utero, il vestibolo; nell’uomo, invece, l’uretere può terminare nelle vescicole seminali, nel canale deferente, nel dotto eiaculatore e nell’utricolo prostatico. Delle due forme suddette quella ectopica è più frequente nelle donne. Nel 50% dei casi si può associare all’ureterocele semplice o ectopico un doppio distretto renale che è un’anomalia dell’apparato urinario piuttosto frequente, presente nel 4% della popolazione generale. L’ureterocele può associarsi ad alterazioni a carico dell’apparato cardiovascolare e di quello urogenitale (criptorchidismo, idronefrosi ecc.) [34].
Diagnosi Dal punto di vista ecografico la vescica appare aumentata di volume; in realtà tale immagine non è da riferirsi alla vescica, ma all’ureterocele posto in sede intravescicale, che determina il rilievo endoluminale di un setto curvilineo (Fig. 11.18) [35].
Fig. 11.18. Ureterocele
A volte l’intero ureterocele all’interno della vescica le conferisce l’immagine di 2 cerchi concentrici. Nel caso dell’ureterocele ectopico si ha l’immagine di una formazione cistica che occupa la pelvi fetale. Ne consegue che bisogna porre diagnosi differenziale con le altre possibili cause di formazioni cistiche della pelvi fetale come la cisti ovarica, l’atresia anorettale, la duplicazione intestinale e le altre possibili cause di idronefrosi come la patologia della giunzione uretero-pelvica, della giunzione uretero-vescicale e il megauretere congenito.
Prognosi La prognosi di tale anomalia generalmente è buona, tranne i casi di ureterocele ectopico con doppio distretto renale e idronefrosi del polo superiore, per l’eventuale insorgenza di displasia nel rene affetto.
Ostruzione uretrale: valvola uretrale posteriore La valvola uretrale posteriore è una patologia ostruttiva uretrale più frequente nei maschi, dovuta alla presenza di una struttura membranosa nel segmento posteriore dell’uretra. Sebbene la sua incidenza sia sporadica, la ricorrenza in alcune famiglie fa pensare ad una trasmissione di tipo genetico.
Diagnosi Dal punto di vista ecografico in caso di ostruzione uretrale da valvola uretrale posteriore [36] si evidenzia: – la megavescica che nelle forme più gravi può occupare interamente l’addome fetale; – il megauretere bilaterale con idronefrosi bilaterale; – l’ipertrofia del detrusore che causa l’ispessimento della parete della vescica (>10-15 mm) che assume aspetto ad imbuto e uretra posteriore dilatata; – l’oligoanidramnios [37]. L’aumento della pressione intravescicale, infatti, può causare flusso retrogrado dell’urina con ectasia dell’uretere e/o della pelvi e/o dei calici con idronefrosi. Si può avere, quindi, sospetto di valvola uretrale posteriore se da un esame ecografico eseguito dopo la 14ª settimana [38] in un feto maschio, si rileva modesta dilatazione vescicale con megauretere, pielicalicectasia monolaterale o bilaterale e oligoidramnios (Fig. 11.19). Se la lesione compare precocemente può insorgere displasia cistica renale (tipo IV di Potter); nei casi estremi, i reni appaiono piccoli, iperecogeni e per la ridotta funzionalità renale non si osserva più idronefrosi. La diagnosi differenziale si pone con le altre uropatie ostruttive in cui è presente megavescica, con l’atresia dell’uretra in cui è però presente la dilatazione del tratto uretrale e con la sindrome della megacisti-microcolon-ipoperistalsi [39, 40] in cui la vescica è dilatata per un difetto neurogeno, che determina anche ec-
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Fig. 11.19. Valvola uretrale posteriore
tasia gastro-intestinale; vi è polidramnios ed è più frequente nelle femmine. Spesso la valvola uretrale posteriore si associa a: – cromosomopatie nel 20%; – displasia renale, ipospadia, criptorchidismo e cardiopatie nel 20-25%; – sindrome di Prune-Belly1; – anomalie del SNC; – sindrome della regressione caudale; – ano imperforato; – scoliosi.
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la displasia renale indicata dalla iperecogenicità corticale cistica e l’idronefrosi severa. Nel caso in cui ci sia una lieve diminuzione della quantità di liquido si può adottare un atteggiamento di attesa facendo controlli ecografici ogni 2-3 settimane. Se il liquido ai controlli appare ulteriormente diminuito e l’epoca di gestazione è superiore alla 32ª settimana è necessario indurre il parto e ricorrere alla terapia postnatale. Se l’epoca è inferiore a 32 settimane bisogna valutare la funzionalità dei reni fetali. Si effettua una cistocentesi fetale (Fig. 11.20) e sulle urine si dosano gli elettroliti e l’osmolarità [42]: se i valori sono nella norma si sottopone il feto a terapia intrauterina posizionando uno shunt [43, 44] a permanenza tra la vescica e la cavità amniotica oppure a cistocentesi ripetute anche settimanalmente in relazione alla velocità di riformazione della megavescica. Ambedue le manovre hanno funzione decompressiva. Se, invece, la funzionalità renale è compromessa (Na>100 mEq/l, Cl>90 mEq/l, osmolarità>210 mOsm/l, β2-microglobulina>2 mg/l) e l’epoca gestazionale è precoce non c’è indicazione alla terapia intrauterina in quanto la mortalità perinatale raggiunge quasi il 100% [45, 46].
TUMORI FETALI Adrenoblastoma
Prognosi La prognosi di tale anomalia dipende dal grado di funzionalità renale residua e dalla presenza di eventuali anomalie associate.Appare ovvio che se c’è oligoamnios diventa più difficile la determinazione del cariotipo mediante amniocentesi; la prognosi risulta assolutamente sfavorevole per l’ipoplasia polmonare secondaria. I segni di prognosi negativa includono, quindi, la diagnosi prima della 24ª settimana, l’oligoidramnios,
L’adrenoblastoma o neuroblastoma è un tumore del surrene di origine neuroectodermica la cui malignità dipende dal grading delle cellule che lo costituiscono. È uno dei tumori più frequenti nel neonato con un’incidenza di 1:7.000 nati vivi e si manifesta per lo più nei maschi. Di solito è monolaterale. La sua eziologia non è nota, anche se l’associazione con cromosomopatie presuppone forme a trasmissio-
Fig. 11.20. Valvola uretrale posteriore.Cistocentesi
1
Nota anche come sindrome di Eagle-Barrett [41], è caratterizzata dall’ipotonia dei muscoli addominali, criptorchidismo, megavescica e megauretere. Colpisce essenzialmente feti di sesso maschile.
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ne ereditaria. Studi recenti [47] hanno individuato una regione critica sul cromosoma 1 mediante amplificazione dell’oncogene N-myc, responsabile dell’aggressività del tumore. È stata suggerita, inoltre, una sua associazione con l’assunzione materna di fenobarbital e idantoina. L’adrenoblastoma metastatizza alla nascita nel 50% dei casi al fegato ed al sottocute [48]. I segni clinici materni di tale patologia sono la tachicardia, l’ipertensione, il vomito legati all’aumento delle catecolamine prodotte dalla massa tumorale e liberate attraverso la placenta nel circolo materno.
Diagnosi Da un punto di vista ecografico l’adrenoblastoma, evidenziabile nel III trimestre, è rappresentato da una massa che sovrasta il rene [49, 50]. Le sue dimensioni non eccedono mai i 4-5 cm e non tendono ad aumentare nel corso della gravidanza. Può essere capsulato: si presenta come una formazione iperecogena a volte mista con un’alternanza di aree cistiche e solide e questo perché all’interno del tumore possono verificarsi fenomeni emorragici e necrotici (Fig. 11.21).
(transonica con rinforzo dell’ecogenicità distale) e con il nefroma mesoblastico che ha margini netti ed una ecostruttura di tipo solido.
Prognosi Il management ostetrico prevede controlli ecografici ogni 3-4 settimane per seguire l’evoluzione della malattia e l’eventuale comparsa dell’idrope fetale. È necessario sottoporre il feto ad ecocardiografia onde scongiurare aritmie severe. Il parto può essere espletato a termine tranne nei casi in cui c’è compromissione fetale. L’outcome è variabile. Sebbene alcuni neonati siano asintomatici, altri presentano insufficienza cardiaca, epatosplenomegalia, anemia emolitica e ittero. Inoltre è possibile una regressione spontanea nel 40% dei casi, ma in un’alta percentuale di essi l’asportazione chirurgica alla nascita si è dimostrata risolutiva. La prognosi fetale è legata allo stadio del tumore e alle manifestazioni cliniche della malattia.
Nefroma mesoplastico Il nefroma mesoblastico fa parte dei tumori solidi renali ed è formato da cellule renali ed elementi mesenchimali immaturi [51]. L’eziopatogenesi non è nota: sembra sia legata ad alterazione del normale sviluppo del blastema metanefrico dato dall’unione degli elementi mesenchimali del pronefro con la gemma ureterale da cui originano le future vie urinarie. È un tumore piuttosto raro ed è essenzialmente benigno. Può raggiungere dimensioni ragguardevoli fino a 15 cm e non dà fenomeni di infiltrazione neoplastica.
Diagnosi Fig. 11.21. Adrenoblastoma
A volte può causare la dislocazione del rene in basso e lateralmente. Per l’iperproduzione di catecolamine si può verificare tachicardia fetale e idrope fetale non immune. Quest’ultima può essere dovuta a: 1. stenosi meccanica delle vene epatiche conseguente ad epatomegalia; 2. ipoalbuminemia conseguente ad insufficienza epatica; 3. anemia fetale secondaria all’infiltrazione metastatica del midollo osseo [48]. La diagnosi differenziale si pone con la cisti renale semplice, che ha una ecostruttura prettamente cistica
Da un punto di vista ecografico si presenta ad ecostruttura disomogenea per l’alternarsi di aree iperecogene con altre ipoecogene, per i fenomeni emorragici e necrotici che si verificano nella massa stessa [52]. In altri casi si presenta con le caratteristiche proprie di un tumore solido, iperecogeno e i reni presentano margini irregolari. Il polidramnios, che spesso si associa a questi tumori, può essere legato a compressione degli stessi sullo stomaco o anche a iperproduzione di urina. Al color doppler si evidenzia una neovascolarizzazione periferica con indici di resistenza relativamente bassi. I tumori di grosse dimensioni presentano anche una ricca vascolarizzazione centrale responsabile del formarsi di shunt artero-venosi che insieme ai fenomeni necrotico-emorragici causano anemia fetale cronica; con l’avanzare della gravidanza, per l’insorgenza di insufficienza cardiaca cronica, si può generare l’idrope non immune.
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Nel 15% dei casi si possono associare anomalie a carico dell’apparato genito-urinario con idronefrosi, dell’apparato gastrointestinale e del SNC. La diagnosi prenatale di tale patologia non è facile: è praticamente impossibile quella differenziale con il tumore di Wilms [53], mentre nel caso del rene policistico infantile, l’anomalia renale è quasi sempre bilaterale e non si visualizza la vescica.
Prognosi Il poliamnios può determinare PROM e parto pretermine: le grosse dimensioni della massa renale possono causare distocia del parto. La prognosi fetale dipende dalla presenza di idrope e di anomalie associate. La resezione chirurgica o la nefrectomia sono il trattamento risolutivo [54].
ANOMALIE GENITALI Cisti ovarica Si definisce cisti ovarica una tumefazione cistica dell’ovaio fetale. Dal punto di vista patogenetico si tratta essenzialmente di cisti disfunzionali (follicolari o luteiniche) causate da un’intensa stimolazione ormonale di normali follicoli ovarici. Gli ormoni possono essere sia di origine placentare che materna [55]. Cisti ovariche fetali si osservano soprattutto in gestanti diabetiche, ipertiroidee, affette da ipertensione indotta dalla gravidanza e nei casi di isoimmunizzazione Rh, iperplacentosi, condizioni queste legate ad un’iperproduzione di β-hCG. Per quanto riguarda l’incidenza di tale patologia, in letteratura sono riportati circa 100 casi di cisti ovarica alla nascita, quasi tutte di origine disfunzionale. In realtà, poiché si tratta di forme benigne che tendono a risolversi spontaneamente, il numero dei casi è sottostimato.
Fig. 11.22. Cisti ovarica
10% si osserva polidramnios per l’azione compressiva sull’intestino, ma non si associano altre anomalie. La diagnosi differenziale va posta con le cisti renali che, però, contraggono rapporti con il parenchima renale e con le pseudocisti meconiali che presentano nel loro contesto delle calcificazioni [57]. Queste formazioni tendono alla risoluzione spontanea sia in utero che in epoca neonatale. Il management ostetrico [58] prevede controlli ecografici onde valutare l’eventuale comparsa di complicazioni o la risoluzione spontanea delle cisti; in presenza di polidramnios si consiglia la somministrazione di tocolitici. In casi selezionati, per prevenire le complicanze da compressione addominale, appare utile l’aspirazione in utero di tali formazioni [59]. In presenza di cisti >5 cm ad ecostruttura solida, o nell’eventualità di torsione e/o compressione addominale è indicata la terapia chirurgica postnatale.
Criptorchidismo Diagnosi La diagnosi ecografica prenatale viene posta nel II-III trimestre di gravidanza e si basa sul rilievo ecografico, nella pelvi di feti di sesso femminile, di formazioni anecogene a margini netti ben distinte dai reni, dalla vescica e dalle anse intestinali. Sono di solito monoloculari e di dimensioni che vanno da pochi millimetri a diversi centimetri (Fig. 11.22) [56]. Le cisti più grosse tendono a dislocarsi verso l’addome superiore, mentre per quelle piccole ciò accade solo se c’è particolare lassità del legamento largo. Di solito sono monolaterali e raramente possono essere settate a contenuto fluido corpuscolato. Se vanno incontro a torsione o a emorragia possono comparire aree solide. Nel
Si definisce criptorchidismo l’assenza nello scroto di uno o entrambi i testicoli. Più propriamente si parla di ritenzione testicolare quando la gonade maschile è localizzata in una sede diversa da quella scrotale, ovverosia in un punto qualsiasi del percorso che essa stessa compie durante l’embriogenesi prima di raggiungere lo scroto. Il testicolo può ritrovarsi, quindi, in addome o nella regione sopra-scrotale o, con maggiore frequenza, nel canale inguinale. Per ectopia testicolare si intende l’arresto della gonade maschile in un punto al di fuori del tragitto (canale inguino-scrotale) della sua migrazione come la sede femorale, quella perineale, la prepeniena e la peniena.
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a
c
Infine l’assenza del testicolo dalla sede scrotale può dipendere anche dall’agenesia testicolare. Dal punto di vista eziopatogenetico sono state avanzate diverse ipotesi: – anomalie del gubernaculum testis o del muscolo cremastere che non esplicano la loro funzione di trazione sulla gonade [60]; – anomalie del recettore testicolare insensibile agli stimoli ormonali che ne determinano la discesa nello scroto; – scarsa stimolazione degli ormoni materni e/o placentari sulla produzione fetale di androgeni. Sembra sia legato, tra l’altro, ad assunzione di fluconazolo, ad abuso di cocaina, ad infezione rubeolica materna nel corso della gravidanza. Si associa a numerose anomalie del SNC (anencefalia, idrocefalia), ma in
b
Fig. 11.23a-c. a,b Ipospadia.c Sesso femminile
particolar modo del tratto genito-urinario (ipospadia, stati intersessuali, agenesia renale ecc.) ed è presente come segno caratteristico di alcune sindromi come la sindrome di Kallman, la sindrome di Prader-Willi e la sindrome di Prune Belly. In circa la metà dei nati con criptorchidismo,il testicolo si porta nella sua sede entro i primi due mesi di vita. La diagnosi è ecografica nel III trimestre, ed è resa più agevole dalla falda liquida di origine peritoneale presente nel sacco scrotale vuoto, che serve come mezzo di propagazione degli ultrasuoni. È importante identificare bene in quest’epoca anche il pene fetale (forma e dimensioni) onde poterlo differenziare da patologie quali l’ipospadia o i genitali ambigui: in quest’ultimo caso la diagnosi ecografica è molto difficile e risulta di assoluta utilità la determinazione del cariotipo fetale (Fig. 11.23).
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CAPITOLO 12
Utilizzo degli ormoni placentari e fetali in diagnosi prenatale G. Centini • L. Rosignoli • E. Faldini • F. Calonaci • F. Petraglia
PREMESSA In medicina la possibilità di poter disporre d’indicatori o markers predittivi di patologia ha permesso di mettere a punto degli screening da applicare, naturalmente, alla popolazione generale o ha consentito di mettere a punto una strategia per il controllo dello stato di benessere del prodotto del concepimento. La medicina prenatale ha stressato questa possibilità-necessità in quanto si occupa di un soggetto, il feto, che può controllare soltanto attraverso l’organismo di un intermediario rappresentato dalla futura madre. Le prime proteine che destarono l’attenzione dei ricercatori furono l’ormone della gravidanza (hCG) ed il lattogeno placentare umano (hPL) [1], poi successivamente a caduta sono arrivati l’alfa-fetoproteina l’unica proteina conosciuta di origine esclusivamente fetale [2, 3], un’alfa2-macroglobulina legata alla gravidanza chiamata PAPPA [4, 5], l’estriolo sia totale con dosaggio urinario che quello libero o non coniugato plasmatico, che rappresenta l’8-10% del totale [6]. Negli anni ’70-’80 il primo obbiettivo che ci si pose fu quello di monitorizzare il prodotto del concepimento nella sua crescita fisiologica, nel suo stato di benessere e nei deficit di accrescimento. È evidente che sembrò veramente un obiettivo raggiunto quello di poter usufruire di marcatori che fornissero informazioni sull’unità feto-placentare come l’estriolo urinario [7] sulla crescita fetale od il lattogeno placentare (hPL o hCS); l’esperienza clinica però ha decretato come sono caduti in disuso con l’avvento degli ultrasuoni, mentre il solo estriolo non coniugato (UE3) ha trovato una sua collocazione nei test di screening per le aneuploidie. È stata la grande offensiva contro la sindrome di Down (DS) che veramente ha permesso di utilizzare al meglio gli ormoni placentari e fetali, non solo per il rilevamento delle gestanti a rischio di aneuploidia, ma anche come indicatori di altre anomalie morfologiche e sull’outcome neonatale. Ad oggi nuove molecole o sottomolecole sono a disposizione come l’inbina-A, oramai clini-
camente testata e sicura per i test di screening; la plasma proteina 13 (PP13) [8], marker del primo trimestre, capace di rilevare circa il 90% delle gestanti a rischio di preeclampsia e ipertensione gravidanza indotta in associazione con gli ultrasuoni; l’ADAM12 marker serico della 9-11ª settimana con una detection rate (DR) di circa il 90% per la sindrome di Down [9, 10].Questi ultimi venti anni, hanno dimostrato che è impossibile, al momento, affidarsi ad un solo marker che, il sogno di tanti ostetrici, potesse semplificarci la vita. Inoltre, è oramai assodato che l’integrazione di più markers umorali e l’associazione con l’ecografia offrono i migliori risultati. Parliamo quindi dei vari markers umorali nella loro realtà biochimica, del loro significato, del loro uso in clinica ed anche della loro storia. Successivamente parleremo dei test di screening finalizzati al rilevamento delle gravidanze a rischio di aneuploidia, al controllo dello stato di benessere fetale ed all’outcome della gravidanza in riferimento anche alla patologia ipertensiva della donna.
GONADOTROPINA CORIONICA UMANA (HCG) E FRAZIONE BETA LIBERA (FREE-β-HCG) La gonadotropina corionica umana (hCG) è un ormone glicoproteico prodotto dalla placenta nel corso della gravidanza, dal tessuto patologico nelle malattie trofoblastiche (mola idatiforme e coriocarcinoma) e dalle cellule trasformate in alcune neoplasie maligne a localizzazione pelvica ed extrapelvica (uroteliomi maligni, adenocarcinoma colico, cervicocarcinoma, epatocarcinoma) [11]. L’ormone presenta numerose analogie con tre ormoni glicoproteici d’origine ipofisaria: l’ormone follicolostimolante (FSH), l’ormone luteinizzante (LH) e la tireostimolina (TSH). Si configurano come una famiglia di glicoproteine con attività ormonale e hanno la caratteristica comune di essere eterodimeri formati dall’interazione non covalente di due catene polipeptidiche denominate alfa e beta; delle due subunità, l’alfa è
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fondamentalmente la stessa per i quattro ormoni. È stato dimostrato che il gene codificante per la subunità alfa è unico ed è espresso sia a livello placentare, sia a livello ipofisario mentre per le subunità beta sono stati identificati almeno otto geni differenti espressi nei tessuti corrispondenti; è ipotizzabile che un gene ancestrale comune si sia amplificato e quindi si sia differenziato per codificare polipeptidi diversi. La subunità alfa della gonadotropina è un polipeptide composto da 92 aminoacidi con due brevi sequenze oligosaccaridiche in legame N-glicosidico con i residui di asparagina in posizione 52 e 78. La subunità beta è composta da un polipeptide di 145 aminoacidi che similmente alla subunità alfa presenta due sequenze oligosaccaridiche N-legate ai residui di asparagina in posizione 13 e 30; in maniera dissimile dalla subunità alfa, la beta presenta un’insolita glicosilazione su residui di serina a livello della porzione Cterminale coinvolta nel signaling di processazione enzimatica post-secretoria [12, 13]. La subunità beta conferisce alla hCG matura proprietà immunologiche esclusive, specificità di ligando recettoriale e di azione. La sintesi della hCG dimerica a livello placentare risponde ai comuni pattern biosintetici cellulari: le subunità nascenti completamente trascritte gemmano dall’apparato del Golgi, dove hanno subìto l’attacco dei residui glicosidici, con una configurazione tridimensionale che agevola la dimerizzazione purchè ogni subunità alfa intercetti la corrispondente subunità beta [14, 15]; pertanto le cellule trofoblastiche sono capaci di sintetizzare e secernere nel sangue che lascia la placenta non solo subunità dimerizzate ma anche subunità libere (freebeta e free-beta hCG) dosabili nel plasma di donne in gravidanza e nelle urine. È improbabile che le subunità libere dell’hCG possano dimerizzare nel siero perché i prodotti destinati alla secrezione subiscono modificazioni molecolari che impedirebbero il mutuo riconoscimento dei monomeri; è altrettanto improbabile che la free-beta e la free-beta hCG siano semplici prodotti di dissociazione nel sangue circolante. È stato dimostrato che la semplice dissociazione al calore del dimero hCG produce monomeri con proprietà immunologiche differenti, per la quota glicidica presente, rispetto alle subunità libere. La fisiologia della sintesi placentare è molto complessa e controversa. Come per il complesso macromolecolare della PAPP-A/proMBP, anche la sintesi dell’hCG presenta una compartimentalizzazione placentare che si può dire spazio-temporale più che semplicemente spaziale. Il meccanismo della sintesi placentare non può dirsi risolto; studi di immunofluorescenza e di ibridazione in situ con sonde di cDNA marcato hanno mostrato che le subunità alfa sono sintetizzate prevalentemente nel tessuto citotrofoblastico; l’hCG e verosimilmente anche le subunità beta sono
sintetizzate e si assemblano nel sinciziotrofoblasto nelle fasi precoci della gravidanza. La dinamica di produzione dell’hCG riflette i cambiamenti, in senso maturativo, che interessano l’istologia e la morfologia placentare. La sintesi è regolata dal tasso di differenziazione del citotrofoblasto in sinciziotrofoblasto nel corso della gravidanza [16]. Nelle fasi più precoci della gravidanza la proliferazione imponente del trofoblasto immaturo produce grosse quantità di hCG con un picco a 8-10 settimane; man mano che il citotrofoblasto si differenzia in sinciziotrofoblasto, le subunità alfa intercettano le beta nascenti e si forma hCG maturo. Tra la 10a e la 18a settimana la placenta subisce un processo di profonda riorganizzazione, si riducono fino a scomparire i villi della decidua capsulare e quelli placentari divengono via via più trofici; in questa fase il numero delle cellule sinciziotrofoblastiche si riduce, persistono in quantità minima come “nodi sinciziali” dispersi nel contesto dei villi maturi e, sebbene le cellule citotrofoblastiche possano continuare a produrre subunità alfa, l’assemblaggio alfa/beta non avviene e si ha una caduta dell’hCG. In realtà dopo la 22a settimana si registra un minimo aumento dell’hCG come espressione dell’attività biosintetica dei “nodi sinciziali” in relazione alla crescita della massa placentare. La funzione biologica dell’hCG è sostanzialmente quella di ormone luteotropo: mantiene il corpo luteo mestruale e promuove la sua trasformazione in corpo luteo gravidico assicurando la sintesi continua di progesterone, preziosa per la prosecuzione della gravidanza. L’attività dell’hCG domina solo la prima fase della gravidanza, non è più necessaria quando la placenta acquisisce la proprietà di sintesi del progesterone. Le subunità alfa e beta sono prodotte in quantità equimolare fino alla fine della 11a settimana, nel secondo trimestre dominano le subunità alfa; questa evidenza conforta quanto si è detto sino ad ora sulle relazioni tra istomorfologia e biosintesi placentare. L’interesse maggiore in diagnosi prenatale per la subunità beta dell’hCG deriva dall’osservazione che nelle gravidanze con feto aneuploide i livelli di free-beta-hCG sono diversi rispetto a quelli riscontrati nelle gravidanze fisiologiche nel primo trimestre; l’uso della free-beta hCG è stato proposto come marker di aneuploidia del primo trimestre [17-19]. Nelle gravidanze con feto portatore di trisomia 21 i livelli di free-beta hCG nel primo trimestre sono notevolmente aumentati rispetto all’atteso; tuttavia, come per le gravidanze fisiologiche, è rispettato il rapporto alfa/beta equimolare e non c’è relazione tra i livelli aumentati di subunità libera e hCG totale. Tutto ciò fa ipotizzare che l’aumento di free-beta nelle gravidanze con feto affetto da trisomia 21 non sia una pura espressione dell’aumento di hCG intatto, bensì l’ef-
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fetto di produzione placentare primaria probabilmente per ridondanza di trofoblasti immaturi [20, 21]. Nelle gravidanze con feto affetto da trisomia 18 si ha una riduzione dei livelli circolanti di hCG intatto e di subunità alfa e beta; a fronte del notevole difetto di crescita intrauterina dei feti con sindrome di Edwards, minimamente apprezzabile nei feti con sindrome di Down, è possibile ipotizzare più probabilmente l’effetto dominante della ipoplasia placentare sui livelli dei glicopeptidi piuttosto che l’immaturità trofoblastica. Nel caso della sindrome di Down, Jauniaux ha proposto che l’aumento di subunità libere, non corrispondente ad un aumento di hCG intatto, sia da mettere in relazione ad una variazione qualitativa del metabolismo della subunità beta libera secreta come tale. Il metabolismo della subunità beta è molto complesso e solo in parte conosciuto. Lo sviluppo di anticorpi monoclonali specifici per i frammenti catabolici dell’hCG ha chiarito come parte dell’attività immunologica dei dosaggi per l’hCG nel siero e nelle urine sia imputabile ai frammenti catabolici della molecola intatta; sotto questo aspetto si può definire eterogenea la molecola dell’hCG [22]. Una porzione variabile dell’hCG presente nel siero e nelle urine presenta una caratteristica perdita di peptidi sulla subunità beta (i “nicks” della terminologia anglosassone); questo singolare clivaggio riguarda i residui beta-44/45 e beta-47/48. Il nicking della free beta accelera la dissociazione del dimero intatto, ne riduce l’attività e potrebbe rappresentare un meccanismo di regolazione dell’attività dell’ormone nel corso della gravidanza [22]. Il fenomeno del nicking può essere accelerato dalla elastasi dei leucociti umani in vitro e probabilmente anche in vivo [23]. Il destino delle subunità clivate non è stato chiarito in modo definitivo; è probabile che formino nel sangue complessi molecolari circolanti immunologicamente mascherati [24] in cui le nicked free-beta perdono ulteriormente il residuo glicosilato C-terminale e, per opera dell’attività metabolica renale, divengono frammento beta-core (beta-CF) escreto nelle urine. Il beta-CF è, allora, un metabolita della free-beta hCG, ha un peso molecolare di 12-14 KDa; strutturalmente è costituito da due catene polipeptidiche legate con ponte disolfuro e corrispondenti ai residui beta 55-92 e beta 6-40 della subunità libera [25]. L’escrezione urinaria del beta-CF è notevolmente aumentata nelle donne con malattia trofoblastica; studi di immunofluorescenza hanno localizzato un dipeptide identico al beta-CF urinario nel liquido delle vescicole molari. Le cellule trofoblastiche non producono però beta-CF. L’evidenza sperimentale che la collagenasi-IV (un tipo particolare di elastasi) dei macrofagi umani possa generare beta-CF, ha fatto ipotizzare che nella malattia trofoblastica il beta-CF è prodotto nel contesto del tes-
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suto trofoblastico ma non dai trofoblasti bensì dai macrofagi dello stroma dei villi, le cellule di Hofbauer. Il dosaggio immunologico del beta-CF nel sopranatante di macrofagi peritoneali in coltura di donne con malattia trofoblastica ha confermato questa ipotesi. Nella gravidanza fisiologica un ruolo del tutto simile può essere attribuito al tessuto placentare che però contribuisce solo in maniera marginale alla produzione del beta-CF urinario prodotto in grossa parte dall’attività catabolica renale. La caratterizzazione dei frammenti catabolici della subunità libera dell’hCG e la produzione di anticorpi monoclonali specifici per i loro epitopi immunologici hanno permesso di effettuare dosaggi quantitativi molto accurati. È merito di Cole aver indicato la predittività dei metaboliti della subunità beta nell’individuazione di aneuploidie fetali, dei difetti della placentazione e nel follow-up di neoplasie di origine trofoblastica e non [26-28].
ESTRIOLO NON CONIUGATO (UE3) Si tratta di uno steroide sessuale femminile con un peso molecolare di 288 KDa, contiene un gruppo fenolico caratteristico degli estrogeni e tre gruppi idrossilici da cui deriva il nome. Negli uomini e nelle donne non gravide l’estriolo proviene dalla conversione epatica dell’estrone e dell’estradiolo e circola esclusivamente nella sua forma coniugata. Durante la gravidanza è prodotto, nella sua forma non coniugata o libera a partire dal colesterolo, dall’unità feto-placentare tramite un processo enzimatico che interessa il fegato fetale e la placenta [29]. A livello del surrene fetale si producono il deidroepiandrosterone solfato e gli androgeni che il fegato fetale metabolizza a 16 alfa-idrossi deidroepiandrosterone (16alfa-OHDHEAS) il quale a livello placentare è convertito ad UE3 attraverso una desolfatazione delle steroide sulfatasi (STS) e successiva aromatizzazione. La placenta unidirezionalmente secerne UE3 nel compartimento materno dove ha una breve emivita, meno di 30 minuti, essendo rapidamente metabolizzato dal fegato materno ad estriolo coniugato. È stimato che più del 90% dell’UE3 materno sia prodotto dall’unità feto placentare. La concentrazione di questo estrogeno aumenta nel siero fetale durante la gravidanza ed è presente in quantità 5-7 volte maggiore di quella trovata nel siero materno. Data la sua breve emivita, qualsiasi variazione della capacità di sintesi dell’unità feto-placentare si riflette in breve tempo sui livelli plasmatici [30]. L’individuazione dell’associazione tra attività di sintesi dell’estriolo e la sindrome di Down (DS) risale al 1972, quando Jorgesen e Trolle [31] osservarono che in 9 gravidanze affette da trisomia 21 su 12, l’eliminazione uri-
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naria dell’estriolo nel terzo trimestre risultava inferiore a due deviazioni standard [31-36]. La ridotta produzione di UE3 nel feto affetto sembra essere legata all’immaturità di uno o di tutti gli organi deputati alla sua sintesi, in effetti i bambini Down sono prevalentemente immaturi, come è dimostrato dal loro basso peso alla nascita. Ma l’organo che prevalentemente sembra imputato potrebbe essere il rene per due osservazioni. La prima per la presenza di zone di ipoplasia in almeno il 30% dei surreni di feti Down e l’altra, recente, di Newby, che ha indagato in maniera precisa la sintesi dell’UE3 in gravidanze affette da sindrome di Down e la sua ridotta produzione. Ha misurato i livelli serici di UE3, DHEAS e STS nella placenta, fegato fetale, siero materno e fluido amniotico in gravidanze fisiologiche ed in gravidanze affette da DS. Ha trovato che la STS (la steroido-sulfatasi che toglie la molecola di zolfo alla 16 alfa-OH-DHEAS) non è ridotta nel tessuto placentare e che pertanto il turnover placentare è idoneo, mentre è ridotta la quantità di DHEAS nel siero materno, suggerendo appunto che la ridotta produzione di UE3 dipende dal diminuito apporto del precursore DHEAS di origine surrenalica fetale. La distribuzione di frequenza dei valori di UE3 nel siero di gestanti con feti normali e con feti affetti da DS mostra una sovrapposizione tra le due popolazioni. L’informazione ottenuta però con il dosaggio dell’UE3 è indipendente da quella ottenuta mediante dosaggio dell’alfa-feto proteina (AFP) e dall’età materna e quindi associando l’UE3 come marcatore della DS ad altri marcatori si può migliorare la detection rate (DR) dei test di screening per la DS e lo screening dell’AFP [37].
ALFA-FETOPROTEINA (AFP) L’alfa-fetoproteina è una glicoproteina con un peso molecolare di 60 KDa e contiene il 4% di carboidrati che la differenziano in diverse forme molecolari in relazione alla quantità ed alla struttura dei carboidrati stessi. È stata scoperta nel 1956 da Bergstrand e Czar [38, 39] che dimostrarono con l’elettroforesi la presenza nel sangue fetale di una banda extra localizzata nella regione alfa1. La presenza di questa banda alfa1-extra indicava che il feto produceva una proteina in concentrazione elevata che non era più presente nel sangue dell’adulto; venne chiamata alfa1-fetoproteina in modo da riflettere la propria mobilità elettroforetica e la sua origine fetale visto che l’AFP è elettroforeticamente simile alla fetoina, una proteina fetale individuata da diversi ricercatori in varie specie animali. L’AFP può essere considerata come la progenitrice dell’albumina. Il gene delle due proteine è localizzato sul cromosoma 4: l’albumina e l’alfa-fetoproteina presentano analogo peso mo-
lecolare ed analoga struttura. L’emivita calcolata nell’adulto in presenza di tumori AFP secernenti è di circa 4 giorni [40]. Differisce dall’albumina perché gli antisieri che si legano all’AFP non mostrano una crossreattività con l’albumina. La sua importanza sembra essere legata al mantenimento della pressione oncotica nel compartimento intravascolare come del resto fa l’albumina. Nel ratto l’AFP lega gli estrogeni, cosa che non succede nell’adulto [41]. L’AFP è sintetizzata dal fegato fetale e dallo yolk sac, è la proteina serica dominante nella vita fetale nelle fasi iniziali della gravidanza raggiungendo i 300 mg/dl alla fine del primo trimestre. Da questo picco la sua concentrazione decresce costantemente; questa caduta di concentrazione in una fase di produzione epatica che invece è costante, può essere giustificata dall’incremento nel volume del compartimento circolatorio fetale che diluisce l’AFP. Le urine fetali contengono una quantità di AFP dosabile, questo significa che il rene fetale filtra una piccola parte dell’AFP serica. Nel liquido amniotico, la cui produzione deriva in gran parte dall’urina fetale, si può dosare l’AFP che presenta un picco alla 12a settimana, successivamente si assiste ad una caduta di concentrazione di circa il 10% per settimana, durante tutto il secondo trimestre. L’AFP raggiunge il compartimento materno attraverso la placenta e l’amnios ed i livelli dell’AFP nel sangue materno aumentano costantemente dall’inizio della gravidanza (15%/settimana durante il secondo trimestre) fino a 30 settimane di gestazione dopodiché cadono rapidamente. Esistono tre barriere che regolano la fuoriuscita dell’AFP dalla circolazione fetale: la prima è rappresentata dalla filtrazione glomerulare, la seconda dall’intefaccia placenta/circolazione materna e la terza dall’amnios. Le ultime due barriere sono responsabili di 1 su 20 dell’AFP che raggiunge la madre, mentre il ruolo maggiore è rappresentato dall’escrezione renale. Questo spiega, in gravidanze fisiologiche, la diversa concentrazione di AFP nei compartimenti: ad esempio quando troviamo nel compartimento fetale 2,00 microgrammi/ml, nel liquido amniotico abbiamo 20 microgrammi/ml e nel siero materno 0,02 microgrammi/ml. I difetti aperti del tubo neurale (NTD) e comunque tutte le soluzioni di continuo del tegumento fetale che mettano in rapporto il compartimento fetale con il liquido amniotico, comportano un aumento di concentrazione dell’AFP prima nel liquido amniotico e conseguentemente nel comparto materno. Questo consente, sulla base di curve di normalità, di individuare i feti a rischio le cui madri presentino valori serici di AFP (MSAFP) superiori al 95-97° percentile. È possibile quindi attuare uno screening per i NTD che presenta una detection rate (DR) con una maggiore sensibilità a 1924 settimane per l’anencefalia e a 16-18 settimane per la spina bifida aperta. Pertanto il periodo più indicato per
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effettuare uno screening è quello compreso tra la 16a e la 18a settimana di gravidanza con datazione certa, quando circa i 3/4 dei feti affetti da spina bifida aperta sono responsabili di livelli di alfa-fetoproteina serica materna maggiore o uguale al 97° percentile. Per dimostrare l’incremento di concentrazione di SFP nel sangue materno durante il secondo trimestre di gravidanza è conveniente esprimere tutti i suoi valori come multipli della mediana (MoM) per l’età gestazionale. L’uso della mediana come misura di una tendenza centrale (il valore medio ad una precisa settimana di gravidanza quando tutti i valori sono messi in ordine progressivo) è preferita al valore medio perché quest’ultimo è fortemente influenzato da occasionali valori fuori media; il MoM quindi si ottiene dal rapporto tra il valore trovato e la mediana per quella settimana [42].
Cut-off di AFP serica materna La Figura 12.1 mostra la distribuzione dell’AFP serica materna a 16-18 settimane di gestazione tra gravidanze singole non affette, gravidanze con anencefalia e gravidanze con spina bifida aperta. Esiste una certa sovrapposizione dei valori, pertanto non è possibile individuare un livello di AFP che distingua nettamente le gravidanze affette da quelle non affette. Se viene scelto un cut-off basso e quindi in grado di includere tutte le gravidanze con NTD, si selezionano grandi popolazioni non affette aumentando così i falsi positivi. Dall’altro lato, se si elevano i livelli di cut-off, aumentano i falsi negativi. La selezione di un particolare cut-off nei programmi di screening prenatale per NTD è perciò un compromesso basato su varie considerazioni. Usando un livello di cut-off di 2,5 MoM vengono individuati l’88% dei casi di anencefalia e il 79% dei casi di spina bifida. Allo stesso tempo il 3% di gravidanze
Spina bifida aperta Anencefalia
1
2
singole non affette mostrano livelli di AFP maggiori del cut-off. Mentre l’esame ecografico del feto può facilmente identificare l’anencefalia, non riesce con altrettanta facilità ad individuare i casi di spina bifida, pertanto una MSAFP elevata richiede un monitoraggio ecografico plurimo fino a raggiungere una ragionevole certezza di conferma o di esclusione del sospetto diagnostico [43, 44]. In caso di AFP serica elevata, la gestante viene abitualmente indirizzata ad un centro di ecografia di secondo livello: l’esame ecografico ha il compito di stabilire se la gravidanza è singola o plurima, di correggere un eventuale errore di datazione e di escludere o rilevare difetti del tubo neurale. La sola datazione ecografica dell’età gestazionale, effettuata con la misura del diametro biparietale (BPD), riduce di circa un terzo la percentuale di falsi positivi. Inoltre mettendo a confronto il solo dosaggio dell’AFP serica materna con il controllo ecografico di routine del secondo trimestre, gli ultrasuoni risultano più promettenti [45], anche perché l’AFP serica è sottoposta a tutta una serie di limitazioni quali quelle riportate di seguito.
Non ripetizione del test dell’AFP Esiste una varianza intrasettimanale dei livelli di AFP in gravidanze non affette che è dovuta per il 14% ad un errore di dosaggio mentre un ulteriore 17% è dovuto ad una fluttuazione intrasierica materna. Se si sovrappone ad un primo dosaggio di un campione di sangue fresco una seconda valutazione, la media dei valori ottenuti non mostra variazioni significative: il miglioramento dello screening in seguito ad una ripetizione del test è veramente minimo. Esistono diverse condizioni fisiologiche che possono modificare nel senso di un aumento o di una diminuzione il valore dell’AFP: gravidanze gemellari, peso materno, razza, insulino-dipendenza materna e sesso fetale.
Gravidanza multipla
Gravidanze normali
0,5
213
3 5 2,5 MSAFP (MoM)
10
40
Fig.12.1.Distribuzione dei livelli della AFP serica materna (MSAFP) in gravidanze normali,con spina bifida aperta e con anencefalia alla 16a-18a settimana di gestazione (basata sui parametri del UK Collaborative AFP Study,1982)
I livelli serici di AFP in gravidanze gemellari sono in media circa il doppio di quelli trovati nelle gravidanze singole; le monozigotiche presentano valori maggiori rispetto alle dizigotiche [46] ed i valori sono corrispondentemente maggiori in gravidanze quadruple e quintuple. In letteratura non ci sono dati sufficienti per quanto riguarda gravidanze gemellari con un solo feto affetto da NTD. Un elevato livello di AFP in una gravidanza gemellare viene abitualmente interpretato come il risultato della gravidanza gemellare stessa, non considerando quindi eventuali patologie a carico di un solo gemello, ma rappresenta comunque un’indicazione per un attento controllo ultrasonico dell’anatomia dei gemelli; generalmente il cut-off è fissato a circa il doppio di quello adoperato per la gravidanza singola.
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Peso materno e razza Esiste una correlazione inversa tra il valore dell’AFP ed il peso materno. Questo è probabilmente dovuto alla diluizione nella maggiore quantità di plasma. La razza nera presenta livelli ematici di AFP di circa il 15% maggiori rispetto alla razza bianca [47]. Negli USA è stato osservato che il tasso di NTD alla nascita nella razza nera è circa la metà che nella razza bianca. L’insufficienza dei dati sulla distribuzione dell’AFP nella razza nera con NTD non permette la definizione di un cut-off con una conosciuta detection-rate. Fino a che non saranno disponibili tali dati è probabilmente meglio porre il cutoff per la razza nera ad un valore in cui il tasso dei falsi positivi è analogo a quello della razza bianca, pertanto, se per quest’ultima tale valore è fissato a 2,5 MoM, si corregge per la razza nera a 2,9 MoM. Nelle donne asiatiche i livelli di AFP sono invece inferiori di circa il 6% rispetto alle caucasiche; la correlazione con la razza è meno significativa del peso materno.
Diabete insulino dipendente Le donne insulino dipendenti tendono ad avere livelli inferiori di AFP, in media i due terzi di quelli delle gravidanze fisiologiche [48].
Gravidanze successive Donne con elevati livelli di AFP in una gravidanza tendono a ripresentarli nelle successive, ma la correlazione è minima per fare un programma di screening.
Sesso fetale Un’osservazione interessante, ma che non ha ancora trovato una sua giustificazione, è che i valori di AFP sono significativamente associati con il sesso fetale. Valori più alti sarebbero del sesso maschile; in uno studio basato su 8.000 gravidanze a 16-18 settimane di gestazione il rapporto maschi/femmine era di 0,77 nelle gestanti con AFP<0,55 MoM e di 1,57 in quelle con AFP≥2.5 MoM.
L’acetilcolinesterasi è una sostanza che si trova nello spazio extracellulare del cervello. Se siamo in presenza di una lesione fetale che implica l’esposizione di liquido cerebrospinale nel liquido amniotico il livello di AChE nel liquido amniotico si eleva. È ovvio che, se siamo in presenza di un falso positivo, il test all’AChE sarà negativo, d’altra parte però laddove si disponga di strumenti ad ultrasuoni di ultima generazione e di ecografisti esperti si raggiunge quasi il 100% di detection rate nella diagnosi di spina bifida. Occasionalmente possiamo essere in presenza di un emangioma della placenta o del cordone ombelicale: anche in questi casi sarà dirimente l’ecografia. Le gestanti con un livello ematico di AFP al di sopra della norma sono da considerare a rischio per distacco placentare prima della 26a settimana [50].
AFP e sindrome di Down È stato dimostrato che lo screening per la sindrome di Down (DS) basato sull’età materna permette l’individuazione solo del 40% dei casi (cut-off di 35 anni di età per l’amniocentesi) [51-53]. La Figura 12.2 mostra la distribuzione delle gravidanze affette da DS e gravidanze non affette in relazione all’età; si noti la sovrapposizione esistente tra le due popolazioni. Si è reso pertanto necessario trovare un sistema che potesse aiutare nell’identificazione di gravidanze a rischio per DS e poterle pertanto sottoporre ad amniocentesi. Il primo passo è stato fatto da Cuckle e Wald che dal 1984 [54] hanno studiato l’associazione di un basso livello di AFP e DS prendendo spunto da Merkatz [55] che, nel “XIV Simposio dei difetti alla nascita” tenutosi nello Stato di New York nel settembre 1983, aveva mostrato che gravidanze con anomalie cromosomiche fetali tendevano ad avere livelli di AFP più bassi (circa l’80%) di quelli riscontrati in gravidanze normali.
Trasfusioni feto-materne
Gravidanze normali
Nelle donne con alti livelli ematici di AFP il test di Kleihauer risulta spesso positivo, da cui si può dedurre che in tali casi c’è stata una trasfusione feto-materna la cui causa può essere ricondotta a distacchi placentari o a cause iatrogene come, ad esempio, l’amniocentesi; pertanto non è corretto eseguire una determinazione serica materna dell’AFP quando la gestante è stata sottoposta a diagnostica prenatale invasiva.
Falsi positivi nel liquido amniotico e nel siero materno Nella maggior parte dei casi i falsi positivi nel liquido amniotico sono rappresentati dalla contaminazione con sangue fetale. In questi casi per dirimere il dubbio si può fare un dosaggio dell’acetilcolinesterasi (AChE) [43, 49].
Sindrome di Down
15
20
25
30 35 40 Età materna (anni)
45
50
55
Fig. 12.2. Distribuzione dell’età materna nei bambini non affetti e affetti da sindrome di Down,nati in Inghilterra e Galles tra il 1981 e 1985
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Sindrome di Down
0,2
0,5 1 MSAFP (MoM)
Gravidanze normali
2 2,5 3
5
Fig. 12.3. Distribuzione dei livelli della AFP materna nelle gravidanze di bambini non affetti e affetti da sindrome di Down tra la 14a e la 20a settimana (basata sui parametri forniti da Cuckle [56])
Probabilmente nella DS si ha una ridotta produzione fetale, visto che, anche a livello del sangue prelevato dal cordone ombelicale, i tassi di AFP sono inferiori rispetto ai feti normali. Da quanto finora detto è ovvio che il tasso nel liquido amniotico subisce una relativa riduzione. La Figura 12.3 mostra la distribuzione dei livelli di MSAFP in gravidanze affette ed in gravidanze normali. Si nota come esista una sovrapposizione tra le due popolazioni. L’indice MSAFP e l’indice età materna si possono associare e si può calcolare un indice di rischio della trisomia 21: questa associazione è possibile poiché i predetti indici sono indipendenti tra loro. Il cut-off di rischio è modificato in relazione a notizie anamnestiche quali il peso, la razza, la familiarità, il diabete. Cuckle e Wald [54] hanno dimostrato che, utilizzando un cut-off di rischio per DS di 1:350, è possibile identificare almeno il 40% dei feti affetti con un tasso di falsi positivi del 7%.
PLASMA PROTEINA ASSOCIATA ALLA GRAVIDANZA (PAPP-A) Nel 1972 ad opera di Gall e Halbert [57] è stato possibile individuare, nel siero di donne in gravidanza, quattro proteine definite proteine associate alla gravidanza (PAPP): A, B, C e D. La PAPP-C e la PAPP-D sono note da molto tempo e rappresentano, rispettivamente, la beta-1 glicoproteina associata alla gravidanza ed il lattogeno placentare (hPL); la PAPP-A e la PAPP-B sono invece di più recente individuazione. La PAPP-B è stata descritta da Bossi nel 1993 come un omopolimero di otto subunità del peso molecolare di 74 KDa ciascuna. La PAPP-A è stata descritta nel 1974 da Halbert e Lin come una glicoproteina ad alto peso molecolare (circa 800 KDa), formata da quattro subunità identiche ognuna del peso di 200 KDa. Dal 1974 ad oggi le conoscenze sulla
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PAPP-A si sono notevolmente accresciute. È stato dimostrato che la PAPP-A è in realtà un eterotetramero, formato da due subunità identiche e specifiche per la PAPP-A (gp200) e da due subunità non specifiche, identiche fra loro, ma diverse dalle precedenti, del peso di 40-60 KDa. Le quattro subunità della PAPP-A sono reciprocamente legate in modo covalente mediante ponti disolfuro pertanto è possibile isolarle singolarmente previa riduzione dei ponti disolfuro e denaturazione. Le subunità non specifiche si identificano con il precursore della proteina basica maggiore (proMBP), il costituente del core cristalloide dei granuli di secrezione dei granulociti eosinofili [58]. La MBP è un polipeptide basico, ricco di arginina del peso molecolare di 13,8 KDa dotato di una potente azione citotossica per protozoi e cellule di mammifero, è coinvolto nei meccanismi di danno alla mucosa respiratoria nei soggetti affetti da asma bronchiale allergico. La proMBP non ha alcun potere citotossico, non è presente nei granuli eosinofili e nel compartimento ematico materno si lega in modo covalente alla PAPP-A per formare un complesso macromolecolare stabile. Alla luce di queste nuove scoperte sembra più corretto indicare la PAPP-A come complesso PAPPA/proMBP. La PAPP-A è stata completamente sequenziata e il DNA clonato, ogni singola subunità gp200 è formata da 1.547 residui aminoacidici clivati da un precursore di almeno 12.000 aminoacidi, è intensamente glicosilata e possiede un sito di attacco per una breve catena glicosaminoglicanica. Il gene mappa sul cromosoma 9. L’analisi biochimica ha mostrato per la PAPP-A una struttura che non trova esempi tra gli altri prodotti di secrezione feto-placentare (se si esclude la PAPP-E di recente clonata e con il 45% di omologia con la PAPPA) [59]. Il dominio conservato della PAPP-A presenta un sito attivo zinc-binding con un residuo di metionina simile a quello delle metzincine, un gruppo di proteine appartenenti alla superfamiglia delle metalloproteasi [60]. La funzione biologica della PAPP-A nella gravidanza fisiologica non è nota, è verosimile che si tratti di una proteasi e che la proMBP sia il suo inibitore fisiologico [61].Altre regioni di interesse nella ultrastruttura del complesso PAPP-A/proMBP sono rappresentate da alcune sequenze caratteristiche che la PAPP-A condivide con proteine appartenenti anche a specie diverse da quella umana: cinque motivi correlati ad alcuni “ripetuti interni” comuni alle complemento-proteine e alle selectine e tre motivi lin-notch comuni alle proteine regolatrici della differenziazione tissutale precoce. Esiste l’evidenza sperimentale che la PAPP-A sia l’enzima proteolitico coinvolto nel clivaggio della proteina legante l’IGFII (IGFBP-4), la proteolisi è IGF-dipendente e libera dal complesso IGF/IGFBP il fattore di crescita che così può sostenere il trofismo placentare [62]. Studi di Northern blotting per l’mRNA hanno mostrato che la placenta è la
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fonte principale del complesso PAPP-A/proMBP ma non l’unica; sono presenti tracce del complesso macromolecolare nelle cellule della granulosa, nel liquido follicolare, nel liquido tubarico e nel muco cervicale. L’mRNA è espresso anche a livello testicolare e prostatico perciò tracce di PAPP-A/proMBP sono presenti nel liquido seminale anche se in quantità alle quali non sono sensibili le comuni metodiche di dosaggio immunologico. Studi di immunofluorescenza e di ibridazione in situ con sonde di cDNA marcato hanno chiarito la dinamica di assemblaggio delle subunità del complesso PAPP-A/proMBP e, soprattutto, la topografia placentare della sintesi del complesso stesso. La scoperta che la PAPP-A è presente in circolo in complesso macromolecolare, ha consentito la produzione di anticorpi specifici per ciascuna delle componenti che sono stati utilizzati per i dosaggi nel siero materno e per le colorazioni immunoistochimiche. A livello placentare c’è una compartimentalizzazione nella sintesi del complesso PAPP-A/proMBP: le subunità della PAPP-A sono sintetizzate dal sinciziotrofoblasto che riveste la superficie dei villi d’ancoraggio e dalle cellule X disseminate nello stroma dei villi e nei setti placentari, la proMBP è sintetizzata solo dalle cellule X le quali, tra l’altro, sono coinvolte nell’assemblaggio dei due dimeri nascenti [63]. Il complesso PAPP-A/proMBP, appena sintetizzato, passa direttamente nel compartimento ematico materno e non è presente nel sangue fetale. La proMBP è prodotta in eccesso rispetto alla PAPP-A e può complessarsi con diverse proteine plasmatiche, studi recenti hanno stabilito che l’angiotensinogeno ad alto peso molecolare (HMW-A), individuato in gran quantità nel siero di gestanti con ipertensione indotta dalla gravidanza, altro non è se non un complesso macromolecolare angiotensinogeno/proMBP. È ipotizzabile che la placenta, in qualche modo danneggiata o subtrofica, riduca il tasso di produzione delle subunità gp200, in queste condizioni l’eccesso di proMBP è ancora più evidente e può complessarsi in aggregati macromolecolari con altre proteine circolanti (per esempio l’angiotensinogeno e il componente C3dg del complemento) [64]. D’altra parte il deficit assoluto di PAPP-A può essere all’origine di un vero e proprio circolo vizioso in cui la riduzione dell’attività proteasica della PAPP-A fa aumentare il complesso inattivo IGF-II/IGFBP-4 sottraendo alla placenta un fattore trofico fondamentale; la crescita e lo sviluppo placentare si riducono ulteriormente e la produzione di PAPP-A risultante è ancora più compromessa. Queste considerazioni forniscono un substrato razionale alla evidenza sperimentale che bassi livelli circolanti di PAPP-A si associano ad un outcome non positivo della gravidanza. Il dosaggio del complesso PAPP-A/proMBP nel siero materno è possibile, con le attuali metodiche, a partire dalla 5a-6a settimana di ge-
stazione, la quantità prodotta raddoppia in 1-3 settimane e dalla 8a-10a settimana i livelli di PAPP-A crescono in maniera lineare con il progredire dell’età gestazionale [65]. Il pattern di crescita dei livelli della glicoproteina ricorda quello di altre proteine placentari (hPL), riflettendo in realtà le modalità di crescita della massa trofoblastica. Nell’ultima parte della gravidanza i livelli della frazione antigenica della PAPP-A raggiungono i 25 mg/l. Dati meno recenti avevano riportato in realtà valori assoluti di PAPP-A nel terzo trimestre pari al doppio del valore che abbiamo appena indicato, ciò trova una giustificazione nel fatto che per effettuare il dosaggio immunologico della PAPP-A erano stati utilizzati anticorpi anti-PAPP-A policlonali cross-reattivi con la proMBP che, come altrove indicato, è prodotta in largo eccesso rispetto alla PAPP-A. La prima evidenza sperimentale che variazioni dei livelli circolanti di PAPP-A potessero correlare con anomalie dello sviluppo fetale, risale al 1983 quando Westgaard [66] osservò che in due casi di feti affetti dalla sindrome di Cornelia de Lange erano presenti bassi livelli di PAPP-A. La sindrome di Cornelia de Lange si caratterizza per un grave ritardo mentale, facies caratteristica e difetto di sviluppo degli arti superiori e inferiori. L’interesse maggiore per la PAPP-A nella diagnosi prenatale deriva dal fatto che nei feti aneuploidi, soprattutto nei feti affetti da sindrome di Down a cui si riferisce gran parte della letteratura mondiale, si sono registrati nel primo trimestre livelli di PAPP-A inferiori del 60-70% rispetto alle gravidanze non affette [67]. I livelli di PAPP-A-complesso nelle gravidanze affette sono sufficientemente differenti rispetto alle gravidanze non affette da suggerire la possibilità di utilizzare questa glicoproteina come marker biochimico di sindrome di Down. Bassi livelli circolanti di PAPP-A sono stati correlati anche con aneuploidie diverse dalla sindrome di Down: diversi studi europei hanno osservato bassi livelli di PAPP-A nel primo trimestre di gravidanze con feti affetti da sindrome di Edwards (trisomia 18), da sindrome di Turner (monosomia X) e dalla triploidia del tipo I (in cui il set cromosomico sovrannumerario è di origine paterna). I dati relativi alla sindrome di Patau (trisomia del cromosoma 13) sono invece contrastanti perchè la PAPP-A ha mostrato un pattern di variazione non costante nelle gravidanze con feto affetto. Gli studi di Spencer e Nicolaides hanno sottolineato l’efficacia della PAPP-A come marker di aneuploidie del primo trimestre per tutte le aberrazioni cromosomiche ora citate [68]. L’efficacia della PAPP-A come marker di aneuploidie è verificata, in quasi tutti gli studi finora riportati, solo se il dosaggio si effettua nel primo trimestre. La produzione della PAPP-A dopo la 20a settimana aumenta notevolmente e nelle gravidanze affette, contro ogni aspettativa, sono stati riportati livelli addirittura più alti [34].
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INIBINE IN GRAVIDANZA
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Le inibine sono glicoproteine prodotte dalla granulosa e dalla teca ovarica e dalle cellule testicolari del Sertoli. Esistono almeno due forme molecolari attive in circolazione, inibina-A ed inibina-B, eterodimeri che sono costituiti da due subunità di cui una alfa in comune e l’altra che le contraddistingue, la beta A (inibina-A) e la beta B (inibina-B) [69]. Le activine (dimeri composti di beta A e/o betaB subunità dell’inibina) agiscono sui recettori tipo I e II che contengono un dominio extracellulare, una regione trasmembrana e un dominio serina/treonina kinasi intracellulare. Sebbene molti effetti delle inibine siano associati al loro antagonismo con le activine, ci sono cellule che trasportano le inibine con maggiore affinità rispetto alle attivine per la presenza di molecole specifiche inhibin-binding [70]. Il primo sistema di dosaggio radioimunologico (the Monash assay) [71, 72] non era in grado di distinguere con esattezza i due dimeri. Recentemente è stato messo a punto un pannello di anticorpi monoclonali per costruire un kit ultrasensibile immunoassorbente enzyme-linked (ELISA) che permette di distinguere e dosare le due Inibine A e B ed il precursore pro-alphaC [73-76]. The Groome ELISA adesso disponibile in commercio (Oxford Bioinnovation, UK o Diagnostic System Laboratories, DSL, USA) offre risultati precisi e riproducibili per uso clinico o di ricerca. Le inibine sono coinvolte nel controllo del rapporto feto-materno necessario per il proseguimento della gravidanza. La placenta, la decidua e le membrane fetali sono i maggiori produttori e secretori di inibina A e B nel torrente materno, nel fluido amniotico e nel sangue del cordone ombelicale. Durante il primo trimestre, nelle prime settimane di gestazione, l’unità feto-placentare è la principale fonte di produzione delle due inibine. Infatti è stato ritrovato l’RNA messaggero delle subunità delle inibine (alfa, beta A e beta B) nel trofoblasto [77, 78]; l’inibina A è secreta nel circolo materno [79, 80] e nel fluido celomatico [81-83]. Durante il primo trimestre, i livelli serici di inibina A sono più alti rispetto alla donna non gravida, mentre l’inibina B [84] non differisce dai livelli rilevati durante il ciclo mestruale. In questo periodo i livelli di inibina B sono più alti nel fluido celomatico rispetto al siero materno e al liquido amniotico [83], mentre l’inibina A non è dosabile nel liquido amniotico [81]. La ricaduta clinica potrebbe essere l’uso di queste glicoproteine nella gravidanza precoce per la diagnosi di minaccia d’aborto,di mola idatiforme e di sindrome di Down.
to nel counseling e nel management, soprattutto in pazienti sottoposte a trattamento di riproduzione assistita. Valori molto bassi di inibina-A o il rapido declino della stessa sono stati messi in rapporto a gravidanze non evolutive e ad aborti interni, suggerendo il ruolo di questa glicoproteina come monitor dell’evoluzione della gravidanza iniziale [85, 86]. Pazienti con un aborto completo presentano bassissimi livelli di hCG e di inibina A rispetto a gestanti con aborto incompleto che pur presentano bassi livelli di questi due ormoni, dimostrando il rapporto diretto tra presenza del trofoblasto in parte funzionante o la sua completa perdita funzionale. A conforto di questa constatazione le pazienti che si sottopongono ad interruzione volontaria di gravidanza, presentano una concentrazione serica di inibina A che si riduce in tempi molto rapidi dopo l’aspirazione del prodotto del concepimento [87]. Inoltre quando valutata su una popolazione numericamente valida in rapporto alle varie epoche gestazionali [88] o longitudinalmente nelle stesse gestanti [87], l’inibina A e l’hCG risultarono significativamente più basse negli aborti rispetto alle gravidanze fisiologiche. Quindi i valori di inibina A nel primo trimestre potrebbero essere usati nelle disfunzioni del trofoblasto e nel management di quelle gestanti che presentano sanguinamento come risposta predittiva, in effetti le gestanti con minaccia d’aborto (e quindi sanguinamento) ma con una gravidanza che risulterà evolutiva presentano valori di inibina A più alti di quelle che andranno incontro ad un aborto completo [89]. Questa osservazione potrebbe avere un significato prognostico importante per l’outcome della gravidanza, infatti usando un valore di 0,533 MoM di inibina A come cut-off, si raggiunge una accuratezza diagnostica nel predire il fallimento della gravidanza con una sensibilità del 90,6% ed una specificità del 99,5% [89]. La concentrazione di inibina A è stata trovata più bassa in quelle donne con anamnesi di aborti ricorrenti rispetto a donne che hanno avuto gravidanze fisiologiche [90]. Queste considerazioni potrebbero dimostrare l’utilità dell’inibina A serica nella prognosi di una gravidanza con esito non favorevole o come marker di una disfunzione placentare in presenza e prima che si presentino i sintomi di un aborto ricorrente. L’uso degli ultrasuoni completa le possibilità offerte dall’inibina A; anche se il valore predittivo dell’ecografia è sicuramente inferiore, risulta più agevole e facilmente ripetibile il controllo della gravidanza mediante gli ultrasuoni nell’uso clinico.
Minaccia d’aborto
Mola idatiforme
La diagnosi precoce di una gravidanza complicata o di un esito sfavorevole della stessa potrebbe essere di aiu-
La mola idatiforme parziale è un tumore trofoblastico con corredo triploide e si presenta in circa tre casi ogni
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1.000 gravidanze [91]. Le subunità delle inibine sono localizzate nel tumore trofoblastico [92, 93] ed il rilevamento istochimico delle inibine è stato recentemente proposto come marker di neoplasia trofoblastica in associazione con il β-hCG [93, 94]. D’altra parte, il kit non è mai stato disponibile su larga scala e non distingue specificatamente le varie forme di proteine collegate alle inibine, pertanto questo tipo di proposta appare difficilmente realizzabile anche in considerazione del fatto che la diagnosi di mola idatiforme risulta estremamente agevole con il dosaggio dell’hCG o con il monitoraggio ecografico o, ancora meglio, con ambedue. L’inibina A risulta costantemente elevata nella gravidanza molare senza nessuna sovrapposizione con la gravidanza fisiologica alla stessa epoca gestazionale suggerendo un ruolo del dosaggio dell’inibina A nella diagnosi delle gravidanze molari [95]. Inoltre i livelli dell’inibina A dopo l’evacuazione della mola si riducono in maniera significativa ma più rapida rispetto ai valori dell’hCG, che pur decrescendo, rimangono a lungo più alti rispetto alla donna non gravida. Questo potrebbe essere di aiuto nell’identificare pazienti con remissione spontanea dopo evacuazione molare.
Sindrome di Down La subunità alfa delle inibine è presente in quantità superiore alla norma nel secondo trimestre nel tessuto placentare di feti Down [96], questo potrebbe spiegare l’aumento dei livelli di inibina A nel siero materno; infatti in gestanti con feti affetti da sindrome di Down si rilevano valori serici elevati di inibina-A [97-99] anche se l’inibina-B risulta invariata nel periodo tra la 14a e la 19a settimana di gestazione. Nel liquido amniotico, invece, l’inibina A è anormalmente ridotta in questa sindrome, esattamente l’opposto dei valori del siero materno, dimostrando che i due compartimenti ricevono l’inibinaA da due sorgenti diverse: le membrane per la cavità amniotica, la placenta per la quasi totalità della circolazione materna [82]. Questa caratteristica può essere adoperata come marker nello screening della sindrome di Down. Sebbene non abbastanza sensibile per essere usato come singolo marker [100], l’inibina A può essere impiegata insieme ad altri markers nei test di screening per le aneuploidie. The Serum Urine and Ultrasound Screening Study (SURUSS) [101] ha riportato un’ampia serie di dati sull’uso dell’inibina A nel test integrato del primo e secondo trimestre su circa 48 mila gestanti [101, 102]. Il quadruplo test, eseguito tra la 14a e la 20a settimana basato sui valori di estriolo non coniugato (UE3), alfafeto-proteina, free-beta hCG o totale e inibina A è largamente impiegato in Usa e in Inghilterra e mostra circa un 6,2% di falsi positivi con una detection rate tra
l’80% e l’85% con una capacità di diagnosi di un caso patologico su 32 esami invasivi [101, 103]. L’integrazione della translucenza nucale (NT) e della proteina plasmatica associata alla gravidanza (PAPP-A) nel primo trimestre (11-14 settimane) con il quadruplo test sembra essere il test che offre la migliore performance di screening tra l’85% ed il 90% di DR per uno 0,9% di falsi positivi che però aumentano allo 1,3% senza l’inibina A. L’uso del test integrato ormonale (PAPP-A e quadruplo test), riporta una DR dell’85% con il 3,9% di falsi positivi, che aumentano al 6,0% se viene escluso il dosaggio dell’inibina A. È evidente quindi che l’inibina A può avere un valore clinico nella sindrome di Down, poiché migliora la capacità diagnostica prenatale.
NUOVI INDICATORI SERICI La proteina placentare 13 (PP13) come potenziale marker di preeclampsia La proteina placentare 13 (PP13), isolata nel 1983 da Bohon et al., è una dimero-proteina di 32 KDa che mostra una percentuale elevata di sequenze omologhe con la famiglia delle galactine; 8 dei 16 residui fissi che comprendono i domini dei carboidrati recognotionbinding sono conservati nella PP13 [104]. Questa proteina viene prodotta dal trofoblasto e conservata negli endosomi che sono in collegamento, attraverso i coated pits con i processi di mobilizzazione via calcio. La PP13 secreta trasporta i residui zuccherini di molecole di matrice extracellulare, come l’annessina II, creando “un ponte molecolare” per l’impianto placentare nell’endometrio. La PP13, inoltre, dimostra una media attività lisofosfolipasi-A (LPL-A) che guida la liberazione di costituenti acidi grassi del plasma legato alle membrane e particolarmente di acido linoleico, che contribuisce al normale impianto dell’ovulo fecondato. D’altra parte la PP13 aumenta la liberazione di prostaglandine e soprattutto di prostaciclina, che costituisce un fattore importante nel rimodellamento vascolare del trofoblasto che stimola lo sviluppo delle arterie spirali materne nella fase iniziale della placentazione. Infine, la PP13, trasporta la beta e la gamma-actina all’interno del trofoblasto favorendo la sua migrazione attraverso il letto placentare [8, 105]. Durante la gravidanza, il livello di PP13 cresce moderatamente tra il primo ed il secondo-terzo trimestre; in una serie di studi clinici invece esso fu trovato più basso rispetto al normale nel siero di donne incinte nel corso del primo trimestre (8-13 settimane), con una grande differenza tra le settimane 9-11, ovvero durante il periodo di unione tra il sangue materno e la placenta [8, 106, 107]; questa particolare condizione è sta-
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PC SR HR 200 PP13 (pg/ml)
ta collegata ad una situazione patologica che si esplica in uno stato di preeclampsia (PE) nella gestante soprattutto quando si deve espletare il parto prima della 34a settimana. In effetti la DR per la PE precoce risulta di circa l’80-90% con una percentuale di falsi positivi (FPR) che varia tra il 9% ed il 20%. L’intuizione di Nicolaides [108] ha fatto sì di mettere insieme l’indice di pulsatilità (PI) delle arterie uterine, che da solo presenta una FPR troppo elevata, con la PP13 su siero materno (che attualmente si può dosare con metodo ELISA tramite anticorpo monoclonale della Diagnostic Technologies) il che consente di ridurre al 7% circa i FP. Lo studio longitudinale dei casi patologici ha consentito di rilevare un aumento della PP13 dal primo al secondo trimestre non rilevabile nel secondo trimestre, offrendo un ulteriore metodo per ridurre i FP. Benché siano necessari ulteriori studi, è possibile che l’abbassamento della PP13 nel primo trimestre sia indicativo di una minore immissione nel circolo con il risultato di una ridotta trascrizione nel trofoblasto o di altri processi come il rapido turnover della molecola che potrebbe impedire diverse funzioni che sono richieste per il normale impianto e rimodellamento vascolare materno. Durante il terzo trimestre la PP13 sul siero materno cresce ulteriormente al di sopra della normalità in caso di preeclampsia ed il monitoraggio continuo della PP13 potrebbe essere un metodo di controllo e di aggiustamento della terapia preeclamptica. Dagli studi sinora condotti derivano diverse indicazioni sulla ricaduta clinica: – il dosaggio serico materno della PP13 potrebbe essere inserito nell’ambito dello screening del primo trimestre per la sindrome di Down, con la possibilità di individuare fino al 90% delle donne a rischio di preeclampsia precoce [108], 4-6% delle gravidanze fisiologiche, con un 9-20% di FP o soltanto con un 7% mediante il rilevamento della PI delle uterine, riservato ai centri con ecografisti esperti. La ricaduta clinica può essere l’impostazione di una terapia preventiva con l’aspirinetta, anche se non tutti sono così concordi, e comunque il sapere è sempre un motivo in più per essere più attenti (altri farmaci sono allo studio); – attuare un secondo controllo, previsto sempre in alcuni test di screening per il Down, abbasserà sicuramente la FPR e consentirà di monitorare meglio le gestanti a rischio (ipertese croniche, precedente PE, diabetiche, gestanti affette da malattie renali croniche, body-mass index>30, PI uterina alterata a 22 settimane) che presentano un costante e continuo innalzamento della PP13 in tutti e tre i trimestri; – verificare ed aggiustare la mira nell’uso di farmaci antipreeclamptici nel terzo trimestre.
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150 100 50 0
11-13 sett.
15-17 sett. 19-21 sett. Età gestazionale
23-35 sett.
Fig.12.4.Confronto fra donne che andranno incontro a preeclampsia (PE), donne a basso rischio di preeclampsia (SR) e gestanti con gravidanza a rischio anamnestico (HR).I valori sono medie geometriche ±95% di intervallo di confidenza di PP13 La Figura 12.4 mostra l’andamento della PP13 in tre differenti tipi di popolazione: la linea verde rappresenta il gruppo delle gestanti che andranno incontro a patologia pre-eclamptica nel 90%, con un 12% di falsi positivi (la curva è caratterizzata da valori più bassi della norma nel primo trimestre per arrivare, con un continuo crescendo a valori più alti nel terzo trimestre; da qui la possibilità di due prelievi nel I e nel III trimestre); la linea rossa per il gruppo di gravidanze che risulteranno non a rischio; la linea viola le gestanti con gravidanza a rischio anamnestico che presentano valori iniziali elevati nel I trimestre per poi mantenersi costanti. Utilizzando il dosaggio della PP13 e la flussimetria delle uterine nel primo trimestre si può ottenere una detection rate per la preeclampsia del 90% con FPR del 9% (Tabella 12.1). Questi dati debbono ancora essere validati da altri centri. Tabella 12.1. Efficacia dello screening utilizzando PP13 ed ecografia doppler.Da [108]
PP13 Ecografia Doppler Doppler e PP13 combinati
FPR 90% DR 12% 31% 9%
DR 10% FPR 80% 40% 90%
ADAM 12: un nuovo marker serico materno per il controllo del cariotipo e dello sviluppo fetale L’ADAM 12 è un nuovo marker che offre grandi potenzialità nello screening dello sviluppo fetale, relativamente alla sindrome di Down ed alla trisomia 18 [9, 109] come anche per il rilevamento precoce dell’insufficienza feto-placentare, del parto pretermine e della preeclampsia [10]. Nello screening delle aneuploidie 21 e 18, l’ADAM 12 sembra essere particolarmente idoneo nella gravi-
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danza precoce. Le gestanti portatrici di feti affetti presentano valori serici bassi rispetto alla normalità tra la 8ª e la 10ª settimana, mentre con la 12ª settimana non si è più in grado di differenziare le gravidanze patologiche da quelle fisiologiche. Nel secondo trimestre l’ADAM 12 presenta livelli serici più elevati consentendo una seconda possibilità di screening per le cromosomopatie. In caso di insufficienza placentare o di rischio di gravidanza affetta da preeclampsia il marker risulta più basso nel primo trimestre di gravidanza [110].
Note biochimiche I membri della famiglia ADAM (A Disintegrin and Metalloprotease) fanno parte delle glicoproteine multi-domain e sono caratterizzati da proteolisi ed attività di adesione cellulare [111]. Sono state identificate più di 30 proteine ADAM ed il gene ADAM 19 è conosciuto nel genere umano [112]. L’RNA messaggero ADAM è presente a bassi livelli in molti tessuti adulti, ma sembra che gli ADAM si esprimano meglio durante la crescita e lo sviluppo. Nel genere umano altissimi livelli di ADAM 12 sono presenti nella placenta. Inoltre l’ADAM 12 è associato con un grande numero di neoplasie negli esseri umani. L’ADAM 12 è codificato da un solo gene localizzato nel cromosoma 10q26.3 [110]. Il gene produce due distinte varianti , la forma lunga ADAM-L e quella corta ADAM-S che si espande tramite due Insulin-like Growth Factor Binding (IGFBP) e può regolare la biodisponibilità dell’Insulin Growth Factor (IFG). Normalmente gli ormoni della crescita sono trasportati da uno a sei proteine (IGFBP) che permettono così un controllo della loro biodisponibilità. L’IGFPB dell’ADAM12 è simile a quello della PAPP-A, ma ha una preferenza per il IGFPB-3 (la forma più frequente di trasporto per gli ormoni della crescita) ed il 5 piuttosto che l’IGFPB-4 preferito dalla PAPP-A. Sono molti i sistemi messi a punto per la valutazione quantitativa dell’ADAM 12. Uno dei primi è quello sviluppato da Laiggard tramite ELISA con due anticorpi monoclonali contro parti diverse dell’ADAM 12. Gli studi condotti con questo metodo in gravidanze fisiologiche ed in quelle affette da trisomia 21 e 18 [9, 10] hanno rilevato nei feti normali, un aumento costante di oltre 60 volte dell’ADAM 12 tra le 8-13 e le 14-20 settimane. In contrasto i feti affetti da trisomia 21 e 18 presentano significativi livelli ridotti tra la 8ª e la 10ª settimana, poi i valori si sovrappongono tra fisiologici e patologici, salvo diventare significativamente alti nel secondo trimestre. Livelli bassi nel primo trimestre sembrano essere indicativi anche di difetto di crescita e di preeclampsia precoce anche se non se ne è trovata una spiegazione scientifica. Da quanto esposto è evidente che si possano prospettare diverse strategie (Tabella 12.2) nell’utilizzo dell’ADAM 12, come marker isolato del
primo o del secondo trimestre o di ambedue o come marker in aggiunta a quelli oramai classici od in sostituzione soprattutto laddove possa esserci carenza di ecografisti accreditati per la translucenza nucale. Il dr. Kevin Spencer in un incontro della Fetal Medicine Foundation ad Istanbul nel 2005 [113, 114], ha presentato i livelli di DR in rapporto a diversi livelli di falsi positivi (Tabella 12.2). Tabella 12.2. Simulazione della detection rate (%) in una popolazione di T21 in base ai vari indici di screening biochimico alla 8a-9a settimana e NT alla 12a settimana.Dati presentati da Dr.Kevin Spencer,FMF meeting,Istanbul 2005.IDSSG (International Down’s Syndrome Screening Group) [113] Combinazioni Markers biochimici ed età materna ADAM 12+età materna Free beta-hCG+età materna PAPP-A+età materna PAPP-A,free beta-hCG+età materna PAPP-A,ADAM 12+età materna ADAM 12,free beta-hCG+età materna Free beta-hCG,ADAM 12, PAPP-A+età materna
5% FPR 3% FPR 1% FPR 90 30 56 64 91 90 92
Markers biochimici, età materna e ultrasuoni Free beta-hCG,PAPP-A,NT+età materna 86 PAPP-A,ADAM 12,NT+età materna 97 Free beta-hCG,ADAM 12,NT+età materna 96 Free beta-hCG,PAPP-A,ADAM 12, 97 NT+età materna
87 23 48 55 89 87 88
63 14 30 39 69 66 71
82 95 94 95
72 87 87 89
MARKERS Adesso quindi, la medicina prenatale, ha a disposizione numerosi markers da utilizzare per il controllo dello stato di benessere fetale e/o materno e per i test di screening per le patologie cromosomiche.
Controllo dello stato di benessere fetale Questa divisione è artificiosa; sarebbe più consono dire che gli stessi ormoni vengono usati prevalentemente da soli per valutare lo stato di benessere fetale e di quello materno ed in associazione nei diversi screening per le aneuploidie. Il primo marker impiegato è stato l’ormone della gravidanza (hCG) che non solo è servito per anni al controllo dell’evoluzione fisiologica del prodotto del concepimento nel primo trimestre di gravidanza, ma è anche egregiamente servito, pur con tempi lunghi, alla diagnosi di aborto ed al controllo della patologia del
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trofoblasto (mola e corioncarcinoma). L’avvento degli ultrasuoni ha ridotto notevolmente il suo uso nel primo trimestre, pur mantenendo tutta la sua validità nella prognosi e nel follow-up della patologia del trofoblasto e nella diagnosi precoce della gravidanza ectopica in associazione con l’ecografia. L’uso inoltre dei test ormonali di screening per le aneuploidie ha messo in evidenza che gravidanze con valori serici di hCG uguali a 3,0 MoM o superiori presentano un rischio aumentato per parto pretermine, preeclampsia, morte endouterina fetale, piccoli per la data (Small For Date, SFD) o al contario superiori al 90° centile per epoca gestazionale (Large For Date, LFD) [115]. Si registrano invece difetti di accrescimento con valori bassi di UE3 associati ad hCG elevata [116]. L’associazione invece di valori bassi di PAPP-A e di alti valori di PI delle arterie uterine nel secondo trimestre sono stati collegati ad un aumentato rischio di preeclampsia e di outcome sfavorevole [117119]. Anche per l’inibina-A viene consigliato un attento monitoraggio fetale [120]. L’inibina A viene in particolar modo associata all’ipertensione gravidanza indotta; però attualmente sembra offrire maggiori possibilità (DR di circa il 90%) il dosaggio della PP13 nel periodo 8-13 settimane in associazione alla valutazione flussimetrica PI delle uterine [108].
Test di screening Il primo metodo di screening per la trisomia 21, ovvero la sindrome di Down (DS), così definita da Langdon Down [121] (che si rivelò un’alterazione cromosomica ovvero una tripletta 21 studiata e scoperta da Lejeune e Jacobs nel 1959), fu introdotto agli inizi degli anni ’70, ed era basato sull’associazione età materna avanzata (ema) e prevalenza di feti Down. Osservazione analoga fu già riportata da Shuttleworth agli inizi del ’900, che, esaminando 350 casi di bambini affetti da sindrome di Down, sottolineò come un considerevole numero, da una metà ad un terzo, erano nati da madri di età avanzata e pertanto con capacità riproduttiva verso il declino. La stima del rischio alla nascita di trisomia 21 rispetto all’età materna è basato su due studi condotti, alla fine degli anni ’70, nel sud del Belgio ed in Svezia; gli accertamenti per tali studi furono forniti dai dati relativi a cartelle cliniche, laboratori di citogenetica, servizi di genetica clinica e scuole per ritardati mentali [122]. Il rapporto età materna e prevalenza di sindrome di Down alla nascita è risultato sovrapponibile nelle diverse parti del mondo: le gestanti con età uguale o superiore ai 35 anni presentano una prevalenza statisticamente significativa di nascite di feti affetti da cromosomopatia di cui la trisomia 21 è quella più rappresentata. La maggior parte dei nati con sindrome di Down però, sono fi-
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gli di coppie non considerate a rischio per l’età, che non hanno precedenti bambini cromosomopatici e non presentano traslocazione bilanciata del cromosoma 21. Il primo impatto di questa osservazione epidemiologica è stato quello di condizionare tutte le politiche sanitarie del mondo occidentale, che con l’indicazione età materna avanzata (35-38 anni e superiore) consentono di accedere alla diagnostica prenatale invasiva gratuitamente. I risultati ottenuti documentano però che, l’ema da sola è in grado di individuare tra il 30% ed il 40% dei feti affetti con una percentuale di falsi positivi molto elevata: nella pratica l’ema consente di diagnosticare un feto Down ogni 60-100 atti invasivi, con un costo elevato sia in termini economici che in termini morali per la perdita di feti sani, con un rapporto caso diagnosticato/perdita fetale di circa 1 a 1, per ogni trisomia 21 diagnosticata [123]. Tutto questo, unito al fatto che il maggior numero di bimbi Down nascono da coppie a basso rischio per età (sempre meno perché l’età materna sta aumentando in tutto il mondo occidentale), ha stimolato la ricerca di marker predittivi per la sindrome di Down ed altre aneuploidie come la 18 e la 13; inoltre questi screening forniscono altre importanti indicazioni sullo stato di benessere materno-fetale. Procedendo in ordine temporale, il primo marker umorale utilizzato come screening è stato l’AFP con la doppia valenza, per i difetti del tubo neurale (tuttora valida come screening di massa) e per la sindrome di Down che, come precedentemente esposto, in associazione con l’età materna non superava il 40% di DR per una percentuale di falsi positivi del 7%. Le capacità, l’intelligenza, lo spirito di osservazione ed il lavoro di equipe ha fatto sì che venissero messi a punto screening con DR più elevate e con FPR più bassa, abitualmente fissata al 5% (anche se vedremo che oggi si cerca di ridurre questo limite considerato troppo alto), associando sempre all’età materna un numero maggiore di markers. Tra questi il capostipite è stato il triplo test tuttora in uso in molti stati tra cui gli USA. Tutti i test di screening hanno in comune principi fondamentali e risposte: – la datazione accurata della gravidanza che si può ottenere soltanto con una buona approssimazione nel corso del primo trimestre attraverso un controllo ecografico; – il cut-off o limite di sospetto diagnostico per un certo numero di gravidanze (solitamente posto a 1:250 a termine di gravidanza); – la percentuale di falsi positivi ritenuta accettabile (solitamente calcolata sul 5%), direttamente proporzionale alla capacità diagnostica o Detection Rate (DR), ovvero quanto più si abbassano i falsi positivi tanto più si abbassa la DR e viceversa;
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– individuazione anche di altre aneuploidie [123-127]; – valori alterati dei markers umorali come di quelli ecografici in feti non cromosomopatici sono indicativi, come precedentemente esposto, di outcome neonatale non favorevole come insufficienza fetoplacentare, parto pretermine, ipertensione gravidanza indotta. Il primo test di screening che è stato proposto, validato e tuttora in uso in molti stati è il triplo test.
Triplo test – Età+hCG+AFP+UE3; – Periodo 14a-18a settimana+6 giorni; – Finalizzato al rilevamento di feti a rischio di trisomia 21, 18 e 13. Sulla base dell’esperienza anche d’altri autori, Wald nel 1988 [128, 129] ha proposto lo screening della trisomia 21 e della trisomia 18 e 13 mediante la determinazione serica su sangue materno di 3 analiti in associazione all’età materna: hCG, AFP, UE3: triplo test o tritest effettuato tra la 14a e la 18a settimana+6 giorni in riferimento alle curve di normalità delle mediane dei 3 analiti.Wald riporta nei suoi lavori una detection rate del 61%, con una percentuale di falsi positivi di circa il 5% con un cut-off di 1:250 a termine di gravidanza e, su questa proposta, sono stati numerosi gli autori che hanno confermato le ricerche di Wald individuando detection rate intorno al 60-70% [130, 131]. Il tritest, pur rappresentando una svolta epocale nei test di screening - test tuttora valido in tutto il mondo occidentale con il grosso pregio che ottiene risposte facilmente sovrapponibili perché legato alla sola variabile di laboratorio - presenta il limite di essere eseguito nel II trimestre con tutte le conseguenze derivanti da un eventuale risultato patologico a seguito di esame invasivo. Il triplo test, mediante il dosaggio dell’alfa-fetoproteina offre inoltre la possibilità dello screening dei difetti del tubo neurale. Il test è indicativo per: • trisomia 21: – valori di hCG superiori a 2,5 MoM per epoca gestazionale; – alfa-fetoproteina e UE3 inferiori a 2,5 MoM per epoca gestazionale. • trisomie 18 (Eduards) e 13 (Patau): – tutti gli analiti risultano inferiori a 2,5 MoM per epoca gestazionale. Secondo Bogart la concentrazione di hCG è alta nei feti Down probabilmente per un’immaturità del feto e
della placenta in quanto è stato osservato che placente di feti con trisomia 21 presentano una persistenza di strutture embrionarie. In pratica, questa immaturità placentare si tradurrebbe in un’attività di sintesi di gonadotropina corionica in un’epoca gestazionale in cui normalmente si assiste al rapido declino della sua sintesi. È inoltre stato dimostrato che l’attività biologica dell’hCG nei casi di gravidanza con feti Down è normale, eliminando il dubbio che l’elevata concentrazione fosse secondaria ad un difetto funzionale dell’ormone. Il sistema proposto da Wald prende in considerazione l’età materna e le correlazioni relative al peso materno, alla razza, all’anamnesi positiva per diabete insulino-dipendente ed ai precedenti figli affetti da sindrome di Down. Su questa proposta sono stati numerosi gli Autori che hanno confermato gli studi di Wald, individuando una detection rate del 60-70%. Il triplo test riesce ad individuare anche altre aneuploidie; ed è oramai nozione comune che tutti i test di screening sono predittivi per quasi la metà delle cromosomopatie,vuoi per l’aumento degli esami invasivi (appunto circa il 5%) sia perché probabilmente i markers umorali sono influenzati dalle alterazioni di altre aneuploidie di cui, per adesso, non se ne conosce la causa diretta [131-135]. A fronte dei risultati ottenuti con il triplo test si sono moltiplicate le ricerche per individuare markers più precoci e con DR più elevata.
Test del I trimestre – Periodo 10a settimana+6 giorni-14a settimana+0 giorni; – Finalizzati allo screening della trisomia 21 e 18.
Duplo test o test sierologico – Età+free beta-hCG+PAPP-A. Numerosi studi hanno suggerito che all’età materna e alla translucenza nucale potevano essere associati altri marker biochimici dosati nel I trimestre (11a-14a settimana) su siero materno, in particolare la frazione beta libera dell’hCG e la PAPP-A. Le concentrazioni della frazione libera della beta-hCG nel sangue materno, in condizioni di normalità, diminuiscono durante il corso della gravidanza [136-140]. Quanto più elevati sono i livelli della frazione libera della beta-hCG, tanto più è alto il rischio di trisomia 21; mentre le concentrazioni della PAPP-A aumentano nel corso della gravidanza e pertanto quanto più bassi sono i livelli della PAPP-A, tanto maggiore è il rischio di trisomia 21 [138] (Tabella 12.3). Per la trisomia 18 ambedue i markers risultano diminuiti [146-151].
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Tabella 12.3. Detection rate stimata per la trisomia 21 mediante la combinazione età materna, PAPP-A, free beta-hCG, con 5% di positività allo screening Studi Trisomia 21 Settimane Detection (%) Krantz et al.,1996 [137] 22 10-13 63 Wald et al.,1996 [139] 77 8-14 62 Berry et al.,1997 [53] 47 9-14 55 Orlandi et al.,1997 [140] 11 9-14 61 Haddow et al.,1998 [141] 48 9-15 60 Wheeler & Sinosich,1998[142] 17 9-12 67 de Graaf et al.,1999 [143] 37 10-14 55 Spencer et al.,1999 [144] 210 10-14 67 Tsukerman et al.,1999 [145] 31 8-13 69
Test combinato – Età+free beta-hCG+PAPP-A+NT. Il valore della PAPP-A e della free beta-hCG (duplo test) può essere associato alla Nuchal Translucency (NT) tra la 10a settimana e la 13a settimana+6 giorni; il test così formulato presenta un’attendibilità che va dal 75% al 90% con una percentuale di falsi diagnostici del 5% ed è chiamato test combinato o screen test o ultrascreen (Tabella 12.4) [152-159]. Tabella 12.4. Detection rate stimata per la trisomia 21 mediante la combinazione età materna, translucenza nucale, PAPP-A e free beta-hCG, con una percentuale fissa di falsa positività allo screening del 5% Studi
Trisomia 21 Settimane Positività (5%) Brizot et al., 80 10-14 5,0 1994,1995 [160,161] Orlandi et al., 11 9-14 5,0 1997 [140] De Graaf et al., 37 10-14 5,0 1999 [143] De Biasio et al., 13 10-14 3,3 1999 [162] Spencer et al., 210 10-14 5,0 1999 [144]
Detection (%) 89
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tranquillità prima di prendere una decisione in caso di risultato positivo. Oramai il lavoro di questi ultimi dieci anni, eseguito da Kypros Nikolaides [144, 160, 163, 164] in riferimento alla NT è stato universalmente riconosciuto come validità scientifica e come capacità di organizzazione a livello del Regno Unito ed a livello mondiale. Pertanto appare quasi codificato, anche se non istituzionalizzato, che i centri nel mondo ritenuti validi per la NT sono soltanto quelli dove operano ecografisti accreditati ed affiliati alla Fetal Medicine Foundation (FMF), l’organizzazione ideata, organizzata e strutturata da Nikolaides per insegnare in maniera corretta il rilevamento della NT e garantire livelli ottimali di operatività. Di conseguenza per il test combinato offrono garanzie soltanto i centri accreditati con la FMF. Sono sempre più numerose le cliniche che adottano il sistema OSCAR (One Stop Clinic for Assessment of Risk); la gestante ha in tempo reale una risposta di rischio per la DS sulla sola NT con attendibilità di circa il 75-80% ed una percentuale di falsi positivi di circa il 5% e quindi può decidere nell’immediato se proseguire con la determinazione del cariotipo fetale mediante villocentesi. Lo stesso sistema OSCAR può essere attuato per il test combinato data la rapidità di dosaggio della PAPP-A e della free β-hCG, mediante strumento Kryptor (15 minuti con una tolleranza del 2%) con una DR del 90% mantenedo gli stessi valori di FPR [165]. Per completezza, anche se non fanno parte della presente trattazione, si debbono ricordare i markers ecografici del primo trimestre, quali la translucenza nucale (NT) [166, 168], l’osso nasale [169], il dotto venoso [163, 164] e l’insufficienza della tricuspide [170, 171]. Questi markers avranno il loro spazio nella trattazione finale degli screening per l’immediato presente-futuro.
87
Test del II trimestre 85
– Periodo 14a-18a settimana+6 giorni.
85
Quadruplo test – Età+triplo test+inibina-A.
89
L’attendibilità del test combinato è fortemente dipendente dalle capacità e dall’esperienza dell’operatore ecografico e dalla qualità del laboratorio, per cui soltanto i centri accreditati possono garantire questa percentuale di successo. La risposta viene abitualmente fornita a distanza di 3-4 giorni dal prelievo, anche per politica sanitaria, offrendo alla gestante un attimo di
Un miglioramento della capacità diagnostica per lo screening biochimico del II trimestre è rappresentato, procedendo sempre in modo temporale, dal quadruplo test, che prevede: – l’associazione dell’età materna; – il triplo test; – l’inibina-A. Da effettuare nello stesso periodo del triplo test. Nella casistica riportata da Wald, l’inibina-A è risultato un
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buon marker biochimico per lo screening delle cromosomopatie, in quanto aumenta di circa il 10% la DR del triplo test, portandola a circa 1’80% con un buon rapporto costo-beneficio e con una PRF di circa il 5% (Tabella 12.5) [141, 173-176]. Tabella 12.5. Detection rate in funzione dei falsi positivi dei test di screening per la DS in popolazione a basso rischio di età.
Test Integrato biochimico biofisico Integrato biochimico NB-NT Test combinato Quadruplo Triplo Duplo
Falsi positivi 1% 87 81 85 75 58 49 49
5% 95 87 85 79 71 66
Fig. 12.5. Andamento degli ormoni e della translucenza nucale in gravidanze fisiologiche ed in gravidanze Down.La sovrapposizione delle curve documenta i limiti del test.Da [119,153]
Test integrato biochimico Test integrato – Età+PAPP-A+NT nel primo trimestre+quadruplo nel secondo trimestre (fino alla 22a settimana). Integrazione dei test biochimici del I e del II trimestre e la translucenza nucale come marker biofisico. Il test prevede 2 tempi: – il primo tempo viene effettuato tra la 10a e la 13a settimana+6 giorni, con epoca di preferenza 11a-12a settimana, mediante dosaggio su siero materno della PAPP-A e rilevamento ecografico della translucenza nucale; – il secondo tempo, tra la 14a e la 22a settimana mediante dosaggio di AFP, UE3, hCG e inibina-A, con epoca di preferenza alla15a-16a settimana. La risposta del test è disponibile ed unica dopo 24 giorni dall’ultimo prelievo; viene fornita una risposta sui dati del primo trimestre solo in caso di impossibilità da parte della gestante di poter eseguire il secondo prelievo. La detection rate del test integrato raggiunge l’87% di sensibilità, con una percentuale di falsi positivi dell’1%, se però accettiamo, come per i test in uso, una percentuale del 5% di falsi positivi, la detection rate può raggiungere il 95% [177]. Il test è proposto per tutta la popolazione, a rischio e non a rischio, con la differenza che in rapporto all’età materna si ha l’85% di detection rate, fino a 34 anni ed il 92% dai 35 anni in poi, con una media pertanto dell’87% [178, 179] (Tabella 12.5). La Figura 12.5 mostra come tutti i markers abbiano delle aree sovrapposte che spiegano l’impossibilità di poter sfiorare il massimo della DR.
– Età+PAPP-A test nel primo trimestre+quadruplo nel secondo trimestre. Il test prevede l’integrazione dei due test biochimici del I e II trimestre, ovvero PAPP-A e quadruplo test, da eseguire con le stesse modalità del test integrato con NT. La DR è di circa l’81% con l’1% di falsi positivi che aumenta all’87% con il 5% di falsi positivi (Tabella 12.5) [119, 153]. Il test è indicato quando non si disponga di personale particolarmente qualificato ed accreditato per il rilevamento della translucenza nucale.
Test sequenziali Sono quei test che prevedono un primo test nel primo trimestre (NT, combinato, sierologico) con risposta ed un secondo test (triplo, quadruplo, ecografico) nel secondo trimestre anch’esso con risposta. Offre un’alta DR di circa il 97% ma drammaticamente associa i falsi positivi dei due test con una percentuale che supera ampiamente il 5% (8-10%) [119, 127, 141].
Markers ecografici di aneuploidia Ancora per completezza si deve ricordare che esistono rischi relativi per la DS per numerosi markers ecografici (plica nucale, displasie renali, femore corto, omero corto, malformazioni morfologiche maggiori, foci iperecogeni intracardiaci golf ball ed intestino iperecogeno) che hanno lo svantaggio nella loro complessità di essere difficilmente praticabili. In effetti sono pochi i centri che adottano lo screening ecografico del secondo trimestre che presenta una DR del 75% e riesce a ridurre tra il 60% ed il 90% il rischio di aneuploidia per gestanti risultanti tali per età o per test sierologici (mediamente si moltiplica il rischio attuale per 0,30) [180-182].
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Uso dei test di screening in popolazione a rischio di aneuploidie per età avanzata I test di screening sono stati messi a punto inizialmente per individuare gestanti a rischio in popolazione non a rischio, considerando che quelle a rischio possono disporre dell’indagine invasiva gratuita. La perdita elevata, però, di feti sani in seguito a procedure di amniocentesi o biopsia coriale [183] sembra giustificare l’affermazione di Wald, per il quale nei test di screening l’età materna è una delle variabili a parità con le altre. A questo si deve aggiungere il trend attuale dell’età delle gestanti alla prima (e spesso unica) gravidanza, che è in aumento in tutta l’Europa con punte veramente elevate come in regione Toscana dove il primo figlio viene concepito in media a 34-35 anni [124, 184]. Pertanto sono molte oramai le esperienze riportate in letteratura (Tabella 12.6) di gestanti a rischio che si sottopongono ai test di screening prima di accedere alla diagnostica invasiva e questo ha consentito di ridurre gli esami invasivi di oltre l’80% a seconda delle strategie proposte con una percentuale di DR che va dall’80% al 100%. Tabella 12.6. Detection rate (DR) in funzione dei falsi positivi (FP) dei test di screening per la DS in popolazione ad alto rischio di età Autore Wald [101] Dommergues [185] Vintzileos [186] Bahado-Singh [13] Egan [187] Centini [125]
Test Integrato NT+hCG-AFP II tr. Tritest+US II tr. Tritest+hCG urine+markers II tr. Tritest+US II tr. Combinato
DR 92 100 100 97,3 97,6 100
FP 4,0
0,85 22,0 21,8
Nella nostra personale esperienza [125] possiamo specificare anche meglio il trend attuale delle gestanti a rischio per età (Tabella 12.6). La popolazione studiata non è stata reclutata, ma è venuta spontaneamente a chiedere il test combinato prima di sottoporsi all’esame invasivo offerto gratuitamente e questo è già significativo sul cambiamento culturale delle gestanti avvenuto negli ultimi anni. Dopo un primo counseling, durante il quale comunque si è perfettamente capito che le gestanti erano quasi tutte correttamente informate, è seguito un secondo counseling dopo la risposta dell’esame e tutte le gestanti risultate negative hanno accettato la gravidanza senza procedere ad ulteriori esami genetici invasivi od ecografici specifici, mentre quelle risultate positive si sono sottoposte ad indagine invasiva. Non si sono registrati nati con patologia aneuploide ed oltre ai 6 feti Down ed ai 2 trisomici 18 sono state individuate anche altre tre aneuploidie; pertanto non si sono registrati falsi negativi. La casistica di circa 400 gestanti non è elevata (anche se attualmente ab-
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biamo raddoppiato i casi con lo stesso successo) e pertanto è evidente che ci dovremo aspettare la nascita di un bimbo aneuploide; ma il rischio che avvenga è veramente molto basso nella popolazione delle gestanti a rischio per età. D’altra parte quasi in maniera direttamente proporzionale all’aumento dell’età, corrisponde l’aumento dei falsi positivi che arrivano al 50% verso i 39-40 anni per diventare il 100% dopo i 41 anni.
Strategia dei test di screening Dal 1988 [128, 129] ad oggi abbiamo assistito ad un proliferare di test di screening per il rilevamento dei feti sospetti di aneuplodia, talmente numeroso che si pone con evidenza il quesito di quale possa essere la strategia migliore per assicurare (e rassicurare), in termini di ragionevolezza se non esattamente scientifici, una accettabile equità tra l’ansia, sempre più presente nelle coppie per la salute del proprio figlio, le possibilità offerte dalla scienza ed una giusta politica sanitaria. Il problema del “figlio perfetto”, utopia parentale che probabilmente data dalle origini dell’uomo, si pone con maggiore forza nel mondo occidentale, sicuramente più ricco e con un tipo di cultura e di organizzazione economica che sempre meno trova spazi di tempo o di denaro per occuparsi dei “diversi”. In effetti sono soprattutto l’Europa e gli USA che si pongono il problema della diagnosi prenatale dei difetti congeniti, ricercando anche una eventuale terapia che, al momento, nella stragrande maggioranza dei casi è rappresentata dall’eliminazione del difetto attraverso l’interruzione della gravidanza. È altrettanto vero che la ricchezza, mediamente, è un veicolo potente per voler accedere alla diagnosi prenatale, anche più, talvolta della fede; basti pensare che il nostro paese, dichiaratamente cattolico, è quello che pratica più test invasivi al mondo in percento alle nascite, mentre, ed il dato concorda con il senso della laicità, le regioni che più spiccano sono la Toscana e l’Emilia Romagna. Si deve aggiungere, inoltre, che tutti gli esami diagnostici invasivi, sono per loro stessa natura, causa di interruzione di gravidanza indipendentemente dallo stato di salute fetale [183]. Inoltre sarebbe sufficiente parlare di “figli” per aprire un contenzioso ed una discussione infinita, figuriamoci se aggiungiamo tutto quello che è stato precedentemente esposto. Pertanto è veramente scontato che la diagnosi prenatale sia una materia di estrema delicatezza e difficoltà. Volendo parlare di strategia cominciamo a cercare di fare un po’ di chiarezza.
Versante dell’utenza La prima vera strategia da attuare è quella di poter disporre di operatori qualificati ed esperti nella materia che siano in grado di far comprendere alla coppia, per intendere la donna nella maggioranza dei casi, il problema della diagnosi prenatale in riferimento ai test di screening
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cercando di capire la loro cultura, la loro fede, la loro conoscenza sull’argomento ed inoltre, oggi eventualità sempre più frequente, possibilmente nella loro lingua originale od in quella acquisita ma della quale sia dimostrata una accettabile comprensione. È ancora troppo frequente vedere gestanti che si sottopongono ai test di screening oppure a manovre invasive di cui sanno ben poco salvo rimanere inorridite quando ci si trovi di fronte a dover prendere una decisione traumatica come quella dell’interruzione di gravidanza. Al di là dell’esperienza e della conoscenza scientifica il primo punto di eccelenza per un centro deve essere la capacità di fornire informazioni comprensibili.
Fig.12.6.Nati vivi con sindrome di Down nella regione Toscana (1993-2004). Da Registro toscano dei difetti congeniti,Report 2005
Impatto dei test di screening sulla prevalenza della patologia Ci si domanda se l’introduzione dei test di screening ha effettivamente abbassato la prevalenza dei nati Down.Per rispondere si può fare riferimento a due esperienze europee. La prima è quella del Regno Unito, dove la NICE (National Institute for Clinical Excellence nel 2003) [188] e la National Down’s Syndrome Screening Programme for England Antenatal Screening-working standards nel 2004 [189] hanno stabilito che a tutte le gestanti del Regno Unito venga offerta la possibilità di poter usufruire del test combinato dal 2007. Questa decisione comporta almeno due considerazioni: che l’Inghilterra crede, sulla base dei dati scientifici e statistici, che lo screening prenatale sia efficace e che quello più idoneo e più praticabile, al momento, sia il test combinato; da quest’ultima considerazione viene fuori immediatamente l’altro aspetto importante della questione e cioè che si è constatato di poter disporre di ecografisti validi ed accreditati per rispondere a tutta l’utenza del territorio ed ugualmente di genetisti e di laboratori attrezzati. Di fatto il Regno Unito è quello che più si è impegnato nella ricerca e nella messa a punto dei test di screening. La seconda esperienza è quella del Registro Toscano dei difetti Congeniti [124, 190, 191] che dimostra (Fig. 12.6) una netta riduzione dei nati Down/1.000 nati dopo l’introduzione del triplo test su tutto il territorio regionale nel 1995. È evidente che i dati riportati risentono anche dell’età più avanzata delle gestanti nella regione Toscana ed infatti si può notare come già si assisteva ad un trend di riduzione determinato dalla possibilità di poter effettuare l’amniocentesi gratuitamente e di altre variabili; ma il dato è francamente suggestivo, quando si osservi come con l’introduzione del triplo test in tutta la regione i nati Down/1.000 nati sono drasticamente abbassati da 1 allo 0,3-0,4/1.000. Quindi la risposta al quesito è che sì, impostando correttamente una buona politica sanitaria di screening (il che vuol dire un controllo idoneo di qualità delle strutture), è possibile ridurre la prevalenza dei nati con aneuploidie.
Quale test scegliere? È una domanda a cui è veramente difficile rispondere e si potrebbe dire impossibile visto che una ricerca fatta dalla Cochrane Library [192] nel 2006 sull’accuratezza degli screening prenatali per la sindrome di Down, non ha potuto portare delle conclusioni in quanto, in una ricerca di metanalisi, si è dovuto constatare la grande diversità di metodi, popolazioni in studio ed analisi statistiche che non consentono una comparazione scientifica [193]. Si possono però fare alcune riflessioni. Come si può vedere dalle Tabelle 12.7 e 12.8 esistono due filosofie che comunque si intersecano ma che cercano di privilegiare, l’una e qui si deve intendere Nicolaides [153], i markers ecografici del primo trimestre (NT, NB, rigurgito della tricuspide) con la caratteristica del sistema OSCAR (Tabella 12.7) e l’altra [119] i markers umorali pur accettando la validità della NT (Tabella 12.8). Ambedue le tabelle riportano come valori massimi una DR superiore al 90% con una percentuale di FP dell’1-2% (test combinato+NB vs test integrato). È chiaro che l’inTabella 12.7. Detection Rate (DR) per la trisomia 21 e False-Positive Rate (FPR) degli screening test.Da [152] Screening test Età materna Età materna+beta-hCG sierica e PAPP-A a 11-14 settimane Età materna+NT fetale a 11-14 settimane Età materna+NT e NB fetali a 11-14 settimane Età materna+NT fetale,beta-hCG sierica e PAPP-A a 11-14 settimane Età materna+NT e NB fetali,beta-hCG sierica e PAPP-A a 11-14 settimane Età materna+biochimica sierica a 15-18 settimane Ultrasonografica per difetti fetali e markers a 16-23 settimane
DR (%) 30 (o 50) 60
FPR (%) 5 (o 15) 5
75 (o 70) 90 90 (o 80)
5 (o 2) 5 5 (o 2)
97 (o 95)
5 (o 2)
60-70
5
75
10-15
Capitolo 12 • Utilizzo degli ormoni placentari e fetali in diagnosi prenatale • G.Centini,L.Rosignoli,E.Faldini,F.Calonaci,F.Petraglia
Tabella 12.8. Detection Rate (DR) per la trisomia 21 e False Positive Rate (FPR) 5% (1%) degli screening test.Da [192] Screening test Primo trimestre Età+NT Età+PAPP-A+ free β-hCG Età+NT+PAPP-A+free β-hCG Primo e secondo trimestre Età+test sierico integrato+ PAPP-A+ free beta-hCG+ quadruplo test Test integrato con NT+PAPP-A +quadruplo test Secondo trimestre Triplo test Quadruplo test
11 sett. 70 (54) 70 (50) 87 (73) 11 sett. 88 (73)
DR (%) 12 sett. 68 (54) 67 (46) 85 (72) 12 sett. 86 (70)
13 sett. 64 (49) 65 (43) 82 (67) 13 sett. 85 (68)
96 (88)
95 (87)
94 (84)
15-17 settimane 69 (45) 81 (60)
dicazione che se ne riceve è che i centri che non dispongano di ecografisti accreditati dovranno utilizzare con maggiore impegno i markers umorali. Inoltre sarà diversa la politica del Centro dotato di ecografisti validi e di un buon laboratorio, magari attrezzato con il Kriptor, che potrà offrire tutta la gamma dei test tra i quali la gestante potrà scegliere in base alle sue esigenze, tra le quali ad esempio, la distanza, per cui tornare due volte potrebbe essere difficoltoso.
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Sembra questa una delle ragioni per cui il gruppo di Nicolaides-Spencer opta per un unico incontro che si conclude con il test fino ad arrivare alla diagnostica invasiva nella stessa giornata; chi ha lavorato a Londra o a New York può rendersene perfettamente conto. Oppure ci sarà chi voglia privilegiare il massimo della DR con un 5% di FP e con la possibilità di poter disporre del suo tempo; chi invece vorrà ridurre al minimo i falsi positivi per preservare, quanto più sia possibile, il nascituro dai test invasivi. I Centri meno dotati dovranno avere la coscienza di offrire quello di cui possono meglio disporre, impegnandosi in un processo di miglioramento soprattutto nell’accreditamento degli ecografisti, poichè il problema laboratorio non è un problema. Nel futuro più o meno prossimo è prevedibile che esisteranno centri in Italia attrezzati all’eccellenza per poter coprire tutto il territorio nazionale con un programma organizzativo efficiente.
PRESENTE-FUTURO Il problema che attualmente si pone, avendo raggiunto probabilmente il massimo della DR con l’integrazione dei markers umorali e quelli biofisici, è quello di ridurre la percentuale dei falsi positivi. In effetti quel 5% accettato come limite, si è rivelato con gli anni un peso non indifferente in termini di aumento di indagini invasive e con-
Tabella 12.9. Esperienza di sette anni nella determinazione del rischio in due cliniche OSCAR (One Stop Clinic for Assessment of the Risk).Da Spencer K, Nicolaides K,Seventh International Congress IDSSG.Amsterdam 5 -6 May 2006
Gravidanze singole NT+PAPP-A+free β-hCG
Rischio 1:100 o + 2% delle persone con 80% di trisomia 21
Rischio 1:100-1:1.000 15-18% di persone con 10-15% di trisomia 21
Rischio 1:1.000 o 80% di persone con 5% di trisomia 21
Biopsia dei villi coriali
NB
Dotto venoso
Rigurgito della tricuspide
DR 75% FPR 1% DR 80% FPR 2%
DR 92,0% FPR 2,1%
DR 94,2% FPR 2,7%
DR 91,7% FPR 2,7%
Normale
Test combinato del primo trimestre=circa 90% DR per 5% FPR Rischio orientato individuale dopo screening a doppio stadio=più del 90% potenzialmente FPR 2%–3%
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Tabella 12.10. Strategia dello screening in tre tappe con l’impiego dei markers sierologici ed il coinvolgimento della NT per la ricerca della sindrome di Down.Modificata da [194] Primo trimestre PAPP-A+free β-hCG
Rischio 1:100 o meno
Rischio 1:100–1:1.000
Rischio 1:1.000
NT
Quadruplo test
NT
Rischio alto
Rischio basso
Rischio alto
Rischio basso
Rischio alto
Rischio basso
Invasivo
Negativo
Invasivo
Negativo
Invasivo
Negativo
DR circa 90%
FPR sotto 2,0%
2/3 sottoposti a screening nel primo trimestre=DR 60% 5 su 6 hanno completato lo studio nel primo trimestre
seguentemente di perdite fetali. Pertanto si può osservare come il test integrato di Wald [178] sia perfettamente in linea con questa esigenza raggiungendo appunto una DR di circa il 90% con una FPR di circa l’1%. Ma sono arrivate nuove indicazioni da almeno due gruppi (Tabella 12.9 e 12.10) [165, 194] che hanno individuato un nuovo modo di dividere le gestanti che in base al cut-off vengono disposte secondo tre fasce di rischio. In effetti ambedue sono arrivati alla conclusione che circa l’80% dei feti Down viene diagnosticato in quel circa 2% di gestanti che hanno un rischio di 1:100 o superiore, che rappresenta una prima fascia a rischio. Pertanto a questa fascia viene comunque offerta l’indagine invasiva. L’approccio poi risulta diverso poiché una scuola parte dal test combinato e l’altra dal duplo che però offre, in caso di alto rischio, la NT come ulteriore controllo. Si individua poi una seconda fascia che presenta un rischio di 1:1.000 o superiore che, nella Tabella 12.11 viene considerato normale anche se rappresenta l’80% della popolazione che partorirà circa il 5% dei bambini Down; stessa cosa nella Tabella 12.10, ma con la differenza che le gestanti vengono nuovamente rivalutate con la NT.Alla terza fascia, circa il 20% della popolazione che si pone come rischio tra 1:100 e 1:1.000 e che è responsabile della nascita del 10-15% di Down, viene offerto, o i markers biofisici (NB [195], dotto venoso e rigurgito della tricuspide nella logica delle capacità ecografiche e del sistema OSCAR) in Tabella 12.9 oppure
Tabella 12.11. Possibili strategie alternative per lo screening delle trisomie con l’utilizzo di ADAM 12.L’opzione 2,anche se comporta un doppio controllo,sembra quella che offre risposte migliori in termini di DR 97% con FPR al 5%,che rimane all’87% con l’1% di FPR.Da [113] Opzione 1. Aggiungendo ADAM 12 allo screening combinato del I trimestre. Opzione 2. Screening sequenziale del I trimestre con dosaggio su sangue di ADAM 12 e PAPP-A alla 8a-9a settimana di gestazione e con misurazione della NT alla 12a settimana. Opzione 3. Screening sequenziale del I trimestre con dosaggio su sangue di ADAM 12 e PAPP-A alla 8a-9a settimana di gestazione e con misurazione della NT e con il dosaggio della free β-hCG alla 12a settimana.Questo richiederebbe due prelievi ematici,ma potrebbe risultare uno screening più efficace della Opzione 2. Opzione 4. Screening contingente del I trimestre, dosando ADAM 12 e PAPP-A alla 8a-9a settimana.Circa il 15% delle gravidanze ad alto rischio sarebbe indirizzato alla misurazione della NT alla 12a settimana;le restanti gravidanze sarebbero classificate come a basso rischio. Opzione 5. Screening del II trimestre, aggiungendo ADAM 12 come 4° marcatore biochimico al tradizionale triplo test.
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il quadruplo test secondo la filosofia dei markers umorali in Tabella 12.10. Il risultato finale è che si ottiene comunque una DR del 90% ma si abbassano i falsi positivi a circa il 2%. Il prossimo futuro vedrà anche la presenza dell’ADAM12 che non sembra più una promessa, ma una realtà e questo ci condizionerà nuovamente nella scelta del test da proporre (Tabella 12.11).
Tabella 12.12. Ipotesi di applicazione dei test di screening alla popolazione a rischio di età nella regione Toscana Media dei nati/anno:26.000 Gestanti *35 anni:40% (10.400) Down attesi:circa 42 Indicazione
QUALE POLITICA SANITARIA? Le donne affrontano la prima gravidanza ad un’età sempre più avanzata e riducono il numero dei loro figli. È nozione comune che in Italia non siamo ancora a crescita 0 o sotto per l’arrivo degli extracomunitari che hanno almeno tre figli. La regione Toscana, che conosciamo molto bene è passata da circa 26.000 nati come trend costante fino al 2003 a 29.000 nati circa tra il 2004 ed il 2005 grazie appunto agli extracomunitari e si registrano 1,1 figli a coppia fertile [191]. Questo atteggiamento è comune in tutto il mondo occidentale con punte maggiori soprattutto nel nostro paese. Dovremo quindi (avremmo già dovuto) confrontarci con una realtà, nella quale se non cambiamo la politica sanitaria riguardo alla medicina prenatale, aumenteranno in maniera incontrollabile gli esami invasivi con una crescita esponenziale dei costi [196] ed una perdita intollerabile di feti sani in costante aumento. Però si può fare qualcosa; la prima è quella di applicare i test di screening in maniera sempre più corretta e tra questi riuscire ad offrire quelli con FPR a percentuale più bassa; la seconda è quella di considerare oramai superata l’età come quasi unica indicazione agli esami invasivi e di considerarla alla stregua di tutti gli altri markers. I risultati ottenuti con l’applicazione dei test a gestanti a rischio per età (Tabella 12.12) [125, 185, 186] ha dimostrato scientificamente che si possono ridurre gli esami invasivi dall’80% fino a circa il 100% in questa fascia di gestanti sempre più numerosa, tramite i test di screening. Pertanto l’unica soluzione ragionevole sarebbe quella già adottata dal Regno Unito, ovvero di estendere i test di screening a tutte le gestanti indipendentemente dall’età e di offrire gratuitamente, finalmente con una accettabile equità, il test invasivo alle gestanti positive al/ai test che il nostro stato deciderà validi impostando e investendo denaro ed energie per migliorare gli addetti alla diagnostica prenatale.
Età (fp 99,8%) Media diagnosi Down 20 Amniocentesi 10.400
Triplo test (fp 21,8%) 20 (1?) 2267
Test combinato (fp 13,9%) 20 (1?) 748
Perdite fetali
2267:200 12
748:200 3,8
793.450
262.548
364.000 1.957.450
364.000 616.548
10.400:200 52
Costi 350 € per amnio- 3.640.000 centesi 35 € per test Totale 3.640.000
Sono considerati i valori medi dei nati/anno anche se il trend delle nascite è aumentato di circa il 10%;i costi dell’amniocentesi e del test sono relativi al 2004 e chiaramente diversi a seconda delle realtà, ma significativo il concetto del risparmio;si è considerato il rischio di aborto di 1:200 facendo una media tra quanto riportato ufficialmente in letteratura (1:100) e quanto in effetti è la realtà di un buon Centro (1:200-400);l’(1?) rappresenta l’eventualità che possa ogni 1-2 anni nascere un bimbo Down.
Quest’ipotesi è già stata valutata nel 2003 (per la regione Toscana nel 2004) [184] ed i dati che più risaltano sono: – riduzione degli esami invasivi di oltre l’85% con conseguente forte contrazione delle perdite fetali che si potrebbero ridurre da circa 52 a circa 4 casi all’anno con una grande gratificazione morale per un comportamento ineccepibile di politica sanitaria; – a fronte di un’eventuale falso negativo annuale (più correttamente forse uno ogni due anni) si potrebbero risparmiare tra i due milioni e mezzo ed i 3 milioni di euro all’anno che potrebbero servire egregiamente per il supporto medico, sociale e di inserimento per i bimbi nati affetti da cromosomopatia o altre patologie; – si metterebbe finalmente un argine alla marea montante dell’ansia da risultato falso positivo degli screening, conferendo loro il giusto peso.
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
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CAPITOLO 13
Tumori fetali D. Arduini • G. Barraco • I. Oronzi
INTRODUZIONE La diagnosi ecografica delle neoplasie fetali, resa possibile dai continui progressi tecnologici in ambito ultrasonografico degli ultimi vent’anni, ha consentito di approfondire ed ampliare le conoscenze sulla storia naturale e sulla fisiopatologia dei più comuni tumori fetali. Essi sono molto rari, ma costituiscono comunque un capitolo importante della patologia ostetrica, associandosi spesso ad altre affezioni fetali ed essendo gravati da un alto tasso di mortalità e morbilità perinatale. È di grande utilità una corretta e precoce diagnosi di neoplasia fetale, potendo quest’ultima condizionare non solo l’outcome feto-neonatale, ma anche interferire con la normale evoluzione del travaglio di parto; conoscerne tempestivamente la presenza, ci consente, infatti, di modificare il management della gravidanza e del parto stesso. Per quel che concerne l’eziopatogenesi dei tumori fetali, da diversi anni si sta cercando di individuarne la causa scatenante, ma la breve durata della vita intrauterina rende difficile tale ricerca. Probabilmente l’esposizione sia materna che fetale ad agenti esterni, come le radiazioni ionizzanti, farmaci, virus, ecc., può agire come fattore scatenante il meccanismo biologico responsabile dell’insorgenza della neoplasia. È stata anche avanzata l’ipotesi che alla base vi sia una doppia mutazione genomica: la prima avverrebbe in fase prezigotica nei casi con predisposizione familiare e la seconda in fase postzigotica nelle forme sporadiche. L’associazione dei tumori fetali con altre malformazioni strutturali indica che probabilmente i meccanismi teratogenetico e ontogenetico sono iniziati dal medesimo fattore scatenante che innesca simultaneamente una risposta cellulare e tissutale in vari distretti fetali.
CLASSIFICAZIONE Non esiste una vera e propria classificazione dei tumori fetali. Essi possono interessare quasi tutti i distretti corporei. Possiamo distinguere forme cistiche e solide.
Testa e SNC 1. Neoplasie intracraniche (teratoma, astrocitoma, craniofaringioma, papilloma dei plessi corioidei, cisti dei plessi corioidei ed aracnoidee, lipoma). 2. Teratoma sacrococcigeo.
Collo 1. Igroma cistico. 2. Teratoma. 3. Masse tiroidee.
Torace 1. 2. 3. 4.
Malattia adenomatoide cistica del polmone. Amartoma della parete toracica. Neuroblastoma polmonare. Neoplasie intracardiache (fibroma, rabdomioma, mixoma, teratoma, emangioma).
Addome e retroperitoneo 1. Cisti (ovarica,renale semplice,splenica,mesenterica,ecc.). 2. Tumori epatici (amartoma, emangioma, epatoblastoma, neuroblastoma). 3. Tumori splenici (solidi, cistici).
Cute 1. Melanoma maligno. 2. Emangioma.
APPROCCIO ULTRASONOGRAFICO ALLO STUDIO DEI TUMORI FETALI Lo studio ultrasonografico dei tumori fetali si basa essenzialmente sull’individuazione di: – segni generali; – segni organo-specifici; – segni tumore-specifici.
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I segni generali includono: – assenza di una normale struttura anatomica; – la distruzione dei contorni, dell’ecogenicità, dell’aspetto di una normale struttura anatomica; – presenza di una struttura anormale; – biometria fetale alterata; – alterati movimenti fetali; – poliamnios; – idrope fetale. Questi sono i criteri che possono orientare verso la possibile presenza di una neoplasia fetale; il poliamnios è un segno estremamente aspecifico, ma molto importante nel farci sospettare una massa neoplastica perché più del 50% dei tumori fetali è accompagnato da questo reperto. Le cause del poliamnios sono da ricondurre ad un meccanismo ostruttivo nel caso dei tumori gastrointestinali, ad un’eccessiva produzione nel caso di teratomi sacrococcigei, o ad un alterato riassorbimento e turnover per le patologie polmonari. I segni organo-specifici variano ovviamente in relazione all’organo colpito che generalmente appare alterato sia dal punto di vista organico che funzionale. I segni tumore-specifici sono quelli patognomonici di ogni neoplasia e derivano dal tipo di tessuto da cui origina il tumore: calcificazioni, aree di liquefazione, rapidi cambiamenti nella taglia e nell’aspetto, neovascolarizzazione, ecc. Se insorge il sospetto ecografico di neoplasia fetale la diagnosi va ulteriormente approfondita con uno studio mediante RMN; inoltre può essere utile effettuare un cariotipo fetale, ed eseguire una biopsia ecoguidata per ottenere una diagnosi istologica di certezza.
PROGNOSI A parte i tumori intracranici che hanno sempre una prognosi molto sfavorevole per il feto, per le altre neoplasie diversi fattori devono essere considerati come le dimensioni del tumore, l’involuzione dell’organo interessato, problemi meccanici associati e la vicinanza con organi e tessuti vitali.
TESTA E SNC Pur essendo estremamente rari,i tumori che interessano la testa fetale causano gravi danni al feto,provocandone spesso la morte già in utero, oppure nei primi anni di vita. L’eziopatogenesi di questo tipo di tumori non è univoca; i reperti ecografici evidenziabili sono molteplici con accrescimento, talora, rapido della massa evidenziata che altera in modo più o meno marcato l’anato-
mia intracranica. Il tumore può assumere aspetto cistico, solido, oppure liquido e può accompagnarsi a polidramnios oppure ad idrocefalia fetale.
Neoplasie intracraniche Teratoma Tra i più frequenti tipi di tumore cerebrale fetale vi sono senz’altro i teratomi che rappresentano circa il 50% di tutti i tumori a carico del sistema nervoso centrale fetale [1]. Originano generalmente dalle localizzazioni mediane sopratentoriali sebbene talora possono essere di dimensioni tali da alterare profondamente le strutture endocraniche rendendo impossibile stabilire la loro derivazione. Questo tipo di neoplasia, potendo essere sia cistico che solido, può assumere aspetti ecografici diversi ed essere accompagnato talora, ma non sempre, da idrocefalia fetale. Caratteristica specifica del teratoma, a differenza degli altri tumori cerebrali fetali, è la presenza di calcificazioni a livello delle lesioni tumorali stesse. Ne esistono di 3 tipi: teratomi massivi spiazzanti il cervello, piccoli teratomi determinanti idrocefalia e teratomi con estensione alle orbite o al collo. Il teratoma cistico è il dermoide intracranico più raro, rappresentando lo 0,5-1,9% dei tumori cerebrali dell’età pediatrica. Il riscontro durante la vita fetale è molto raro e la prognosi legata a questa neoplasia è infausta. Dal punto di vista ultrasonografico si caratterizza per un completo sovvertimento della normale architettura intracranica, e può presentarsi come una struttura solida nella parte centrale circondata alla periferia da aree cistiche, spesso calcificata, associata frequentemente a idrocefalia. Non infrequente è il polidramnios; si associano con frequenza anche difetti di chiusura delle labbra, difetti della faccia e/o anencefalia.
Astrocitoma Rappresenta circa il 13% di tutti i tumori cerebrali congeniti e il 20% di tutti i gliomi. Insorge con una frequenza di 0,03-0,1 su 10.000 nascite. È una neoplasia che origina dal neuroectoderma e dal punto di vista istologico ne esistono diverse varianti: l’astroblastoma, l’astrocitoma con fibrosi protoplasmatica a cellule giganti e l’astrocitoma anaplastico. Si può presentare in diverse forme: benigne, borderline e maligne, in base all’aspetto delle lesioni (isomorfismo delle cellule tumorali, densità cellulare, presenza di necrosi, ecc.). Come per la quasi totalità dei tumori intracranici, l’eziologia alla base di questa neoplasia rimane oscura sebbene si ipotizzi una predisposizione genetica.
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A seconda del tipo istologico, questi tumori appaiono all’ecografia come masse solide o cistiche con bordi ben definiti o totalmente irregolari; va tuttavia ricordato che la localizzazione, le dimensioni e l’aspetto del tumore si modificano spesso durante la gravidanza. La prognosi dipende dal tipo di tumore e dalla sua operabilità alla nascita, poiché la mancata eradicazione chirurgica completa si associa ad alto rischio di recidive. La diagnosi differenziale va posta con il craniofaringioma, con le cisti, il teratoma, il papilloma dei plessi corioidei e il lipoma del corpo calloso.
Craniofaringioma È un tumore benigno che costituisce circa il 2%-5% di tutti i tumori intracranici, ed addirittura il 50% dei tumori soprasellari in età pediatrica. Di solito di grandi dimensioni, colpisce la regione soprasellare della linea mediana, e, seppur non presenti i segni tipici della malignità, può avere gravi sequele legate ad una possibile compressione del chiasma ottico e del nervo ottico, oltre che causare disfunzioni ipotalamiche o idrocefalo ostruttivo [2]. Non sempre è possibile effettuare una completa rimozione del tumore e, quando pure ciò lo fosse, è alta la probabilità di recidive. La diagnosi ecografica è possibile mediante l’identificazione di una massa iperecogena di notevoli dimensioni localizzata in prevalenza a livello della mielina; la presenza di calcificazioni è assai frequente (80% dei casi); possibile è il riscontro di polidramnios ed idrocefalo e, anche se più raramente, si possono associare altre anomalie fetali quali polidattilia o ipoplasia polmonare. L’indicazione all’espletamento del parto tramite taglio cesareo viene posta se la neoplasia è molto voluminosa. È necessario, nei casi di sospetto craniofaringioma fetale, porre diagnosi differenziale con il teratoma intracranico (spesso possibile solo mediante l’esecuzione di una biopsia).
Papilloma dei plessi corioidei È un tumore solitamente benigno molto raro che origina nella quasi totalità dei casi (75%) dai plessi corioidei dei ventricoli laterali, ed in minor misura dal IV ventricolo e dal III ventricolo (rispettivamente 15% e 10%). Ecograficamente questo tumore presenta, a livello del plesso corioideo, zone iperecogene, con margini di forma lobulare. La diagnosi differenziale con altri tipi di tumori intracranici è possibile mediante l’identificazione di una localizzazione intracorioidea della lesione stessa.Anche in questo caso può essere presente idrocefalia fetale (Fig. 13.1) [3].
Cisti dei plessi corioidei Non sono classificabili come forme tumorali, ma vengono considerate, piuttosto, alterazioni benigne e transi-
Fig.13.1.Papilloma dei plessi corioidei.A carico del plesso corioideo di sinistra si osserva una formazione rotondeggiante a contenuto iperecogeno delle dimensioni di 14,3 mm di diametro.Da [4],per gentile concessione
torie; il loro riscontro, comunque, può far sorgere il sospetto di altre patologie, soprattutto se presenti altri segni ecografici. Le cisti dei plessi corioidei, infatti, possono associarsi ad anomalie dei cromosomi 13, 18 o a trisomia 21, o ad un’agenesia del corpo calloso, ecc. Le dimensioni sono variabili da pochi millimetri a circa 2 cm e possono essere presenti sia mono- che bilateralmente; di solito sono diagnosticabili intorno alla 16a21a settimana di gestazione, per regredire verso la 25a. Ecograficamente presentano un tipico aspetto anecogeno con margini regolari.
Cisti aracnoidee Sono cavità ripiene di liquido cerebrospinale circondate da tessuto di derivazione aracnoidea e possono localizzarsi sia nel cervello che nel midollo spinale fetale. Sono molto rare e possono insorgere precocemente durante lo sviluppo fetale o comparire subito dopo la nascita. Quando presenti già durante la vita fetale sono ad eziologia non chiara, mentre sembra che le forme ad insorgenza post-natale si associno a traumi o infezioni. Ecograficamente si presentano come lesioni anecogene multiple di varia forma e grandezza. Nella maggior parte dei casi non si accompagnano ad altre anomalie, ma, quando associate ad altre patologie congenite, possono avere comunque una prognosi favorevole in quanto non causano di solito danni neurologici o ritardi mentali; l’associazione di cisti aracnoidee con l’agenesia del corpo calloso è invece tipica della sindrome di Aicardi, patologia legata al cromosoma X che è letale nei maschi. Quando sono localizzate a livello centrale, soprasellare e nella regione quadrigemina possono accompagnarsi a dilatazione ventricolare, mentre le forme sottotentoriali (conosciute come cisti extra-assiali) possono causare una compressione cerebellare (vedi Capitolo 6).
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Lipoma Originato da cellule adipose, il tumore è causato da un mancato riassorbimento delle meningi fetali, che normalmente avviene verso la 10a settimana di gestazione. Si localizza quasi sempre a livello del corpo calloso, ma è possibile individuarne la presenza anche a livello del III ventricolo, del cervelletto, della scissura di Silvio, ecc. La prognosi è buona per i feti che presentano il lipoma in forma isolata, cioè non associato ad altre anomalie, mentre nel caso in cui sia associato ad altre anomalie la prognosi peggiora decisamente, potendosi verificare oltre che ritardo mentale e disturbi psichici diagnosticabili solo più tardivamente, anche la morte nella seconda decade di vita. Ne esistono due forme, quella tubulo-nodulare, più grande di forma circolare, che spesso si associa ad altre anomalie a carico del viso fetale, e la forma curvilinea, di calibro più ridotto (di solito non supera 1 cm di diametro), che spesso si associa ad ipoplasia del corpo calloso. Ecograficamente il lipoma si presenta come una massa iperecogena di aspetto nodulare localizzata tra i due emisferi, i cui margini possono essere regolari, irregolari o infiltranti. Può estendersi nel lobo frontale e nei plessi corioidei.
Calcificazioni La presenza di calcificazioni può essere indice di infezioni transplacentari, ma più spesso compaiono come quadri secondari ad altre patologie. Si presentano come aree iperecogene nella regione periventricolare o in altri distretti. Si ritiene utile, a questo punto, differenziare dal quadro ecografico delle neoplasie encefaliche l’aspetto ultrasonografico delle lesioni vasali intracraniche, spesso confuse e non adeguatamente identificate.
Di solito si verificano per alterazioni improvvise della pressione dei vasi sub-ependimali da cause ipossiche in seguito a preeclampsia,infezioni,traumi,uso di cocaina ecc. Inizialmente la lesione emorragica si presenta come un massa solida ecogena puntiforme o a margini irregolari che progressivamente assume un aspetto cistico con aree ecogene, localizzata a livello dei ventricoli cerebrali, che appaiono dilatati. La prognosi dipende dall’entità del danno cerebrale potendo, nei casi più gravi, verificarsi morte fetale oppure un ritardo mentale e danni neurologici permanenti di vario grado.
Ematoma subdurale È rappresentato da uno stravaso ematico localizzato in sedi diverse, nello spazio compreso tra la dura madre e l’aracnoide; è caratterizzato da prognosi infausta potendo conseguire, a seconda dei casi, grave ritardo mentale fino alla morte fetale o neonatale. Le possibili cause sono molteplici: gli ematomi subdurali, infatti, possono essere provocati da traumi, uso materno di anticoagulanti, porpora trombocitopenica autoimmune, trombofilia. La diagnosi ecografica è possibile grazie all’assenza di flusso all’interno della lesione e al continuo modificarsi della stessa in breve periodo di tempo. Si può associare ad idrocefalia, fratture craniche, idrope fetale, ecc.
Aneurisma della vena di Galeno
Emorragie cerebrali
È una rara malformazione vasale del sistema nervoso centrale fetale, caratterizzata da un’alterazione nel calibro e nel tragitto della vena di Galeno, che causa un flusso ematico più turbolento e veloce. Ne esistono tre tipi: 1. fistola artero-venosa; 2. malformazione arteriosa con ectasia della vena di Galeno; 3. varice della vena di Galeno.
A causa del loro raro riscontro vengono spesso confuse con i tumori cerebrali, ma mediante esame eco-color doppler è possibile constatare l’assenza di flusso all’interno della lesione, modificandosi l’aspetto nel giro di pochi giorni per la formazione di coaguli (la risonananza magnetica può confermare la diagnosi). Si suddividono in: 1. emorragia subependimale di I tipo: non estesa oltre la matrice germinativa; 2. emorragia subependimale di II tipo: è presente versamento emorragico intraventricolare, senza causare però dilatazione dei ventricoli; 3. emorragia subependimale di III tipo: con versamento e dilatazione ventricolare; 4. emorragia subependimale di IV tipo: estensione dell’emorragia al parenchima.
L’eziologia è sconosciuta e la prognosi è sempre infausta. Origina intorno alla 7a-12a settimana di gestazione, quando la vena prosencefalica mediana drena il plesso corioideo ancora molto ampio (vedi Capitolo 6). Ecograficamente si evidenzia inizialmente la presenza di una massa cistica o tubulare, con un tipico flusso turbolento evidenziabile mediante eco-color Doppler, mentre in un secondo momento, in seguito alla formazione di coaguli, può assumere un aspetto isoecogeno o anche iperecogeno. La diagnosi differenziale rispetto ad altre patologie simili è difficile, presentandosi un quadro ecografico non specifico e non sempre distinguibile da altre patologie intracraniche.
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Neoplasie extracraniche
COLLO
Teratoma sacrococcigeo
Igroma cistico
È un tumore derivato dalle cellule dei tre foglietti embrionari e si localizza nella regione lombare, a livello presacrale. Ha un’incidenza di 1/35.000-40.000 nati [5]. In base alla sede distinguiamo: – tipo 1: tumore localizzato esternamente, con minimo coinvolgimento presacrale (Fig. 13.2); – tipo 2: tumore localizzato esternamente, ma con significativa estensione intrapelvica; – tipo 3: tumore apparentemente esterno, ma con predominante massa pelvica ed estensione intraaddominale; – tipo 4: tumore presacrale senza presentazione esterna.
Con il termine igroma comprendiamo una serie di anomalie del sistema linfatico caratterizzate dalla presenza di cisti uniche o multiple del tessuto molle del collo (Fig. 13.3). Ha un’incidenza di 1 su 200 aborti spontanei di feti con CRL di 3 cm. È spesso associato ad anomalie cromosomiche, soprattutto con la sindrome di Turner. Quando isolato è riconducibile ad una mutazione genomica autosomica recessiva. Nella vita embrionaria il sistema linfatico drena nel sacco linfatico della giugulare. Una comunicazione tra questa struttura primitiva e la vena giugulare si forma verso il 40o giorno dal concepimento.
Il teratoma sacrococcigeo origina dalle cellule totipotenti del nodo di Hensen, localizzato nell’embrione in sede posteriore, e che durante la prima settimana di sviluppo migra caudalmente fino ad arrivare in sede coccigea (ciò spiega la frequente localizzazione in tale sede del teratoma). Possono essere presenti tessuti che derivano da tutte e tre le linee germinali. Il segno più comune che si riscontra clinicamente è un notevole aumento di volume dell’utero rispetto all’epoca gestazionale. Diagnosi differenziale va posta con il mielomeningocele, con i lipomi, con il tumore di Wilms extrarenale, ecc. Anche se la gran parte di questi tumori è benigna, essi sono associati ad un’elevata morbilità e mortalità perinatale legata ad effetti secondari: parto prematuro con conseguente immaturità polmonare, traumatismi del parto, shock emorragico per sanguinamenti intratumorali. La prognosi dopo rimozione chirurgica completa è in genere buona.
Un errore nello sviluppo di questa comunicazione determina una stasi linfatica, con dilatazione dei canali linfatici come espressione della sequenza stasi-ostruzione-dilatazione [6]. Ciò comporta la formazione di strutture cistiche nella regione cervicale. La diagnosi si basa sull’evidenziazione ecografica delle cisti anecogene e plurisettate in sede occipito-cervicale. È necessaria un’attenta valutazione della rimanente anatomia fetale per escludere eventuali malformazioni associate. La diagnosi di igroma cistico può essere effettuata nel primo trimestre. La diagnosi differenziale include il meningocele cervicale, i tumori del collo, l’edema sottocutaneo. Idrope e edema generalizzato sono frequentemente associati all’igroma.
Fig. 13.2. Teratoma sacrococcigeo di tipo I.Da [4].Per gentile concessione di Dimed Informatica srl (www.dimed.it)
Fig. 13.3. Igroma cistico del collo.Da [4].Per gentile concessione di Dimed Informatica srl (www.dimed.it)
Teratoma È un tumore delle cellule germinali localizzato al collo. È generalmente unilaterale, le dimensioni possono essere variabili, ed è costituito sia da componenti solide che
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cistiche. Può determinare problemi respiratori alla nascita per fenomeni compressivi. Nel 30% dei casi si associa poliamnios per ostruzione esofagea [7].
Massa tiroidea Il gozzo è una tumefazione del collo conseguente ad aumento di volume della tiroide. È molto raro durante la vita fetale e può essere associato a distiroidismi (spesso ipotiroidismo). La diagnosi si basa sull’identificazione di una massa solida iperecogena del collo, anteriore e simmetrica che si associa ad una lieve iperestensione del collo e della testa fetale. L’ostruzione esofagea può determinare un poliamnios. La più comune complicanza perinatale è l’ostruzione delle vie aeree che ne può derivare.
TORACE Malattia adenomatoide cistica del polmone Più che di una neoplasia si tratta di una malformazione che deriva da un amartoma polmonare, ed è legata ad una progressiva dilatazione bronchiolare a scapito dei sacculi bronchiali [8, 9]. Ha una frequenza molto bassa e l’espressività della malattia dipende dal grado di coinvolgimento polmonare, potendo interessare un solo segmento o l’intero tessuto polmonare. Conseguentemente anche le manifestazioni cliniche sono variabili da quadri lievi di infezioni polmonari ricorrenti, ad infezioni più gravi che possono condurre alla morte intrauterina del feto. Secondo la classificazione di Stocker (1997) possiamo distinguere tre quadri clinici: – TIPO 1.Aree cistiche voluminose maggiori o uguali a 2 cm (Fig. 13.4). La diagnosi ecografica prenatale è semplice a causa delle voluminose aree anecogene in regione toracica. Se non si associano altre complicanze quali idrope fetale o la compressione polmonare, la prognosi post-operatoria è buona. – TIPO 2. Cisti del diametro medio di 1 cm (0,5-2 cm). Associato ad un elevato tasso di mortalità perinatale. – TIPO 3. Forma microcistica (cisti con diametro inferiore a 5 mm). Può coinvolgere un lobo polmonare o un intero polmone. L’ecografia prenatale rileva la presenza di una massa polmonare ecogena. È caratterizzato da un’elevata mortalità a causa delle frequenti complicanze. Queste aree microcistiche causano un effetto compressivo sugli organi circostanti determinando spesso l’ipoplasia polmonare secondaria del polmone controlaterale. Inducono, inoltre, a causa della dislocazione cardiaca e della compressione della vena cava inferiore, gravi disturbi emodinamici con insorgenza di idrope fetale. A causa della compressione esofagea può instaurarsi una condizione di po-
Fig.13.4.Malattia adenomatoide cistica del polmone tipo I secondo Stocker:all’interno del polmone destro si rinviene una formazione anecogena di notevoli dimensioni (5,9 mm x 5,3 mm) che occupa gran parte del parenchima polmonare.Da [4].Per gentile concessione di Dimed Informatica srl (www.dimed.it) lidramnios. In assenza di tali complicanze è possibile prospettare,dopo intervento chirurgico, una prognosi favorevole. La diagnosi differenziale va posta con il sequestro polmonare, la cisti broncogena, il teratoma cistico, il rabdomioma.
Amartoma della parete toracica L’amartoma è un tumore molto raro che, originando da residui embrionali, presenta una struttura assai complessa. In esso è possibile riscontrare la simultanea presenza di tutti i tessuti costitutivi del polmone senza, tuttavia, che ne venga rispettata la normale architettura funzionale. Gli amartomi sono costituiti prevalentemente da cartilagine (amartocondromi), ma possono contenere connettivo fibroso, adipe, epitelio ciliato, tessuto osseo. Sono sempre ben circoscritti. La loro velocità di crescita può anche essere discreta. All’esame ultrasonografico si caratterizzano per l’elevata iperecogenicità e per i contorni netti.
Neuroblastoma polmonare Il neuroblastoma è un tumore solido maligno che origina dai tessuti nervosi del collo, del torace, dell’addome o della pelvi, anche se più frequentemente insorge nella cavità addominale dai tessuti della ghiandola surrenale. Al momento della diagnosi il tumore, nella maggior parte dei casi, è ormai già diffuso dando luogo a metastasi localizzate a livello dei linfonodi regionali, del fegato, dei polmoni, delle ossa e del midollo osseo. Il neuroblastoma è un tumore prevalentemente infantile: due terzi dei pazienti affetti da neuroblastoma hanno meno di 5 anni. Spesso il tumore è presente sin dalla nascita, ma non viene diagnosticato se non successivamente; in casi rari il neuroblastoma può essere scoperto in epoca prenatale nel corso di un esame ecografico: a livello toracico si rileva la presenza di una massa rotondeggian-
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te iperecogena o ipoecogena con orletto iperecogeno. La diagnosi differenziale va posta con il sequestro polmonare, la cisti broncogena, il teratoma cistico, il rabdomioma. La prognosi e la scelta del trattamento dipendono dallo stadio evolutivo del tumore (presenza o meno di metastasi), nonché dall’età del bambino all’atto della diagnosi, dalla localizzazione del tumore e dal risultato della biopsia con riferimento al tipo cellulare.
chirurgica nel caso di rabdomiomi molto voluminosi.
Mixoma intracardiaco Rappresenta il 12-25% dei tumori cardiaci primitivi dell’età pediatrica [12]. Prende origine dalla componente della matrice collagenosa. Si localizza a livello della parete libera del ventricolo sinistro, più frequentemente che del destro. Si associa a difetti orofacciali e a displasia cistica renale.
Neoplasie intracardiache Teratoma intracardiaco Fibroma cardiaco Tra tutti i tumori intracardiaci ha una frequenza di 12:10.000 casi [10]. I fibromi cardiaci sono tumori benigni, di solito singoli, bene demarcati rispetto al tessuto circostante, che è spesso rappresentato dalla parete libera del ventricolo sinistro o del setto interventricolare. Può coinvolgere il tessuto di conduzione determinando l’insorgenza di aritmie. La patogenesi è sconosciuta e non è nota una incidenza familiare. Ecograficamente il fibroma si presenta come una massa ecogena senza echi di rinforzo. Si associa frequentemente a malformazioni oro-facciali e a displasia multicistica renale.
Rabdomioma cardiaco È un tumore benigno del miocardio costituito da miociti immaturi.È presente in tutti i casi di sclerosi tuberosa,la sua prevalenza è di 0,2-1:10.000 casi [11]. La sclerosi tuberosa è una malattia genetica autosomica dominante e al momento sono state evidenziate due mutazioni in due loci genici a carico dei cromosomi 9 e 11.La causa di tali mutazioni è sconosciuta.Spesso i rabdomiomi associati alla sclerosi tuberosa sono multipli e di taglia variabile da alcuni a parecchi millimetri di diametro. La sintomatologia di esordio più comune è data dall’insorgenza di aritmie fetali; possono insorgere complicanze quali idrope con massiva compromissione del benessere fetale. Si tratta di tumori intracavitari che possono coinvolgere uno o entrambi i ventricoli.Spesso si associano altri tumori extracardiaci che pertanto vanno ricercati attentamente in un feto in cui il riscontro di una massa intracardiaca ci fa sospettare una sclerosi tuberosa. Allo stesso modo se in un feto si pone diagnosi di sclerosi tuberosa va ricercata la patologia in altri membri della famiglia. La diagnosi differenziale va posta con i fibromi cardiaci, i teratomi e i sarcomi. Per quanto concerne la prognosi, questi tumori sono gravati da un alta mortalità legata alla compromissione generale fetale conseguente spesso alle complicanze associate. Tuttavia nei casi in cui alla nascita non vi sia una grave compromissione emodinamica, si può prospettare l’eventualità di una regressione spontanea della patologia. Pertanto si possono effettuare dei controlli con RMN e angiografia per monitorare le variazioni delle dimensioni tumorali. Può essere necessaria la resezione
Incidenza inferiore al 10%. Si presenta come una massa polipoide che si estende dalla fossa ovale all’atrio sinistro. Si associa a mixomi extracardiaci e a ventricolo destro a doppia uscita.
Emangioma cardiaco L’incidenza è del 19-25% di tutti i tumori dell’età pediatrica. Può avere sede intracardiaca o interessare il pericardio. Deriva da tutti e tre i foglietti dell’epitelio germinale. Può degenerare in forme maligne. Tutti i tumori congeniti intracardiaci sono spesso associati a gravi ostruzioni del flusso ematico, ipoplasia delle camere cardiache e dei grossi vasi, atresia delle valvole cardiache, disturbi nel sistema di conduzione. Inoltre si possono verificare idrope e fenomeni embolici.
ADDOME E RETROPERITONEO Il riscontro di una massa in sede addominale è abbastanza raro; si può affermare che, quando presente in un feto di sesso femminile, è quasi sempre ascrivibile ad una cisti in sede ovarica. Altri tipi di masse addominali, comunque, possono essere quelli renali, epatiche, mesenteriche, ecc.
Cisti ovarica Frequentemente è di tipo disfunzionale, conseguente alla notevole stimolazione ormonale materna e placentare sui follicoli ovarici fetali (è stata notata anche una correlazione con l’ipotiroidismo materno). Ecograficamente si apprezzano come tumefazioni prive di rapporti di continuità con le anse intestinali e con le logge renali (Fig. 13.5). Le dimensioni sono variabili, potendo misurare da pochi millimetri a diversi centimetri, con margini ben delimitati; raramente presenti bilateralmente, si associano a polidramnios nel 10% dei casi. Solitamente la diagnosi viene fatta nel terzo trimestre, nel corso di esami ecografici. È possibile la risoluzione spontanea di queste lesioni che possono riassorbirsi spontaneamente già in epoca prenatale. Quando ciò non accade, comunque, è possibile eseguire un’aspirazione ecoguida-
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comunque il più frequente tipo di tumore renale nel primo mese di vita. È di solito a decorso benigno; pur aumentando di volume, infatti, non infiltra i tessuti circostanti. Nel 15% dei casi si correla ad altre patologie per lo più a carico dell’apparato urinario; molto spesso si associa a polidramnios,sebbene il meccanismo alla base di questo reperto non è chiaro.Ecograficamente questo tumore si presenta come una struttura disomogenea,per la contemporanea presenza di zone iperecogene e ipo-anecogene, dovute alla presenza di fenomeni emorragici e necrotici all’interno della massa stessa; quando ciò non si verifica, la massa si presenta come una struttura iperecogena solida. La diagnosi differenziale andrebbe posta con il tumore di Wilms (ecograficamente non è possibile), con il rene policistico infantile (è sempre bilaterale e non è possibile visualizzare la vescica) ed il neuroblastoma. Fig. 13.5. Cisti ovarica fetale
ta della cisti stessa per via trans-addominale. I rischi connessi a tale procedura, rottura della cisti ed emorragia intraperitoneale, sono rari ma comunque possibili. La diagnosi differenziale va posta con le cisti renali (che al contrario delle ovariche presentano rapporti con le logge renali), pseudocisti meconiali (presentano calcificazioni), cisti mesenteriche (non è possibile distinguerle ecograficamente dalle cisti ovariche).
Cisti mesenteriche, omentali, retroperitoneali Sono rappresentate da cisti anecogene che originano dal mesentere, dall’omento o dal retroperitoneo; di solito sono singole, uniloculate, con pareti sottili e di dimensioni variabili da pochi millimetri a diversi centimetri. L’eziopatogenesi è sconosciuta, ma probabilmente è coinvolta un’ostruzione dei vasi linfatici. Sono cisti molto rare, anche se è stata riscontrata una più alta frequenza della cisti mesenterica rispetto alle altre (la più rara sembra essere la retroperitoneale). La diagnosi differenziale con le altre cisti addominali non è possibile ecograficamente.
Cisti renale semplice
Masse epatiche
Sono formazioni cistiche di solito uniloculate, nel contesto del parenchima renale, in assenza di rapporti con le vie urinarie. Colpiscono in ugual misura feti di sesso maschile e femminile, e sono localizzate frequentemente sul polo superiore renale. L’eziopatogenesi è sconosciuta, ma sembra avere importanza un difetto di sviluppo durante l’embriogenesi. La diagnosi differenziale va posta con l’idronefrosi (in cui si riscontra una dilatazione della pelvi), il rene multicistico (presenza di più cisti e parenchima iperecogeno, a differenza della cisti renale che si presenta invece anecogena), il tumore di Wilms (ad ecostruttura solida). La prognosi di solito è buona, non è presente una tendenza da parte della cisti ad aumentare di dimensioni e di solito non vi sono altre anomalie associate che potrebbero far complicare il quadro clinico, pertanto il management non viene modificato.
Di solito il riscontro di una massa epatica in età prenatale è da ascrivere ad un tumore a carico del fegato, i più frequenti dei quali in quest’epoca sono l’amartoma, l’emangioma e l’epatoblastoma. Queste masse possono essere ad ecostruttura variabile e quindi possono presentarsi con caratteristiche ecografiche diverse.
Nefroma mesoblastico
Emangioma
È una neoplasia renale caratterizzata dalla concomitante presenza di cellule renali mature ed elementi mesenchimali immaturi; è una neoplasia abbastanza rara, ma rappresenta
È un tumore benigno costituito da un agglomerato di vasi sanguigni. Si localizza frequentemente a livello del volto ma può avere sedi e dimensioni disparate.
CUTE Melanoma maligno È un tumore rarissimo ma che metastatizza molto rapidamente in organi distanti.È stato descritto un caso in letteratura durante la vita fetale di un melanoma coinvolgente quasi tutta la superficie cutanea con metastasi a livello della colonna vertebrale , fegato, polmoni e placenta.
Capitolo 13 • Tumori fetali • D.Arduini,G.Barraco,I.Oronzi
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CAPITOLO 14
Terapia fetale U. Nicolini
INTRODUZIONE Per molte patologie congenite la possibilità di un’identificazione precoce e, ove necessario, di un trattamento in epoca prenatale è notevolmente migliorata negli ultimi decenni. Il continuo perfezionarsi delle apparecchiature ecografiche, le diagnosi precise e veloci di citogenetica e di biologia molecolare, la messa a punto di modelli sperimentali e i risultati di numerosi studi clinici hanno permesso una migliore conoscenza della fisiopatologia delle condizioni morbose fetali, mentre la bioingegneria rende disponibili sofisticati strumenti di monitoraggio e di terapia chirurgica fetale. Di conseguenza, nei casi in cui sia possibile modificare la storia naturale della patologia fetale, la semplice condotta osservazionale è stata progressivamente sostituita da una condotta terapeutica attiva e diretta sul feto, con lo scopo di prevenire l’instaurarsi di condizioni gravi o addirittura letali per il feto. I principali interventi terapeutici rivolti al feto includono trattamenti medici (somministrazione di farmaci, trasfusioni), procedure poco invasive (posizionamento di shunt) e, solo per casi selezionati in pochi centri al mondo, interventi di chirurgia fetale.
TERAPIA MEDICO-FARMACOLOGICA Iperplasia surrenale congenita Si tratta di una condizione autosomica recessiva, riconducibile nel 95% dei casi ad un deficit di 21-idrossilasi, enzima che converte il 17-idrossiprogesterone in 11-desossicortisolo, principale precursore del cortisolo. La mancata o ridotta sintesi di cortisolo incrementa il rilascio di ACTH (Adrenocorticotrophic Hormone) mentre il blocco della via di sintesi dei glucocorticoidi conduce ad un’accentuata conversione del 17-idrossiprogesterone in androstenedione, aumentando la sin-
tesi di androgeni. L’azione della 21-idrossilasi è implicata anche nella via di sintesi dei mineralcorticoidi e in circa un terzo dei casi al deficit di cortisolo si associa una ridotta sintesi di aldosterone, creando una “perdita di sali” nel neonato, con conseguente rischio di “crisi surrenalica” dopo la nascita. Nei feti di sesso femminile l’esposizione in utero ad elevati livelli di androgeni può interferire con il processo di differenziazione sessuale causando una virilizzazione dei genitali esterni. Nella forma non-classica i segni di virilizzazione compaiono nella vita postnatale. La somministrazione prenatale di steroidi, intervento a cui si ricorre dall’inizio degli anni ’80 [1], inibisce il rilascio di ACTH, sopprimendo la produzione surrenalica fetale di androgeni e prevenendo in tal modo la virilizzazione dei genitali femminili. Il farmaco di scelta è il desametasone, un glucocorticoide di sintesi che, somministrato alla gestante e non venendo legato dalla cortisol binding globulin nel circolo materno ed essendo scarsamente metabolizzato a livello placentare, raggiunge il circolo fetale. Poiché la differenziazione sessuale inizia alla 6a-7a settimana e la formazione del pene è completa alla 14a settimana, nelle donne a rischio (precedente figlio affetto) la terapia deve essere iniziata precocemente, non oltre la 7a settimana [2]. Inizialmente l’identificazione prenatale di un feto affetto era possibile misurando i livelli di 17-idrossiprogesterone nel liquido amniotico, elevati in presenza di un deficit di 21-idrossilasi. Onde ottenere risultati attendibili era necessario sospendere la terapia con desametasone per alcuni giorni prima dell’amniocentesi. Dai primi anni ‘90, grazie alle tecniche di biologia molecolare, è possibile ottenere una diagnosi precoce mediante un’analisi del DNA estratto da villi coriali alla 10a-12a settimana. Il trattamento steroideo viene protratto sino al termine della gravidanza in caso di feto femmina affetto (1 caso su 8, essendo la malattia autosomica recessiva), mentre viene sospeso in caso di feto maschio o di femmina non affetta. In base alla dose ri-
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
velatasi necessaria per sopprimere i livelli amniotici di 17-idrossiprogesterone, il dosaggio generalmente raccomandato di desametasone è di 20 µg/Kg/die (1-1,5 mg /die, suddivisi in due o tre somministrazioni) [2]. Tuttavia, gli effetti collaterali materni talvolta osservati (aumento ponderale, edema, ipertensione, intolleranza glucidica, strie cutanee, sintomi gastroenterici, irritabilità) [3] possono richiedere una riduzione della dose somministrata. L’effetto terapeutico della terapia soppressiva può essere valutato misurando i livelli amniotici di 17-idrossiprogesterone o, in modo più attendibile, i livelli materni di estriolo [4]. Per quanto non siano stati dimostrati effetti negativi sulla crescita e sullo sviluppo cognitivo dei bambini trattati in epoca prenatale con desametasone, la mancanza di studi sul follow-up comportamentale a lungo termine e la consapevolezza di esporre nel primo trimestre 7 feti su 8 ad una terapia non necessaria, genera ancora alcune riserve sul trattamento prenatale precoce.
Alterazioni della funzionalità tiroidea Ipotiroidismo Una condizione di ipotiroidismo in epoca fetale o neonatale può essere causa, se non trattata, di grave ritardo mentale. L’inizio della terapia sostitutiva con levotiroxina (L-tiroxina) subito dopo la nascita permette un normale sviluppo neurologico. Tuttavia in alcuni casi di grave ipotiroidismo congenito può persistere un certo grado di ritardo intellettivo nell’infanzia, indicando la necessità di iniziare la terapia già in epoca prenatale nei feti ritenuti a rischio [5]. L’ipotiroidismo congenito può essere legato a molteplici cause. Nella maggior parte dei casi questa patologia è dovuta a carenza di iodio, ad una disgenesia tiroidea (aplasia, ipoplasia, ectopia della tiroide), ad un deficit nella sintesi degli ormoni tiroidei, ad un problema ipotalamico-ipofisario, ad un’alterazione recettoriale per il TSH, all’assunzione materna di farmaci antitiroidei (tionamidi) o farmaci quali il litio e l’amiodarone, all’esposizione a radioiodio dopo il primo trimestre, al passaggio di anticorpi materni per il recettore del TSH. Una condizione di ipotiroidismo non è riconoscibile in epoca prenatale e i neonati affetti vengono generalmente identificati con il test di screening neonatale. Tuttavia le gestanti che assumono farmaci antitiroidei pericolosi perché superano la barriera placentare (il propiltiouracile è preferenzialmente utilizzato data l’associazione del metimazolo e del carbimazolo con anomalie dello scalpo fetale) e le donne che hanno un’anamnesi positiva per tiroidite autoimmune (morbo di Graves con anticorpi anti-recettore del TSH) o che sono state inavvertitamente
esposte a radioiodio nel secondo trimestre di gravidanza, sono a rischio per ipotiroidismo fetale. In questi casi è raccomandabile eseguire controlli clinici ed ecografici seriati. In presenza di segni ecografici suggestivi di ipotiroidismo (ritardo di crescita, riduzione dei movimenti fetali, bradicardia) o di un gozzo fetale (associato o meno a polidramnios), un prelievo di sangue fetale per valutare la funzionalità tiroidea permette di definire la diagnosi (valori elevati di TSH e ridotti di freeT4) [6]. Accertato lo stato di ipotiroidismo fetale, se la madre assume farmaci antitiroidei è indicato ridurne il dosaggio compatibilmente con il mantenimento di un valido equilibrio tiroideo, e deve essere iniziata una terapia sostitutiva trattando direttamente il feto mediante ripetute iniezioni intramniotiche di L-tiroxina (il passaggio transplacentare di T4 è modesto e per ottenere adeguati livelli terapeutici nel circolo fetale si dovrebbero somministrare dosi elevate di tiroxina alla madre, esponendola al rischio di un ipertiroidismo iatrogeno) [7, 8]. L’efficacia della terapia è indicata dalla riduzione del gozzo e dell’associato polidramnios, oltre che da una normalizzazione della funzionalità tiroidea (controllata ripetendo un prelievo di sangue fetale 1-2 settimane dopo l’inizio della terapia) [7]. Essendo noto che il dosaggio di tiroxina in un neonato ipotiroideo è di 10 µg/Kg/die, la dose fetale generalmente somministrata per via intramniotica è di 250-500 µg/settimana [8, 9]. Tuttavia anche 600 µg ogni due settimane si è rivelata una posologia efficace [10]. Un approccio terapeutico indiretto, che ridurrebbe il numero di procedure invasive, potrebbe consistere nell’assunzione materna di un analogo del T3 (acido triiodiotiroacetico, Triac) che attraversa la placenta [10].
Ipertiroidismo In donne affette da morbo di Graves, la terapia antitiroidea, se da un lato espone il feto al rischio di ipotiroidismo congenito, dall’altro lo protegge teoricamente dalla possibilità di sviluppare un ipertiroidismo in conseguenza del passaggio transplacentare di anticorpi stimolanti. Tuttavia, anche in donne con una normale funzione tiroidea (precedente tiroidectomia o terapia con radioiodio), un elevato livello di anticorpi circolanti può indurre ipertiroidismo nel feto. In donne con malattia di Graves attiva o pregressa ed in quelle che presentano segni clinici di ipertiroidismo deve sempre considerarsi l’eventualità che uno stato ipertiroideo si sviluppi nel feto, rendendo necessari controlli clinici ed ecografici seriati anche in questa circostanza. Ritardo di crescita, tachicardia, gozzo e idrope fetali sono suggestivi di ipertiroidismo; la diagnosi è confermata con un prelievo di sangue fetale (valori elevati di FT4 e soppressi di TSH). Il trattamento dell’ipertiroidismo fetale si basa sulla somministrazione materna di farmaci antitiroidei, spesso abbinata ad
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Capitolo 14 • Terapia fetale • U.Nicolini
una terapia sostitutiva con tiroxina per ovviare all’ipotiroidismo iatrogeno materno indotto dal propiltiouracile. Se al momento della diagnosi fetale la madre è eutiroidea la dose d’attacco di propiltiouracile è 150 mg/die, mentre sale a 300-450 mg/die in caso di ipertiroidismo materno [8, 11]. La risposta alla terapia può essere in parte monitorata osservando la regressione dei segni e sintomi materni e fetali, ma l’efficacia del trattamento e la determinazione della minima dose di propiltiouracile efficace è stabilita in modo più appropriato valutando nel tempo il profilo degli ormoni tiroidei su sangue fetale.
Aritmie cardiache Nella maggior parte dei casi un’alterazione del ritmo cardiaco fetale è dovuta ad extrasistoli o ad alterazioni transitorie meritevoli di una condotta osservazionale; solo nel 2% dei casi si tratta di aritmie emodinamicamente significative [12]. Una volta diagnosticata una tachicardia fetale persistente, sarebbe opportuno iniziare tempestivamente una terapia antiaritmica, per quanto non esista ancora unanime consenso a tal proposito. Intento della terapia è quello di raggiungere un’adeguata frequenza ventricolare e di ottenere una conversione al ritmo sinusale, onde prevenire un’evoluzione in scompenso cardiaco. In assenza di idrope fetale il trattamento di prima scelta è indiretto, per via transplacentare, somministrando il farmaco alla madre. Il farmaco tradizionalmente più utilizzato è la digossina, che oltre ad un’azione antiaritmica svolge anche un modesto effetto inotropo. Sebbene manchino chiare evidenze sulla sua efficacia, il trattamento con sola digossina permette di ottenere la conversione ad un ritmo sinusale in circa il 60% dei casi [13]. Poiché il trattamento deve protrarsi per diverse settimane (dal momento della diagnosi al parto) la via di somministrazione preferita è quella orale (0,75-1,5 mg/die), eventualmente preceduta da una dose d’attacco per via intravascolare (1-2 mg in 24 ore) per un più rapido controllo del ritmo. In caso di mancata risposta alla digossina è possibile sostituirla od associarla con un altro farmaco [14]. La flecainide (200-400 mg/die per via orale) ha una potente azione antiaritmica, valida anche nei casi complicati da idrope fetale, condizione in cui l’efficacia della digossina è invece ridotta per il diminuito passaggio transplacentare del farmaco. Tuttavia, dati gli effetti pro-aritmici del farmaco riportati in soggetti adulti (per quanto in una popolazione selezionata di pazienti cardiopatici verosimilmente differente dalla popolazione di donne gravide sane) [15], l’uso della flecainide è generalmente limitato ai casi di idrope fetale o di tachicardia refrattaria alla digossina e richiede un
monitoraggio elettrocardiografico materno seriato. Al contrario, l’uso del sotalolo (320-480 mg/die) sembra ricevere ampi consensi, soprattutto per la sua efficacia nella correzione del flutter atriale [16]. Nei casi di tachicardia persistente con scompenso cardiaco refrattari anche alla terapia antiaritmica combinata, l’amiodarone è efficace nell’ottenere una rapida cardioversione [17]. Tuttavia, dati i possibili effetti negativi sulla funzione tiroidea di tale farmaco, il suo uso è da limitarsi al tempo necessario per ottenere un adeguato controllo del ritmo cardiaco, utilizzando successivamente un altro farmaco come terapia di mantenimento. Nei casi di grave scompenso cardiaco o di mancata risposta alla terapia antiaritmica transplacentare, può essere opportuno somministrare il farmaco direttamente al feto, prediligendo la via intramuscolare (digossina) a quella intravascolare per garantire una maggiore disponibilità di farmaco, riducendo il numero di procedure invasive. Tuttavia, qualora fosse necessario un trattamento intravascolare (accesso nella vena ombelicale e iniezione diretta di un farmaco antiaritmico), l’amiodarone, per l’elevata efficacia terapeutica e per la lunga emivita, è stato indicato come il farmaco di scelta [18]. Una grave bradicardia fetale è nella maggior parte dei casi associata ad una malformazione cardiaca congenita che coinvolge il sistema di conduzione atrio-ventricolare. Un blocco atrio-ventricolare isolato è, invece, spesso associato ad una patologia connettivale autoimmune materna, talvolta clinicamente silente. Nei figli di donne con positività per gli anticorpi anti-Ro/SSA un blocco atrio-ventricolare congenito del feto può svilupparsi in circa il 2% dei casi [9]. Gli anticorpi materni danneggiano il tessuto di conduzione fetale e possono provocare un’importante miocardite. In base alla gravità del danno, il feto può morire in utero o poco dopo la nascita e la maggior parte dei sopravvissuti necessitano di un pace-maker. Non esiste ancora una terapia standardizzata, ma somministrando alla madre betametasone o desametasone, steroidi non metabolizzati a livello placentare e capaci di influenzare la risposta immunitaria del feto, sembra verosimile la possibilità di ridurre la gravità del blocco atrio-ventricolare o di impedirne l’ulteriore peggioramento [19].
Trombocitopenia alloimmune La trombocitopenia alloimmune del feto o del neonato (AITP) è il risultato di un processo patologico per cui la madre produce anticorpi IgG diretti verso alloantigeni presenti sulle piastrine del feto, con un meccanismo del tutto analogo al quello che accade nella alloimmunizzazione Rh. I progressi ottenuti nel campo della immunologia, della biologia molecolare, della diagnostica
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
e terapia fetale hanno permesso un sostanziale progresso nella diagnosi e terapia della AITP. Gli alloantigeni piastrinici, attualmente identificati con la sigla HPA, codificano il complesso glicoproteico della membrana piastrinica, mediante il cambio di un singolo aminoacido. La frequenza genica del sistema HPA varia tra le popolazioni: nella razza caucasica, dove l’AITP è dovuta nel 75-95% dei casi alla alloimmunizzazione verso l’HPA-1a, la positività per HP-1a è relativamente bassa (98%) rispetto alle popolazioni orientali (99,9%) dove l’AITP è solitamente dovuta all’immunizzazione verso altri alloantigeni (es. HPA-4b), mentre la positività per HPA-1a è del 99,9%. Nella nostra razza i rimanenti casi sono dovuti ad altri anticorpi piastrinici, generalmente anti-HPA-5b, anti-HPA-3a, antiHPA-1b [20, 21]. L’assetto antigenico HLA ha un ruolo modulatore nella produzione di anticorpi anti-HPA-1a: almeno l’80% delle madri che sviluppano anticorpi anti-HPA-1a è positiva per HLA DR 52a, mentre minor correlazione è presente per i geni HLA-B8 e HLA-DR3; è interessante inoltre l’osservazione che nei casi di alloimmunizzazione anti-HPA-1b non è stata osservata alcuna relazione con il sistema HLA [22-26]. La prevalenza dell’AITP è di circa 1 su 2.000 gravidanze [24, 25]. Circa il 50% dei casi di AITP si sviluppa nel corso della prima gravidanza [26]. Poiché lo screening anticorpale HPA non è di routine, solitamente il primo bambino trombocitopenico è inaspettato. Il neonato può presentare alla nascita porpora, emorragia gastrointestinale o ematuria, ma il problema serio è rappresentato dall’emorragia cerebrale, che si verifica nel 10-30% dei casi con esiti neurologici severi o morte nel 19 e 7% rispettivamente [27-29]. Frequentemente l’emorragia cerebrale è diagnosticata tra la 30a e la 35a settimana di gravidanza, anche se sono descritti casi prima della 20a settimana [30]. Si stima che il tasso di ricorrenza dell’AITP sia del 75-90% e dipende dagli alloantigeni coinvolti e dalla zigosità del padre [31, 32]. Nella gravidanza a rischio per AITP fondamentale è la conoscenza della zigosità paterna per l’alloantigene coinvolto; nel caso il padre sia eterozigote solo la metà dei feti sarà a rischio e la loro individuazione è possibile tramite analisi della “polymerase chain reaction” (PCR) su amniociti o villi coriali. La diagnosi di AITP può esser posta quando la conta piastrinica sia <100x109/l e siano state escluse altre possibili cause di piastrinopenia (es. infezioni, trisomia 21, sindrome trombocitopenia, aplasia del radio). Poiché il monitoraggio del titolo anticorpale materno non si è dimostrato utile nel prevedere la severità della AITP, il prelievo di sangue fetale è l’unico mezzo per monitorare la severità della malattia [33]. Tuttavia que-
sta procedura è ad alto rischio di complicanze emorragiche fetali anche nelle mani più esperte, per cui è consigliabile disporre al momento del prelievo della possibilità della conta piastrinica in pochi minuti e di un concentrato piastrinico di origine materna HPA-1a negativo, irradiato, da poter trasfondere immediatamente per raggiungere una conta piastrinica fetale di 100x109/l prima della rimozione dell’ago. Contrariamente all’uniformità di terapia nel neonato basata sulla somministrazione di immunoglobuline ev ed eventuali trasfusioni piastriniche, non vi è comune accordo sul trattamento prenatale. La storia ostetrica della paziente ed il valore della conta piastrinica al momento del prelievo di sangue fetale eseguito alla 20a settimana orientano verso una terapia più o meno aggressiva. I principali regimi terapeutici comprendono la somministrazione materna di immunoglobuline con o senza corticosteroidi per via orale e ripetute trafusioni intravascolari fetali di piastrine o una combinazione tra i due schemi. L’uso della somministrazione materna settimanale di 1 mg/Kg di immunoglobuline si è dimostrato efficace nel migliorare la conta piastrinica fetale [34]; un successivo trial randomizzato ha sostenuto l’uso aggiuntivo di steroidi (prednisone 60 mg/die) come terapia di salvataggio nei feti non responsivi al solo trattamento con immunoglobuline [28]. Quando la conta piastrinica è inferiore a 50x109/l è necessaria la trasfusione piastrinica intravascolare fetale; per la breve vita delle piastrine tale procedura deve essere ripetuta settimanalmente fino alla 32-35a settimana con l’obbiettivo di mantenere un numero di piastrine superiore a 100x109/l.
PROSPETTIVE FUTURE: TRAPIANTO IN UTERO DI CELLULE STAMINALI Per alcune malattie congenite (emoglobinopatie, immunodeficienze e errori congeniti del metabolismo) il trapianto postnatale di cellule staminali derivanti dal midollo osseo o, negli ultimi anni, dal cordone ombelicale, permette la sopravvivenza di soggetti affetti da condizioni altrimenti letali. Tuttavia, esistono ancora diversi ostacoli per poter usufruire appieno delle teoriche potenzialità di tale intervento. Importanti limiti sono, infatti, la scarsa disponibilità di donatori istocompatibili, la difficoltà nel controllare la risposta immune del ricevente o del donatore, le gravi complicanze per il soggetto ricevente legate alla necessaria ablazione (soppressione) midollare prima del trapianto e alla stessa terapia immunosoppressiva. Una possibile alternativa al trattamento postnatale sembrerebbe essere il trapianto prenatale di cellu-
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le staminali in utero, approccio teoricamente in grado di ovviare alle citate limitazioni del trapianto postnatale e all’instaurarsi di danni già in epoca fetale (ad es. nel caso di β-talassemia o di malattie d’accumulo). Il razionale della terapia in utero si basa essenzialmente su due presupposti: la tolleranza immunologica fetale durante il primo trimestre e il ritardato inizio (nel secondo trimestre) dell’emopoiesi midollare del feto [35, 36]. La determinazione del self avviene a livello del timo fetale mediante un processo di espansione o delezione di cloni cellulari, rispettivamente riconosciuti come self o meno, e si conclude intorno alla 12a-14a settimana. Quindi cellule introdotte nel feto prima che il processo di selezione timica si sia concluso dovrebbe portare al loro riconoscimento come self ed impedirne il rigetto, ovviando alla necessità di disporre di cellule donate istocompatibili, di ricorrere all’immunosoppressione e di instaurare una tolleranza specifica per le cellule donate a lungo termine [36]. Il sistema emopoietico fetale si sviluppa secondo una precisa sequenza temporale che vede via via cambiare il principale sito ematopoietico: partendo dal sacco vitellino e dalla regione mesonefrica periaortica nell’embrione, la fonte dell’emopoiesi si sposta al fegato e infine al midollo osseo che ne sarà la sede predominante solo dopo la 34a settimana. Durante il secondo trimestre la cellularità e le dimensioni del midollo osseo sono in rapida espansione e nuove “nicchie” emopoietiche si formano continuamente.In tale contesto il midollo può essere occupato da cellule staminali da donatore che replicandosi occupano per competizione lo spazio midollare disponibile, popolando il midollo senza la necessità di ricorrere all’ablazione midollare dell’ospite come avviene nel trapianto postnatale. L’integrazione delle cellule staminali donate nel midollo del soggetto ricevente permette di ottenere un adeguato livello di chimerismo midollare (cellule donate e cellule dell’ospite) che migliora l’espressione clinica della malattia [35]. La terapia in utero è dunque attuabile sfruttando in epoca precoce questo “intervallo libero” in cui è possibile ovviare ai limiti dell’istocompatibilità e alle sequele dell’ablazione midollare. In teoria qualunque malattia diagnosticabile in epoca prenatale precoce, per la quale il trapianto postnatale non costituisce né garantisce un trattamento soddisfacente, potrebbe beneficiare della terapia in utero. Tuttavia, studi sperimentali su modelli animali hanno evidenziato come il basso grado di attecchimento delle cellule donate costituisca un fondamentale limite per l’efficacia del trapianto di cellule staminali. Nei pochi casi di trapianto prenatale (poco più di trenta) finora condotti in ambito clinico si sono ottenuti risultati soddisfacenti, con un buon attecchimento delle cellule donate solo nel caso di gravi deficit congeniti del sistema immunitario (ad es.SCID,Severe Combined Immunodeficiency Disease) in cui esiste un evidente vantaggio competitivo per le cellule normali tra-
piantate. Al contrario, in feti riceventi immunologicamente competenti, ad es. nei casi di immunodeficienze meno gravi, emoglobinopatie (α- e β-talassemia), alloimmunizzazione Rh, malattie d’accumulo, il grado di attecchimento è scarsissimo perché esiste solo un minimo vantaggio selettivo per le cellule trapiantate a livello midollare e per una probabile reazione di rigetto da parte dell’ospite [35]. Prima che il trapianto prenatale di cellule staminali possa avere una reale applicabilità clinica è ancora necessaria un’importante fase di ricerca sperimentale volta ad approfondire la conoscenza dei meccanismi molecolari che regolano l’integrazione delle cellule staminali donate a livello del midollo fetale, delle varie fasi dello sviluppo immunologico fetale, dei meccanismi fisiopatologici specifici delle diverse immunodeficienze. Obiettivo degli studi sperimentali è anche quello di identificare le possibili strategie per ovviare alla scarsa integrazione delle cellule staminali trapiantate [35, 36] e cioè: 1. il timing più opportuno per il trapianto (prima della 14a settimana); 2. la fonte migliore da cui ottenere le cellule staminali (l’utilizzo di cellule staminali da cordone ombelicale sembrerebbe più adatto rispetto a quello di cellule da sangue periferico o da midollo di un soggetto adulto e porrebbe meno problematiche etiche rispetto all’uso di cellule epatiche o midollari fetali); 3. la dose efficace per ottenere un adeguato impianto; 4. la via di somministrazione (intraperitoneale vs intravascolare); 5. l’utilità di un co-trapianto di cellule stromali del donatore o dell’impiego di fattori inibenti l’emopoiesi dell’ospite che potrebbe incrementare il grado di attecchimento delle cellule donate; 6. la possibilità di ottenere un adeguato microchimerismo midollare che garantisca una tolleranza immunologica verso il donatore e che permetta di usufruire di ulteriori, se necessari, trapianti postnatali dallo stesso donatore; 7. l’ipotetico ruolo della terapia genica (precoce trasferimento nell’ospite di cellule somatiche con alto potenziale replicativo in cui, tramite un vettore virale o meno, sia stato inserito il gene di cui il soggetto ricevente deficita), che permetterebbe una correzione permanente della malattia [37].
CHIRURGIA FETALE Risale al 1963 il tentativo infruttuoso di trasfusione intrauterina dopo esposizione diretta del feto; negli anni ‘70 furono perfezionate le tecniche percutanee ecoguidate di prelievo di sangue fetale e di trasfusione intrauteri-
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
na. Nei primi anni ’80 furono posizionati i primi shunts per idrocefalia ed idronefrosi; resistenze sia di tipo etico per l’alta mortalità fetale legata alla procedura, sia di tipo tecnico per i frequenti episodi di dislocamento e di occlusione dei cateteri limitarono la loro applicazione. Nel 1982 fu eseguito il primo intervento di ureterostomia bilaterale a cielo aperto su un feto di 21 settimane per uropatia ostruttiva, perfettamente riuscito dal punto di vista tecnico, ma risoltosi con la morte neonatale per l’insorgenza di displasia renale ed insufficienza polmonare non riconosciute [38]. Negli anni successivi buoni risultati si ottennero con interventi in utero per uropatia ostruttiva [39], ernia diaframmatica e CCAM (Congenital Cystic Adenomatoid Malformation) [40, 41]. La programmazione di un intervento di chirurgia fetale richiede un’attenta valutazione del rapporto rischio-beneficio sia a carico del feto sia materno. Se dal versante fetale il rischio è evidentemente compensato dal trattamento di una lesione letale o gravemente invalidante, per la madre sono il rischio anestesiologico, chirurgico (intervento sul feto, taglio cesareo susseguente, future gravidanze) e farmacologico (terapie tocolitiche) che devono essere discussi con la paziente stessa ed i suoi parenti. La consulenza, fornita alla paziente da un team multidisciplinare (ostetrico, neonatologo, chirurgo pediatra, anestesista), dovrebbe illustrare i vantaggi e i rischi di un intervento prenatale, confrontandoli con la prospettiva di una perdita fetale, con la gravità delle sequele legate alla nascita di un bambino con una malformazione gravemente invalidante, o con la difficile decisione di interrompere la gravidanza stessa. Gli interventi di chirurgia fetale (Tabella 14.1) sono oggi effettuati con tecniche e strumenti chirurgici sofisticati, la radiotelemetria permette un efficace monitoraggio delle condizioni cardiocircolatorie e della tem-
peratura fetali, ed eventuali terapie con farmaci ed emoderivati possono essere effettuate intraoperatoriamente tramite un accesso venoso diretto. Il travaglio pretermine rappresenta, tuttavia, uno dei maggiori problemi della chirurgia fetale, vanificando a volte il successo di un intervento chirurgico con la nascita di un neonato gravemente immaturo. La terapia tocolitica, iniziata nella fase preoperatoria con indometacina, prevede la somministrazione di gas alogenati e donatori di ossido nitrico (come la nitroglicerina) durante l’intervento, e prosegue nel decorso postoperatorio con la somministrazione di solfato di magnesio, terbutalina e nifedipina; a dispetto dell’aggressività di tale terapia il travaglio pretermine o una rottura prematura delle membrane (PROM) intervengono comunque, generalmente entro la 35 a settimana di gravidanza, con la conseguente necessità del taglio cesareo. L’ipotesi che a minor invasività corrisponda un tasso minore di tali complicanze ha fornito le motivazioni per la ricerca e lo sviluppo di tecniche chirurgiche meno invasive: la chirurgia fetale endoscopica (FETENDO) sembra rispondere a tali requisiti. I moderni trocars ad espansione radiale minimizzano il distacco delle membrane e limitano il sanguinamento della parete uterina nel suo punto di ingresso; gli endoscopi attuali, di diametro compreso tra 1,2 e 3,5 mm ed angolo di visione da 0° a 30°, consentono una visualizzazione ottimale in ogni recesso della cavità amniotica e il loro sistema a doppia via permette l’utilizzo contemporaneo di un sistema di irrigazione (con una soluzione a temperatura idonea, generalmente Ringer lattato) ed aspirazione necessario a garantire un campo operatorio pulito, una buona visione, un volume intruterino costante e un’omeostasi termica fetale; in casi di localizzazione anteriore della placenta sono utilizzati
Tabella 14.1. Patologie suscettibili di chirurgia fetale Malformazione CCAM e BPS CDH Idrotorace SCT MMC Teratoma cervicale,masse cervicali Ostruzione vie urinarie Blocco cardiaco Sindrome banda amniotica TTTS
Conseguenze fetali Ipoplasia polmonare,idrope Ipoplasia polmonare Ipoplasia polmonare Massivo shunt A-V,idrope Danno spinale,paralisi,idrocefalo Polidramnios,idrope Displasia renale,ipoplasia renale Scompenso a bassa gittata,idrope Ipoplasia polmonare,amputazione estremità, costrizione del funicolo ombelicale Polidramnios,idrope
Terapia intrauterina Shunt toraco-amniotico Occlusione tracheale Toracentesi,shunt toraco-amniotico Escissione Chiusura del difetto EXIT Shunt vescico-amniotico,laser delle valvole uretrali Posizionamento di pacemaker Resezione fetoscopica Laser-ablazione anastomosi,clampaggio del funicolo
CCAM, malformazione adenomatoide cistica del polmone; BPS, sequestro broncopolmonare, CDH, ernia diaframmatica congenita; SCT, teratoma sacrococcigeo; MMC,mielomeningocele; EXIT,Ex Utero Intrapartum Treatment;TTTS,Twin to Twin Transfusion Syndrome
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fibroscopi curvi e flessibili [42]. Ulteriore problematica degli interventi effettuati in fetoscopia è la mobilità del corpo fetale immerso nel suo ambiente liquido: una tecnica di “fissazione” fetale, maturata con l’esperienza degli interventi di occlusione tracheale con clips metalliche, consiste in una sutura del mento fetale attraverso la parete uterina tale da poter mantenere una trazione costante sul corpo fetale. La chiusura della piccola breccia uterina è ottenuta tramite instillazione di colla di fibrina e mediante una sutura miometriale riassorbibile “a otto”. Altre tecniche di sutura del difetto, provate sperimentalmente e clinicamente, non hanno finora fornito efficaci alternative [43]. La chirurgia fetale “aperta” consente un monitoraggio ed un accesso venoso diretto del feto; in chirurgia fetoscopica il monitoraggio delle condizioni fetali è affidato a controlli intermittenti ecoflussimetrici. Sulla scia dei buoni risultati ottenuti in numerose patologie fetali come l’ernia diaframmatica, l’uropatia ostruttiva, la gravidanza monocoriale complicata, il teratoma sacrococcigeo e la sindrome da banda amniotica, è opinione diffusa tra i ricercatori che la fetoscopia operativa possa fornire ottimi risultati anche nel trattamento di altre affezioni fetali.
Malformazione adenomatoide cistica del polmone La malformazione adenomatoide cistica del polmone (CCAM) è una rara malformazione amartomatosa (prevalenza 1/4.000) che si pensa causata da un’alterazione della normale maturazione bronchiolare, con conseguente perdita della fisiologica struttura alveolare. Nel 95% dei casi è unica e unilaterale, interessando un lobo o un segmento. Comunica con l’albero tracheo-bronchiale ed è vascolarizzata dal circolo polmonare. Anomalie cromosomiche sono associate nel 3-12% dei casi [44-46]. Stocker classificò nel 1977 la CCAM in tre sottotipi basati sulle caratteristiche cliniche ed istologiche (Fig. 14.1) [47]; successivamente Adzick modificò tale classificazione secondo criteri clinici ed ecografici in due sottotipi, macrocistico e microcistico [48]. La fisiopatologia della CCAM non è ancora stata totalmente chiarita e la sua evoluzione è estremamente eterogenea potendo variare da un rapido sviluppo con grave compromissione fetale, ad una regressione intrauterina, descritta anche per le forme microcistiche a cui i primi studi conferivano una prognosi peggiore [44, 47, 49]. Nel 40% dei casi la CCAM progredisce ad idrope fetale e se non trattata è irrimediabilmente fatale, nel 15% regredisce volumetricamente, potendo anche scomparire [50].
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Fig.14.1. Malformazione adenomatoide cistica del polmone di tipo macrocistico. Da [51]. Per gentile concessione di Dimed Informatica srl (www.dimed.it) L’atteggiamento nei riguardi di questa malformazione deve prevedere un’attenta e frequente sorveglianza: l’esame ecografico deve fornire informazioni riguardo il tipo di CCAM, le dimensioni delle cisti maggiori, la localizzazione ed estensione, la vascolarizzazione, le condizioni del restante parenchima polmonare, il grado di dislocamento del mediastino, il compenso cardiaco fetale. La risonanza magnetica nucleare (RMN) può essere utile per meglio definire la lesione. Il fattore più importante per l’outcome neonatale è costituito dalle dimensioni della stessa CCAM: i casi in cui la lesione non aumenta o regredisce sono virtualmente associati alla sopravvivenza del neonato; al contrario, lesioni grandi ed evolutive, con dislocazione mediastinica e compressione cardiaca, frequentemente associate ad idrope fetale e a polidramnios, comportano una prognosi peggiore. Nei casi complicati da idrope fetale è inoltre possibile nella madre l’insorgenza di “mirror syndrome” (sindrome dello specchio). Parametro prognostico attendibile si è dimostrato il CCAM Volume Ratio (CVR), determinato utilizzando la formula dell’ellisse con i tre diametri maggiori della CCAM e dividendone il prodotto per la circonferenza cranica. Un recente studio prospettico su 58 feti ha dimostrato che un CVR >1,6 al momento della diagnosi predice un rischio aumentato di sviluppare idrope, mentre un CVR<1,6 suggerisce che tale rischio, in assenza di una cisti predominante, è minore del 3%; inoltre i feti con CVR<1,6 hanno una sopravvivenza significativamente maggiore rispetto ai feti con CVR>1,6 (94% vs 53%) [52]. La CCAM è frequentemente di volume limitato e la resezione chirurgica dopo la nascita è il trattamento di scelta. Le lesioni a rapida crescita, dislocanti il mediastino ed associate ad idrope, costringono ad una scelta terapeutica prenatale in cui discriminante e decisiva è l’e-
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poca gestazionale. Tra le 32 e le 34 settimane dovrebbe essere preso in considerazione l’uso di steroidi e l’anticipazione del parto per una resezione postnatale immediata. I feti idropici diagnosticati prima della 32a settimana sono candidati alla terapia prenatale. Nel caso di CCAM macrocistica il posizionamento di uno shunt toraco-amniotico ottiene usualmente la decompressione della CCAM stessa con risoluzione dell’idrope e del dislocamento mediastinico, consentendo una stabilizzazione delle condizioni fetali fino alla nascita di un bambino in cui la terapia chirurgica postnatale ha ottime possibilità di successo. La semplice aspirazione della cisti non garantisce risultati poiché il contenuto liquido della cisti si rigenera velocemente; in presenza di più cisti di grandi dimensioni solitamente è sufficiente un solo shunt poiché le diverse formazioni cistiche sono per lo più comunicanti. Nel caso di CCAM microcistica con idrope associata, l’unica possibilità è offerta dalla resezione chirurgica fetale. In una casistica di 21 feti operati tra la 21a e la 29a settimana viene riportato il 62% di sopravvivenza fetale con risoluzione dell’idrope in 1-2 settimane e risoluzione del dislocamento mediastinico in 3 settimane [45, 53]. Per il feto con diagnosi prenatale di CCAM si deve predisporre la nascita in un centro dotato di una unità di terapia intensiva neonatale con personale in grado di affrontare una condizione di grave insufficienza respiratoria. Nelle CCAM macrocistiche è possibile l’intrappolamento di aria nelle cisti con possibile pneumotorace spontaneo e necessità di toracotomia: l’intubazione selettiva del bronco controlaterale è necessaria fino al momento della resezione della lesione macrocistica [54].
a
Una volta stabilizzate le condizioni generali, la terapia definitiva della CCAM deve comprendere la resezione completa della lesione, che usualmente richiede una lobectomia, più raramente la resezione di più lobi o la pneumectomia. Sono riportate numerose segnalazioni di complicanze letali in neonati con lesioni molto estese sottoposti a pneumectomia, per cui si preferisce in questi casi una resezione meno estesa, conservando più tessuto polmonare possibile per ottenere una espansione compensatoria postoperatoria [55, 56]. L’asportazione completa della lesione polmonare è mandatoria per il possibile incarceramento di aria nella lesione residua con evoluzione in senso enfisematoso e per la facilità a contrarre infezioni polmonari. Inoltre, sebbene le neoplasie polmonari siano estremamente rare nelle prime due decadi di vita, il 4% di queste insorgono in pazienti con diagnosi di lesioni cistiche del polmone, inclusa la CCAM, per cui è estremamente raccomandata una stretta sorveglianza dei piccoli pazienti tramite radiologia convenzionale e RMN [57]. L’outcome a lungo termine dei bambini trattati con resezione completa della CCAM, nella vita pre- o postnatale è eccellente, dimostrando una buona espansione del polmone residuo; essi non manifestano limitazioni funzionali e non sono soggetti ad infezioni polmonari con frequenza maggiore rispetto ai coetanei.
Ernia diaframmatica L’ernia diaframmatica congenita (CDH) è un difetto anatomico del diaframma per cui visceri addominali erniano in cavità toracica (Fig. 14.2). Se ne riconoscono 5 tipi: a. ernia di Bochdalek, la più frequente, in emidia-
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Fig. 14.2 a,b. a Ernia diaframmatica postero-laterale sinistra: il cuore è destroposto, lo stomaco risalito nel torace è localizzato a sinistra. b Ernia diaframmatica del Morgagni.Da [51].Per gentile concessione di Dimed Informatica srl (www.dimed.it)
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framma sinistro, posterolaterale (75-90%); b. ernia di Morgagni, generalmente destra, retrosternale, anteromediale (<10%); c. eventratio diaframmatici - più che vera ernia, deficienza della componente muscolare e fibrosa del diaframma ridotto a velo aponeurotico; d. agenesia completa; e. ernia iatale con protrusione dei visceri addominali attraverso un orifizio fisiologico. L’eziopatogenesi è sconosciuta, ma si pensa ad un insulto a circa 9-10 settimane di gravidanza. Ha prevalenza di 1 su 2.500 nati vivi, in egual misura tra i due sessi. La distribuzione è generalmente sporadica, sebbene siano stati descritti rari casi familiari con meccanismo ereditario sconosciuto, ma suggerito multifattoriale [58, 59]. Frequentemente (16-53% dei casi) sono associate altre anomalie a carico di vari organi; le anomalie cardiache sono riportate nel 16% dei casi [60, 61]. Le sindromi di Beckwith-Wideman, Pierre-Robin, Fryns, Brachmann-De Lange-Perlman, Simpson-Galabi-Behmel comprendono la CDH. Un’aberrazione cromosomica è associata nel 16-37% dei casi [62]. La diagnosi ecografica deve sforzarsi di definire al meglio l’anomalia anatomica, precisando quali organi sono erniati in cavità toracica: nel 90% dei casi è coinvolto l’intestino tenue, lo stomaco soprattutto nelle ernie sinistre; il fegato tipicamente nelle ernie destre e in misura variabile nelle sinistre. La risonanza magnetica nucleare è di particolare utilità per definire la localizzazione epatica. Nella CDH l’anomalia di sviluppo del tessuto alveolare e bronchiolare è strettamente dipendente dal volume dei visceri erniati in cavità toracica e dal tempo che tale massa ha avuto per comprimere il parenchima polmonare in via di sviluppo, alterandone il suo supporto vascolare.Alla nascita l’ipoplasia polmonare determina un quadro di insufficienza ventilatoria che richiede una ventilazione meccanica ad alta frequenza, associata in genere ad una progressiva ipertensione polmonare; i feti portatori di CDH isolata, diagnosticata prima della 25a settimana, hanno infatti una mortalità del 58% [63]. Il polidramnios, la localizzazione toracica dello stomaco, un basso rapporto polmone-torace, l’iposviluppo del cuore sinistro sono stati in passato considerati fattori prognostici negativi, ma nessuno di questi si è rivelato attendibile e quindi accettato. Gli indici prognostici ritenuti ora più attendibili sono la presenza o l’assenza di erniazione del fegato (liver-up CDH vs liverdown CDH) ed il rapporto tra area del polmone destro e la circonferenza cefalica.
255 Il rapporto tra l’area del polmone destro (a livello della scansione quattro-camere) e la circonferenza cranica (LHR) rappresenta un buon indicatore della prognosi fetale: con LHR<0,6 e diagnosi entro la 25a settimana la mortalità neonatale è del 100% contro una sopravvivenza del 100% con LHR≥1,35; valori compresi tra 0,6 e 1,35 mostrano una sopravvivenza del 61% [64, 65]. L’LRH è attendibile nelle CDH sinistre con erniazione epatica e quando misurato in epoca gestazionale compresa tra la 24a e 26a settimana; riveste scarso valore quando il fegato è in cavità addominale [66]. In uno studio retrospettivo di 48 casi di CDH, la sopravvivenza del 93% dei feti senza erniazione epatica si confronta con il 43% dei feti con erniazione epatica sopravvissuti [67]; un trial prospettico in 11 casi di CDH senza erniazione epatica ha dimostrato una sopravvivenza neonatale del 75% dei feti trattati chirurgicamente e dell’86% nei feti trattati dopo la nascita con un maggior tasso di parto prematuro nel primo gruppo (32 settimane vs 38 settimane) [68]. I primi tentativi di intervento definitivo intrauterino con riposizionamento in cavità addominale dei visceri erniari e sintesi diaframmatica con patch, sono stati abbandonati perché la riduzione in cavità addominale del fegato erniato provoca l’interruzione acuta del flusso venoso ombelicale con morte del feto e perché anche in assenza di erniazione epatica il tasso di sopravvivenza non migliora rispetto ad una scelta di terapia post-natale [69, 70]. Si è quindi sviluppata una tecnica chirurgica basata sull’ipotesi che, impedendo il fisiologico efflusso di liquido polmonare tramite l’occlusione della trachea, lo sviluppo polmonare venga favorito ed i visceri erniari vengano spinti dalla cavità toracica a quella addominale (PLUG-strategy cioè plug the lung until it grows) [71, 72]. I primi interventi in tal senso prevedevano l’occlusione della trachea tramite due clips in titanio contrapposte, dopo isterotomia ed isolamento chirurgico della stessa. Tuttavia questa tecnica comportava sia i rischi avversi di una chirurgia fetale a “cielo aperto” sia una frequente tracheomalacia postnatale; è stata quindi soppiantata da un approccio meno traumatico nei riguardi dell’utero gravido e del feto, con tempi operatori minori, in cui l’occlusione tracheale è ottenuta tramite il posizionamento di un palloncino sotto le corde vocali utilizzando la via fetoscopica (FETENDO): la sopravvivenza del 75% si contrappone al quella del 38% ottenuta con la terapia postnatale classica e a quella del 15% conseguente all’occlusione tracheale con clips [68-73]. L’attuale orientamento nella terapia della CDH prevede quindi un trattamento chirurgico postnatale convenzionale in assenza di erniazione epatica e con diagnosi posta dopo la 26a settimana, mentre ravvede nel
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feto di 24-25 settimane, senza anomalie fetali associate, con un LHR inferiore a 1 e con fegato erniato, il candidato ideale per la chirurgia prenatale [68-74]. Purtroppo la maggioranza dei feti con diagnosi prenatale cade in una “zona oscura” con LHR compresa tra 1 e 1,4 rendendo particolarmente difficile la scelta tra terapia pre- o postnatale. Quando dovesse insorgere il travaglio pretermine o nei casi più favorevoli (a maturità polmonare ottenuta) il taglio cesareo, a causa della completa ostruzione tracheale, deve contemplare il mantenimento della circolazione feto-placentare fino alla rimozione dell’ostruzione tracheale cioè attuando una EXIT (Ex Utero Intrapartum Treatment) [75]. Il neonato viene incubato e ventilato meccanicamente, con l’eventuale somministrazione di surfattante, e solo a soddisfacente saturazione di ossigeno viene reciso il funicolo; il difetto diaframmatico viene riparato solo dopo stabilizzazione del neonato (usualmente in 3a-7a giornata di vita).
Idrotorace Nella diagnostica ecografica prenatale una raccolta di liquido nella cavità pleurica fetale costituisce un reperto relativamente frequente a decorrere dalla fine del primo trimestre. Mentre nel neonato la principale causa è l’accumulo di chilo o linfa [45], nel feto l’eziologia è eterogenea e spesso oscura. L’idrotorace può presentarsi in forma isolata o in associazione con lesioni sia toraciche (sequestro polmonare, ernia diaframmatica) sia extratoraciche (gozzo, infezioni materne, affezioni sindromiche); il rischio di aneuploidia, in particolare sindrome di Turner e sindrome di Down, è del 33% [76-78]. L’effusione pleurica appare ecograficamente come una immagine anecogena posta tra la parete toracica, il polmone ed il diaframma, di entità variabile, mono- o bilaterale; polidramnios è presente nel 42% dei casi [79]. La storia naturale dell’idrotorace è eterogenea potendosi osservare sia una risoluzione spontanea fino al 50% dei casi, sia l’evoluzione in idrope generalizzata con dislocamento mediastinico e scompenso cardiaco anche in tempi relativamente brevi [80-82]. La prognosi fetale è essenzialmente legata all’epoca di insorgenza, alla mono- o bilateralità, alla coesistenza di altre anomalie ed alla presenza di idrope con tassi di mortalità neonatale compresa tra il 36% nelle forme isolate ed il 95% nei feti idropici [79-83, 84]. L’esame ecografico richiede la massima attenzione ad escludere anomalie coesistenti; l’ecocardiografia ha il compito di diagnosticare eventuali difetti morfologici o del ritmo cardiaco.
Le indagini a carico della madre devono comprendere emogruppo e test di Coombs, test di Kleihauer, sierologia per sifilide ed infezioni virali e screening per il diabete. Il cariotipo fetale può essere ottenuto tramite prelievo di villi coriali, amniocentesi o prelievo di sangue fetale; la scelta della procedura invasiva è stabilita caso per caso basandosi sull’epoca di gravidanza e sulla possibile eziologia: se è sospettata una anemia fetale, per esempio, solo un prelievo di sangue fetale può delucidare in merito. Concluso il percorso diagnostico è possibile offrire l’interruzione della gravidanza nei casi a prognosi fetale sicuramente infausta (es. aneuploidia), mentre le opzioni terapeutiche nei rimanenti casi comprendono la toracentesi evacuativa e il posizionamento di uno shunt toraco-amniotico. La singola aspirazione ecoguidata del liquido pleurico può essere risolutiva: in tali casi l’espansione polmonare ex vacuo può rappresentare un indice prognostico favorevole indicando l’assenza di un danno tissutale polmonare. Tuttavia spesso l’essudato pleurico si riforma in un tempo compreso tra uno e dieci giorni [85, 86]. Il posizionamento di uno shunt toraco-amniotico consente il continuo drenaggio del liquido essudato verso la cavità amniotica permettendo il normale sviluppo del tessuto polmonare; la sua applicazione comporta però un rischio di perdita fetale del 5-10%; può inoltre occludersi e dislocarsi, rendendo necessaria una ulteriore procedura invasiva. I dati presenti in letteratura suggeriscono una sopravvivenza neonatale dei feti sottoposti a questa procedura compresa tra il 46% in caso di idrope fetale ed il 100% nelle forme isolate [87, 88]. Lo shunt deve essere clampato e rimosso immediatamente dopo il parto per prevenire uno pneumotorace iatrogeno; in alternativa il neonato deve essere incubato e ventilato usando eventualmente lo shunt per il drenaggio postnatale dello spazio pleurico.
Teratoma sacrococcigeo Il teratoma sacrococcigeo (SCT) è il tumore più frequente nel feto e nel neonato, con un’incidenza di 1 su 40.000 nati vivi maggiore è l’incidenza nelle femmine [89]. Viene classificato in base alla sua localizzazione rispetto al corpo fetale: il più frequente tipo 1, prevalentemente esofitico senza o con minima componente presacrale (46%); il tipo 2 sempre esofitico, ma con componente piccola-moderata intrapelvica (36%); tipo 3 e 4 che hanno la maggior parte o l’intera massa endopelvica o endoaddominale [90]. Solo una minima parte dei teratomi sono istologicamente maligni: elementi maligni sono presenti nel
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2% dei tumori alla nascita, ma tale percentuale cresce fino al 60% nei teratomi con diagnosi a 4 mesi di vita, più frequentemente nei tumori endofitici [91]. Pur non essendo mai stati descritti teratomi metastatici, gli elementi maligni, generalmente di origine ectodermica, sono radio-resistenti e scarsamente responsivi alla chemioterapia [92]. Usualmente diagnosticati all’esame ecografico del secondo trimestre i SCT appaiono più spesso come masse eterogenee, anche di grandi dimensioni, con componenti solide e cistiche riccamente vascolarizzate al color doppler; i SCT cistici puri costituiscono il 15% dei casi. Polidramnios e placentomegalia sono presenti nella maggior parte dei casi; idrope fetale compare in un quarto circa dei casi; l’interessamento rachideo, seppur raro, deve essere attentamente valutato, come pure grande attenzione deve essere dedicata alla valutazione del rapporto tra componente eso- ed endofitica del tumore. Lo studio ecocardiografico e flussimetrico fetale deve fornire l’indice del grado di compenso cardiocircolatorio fetale. I feti con SCT prevalentemente solidi e riccamente vascolarizzati hanno un più alto rischio di sviluppare idrope e morte intrauterina, mentre le dimensioni non sembrano influenzare la prognosi [93]; in caso di idrope può svilupparsi una “mirror syndrome” materna. La sovradistensione uterina da polidramnios e la relativa necessità di amniodecompressioni è causa di rischio aumentato di prematurità. In assenza di idrope la condotta è osservazionale; la terapia chirurgica in utero può migliorare la prognosi dei feti con scompenso cardiaco ad alta gittata, idropici e a bassa epoca gestazionale con tumori prevalentemente esofitici facilmente aggredibili chirurgicamente [94]. L’obiettivo chirurgico è la rimozione della vascolarizzazione della massa tumorale alla base dello scompenso cardiaco fetale garantendo l’integrità anatomica e funzionale degli organi contigui (ano, retto,vagina, nervi periferici, ecc.); la rimozione della massa stessa, può essere completata con un secondo intervento postnatale [94]. L’intervento può essere attuato anche in fetoscopia se la base di impianto della neoplasia è di modeste dimensioni [95]. L’ablazione delle connessioni vascolari della massa tumorale tramite radiofrequenza, con tecnica ecoguidata, potrebbe avere in futuro un ruolo attivo nel trattamento del SCT; il suo limite è il potenziale danno iatrogeno anatomico e funzionale alle strutture interessate dalla neoplasia [96]. Il successo dell’intervento è evidenziato dall’immediato e drastico miglioramento dell’idrope fetale, anche se la sua risoluzione completa richiede settimane. La modalità del parto di feti portatori di SCT è determinata dalle sue dimensioni: la via vaginale può essere perseguita fino a 5-10 cm, sebbene il tumore pos-
sa essere causa di distocia ed il traumatismo possa causare un’emorragia intratumorale, anche fatale. Aspirazioni transaddominali o transvaginali sono state effettuate per ridurre il rischio di distocia con risultati contrastanti. Le neoplasie di dimensioni maggiori richiedono l’espletamento del parto tramite taglio cesareo, considerando anche la necessità dell’incisione uterina longitudinale corporale. Il follow-up a lungo termine di questi bambini è eccellente. Sebbene benigni, i SCT hanno un potenziale maligno, soprattutto il tipo endofitico per cui è raccomandata una stretta sorveglianza postnatale clinica e strumentale; controlli trimestrali di AFP sono di ausilio nella diagnosi di recidiva di tumori funzionali. La recidiva, qualora presente, è generalmente benigna e richiede l’escissione chirurgica. La chemioterapia viene impiegata se sono presenti elementi maligni ed è generalmente molto efficace. Misra [97] riporta una sopravvivenza dell’88% in caso di malattia localizzata e del 75% nel caso di neoplasie maligne.
Mielomeningocele (MMC) Il mielomeningocele (termine generalmente accettato come sinonimo di spina bifida aperta) è una condizione non letale, ma gravemente invalidante in cui le meningi ed il tessuto nervoso, non protetti dalla teca ossea, sono esposti durante lo sviluppo fetale a fattori lesivi (Fig. 14.3). La prevalenza, su scala mondiale, del MMC è di 2 su 1000 nati vivi [98]. L’eziologia è probabilmente multifattoriale. Il MMC è stato correlato con l’esposizione a fattori teratogeni (acido valproico, carbamazepina, calcioantagonisti, ipertermia) [99] e con la carenza di folati nella madre o nel feto[100]. La somministrazione periconcezionale di 0,4 mg di acido folico al giorno è stata accreditata della riduzio-
Fig.14.3. Schisi del rachide lombo-sacrale con mielomeningocele.Da [51]. Per gentile concessione di Dimed Informatica srl (www.dimed.it)
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ne del 70% del tasso di difetti del tubo neurale (DTN), sebbene la correlazione con i livelli materni di folati sia inesistente [101, 102]. Fattori genetici, malgrado geni specifici non siano ancora stati identificati, possono essere implicati [103, 104]; la trisomia 13 e 18 comprendono spesso la presenza di MMC. Sebbene la patogenesi sia tuttora incerta, si pensa che la mancata chiusura del neuroporo avvenga nella terza o quarta settimana di sviluppo embrionale. La mielinizzazione neuronale ha inizio intorno alla 15a settimana ed è ben documentata alla 20a settimana [102]. La letteratura fornisce un’evidenza limitata che correli il danno neuronale all’esposizione intrauterina, ma è stato dimostrato che i neuroni sono integri nelle prime fasi di gravidanza e studi sperimentali su colture di cellule di midollo spinale suggeriscono che il liquido amniotico della seconda metà della gravidanza è altamente tossico per il tessuto nervoso, forse per l’alta concentrazione di urea [105]. Esami ecografici di feti affetti da MMC alla 18a settimana evidenziano normali movimenti degli arti inferiori, suggerendo che la perdita della funzione motoria avvenga in una fase successiva [106]; sezioni istologiche di midollo spinale di feti con MMC, da autopsie dopo interruzione di gravidanza, evidenziano un insulto recente al tessuto nervoso [107]. Gli esiti neurologici del MMC (paraplegia, incontinenza urinaria e fecale, disfunzioni sessuali, malformazioni scheletriche) conseguono quindi all’esposizione del midollo spinale al liquido amniotico ed ai traumi ripetuti contro la parete uterina e sono tanto più gravi quanto più è craniale il livello della lesione. Le lesioni localizzate nel primo tratto lombare portano quasi sempre alla paraplegia completa; se il livello è compreso tra L3 e L5 è difficile prevedere il difetto funzionale sebbene sia quasi sempre necessario un ausilio alla deambulazione, mentre l’autosufficienza si accompagna generalmente alle lesioni caudali a S1 [108-109]. Al MMC si associa quasi inevitabilmente la malformazione di Arnold-Chiari II, che consegue alla diminuita pressione nello speco vertebrale che causa una erniazione della fossa cranica posteriore e del suo contenuto nel forame magno; nell’85-86% dei casi si associa un idrocefalo ostruttivo [110]. La malformazione di Arnold-Chiari comporta opistotono, difficoltà respiratorie con frequenti episodi di apnea, presenti nel 45-64% dei pazienti e frequenti polmoniti ab ingestiis per alterazione del riflesso della deglutizione; nella prima e seconda infanzia si sviluppa a volte spasticità degli arti superiori [111-114]. L’idrocefalo è causa di sintomi dovuti ad un’aumentata pressione cerebrale e richiede il più delle volte l’intervento di derivazione; il ritardo mentale presente spesso in questi pazienti è conseguente all’idrocefalia, ai frequenti episodi di ipossia, alle infezioni ricorrenti, al mal-
funzionamento dello shunt ventricolare [115]. Il tasso di mortalità nei portatori di MMC è del 30% nelle prime due decadi di vita, principalmente dovuto ad infezioni respiratorie. Nelle gravidanze complicate da MMC è comune osservare un progressivo aggravamento della ventricolomegalia fino ad una franca idrocefalia [110]. Queste evidenze portano alla convinzione attuale che un intervento riparatore precoce durante la vita fetale possa limitare le conseguenze del danno chimico e meccanico al midollo spinale e la progressione dell’idrocefalo. Prima della 19a settimana i tessuti fetali sono completamente gelatinosi, rendendo la procedura chirurgica tecnicamente difficile, per cui l’intervento fetale si pone idealmente tra la 20a e la 25a settimana di gravidanza; la selezione delle pazienti comprende un normale cariotipo e l’assenza di anomalie associate, una ventricolomegalia minore di 17 mm, la presenza della malformazione di Arnold-Chiari II, un livello pari o più craniale a S1, una normale funzione motoria degli arti inferiori e l’assenza di piede torto [116]. L’intervento fetale a cielo aperto prevede una laparotomia materna ed una isterotomia tramite la quale, con tecnica microneurochirurgica, si attua l’isolamento del MMC, il riposizionamento del tessuto nervoso e la successiva ricostruzione a strati delle meningi, del piano muscolo-fasciale e della cute, con utilizzo di materiale eterologo se il difetto è ampio. Allo scopo di ridurre le complicanze materno-fetali della chirurgia isterotomica sono stati eseguiti interventi in fetoscopia, ma la riparazione chirurgica della lesione fetale non può essere altrettanto precisa di quella attuata dopo isterotomia [117]. Sicuramente ridotta è la necessità di shunts ventricolari nei pazienti sottoposti a terapia fetale rispetto ai casi controllo di terapia postnatale (55% vs 86% rispettivamente), ma nessun beneficio è stato osservato per la funzionalità degli arti inferiori, per il controllo intestinale e vescicale [118]. Sulla base dell’esperienza di circa 200 casi di chirurgia fetale per MMC effettuati in tre centri statunitensi, è tuttora vivacemente dibattuto se essa sia di effettivo beneficio rispetto alla classica terapia postnatale. I dati raccolti sebbene incoraggianti devono essere considerati solo come preliminari: gli interventi in utero dovrebbero essere riservati in casi selezionati, concorrendo ad un trial randomizzato a valutare la reale efficacia di questa chirurgia fetale [119].
Uropatia ostruttiva Il termine “uropatia ostruttiva” comprende numerose patologie ad eziologia strutturale o funzionale, a varia
Capitolo 14 • Terapia fetale • U.Nicolini
sede nell’apparato uropoietico con caratteristica comune la dilatazione delle vie escretrici a monte dell’ostruzione stessa. La prognosi delle ostruzioni alte (giunto-pielo-ureterale o vescico-ureterale) è generalmente buona, mentre l’ostruzione del tratto distale (uretrale) produce un outcome perinatale sfavorevole. Le esperienze acquisite negli ultimi decenni, nello studio della fisiopatologia dell’ostruzione delle vie urinarie, sia in campo umano che su modello sperimentale, consentono di affermare che un’ostruzione precoce delle vie urinarie provoca displasia renale, oligoidramnios ed ipoplasia polmonare con un danno renale, evolutivo e progressivo; la risoluzione chirurgica dell’ostruzione previene il danno renale e polmonare, se non già instaurati. L’epoca della correzione prenatale è quindi la variabile cruciale per l’outcome perinatale, mentre la funzionalità polmonare e renale rappresentano le variabili principali per la prognosi fetale. L’assenza di contributo urinario alla formazione di liquido amniotico determina già nel secondo trimestre di gravidanza oligoidramnios e conseguente ipoplasia polmonare e già negli anni ‘80 è apparso evidente che l’ipoplasia polmonare è la principale causa di morte dei feti affetti da uropatia ostruttiva, indipendentemente dal trattamento [120]; inoltre elementi diagnostici sicuri per il riconoscimento dell’ipoplasia polmonare non sono identificabili nelle dimensioni del torace fetale e nella valutazione dei movimenti respiratori. L’analisi biochimica delle urine fetali, ottenute tramite prelievo percutaneo, permette una valutazione della funzionalità renale fetale con discreta accuratezza; il confronto tra prelievi seriati ne consente una migliore definizione [121]. Il dosaggio plasmatico fetale della beta2-microglobulina, microproteina che non attraversa la barriera placentare e quindi indicatrice di funzionalità glomerulare fetale, ha mostrato valori superiori nei feti affetti da uropatia ostruttiva rispetto ai controlli, con una correlazione significativamente positiva con la creatininemia postnatale [122-124]. Un’ostruzione uretrale consegue ad una agenesia, atresia, stenosi o più spesso a valvole dell’uretra posteriore. La megavescica da valvole dell’uretra posteriore è appannaggio quasi esclusivo dei feti di sesso maschile con una incidenza di 1 su 5.000-8.000 nati. Quando è colpito il sesso femminile facilmente si tratta di anomalie di sviluppo del basso tratto genito-urinario (cloaca), spesso parte di quadri sindromici, a prognosi più sfavorevole perché l’anomalia stessa provoca una ostruzione più precoce e severa con conseguente danno al parenchima renale e polmonare. La diagnosi ecografica (Fig. 14.4) evidenzia una vescica dilatata con una forma inizialmente bilobata (la cui parte inferiore altro non è che l’uretra dilatata) e
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Fig. 14.4. Megavescica da valvola uretrale posteriore.Da [51], per gentile concessione di Dimed Informatica srl (www.dimed.it)
successivamente sferica che occupa quasi interamente l’addome fetale; un’ascite urinosa può conseguire a rottura della parete vescicale; quest’ultima è ispessita ed ecograficamente evidente. Gradi variabili di interessamento renale spaziano da una idroureteronefrosi con parenchima renale integro fino a reni piccoli ed iperecogeni, espressione di displasia renale conseguente all’ostruzione completa; l’oligoidramnios si accompagna in più della metà dei casi. La selezione delle pazienti da trattare richiede l’acquisizione del cariotipo fetale per escludere anomalie cromosomiche, presenti in circa il 20% dei casi, ed un accurato studio ecografico dell’intera anatomia fetale poiché nel 30% dei casi sono presenti anomalie strutturali extraurinarie. Il catetere utilizzato per lo shunt è un doppio pig-tail che viene introdotto attraverso un sottile trequarti sotto controllo ecografico. Il corretto posizionamento è verificabile evidenziando con gli ultrasuoni il decorso del catetere dalla vescica fetale, ora persistentemente vuota, alla cavità amniotica, attraverso la parete addominale fetale. Il miglioramento o la scomparsa dell’oligoidramnios che consegue alla procedura può indicare una buona funzionalità renale, ma non esclude in modo assoluto una compromissione renale che deve essere indagata tramite l’analisi biochimica del sangue fetale. Il Registro Internazionale di Chirurgia Fetale riporta il 7% delle morti perinatali attribuibili alla procedura [125]; in una serie di 57 casi pubblicati nel 1987 vengono riportate complicazioni nel 44% comprendendo anche il dislocamento o malfunzionamento del catetere, insorgenza di parto prematuro o corionamniosite [126]. I dati pubblicati nel 1999 relativi all’outcome di 14 bambini di 2 anni sottoposti a shunting intrauterino, mostrano una funzionalità renale normale nel 46% dei casi, insufficienza renale lieve nel 21% e insufficienza renale grave con successivo trapianto renale nel 36%
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dei bambini [126]. Gli studi finora effettuati consentono di concludere che la terapia intrauterina è in grado, in casi selezionati, di migliorare la prognosi nei feti con uropatia ostruttiva, ma sicuramente una casistica maggiore è necessaria per confermare la validità di tale terapia prenatale. Un approccio terapeutico più recente, ma con serie limitate di casi trattati, è l’ablazione laser delle valvole uretrali per via endoscopica; tuttavia la visualizzazione delle stesse valvole non è sempre agevole ed inoltre esiste il rischio di danneggiare il tessuto circostante il punto di applicazione del raggio laser [127-128].
TWIN-TWIN TRASFUSION SYNDROME (TTTS) La TTTS è una grave complicanza della gravidanza gemellare monozigotica monocoriale ed è legata alla trasfusione di sangue dal gemello “donatore” a quello “ricevente” attraverso anomale anastomosi placentari. Si tratta di una condizione piuttosto rara (1% delle gravidanze gemellari) che però è gravata da elevati tassi di morbilità e mortalità perinatali essendo responsabile di gravi danni feto-neonatali e del 15% delle morti gemellari perinatali [129, 130]. L’eziologia della TTTS non è ancora ben chiara; sembra probabile una genesi multifattoriale nella quale concorrono anomalie funicolari, placentari ed ormonali. Nella gravidanza gemellare monocoriale la placenta è unica e presenta al suo interno una vascolarizzazione molto complessa e per vari aspetti caotica con multiple anastomosi sia superficiali che profonde tra le circolazioni dei due gemelli. Sul piatto coriale decorrono le anastomosi superficiali che possono essere arteroarteriose (A-A), veno-venose (V-V) e artero-venose (AV) e hanno un flusso bidirezionale tra i feti. Le anastomosi profonde, nella gran parte dei casi, sono arterovenose (A-V) e sono unidirezionali, consentendo il passaggio di sangue dal compartimento arterioso del feto donatore a quello venoso del feto ricevente (trasfusione feto-fetale artero-venosa cronica) con conseguente perdita progressiva di sangue del gemello donatore ed un altrettanto progressivo incremento di sangue in quello ricevente [131, 132]. Nel feto donatore l’ipovolemia determina ipoperfusione renale, oliguria, oligoamnios e iposviluppo fetale legato anche alla riduzione dei tassi di insulina, growth factor II (IGF II) [133] e di leptina [134] rilevati nel circolo di questo feto (Fig. 14.5). Nel feto trasfuso, invece, l’ipervolemia determina policitemia, sovraccarico cardiocircolatorio, poliuria, poliamnios, macrosomia e a lungo andare insufficienza cardiaca e idrope (Fig. 14.5). È chiaro che entrambi i feti sono a rischio di morte
Fig. 14.5. Gravidanza gemellare monozigote monocoriale biamniotica: conseguenze fetali dello shunt artero venoso profondo
endouterina (MEF) e che il polidramnios, stimolando la contrattilità uterina, può indurre l’insorgenza del travaglio di parto pretermine. La diagnosi ecografica di TTTS nelle gravidanze gemellari monocoriali biamniotiche è relativamente semplice e si basa su: 1. presenza di una massa placentare unica; 2. identico sesso fetale; 3. contemporaneo rilievo di oligoamnios in un sacco (tasca verticale massima <20 mm) e di poliamnios nell’altro sacco (tasca verticale massima >80 mm); 4. presenza di un setto interamniotico sottile con inserzione a T (segno T) ed assenza dell’inserzione a triangolo (segno lambda) tipico delle gravidanze bicoriali (Fig. 14.6). Nei casi di TTTS severa, nel secondo trimestre, è frequente il riscontro dello Stuck Twin (feto fisso): il feto donatore con marcata restrizione della crescita, allocato in un sacco con oligo-anidramnios, appare immobile e sospinto contro la parete uterina dal sacco del feto ricevente notevolmente dilatato dal poliamnios (Fig. 14.7). Altri segni ecografici di TTTS sono la mancata visualizzazione della vescica e l’inserzione velamentosa del funicolo nel feto donatore; la cardiomegalia e l’ idrope nel feto ricevente. La doppler-flussimetria consente non solo il rilievo delle anomale anastomosi placentari, ma anche la valutazione delle alterazioni emodinamiche nei distretti vascolari dei due gemelli. In particolare si rileva aumento dell’indice di pulsatilità (PI) in arteria ombelicale fino alla scomparsa e all’inversione del flusso in diastole (A-REDF) nel feto donatore e segni di sovraccarico destro con rigurgito tricuspidale, flusso ematico inver-
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a
b
Fig.14.6 a,b. Rappresentazione schematica ed immagini ecografiche della diversa inserzione del setto interamniotico nella gravidanza monocoriale biamniotica (a) ed in quella bicoriale biamniotica (b)
Fig. 14.7. Gravidanza monozigote monocoriale biamniotica:effetti della trasfusione feto fetale arterovenosa profonda; poliamnios nel feto ricevente, oligo-anidramnios nel feto donatore che appare addossato e compresso contro la parete uterina
tito nel dotto venoso durante la contrazione atriale (RFDV) e onda flussimetrica pulsatile in vena ombelicale (PUVF) nel ricevente. Sulla base dei segni ecografici e dei dati flussimetrici è stata proposta da Quintero [135] una stadiazione della TTTS che appare utile non solo ai fini prognostici, ma anche per la scelta del trattamento prenatale da effettuare (Tabella 14.2). I trattamenti proposti sono i seguenti: amnioriduzioni seriate, laser-ablazione dell’anastomosi vascolari, clampaggio del funicolo. Le amniocentesi evacuative trovano indicazione nelle forme meno gravi di TTTS (stadio I e II di Quintero). Il numero di procedure dipende dalla rapidità con la quale il liquido amniotico si riforma. Nel corso di ogni singola procedura è sufficiente che la tasca verticale massima divenga non superiore a 50-60 mm. Fattori prognostici sfavorevoli sono: comparsa pre-
coce (<22 settimane) dei segni ecografici della TTTS, l’AREDF in ombelicale e il rapido riformarsi del liquido amniotico con aspirazione dello stesso (>1.000 ml alla settimana). Nei casi ad evoluzione favorevole la sopravvivenza è nell’ordine del 50-60%, ma una percentuale non trascurabile dei sopravvissuti (circa 20%) presenta sequele neurologiche secondarie alle lesioni cerebrali che le turbe emodinamiche della TTTS comportano. Nelle forme più gravi (III e IV stadio di Quintero) è indicata l’ablazione selettiva delle anastomosi A-V mediante fotocoagulazione laser endoscopica (SLPCV) [136, 137]. Questo trattamento, sebbene l’esperienza al momento sia ancora limitata, sembra garantire, soprattutto se i danni fetali non sono ancora irreversibili, maggiori probabilità di sopravvivenza e minori percentuali di sequele cerebrali nei sopravvissuti. Nei casi di MEF imminente di un feto (idrope) si ricorre al clampaggio del funicolo.
Tabella 14.2. Stadiazione della TTTS secondo Quintero Stadio
Oligo-poliamnios
I II III IV V
+ + + + +
No visualizzazione vescica donatore + + + +
Alterazioni flussimetriche + + +
Idrope
MEF
+ +
+
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
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Capitolo 14 • Terapia fetale • U.Nicolini
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CAPITOLO 15
Aborto spontaneo ricorrente: nuovi sviluppi patogenetici, diagnostici e terapeutici E. Vaquero • N. Lazzarin • G. Di Pierro • D. Arduini
INTRODUZIONE Un aborto è tradizionalmente definito “ricorrente” quando si manifesta in tre o più episodi clinicamente accertati, con o senza una precedente gravidanza con parto vitale, prima della 20ª-22ª settimana [1]. Si parla di aborto spontaneo ricorrente (ASR) primario in presenza di aborti ed assenza di una gravidanza con un figlio vivo e di ASR secondario qualora vi sia almeno una precedente gravidanza con figlio vivo a prescindere dal numero di aborti subiti. Tale patologia colpisce circa il 5% delle coppie in età fertile. In presenza di tale condizione si è concordi sulla necessità d’intraprendere un iter diagnostico per individuare le possibili cause che essa sottende. Negli ultimi anni la definizione di ASR è stata modificata e si ritiene necessario intraprendere l’iter diagnostico già dopo due aborti consecutivi. Lo stesso American College of Obstetricians and Gynecologists (ACOG) raccomanda attualmente di avviare la ricerca delle cause dopo una seconda perdita, specialmente in donne con età superiore ai 35 anni, con difficoltà al concepimento [2] o in coppie ansiose di iniziare la ricerca. Dati derivanti da indagini epidemiologiche, inoltre, dimostrano che il rischio di un nuovo aborto non varia significativamente in presenza di due o tre precedenti insuccessi gestazionali. Risulta infatti che il rischio di un successivo aborto è del 26% dopo due precedenti insuccessi e del 30% dopo tre precedenti aborti, mentre tale rischio aumenta al 40% dopo 4 episodi abortivi [3]. Benché in un gran numero di casi (40-60%) non sia possibile individuare un fattore alla base degli insuccessi gestazionali, esistono diverse patologie che si considerano in grado di determinare una condizione di ASR ed includono anomalie endocrine, malformazioni uterine, anomalie genetiche, patologie autoimmuni (Fig. 15.1) [4]. Recentemente, tuttavia, sono emerse evidenze che suggeriscono l’associazione tra ASR ed altre condizioni
patologiche che includono alterazioni del sistema coagulativo, immunologico e anomalie della perfusione uterina. Lo scopo di questo capitolo sarà dunque quello di esplorare i diversi aspetti dell’ASR privilegiando le nuove teorie patogenetiche sulla base delle quali è possibile ipotizzare diverse strategie terapeutiche.
FATTORE ANATOMICO Definizione ed epidemiologia Le malformazioni uterine sono anomalie congenite dell’apparato genitale femminile. Esse sono il risultato di un mancato sviluppo o cavitazione, fusione o riassorbimento dei dotti di Muller durante la vita fetale. La mancata formazione di ambedue o uno dei dotti di Muller porta all’agenesia uterina o all’utero unicorne, la mancata canalizzazione alla formazione di cavità rudimentarie, mentre dalla mancata o incompleta fu-
Fig.15.1.Incidenza dei diversi fattori eziologici di ASR nella nostra casistica
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
sione dei dotti origina l’utero bicorne completo o parziale, infine il mancato riassorbimento del setto centrale da luogo all’utero setto completo, parziale o all’utero arcuato. La classificazione tuttora in uso per distinguere le malformazioni uterine è quella dell’American Fertility Society (1988) basata sul precedente lavoro di Buttram e Gibbons [5]. Questa classificazione tiene in considerazione il grado di anomalia e le possibilità terapeutiche e prognostiche delle diverse classi di malformazioni, anche se attualmente sono allo studio alcune modificazioni alla luce delle nuove metodiche diagnostiche e terapeutiche. Le malformazioni uterine sono riconosciute causa di complicazioni ostetriche, parto pretermine, presentazioni anomale, infertilità e aborto. La prevalenza delle anomalie uterine nelle pazienti con aborto spontaneo ricorrente varia nelle casistiche fra l’1% [4] e il 28% [6], ma il valore medio (12-14%) è quello a cui si avvicinano la maggioranza delle casistiche e questa percentuale risulta significativamente maggiore del 2-4% osservata mediamente nella popolazione di donne fertili.
Patogenesi Fra le anomalie congenite mulleriane, l’utero setto è la più frequente ed è associata con la più alta percentuale di fallimenti riproduttivi e complicazioni ostetriche [7]. Il meccanismo mediante il quale l’utero setto interferisce nella riproduzione non è ancora inequivocabilmente dimostrato. Infatti, se da molti è stato ipotizzato che l’aborto possa essere il risultato di una scarsa vascolarizzazione del setto che sarebbe responsabile di un difetto di impianto e placentazione [8, 9], alcuni hanno evidenziato un aumento di tessuto contrattile con una maggior contrattilità dell’utero che condurrebbe all’aborto [10]. Il meccanismo mediante il quale l’utero setto determina l’effetto avverso sulla gravidanza non è verosimilmente unico e sono state proposte molte ipotesi patogenetiche. Il ridotto volume della cavità uterina e l’incompetenza cervicale possono causare aborti nel secondo trimestre e parto pretermine, mentre l’eccesso di tessuto fibroso scarsamente vascolarizzato del setto potrebbe portare a effetti negativi nella placentazione e aborti precoci [9]. Uno studio in cui è stata localizzata la sede d’impianto mediante ecografia transvaginale ha dimostrato che il sito d’impianto era a livello della parete laterale dell’utero nelle gravidanze evolutive, mentre in 7 su 8 di quelle esitate in aborto l’impianto era sul setto [11]. Solo due autori che si segnalano per completezza, hanno in contrasto trovato una diminuzione di connettivo e un aumento relativo di tessuto muscolare nel
setto che secondo questa ipotesi, tutta da dimostrare, porterebbe ad aumento della contrattilità uterina e aborto [10].
Diagnosi La diagnosi di queste anomalie è importante, ma soprattutto la diagnosi differenziale fra le varie malformazioni riveste da alcuni anni una maggiore importanza clinica. Infatti, l’impatto sull’esito riproduttivo è differente per la differente vascolarizzazione dell’utero bicorne rispetto all’utero setto, essendo l’utero bicorne omogeneamente vascolarizzato, mentre nell’utero setto si verifica una riduzione della vascolarizzazione della parete del setto e conseguentemente dell’endometrio sovrastante che può essere responsabile di impianto difettoso. L’isterosalpingografia è l’esame che storicamente è stato utilizzato per la diagnosi delle malformazioni uterine, ma consente solo una diagnosi di duplicazione della cavità mentre per una diagnosi precisa attualmente ai fini prognostici e terapeutici è necessario esaminare anche il profilo esterno dell’utero. Un gran numero di casi diagnosticati con isterosalpingografia come utero bicorne sono ora riconosciuti essere setti. L’isteroscopia diagnostica rivela anche le minime deviazioni del profilo fundico, ma questa sensibilità non sempre è accompagnata da una specificità elevata, anche se l’esame può essere reso più obiettivo mediante una camicia graduata che possa misurare la distanza fondo-ostio tubarico. Importante è inoltre la valutazione della vascolarizzazione endometriale sull’area del setto rispetto alle aree circostanti. L’isteroscopia valuta la cavità uterina e non può discriminare tra utero setto e bicorne, la combinazione di isteroscopia e laparoscopia risulta quindi il metodo che consente la diagnosi definitiva delle malformazioni uterine. La laparoscopia è però più invasiva, e pertanto già da alcuni anni si è cercato di eseguire la valutazione del profilo uterino esterno con esami meno invasivi; alcuni hanno utilizzato la RM che è purtroppo gravata da elevati costi, e la maggioranza degli studi propongono l’ultrasonografia. Esistono alcune segnalazioni di diagnosi eseguite mediante ecografia addominale in fase luteale, ma l’esame per via transvaginale ha avuto una notevole diffusione per la sua maggiore sensibilità e specificità che ha raggiunto il 92%. Quello che ha veramente consentito di eliminare i falsi positivi e negativi è l’ecografia tridimensionale che rende possibile la visualizzazione della superficie sierosa e mucosa nella stessa scansione coronale e la valutazione della profondità del setto (Fig. 15.2).
Capitolo 15 • Aborto spontaneo ricorrente:nuovi sviluppi patogenetici,diagnostici e terapeutici • E.Vaquero,N.Lazzarin,G.Di Pierro,D.Arduini
Fig. 15.2. Criteri ecografici 3D per la diagnosi di utero setto
È stata creata una classificazione delle malformazioni mediante eco 3D che consente di rendere obiettiva la differenza fra utero bicorne e setto e tra setto e arcuato, usando un criterio precedentemente utilizzato in isterosalpingografia che misura la profondità del setto in rapporto alla lunghezza totale della cavità fornendo così un indice di distorsione della cavità stessa. La diagnosi di utero arcuato viene posta quando l’angolo formato dal setto è maggiore di 90°. L’utero è considerato setto quando l’eventuale incisura del profilo esterno è minore di 10 mm mentre se è maggiore l’utero è considerato bicorne. Essendo scarsamente invasiva l’ecografia transvaginale tridimensionale può diventare il metodo di scelta per la diagnosi delle malformazioni uterine, ma ancora gli alti costi dello strumentario non hanno consentito una larga diffusione di tale metodica.
Terapia Si può quindi ipotizzare che il ricostruire una normale cavità uterina possa migliorare la prognosi riproduttiva nelle pazienti con aborto spontaneo ricorrente. La metroplastica isteroscopica è attualmente considerata il trattamento di prima scelta per queste pazienti [12]. Fino ad alcuni anni fa l’unico intervento utilizzato sia per l’utero setto che per l’utero bicorne era la metroplastica per via addominale (Tompkins, Bret-Palmer o Strassman), intervento che comporta sia la comparsa di aderenze extra- e intrauterine sia spesso una non completa normalizzazione della cavità, unita alla necessità di taglio cesareo. Attualmente l’utero setto è quello che con l’avvento della metroplastica transcervicale e in particolare isteroscopica ha mostrato i migliori risultati terapeutici. L’isteroscopia operativa consente di asportare
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il setto fibroso incidendolo fino alla superficie miometriale senza o con minimo danno alle fibre miometriali il che comporta minor incidenza d’aderenze e migliore restitutio ad integrum della cavità uterina, oltre alla minore invasività e ospedalizzazione. Inoltre, non comporta la successiva assoluta necessità di taglio cesareo. L’efficacia riproduttiva di tale trattamento è stata ormai dimostrata da numerosi lavori presenti in letteratura che evidenziano come le percentuali di aborto in queste pazienti si riducano dall’80% al 15-20% [12-16]. L’intervento di metroplastica isteroscopica è normalmente eseguito in pazienti con aborto ripetuto, e in particolare sembra emergere da una recente pubblicazione che non ci sia differenza statisticamente significativa nell’incidenza di malformazioni uterine tra pazienti con 2 o più di due aborti [1]. La metroplastica isteroscopica è eseguita con metodi diversi e numerose recenti pubblicazioni non hanno evidenziato differenze nei risultati a seconda che questa venga eseguita con resettoscopio, con corrente mono- o bipolare o mediante incisione con microforbici a lama fredda. I fautori della lama fredda sostengono che questo metodo consenta di non ledere le fibre miometriali sottostanti il setto che potrebbero essere danneggiate dall’ansa elettrica. Non c’è univoco accordo sul metodo più adatto per stabilire il termine della resezione ed eliminare completamente il setto senza distruggere le fibre muscolari normali. Gli accorgimenti più utilizzati sono: la visualizzazione dei due osti tubarici senza residuo di setto, l’evidenziazione delle fibre muscolari fascicolate roseo-giallastre in contrasto con il tessuto del setto biancastro fibroso, e di un piccolo sanguinamento dei primi lembi di miometrio, che si può meglio valutare chiudendo l’entrata del mezzo di distensione e lavaggio. L’intervento può essere eseguito sotto controllo laparoscopico per evidenziare il profilo esterno dell’utero e regolare indirettamente la resezione interna, ma questo non si è rivelato utile nel controllare direttamente la resezione e prevenire un danno miometriale, perchè il laparoscopio può evidenziare una lesione solo quando essa si sia già manifestata o sia in procinto di verificarsi, anche utilizzando la transilluminazione. Da alcuni è utilizzato il controllo ecografico intraoperatorio, allo scopo di lasciare uno sperone fundico di almeno 1 cm che sembra essere lo spessore minimo utile nel prevenire il rischio di rottura d’utero in gravidanza. Questo metodo non è però semplice da utilizzare per le difficoltà nel trovare la perfetta sezione longitudinale per via addominale durante l’intervento. L’esame 3D sicuramente ha permesso di misurare con maggiore accuratezza le dimensioni del setto e il profilo dell’utero e di modulare l’intervento a seconda delle dimensioni del setto e della morfologia uterina esterna. In conclusione, l’intervento di metroplastica istero-
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
scopica, che attualmente è l’intervento di prima scelta per la terapia dell’utero setto, ha dimostrato la sua utilità nei casi di poliabortività e da molti viene eseguito anche preventivamente in pazienti con desiderio di gravidanza e diagnosi di utero setto, e nelle pazienti che devono essere sottoposte a FIVET in cui si è evidenziato un aumento delle percentuali di impianto dopo eliminazione del setto. Rimane controversa l’opportunità di trattare le pazienti con sterilità primitiva in cui alcuni autori hanno evidenziato un aumento delle gravidanze. Un’altra controversia è l’utilità di trattare i setti minimi di profondità <10 mm e gli uteri arcuati; infatti, la letteratura è discordante e mentre alcuni hanno evidenziato in queste pazienti un aumento di aborti e/o parti pretermine, altri mostrano una percentuale di aborti non diversa da quella degli uteri normali [1, 17]. La differenza sembra essere nella vascolarizzazione piuttosto che nelle dimensioni della protrusione che andrebbe trattata solo in caso di ridotta vascolarizzazione e aborti ripetuti.
FATTORE VASCOLARE Lavori emersi negli ultimi anni hanno messo in evidenza il ruolo della perfusione uterina nel determinare il successo dell’impianto dimostrando che un’adeguata vascolarizzazione uterina è tra i fattori maggiormente coinvolti nel determinare la recettività uterina [18, 19]. Questi studi sono stati possibili grazie all’introduzione della flussimetria doppler delle arterie uterine che costituisce una metodica non invasiva attraverso cui è possibile valutare la perfusione dell’utero. Con questa tecnica è stato dimostrato che durante il normale ciclo mestruale le resistenze del flusso uterino diminuiscono progressivamente raggiungendo i livelli più bassi a metà della fase luteinica, nel periodo che coincide con un eventuale impianto [20]. Studi condotti in pazienti sottoposte a tecniche di riproduzione assistita hanno inoltre dimostrato che l’analisi delle resistenze delle arterie uterine rappresenta un buon indice per valutare la possibilità di successo dell’impianto. In particolare questi studi riportano che elevate resistenze uterine si correlano con un ridotto tasso di concepimento mentre più bassi indici di resistenza si associano a maggiori possibilità di gravidanza [21, 22]. Sulla base di queste osservazioni è dunque possibile ipotizzare che la vascolarizzazione uterina svolga un ruolo determinante anche nell’ASR. Per tale motivo in un nostro recente studio [23] abbiamo valutato, nella seconda metà della fase luteinica, gli indici flussimetrici delle arterie uterine in donne con ASR legato a diversi fattori eziologici (anomalie endocrine, malformazioni anatomiche, alterazioni trombofiliche, patolo-
gia autoimmune, anomalie genetiche) paragonandoli a quelli di un simile gruppo di donne fertili. I risultati dello studio confermano il ruolo della vascolarizzazione uterina nell’ASR dimostrando resistenze uterine significativamente più elevate nelle donne affette da queste patologie rispetto al gruppo di controllo. Separando le pazienti in base ai diversi fattori causali abbiamo inoltre potuto dimostrare il contributo del fattore vascolare nell’ASR dovuto a diversi fattori eziologici. Resistenze elevate, più alte rispetto al gruppo di controllo, sono state, infatti, evidenziate in pazienti con ASR legato alla sindrome da anticorpi antifosfolipidi e ad anomalie anatomiche. In questi casi è possibile supporre che l’alterata vascolarizzazione uterina, presumibilmente secondaria alla patologia di base delle pazienti, contribuisca in modo determinante alla sfavorevole prognosi ostetrica. A sostegno di tale ipotesi è l’osservazione che le più elevate resistenze sono state evidenziate in donne con ASR non spiegato. Questa osservazione suggerisce che in tale gruppo di pazienti gli insuccessi gestazionali, altrimenti non spiegati, potrebbero essere secondari all’alterata vascolarizzazione uterina [23]. Sulla base di questi risultati possiamo, dunque, ipotizzare che un’anomala perfusione uterina rappresenti un importante cofattore nell’ASR dovuto a particolari fattori eziologici e la causa di molti casi di ASR precedentemente considerati inspiegati. Allo stesso tempo possiamo ipotizzare che utilizzando specifici approcci terapeutici, in grado di migliorare la vascolarizzazione uterina, sarà possibile migliorare la prognosi gestazionale in queste pazienti.
FATTORE ENDOCRINO Si ritiene che fattori endocrini contribuiscano all’aborto ricorrente nel 10-20% dei casi. A questo riguardo rivestono particolare importanza i deficit della funzione luteale e le anomalie della funzione tiroidea.
Deficit della fase luteale Un’insufficienza della fase luteale, definita come anomala funzione del corpo luteo, con una diminuita produzione di progesterone sembra svolgere un ruolo di primaria importanza nell’aborto ricorrente. La secrezione di progesterone da parte del corpo luteo è, infatti, critica per la sopravvivenza dell’embrione sino a quando non avviene lo spostamento luteo-placentare, tra la settima e la nona settimana di gestazione. Tuttavia il livello preciso di progesterone necessario per raggiungere e mantenere una gravidanza non è noto.
Capitolo 15 • Aborto spontaneo ricorrente:nuovi sviluppi patogenetici,diagnostici e terapeutici • E.Vaquero,N.Lazzarin,G.Di Pierro,D.Arduini
Il progesterone agisce nella preparazione della decidua non solo attraverso un meccanismo endocrino ma anche immunologico. È, infatti, noto il ruolo immuno-modulante del progesterone in vivo. I tentativi di interrompere la gravidanza attraverso il blocco del recettore per il progesterone hanno avuto esito positivo. Inoltre, in considerazione degli elevati livelli di progesterone a livello dell’interfaccia materno-fetale, sembra plausibile che questo ormone eserciti un effetto immuno-modulante che contribuisca al mantenimento della gravidanza. Anche se la presenza del recettore per il progesterone sui linfociti periferici non è stata univocamente dimostrata, Szekeres-Bartho ha provato che i linfociti in coltura con progesterone di donne gravide sane esibiscono una maggiore affinità per l’ormone rispetto a quelli di donne non gravide [24]. Inoltre, in presenza di progesterone, questi linfociti rilasciano una proteina di 34 K Da detta progesterone induced blocking factor (PIBF). Il PIBF esercita un effetto immuno-modulante ed antiabortivo attraverso la down regulation delle cellule natural killer e l’inibizione del rilascio di acido arachidonico; la capacità dei linfociti di secernere il PIBF durante la gravidanza, si correla con l’esito gestazionale. Infatti in donne con minaccia di parto pretermine si rilevano livelli di PIBF inferiori rispetto a controlli sani [25]. Il PIBF esercita una importante attività anti-natural killer; un aumentata attività delle cellule NK si correla ad abortività, mentre elevati livelli di PIBF sono in grado di prevenire il riassorbimento embrionico nei ratti. Brevemente, a livello dell’ interfaccia materno-fetale i linfociti attivati si legano al progesterone e rilasciano sia PIBF che citokine di tipo Th2, in particolare IL-4, IL-10 e IL-3 che riconducono l’immunità cellulomediata verso un’immunità umorale protettiva per la gravidanza (shift Th1 verso Th2) [25].
Anomalie della funzione tiroidea Un’alterazione della funzione tiroidea costituisce la patologia endocrina più frequente nella donna in età riproduttiva. La presenza di un’alterazione tiroidea può compromettere significativamente la prognosi riproduttiva interferendo negativamente sia sull’insorgenza della gravidanza che sul successo dell’impianto e soprattutto determinando complicanze ostetriche e ripercussioni a distanza per la madre ed il feto [26-28]. È necessario sottolineare, tuttavia, che tra le alterazioni della funzione tiroidea la presenza di ipertiroidismo, benché nelle forme più gravi possa interferire con la funzione ovulatoria [29], generalmente non altera il decorso della gravidanza, mentre l’ipotiroidismo anche in forma subclinica si può associare ad importanti com-
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plicanze ostetriche tra cui l’ASR [27, 28]. L’importanza della funzione tiroidea nel successo della gravidanza è determinata dall’evidenza che la gravidanza più di ogni altra condizione fisiologica implica notevoli modificazioni della sua funzione. Durante la gravidanza fisiologica infatti si osservano variazioni della funzione tiroidea legate principalmente a: – incremento della concentrazione sierica della proteina di trasporto degli ormoni tiroidei (TBG), che determina un aumento della secrezione tiroidea in modo da mantenere normale la concentrazione di ormoni liberi, biologicamente attivi; – riduzione della disponibilità di iodio per la ghiandola tiroidea materna, sia a causa di un aumento della filtrazione glomerulare e, quindi, della clearance, sia a causa del trasferimento di iodio e ormoni tiroidei dalla madre al feto; – attività tireotropica della β-hCG; – alterazione del metabolismo periferico degli ormoni tiroidei materni, presumibilmente attraverso un incremento dei processi di deiodinazione per mezzo della deiodinasi placentare di tipo III. Quando l’ipotiroidismo non è di natura iatrogena (ablazione tiroidea mediante radioiodio o chirurgia in donne precedentemente ipertiroidee), la causa più comune di ipotiroidismo nelle donne in età fertile è una malattia tiroidea autoimmune [29]. In particolare, sono stati chiamati in causa due tipi di anticorpi antitiroide: l’anticorpo anti-tireoperossidasi e l’anticorpo anti-tireoglobulina, la cui presenza deve essere considerata indice di patologia tiroidea in atto o che verosimilmente si sta sviluppando [30]. L’associazione tra alterazioni tiroidee lievi o moderate, come la presenza di anticorpi antitiroide e l’aborto spontaneo o una cattiva prognosi ostetrica è tuttavia ancora molto dibattuta. Gli studi a nostra disposizione dimostrano che la presenza di anticorpi anti-tiroide si associa ad una elevata percentuale di aborto e ad un rischio due volte superiore di sviluppare ipertensione gestazionale [30, 31]. In uno studio di Singh [31] il 32% delle pazienti con anticorpi antitiroide hanno abortito mentre solo nel 16% delle pazienti con anticorpi negativi la gravidanza si è interrotta. Simili risultati emergono dai lavori di StagnaroGreen [32] e Glinoer [29] nei quali si evidenzia che indipendentemente dall’età o dagli insuccessi gestazionali precedenti, pazienti con anticorpi antitiroide presentano un aumentato rischio di aborto, benché clinicamente e biochimicamente eutiroidee. Infine, dai dati della letteratura emerge che gli anticorpi antitiroide rappresentano un fattore indipendente per identificare pazienti a rischio di ASR [33]. In queste pazienti, infatti, gli anticorpi antitiroide si presentano con maggiore frequenza rispetto ai più studiati anticorpi non
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organo specifici che sono, tutto considerato, più rari in gruppi non selezionati di pazienti poliabortive [34, 35]. Il meccanismo attraverso cui tali auto-anticorpi agiscono è ancora controverso. La placenta umana produce diversi ormoni simili alla tireotropina, inclusa la tireotropina corionica e la β-hCG; l’interazione tra questi ormoni e gli anticorpi antitiroide, in particolare con la β-hCG, che nelle prime fasi della gravidanza è necessaria per un sufficiente apporto di progesterone, potrebbe essere la causa della successiva interruzione della gravidanza [36]. Alternativamente si potrebbe speculare che gli anticorpi antitiroide semplicemente riflettano un’anomala risposta immunitaria legata ad attivazione generalizzata del sistema immunologico. Secondo alcuni autori, infatti, gli anticorpi anti-tiroide rappresenterebbero un segno di funzionalità T-linfocitaria alterata ed avrebbero lo stesso significato di anticorpi non organo-specifici. Secondo gli stessi autori la strategia terapeutica più indicata è rappresentata dall’utilizzo di terapie, come l’infusione endovenosa di immunoglobuline ad alte dosi (IVIG), in grado di modulare la funzionalità immunitaria [33]. Come ipotizzato dalla maggior parte degli autori [29, 34], infine la presenza di anticorpi anti-tiroide rappresenterebbe il sintomo di un ipotiroidismo silente (rilevabile solo da lievi aumenti di TSH con FT4 e FT3 nella norma). Questa condizione, che risulta generalmente priva di significato, potrebbe divenire clinicamente evidente in condizioni di aumentato fabbisogno, come in gravidanza, quando per l’iperestrogenismo, per l’azione tireostimolante della β-hCG e per l’aumento della clearance dello iodio si ha una maggiore richiesta di ormone tiroideo. Si realizza così un quadro di reale ipotiroidismo che, soprattutto nelle prime fasi di gravidanza, sarebbe responsabile di alterazioni irreversibili sull’unità feto-placentare tali da portare all’aborto precoce. Allo scopo di chiarire il meccanismo di azione degli anticorpi antitiroide il nostro gruppo ha portato avanti una ricerca studiando pazienti con ASR ed alterazioni subcliniche dell’omeostasi tiroidea [33]. Obiettivo di questo studio era, inoltre, quello di proporre per la prima volta una strategia terapeutica volta a migliorare la prognosi gestazionale. I risultati ottenuti sono in accordo con le evidenze riportate in letteratura [29]. Infatti, pazienti con anticorpi antitiroide presentano al di fuori della gravidanza una condizione di eutiroidismo; tuttavia, sottoponendo queste stesse pazienti al test al TRH per TSH, che potremmo definire uno stress test della tiroide, capace di mimare la condizione di iperlavoro cui viene sottoposta la tiroide durante la gravidanza, abbiamo osservato che per la maggior parte, i soggetti mostravano valori alterati compatibili con un quadro di ipotiroidismo
subclinico. In queste pazienti abbiamo utilizzato un protocollo terapeutico in grado di prevenire l’insorgenza di ipotiroidismo, somministrando prima del concepimento o comunque sin dalle prime fasi di gravidanza, ormone tiroideo con una bassissima incidenza di aborto. Solo il 19% delle pazienti hanno abortito mentre l’81% hanno portato a termine la gravidanza. Tali risultati sono ancor più sorprendenti se paragonati a quelli ottenuti trattando un simile gruppo di pazienti con IVIG. Utilizzando questa terapia solo il 50% delle pazienti hanno portato a termine la gravidanza. Queste osservazioni confermano l’importanza degli anticorpi antitiroide e suggeriscono che il meccanismo patogenetico attraverso cui agiscono sia di tipo endocrino piuttosto che immunologico e che la causa dell’interruzione della gravidanza risieda nello stato di ipotiroidismo latente indotto dagli anticorpi stessi in gravidanza (Fig. 15.3).
Fig. 15.3. Prognosi gestazionale in pazienti con ASR e anticorpi antitiroide trattate con supplementazione tiroidea o IVIG
Un’ulteriore conferma deriva dall’osservazione che anche una condizione di ipotiroidismo subclinico, svelata dal test al TRH per TSH, senza anticorpi antitiroide, può essere causa di insuccessi gestazionali sporadici o ripetuti. Includendo il test al TRH per TSH, infatti, abbiamo riscontrato la presenza di ipotiroidismo latente in molte pazienti che non presentavano altri fattori di rischio. Sottoponendo queste a terapia con supplementazione tiroidea, abbiamo ottenuto un significativo miglioramento della prognosi gestazionale (Fig. 15.4). I risultati del nostro lavoro, confermando che anticorpi antitiroide rappresentano un fattore di rischio indipendente e non un segno di una aspecifica attivazione del sistema immunologico, dimostrano che essi agiscono con un meccanismo di tipo endocrino, inducendo
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Fig. 15.4. Prognosi gestazionale in pazienti con ASR e ipotiroidismo subclinico trattate con supplementazione tiroidea
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tore di necrosi tumorale (TNF-alfa), che stimolano la risposta cellulo-mediata. Le cellule Th2 secernono soprattutto interleuchina 4 (IL-4), interleuchina 5 (IL-5) ed interleuchina 10 (IL-10), che inibiscono l’attività cellulo-mediata e aumentano la risposta umorale [37]. Molte teorie immunologiche sono state proposte per spiegare l’interruzione di gravidanza nell’uomo, anche se in molti casi mancano ancora prove concrete a loro sostegno. In particolare alcune anomalie immunologiche quale l’alterata espressione delle molecole immunoregolatrici HLA-G, la prevalenza della risposta citochinica di tipo cellulomediata Th1 rispetto alla risposta di tipo Th2 o l’incremento dell’attività delle cellule Natural Killer (NK) possono indurre l’interruzione della gravidanza [1]. Altre ipotesi immunologiche “storiche” meno in auge , sono ancora prese in considerazione e verrano brevemente esposte.
una condizione di ipotiroidismo latente. La strategia terapeutica più efficace nel migliorare la prognosi gestazionale si è, infatti, rivelata la supplementazione tiroidea. Infine, anche un quadro isolato di ipotiroidismo subclinico costituisce una condizione di aumentato rischio di aborto ed è quindi di fondamentale importanza individuare precocemente le pazienti affette ed iniziare rapidamente la terapia con supplementazione tiroidea. Naturalmente, sono necessari ulteriori studi per chiarire il ruolo delle alterazioni tiroidee in gravidanza e per introdurre strategie terapeutiche più mirate ed efficaci.
FATTORE IMMUNOLOGICO Si ritiene che i fattori immunologici siano la causa più frequente di ASR essendo responsabili del 60-70% dei casi. Il sistema immune è un’entità complessa ed integrata, il cui scopo è quello di difendere l’organismo da ogni cellula o sostanza non riconosciuta come propria. Questo sistema può essere semplicisticamente suddiviso in due componenti: il sistema immune umorale, costituito dagli anticorpi prodotti dalle plasmacellule derivate dai linfociti B attivati, ed il sistema immune cellulare, costituito da linfociti T, macrofagi, cellule Natural Killer (NK) e dalle proteine da loro secrete, denominate citochine. In modo più specifico, la risposta immune viene stimolata quando i linfociti T helper (CD4), riconoscono antigeni proteici espressi sulla membrana delle cosidette “cellule che presentano l’antigene”, in associazione a molecole del complesso maggiore d’istocompatibilità (MHC) di classe II. I linfociti T CD4 si distinguono in due sottogruppi, denominati Th1 e Th2 in base al tipo di citochine secrete (Fig. 15.5). Le cellule Th1 secernono principalmente interferone gamma (IFN-gamma), interleuchina 2 (IL-2) e fat-
Fig. 15.5. Schema dei due sottogruppi di linfociti T CD
Ipotesi della “vicinanza antigenica” Il concetto che il prodotto del concepimento sia un trapianto di materiale immunologicamente estraneo (semiallogenico), che deve essere tollerato dalla madre per poter sopravvivere, è stato introdotto per la prima volta da Sir Peter Medawer nel 1953. Questa teoria che considera il prodotto del concepimento, dal punto di vista immunologico, come un trapianto è stata molto in auge fino alla fine degli anni ottanta. Dal momento che sia l’embrione in via di sviluppo che il trofoblasto sono immunologicamente estranei al sistema immune materno, è stato ipotizzato che l’aborto possa essere causato da una compromissione della tolleranza immune della madre nei confronti del prodotto del concepimento semiallogenico. Infatti, un’ipotesi im-
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munologica proposta per spiegare l’aborto prende in considerazione la presenza di un deficit di anticorpi bloccanti materni (APCA). Tali anticorpi andrebbero a mascherare i determinanti anitigenici di origine paterna (HLA I e II) espressi sulla superficie del trofoblasto, in grado di indurre una risposta cellulomediata materna di rigetto. Questa teoria si basa su tre presupposti: – presenza di una risposta immune cellulo-mediata nei confronti del feto, che si sviluppa in tutte le gravidanze e che deve essere bloccata; – sviluppo di anticorpi bloccanti in tutte le gravidanze con esito favorevole; – morte dell’embrione in assenza di anticorpi bloccanti. Il deficit di anticorpi bloccanti materni (APCA) sarebbe indotto da un’eccessiva condivisione di antigeni HLA tra madre e feto. Sulla base di questa ipotesi, per diagnosticare l’assenza di fattori bloccanti contro le cellule paterne sono state eseguite colture linfocitarie miste madre-partner (MCL) e per prevenire l’aborto è stata sperimentata l’immunizzazione della paziente con l’introduzione nel circolo ematico di linfociti del partner che ipoteticamente sarebberro in grado di indurre nella madre la sintesi di APCA contro i determinanti HLA di classe I e II del partner [38]. Molti studi, però, hanno messo in dubbio l’ipotesi della “vicinanza antigenica”. Infatti, non vi è alcuna evidenza diretta di una risposta immune antifetale, né vi è alcuna prova diretta della presenza di anticorpi bloccanti in tutte le gravidanze con esito favorevole; inoltre il 50% delle gravidanze con esito infausto presentano comunque APCA.Infine non esiste un esame specifico attendibile che metta in evidenza questi ipotetici effettori immunoglobulinici. Quindi, nonostante il grande interesse suscitato da questa teoria, pochi sono i dati certi e la maggior parte degli autori non la considera più valida.
le cellule NK è diminuita, mentre in caso di aborto spontaneo risulta aumentata. Nonostante sia stato dimostrato uno shift dell’ immunità di tipo Th1 verso Th2 nelle gravidanze iniziali, i meccanismi che permettono la sopravvivenza dell’allotrapianto fetale, non sono a tutt’oggi completamente conosciuti. Le principali citochine coinvolte nella risposta Th1 sono l’interferone gamma (INF-gamma), il Tumor Necrosis Factor alfa (TNF-alfa) e l’interleuchina 2 (IL-2), mentre quelle più rappresentative della risposta Th2 sono IL-5, IL-4, IL10 ed il TGF-alfa2. Livelli elevati di IL-4, IL-5 e IL-10 caratterizzano le gravidanze fisiologiche mentre gli insuccessi riproduttivi si associano a livelli elevati di citochine proinfiammatorie (INF-gamma, TNF-alfa e IL-2) [39]. In condizioni sperimentali è stato confermato che l’esito della gravidanza può essere influenzato dallo squilibrio delle citochine. Infatti, linfociti messi in coltura con cellule di trofoblasto, provenienti da aborti, producono citochine di tipo Th1, mentre utilizzando placente non abortive si osserva una risposta di tipo Th2. La somministrazione a ratte in gravidanza di TNF-alfa, IFN-gamma o IL-2 (citochine di tipo Th1), provoca l’aborto che può essere prevenuto somministrando anticorpi antiTNF-alfa [39]. Recenti studi [40] hanno dimostrato che elevati livelli di TNF-alfa, citochina Th1, non vengono fisiologicamente tamponati dall’incremento dei recettori solubili per il TNF-alfa (TNF-R1 e TNF-R2), come avviene, invece, nelle gravidanze normali. In condizioni fisiologiche, le due isoforme di recettori solubili per il TNFalfa, sono presenti nel siero per desquamazione dalle membrane cellulari, il TNF-R1 è in grado di neutralizzare 100 volte più efficacemente il TNF rispetto al TNFR2. I livelli di recettori solubili per il TNF-alfa, possono essere incrementati dalla terapia con progesterone fino a raggiungere i livelli dei controlli fertili. Questo meccanismo dimostra ulteriormente l’effetto immuno-modulante del progesterone nella gravidanza iniziale.
Gravidanza come fenomeno Th2 Ruolo delle cellule NK in gravidanza Durante la gravidanza normale si osserva una riduzione della risposta cellulo-mediata ed un aumento della produzione di anticorpi. Infatti, una imponente risposta cellulo-mediata nei confronti del feto rappresenterebbe un pericolo per la gravidanza, mentre un aumento della produzione anticorpale (fatta eccezione per gli anticorpi anti-fosfolipidi) non sembra costituire un evento dannoso. La gravidanza fisiologica va dunque considerata un fenomeno Th2 come dimostrato da numerose evidenze in vivo ed in vitro. Da esperienze in vivo sappiamo che malattie come l’artrite reumatoide, alla cui base c’è un’alterazione della risposta citotossica, durante la gravidanza vanno incontro ad una fase di remissione o quantomeno di miglioramento. Inoltre, durante la gravidanza fisiologica l’attività del-
Si può quindi ipotizzare che durante la gravidanza fisiologica l’embrione protegge se stesso inducendo una risposta immune, sistemica e locale, caratterizzata dalla secrezione di citochine Th2 che sopprimono la risposta cellulo-mediata a livello dell’interfaccia materno-fetale. Il trofoblasto, inoltre, rappresenta una barriera in grado di resistere all’attacco delle cellule T citotossiche convenzionali. Infatti, durante la fase secretiva e nella decidua della gravidanza iniziale il numero di cellule mononucleate reclutate aumenta ed il 70% di queste cellule è rappresentato dalle Large Granular Cells (LGC) o cellule NK. Tali cellule hanno un fenotipo caratteristico CD56bright/CD16- e differiscono dalle cellule NK periferiche che sono per la maggior parte CD56dim/CD16+.
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In base all’intensità di espressione del CD56, queste cellule si dividono in due sottopopolazioni: CD56dim, ad attività citotossica spiccata, e cellule CD56 bright, ad attività immuno-regolatrice attraverso la secrezione di citochine (INF-gamma e TNF-alfa) [41]. La funzione delle cellule NK viene regolata dall’espressione sulla loro superficie, di una serie di recettori ad azione attivatrice o inibitrice. In particolare il CD69 ed il CD161 sono della famiglia dei KARs (Killing Immunoglobulin-like Activating Receptor) mentre i CD158a e CD158b appartengono alla famiglia dei KYRs (Killing Immunoglobulin-like Inhibiting Receptor) [42]. Il ruolo delle cellule NK in condizioni fisiologiche è quello di limitare la migrazione del trofoblasto nella decidua, controllare le infezioni locali e regolare il processo di neoangiogenesi attraverso le secrezioni citochiniche. Una piccola parte di queste cellule costituiscono le cellule NS (Natural Suppressor), il cui ruolo è quello di secernere il fattore di trasformazione della crescita β (TGFβ) ad effetto immuno-soppressivo locale e favorente la crescita del trofoblasto [43]. In condizioni fisiologiche, all’inizio della gravidanza, le cellule NK deciduali ad attività citotossica diminuiscono in numero mediante un processo di apoptosi e la loro attività viene inibita attraverso il legame di un loro recettore KIR ad antigeni HLA C ed HLA G sulla superficie del trofoblasto [44]. In condizioni patologiche, al contrario, si produce uno sbilanciamento dell’equilibrio citochinico con prevalenza di citochine Th1 che attivano le cellule deciduali a fenotipo NK (CD56+ CD16-) trasformandole in potenti cellule LAK (Lymphokyne-Activated Cell); le cellule NK attivate si legano al trofoblasto attraverso un recettore KAR che invia alle cellule un segnale di stimolo provocandone la loro degranulazione e rilascio di enzimi proteolitici quali la perforina in grado di provocare la lisi del trofoblasto (Fig. 15.6).
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La presenza di elevate concentrazioni e di attività delle cellule NK attivate deve essere considerata il principale fattore alla base del meccanismo abortogenico poiché: – in pazienti con aborto non legato ad anomalie cariotipiche si rilevano elevate quantità di cellule NK attivate [44]; – concentrazioni superiori alla norma di cellule NK al di fuori della gravidanza rappresentano un fattore di rischio per l’aborto e per il fallimento d’impianto [45]; – nella gravidanza fisiologica l’attività delle cellule NK deciduali è inferiore rispetto a quella rilevata nella decidua proveniente da gravidanze anembrionali o da pazienti con ASR [43]; – nelle pazienti con ASR e con fallimento d’impianto, l’attività delle cellule NK è aumentata ed è dovuta ad uno squilibrio nell’espressione dei recettori di tipo KYRs (CD158) che è diminuita rispetto all’espressione dei KARs (CD161) [42]; – nella gravidanza fisiologica molteplici fattori, immunologici ed endocrini, interagiscono tra loro per regolare l’attività di queste cellule. In particolare l’attività delle cellule NK viene inibita dalle citochine Th2 e dal progesterone. Come precedentemente spiegato, nella gravidanza normale, infatti, i linfociti presentano una elevata sensibilità e capacità di legame al progesterone. In presenza di questo ormone le cellule linfocitarie secernono una sostanza dal peso molecolare di 34 KDa, detta PIBF (Progesterone Induced Blocking Factor). Il PIBF, come già detto, è fondamentale per il buon esito della gravidanza grazie alla sua capacità d’inibire l’attività delle cellule NK e di stimolare i linfociti a secernere citochine Th2. Si può ipotizzare che in una gravidanza destinata al fallimento il trofoblasto secerne IL-2 e TNF-alfa che inducono le cellule T alla liberazione di citochine Th1. Le citochine Th1 sensibilizzano le cellule NK, trasformandole in cellule LAK in grado di distruggere il trofoblasto. Queste stesse citochine, inoltre, stimolano i macrofagi a secernere TNF-alfa, che amplifica il processo [25].
Ruolo delle cellule T in gravidanza
Fig. 15.6. Diverse modalità di espressione della risposta immunologia in condizioni fisiologiche (Th2) e patologiche (Th1)
Nonostante la teoria della vicinanza antigenica non sia più accettata, è opinione comune che durante la gravidanza esista una stimolazione del sistema immune materno in quanto le cellule del trofoblasto extravilloso (di origine fetale) e quindi semiallogeniche, invadono il circolo vascolare materno. Durante la gravidanza il feto riesce ad evitare il rigetto, a differenza di quanto avviene per il trapianto d’organo. Dal punto di vista dell’immunologia della riproduzione il riconoscimento allogenico da parte della madre e la risposta nei confronti degli antigeni fe-
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tali di origine paterna sono necessari per il successo della gravidanza [46]. Se la risposta nei confronti degli alloantigeni fetali non c’è o è insufficiente, non vi sarà una risposta immunologica protettiva materna a livello dell’interfaccia materno fetale e avverrà l’aborto [46]. Le cellule T sono presenti nell’endometrio della fase luteinica e nella decidua e rappresentano l’8-10% delle cellule monunucleate insieme ai macrofagi (20%) e ai Large Granular Lymphocytes (LGL) che rappresentano circa il 70% e le cellule NKT con caratteristiche sia delle T cellule che di quelle NK. La ricerca sul ruolo delle T cellule in gravidanza , è stata minore rispetto a quella sulle cellule NK. In base al tipo di recettore (TCR) che esprimono, i linfociti T possono essere classificati in αβ-TCR oppure γδ-TCR; queste due sottopopolazioni cellulari si trovano entrambe nella decidua. Il ruolo dei T linfociti che esprimono il recettore αβ-TCR è fondamentale nella risposta immune acquisita, ovvero nel riconoscimento allogenico di antigeni peptidici del sistema HLA. La diversità strutturale e funzionale del recettore TCR permette di riconoscere tutti gli antigeni naturali. Il legame dell’antigene al TCR provoca l’espansione clonale dei T linfociti con attivazione del gene BV che indurrà all’espressione a livello del recettore di una zona chiamata CDR (Complementary Determinig Region) in grado di riconoscere l’antigene. Sono state studiate 3 zone ipervariabili CDR a livello della catena β-CDR1, CDR2 e CDR3 di cui la regione CDR3 del recettore della T cellula (TCR) è responsabile del legame con l’antigene specifico. Lo studio dei polimorfismi del gene BV che codifica per il CDR3 del TCR è stato impiegato da diversi ricercatori nello studio dell’immunopatogenesi di diverse malattie. Recentemente Wang et al. [46] hanno dimostrato che a livello dell’interfaccia materno fetale le cellule T possono essere coinvolte nella patogenesi dell’ASR attraverso il tipo di fenotipo della catena β del recettore per il TCR espresso; in particolare il fenotipo BV5 del recettore è scarsamente impiegato in pazienti con fallimenti riproduttivi a differenza di quanto accade nei controlli sani. Un altro meccanismo di down regolazione dell’attività delle cellule T a livello dell’interfaccia materno fetale è rappresentato dalla secrezione da parte del feto e della decidua di CRF (Corticotrophin Releasing Factor) che inducendo le cellule trofoblastiche ad esprimere Fas-ligando, si lega al recettore di superficie per il Fas sui linfociti T inducendo la loro apoptosi. Comunque il ruolo delle T cellule non va considerato da solo ma all’interno di una complessa rete di cooperazione fra cellule del sistema immune, peptidi, ormoni, citochine e proteine che regolano il complemento; tutte queste sostanze dialogano in senso bidirezionale a livello dell’unità feto placentare per provvedere alla sopravvivenza del prodotto del concepimento.
Diagnosi delle alterazioni del sistema immune cellulare nell’ASR I rapporti fra le quantità e l’attività delle cellule NK e l’ASR è uno dei campi più controversi della medicina riproduttiva. Nell’ultima decade, diversi autori hanno proposto la valutazione della percentuale o dell’attività delle cellule NK periferiche come test diagnostico in pazienti affette da ASR o polinfertilità. Infatti, tali livelli risultavano incrementati nelle pazienti con ASR rispetto ai controlli fertili, sia prima che durante la gravidanza [47, 48]. Livelli elevati di cellule periferiche NK possono predire un nuovo episodio abortivo [49-51]. Questa valutazione si trovava alla base di alcuni tipi di immunoterapie il cui scopo era quello di down regolare il numero e l’attività delle cellule NK. Il decremento del numero o dell’attività delle cellule NK si correla con un esito gestazionale positivo [52-54]. Nonostante la grande quantità di lavori scientifici, alcuni autori [46] contestano il ruolo delle cellule NK periferiche nella patogenesi dell’ASR, per diversi motivi. In primo luogo, il fenotipo delle cellule NK periferiche (CD56-, 16+) differisce da quello degli NK deciduali (uNK) (CD56+, 16-) come anche la loro funzione: le cellule uNK deciduali hanno un potenziale immuno-regolatore attraverso il rilascio di citochine, che le cellule NK periferiche non hanno. Queste considerazioni, suggeriscono che si tratti di due diverse sottopopolazioni linfocitarie, in cui le cellule uNK hanno subito una differenziazione specifica tissutale. Per questo motivo i dati derivanti dagli studi sulle NK periferiche, non rispecchierebbero i processi immunopatologici che avvengono a livello dell’interfaccia materno-fetale. In secondo luogo gli autori contestano l’esecuzione della valutazione della percentuale delle cellule NK periferiche attraverso la citofluorometria in quanto il test è gravato da una elevata variabilità dovuta al tipo di raccolta del sangue, della separazione linfocitaria, l’esecuzione di esercizio fisico, la parità, ecc., che potrebbero falsare i risultati. Non ci sarebbe nemmeno consenso riguardo il valore di cut-off da considerare patologico. Diversi lavori scientifici, propongono numerosi cut-off come incremento percentuale delle cellule NK (>12% oppure >17%). Infine, l’ultimo appunto di questi autori [55] riguarda la necessità di trattare queste donne ed i risultati degli studi sulle immunoterapie, come discusso in seguito.
Terapia Le donne con elevati livelli di cellule NK periferiche, possono essere trattate con diversi tipi di terapie immunomodulanti quali i glucocorticoidi le immunoglo-
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buline endovena (IVIG), ed i farmaci anti-TNF-alfa che abbassando la percentuale e l’attività delle cellule NK, diminuiscono una risposta immune eccessiva.
di reazioni anafilattiche, rush cutaneo, febbre reversibile alla sospensione. La critica mossa a questa terapia è il costo elevato [66].
Glucocorticoidi
Anticitochine
I glucocorticoidi sono stati impiegati da decenni nella terapia di un’ampia gamma di malattie autoimmuni. Il razionale d’uso della terapia glucocorticoidea in pazienti affette da ASR e con elevati livelli di cellule NK è la dimostrazione del recettore per i glucocorticoidi sulla superficie delle cellule NK sia periferiche che deciduali (uNK). Alcuni autori hanno dimostrato che le pazienti con ASR presentano un numero di cellule uNK>5% e comunque superiore ai controlli fertili [56]. Inoltre è stato dimostrato che la terapia con prednisolone (20 mg/die) è in grado di diminuire i livelli di cellule uNK valutate in due biopsie consecutive, pre- e post terapia, rispetto a controlli fertili [57]. Questo reperto si potrebbe associare ad un esito gestazionale positivo. Tale tipo di immunoterapia è controversa in quanto alcuni lavori riscontrano benefici in termini di implantation rate [57] in pazienti con fallimento d’impianto mentre altri lavori, invece, non riscontrano benefici [58, 59].
Nella parte iniziale del capitolo abbiamo visto come alcune citochine di tipo Th1 possano avere un effetto deleterio sulla gravidanza iniziale. Basandosi sull’uso delle terapie con citochine ed anti-citochine nelle malattie ematologiche, alcuni ricercatori hanno ipotizzato che il blocco dei livelli eccessivi di TNF-alfa che si riscontra in pazienti con ASR potesse essere revertito dalla somministrazione di anti-TNF-alfa. È stato dimostrato negli animali da esperimento che l’anti-TNF-alfa era in grado di bloccare il riassorbimento embrionico in topoline gravide trattate. Questa terapia rimane a livello ancora sperimentale per i suoi effetti collaterali [39]. Rai et al. [44], contestano nel loro lavoro l’uso di terapie immunomodulanti sulla base della loro potenziale morbilità e del razionale terapeutico per il loro impiego. In particolare, l’uso delle immunoglobuline ad alte dosi si può associare, in una minima percentuale, a reazioni anafilattiche, febbre, mialgie, nausea e cefalea. L’uso di farmaci anti-TNF-alfa potrebbe associarsi allo sviluppo di linfomi malattie demielinizzanti e malformazioni in studi su animali da sperimentazione. Infine, l’uso di glucocorticoidi in dosaggi immunosopressivi si può associare a complicanze gravidiche quali PIH, PROM, diabete e parto pretermine. Inoltre il recettore per i glucocorticoidi è espresso sulla decidua ed i glucocorticoidi endogeni hanno un ruolo importante nella decidualizzazione perciò la somministrazione di glucocorticoidi esogeni a dosaggi farmacologici , potrebbe interferire con questo processo.
Immunoglobuline L’efficacia dell’impiego di immunoglobuline ad alte dose (IVIG) in somministrazioni mensili dalla fase preconcepimento fino alla 12ª-30ª settimana è stata confermata da 4 trials randomizzati [60-63] a da una metanalisi [64] dalla quale emerge un beneficio terapeutico di circa il 24% di tale terapia rispetto al placebo nell’ASR. Sfortunatamente i criteri di inclusione, i dosaggi e la durata delle terapie erano molto diverse, e la maggior parte degli studi considera pazienti con aborti altrimenti non spiegati e non con elevati livelli di cellule NK. Recenti studi [53, 65] hanno potuto dimostrare che la terapia con IVIG riduce significativamente i livelli di cellule NK periferiche in pazienti trattate. Le IVIG sono preparazioni monomeriche che provengono da un pool di migliaia di donatori e sono state impiegate nella terapia di diversi disordini immunologici già dal 1980. Dal punto di vista del meccanismo di azione l’efficacia delle immunoglobuline si spiega attraverso il loro meccanismo multipoint. La presenza di anticorpi anti-idiotipo nei preparati è in grado di manipolare il sistema immune a vari livelli. Gli anticorpi anti-idiotipo possono bloccare gli autoanticorpi formando dimeri idiotipo-anti-idiotipo che vengono eliminati dai macrofagi. Inoltre questi dimeri, attraverso il loro legame al recettore del Fc , sono in grado di down regolare i linfociti B inibendo la produzione anticorpale. Infine, essi modificano il repertorio del recettore della T cellula e, quindi, la loro funzione, favorendo il bias Th2. L’infusione è gravata da una piccola percentuale
TROMBOFILIE E ASR Il successo dell’impianto e della successiva placentazione prevede un perfetto equilibrio fra coagulazione, fibrinolisi e rimodellamento vascolare attraverso il processo dell’angiogenesi per evitare un accumulo eccessivo di fibrina nei vasi placentari e negli spazi intervillari [1]. La presenza di trombosi, infarti, depositi di fibrina intervillare a livello dei vasi placentari che portano ad insufficienza placentare rappresenta uno dei meccanismi principali dell’ASR [67]. Le trombofilie si possono classificare in acquisite e congenite o ereditarie Le trombofilie acquisite, quali la sindrome degli anti-fosfolipidi primaria, sono fattori di rischio inequivocabili per l’aborto ricorrente, mentre le trombofilie congenite quali l’eterozigosi per il fattore V di Leiden, la mutazione G20210A del gene della
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protrombina, la mutazione della metilentetraidrofolato reduttasi (C677T MTHFR), così come i deficit congeniti di proteine C ed S e di antitrobina III hanno un ruolo ancora da chiarire nella patogenesi dell’aborto ripetuto.
Sindrome degli anticorpi anti-fosfolipidi e ASR La presenza di anticorpi anti-fosfolipidi (aPL) si definisce con criteri di laboratorio come la presenza di un elevato titolo di anticorpi diretti contro fosfolipidi anionici, riconfermati in due occasioni a distanza di sei settimane e con criteri clinici quali: la presenza di un episodio trombotico arterioso, venoso o tissutale confermato alla diagnostica per immagini o istologicamente, oppure la presenza delle seguenti complicanze ostetriche: 3 episodi abortivi precoci consecutivi entro la 10a settimana, due episodi dopo la 10a settimana con feto sano oppure un parto pretermine entro la 34a settimana per grave PIH o insufficienza placentare [67]. Sono state anche descritte associazioni con ritardo di crescita intrauterino (IUGR), ipertensione gestazionale, preeclampsia, parto pretermine, morte endouterina e complicanze puerperali [68, 69]. Il meccanismo attraverso il quale gli aPL agiscono non è stato ancora completamente chiarito. L’evento eziopatogenetico principale sembra possa essere attribuito all’attivazione del processo di trombogenesi, che segue all’interazione degli aPL con i fosfolipidi di membrana delle piastrine e delle cellule endoteliali [70]. La sindrome si definisce come un elevato titolo di anticorpi diretti contro i fosfolipidi anionici che esercitano un effetto paradossale. Non sono stati chiariti i meccanismi patogenetici che predispongono alcuni soggetti alla formazione di aPL, ma esiste una correlazione fra alcuni fenotipi degli allelli di classe II del HLA e la presenza di alcuni autoanticorpi [71]. In particolare, HLA-DR4, DR7 e DQ7 sono fenotipi a rischio per lo sviluppo di aPL.
Meccanismo di azione Una delle caratteristiche biologiche degli anticorpi anti-fosfolipidi è l’inibizione del tempo di tromboplastina parziale attivato. Questo effetto paradossale è dovuto al legame, in vitro, degli aPL alle superfici fosfolipidiche anioniche dove i fattori della coagulazione Xa e Va convertono la protrombina in trombina. In vivo gli aPL promuovono i fenomeni trombotici attraverso una serie di meccanismi procoagulanti. L’aPl riconosce un determinante antigenico che è il risultato del legame del fosfolipide anionico ad un cofattore o β2-glicoproteina I [71]. La β2-glicoproteina I agisce come anticoagulante fisiologico legandosi sulle membrane; l’inibizione della sua capacità anticoagulante da parte degli aPL, predispone alle trombosi. Gli aPL sono
anche in grado di legarsi all’annessina V, proteina placentare con un potente effetto anti-coagulante, inibendola. L’annessina V è una proteina localizzata sulla superficie apicale del sinciziotrofoblasto, la sua attività anti-coagulante è legata alla sua elevata affinità per i fosfolipidi anionici ed alla sua capacità di spostare i fattori della coagulazione dalle superfici fosfolipidiche impedendone la loro attivazione. Inoltre, la capacità degli aPL di interferire con la formazione degli eicosanoidi quali il trombossano (TXA) e la prostaciclina (PGI2) nelle piastrine, nelle cellule endoteliali e trofoblastiche, rappresenta un meccanismo patogenetico che spiegherebbe le manifestazioni cliniche della sindrome. A conferma di tale meccanismo, è stato dimostrato in un modello sperimentale di cellule del trofoblasto in coltura che l’aggiunta di aPL da pazienti affette è in grado di aumentare la produzione di TXA da parte di tali cellule. Nelle fasi precoci della gravidanza gli aPL sono in grado di interferire con la differenziazione del trofoblasto in sinciziotrofoblasto e citotrofoblasto, inibendo i meccanismi di placentazione [70]. In una fase ulteriore della gravidanza, la presenza di aPL si associa a vasculopatia deciduale e placentare, con segni istologici di trombosi, e villi avascolari [69]. Gli anticorpi aPL più comunemente ricercati includono il Lupus Anticoagulant (LAC), gli anticorpi anticardiolipina (aCL), gli anticorpi antifosfatidilserina (aPS) e, meno frequentemente, quelli diretti contro altri fosfolipidi, quali il fosfatidilglicerolo, la fosfatidiletanolamina e il fosfatidilinositolo. Recentemente, è emerso il ruolo fondamentale nella patogenesi della sindrome di altri anticorpi diretti contro proteine che legano i fosfolipidi, quali l’annessina V, la proteina C, la proteina S, e la β2-glicoproteina I, chiamati anticorpi anti-cofattore. Questi anticorpi [72,73] possono creare delle interferenze con i test ELISA per gli aPL e vengono oggi dosati attraverso test specifici in particolare gli anticorpi anti-annessina V, e gli anticorpi antiβ2-glicoproteina I; la loro presenza è un ulteriore fattore di rischio trombofilico. Il ruolo degli anticorpi anti- β2glicoproteina I nella genesi degli episodi abortivi è ancora controverso, ma è stata dimostrata la loro presenza attraverso l’immunoistochimica sulla superficie delle cellule trofoblastiche, e la loro somministrazione ad animali da sperimentazione è in grado di indurre l’aborto [71]. Anche gli anticorpi anti-annessina V hanno un ruolo nella patogenesi della sindrome; essi competono con gli aPL per il legame con i fosfolipidi sulle membrane sia in vivo che in vitro. Gli anticorpi monoclonali murini anti-annessina V sono in grado di spostare l’annessina V dalla superficie delle cellule trofoblastiche ed endoteliali favorendo l’effetto procoagulante. Infine, è stato dimostrato che il siero di pazienti con aPL interferisce con l’attività anti-coagulante della proteina C e della proteina S, e che alcuni aPL si legano direttamen-
Capitolo 15 • Aborto spontaneo ricorrente:nuovi sviluppi patogenetici,diagnostici e terapeutici • E.Vaquero,N.Lazzarin,G.Di Pierro,D.Arduini
te alla proteina C attivata. Infatti, è stata riscontrata in pazienti con aPL una resistenza all’attivazione della proteina C con conseguente scarso effetto anti-coagulante [73]. Pazienti con aPL presentano anche bassi valori di IL3; l’IL3 ha un ruolo importante nel promuovere la crescita del trofoblasto; la sua diminuzione potrebbe contribuire all’alterata invasione trobofastica riscontrata in pazienti con aPL [74]. Questi diversi meccanismi patogenetici, riassunti nella Figura 15.7, si possono presentare insieme nello stesso paziente portando ad inadeguato impianto e complicanze ostetriche.
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possano essere responsabili di fallimenti dell’impianto [49, 81], mentre altri non hanno trovato alcuna correlazione [82]. La terapia della sindrome aPl si è basata storicamente, sull’inibizione della produzione anticorpale tramite glucocorticoidi [83] ed immunoglobuline ad alte dosi [77], ma nelle ultime decadi si basa sulla correzione del disturbo emocoagulativo mediato dall’anticorpo.A questo scopo si utilizza l’eparina a basso peso molecolare. Il razionale d’uso e la posologia verranno discusse in seguito [84].
Trombofilie ereditarie e ASR
Fig. 15.7. Meccanismo di azione degli aPL.Effetti paradossali in vitro ed in vivo
Caratteristiche cliniche La presenza di aPL si correla con caratteristiche cliniche di aborto ricorrente, insufficienza placentare, preeclampsia, parto pretermine, morte endouterina del feto, ritardi di accrescimento intrauterino e sindromi trombotiche del postpartum [75, 76]. In particolare il rischio di un successivo aborto in pazienti poliabortive con aPL è del 60% circa [77]. La presenza di aPL è altamente predittiva per lo sviluppo di IUGR sia in pazienti normotese che ipertese. Il tasso di aborti spontanei in pazienti con positività per gli anticorpi antifosfolipidi è nel range del 50-70% [78, 79]. È stato riportato in uno studio prospettico [80] che donne con diagnosi di sindrome da anticorpi antifosfolipidi effettuata prima della gravidanza avevano una percentuale di aborti spontanei del 90% se non venivano trattate farmacologicamente, percentuale statisticamente significativa rispetto ad un gruppo di controllo formato da donne sane (p<0,01); la gran parte degli aborti avveniva nel primo trimestre di gravidanza. È stato inoltre, dimostrato che la presenza di aPl si correla anche ad altri disordini riproduttivi quali l’endometriosi, l’infertilità non spiegata ed i fallimenti della FIVET. Il reale ruolo degli aPL nei fallimenti dell’impianto dopo procedure di procreazione assistita è ancora controverso, alcuni autori ritengono che gli aPL
In gravidanza avvengono delle modificazioni a carico della cascata della coagulazione [85]: c’è un incremento della concentrazione di fattori procoagulanti (fattore VIII, fattore V e fibrinogeno) e contemporaneamente si assiste ad una riduzione dei valori plasmatici di alcuni anticoagulanti naturali (proteina S e resistenza all’attivazione della proteina C). Inoltre si realizza una ridotta attività del sistema della fibrinolisi in seguito ad un aumento del PAI (inibitore dell’attività del plasminogeno) [86]. L’insieme di queste modificazioni determinano in gravidanza uno stato di lieve ipercoagulabilità e di conseguenza un aumentato rischio trombotico (5-6 volte maggiore rispetto a donne della stessa età non gravide). Il rischio di patologie tromboemboliche è simile nei tre trimestri di gravidanza ed aumenta da 3 a 10 volte nel post-partum. Per trombofilia si intende un disordine multigenico dovuto a patologie ereditarie e/o acquisite che può determinare una predisposizione ad un processo trombotico. Negli ultimi anni sono sempre più frequenti gli studi che hanno riportato un’associazione tra i disordini trombofilici e gli aborti spontanei ricorrenti [87, 88]. I meccanismi proposti per spiegare quest’associazione sono diversi (ostacolo all’impianto dell’embrione, trombosi ed infarti placentari, inibizione del sistema della trombolisi, danno endoteliale, alterazione del metabolismo della prostaciclina ed effetti diretti di tipo citotossico). Altre complicanze ostetriche descritte in associazione a disturbi trombofilici congeniti e/o acquisiti sono la preeclampsia, il ritardo di crescita intrauterino (IUGR), il distacco di placenta e la morte intrauterina [86]; studi istologici hanno rilevato in queste patologie un incremento dei processi di deposizione della fibrina intervillare e di attivazione della cascata della coagulazione, suggerendo quindi come l’eziopatogenesi sia su base trombotica. Disturbi trombofilici sono stati trovati nel 50-65% delle donne con complicanze ostetriche, mentre in pa-
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zienti con gravidanza fisiologica la prevalenza è del 2022%, con un incremento quindi del rischio da 3 ad 8 volte [89, 90]. Le patologie trombofiliche vengono suddivise in congenite e acquisite. La presenza di anticorpi anti-cardiolipina e la positività del LAC (Lupus Anticoagulant) sono i disordini trombofilici acquisiti più comuni. Le trombofilie congenite più frequenti sono la mutazione del fattore V di Leiden, la mutazione della protrombina (fattore II) e le mutazioni a carico della metilentetraidrofolato-reduttasi (MTHFR); più rari sono invece i deficit di anti-trombina III, di proteina S e di proteina C [89-90].
Resistenza alla proteina C attivata e mutazione del fattore V di Leiden La mutazione del fattore V di Leiden consiste nella sostituzione di un aminoacido (glutamina con arginina) nella posizione 506 della proteina denominata fattore V. Nella normale cascata della coagulazione la proteina C attivata (APC) inattiva i fattori Va e VIIIa, scindendoli dai propri siti di legame specifici; la mutazione del fattore V impedisce il legame dell’APC e di conseguenza l’inattivazione di questo fattore della coagulazione, determinando un’aumentata formazione di trombina e favorendo la formazione del coagulo. La mutazione del fattore V di Leiden è responsabile di più del 95% dei casi di APC resistenza in donne non gravide [91] e rappresenta al giorno d’oggi la causa conosciuta più comune di predisposizione genetica alla trombosi. La trasmissione genetica è autosomica dominante. Coloro che hanno un solo allele mutato (eterozigosi) hanno un rischio di tromboembolismo venoso minore rispetto a coloro che hanno entrambi gli alleli mutati (omozigosi) [92]. L’eterozigosi è presente nel 5-8% della popolazione, con un incremento del rischio trombotico da 4 ad 8 volte; l’omozigosi invece è presente in circa 1 su 1600 individui e conferisce un aumento del rischio di trombosi di circa 80 volte. L’ipotesi che la mutazione del fattore V possa determinare un processo di trombosi a livello del complesso utero-placentare con conseguente interruzione della gravidanza è stato descritto da diversi autori. Numerosi studi hanno infatti dimostrato l’alta prevalenza della mutazione del fattore V di Leiden in pazienti con aborti spontanei ricorrenti [88, 89]; tuttavia non tutti concordano sull’associazione tra poliabortività e mutazione del fattore V di Leiden [93]. Grandone et al. [94] hanno riportato la prevalenza dell’eterozigosi per il fattore V di Leiden significativamente maggiore (16,3%) in pazienti con due o più aborti spontanei rispetto a quella riscontrata in donne sane (4,3%). Un altro studio ha messo in evidenza come le pazienti portatrici di una mutazione del fattore V di Leiden abbiano un rischio cinque volte superiore rispetto a donne sane di
andare incontro ad aborti spontanei ricorrenti [93]. Younis et al. [95], in uno studio prospettico, hanno valutato 37 donne con aborti ricorrenti del primo trimestre e 41 donne con aborti nel secondo trimestre; l’incidenza della mutazione del fattore V di Leiden era significativamente più alta nelle pazienti che erano andate incontro ad un aborto spontaneo rispetto al gruppo di controllo. Questo autore [95] non ha riscontrato differenze significative della mutazione tra donne che avevano avuto un aborto nel primo trimestre e quelle che lo avevano avuto nel secondo; altri studi tuttavia hanno osservato come la mutazione del fattore V sia prevalente in aborti del secondo trimestre di gravidanza rispetto a quelli del primo trimestre [96, 97]. C’è quindi una notevole discordanza in letteratura sull’associazione tra la mutazione del fattore V di Leiden e la poliabortività. Non è stato completamente chiarito se questa mutazione possa essere associata in maniera statisticamente significativa ad aborti spontanei ricorrenti precoci; alcuni dei dubbi riguardano il fatto che nei diversi studi ci sono delle differenze inerenti i criteri di inclusione delle pazienti (numero dei precedenti aborti, età gestazionale al momento dell’aborto, identificazione o meno di altre cause responsabili di poliabortività). Ci sono comunque, sufficienti evidenze sul fatto che la ricerca della mutazione del fattore V di Leiden debba essere richiesta in donne poliabortive una volta escluse le cause più comuni di aborti spontanei ricorrenti [98].
Protrombina G20210A La protrombina (fattore II) nella cascata della coagulazione è convertita in trombina dal complesso formato dai due fattori Xa e Va; una semplice sostituzione di una coppia di basi a livello del suo DNA può determinare un incremento dei livelli di protrombina e di conseguenza un aumentato rischio di trombosi (da 2 a 4 volte). L’eterozigosi del fattore II è presente in circa il 2-4% della popolazione caucasica; la mutazione è responsabile del 17% dei processi tromboembolici che avvengono in gravidanza [99] e determina un rischio di tromboembolismo venoso pari a quello di un soggetto asintomatico portatore di una mutazione del fattore V di Leiden [99, 100]. Diversi autori non hanno rilevato associazioni tra la mutazione della protrombina e gli aborti spontanei [97, 99]. Altri studi, invece, hanno riportato il contrario. Pihusch et al. [101] riportano una prevalenza aumentata della mutazione della protrombina in pazienti con due o più aborti ripetuti del primo trimestre rispetto ad un gruppo di controllo (6,7% vs 0,8%, p=0,027, OR 8,5). In un altro studio effettuato da Foka [98], 7 delle 80 pazienti con aborti spontanei ricorrenti erano l’eterozigoti per la mutazione del fattore II, mentre nelle 100 pazienti che
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formavano il gruppo di controllo la stessa mutazione era presente solo in 2 casi (OR 4,6, 95% CI, 0,9-23,2). Questi studi rilevano una debole associazione tra gli aborti spontanei e la mutazione della protrombina; non ci sono, a tutt’oggi, sufficienti evidenze tali da giustificare la ricerca della mutazione del fattore II nelle pazienti con aborti spontanei ricorrenti.
5,10 metilentetraidrofolato-reduttasi e iperomocisteinemia L’omocisteina è un aminoacido che si forma dal metabolismo della metionina; può essere trasformata in cistationina dalla cistationina β-sintetasi o riconvertita in metionina dalla 5,10 metilentetraidrofolato-reduttasi (MTHFR) [102]. Queste vie metaboliche utilizzano come coenzimi e come cofattori tre vitamine (acido folico, vitamina B12 e vitamina B6), la cui concentrazione intracellulare è critica per la metabolizzazione dell’omocisteina. Difetti del suo metabolismo possono portare ad un’iperomocisteinemia, fattore di rischio per aterosclerosi e tromboembolismo venoso. I polimorfismi sono rappresentati da una mutazione autosomica dominante a carico della cistationina β-sintetasi (0,3-1,4% della popolazione) o più comunemente da un difetto autosomico recessivo a livello della MTHFR (sostituzione della citosina con la timina in posizione 677) che determina una ridotta attività dell’enzima e di conseguenza un’iperomocisteinemia. L’omozigosi per la mutazione MTHFR C677T è presente nel 10-20% della popolazione generale e predispone ad una lieve iperomocisteinemia. L’eterozigosi per la stessa mutazione è presente in circa il 46% della popolazione generale e non si associa ad iperomocisteinemia; non c’è evidenza che l’eterozigosi per la mutazione C677T sia un fattore di rischio per episodi trombotici arteriosi o venosi o per patologie legate alla gravidanza [86]. L’iperomocisteinemia si può slatentizzare soprattutto in presenza di una carenza di folati [102] o di vitamine B6 e B12; un’adeguata supplementazione di folati può essere in grado di prevenire l’espressione fenotipica di questa mutazione. L’unica precauzione da raccomandare è di correggere il deficit di B12 prima di assumere folati, per non aggravare un eventuale danno neurologico latente, più comune in pazienti affette da malassorbimento. L’omocisteina ha degli effetti sull’endotelio e sulle cellule muscolari lisce dei vasi ed influisce sull’interazione tra l’endotelio e la cascata della coagulazione. In caso di iperomocisteinemia i processi di coagulazione sono favoriti [103] da: 1) l’aumento del “fattore tissutale”; 2) la riduzione della proteina C; 3) la riduzione dell’attivatore del plasminogeno; 4) l’induzione di danno endoteliale con ridotta produzione di ossido nitrico (NO) potente vasodilatatore; 5) la predisposizione all’attivazione piastrinica.
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L’iperomocisteinemia è classificata [31] in tre categorie a seconda dei valori plasmatici di omocisteina: 1) severa (>100 mmoli/litro); 2) moderata (25-100 mmoli/litro); 3) lieve (16-24 mmoli/litro). I livelli di omocisteina generalmente in gravidanza si riducono del 3050% [104]. Ci sono dati discordanti in letteratura sull’associazione tra poliabortività ed iperomocisteinemia. Tra le pazienti con aborti spontanei ricorrenti sia l’eterozigosi che l’omozigosi per la mutazione C677T della MTHFR, si associano ad un significativo aumento della prevalenza di aborti spontanei precoci; questo riscontro rafforza il ruolo dell’ipercoagulabilità e dell’anomala vascolarizzazione utero-placentare nella poliabortività [105]. Raziel et al. [106] hanno riscontrato iperomocisteinemia e mutazioni della MTHFR più frequentemente nelle pazienti con aborti spontanei ricorrenti. La prevalenza dell’iperomocisteinemia era del 17-27% nelle pazienti con aborti spontanei ricorrenti, rispetto al 5-16% riscontrato nel gruppo dei controlli fertili, con un odds ratio (OR) intorno a 5 [107]. Un altro studio ha valutato come il rischio di aborto spontaneo sia correlato ai livelli di omocisteina; con valori di omocisteina superiori a 15 mmoli/litro il rischio di aborto spontaneo nel I trimestre è 7 volte superiore, mentre si abbassa con la diminuzione dei livelli di omocisteina che avviene durante la gravidanza [105]. D’altra parte diversi altri studi non confermano l’associazione e tra poliabortività e la mutazione C677T della MTHFR [106]. Una meta-analisi effettuata su iperomocisteinemia ed aborti spontanei prima della 16a settimana di gravidanza ha riscontrato una lieve associazione, con un odds ratio (OR) pari a 1,4 [107].
Deficit di antitrombina III L’antitrombina III (AT III), sintetizzata a livello del fegato, è una proteina con azione anticoagulante. Inibisce la trombina, i fattori IXa, Xa, XIa e XII della coagulazione ed inoltre accelera la scissione del complesso membrana cellulare-fattore VIIa. Il deficit di AT III è congenito, con trasmissione autosomica dominante; tra le trombofilie congenite è quella maggiormente trombogenica (rischio per un episodio trombotico di almeno il 50%) [108]. La prevalenza dell’eterozigosi per il deficit di AT III è bassa (stimata circa da 1/2.000 a 1/5.000) [109] ed è presente solo nell’1% dei pazienti con anamnesi positiva per patologia tromboembolica venosa [110, 111]. L’eterozigosi determina una riduzione dei valori di AT III del 30-70% rispetto al normale; l’omozigosi è incompatibile con la vita. Ci sono due tipi di deficit: 1) tipo I, il più comune, caratterizzato da una riduzione sia dell’attività che dei livelli di AT III; 2) tipo II, in cui il deficit è di tipo funzionale, mentre i livelli di AT III sono nella norma. I va-
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lori di antitrombina III sono sostanzialmente immodificati in gravidanza; possono ridursi in caso di un evento trombotico improvviso, in un paziente con sindrome nefrosica o che richieda terapia eparinica. Il deficit di AT III si associa ad aborti spontanei. Preston et al. [112] hanno riscontrato un aumentato rischio di morti intrauterine (OR 5,2) e di aborti spontanei (OR 1,7) in pazienti con deficit di AT III. Non ci sono a tutt’oggi studi che abbiano valutato l’associazione tra poliabortività e deficit di AT III, ciò probabilmente a causa della scarsa prevalenza di questo tipo di deficit, tale da renderlo una causa di aborti spontanei ricorrenti difficile da studiare.
Il deficit di proteina S è stato riscontrato nel 5-8% delle donne con morti fetali nel secondo e terzo trimestre di gravidanza, rispetto allo 0,2-0,5% dei controlli, con un incremento del rischio quindi da 3 a 40 volte [95]. Questo dato è confermato da alcuni studi che riportano, nelle pazienti con deficit di proteina C, un rischio 2 volte superiore di andare incontro sia ad aborti precoci che a morti fetali nel secondo e terzo trimestre di gravidanza [115]. Altri studi al contrario non hanno trovato alcuna associazione [93].
Deficit di proteina S e di proteina C
Il trattamento delle trombofilie acquisite (sindrome da anticorpi anti-fosfolipidi) è rivolto verso la modulazione del sistema immunitario (terapia con prednisone ed immunoglobuline ad alte dosi) [69, 116] e verso la prevenzione dei processi trombotici (terapia con aspirina ed eparina) [117, 118]. I primi studi in letteratura sulla prevenzione degli aborti spontanei in pazienti con sindrome da anticorpi anti-fosfolipidi (APA) hanno usato dosi elevate di prednisone o prednisolone associate ad aspirina a basse dosi, con una percentuale di successi variabile tra il 60% ed il 70% [84, 117]. Gli anticorpi anti-cardiolipina non vengono però sempre contrastati dall’uso del prednisone, che oltretutto in gravidanza può avere diversi effetti collaterali (aumentata incidenza di diabete, ipertensione, aumento eccessivo di peso, herpes sistemico ed infezioni) [69, 118]. Gli anticorpi anti-fosfolipidi aumentano la produzione di trombossano a livello placentare senza incidere sui livelli di prostaciclina. Il razionale d’uso della terapia con aspirina a basse dosi è la riduzione della produzione di trombossano a livello della placenta, nelle pazienti in gravidanza affette da sindrome degli anticorpi anti-fosfolipidi [119]. Anche l’eparina può essere usata in gravidanza, nel trattamento delle pazienti aPL positive, con una percentuale di successi del 70% circa [120, 121]. Due studi randomizzati hanno mostrato come in queste pazienti il trattamento combinato con eparina ed aspirina a basse dosi incrementa in maniera significativa la percentuale di figli nati vivi a termine (80%) rispetto all’uso della sola aspirina [121]. Sebbene non ci sia consenso univoco sul momento in cui iniziare la terapia, l’eparina e l’aspirina a basse dosi dovrebbero essere assunte sin dall’inizio della gravidanza (intorno alla 6ª settimana), in quanto favoriscono l’impianto dell’embrione, anche attraverso meccanismi immunologici ed anti-apoptotici, e proteggono da eventuali processi trombotici a carico del distretto utero-placentare. Alcuni effetti collaterali associati all’uso di eparina sono rappresentati da sanguinamento, trombocitopenia ed osteoporosi, che sembrano essere dose-correlati [120, 121]. Le immuno-
La proteina C e la proteina S sono sintetizzate a livello del fegato; la proteina S è inoltre prodotta dalle cellule endoteliali e dai megacariociti. La trombina si lega alla trombomodulina, liberando così la forma attivata della proteina C (APC). La proteina C attivata, si lega ai fattori Va e VIIIa inattivandoli e riducendo così la produzione di trombina [113]. L’APC inoltre ha un’azione antinfiammatoria, inibendo l’adesione dei leucociti e riducendo la produzione di citochine proinfiammatorie da parte dei monociti. La prevalenza del deficit di proteina C è dello 0,15-0,8% [111] e raggiunge il 2,7-4,6% nelle pazienti con patologie tromboemboliche venose [114, 115]. Nelle pazienti affette dal deficit, i livelli di proteina C sono di circa il 60% inferiori rispetto ai valori normali. I soggetti con eterozigosi per il deficit di proteina C hanno il 50% di possibilità di avere una trombosi venosa oltre i 45 anni. La condizione di omozigosi, invece, è associata ad una trombosi severa e ad una fulminante porpora neonatale. Ci sono due tipi di deficit: 1) tipo I, si caratterizza da livelli ridotti di proteina C; 2) tipo II, in cui i livelli di proteina C sono normali, ma la cui attività è ridotta. I valori di proteina C non si modificano sostanzialmente in gravidanza [115]. Il meccanismo di azione della proteina S non è chiaro; probabilmente rafforza il legame della proteina C attivata ai fosfolipidi di membrana [113, 114]. Circa il 60% della proteina S è legata al complesso C4b-binding protein, che regola il complemento. I livelli di C4b-binding protein aumentano in gravidanza, determinando così una riduzione dei valori di proteina S libera del 40-60% rispetto ai livelli normali; oltre che in gravidanza il deficit di proteina S si può riscontrare anche nelle 6-8 settimane successive al parto. La prevalenza del deficit di proteina S è minore dello 0,1% nella popolazione generale [89], mentre nei pazienti con patologia tromboembolica arriva anche al 2,2%. L’eterozigosi si associa ad una riduzione dei valori di proteina S di circa 15-50%, mentre l’omozigosi può determinare una riduzione fino al 95% del normale.
Terapia
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globuline ad alte dosi (IVIG) sono state utilizzate in pazienti nelle quali aveva fallito il trattamento con prednisone ed eparina; la terapia con IVIG si associa ad una minore incidenza di IUGR, di preeclampsia e di insufficienza placentare, frequentemente associate alla sindrome da anticorpi anti-fosfolipidi [69, 122]. Il limite principale della terapia con IVIG è rappresentato dai costi elevati [69]. Il trattamento delle pazienti con trombofilie congenite si basa principalmente sull’utilizzo dell’eparina a basso peso molecolare. La letteratura riporta una percentuale di successi riproduttivi di circa l’80% in pazienti poliabortive trattate con enoxaparina (20 mg/die) [123]. Brenner et al. [124] hanno trattato 50 donne poliabortive con uno o più difetti trombofilici; utilizzando dosi di enoxaparina pari a 40 mg/die nelle pazienti con difetti isolati ed a 80 mg/die in quelle con difetti combinati hanno riscontrato un esito gestazionale del 75% di gravidanze portate a termine con successo. Donne trombofiliche con anamnesi positiva per complicanze ostetriche sono state sottoposte nella successiva gravidanza a terapia con enoxaparina ed aspirina a basse dosi, mostrando una migliore vascolarizzazione a livello del distretto utero-placentare (evidenziata attraverso un esame di velocimetria Doppler delle arterie uterine) [125]. Uno studio recente ha valutato l’effetto dell’enoxaparina in gravidanza su donne poliabortive con trombofilia congenita; le pazienti trattate con enoxaparina hanno avuto il 70% di figli nati vivi rispetto al 44% delle donne non trattate (OR 3) [126]. In un nostro recente studio [127], 27 donne poliabortive portatrici di trombofilia congenita sono state trattate con enoxaparina (4.000 UI/die) ed aspirina a basse dosi (100 mg/die) dall’inizio della gravidanza fino a 4 settimane dopo il parto, ottenendo un’alta percentuale (81%) di figli nati vivi a termine senza alcuna grave complicanza ostetrica; questa percentuale di gravidanze a termine era notevolmente più alta se confrontata con quella (14%) avuta dalle stesse donne nelle precedenti gravidanze in cui non era stata effettuata alcuna terapia. L’eparina a basso peso molecolare pertanto sembra un farmaco efficace nel prevenire un successivo episodio abortivo ed inoltre è stato dimostrato essere sicuro per il feto, in quanto non oltrepassa la placenta [123]. Sono state descritte tuttavia recentemente alcuni casi di donne portatrici di valvole cardiache artificiali morte durante trattamento con eparina; questo ci deve indurre pertanto ad usare con cautela tale farmaco in gravidanza in questo tipo di pazienti [128]. In caso di iperomocisteinemia la supplementazione con vitamine B6 e B12 ed acido folico può dare qualche giovamento. La terapia con vitamina B6 (piridossina) può ridurre i livelli di omocisteina del 50% e prevenire gli accidenti vascolari [129]. Quèrè et al. [130] hanno stu-
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diato 22 pazienti poliabortive (con un numero di aborti precedenti da 3 a 5 che erano omozigoti per la mutazione 5,10-metilentetraidrofolato-reduttasi (MTHFR C677T) in assenza di altre trombofilie congenite; le pazienti sono state trattate per un mese con acido folico ad alte dosi (15 mg/die) e vitamina B6 (750 mg/die). Tutte le 22 pazienti sono rimaste gravide e 20 l’hanno portata a termine con successo, con un incremento della prognosi riproduttiva dal 70 al 91%. Il limite principale di questo studio è però l’assenza di un gruppo di controllo [131]. In conclusione, visto che le trombofilie congenite possono essere causa in gravidanza di più della metà degli eventi tromboembolici materni, anche fatali, dovrebbero essere quindi sottoposte a screening per trombofilia tutte quelle pazienti con complicanze ostetriche (preeclampsia o severo IUGR) o con un’anamnesi familiare o personale positiva per patologia tromboembolica per identificare precocemente quelle che devono essere trattate secondo gli schemi descritti in precedenza.
IPOFIBRINOLISI E ASR Funzionamento del sistema fibrinolitico Il sistema fibrinolitico è una cascata enzimatica analogamente al sistema della coagulazione; il suo ruolo è quello di limitare la deposizione di fibrina e di rimuovere il coagulo. Il plasminogeno, prodotto dall’epatocita, è lo zimogeno dell’enzima proteolitico plasmino, la cui azione principale è la lisi della fibrina in una serie di peptidi definiti prodotti di degradazione; gli FDP (Fibrinogen Degradation Products) sono il risultato della lisi di fibrinogeno, monomeri di fibrina e fibrina solubile, mentre gli XDP (Cross Linked Fibrin Degradation Products) sono lo specifico prodotto di lisi della fibrina nel coagulo stabilizzato. Ad elevate concentrazioni, questi prodotti di degradazione interferiscono con l’emostasi in quanto sono dotati d’attività anti-trombinica ed anti-fattore XIII. La fibrinolisi, in condizioni fisiologiche, è fibrinospecifica; il plasminogeno si lega per mezzo di residui di lisina (bersaglio dell’azione di farmaci anti-fibrinolitici) alla fibrina del coagulo. Tra gli attivatori della plasmina vanno nominati: l’attivatore tessutale (tPA) d’origine endoteliale e l’attivatore del plasminogeno urochinasi a catena singola scuPA/ProUK (Single Chain Urokinase Type Plasminogen Activator o Pro-Urokinase). Entrambi questi attivatori sono gli enzimi proteolitici specifici per il plasminogeno, con attività molto aumentata in presenza di fibrina. La loro attivazione si deve all’azione enzimatica sul plasminogeno del fattore XIIa, del fattore XIa e della callicreina [131].
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Il sistema di controllo è costituito dagli inibitori degli attivatori del plasminogeno: PAI 1 (Plasminogen Activator Inhibitor type 1) di derivazione piastrinica ed endoteliale; l’α2 anti-plasmina, un inibitore non enzimatico di sintesi epatica che complessa la plasmina inattivandola in modo definitivo. Allo stesso livello agiscono altri inibitori meno specifici, quali l’alfa-macroglobulina, il C1-inattivatore e anti-trombina III. L’inibitore tipo 1 dell’attivatore del plasminogeno (PAI 1) svolge un ruolo cruciale nella regolazione della fibrinolisi: complessa il tPA e il UK inattivadoli. Il suo peso molecolare è 52 KDa e la sua concentrazione plasmatica è 0,05 µg/ml. La sua eccessiva espressione, poiché si addice anche l’eccessiva espressione del fattore tissutale, si associa a trombosi [131]. La sintesi del PAI 1 è stata ultimamente molto studiata. Diversi agenti, tra cui i glicorcoticosteroidi, le citochine, i lipopolisaccaridi e l’insulina, possono modulare la sua sintesi agendo sulla trascrizione del suo RNA messaggero. La sua concentrazione plasmatica dipende anche dall’azione enzimatica dell’ACE (l’enzima di conversione che trasforma angiotensina I, forma inattiva, nel peptide attivo, l’angiotensina II) [86]. In alcuni tipi di cellule endoteliali, fattore di crescita e citochine incrementano l’espressione di PAI 1.Il recettore per fattore di crescita endoteliale (EGF) ed il recettore per progesterone agiscono in sinergia per una massima espressione del PAI 1 da parte delle cellule endometriali [131]. L’ossido nitrico (NO) è coinvolto nella regolazione della fibrinolisi interferendo con l’espressione di PAI 1 e tPA [132]. L’angiotensina II contribuisce alla fibrinolisi incrementando la trascrizione dell’mRNA codificante per PAI 1 e, quindi, il suo livello plasmatico. In questo modo possono aumentare i depositi della fibrina che stabilizzano il piatto basale della placenta. Un altro regolatore della fibrinolisi, il fattore XIII, è un enzima (transglutaminasi), sintetizzato dall’epatocita, che stabilizza la fibrina. Il suo attivatore è la trombina [133]. Il fattore XII della coagulazione ha un ruolo d’attivatore di entrambe le cascate: della coagulazione e della fibrinolisi. Il fattore XII attivato agisce come attivatore diretto del plasminogeno e per questo può contribuire in modo significativo alla fibrinolisi, inoltre, agisce sulla plasmina attivando la callicreina [133].
Polimorfismi da ipofibrinolisi I polimorfismi dei geni che codificano per fattori coinvolti nella fibrinolisi sono i seguenti: mutazione 4G/4G del PAI 1, mutazione dell’ACE del/del, mutazione Val/Leu del fattore XIII e deficit di fattore XII.
PAI 1 Soggetti con mutazione del PAI 1 in omozigosi (4G/4G) hanno concentrazioni plasmatiche del PAI-1 3-5 volte superiori rispetto alle portatrici degli alleli 5G/5G e 4G/5G. La prevalenza d’allele 4G/4G nella popolazione generale è molto elevata, di circa 20% [131, 134].
ACE Il polimorfismo delezione/delezione, in omozigosi si associa strettamente con l’incremento dei livelli ACE in circolo influenzando angiotensina II e questo modifica la fibrinolisi aumentando sia la sintesi, sia la concentrazione del PAI 1 [135].
Fattore XIII La mutazione Val34Leu e Tyr204Phe del fattore XIII provocano una diminuzione della stabilità della fibrina. Una delle variazioni del gene A per fattore XIII, polimorfismo Val34Leu è stato correlato con lo stato della trombosi con prevalenza del genotipo Val/Val. I soggetti con omozigosi presentano maggiore attività enzimatica che porta a maggiore resistenza del coagulo di fibrina alla lisi. Alcuni autori riportano che il genotipo in omozigosi Leu34 è un fattore protettivo contro la trombosi [136]. Altri autori non trovano differenza nè tra i livelli plasmatici né nell’attività del fattore XIII in soggetti con 6 diversi varianti di questo polimorfismo [137].
Fattore XII Il polimorfismo C46T della regione 5 [1] non tradotta dell’mRNA per il fattore XII altera l’efficacia della traduzione determinando livelli plasmatici più bassi del fattore XII. Non si osservano, ad ogni modo, effetti clinici provati di questa mutazione che si ipotizza potrebbe causare un aumentato rischio tromboembolico nella popolazione generale [138]. I difetti del sistema fibrinolitico sono stati correlati negli ultimi anni, a patologie d’interesse internistico. Negli ultimi anni si è fatta luce sulle interazioni reciproche tra i fattori e inibitori, attivatori di fibrinolisi e sul ruolo di cellule e mediatori correlando i fenomeni emostatici e fibrinolitici ad altre importanti condizioni quali l’aterogenesi, l’angiogenesi, l’invasione cellulare, l’infiammazione (croniche renali e polmonari), l’infarto miocardico, l’ipertensione, e patologie endocrine (PCO, diabete, sindrome metabolitica) [139, 140]. Il sistema renina-angiotensinogeno-angiotensina influisce sull’emostasi per mezzo di differenti meccanismi e il suo ruolo nella patogenesi di tromboembolismo venoso profondo (TEV) è stato molto discusso. Un recente lavoro di Fratini nel 2003 conferma l’associazione tra il genotipo DD dell’enzima ACE ed un rischio relativo per TEV del 2,19% [135]. I
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soggetti con deficit severo del fattore XII sono predisposti alle malattie tromboemboliche, mentre il deficit di grado lieve non aumenta il rischio tromboembolico. Nelle pazienti con ipotiroidismo lieve si osserva diminuzione dell’attività fibrinolitica [140-142].
Ipofibrinolisi e complicanze gravidiche Il genotipo 4G/4G del PAI 1 ha una prevalenza elevata e può incrementare in modo lieve il rischio di complicanze gravidiche, tra cui preeclampsia, ritardo di crescita intrauterina, distacco intempestivo della placenta normalmente inserita, morte intrauterina, aborti, tromboembolismo venoso, colestasi gravidica [136, 143]. Per quanto riguarda l’ASR, sono stati pubblicati pochi studi clinici in associazione con l’ipofibrinolisi. Alcuni di loro sono contraddittori. Wolf et al. [144] nel 2003 non hanno trovato alcuna associazione tra polimorfismo 4G del PAI 1 e ASR. Buchholz Thaler. [86] nel 2003, invece, dimostrano una prevalenza aumentata di questo polimorfismo rispetto a controlli sani (39,1% versus 32,3% nel gruppo di controllo). Nello studio di Thaler, la prevalenza di genotipo ACE D/D in omozigosi è significativamente aumentata nelle pazienti affette da ASR (32,1%), rispetto al gruppo di controllo (23,6%). Le pazienti con omozigosi per fattore XIII hanno bassi livelli di tale fattore ed un alto rischio per ASR. Si presume che la mutazione comprometta piuttosto la struttura della transglutaminasi e non la sua attività [86]. In uno studio di Coulam [145] sono state valutate 150 pazienti affette da ASR e si riscontra un’elevata prevalenza di mutazioni di fattore XIII,V34L e PAI 1 4G/5G rispetto al gruppo di controllo. Uno studio di Dossenbach del 2003 [136] correla il genotipo 4G/4G per il PAI 1 e FXIII Leu34 con un rischio elevato di ASR (rischio relativo 2,4). Il deficit acquisito del fattore XII dovuto agli anticorpi anti-fattore XII in pazienti con ASR è stato descritto dal Braulke [141]. Invece Jones [142] ha riportato deficit acquisito del fattore XII in concomitanza con ASR e anticorpi anti-fosfolipidi. I polimorfismi di più fattori della fibrinolisi, in omozigosi e/o in associazione a mutazioni per trombofilia. hanno un effetto di amplificazione sul rischio di ASR [145].
Ipofibrinolisi: meccanismo patogenetico nell’ASR L’impianto dell’embrione nell’endometrio umano è un evento molto complesso e ancora in parte sconosciuto. Per ottenere un impianto adeguato svolge ruolo cruciale l’invasione del trofoblasto delle arterie spirali, assicurando attecchimento dell’embrione. All’inizio del
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processo della placentazione l’invasione del trofoblasto e la deposizione della fibrina nelle pareti dei vasi deciduali svolgono un ruolo decisivo per lo sviluppo dell’embrione e della placenta. Durante l’invasione del trofoblasto l’attivatore plasminogeno urochinasi U-PA, il suo recettore e l’inibitore PAI 1 controllano la proteolisi e il rimodellamento del tessuto deciduale materno. D’altra parte la formazione del piatto basale placentare prevede la deposizione della fibrina nella parete dei vasi deciduali attraverso l’attivazione della cascata coagulativa materna. Nelle pazienti con ASR si osserva una disfunzione di questa omeostasi [1, 136]. Già nel 1985 Ikeuchi [146] ha dimostrato una delle possibili cause dell’aborto nell’aumentata attività fibrinolitica a livello dei villi coriali dovuta a diminuita inibizione dell’urochinasi. Due polimorfismi PAI 1 4G/5G e fattore XIII Val34Leu interferiscono con il cross-linking della fibrina. Questo alterato controllo della fibrinolisi può causare la perdita embrionale negli stadi iniziali [136, 146]. Nelle pazienti con l’omozigosi Leu34 del FXIII si osserva un cambiamento strutturale della fibrina (meno elementi e più spazi tra loro) e anche un’inibizione dell’aggregazione laterale della fibrina. Queste modificazioni hanno l’effetto antifibrinolitico [147]. Durante l’invasione trofoblastica il PAI-1 ed l’u-PA controllano la proteolisi ed il rimodellamento tessutale; una loro disfunzione provoca depositi di fibrina in eccesso che sono la causa d’ipoperfusione del trofoblasto limitando l’invasione trofoblastica.
Terapia Le pazienti affette da ASR e polimorfismi per ipofibrinolisi, beneficiano della terapia anticoagulante. Alijotas nel 2005 [137] riporta una significativa riduzione del rischio materno e fetale, in pazienti con omozigosi per il PAI 1 4G e del polimorfismo del fattore XIII Leu34 in corso della terapia anti-aggregante con aspirina a basso dosaggio e/o terapia anticoagulante con l’eparina a basso peso molecolare. Nelle pazienti affette da PCOS con l’anamnesi di uno o più aborti, portatrici di mutazioni trombofiliche e/o dell’ipofibrinolisi la terapia con metformina ed enoxaparina è in grado di ridurre il rischio d’aborto [139]. Non esiste ancora consenso sul tipo di terapia da intraprendere in caso di un disturbo fibrinolitico singolo o in eterozigosi, ma, a causa dell’effetto d’amplificazione, le pazienti portatrici di difetti combinati, di difetti in omozigosi o associati a polimorfismo trombofilici dovrebbero essere trattati con terapia anticoagulante a base d’eparina a basso peso molecolare [125, 126, 148]]
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RAPPORTI FRA SISTEMA IMMUNE E SISTEMA EMOCOAGULATIVO Studi recenti dimostrano che le citochine proinfiammatorie Th1 possano essere l’immunomodulatore dei meccanismi procoagulanti implicati nell’aborto. In un modello sperimentale animale, le citochine Th1 inducevano processi trombotici ed infiammatori a livello dell’interfaccia materno-fetale, responsabili dell’interruzione della gravidanza [37]. Precedentemente, Salafia et al. [149], avevano dimostrato che la patologica attivazione del sistema della coagulazione era un criterio istologico presente e caratteristico degli aborti negli umani con cariotipo normale del prodotto del concepimento. Il target del sistema immune si sposta, quindi, dalla placenta, al compartimento vascolare materno. Questa ipotesi viene confermata dalla presenza, in un modello sperimentale animale di necrosi emorragica a livello dell’interfaccia trofoblasto-decidua materna [150]. L’autore ha dimostrato la presenza di una protrombinasi specifica chiamata Fgl2, che risulta implicata nei processi di epatite virale e di abortività. L’Fgl2 è secreta dalle cellule endoteliali stimolate dalle citochine Th1 e porta alla conversione della protrombina in trombina. La trombina, a sua volta, stimola la cellula endoteliale al rilascio di IL8 che esercita un effetto chemiotattico sui polimorfonucleati con conseguente distruzione dell’endotelio vascolare (Fig. 15.8). In condizioni fisiologiche esistono degli antagonisti a questo meccanismo, che impediscono l’attivazione letale della cascata “coagulazione-IL8-polimorfonucleati” a livello dell’interfaccia materno-trofoblasto.
Fig. 15.8. Interazione fra sistema immunologico e sistema emocoagulativo nella genesi degli aborti
L’IL-4 e IL-10 inibiscono l’attivazione ed il rilascio di Fgl2 dalla cellula endoteliale impedendo l’attivazione della protrombinasi; il TGFβ2 protegge l’endotelio ischemico contro il danno dei polimorfonucleati [151].
IMPLICAZIONI DELL’APOPTOSI E DELLA NEO-ANGIOGENESI NELL’ASR Come precedentemente esposto, circa il 30-40% degli aborti spontanei ricorrenti rimane non spiegato. Al fine di fare luce sull’eziopatogenesi dell’ASR in questa percentuale tutt’altro che esigua di pazienti, negli ultimi anni alcuni autori hanno studiato eventuali implicazioni del fenomeno apoptotico e di quello neo-angiogenetico nella poliabortività [152]. L’apoptosi, un processo fisiologico di morte cellulare programmata caratterizzata, al contrario della necrosi, dall’assenza di reazione infiammatoria, è essenziale per il normale sviluppo e per le funzioni degli organismi pluricellulari: è stato infatti dimostrato il suo ruolo determinante durante l’embriogenesi, nella riorganizzazione cellulare negli organismi adulti e nella sorveglianza del ciclo cellulare. In sostanza, è all’apoptosi che spetta il corretto bilanciamento tra morte e proliferazione cellulare, ovvero l’omeostasi dei tessuti, tanto che anomalie apoptotiche sono state riscontrate in patologie caratterizzate da un alterato controllo del ciclo cellulare, quali ad es. il cancro, i disordini autoimmuni e quelli degenerativi cronici. Per ciò che riguarda i tessuti riproduttivi, l’apoptosi è stata dimostrata nella placenta umana, ed è ritenuta un processo fondamentale per un corretto sviluppo placentare ed embrionale [153]. Dato che la placenta gioca un ruolo chiave nel provvedere al continuo scambio di gas, nutrienti e sostanze di scarto tra la circolazione materna e quella fetale, è stato ipotizzato che alterazioni dell’attività apoptotica placentare potrebbero portare a complicanze quali aborto spontaneo, FGR e preeclampsia. Ad ogni modo, se da una parte ancora non è stato dimostrato con chiarezza a livello molecolare come la morte cellulare programmata sia coinvolta nello sviluppo dei villi corionici, dall’altra dai pochi studi presenti in letteratura emerge come nei trofoblasti delle pazienti con poliabortività non spiegata ci sia più apoptosi rispetto alle pazienti che abortiscono per la prima volta [154, 155]. Questo aspetto è stato studiato anche a livello genetico, andando a scandagliare le variazioni nell’espressione di alcuni dei geni conosciuti implicati nel meccanismo apoptotico, sia come pro-apoptotici che come anti-apoptotici. In particolare alcuni autori hanno dimostrato nel trofoblasto delle pazienti con ASR inspiegato un aumento dell’espressione di geni pro-apoptotici, quali Fas, FasL, BAD, BAX, BID, ed alcuni geni per le caspasi (3, 6, 7, 8, 9, 10, 12) [152]. Per ciò che concerne invece i geni anti-apoptotici, i dati presenti in letteratura riguardanti Bcl-X e p53 non sono concordanti nel confermare, come ci aspetteremmo, una riduzione della lo-
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ro espressione, ma ad ogni modo, almeno per Bcl-X, si tratta ancora di dati non conclusivi; sembra invece che per Bcl-2 vi sia una ridotta espressione a livello del trofoblasto delle donne con ASR [155]. Dunque, l’aumentata espressione di geni pro-apoptotici e la ridotta espressione dei geni anti-apoptotici, sembrano determinare di concerto (anche se con una preponderanza dell’attività dei primi) l’alterata apoptosi nel trofoblasto delle pazienti poliabortive. Appurato l’aumento delle cellule apoptotiche nei trofoblasti delle pazienti con poliabortività non spiegata, alcuni autori sono andati a ricercarne la causa: fino ad oggi il fattore immunologico è senza dubbio la teoria più affascinante, nonché più gettonata. È stato precedentemente accertato come nella gravidanza fisiologica vi sia un bias Th2, con una relativa soppressione dell’espressione di citochine tipo Th1; Lee et al. nel 2005 [154] hanno dimostrato che nei trofoblasti di pazienti poliabortive, oltre ad esserci un aumento dell’apoptosi, vi è anche un incremento della secrezione di citochine tipo Th1 da parte delle cellule immunocompetenti, ed in particolare, l’apoptosi si correla in maniera direttamente proporzionale con l’incremento dei livelli di IFN-γ (interferone-gamma). Questo porterebbe a concludere che nelle donne con ASR non spiegato sarebbe proprio il mancato instaurarsi della tolleranza immunologica alla gravidanza (con la fisiologica predominanza del braccio umorale del sistema immunitario su quello cellulo-mediato) a far sì che si scateni una reazione immunologica di cui l’epifenomeno sarebbe appunto l’aumento dell’apoptosi a livello del trofoblasto. Tuttavia, sempre lo stesso studio, mette in evidenza la presenza di un gruppo di trofoblasto di pazienti poliabortive in cui vi è da un lato un aumento del fenomeno apoptotico, ma dall’altro non vi è un incremento dell’IFN-γ (in accordo con le conclusioni appena espresse vi era infatti minore apoptosi rispetto a quei trofoblasti in cui si evidenziava un aumento dell’ IFN-γ). Dunque, la teoria dei fallimenti riproduttivi su base Th1, non sembra essere l’unica possibile, quanto piuttosto solo una delle possibili teorie che conducono ad una spiegazione fisiopatologica dell’aumentata apoptosi a livello del trofoblasto nelle donne con ASR. Altri autori [156] hanno infine incentrato i loro studi nello stabilire una terapia volta a ridurre l’apoptosi delle cellule del trofoblasto delle pazienti con ASR.A questo scopo, in base a studi condotti in vitro, sia l’eparina che l’aspirina sembrano avere un effetto terapeutico. Per quanto riguarda l’eparina, è noto da qualche anno che sembra essere coinvolta nelle vie di traduzione del segnale cellulare, inibendo l’apoptosi a livello di vari tessuti,come quello miocardico e quello renale; studi recenti ne hanno dimostrato il medesimo effetto anche a livello del trofoblasto, dove non solo riduce la morte cellulare pro-
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grammata, ma promuove anche la proliferazione cellulare. Dunque, sembra che l’eparina sia in grado di prevenire gli aborti ripetuti precoci con due differenti meccanismi, e cioè uno anti-apoptotico ed un secondo di regolazione di eventuali processi coagulativi aberranti che potrebbero portare ad un’ischemia placentare. L’aspirina invece è in grado di sopprimere l’attività della NOS (Nitric Oxide Synthase) a livello piastrinico. La NOS è un enzima responsabile della formazione sia di ossido nitrico che di superossido, importanti precursori delle specie reattive dell’ossigeno, specialmente quando si combinano nel perossido di azoto. È ormai noto che lo stress ossidativo è un induttore dell’apoptosi, tanto più che è stato dimostrato che le sostanze antiossidanti sono protettive per la funzionalità placentare. Nello studio di Bose et al. [156] sono state analizzate cellule di trofoblasto messe in coltura con sieri di pazienti con fallimenti dell’IVF (In Vitro Fertilization), con e senza aggiunta di eparina, e con sieri di pazienti in cui l’IVF è andata a buon fine. In quest’ultimo caso le cellule di trofoblasto mostravano una minore apoptosi rispetto alle cellule messe in coltura con sieri di pazienti con fallimenti dell’IVF. Quando però si aggiungeva l’eparina alla coltura, si aveva una riduzione dell’apoptosi, e contemporaneamente un aumento dell’espressione di Bcl-2 nei villi placentari, cosa che induce a pensare che sia proprio nell’attivazione di questo meccanismo antiapoptotico che si traduce l’effetto preventivo dell’eparina nell’ASR [157]. Quando si aggiungeva alla coltura l’aspirina si aveva un risultato simile di inibizione dell’apoptosi, attribuibile al freno posto dall’aspirina all’apoptosi magnesio-indotta. Per ciò che concerne invece le ultime ipotesi sul coinvolgimento dei fattori neoangiogenetici nell’ASR, ultimamente Choi et al. [152] hanno studiato come questi variano nei trofoblasti di aborti spontanei ricorrenti. Alla base di queste nuove teorie sta il fatto, ormai noto, che l’angiogenesi è un processo fondamentale che avviene durante lo sviluppo embrionale, il ciclo riproduttivo e la patogenesi del cancro. In particolare, la gravidanza fisiologica richiede una massiva neoangiogenesi, sia a livello dei tessuti materni che di quelli fetali che vanno a costituire la placenta, in modo che si abbia la costituzione di una rete vascolare che sia adatta alla notevole intensità degli scambi metabolici richiesti normalmente al tessuto placentare. È stato già dimostrato che un ridotto sviluppo vascolare della placenta si associa con ASR precoci [158] e dunque, sono proprio Choi et al. a dimostrare nel 2003 [152] la presenza di un’aberrante espressione dei fattori angiogenetici nei villi corionici di pazienti poliabortive, ovvero una riduzione dell’espressione del gene per la metalloproteinasi-2 (MMP-2), per il PAI (Plasminogen Activa-
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tor Inhibitor), per il TGF-β (Transforming Growth Factor-β), per il VEGF (Vascular Endothelial Growth Factor) e per il bFGF (Basic Fibroblast Growth Factor). Questi dati suggeriscono che un’angiogenesi insufficiente, dovuta ad un’aberrante espressione dei geni regolatori dell’angiogenesi, possa compromettere, con dei meccanismi molecolari ancora purtroppo oscuri, lo sviluppo placentare, determinando così l’ASR, ma anche, come abbiamo visto nel capitolo dedicato ai disordini ipertensivi della gravidanza, patologie quali ipertensione gestazionale, preeclampsia, IUGR e morte intrauterina.
In conclusione, sappiamo che per la corretta evoluzione della gravidanza umana sono indispensabili adattamenti immunologici, metabolici, vascolari ed endocrini materni. In questo capitolo abbiamo esposto come l’apoptosi e l’angiogenesi [152,159,160] giocano anch’esse un ruolo molto importante perché si abbia un outcome gestazionale favorevole, anche se comunque devono essere ancora ben chiariti tutti i meccanismi molecolari che le determinano, così che in un futuro, speriamo vicino, si possano stabilire con certezza la prognosi ed il management delle donne ad alto rischio di ASR.
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Capitolo 15 • Aborto spontaneo ricorrente:nuovi sviluppi patogenetici,diagnostici e terapeutici • E.Vaquero,N.Lazzarin,G.Di Pierro,D.Arduini
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CAPITOLO 16
Malattie infettive in gravidanza S. Guaschino • F. De Seta • S. Smiroldo • E. Bianchini • C. Piva
INTRODUZIONE L’interesse scientifico relativo alle infezioni materne è cresciuto negli ultimi 20 anni di pari passo con la conoscenza delle complicanze e delle sequele ostetricoginecologiche, nell’intento di ridurre il rischio di una trasmissione degli agenti infettivi al prodotto del concepimento durante il periodo gestazionale. Nell’ambito dei patogeni che possono compromettere l’outcome della gravidanza si riconoscono gli agenti infettivi di malattie sessualmente trasmesse (MST) come Herpes, Papillomavirus, HIV e più recentemente, Chlamydia trachomatis e virus dell’epatite B, sia i ben più noti agenti del complesso TORCH. Su scala mondiale si stima che si verifichino annualmente oltre 250 milioni di nuovi casi di MST, escludendo le infezioni virali da HSV e HPV, con una prevalenza di circa 333 milioni di casi concentrata perlopiù nei paesi in via di sviluppo. Di fronte alla crescente importanza rivestita da tali quadri patologici, negli ultimi anni si è assistito allo sviluppo di protocolli diagnostici sempre più accurati che, accanto alla diagnostica tradizionale basata soprattutto sull’identificazione di IgM ed IgG a livello sierico, consentono di individuare la presenza del patogeno nel compartimento fetale e di accertare l’eventuale stato di malattia del prodotto del concepimento [1].
TOXOPLASMOSI La toxoplasmosi (Tx) è una zoonosi causata da un parassita, il Toxoplasma gondii. Tale patologia è ubiquitaria nel mondo in tutto il regno animale. Nell’uomo la sieropositività per la toxoplasmosi aumenta con l’età e non si rilevano differenze significative tra i due sessi. La prevalenza dell’infezione differisce nei diversi Paesi del mondo a seconda degli usi e delle abitudini igienico-sanitarie ed alimentari dei popoli; in Italia è pari circa al 40%.
Il Toxoplasma, protozoo a localizzazione endocellulare obbligata, assume nel corso del suo ciclo riproduttivo tre forme diverse: – l’oocisti, ossia il cosiddetto “serbatoio tellurico” dell’infezione; – il trofozoite, la forma proliferativa (detto anche tachizoite o endozoite); – la cisti tissutale, nella quale il protozoo è sottoforma di cistozoite o bradizoite. In particolare il Toxoplasma compie il suo ciclo riproduttivo sessuato all’interno delle cellule intestinali del gatto, che ne rappresenta l’ospite definitivo, mentre l’uomo è soltanto un ospite occasionale. Il gatto si infetta ingerendo carne parassitata di roditori ed uccelli ed elimina il protozoo con le feci sotto forma di oocisti che infettano il terreno. Quando l’uomo o altri animali ingeriscono, mediante cibo inquinato, le oocisti, si originano le forme proliferative (trofozoiti) che, oltrepassata la mucosa intestinale, si distribuiscono grazie al torrente circolatorio (parassitemia) in tutti gli organi, moltiplicandosi attivamente all’interno delle cellule in modo asessuato. La parassitemia, tipica della prima infezione, rappresenta la fase acuta della malattia ed è proprio durante questa fase di disseminazione che il protozoo può raggiungere la placenta ed il prodotto del concepimento. La forma cistica tissutale nasce dalla reazione immunitaria dell’ospite che confina il Toxoplasma all’interno di cisti nelle quali la sua moltiplicazione avviene molto lentamente (bradizoite) o si arresta del tutto (fase cronica della malattia). Sebbene ogni organo possa essere la sede di tali formazioni, esse si repertano più frequentemente a carico del cervello, del muscolo scheletrico e del cuore. La fase di latenza può durare anni e la risposta immunitaria materna generalmente impedisce sia la riattivazione della malattia che la reinfezione esogena [1]. Il contagio può realizzarsi o ingerendo alimenti con-
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
taminati (carni poco cotte, verdura e frutta non ben lavate) o con il meccanismo “mani-bocca”,in soggetti che non abbiano accuratamente lavato le mani dopo aver toccato materiale contaminato da oocisti (terreno, ortaggi) o da cisti (carni). Tra le modalità di trasmissione meno usuali esiste la possibilità di contrarre l’infezione in seguito a trasfusioni di sangue o trapianto di organi infetti (Fig. 16.1).
ta correlazione con l’epoca gestazionale al momento dell’infezione. Nelle prime settimane di gravidanza, infatti, la probabilità di trasmissione al feto è quasi nulla; il rischio di infezione del feto aumenta con l’età gestazionale; di contro, la severità dei danni che quest’ultimo può subire decresce nel tempo (Fig. 16.2).
Fig.16.2. Tasso di trasmissione transplacentare del Toxoplasma e sue manifestazioni cliniche nelle diverse epoche gestazionali. Modificata da [1]
Danni fetali Fig. 16.1. Ciclo biologico del Toxoplasma VI edition. Modificata da [1]
Se l’infezione è contratta al di fuori del periodo della gestazione si risolve per lo più in forma asintomatica o paucisintomatica con la presenza di un lieve rialzo febbrile, artromialgie e interessamento linfoghiandolare (suboccipitale, laterocervicale, pre e retroauricolare, sottoclaveare); ben diversa è la gravità della malattia in gravidanza, non tanto per la gestante, quanto per il rischio di trasmissione fetale e per i quadri patologici che da questa possono derivare. La trasmissione verticale si verifica in corso di parassitemia, nella fase acuta dunque dell’infezione primaria, con un tempo di “incubazione” non ancora univocamente definito. Ciò tuttavia non avviene sempre, ma solo nel 30-35% dei casi, e ciò è in stret-
I fattori che possono influenzare l’entità del danno fetale conseguente all’infezione da Toxoplasma sono molteplici e comprendono la virulenza del ceppo, la carica infettante, l’epoca gestazionale in cui si è contratta l’infezione nonché la maturità del sistema immunitario fetale. In base alla gravità del quadro distinguiamo una forma acuta polivisceritica che può evolvere in aborto, morte fetale tardiva o neonatale precoce, ed una forma subacuto-cronica con possibile coinvolgimento del SNC con idrocefalia, convulsioni, calcificazioni endocraniche e corioretinite (tetrade di Sabin), microcefalia, ritardo mentale e psico-motorio, epilessia; a livello oculare oltre alla corioretinite possono insorgere, cecità e strabismo; a carico dell’orecchio deficit uditivi. Molte di queste sequele possono non essere presenti alla nascita e manifestarsi successivamente nel corso degli anni; si configurano così anche le forme moderate e le forme silenti, queste ultime riconoscibili solo dalla sierologia alla nascita (Tabella 16.1).
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Capitolo 16 • Malattie infettive in gravidanza • S.Guaschino,F.De Seta,S.Smiroldo,E.Bianchini,C.Piva
Tabella 16.1. Forme cliniche dell’infezione neonatale da Toxoplasma forma acuta a disseminazione plurivisceritica
aborto morte fetale tardiva morte in epoca neonatale
forma subacuta-cronica a localizzazione neurooculare
idrocefalia calcificazioni endocraniche convulsioni corioretinite
Forme severe
Forme moderate clinicamente benigne
corioretinite periferica (assenza o solo lievi deficit del visus) calcificazioni cerebrali (esame meurologico negativo alla nascita)
Forme silenti, da contagio tardivo
andamento subclinico,possibili sequele a distanza
Diagnosi Analogamente a quanto accade per l’adulto immunocompetente (ricordiamo che nei soggetti immunocompromessi la toxoplasmosi è gravata da una prognosi ben più infausta a causa della probabilità che si manifestino forme neurologiche della malattia quali meningiti, meningoencefaliti, encefaliti, encefalomieliti e forme acute generalizzate ad interessamento poliviscerale), anche in gravidanza l’infezione decorre per lo più asintomatica. Segni clinici aspecifici (malessere, astenia, linfoadenopatia cervicale e febbre) sono presenti solo nel 10% dei casi e dunque il ruolo della clinica è del tutto marginale [1]. Lo screening sierologico si basa sulla valutazione dello stato immunitario pre- e postconcezionale e la cinetica degli anticorpi specifici IgM, IgA, IgG ne costituisce il razionale. La presenza nel siero di anticorpi di tipo IgG in epoca preconcezionale, in assenza di IgM è indicativa di infezione pregressa, tale immunità risulta quindi essere protettiva nei confronti del feto. L’eventualità di una reinfezione esogena o di una riattivazione è remota e riconducibile per lo più a stati di importante immunodepressione. Nella gravida non immune (IgG e IgM assenti) l’osservazione di alcune basilari norme igienico-alimentari sembra in grado di ridurre notevolmente il rischio di contagio. Sarà tuttavia necessario ripetere le indagini sierologiche mensilmente allo scopo di individuare un’eventuale sieroconversione, che consiste nella positivizzazione di anticorpi specifici (IgM, IgG). La presenza nel siero di anticorpi appartenenti alla frazione delle IgM appare indicativa di infezione recente, ma non in modo assoluto: in alcune pazienti, il tasso di tali anticorpi può perdurare elevato a lungo. In questi casi è d’uso valutare la frazione delle IgA, immunoglobuline che compaiono nel sangue più precocemente rispetto alle IgM e che quindi, se presenti, avvalorano l’ipotesi dell’infezione recente. Un altro parametro di indagine è rappresentato dalla valutazione
dell’avidità delle IgG che altro non è che l’affinità degli anticorpi per l’antigene, che è in funzione della progressiva maturità anticorpale (bassa avidità→infezione recente o in atto; alta avidità→infezione pregressa) [2]. La diagnostica prenatale invasiva si avvale dell’amniocentesi. Sul prelievo di liquido amniotico viene effettuata una PCR (polymerase chain reaction) che consente l’identificazione del DNA del parassita.Tale indagine è caratterizzata da una specificità pari al 100%, ma la sensibilità è condizionata dall’età gestazionale al momento del contagio materno e dall’intervallo di tempo che intercorre tra il contagio e l’esecuzione dell’esame. Il ruolo della funicolocentesi nella diagnostica dell’infezione è tuttora dibattuto sia perché può essere infruttuoso l’isolamento del parassita (parassitemia intermittente), sia perché la produzione anticorpale fetale può essere ritardata [3]. Lo studio del compartimento fetale si può avvalere anche dell’indagine ecografica che può evidenziare, seppur con bassa sensibilità, le malformazioni fetali.
Prevenzione Alla gestante sieronegativa vanno consigliate alcune norme igienico-alimentari mirate a ridurre il rischio di infezione: – evitare il contatto con i gatti e con le lettiere; – evitare insaccati, carni crude, uova crude, latte non pastorizzato; – ingerire solo carni ben cotte; – consumare verdura e frutta crude solo dopo accurato lavaggio con euclorina; – lavare con cura le mani dopo aver toccato materiale potenzialmente contaminato da oocisti o cisti tissutali (ortaggi, verdure, terreno di orti, giardini, carni); – evitare di toccarsi gli occhi o la bocca mentre si manipola carne cruda.
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Management e terapia Il trattamento dell’infezione in gravidanza si differenzia a seconda dell’epoca gestazionale durante la quale avviene la sieroconversione: – dalla 5ª alla 24ª settimana,in caso di positività della sierologia materna (IgG e IgM positive), dopo aver instaurato il trattamento con spiramicina alla dose di 9 milioni UI/die (Rovamicina 3 cp/die) per cicli di 20 giorni al mese, va praticato il test di conferma per accertare che si tratti di prima infezione recente.Alcuni autori suggeriscono,nei casi in cui il test di conferma risulta positivo (IgA e IgE positive, bassa avidità delle IgG) di praticare,previo consenso informato,almeno un ciclo di 3 settimane con pirimetamina (50 mg/die)+sulfadiazina (3 g/die) in associazione con acido folinico al fine di sterilizzare il sangue materno prima di effettuare l’amniocentesi per la ricerca del toxoplasma mediante PCR. Se la ricerca del toxoplasma nel liquido amniotico risulta negativa basta continuare con cicli di spiramicina e controlli ecografici mensili. Se invece con la PCR si evidenzia la presenza del protozoo nel liquido amniotico si è certi che il feto è stato infettato; in que-
sto caso sarà utile alternare cicli di 10 giorni di spiramicina a cicli di 21 giorni di sulfametopirazina+pirimetamina+acido folinico in modo da raggiungere il compartimento fetale, non essendo la spiramicina in grado di superare la barriera placentare; – successivamente (20ª-21ª settimana), soprattutto per valutare l’entità del danno fetale attraverso la determinazione di vari parametri ematochimici, è possibile ricorrere alla funicolocentesi. In caso di grave compromissione del prodotto del concepimento evidenziata da rilievi ecografici ed eventualmente confermata dalle analisi sul sangue fetale sarà proposta l’interruzione di gravidanza; – se la diagnosi di prima infezione recente viene posta dopo la 24ª settimana si effettuano cicli di spiramicina cui si associa il monitoraggio ecografico; va inoltre effettuata l’amniocentesi: se la ricerca del toxoplasma nel liquido amniotico risulta positiva, ai cicli di spiramicina vanno alternati cicli di pirimetamina+sulfametopirazina+acido folinico. Alla nascita è utile, per l’eventuale prosieguo della terapia, ricercare la presenza del parassita nel sangue del funicolo (Tabella 16.2).
Tabella 16.2. Toxoplasmosi in gravidanza:protocollo diagnostico e terapeutico Prima dell’inizio della gravidanza Controllo preconcezionale Prescrivere toxo-test (dosaggio IgG ed IgM sieriche specifiche)
IgG positive IgM negative (sogetti immuni) IgG negative IgM negative (soggetti non immuni,suscettibili)
Management in gravidanza Sierologia negativa in gravidanza iniziale Suscettibilità all’infezione (IgG e IgM negative)
Osservanza delle misure igienico-profilattiche Controlli sierologici mensili
Sierologia positiva per prima infezione Inizio immediato trattamento con spiramicina Test di conferma positivo per prima infezione recente (IgG positive, IgM positive, IgA e IgE positive, test avidità IgG bassa) Amniocentesi per ricerca Toxoplasma mediante PCR Controlli ecografici Se PCR negativa cicli di spiramicina+controlli ecografici Dalla 5a alla 24a settimana Se PCR positiva alternare cicli di spiramicina a cicli di pirimetamina+sulfametopirazina+acido folinico In presenza di anomalie ecografiche e/o segni di sofferenza fetale alla cordocentesi → IVG Cicli di spiramicina Controlli ecografici seriati e amniocentesi con ricerca del Toxoplasma mediante PCR Dopo la 24a settimana Se PCR positiva alternare cicli di spiramicina a cicli di pirimetamina+sulfametopirazina+acido folinico Test di conferma negativo per prima infezione recente (infezione risalente a 3-8 mesi addietro;IgG positive,IgM debolmente positive,IgA negative,test avidità IgG alta) I trimestre Rischio scarso → Cicli di terapia con spiramicina fino a negativizzazione IgM II trimestre Rischio modesto → Cicli di terapia con spiramicina,eventuale amniocentesi III trimestre Rischio modesto → Cicli di terapia con spiramicina fino al parto Sierologia positiva per reinfezione (IgG elevate,IgM debolmente positive,IgA positive,test avidità IgG alta) Terapia antibiotica,amniocentesi solo nelle immunodepresse
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Capitolo 16 • Malattie infettive in gravidanza • S.Guaschino,F.De Seta,S.Smiroldo,E.Bianchini,C.Piva
ROSOLIA Benché esista una efficace vaccinazione nei confronti dell’agente eziologico responsabile di tale infezione, l’embriopatia rubeolica rappresenta un grave problema in diversi paesi, come evidenziato dai 100.000 nuovi casi/anno. La rosolia è una malattia esantematica causata da un virus a RNA del gruppo dei Togavirus che si localizza e si riproduce nell’epitelio delle vie respiratorie superiori e nei linfonodi regionali. L’uomo è l’unico ospite del virus, la cui trasmissione avviene con il contatto interumano attraverso l’inalazione di goccioline di saliva immesse nell’ambiente con i colpi di tosse e gli starnuti. Dopo 7-10 giorni dal contagio si ha la fase viremica per cui il virus diffonde in tutti gli organi e tessuti. Nell’adulto la malattia decorre frequentemente asintomatica o presenta una modesta sintomatologia caratterizzata da lieve rialzo termico, esantema e linfoadenopatia regionale. L’introduzione del vaccino anti-rosolia ha profondamente mutato lo status immunitario della popolazione per cui, nei paesi occidentali, la prevalenza delle donne in età riproduttiva immunizzate è molto elevata e pari a circa il 90%.
Va inoltre sottolineato che l’infezione del prodotto del concepimento non sempre significa malattia; vi sono, cioè, anche casi in cui l’infezione embriofetale non determina alcun danno a carico del concepito. L’infezione fetale tardiva, a partire dal secondo trimestre di gravidanza, in genere, si concretizza nella fetopatia rubeolica caratterizzata da un insieme di alterazioni isolate o variamente associate tra cui ricordiamo: anomalie dell’osteogenesi, alterazioni ematologiche (porpora trombocitopenica) epatosplenomegalia, difetto di crescita (IUGR), parto pretermine, morte endouterina del feto (Tabella 16.4). È stata anche riportata una maggiore incidenza di diabete negli adulti che alla nascita erano risultati affetti da rosolia congenita. Tabella 16.4. Fetopatia rubeolica Alterazioni ossee
Alterazioni viscerali
Alterazioni ematologiche
Anomalie dell’osteogenesi e dell’ossificazione a livello della metafisi delle ossa lunghe Epatosplenomegalia Diabete tipo I Lesioni neurologiche Anemia Porpora trombocitopenica
Danni embriofetali Diagnosi Quando l’infezione è contratta per la prima volta (prima infezione) nel corso del primo trimestre della gravidanza, essa può causare una embriopatia malformativa la cui gravità e frequenza sono tanto maggiori quanto più bassa è l’età gestazionale; se il contagio si verifica dopo il primo trimestre le conseguenze sono meno gravi, potendo insorgere la cosiddetta fetopatia rubeolica. Circa il 40-90% dei prodotti del concepimento di donne affette da rosolia nel primo trimestre sono risultati affetti dall’infezione, che nelle prime 8-10 settimane può esitare in aborto, ma può causare anche l’embriopatia rubeolica caratterizzata da multiple malformazioni a carico dell’occhio (cataratta, corioretinite, glaucoma), dell’orecchio (sordità), del cuore (persistenza del dotto di Botallo, difetto interatriale o interventricolare) e del sistema nervoso (ritardo psicomotorio) (Tabella 16.3).
La diagnosi di laboratorio si basa sul dosaggio delle immunoglobuline specifiche in due campioni di sangue prelevati in tempi successivi e cioè a distanza di due settimane l’uno dall’altro. In caso di infezione primaria saranno positive IgG e IgM che aumentano 5 giorni dopo l’esantema e persistono per 4 settimane; IgM negative e IgG in aumento sono espressione di reinfezione; IgG e IgM negative indicano suscettibilità all’infezione; IgG stabili e IgM negative escludono infezione in atto. La risposta anticorpale all’infezione dovrebbe garantire una protezione completa e permanente,infatti le reinfezioni sono un evento eccezionale.Nei casi in cui si presenta tale evenienza,tuttavia la carica virale sarebbe così esigua da non rappresentare una minaccia per il prodotto del concepimento. Poiché non sempre la presenza di IgM sieriche si-
Tabella 16.3. Embriopatia rubeolica.Tipo di lesioni e incidenza percentuale in relazione all’età gestazionale
Età gestazionale (rischio di embriopatia, %) Fino a 4 settimane (90) 5-8 settimane (40-50) 9-12 settimane (10-30) 13-16 settimane (<10)
Oculari, % 62 30 8 <1
Uditive, % 85 74 68 50
Alterazioni Cardiache, % 60 58 30 5
Neurologiche, % 55 60 22 10
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gnifica infezione primaria recente, è utile per la diagnosi di certezza la determinazione delle IgA e dell’avidità delle IgG: la positività delle IgA e una bassa avidità delle IgG, servono a porre diagnosi di prima infezione recente (Tabella 16.5).
Management Nei soggetti non protetti (IgG e IgM negative) sono necessari controlli sierologici mensili per tutto il primo trimestre di gravidanza e l’osservanza delle norme di prevenzione evitando gli ambienti a rischio (asili,scuole,ecc.). Nel caso in cui gli esami di laboratorio depongano per un’infezione materna primaria o in presenza di dubbi diagnostici sarà utile ricorrere alla villocentesi e/o amniocentesi per accertare l’infezione embriofetale. La ricerca del virus nel liquido amniotico fornisce le migliori garanzie [4, 5].
In caso di risultati discordanti (villocentesi positiva, amniocentesi negativa) è possibile ricorrere alla funicolocentesi che consente di ricercare nel sangue fetale le IgM specifiche e mediante PCR lo stesso virus rubeolico, tenendo sempre in considerazione le riserve relative alla scarsa sensibilità e specificità di questa tecnica diagnostica [4]. Va tuttavia detto che raramente si ricorre al prelievo di sangue fetale in quanto la positività in una delle due indagini suddette (amnio/villocentesi) induce la gestante ad interrompere la gravidanza soprattutto in caso di infezione precocissima.Va, inoltre, sottolineato che in caso di sierologia materna positiva le tecniche segnalate vanno realizzate previo consenso informato perché possibili veicoli di infezione al feto. La prevenzione dell’infezione rubeolica si effettua con la vaccinazione delle bambine e delle donne fertili non immuni, selezionate in fase preconcezionale mediante test sierologici specifici. Detta vaccinazione, in regime di
Tabella 16.5. Sierologia per la diagnosi e datazione della rosolia materna
Primo prelievo
Secondo prelievo dopo 15 giorni
Prima infezione recente IgG positive IgM positive
Reinfezione IgG positive IgM negative
Infezione pregressa IgG positive IgM negative
Suscettibilità all’infezione IgG negative IgM negative
IgG positive (in aumento) IgM positive IgA positive IgG avidity bassa
IgG positive (in aumento) IgM negative
IgG positive (stabili) IgM negative
IgG negative IgM negative
Tabella 16.6. Rosolia in gravidanza:protocollo diagnostico e terapeutico Prima dell’inizio della gravidanza Controllo preconcezionale Prescrivere sierologia (dosaggio IgG ed IgM sieriche specifiche)
In presenza di soggetti non immuni (IgG ed IgM specifiche negative) va effettuata la vaccinazione
Management in gravidanza Sierologia negativa in gravidanza iniziale Suscettibilità all’infezione (IgG e IgM negative)
Osservanza delle misure igienico-profilattiche evitando ambienti a rischio Controlli sierologici mensili soprattutto nelle gestanti a rischio (puericultrici,insegnanti)
Sierologia positiva per prima infezione Test di conferma positivo per prima infezione recente o sieroconversione (IgG positive, IgM positive, IgA positive, test avidità IgG bassa) Informare sui possibili danni fetali Entro le prime 12 settimane Villocentesi per ricerca virus mediante PCR Se PCR positiva → IVG Amniocentesi per ricerca virus:se positiva → IVG Tra 13 e 23 settimane Se discordanze tra VCS/amniocentesi → cordocentesi:PCR pos.→ IVG Eco morfologica+ecocardiografia:se danni fetali → IVG Controlli ecografici Dopo 23 settimane È inutile la diagnosi prenatale invasiva per scarsa incidenza di danni fetali
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esenzione assoluta, viene effettuata in Italia anche a tutti i nati (1a dose a 15 mesi e richiamo a 12 anni) nell’ambito di una campagna di prevenzione vaccinale relativa a morbillo-rosolia-parotite che il Ministero della Sanità ha intrapreso con circolare n. 13 del 06\06\95. La vaccinazione viene sconsigliata in gravidanza in quanto il vaccino è costituito da virus vivi attenuati. Se la gravida è osservata per la prima volta a gestazione iniziata è utile richiedere gli esami sierologici per la rosolia il più presto possibile (5-7 settimane) sia per individuare i soggetti non immuni cui consigliare le opportune norme igienico-profilattiche, sia per avere parametri precoci di riferimento. La terapia con immunoglobuline specifiche ha dato risultati non confortanti in quanto generalmente incapace di evitare la viremia e l’infezione fetale. Tuttavia le immunoglobuline sembrerebbero più utili se utilizzate in maniera profilattica piuttosto che ad infezione conclamata (Tabella 16.6).
CITOMEGALOVIRUS (CMV) Il citomegalovirus (CMV) è un DNA-virus appartenente alla famiglia Herpesviridae conosciuto per la sua ubiquitaria distribuzione sia tra gli uomini che in altre numerose specie di mammiferi. La sieroprevalenza dell’infezione aumenta con l’età ed è più elevata nei Paesi a basso tenore socio-economico; da ciò si evince che nei Paesi sviluppati c’è un maggiore tasso di gestanti a rischio di contrarre l’infezione: infatti la prevalenza della sieropositività in donne in età fertile varia in un range dal 50% all’85% negli Stati Uniti e nell’Europa Occidentale, a fronte di un 90% nell’Africa subsahariana e nel Sud America. Le modalità di trasmissione del CMV non sono state ancora completamente definite. Sicuramente il serbatoio dell’infezione è rappresentato dall’uomo che può diffondere il patogeno anche a distanza di anni dall’infezione primaria con un meccanismo di trasmissione persona-persona sia diretto (saliva, secrezioni oro-faringee, rapporti sessuali, liquido seminale, secrezioni cervico-vaginali, latte materno) che indiretto (contatto con urina, sangue, organi trapiantati). Nonostante questa molteplicità di vie di diffusione, il CMV non viene considerato un patogeno particolarmente contagioso in quanto è richiesto un intimo contatto con le secrezioni infette perché la trasmissione si attui. Nell’ospite immunocompetente l’infezione da CMV decorre per lo più in modo asintomatico; tuttavia, quando essa colpisce la gestante, pur non variando il suo decorso nella madre, spesso diventa causa di gravi sequele feto-neonatali. L’infezione intrauterina è conseguenza principalmente dell’infezione contratta per la prima vol-
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ta in gravidanza (infezione primaria) con passaggio transplacentare del CMV, e prevede un rischio di trasmissione al feto variabile tra il 20% ed il 50%. Casi di trasmissione a gravide già immuni (reinfezione esogena o riattivazione) sono invece riportati solo nello 0,5%-2% dei casi. Sono stati descritti casi di trasmissione del virus a neonati attraverso le secrezioni cervico-vaginali al momento del parto o tramite ingestione di latte infetto [5, 6].
Danni feto-neonatali Solo il 10-15% dei neonati infetti presenta sintomi alla nascita, ma le manifestazioni cliniche possono comportare un 30% di mortalità perinatale, epatiti isolate o polivisceriti con ittero severo, porpora trombocitopenica, epatosplenomegalia, polmonite, encefalite, ed essere quindi molto severe. Le forme attenuate si manifestano con ittero, porpora e ritardo dell’accrescimento. Anomalie strutturali possono interessare il SNC con ventricolomegalia, microcefalia, calcificazioni intracraniche; meno frequentemente gli apparati gastroenterico e cardiovascolare. Deficit visivi ed uditivi di varia entità aggravano talora il quadro clinico. Anche i neonati asintomatici potranno manifestare nel corso della loro vita ritardo mentale e sordità, in circa il 1015% dei casi (Fig. 16.3).
Fig. 16.3. CMV.Decorso dell’infezione in gravidanza.Modificata da [1]
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
Diagnosi e management Data l’asintomaticità dell’infezione nell’adulto immunocompetente, l’identificazione delle gravide a rischio di trasmissione verticale è possibile solo mediante screening sierologico. Al primo controllo si possono evidenziare i seguenti pattern: – IgG positive/IgM negative→infezione pregressa. Non sono previsti ulteriori accertamenti, anche se tale condizione non risulta completamente protettiva (reinfezioni-riattivazioni) pur, peraltro, escludendo la possibilità di infezione primaria che è la condizione di maggiore rischio per il feto. – IgG negative/IgM negative→identifica la gravida a rischio. Si devono consigliare alla donna semplici norme comportamentali per ridurre la possibilità di esposizione come evitare il contatto stretto con qualunque materiale organico di bimbi in età prescolare. L’opinione di diversi autori è discorde circa l’utilità dello screening di tale infezione nel corso della gravidanza. Attualmente l’indagine sierologica non compare tra gli esami previsti dal decreto ministeriale per la tutela della salute in gravidanza. – IgG positive/IgM positive→sospetto di infezione in atto o recente. È necessario effettuare il test di avidità delle IgG (tale parametro aumenta al trascorrere del tempo dall’esposizione all’antigene). Durante la gravidanza la gestante non immune può andare incontro alla sieroconversione. In tal caso, così come quando si riscontrino IgG ed IgM entrambe positive con bassa avidità per le IgG (e quindi si può parlare di infezione in atto), è utile effettuare un’amniocentesi per valutare il coinvolgimento fetale. Tale metodica è meno indaginosa e gravata da minori rischi ri-
spetto alla funicolocentesi, alla quale quindi viene preferita, almeno in prima battuta. Nel liquido amniotico il virus viene ricercato tramite tecniche colturali e con la PCR che consente l’identificazione del genoma virale. Per quanto riguarda i tempi di esecuzione bisogna considerare alcuni aspetti per evitare falsi negativi: il CMV ha una replicazione lenta,pertanto saranno necessarie 6-9 settimane dal momento dell’infezione materna prima che il virus,che trova nelle cellule dell’epitelio tubulare del rene fetale la sede elettiva della replicazione, venga eliminato in quantità sufficiente da poter essere rilevato nel liquido amniotico. Inoltre va ricordato che prima della 20ª settimana di gestazione il sistema emuntorio fetale è ancora immaturo. Dal punto di vista prognostico, l’individuazione del CMV nel liquido amniotico,non significa necessariamente presenza di infezione del prodotto del concepimento. Pertanto riveste un ruolo importante la valutazione quantitativa della carica virale mediante PCR (PCR quantitativa), per la quale è stato stabilito un valore soglia di 103 genomi equivalenti/ml. Di fronte al riscontro di un’amniocentesi positiva si renderanno necessari accurati controlli ecografici per individuare possibili alterazioni fetali e eventualmente la funicolocentesi che è in grado di vagliare, oltre alla presenza del virus e degli anticorpi, anche i segni ematochimici dell’infezione (anemia, trombocitopenia, alterazioni della funzionalità epatica fetale) [6]. Attualmente non esistono trattamenti farmacologici in grado di contrastare efficacemente l’infezione,pertanto la diagnostica prenatale ha unicamente gli scopi di permettere una prosecuzione più serena della gravidanza in caso di risultato negativo e di proporre, in caso di positività, un’eventuale interruzione “terapeutica” della gravidanza. Nel neonato in cui sia stata accertata l’infezione è possibile effettuare una terapia a base di Ganciclovir,il cui utilizzo in gravidanza è ancora in fase di sperimentazione (Tabella 16.7).
Tabella 16.7. CMV in gravidanza:protocollo diagnostico e terapeutico Prima dell’inizio della gravidanza Controllo preconcezionale Prescrivere sierologia (dosaggio IgG ed IgM sieriche specifiche) Management in gravidanza Sierologia negativa in gravidanza iniziale Suscettibilità all’infezione (IgG e IgM negative)
Soggetti immuni (IgG positive e IgM negative) Soggetti non immuni (IgG e IgM negative) Non è consigliata la sorveglianza sierologica Sono sufficienti controlli ecografici
Sierologia positiva per prima infezione o sieroconversione Test di conferma positivo per prima infezione recente (IgG positive, IgM positive, IgA positive, test avidità IgG bassa, anticorpi neutralizzanti assenti) Informare che non è possibile accertare l’infezione fetale prima della 20a settimana con amniocentesi→eventuale IVG Entro la 12a settimana Tra 13a e la 23a settimana
Dopo 23a settimana
16-18 settimane:controlli ecografici; se anomalie fetali→possibile IVG se PCR negativa:controlli ecografici 20-21 settimane:amniocentesi se positiva PCR quantitativa: eco 2° livello→anomalie fetali→IVG cordocentesi→danno fetale→IVG Controlli ecografici seriati
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MALATTIA ERPETICA L’herpes simplex virus (HSV) è un DNA-virus, che appartiene alla famiglia delle Herpesviridae, virus capaci di permanere nell’organismo infettato in forma latente con sporadiche riattivazioni locali (mucosali). Ne sono stati identificati 2 sierotipi: HSV1 e HSV2; il primo interessa di solito la regione orale, il secondo la regione genitale. La malattia erpetica genitale rappresenta una della più comuni malattie a trasmissione sessuale e colpisce più frequentemente le donne di razza bianca. Si stima che una percentuale tra il 75% e il 90% degli individui appartenenti alle classi sociali più disagiate sviluppi anticorpi verso l’HSV2 entro la fine della prima decade di vita. Nei ceti sociali medio alti invece il 30-40% sviluppa tali anticorpi entro la fine della seconda decade di vita. Il contagio si verifica per via sessuale; le zone più colpite dei genitali femminili sono: le piccole e le grandi labbra, la zona perineale, la zona uretrale, la vagina. La sintomatologia è caratterizzata dalla comparsa, nelle zone interessate, di vescicole circondate da un alone eritematoso cui si associano bruciore, disuria, dispareunia. Le vescicole tendono a ulcerarsi con conseguente reazione linfonodale e lieve rialzo termico. In taluni casi l’infezione può decorrere in maniera asintomatica. Dopo la fase acuta (infezione primaria) l’HSV si localizza nei gangli della regione lombosacrale dove può replicarsi (recidive) in occasione di infezioni ricorrenti, di stress emotivi, in fase premestruale. In gravidanza il virus può essere trasmesso al feto sia durante la prima infezione che nel corso di recidive. Il virus può infettare il prodotto del concepimento per via transplacentare, per via ascendente, specialmente dopo rottura prematura delle membrane e durante il travaglio di parto. Il contagio per via transplacentare è molto raro e si verifica solo in corso di prima infezione; se l’infezione fetale insorge prima della 20a settimana è possibile l’aborto, raramente si hanno malformazioni; può verificarsi inoltre, la rottura prematura delle membrane (PROM) e il parto pretermine. La gran parte delle infezioni nel neonato viene contratta durante il parto per le vie naturali, quando il feto, attraversandole, viene a contatto con secrezioni cervico-vaginali. Questo può determinare l’insorgenza di un’encefalite erpetica, ma più frequentemente si sviluppa una poliviscerite per disseminazione generalizzata del virus, con percentuali di mortalità elevate (70%). La diagnosi di laboratorio si basa sul rilievo degli anticorpi specifici e sulla dimostrazione del virus localmente a mezzo di esami colturali.
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Le donne con storia di herpes genitale ricorrente devono essere rassicurate sul fatto che il rischio di trasmissione fetale in caso di ricorrenze è estremamente basso. Infezioni intrauterine sono rare con un rischio stimato di 1:200.000 gravidanze, mentre il rischio aumenta (1:2.000 parti) se l’espletamento del parto avviene in donne con lesioni floride vulvovaginali in forma asintomatica. Le raccomandazioni della RCOG (Royal College of Obtetrics and Gynaecology) sono le seguenti.
Donne che presentano primo episodio di herpes genitale in gravidanza Viene caldamente consigliato il trattamento con Acyclovir in quanto ben tollerato soprattutto nelle ultime settimane di gravidanza . Non ci sono state infatti evidenze cliniche o laboratoristiche di tossicità materna o fetale dal 1984, anno di nascita del Acyclovir Pregnancy Registry al 1998, anno della sua chiusura. Se l’episodio infettivo invece si verifica in prossimità del parto (dopo le 36 settimane) si consiglia l’espletamento di quest’ultimo per via addominale in quanto la possibilità di trasmissione al feto dell’infezione è piuttosto elevata (41%) [7, 8]. Nell’eventualità di una rottura prematura delle membrane il rischio di trasmissione aumenta esponenzialmente con il passare del tempo, in particolare è molto elevato dopo quattro ore dalla rottura, sia che si tratti di un primo episodio di herpes che di una recidiva [7-9].
Donne con episodi di herpes genitale ricorrente a termine di gravidanza Linee guida americane suggeriscono di praticare a tutte le donne con storia di herpes ricorrente colture microbiologiche settimanali nelle ultime sei settimane di gravidanza, al fine di individuare l’infezione erpetica in forma asintomatica. Non vi è tuttavia alcuna evidenza rilevante a supporto di tale pratica e si raccomanda di espletare un parto per via addominale solo se lo shudding virale si verifica in prossimità del parto [7-9].
VARICELLA ZOSTER La varicella è un quadro patologico infettivo causato dal virus della varicella zoster (VZV), che appartiene alla famiglia delle Herpesviridae. Studi epidemiologici hanno evidenziato un incremento della prevalenza del riscontro di IgG sieriche spe-
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
cifiche per VZV dal 7% al 61% tra il primo ed il quinto anno di vita. A 8-9 anni d’età tale valore raggiunge il 94%, cosicché il numero di adulti suscettibili all’infezione risulta essere molto basso. La trasmissione del virus avviene per via respiratoria o per contatto diretto con lesioni infette. L’infezione primaria si manifesta come varicella, dopodiché il virus entra in una fase di latenza all’interno dei gangli sensitivi e, qualora si verifichi una riattivazione endogena, può dare luogo ad uno zoster. Solitamente la sintomatologia è moderata e autolimitantesi; è caratterizzata da febbre, malessere e da lesioni cutanee generalizzate che assumono progressivamente l’aspetto di macule, papule, vescicole e croste. Nella maggior parte dei casi i sintomi risultano essere più accentuati nei bimbi con meno di un anno di età e nei soggetti con più di 15 anni e negli immunodepressi. In tali classi di pazienti il tasso di incidenza di complicanze è maggiore; esse sono perlopiù attribuibili a sovrainfezioni batteriche secondarie, tra queste polmonite, encefalite e atassia cerebellare sono le più temibili. L’herpes zoster, manifestazione di una reinfezione endogena da VZV, è caratterizzato clinicamente da un dolore radicolare monolaterale associato ad un’eruzione cutanea vescicolare nella sede di innervazione sensitiva di un nervo cranico o spinale. Può dare come sequele forme di zoster generalizzate, nevralgie post-herpetiche, paralisi motorie, neuroencefaliti, compromissioni del visus e dell’udito. Nelle donne in gravidanza la prevalenza di infezione primaria è pari all’1-7/10.000, la prevalenza di zoster è 5/10.000 gravidanze. La varicella è gravata, se contratta in gravidanza, da una serie di complicanze sia materne che fetali. La polmonite rappresenta la complicanza materna più severa nelle ultime settimane di gravidanza; tra i possibili fattori coinvolti sono stati individuati la relativa depressione dell’immunità cellulare, l’incremento del livello di steroidi circolanti e i cambiamenti della dinamica respiratoria. La polmonite da VZV è gravata da un tasso di mortalità pari al 20% nella popolazione generale, ma tale fenomeno raggiunge un’incidenza del 45% in gravidanza. Gli studi più recenti hanno tuttavia evidenziato una riduzione di tali parametri a seguito dell’introduzione della terapia antivirale e di un maggiormente efficace supporto ventilatorio. La trasmissione materno-fetale può avvenire in seguito a: – viremia transplacentare; – infezione ascendente;
– droplet respiratorio/contatto diretto (dopo la nascita). L’infezione intrauterina si verifica nel 25% dei casi; essa può determinare l’insorgenza di complicanze fetali, che dipendono nell’entità e nella tipologia dall’epoca gestazionale. Esse comprendono uno spettro di manifestazioni che variano dall’aborto spontaneo (3-8%) nel I-II trimestre, alla sindrome della varicella congenita (CVS) nel 12% dei casi. L’incidenza di embrio-fetopatia dopo la comparsa di varicella nella madre alla ventesima settimana di gestazione è stimato attorno al 2%. La CVS è più frequente se l’infezione è contratta entro le 15 settimane. Col progredire dell’età gestazionale il riscontro di anomalie si fa meno frequente, tuttavia c’è una maggiore probabilità che il bimbo contragga una forma di varicella connatale. La sindrome da varicella congenita (CVS) è caratterizzata dalla comparsa di lesioni cutanee che seguono la distribuzione dei dermatomeri, alterazioni neurologiche, coinvolgimento oculare, ipoplasia degli arti. Il 30% dei bimbi che alla nascita presentano queste lesioni, va incontro a decesso nel primo mese di vita. La varicella neonatale si manifesta se la mamma contrae la varicella nelle ultime 3 settimane di gravidanza; in relazione al periodo di incubazione la malattia si manifesta nel bimbo verso i 10-12 giorni di vita. Se l’infezione compare più tardivamente è più probabile che si tratti di un’infezione contratta dopo la nascita; in questo caso è clinicamente meno severa poiché il bimbo è coperto dagli anticorpi materni [10]. Generalmente la varicella neonatale porta al decesso del bimbo nel 20% dei casi, e ciò è tanto più vero se la madre ha contratto l’infezione nell’arco di tempo che intercorre tra i 4-5 giorni precedenti il parto e i 2 giorni seguenti; in questo caso il feto non può beneficiare della risposta anticorpale materna [10]. L’infezione intrauterina può causare delle sequele a distanza, in quanto il virus può restare latente nei gangli sensitivi fetali. Tale latenza tuttavia non è destinata a durare a lungo a seguito dell’immaturità del sistema immunitario del bimbo e della progressiva perdita degli anticorpi della madre. Pertanto è possibile che si verifichi la comparsa di herpes zoster durante la primissima infanzia. Relativamente allo zoster in gravidanza, si può affermare che difficilmente l’infezione materna localizzata è in grado di causare difetti nello sviluppo del feto per il fatto che le lesioni cutanee non sono generalmente associate a viremia e per la preesistenza di una copertura anticorpale materna (Fig. 16.4).
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Management
Fig. 16.4. Conseguenze di varicella e zoster durante la gravidanza
Diagnosi La varicella zoster non appartiene al gruppo di malattie “testate” abitualmente in gravidanza. La diagnosi di varicella nella madre è basata soprattutto sul riscontro di segni clinici e della presenza di specifiche IgM (segno di infezione in atto) e IgG (nelle infezioni pregresse). La ricerca delle sequenze genomiche virali tramite metodiche di amplificazione è il metodo di scelta per la valutazione della positività di tamponi cutanei e/o biopsie, campioni di liquor, liquido amniotico, tessuti. Per quanto concerne la diagnostica prenatale, l’ecografia eseguita tra la 20ª e la 22ª settimana di gestazione risulta essere estremamente utile nell’identificazione di alterazioni morfologiche. La diagnosi in caso di sospetta infezione, può essere arricchita dalla ricerca di IgM specifiche nel sangue fetale e del DNA virale nei villi coriali o nel liquido amniotico. Tuttavia, la presenza di DNA virale non è necessariamente sinonimo di malattia a carico del feto.
Le donne non immuni devono essere messe a conoscenza dei rischi connessi con l’infezione da VZV. In gravidanza è indicato il dosaggio anticorpale (IgG) nelle donne esposte al rischio di contrarre l’infezione, che non abbiano all’anamnesi la sicurezza di aver contratto in precedenza la varicella; infatti non vi è altrimenti l’indicazione ad eseguire di routine il dosaggio di tali anticorpi durante la gestazione, alla luce dell’alto tasso di positività nelle donne in età fertile. La somministrazione di immunoglobuline anti-varicella zoster (VZIG, 0,5 ml/Kg im o 1 ml/Kg ev) entro 72 ore dall’esposizione al virus può essere utile teoricamente per ridurre il rischio di infezione al feto, tuttavia non vi sono evidenze che dimostrino un’efficacia di tale presidio terapeutico nel ridurre il rischio di viremia fetale, di CVS e di varicella neonatale. Di contro ne è dimostrata l’azione atta a ridurre i rischi di varicella severa nel neonato e di polmonite nella mamma. L’Acyclovir (10 mg/Kg ogni 8 ore ev per 10 giorni) è indicato nelle donne in gravidanza con polmonite da varicella. Non sono stati dimostrati effetti teratogeni di tale farmaco, tuttavia la casistica attualmente disponibile è estremamente ridotta. Spesso è consigliata l’associazione con una profilassi antibiotica per scongiurare il rischio di sovrainfezioni polmonari batteriche. Nelle donne che contraggono la varicella entro 5 giorni dalla data presunta del parto, il travaglio va posticipato, se possibile, allo scopo di consentire il passaggio di anticorpi materni attraverso la barriera placentare, riducendo così il rischio di mortalità dovuto alla varicella neonatale. Madri e neonati affetti vanno isolati nel reparto di maternità. La terapia con Acyclovir è utile nei neonati che sviluppano CVS per ridurre la progressione di malattia. Per i figli di donne con segni clinici di varicella nei 5-7 giorni precedenti il parto o nei 2 giorni seguenti, è indicato il trattamento con VZIG.
Prevenzione Un vaccino vivo attenuato è disponibile attualmente per indurre un’immunizzazione attiva nelle donne sieronegative prima che intraprendano una gravidanza. Tale vaccino ha dimostrato di essere sicuro e di garantire una protezione completa contro la varicella. Il vaccino deve essere offerto a tutti coloro che non presentano positività anamnestica per tale quadro patologico. La gravidanza andrebbe evitata nei 3 mesi seguenti la vaccinazione (Tabella 16.8).
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
Tabella 16.8. Varicella zoster in gravidanza:protocollo diagnostico e terapeutico Management in gravidanza Soggetto immune (IgG positive e IgM negative) → nessun provvedimento Soggetto suscettibile (IgG negative e IgM negative) → somministrare immunoglobuline specifiche
Contatto della gestante con portatore di varicella zoster
Dosaggio immediato anticorpi specifici (IgG e IgM anti-varicella)
Positività sierologica prima infezione o sieroconversione prima della 20a settimana
Amniocentesi PCR
Negativa:solo controlli ecografici Eco 2° livello → anomalie fetali → IVG Positiva Cordocentesi → danno fetale → IVG
Sieroconversione nelle ultime 2 settimane
Somministrare
Alla gestante Acyclovir Al neonato immunoglobuline specifiche
SINDROME DA IMMUNODEFICIENZA ACQUISITA (AIDS) Il virus dell’ immunodeficienza umana (HIV) è un piccolo retrovirus a RNA che causa una malattia nota come sindrome da immunodeficienza acquisita (acquired immuno-deficiency syndrome, AIDS), descritta per la prima volta nel 1981. Negli USA e in Europa l’AIDS è causata essenzialmente dal virus HIV tipo 1; un virus simile, HIV tipo 2, è responsabile di una buona parte delle forme presenti in Africa, ma non si è diffuso in maniera significativa nelle nazioni industrializzate. La trasmissione del virus avviene nella maggior parte dei casi (53-60%) attraverso rapporti sia etero- che omosessuali. Il virus infatti va a localizzarsi a livello della zona di giunzione squamo-colonnare della cervice uterina nella donna, mentre nell’uomo alcune copie virali possono essere presenti a livello spermatico. Il contagio può verificarsi anche per contatto con sangue infetto in seguito a trasfusioni o in relazione all’uso di siringhe e aghi condivisi tra tossicodipendenti (35-40%) oppure per trasmissione diretta durante la gravidanza (7-10%) [11, 12]. Nei paesi in via di sviluppo, ma non solo, tale infezione, vista la sua rapida espansione, rappresenta un serio problema soprattutto per le giovani generazioni. Si stima infatti che i bambini affetti nei Paesi in via di sviluppo siano più del 5% (80% con meno di 5 anni), contro l’1% degli Stati Uniti. L’infezione da HIV può essere inizialmente asintomatica, simil-influenzale o mononucleosica. Il paziente sviluppa gli anticorpi contro il virus dopo tre o più mesi dal contagio, ma questi soggetti anche se asintomatici, sono già infetti. Dopo un periodo di tempo variabile incominciano a presentarsi febbre continua o sub-continua, astenia, cachessia, diarrea, interessamento polmonare, porpora trombocitopenica, linfoadenopa-
tia ecc.; molteplici infezioni opportunistiche di natura batterica e/o virale possono aggravare il quadro clinico. Data la notevole diffusione della malattia (più di 2 milioni di donne sono sieropositive) si è orientati a praticare, previo consenso informato e osservando l’obbligo etico della più assoluta riservatezza, l’accertamento diagnostico sierologico in tutte le gestanti. L’infezione si trasmette al prodotto del concepimento per via transplacentare o più spesso durante il travaglio di parto per contatto diretto delle mucose fetali con le secrezioni cervico-vaginali infette. La rottura prematura delle membrane (da più di 4 ore) è associata ad un maggiore rischio di trasmissione verticale proprio in relazione alla prolungata esposizione fetale all’ambiente vaginale infetto. Si stima infatti che negli Stati Uniti la trasmissione del virus in caso di parto naturale sia del 25-30%, in Europa del 13-20%, mentre in Africa arriva fino al 40%; tali differenze sembrano essere dovute alle condizioni materne (concentrazione di linfociti CD4 inferiori a 200 cell/mm3), allo stato immunologico fetale, all’aggressività e alla carica virale. Trials clinici hanno dimostrato, infatti, una correlazione evidente tra viremia materna, concentrazione virale nelle vie genitali e trasmissione verticale. Livelli plasmatici elevati di HIV-RNA nella gestante sono ritenuti altamente predittivi di trasmissione materno-fetale, nella cui prevenzione appare chiaramente importante la terapia con farmaci antiretrovirali (zidovudina) tendente a sopprimere o quantomeno a ridurre la carica virale [13]. Dati contrastanti sono riportati in letteratura circa le percentuali di malformazioni, abortività, prematurità ed iposviluppo nei feti infetti rispetto a quelli di gestanti sieronegative; molti elementi tuttavia sembrano avvalorare l’ipotesi che l’incidenza di dette lesioni nei feti infettati sia del tutto sovrapponibile a quella dei feti esenti da infezione.
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Dato il notevole rischio di infezione fetale durante il parto vaginale si consiglia di eseguire fuori travaglio il taglio cesareo elettivo che riduce, secondo recenti studi, del 50% il rischio di trasmissione verticale. Evitare il travaglio sarebbe importante non solo per impedire il contatto delle mucose fetali con l’ambiente vaginale, ma anche perché le contrazioni uterine potrebbero determinare lesioni placentari attraverso cui il sangue infetto materno raggiungerebbe il compartimento fetale [14]. L’allattamento al seno sembra, inoltre, raddoppiare il rischio di infezione neonatale in quanto il virus è presente in più del 73% dei casi in forma libera, con una prevalenza molto maggiore nel latte materno (47%) rispetto al colostro (27%).
Diagnosi Il CDC (Center for Diseases Control) consiglia di sottoporre tutte le donne gravide alla ricerca degli anticorpi anti-HIV, in quanto, nei paesi sviluppati, esiste una efficace terapia in grado di modificare sensibilmente il rischio trasmissione neonatale.
Management È evidente che le gestanti sieropositive devono essere oggetto di un monitoraggio intensivo teso non solo al
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controllo delle condizioni fetali, ma soprattutto di quelle materne, ponendo particolare attenzione all’eventuale insorgenza di infezioni opportunistiche (toxoplasmosi, infezioni virali e/o batteri) che vanno tempestivamente trattate. Nel caso si intenda praticare tecniche invasive (amniocentesi, ecc.) per la ricerca del virus HIV nel compartimento fetale, è necessario un preventivo consenso informato della gestante, chiaramente edotta sulla possibile trasmissione del virus al feto durante l’esecuzione dell’indagine. Gestanti sieropositive per HIV sono state trattate con zidovudina (AZT) per migliorare le condizioni materne e ridurre la trasmissione verticale dell’infezione. Lo schema terapeutico proposto dal gruppo di studio PACTG (Pediatric AIDS Clinical Trial Group) prevedeva nelle gestanti sieropositive la somministrazione di AZT alla dose di 100 mg per os per 5 volte/die fino al parto; durante il parto veniva somministrata AZT per endovena alla dose di 2 mg/Kg per un’ora seguito poi da 1 mg/Kg/h fino all’espulsione del feto. Dopo il parto al neonato venivano somministrati 2 mg/Kg di AZT per os ogni 6 h per 6 settimane a partire dalla 12a ora di vita. Linee guida attuali [15] formulate in seguito a studi multicentrici internazionali, sostengono che le donne in gravidanza debbano ricevere una terapia antiretrovirale basata sugli stessi criteri usati per le donne non gravide portatrici dell’infezione e sottolineano l’utilità di associare alla AZT (farmaco di provata ef-
Tabella 16.9. Raccomandazioni di massima per la prevenzione della trasmissione materno-fetale del virus HIV in gravidanza 1. Donne sieropositive gravide senza precendente terapia anti-retrovirale
2. Donne sieropositive gravide che hanno in corso una terapia anti-retrovirale
3. Donne sieropositive in travaglio di parto senza precendete terapia anti-retrovirale
4. Neonato da madre senza precedente terapia anti-retrovirale
a.I trimestre:a queste gestanti dopo la valutazione clinica dovrebbe essere offerto dopo la 14a settimana di gestazione di eseguire il trattamento con zidovudina secondo il protocollo 076. In base allo stadio clinico potrebbe essere indicata una terapia combinata che includa due inibitori nucleosidici trascrittasi inversa (NRT) tra cui la zidovudina ± un inibitore delle proteasi (PI).Terapia con zidovudina al parto e al neonato per 6 settimane.Allattamento artificiale. b.II e III trimestre:come sopra con trattamento breve di zidovudina da sola o in aggiunta al regime terapeutico. a.Continuare la terapia in corso con l’aggiunta di zidovudina se non compresa nel regime terapeutico + eseguire il trattamento con zidovudina nel neonato.Informare la gestante sui possibili rischi teratogeni per il feto che potrebbero derivare dalla prosecuzione della terapia.Allattamento artificiale. Se la donna era stata trattata in precedenza con zidovudina è consigliabile verificare la presenza di mutazioni che conferiscono la resistenza. b.Se lo stato di gravidanza viene accertato entro il I trimestre è possibile interrompere tutte le terapie e reintrodurle simultaneamente dopo la 14a settimana con l’inclusione della zidovudina alla gestante e al neonato.Allattamento artificiale. Zidovudina + 3TC (lamivudina) (associazione precostituita nella preparazione combivir) + una settimana di zidovudina + 3TC al neonato (riduzione del rischio di trasmissione del 38%).In alternativa nevirapina orale in singola dose alla gestante e al neonato entro le prime 48 ore dal parto. Allattamento artificiale. Iniziare una terapia anti-retrovirale singola (zidovudina) o combinata entro le prime 48 ore dal parto e continuarla per 6 settimane.Allattamento artificiale.
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
ficacia nel prevenire la trasmissione verticale) altri farmaci ad azione anti-retrovirale quali la nevirapina e gli inibitori delle proteasi. L’utilizzazione delle terapie combinate anti-retrovirali altamente efficaci (HAART) in gravidanza, è stata associata non solo ad una notevole riduzione della trasmissione materno-fetale dell’infezione, ma anche ad un crollo della morbilità e mortalità feto-neonatale da HIV. Questi trattamenti vanno, tuttavia, sempre effettuati dopo la fine del primo trimestre previo consenso informato, per i possibili effetti teratogeni di alcuni farmaci anti-retrovirali. Appaiono, quindi, necessari ulteriori studi e follow-up prolungati su tutti i neonati sottoposti, durante la gravidanza, a terapie antiretrovirali combinate (Tabella 16.9).
per via transplacentare; non pare abbia importanza l’età gestazionale nella trasmissione verticale della malattia che tuttavia si verifica piuttosto raramente (5% dei casi) rispetto alla frequenza dell’infezione materna. Il feto infetto raramente presenta malformazioni, tuttavia, può andare incontro ad aborto, idrope non immune e/o morte intrauterina. L’idrope e la morte fetale sono legate alla notevole depressione dell’eritropoiesi indotta dal virus, da cui deriva grave anemia con conseguente scompenso iperdinamico. Nella genesi dell’idrope pare abbiano anche importanza lesioni epatiche da danno ipossico, cui consegue una condizione discrasica generale responsabile dell’exemia plasmatica e dei versamenti liberi nelle cavità addominale e pleurica.
Diagnosi e trattamento
INFEZIONE DA PARVOVIRUS B19 Il parvovirus è responsabile dell’eritema infettivo (V malattia o sindrome della guancia schiaffeggiata); la malattia colpisce prevalentemente l’età scolare e il contagio si verifica attraverso le secrezioni orofaringee, il sangue e i suoi derivati infetti oppure per trasmissione verticale durante la gravidanza. L’infezione da parvovirus è endemica ed in Europa si stima che circa il 65% delle donne con figli in età scolare sia già immune (Tabella 16.10) [16]. Tabella 16.10. Fattori di rischio per infezione da parvovirus B19
Età Prole Professione
Aumento del rischio Diminuzione del rischio <25-30 anni >25-30 anni Figli che frequentano No figli o figli adulti scuole elementari/medie Insegnanti o maestre d’asilo
L’infezione si manifesta nel bambino con esantema eritematoso e lieve rialzo termico, mentre nell’adulto può decorrere asintomatica o con artralgie e febbre generalmente non elevata. La porta di ingresso della malattia è costituita, nella gran parte dei casi, dall’apparato respiratorio. A pochi giorni dal contagio il virus dalle vie respiratorie passa in circolo (viremia) e diffonde nell’organismo. Le IgM specifiche compaiono a due settimane dal contagio, raggiungono l’acme in pochi giorni e persistono per 2-3 mesi; le IgG compaiono a 3 settimane dal contagio, presentano un aumento graduale e persistono a lungo, anche per molti anni. In caso di prima infezione in gravidanza il virus, durante la viremia, raggiunge il prodotto del concepimento
Bisogna sempre sospettare l’infezione da parvovirus B19 quando all’ecografia si rileva una condizione di idrope fetale, in quanto l’infezione, vista la scarsa specificità dei sintomi, può passare inosservata (il rush solitamente compare 17-18 giorni dopo l’infezione). Detta affezione può insorgere a distanza di più settimane dalla viremia materna; spesso risulta negativa la ricerca del virus e delle IgM specifiche nel sangue materno. Al contrario ha generalmente successo la ricerca del genoma virale mediante PCR nel liquido amniotico. Se l’epoca gestazionale è minore di 18 settimane non è attuabile alcun intervento terapeutico. Se invece siamo tra le 18 e le 32 settimane una volta individuato il virus all’amniocentesi e praticata in presenza di ascite una paracentesi evacuativa, l’entità dell’anemia fetale potrà essere determinata mediante funicolocentesi. Se il feto risulta anemico (Hb<10) deve essere subito effettuata una trasfusione intrauterina di sangue fresco 0 Rh negativo. Ulteriori trasfusioni vanno effettuate fino a quando non si sia normalizzato il valore dell’Hb fetale (12-14 g/100 ml). L’iter diagnostico e il management sono diversi quando il sospetto di infezione deriva dalla sintomatologia materna o dall’esposizione al contagio. In questi casi vanno innanzitutto dosate le immunoglobuline materne specifiche IgG e IgM; in presenza di soggetto immune (IgG positive e IgM negative) e quindi di infezione pregressa non va preso alcun provvedimento. Se la gestante non è immune (IgG e IgM negative) il dosaggio delle immunoglobuline va ripetuto dopo 2 settimane: in assenza di sieroconversione non c’è necessità di alcun trattamento, se invece si ha sieroconversione sono necessari controlli ecografici ogni 2 settimane per 3 mesi. L’iter successivo dipende dai rilievi ecografici: se negativi non c’è bisogno di nessun trattamento; se l’ecografia evidenzia, invece, idrope e/o ascite è necessario pra-
Capitolo 16 • Malattie infettive in gravidanza • S.Guaschino,F.De Seta,S.Smiroldo,E.Bianchini,C.Piva
ticare, come già detto, in tempi brevi una paracentesi evacuativa per migliorare la condizioni emodinamiche del feto. Si può effettuare poi l’amniocentesi per la ricerca del genoma virale mediante PCR, ma spesso si passa direttamente alla funicolocentesi che consente, oltre alla ricerca del genoma virale mediante PCR, di valutare la crasi ematica e la concentrazione dell’Hb fetale. In caso di anemia c’è bisogno di una immediata trasfusione di sangue Rh negativo o di un concentrato di emazie+albumina umana. In questi casi l’obiettivo è quello di ripristinare un normale valore dell’Hb (12-14 g/100 ml); ciò potrà essere ottenuto con un’unica trasfusione per anemie moderate (HB≥8 g/100 ml). Quando ciò non è possibile per valori di Hb molto bassi (<7 g/100 ml) è opportuno far risalire il tasso emoglobinico di 3-4 g ogni 2 settimane. Per correggere la discrasia, alla trasfusione di sangue, la cui entità va stabilita secondo formula (settimana di gravidanza-20x10 ml), si può aggiungere una dose standard di albumina dai 3 ai 5 g (12-20 ml di albumina al 25%). Attualmente non è ancora disponibile un vaccino contro il parvovirus, appaiono quindi opportune le misure di prevenzione quali l’astensione dal lavoro dei soggetti a rischio non immuni (insegnanti, infermiere) durante il periodo di epidemia (Tabella 16.11).
MALATTIE DA PAPILLOMA VIRUS (HPV) Negli ultimi anni le infezioni da HPV hanno acquisito un’importanza sempre maggiore sia per la crescente incidenza di dette affezioni tra le malattie sessualmente trasmesse (è la più frequente tra le virosi a trasmissione sessuale), sia per le nuove acquisizioni relative al ruolo degli HPV nella genesi delle neoplasie genitali [17-19]. Sono stati isolati circa 70 tipi di HPV, quelli a maggiore rischio oncogeno sono il 16 e il 18. I virus HPV
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danno luogo a manifestazioni cliniche diverse a seconda del tipo virale e della sede colpita: a livello della portio si ha la condilomatosi piana legata ai virus 16 e 18, in sede vulvo-vaginale si ha la forma florida (condilomi acuminati) dovuta principalmente ai tipi 6 e 11. Queste infezioni, che si contraggono per via sessuale, presentano in gravidanza manifestazioni cliniche più marcate con incremento sia del numero che dell’entità delle lesioni, talora così notevoli (specie i condilomi acuminati vulvo-vaginali), da rendere difficile l’espletamento del parto per le vie naturali. La prevalenza delle infezioni da HPV in gravidanza varia nelle diverse casistiche dallo 0,3% al 3%. Molto utili per la diagnosi risultano, accanto ai rilievi clinici, esami complementari quali la colpocitologia e la colposcopia. Individuata la lesione è possibile la tipizzazione virale mediante tecniche di biologia molecolare (ibridazione, PCR). Non è stata finora chiaramente dimostrata la trasmissione verticale per via transplacentare, né è stata documentata attività teratogena degli HPV. L’infezione fetale si realizza generalmente durante il travaglio di parto, in seguito al contatto diretto delle mucose fetali con le lesioni condilomatose. Ne può derivare una papillomatosi laringea così grave da mettere a rischio la vita del concepito. Si stima che la prevalenza di papillomatosi laringea in Europa e negli Stati Uniti sia del 1,7-2,6/100.000 mentre l’incidenza sia attorno al 0,4-1,1/100.000 bambini/adolescenti. Per i motivi suddetti, in presenza soprattutto di lesioni vulvovaginali floride e diffuse da HPV, è consigliabile espletare il parto mediante taglio cesareo elettivo.
Management In gravidanza è sconsigliabile l’uso di farmaci quali la podofillina, il 5-fluorouracile e la bleomicina per il lo-
Tabella 16.11.Malattia da parvovirus B19 in gravidanza:protocollo diagnostico e terapeutico Management in gravidanza Idrope e/o ascite fetale
Paracentesi in presenza di ascite Amniocentesi → PCR:se positiva → funicolocentesi:se feto anemico → trasfusione
Contatto della gestante Dosaggio anticorpi con soggetto portatore di specifici infezione da parvovirus B19
Soggetto immune (IgG positive e IgM negative) → nessun provvedimento Soggetto suscettibile (IgG negative e IgM negative) ↓ ripetere il dosaggio dopo 2 settimane→non sieroconversione→nessun provvedimento ↓ sieroconversione → eco ogni 2 settimane negative → nessun trattamento paracentesi idrope e/o ascite funicolocentesi ↓ trasfusione
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ro possibile effetto sistemico. Anche l’uso degli interferoni è controverso per la loro possibile teratogenicità. Per quanto riguarda l’Iniquimod, il suo uso non è stato ancora approvato in gravidanza. Tra le terapie chirurgiche la più utilizzata è quella laser rispetto alla crioterapia ed all’elettrocoagulazione. La soluzione definitiva al problema è nelle mani della ricerca che ha focalizzato la sua attenzione sulla creazione di due vaccini, uno preventivo e uno terapeutico. Il vaccino preventivo è finalizzato ad evocare una risposta anticorpale tale da neutralizzare il virus al suo ingresso nell’organismo. Quello terapeutico invece stimolerebbe una vigorosa risposta cellulo-mediata capitanata da linfociti T-citotossici in grado di riconoscere e quindi distruggere le cellule infette dal virus.
EPATITI Sono stati identificati 6 agenti virali capaci di causare epatite come manifestazione clinica primaria: HAV (Hepatitis A Virus), HBV (Hepatitis B Virus), HCV (Hepatitis C Virus), HDV (Hepatitis D Virus), HEV (Hepatitis E Virus), HGV (Hepatitis G Virus) [20-23]. Il virus dell’epatite A infetta la cellule epatiche dopo essere stato ingerito con cibi o acqua contaminati; la sua trasmissione avviene quindi attraverso il circolo oro-fecale. Le prime manifestazioni cliniche dell’infezione sono spesso aspecifiche come febbre, anoressia, nausea, diarrea, mialgia; dopo 5-7 giorni compaiono l’ittero e le modificazioni sierologiche espressione dell’alterata funzionalità epatica. Nell’1% dei casi l’infezione può avere un decorso fulminante. La trasmissione intrauterina è documentata attualmente solo in un piccolo numero di studi e sembrerebbe manifestarsi con polidramnios in epoca prenatale ed epatite nel neonato. La diagnosi di infezione si basa sulla evidenziazione sierologica delle IgM specifiche. Non ci sono attualmente terapie atte a contrastare quest’infezione. Per i neonati di donne nelle quali la sintomatologia sia iniziata da 2 settimane prima a 1 settimana dopo il parto, alcune linee guida raccomandano l’utilizzo di immunoglobuline specifiche (una singola dose di 0,02 ml/Kg intramuscolo) nel neonato, sebbene l’efficacia di tale procedura non sia stata ancora documentata. Il virus dell’epatite B si diffonde per via parenterale (rapporti sessuali, contatto con sangue infetto, ferite con strumenti contaminati) e per trasmissione verticale durante la gravidanza sia nel caso di donne portatrici croniche del virus che in donne che contraggono per la prima volta l’infezione durante la gestazione; in particolare la trasmissione verticale del virus avviene nel
10% delle gestanti HBsAg positive, HBeAg negative e in circa il 90% di quelle HBeAg positive. Nella maggior parte dei casi il neonato si infetta al momento del parto, tuttavia alcune evidenze suggeriscono la trasmissione intrauterina con il riscontro del virus nel sangue funicolare. I tassi di abortività, di parto prematuro e di iposviluppo fetale risultano proporzionali alla gravità dell’epatite materna e quindi diventano significativi solo in caso di epatite acuta in gravidanza. Diversi studi dimostrano che a seconda dell’epoca gestazionale nella quale avviene l’infezione materna, varia la frequenza di trasmissione verticale: questa risulta alta (76%) se il contagio materno avviene nel corso del terzo trimestre, bassa (10%) se avviene nei primi due trimestri di gravidanza. Sebbene il neonato possa teoricamente essere infettato assumendo il latte materno, che come è noto contiene il virus, questa modalità di trasmissione non sembra aumentare significativamente il rischio di contagio, cui comunque è esposto un bimbo nato da madre infetta. Il decorso dell’infezione non risulta modificato nella donna dalla condizione di gestante: dopo l’episodio acuto, la malattia può divenire cronica nel 2-10% dei casi (persistenza dell’antigene di superficie HBsAg nel sangue); nel neonato l’infezione invece tende a cronicizzare nella maggior parte dei casi; ciò probabilmente per una sorta di tolleranza attuata dal sistema immunitario neonatale nei confronti del virus. Dal punto di vista clinico il neonato raramente mostra segni di infezione epatica acuta, tuttavia possono essere presenti elevati valori degli indici di funzionalità epatica. Eventuali alterazioni istopatologiche a carico del fegato sono dimostrate dalla biopsia nel 5% dei casi. Le complicanze tardive dell’infezione sono rappresentate dalla cirrosi epatica e dall’epatocarcinoma. Per quanto concerne la diagnosi, raramente si effettua ricerca del virus nel compartimento fetale mediante amniocentesi sia perché la trasmissione transplacentare è piuttosto rara, sia per la possibile trasmissione dell’infezione al feto durante l’indagine invasiva. Se la diagnosi prenatale fosse espressamente richiesta, andrebbe effettuata solo previo consenso informato che chiarisca dettagliatamente i pericoli e le eventuali conseguenze della tecnica. In assenza di epatopatia attiva (HBsAg positivo e HBeAg negativo) non è indicato alcun trattamento. Se non si rinviene il virus (HBV-DNA) nel circolo materno mediante PCR, il parto può essere espletato per le vie naturali. In presenza di una forma attiva con replicazione virale si impone l’ospedalizzazione della gestante in un reparto di malattie infettive per il controllo intensivo di tutte le funzioni metaboliche materne. In questi casi si consiglia il taglio cesareo, anche se tutt’oggi manca un’evidenza clinica che tale procedura ri-
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duca la trasmissione materno-fetale dell’infezione. Si proscrive l’allattamento al seno. Dopo aver praticato l’immunoprofilassi passiva con immunoglobuline specifiche anti-HBV entro 6 ore dalla nascita, è necessario vaccinare al più presto i neonati con vaccino ricombinante; in questo modo si previene la trasmissione dell’infezione nel 95% dei casi. Il virus dell’epatite C, conosciuto inizialmente come virus non A-non B, riconosce come principale modalità di trasmissione la via parenterale; in Italia l’incidenza media di questa affezione è di circa il 3% con puntate del 50-70% tra tossicodipendenti e politrasfusi (lo screening per questo virus sui donatori di sangue è stato introdotto solo nel 1992). È noto in letteratura il particolare sinergismo tra i virus HCV e HIV; quest’ultimo favorirebbe la trasmissione dell’HCV favorendone la replicazione grazie allo stato di immunodepressione HIV-indotta. L’infezione può essere trasmessa anche verticalmente da donne cronicamente infette all’infante, sebbene il tasso di infezione nel neonato si verifichi solo nel 3-7% dei casi. Il contagio avverrebbe perlopiù in epoca peripartale nel caso di gestanti con viremia elevata ed è ancora da chiarire se sia possibile una trasmissione intrauterina dell’infezione. L’allattamento al seno può contribuire alla trasmissione verticale, perché il virus è presente nel latte materno, tuttavia non è ancora universalmente riconosciuta una significatività nel suo determinare un aumento del rischio di contagio. L’infezione perinatale da HCV è tipicamente asintomatica; nell’80% dei casi però tende a divenire cronica e a manifestarsi clinicamente nella terza-quarta decade di vita con la comparsa di cirrosi epatica e delle sue complicanze. Anche per i soggetti affetti da epatite C, come avviene per la B, il rischio di incorrere in un epatocarcinoma è aumentato. Non esiste al momento una profilassi attiva né passiva dell’infezione da HCV. Circa le modalità del parto va detto che non esistono dati certi sull’efficacia del taglio cesareo elettivo nel prevenire l’infezione fetale; la via laparotomica andrebbe, tuttavia, consigliata in caso di coinfezione HIV-HCV per ridurre il rischio di trasmissione verticale di questi agenti virali. Il virus dell’epatite D è un virus “difettivo” che necessita in modo imprescindibile per la propria replicazione di una coinfezione da virus B. La trasmissione nei Paesi sviluppati è legata in prevalenza all’uso di droghe per via parenterale sebbene siano documentate anche la trasmissione per via sessuale ed intrafamiliare. I Paesi in via di sviluppo mostrano una maggiore sieroprevalenza di infezione. La trasmissione transplacentare o verticale perinatale non è stata mai documentata.
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Il virus dell’epatite E è causa di epatiti epidemiche associate al circolo di acqua contaminata e la trasmissione è di tipo oro-fecale. Sono limitati i casi di individuazione di specifiche HEV-IgM o del virus stesso mediante PCR nel sangue cordonale. Le attuali conoscenze sul virus non sono sufficienti ad individuare piani terapeutici o profilattici adeguati. Il virus dell’epatite G riconosce come vie di trasmissione la via parenterale, il contatto sessuale e la trasmissione verticale; tuttavia le conoscenze sull’attività di tale virus sono tutt’oggi molto limitate.
CHLAMYDIA TRACHOMATIS La Chlamydia trachomatis è un piccolo batterio gram negativo, parassita endocellulare obbligato che costituisce l’agente eziologico più frequente delle infezioni dell’alto apparato genitale, diffuso perlopiù nella popolazione di adolescenti e giovani adulti sessualmente attivi. Tale affezione, molte volte asintomatica, è responsabile di importanti sequele soprattutto nella donna: queste includono la malattia infiammatoria pelvica (PID), la gravidanza ectopica e l’infertilità. Recenti studi dimostrano come lo screening ed il trattamento precoce dell’infezione, possano ridurre la possibilità di evoluzione verso la PID; inoltre una terapia mirata impedisce la trasmissione della Chlamydia al partner sessuale e, nelle donne in gravidanza, al feto. Il tasso di infezione da Chlaymidia trachomatis in gravidanza varia dal 2% al 30% con un’incidenza media di infezione neonatale pari al 3-10/1.000 neonati. I nati da madre con cervicite da Chlamydia (l’infezione si dimostra asintomatica nel 45% dei casi) presentano un rischio pari al 70% di acquisire l’infezione durante il passaggio nel canale del parto. Basso peso alla nascita, rottura prematura di membrane, parto pretermine ed endometrite puerperale sono risultati correlati all’infezione da Chlamydia trachomatis. Nel neonato affetto possiamo riscontrare un coinvolgimento oculare, oro-faringeo, del tratto uro-genitale e del retto ad opera del microrganismo. L’infezione oculare si manifesta 5-12 giorni dopo la nascita (intervallo di tempo necessario alla replicazione intracellulare del microrganismo) con iperemia,edema congiuntivale e secrezione mucopurulenta mono- o bilaterale [24]. In assenza di trattamento evolve verso un quadro di congiuntivite pseudomembranosa che può complicarsi con otite, polmonite interstiziale, meningoencefalite. I risultati emersi da diversi studi sono discordi nell’affermare una reale efficacia del trattamento profilattico antibiotico o con nitrato di argento nel ridurre il rischio di oftalmopatia da Chlamydia.
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
La Chlamydia trachomatis è anche responsabile di quadri di polmonite subacuta e afebbrile che compare nel neonato tra il primo e il terzo mese di vita. La proposta di uno screening al primo e al terzo trimestre di gestazione appare motivata da un tasso di infezione neonatale che è il più elevato tra quelli da agenti TORCH; tuttavia, poiché la diagnosi di cervicite mucopurulenta non è strettamente correlata all’infezione da Chlamydia, uno screening dei casi sintomatici non appare cost-effective; al contrario si è dimostrata utile la ricerca del genoma della Chlamydia trachomatis nelle urine, il cui tasso di identificazione è elevato [25]. In particolare dovrebbero sottoporsi al test per la Chlamydia le donne in gravidanza ad alto rischio di infezione (raccomandazione “B”), ossia coloro che abbiano meno di 25 anni di età, o che riportino una positività anamnestica per malattie a trasmissione sessuale o per l’uso non sistematico dei contraccettivi di barriera, che abbiano avuto più di un partner sessuale, che siano nubili, che presentino un’ectopia cervicale. Il momento ottimale per l’esecuzione di tale test non è stato ancora definito con certezza. L’utilità di estendere lo screening a tutte le donne in gravidanza, anche in assenza di fattori di rischio, non è ancora sostenuta da un’evidenza sufficiente (raccomandazione C). Per quel che concerne la profilassi, in letteratura è stato dimostrato come la somministrazione di eritromicina a partire dalla 36ª settimana di gestazione in donne risultate positive alla ricerca di Chlamydia, riduca significativamente la trasmissione perinatale (dal 50% al 7%). Sulla base delle attuali conoscenze, l’individuazione della positività per la presenza della Chlamydia trachomatis nella donna in gravidanza e il trattamento mirato, sembrano costituire il migliore approccio per la riduzione dell’incidenza dell’infezione nel neonato. Relativamente alla modalità del parto, non sussiste una specifica indicazione al taglio cesareo elettivo.
STREPTOCOCCO DI GRUPPO B Lo streptococco di gruppo B è un’importante causa di morbilità e mortalità sia materna che neonatale ubiquitariamente nel mondo. Il tratto gastroenterico rappresenta un reservoir naturale per lo streptococco di gruppo B ed è quindi la sorgente più probabile per la colonizzazione vaginale. Studi condotti negli Stati Uniti affermano che il 10-35% delle donne in gravidanza siano delle portatrici asintomatiche del patogeno a livello degli apparati genitale e gastroenterico. La colonizzazione può essere un fenomeno occasionale, cronico o intermittente. Il più importante fattore di rischio per l’infezione
neonatale è la presenza del patogeno a livello del tratto genito-urinario materno al momento del passaggio del feto nel canale del parto. In alternativa i patogeni possono raggiungere il liquido amniotico per via ascendente, in seguito alla rottura delle membrane, che tuttavia non è indispensabile per la risalita del patogeno. Relativamente alla patogenesi dell’infezione neonatale tardiva, si presume che la trasmissione sia di tipo orizzontale. Tra i fattori responsabili annoveriamo lo stretto contatto con la madre, l’allattamento al seno, la trasmissione nosocomiale. Il problema fondamentale correlato alla presenza dello streptococco di gruppo B a livello degli apparati genito-urinario e gastro-enterico materni è rappresentato dalla asintomaticità della colonizzazione. Il riscontro di una batteriuria asintomatica è infatti un reperto estremamente frequente durante la gestazione. Tra le forme sintomatiche correlate all’infezione da GBS, le manifestazioni cliniche nella donna in gravidanza includono corioamnionite, cistite, pielonefrite e batteriemia febbrile, nonché febbre ed endometrite nel puerperio. Ancora, tale agente eziologico è stato chiamato in causa nei casi di travaglio prolungato, di rottura prematura delle membrane (PROM) e parto pretermine (PPT). Meno frequentemente è stato associato a episodi di infezione della ferita chirurgica dopo taglio cesareo, ascessi pelvici, tromboflebite settica pelvica ed osteomielite. Alla nascita, nel 50-65% dei bimbi nati da madri colonizzate è possibile riscontrare il patogeno a livello del condotto uditivo esterno, del faringe, dell’ombelico e del tratto ano-rettale. Approssimativamente il 98% dei neonati che mostrano segni di colonizzazione non va incontro all’infezione, tuttavia ciò si verifica nell’1-2% dei casi; cosicché la forma clinica ad esordio precoce si presenta con un’incidenza dell’1-3‰ nati vivi e può determinare una mortalità del 50-60%. La forma ad esordio tardivo ha un’incidenza dell’1,7‰ nati vivi. Il GBS infatti è responsabile di due diversi quadri clinici nel neonato, l’infezione neonatale precoce e l’infezione neonatale tardiva. La prima si manifesta entro i primi 7 giorni dalla nascita con la comparsa di distress respiratorio. La polmonite e la setticemia sono i quadri clinici più comuni, mentre il 5-10% dei neonati affetti sviluppa una meningite. L’infezione neonatale precoce è 10 volte più frequente nei prematuri rispetto ai nati a termine. L’infezione tardiva si sviluppa nel neonato nell’intervallo di tempo intercorrente tra i 7 giorni ed i 3 mesi di vita. Questi bimbi presentano una storia neonatale precoce nella norma, ma poi sviluppano meningite, sepsi, infezioni osteoarticolari.
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I primi segni di compromissione sono rappresentati da febbre, letargia, irritabilità, scarso appetito, tachipnea. Oltre il 20% dei neonati che sopravvivono alla meningite da GBS avrà danni neurologici permanenti, tra cui sordità neurosensoriale, ritardo mentale, cecità corticale. Il tasso di mortalità negli USA è estremamente diminuito nelle ultime tre decadi: dal 50% del 1970 al 6% del 1990. Dati più recenti del CDC riportano un tasso di mortalità ancora minore. La diagnosi nella donna gravida avviene tramite: – ricerca del patogeno tramite esame colturale di materiale prelevato mediante un tampone dall’introito vaginale o dal tratto ano-rettale; – urinocoltura; nel neonato: – ricerca del patogeno tramite esame colturale di materiale prelevato con un tampone nasofaringeo, auricolare; – emocoltura; – esame del liquido cerebrospinale. Attualmente la procedura più efficace per ridurre l’incidenza dell’infezione neonatale precoce è lo screening delle donne in gravidanza volta all’identificazione della presenza asintomatica del patogeno e la profilassi antibiotica intrapartale [26]. La profilassi antibiotica intrapartum sembra essere il miglior metodo per prevenire le complicanze materne, l’infezione e le sequele neonatali. Questa può essere effettuata sulla base di uno screening colturale universale rivolto a tutte le donne in gravidanza tra la 35ª e la 37ª settimana di gestazione oppure sulla base della positività per fattori di rischio antenatali o intrapartali e cioè:
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– colonizzazione vagino-rettale a 35-37 settimane; – parto pretermine; – presenza di fattori di rischio clinico-anamnestici positivi, in assenza del risultato del tampone, tra cui: – travaglio pretermine (<37 sg); – PROM; – PROM da più di 18 ore; – Febbre intrapartum (>38ºC o 100ºF); – Precedente neonato GBS+; – batteriuria GBS+ in gravidanza. La terapia antibiotica orale nella madre durante la gravidanza, prima che inizi il travaglio, è indicata solo se presente batteriuria da GBS, la semplice vaginite da GBS non è un’indicazione al trattamento. La profilassi intrapartale va attuata con penicillina G (5 milioni U ev poi 2,5/4 h) o ampicillina (2 g ev, poi 1 g/4 h fino al parto), tenendo conto che per essere adeguata tale profilassi deve iniziare almeno 4 ore prima dell’ espletamento del parto. In caso di rischio di anafilassi sono da preferire la clindamicina o l’eritromicina (clindamicina 900 mg ev/8 h; eritromicina 500 mg ev/6 ore). Il trattamento del neonato a rischio di infezione non può prescindere da un’attenta osservazione, dall’esecuzione di indagini diagnostiche di laboratorio e colturali nel caso in cui si presentino sintomi suggestivi di infezione e nell’eventuale terapia antibiotica a base di ampicillina in associazione con gentamicina. Un’ulteriore possibilità di prevenzione è rappresentata dalla vaccinazione, peraltro non ancora disponibile a causa degli elevati costi per lo sviluppo ed il potenziamento di tale tecnica.
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CAPITOLO 17
Complicanze ipertensive della gravidanza L. Brienza • M.E. Pietrolucci • H. Valensise • D. Arduini
PREMESSA I disordini ipertensivi rappresentano una delle cause più importanti di mortalità e morbilità materno-fetale (insieme con i disordini emorragici, infettivi e tromboembolici) e allo stesso tempo rimangono uno dei più ampi e controversi capitoli della patologia ostetrica, richiedendo, sia a livello diagnostico che clinico, un’adeguata esperienza medica ed un approccio multidisciplinare. La prevalenza delle complicanze ipertensive è molto variabile nei diversi Paesi, passando dall’1,5% in Svezia al 7-10% nei paesi anglosassoni. In Italia la prevalenza sembra essere intermedia tra questi valori, raggiungendo il 3% delle gravidanze totali.
CLASSIFICAZIONE
Si prenderanno in analisi singolarmente le varie classi nei relativi capitoli.
IPERTENSIONE GESTAZIONALE (PIH, PREGNANCY INDUCED HYPERTENSION)
La variegata gamma di manifestazioni cliniche che le complicanze ipertensive in gravidanza comprendono, ha dato adito negli anni ad ampi dibattiti per giungere ad un’accurata e condivisa classificazione. Vengono riportate, per una visione d’insieme, quelli che noi riteniamo i principali tentativi di classificazione (da parte dell’ISSHP e della FIGO) nelle Tabelle 17.1 e 17.2. Tabella 17.1.Classificazione dei disordini ipertensivi della gravidanza secondo l’ISSHP (International Society for the hypertension in pregnancy),1988 Ipertensione gestazionale Ipertensione cronica Ipertensione non classificabile Eclampsia
Nel 2000, il National High Blood Pressure Education Program Working Group on High Blood Pressure in Pregnancy ha proposto un sistema di classificazione per i disordini ipertensivi della gravidanza (sulla base di quello dell’ISSHP del 1988), approvato dall’American College of Obstetricians and Gynecologists (ACOG Commettee, 2001), che viene utilizzato in tutto il mondo [1, 2]. Questo consta di quattro classi: – ipertensione gestazionale (PIH); – preeclampsia-eclampsia; – ipertensione cronica; – preeclampsia sovrapposta ad ipertensione cronica.
Ipertensione e proteinuria gestazionali,preeclampsia Ipertensione cronica,patologia renale, preeclampsia sovrapposta Ipertensione e/o proteinuria dopo le 20 settimane gestazionali Preeclampsia+convulsioni
Epidemiologia e fattori di rischio L’ipertensione gestazionale è la forma più frequente di ipertensione durante la gravidanza, con una incidenza
Tabella 17.2. Classificazione FIGO dei disordini ipertensivi della gravidanza Ipertensione gestazionale Proteinuria gestazionale Edema gestazionale (associato a proteinuria) Preeclampsia Eclampsia Preeclampsia/eclampsia sovrapposta ad ipertensione cronica Ipertensione transitoria Ipertensione cronica Ipertensione non classificabile
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maggiore nelle donne nullipare che nelle pluripare (rispettivamente 6-17% vs 2-4% nei paesi anglosassoni), che aumenta se è in corso una gravidanza gemellare o se vi è anamnesi ostetrica positiva per pregressa preeclampsia (PE) [3]. I fattori di rischio per l’ipertensione gestazionale sono stati raramente studiati separatamente da quelli per la PE, nonostante sia ormai chiaro che si tratti di due quadri patologici nettamente distinti, e perciò verranno discussi in seguito nel capitolo dedicato alla PE.
Definizione e diagnosi La PIH viene definita dal riscontro di valori di PAsist superiori a 140 mmHg e/o di PAdiast superiori a 90 mmHg in almeno due occasioni, a distanza di minimo 6 ore (ma non più di 7 giorni) l’una dall’altra. Importante è l’epoca gestazionale in cui vengono riscontrate le alterazioni pressorie: si parla di PIH solo se le suddette alterazioni della PA si presentano dopo la ventesima settimana gestazionale, in pazienti che risultavano normotese precedentemente alla gravidanza e comunque prima della ventesima settimana [4]. Ciò è fondamentale per la diagnosi differenziale con l’ipertensione cronica o con altre patologie della gravidanza (ad es. gravidanza molare) in cui le alterazioni pressorie sono rilevabili già prima della ventesima settimana gestazionale. Se una paziente che non ha mai misurato la PA prima delle 20 settimane e che ignora un’eventuale ipertensione preesistente alla gravidanza giunge alla nostra osservazione, la diagnosi non potrà che essere dubbia tra due entità nosologiche distinte che sono la PIH e l’ipertensione cronica. La conferma della presenza di una PIH la avremo solo dopo la sesta settimana post-partum, oltre la quale i valori pressori rientreranno nei normali ranges se si è trattato di PIH, mentre non tenderanno a normalizzarsi se la paziente è un’ipertesa cronica [4, 5]. Si distinguono due livelli di entità della patologia: lieve e severa; in quest’ultima la PAsist è di almeno 160 mmHg e/o la PAdiast di almeno 110 mmHg e i valori pressori si mantengono su questi alti regimi per un tempo minimo di 6 ore. Il principale rischio della PIH è la sua possibile evoluzione verso la PE, e diviene tanto più elevato quanto più precoce e severa è la comparsa del disturbo, a tal punto che, se compare prima delle 30 settimane gestazionali, il rischio di sviluppare PE raggiunge persino il 50%. Ad ogni modo, la maggioranza dei casi di PIH di grado lieve si sviluppa intorno alla 37a settimana, cosicchè l’outcome gestazionale non varia rispetto a quello delle gravidanze in pazienti normotese, ed è curioso come da alcuni studi sembri che sia l’età gestazionale
al momento del parto sia il peso alla nascita dei nati da pazienti con PIH siano persino superiori rispetto ai controlli di pazienti normotese [6]. La prognosi cambia radicalmente nell’ipertensione gestazionale severa: la morbilità materna e perinatale incrementano sostanzialmente, rendendo dal punto di vista prognostico l’ipertensione gestazionale severa più simile alla PE severa di quanto non lo sia all’ipertensione lieve. Aumentano, infatti, le possibilità (quasi sovrapponendosi a quelle della preeclampsia severa) che si verifichino varie complicanze: distacco intempestivo di placenta, parto pretermine e, a livello fetale, FGR (Fetal Growth Restriction). Queste donne andrebbero dunque gestite sotto il profilo clinico-diagnostico-terapeutico come se avessero, appunto, una PE severa [6]. In conclusione, va puntualizzato il concetto che l’ipertensione gestazionale pura è un’entità nosologica di cui si può fare diagnosi, in realtà, solo a posteriori: la presenza di un’ipertensione dopo la 20a settimana gestazionale può essere infatti solo l’esordio di una patologia preeclamptica che si svilupperà nel corso della gravidanza, come pure può essere l’occasionale diagnosi di un’ipertensione cronica in quelle pazienti che non hanno mai controllato la PA prima del concepimento o comunque prima delle 20 settimane. Dunque, se si tratta di ipertensione gestazionale non avremo sviluppo di PE e la PA tenderà a normalizzarsi dopo la 6a settimana post-partum. Per ciò che riguarda l’eziopatogenesi della PIH, questa è stata nella maggioranza dei casi studiata di concerto con quella della PE, con la differenza, non di poco conto, che la fisiopatologia nel caso della PIH non comprende il danno d’organo. L’alterato processo di placentazione, l’ischemia placentare e il mancato adattamento cardiocircolatorio materno alla gravidanza, che verranno discussi in seguito a proposito della PE, rappresentano le ipotesi eziopatogenetiche più rappresentative di questo disturbo della gravidanza [4]. Infine, anche il management e la terapia della PIH, per la stretta attinenza con la PE, verranno analizzati successivamente, nell’ambito della trattazione della PE.
PREECLAMPSIA (PE) Epidemiologia e fattori di rischio La prevalenza della PE nei paesi anglosassoni varia tra il 2% e il 7% nelle donne sane nullipare, mentre aumenta nelle donne con gravidanza gemellare (14%) o con anamnesi ostetrica positiva per pregressa PE (18%). In Italia la PE complica l’1% di tutte le gravidanze. Si ricorda che i fattori di rischio per PE sono stati
Capitolo 17 • Complicanze ipertensive della gravidanza • L.Brienza,M.E.Pietrolucci,H.Valensise,D.Arduini
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Tabella 17.3. Fattori di rischio per PE e PIH Età > 35 aa Anamnesi familiare positiva PA elevata prima della 20a settimana di gravidanza Preesistenti patologie mediche Trombofilie congenite e acquisite Eterozigosi per anemia drepanocitica PCOs (sindrome dell’ovaio policistico) BMI (Body Mass Index)>19,24 Gemellarità Eccessiva dimensione placentare Primiparità Fumo di sigaretta
Commento Forse per una ridotta vascolarizzazione uterina dovuta all’aumento delle fibre collagene nella tonaca muscolare delle arteriole a livello miometriale Non c’è un modello di ereditarietà specifico Predittiva solo per donne con anamnesi positiva per pregressa PE 1) Ipertensione cronica 2) Diabete mellito (rischio proporzionale alla severità della patologia) 3) Patologia renale preesistente (cut-off:creatininemia>1.4).Il rischio aumenta col progredire della gravidanza Deficit proteina S,C,ATIII,resistenza alla proteina C attivata,iperomocisteinemia,anticorpi anti-cardiolipina e LAC Aumento del rischio maggiore di 3 volte Probabilmente in quei casi in cui vi è insulino-resistenza,questa si andrebbe ad aggiungere ad altri fattori (alterazioni dell’angiogenesi) per determinare il danno endoteliale All’aumentare del BMI aumenta parallelamente il rischio di PE Rischio stimato 6-11% Gravidanza gemellare,mola idatiforme,idrope fetale Rischio aumentato di 5-10 volte È un fattore protettivo per PE
poco studiati separatamente da quelli della PIH, dunque ora verranno trattati insieme (con l’unica eccezione che mentre l’ipertensione cronica rappresenta un importante fattore di rischio per la PE, non può esserlo, per ovvie ragioni di definizione nosologica, per la PIH). È già nota l’associazione di alcuni fattori ad un aumentato rischio di patologia ipertensiva in gravidanza (PIH/PE), ma nonostante ciò, nessuno di questi è sufficientemente sensibile da autorizzarne l’uso per definire la paziente ad alto rischio. I vari fattori che sono stati sinora individuati [7-9] sono riassunti nella relativa Tabella 17.3.
Definizione e diagnosi La PE si definisce con comparsa di PAsist≥140 mmHg o PAdiast≥90 mmHg dopo la ventesima settimana gestazionale (ipertensione gestazionale), associata a proteinuria (>0,3 g/24 h). Se non sono disponibili i valori delle proteine nelle urine delle 24 ore, possiamo identificare la presenza di proteinuria riscontrando valori di almeno 30 mg/dl (oppure almeno 1+ allo stick) in un minimo di due prelievi di urine raccolti ad una distanza di tempo di almeno 6 ore l’uno dall’altro; vale inoltre la regola che se si valuta la proteinuria con lo stick, le misurazioni per poter essere diagnostiche devono essere effettuate entro 7 giorni l’una dall’altra. Ad ogni modo, dato che la concentrazione delle proteine urinarie in prelievi delle urine random è molto variabile, e che recenti studi hanno dimostrato che spesso la determinazione della protei-
nuria effettuata con lo stick non si correla molto con quella delle 24 ore, in realtà l’unico test definitivo per la diagnosi di proteinuria dovrebbe essere il dosaggio delle proteine nelle urine delle 24 ore. Inoltre, la proteinuria si definisce di grado severo quando vi è un’escrezione proteica nelle urine delle 24 ore di almeno 5 g (gli stick urinari sono inutili e non dovrebbero essere usati per diagnosticare una proteinuria severa) [10]. Definire la PE solo come ipertensione più proteinuria è, a nostro avviso, un’eccessiva semplificazione della patologia, un errore per cui si tende a sottovalutare tutto quel corredo sintomatologico dovuto al danno multi-organo (non solo renale) che si può delineare nella PE. Infatti, in assenza di proteinuria, la diagnosi di PE dovrebbe essere considerata quando all’ipertensione gestazionale si associano sintomi cerebrali consistenti, dolore epigastrico o a livello dell’ipocondrio destro con nausea e vomito, trombocitopenia e incremento delle concentrazioni ematiche degli enzimi epatici. La PE viene considerata severa quando si presenta il binomio ipertensione severa + proteinuria oppure ipertensione + proteinuria severa (almeno 5 g nelle 24 ore) oppure quando iniziano a comparire i segni di una compromissione multi-organo, quali: – edema polmonare; – convulsioni; – oliguria (urine nelle 24 ore quantitativamente inferiori a 500 ml); – trombocitopenia (conta piastrinica inferiore a 10.000/mm3);
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– alterazione dei valori degli enzimi epatici in associazione con dolore persistente a livello epigastrico o dell’ipocondrio destro; – persistenza di sintomi severi da compromissione del sistema nervoso centrale (stato mentale alterato, cefalea, visione di immagini sfocate o cecità).
Eziopatogenesi Circolazione utero-placentare Durante la gravidanza si assiste, fisiologicamente, ad un drastico cambiamento a livello vascolare sia nella circolazione sistemica che in quella del distretto uterino. Nella gravidanza iniziale, entro l’ottava settimana, il trofoblasto invade il terzo interno del miometrio e migra attraverso l’intera lunghezza delle arterie spirali dando luogo ad un processo di placentazione che si completa verso la ventesima settimana di gestazione. In questo processo le cellule del trofoblasto si sostituiscono alle cellule endoteliali delle arterie spirali e successivamente si approfondiscono invadendone la media, andando a disorganizzare (probabilmente attraverso la secrezione di enzimi proteolitici) il tessuto elastico, muscolare e nervoso di cui è costituita, e, contemporaneamente, rimpiazzando i tessuti aggrediti. Nelle fasi finali di questo processo il trofoblasto va a ricostituire un’uniforme e compatta parete endoteliale in queste arterie [11]. Zhou et al. hanno osservato che per fare ciò fisiologicamente le cellule del citotrofoblasto mutano il proprio pattern di recettori di membrana per molecole d’adesione in senso endoteliale, così da poter sostenere alcuni aspetti funzionali delle cellule endoteliali che sono andate a sostituire. Gli stessi autori hanno inoltre descritto che la PE è associata ad un fallimento del citotrofoblasto a mimare un fenotipo di recettori per molecole d’adesione di tipo vascolare [12]. Dal fisiologico processo di invasione delle arterie spirali risulta un profondo rimodellamento strutturale che esita in una marcata dilatazione delle stesse, cosicché da questo momento in poi verranno definite arterie utero-placentari. Questi cambiamenti morfologici vascolari sono essenziali nel determinare la costituzione di un sistema arteriolare a bassa resistenza, che non risponda alla regolazione vaso-motoria materna, che abbia tutte le potenzialità per far fronte alla crescente domanda in termini di flusso ematico imposta alla circolazione placentare materna dal progredire della gravidanza. È ormai noto da tempo, in base ad osservazioni istologiche, che nella PE ed in alcuni casi di Fetal Growth Restriction (FGR), i fisiologici cambiamenti nelle arterie spirali rimangono confinati alla porzione deciduale del-
le arterie e il 30-50% delle arterie spirali costitutive del letto placentare sfugge completamente all’invasione da parte del trofoblasto. I segmenti miometriali rimangono anatomicamente intatti e non dilatati, e parallelamente, dal punto di vista funzionale, non perdono la capacità di essere regolati a livello vaso-motorio [12]. Spesso, diversamente da quanto avviene nelle gravidanze fisiologiche, il lume vasale viene completamente obliterato dal citotrofoblasto e molti vasi risultano occlusi per il verificarsi di veri e propri processi aterosici con accumulo di foam cells, infiammazione perivascolare e depositi di lipoproteina-A. Tale fenomeno non è di poco conto, poiché l’aterosi acuta e la sovrapposizione di trombi alle placche ateromatose possono provocare infarti placentari.
Vascular endothelial growth factor (VEGF) e fenotipo di adesione vascolare del citotrofoblasto invasivo Il VEGF, un fattore di crescita coinvolto nell’angiogenesi con un’azione specifica a livello delle cellule endoteliali, è largamente espresso a livello dell’interfaccia materno-fetale. Durante la fase dell’impianto viene prodotto soprattutto da parte delle cellule endometriali, mentre successivamente i macrofagi deciduali diventeranno la principale fonte di VEGF. Il recettore flt per questa molecola viene invece espresso nell’uomo dal trofoblasto intermedio ed extravilloso. La produzione di VEGF è up-regolata dall’ipossia, nell’ambito di un fisiologico meccanismo omeostatico che prevede la neoangiogenesi VEGF-indotta come risposta allo stimolo ipossico; quando l’ipossia viene corretta l’espressione di VEGF viene down-regolata [12, 13]. Si pensa che tale meccanismo omeostatico sia particolarmente rilevante nel corso del primo trimestre di gravidanza, quando cioè la tensione di O2 a livello dei villi è bassa [12-14]. Si è ipotizzato che il VEGF espresso durante questo periodo possa essere coinvolto nell’indurre nel citotrofoblasto invasivo l’espressione di markers endoteliali e ciò è stato confermato osservando a livello delle cellule endoteliali la produzione indotta da VEGF di integrine di membrana coinvolte nel processo di invasione vasale; tali molecole corrisponderebbero a quelle descritte da Zhou et al. nell’ambito delle caratteristiche endoteliali assunte dal trofoblasto invasivo [12-14].
Matrice extracellulare della decidua e molecole d’adesione di superficie Durante la fase dell’impianto (non tanto nella fase di “aggancio” della blastocisti alla decidua, quanto piuttosto in quella invasiva) le cellule del trofoblasto non hanno effetti citolitici sulle cellule della decidua, ma vanno ad aggredire la matrice extracellulare deciduale attraverso la secrezione di enzimi. Studi immunoistochimici hanno localizzato a livello delle cellule del trofo-
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blasto extravilloso la produzione di attivatore del plasminogeno e di metalloproteasi (soprattutto collagenasi), si pensa sotto lo stimolo di IL-1 e TNF-α, citochine espresse in minima quantità solo in queste primissime fasi dell’impianto [15]. La migrazione delle cellule del trofoblasto dipende dall’adesione alle proteine della matrice extracellulare deciduale ed inoltre pare che quest’ultima influenzi anche, attraverso il legame con specifici recettori di membrana del trofoblasto, la crescita, la differenziazione ed il comportamento del trofoblasto durante l’impianto. Questa comunicazione tra matrice extracellulare deciduale e trofoblasto è garantita da recettori presenti sulle membrane delle cellule del trofoblasto, rappresentati principalmente da integrine (glicoproteine di transmembrana dimeriche, costituite da due subunità, α e β legate non covalentemente, la cui specificità per il ligando varia a seconda dei riarrangiamenti tra le due subunità), mentre pare che la caderina-E sia coinvolta nella differenziazione del trofoblasto in sinciziotrofoblasto. Così, l’inizio del comportamento migratorio o invasivo del trofoblasto è associato ad uno shift nell’espressione delle integrine di membrana, che riflette un cambiamento nella tendenza a legare la matrice extracellulare del tipo della lamina basale prima (legandosi alla laminina) e di tipo stromale poi (legandosi alla fibronectina) [15]. Lo switch integrinico da parte delle cellule del trofoblasto invasivo si è visto essere anormale nella PE: non viene down-regolata la subunità integrinica β4 e non avviene lo switch dalla subunità α6 verso le forme α5 e α1. È stata osservata nelle gravidanze di pazienti preeclamptiche una ridotta tendenza da parte del trofoblasto a legarsi alla fibronectina ed alla vitronectina della matrice extracellulare deciduale, e in questo probabilmente si traduce l’alterato switch integrinico. Tuttavia questa ipotesi non viene condivisa da tutti, in quanto alcuni autori non hanno riscontrato una differenza nell’espressione delle integrine di membrana da parte del trofoblasto nella PE rispetto alle gravidanze fisiologiche [15, 16].
Tono vasale Nella gravidanza fisiologica c’è un incremento nella produzione di prostaciclina (PGI) da 8 a 10 volte. Anche la biosintesi di trombossano A2 (TxA2) aumenta, ma non tanto da raggiungere quella della prostaciclina, con il risultato di una netta dominanza biologica della prostaciclina sul TxA2. Ciò rende ragione della refrattarietà all’azione vasocostrittrice dell’angiotensina II in gravidanza, sebbene il ruolo della prostaciclina come ormone circolante sia ancora controverso a causa della sua natura evanescente [17].
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Ad ogni modo, le prostaglandine potrebbero non essere i principali agenti vasodilatatori in gravidanza, dato che una varia gamma di fattori peptidici di regolazione (citochine, fattori di crescita, binding proteins) rilasciati in un adeguato ambiente corticosteroideo, gioca un ruolo integrativo di questa mediazione. L’ossido nitrico (NO, Nitric Oxide) è probabilmente un importante messaggero, ma certamente non l’unico, nell’indurre vasodilatazione nella gravidanza fisiologica. La sua importanza è supportata anche da studi su animali gravidi, in cui è stato dimostrato che inibendo cronicamente la sintesi di NO si annulla la refrattarietà all’angiotensina, alla vasopressina, e si può anche venire a delineare una sindrome simil-preeclamptica. Inoltre, in vivo si è visto che molecole donatrici di NO riducono significativamente la resistenza nelle arterie uterine. Il NO risulta essere più potente della prostaciclina nel mantenere un basso tono vasale a livello della circolazione feto-placentare. Studi immunoistochimici su placente a termine di gravidanza hanno localizzato l’ossido nitrico sintetasi ad alti livelli nel sinciziotrofoblasto, mentre risultava assente nel citotrofoblasto e nelle cellule endoteliali dei piccoli vasi feto-placentari.
Sviluppo patogenetico Nella PE l’assenza di una normale stimolazione del sistema renina-angiotensina nonostante l’ipovolemia, e l’aumentata sensibilità vasale all’angiotensina II e alla noradrenalina possono essere spiegate dalla dominanza biologica del TxA2 sulla prostaciclina. Una riduzione dell’escrezione urinaria dei metaboliti della prostaciclina precede l’esordio clinico della patologia, a fronte di un aumento nella biosintesi di TxA2, derivante soprattutto dalle piastrine e dalla produzione placentare (la placenta di contro produce meno prostaciclina) [18]. Tuttavia, sebbene l’aumentato rapporto TxA2/prostaciclina spieghi la vasocostrizione, il danno piastrinico ed il ridotto flusso placentare, sarebbe semplicistico attribuire questi effetti esclusivamente ad uno stato di deficit di prostaciclina. Una disfunzione endoteliale più globale risulta essere intimamente correlata allo sviluppo della PE, come suggerito dagli aumentati livelli di antigene fattore VIIIcorrelato, di fibronectina totale e cellulare, di trombomodulina, di endotelina, dall’attività dei fattori di crescita, dall’alterazione dell’equilibrio tra attivatore tissutale del plasminogeno e inibitore dell’attivatore del plasminogeno, oltre che dallo sbilanciamento della produzione di prostaciclina e TxA2 a favore di quest’ultimo [19-28]. Aprendo una parentesi sulla fibronectina, è stato notato in alcuni studi che questa aumenta fisiologicamente in gravidanza (soprattutto nel terzo trimestre), ma i
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suoi valori plasmatici subiscono un’impennata nelle pazienti che sviluppano/svilupperanno PE; inoltre, alcuni dati sostengono che l’aumento della concentrazione plasmatica di fibronectina nelle pazienti che presenteranno PE rispetto ai controlli sani può essere evidenziato già dalle prime settimane di gravidanza [20-22]. Ciò porta alcuni autori a speculare sul fatto che le donne che sono destinate ad essere preeclamptiche potrebbero essere portatrici di anomalie strutturali e/o funzionali dell’endotelio già prima del concepimento [23]. L’evidenza morfologica del danno agli endoteliociti ci viene fornita dall’endoteliosi glomerulare e dai riarrangiamenti ultrastrutturali nel letto placentare, nei vasi anatomicamente più vicini alla circolazione uterina e in altre parti del sistema circolatorio. Gli esperimenti in vitro con siero prelevato da donne preeclamptiche hanno dimostrato che questo non causa un danno diretto sulle cellule endoteliali, quanto piuttosto l’attivazione di specifiche vie metaboliche che possono rispecchiare i disturbi nella funzionalità vascolare riscontrati in vivo. Per ciò che riguarda gli studi sulla produzione di NO nella PE [24], questi hanno dato dei risultati contrastanti se si andavano ad esaminare nitriti e nitrati nel plasma, mentre è un dato oggettivo la riduzione dell’escrezione di nitriti nelle urine (che sembra essere il più attendibile indicatore della produzione di NO in vivo), a fronte di un aumento della concentrazione plasmatica di inibitori endogeni dell’ossido nitrico sintetasi (NOs). Anche per ciò che riguarda l’espressione da parte del trofoblasto della NOs abbiamo ancora una volta degli studi contrastanti: alcuni autori [24] ne hanno notato una riduzione nella PE, altri invece non hanno notato differenze con la gravidanza fisiologica, altri ancora hanno dimostrato non un’alterazione in senso quantitativo della NOs, bensì una sua differente localizzazione a livello intracellulare, che potrebbe rispecchiare un diverso assetto funzionale. Ad ogni modo le alterazioni dell’espressione della NOs nelle placente preeclamptiche potrebbero essere l’effetto, e non la causa, del danno placentare e dei conseguenti processi riparativi [24]. Nella PE la disfunzione endoteliale e l’aggregazione piastrinica precedono l’incremento della formazione di trombina e di fibrina [25]. L’inadeguata produzione di prostaciclina e/o di NO, entrambe molecole con effetto antiaggregante, suggerisce un’ipotetica spiegazione all’attivazione piastrinica che ha luogo a livello delle arterie spirali; l’attivazione delle piastrine determina la loro adesione e l’esocitosi del contenuto dei granuli α e di quelli densi, cosicché si liberano TxA2 e serotonina, molecole che concorrono ad amplificare l’aggregazione piastrinica stessa e alla formazione della fibrina. Zeeman e Dekker [18] hanno ipotizzato che la serotonina di origine piastrinica, in presenza di endoteliociti sani
andrebbe ad attivare i recettori endoteliali S1, i quali attraverso una cascata di eventi intracellulari, andrebbero a favorire la produzione di NO e prostaciclina. Inoltre, in questo caso, la prostaciclina prodotta localmente stimolerebbe la formazione di angiotensina II, la quale migliorerebbe la perfusione utero-placentare, aumentando la PA materna (e quindi la pressione di perfusione) e rappresentando un ulteriore stimolo alla produzione di prostaciclina e NO a livello dei vasi uteroplacentari [26-29]. Una volta evidenziato il concetto che la disfunzione, il danno endoteliale rappresentano la chiave di volta nella patogenesi della PE, è più che logico chiedersi quali siano le cause che portano all’insorgenza di tale fenomeno. Purtroppo ancora nulla si sa per certo, ma vanno annoverate necessariamente le ipotesi che attualmente rappresentano le maggiori fonti di interesse scientifico nello spiegare lo sviluppo di tale patologia. Per chiarezza verranno esposte separatamente, ma in realtà, probabilmente, si parla di meccanismi che interagiscono tra di loro.
Ischemia placentare Questa ipotesi è stata portata avanti dal gruppo di ricercatori di Oxford, il quale interpretava la PE come una patologia della placenta che si sviluppa in due fasi. Nella prima fase viene preso in considerazione il cattivo processo di placentazione che porta ad un non appropriato apporto ematico alla placenta. La seconda fase è invece caratterizzata dagli effetti sia materni che fetali dell’ipossia placentare [18-19]. Questi autori hanno notato che l’asportazione di tessuto trofoblastico dalla placenta nel torrente ematico, un fenomeno presente anche nelle gravidanze fisiologiche, aumenta nella PE. Più che altro aumenterebbe non tanto la presenza in circolo di cellule di trofoblasto integre, quanto la “micro-asportazione” di particelle dei microvilli della membrana trofoblastica, e queste potrebbero essere relazionate al danno endoteliale sistemico che si ha nella PE. Tale fenomeno potrebbe avere alla base la presenza di anomali germogli di sinciziotrofoblasto che si allungherebbero in lunghi pedicelli; ciò sembrerebbe l’effetto di un meccanismo di riparazione di una placenta danneggiata, che si può evidenziare anche nella proliferazione del citotrofoblasto e nella presenza di accumulo di glicogeno nel sinciziotrofoblasto (espressione di un’anomala attivazione del citotrofoblasto). Il citotrofoblasto dei villi placentari produce TxA2, funzione che viene attenuandosi invece man mano che il trofoblasto matura in sinciziotrofoblasto. Dunque, secondo il gruppo di Oxford, l’ischemia placentare sarebbe alla base di processi riparativi, cicatriziali della placenta che porterebbero alla produzione di gem-
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me di sinciziotrofoblasto anomale, le quali sarebbero fragili e soggette ad essere asportate dal torrente ematico, risultando tossiche a livello endoteliale e perciò responsabili del danno endoteliale sistemico tipico della PE. Purtroppo, quest’affascinante ipotesi può essere criticata sotto vari aspetti: innanzi tutto se l’ischemia placentare fosse la causa del danno endoteliale, ci dovrebbe essere una strettissima correlazione tra patologia placentare e fetale, mentre i dati clinici ci dicono che non sempre quando compare la PE è concomitante per il feto la presenza di FGR e viceversa; inoltre, la cronologia delle componenti materne della sindrome non combacia con quest’ipotesi, in quanto si è visto che la presenza di un danno endoteliale può essere riscontrata molto precocemente (già nel primo trimestre) nelle gravidanze destinate alla PE, in un periodo dunque, in cui lo stato ipossico è una condizione fisiologica e, si presume fondamentale, affinché avvenga una regolazione paracrina (con la produzione di VEGF ed altri fattori di crescita) e non solo, per un normale processo di placentazione. Infine, il principale problema dell’ipotesi di Oxford è che gli studi sono limitati alle pazienti con patologia già clinicamente definita, e dunque non si può discernere se l’aumento dell’asportazione di frammenti di sinciziotrofoblasto sia presente già prima delle manifestazioni cliniche o sia invece una caratteristica di una patologia ad uno stadio finale. Tutte queste osservazioni non devono però sminuire il fatto che questo fenomeno potrebbe comunque essere clinicamente rilevante, in quanto coinvolto nel determinare ipertensione refrattaria e vasospasmo, comuni eventi delle fasi finali di PE/E severa.
VLDL Nella PE la presenza degli acidi grassi liberi (FFA) aumenta circa 15-20 settimane prima dell’inizio della patologia a livello clinico. Il siero di pazienti preeclamptiche ha un aumentato rapporto FFA/albumina e un’aumentata attività lipolitica risultante in un incremento dell’internalizzazione da parte delle cellule endoteliali dei FFA, successivamente esterificati a trigliceridi. Incrementano soprattutto acido oleico, linoleico e palmitico, e si è visto che i primi due sono efficaci nel ridurre il rilascio di prostaciclina trombina-indotto. I FFA sono trasportati in circolo dall’albumina, e più si legano alla molecola di albumina più si è visto che si abbassa il punto isoelettrico della stessa. L’albumina può variare da un punto isoelettrico di 4,8 a uno di 5,6, ed è stato osservato che proprio quest’ultimo valore di punto isoelettrico è associato con l’attività di prevenzione dalla tossicità vascolare delle VLDL. Le pazienti con PE hanno una ridotta quantità di quest’albumina con effetti protettivi, da cui risulta un incremento relativo delle VLDL (aumentate in gravidanza secondo alcuni autori a seguito
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dell’incremento del fabbisogno energetico), da cui derivano un incremento dell’accumulo di trigliceridi ed una citotossicità per le cellule endoteliali. Tuttavia è difficile che si instauri già in fasi così precoci della gravidanza un tale aumento della domanda energetica da sovvertire il rapporto albumina “vasoprotettiva”/VLDL e da determinare un danno endoteliale (che abbiamo detto essere presente già nel primo trimestre). Ad ogni modo, pur non sembrando un primum movens del danno endoteliale, l’aumento di FFA e l’accumulo di trigliceridi nelle cellule endoteliali sono eventi che sono presenti nella PE e che potrebbero essere determinati non tanto dall’aumentato fabbisogno energetico, quanto da uno stress ossidativo mediato dalle citochine in seguito ad un meccanismo ischemia-riperfusione e/o all’attivazione leucocitaria [18, 19].
Maladattamento immunologico Sappiamo che l’adattamento immunologico alla gravidanza è una premessa fondamentale perché avvenga l’impianto ed abbia così luogo la gravidanza stessa. I tessuti fetali infatti, se ciò non avvenisse, verrebbero riconosciuti come non-self dal sistema immunitario materno (che riconoscerebbe differenti antigeni MHC come, ad esempio, diversi antigeni HLA) e come tali rigettati. Le modalità con le quali si realizza la tolleranza immunologica sono, in sintesi, dovuti a tre differenti meccanismi: 1. presenza di proteine di membrana, a livello delle cellule del trofoblasto, che inibiscono la lisi complemento-mediata (ad es. il CD 46, che inibisce l’attivazione del complesso di attacco alla membrana); 2. presenza di particolari antigeni (Ag) del sistema HLA a livello del trofoblasto. L’embrione stabilisce dei contatti con i tessuti materni esclusivamente a livello del sinciziotrofoblasto, dove non vengono espressi i classici Ag MHC di classe I e II, bensì vi si localizza un Ag MHC di classe I non classico, ovvero l’HLA-G. Il trofoblasto è l’unico tessuto dell’organismo ad avere la capacità di esprimere questo tipo di Ag, il quale sembra avere un effetto nell’inibire l’attività delle cellule LGLs (Large Granular Lymphocytes) deciduali, che quindi non si trasformeranno in cellule NK. In realtà studi recenti hanno osservato la presenza, a livello del sinciziotrofoblasto, accanto all’HLA-G anche dell’HLA-C, e si pensa che entrambi agiscano di concerto nell’inibire le cellule NK e quindi la lisi immuno-mediata del trofoblasto; 3. presenza delle LGLs a livello deciduale. Si tratta di grandi linfociti a contenuto granulare (i granuli contengono perforina ed altre proteine ad effetto citolitico), CD56-positivi, simili dunque alle cellule NK per morfologia, dalle quali differiscono a livello immunoistochimico per l’assenza di un antigene di su-
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perficie, il CD16, e a livello funzionale in quanto non si evidenzia in esse quella marcata attività cellulare presente invece nelle cellule NK circolanti. Le cellule della linea delle NK, così come le LGLs, hanno la funzione di uccidere le cellule che non espongono o espongono scarse molecole MHC, piuttosto che di riconoscere MHC non-self. L’HLA-G ha il ruolo di andare ad inibire l’attività NK delle LGLs che si esplicherebbe contro il trofoblasto [30, 31]. Ultimamente si sta dando spazio all’ipotesi di una cooperazione tra sinciziotrofoblasto e LGLs, secondo la quale la crescita e l’invasione del trofoblasto sarebbe dipendente da un’adeguata produzione citochinica in risposta all’HLA-G, e tale ipotesi è detta “immunotropismo”. Inoltre, è ormai noto che durante la gravidanza l’adattamento immunologico materno consiste anche nell’incremento dell’attività Th2 (T helper 2) con aumento della produzione di citochine tipo TGF, IL-4, IL-6 e IL-10, le quali potenziano la risposta anticorpale e le reazioni allergiche, a fronte di una riduzione dell’attività Th1, con conseguente ridotta produzione di IL-2, IFN-γ e linfotossina, ovvero una diminuita risposta cellulo-mediata alle reazioni di ipersensibilità ritardata. Ciò è supportato anche dall’evidenza che patologie autoimmuni a patogenesi di tipo Th1, come l’artrite reumatoide, in genere migliorano in gravidanza, mentre un peggioramento si riscontra nelle patologie, come il lupus eritematosus sistemicus, che sono mediate principalmente da un’attività autoimmune di tipo Th2 [30, 31]. Già a livello epidemiologico, alcune evidenze ci suggeriscono come meccanismi immunologici potrebbero essere coinvolti nella patogenesi della PE: infatti, se è vero che la PE è principalmente una patologia delle primigravide - mentre la multiparità pare avere un effetto protettivo - si è visto che nelle multipare che non hanno concepito sempre con lo stesso partner l’incidenza di PE è simile alle nullipare (rispettivamente 3% vs 3,2% nei paesi anglosassoni). Dunque, la PE sembra essere più legata alla “primipaternità” che alla prima gravidanza. Analogamente, anche in caso di fecondazione eterologa si ha un aumento dell’incidenza di PE. Oltre a questi suggerimenti epidemiologici, ci sono numerose osservazioni circa fenomeni immunologici nella PE: – le donne che svilupperanno PE hanno già all’inizio del secondo trimestre una riduzione dei linfociti T helper rispetto alle pazienti che rimarranno normotese; – anticorpi anti-endotelio sono stati trovati nel 50% delle pazienti con PE vs il 15% dei controlli sani; – nelle pareti delle arterie spirali delle pazienti preeclamptiche sono presenti dei depositi di IgM, di C3 e di fibrina, specialmente nel processo di aterosi acu-
ta, in cui i depositi di IgM si fanno granulari. La patogenesi immunologica dell’aterosi acuta è suggerita anche dalla somiglianza delle lesioni con quelle osservate nel rigetto all’allotrapianto [30, 31]. Allora qual è il legame tra il maladattamento immunologico alla gravidanza e l’attivazione endoteliale anomala nella PE? La decidua contiene numerose cellule immunologiche, che quando attivate rilasciano una serie di mediatori i quali potrebbero interagire con le cellule endoteliali. L’attivazione dei neutrofili, ad esempio, determina un aumento del rilascio di elastasi e di altri enzimi proteolitici che possono inficiare l’integrità dell’endotelio, e si è registrato un aumento nella PE dell’elastasi nel plasma, il quale viaggia parallelamente all’aumento dei valori plasmatici di endotelina e di Ag correlato al fattore VIII; questo dato, oltre all’aumento che si è registrato dei neutrofili deciduali elastasi-positivi (il quale correla coi livelli di uricemia), supporta l’ipotesi di un coinvolgimento neutrofilico al danno endoteliale della PE. Recenti studi su ratte gravide in cui è stata indotta PE (attraverso la somministrazione di endotossina) e sui monociti circolanti di donne preeclamptiche, dimostrano anche un’alterazione funzionale a carico dei monociti/macrofagi, i quali sembrano essere in una condizione di persistente attivazione. Inoltre, nella PE sembra essere sovvertito anche il delicato equilibrio citochinico che, come precedentemente accennato, caratterizza la gravidanza: – il TNF e l’IL-1 hanno come effetto quello di aumentare la produzione di trombina, PAF (fattore attivante le piastrine), l’Ag correlato al fattore VIII, l’inibitore dell’attivatore del plasminogeno, la permeabilità endoteliale, l’espressione di molecole d’adesione intercellulari (ICAM-1) e vascolari (VCAM-1); inoltre aumentano i livelli di varie prostaglandine e viene down-regolata l’attività della NOs. Molti studi riportano l’aumento dei livelli di TNF-α nella PE, il quale deriva da un’incrementata produzione sia leucocitaria (da parte dei leucociti deciduali), sia placentare (le cellule del sinciziotrofoblasto contengono infatti l’RNA messaggero per il TNF-α); – inoltre la PE mostra alcuni aspetti tipici della risposta di fase acuta, che potrebbero essere dovuti agli elevati livelli di IL-6, prodotta soprattutto a livello deciduale e del trofoblasto. Si hanno infatti cambiamenti a livello di proteine plasmatiche che comprendono un aumento della ceruloplasmina, dell’α1antitripsina e dell’aptoglobina, ipoalbuminemia e riduzione della transferrinemia, che sono caratteristici proprio delle reazioni di fase acuta; a ciò si aggiungono le alterazioni del complemento nei sieri della pazienti con PE.Anche l’IL-6 come il TNF-α ha
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ben precisi effetti sugli endoteliociti, quali l’aumento della permeabilità, l’induzione della sintesi di PDGF (fattore di crescita derivato dalle piastrine), e l’aumento della sintesi di prostaciclina; – i livelli plasmatici di IFN-γ (gamma interferone) sono aumentati nella PE. Questa molecola regola l’espressione di ICAM-1 sulle cellule endoteliali, oltre a modulare, insieme al TNF-α, la produzione di IL-6. Per effetto di queste citochine pro-infiammatorie, l’endotelio va quindi incontro alla produzione di proteine di superficie che mediano il processo di adesione delle cellule infiammatorie, come l’E-selectina,VCAM-1 e ICAM-1. La PE è associata con un aumento dei livelli sierici materni di VCAM-1, E-selectina, e probabilmente, anche di ICAM-1, e questo incremento sembra essere un fenomeno precoce durante la gravidanza di pazienti che poi diventeranno preeclamptiche, e rende ragione dell’anomala attivazione leucocitaria nella PE. Va infine precisato che queste alterazioni immunoendoteliali, nella PE sono confinate alla circolazione materna, dato che studi effettuati sui feti hanno dato esito negativo per un loro coinvolgimento infiammatorio a livello endoteliale. Quella del maladattamento immunologico alla gravidanza è certamente un’ipotesi affascinante, ma va comunque sottolineato il concetto che sebbene non ci sia alcun dubbio che le pazienti preeclamptiche manifestino tali peculiari caratteristiche immunopatologiche, il quesito se tali anomalie immunologiche siano una causa o piuttosto un effetto della PE rimane ancora aperto. Si tende comunque a pensare che l’ipotesi del maladattamento immunologico non escluda quella dell’ischemia placentare, ma anzi vi si possa ben integrare: le alterazioni immunologiche potrebbero essere la causa di un’anomala placentazione, la quale determinerebbe poi l’ischemia placentare; inoltre, l’ischemia placentare rappresenta una spiegazione alternativa per i cambiamenti citochinici e l’aumentato stress ossidativo osservati nella PE [30, 31].
Radicali liberi dell’ossigeno La PE è associata con uno stress ossidativo importante, ovvero uno sbilanciamento tra fattori anti-ossidanti e pro-ossidanti a favore di questi ultimi, che porta ad un potenziale danno cellulare e/o tissutale. Dalla formazione dei radicali liberi si innesca un processo ossidativo che esita nella perossidazione dei lipidi, la quale, una volta determinatasi, si autopropaga. Si è visto che il processo di perossidazione lipidica aumenta già nelle gravidanze fisiologiche (come dimostrato da un aumento dei metaboliti stabili dei perossidi lipidici), ma diventa di maggiore entità nelle gravidanze con PE, correlandosi con la PA (ma non con l’outcome
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perinatale). Questo è il motivo per cui le lesioni vascolari nella decidua delle pazienti preeclamptiche ricordano molto le lesioni aterosclerotiche, essendo presenti in entrambi i casi necrosi fibrinoide delle pareti vasali e accumulo di foam cells (cellule schiumose, ovvero macrofagi infarciti di lipidi nel loro citoplasma), entrambi markers dell’ossidazione delle LDL. La principale fonte dei radicali liberi dell’O2 è rappresentata dai leucociti attivati, ma anche le cellule endoteliali, sotto l’azione citochinica, e la placenta sono in grado di produrli. Le azioni dei perossidi lipidici possono essere così riassunte: – inibiscono la sintesi di prostaciclina, mentre favoriscono la produzione di TxA2; – alterano la permeabilità capillare alle proteine (contribuendo così all’insorgenza di edema e proteinuria); – favoriscono la trombosi vasale, aumentando la produzione di trombina (e riducendo quella di antitrombina) ed il rilascio endoteliale di inibitore dell’attivatore del plasminogeno (e riducendo quello di attivatore del plasminogeno); – alterano la fluidità delle membrane cellulari, aumentando l’incorporazione del colesterolo, di acidi grassi ossidati e di LDL. Se da una parte abbiamo nella PE un aumento delle sostanze ossidanti, dall’altra sembra che la patologia non sia caratterizzata da uno stato di globale deficit di antiossidanti.Ad esempio, il principale paradosso della teoria dello stress ossidativo nella PE riguarda la funzione dell’acido urico: infatti, sebbene la funzione della xantina-ossidasi contribuisca allo stress ossidativo nella PE, l’iperuricemia ha di per sé un ruolo antiossidante. Per quanto riguarda altre sostanze ad attività antiossidante, sebbene alcuni autori abbiano riscontrato una riduzione dei livelli di vitamina E (il principale antiossidante lipidico solubile) nel siero di pazienti con PE, altri studi non hanno confermato questo dato; per ciò che concerne la vitamina C, l’α-tocoferolo ed il βcarotene, si è visto che la prima diminuisce sia nella PE lieve sia in quella severa, mentre gli ultimi due solamente nella patologia severa. Negli eritrociti i livelli di glutatione ridotto e l’attività della glutatione perossidasi (il principale sistema antiossidante intracellulare) aumentano nella PE, probabilmente come meccanismo di compenso all’incrementata attività ossidativa.
Genetica e PE È stato già osservato che la PE e l’eclampsia hanno una tendenza ad insorgere all’interno della stessa famiglia, con una trasmissione madre-figlia del 26%. Per questo è stato ipotizzato che esista una suscettibilità genica alla PE, e si è pensato che fosse legata ad un singolo gene recessivo o ad un gene dominante a penetranza in-
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completa o ad un’ereditarietà di tipo multifattoriale, essendo possibile ognuna di queste ipotesi [32]. Sono stati riportati dati contrastanti circa l’associazione di PE ed eclampsia ai geni che codificano per le molecole HLA, così alcuni autori hanno ritenuto l’HLA-DR4 responsabile di queste patologie, altri gli aplotipi HLA A23/29, il B44 ed il DR7. Sono stati presi in considerazione i geni che codificano per l’angiotensinogeno e per il recettore dell’angiotensina 2, così come l’allele TNF-1 che codifica per il TNF-α, ma senza risultati per ora convincenti. Infine, in questi ultimi anni, sta acquistando molta importanza, insieme con l’ipotesi che vede coinvolti i fattori regolatori dell’angiogenesi nell’eziologia della PE, lo studio dei polimorfismi dei geni che codificano per sFlt-1, PIGF e VEGF. È molto probabile che, se questa nuova, promettente ipotesi patogenetica verrà confermata, la genetica intesa in questo senso potrebbe diventare un mezzo molto importante per studiare la popolazione a rischio per PE.
PE e disordini nell’angiogenesi Sin dalla fine degli anni Novanta, numerosi studi sono stati condotti al fine di indagare su variazioni nel VEGF (Vascular Endotelial Growth Factor), nel PIGF (Placental Growth Factor) e nel sFlt-1 (solubile fms-like tyrosine kinase 1) nelle pazienti con disordini ipertensivi della gravidanza vs donne con decorso fisiologico della gravidanza [33, 34]. I fattori di crescita angiogenica (VEGF e PIGF) promuovono la proliferazione e la differenziazione cellulari dell’endotelio vascolare, la migrazione cellulare attraverso l’endotelio, l’aumento della permeabilità vascolare; inoltre inibiscono l’apoptosi e mediano la vasodilatazione endotelio-dipendente mentre a livello renale supportano la sopravvivenza, la crescita e la proliferazione dei capillari glomerulari e delle cellule endoteliali peritubulari. Di contro, il fattore anti-angiogenico sFlt-1, regola la disponibilità biologica di VEGF legando la frazione circolante di questo fattore angiogenico. L’eccesso di sFlt-1 gioca un ruolo importante nel promuovere l’ipertrofia e l’apoptosi a livello delle cellule endoteliali glomerulari, il distacco delle cellule dalla membrana basale glomerulare e, di conseguenza, le manifestazioni cliniche dell’ipertensione e della proteinuria [33, 34]. Ci sono molti altri fattori critici coinvolti nella fisiologica regolazione della formazione dei vasi sistemici e placentari ma, fondamentalmente, l’azione di queste molecole angiogeniche deve essere molto sapientemente orchestrata perché si possa formare una rete vascolare funzionale. Ciò che succede nella PE è la riduzione dei fattori angiogenici (VEGF e PIGF) accompagnata dall’aumento dell’sFlt-1 circolante. Numerosi studi caso-controllo ef-
fettuati su vari liquidi corporei (su liquido amniotico, su plasma e su urine) attestano le suddette variazioni nella paziente preeclamptica o che andrà incontro a PE, rispetto a controlli con gravidanza fisiologica. Fisiologicamente la concentrazione di PIGF plasmatica aumenta nei primi due trimestri, raggiungendo il suo picco a 29-32 settimane gestazionali, quindi decrementa. La concentrazione plasmatica di P1GF nelle donne con PE segue un pattern evolutivo simile, ma si nota una sua diminuzione a partire da 12-19 settimane prima dell’esordio della PE, con sostanziali riduzioni nelle cinque settimane antecedenti la comparsa di ipertensione e/o proteinuria. Così Levine e collaboratori suggeriscono che il dosaggio del PIGF urinario rappresenta un potenziale test predittivo per PE [34]. Un discorso analogo può essere fatto per il VEGF (il cui ruolo è già stato precedentemente discusso), per il quale non ci sono variazioni significative nella sua concentrazione tra pazienti preeclamptiche e controlli sani, risultando i valori plasmatici di VEGF bassi durante tutto il decorso della gravidanza, ma se ne viene valutata la concentrazione plasmatica nelle pazienti che svilupperanno PE entro cinque settimane si nota una sua significativa, ulteriore, diminuzione. Infine, per quanto riguarda l’sFlt-1, la sua concentrazione nella gravidanza fisiologica rimane costante fino alla 33a-36a settimana gestazionale, quando aumenta di circa 145 pg/ml per ogni settimana che precede il parto. Nelle donne che invece svilupperanno PE le concentrazioni di questa proteina aumentano verso le 21-24 settimane gestazionali, con un picco a 29-32 settimane; inoltre i livelli di sFlt-1 subiscono un sensibile incremento circa 11-19 settimane prima dell’esordio clinico, risultando così un marker ben più precoce di PE rispetto alla riduzione della concentrazione di VEGF e PIGF. Similmente, gli stessi trend nelle modificazioni dei livelli di VEGF, PIGF e sFlt-1 nei casi vs controlli si riscontrano anche a livello urinario, cosicché Buhimschi et al. [35] suggeriscono che il rapporto tra Fslt-1 e PIGF urinari potrebbe essere un buon indicatore dell’omeostasi dei fattori angiogenici. Inoltre sempre gli stessi autori notano come il suddetto rapporto sia significativamente più sensibile della sola proteinuria (sia valutata qualitativamente con lo stick che quantitativamente) nel selezionare le pazienti con disturbi ipertensivi in gravidanza dai controlli normotesi. Ad oggi l’importanza dell’ipotesi delle alterazioni dei fattori angiogenetici è via via sempre maggiore, rappresentando al momento, la pista eziologica più battuta, anche perché molti autori più che considerare questi fenomeni come una risposta funzionale alla riduzione della perfusione placentare, li considerano un evento primario nello sviluppo della PE. A supportare, quest’ultima ipotesi alcuni recenti studi su ratte gravide che sono state
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infettate con un adenovirus il cui DNA codificava per sFlt-1: queste ratte hanno manifestato l’insorgenza di ipertensione, proteinuria ed endoteliosi glomerulare (caratteristica della PE nell’uomo). Inoltre una riduzione del 50% della produzione renale di VEGF in topi con eterozigosi podocita-specifica per VEGF ha portato similmente ad un’endoteliosi glomerulare e a proteinuria massiva. Infine ipertensione e proteinuria sono state riportate nei pazienti con cancro che sono stati trattati con inibitori del segnale VEGF-mediato. In ragione di queste importantissime osservazioni Villar [36] per la WHO nel febbraio 2005 ha comunicato che si darà inizio ad un ampio studio prospettico per valutare l’attendibilità dei valori del PlGF urinario nella predittività della PE. Inoltre sono piuttosto incoraggianti se non entusiasmanti, i dati preliminari presentati nel 2004 al XIV Congresso della Società Internazionale per lo Studio nell’Ipertensione in Gravidanza (Vienna, Austria, 14-18 Novembre) sulla somministrazione di VEGF-121 esogeno alle ratte gravide infettate con adenovirus codificante per sFlt-1: pare che determini la remissione dell’ipertensione e della proteinuria.
Preeclampsia: una patologia infiammatoria. Conclusioni eziopatogenetiche La PE è un disordine multi-organo che è unico nella gravidanza umana. Purtroppo ad oggi ancora non possiamo dire di conoscerne la causa e c’è, come si è potuto vedere da quest’ampia panoramica sui vari fattori ritenuti implicati nella PE, una grande confusione nel capire se il loro sia un ruolo propriamente eziologico o piuttosto rappresentino un effetto di qualche altro fattore causale. Quello che sembra ormai chiaro è che esiste un deficitario rimodellamento vascolare da parte del trofoblasto durante la gravidanza precoce, forse determinato da un’intolleranza immunologica e/o dalla compartecipazione di anomali polimorfismi genetici causanti uno stato trombofilico, ma ancora non si sa in quale modo da quest’alterazione del trofoblasto si possa poi arrivare al danno endoteliale e al processo infiammatorio sistemico. Certo è che nelle ultime decadi le nostre conoscenze sulle basi molecolari delle anomalie patofisiologiche della PE si sono notevolmente ampliate, e ci giungono chiare considerazioni sul ruolo delle alterazioni delle molecole d’adesione, dei fattori angiogenetici e dell’attivazione del processo infiammatorio nella patogenesi delle disfunzioni microvascolari in pazienti con PE. C’è una sempre più chiara evidenza di un’esagerata risposta infiammatoria (anomala produzione citochinica ed attivazione neutrofilica e macrofagica) nelle donne in cui si riscontra la PE, che risulta essere assente prima dello sviluppo della patologia. Probabilmente saranno proprio questi ed altri stu-
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di molecolari a darci una risposta in un futuro, speriamo quanto più prossimo possibile, sulla causa del maggiore degli eventi etiopatogenetici della PE: la presenza del danno endoteliale.
Fisiopatologia Un endotelio alterato è, come precedentemente asserito, la chiave di volta da cui dipendono tutte le manifestazioni cliniche, dalle molte sfaccettature, che l’ipertensione può assumere in gravidanza [37]. È infatti responsabile delle reazioni vasospastiche che sono le cause del rialzo pressorio, della contrazione della diuresi fino ad arrivare all’oligo-anuria, dell’insorgenza di FGR (Fetal Growth Restriction), ed inoltre del distacco di placenta, dell’infarto epatico e delle convulsioni eclamptiche. Disfunzioni endoteliali si possono anche tradurre in un’alterazione della permeabilità capillare, responsabile a livello glomerulare renale dell’insorgenza della proteinuria ed inoltre di eccessivo passaggio di liquidi nell’interstizio con insorgenza di edemi. Infine, lo stesso endotelio danneggiato può esporre fattore tissutale in maggior quantità, favorendo così l’attivazione della coagulazione con eventuale coagulopatia da consumo (CID) e trombocitopenia.
Preeclampsia e modificazioni cardio-circolatorie materne Se da una parte abbiamo le evidenze del danno d’organo della PE al momento della sua manifestazione, dall’altra alcuni studi suggeriscono che varie alterazioni a livello cardiovascolare possono essere riscontrate in epoca più precoce, nella paziente destinata a sviluppare PE. L’adattamento emodinamico materno comincia nel primo trimestre di gravidanza in risposta al fisiologico aumento della volemia e alla costituzione della circolazione uteroplacentare, caratteristica nella sua struttura anatomo-funzionale in quanto rappresenta un distretto vascolare ad alto flusso e basse resistenze. Gli evidenti effetti di tali modificazioni a livello cardiaco si rispecchiano in un aumento del diametro della cavità atriale sinistra, della frequenza (che passa da 70 a 90100 bpm) e nell’orizzontalizzazione dell’asse elettrico. Numerosi studi caso-controllo, portati avanti dalla nostra scuola, si sono concentrati nell’approfondimento delle conoscenze delle modificazioni funzionali del cuore e nello studio delle specifiche alterazioni strutturali dello stesso nelle pazienti con disturbi ipertensivi nel corso della gravidanza [38]. Fisiologicamente, già nel secondo trimestre di gravidanza si riescono ad evidenziare gli effetti dell’adattamento cardiaco alle modificate condizioni emodina-
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miche, in quanto si verifica da un lato, una diminuzione del post-carico (per effetto dell’abbassamento delle resistenze vascolari nelle arterie uterine) e dall’altro un aumento del pre-carico (di cui si rende responsabile l’aumento della volemia); questa è una condizione in cui è favorito un completo svuotamento sistolico ventricolare ed una riduzione della pressione tele-sistolica [39]. In sostanza, nella gravidanza fisiologica si viene a creare una riduzione del gradiente pressorio atrio-ventricolare che consente al muscolo cardiaco di lavorare in condizioni favorevoli, non soltanto in fase sistolica, ma anche in fase diastolica. Per quanto riguarda strettamente il rilasciamento diastolico, un marker ecocardiografico della sua funzionalità è rappresentato dall’IVRT (Left Ventricular Isovolumetric Relaxation Time), che viene calcolato come tempo di latenza tra il click della chiusura della valvola aortica e l’apertura della valvola mitralica. Nella gravidanza fisiologica questo parametro ha il valore di circa 90 ms nel primo trimestre e tende a ridursi nel secondo. Quindi, tanto maggiore è stato l’adattamento cardiocircolatorio materno alla gravidanza, segnalato da una riduzione delle resistenze vascolari a livello delle arterie uterine, tanto più si riduce l’IVRT ed aumenta la funzione atriale sinistra, ovvero si determinano opportune modificazioni cardiache nella gestante. Nelle pazienti che sviluppano e/o svilupperanno PE, le evidenze ecografiche a livello della vascolarizzazione uterina e a livello cardiaco dimostrano che vi è un cattivo adattamento cardio-circolatorio alla gravidanza (spiegabile sia per l’alterato processo di placentazione sia per eventuali e sovrapposte modificazioni nella geometria delle camere cardiache antecedenti la gravidanza) [38], che si rende responsabile: – di un aumento delle resistenze vascolari a livello delle arterie uterine (diagnosticabile già a 22-24 settimane gestazionali); – di un aumento delle resistenze vascolari periferiche (ovvero un aumento del post-carico); – di un aumento del volume tele-sistolico e della pressione tele-sistolica in accordo con un prolungamento dell’IVRT; – di una riduzione del riempimento diastolico ventricolare sinistro. Inoltre,nella gravidanza fisiologica ed ancor più in quella complicata o che sarà complicata da PE, oltre alle suddette modificazioni funzionali, a livello cardiaco si estrinsecano anche delle modificazioni strutturali delle camere. Da un lato nelle pazienti normotese studi effettuati in passato hanno dimostrato una progressiva dilatazione eccentrica del ventricolo sinistro ed una riduzione del rapporto tra lo spessore della parete posteriore e il diametro tele-sistolico della stessa camera ventricolare,
entrambe spiegabili come risposte morfo-funzionali all’aumento del volume circolante. Dall’altro lato è stato interessante dimostrare l’insorgenza, nelle pazienti destinate a sviluppare disturbi ipertensivi della gravidanza, di vere e proprie alterazioni della struttura del muscolo cardiaco, ancor più dal momento che in passato si pensava che i tempi di esordio della patologia fossero troppo brevi perchè si potessero realizzare tali profondi cambiamenti. In particolare sono stati osservati fenomeni di rimodellamento e di ipertrofia di tipo eccentrico e concentrico; quest’ultimo, si è rivelato essere significativamente correlato con complicanze sia materne (di ordine ipertensivo) [38, 39], che fetali (FGR). Da queste osservazioni riguardanti le modificazioni delle camere cardiache in gravidanza è stato ipotizzato che un’inadeguata espansione del volume plasmatico potrebbe essere una delle cause delle disfunzioni cardiache nei disordini ipertensivi della gravidanza, nonché dell’insorgenza di FGR. Alcuni studi condotti dalla nostra scuola hanno dimostrato che le pazienti preeclamptiche o che svilupperanno PE hanno delle sostanziali variazioni per quanto riguarda la misurazione e la distribuzione dei liquidi corporei.È stata a questo proposito valutata la TBW (Total Body Water) sfruttando la conducibilità elettrica del corpo a diverse frequenze, ovvero la tecnica MF-BIA (Multi Frequency Bioelettrical Impedence Analysis ), non invasiva [40]. Studi caso-controllo hanno permesso di effettuare un confronto tra donne normotese e donne in cui si è sviluppata una ipertensione gestazionale. Queste ultime nel primo trimestre non hanno mostrato sostanziali differenze di parametri quali TBW (Total Body Water), ECW (Extracellular Water), ICW (Intracellular Water) rispetto ai controlli normotesi, ma nel secondo e terzo trimestre hanno evidenziato un andamento contrario: nelle pazienti ipertese questi valori aumentano col progredire della gravidanza e ciò è correlato al meccanismo di ritenzione idrica che si instaura e che determina una perdita dell’espansione del volume plasmatico (nonostante un mantenimento del valore dell’Hct) [40]. Da ciò si deduce che il volume plasmatico circolante possa essere un buon indicatore nella valutazione dei meccanismi di adattamento della gravidanza e, proprio in quei casi in cui viene mostrato un decremento di TBW, ECW e ICW, possiamo dimostrare un mal adattamento cardio-vascolare alla gravidanza e una predisposizione allo sviluppo di complicanze ipertensive.
Alterazioni ematologiche I cambiamenti ematologici nella PE comprendono: 1. emoconcentrazione (l’esecuzione di prelievi seriati per l’ematocrito è infatti un modo per seguire l’evoluzione clinica della PE);
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2. emolisi microangiopatica (evidenziabile soprattutto nella sindrome HELLP); 3. trombocitopenia (motivo per cui le pazienti preeclamptiche vanno monitorizzate anche con la conta piastrinica). La gravidanza è una condizione parafisiologica in cui si evidenzia normalmente uno stato di coagulazione intravasale cronica, fenomeno che però assume caratteristiche rilevanti nel corso della PE (e soprattutto della sindrome HELLP) passando per il danno endoteliale e l’attivazione della coagulazione, sino ad arrivare ad una coagulopatia da consumo, con trombocitopenia e riduzione dei fattori della coagulazione.
Alterazioni renali L’endoteliosi glomerulare è la lesione patognomonica della PE: i glomeruli risultano dilatati, distorti, ed il loro lume è pressoché obliterato a causa dell’ipertrofia delle cellule inter-capillari (sia di quelle mesangiali ma anche, e soprattutto, di quelle endoteliali) [41]. I test di laboratorio mostrano una pronunciata diminuzione della filtrazione glomerulare oltre ad una riduzione del flusso ematico al rene, risultandone una riduzione della clearance renale, che però è solitamente modesta (del 25% circa) anche quando i cambiamenti morfologici sono particolarmente evidenti. La riduzione della funzionalità renale porta a tre differenti conseguenze che si possono apprezzare a livello biochimico: 1. la riduzione dell’escrezione dell’acido urico, da cui l’iperuricemia, importante marker di PE; 2. la creatininemia si mantiene entro i valori fisiologici della gravidanza (0,8 mg/dl) nella maggior parte dei casi, poiché normalmente in gravidanza la clearance renale aumenta del 35-50%, e quindi la creatinina può continuare ad essere escreta (a meno che non si verifichi un’insufficienza renale conclamata); 3. la proteinuria tende ad essere una manifestazione tardiva nel decorso clinico della patologia e generalmente non è selettiva. Anche l’escrezione di Ca2+ (che si riduce) e Na+ ed i livelli plasmatici di 1,25-diidrossicolecalciferolo (che diminuiscono) e quelli di paratormone (che aumentano) possono essere alterati nella PE. Difficilmente si giunge ad un’insufficienza renale severa, ma va ricordato che alla PE si può associare la necrosi tubulare acuta [42].
Alterazioni epatiche Di solito sono limitate ad una necrosi cellulare il cui epifenomeno è rappresentato da un aumento delle transaminasi AST e ALT e dell’LDH moderato o severo (come nella sindrome HELLP).
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A livello anatomo-patologico si rilevano accanto alla necrosi epatocellulare anche lesioni ischemiche, emorragie periportali e deposizione di fibrina. Nei casi più gravi, in particolar modo nell’HELLP, si può giungere al quadro dell’emorragia sottocapsulare ed eventualmente anche alla rottura epatica, che quando si verificano si associano ad una mortalità materna pari al 60%.
Alterazioni neurologiche Le alterazioni neurologiche di lieve entità sono piuttosto comuni nella PE ed includono cefalea, disturbi del visus quali visione offuscata o “doppia”, scotomi (la paziente può vedere flash luminosi o “neve”), fino a giungere, raramente, alla cecità corticale. Abbiamo poi l’iperreflessia e le manifestazioni convulsive eclamptiche la cui fisiopatologia verrà spiegata in seguito a proposito dell’eclampsia.
Alterazioni fetali La comparsa di FGR è molto comune nella PE, mentre meno frequente è la morte intrauterina. Si tratta di feti nella maggior parte dei casi con un accrescimento rallentato (o arrestatosi) e disarmonico, con oligoamnios ed alterazioni flussimetriche (a livello dell’arteria ombelicale, della cerebrale media, del dotto venoso, della vena cava) più o meno marcate a seconda dell’entità del riarrangiamento cardiocircolatorio (brain sparing) a cui vanno incontro, fino a veri e propri quadri di scompenso con comparsa di ascite, idrotorace ed infine di uno stato idropico vero e proprio. Questo quadro è dovuto sicuramente alla condizione di ipoperfusione placentare, e quindi fetale, tipica della PE, ma con tutta probabilità anche altri fattori vi sono coinvolti, come dimostra il fatto che dove c’è PE non sempre si accompagna la presenza di un feto FGR e viceversa.
Diagnosi precoce e prevenzione L’individuazione precoce delle pazienti a rischio per successivo sviluppo di PE rappresenterebbe un importante goal per l’ostetrico, portando ad una riduzione degli indici di morbilità e mortalità ad essa associati. La disponibilità di test di screening per il precoce riconoscimento di questa malattia ci aiuterebbe nell’identificare le pazienti che necessitano di un monitoraggio della gravidanza più accurato e di un trattamento preventivo per valutare la progressione del disordine ipertensivo e per migliorare l’outcome gestazionale. Tuttavia, la prevenzione di qualsiasi patologia prevede la conoscenza della sua eziopatogenesi, così come la disponibilità di metodi per predire o identificare precocemente i soggetti a rischio.
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Nonostante attualmente non esista un’indagine che rappresenti il gold standard nello screening della PE, le ipotesi eziopatogenetiche avanzate negli ultimi due decenni, ci permettono di speculare sull’utilizzo di nuove metodiche di screening [43]. È ormai opinione diffusa, in base a quanto detto precedentemente sull’adattamento cardiocircolatorio alla gravidanza, che l’ecografia con flussimetria delle arterie uterine a 22-24 settimane gestazionali, rappresenti un utile strumento di screening per la patologia ipertensiva della gravidanza. A rigor di logica, se non vi è stato l’adattamento cardiocircolatorio alla gravidanza vedremo delle arterie uterine maggiormente vasocostrette rispetto a quanto ci aspetteremmo. I parametri che devono essere valutati sono: – l’RI (indice di resistenza, dato dalla formula velocitàsist-velocitàdiast/velocitàsist), che è espressione delle resistenze a valle del sito di campionamento ed aumenta all’aumentare delle resistenze; – la presenza di notch, termine anglosassone che indica l’incisura proto-diastolica, espressione anch’esso di aumentate resistenze; può essere mono o bilaterale [43]. Qualora in sede di questo esame si riscontri un aumento delle resistenze delle arterie uterine, si passerà allo step successivo per quanto concerne la valutazione cardiovascolare della gestante, ovvero l’ecocardiografia materna.Valensise e collaboratori [44] hanno dimostrato che è opportuno valutare sia gli aspetti funzionali che strutturali cardiaci, concentrando l’attenzione sulla valutazione del IVRT, della gittata e della portata cardiaca, delle resistenze vascolari periferiche, nonché sull’instaurarsi di ipertrofia e del rimodellamento concentrici. L’ecocardiografia materna ci dà inoltre informazioni sulla risposta della paziente alla terapia anti-ipertensiva (qualora si decida di impostarla), ragione per la quale può essere indicata nel monitoraggio della paziente ipertesa in terapia [44]. Al contempo è utile far eseguire alla paziente un monitoraggio della pressione nelle 24 ore, così da avere informazioni circa i valori pressori medi, la presenza di picchi ipertensivi e le variazioni circadiane, fisiologiche o meno, della PA. Sarebbe anche opportuno consigliare, oltre all’ecocardiografia, l’impedenza bioelettrica (MF-BIA) che risulta sensibile nell’identificare le alterazioni della quantità e della distribuzione dei liquidi corporei sin dall’inizio del secondo trimestre. Inoltre, similmente all’ecocardiografia, questo esame si è dimostrato efficace anche nel follow-up di pazienti a cui sia stata impostata una terapia anti-ipertensiva. In funzione delle nuove evidenze che vedono implicate le alterazioni dei fattori angiogenetici nella disfun-
zione endoteliale alla base della PE, sono stati concepiti studi atti a valutare l’utilizzo dei valori di VEGF,PlGF,sFlt1 nella diagnosi precoce di PE, sia a livello plasmatico che urinario. Tuttavia non si è giunti ad un unanime giudizio sulla validità di questi markers, cosicché se da una parte Thadhani et al. (2005) [45] sostengono che una riduzione sostanziale del PlGF ed un aumento dell’sFlt-1 sono presenti già nel primo trimestre di gravidanza nelle pazienti che svilupperanno PE e quindi utilizzabili come markers nello screening di questa patologia,dall’altra Levine et al.[34] dimostrano che non c’è una significativa differenza nei valori di queste molecole fino a cinque settimane prima delle manifestazioni preeclamptiche. Si tratta in entrambi i casi di studi caso-controllo, con un peso specifico a livello scientifico lievemente maggiore nello studio di Levine et al. in ragione della maggiore entità della popolazione arruolata (120 casi ed altrettanti controlli a fronte dei 40 casi ed 80 controlli di Thadhani et. al.), ed inoltre vi sono delle differenze sui metodi utilizzati (differenti intervalli di tempo tra i prelievi ematici). Simili studi sono stati portati avanti anche per quanto riguarda l’utilizzo della fibronectina come marker precoce di PE. Lockwood, Peters [26] e Taylor et al. [46]hanno dimostrato alti livelli plasmatici di fibronectina cellulare già nel primo trimestre di gravidanza nelle donne destinate a sviluppare PE. Altri autori hanno supportato queste ipotesi e studiato l’importanza della fibronectina sin dalle prime settimane di gravidanza, riscontrando un suo precocissimo aumento nelle donne predisposte alla PE,a tal punto da arrivare ad ipotizzare che queste potrebbero essere portatrici di anormalità endoteliali già prima del concepimento. Da quanto emerge dalla letteratura, per ciò che concerne un eventuale screening “di laboratorio” per i disturbi ipertensivi della gravidanza, i dati sono incoraggianti e dunque è necessario continuare lo stesso tipo di studi ampliando la popolazione studiata, pianificando un programma di controlli sistematici (ad esempio ogni mese), che consenta di stabilire dei range di normalità per la valutazione di questi parametri biochimici (come proposto dalla WHO a proposito del PlGF urinario). Solo questo ci potrà dare o meno ragione sull’utilizzo clinico del dosaggio, plasmatico o urinario che sia, di PlGF, sFlt-1, fibronectina, così da poterli definitivamente identificare come markers precoci di PE [47].
Profilassi farmacologica della preeclampsia Per le ragioni menzionate sopra (non conoscenza dei fattori eziopatogenetici, impossibilità nell’individuazione di tutte le donne a rischio) non è possibile stabilire una reale profilassi per la PE.
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Il razionale dell’attuale prevenzione farmacologica si basa dunque sulle varie ipotesi eziopatogenetiche precedentemente analizzate: le sostanze proposte agiscono come antiaggreganti piastrinici (aspirina), o agiscono in modo da modificare il metabolismo prostaglandinico a favore delle sostanze vasodilatanti (acidi grassi poliinsaturi), o ancora, possono essere elementi antiossidanti che contrastano l’azione dei radicali liberi. Nonostante l’esistenza, in letteratura, di numerosi trial clinici pubblicati, vi sono molti punti ancora non chiariti e soprattutto resta l’impossibilità di avere una “totale evidenza” per le terapie studiate, che dovrebbe essere alla base di qualsiasi terapia farmacologica proposta.
Aspirina Nella seconda metà degli anni ’80 vennero pubblicati su Lancet studi sull’utilizzo dell’aspirina e del diripidamolo come prevenzione della PE in donne gravide reputate ad alto rischio di PE, o per la storia ostetrica o perché affette da ipertensione cronica; da tali studi e da altri successivi emergevano risultati molto promettenti sull’utilizzo della terapia antiaggregante piastrinica [48, 49]. Ma fu sempre la rivista Lancet a pubblicare in seguito ulteriori studi non favorevoli all’utilizzo della profilassi con ASA, soprattutto in relazione ad alcune considerazioni quali: – mancanza di criteri omogenei per individuare una popolazione a rischio; – difficoltà di stabilire una precisa epoca di inizio della terapia; – difficile e non omogenea gestione clinica delle pazienti. Nel 1994 viene pubblicato lo studio inglese “CLASP” in cui si individua un gruppo di donne gravide trattato con aspirina, che presenta l’insorgenza di PE più tardivamente e una minore incidenza di parti pretermine iatrogeni. Inoltre, identifica un secondo gruppo di donne ad alto rischio per la presenza di una precoce PE in una precedente gravidanza trattata con aspirina prima della 20a settimana, che presenta una significativa riduzione della ricorrenza di PE in seguito a tale profilassi [50]. La Cochrane Library ha recentemente pubblicato una review di 42 trials clinici che hanno coinvolto circa 32.000 donne e le cui conclusioni hanno dimostrato una riduzione della PE del 15% con l’uso di aspirina (>75 mg/die) sia in pazienti a basso che ad alto rischio e la diminuzione dell’incidenza risulta maggiore nel gruppo trattato prima della 20a settimana. Nonostante l’utilizzo di aspirina si sia dimostrato utile in un trattamento preventivo nei confronti di una
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eventuale insorgenza di PE rimangono aperti e, oggetto di discussione, alcuni problemi: l’aspirina mostra migliori risultati in un gruppo ad alto rischio, ma siamo in grado di definire le caratteristiche di tale gruppo? Come è già stato detto precedentemente, è ancora difficile riscontrare criteri omogenei per individuare pazienti ad alto rischio. Altro problema ancora dibattuto è quello della dose: alcuni autori sostengono che vi sia una risposta individuale all’aspirina, perciò il tempo di sanguinamento della paziente potrebbe essere considerato un marker biologico, sul quale improntare il protocollo profilattico; si tratta di un’idea utile ma ancora da confermare con ulteriori trial. Ultimo problema ma non meno importante, è il periodo di inizio della terapia (certamente prima delle 20 settimane), ma non vi sono studi sufficienti per raccomandarne l’uso prima della 12a settimana [51-53].
Dieta con acidi grassi poliinsaturi Gli omega-3 interferiscono con il metabolismo degli eicosanoidi provocando una diminuzione di TxA2 senza interferire con la produzione endoteliale di prostaciclina. Gli studi effettuati mostrano che la somministrazione di fish oil può diminuire l’incidenza di parti pretermine in quelle pazienti con anamnesi ostetrica positiva per un precedente parto pretermine, ma gli stessi lavori non mostrano modificazioni significative sul rischio di PE e PIH e/o sull’insorgenza di FGR [54].
Antiossidanti Il primo studio di rilievo sull’utilizzo di antiossidanti nella profilassi della PE viene pubblicato nel 1999 e mostra i risultati di un trattamento, su 283 donne, con 1.000 mg di vitamina C e 400 UI di vitamina E vs placebo. Di queste, solo 160 hanno completato lo studio, e nonostante il risultato mostrasse una notevole differenza nell’incidenza di PE nel gruppo con vitamine rispetto al placebo (8% vs 26%), è stato possibile considerarlo solo uno studio preliminare proprio per il ridotto numero di pazienti coinvolte [55].
Calcio Il basso apporto di calcio nella dieta può causare ipertensione dovuta alla liberazione di paratormone o di renina, provocando un aumento del calcio nella muscolatura liscia vascolare e di conseguenza, un aumento della contrattilità; da ciò si deduce che vi è una correlazione inversa tra incidenza di PE e di ipertensione in gravidanza e calcio nella dieta. Altri studi mostrano che la supplementazione di calcio nella dieta (200 mg/die) può essere utile come profilassi nei confronti della PE solo in quelle pazienti con basso apporto dietetico (<900 mg/die) [56, 57].
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Anti-ipertensivi Il trattamento con farmaci anti-ipertensivi in donne affette da ipertensione cronica non ha evidenziato nessun beneficio rispetto al rischio di sviluppare PE sovrapposta. L’argomento verrà approfondito in seguito a proposito del management della PE.
so disaccordo riguardo i benefici dell’ospedalizzazione, del completo allettamento e dell’uso di farmaci antiipertensivi quando queste non hanno compiuto le 37 settimane gestazionali. I principali approcci dal punto di vista della gestione della PIH e della PE lievi sono riportati di seguito.
Ospedalizzazione Outcome materno e perinatale L’outcome sia materno che perinatale nella PE è dipendente da uno o più tra i seguenti fattori: – età gestazionale al momento della diagnosi; – età gestazionale al momento del parto; – severità della progressione della patologia; – gravidanza gemellare; – patologie materne preesistenti alla gravidanza (diabete, patologie renali, trombofilie congenite ed acquisite) [58, 59]. Nelle donne con PE lieve l’incidenza di morte perinatale, di parto pretermine, di abruptio placentae e di partorire un neonato SGA è simile a quella calcolata per le gestanti normotese. L’incidenza di eclampsia è di ca. 1%, ma quella dei parti cesarei è aumentata parallelamente all’aumentata necessità di provocare il parto [60, 61]. Di contro, nella PE severa c’è un aumentato rischio di mortalità (0,2%) e di morbidità materna (5%) rappresentata da: – convulsioni; – edema polmonare; – insufficienza renale acuta; – insufficienza epatica acuta, emorragia epatica; – CID (coagulopatia intravascolare disseminata); – stroke. Queste complicanze sono solite riscontrarsi maggiormente in pazienti che sviluppano PE prima della 32a settimana gestazionale o che hanno patologie preesistenti alla gravidanza [9, 62].
In passato il trattamento di queste pazienti contemplava come necessaria l’ospedalizzazione, dal momento della diagnosi fino a tutta la durata della gravidanza, con la convinzione che tale provvedimento diminuisse la frequenza di progressione verso una patologia severa e permettesse un intervento in tempi rapidi nel caso di abruptio placentae, eclampsia o crisi ipertensive. Ad ogni modo, come discusso precedentemente, queste complicanze sono estremamente rare in pazienti con PIH/PE lievi in assenza di altri sintomi. Inoltre, studi randomizzati e varie osservazioni su donne con PIH/PE lievi, suggeriscono che la maggior parte di queste può essere trattata a domicilio, venendo comunque sottoposta ad un serrato programma di controlli materno-fetali. Va tuttavia sottolineato che la maggior parte degli studi comprende una popolazione selezionata di donne che hanno PIH, mentre invece sono ancora necessari studi randomizzati che ci chiariscano la reale inutilità dell’ospedalizzazione nelle pazienti con PE lieve,“complianti” verso la terapia.
Riposo a letto Il riposo a letto, assoluto o meno, per tutta la durata della gravidanza, è spesso raccomandato nelle donne con PIH/PE lievi. Tuttavia, ad oggi non c’è nessuna evidenza che ci conferma che questa condotta abbia veramente un riscontro terapeutico, ed inoltre mancano degli studi randomizzati che ci indirizzino nel capire se l’allettamento completo della paziente abbia un potenziale terapeutico maggiore rispetto alla semplice restrizione dell’attività fisica. Ad ogni modo, benchè non si conoscano del tutto eventuali benefici dell’allettamento per tutta la durata della gravidanza, si sa per certo che questo aumenta il rischio trombo-embolico.
Farmaci anti-ipertensivi
PIH E PE: MANAGEMENT E TERAPIA Management ante-parto della PIH e della PE lievi Il gold standard nel trattamento delle donne con ipertensione gestazionale o preeclampsia lievi prima delle 37 settimane gestazionali ancora non è stato individuato. Se infatti da una parte gode dell’unanimità il giudizio per cui queste pazienti, quando a termine di gravidanza, debbano partorire, dall’altra c’è un diffu-
Nella PIH o nella PE lievi vari studi descrivono come l’utilizzo di farmaci anti-ipertensivi vs placebo o vs assenza di terapia non migliori l’outcome perinatale, con, in ogni caso, simile, bassa incidenza di progressione clinica della patologia. Ad ogni modo il campione di popolazione studiato è stato sempre inadeguato per effettuare una valutazione anche di altri parametri, quali la comparsa di FGR, abruptio placentae, morte perinatale o l’outcome materno nelle pazienti senza terapia rispetto a quelle con terapia anti-ipertensiva [63, 64].
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Monitoraggio fetale e materno È universale e concorde il giudizio secondo il quale, quando sia nella PIH che nella PE si decide per un trattamento di attesa, risulta indispensabile andare a testare il benessere fetale, ma c’è grande disaccordo sul tipo di test valutativi da utilizzare, come pure sugli intervalli di tempo in cui devono essere applicati. Negli Stati Uniti, molti autori raccomandano il conteggio dei movimenti fetali giornalieri in associazione o col NST (Non Stress Test) oppure col BPP (profilo biofisico fetale), da effettuarsi subito al momento della diagnosi e poi successivamente con una frequenza di una/due volte a settimana, fino al momento del parto. Tuttavia, la moderna interpretazione del CTG ed un esame flussimetrico doppler approfondito possono essere una valida alternativa al BPP, rendendolo sempre più un esame superfluo [65, 66]. Dato che, come abbiamo visto a proposito della fisiopatologia, il flusso utero-placentare è ridotto in molte di queste donne, è raccomandato per lo studio della biometria fetale con stima ecografica del peso fetale associata alla valutazione quantitativa del liquido amniotico, sia al momento della diagnosi sia successivamente, ogni tre settimane, fino al momento del parto, in modo che non sfugga alla diagnosi ecografica il feto FGR [65]. Al sospetto di FGR trova indicazione necessariamente la valutazione doppler-velocimetrica dei flussi fetali, sia a livello ombelicale che, eventualmente, a livello dell’arteria cerebrale media e in altri distretti vascolari fetali (ad es. a livello del dotto venoso). L’aumento dell’indice di pulsatilità (PI) dell’arteria ombelicale e dell’aorta e la riduzione della resistenza nei vasi cerebrali rappresentano nell’insieme il fenomeno della cosiddetta centralizzazione del circolo (brain sparing), un epifenomeno della condizione di ipossia fetale. Un’analisi doppler alterata in tal senso non va considerata, presa isolatamente, come un’indicazione al parto (benché abbia comunque valore prognostico) e ci deve indirizzare verso una più attenta sorveglianza fetale. La grave compromissione dell’albero placentare e la conseguente ipossia fetale possono portare alla determinazione del fenomeno velocimetrico del reverse flow in arteria ombelicale e alla comparsa di pulsazioni in vena ombelicale, che si accompagnano, di solito in breve tempo, a comparsa di NST decelerativo (soprattutto con comparsa di decelerazioni tardive reiteranti). Con la constatazione di una flussimetria alterata si rende mandatoria l’ospedalizzazione e la valutazione della FCF con NST almeno una volta al giorno (la frequenza di quest’esame deve dipendere sia dai valori flussimetrici sia dall’andamento dei tracciati CTG eseguiti). La frequenza di ripetizione di questi test (conteggio movimenti fetali e NST) solitamente dipende da vari fat-
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tori, quali la severità della PIH o della PE, la settimana gestazionale a cui è stata effettuata la diagnosi e le condizioni fetali [65, 66]. Molti clinici suggeriscono che questi test valutativi del feto debbano essere effettuati una volta a settimana nelle donne con PIH/PE lievi, due volte a settimana se vi è il sospetto diagnostico di FGR, ed infine giornalmente se si intende intraprendere un approccio di attesa nelle pazienti con PIH/PE severe a meno di 32 settimane gestazionali [66]. Un programma di serrati controlli materni è indicato in tutte le donne con PIH e con PE, in quanto il goal di questo stretto monitoraggio è proprio quello di individuare il più precocemente possibile una progressione nella severità della patologia. Così, nelle donne con PIH/PE lievi il nostro target è la diagnosi precoce di PIH/PE severe, mentre nelle PIH/PE severe è osservare se si sviluppa danno d’organo. Oltre a ciò, tutte queste donne devono essere valutate per quanto riguarda la presenza di sintomi di disfunzione d’organo: dovremmo concentrarci sulla comparsa di cefalea, di alterazioni della vista, della lucidità e dell’orientamento, di dolore a livello dell’ipocondrio destro o dell’epigastrio, di nausea o vomito, di respiro superficiale e breve e di riduzione dell’escrezione urinaria. Queste pazienti devono infatti effettuare la raccolta delle urine delle 24 ore, sia per un utile determinazione quantitativa che ci dia informazioni sulla funzionalità renale, sia per la valutazione della proteinuria. Devono inoltre essere sottoposte a prelievi ematici per la quantificazione della creatininemia, dell’uricemia, delle piastrine e degli enzimi epatici (i test sulla funzionalità coagulatoria non sono ritenuti necessari in presenza di normali valori di piastrine e di enzimi epatici). Anche in questo ambito non ci sono dei protocolli da seguire su come impostare la frequenza di questi esami, in quanto deve essere funzione delle condizioni materne iniziali, del grado di severità raggiunto e della rapidità di progressione della patologia. Ad ogni modo le principali autorità nel campo raccomandano la valutazione degli enzimi epatici, della conta piastrinica, della creatininemia e dell’uricemia una volta a settimana per le donne con PIH/PE lievi, mentre si arriva ad una frequenza giornaliera dei controlli se abbiamo una paziente con PIH/PE severa ancora lontana dal termine di gravidanza, in cui le condizioni cliniche lasciano però come prima opzione terapeutica il trattamento di attesa.
Approccio pratico alla PIH e alla PE lievi L’obiettivo principale del management della paziente con PIH/PE deve sempre essere rappresentato dalla sal-
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vaguardia della salute materna e dalla nascita di un neonato che non richieda intensive e prolungate cure da parte dei neonatologi. Quest’obiettivo può essere raggiunto formulando una strategia terapeutica che prenda in considerazione uno o più dei seguenti punti: – severità della patologia; – età gestazionale; – stato materno e fetale al momento della diagnosi; – presenza del travaglio di parto; – Bishop score cervicale; – volontà della madre.
la progressione verso PIH/PE severe, determinando così un grave ritardo diagnostico. Dall’altro lato altri autori ritengono che la terapia vada impostata subito, così da migliorare le condizioni di maladattamento cardiocircolatorio legate a questo tipo di patologia. Al momento della diagnosi e nelle visite successive, il ginecologo deve istruire la donna sui sintomi della PE severa e sulla necessità di recarsi immediatamente presso un pronto soccorso nel caso si sviluppino dolori addominali, contrazioni, sanguinamento vaginale o se avverte una riduzione dei movimenti fetali.
Una volta che è stata posta la diagnosi, la terapia dipenderà dai risultati delle valutazioni materne e fetali. In genere, come precedentemente accennato, le donne con patologia lieve-moderata che si sviluppa alla 37a settimana o oltre hanno un outcome gestazionale simile a quello che si può osservare nelle gravidanze in pazienti normotese. Quindi, tra queste pazienti, quelle a termine o in prossimità del termine di gravidanza che hanno delle condizioni cervicali favorevoli, così come quelle che non sono complianti verso la terapia, dovrebbero essere gestite inducendo il travaglio di parto. Inoltre, l’uso dei prostanoidi a livello cervicale e l’induzione del travaglio potrebbero essere una valida alternativa al taglio cesareo nelle pazienti con PE lieve con anche modico rischio di abruptio placentae o di progressione verso una patologia severa, che sono alla 37a settimana gestazionale o oltre, ma che non presentano delle condizioni locali cervicali favorevoli. Sarebbe inoltre opportuno optare per il parto anche nelle pazienti con gravidanza a 34 settimane o più in presenza di minaccia di parto pretermine, di pPROM, di alterazioni nei test valutativi del benessere fetale o in caso di FGR. Nelle donne in cui non c’è un’assoluta indicazione al parto, è essenziale che vi sia una serrata valutazione materna e fetale. Le pazienti vanno istruite circa una dieta che sia varia, regolare, e soprattutto senza restrizioni di sale e si dovrebbe consigliare una riduzione dell’attività fisica, evitando però un completo allettamento. Molto si discute sull’impostare o meno una terapia antiipertensiva già dal momento della diagnosi di PIH/PE lievi [63, 64], soprattutto perché i dati attuali sembrano smentire l’utilità dei farmaci anti-ipertensivi nel migliorare l’outcome gestazionale in queste pazienti; così, da un lato ci sono autori che ritengono utile tale terapia farmacologica solo nel caso si sviluppino PIH/PE severe, poiché nei casi in cui la patologia è di grado moderato potrebbe solo mascherare un’eventuale evoluzione clinica. Da ciò emerge come da alcuni l’ipertensione sia considerata un’importante campanello d’allarme, che se non presente porterebbe solo al danno di misconoscere
PIH lieve Nelle pazienti con PIH lieve la valutazione fetale dovrebbe comprendere il NST e la valutazione ecografica biometrica (con stima del peso fetale) e dell’AFI. Se risultano normali, secondo alcuni autori è inutile ripetere i test fino a che non si verifichi un cambiamento nelle condizioni materne (progressione verso una PIH severa o una PE) o una riduzione dei movimenti fetali. Se invece emergono delle alterazioni del benessere fetale è opportuno far ripetere immediatamente alla paziente un NST eventualmente integrato alle altre metodiche [65,66]. La valutazione materna comprende l’esecuzione frequente dei seguenti esami: – ematocrito; – conta piastrinica; – markers di funzionalità epatica; – proteinuria delle 24 ore; – uricemia. Si dovrebbero programmare controlli più frequenti della gestante, così da valutare la PA, la proteinuria con lo stick e l’eventuale presenza di sintomi. Queste valutazioni sono fondamentali per effettuare una precoce diagnosi di progressione verso PE o PIH severa, e qualora si presentino sintomi materni, un improvviso e cospicuo incremento della PA, una proteinuria (2+ o più allo stick), si provvederà prontamente ad un’opportuna ospedalizzazione, così da poter monitorare la paziente più accuratamente proprio in questo fondamentale e delicato momento della patologia, quello cioè in cui vi è maggiore possibilità che si sviluppino le complicanze.
PE lieve Non ci sono,anche in questo caso,dei protocolli precisi che ci indichino puntualmente come trattare le pazienti con PE moderata al di sotto delle 37 settimane gestazionali. Se infatti alcuni clinici propongono l’ospedalizzazione, altri autori sono fermamente convinti che queste pazienti possano essere seguite ambulatorialmente. In quest’ultimo caso è fondamentale la collaborazione da parte della paziente stessa, che deve essere ligia nel rimanere a
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riposo a casa, nel monitorizzare sia le proteine urinarie con lo stick sia la PA giornalmente, nel riconoscere subito i sintomi di un’aggravarsi della patologia, nel contare i movimenti fetali. Queste pazienti devono essere controllate spesso ambulatorialmente, portando in visione al medico le analisi di laboratorio (conta piastrinica, enzimi epatici). La valutazione del benessere fetale comprende,oltre alla conta giornaliera dei movimenti fetali,anche il NST (due volte alla settimana) e la valutazione ecografica dell’accrescimento fetale e del liquido amniotico (ogni 3 settimane). Non è invece consigliabile l’approccio ambulatoriale se la paziente ha al momento della diagnosi: – una PAsist>150 mmHg e/o una PAdiast>100 mmHg; – una proteinuria delle 24 ore>1 g; – alterazione degli enzimi epatici; – PLTs<100.000/mm3. Inoltre,se durante il periodo in cui è monitorata ambulatorialmente sviluppa le alterazioni appena riportate o vi sono evidenze di una compromissione del benessere fetale è mandatorio procedere all’ospedalizzazione. Allo stesso modo, le donne ricoverate in ospedale sono soggette alle medesime valutazioni materne e fetali (Fig.17.1). PIH/PE moderate
Valutazione materna e fetale
EG*37 sett. Bishop score >6 Pazienti non-complianti EG*34 sett. Minaccia di parto pretermine PROM FGR o alterazione test fetali
PARTO
NO <37 sett.
37-39 sett.
Prostaglandine
Monitoraggio intra/extra ospedaliero delle condizioni materne e fetali Deterioramento condizioni materne e/o fetali EG = 40 sett. Bishop score * 6 a * 37 sett. travaglio di parto
Fig. 17.1. Management proposto per PIH/PE moderate.Da [67]
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Atteggiamento di attesa nella preeclampsia severa: un rischio da correre? Il principale punto del problema è rappresentato dal fatto che in ogni momento ci può essere uno scadimento più o meno graduale delle condizioni cliniche sia materne che fetali. Visto che queste gravidanze sono state associate ad aumento dell’incidenza di mortalità e morbilità materne, e la situazione non è migliore per il feto (aumentato rischio di FGR, ipossiemia e morte), si è universalmente concordi sulla necessità che le pazienti che sviluppano la patologia dopo la 34a settimana gestazionale debbano partorire in tempi brevi. Un parto sollecito è anche indicato prima della 34a settimana quando: – c’è il rischio di un’eclampsia imminente (sintomi persistenti e severi); – si manifesta una disfunzione multi-organo; – compare severo FGR (5° percentile); – vi è un sospetto di distacco intempestivo di placenta; – i test valutativi del benessere fetale non sono rassicuranti. C’è invece un gran disaccordo nella letteratura internazionale, come pure nella pratica clinica, relativamente alla gestione delle pazienti con PE severa manifestatasi prima della 34a settimana gestazionale, ma con una condizione materna stabile e fetale rassicurante: mentre alcuni autori sostengono che si debba provvedere al trattamento definitivo della patologia e quindi al parto, altri invece sono fautori di un approccio di attesa, finché non compaiano segnali di allarme materni o fetali o almeno finché non vengano raggiunte le 34 settimane gestazionali o comunque la maturità polmonare. Infatti, sebbene il parto sia sempre una terapia adeguata per la madre, in quanto l’unica terapia eziologica conosciuta (assieme alla placenta si elimina infatti anche la malattia), potrebbe non esserlo per il feto, quando questo sia estremamente prematuro. A ciò si aggiunge il fatto che mentre in passato si pensava che i nati pretermine da donne con PE severa avessero una prognosi migliore (per un mal documentato processo di accelerata maturazione sia neurologica che polmonare dipendente dalla condizione di stress che questi feti subivano in utero) rispetto ai nati pretermine da pazienti normotese, vari studi caso-controllo attuali hanno dimostrato che questi neonati in realtà presentano gli stessi indici di mortalità e morbilità dei loro pari di età nati pretermine da donne normotese. Inoltre altri studi caso-controllo hanno dimostrato che non è vero che i feti di pazienti preeclamptiche abbiano un accelerato processo maturativo neurologico e polmonare [67].
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PE severa La presenza di PE severa rende mandatoria un’immediata ospedalizzazione della paziente. Appena ricoverata è opportuno che si inizi una terapia preventiva delle convulsioni (preferibilmente Mg solfato ev) ed una terapia anti-ipertensiva per abbassare i valori della PA qualora questi superino i 160 mmHg di PAsist e/o i 110 mmHg di PAdiast. Il razionale della terapia anti-ipertensiva è quello di mantenere la PAsist in un range compreso tra 140 e 155 mmHg e la PAdiast tra i 90 ed i 105 mmHg. Durante il periodo osservazionale vengono monitorati sia la madre che il feto e vengono prese decisioni circa la necessità dell’espletamento del parto [67-69]. Alle pazienti con età gestazionale compresa tra le 24 e le 34 settimane dovrebbero essere somministrati i corticosteroidi così da accelerare la maturazione polmonare (il protocollo più diffusamente accettato è quello che prevede la somministrazione di betametasone 12 mg, una dose al giorno per via intramuscolare, per due giorni). Al solito, la valutazione del benessere materno comprende il monitoraggio della PA, del bilancio idrico, dell’insorgenza di disturbi cerebrali, dolore addominale, astenia, insorgenza di travaglio o di sanguinamento vaginale. I parametri di laboratorio analizzati comprendono la conta piastrinica, gli enzimi epatici e i markers di funzionalità renale (sia ematici che urinari) [67-69]. La valutazione del benessere fetale invece è rappresentata dal continuo monitoraggio fetale con NST (BPP) e dalla valutazione ultrasonografica biometrica, del liquido amniotico e flussimetrica [67-69].
Parto: terapia d’emergenza Le pazienti con PE severa resistente a terapia o con sintomi cerebrali, nonostante la terapia preventiva delle convulsioni (qualora sia stata impostata), dovrebbero partorire entro 24-48 ore dall’ingresso in ospedale. Inoltre, anche in presenza di trombocitopenia (PLTs<100.000) e/o di alterazione degli enzimi epatici in associazione con dolore epigastrico e astenia e/o con creatinina sierica pari o superiore a 2 mg/dl, è indicato il parto entro le 48 ore. Alle pazienti con gravidanza tra 33 e 34 settimane gestazionali che non mostrano gli elementi peggiorativi appena menzionati, devono essere somministrati corticosteroidi e possono poi partorire dopo 48 ore. Le pazienti che non sono giunte ad un’età gestazionale superiore a 22 settimane dovrebbero essere informate circa le chances di dare alla luce un feto vivo e vitale. È tuttavia possibile, ponendo in primo piano la volontà materna, un trattamento di attesa in cui la donna ed il suo feto siano in regime ospedaliero sotto una strettissima osservazione, finché la situazione materna o fe-
tale non peggiori e si debba quindi ricorrere alla decisione del parto d’urgenza. Le pazienti giunte a 22-32 settimane gestazionali ricevono infine uno schema di trattamento personalizzato, fortemente condizionato dalla risposta clinica durante un periodo di breve osservazione di 24 ore. Se infatti in questo periodo la PA è adeguatamente controllata e i tests valutativi del benessere fetale sono rassicuranti, può venire interrotta la terapia profilattica delle crisi eclamptiche (qualora sia stata attuata), le pazienti vengono dunque monitorate in regime ospedaliero con un approccio di attesa [68, 69] fino a che non raggiungano le 34 settimane gestazionali o fino a che non si presentino segni peggiorativi della patologia che rendano necessario il parto. Ad ogni modo, finché non si verifichi l’una o l’altra situazione, queste pazienti devono essere valutate giornalmente con gli esami ematici e delle urine prodotti con la stessa frequenza giornaliera deve essere valutato il benessere fetale con i test descritti. Inoltre, se l’entità delle alterazioni pressorie lo richiede, esse ricevono il trattamento anti-ipertensivo, finalizzato a mantenere la PAdiast tra i 90 ed i 105 mmHg e la Pasist tra i 140 e i 155 mmHg. In linea generale, la maggior parte delle pazienti richiede entro due settimane di ospedalizzazione la scelta terapeutica del parto d’emergenza, mentre solo alcune PE severa
Ingresso in sala travaglio/sala parto Monitoraggio materno/fetale per 24 h Mg solfato per 24 h Antiipertensivi se PA*110 mmHg o PA media * 125 mmHg
Danno d’organo materno Stato fetale non rassicurante Travaglio o rottura membrane > 34 sett.
Mg solfato e PARTO
NO Corticosteroidi
Severo FGR NO < 22 sett.
Accurata consultazione con la coppia
22-32 sett.
33-34 sett.
Corticosteroidi a 24-32 sett. Anti-ipertensivi se necessario Valutazione giornaliera condizioni materne e fetali Parto a 34 sett.
Fig. 17.2. Management proposto per la PE severa. Modificato da [67]
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proseguono la gravidanza per qualche settimana in più. È importante ricordare che tale atteggiamento di attesa appena descritto è attuabile solo in casi selezionati e richiede un regime di ricovero presso centri di terzo livello provvisti di adeguata terapia intensiva sia per la madre che per il neonato. Quando invece si opta per il parto, le pazienti dovrebbero eseguire una profilassi per sintomi cerebrali durante il parto e per almeno 24 ore post-parto (Fig. 17.2).
Management durante il parto per via vaginale I goal del trattamento delle pazienti con PE/PIH sono rappresentati dalla precoce individuazione di anomalie della frequenza cardiaca fetale (FCF), di segni di progressione verso una patologia severa e dalla prevenzione delle complicanze materne. Le gravidanze complicate da PE, in particolare quelle in cui la patologia è severa e/o vi è FGR, sono a rischio sia per distacco intempestivo di placenta che per sofferenza fetale intraparto. Dunque, tutte le pazienti con PE dovrebbero essere sottoposte durante il parto ad un monitoraggio continuo cardiotocografico, focalizzando l’attenzione su un’eventuale iperattività contrattile uterina e sanguinamento vaginale. Infatti, la presenza di un’irritabilità uterina e/o di decelerazioni variabili ricorrenti o tardive, potrebbero essere i primi segni di distacco intempestivo di placenta. Alcune donne con PIH/PE lieve andranno incontro ad una progressione verso la patologia severa durante il travaglio di parto, come risultato dei cambiamenti fisiologici dell’output cardiaco e del rilascio degli ormoni della controregolazione. Questa è la ragione per cui durante questo periodo la PA deve essere registrata spesso (almeno una volta ogni ora) e si deve frequentemente interrogare la paziente circa la comparsa di sintomi riferibili ad una patologia severa. Per ciò che riguarda l’analgesia nel parto, si può ottenere in due modi: o con l’utilizzo di oppioidi o con l’anestesia epidurale [70]. L’anestesia epidurale, mentre da un lato viene considerata il metodo analgesico di elezione nelle pazienti con PIH/PE lieve, dall’altro nelle pazienti con PIH/PE severa non c’è unanimità di giudizio nel considerarla una pratica sicura. Tuttavia ci sono delle non trascurabili evidenze che ci tranquillizzano nell’uso dell’analgesia epidurale, tanto più che un recente studio su 116 pazienti [70] ha messo a paragone l’outcome di pazienti con PE severa a cui è stata praticata l’anestesia epidurale con pazienti che hanno effettuato anestesia con oppioidi: non si è registrata differenza alcuna nei due gruppi riguardo la necessità di ricorrere al taglio cesareo, ed inoltre con l’epidurale si è ottenuto un miglior controllo dei dolori del travaglio. Per quanto riguarda invece il taglio cesareo, sia l’a-
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nestesia epidurale, sia la spinale che quella combinata (epidurale+spinale), sono considerate di scelta da molti specialisti nella parto-analgesia. Nelle donne con PE severa l’anestesia generale aumenta i rischi di aspirazione e di fallimenti nell’intubazione a causa dell’edema delle vie aeree superiori ed è associata con incremento della pressione sia sistemica che cerebrale durante l’intubazione e l’estubazione. Le donne con edema laringeo o comunque delle vie respiratorie superiori, potrebbero richiedere un’intubazione sotto osservazione con fibre ottiche con la possibilità anche di dover prontamente effettuare una tracheostomia. Le alterazioni nella pressione sistemica ed intracranica potrebbero essere attenuate attraverso la pre-medicazione con anti-ipertensivanti endovena (beta-bloccanti o nitroglicerina). È inoltre importante precisare che l’anestesia regionale è controindicata in presenza di coagulopatia o trombocitopenia severa (PLTs<50.000/mm3).
Prevenzione delle convulsioni Nella letteratura internazionale il magnesio solfato è da molti ritenuto il farmaco di scelta per la prevenzione delle convulsioni nelle pazienti preeclamptiche. Inoltre, diversi studi (compresi quelli della Cochrane) hanno confermato i risultati a favore del trattamento con solfato di magnesio rispetto a quello con altri farmaci anticonvulsivanti (diazepam, fenitoina, o associazione di petidina, clorpromazina e prometazina) nel prevenire le recidive di convulsioni e nel ridurre la mortalità materna [71, 78]. La letteratura anglosassone pone rilievo all’uso profilattico di solfato di magnesio e lo raccomanda solamente in pazienti ospedalizzate e con una diagnosi di preeclampsia instabile, al fine di impedirne la progressione in eclampsia. La somministrazione viene effettuata esclusivamente durante il parto e nelle prime 1248 ore postpartum; con questa modalità ci si aspetta un potenziale effetto di prevenzione delle convulsioni. Nonostante la sua provata efficacia nelle pazienti con PE severa (4 trials randomizzati hanno messo a confronto l’uso di solfato di magnesio con placebo e con la non-terapia), mancano risultati altrettanto confortanti nelle donne con PE lieve. Si può pertanto affermare che l’evidenza dei dati raccolti non giustifica l’utilizzo del solfato di magnesio come farmaco di routine nella profilassi dell’eclampsia nelle donne con PIH/PE lieve [71, 78]. Alcuni autori, in considerazione della dimostrata imprevedibilità degli episodi di eclampsia (molte convulsioni eclamptiche, a seconda delle casistiche dal 20% all’87%, non sono prevedibili), pongono maggiori dubbi riguardo l’effettiva necessità di una terapia preventiva, ed in particolare sull’utilizzo del solfato di magnesio, la cui tossicità non è peraltro trascurabile. Tuttavia potrebbe essere possibile che la bassa inci-
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denza di eclampsia nei paesi sviluppati sia correlata alla prevenzione nelle donne con una progressione classica della patologia preeclamptica, e questo non farebbe altro che aumentare la frequenza della PE dall’insorgenza atipica (distacco di placenta, sviluppo di convulsioni in corso di trattamento farmacologico profilattico, esordio delle convulsioni dopo le 48 ore postparto), rendendola la manifestazione eclamptica attualmente più comune.Se si guarda sotto quest’ottica, se è vero che l’incidenza di eclampsia nei paesi sviluppati è bassa grazie alla farmacoterapia preventiva, è eticamente scorretto non praticarla. A nostro giudizio la terapia preventiva delle convulsioni eclamptiche è necessaria, e qualora non si abbia confidenza col Mg solfato, un farmaco peraltro potente, con una finestra terapeutica ridotta, e dunque di non facile gestione, si possono utilizzare farmaci anticonvulsivanti quali diazepam 10-20 mg ev o fenitoina (sebbene dagli studi sopra riportati si è visto che hanno un’efficacia minore rispetto al Mg solfato), in attesa di procedere, quanto prima possibile, all’espletamento del parto. Per ciò che concerne le modalità di utilizzo, gli effetti indesiderati e gli accorgimenti da utilizzare per impostare la terapia con solfato di magnesio, si veda oltre nel capitolo (Management dell’eclampsia).
Controllo dell’ipertensione severa L’obiettivo del trattamento dell’ipertensione severa acuta è quello di prevenire potenziali complicanze cerebrovascolari o cardiovascolari come encefalopatia, emorragia cerebrale e scompenso cardiaco congestizio. Per ovvie ragioni etiche non esistono studi che stabiliscano quali sono i valori pressori minimi in presenza dei quali bisogna cominciare a trattare farmacologicamente per prevenire queste complicanze. Così, alcuni raccomandano di trattare per valori sostenuti di PAsist>180 mmHg e/o di PAdiast>110 mmHg, altri di iniziare la terapia antiipertensiva già con PAsist di 160 mmHg e/o PAdiast di 105 mmHg. Altri ancora prendono in considerazione come cut-off per intraprendere il trattamento una PA media di 130 mmHg o più [65, 66]. Inoltre, come si diceva, questi valori pressori devono essere sostenuti nel tempo, ma anche in questo caso c’è confusione nella definizione di ipertensione “sostenuta”, perché questa può variare dai 30 minuti alle 2 ore. Va inoltre ricordato che nelle pazienti severamente ipertese con trombocitopenia ed in quelle nel post-partum è opportuno iniziare la terapia antiipertensiva per valori di PA inferiori a quelli a cui siamo soliti impostare la terapia anti-ipertensiva. Ne risulta quindi, che venendo a mancare delle linee guida o perlomeno un approccio largamente condiviso, per ciò che concerne il timing del trattamento antiipertensivo, molto viene lasciato alla libera decisione del medico.
Anche per quanto riguarda la classe di anti-ipertensivi da usare non ci sono dei protocolli universalmente accettati, tuttavia siamo in grado, attraverso la letteratura, di tirare le fila riguardo al principale farmaco utilizzato nell’ipertensione severa, ovvero l’idralazina. Questo farmaco viene gestito con somministrazione per via endovenosa in boli da 5-10 mg ogni 15-20 minuti, fino ad una dose cumulativa massima di 30 mg. Ultimi studi stanno però dimostrando che l’approccio con l’idralazina ev sta già diventando “vecchio”, e sta per essere superato dall’uso del labetalolo ev o della nifedipina per os, che hanno la stessa efficacia a fronte di una minore entità degli effetti collaterali. La dose raccomandata di labetalolo è di 20-40 mg ev da ripetere ogni 10-15 minuti per un massimo di 220 mg, mentre la dose di nifedipina è di 10-20 mg per os ogni 30 minuti, fino alla dose massima di 50 mg. Spetta dunque al medico scegliere se impostare la terapia antiipertensiva d’attacco con l’idralazina ev o con il labetalolo o con la nifedipina, ed in ogni caso, se la paziente non risponde al farmaco, si può passare ad un altro tra questi consigliati [63, 64].
Modalità del parto Non ci sono dei trials randomizzati che mettano a paragone il parto per via vaginale ed il parto cesareo tra di loro, per individuare la modalità di parto preferibile nelle pazienti con PIH/PE lievi e severe. In realtà la letteratura vuole che si proceda in prima ipotesi al parto vaginale per tutte le pazienti con PIH/PE lievi e anche per la maggioranza di quelle con PIH/PE severe, in particolare se è stata superata la 30a settimana gestazionale. La decisione per il parto cesareo dovrebbe essere orientata in base all’età gestazionale effettiva, alle condizioni fetali, alla presenza del travaglio, e al Bishop score cervicale. Ad ogni modo la PE severa non è un’indicazione assoluta al taglio cesareo. È buona regola comunque praticare il taglio cesareo a tutte le donne con PE severa al di sotto delle 30 settimane gestazionali che non sono in travaglio e il cui Bishop score sia <5 punti, oppure in ogni caso in cui si manifestino delle alterazioni fetali che richiedano il parto cesareo come prima scelta rispetto allo spontaneo. Va ricordato infine che in Italia la tendenza generale è quella di praticare il taglio cesareo nella maggior parte dei casi di PE, ritenendo (in parte giustamente, ma in gran parte influenzati dalla medicina difensiva che si sta affermando sempre più negli ultimi tempi, soprattutto in ostetricia) che il travaglio possa far precipitare una sofferenza fetale o che possa scatenare una crisi eclamptica.
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Management postpartum Durante l’immediato postpartum le donne con PE dovrebbero essere sottoposte ad un attento monitoraggio della PA, del bilancio idrico, e dei sintomi ascrivibili ad un’evoluzione della patologia. A queste donne viene somministrata una gran quantità di liquidi per via endovenosa durante il parto, funzionali ad una pre-idratazione prima dell’anestesia epidurale, oppure necessari per l’infusione di ossitocina o di magnesio solfato. Inoltre, nel postparto c’è un fisiologico riassorbimento dei liquidi extracellulari, interstiziali, che porta ad un aumento della volemia. Come risultato di ciò, le donne con PE severa (soprattutto in quelle con anomala funzione renale, con alterata permeabilità capillare e con esordio precoce della PE) hanno un rischio aumentato di edema polmonare e di un’esacerbazione dell’ipertensione severa nel post-partum. Queste donne dovrebbero essere valutate frequentemente circa l’ammontare dei liquidi somministrati ev, di quelli assunti per os (considerando anche il contenuto in acqua dei cibi ingeriti), la quantità della diuresi, i parametri ematici, e dovrebbero essere monitorizzate con un pulsossimetro e con l’auscultazione polmonare. In generale, la maggior parte delle donne con PIH ritorna ad essere normotesa nella prima settimana postpartum, mentre nelle donne con PE la PA si normalizza in tempi più lunghi. Inoltre, in alcune pazienti con PE c’è un immediato calo della PA postpartum, seguito 3-6 giorni dopo dallo sviluppo, nuovamente, di ipertensione. Ovviamente, se non si ha una risoluzione dell’ipertensione, ovvero se si ha una sua recrudescenza dopo un periodo di abbassamento dei livelli pressori, è opportuno impostare una terapia anti-ipertensiva. Anche in questo caso possono essere utilizzati molti farmaci, e sicuramente di più di quanti non se ne potessero usare in gravidanza (compaiono infatti diuretici, ACE-inibitori), ma sembra avere buona efficacia la nifedipina per via orale short-acting (10 mg ogni 6 ore) o quella long acting (10 mg 2 volte al dì), così da mantenere la PAsist<155 mmHg e la PAdiast<105 mmHg [63, 64]. Se la PA è ben controllata e non ci sono sintomi materni, la paziente può essere inviata a domicilio, istruendola però della necessità di misurare la PA almeno una volta al giorno. I farmaci anti-ipertensivi possono essere sospesi solo quando si ottiene una normalizzazione della PA per almeno 48 ore. La PIH o la PE severe possono avere il loro esordio anche nel post-partum, comportando un rischio incrementato di sviluppare eclampsia, edema polmonare, stroke e tromboembolismo, motivo per cui tutte le pazienti dopo il parto dovrebbero essere informate circa i sintomi dell’ipertensione severa e della PE. Le donne che manifestano cefalea severa persistente, cambiamenti nella vista, dolore epigastrico con nausea o vomito ed
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ipertensione severa, richiedono un’immediata valutazione medica e una molto probabile ospedalizzazione. Per queste donne potrebbe essere considerata la somministrazione di magnesio solfato per almeno 24 ore e di farmaci anti-ipertensivi. Se le pazienti non rispondono a questa terapia, o comunque se il medico lo ritiene opportuno, si deve procedere alle metodiche di imaging cerebrale (TC, RMN), così da escludere la presenza di altre patologie cerebrali [72, 73].
ECLAMPSIA Epidemiologia e fattori di rischio L’incidenza dell’eclampsia nel mondo occidentale varia tra 1:2.000 e 1:3.448 di tutte le gravidanze. Tale incidenza risulta più elevata nelle strutture di terzo livello, nelle gravidanze multiple e nelle popolazioni che non usufruiscono di cure prenatali.
Definizione e clinica L’instaurarsi di crisi convulsive (tipo tonico-cloniche ) e/o di perdita di coscienza non attribuibili a patologie neurologiche preesistenti, durante la gravidanza o nel postpartum, in una donna con segni e sintomi di preeclampsia, definisce il quadro dell’eclampsia. La certezza diagnostica di eclampsia si ha in presenza di ipertensione, proteinuria, edema generalizzato e convulsioni. Questi segni possono, d’altra parte, delineare un’ampia variabilità di quadri clinici, che vanno dall’ipertensione severa, evidente proteinuria ed edema generalizzato fino all’assente o solo lieve ipertensione, assenza di proteinuria e di edema generalizzato. L’ipertensione, che è considerata il segno cardine dell’eclampsia, si manifesta nel 20-54% dei casi in forma severa (PAsist≥160 mmHg e/o PAdiast≥110 mmHg), nel 30-60% in forma lieve (PAsist compresa tra 140 mmHg e 160 mmHg o PA diast compresa tra 90 mmHg e 110 mmHg), ma nel 16% di donne può essere assente. L’ipertensione di grado severo è più frequente nelle pazienti con diagnosi di eclampsia nel preparto (58%), soprattutto in quelle in cui si sviluppa a 32 settimane di gestazione o più precocemente (71%), ed in quest’ultimo gruppo di donne, l’ipertensione è assente solo nel 10% dei casi [74]. Una vasta sintomatologia può accompagnare il quadro dell’eclampsia e, a volte, essere di aiuto nel determinarne la diagnosi: una persistente cefalea occipitale o frontale (59-75% dei casi) insensibile agli analgesici, disturbi visivi (19-32%), fotofobia, confusione mentale, dolore epigastrico e/o localizzato ai quadranti supe-
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riori dell’addome, possono pertanto anticipare oppure susseguire l’insorgenza delle convulsioni. Inoltre, alcune pazienti manifestano inizialmente disturbi motori focali che solo raramente esitano con deficit permanenti, cosicchè è ipotizzabile che siano dovuti ad insulti ipossici, ischemici o edematosi transitori. L’esordio della crisi convulsiva si può verificare prima del parto (dal 38% al 53% dei casi), durante il parto o nel postpartum (dal 11% al 44% dei casi). Più frequentemente l’eclampsia del postpartum, si manifesta non più tardi delle 48 ore dal parto, anche se è stata descritta la forma tardiva di eclampsia del postparto che prevede un’insorgenza compresa tra le 48 ore e le 4 settimane successive al parto stesso. In questi ultimi casi, però, dovrebbe essere sempre approfondito lo stato neurologico della paziente attraverso, se necessario, esami di diagnostica per immagini, puntura lombare ed esami ematochimici, al fine di escludere altre patologie anatomofunzionali del sistema nervoso centrale. La maggior parte delle volte (91% dei casi) l’eclampsia si sviluppa dalla 28a settimana di gestazione, meno frequentemente può essere riscontrata tra la 20a e la 27a settimana (7,5%), mentre solo una parte ridotta di casi (1,5%) è più precoce, risultando spesso correlata a degenerazione placentare propria della mola o dell’idrope. I casi di sospetta eclampsia che insorgono nella prima metà della gravidanza, non associati a patologia placentare, sono meritevoli di un approfondimento diagnostico soprattutto nei confronti di encefalopatia ipertensiva, disordini ischemici o trombotici e porpora trombocitopenica [74, 75]. In sintesi, donne in cui le convulsioni si associano ad ipertensione e proteinuria nella prima metà della gravidanza, sono considerate eclamptiche fino al momento in cui un’ecografia ostetrica non dimostri la presenza di una eventuale patologia cistica o placentare; oppure fino a che un esame approfondito del sistema nervoso non evidenzi una patologia cerebrovascolare, neoplastica, infettiva (meningiti, encefaliti), o disturbi della coagulazione o metabolici (ipoglicemia, iponatremia).
Fisiopatologia La patogenesi delle convulsioni eclamptiche è, a tutt’oggi, oggetto di estese ricerche e speculazioni scientifiche. Diverse teorie e meccanismi eziologici sono stati chiamati in causa a tal proposito, ma nessuno si è rivelato completamente esaustivo dei fenomeni che sottendono a tale patologia. La diagnostica per immagini ha suggerito una somiglianza tra le alterazioni cerebrali eclamptiche e quelle dell’encefalopatia ipertensiva; in particolare è stata riscontrata un’anomalia del meccanismo di autorego-
lazione del flusso ematico cerebrale (proprio di quest’ultima patologia) in pazienti eclamptiche. Due teorie sono state proposte per spiegare tale difetto: la vasodilatazione forzata e il vasospasmo. La prima ipotizza una perdita del meccanismo di autoregolazione cerebrovascolare, tale per cui, in risposta all’incremento della pressione arteriosa, dopo una prima fase di fisiologica vasocostrizione si raggiungerebbe la soglia massima del suddetto meccanismo, con conseguente vasodilatazione. Pertanto, l’iperperfusione locale si renderebbe causa di edema interstiziale o vasogenico. La teoria del vasospasmo sostiene, invece, che il tentativo di compenso dell’ipertensione sia mentenuto da una sovraregolazione cerebrale a cui conseguirebbero ischemia, edema citotossico ed infarto cerebrale. Dal momento che la presenza di edema ed aree di infarto, soprattutto nel lobo parieto-occipitale, è stata dimostrata approssimativamente nel 50% di donne eclamptiche, alcuni autori ritengono che l’encefalopatia ipertensiva giochi un ruolo determinante nella patogenesi dell’eclampsia. Nonostante, quindi, encefalopatia ipertensiva, edema o infarto, emorragia cerebrale ed encefalopatia metabolica siano tra i meccanismi eziologici implicati nella spiegazione della patogenesi dell’eclampsia, rimane da chiarire se tali fenomeni siano causa o effetto delle convulsioni stesse [74, 75].
Outcome materno e perinatale Nonostante l’eclampsia sia associata ad un rischio di mortalità materna che arriva fino all’1,8% nei paesi occidentali, il tasso di mortalità nei paesi in via di sviluppo è addirittura superiore al 14%. La registrazione di questo alto tasso di mortalità, potrebbe essere attribuita, nei paesi in via di sviluppo, alla mancanza di risorse e di disponibilità di terapie intensive che la gestione delle complicanze dell’eclampsia richiede. Inoltre, l’incremento di tale indice di mortalità è stato riscontrato soprattutto tra donne che hanno subito più di una crisi eclamptica al di fuori di una struttura ospedaliera e tra quelle che non hanno usufruito di cure prenatali. Uno studio recente effettuato su tutti i casi di morte associata a gravidanza, registrati dal 1979 al 1992 negli Stati Uniti, ha riportato che le responsabili del 19,6% dei casi erano state PE ed eclampsia e, di questi, il 49% era di causa eclamptica. Gli stessi autori, inoltre, hanno riscontrato un maggiore rischio di morte correlata a PE ed eclampsia, per gestanti di età superiore ai trenta anni, per quelle che non ricevono cure prenatali e per donne di razza nera, anche se il maggior rischio è stato accertato per le pazienti che partoriscono alla 28a settimana o ancor prima [62, 76].
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Le gravidanze complicate da eclampsia sono per di più associate ad un incrementato tasso di morbilità materna ed in particolare: – distacco di placenta (7-10%); – CID (7-11%); – edema polmonare (3-5%); – insufficenza renale acuta (5-9%); – polmonite da aspirazione (2-3%); – arresto cardiorespiratorio (2-5%). La sindrome da distress respiratorio dell’adulto e l’emorragia intracerebrale sono rare complicanze dell’eclampsia nei Paesi occidentali. Invece il rischio di CID (8%), HELLP syndrome (Hemolysis, Elevated Liver Enzymes, Low Platelets) ed ematoma epatico, sono patologie riscontrate similmente in pazienti con eclampsia e in quelle con PE di grado severo. È importante sottolineare che l’incidenza di complicanze materne è maggiore nella eclampsia che si sviluppa nel preparto, ed è tanto più elevata quanto più precocemente insorge la patologia nel corso della gravidanza. La mortalità e morbilità perinatale nelle recenti stime varia dal 5,6% al 11,8%. La prematurità, il distacco di placenta ed il ritardo di crescita fetale sono gli elementi che influiscono primariamente sulle complicanze perinatali. In particolare, al parto pretermine è attribuito il 50% di morbilità perinatale, con un 25% di parto precoce (prima cioè della 32a settimana di gestazione) [62, 76].
Diagnosi precoce e prevenzione Dal momento che la patogenesi dell’eclampsia non è stata ancora chiarita, la nostra strategia di prevenzione nei suoi confronti è limitata. Per quanto concerne la prevenzione primaria l’obiettivo che ci prefiggiamo è impedire l’evoluzione della PE; nella prevenzione secondaria si cerca di evitare l’insorgenza di convulsioni in pazienti con patologia preeclamptica stabilizzata, attraverso l’uso di farmacoprofilassi; infine nella terziaria si tenta di prevenire successive crisi convulsive in pazienti già eclamptiche [71, 77, 78]. Come precedentemente discusso, gli ultimi dieci anni hanno visto come oggetto di molteplici trials randomizzati l’utilizzo di diverse sostanze (sale di zinco, magnesio,olio di pesce,aspirina a basso dosaggio,calcio,vitamine A e E) in donne a rischio di PE, a scopo preventivo. Tale terapia profilattica si è rivelata poco o per nulla efficace nel ridurre la patologia preeclamptica e nel migliorare l’outcome perinatale. Possiamo dire che, ad oggi, non esiste una terapia che sia in grado di prevenire la PE [78]. Attualmente la strategia raccomandata per la prevenzione dell’eclampsia è basata sulla diagnosi preco-
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ce di PIH e di PE e successivamente sulla profilassi farmacologica in alcune tipologie di pazienti. L’ospedalizzazione o comunque il monitoraggio puntuale della situazione clinica, l’utilizzo di farmaci antiipertensivi, la programmazione del parto, e l’uso profilattico di solfato di magnesio durante il parto o immediatamente dopo in pazienti preeclamptiche, fanno parte della gestione di una paziente a rischio di eclampsia. Questo management, perché sia attuabile, presume un decorso patologico progressivo, ossia la successione di ipertensione lieve e severa, il peggioramento graduale della proteinuria, il manifestarsi di sintomi premonitori e infine l’instaurarsi di convulsioni generalizzate o coma. Si è dimostrato però che dal 20% all’87%, a seconda delle casistiche, di tutte le donne con eclampsia negli Stati Uniti ed in Europa, non presenta segni o sintomi premonitori prima della crisi convulsiva. Inoltre, in gran parte di queste pazienti, l’insorgenza delle convulsioni è improvvisa, senza che sia preceduta dall’attesa progressione della patologia preeclamptica. I risultati di alcuni studi retrospettivi hanno dimostrato che circa il 50% delle pazienti eclamptiche ha avuto la prima convulsione durante un ricovero in ambiente protetto, ospedaliero. Per questo motivo è discussa l’effettiva efficacia protettiva dell’ospedalizzazione precoce e prolungata nei confronti di pazienti con ipertensione gestazionale e si valuta invece la possibilità di uno stretto controllo ambulatoriale. Gli studi randomizzati effettuati per confrontare la risposta delle pazienti con PIH e PE ai farmaci antiipertensivi rispetto al placebo e al non trattamento, hanno negato che essi portino un reale beneficio nei confronti della prevenzione della eclampsia. Riguardo la terapia preventiva delle crisi convulsive eclamptiche, si è già discusso a proposito della PE.
Management e terapia Management e terapia preparto ed intraparto In corso di convulsione eclamptica, è prioritario assicurare la pervietà delle vie aeree alte e supportare le funzionalità respiratoria e cardiovascolare [79]. Per minimizzare il rischio di aspirazione è indicato porre la paziente in decubito laterale e rimuovere, tramite aspirazione, secrezioni orali e vomito [79]. Ipoventilazione e acidosi respiratoria si verificano spesso durante un episodio convulsivo e, anche se la prima convulsione generalmente si esaurisce in pochi minuti senza sequele respiratorie, è importante supportare l’ossigenazione attraverso la somministrazione di O2 con mascherina faciale [79]. L’ipossiemia e l’acidosi possono rappresentare un problema nelle pazienti con ripetute convulsioni o con
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polmoniti da aspirazione, con edema polmonare o con una associazione di questi fattori; è allora consigliato l’utilizzo di un pulsossimetro transcutaneo, per monitorizzare i livelli di ossiemia e, se la saturazione di ossigeno risulti pari o minore al 92%, sarà utile procedere ad un’emogasanalisi [80]. L’obiettivo successivo è tentare di evitare che, dopo la prima, altre convulsioni sopraggiungano. Il solfato di magnesio in infusione continua è considerato il trattamento di scelta nel prevenire le recidive. Anche se non è stata stabilita la soglia di MgSO4 che, a livello sierico, possa essere considerata terapeutica per tutte le pazienti, è ormai noto che concentrazioni superiori a 4 mmol/l possono causare tossicità (nausea e vomito, sonnolenza, diplopia, dislalia, perdita dei riflessi patellari, paralisi muscolare, arresto respiratorio e cardiaco). Pertanto, generalmente, si mantiene la magnesiemia nei range di 2-3,5 mmol/l e, in caso di comparsa di effetti di tossicità, si effettua un’infusione di 1 g di Ca gluconato ev. Inoltre, durante la somministrazione occorre monitorizzare i riflessi tendinei e la PA per i rischi di ipotensione; nell’associazione con calcio antagonisti ed in presenza di insufficienza renale è opportuno ridurre la velocità di infusione [81]. Nel 10% di pazienti che, nonostante questo trattamento, avranno una recidiva, si somministreranno 2 g di solfato di magnesio in bolo endovena in 3-5 minuti [82-84]. Occasionalmente si potranno verificare ulteriori episodi convulsivi; allora le linee guida internazionali consigliano l’utilizzo di amobarbital sodico, 250 mg endovena in 3-5 minuti. Lo step successivo della gestione dell’eclampsia, prevede la somministrazione di farmaci anti-ipertensivi, allo scopo di portare i livelli di pressione arteriosa nel range di normalità ma, allo stesso tempo, evitando l’insorgenza di ipotensione. Il razionale di questo intervento risiede nell’evitare la perdita dell’autoregolazione cerebrale, nel prevenire lo scompenso cardiaco e, conseguentemente, la compromissione della perfusione cerebrale e della circolazione uteroplacentare, già ridotta in molte donne con eclampsia [85-87]. L’ipossiemia e l’ipercapnia materne comportano un cambiamento della frequenza cardiaca fetale e dell’attività uterina, che si registrerà durante e subito dopo la convulsione. A livello cardiaco fetale si potranno avere: bradicardia, decelerazioni tardive transitorie, riduzione della variabilità beat to beat e tachicardia compensatoria. A livello uterino si avrà invece incremento della frequenza e del tono delle contrazioni. In genere queste alterazioni si risolvono spontaneamente in 3-10 minuti dalla fine della convulsione, con la risoluzione dell’ipossiemia materna.
La paziente non dovrebbe essere sottoposta a taglio cesareo d’urgenza esclusivamente sulla base di questi dati clinici, in particolar modo se la sua condizione clinica non si sia stabilizzata; ancor più perchè si ritiene che la permanenza in utero del feto, lo protegga dagli effetti dell’ipossia ed ipercapnia causate dalle convulsioni. D’altra parte, quando la bradicardia fetale o le decelerazioni tardive permangono oltre i 10-15 minuti nonostante il supporto terapeutico intensivo, è opportuno considerare un distacco di placenta o una grave condizione di malessere fetale e procedere al taglio cesareo d’urgenza.
Modalità del parto La presenza di eclampsia non suggerisce necessariamente l’indicazione al parto cesareo. Questa decisione dovrebbe essere presa in base all’età gestazionale, alle condizioni fetali, all’inizio del travaglio, alla valutazione del Bishop score. Alcuni autori suggeriscono il taglio cesareo nelle pazienti in cui l’eclampsia è insorta prima delle 30 settimane di gestazione, che non sono in travaglio e che hanno il Bishop score inferiore a 5; invece è consigliato il parto spontaneo per tutte le pazienti che hanno avuto una spontanea insorgenza del travaglio o rottura delle membrane, in assenza di complicanze ostetriche. Qualora sia indicata l’induzione del parto, sia l’ossitocina che le prostaglandine in infusione sono la strategia indicata [66]. L’utilizzo di oppioidi sistemici e di anestesia epidurale è indicato in donne con eclampsia di grado severo, per alleviare il travaglio ed il parto stesso. Sia l’anestesia epidurale, che spinale, o altre metodiche di anestesia regionale possono essere applicate in corso di parto cesareo, tenendo però in considerazione che l’anestesia regionale è controindicata in caso coagulopatia e severa trombocitopenia (PLTs<50.000/mm3). È importante sottolineare che nelle donne eclamptiche, in corso di anestesia generale insorgono spesso difficoltà di intubazione e/o rischi di aspirazione a causa dell’edema delle vie aeree e della laringe; inoltre questo fenomeno, è associato ad un marcato aumento della pressione sistemica e cerebrale che spesso si realizzano proprio durante la fase di intubazione o estubazione. Sarà allora necessario garantire l’ossigenazione della paziente attraverso una immediata tracheostomia.
Postpartum Le pazienti vengono sottoposte ad un rigoroso monitoraggio dei parametri vitali, dei fluidi corporei e della sintomatologia per le 48 ore successive al parto. Infatti, in questo intervallo di tempo, le donne con eclampsia, in particolare se associata ad alterazioni della funzionalità renale, a distacco di placenta e ad ipertensione
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cronica, presentano un rischio notevole di andare incontro a crisi ipertensive di grado elevato e a edema polmonare (ancor più perché hanno ricevuto una consistente integrazione di liquidi con il trattamento pre-intra e postparto) [63, 88, 89]. L’infusione di solfato di magnesio può essere mantenuta allo stesso dosaggio per 24 ore dopo il parto, o dopo l’ultima convulsione; a meno che non si verifichi oliguria (meno di 100 ml/4 h), che richiede sia la riduzione del farmaco che dei liquidi infusi. Se l’ipertensione della paziente necessitasse di un intervento farmacologico, la nifedipina per os (10 mg ogni 6 ore fino ad una dose massima 120 mg/die) o il labetalolo per os (200 mg ogni 8 ore fino ad una dose massima di 2400 mg/die) sono i farmaci indicati a livello internazionale per garantire un abbassamento della PAsist al di sotto di 155 mmHg e della PAdiast al di sotto dei 105 mmHg. La nifedipina orale ha il vantaggio, rispetto al labetalolo, di incrementare la diuresi nel postpartum [63]. Sono stati riportati casi di blocco neuromuscolare (depressione cardiaca, debolezza muscolare), reversibili in seguito a somministrazione di 1 g di soluzione al 10% di gluconato di calcio, associati alla contemporanea somministrazione di nifedipina short-acting e solfato di magnesio.
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ra o eclampsia, sono ormai descritti da molti decenni. Inoltre, l’associazione di queste alterazioni con un decorso sfavorevole della gravidanza, è stata riscontrata da oltre 50 anni. Nel 1982, Weinstein riportò 29 casi di severa PEeclampsia complicati da trombocitopenia, anomalie degli elementi cellulari periferici ed aumento delle transaminasi, e suggerì che questa triade rappresentasse un’entità patologica distinta dal quadro patologico sottostante; coniò pertanto il termine di HELLP syndrome (H=hemolysis; EL=elevated liver enzymes; LP=low platelets) [94]. Negli ultimi 15 anni sono stati pubblicati numerosi studi condotti con l’intento di definire i criteri diagnostici della HELLP, di identificare i fattori di rischio per le complicanze che da essa possono derivare e di ridurre quindi l’incidenza di eventi sfavorevoli sia materni che perinatali [94, 95]. Nonostante l’estesa letteratura, la diagnosi, il trattamento ed il decorso delle gravidanze complicate da sindrome HELLP rimangono oggetto di numerose controversie [96, 97].
Diagnosi Criteri di laboratorio
Eclampsia e gravidanze successive Le gravidanze complicate da eclampsia possono dar luogo a sequele che spesso necessitano di terapia per tutta la vita sia per le mamme che per i figli. Donne con storia di eclampsia hanno un rischio aumentato di PE di qualsiasi grado di severità nelle successive gravidanze; il tasso di incidenza di una successiva PE è circa del 25%, incrementando in quelle pazienti in cui l’esordio dell’eclampsia si era verificato nel secondo trimestre di gravidanza. La probabilità di ricorrenza di eclampsia è invece del 2% [90-93]. Dal momento che le nostre possibilità terapeutiche sono ancora ridotte, soprattutto in campo di prevenzione delle ricorrenze, riteniamo sia importante informare accuratamente le donne a rischio. L’insorgenza di eclampsia non sembra essere causa di ipertensione in pazienti precedentemente normotese. Inoltre, non ci sono evidenze di deficit neurologici durante il periodo di follow-up materno [92].
SINDROME HELLP Emolisi intravascolare, incremento degli enzimi epatici e trombocitopenia in donne con preeclampsia seve-
L’emolisi, definita come presenza di anemia emolitica microangiopatica, è il segno di riferimento per la diagnosi di sindrome HELLP. La presenza di cellule anomale nel sangue periferico (schistociti, ecc.), di elevate concentrazioni di bilirubina non coniugata nel siero, di bassi livelli di aptoglobina sierica, di un aumento della latticodeidrogenasi (LDH) e di un evidente calo di emoglobina, sono espressione di emolisi microangiopatica [98]. Nonostante ciò, sono stati riportati casi caratterizzati dall’assenza di evidenze di emolisi; pertanto si è proposta la definizione di una sindrome HELLP nella quale potrebbero rientrare questi casi. La certezza diagnostica di sindrome HELLP si ha con: – conta della piastrine<100.000/mm3; – AST>70 IU/l (riscontrato in più di due differenti prelievi); – LDH>600 IU/l (riscontrato in ameno due differenti prelievi); – bilirubina>1,2 mg/dl; – presenza di cellule immature nel sangue periferico [99]. Quelle donne in cui non siano presenti tutte le alterazioni dei parametri di laboratorio descritte, si ritiene che abbiano una sindrome parziale e sembra che vadano incontro meno frequentemente a complicanze gestazionali ipertensive.
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Esordio e condizione materna al momento della diagnosi Un elemento di confusione è rappresentato dalla variabilità nei tempi e nelle modalità di esordio della sindrome HELLP. Il riscontro delle alterazioni dei parametri di laboratorio si può, infatti, avere in ogni periodo della gravidanza. Sono stati descritti casi in cui si è avuta evidenza di tali modificazioni alla prima visita, altri casi in cui le alterazioni si sono presentate in corso di PE, ed altre pazienti in cui i primi segni si sono manifestati nel periodo del postparto. In quest’ultimo gruppo di pazienti, inoltre, vi sono donne con accertata PE nel corso della gravidanza, donne senza evidenze di PE prima del parto, donne in cui tale diagnosi è stata fatta dopo 48 ore o addirittura dopo tre giorni dal parto stesso. Queste osservazioni sono importanti se si considera che l’outcome materno e perinatale varia notevolmente in relazione al momento e alle modalità di intervento per una sindrome HELLP. Ad esempio, gli eventi sfavorevoli materni e fetali di una donna a cui si fa diagnosi di HELLP nel corso del secondo trimestre di gravidanza e che richiede un intervento cesareo in emergenza per sofferenza fetale, sono più severi di quelli a cui va incontro una paziente che in gravidanza sviluppa una severa PE e che, dopo un parto spontaneo, presenta alterazioni indicative di sindrome HELLP agli esami di laboratorio [100].
Criteri clinici Uno dei maggiori problemi nella diagnosi precoce di sindrome HELLP è rappresentato dalla frequente aspecificità dei sintomi attraverso i quali si manifesta o dalla coesistenza dei segni della PE, che ne mascherano la presenza. Le pazienti nel 30-90% dei casi, lamentano dolori epigastrici o localizzati all’ipocondrio destro, nausea e/o vomito. La maggior parte delle pazienti hanno una storia di malessere generale nei giorni precedenti l’insorgenza della HELLP ed alcune presentano una sintomatologia simil-influenzale, la cui patogenesi andrebbe quindi approfondita attraverso un emocromo completo e la valutazione degli enzimi epatici, soprattutto se insorge nel corso del terzo trimestre in donne con sospetta PE. La presenza di cefalea è riferita dal 33-61% delle pazienti e le alterazioni del visus da circa il 17%; in alcune donne l’HELLP può esordire con sintomi riferibili alla trombocitopenia: sanguinamento dalle mucose, ematuria, petecchie o ecchimosi. Inoltre, la maggior parte della pazienti presenta ipertensione (82-88%),che nel 15-50% di casi è lieve, e proteinuria (86-100%) [101].
Outcome materno e perinatale Si associano alla sindrome HELLP un incremento del ri-
schio nella madre di mortalità (1%) e di morbilità, come: – edema polmonare (8% dei casi); – CID (15%); – distacco di placenta (9%); – emorragia o insufficienza epatica (1%); – ARDS; – sepsi; – infarto del miocardio (<1%) [102]. Il tasso di prevalenza di queste complicanze varia in base alla popolazione studiata, ai criteri di laboratorio stabiliti per fare diagnosi e dalla coesistenza di altre patologie materne (ipertensione cronica, LES) o di condizioni patologiche ostetriche (distacco di placenta, emorragie durante il parto, morte fetale, eclampsia). Lo sviluppo di sindrome HELLP nel periodo del postparto, incrementa il rischio di insufficenza renale e di edema polmonare. L’insorgenza di distacco placentare, inoltre, rende più reale la possibilità che siano necessarie trasfusioni, aumenta il rischio di CID, di insufficenza renale e di edema polmonare; invece le pazienti che svilupperanno ascite sono maggiormente predisposte a complicanze cardiopolmonari [103]. Anche la possibilità di morte e di morbilità perinatali risentono, in senso negativo, della presenza di HELLP. I casi di morte perinatale, in recenti studi, variano dal 7,4% al 20,4%, coinvolgendo soprattutto feti di età gestazionale inferiore alle 28 settimane, con marcato ritardo di crescita o con distacco di placenta [104]. È importante sottolineare che la morbilità neonatale è direttamente correlata all’età gestazionale del feto al momento della nascita e risulta, pertanto, simile nelle gravidanze preeclamptiche complicate o meno dalla HELLP. Considerando che il parto pretermine si verifica nel 70% di tutte le gravidanze complicate da HELLP, e che il 15% si verifica prima della 28a settimana, avremo la stessa percentuale di neonati che potrà andare incontro più facilmente a complicanze acute, come la sindrome da distress respiratorio, displasia broncopolmonare, emorragia intracerebrale ed enterocolite necrotizzante [105, 106].
Management e terapia Management e terapia preparto: è giustificata una terapia d’attesa? Il decorso clinico delle donne con sindrome HELLP è comunemente caratterizzato da un progressivo e, alle volte, improvviso deterioramento della condizione materna. Dal momento che questa patologia risulta correlata con un alto rischio di morbilità e mortalità materna, la
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si considera un’indicazione al ricovero immediato, in particolare nei casi in cui la sindrome veda il suo esordio prima delle 34 settimane di gestazione o sia accompagnata da danno d’organo, CID, alterazione della funzionalità renale, da un sospetto distacco placentare o da sofferenza fetale [107, 108]. D’altra parte, il dibattito rimane ancora aperto su questioni di ordine terapeutico, in particolare riguardanti le pazienti con insorgenza precoce (<34 settimane) e in condizione di stabilità clinica, con alterazioni lievi-moderate dei parametri di laboratorio, e una condizione fetale rassicurante. Alcuni autori suggeriscono, in questi casi, la somministrazione di corticosteroidi, per accelerare la maturazione polmonare fetale nella prospettiva di espletare il parto quanto prima possibile; altri, invece, preferiscono far progredire la gravidanza fino a quando non si verifichino condizioni materne o fetali che rappresentino indicazione al parto, o fino ad avvenuta maturazione polmonare fetale, alla 34a settimana di gestazione. In questo secondo caso, la condotta terapeutica nel corso della gravidanza comprende: – riposo a letto; – farmaci anti-ipertensivi; – terapia anticoagulante (aspirina a basso dosaggio, dipiridamolo); – plasma expanders (cristalloidi, albumina, plasma fresco); – terapia steroidea (prednisone, desametasone, o betametasone); – infusione continua di solfato di magnesio. Recenti studi sembrano concludere che solo una ristretta casistica di gravidanze complicate da una HELLP prima della 34a settimana, può essere gestita con la strategia di attesa, a causa del caratteristico decorso degenerativo della HELLP [97, 109]. D’altra parte, nonostante in alcuni casi si riesca ad ottenere un prolungamento della gravidanza, l’outcome perinatale non sembra migliorare in maniera significativa rispetto alle gravidanze interrotte 48 ore dopo la diagnosi di sindrome HELLP.
Uso di corticosteroidi È ormai noto che la terapia con glucocorticoidi riduce le complicanze e la mortalità perinatali nei casi di donne con severa preeclampsia prima delle 34 settimane di gestazione. Il regime terapeutico più indicato per accelerare la maturazione polmonare fetale prevede betametasone (12 mg im ogni 24 h, 2 dosi) o desametasone (6 mg im ogni 12 h, 4 dosi) [110, 111]. Questi farmaci presentano il vantaggio di attraversare rapidamente la placenta e di avere un’attività mi-
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neralcorticoide minima. Nonostante ciò, non è ancora chiaro se lo stesso regime terapeutico sia egualmente efficace in tutte le donne con sindrome HELLP. La letteratura suggerisce che i corticosteroidi rappresentano un mezzo sicuro ed efficace per migliorare l’outcome non solo neonatale (prevenendo la RDS), ma anche materno (migliorando le condizioni nel post-parto) nelle pazienti con HELLP classica o parziale, anche se, a parità di efficacia, vengono riportati regimi diversi per metodologia, tempo di somministrazione e tipologia di farmaco. Gli steroidi più usati rimangono il betametasone intramuscolare (12 mg/12 h o 24 h per 2 volte) o desametasone endovena o una combinazione dei due farmaci [112]. Alcuni autori propongono l’utilizzo di steroidi solo nel periodo preparto (per 24-48 h, in regime ripetuto, o in infusione cronica per settimane fino al parto), mentre altri raccomandano la somministrazione di steroidi a lunghi intervalli di 4 o 6 settimane; altri ancora, utilizzano gli steroidi da 48 ore prima del parto fino a 2448 ore postpartum, nonostante secondo alcuni dati presenti in letteratura sia consigliata la somministrazione solo dopo il parto [113]. Numerosi studi evidenziano che il dosaggio standard di corticosteroidi, ovvero betametasone 12 mg im per 2 volte ogni 12 ore (raccomandato dal National Institues of Health Consensus Development Panel), migliora la condizione perinatale se usato in donne con la sindrome HELLP prima delle 34 settimane gestazionali. Inoltre, in alcune di esse, vi è un incremento transitorio della conta piastrinica, rendendole elegibili per l’anestesia epidurale [114]. Altri lavori dimostrano che un dosaggio aumentato di desametasone nel postparto migliora i valori degli esami di laboratorio delle donne con HELLP insorta successivamente al parto stesso. In questi ultimi casi, si consiglia 10 mg di desametasone endovena ogni 6-12 h per 2 somministrazioni e successivamente 5-6 mg endovena ogni 6-12 h per altre 2 volte. Questa strategia terapeutica sembra sortire, però, effetti migliori su pazienti con sindromi HELLP parziali [115-118]. Riteniamo che sia importante in futuro portare avanti studi placebo-controllo, in trials randomizzati su campioni di donne con sviluppo di HELLP nel postparto. Fino a nuovi risultati, l’utilizzo di alte dosi di desametasone dopo le 34 settimane di gestazione o nel postpartum rimangono una sperimentazione clinica [119-121].
Management intraparto Secondo alcuni autori la presenza di sindrome HELLP non rappresenta un’indicazione assoluta al taglio cesareo, dovendo prendere in considerazione anche fattori
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quali l’età gestazionale, le condizioni fetali, le contrazioni uterine ed il Bishop score cervicale. Si ritiene necessario il taglio cesareo elettivo in tutte le donne affette da sindrome HELLP prima della trentesima settimana di gestazione, in assenza di contrazioni uterine e con un Bishop score inferiore a 5, e in quelle donne che presentano una sindrome HELLP associata a FGR e/o oligoidramnios prima della 32a settimana e con un Bishop score cervicale sfavorevole. Alle pazienti che, invece, presentano contrazioni uterine e rottura delle membrane in assenza di complicanze ostetriche è permesso un parto per via vaginale. In questi casi lo step iniziale è rappresentato dalla infusione di ossitocina o prostaglandine se l’età gestazionale è uguale o maggiore a 30 settimane, indipendentemente dalla dilatazione cervicale. Un approccio simile è utilizzato anche per le gravide con età gestazionale intorno alla 30 settimane, sempre se il Bishop score cervicale è non inferiore a 5. Dal punto di vista anestesiologico, durante il parto spontaneo le donne vengono trattate con piccole dosi di oppioidi per via sistemica al fine di alleviare i dolori del travaglio e può essere usata l’anestesia locale in caso di episiotomia o lacerazione, mentre è controindicata in casi in cui la conta piastrinica è minore di 75.000/mm3; se si decide per il taglio cesareo, l’anestesia generale è la metodica di scelta [122]. La trasfusione piastrinica è indicata sia prima che dopo il parto in tutte le pazienti con sindrome HELLP in presenza di stati emorragici significativi (ecchimosi, sanguinamenti gengivali, intraperitoneali o da eventuali siti di iniezione ecc.), ed in tutti i casi in cui la conta piastrinica è inferiore a 20.000/mm3. Trasfusioni piastriniche ripetute possono risultare inutili in queste pazienti a causa della ridotta emivita delle piastrine trasfuse. Ad ogni modo, la correzione della trombocitopenia è un atto dovuto prima di qualunque tipo di intervento chirurgico, e dunque prima del taglio cesareo; alcuni autori propongono di somministrare 6 U di piastrine in tutte le pazienti con una conta piastrinica inferiore a 40.000/mm3 prima dell’intubazione. Il rischio che vi sia sanguinamento a livello dei siti dell’incisione chirurgica si presenta sia in sede intraoperatoria che nell’immediato post-parto, a causa della continua riduzione della conta piastrinica che si ha in queste pazienti, tanto che nel 20% dei casi si forma un ematoma. È utile dunque, al termine dell’intervento, posizionare un drenaggio sottofasciale ed in alcuni casi non chiudere la cute fino a 48 ore dopo il parto [123].
Management postpartum Durante il postpartum,nelle pazienti con sindrome HELLP dovrebbero essere monitorati i segni vitali,il bilancio idrico, gli indici ematochimici e l’ossigenazione tissutale, per
almeno 24 ore. Si consiglia inoltre una profilassi a base di magnesio solfato intravenoso per 48 ore insieme all’utilizzo di farmaci anti-ipertensivi in presenza di una pressione sistolica di almeno 155 mmHg o di una pressione diastolica di almeno 105 mmHg. Generalmente, nella maggior parte delle pazienti si avranno miglioramenti entro 48 ore dal parto, ad eccezione di quelle con abruptio placentae e CID associata a severa trombocitopenia (conta piastrinica minore di 20.000/mm3) e di quelle con ascite severa o con disfunzione renale importante nelle quali, invece, si può avere un deterioramento delle condizioni cliniche a partire da poche ore fino a 7 giorni dal parto. Tali pazienti sono a rischio di sviluppare edema polmonare in seguito a trasfusione di sangue o di emoderivati e di sviluppare insufficienza renale dovuta a necrosi tubulare acuta e quindi potrebbero necessitare di una terapia dialitica. Alcuni autori suggeriscono che queste pazienti potrebbero beneficiare della plasmaferesi [124]. I riscontri clinici e laboratoristici di sindrome HELLP possono anche comparire per la prima volta nel postpartum, a distanza di poche ore fino a 7 giorni dal parto (la maggioranza dei casi si sviluppa entro 48 ore). Questo è il motivo per cui in tutte le donne nel postpartum i medici dovrebbero saper riconoscere i segni e i sintomi dell’HELLP. Il trattamento delle pazienti con sindrome HELLP insorta postpartum è simile a quello antepartum e, come precedentemente detto, alcuni autori raccomandano l’utilizzo di desametasone ad alte dosi [110-112], in quanto sembra che tale terapia abbrevi la durata del ricovero rispetto alle pazienti che non ne usufruiscono; tale terapia è tuttavia ancora sperimentale.
HELLP e gravidanze successive Le gravidanze complicate dalla sindrome HELLP possono rappresentare un pericolo sia per la madre che per il neonato. Donne con un’anamnesi positiva per sindrome HELLP presentano un maggior rischio di sviluppare PE nelle successive gravidanze (20%), soprattutto nel caso in cui la sindrome si sia manifestata durante il secondo trimestre di gravidanza. L’incidenza di una ricorrenza della sindrome HELLP varia tra il 2% al 19% e fino ad ora non esiste una profilassi che diminuisca tale incidenza. A causa di questi rischi le donne devono essere informate che sono a maggior rischio per un outcome gestazionale avverso (parto pretermine, FGF, abruptio placentae e morte fetale) nelle successive gravidanze, ragion per cui nel caso decidessero di tentare un’ altra gravidanza necessiterebbero di un serrato monitoraggio.
Capitolo 17 • Complicanze ipertensive della gravidanza • L.Brienza,M.E.Pietrolucci,H.Valensise,D.Arduini
IPERTENSIONE CRONICA (CH) Epidemiologia Secondo i risultati del National Health and Nutrition Examination Survey (1988-1991) la prevalenza di ipertensione cronica tra le donne in età riproduttiva varia dallo 0,6-2% per quelle di 18-29 anni di età, al 4,6-22,3% per quelle di età compresa tra 30 e 39 anni [125]. Il rischio è minore per le donne di razza caucasica rispetto a quelle di razza africana. Dal momento che l’età riproduttiva della donna sta subendo, negli anni, una posticipazione progressiva, ci si aspetta un parallelo incremento dell’incidenza di ipertensione cronica in gravidanza [125].
Definizione e diagnosi In una gravida, si parla di ipertensione cronica quando l’aumento di PA è presente e documentato da prima della gravidanza stessa. Quando non si conosce l’andamento pressorio della paziente, si definisce cronica, l’ipertensione antecedente la 20a settimana di gestazione con PAsist ≥140 mmHg e PAdiast≥90 mmHg. Porre la diagnosi di CH in donne che non si sono mai sottoposte a controlli pressori prima della gravidanza o comunque prima delle 16-20 settimane gestazionali può risultare difficoltoso, dal momento che all’inizio del secondo trimestre si ha il fisiologico decremento della pressione arteriosa, che tende a verificarsi in maniera piuttosto accentuata nelle pazienti cronicamente ipertese; i dati pressori ci indurrebbero dunque a pensare che la paziente sia normotesa. Ma nel corso del terzo trimestre la PA solitamente torna ai suoi valori pre-gravidici, portando erroneamente ad una diagnosi di PIH. Misconoscere la CH porta a problematiche di inquadramento non solo diagnostico-terapeutico, ma anche prognostico, in quanto fondamentale è tenere conto che le pazienti CH hanno un rischio incrementato di PE sovrapposta, con un’alta probabilità di complicanze materne e perinatali [126].
Eziologia e classificazione Definire le cause ed il grado di severità dell’ipertensione cronica è importante in funzione della scelta del più adeguato approccio terapeutico. L’ipertensione cronica può essere suddivisa in essenziale (o primaria) e secondaria. L’ipertensione essenziale, che rappresenta il 90% di tutte le ipertensioni croniche, rappresenta la più comune causa di CH osservata durante la gravidanza, men-
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Tabella 17.4. CH secondaria:principali cause Cause renali
Glomerulonefriti,nefrite interstiziale,malattia policistica del rene,stenosi dell’arteria renale Cause endocrine Diabete mellito con complicanze vascolari, feocromocitoma,tireotossicosi,morbo di Cushing,iperaldosteronismo Cause autoimmuni Sclerodermia,LES Malformazioni congenite Coartazione dell’aorta tre nel restante 10% dei casi si osserva CH secondaria a varie patologie (Tabella 17.4). Inoltre, in base ai valori pressori sistolico e diastolico, può essere distinta una CH della gravidanza di grado severo (PAsist≥180 mmHg e PAdiast≥110 mmHg), da quella di grado lieve. Al fine di ottimizzare il percorso terapeutico delle pazienti, sono state individuate due categorie di rischio dell’ipertensione cronica: – ipertensione cronica a basso rischio: ipertensione cronica essenziale di gravità intermedia; assenza di danno d’organo; anamnesi negativa per morte perinatale pregressa; – ipertensione cronica ad alto rischio: ipertensione cronica essenziale severa; ipertensione cronica secondaria; danno d’organo; anamnesi positiva per morte perinatale pregressa. Questa classificazione è basata sulla misurazione dei valori pressori alla prima visita, indipendentemente dal fatto che la paziente sia in trattamento farmacologico o meno. Una paziente, inizialmente considerata a basso rischio, potrebbe successivamente rientrare nella classe ad alto rischio se, ad esempio, sviluppasse ipertensione severa (anche in seguito alla sospensione della terapia antiipertensiva) oppure PE.
Complicanze materne e perinatali Le complicanze in gravidanza dovute alla CH sono costituite da aumentato rischio di PE e di abruptio placentae [9]. In letteratura la presenza di PE in pazienti affette da ipertensione moderata è pari al 10-25% mentre cresce nelle pazienti affette da grave ipertensione cronica, raggiungendo il 50%. Sibai et al. [127] hanno studiato l’incidenza della PE su 763 donne affette da CH, ed il risultato trovato è stato di un’incidenza pari al 25%, non tanto influenzata da età materna, razza e proteinuria precoce, quanto piuttosto dalla durata dell’ipertensione (se superiore ai 4 anni 31% vs 21% di incidenza di PE), da una pregressa PE (32% vs 23%) ed alla severità del rialzo pressorio diastolico (se
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PAdiast>100-110 mmHg il rischio di PE è di 42% vs 24%). Lo stesso studio riporta un’incidenza di abruptio placentae superiore nelle pazienti con CH ad alto rischio rispetto a quelle con CH moderata, e questa aumenta nelle donne che sviluppano PE (3% vs 1%). Tale incidenza non sembra essere influenzata da età materna, razza e durata dell’ipertensione, mentre è doppia nelle donne con CH rispetto a quelle normotese. In aggiunta alla PE e all’abruptio placentae, le donne con CH ad alto rischio presentano maggiori possibilità di sviluppare complicanze come edema polmonare, encefalopatia ipertensiva, retinopatia, emorragia celebrale, insufficienza renale acuta. Questi rischi aumentano particolarmente in donne con grave ipertensione non controllata, in quelle con precoci e significative disfunzioni renali in gravidanza [128] ed in quelle con una disfunzione ventricolare sinistra già presente prima del concepimento. Anche le complicanze fetali e neonatali sono in crescita nelle stesse donne affette da CH, così che il rischio di mortalità perinatale è maggiore di 3-4 volte rispetto a quello della normale popolazione ostetrica e incrementa anche l’incidenza di parti prematuri e di neonati piccoli per l’età gestazionale. Queste complicanze a carico del feto incrementano di concerto con la gravità dell’ipertensione materna, tanto che nelle pazienti con CH ad alto rischio l’evenienza di parto prematuro si stima intorno al 62-70% e l’incidenza di neonati SGA intorno al 31-40%. Inoltre, la presenza di proteinuria precoce è un fattore di rischio aggiuntivo ed indipendente per parto pretermine, neonati SGA ed emorragia intraventricolare neonatale.
Management e terapia Goals delle terapie anti-ipertensive in gravidanza Fuori dalla gravidanza il controllo a lungo termine della PA mostra una significativa riduzione dell’incidenza di stroke e di morbilità e mortalità cardiovascolare, soprattutto se l’ipertensione è moderata ed è stata ben controllata in almeno 5 anni di trattamento. In gravidanza il discorso è totalmente differente perché la durata della terapia è minore ed i benefici per le madri possono non essere osservati durante un così breve periodo di trattamento, e inoltre l’esposizione al farmaco coinvolge anche il feto. In questo caso, bisognerà dunque bilanciare i benefici a breve termine per la madre con i possibili benefici a lungo termine ed i rischi per il feto. La maggior parte delle donne con CH in gravidanza hanno un’ipertensione essenziale, lieve e non complicata, risultando nel periodo relativamente breve della gravidanza a basso rischio per complicanze ipertensive e/o cardiovascolari [66, 129, 130].
Molti studi sono stati effettuati per determinare il miglior tempo di introduzione in terapia degli agenti anti-ipertensivi, così da avere un migliore outcome della gravidanza stessa. Alcuni di questi hanno mostrato che, nonostante l’uso di una terapia antiipertensiva, i rischi materni cardiovascolari e renali sono minimi o assenti e che la terapia antiipertensiva a breve termine in madri con CH a basso rischio non dà benefici significativi, ad eccezione di un’incidenza minore di sviluppo dell’ipertensione [131]. Non è stato possibile effettuare studi con placebo in donne con grave ipertensione per ovvie ragioni etiche, dati i rischi per le stesse. In queste donne, infatti, la terapia ipertensiva è necessaria per ridurre il rischio di stroke acuto, di insufficienza cardiaca congestizia o di insufficienza renale; in aggiunta a ciò, può aumentare la durata della gravidanza e migliorare l’outcome perinatale. Comunque, anche in questo caso, non c’è evidenza che il controllo pressorio riduca l’incidenza di PE o abruptio placentae. Non ci sono studi che esaminano il trattamento di donne affette da ipertensione cronica e da altri fattori di rischio come una preesistente malattia renale, diabete mellito e disfunzione ventricolare, anche se da alcuni autori è raccomandato un trattamento aggressivo in queste donne, in quanto è possibile che questo stesso trattamento possa ridurre le complicanze cardiovascolari sia a breve che a lungo termine [132]. Sono stati ampiamente analizzati i potenziali effetti benefici della terapia farmacologica in donne con CH a basso rischio (ipertensione moderata con bassa incidenza di complicanze).Alcuni hanno comparato le donne trattate con quelle non trattate o con placebo; altri hanno comparato due differenti anti-ipertensivi e altri ancora l’uso di combinazioni di farmaci, ma l’età gestazionale al tempo del trattamento, il livello della PA rilevato all’inizio della terapia e la durata della stessa sono stati fortemente variabili. Ad ogni modo,tali studi hanno mostrato risultati contradditori sugli effetti delle terapie anti-ipertensive nel moderare l’incidenza di PE e di abruptio placentae, nonché nell’influenzare la durata della gravidanza, quindi l’età gestazionale al momento del parto. Nello studio condotto da Butters è stata dimostrata una significativa riduzione del peso medio alla nascita e un significativo aumento dei neonati SGA nel gruppo trattato con Atenololo (il numero totale di donne coinvolte è stato di 450) [133].
Sicurezza dei farmaci anti-ipertensivi in gravidanza I potenziali effetti collaterali in gravidanza dei più comuni agenti antiipertensivi sono stabiliti in una maniera poco chiara. La maggior parte delle evidenze degli effetti associati all’uso di anti-ipertensivi in gravidanza ci è stata fornita da case-reports, ed è perciò difficile, pres-
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sochè impossibile, accertare l’esatto numero di donne che hanno fatto uso di farmaci anti-ipertensivi durante la gravidanza. La conseguenza di ciò è che il numero di casi riportati è sicuramente sottostimato rispetto al numero di donne che riportano effetti collaterali [134]. In generale, le informazioni disponibili sulla teratogenicità di questi farmaci sono limitate e selettive, in quanto tutti i dati disponibili sono stati ottenuti dai registri medici statali, mentre a causa dell’assenza di trials multicentrici, non ci sono valutazioni sul controllo placebo riguardo alla sicurezza di questi farmaci usati al momento del concepimento e durante la gravidanza. In conclusione, ad oggi ci sono pochi dati clinici che valutano i benefici o i rischi dei più importanti farmaci anti-ipertensivi utilizzati durante la gravidanza. Ciò nonostante, i pochi dati ci suggeriscono i potenziali effetti collaterali fetali, quali oligoidramnios e insufficienza renale fetale e neonatale relativi all’utilizzo di ACE inibitori e sartani durante il secondo o terzo trimestre: è quindi consigliato evitare la somministrazione di tali agenti durante tale periodo della gravidanza [135]. L’utilizzo di atenololo durante il primo ed il secondo trimestre è associato ad una significativa riduzione della crescita fetale e dello sviluppo placentare. D’altra parte non ci sono dati in letteratura riguardanti gli effetti avversi sulla crescita fetale e sullo sviluppo placentare relativi all’utilizzo di altri farmaci β-bloccanti (metoprololo, atenololo, pindololo) [136, 137]. Gli studi sull’utilizzo di metildopa o labetalolo in donne con CH lieve non rilevano effetti negativi materni o fetali: in uno studio nel quale sono stati somministrati questi farmaci tra la 6 e la 13 settimana di gestazione in pazienti con CH, non si è rilevato aumento di anomalie congenite maggiori fetali [138-144]. Anche l’uso di diuretici tiazidici dal primo trimestre e per tutta la durata della gravidanza non è associato al rischio di sviluppare le maggiori anomalie fetali,nonostante esista, invece, la possibilità di una riduzione della fisiologica espansione del volume plasmatico [139, 140]. Ci sono poche informazioni sull’utilizzo dei calcio antagonisti nelle donne con CH lieve, ma comunque dimostrano che la somministrazione di nifedipina nel primo trimestre di gravidanza non è associata ad un incremento dell’incidenza di anomalie alla nascita (studio effettuato su 283 donne gravide con ipertensione, di cui il 47% delle partecipanti presentavano CH) [131, 141, 142]. Non si sa molto sugli effetti a lungo termine in bambini nati da madri trattate con farmaci anti-ipertensivi durante la gravidanza, se non per limitate informazioni sull’utilizzo di metildopa e nifedipina che hanno mostrato l’assenza di effetti a lungo termine su bambini valutati a 7,5 anni di età per l’esposizione alla metildopa ed a 1,5 anni per l’utilizzo di nifedipina (Tabella 17.5) [141-143].
Tabella 17.5. Farmaci anti-ipertensivi usati nell’ipertensione cronica Metildopa Atenololo Labetalolo Clonidina Ca2+ antagonisti Diuretici ACE-inibitori e sartani
Di elezione Aumentato rischio di FGR Recentemente preferito alla metildopa per minori effetti collaterali Dati insufficienti Dati insufficienti,non teratogeni Non di scelta:solo in caso di complicanze Controindicati per tossicità e morte fetale
Management della CH Obiettivi Il principale obiettivo nel management delle pazienti con CH consiste nel ridurre i rischi materni e nel raggiungere delle buone condizioni neonatali alla nascita [66, 129]. Questo può essere ottenuto con un approccio razionale alla patologia, che dovrebbe includere la valutazione della paziente nel periodo preconcezionale e frequenti visite nel corso della gravidanza per monitorare il benessere sia fetale che materno, per stabilire il timing del parto, ed un adeguato management della madre nel periodo post-partum. Valutazione e classificazione Come appena enunciato, il management della paziente con CH dovrebbe iniziare prima dell’insorgenza della gravidanza, attraverso tutta una serie di valutazioni cliniche, strumentali e di laboratorio che siano funzionali a stabilire l’eziologia, la severità dell’ipertensione, la presenza di un danno d’organo (nelle ipertensioni di più lunga durata) e l’eventuale presenza di altre patologie concomitanti. Si deve partire dunque da un’anamnesi approfondita sia familiare che patologica prossima, e proprio nella patologica prossima si deve porre attenzione alla durata della patologia ed all’uso di eventuali terapie farmacologiche e, nel particolare, alla classe/i di anti-ipertensivi assunti e alla risposta clinica della paziente agli stessi. Ci si deve inoltre concentrare sulla presenza di patologie cardiache o renali, di diabete, di patologie tiroidee, di accidenti cerebrali e insufficienza cardiaca congestizia. Molta attenzione si deve porre anche nel delineare un’anamnesi ostetrica che deve essere il più accurata possibile, tenendo conto dell’outcome sia materno che fetale nelle precedenti gravidanze, principalmente andando a ricercare storia di abruptio placentae, di PE, di parto pretermine, di FGR o di neonati SGA, di morte intrauterina e di morbidità e morbilità neonatali. Le valutazioni di laboratorio sono invece costituite da una batteria di esami mirati a valutare la funzionalità degli organi e sistemi che maggiormente vengono compromessi dalla CH, in modo particolare il rene (con l’analisi chi-
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mico-fisica delle urine, la proteinuria delle 24 ore, gli elettroliti, la creatininemia, l’uricemia, l’azotemia); è inoltre d’uopo far eseguire un emocromo, una glicemia ed anche un test di tolleranza glucidica (non è infatti una novità che spesso diabete ed ipertensione viaggino di concerto). Le donne con una storia documentata di ipertensione da alcuni anni, particolarmente quelle con un’ipertensione poco o non controllata (si voglia per una cattiva compliance da parte della paziente, si voglia per la severità della patologia che non risponde ottimamente ad una terapia farmacologica magari mal-impostata), è opportuno che vengano valutate anche per un eventuale danno d’organo, ovvero devono effettuare: – un elettrocardiogramma per valutare l’insorgenza di un’ipertrofia ventricolare sinistra e se questo è positivo allora anche un’ecocardiografia per quantificare l’entità dell’alterazione; – un esame del fundus oculi per la retinopatia; – una creatinina-clearance per un’eventuale nefropatia. Inoltre va chiarita la natura dell’ipertensione: infatti, se da una parte l’ipertensione è essenziale in oltre il 90% dei casi, dall’altra vanno comunque escluse le altre cause d’ipertensione, anche e soprattutto perché la diagnosi di ipertensione essenziale è una diagnosi unicamente di esclusione. Bisogna dunque andare a studiare le cause d’ipertensione secondaria, ovvero la presenza di feocromocitoma, iperaldosteronismo primario e stenosi dell’arteria renale, attraverso opportuni test di laboratorio e metodiche di imaging. Il feocromocitoma deve essere sospettato in tutte quelle donne che hanno un’ipertensione severa con dei parossismi, iperglicemia, sudorazioni e tremori. L’iperaldosteronismo primario è invece molto raro in gravidanza, e la sua presenza dovrebbe essere indagata (principalmente col dosaggio della renina plasmatica) in quelle donne che abbiano un’ipertensione severa a fronte di un’ipokaliemia. Attraverso tutte queste valutazioni cliniche, di laboratorio e con l’ausilio dell’imaging, la paziente può essere valutata come ipertesa a basso o ad alto rischio. Questo tipo di classificazione viene intesa sia in termini di prognosi differente, sia in termini di un differente management e approccio terapeutico [130].
Ipertensione a basso rischio Le donne con ipertensione a basso rischio senza PE sovrapposta, solitamente hanno un outcome gestazionale simile alla popolazione ostetrica generale. Inoltre, da alcuni studi [144] è emerso come la sospensione degli agenti farmacologici anti-ipertensivi precocemente durante la gravidanza, non porti ad un aumento dell’incidenza di PE sovrapposta, di distacco intempestivo di placenta, di parto pretermine. Ciò ha fatto si che alcu-
ni autori noti nel panorama internazionale abbiano un approccio non farmacologico alla CH a basso rischio, ma che sospendano addirittura i farmaci all’inizio della gravidanza, tenendo comunque sotto stretto monitoraggio ambulatoriale le pazienti [145]. Ad ogni modo, sia sospendendo che mantenendo o variando la terapia anti-ipertensiva, queste donne devono essere educate dal medico circa la necessità di un’alimentazione controllata, di un contenuto aumento di peso, e di un apporto di sodio con la dieta che sia di massimo 2,4 g/die; inoltre, lo stile di vita deve essere modificato anche per ciò che riguarda il consumo di alcol ed il fumo di sigaretta durante la gravidanza, i quali possono influire negativamente sulla stessa aumentando la possibilità che insorgano abruptio placentae e FGR. La valutazione fetale dovrebbe includere un’ecografia a 16-20 settimane gestazionali che ci dia un’iniziale valutazione della curva di accrescimento seguita dal feto, di modo che sia possibile poi seguirne ecograficamente l’evoluzione durante la gravidanza. Il numero degli accertamenti ecografici da far eseguire durante la gravidanza è, a nostro giudizio, a discrezione del medico, con la dovuta constatazione, però, che dovrebbero essere effettuati almeno a distanza di 2-3 settimane l’uno dall’altro affinché ci possano fornire dei dati biometrici utili. Far ripetere una biometria ogni settimana è sostanzialmente un eccesso diagnostico, dato che non ci sono delle variazioni apprezzabili nella crescita fetale in un intervallo di tempo così breve; inoltre l’ecografia è un’indagine gravata da una variabilità inter- e intra-operatore, per cui delle piccolissime variazioni dell’accrescimento possono non essere apprezzate e ciò non fa altro che aggravare lo stato d’ansia per queste pazienti, che dovrebbero invece vivere una condizione psicologica il più stabile e serena possibile. Ad ogni modo, se da una parte rischiamo l’eccesso diagnostico, dall’altra non possiamo nemmeno diradare i controlli ecografici a tal punto da renderli inutili per seguire l’accrescimento fetale. Nel momento in cui i dati biometrici depongono per una riduzione o per un arresto della crescita fetale e/o riscontriamo una riduzione, anche lieve, del liquido amniotico, si deve procedere all’indagine flussimetrica doppler dei distretti fetali. Come già detto, alla constatazione di una flussimetria alterata si rende mandatoria l’ospedalizzazione e la valutazione della FCF con NST almeno una volta al giorno (la frequenza di quest’esame deve dipendere sia dai valori flussimetrici sia dall’andamento dei tracciati CTG eseguiti). Si deve inoltre fare ricorso ad un NST in tempi brevi e all’ospedalizzazione non solo quando si diagnosticano le alterazioni flussimetriche tipiche degli FGR, ma anche per qualsiasi elemento peggiorativo del quadro
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clinico materno, con riferimento specificatamente al sovrapporsi di PE o all’instaurarsi di un’ipertensione severa. Di contro,in assenza di complicanze,la gravidanza può proseguire, con gli opportuni controlli, fino a termine.
Ipertensione ad alto rischio La CH ad alto rischio è così definita per via della maggior incidenza, nelle donne che ne sono affette, di complicanze materne e perinatali. La frequenza e gli effetti maternofetali di queste complicanze dipendono, come intuibile, dall’eziologia dell’ipertensione nonché dal grado del danno d’organo raggiunto [146]. Le donne affette da insufficienza renale con creatininemia maggiore di 1,4 mg/dl, diabete mellito con coinvolgimento vascolare, severa collagenopatia estesa al distretto vascolare, cardiomiopatia o coartazione aortica, dovrebbero ricevere un counseling pre-concezionale in cui vengano informate sugli effetti avversi della gravidanza nella loro specifica situazione clinica. In particolare, dovrebbero essere avvisate che la gravidanza potrebbe esacerbare le loro patologie con potenziale scompenso cardiaco congestizio, insufficienza renale acuta con necessità di dialisi, ed eventualmente morte, e che non è priva di rischi neanche per il prodotto del concepimento, date le aumentate complicanze e morti perinatali. Qualora queste pazienti dovessero intraprendere una gravidanza, dovrebbero essere seguite con un approccio multidisciplinare, che coinvolga possibilmente un ginecologo con esperienza di CH in gravidanza ed uno specialista (nefrologo, diabetologo, internista, a seconda dei casi), che abbia seguito in precedenza casi simili. Il tutto dovrebbe accadere in ambiente ospedaliero, possibilmente un centro di terzo livello con adeguate strutture per provvedere alle cure materne e fetali, anche intensive, che possono essere richieste dall’evoluzione della patologia. L’ideale è ospedalizzare queste donne con CH ad alto rischio già al momento della prima visita in gravidanza, così da valutarle sotto il profilo renale e cardiovascolare e per un’eventuale reimpostazione della terapia anti-ipertensiva, nonché delle altre terapie (insulinica, cardiologica, tiroidea) se necessario. Le donne che seguono una terapia anti-ipertensiva con atenololo, ACE inibitori o antagonisti del recettore per l’angiotensina II (sartani) dovrebbero interrompere l’uso di tali farmaci sotto stretta osservazione medica,e sostituirla con gli anti-ipertensivi di uso consentito in gravidanza, se il medico lo ritiene opportuno (alcuni autori la indicano solo per valori di PAsist>180 mmHg e PAdiast>110 mmHg), come ad esempio alfa-metildopa, nifedipina a lento rilascio, labetalolo per os per il controllo della PA a lungo termine; oppure con idralazina ev, nifedipina per os a maggior dosaggio e labetalolo ev per il trattamento dell’ipertensione severa in fase acuta. La metildopa è il farmaco più comunemente racco-
mandato per la terapia dell’ipertensione in gravidanza, mentre non è molto usato per trattare la stessa al di fuori dello stato gravidico, e le pazienti con CH ad alto rischio nella quasi totalità dei casi hanno una terapia impostata già da prima del concepimento che, se garantisce un buon controllo della PA, è bene, ove possibile, non variare. Inoltre, la metildopa si associa a secchezza oculare e delle fauci in molte pazienti gravide ed ha altri effetti collaterali che includono alterazioni della funzionalità epatica. Proprio per questo ultimamente si sta affermando molto l’uso del labetalolo,mentre si sta confermando sempre più quello della nifedipina [131, 141]. Per quanto riguarda i diuretici, questi rappresentano una classe di anti-ipertensivi comunemente prescritti al di fuori della gravidanza alle pazienti con CH, mentre l’uso in gravidanza è piuttosto controverso. Il primo problema nasce in relazione al fisiologico incremento del volume plasmatico che si ha in gravidanza: nelle pazienti che assumono diuretici già dalle prime fasi della gravidanza non si sviluppa questo fenomeno. Tuttavia, questa riduzione relativa della volemia, da alcuni autori non è messa in relazione con un outcome fetale avverso, e questo è il motivo per cui i diuretici sono dagli stessi utilizzati in gravidanza. Ad ogni modo devono essere sospesi nel momento in cui si sovrappone la PE o si diagnostica (basta anche il sospetto diagnostico) un FGR che potrebbe essere dovuto all’ipossia fetale derivante da un ipoafflusso placentare, di cui potrebbe essere responsabile il mancato aumento volemico indotto dai diuretici [140]. La terapia anti-ipertensiva è indicata nelle pazienti senza danno d’organo con lo scopo di mantenere la PAsist entro i limiti di 140-150 mmHg e la PAdiast entro 90-100 mmHg ed in quelle con danno d’organo manifesto, dato che si è visto che dà dei benefici materni soprattutto a breve termine, per mantenere la PAsist sotto i 140 mmHg e la PAdiast sotto i 90 mmHg (Tabella 17.6).
Tabella 17.6. Principali farmaci anti-ipertensivi in gravidanza Farmaco
Dose iniziale
Dose massima
Trattamento in acuto dell’ipertensione severa Idralazina 5-10 mg ev ogni 20 min Labetalolo 20-40 mg ev ogni 10-15 min Nifedipina 10-20 mg per os ogni 30 min
30 mg 220 mg 50 mg
Trattamento a lungo termine dell’ipertensione Metildopa 250 mg x 2 vv/die Labetalolo 100 mg x 2 Nifedipina 10 mg x 2 Diuretici tiazidici 12,5 mg x 2
4 g/die 2400 mg/die 120 mg/die 50 mg/die
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Ancor più delle pazienti con CH a basso rischio, quelle con CH ad alto rischio hanno bisogno di controlli medici e laboratoristici frequenti. Nelle prime visite mediche queste donne devono essere invitate a modificare le loro abitudini di vita come descritto già per le pazienti con CH a basso rischio. Le indagini di laboratorio devono invece essere mirate a valutare, come per la CH a basso rischio, l’evoluzione verso un danno d’organo e verso la PE, e, a seconda della patologia specifica materna, ci si può servire anche di opportune indagini strumentali tra quelle indicate in gravidanza. La valutazione fetale dovrebbe comprendere vari esami ecografici, sia a 16-20 settimane sia a 28 settimane (tra le 20 e le 28 è a discrezione del medico far effettuare altri 1-2 esami ecografici, anche e soprattutto in relazione al risultato dell’ecografia a 20 settimane). Dopo la 28a settimana diventa non tanto facoltativo, quanto mandatorio effettuare altri controlli ecografici ogni 2-3 settimane fino al termine della gravidanza, oltre a far eseguire alla paziente almeno un NST a settimana (la frequenza dipende sia dall’andamento della FCF che dall’evoluzione della patologia). Ovviamente, e a maggior ragione, anche nella CH ad alto rischio un andamento peggiorativo della sintomatologia o degli esami laboratoristici materni, oltre che delle alterazioni dei test valutativi del benessere fetale, richiede l’immediata ospedalizzazione della paziente ed eventualmente, soprattutto se raggiunte o superate le 34 settimane gestazionali, il parto.
Management post-partum Le pazienti con CH ad alto rischio hanno aumentata incidenza di complicanze post-partum quali edema polmonare, encefalopatia ipertensiva ed insufficienza renale. Questi rischi sono particolarmente aumentati nelle donne che presentano un danno d’organo, una PE sovrapposta o distacco intempestivo di placenta, che, di conseguenza, devono essere sottoposte a serrati controlli della PA per almeno 48 ore dopo il parto. Se vi è necessità possono essere utilizzati farmaci anti-ipertensivi come labetalolo o idralazina EV ed i diuretici, che risultano appropriati soprattutto nelle pazienti con un sovraccarico cardiocircolatorio ed edema polmonare; tale terapia è usualmente necessaria nelle pazienti che sviluppano una severa e sostenuta ipertensione nella prima settimana post-partum. La terapia orale è utile per mantenere sotto controllo la PA dopo il parto, ed in alcune donne è opportuno introdurre agenti farmacologici quali i sartani, soprattutto in quelle con diabete mellito pre-gestazionale e con cardiomiopatia.
Tabella 17.7. Anti-ipertensivi e allattamento Farmaci Alfa-beta-bloccanti Alfa-metildopa,ACE-inibitori Ca2+-antagonisti
Allattamento Sì Sì Mancanza di dati
Farmaci anti-ipertensivi e allattamento Per le madri che decidono di allattare al seno i propri figli bisogna sapere che tutti i farmaci anti-ipertensivi passano il filtro della ghiandola mammaria, tuttavia si trovano nel latte materno in concentrazioni differenti l’uno dall’altro, ed inoltre l’effetto a lungo termine sui lattanti non è stato ancora ben studiato [147]. Così, se da una parte sappiamo che la concentrazione della metildopa nel latte materno è bassa ed è considerata un farmaco sicuro durante l’allattamento, dall’altra nell’ambito dei beta-bloccanti l’atenololo ed il metoprololo sembrano essere piuttosto concentrati nel latte, mentre il labetalolo ed il propranololo si concentrano minormente [148]. Per quanto riguarda i diuretici il discorso è diverso, poiché sebbene abbiano una bassa concentrazione nel latte, il loro uso può determinare una riduzione della secrezione del prodotto della ghiandola mammaria. Infine, non si sa molto sul comportamento dei calcio-antagonisti nel passare, ed in quale quantità, attraverso la ghiandola mammaria, anche se non sembra che diano effetti collaterali, mentre è ormai chiaro che nelle donne che allattano dovrebbero essere evitati sia gli ACE inibitori sia i sartani, a causa del loro ruolo nell’alterare la funzionalità renale nel neonato, benché le loro concentrazioni nel latte materno siano basse. Dunque, nelle puerpere il farmaco anti-ipertensivo di elezione è la metildopa e, se controindicata, di seconda scelta può essere il labetalolo (Tabella 17.7) [138, 144].
IPERTENSIONE CRONICA CON PE SOVRAPPOSTA Epidemiologia e fattori di rischio Il sovrapporsi della PE in pazienti ipertese croniche in gravidanza è una problematica relativamente comune, ed è spesso difficile da diagnosticare. La CH rappresenta infatti un fattore di rischio indipendente per la PE: circa il 30% delle pazienti con ipertensione lieve svilupperanno PE, e l’incidenza aumenta sempre più parallelamente alla severità della patologia ipertensiva. Sono in corso studi per stabilire quali possano essere l’esame o gli esami predittivi per PE nelle pazienti con CH; alcuni autori hanno ipotizzato dei protocolli
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che includono lo studio della PA, dell’uricemia e dell’attività reninica plasmatica a 20 settimane gestazionali, ma abbiamo solamente dei risultati preliminari. Altri autori asseriscono che la flussimetria delle arterie uterine ed il monitoraggio-holter della PA a 24 settimane, siano indagini che ci permettono di individuare precocemente le pazienti che svilupperanno PE: se vi è l’adattamento circolatorio materno alla gravidanza si hanno buone probabilità che l’outcome gestazionale sia favorevole. Aggiungiamo inoltre che sarebbe utile, accanto a questi due esami strumentali, aggiungerne un terzo, ovvero l’ecocardiografia materna, che, come spiegato precedentemente, ci permette di valutare ancora meglio l’adattamento cardiovascolare alla gravidanza [149].
Diagnosi La diagnosi di PE sovrapposta ad ipertensione cronica può essere effettuata sulla base di alcune osservazioni: – se insorge proteinuria (≥0,3 g di proteine nelle 24 h) in donne con CH ed in assenza di proteinuria precoce (prima delle 20 settimane gestazionali); – in pazienti con CH e presenza di proteinuria prima delle 20 settimane di gestazione, la diagnosi è confermata se si verifica un inaspettato aumento della pressione arteriosa, nonostante la terapia farmacologica, entro i limiti della severità (PAsist≥180 mmHg o PAdiast≥110 mmHg); in particolare se al quadro clinico si aggiungono cefalea, alterazioni del visus, dolore epigastrico o incremento degli enzimi epatici (non dovuto alla metildopa) o conta piastrinica inferiore a 100.000/mm3. Spesso è difficile, se non impossibile, distinguere una CH ingravescente da una PE severa sovrapposta, specialmente quando vediamo la paziente per la prima volta ad un’età gestazionale avanzata. Nella donna con CH e patologia renale preesistenti potrebbe non essere possibile la diagnosi differenziale con la PE; inoltre, se la stessa donna presenta ipertensione senza proteinuria e non ha sintomi ascrivibili a PE, come cefalea, dolore epigastrico o scotomi, la diagnosi potrebbe essere ancora più difficile. Oltre alla valutazione della proteinuria, è consigliabile richiedere quella di parametri ematici, quali emoglobina, ematocrito, conta piastrinica ed enzimi epatici, così da poter escludere la sindrome HELLP. Il rilievo di oliguria accompagnata da una rapporto emoglobina/ematocrito elevato di solito è indice di emoconcentrazione, di mancato adattamento cardiovascolare alla gravidanza, è più indicativo di PE piuttosto che di CH.
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Per quanto riguarda il management e la terapia, la PE sovrapposta a CH viene trattata come la PE. Si rinvia a quanto precedentemente esposto.
DISORDINI IPERTENSIVI DELLA GRAVIDANZA: PROGNOSI A LUNGO TERMINE I disordini ipertensivi della gravidanza sono, nell’uso comune, considerati una condizione patologica il cui esito risente della suscettibilità genetica e familiare della paziente, ma che in ogni caso non comporta sequele di particolare gravità. L’osservazione di disordini cardiovascolari in donne con anamnesi positiva per ipertensione in gravidanza, ha suggerito l’approfondimento del legame tra queste due condizioni patologiche tramite studi di follow-up di pazienti preeclamptiche o eclamptiche e, mediante di studi a posteriori, su pazienti con recente patologia cardiovascolare o ischemica del miocardio. Infatti, se l’ipotesi che l’ipertensione gestazionale rappresenti un fattore di rischio per l’insorgenza di ipertensione in età più avanzata si è concretizzata in molteplici studi effettuati sin dalla metà degli anni Settanta, la sospettata relazione tra ipertensione della gravidanza e malattie cardiovascolari è divenuta oggetto di studio solo di recente. La questione, se la PIH ed in particolare la PE rappresentino dei reali marker di insorgenza tardiva di patologia cardiovascolare, è tanto più importante se si considera la sua implicazione su interventi di tipo preventivo delle pazienti a rischio (al pari del legame tra sviluppo di diabete clinicamente dimostrabile in una donna e pregressa storia di diabete gestazionale nella stessa). Dai risultati ottenuti ad oggi, emerge che le complicanze ipertensive della gravidanza sono associate non solo ad un incrementato rischio di morte per patologia ischemica del miocardio, ma di morte precoce rispetto alla popolazione di riferimento [150]. Nelle donne con storia di PE o eclampsia sono stati riscontrati cambiamenti dei profili lipidico e glucidico, nonché markers di danno endoteliale; elementi questi, che sembrano rappresentare la base patogenica su cui si andrebbe ad istaurare la futura patologia vascolare. Per lo stesso motivo, l’ipertensione gestazionale di grado severo, andando ad accelerare il processo di alterazione endoteliale e di aterosclerosi nelle donne predisposte, sembra essere correlata ad un rischio ancora maggiore di mortalità per infarto miocardico. In questa ottica, l’ipertensione in gravidanza assume non solo il significato di espressione genotipica e fenotipica della tendenza soggettiva all’ipertensione, ma anche di evento che, in sé, implica lo sviluppo di effetti a lungo termine sull’endotelio e sul sistema cardiovascolare.
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Lo studio della PE, nello specifico, ha evidenziato elementi di ulteriore supporto di questa tesi: nonostante l’ipertensione e la proteinuria si risolvano, in genere, rapidamente dopo il parto, le donne con storia di PE mostrano un significativo incremento di malattie cardiovascolari negli anni successivi alla gravidanza; la PE e le malattie cardiovascolari si associano ad importanti fattori di rischio quali insulino-resistenza, obesità, diabete ed infiammazione vascolare; questi verosimilmente contribuiscono all’alterazione endoteliale della PE e rappresentano dei markers precoci di patologia cardiovascolare. Per questo alcuni autori hanno cercato di dimostrare la presenza di fattori di rischio in donne con pregressa PE ed asintomatiche nel postpartum, al fine di attribuire alla PE stessa il ruolo di precursore della patologia cardiovascolare futura. Dal momento che è stato confermato un ruolo significativo dei fattori angiogenetici nell’insorgenza della PE e che le alterazioni dell’angiogenesi nonché l’insulino-resistenza, risultano associate alla patologia cardiovascolare, tali modificazioni sono divenute oggetto
di studio nel postpartum delle pazienti con storia di PE, prima di un eventuale sviluppo di ipertensione e/o di disturbi cardiovascolari. Wolf et al. [151] hanno dimostrato un incremento statisticamente significativo di sFlt-1 e HOMAIR (Homeostasis Model of Insulin Resistance; [(insulin [microunits per milliliter] x glucose [millimoles per liter])/22.5]) in pazienti asintomatiche con storia di PE, a suggerire che l’alterazione dell’angiogenesi e l’insulino-resistenza potrebbero rappresentare, in maniera indipendente o agendo sinergicamente, i fattori materni su cui si sviluppano sia la PE che la patologia cardiovascolare. In conclusione, ampliare questi studi potrebbe consentirci di arrivare ad individuare le pazienti ad alto rischio certo per disturbi cardiovascolari, anche quando importanti fattori di rischio, quali obesità ed insulinoresistenza (di per sé associati ad incrementato rischio di PE) siano presenti da un’epoca precedente la gravidanza. Inoltre la modificazione precoce ed aggressiva dei suddetti fattori di rischio potrebbe rappresentare in futuro, la strategia di prevenzione nei confronti delle pazienti a rischio di malattie cardiovascolari.
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CAPITOLO 18
Alloimmunizzazione Rh e malattia emolitica feto-neonatale A.L. Borrelli • C. Ferrara • P. Borrelli
INTRODUZIONE La presenza sulle emazie fetali di antigeni che la madre non possiede può dar luogo ad un processo di immunizzazione nel caso in cui si abbia il passaggio di eritrociti fetali nel circolo materno. Poiché in questo caso gli antigeni derivano da individui della stessa specie si parla di “alloimmunizzazione”; intendendo, invece, per isoimmunizzazione quella che si verifica tra individui non solo della stessa specie, ma che abbiano anche un’uguale costituzione genetica (gemelli monozigoti). Molta rilevanza clinica ha l’alloimmunizzazione fetale Rh per la grave patologia che ne può conseguire a carico del prodotto del concepimento (malattia emolitica feto-neonatale). Il sistema Rh1 è costituito da un insieme di antigeni o fattori eritrocitari di superficie che sono determinati da tre coppie di geni localizzati nel braccio corto del
cromosoma 1. Detti antigeni sono stati identificati e denominati con le sigle C/c, D, E/e; l’antigene d non è stato dimostrato e convenzionalmente la mancanza di D si indica con d. Tra gli antigeni del sistema Rh il più importante è l’antigene D che è presente nell’85% degli individui di razza bianca.Si definiscono Rh (D) positivi gli individui che possiedono il fattore D e Rh negativi quelli che ne sono privi. Il fattore D è dominante per cui si è fenotipicamente Rh positivi sia allo stato di omozigosi (DD) che di eterozigosi (Dd). È, quindi, sufficiente che uno dei genitori sia omozigote per l’antigene D perché detto fattore sia trasmesso a tutta la prole. Pertanto nell’unione di un uomo Rh positivo con una donna Rh negativa se l’uomo è omozigote (DD) tutti i figli saranno Rh positivi ed eterozigoti; se invece è eterozigote (Dd) il 50% sarà Rh positivo eterozigote (Dd) ed il 50% sarà Rh negativo (dd) (Fig. 18.1).
Fig.18.1 Trasmissione ereditaria del fattore D.Ad ogni generazione,in rapporto alla meiosi e successiva fusione dei gameti maschili e femminili,sono possibili 4 combinazioni cromosomiche (indicate con l’accoppiamento dei colori) e quindi 4 genotipi del sistema Rh 1
La sigla Rh origina da Rhesus, un tipo di scimmia il cui sangue inoculato nel coniglio induce la produzione di agglutinine anti-Rh.
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
EZIOPATOGENESI L’alloimmunizzazione Rh si determina quando il sistema immunitario di una donna Rh negativa, gravida di un feto Rh positivo, riconosce, in seguito al passaggio di sangue fetale nel circolo materno, l’antigene D e produce anticorpi contro di questo [1]. Generalmente l’immunizzazione si verifica durante il parto al momento del distacco della placenta, ma può verificarsi anche in conseguenza di un aborto, di una gravidanza ectopica, nel corso di indagini invasive di diagnosi prenatale (amniocentesi,ecc.) o per effetto di una trasfusione di sangue Rh positivo in donna Rh negativa [2]. Solo raramente (5% dei casi) le gravide Rh negative con partner Rh positivo sviluppano dopo il primo parto una risposta anticorpale significativa. Nel 95% dei casi, infatti, la prole (secondogenito, terzogenito ecc.) di genitori con incompatibilità per il sistema Rh nasce sana perché o la madre non si immunizza (essendo il padre eterozigote per il fattore Rh2) o si immunizza in misura eccessivamente lieve per determinare l’insorgenza di una patologia feto-neonatale. Quest’ultima eventualità può verificarsi per scarso potere antigenico degli eritrociti fetali, per ridotta reattività immunitaria materna, per insufficiente penetrazione nel circolo materno delle emazie fetali o per concomitante incompatibilità materno-fetale nel sistema AB0 che protegge dall’alloimmunizzazione Rh. Quando invece l’emorragia feto-materna è notevole e quindi la carica antigenica è sufficiente, il sistema immunitario materno attiva una risposta primaria con produzione di anticorpi specifici anti-D, prima di tipo IgM e poi di tipo IgG. Nel caso di una seconda gravidanza con feto Rh positivo, un ulteriore stimolo antigenico (passaggio anche di piccole quantità di sangue fetale nel circolo materno) determina nella gravida Rh negativa,“sensibilizzata” nei confronti dell’antigene D in occasione del primo parto, una risposta anticorpale molto più rapida e intensa con produzione di anticorpi anti-D soprattutto di tipo IgG. Queste immunoglobuline, contrariamente a quelle di tipo IgM, attraversano con facilità la placenta andandosi a fissare sulle emazie fetali che esprimono l’antigene D. Ne consegue iperemolisi che determina anemia fetale più o meno grave e notevole aumento dei prodotti di degradazione dell’emoglobina, soprattutto bilirubina indiretta che, essendo in gran parte eliminata attraverso la placenta nel circolo materno, non determina gravi manifestazioni itteriche a carico del feto; notevoli quantità di bilirubina passano, tuttavia, nel liquido amniotico che si tinge di giallo [3].
2
Si configura, in tal modo, la malattia emolitica fetoneonatale la cui gravità dipende dall’entità della risposta anticorpale materna e quindi dall’entità dell’emolisi e della conseguente anemia. L’anemia fetale, riducendosi la quantità di O2 trasportato nei vari organi e tessuti, causa a sua volta anossia cronica e quindi sofferenza cardiaca e stimolazione dell’eritropoiesi midollare ed extramidollare con immissione in circolo di cellule immature quali reticolociti ed eritroblasti (eritroblastosi fetale) [4]. L’eritropoiesi epatica, in condizioni di grave ipossia tissutale,determina notevole danno funzionale responsabile di una marcata riduzione della sintesi epatica di albumina onde iponchia e quindi idrope fetale con ascite ed anasarca generalizzato. In queste condizioni il cuore fetale, già sofferente per l’ipossia cronica, può scompensarsi con morte endouterina del feto; all’autopsia, in questi casi, accanto all’ascite e all’edema generalizzato si rinviene epatosplenomegalia e cardiomegalia; la placenta di colorito cereo è edematosa ed aumentata di volume (idrope fetoplacentare) (Fig. 18.2) [4-7]. Se il feto sopravvive, poco dopo la nascita, all’anemia congenita si somma la necessità di eliminare le notevoli quantità di bilirubina e pigmenti biliari che durante la gestazione passavano nel circolo materno attraverso la placenta. Il neonato diventa intensamente itterico (ittero grave del neonato) non essendo in grado di eliminare mediante glicuro-coniugazione la bilirubina in eccesso; parte di questa, essendo liposolubile, supera la barriera emato-encefalica e si deposita nei nuclei della base (ittero nucleare) [8]. Ne consegue, quando il neonato non muore per anemia ed ittero ingravescente, un danno neurologico permanente, che è possibile evitare mantenendo la bilirubina sierica al di sotto di 18 mg/dl, mediante fototerapia e soprattutto exsanguino-trasfusione che costituisce il trattamento elettivo (Fig. 18.2) [9, 10]. La malattia emolitica del neonato (MEN), a seconda della gravità, può manifestarsi con 3 quadri clinici principali: – anasarca feto-placentare o sindrome di Ballantyne; – ittero grave familiare del neonato o sindrome di Pfannenstiel; – anemia idiopatica del neonato o sindrome di Ecklin. La sindrome di Ballantyne è molto rara (1 caso su 2.000 gravidanze) e, essendo determinata da una immunizzazione di grado elevato,è caratterizzata da un quadro clinico di notevole gravità. La gestante presenta spesso i sintomi della gestosi trisintomatica (edemi, proteinuria, ipertensione) cui di frequente si associa poliamnios. Il feto, che
In questo caso, come già detto, solo il 50% dei nati sarà Dd e quindi potenzialmente capace di determinare alloimmunizzazione materna Rh.
Capitolo 18 • Alloimmunizzazione Rh e malattia emolitica feto-neonatale • A.L.Borrelli,C.Ferrara,P.Borrelli
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Fig. 18.2 Alloimmunizzazione materno-fetale Rh
spesso soccombe in utero, quando nasce vivo è pallido e fortemente anemico, presenta un ittero precoce, epatosplenomegalia, ascite, edema generalizzato e muore dopo la nascita nel giro di qualche ora o di qualche giorno. Nella sindrome di Pfannenstiel, meno rara della precedente, il neonato pallido con modesta anemia ed epatosplenomegalia, diviene fortemente itterico in breve tempo. Quando il neonato non muore per insufficienza cardiorespiratoria, la bilirubina in eccesso (>20 mg%), non potendo essere né smaltita nel circolo materno né eliminata mediante glicuro-coniugazione, supera la barriera emato-encefalica e va a depositarsi nei nuclei della base (ittero nucleare) provocando lesioni irreversibili. I neonati che riescono a sopravvivere manifestano a distanza più o meno lunga di tempo una cerebropatia caratterizzata da paralisi spastica e deficit mentale.
La sindrome di Ecklin, legata ad una immunizzazione di lieve entità, costituisce la forma di MEN meno grave. Il neonato presenta, infatti, una lieve anemia associata ad epato-splenomegalia di modesta entità. Generalmente l’ittero non è molto intenso. Nella gran parte dei casi l’evoluzione di questa forma è favorevole in quanto l’anemia progressivamente regredisce e non residuano danni neurologici a distanza. Va sottolineato, tuttavia, che la possibilità di diagnosi tempestive, l’accurato monitoraggio delle condizioni fetali, il continuo sviluppo delle terapie endouterine (emotrasfusione) e soprattutto la profilassi dell’alloimmunizzazione con immunoglobuline anti-D hanno ridotto in modo drastico l’incidenza delle forme più gravi di MEN.
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
DIAGNOSI E TRATTAMENTO La determinazione del gruppo sanguigno, del fattore Rh D e lo screening sierologico anticorpale (test di Coombs indiretto) sono raccomandati in tutte le gravide in occasione della prima visita prenatale; per le gravide D negative non sensibilizzate e con partner Rh positivo è utile ripetere lo screening anticorpale ogni 4-6 settimane fino al termine della gravidanza. L’alloimmunizzazione Rh è svelata dalla positività del test di Coombs indiretto che evidenzia nel circolo materno anticorpi anti-D. In caso di positività del test è necessario richiedere la titolazione anticorpale. Se il tasso anticorpale è ≥1:163, essendo elevato il rischio di danno fetale [11], si può ricorrere all’esame spettrofotometrico del liquido amniotico prelevato mediante amniocentesi a partire dalla 20a settimana di gestazione. Questa indagine permette, in base alla concentrazione di pigmenti biliari e soprattutto di bilirubina rilevati, di risalire all’entità della emolisi fetale. Per valutare la concentrazione di bilirubina nel liquido amniotico si determina l’altezza del picco di assorbimento della luce a 450 nanometri rispetto ad una linea arbitraria prefissata tra 300 e 500 nanometri. Questa determinazione (differenza di densità ottica o delta D.O.) riportata sul diagramma di Liley consentirà di stabilire l’orientamento terapeutico (Fig. 18.3) [12].
Nei casi in cui la compromissione fetale è scarsa o assente (zona 1), ripetendo per conferma l’amniocentesi ogni 3 settimane e intensificando il monitoraggio fetale (ecografia, cardiotocografia, Doppler-flussimetria), si può programmare il parto tra la 36a e la 38a settimana se le condizioni fetali lo consentono. Nei casi di compromissione modesta (zona 2), se le successive amniocentesi da ripetere con cadenza settimanale e il monitoraggio biofisico non evidenziano aggravamento delle condizioni fetali, sarà opportuno estrarre il feto tra la 30a e la 36a settimana. In presenza di grave compromissione fetale (zona 3) la terapia varia a seconda dell’epoca gestazionale: prima della 30a settimana è necessario, mediante funicolocentesi, exsanguino-trasfondere il feto; dopo la 30a sett. si effettuerà il taglio cesareo immediato (Fig. 18.3). Il suddetto protocollo diagnostico-terapeutico, utilizzato fino a qualche tempo fa, è stato di recente posto in discussione. Le critiche avanzate riguardano: a. la necessità di più amniocentesi nell’arco di poche settimane, con pericolo non solo di incrementare la sensibilizzazione materna, ma anche di incidere negativamente sull’ulteriore evoluzione della gravidanza (amniotiti, rottura prematura delle membrane con maggiore incidenza di aborti e parti prematuri); b. la possibilità di errori diagnostici (falsi positivi e negativi), essendo la determinazione del tasso bilirubinico mediante spettrofotometria un metodo indiretto di valutazione dell’anemia fetale [14] e potendo i risultati di detta determinazione essere alterati da particolari evenienze quali: la contaminazione del campione prelevato con sangue e/o meconio e l’iperbilirubinemia materna; c. non esisterebbe, inoltre, una correlazione clinicamente valida tra lettura della delta DO a 450 nanometri e tassi emoglobinici fetali prima della 28a settimana di gestazione [15]. Per i motivi suddetti attualmente si ritiene che la cordocentesi sia la metodica veramente utile non solo per la diagnosi di anemia fetale, ma, se necessario, anche per il trattamento precoce della stessa mediante emotrasfusione endouterina (IVT) prima che si instauri l’idrope [16, 17].
Attuale protocollo diagnostico-terapeutico Fig.18.3 Diagramma di Liley per il trattamento della malattia emolitica in base all’analisi spettrofotometrica del liquido amniotico.La zona 1 indica compromissione fetale scarsa o assente.La zona 2 indica compromissione fetale di media gravità.La zona 3 indica compromissione molto grave con rischio di morte endouterina del feto.Da [13]
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1:16 è il livello anticorpale critico.
Un primo screening dei casi a rischio si può realizzare determinando in una gestante Rh negativa già sensibilizzata, il fattore Rh del feto se il padre è eterozigote (Dd); in tal caso infatti solo il 50% dei feti sarà Rh po-
Capitolo 18 • Alloimmunizzazione Rh e malattia emolitica feto-neonatale • A.L.Borrelli,C.Ferrara,P.Borrelli
sitivo e quindi a rischio di MEN. In presenza di gestanti Rh negative già sensibilizzate, in cui il padre sia eterozigote per l’Rh ed esista anche una specifica indicazione alla determinazione del cariotipo fetale (età materna avanzata, ecc.) può essere, quindi, proposta la diagnosi prenatale invasiva (villocentesi, amniocentesi) allo scopo di definire oltre al cariotipo fetale anche il gruppo e fattore mediante PCR sul DNA del concepito. Il vantaggio di una diagnosi precoce va, tuttavia, valutato nei confronti del rischio di un incremento del tasso anticorpale materno anti-D per il possibile passaggio di
Fig. 18.4 Protocollo diagnostico-terapeutico nell’alloimmunizzazione Rh
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emazie fetali nel circolo materno durante la realizzazione della procedura cui va aggiunto il rischio abortivo connesso all’indagine. In gravide Rh negative, già immunizzate nei confronti del fattore Rh, è stata riportata, nel corso di recenti studi, la possibilità di determinare il fattore Rh fetale nel sangue materno mediante tecniche non invasive [18-20]. Se il padre è omozigote per l’Rh (DD) nelle gravide Rh negative con test di Coombs indiretto positivo, il management è dettato dal tasso anticorpale e dal suo eventuale incremento (Fig.18.4) [21].
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Quando la concentrazione di anticorpi anti-D è maggiore di 1:16 la paziente deve essere inviata presso centri di riferimento per il monitoraggio e il trattamento della malattia. Il monitoraggio di questi feti si avvale di metodi non invasivi ed invasivi. Tra le metodiche non invasive hanno acquisito importanza la doppler-flussimetria e l’ecografia ultrasonica. Alterazioni flussimetriche dell’aorta addominale, del dotto venoso e soprattutto della cerebrale media [22], conseguenti all’ipossia e alla centralizzazione del circolo, sono utili nel segnalare la presenza di anemia fetale [23], ma non nel valutarne l’entità [26, 27]. Segni ecografici predittivi di idrope fetale [26,27] sono: 1. doppio segno della parete intestinale (visualizzazione di entrambi i lati della parete); 2. cardiomegalia (diametro biventricolare >95° percentile e versamento pericardico >2 mm); 3. epato-splenomegalia (aumento dei diametri epatici e splenici > 95° percentile); 4. poliamnios (AFI >18 cm); 5. edema placentare. L’idrope fetale, rilevabile all’esame ecografico per la presenza di edema sottocutaneo diffuso (spessore della cute >5 mm) cui si associano raccolte liquide in almeno due cavità organiche (peritoneale, pericardica o pleurica), può essere preceduto dai predetti segni ecografici che sono però aspecifici e presenti solo in un numero modesto di casi. I monitoraggi doppler-flussimetrico ed ecografico, quindi, pur essendo utili nel diagnosticare l’anemia non consentono di stabilirne la gravità prima che si sviluppi l’idrope né permettono di fare previsione sull’evoluzione della malattia stessa. Appare, quindi, evidente che accanto al monitoraggio sierologico (test di Coombs indiretto) non si può prescindere da metodiche invasive (cordocentesi) [28-30] per la valutazione dell’entità dell’anemia fetale (ematocrito) e per il management della stessa. La cordocentesi in questi casi va effettuata per la prima volta tra la 18a e la 19a settimana o al più tardi tra la 20a e la 23a settimana (pazienti obese o placenta posteriore) in presenza di: – tassi elevati di anticorpi materni anti-D>1:16 nel II trimestre e >1: 32 nel III trimestre soprattutto se in rapido incremento; – idrope fetale o segni ecografici predittivi di idrope come cardiomegalia o ascite ingravescente in pazienti immunizzate nei confronti del fattore Rh; – anamnesi positiva per incompatibilità materno-fetale Rh che ha richiesto in una precedente gravidanza trasfusioni intrauterine con o senza idrope fetale o che abbia determinato morte fetale o neonatale.
La cordocentesi può essere differita in epoche successive se il padre è eterozigote per l’Rh e il tasso anticorpale materno, testato settimanalmente dalla 16a settimana, rimanga stabile tra 1:8 e 1:32 in assenza di segni ecografici predittivi di idrope. Praticata la cordocentesi dalla vena ombelicale (vedi Capitolo 5) va sempre effettuata la determinazione del gruppo e fattore nonché dell’ematocrito fetale (Hct). Per programmare il trattamento ulteriore è utile testare nel sangue prelevato anche altri parametri (bilirubina, reticolociti, Hb libera, tassi anticorpali anti-D) necessari per una più completa valutazione delle condizioni fetali. Se l’Hct è >30% (assenza di anemia fetale) non è necessario trasfondere il feto; un’ulteriore cordocentesi diagnostica va effettuata ad intervalli di 4-6 settimane in feti Rh positivi. In ognuna di queste occasioni si deve sempre essere pronti ad un’eventuale trasfusione intrauterina (Fig. 18.4). Se il prelievo di sangue fetale evidenzia un Hct compreso tra il 30% e il 15% (presenza di anemia fetale) risulta necessaria una trasfusione intrauterina. Il sangue da trasfondere deve avere i seguenti requisiti [28, 29]: 1. deve essere di gruppo 0 Rh negativo, compatibile con quello materno anche per altri sistemi antigenici eritrocitari (Kell, Kidd, ecc.) e deve essere stato prelevato di recente (<7 gg) in modo da garantire la massima sopravvivenza delle emazie trasfuse; 2. l’ematocrito deve essere il più elevato possibile e ciò per ridurre al minimo il volume trasfuso; 3. deve potersi escludere la trasmissione di agenti infettivi (HIV, CMV, HCV, HBV, ecc.) mediante opportune indagini preliminari; 4. la quantità di sangue da trasfondere ad una temperatura di 37°C può essere determinata in base alla seguente formula: volume da trasfondere = Hct voluto – Hct fetale x volume ematico fetale Hct sangue trasfuso (ml) Nei feti non idropici l’obiettivo è raggiungere un Hct finale tra il 35-40%. In presenza di idrope fetale (Hct iniziale generalmente <15%) bisogna accontentarsi di raggiungere, dopo la prima trasfusione endouterina, anche tassi di Hct <35% in modo da non sovraccaricare il circolo fetale già instabile. In questi feti è talora conveniente effettuare una vera e propria exsanguino-trasfusione in modo da rimuovere dal circolo fetale una certa quantità di emazie Rh positive prima di infondere un’analoga quantità di emazie Rh negative e ciò sempre allo scopo di evitare pericolosi sovraccarichi del circolo fetale. Essendo la vita media delle emazie trasfuse non superiore ai 30 giorni, nei casi di grave incompatibilità materno-fetale le trasfusioni devono essere continuate fino alla 32a-35a settimana ad intervalli non superiori a 4 settimane.
Capitolo 18 • Alloimmunizzazione Rh e malattia emolitica feto-neonatale • A.L.Borrelli,C.Ferrara,P.Borrelli
TIMING DEL PARTO Poiché i feti maturi tollerano meglio l’iperbilirubinemia neonatale si tende, quando possibile, a non indurre il parto prima della maturità fetale. Nei feti non trasfusi si induce, se le condizioni fetali lo consentono, il parto alla 37a-38a settimana. Nei feti trasfusi il parto va indotto quindi intorno alla 36a settimana. L’ultima trasfusione andrebbe effettuata alla 34a-35a settimana epoca in cui potrebbe essere determinata la maturità polmonare mediante amniocentesi. Quando necessario può essere effettuato il trattamento con corticosteroidi per la profilassi della RSD del neonato. In caso di alloimmunizzazione Rh si può concludere che: – al momento attuale i monitoraggi doppler-flussimetrico ed ecografico, pur essendo utili nel diagnosticare l’anemia fetale, non consentono di valutarne l’entità nè di fare previsioni sulla evoluzione della stessa. – La presenza e la gravità dell’anemia possono essere determinate con certezza solo analizzando il sangue fetale prelevato mediante la cordocentesi. – L’unico trattamento efficace dell’anemia fetale è la trasfusione intravasale di sangue in utero. – L’uso combinato del monitoraggio sierologico, della cordocentesi e del monitoraggio biofisico (ecografia, flussimetria) permettono di sorvegliare in modo adeguato il feto e di decidere da un lato quando e se eseguire una trasfusione intrauterina e dall’altro di valutare un’eventuale anticipazione del parto.
PROGNOSI La severità della prognosi è direttamente proporzionale alla gravità dell’anemia fetale a sua volta strettamente correlata al tasso di anticorpi materni anti-D. L’idrope insorge quando l’incremento dell’eritro-
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poiesi fetale non riesce a compensare adeguatamente l’emolisi e l’ematocrito scende al di sotto del 15%. L’idrope gioca un ruolo importante circa l’outcome feto-neonatale; sono, infatti, riportati successi del 95% in feti non idropici trattati con trasfusione intravasale (IVT). La percentuale di successo si abbassa a meno del 70% in presenza di idrope [31, 32]. L’identificazione precoce e il monitoraggio dei feti anemici in centri di terzo livello, il prelievo di sangue e il trattamento intrauterino dell’anemia fetale mediante IVT prima che insorga l’idrope, hanno significativamente migliorato la prognosi con netta riduzione dei danni neurologici a distanza [33].
PROFILASSI L’American College of Obstetrician and Gynaecologist (ACOG) raccomanda la determinazione del gruppo sanguigno, del fattore Rh e lo screening anticorpale in occasione della prima visita prenatale e la ripetizione dello screening a 24-28 settimane di gravidanza nelle gestanti Rh negative. Raccomanda, inoltre, la somministrazione di immunoglobuline anti-D (100 µg) a tutte le gestanti Rh negative non immunizzate a 28 settimane. Dopo il parto di un feto Rh positivo, emorragia anteparto, aborto spontaneo o indotto, dopo tecnica invasiva (villocentesi, amniocentesi, cordocentesi) entro 72 ore dall’evento si raccomanda la somministrazione intramuscolo di 300 µg di immunoglobuline anti-D [34, 35]. La dose standard di immunoglobuline anti-D postpartum (300 µg) contiene sufficienti anticorpi anti-D da impedire la sensibilizzazione verso almeno 15 ml di eritrociti fetali D-positivi o circa 30 ml di sangue fetale [36]. In caso di omissione, la somministrazione di immunoglobuline anti-D va comunque effettuata perché può risultare efficace anche dopo le 72 ore. Nella pratica clinica, la profilassi combinata antepartum e post-partum previene l’immunizzazione nel 96-98% delle donne a rischio [37].
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CAPITOLO 19
Idrope fetale non immunologica M.E. Pietrolucci • L. Brienza • D. Arduini
INTRODUZIONE Per molti anni gli ostetrici hanno notato la presenza di edema generalizzato dei tessuti molli in neonati che più frequentemente andavano incontro a morte [1]. John William Ballantyne, un ginecologo inglese, nel 1892 descrisse una triade costituita da edema materno, idrope fetale e placentomegalia, ma solo mezzo secolo dopo Potter (1943) pubblicò un articolo [2] in cui veniva riconosciuto un gruppo di feti caratterizzato da uno stato anasarcatico (Fig. 19.1) in assenza di malattia emolitica del neonato: fu così descritta e codificata per la prima volta l’idrope fetale non immunologica (NIHF), definita in questo modo proprio per sottolineare l’assenza, in questa patologia, di anticorpi circolanti materni contro antigeni eritrocitari fetali.
necessario che almeno due distretti fetali siano coinvolti dall’edema stesso. Alcuni autori [3] includono nella definizione dell’ NIHF anche il coinvolgimento degli annessi fetali nel processo anasarcatico: si ritiene edematoso un tessuto sottocutaneo maggiore di 5 mm e si parla di iperplacentosi quando lo spessore placentare supera i 6 cm. Grannum affermava [4], correlando la concentrazione delle proteine plasmatiche all’ematocrito, che l’idrope era costantemente presente per valori di proteine totali <3 g/l e per concentrazioni di albumina <2 g/l ed inoltre, che la somministrazione di emazie nel compartimento fetale si associava alla scomparsa dell’idrope ed al miglioramento del quadro proteico solo quando il valore dell’ematocrito era superiore al 15%.
EPIDEMIOLOGIA Prima dell’avvento della profilassi anti-Rh, l’80% di tutti i casi di idrope fetale era rappresentato dall’idrope immunologica; mentre oggi, la componente di maggior rilievo è dovuta all’NIHF che, da sola, ne costituisce il 90% e la cui prevalenza è di 1:3.000 nati [3], considerando l’approssimazione del dato, dal momento che molti casi esitano in aborto spontaneo precoce.
PREMESSE Fig. 19.1. Idrope fetale
DEFINIZIONE L’idrope fetale è definita da un eccessivo accumulo di liquido a livello extravasale e all’interno delle cavità corporee del feto e perché possa essere considerata tale, è
È opportuno considerare che l’idrope fetale è sostenuta, nell’insorgenza e nello sviluppo, da un processo patologico proprio fetale, placentare o, meno frequentemente, di origine materna, rappresentandone quindi la sua espressione ultima o semplicemente un sintomo [5]. È pertanto nostro compito, una volta giunti alla diagnosi di NIHF, valutare il caso attraverso un iter complesso che prevede l’utilizzo di tecniche diagnostiche (dall’ecografia con flussimetria alle tecniche più invasive) e di
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test sierologici sul feto e sulla madre, in modo da riuscire a pervenire all’origine eziologica della manifestazione patologica stessa e di conseguenza, ad incidere sull’elevata possibilità di morte a cui questi feti vanno incontro (prevalenza compresa tra il 50% ed il 90%) [3]. Un tipo di approccio integrato in questi feti è tanto più importante se si considera che circa 1/3 di NIHF è, ad oggi, definito idiopatico, classificazione questa, che spesso in medicina viene nel tempo ad assumere una connotazione diversa, grazie ai continui approfondimenti scientifici e clinici.
– maggiore compliance del compartimento interstiziale; – maggiore capacitanza dei vasi linfatici; – maggiore influenza della pressione venosa sul ritorno linfatico. Sulla base di quanto detto risulterà di facile comprensione che i meccanismi patogenetici che sottendono alla formazione dell’idrope sono, più comunemente, una disfunzione cardiocircolatoria associata ad ipertensione sistemica venosa, una riduzione della pressione oncotica, anemia ed un ostacolo alla circolazione fetale.
FISIOPATOLOGIA EZIOPATOGENESI Lo sviluppo dell’idrope avviene in tutte le condizioni in cui l’efflusso di liquido dal compartimento vasale supera la capacità di riassorbimento linfatico, sia a causa di un aumento del primo meccanismo, che attraverso un ostacolo al flusso di linfa o anche di entrambi. Come noto, infatti, un’adeguata distribuzione dei fluidi tra i compartimenti intravasale ed interstiziale dell’organismo è mantenuta dall’equilibrio tra produzione di liquido interstiziale, risultante dell’ultrafiltrato capillare, e riassorbimento dello stesso, attraverso la circolazione linfatica. Questo equilibrio viene ad essere alterato, più frequentemente, in seguito all’attivazione dei meccanismi omeostatici atti a compensare l’alterata distribuzione dei substrati metabolici in caso di malfunzionamento cardiocircolatorio. In quest’ultima condizione infatti, una maggiore utilizzazione di O2 viene ottenuta attraverso l’ampliamento del circolo, mediante il reclutamento di capillari in precedenza chiusi; il flusso agli organi nobili, metabolicamente più attivi, viene favorito dalla centralizzazione del circolo, regolata, attraverso la modificazione delle resistenze vascolari, dal sistema nervoso centrale ed endocrino; infine un aumento del volume circolante e dello ionotropismo cardiaco contribuiscono a preservare la gittata cardiaca. Tuttavia modificazioni cardiovascolari di tale entità, seppur compensatorie, possono favorire la ritenzione di liquidi a livello extravasale e contribuire allo sviluppo del quadro anasarcatico; ciò è ancor più reale nell’organismo fetale per le peculiarità della microcircolazione e del sistema linfatico che lo differenziano dall’adulto e che lo predispongono allo sviluppo di idrope. È stato infatti dimostrato che caratteristiche intrinseche ai capillari e ai vasi linfatici fetali fanno sì che la filtrazione transcapillare risulti facilitata e, di contro, che il riassorbimento di acqua nel letto vascolare venga ostacolato da: – aumento della permeabilità capillare alle proteine plasmatiche; – aumento del coefficiente di filtrazione transcapillare;
Le cause del NIHF sono molteplici e la loro determinazione è di fondamentale importanza per individuare la strategia terapeutica più adeguata al singolo caso, per ottimizzarne i tempi e le modalità, nonché per valutare l’aspetto prognostico della patologia e la eventuale probabilità di ricorrenza nel corso di future gravidanze. Alcuni studi [5, 6] ci consentono di affermare che i casi di NIHF che vengono diagnosticati prima della 18ª settimana sono associati, più frequentemente, ad aneuploidie, rispetto a quelli la cui diagnosi venga posta nel corso della seconda metà della gravidanza e che, invece, qualora si abbia riscontro di idrope nel secondo trimestre di gravidanza in feti con cariotipo normale, è possibile la risoluzione spontanea prima della 24ª settimana, anche se il loro outcome permane sfavorevole. Nella Tabella 19.1 sono menzionate le patologie di più frequente riscontro in ambito di NIHF e, allo stesso tempo, va considerato che molte di queste associazioni, ad oggi, sembrano avere un significato casuale, piuttosto che causale. Si tratta, più precisamente, di patologie (in neretto nella Tabella 19.1) che danno origine a quadri clinici che, per entità o per tipologia, non giustificano la comparsa di idrope ed in presenza delle quali, pertanto, è ipotizzabile un’implicazione di tipo multifattoriale, più che univoca, nello sviluppo della complicanza stessa.
Malattie cromosomiche Le aneuploidie che si associano con maggiore frequenza sono la sindrome di Turner (45X; 70% circa), la sindrome di Down (trisomia 21; 23% circa) e la sindrome di Edwards (trisomia 18; 4% circa); si è avuto anche il riscontro di casi di sindrome di Patau (trisomia 13), di anomalie del cromosoma 14, del cromosoma 11 e di mosaicismi [4, 7, 8]. Le patologie cardiache di tipo malformativo, fre-
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Tabella 19.1. Patologie più frequentemente associate a NIHF Categorie Cromosomopatie
Cardiovascolari
Ematologiche
Infezioni
Polmonari
Neoplasie intraddominali
Patologie Sindrome di Turner Altre trisomie (21,18,13) Anomalie cromosomiche (14,11) Mosaicismi Triploidie Anomalie congenite: insufficienza valvola tricuspide, anomalia di Ebstein, ipoplasia del cuore sinistro, tetralogia di Fallot,chiusura prematura del forame ovale o del dotto arterioso, difetto canale atrio-ventricolare Disturbi del ritmo:tachiaritmie,bradiaritmie, s.diWolff-Parkinson-White Tumori cardiaci:rabdomioma,fibroma, teratoma,emangioma Miocardite Cardiomiopatie:fibroelastosi Alfa-talassemia Anemie emolitiche congenite: deficit di glucosio-6-fosfato deidrogenasi Xerocistosi Sindrome da trasfusione feto-fetale Trasfusione feto-materna cronica CMV Toxoplasmosi Parvovirus B19 Sifilide Epatite congenita Herpes simplex,tipo I Rosolia Leptospirosi Malattia di Chagas Coxsackie virus Virus respiratorio sinciziale Cisti adenomatoide del polmone Sequestro polmonare Ernia diaframmatica Idrotorace congenito Chilotorace Linfangectasia polmonare Altri tumori:leiosarcoma,adenoma delle cellule alveolari del polmone Neuroblastoma Teratoma mediastinico o sacrococcigeo Emangioendotelioma epatico Sclerosi tuberosa
Categorie Epatiche
Renali
Displasie scheletriche
Malattie ereditarie
Malattie metaboliche
Placenta e cordone
Materne
Miscellanea
Patologie Fibrosi epatica Colestasi Malattia policistica epatica Atresia biliare Malformazione vascolare epatica Cirrosi familiare Necrosi epatica di Hutchinson Epatite a cellule giganti Tumori (emangioendotelioma) Ostruzione uretrale Sindrome nefrosica congenita Ipoplasia renale Reni cistici displasici Acondroplasia Acondrogenesi Osteogenesi imperfetta Nanismo tanatoforo Sindrome coste-corte polidattilia (tipo Saldino-Noonan,tipo Majewski) Displasia toracica asfittica di June Malattia di Conradi Pena-Shokeir tipo I Sindrome di Noonan Sindrome dello pterigo-multiplo Ipofosfatasia Sindrome di Francois Igroma idiopatico del collo Sindrome della polisplenia Disturbi metabolici lisosomiali Sindrome di Hurler Mucolipidosi Corioangioma Trombosi vena ombelicale Torsione cordone ombelicale Nodo vero del cordone Angiomixoma del cordone ombelicale Aneurisma dell’arteria ombelicale Emangioendotelioma del cordone ombelicale Malformazioni fetali legate a diabete mellito materno Crisi tireotossica in ipertiroidismo non trattato o non rispondente a terapia Anemia severa Ipoproteinemia Linfedema congenito Uso di indometacina prima del parto (chiusura del dotto fetale ed idrope secondario)
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
quenti in presenza di cariotipo alterato e l’ostruzione del circolo linfatico costituiscono i meccanismi patogenetici più frequentemente implicati nello sviluppo di idrope in questi pazienti. Sono stati descritti casi di feti con trisomia 21 o mosaicismi di trisomia 21, che mostrano segni di idrope ed epatosplenomegalia nel secondo o terzo trimestre di gravidanza, la cui causa è rappresentata da un disordine mieloproliferativo [9] che si è ipotizzato possa essere presente più spesso (associato o meno ad idrope e epatosplenomegalia) di quanto sia diagnosticato, per una sua probabile risoluzione spontanea o per assenza di segni all’ultrasonografia.
Cause cardiache Le affezioni cardiache sono quelle che maggiormente esitano nell’idrope fetale, andando a costituire il supporto patogenetico di circa il 40% di NIHF [10]. In questo gruppo rientrano malformazioni cardiache, tumori, patologie di origine infiammatoria/infettiva e anomalie del sistema di conduzione (aritmie). In ognuna di queste condizioni, il meccanismo patogenetico dell’edema è rappresentato dallo scompenso cardiaco congestizio che, in vario grado, consegue alla disfunzione emodinamica intracardiaca, la quale, a sua volta, è causata dalla sottostante alterazione endomiocardica (es. fibroelastosi endocardica, cardiomiopatia, miocardite, rabdomiosarcoma cardiaco) [11].
Malformazioni congenite I difetti congeniti del cuore-sinistro, dei grandi vasi e l’insufficienza della valvola tricuspidale (in rari casi, l’anomalia di Ebstein [12]), si sono dimostrati responsabili di un notevole numero di casi di edema generalizzato fetale a suggerire che un incremento della pressione venosa sistemica e il conseguente impedimento dell’efflusso cardiaco destro, siano tra i meccanismi maggiormente coinvolti nella genesi della NIHF. Tra le anomalie del cuore sinistro, quella di più comune riscontro è la sindrome del cuore sinistro ipoplasico; la formazione dell’idrope ad essa associato, dipende dall’ostruzione della valvola aortica o del suo arco, che determina un aumento della pressione intracardiaca sinistra (ventricolare ed atriale) con conseguente riduzione o annullamento dello shunt destro/sinistro a livello del forame ovale, aumento riflesso della pressione atriale destra ed, infine, congestione venosa sistemica ed idrope. In queste situazioni, soprattutto quando l’idrope si presenta in età gestazionale precoce, la prognosi è più frequentemente infausta; ancor più se si considera che in molti di questi feti alla malformazione cardiaca si aggiunge un’alterazione cromosomica.
Tumori cardiaci I recenti sviluppi delle tecniche di imaging e soprattutto dell’ecocardiografia fetale, hanno consentito di diagnosticare un numero sempre maggiore di tumori cardiaci fetali, la cui incidenza è oggi stimata dello 0,14% [13]. Il più comune tumore cardiaco fetale è il rabdomioma, mentre il fibroma, il teratoma e l’emangioma si presentano con minore frequenza [13-15]. La prognosi di queste neoplasie dipende dalla loro sede, dimensione e numero e pertanto, dalla gravità delle complicanze che ne conseguono: la cardiomegalia, l’aritmia, l’ostruzione all’efflusso cardiaco e l’idrope fetale ne rappresentano delle potenziali conseguenze fatali. La tachicardia sopraventricolare, la riduzione della contrattilità miocardia e del flusso cardiaco causate dallo sviluppo del tumore possono determinare idrope fetale. In questi casi è stato infatti dimostrato, attraverso studi doppler flussimetrici [14], come un incremento delle condizioni di precarico si rendano responsabili di una riduzione dell’output cardiaco o di un’ostruzione al flusso cardiaco stesso.
Miocarditi Infezioni del miocardio possono complicare fetopatie da parvovirus B-19 [16], da citomegalovirus, da toxoplasma o da altri microrganismi ed essere causa di insufficienza cardiaca fetale e secondariamente di NIHF.
Aritmie cardiache I disturbi del ritmo si presentano più frequentemente sotto forma di tachicardia, piuttosto che di bradicardia [10]. È da tenere in considerazione che la tachicardia può essere indotta dallo sviluppo di rabdomiomi o dalla sindrome di Wolff-Parkinson-White, mentre la bradicardia può associarsi a malformazioni cardiache o alla presenza di autoanticorpi materni antinucleari (Ig anti-RO/SSA). In alcuni casi lo scompenso cardiaco può essere dovuto a meccanismi disfunzionali non ancora chiariti, capaci di indurre aritmie cardiache, quali la tachicardia sopraventricolare, il flutter atriale e la tachicardia ventricolare [17, 18]. In questi casi, una successiva ipertensione venosa sistemica, con riduzione del riempimento ventricolare e, conseguente riduzione dei tempi di diastole potrebbero provocare la cardiomiopatia fetale e successivamente NIHF.
Cause ematologiche Alcune emopatie specialmente quelle fortemente anemizzanti (per difetto di sintesi di Hb o per eccesso di emolisi oppure per emorragia cronica) ed ipossiche per il feto, rientrano tra le cause di NIHF rappresentandone il 10% circa. Possono causare idrope fetale oltre alle emopatie (più frequentemente l’α-talessemia [19] e il
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deficit di glucosio-6 fosfato deidrogenasi), alcune infezioni anemizzanti quali quelle da citomegalovirus e quelle da parvovirus e talune neoplasie.
Deficit di glucosio-6 fosfato deidrogenasi (G6PD) Il deficit di G6PD è una malattia genetica recessiva legata al cromosoma X che comporta un deficit di produzione di glutatione ridotto, la cui funzione è quella di proteggere la membrana eritrocitaria dall’effetto degli agenti ossidanti. Infatti l’anemia, in questo caso, consegue all’emolisi che si realizza spontaneamente nel feto oppure in seguito ad ingestione materna di agenti ossidanti che attraversano la placenta.
Alfa-talassemia L’alfa-talassemia è la più comune causa di idrope fetale nel sud-est asiatico, nonché la causa più importante di anemia [19]. In omozigosi l’alfa-talassemia comporta l’assenza di produzione delle alfa-globine e la conseguente espressione di catene globiniche che presentano una minore affinità per l’ossigeno alle fisiologiche tensioni di O2, creando nel feto una condizione di grave ipossia. I feti affetti da questa patologia presentano, infatti, elevati livelli di Hb di Bart (γ4), altamente instabile, oppure di Hb H (β4) o di Hb Portland (ζ2γ2) e generalmente muoiono in utero nel corso del terzo trimestre della gravidanza o nel primo periodo postnatale con scompenso cardiaco congestizio, ascite, edema ed epatosplenomegalia, ossia con l’idrope fetale o, in questo caso, con l’idrope da Hb di Bart. Ad oggi la gestione della talassemia ha sicuramente visto degli importanti miglioramenti, sia per quanto attiene alla prevenzione, che per quanto concerne la diagnosi precoce e la terapia. Infatti il diffondersi delle informazioni circa questa patologia, l’effettuazione dei test di screening da parte dei genitori e la possibilità di diagnosi prenatali mediante la villocentesi hanno contribuito a ridurre la percentuale di neonati affetti da alfa-talassemia. Inoltre il perfezionamento delle tecniche ecografiche [20], per il rilievo dell’idrope fetale e l’attuale possibilità di trasfondere il feto in utero (IUT, Intrauterine Umbelical Vein Transfusion), hanno consentito di migliorare le possibilità terapeutiche e quindi anche l’outcome fetale. Ciò nonostante, va sottolineato che l’alfa-talassemia rimane una causa predominante di NIHF e di morte fetale soprattutto nei Paesi in via di sviluppo.
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La TTTS è una complicanza che può subentrare in corso di gravidanza gemellare monozigotica monocoriale ed è legata alla formazione, a livello placentare, di shunt artero-venosi tra i due circoli fetali, determinando un trasferimento di sangue unidirezionale tra i due gemelli. La diagnosi di questa patologia richiede una differenza di Hb di 5 g circa tra i due fratelli. Il gemello donatore diviene anemico, piccolo rispetto alla sua età gestazionale e spesso in condizione di anidramnios; l’altro, al contrario, risulta pletorico, macrosoma ed in presenza di un’aumentata quantità di liquido amniotico (poliamnios). L’idrope può svilupparsi in entrambi, ma chi più frequentemente manifesta questa patologia è il gemello ricevente per l’aumento del volume plasmatico che consegue alla trasfusione stessa. Si può sospettare la TTTS in caso di discrepanza di peso superiore al 20% tra i due gemelli, soprattutto se associata ad alterazioni della quantità di liquido amniotico e ad alterazioni flussimetriche dell’arteria ombelicale. Una diagnosi precoce ci permette di valutare la possibilità di terapia in utero, prima che subentri l’NIHF [21]. In questi casi, la scelta della tipologia e delle modalità del singolo intervento terapeutico viene affidata alle competenze ed all’esperienza del medico. Le opzioni terapeutiche maggiormente adottate nelle gravidanze gemellari complicate da TTTS, sono: le amnioriduzioni ripetute, la laser coagulazione delle anastomosi anomale e nei casi più gravi l’aborto selettivo del feto in condizioni peggiori mediante clampaggio del funicolo [22]. Una perdita >150 ml di sangue durante la gravidanza definisce una trasfusione feto-materna cronica. In alcuni casi, tale perdita ematica fetale può essere provocata da una patologia di origine placentare.
Cause infettive Le infezioni congenite che possono causare l’insorgenza di NIHF sono di origine sia batterica che virale; in questi casi, lo shock e l’anemia costituiscono i meccanismi patogenetici dell’edema fetale. Alle forme gravi di anemia fetale consegue, infatti, l’idrope, che può essere rilevata all’ultrasonografia, attraverso segni di edema generalizzato, edema sottocutaneo, ascite, infarcimento delle pleure e del pericardio, edema placentare e polidramnios. In altri casi, la miocardite e l’insufficienza epatica secondaria ad epatite risultano predominanti nella genesi e nello sviluppo del processo anasarcatico fetale.
Sindrome da trasfusione feto-fetale e trasfusione feto-materna cronica
Parvovirus B19
Il quadro di anemia fetale può instaurarsi anche per una perdita ematica cronica, come quelle che si verificano nel feto nella sindrome da trasfusione feto-fetale (TTTS) e nella trasfusione feto-materna.
L’infezione da parvovirus [9] è responsabile del 10% di tutti i casi di NIHF, il cui meccanismo patogenetico sembra essere rappresentato dalla combinazione di miocardite, anemia aplastica ed emolitica fetale con successiva
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ipossia, cui consegue l’insufficienza cardiaca. La prima associazione tra infezione da parvovirus B19 in gravidanza e decorso sfavorevole della stessa, venne descritta nel 1984 dopo il riscontro di IgM anti-B19 in feti affetti da idrope. Successivamente molti studi confermarono questa associazione. Circa la metà delle gravide risulta non immune nei confronti di questa infezione; il rischio di trasmissione verticale in caso di prima infezione è del 33%; l’infezione fetale si associa ad un rischio di morte endouterina che varia dallo 0% al 9% [16]. Il perfezionarsi delle tecniche diagnostiche e la recente possibilità di effettuare trasfusioni intrauterine hanno notevolmente migliorato l’outcome fetale.
CMV Il citomegalovirus è l’agente eziologico più frequentemente implicato nelle infezioni congenite [23]. Il contagio fetale può avvenire sia in seguito ad infezione primaria che ricorrente materna, anche se il rischio che il feto contragga l’infezione e vada incontro a complicanze è maggiore nel primo caso. Ad oggi, non vi sono trattamenti risolutivi dell’infezione da citomegalovirus sia materna che fetale; pertanto, qualora compaiano segni di idrope, è opportuno espletare il parto quanto prima lo rendano possibile le condizioni di maturità fetale. Sono stati descritti [23] casi di infezione congenita da CMV ad esito molto sfavorevole in neonati con anasarca che, nonostante la terapia con ganciclovir, soccombevano alla malattia e nei quali, i rilevamenti autoptici, mostravano un coinvolgimento patologico multiorgano, comprendente polmonite, enterite e miocardite virale.
Sifilide La fetopatia da Treponema pallidum oltre che essere frequentemente causa di NIHF è anche responsabile di FGR (Fetal Growth Restriction), abortività spontanea e mortalità perinatale. Grazie all’efficacia delle strategie preventive attuate nei confronti della sifilide e all’avvento della penicillina, l’infezione ha subito un decremento importante soprattutto nel mondo occidentale, in cui oggi la prevalenza della sieropositività in gravidanza è compresa tra lo 0,02% ed il 4,5% e della quale solo una piccola percentuale esita in un’infezione congenita per il feto [24]. Nonostante ciò, negli ultimi dieci anni si è registrato un nuovo incremento dell’infezione sifilitica che è da attribuirsi alle abitudini sessuali, a viaggi e/o flussi emigratori da Paesi in cui tutt’oggi le malattie veneree non sono sottoposte a controlli né a misure preventive. In letteratura [24] compaiono studi che dimostrano che la severità delle complicanze sifilitiche fetali, ossia precoce aumento delle transaminasi e successive anemia, trombocitopenia ed idrope fetale, siano correlate in maniera significativa a trattamenti inefficaci e non risolutivi dell’infezione materna.
Toxoplasmosi e HBV In letteratura vengono riportati rari casi di NIHF dovuti a toxoplasmosi congenita, la cui prognosi è in stretta relazione all’entità dell’infezione fetale; rara è anche l’incidenza NIFH in pazienti affette da epatite acuta da HBV in corso di gravidanza [25, 26]. È importante sottolineare che tutti i casi di fetopatie infettive possono complicarsi con idrope fetale e, mentre nei casi ad eziologia nota verso cui è disponibile una terapia specifica, si può adottare un atteggiamento di attesa fino a che lo consentano le condizioni fetali; qualora non si riesca a pervenire all’agente eziologico, è opportuno espletare il parto quanto prima possibile compatibilmente con la maturità polmonare fetale, per tentare la cura diretta del neonato.
Cause toraco-polmonari Il 9% di tutte le cause di NIHF [27] è costituito da patologie del distretto toraco-polmonare che determinano un ostacolo al ritorno venoso e/o alla circolazione linfatica, sia attraverso un aumento alla pressione intratoracica, che mediante una compressione diretta della vena cava inferiore e/o del dotto toracico. Le patologie più frequentemente implicate sono: la malformazione adenomatosa cistica congenita, il sequestro bronco-polmonare, l’ernia diaframmatica, i tumori mediastinici e malformazioni toraciche che si associano ad alcune displasie scheletriche. La prognosi dei processi occupanti spazio, a livello toracico dipende, nella gran parte dei casi, dalle dimensioni della formazione stessa e dall’entità dell’adattamento fisiologico che ad essa consegue: una massa di grandi dimensioni, infatti, può causare uno spostamento mediastinico controlaterale, ipoplasia del tessuto polmonare sano, polidramnios (per la compressione esofagea e conseguente ostacolo alla deglutizione del feto) e compromissione cardiovascolare fino all’insorgenza dell’idrope cui spesso consegue la morte fetale [27, 28]. La presenza di idrope, in questi casi, assume il significato di fattore prognostico negativo perché indicativo di progressione verso lo scompenso cardiocircolatorio.
Malformazione adenomatosa cistica congenita La malformazione adenomatosa cistica congenita (CCAM) è caratterizzata da un incremento “amartomatoso” dei bronchioli respiratori terminali, che vanno a formare cisti di dimensioni variabili; anatomicamente questa malformazione si presenta come una massa polmonare, nella quasi totalità dei casi unilaterale ed unilobare, che è costituita da cisti di diametro variabile da <1 mm a >10 cm. La massa è in comunicazione
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diretta con l’albero tracheobronchiale, attraverso la circolazione vascolare polmonare. La sua incidenza è compresa tra 1:25.000 e 1:350.000 [29]. La CCAM si differenzia da altre lesioni polmonari e dal tessuto polmonare sano per la presenza di: – proiezioni polipoidi della mucosa; – aumento di muscolatura liscia e tessuto elastico nella parete della cisti; – assenza di cartilagine (ad eccezione delle inclusioni rappresentate da bronchioli normali); – presenza di cellule muco-secernenti; – assenza di infiammazione. Nonostante il tessuto malformato non assolva alla funzione di scambio dei gas, si vengono a creare delle connessioni della CCAM con l’albero tracheobronchiale, la cui presenza è dimostrata dai fenomeni di intrappolamento aereo che si sviluppano durante la respirazione postnatale. Cha et al. [30] hanno identificato dal punto di vista istologico due tipi di CCAM fetale: lo pseudoghiandolare e il canalicolare. Inoltre Stocker [31] suddivise la CCAM in 3 sottoclassi sulla base della dimensione della massa cistica stessa: – tipo I: macrocistico; a prognosi favorevole; – tipo II: di medie dimensioni; può associarsi ad altre anomalie polmonari; – tipo III: lesione solida; a prognosi infausta. Successive classificazioni [32] si basano sull’aspetto anatomico ed ecografico della massa adenomatosa: lesioni macrocistiche contengono una o più cisti di diametro ≥5 mm, anecogene all’ultrasonografia; invece malformazioni microcistiche appaiono all’ecografia come masse solide ed omogenee, costituite da cisti di diametro <5 mm; la prognosi è peggiore a causa delle modificazioni fisiologiche legate alla massa. Alcuni autori sostengono che la CCAM rappresenti l’esito di un arresto dello sviluppo polmonare fetale caratterizzato da un aumento della proliferazione cellulare e, allo stesso tempo, da una marcata diminuzione dell’apoptosi [33] rispetto ai parametri di riferimento per età gestazionale delle cellule polmonari. Le stesse alterazioni sono emerse [33], peraltro, da alcune ricerche istologiche condotte su resezioni di CCAM fetale, le quali si sono poste, inoltre, l’obiettivo di andare ad esaminare i fattori specificamente implicati nella regolazione tissutale, al fine di giungere al meccanismo patogenetico della CCAM e, di conseguenza, a nuove possibilità terapeutiche. La CCAM può essere complicata da idrope fetale nel 12-43% di casi, che sono quasi sempre ad esito infausto [28]. Per questa ragione, nonostante siano state ri-
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portate regressioni della NIHF in seguito a terapie steroidee effettuate a scopo profilattico per favorire la maturità polmonare, si valuta la possibilità di intervenire, in questi feti, con la lobectomia fetale che, ad oggi, è l’unico intervento prenatale che garantisce una sopravvivenza del 62% [27, 32, 35]. Nei casi in cui la massa polmonare sia costituita prevalentemente dalla componente liquida, si può considerare la possibilità di applicare uno shunt toraco-amniotico o di effettuare una toracentesi.
Sequestro broncopolmonare Il sequestro broncopolmonare (BPS) è una massa di tessuto polmonare funzionalmente non attivo, che è irrorato, nell’80% dei casi, da un vaso anomalo a partenza dal tratto toracico dell’aorta discendente e che non presenta connessioni con l’albero tracheobronchiale di origine. La BPS rappresenta la seconda malformazione polmonare congenita in ordine di frequenza, con un’incidenza compresa tra lo 0,15% ed il 6,4% dei casi [27]. Il BPS soprattutto quello extralobare, si presenta nel 50% dei casi in associazione ad altre malformazioni fetali quali l’ernia diaframmatica e la fistola tracheoesofagea. Si è prospettato che il BPS possa realizzarsi in epoca embrionale precoce da una gemma accessoria di tessuto polmonare distaccata dall’intestino primitivo [28, 36]. Sono stati evidenziati due sottotipi di BPS: – intralobare: nel tessuto polmonare, è circoscritto da pleura viscerale; il suo drenaggio venoso avviene tramite le vene polmonari all’atrio sinistro; rappresenta il 75% dei casi di sequestro polmonare diagnosticati nella vita adulta, difficilmante viene riscontrato in utero; – extralobare: ha un proprio rivestimento pleurico e un sistema di drenaggio venoso indipendente (solo il 25% drena nella vene polmonari) che, attraverso l’emiazygos o il sistema portale, provoca uno shunt sinistro-destro di entità variabile, sino al rischio di insufficienza cardiaca; nonostante costituisca il 25% di BPS, è la variante più comunemente diagnosticata nella vita intrauterina e può essere intra-toracico o intra-addominale e nel 15% circa dei casi è sottodiaframmatico [27, 28]. La diagnosi può essere fatta precocemente (anche prima della 16ª settimana) grazie all’ecografia ultrasonica che evidenzia il BPS come una formazione ben delineata, omogeneamente ecogena; all’eco-color doppler, la visualizzazione di un flusso arterioso tra l’aorta e la lesione polmonare fetale costituisce il reperto patognomonico del BPS [27]. In caso di dubbi diagnostici nei confronti della CCAM microcistica (II e III tipo) si può ricorrere alla MRI (Magnetic Resonance Imaging) che risulta dirimente in tali circostanze.
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Sono state descritte [32], inoltre, formazioni ibride, ossia che mostrano aspetti anatomopatologici sia della CCAM che del BPS a suggerire la comune origine embriologica di alcuni di questi tumori. È interessante riferire che circa il 60% dei feti con diagnosi di BPS, associato o meno ad idrope, mostrano segni di regressione a partire dalla 24ª settimana di gestazione e, nel corso del terzo trimestre, di remissione completa della patologia [27]. Pur essendo state avanzate molte ipotesi (torsione del peduncolo vascolare, incremento del supporto ematico con successiva involuzione, ecc.) i meccanismi di detta regressione rimangono ancora oggi non del tutto chiari [28, 29].
Ernia diaframmatica L’ernia diaframmatica congenita costituisce una delle forme più frequenti di anomalie intratoraciche fetali con un’incidenza pari a 1/2.000-1/5.000 nati vivi; nel 90% dei casi circa interessa l’emitorace sinistro ed è quasi sempre monolaterale [32]. In una modesta percentuale, variabile dal 16% al 56%, le ernie diaframmatiche sono associate ad altre malformazioni toraciche, quali il sequestro broncopolmonare, soprattutto di tipo extralobare [28, 32]. È importante sottolineare che le complicanze più importanti dell’ernia diaframmatica congenita, e nello specifico la NIHF, conseguono alla frequente associazione della stessa all’ipoplasia polmonare che ne assume il significato di fattore determinante. Per questa ragione si considera oggi la possibilità di intervenire laparoscopicamente sul feto, in particolare quando si ponga la diagnosi precocemente (prima delle 26 settimane di gestazione), quando vi sia erniazione epatica e/o riduzione dei diametri polmonari.
Idrotorace congenito e chilotorace L’idrotorace è una patologia rara (1 caso ogni 15.000 gravidanze). Può essere diagnosticato precocemente anche prima della 16ª settimana di gestazione [27, 37]. Nonostante non si conoscano ancora i meccanismi eziopatogenetici, l’idrotorace congenito può insorgere come lesione primaria e secondaria: quando lesione primaria, l’idrotorace è unilaterale e può insorgere allo stesso modo nell’emitorace destro ed in quello sinistro, invece l’idrotorace bilaterale generalmente è una manifestazione secondaria ad altra patologia associata e rappresenta un segno precoce di idrope [27, 38]. Il chilotorace è la causa primaria più comune di idrotorace congenito e, nonostante il decorso possa essere variabile, la mortalità fetale associata a questa patologia varia dal 35% al 53% [27], soprattutto in dipendenza dell’insorgere di ipoplasia polmonare ed idrope. La progressione dell’idrotorace congenito in idrope rappresenta, infatti, il maggiore fattore prognostico ne-
gativo, essendo associato al 76% di morte fetale rispetto al 25% di mortalità riferibile ai feti senza NIHF. Anche per questa patologia, si sono verificati casi di regressione spontanea, soprattutto in feti nei quali l’idrotorace era unilaterale e non complicato da polidramnios e idrope. Qualora l’idrotorace sia di grandi dimensioni, si può effettuare l’aspirazione di liquido tramite toracentesi o per mezzo di uno shunt toracoamniotico [27, 28].
Patologie intraddominali L’insorgenza di tumori in sede addominale (neuroblastoma, teratoma mediastinico o sacrococcigeo e emoangiotelioma del fegato) può facilmente indurre un’ostruzione meccanica al ritorno venoso placentare e facilitare l’insorgenza di idrope fetale mediante una massiva perdita di proteine, che si verifica in seguito ad espansione del letto vascolare e che contribuisce, peraltro, al meccanismo di scompenso cardiaco [4, 10]. L’ostruzione gastrointestinale, la cirrosi, la necrosi di Hutchinson e l’emangioma del fegato sono altre patologie a localizzazione intraddominale delle quali si è avuto raro riscontro in feti idropici a causa di un’ostruzione al ritorno venoso.
Patologie della placenta L’ostacolo al ritorno venoso è il meccanismo mediante il quale tutte le patologie di origine placentare possono determinare l’instaurarsi di NIHF. Infatti lo sviluppo di edema e di una massa placentare causano direttamente un ostacolo al ritorno venoso, e, quindi, secondariamente un’alterazione degli scambi gassosi, ipossia fetale, danno dei capillari e perdita di proteine.
Patologie metaboliche Molteplici difetti congeniti del metabolismo (IEM, Inborn Errors of Metabolism) possono, nel periodo perinatale o alla nascita, manifestarsi attraverso l’insorgenza di NIHF; la loro incidenza nella genesi dell’idrope non è attualmente valutabile, soprattutto perché non viene generalmente presa in considerazione tale possibilità eziologica in feti idropici. Negli studi finalizzati a definire l’eziologia dell’idrope fetale, il riscontro di risultati notevolmente divergenti, in merito alla patologia metabolica, giustifica il crescente interesse verso questo tipo di patologie cui potrebbe essere attribuita la genesi di gran parte delle NIHF ad oggi definite idiopatiche.
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Capitolo 19 • Idrope fetale non immunologica • M.E.Pietrolucci,L.Brienza,D.Arduini
Nella Tabella 19.3 è riportata una flow chart proposta da Burin circa le indagini prenatali da effettuare in caso di NIHF.
Non sono ancora conosciuti i meccanismi patogenetici attraverso i quali le predette patologie causano NIHF. Sembrano, a tal proposito, assumere un ruolo di rilievo le LDSs (Lysosomal Storage Diseases), una classe di disturbi autosomici (nella gran parte) recessivi che esitano in sindromi metaboliche; a tal proposito Burin et al. [39] hanno dimostrato l’associazione di 14 di esse all’idrope fetale (Tabella 19.2).
DIAGNOSI L’ecografia ultrasonica consente di porre, con relativa facilità, la diagnosi di NIHF. Per valutare l’entità del danno fetale può essere necessario, tuttavia, un approccio multidisciplinare e l’utilizzo di metodiche invasive di diagnosi prenatale.
Tabella 19.2. Malattie da deposito lisosomiale associate con idrope fetale non immune.Modificata da [39],con autorizzazione Patologia GM1 gangliosidosi Galattosialidosi Niemann-Pick A Niemann-Pick C Malattia di Gaucher (tipo 2) Mucopolisaccaridosi I Mucopolisaccaridosi IV A Mucopolisaccaridosi VII Mucolipidosi II Sialidosi Malattia infantile da sovraccarico di acido sialico libero Deficit multiplo di solfatasi Malattia di Farber Malattia di Wolman
Deficit metabolico β-galattosidasi Neuraminidasi e PPCA (β-galactosidase protective protein) Sfingomielinasi Proteina di trasporto non nota Glucocerebrosidasi (β-glucosidasi) α-ioduronidasi Galattosio-6-solfatasi β-glucoronidasi N-acetilglucosamina l-fosfotransferasi Neuraminidasi Trasportatore di membrane dell’acido sialico Solfatasi multiple Ceramidasi acida Lipasi acida
Ecografia e flussimetria fetale I segni di idrope ecograficamente rilevabili sono: – edema sottocutaneo: spessore della cute >5 mm (Fig. 19.2); – iperplacentosi: spessore placentare >6 cm (Fig. 19.3); – polidramnios: liquido amniotico >2.000 ml; lieve per tasca massima compresa tra 8 e 11 cm, moderato tra 12 e 15 cm e severo >16 cm; oppure con valutazione dell’AFI se la somma dei quattro quadranti è >24 cm o >90° percentile (Fig. 19.4); – ascite (Fig. 19.5); – effusione pericardica (Fig. 19.6); – effusione pleurica (Figg. 19.6 e 19.7).
Tabella 19.3. Flow-chart proposta circa le indagini prenatali da effettuare in caso di NIHF. Modificata da [39] NIHF
Counseling prenatale/genetico Ecografia ostetrica morfologica Ecocardiografia fetale
Storia familiare o gruppo etnico a rischio di emoglobinopatie Valutazione ematologica
Amniocentesi Valutazione anomalie cromosomiche Ricerca di malattie infettive: - Toxoplasmosi - Rosolia - CMV - Herpes simplex - Parvovirus B19 - Coxsackie virus
Diagnosi
Non diagnosi
Anamnesi positiva per malattie genetiche e/o familiari e/o precedenti perdite fetali Indagine di LDS: - Malattia di Gaucher - GM1 gangliosidosi - Mucopolisaccaridosi I,IV A,VI - Niemann-Pick A - Sialidosi,galattosialidosi - Mucolipidosi I e II - Deficit di solfatasi multiple - Altre (?)
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
Fig. 19.2. Edema sottocutaneo
Fig. 19.3. Iperplacentosi
Fig. 19.4. Polidramnios
Fig. 19.5. Ascite
Perché l’idrope possa essere definita tale è necessario che l’accumulo di liquido sia evidente in almeno due compartimenti del corpo fetale. Porre attenzione alla sede primaria di insorgenza dell’idrope può indirizzare il clinico verso alcune cause rispetto ad altre: infatti, l’idrope secondaria ad una patologia sistemica, come l’anemia, si manifesta comunemente attraverso un accumulo di liquido generalizzato, multifocale sin dal principio; mentre l’idrope causata da una patologia di tipo locale tende ad esordire con una raccolta di fluido nella sede di origine della patologia stessa, ad esempio la CCAM comporta la for-
mazione di un versamento pleurico e, solo successivamente all’aumento preponderante della pressione intratoracica, sviluppa idrope in forma sistemica [40]. La ricerca approfondita di segni di idrope in tutto l’organismo fetale è necessaria, non solo ai fini di un’attenta diagnosi,ma anche perché permette al clinico di orientarsi dal punto di vista eziopatogenetico (Tabella 19.4). È importante considerare che ogni feto con idrope merita un approfondito esame ecocardiografico, in quanto la patologia cardiaca rappresenta una delle cause di maggiore spessore, sia per frequenza che per gravità, di sviluppo di NIHF.
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Capitolo 19 • Idrope fetale non immunologica • M.E.Pietrolucci,L.Brienza,D.Arduini
Fig. 19.6. Effusione pericardica e pleurica
Fig. 19.7. Effusione pleurica
Tabella 19.4. Segni idrope fetale Sede
Testa
Segno Anomale dimensioni Alterata mineralizzazione Spessore scalpo aumentato Spostamento linea mediana Parenchima cerebrale
Orientamento Displasie scheletriche Edema cutaneo Emorragie Tumori Cisti poroencefaliche
Evidente linea mediana del volto Depressione ponte nasale,bozze frontali pronunciate,micrognatia Igroma cistico del collo
Trisomia 13
Addensamenti ai polmoni
Cisti o masse
Versamento pleurico Masse toraciche Anomalie coste e gabbia toracica
Chilotorace Teratoma mediastinico Displasie scheletriche
Zone ecogeniche al fegato Cisti epatiche Epatosplenomegalia
Anomalie dimensioni dei reni Aree ecogeniche a livello dei reni
Infezione virale Malattia policistica del fegato Fibrosi epatica Aneuploidie Peritonite da meconio Atresia duodenale Atresia digiuno-ileale Volvolo Ano imperforato Rene ipoplasico Rene policistico
Pelvi
Massa al sacro-coccige
Teratoma sacro-coccigeo
Scheletro
Anomali nella biometria,mineralizzazione,struttura
Displasie scheletriche
Placenta
Ispessimento Massa
Edema Corioangioma
Difetti multi organo
Quadri sindromici
Sindromi displasiche Aneuploidie
Faccia e collo
Torace
Aree ecogeniche a livello dell’intestino Addome Aree di dilatazione intestinale
Diagnosi differenziale Difetti del tubo neurale (anencefalia,encefalocele) Malformazioni artero-venose (doppler)
Anomalie cromosomiche Sindrome di Turner Dislocazioni toraciche di intestino dilatato o della cistifellea per ernia diaframmatica
(Raramente i reni sono causa di idrope)
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
Un’accurata valutazione del cuore fetale comprende, non solo la valutazione dell’aspetto anatomico di tutte le strutture che ne fanno parte (setto, quattro camere ed in particolare dimensioni e spessore ventricolari, valvole, grandi vasi), ma anche l’esame della funzionalità e del ritmo cardiaco con l’utilizzo della metodica in M-mode e color Doppler (Fig. 19.8). La flussimetria dell’arteria cerebrale media (MCA) viene utilizzata come alternativa alla cordocentesi nella diagnostica dell’anemia fetale. Il razionale sul quale si basa l’impiego della metodica doppler nella valutazione dello stato anemico fetale è l’utilizzo dell’aumento di velocità del flusso, che si verifica in seguito a diminuzione della viscosità ematica e che si esprime con un incremento del picco sistolico nella MCA (MCA-PSV) [41, 42]. L’arteria cerebrale media meglio si presta nella diagnosi di anemia fetale per numerose ragioni: – risponde con rapidità agli stati ipossici, data la stretta dipendenza della funzione cerebrale dall’ossigeno; – la sua localizzazione la rende ben accessibile; – la sua posizione ci permette di ottenere un angolo di circa 0° tra il fascio degli ultrasuoni e il flusso sanguigno e di garantire, pertanto, un’elevata accuratezza della misurazione; – la flussimetria della MCA presenta una variabilità di valutazione operatore-dipendente molto ridotta.
È stata dimostrata [41, 42] un’associazione significativa tra MCA-PSV e concentrazione di Hb e la relazione tra questi due fattori è espressa da queste formule: delta emoglobina=(delta MCA-PSV+0,1437)/-0,4154 R(2)=0,7202; p<0,0001
Diagnostica materna L’indagine materna è rivolta all’individuazione di patologie ematologiche, di infezioni in atto e all’identificazione di eventuali fattori di rischio per lo sviluppo fetale di patologie ereditarie. Molto importante è l’anamnesi materna relativa a pregressi casi di idrope fetale o di ittero neonatale, ad affezioni potenzialmente implicate nella genesi di questa patologia, all’utilizzo di farmaci anemizzanti per il feto o a recenti pregresse infezioni gravidiche. L’approfondimento diagnostico avviene attraverso la ricerca sierica di alcuni parametri e l’utilizzo di alcuni test ematici: – test di Coombs: ci consente di escludere un’isoimmunizzazione materna; – test di Kleihauer-Betke: valuta la quantità di eritrociti fetali nel circolo materno, quindi ci permette di diagnosticare l’eventuale presenza di un’emorragia feto-materna; – elettroforesi dell’emoglobina: indaga sulla presenza di alfa-talassemia; – dosaggio sierico di G6PD e piruvato kinasi: per fare diagnosi delle sindromi dovute al loro deficit; – test di tolleranza al glucosio: alterato nel diabete; – dosaggio su siero dell’α-fetoproteina: elevata nei difetti del tubo neurale, in corso di infezione da parvovirus B19 e di nefrosi del Finnish; – test sierologici per agenti infettivi: CMV, parvovirus B19, sifilide, toxoplasma, HBV; – funzionalità epatica e albumina. La positività di uno o più dei predetti test, soprattutto per quanto attiene a quelli infettivologici, richiede la ricerca degli agenti morbigeni nel compartimento fetale mediante tecniche invasive di diagnosi prenatale.
Metodiche invasive
Fig.19.8. Ecocardiografia di feto con tachicardia sopraventricolare ed idrope
Le tecniche invasive che possono essere utilizzate sono: l’amniocentesi e la cordocentesi. Esse ci consentono di effettuare diagnosi di malattie geniche e cromosomiche e risultano molto utili per la ricerca di agenti infettivi e per la misurazione della pressione venosa ombelicale (vedi Capitolo 4) [7, 8, 43].
Capitolo 19 • Idrope fetale non immunologica • M.E.Pietrolucci,L.Brienza,D.Arduini
Inoltre, dal rilevamento della pressione venosa ombelicale si può pervenire, dopo correzione per la pressione diretta del liquido amniotico, alla pressione venosa centrale del feto; pertanto la cordocentesi è uno strumento che consente facilmente di discriminare l’idrope da cause cardiogene da quella dovuta a cause diverse da questa. Valori di pressione venosa ombelicale nei limiti della norma, infatti, ci permettono di escludere l’implicazione, nella genesi della NIHF, di un’alterazione cardiaca, la quale è invece confermata da un aumento del valore pressorio stesso.
TERAPIA Data la molteplicità delle cause dell’NIHF [44] non può essere univoco il trattamento terapeutico, ma si può certamente affermare che l’approfondimento diagnostico e i progressi terapeutici, sia in campo medico che chirurgico, hanno apportato dei miglioramenti nell’outcome di questa patologia. Specifiche terapie mediche sono disponibili per quanto attiene alle malattie infettive (penicillina nella sifilide, acyclovir nell’Herpes simplex, spiramicina nella toxoplasmosi) e nell’ambito delle aritmie cardiache (digitale, propanololo, verapamil per via transplacentare); nei casi più gravi sarà necessario ricorrere a trattamenti invasivi quali la trasfusione endouterina, l’amnio-riduzione nell’eventualità di polidramnios, l’applicazione di shunt toracoamniotico, la toracentesi e la lobectomia fetale per la cura della patologia polmonare [11, 19, 32, 35]. L’interruzione della gravidanza è l’unico tipo di intervento del quale una coppia può disporre, qualora lo voglia considerare e compatibilmente all’epoca gestazionale, nei casi in cui non si abbia la possibilità di attuare terapie specifiche, né intrautero né sul neonato, come nel caso di feti portatori di malattie cromosomiche.
PROGNOSI Per poter formulare una corretta valutazione prognostica, non si può prescindere dal considerare: l’eziopatogenesi della NIHF (quando conosciuta), l’epoca gestazionale nella quale è insorta, il grado di maturità fetale, le prospettive terapeutiche in relazione ad essa e l’eventuale insorgenza delle complicanze [45, 46].
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La prognosi della NIHF è tra le più sfavorevoli, essendo associata ad un indice di mortalità fetale compreso tra il 50% ed il 90% [43], ma può essere migliorata in modo netto da una corretta diagnosi e dalla possibilità di effettuare terapie mediche e chirurgiche specifiche. Un dato di recente riscontro [45] è che gli indici prognostici riflettono le differenze eziologiche dell’idrope tra il periodo antecedente le 24 settimane di gestazione e quello successivo; in particolare l’outcome è sfavorevole in presenza di aneuploidie, tanto è vero che feti idropici in età gestazionale precoce e con cariotipo normale vanno spesso incontro a risoluzione spontanea entro la 24ª settimana; escluse quindi le patologie genetiche, il tasso di sopravvivenza fetale non diverge significativamente nei due periodi gestazionali. Per questo motivo un attento counseling parentale ed una diagnosi precoce puntuale ed accurata, potrebbero influenzare in maniera notevole la prognosi della NIHF. A prescindere dall’eziopatogenesi, ad alcuni segni è stato attribuito un valore prognostico indipendente: il versamento pleurico è associato agli indici di prognosi in assoluto peggiori in relazione all’ipoplasia polmonare che ne consegue; l’ascite associata a patologie metaboliche è a prognosi infausta; l’ipoproteinemia è in genere un indice di prognosi sfavorevole perché riflette un disturbo sistemico ormai ingravescente, così come è sfavorevole il quadro di polidramnios perché espressione comune di perdita proteica fetale nel liquido amniotico [28, 43].
CONCLUSIONI La diagnosi di idrope fetale, pone sempre il medico di fronte ad un caso a prognosi severa. Un approccio di tipo multidisciplinare si rende necessario soprattutto per quanto attiene al management. Ad oggi, sono disponibili terapie intrauterine risolutive solo per una minoranza di patologie responsabili dell’idrope fetale non immunologica. Consulenza genetica e informazioni dettagliate alla coppia circa l’entità del danno fetale, le possibilità terapeutiche e l’outcome fetale, possono indirizzare i genitori verso scelte consapevoli circa le varie possibili opzioni relative all’ulteriore evoluzione della gravidanza.
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
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CAPITOLO 20
Diabete mellito e gravidanza A.L. Borrelli • C. Ferrara • P. Borrelli
DEFINIZIONE Il diabete mellito è una sindrome endocrino-metabolica caratterizzata da iperglicemia secondaria ad un deficit assoluto o relativo di insulina (quest’ultimo spesso associato ad insulino-resistenza); ne consegue una marcata alterazione del ricambio (glicidico, protidico, lipidico e idrosalino) che si associa ad una tipica microangiopatia evidente soprattutto a livello retinico e renale [1].
CLASSIFICAZIONE Priscilla White più di 50 anni or sono (1949) ha distinto il diabete in più classi in base all’età di insorgenza della malattia, alla durata della stessa e all’entità delle complicanze vascolari. Tabella 20.1. Classificazione White-Pedersen 1978 Classe A Classe B Classe C Classe D Classe E Classe F Classe G Classe H Classe R Classe FR Classe T
Ridotta tolleranza glucidica senza sintomi, diabete chimico (diet only) Insorgenza dopo i 20 anni,durata <10 anni, assenza angiopatie Insorgenza tra 10 e 19 anni,durata tra 10 e 20 anni, assenza angiopatie Insorgenza prima dei 10 anni,durata >20 anni, segni iniziali di angiopatia Evidenza radiologica di calcificazione dei vasi pelvici Nefropatia (proteinuria>500 mg/l,creat.>2 mg/dl) Anamnesi positiva per aborti ripetuti Cardiopatia aterosclerotica clinicamente evidente Retinopatia o emorragia del vitreo F+R Precedente trapianto renale
Tale classificazione, successivamente modificata da altri autori, se pur superata per molti aspetti, rimane valida specialmente per quanto attiene alla prognosi e al “management” (Tabella 20.1). La National Diabetes Data Group (NDDG) americana ha proposto nel 1979 una classificazione [2] della malattia basata sulla dipendenza dalla terapia insulinica e su fattori eziologici; sono stati distinti: – Diabete tipo I, autoimmune o insulino dipendente (IDDM, Insulin Dipendent Diabetes Mellitus). Questi pazienti necessitano di terapia insulinica per prevenire la chetoacidosi. – Diabete tipo II, non autoimmune, della maturità o non insulino dipendente (NIDDM, Non Insulin Dipendent Diabetes Mellitus). Taluni soggetti, tuttavia, per gravi iperglicemie possono sviluppare chetoacidosi e necessitare transitoriamente di terapia insulinica. – Diabete gestazionale (GDM, Gestational Diabetes Mellitus). Ridotta tolleranza al glucosio insorta o diagnosticata per la prima volta in gravidanza. – Diabete secondario (a sindromi genetiche, a trattamenti farmacologici, a patologie endocrine, a patologie pancreatiche, ecc.). – Ridotta tolleranza al glucosio (Tabella 20.2). Di recente è stata formulata una nuova classificazione eziologica del diabete mellito dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) e dall’American Diabetes Association [3] che non si diversifica molto dalla precedente (Tabella 20.3). In pratica, dal punto di vista ostetrico, le gravidanze complicate da diabete si possono distiguere in 2 gruppi: – quelle nelle quali il diabete preesisteva alla gravidanza (diabete pregravidico comprendente il tipo I e II); – quelle in cui il diabete è stato diagnosticato per la prima volta in gravidanza (diabete gestazionale).
384
Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
Tabella 20.2. Classificazione del diabete proposta dal NDDG Nomenclatura
Caratteristiche Può manifestarsi in ogni età,anche se più di frequente in età infantile o adolescenziale (<20 anni) Funzionalità β-cellulare ridotta o assente
Diabete tipo I (autoimmunitario) Insulino dipendente (IDDM) Diabete tipo II (su base genetica) Non insulino dipendente (NIDDM):senza obesità,con obesità Insulino dipendente transitorio MODY (Maturity Onset Diabetes of the Young)
Può manifestarsi in ogni età,anche se più di frequente in età adulta (>40 anni) Funzionalità β-cellulare normale,elevata o ridotta Presente insulino-resistenza
Diabete gestazionale (GDM)
Si manifesta per la prima volta in gravidanza Ridotta tolleranza gestazionale al glucosio
Diabete secondario
Secondario a: Patologie endocrine (acromegalia,s.di Cushing,ecc.) Trattamenti farmacologici (analgesici,diuretici,ecc.) Malattie pancreatiche (pancreatite,ca.pancreatico,ecc.) Sindromi genetiche (es.glicogenosi,fibrosi cistica)
Ridotta tolleranza glicidica
Normale glicemia a digiuno Curva da carico intermedia tra euglicemia e diabete Predisposizione al diabete
Tabella 20.3. Classificazione eziologica del diabete mellito formulata dall’OMS e American Diabetes Association Tipo di diabete Diabete mellito di tipo 1 a.immunomediato b.idiopatico
Descrizione Distruzione delle β-cellule che determina un deficit assoluto di insulina
Diabete mellito di tipo 2
Resistenza all’insulina e deficit di insulina di grado variabile
Diabete gestazionale
Inizio o riconoscimento dell’intolleranza al glucosio durante la gravidanza
Altri tipi specifici: Difetti genetici della funzione β-cellulare Diabete associato a malnutrizione
MODY Malnutrition-related diabetes mellitus (MRDM,nei paesi tropicali); diabete pancreatico fibrocalcoloso
Sindromi con insulino-resistenza
Alterazioni della molecola dell’insulina,del suo recettore,dei meccanismi post-recettoriali (sindromi lipodistrofiche)
Intolleranze transitorie al glucosio
Può essere indicativo di diabete latente (durante infezioni/traumi o reperto occasionale); vi è familiarità? o evidenza di autoimmunità?
Diabete secondario
Fibrosi cistica,pancreatite,talassemia,cistinosi post-infettiva (rosolia,CMV);indotta da farmaci
Associato con malattie/sindromi
1.Geniche (DIDMOAD,Prader-Willy,distrofia miotonica,atassia di Friedreich) 2.Cromosomiche (Down,Turner) 3.Altri disordini endocrini (tiroide,surrene,acromegalia,ecc.)
Diabete ereditario materno e sordità (MIDD)
Trasmesso con il DNA mitocondriale e associato occasionalmente ad anomalie renali,acidosi lattica,episodi ictali
Diabete neonatale
Generalmente transitorio (è stata descritta disomia paterna uniparentale) può essere permanente (agenesia pancreatica con difetto del gene IPF1)
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Capitolo 20 • Diabete mellito e gravidanza • A.L.Borrelli,C.Ferrara,P.Borrelli
EZIOPATOGENESI Nel diabete tipo I sono coinvolti fattori genetici (antigeni di istocompatibilità di classe II: DR3, DR4 e DQw8), fattori immunitari [cellulari (linfociti B, linfociti T attivati) e umorali (auto-anticorpi)] e fattori esogeni di natura virale (rosolia, CMV, Coxackie, ecc.) o di natura chimica (proteine del latte vaccino,nitrosamine,ecc.).Questi ultimi sono capaci di scatenare, in soggetti geneticamente predisposti, una insulite nel corso della quale le cellule β insulari formerebbero antigeni in grado di innescare reazioni autoimmunitarie antiinsulari [4]. La sequenza patogenetica del diabete di tipo I può essere così riassunta: predisposizione genetica→insulto ambientale→distruzione autoimmunitaria delle cellule β→diabete mellito. Nel diabete tipo II esiste una predisposizione genetica di natura non ancora ben definita (autosomica dominante in taluni casi, autosomica recessiva in altri). I portatori di NIDDM presentano accanto all’iperglicemia due caratteristiche particolari: una secrezione insulinica anormale e una resistenza all’insulina nei tessuti bersaglio. La malattia evolve in più fasi. In una prima fase la glicemia è normale con elevati livelli di insulina segno della insulino-resistenza; nella seconda fase si assiste ad un aumento della resistenza all’insulina con progressivo peggioramento della tolleranza al glucosio e conseguente iperglicemia post-prandiale; nella terza fase, permanendo elevata la resistenza all’insulina, si assiste ad una riduzione della secrezione insulinica con iperglicemia a digiuno e diabete conclamato. La maggior parte delle pazienti con NIDDM è obesa; l’obesità di per sé, infatti, può indurre insulino-resistenza. Circa la variante MODY, che si manifesta con lieve iperglicemia in giovani resistenti alla chetosi, l’ereditarietà è di tipo autosomico dominante. Di questa variante si conoscono numerosi sottogruppi, ma i più frequenti sono tre (MODY 1-2-3) dovuti a tre mutazioni genetiche differenti localizzate rispettivamente nel braccio lungo del cromosoma 20, in quello corto del cromosoma 7 e nel braccio lungo del cromosoma 12. Il diabete di tipo II è più frequente nel sesso femminile e soprattutto nelle pluripare. La malattia, prima di manifestarsi in maniera evidente, può evolvere attraverso più stadi: prediabete, diabete potenziale, latente, chimico e clinico [5]. Il diabete gestazionale (GDM) comprende “le forme di intolleranza al glucosio insorte o diagnosticate per la prima volta in gravidanza”. Diverse situazioni metaboliche possono rientrare in questa definizione che prescinde dal fatto che la condizione persista dopo la gravidanza e non esclude che sia ad essa antecedente. A tal proposito J.W. Hare ha elaborato una classificazione del GDM in più tipi: tipo II incipiente, tipo II preesistente, tipo I incipiente e tipo I appena manifesto [6].
La possibilità di gran lunga più frequente è che il diabete di tipo II incipiente, quindi in fase di latenza, sia reso manifesto dalle esigenze metaboliche della gravidanza. È questo il diabete gestazionale “vero” clinicamente asintomatico che insorge nella seconda metà della gravidanza. La seconda possibilità, in termini di frequenza, è che il GDM si identifichi con un diabete tipo II preesistente, ma non ancora diagnosticato. In tal caso esso verrà messo in evidenza più precocemente già durante il primo trimestre in occasione dei primi controlli ematochimici essendo le glicemie a digiuno già sospette o anomale. Questa situazione non regredisce dopo il parto. La terza possibilità è che il diabete tipo I in fase di latenza venga slatentizzato dalla gravidanza in un momento in cui il deficit secretivo β-insulare è ancora lieve. Anche questo diabete, che pur si manifesta per la prima volta in gravidanza, può essere sospettato in occasione dei controlli ematochimici gravidici. La quarta possibilità, la più rara, è che il diabete tipo I e la gravidanza siano semplicemente coincidenti. In questo caso l’esordio è brusco e saranno interessate gestanti molto giovani. Tra i vari tipi di GDM formulati da Hare il “vero” diabete gestazionale è, come già detto, quello di tipo II incipiente che insorge tardivamente in gravidanza senza segni clinici e laboratoristici evidenti. Esso necessita, infatti, di un test di screening per evidenziarlo e regredisce dopo il parto quando l’assetto ormonale ritorna allo stato pregravidico. Tuttavia, poiché il difetto di secrezione β-insulare esiste, esso si slatentizza nel corso di eventuali successive gravidanze per trasformarsi in diabete tipo II persistente in media dopo 10-15 anni.
EFFETTI DELLA GRAVIDANZA SUL DIABETE E DEL DIABETE SULLA GRAVIDANZA Dall’uovo fecondato e successivamente dalla placenta vengono prodotti ormoni che riversati nel circolo materno influenzano in modo notevole il ricambio glicidico della gestante. Nelle prime 20 settimane la gonadotropina corionica (hCG) e gli elevati tassi di estrogeni e progesterone inducono iperplasia insulare con iperincrezione insulinica, onde aumentata utilizzazione periferica di glucosio cui consegue un abbassamento dei valori di glicemia a digiuno ed un aumento dei depositi di glicogeno nei tessuti periferici [7, 8]. Dopo la 20ª settimana e soprattutto nel III trimestre la gravidanza ha un “effetto diabetogeno” legato sia all’attività anti-insulare di taluni ormoni (lattogeno placentare, prolattina, cortisolo) che inducono insulino-resistenza e ridotta tolleranza glicemica, sia alla degradazione dell’insulina da parte di enzimi placentari. È per tali motivi che la gravidanza in-
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Tabella 20.4. Modificazione del metabolismo glicidico nella gravidanza fisiologica Modificazioni metaboliche nelle prime 20 settimane di gestazione Modificazioni ormonali ↑ Estrogeni ↑ Progesterone Iperplasia insulare → Iperincrezione insulinica → ↑ HCG Modificazioni metaboliche dopo la 20a settimana di gestazione Modificazioni ormonali ↑ HPL ↑ Cortisolo Insulino-resitenza → Ridotta tolleranza glicemica → ↑ Prolattina
fluisce negativamente sulla funzionalità insulare. Nella gravidanza fisiologica l’omeostasi glicidica è assicurata, in questa fase, da un aumento della quantità e velocità di secrezione dell’insulina (Tabella 20.4) [9, 10]. Ma se la gestante ha già una scarsa funzionalità pancreatica, si rendono manifeste forme di diabete latente, di prediabete o di diabete incipiente e si aggravano fino allo scompenso le forme di diabete pregravidico di tipo I e II con maggiore incidenza di complicanze quali: nefropatie, vasculopatie periferiche, neuropatie, infezioni urinarie, ecc. Il diabete influisce negativamente sia sull’evoluzione della gravidanza che sul prodotto del concepimento. Con maggior frequenza insorgono, infatti, complicanze quali: gestosi ipertensiva (l’iperglicemia sembra indurre incrementi proporzionali dell’angiotensina II), distacco intempestivo di placenta normalmente inserta, poliamnios (la poliuria fetale è secondaria alla iperglicemia), patologia infettiva urinaria e vaginale, ecc. In relazione al poliamnios e alla frequente macrosomia fetale aumenta l’incidenza di parto pretermine e possono insorgere inerzia uterina durante il travaglio e atonia nel postpartum (Tabella 20.5). Tabella 20.5. Effetti del diabete sulla gravidanza e sul parto ↑ Ipertensione indotta dalla gravidanza (PIH) ↑ Distacco intempestivo di placenta normalmente inserta ↑ Poliamnios ↑ Patologia infettiva urinaria e vaginale ↑ Parto prematuro ↑ Inerzia uterina in travaglio ↑ Atonia postpartum
Effetto ↑ Utilizzazione periferica di glucosio ↓ Tassi glicemici a digiuno Effetto Diabetogeno ↑ Tassi glicemici a digiuno
A carico del prodotto del concepimento la malattia può indurre l’insorgenza di danni notevoli che si concretizzano nell’embriopatia e fetopatia diabetica.
Embriopatia diabetica Lo squilibrio metabolico durante l’organogenesi si associa ad un aumentata incidenza di aborti spontanei (30% contro il 10% delle gravide non diabetiche) e di malformazioni embrio-fetali (6-10% contro il 3% dei controlli) che, generalmente, si ripetono nella stessa paziente in gravidanze successive (Tabella 20.6). Si è ipotizzato, a tal proposito, che l’iperglicemia aumenterebbe la produzione di radicali liberi e quindi di processi perossidativi che, soprattutto in soggetti geneticamente predisposti, influenzerebbero in modo negativo lo sviluppo embrio-fetale; determinerebbero effetti analoghi anche turbe del metabolismo dell’acido arachidonico [11-13]. Potenziale potere teratogeno avrebbero anche le crisi ipoglicemiche [14] onde la necessità di un buon controllo metabolico già nelle fasi iniziali della gravidanza. I difetti di prima formazione più frequenti sono quelli a carico del SNC (spina bifida, anencefalia) e quelli cardiaci (difetti settali); notevole è anche l’incidenza di malformazioni scheletriche, dell’ipoplasia polmonare, dell’arteria ombelicale unica e della cosiddetta sindrome di regressione caudale (agenesia del tratto terminale della colonna vertebrale associata a malformazioni ossee).
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Tabella 20.6. Effetti del diabete sul feto e sul neonato
Fetopatia diabetica Si manifesta nella seconda metà della gravidanza ed è caratterizzata da turbe dell’accrescimento fetale più spesso in eccesso (macrosomia) [15]. La turba metabolica incrementa il passaggio transplacentare di acidi grassi non esterificati (NEFA), di aminoacidi e soprattutto di glucosio onde iperinsulinemia fetale che aumenta l’utilizzo tessutale di glucosio ed aminoacidi e stimola la lipogenesi; si ha, quindi, ipersviluppo fetale somatico e viscerale con accumulo adiposo (parte del glucosio è, infatti,“depositato” nei tessuti sotto forma di lipidi e glicogeno) [16]. L’aumentato accrescimento non riguarda il cervello il cui sviluppo pre-
scinde dall’insulina poiché l’utilizzazione del glucosio è in questo organo insulino-indipendente [17]; l’iperinsulinemia riduce, invece, la formazione di surfactant (riduzione della biosintesi della lecitina e dei substrati glucidici necessari per la produzione di sostanze tensioattive) onde l’immaturità polmonare del macrosoma diabetico (Tabella 20.6). Il diabete materno,oltre che per le alterazioni endocrino-metaboliche suddette, influisce negativamente sul feto anche per i danni vascolari che induce a livello placentare (ispessimento dell’endotelio vasale,aumento dello spessore del trofoblasto, riduzione degli spazi intervillosi). Dette alterazioni vascolari determinano sempre uno stato di ipossia fetale.
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Nei casi più gravi (gestanti appartenenti alle classi F e H di White), essendo le alterazioni vascolari placentari molto marcate, con riduzione degli scambi gassosi e soprattutto nutritivi, si ha iposviluppo fetale e la placenta appare piccola e con estesi e diffusi infarti [18]. Nella maggior parte dei casi, poiché la turba metabolica non determina gravi lesioni vascolari, la placenta, edematosa e più voluminosa della norma, consente il passaggio di notevoli quantità di metaboliti onde l’ipersviluppo fetale che diviene clinicamente evidente dopo la 32ª-33ª settimana quando ne è possibile anche la conferma ecografica (circonferenza addominale >95° percentile, sproporzione tra circonferenza cefalica (CC) e circonferenza addominale (CA) con rapporto CC/CA<1, eccessivo incremento del diametro trasverso addominale rispetto al biparietale) [19]. Il feto macrosoma va incontro a notevoli complicanze sia nell’ultima parte della gravidanza che al momento del parto ed in epoca neonatale [16, 20]. Nelle ultime 4-6 settimane di gravidanza il macrosoma diabetico spesso muore improvvisamente in utero. Non sono chiare le cause di queste morti in condizioni di apparente benessere; hanno di certo importanza l’ipossia, le turbe metabolico-vascolari suddette e “l’ispissatio sanguinis” legata alla riduzione della componente liquida del sangue con conseguente possibilità di trombosi ed infarti. La macrosomia fetale in travaglio di parto può determinare accanto alla ricordata distocia dinamica (inerzia) anche distocie meccaniche (distocia di spalla) per cui alla sofferenza di base possono associarsi lesioni traumatiche da parto (Tabella 20.6) [21]. Alla nascita i macrosomi diabetici appaiono pletorici, di peso generalmente superiore ai 4 kg. Questi neonati presentano iperplasia del tessuto insulare pancreatico, cardiomegalia per l’ipertrofia e l’iperplasia delle fibre miocardiche (insulino-dipendenti) infarcite di lipidi e glicogeno, immaturità polmonare ed epatomegalia da immaturità enzimatica. Tutto ciò rende ragione del difficile adattamento di questi neonati alla vita extrauterina e delle numerose complicanze cui sono esposti con incremento della mortalità neonatale. Nel post-partum spesso insorgono crisi ipoglicemiche da iperinsulinismo (insorto durante la gravidanza per metabolizzare il glucosio in eccesso proveniente dal compartimento materno), asfissia per sofferenza intrapartum, disturbi dell’equilibrio elettrolitico (ipocalcemia, ipomagnesemia), dell’equilibrio acido-base e crisi cardiocircolatorie (ipotensione, collasso). Non meno frequenti sono, inoltre, il distress respiratorio da immaturità polmonare e l’iperbilirubinemia conseguente sia all’immaturità enzimatica epatica che alla policitemia secondaria all’ipossia tessutale (Tabella 20.6) [14, 16].
PROGRAMMAZIONE DELLA GRAVIDANZA NELLA PAZIENTE DIABETICA Nelle gestanti affette da diabete pregravidico, per ridurre l’incidenza di aborti spontanei e soprattutto di difetti congeniti (malformazioni cardiache e scheletriche, ipoplasia polmonare, ecc.) è opportuno iniziare già prima del concepimento la supplementazione con acido folico (4 mg/die) da continuare nelle prime 12 settimane di gestazione [22]. In queste pazienti con diabete di tipo I e II è, tuttavia, opinione comune che sia indispensabile una programmazione personalizzata della gravidanza [23]. Quindi, risulta essenziale un counseling pregravidico presso centri specializzati dove la donna diabetica possa apprendere e mettere in atto misure correttive circa le proprie abitudini alimentari, riducendo o annullando anche l’eventuale consumo di sigarette e/o alcool, così da assumere uno stile di vita consono a quanto stabilito dall’igiene della gravidanza. Un buon controllo glicemico durante la gestazione e particolarmente durante la fase organogenetica costituisce la premessa necessaria perché la gravidanza possa evolvere senza complicanze né per la madre né per il prodotto del concepimento. L’obiettivo fondamentale del programma è, tuttavia, la realizzazione già prima del concepimento di un buon controllo glico-metabolico (60-100 mg/dl a digiuno, <140 mg/dl postprandiale ed una percentuale di emoglobina glicata <6%) da mantenere successivamente durante tutta la gravidanza.
SCREENING DEL DIABETE MELLITO GESTAZIONALE (GDM) Per il diabete preconcezionale (tipo I e II) il problema diagnostico non si pone in quanto le gravide affette ne sono a conoscenza già prima dell’inizio della gravidanza. Importante è invece lo screening per il diabete gestazionale (GDM) che, come già detto, è una forma di intolleranza al glucosio che si manifesta per la prima volta durante la gravidanza. I dati epidemiologici indicano che il GDM è una patologia molto frequente infatti il 90% circa dei casi di diabete mellito che complica la gestazione è costituito dal GDM [20, 21]. Questa ridotta tolleranza ai carboidrati interessa prevalentemente le gestanti >35 anni, risultando poco frequente sotto i 25 anni. Data la notevole frequenza di questa subdola affezione (i valori glicemici a digiuno sono spesso normali) è di rilevante importanza lo screening del diabete gestazionale anche in considerazione del fatto che il 50% delle gravide con GDM svilupperà un diabete conclamato nei 15 anni successivi al parto [24, 25]. Lo screening si effettua mediante un test da carico
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con 50 grammi di glucosio (minicarico di glucosio o OGCT - Oral Glucose Challenge Test), determinando la glicemia basale e 60 minuti dopo l’assunzione del minicarico. Detto test va effettuato in relazione alla categoria di rischio secondo le raccomandazioni del IV International Workshop-conference on gestational diabetes mellitus del 1997. Nelle gestanti a basso rischio (Tabella 20.7) il test di screening non è indicato.
Tabella 20.8. Caratteristiche delle gestanti ad alto rischio per il GDM Anamnesi personale Familiarità diabetica Ricorrenti infezioni urinarie Ricorrenti vulvovaginiti Obesità Precedente glicosuria
Anamnesi ostetrica Poliabortività Malformazioni fetali Pregressa mortalità fetale Poliamnios Prematurità Pregresso GDM Macrosomia fetale
Tabella 20.7. Caratteristiche delle gestanti a basso rischio per il GDM Non familiarità diabetica Età <25 anni Normale peso pregravidico Normale incremento ponderale in gravidanza Anamnesi negativa per squilibri del metabolismo glicidico Anamnesi negativa per esiti ostetrici sfavorevoli
Le gestanti con glicemia ≥140 mg/dl ad un’ora dalla somministrazione del minicarico sono considerate positive al test di screening e vanno sottoposte a curva da carico con 100 g di glucosio OGTT (Oral Glucose Tollerance Test) per la diagnosi di GDM [26-28]. Le gestanti con due o più valori glicemici uguali o superiori ai cut-off stabiliti sono da considerare affette da GDM (Tabella 20.9). Tabella 20.9. Criteri diagnostici per OGTT 100 g
Il minicarico da praticarsi a digiuno è, invece, raccomandato tra la 24ª e la 28ª settimana nelle gravide a medio rischio (gestanti mancanti di almeno una delle caratteristiche che identificano il basso rischio); nelle gestanti ad alto rischio (Tabella 20.8) il test va anticipato tra la 14ª e la 16ª settimana. La sensibilità e specificità del test sono valutabili intorno al 90%. Tabella 20.10. Screening del GDM:modalità e management
OGTT* 100 g glucosio (mg/dl) nel plasma venoso 0 min 95 60 min 180 120 min 155 180 min 140 *Diagnosi di diabete gestazionale se 2 o più valori sono maggiori o uguali a quelli indicati
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Le pazienti ad alto rischio per il GDM sottoposte a minicarico di glucosio nelle prime fasi della gravidanza (14ª-16ª settimana) con esito negativo (glicemia ad un’ora dal test <140 mg/dl) vanno ulteriormente “analizzate” a 24 settimane in quanto la negatività del test effettuato precocemente non esclude una successiva insorgenza del GDM (Tabella 20.10).
GESTIONE DELLA GRAVIDA DIABETICA La gestione clinica della gravida diabetica (tipo I e II), per la molteplicità delle complicanze preesistenti o che possono insorgere nel corso della gravidanza, deve essere condivisa da un team multidisciplinare che comprenda, oltre l’ostetrico e il diabetologo, anche il cardiologo, il nefrologo e l’oculista. In passato la mortalità materna era del 30% e quella feto-neonatale raggiungeva il 60%; attualmente, normalizzando la glicemia materna, si è scesi a tassi di mortalità perinatale del 2,5% [29, 30]. Il trattamento ha l’obiettivo primario di regolarizzare la glicemia e di riequilibrare il metabolismo della gestante; ciò può essere ottenuto, associando alla dieta ipoglicidica1 [31] il trattamento insulinico. La modulazione e la personalizzazione del trattamento insulinico sono di stretta competenza del diabetologo che, in base ai tassi di emoglobina glicata e all’autocontrollo glicemico (da effettuarsi a cura della gestante con cadenza prestabilita più volte nella giornata utilizzando reflettometri), potrà stabilire non solo la dose, ma anche il tipo di insulina (pronta, lenta o semilenta) da utilizzare. Nel caso in cui nonostante il rispetto della dieta prescritta ed il trattamento insulinico non si riesca ad ottenere un adeguato controllo glicemico è indicato il ricorso all’infusione sottocutanea continua di insulina mediante microinfusori (CSII, Continous Subcutaneous Insulina Infusion) da effettuarsi in ambiente ospedaliero. Sono evidentemente da proscrivere gli ipoglicemizzanti orali per il rischio di malformazioni. Per le gestanti con GDM risulta generalmente sufficiente instaurare un programma dietetico da 2.000-2.300 cal/die con la sola esclusione dei carboidrati semplici [32, 33]. Anche in questi casi è di fondamentale importanza l’autocontrollo glicemico quotidiano che verifichi il successo del programma dietetico, essendo generalmente
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necessario ricorrere all’insulina solo quando la glicemia a digiuno superi i 105 mg/dl e/o i tassi glicemici a due ore dai pasti principali eccedano i 120 mg/dl, in più occasioni distinte [32, 33]. Possono essere seguite ambulatorialmente le gestanti nelle quali il trattamento praticato (solo dietetico o dietetico-farmacologico) abbia conseguito l’obiettivo di un riequilibrio dei tassi glicemici. Diviene necessaria l’ospedalizzazione quando il predetto obiettivo non viene raggiunto per scarsa dimestichezza con l’automonitoraggio o per l’inosservanza delle prescrizioni terapeutiche da parte delle pazienti. La presenza di complicanze, soprattutto vascolari (renali o retiniche), richiedono ovviamente controlli e assistenza specialistica.
MONITORAGGIO MATERNO-FETALE DELLA GRAVIDANZA DIABETICA Obiettivo primario del monitoraggio ostetrico è quello di prevenire e/o diagnosticare precocemente le eventuali complicanze materno-fetali che tale patologia può comportare. È assolutamente necessario, quindi, un controllo assiduo e continuo delle condizioni feto-materne. Il monitoraggio dovrà essere intensivo essendo la gravidanza in soggetto diabetico da considerare ad alto rischio. Dovrà essere innanzitutto effettuata la datazione ecografica della gravidanza determinando tra la 9ª e la 11ª settimana la misura del CRL (Crown-Rump-Lenght) il che consente di stabilire con esattezza l’età gestazionale e quindi anche di determinare il termine cronologico della gravidanza. Lo screening combinato delle cromosomopatie (NT+biochimica del I trimestre) e la determinazione dell’osso nasale fanno parte del normale iter degli esami da praticare in gravidanza (vedi Capitolo 5). Anomalie della NT, oltre che marker di anomalie cromosomiche, possono rivelarsi quali segni ecografici precoci di eventuali cardiopatie la cui incidenza è nettamente aumentata nei nati da madre diabetica. Da molti autori è stato proposto lo screening ecografico alla 16ª-18ª settimana per l’identificazione di malformazioni quali la agenesia sacrale e i difetti del tubo neurale già rilevabili a questa epoca della gravidanza [34]. Tra la 20ª e la 22ª settimana va eseguita l’ecografia morfologica [34] per la ricerca di malformazioni mag-
Una dieta ipoglicidica equilibrata deve mantenere un giusto apporto calorico nell’arco dell’intera giornata. La prescrizione e la composizione della dieta, di competenza del diabetologo, generalmente va suddivisa in tre pasti principali e alcuni spuntini e deve prevedere 50% di carboidrati, 30% di grassi prevalentemente vegetali e 20% di proteine.
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giori (scheletriche, genito-urinarie, gastrointestinali, ecc.), di anomalie volumetriche del liquido amniotico e di eventuali alterazioni flussimetriche delle arterie uterine. Nello stesso periodo è opportuno un accurato controllo ecografico del cuore fetale (ecocardiografia fetale) (vedi Capitolo 22). Anomalie dell’accrescimento fetale potranno evidenziarsi soprattutto a partire dalla 30ª settimana mediante la determinazione della circonferenza addominale rapportata a quella cranica, del diametro biparietale, del diametro trasverso addominale e della lunghezza del femore. Di non minore importanza per il controllo delle condizioni fetali saranno, accanto ai successivi rilievi ecografici, quelli cardiotocografici e flussimetrici da effettuare con cadenza settimanale dopo la 30ª settimana (Tabella 20.11). In presenza di NST non reattivi sarà utile determinare il profilo biofisico fetale (vedi Capitolo 22) (Tabella 20.12) [35-37].
Tabella 20.11. Monitoraggio della gravida diabetica Fino alla 30a settimana di gravidanza Ecografia 9-11 settimane datazione gravidanza controllo della crescita fetale studio anatomia fetale a a screening combinato 12 -13 settimana Ecografia 16/18 settimane screening precoce malformazioni fetali Ecografia 20-22 settimane+ screening malformazioni maggiori flussimetria arterie uterine screening ipertensione gestazionale Ecocardiografia fetale Controlli clinici e di laboratorio visita e controlli ematochimici mensili delle condizioni materne controllo funzionalità placentare e renale visita oculistica e controllo fondo oculare Dopo la 30a settimana di gravidanza Ecografia+flussimetria ogni settimana fino al parto versante fetale Cardiotocografia (NST) ogni settimana a partire dalla 30a settimana Profilo biofisico in caso di NST non reattivo
Tabella 20.12. Management dopo la 30ª settimana nella gravidanza complicata da diabete mellito
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Le condizioni materne vanno assiduamente monitorate mediante controlli clinici mensili e periodici esami ematochimici così da tenere sotto controllo non solo i valori glicemici e l’incremento ponderale, ma anche tutti i parametri correlati alle possibili complicanze gravidiche (gestosi, infezioni urinarie, vasculopatia coronarica, ecc.).
TIMING E MODALITÀ DEL PARTO La scelta del timing del parto dipende dalla gravità della turba metabolica, dall’evoluzione della gravidanza e dalle condizioni fetali [38]. Appare in ogni caso utile il ricovero della gravida diabetica 7-10 giorni prima della data presunta del parto. L’insorgenza di complicanze quali: gestosi ipertensiva, nefropatie, pielonefrite, chetoacidosi, ecc., rende necessaria l’ospedalizzazione della gestante indipendentemente dall’epoca gestazionale. Nei casi più gravi quando è difficile raggiungere l’equilibrio glicemico e le condizioni fetali non sono rassicuranti (macrosomia, sofferenza fetale) è utile estrar-
re il feto mediante TC elettivo tra la 36ª e la 38ª settimana per ridurre i rischi di morte fetale in utero, essendo già in tale epoca diminuiti quelli da distress respiratorio. Evidentemente in presenza di grave compromissione fetale e/o materna va preso in considerazione il parto cesareo anche prima della 36ª settimana. Se l’urgenza non è immediata, per facilitare la maturità polmonare, sarà utile in questo caso la somministrazione di corticosteroidi associata ad un incremento temporaneo del trattamento insulinico. Se la turba metabolica materna è, invece, ben compensata e le condizioni fetali sono buone, è possibile far giungere la gravidanza a termine. Circa le modalità del parto si deciderà caso per caso. Nelle pluripare, in assenza di macrosomia, è possibile il parto per le vie naturali. Nelle nullipare, invece, quando il parto per le vie naturali non appare agevole e/o quando si prevedono complicanze è preferibile il TC elettivo [30, 38]. Appare evidente l’importanza di una preventiva ed esauriente informazione del neonatologo circa la patologia materna in considerazione dei possibili e molteplici rischi neonatali.
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CAPITOLO 21
Sorveglianza della gravidanza D. Arduini • I. Oronzi • G. Barraco • R. Mastrangeli
PRIMO TRIMESTRE Prima visita Per porre diagnosi di gravidanza il primo test da effettuare è un test immunologico (5ª-6ª settimana di amenorrea) per la ricerca della β-hCG nelle urine o nel siero materno. Se il test risulta positivo, quindi in caso di accertamento della gravidanza, è di fondamentale importanza la visita ostetrica. La prima visita in gravidanza di solito richiede più tempo rispetto alle altre per effettuare un’attenta anamnesi e per stabilire, conseguentemente, se la gravidanza può essere considerata fisiologica, o se, al contrario, si deve classificare a rischio. Questo si può ottenere attraverso l’utilizzo di un semplice schema proposto dal WHO che prevede 18 domande a risposta binaria (sì/no) [1]: Anamnesi ostetrica 1. precedente morte endouterina fetale o neonatale, 2. storia di tre o più aborti spontanei; 3. precedente figlio con peso alla nascita <2500 g; 4. precedente figlio con peso alla nascita >4500 g; 5. ipertensione o preeclampsia/eclampsia nella precedente gravidanza; 6. pregressa chirurgia dell’apparato riproduttivo(miomectomia, ecc.). Gravidanza attuale 1. gravidanza multipla; 2. età materna <16 anni; 3. età materna >40 anni; 4. isoimmunizzazione Rh nell’attuale o precedente gravidanza; 5. perdite ematiche vaginali; 6. presenza di massa pelvica; 7. pressione diastolica uguale o maggiore a 90 mmHg.
Anamnesi generale 1. diabete mellito insulino dipendente; 2. patologia renale; 3. patologia cardiaca; 4. abuso di sostanze; 5. altre patologie. Questo tipo di visita andrebbe effettuata entro la 12ª settimana, ma la stessa metodologia va comunque seguita per tutte le donne in gravidanza che giungono al primo controllo, qualsiasi sia l’età gestazionale. Per quanto riguarda il management delle gravidanze cosiddette “a basso rischio”, è necessario precisare che non esiste un numero preciso di visite da effettuare; infatti, non esistono prove che un alto numero di visite diminuisca il rischio di complicazioni durante la gravidanza. Una riduzione da 13-14 visite a 5-8 visite non è associata ad un aumento di esiti negativi, e lo stesso risultato si ha fino ad un numero di 4 visite totali [2]. C’è da precisare, però, che per una maggiore soddisfazione della donna, che potrebbe sentirsi non adeguatamente seguita, in un periodo per lei di alto stress psichico, sarebbe più utile eseguire dalle 5 alle 8 visite durante tutta la gravidanza. Dopo l’identificazione dei fattori di rischio mediante l’anamnesi familiare, ostetrica e ginecologica, sarà indispensabile effettuare un esame obiettivo e rilevare peso e altezza della paziente, necessari per valutare l’indice di massa corporea (Body Mass Index - BMI - pari al rapporto tra peso della paziente e quadrato della sua altezza). Infatti, a seconda del BMI della paziente, dovrebbe cambiare l’aumento ponderale durante la gravidanza. Se la gestante presenta un BMI inferiore a 19,8 l’incremento dovrebbe essere compreso tra 12,5 e 18 kg; in caso di BMI compreso tra 19,8 e 26 l’incremento ponderale dovrebbe essere di 11,5-16 kg; se il BMI è compreso tra 26 e 29 l’aumento di peso dovrebbe essere di 711,5 kg; infine, in caso di BMI maggiore di 29, la donna
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non dovrebbe aumentare il proprio peso più di 7 kg. A questo proposito è utile consigliare alla paziente il giusto tipo di alimentazione da assumere durante la gravidanza: giornalmente, infatti, è necessario assumere circa 60 g di proteine, a discapito dei carboidrati e dei grassi. Sono raccomandabili, quindi, 3-4 porzioni di derivati del latte, 2-3 porzioni di carne, pesce o uova, 3 di frutta, 4-5 di verdura o ortaggi, 7-8 di cereali e legumi. Oltre all’aumento ponderale, è importante il peso pregravidico della gestante: donne che prima della gravidanza pesano più di 90 kg, infatti, presentano un rischio quadruplo di insorgenza di ipertensione gestazionale rispetto alle donne che pesano meno di 90 kg, e un rischio superiore di una volta e mezzo di sviluppare un diabete gestazionale. Inoltre, durante la prima visita è utile un controllo della pressione arteriosa, auscultare cuore e torace e valutare le condizioni dello sviluppo uterino e del suo stato, attraverso un esame addominale. In genere l’esplorazione vaginale va effettuata solo durante la prima visita, e deve valutare le condizioni del collo uterino, includendo l’esecuzione del PAP-test, se la donna non ne è stata sottoposta nei 36 mesi precedenti, e l’identificazione dell’esistenza di malattie sessualmente trasmesse.
Esami di laboratorio Durante la prima visita, verranno richiesti gli esami da effettuare: – gruppo sanguigno e fattore Rh. – Test di Coombs indiretto: permette di scoprire la presenza di anticorpi anti Rh nel sangue materno. Se la donna è Rh negativa va effettuato ogni mese. – Emocromo completo e conta piastrinica: una particolare attenzione va posta oltre che al numero di globuli rossi e globuli bianchi al tasso di emoglobina (importante per definire una eventuale condizione di anemia). – Glicemia: per riconoscere una eventuale alterazione del metabolismo glucidico. – TPHA: test sierologico per la ricerca di anticorpi diretti contro il Treponema pallidum, microrganismo responsabile della sifilide, malattia sessualmente trasmessa. – Toxo-test: esame per accertare la presenza di anticorpi anti-toxoplasma. La toxoplasmosi è un’infezione materno-fetale che, se contratta nelle prime dieci settimane di gravidanza, aumenta il rischio di aborto, mentre se contratta più tardivamente (dalla 10a alla 24a settimana) comporta il rischio di trasmissione verticale (nel 25% dei casi), a causa della quale si possono verificare gravi lesioni fetali (cir-
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ca nella metà dei casi di trasmissione fetale). L’infezione contratta nel terzo trimestre, invece, nel 90% dei casi non comporta infezione apparente. Rubeo-test: test per valutare la presenza di anticorpi anti-rosolia. Una settimana dopo il contagio si ha una fase viremica, durante la quale può infettarsi la placenta e il concepito (il rischio di trasmissione decresce con il progredire della gravidanza), con alto rischio di gravi malformazioni embriofetali (vedi Capitolo 16). CMV test: ricerca di anticorpi anti-citomegalovirus (se trasmesso al feto anche questo virus può causare molteplici lesioni fetali). Test HIV. Esame delle urine: esame chimico, fisico e microscopico per diagnosticare precocemente patologie renali e/o infezioni urinarie. Screening del I trimestre [3-6]: un importante metodo di screening per patologie cromosomiche fetali, da eseguire in questa epoca gestazionale (preferibilmente all’11ª settimana) è il cosiddetto bi-test, che consiste nella valutazione, nel siero materno, dei due markers free-β-hCG e PAPP-A (proteina plasmatica A associata alla gravidanza). Associando al dosaggio di questi ormoni l’età materna, l’epoca gestazionale e la valutazione ecografica della translucenza nucale (test combinato), aumenta la sensibilità del test di screening per le cromosomopatie (vedi Capitoli 5 e 12).
Prima ecografia Un ruolo importante nel primo trimestre è quello rivestito dall’esame ecografico, che va effettuato tra l’8a e la 12a settimana. Mediante uno studio dettagliato, in questo periodo, delle strutture embrionarie ed extra-embrionarie, è possibile identificare precocemente l’eventuale presenza di alterazioni della sede d’impianto della camera gestazionale o di aree di distacco amniocoriali, e l’eventuale presenza di anomalie associate a difetti cromosomici. In effetti, la maggior parte dei feti affetti da cromosomopatie presenta anomalie che sono identificabili all’esame ecografico (NT aumentata, ecc.). Una volta identificate, può essere consigliabile l’analisi del cariotipo fetale mediante esami invasivi [7-9], come la villocentesi dopo la 10a settimana, la amniocentesi tra la 16ª e la 18ª settimana e la cordocentesi dopo la 20ª settimana (vedi Capitolo 4). Le indicazioni alla prima ecografia [10] comprendono: – la corretta datazione della gravidanza (è importante poiché costituirà un punto di riferimento per tut-
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ti gli esami successivi riguardanti la crescita del feto e la data presunta del parto). Il sospetto di gravidanza ectopica, di mola idatiforme o di massa pelvica. La valutazione del numero dei feti e, in caso di gravidanza gemellare, stabilire la corionicità e l’amnioticità. Il sospetto di aborto. La valutazione prima di una procedura diagnostica invasiva (villocentesi, ecc.). La misurazione della translucenza nucale, nell’ambito di un progetto di screening della sindrome di Down.
Per quanto riguarda la valutazione della biometria fetale, nel corso del primo trimestre si possono ricercare diversi parametri: 1. la lunghezza totale uterina (con un margine di errore di circa una settimana); 2. la media dei diametri della camera ovulare, che ha un accrescimento lineare di 1-1,5 mm al giorno e che non è influenzata dal grado di compressione vescicale (con un margine di errore di circa 4 giorni); 3. la lunghezza vertice-sacro (CRL=Crown-Rump Lenght) dell’embrione, il parametro più attendibile tra la 7ª e la 10ª settimana, che viene considerato, in quest’epoca gestazionale, come age predector della gravidanza (vedi Capitolo 1). Come già accennato, l’ecografia è un metodo utile per identificare precocemente e con notevole accuratezza la presenza di markers suggestivi di patologie quali la sindrome di Down o le trisomie 18 e 13 [4]. La sindrome di Down oggi presenta una incidenza di 0,9/1.000 nati vivi e costituisce la principale causa di ritardo mentale alla nascita, la sua prevalenza aumenta con l’aumentare dell’età materna. Inizialmente, infatti, i primi test di screening erano basati proprio sull’età materna. Al giorno d’oggi, sono stati identificati anche altri fattori di rischio, che vengono considerati nei test di screening per l’identificazione delle cromosomopatie. Per esempio, nel 1985 Benaceraff et al. [11] dimostrarono l’associazione tra l’ispessimento della plica nucale e la presenza di trisomia 21 nel secondo trimestre. In seguito furono proposti anche altri markers, allo scopo di identificare in epoca più precoce le pazienti con maggior rischio per questa anomalia cromosomica. Allo stato attuale i soft markers più importanti tra la 11ª e la 14ª settimana sono la modesta pielectasia renale, il focus iperecogeno intracardiaco, l’osso nasale, l’edema placentare e la non fusione tra membrana amniotica con il corion dopo la 14ª settimana. È comunque accertato e confermato da molti studi che il marker più
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importante per l’identificazione delle anomalie cromosomiche, anche in forma isolata, è la valutazione della translucenza nucale fetale (NT), ovvero la misura dello spessore della raccolta di fluido sottocutaneo a livello della nuca fetale tra la 11ª e la 14ª settimana di gestazione. Questo spessore nei feti aumenta nelle prime settimane di gravidanza per ridursi fino a scomparire dopo la 14ª settimana di gestazione, e quindi si rende non valutabile nel secondo e terzo trimestre. In base ad alcuni studi anatomo-patologici, alcuni autori fanno risalire l’aumentato spessore dell’NT ad anomalie cardiache (soprattutto a difetti del setto atrio-ventricolare e della parte perimembranosa del setto interventricolare), che spesso si risolvono in utero o durante il primo anno di vita. Secondo altri autori, invece, la causa sarebbe da attribuire ad una malformazione dei linfatici del collo che determinerebbe una congestione, con conseguente comparsa dell’edema (vedi Capitolo 5) [5-7].
Tecniche invasive Le tecniche invasive villocentesi, amniocentesi, ecc. (vedi Capitolo 4) devono essere consigliate solo alle donne che presentano un rischio di anomalie cromosomiche più alto della media: – donne di età maggiore ai 35 anni; – donne con un figlio precedente affetto da cromosomopatia; – genitore portatore di riarrangiamento strutturale dei cromosomi o familiarità per malattie genetiche; – diagnosi di sesso per malattie legate al cromosoma X; – familiarità per malattie congenite del metabolismo; – anomalie strutturali fetali all’esame ecografico; – test di screening positivo. Durante il primo trimestre di gravidanza, il più diffuso esame invasivo è rappresentato dal prelievo dei villi coriali, tecnica che consiste nel prelievo di un campione di tessuto trofoblastico placentare attraverso due procedure, transaddominale o transcervicale. Il trofoblasto viene identificato ecograficamente, quindi viene scelta la zona in cui effettuare il prelievo (di solito si sceglie la zona placentare più spessa). Viene quindi inserito un ago apposito attraverso l’addome materno o tramite via cervicale e, sempre sotto guida ecografica, viene raggiunta la zona prescelta per l’aspirazione del campione di tessuto. Circa un’ora dopo il prelievo dei villi, si ripete un controllo ecografico, per valutare l’eventuale presenza di ematomi sottocoriali. Con questa metodica è possibile eseguire indagini citogenetiche per la diagnosi di malattie cromosomi-
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che o per la diagnosi di sesso nel caso di malattie legate al cromosoma X. È, inoltre, possibile eseguire indagini biochimiche per la diagnosi di malattie metaboliche (errori congeniti del metabolismo), nonché lo studio del DNA per la diagnosi di malattie ereditarie monogeniche (ad es., distrofia muscolare, emofilia, fibrosi cistica ecc.). Un vantaggio della villocentesi rispetto all’amniocentesi è certamente la precocità del prelievo e quindi dei risultati, mentre a suo svantaggio vi sono l’aumentato rischio di perdita fetale (1-2%, ma raggiunge il 3-6% se si esegue la metodica transcervicale) [8, 9], rispetto al prelievo del liquido amniotico (0,5-1%, anche se non in tutti gli studi a riguardo vi sono differenze statisticamente significative) [10] (vedi Capitolo 4).
SECONDO TRIMESTRE Cosa succede Durante questo periodo il feto è già completamente formato, cresce rapidamente e continua la sua maturazione che proseguirà incessantemente fino al parto. A partire dalla 23ª settimana risponde agli stimoli sonori e tattili e deglutisce liquido amniotico. In questo periodo la donna inizia a percepire i primi movimenti fetali (più precisamente verso le 15 settimane di gestazione se si tratta della seconda gravidanza, verso le 22 settimane se ci si trova alla prima gravidanza).
Visite Durante le visite ostetriche di controllo (che in questo periodo dovrebbero avvenire a cadenza mensile), sarà utile indagare su sintomi o qualsiasi altro evento intercorso dalle precedenti visite (per esempio dolore, sanguinamenti, leucorrea) e investigare su eventuali cambiamenti fisici anomali (affanno, edemi). A tutto questo deve seguire, ovviamente, un attento esame obiettivo, in cui si andrà a valutare la pressione arteriosa, la presenza di segni patologici (tosse, dispnea, ecc.), e una visita vaginale, durante la quale si valuterà la presenza di leucorrea patologica, la continenza cervico-istmica e la presenza di eventuali sanguinamenti.
Esami di laboratorio Oltre alle componenti del gruppo TORCH per cui la paziente non è risultata immune nei precedenti controlli,
e al test di Coombs indiretto se esiste incompatibilità Rh, durante il secondo trimestre gli esami di laboratorio da effettuare andranno a valutare l’eventuale insorgenza di anemia (esame emocromocitrometrico, con particolare attenzione al tasso di emoglobina), la presenza di proteinuria e glicosuria (esame completo delle urine) e l’adattamento glucidico alla gravidanza. A questo proposito è utile precisare che, sebbene esistano diversi mezzi di screening per l’identificazione di intolleranza glucidica durante la gravidanza, il più usato, e consigliato dall’ACOG e dalla SOGC, è il minitest da carico di glucosio (Glucose Challenge Test, GCT) [12] da praticare nei soggetti a rischio tra la 14ª e la 18ª settimana e nei soggetti non a rischio tra la 24ª e la 28ª settimana di gravidanza. Il minicarico consiste nel dosaggio della glicemia a digiuno e dopo un’ora dall’assunzione per via orale di un bolo di 50 mg di glucosio, a cui, in caso di positività, deve seguire la curva da carico di glucosio (OGTT: dosaggio della glicemia a digiuno e dopo 60, 120, 180 min dall’assunzione per via orale di 100 mg di glucosio). Un valore alla GCT a 60 minuti superiore a 130 mg/dl identifica più del 90% delle donne che poi risulteranno positive all’OGTT, mentre un valore superiore a 140 mg/dl identifica l’80% delle donne con OGTT positiva, ma riduce il numero di falsi positivi (vedi Capitolo 20). Nelle donne in gravidanza, inoltre, sono frequenti le batteriurie asintomatiche, il cui trattamento tempestivo può far diminuire la frequenza di pielonefriti, parti pretermine e neonati di basso peso; a tal proposito, ci sembra utile consigliare un’urinocoltura, da eseguire tra la 14ª e la 16ª settimana di gravidanza, sufficiente ad identificare l’80% di tutte le batteriurie asintomatiche. Inoltre in questo periodo è possibile far eseguire alla donna un tampone vaginale, necessario per escludere la presenza di infezioni vaginali asintomatiche, che potrebbero causare la rottura precoce delle membrane amniocoriali o il parto pretermine, anche se non vi sono evidenze che ci sia un miglioramento per le donne a basso rischio di parto pretermine [13]; sicura è, invece, l’efficacia della sua esecuzione nelle donne ad alto rischio per tale patologia [14]. Secondo alcuni autori, inoltre, in questo stesso periodo è utile effettuare un’ecografia transvaginale per diagnosticare precocemente un eventuale raccorciamento del canale cervicale, così da effettuare tempestivamente la terapia più adatta (medica, mediante somministrazione di farmaci tocolitici, o chirurgica, mediante applicazione di cerchiaggio cervicale), per evitare l’insorgenza di un travaglio di parto prematuro. Inoltre nel secondo trimestre (più precisamente tra la 15ª e la 17ª settimana) si può effettuare un test di screening per le cromosomopatie (il tri-test), in cui ven-
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gono valutati i tassi di hCG, estriolo ed alfafetoproteina. È stato osservato, infatti, che le madri di feti affetti da anomalie cromosomiche (per la precisione da trisomia 21), presentavano dei livelli di α-fetoproteina e di estriolo inferiori alla norma, mentre i livelli di hCG risultano superiori alla norma. Il dosaggio di questi analiti, associati all’età materna, oltre che alla razza ed al peso, permettono di avere dei dati probabilistici sul rischio che il feto sia affetto da anomalie cromosomiche. Con questo test è possibile identificare il 60% dei feti malati, il 90% dei feti con spina bifida e praticamente tutti i casi di anencefalia [16].Alle donne che presentano un rischio elevato (cut-off compreso tra 1/1 e 1/250) si consiglia di eseguire l’analisi del cariotipo fetale mediante amniocentesi, che rappresenta l’unico mezzo, in questa epoca di gestazione, per ottenere una diagnosi certa di cromosomopatia (vedi Capitoli 5 e 12).
Controlli ecografici Nel II trimestre (21ª-23ª settimana) si realizzano le condizioni ottimali per lo studio dell’anatomia fetale, permettendo, così, la diagnosi prenatale di diverse malformazioni strutturali del feto (ecografia morfologica o strutturale) [15]. Nello studio dell’anatomia fetale, sono importanti due tipi di rilievi: da una parte, la valutazione biometrica dei diversi distretti anatomici fetali e dall’altra il riconoscimento e la valutazione della struttura morfologica di specifici organi (vedi Capitolo 22). La sensibilità di questo esame, secondo stime recenti, è compresa tra 15,0% e 85,3%. La causa di un intervallo così ampio è da ascrivere, oltre all’epoca gestazionale in cui viene eseguito l’esame, al tipo di anomalie, all’esperienza dell’ecografista e alla qualità dell’ecografo utilizzato. Faccia: lo studio della faccia fetale consente l’eventuale rilievo di anomalie, come ad esempio l’ipotelorismo, l’ipertelorismo e la microftalmia. Tali osservazioni possono essere integrate, se necessario, dalla misurazione delle orbite o di strutture intraoculari. Inoltre, secondo alcuni ecografisti è utile valutare anche l’arcata dentale superiore (vedi Capitolo 8). Strutture intracraniche: vanno identificati i talami, il cavo del setto pellucido, la linea mediana ecc., mediante scansioni assiali, sagittali e coronali, così da evidenziare eventuali anomalie del cervello fetale (vedi Capitolo 6). Colonna: la più frequente anomalia scheletrica a carico della colonna vertebrale, che può essere identificata mediante scansioni longitudinali e trasversali di questo distretto anatomico, è la spina bifida; va detto che
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vi è stata una notevole diminuzione dell’incidenza di questa patologia grazie all’assunzione preconcezionale e per tutto il primo trimestre di gravidanza di acido folico. È ormai accertato, infatti, che una dose giornaliera di 400 microgrammi di acido folico riduce sensibilmente la probabilità di insorgenza di tale patologia nelle gravidanze a basso rischio, mentre nelle gravidanze a rischio per difetti della chiusura del tubo neurale (parenti prossime di persone con difetti dovuti a queste patologie, pazienti epilettiche in terapia con acido valproico o carbamazepina, ecc.), la dose raccomandata è 4.000 microgrammi al dì. Inoltre, mediante lo studio ecografico della colonna vertebrale fetale è possibile diagnosticare anche altre più rare patologie (teratomi sacro-coccigei, patologie scheletriche, ecc.) (vedi Capitoli 6 e 7). Cuore: un corretto studio ecografico del cuore fetale è di fondamentale importanza nella valutazione morfologica fetale (vedi Capitolo 9). In realtà, al giorno d’oggi, è ancora in corso di dibattito se l’ecografia nelle gravidanze a basso rischio possa comprendere la sola scansione delle “quattro camere”, oppure se si debbano andare a valutare di routine anche le scansioni degli assi lunghi. Per esempio, nella gestione di una gravidanza complicata da una malformazione cardiaca fetale, quale la trasposizione completa dei grossi vasi, l’outcome neonatale può cambiare nettamente in positivo mediante la programmazione del parto; ma questo può avvenire solo in seguito alla diagnosi prenatale, possibile soltanto utilizzando anche le scansioni degli assi lunghi. Inoltre, nello studio del cuore fetale, deve sempre essere inclusa la valutazione del ritmo cardiaco, per rendere possibile, così, l’identificazione di alcune aritmie cardiache (in particolare tachiaritmie), che possono essere trattate già in utero mediante terapia farmacologica (vedi Capitoli 9 e 14). Torace: mediante lo studio degli ambiti polmonari è possibile identificare lesioni quali l’ernia diaframmatica sinistra, la malformazione adenomatoide a grosse cisti, l’idrotorace e le cisti bronchiogene. Altre patologie di questo distretto, invece, come l’ernia diaframmatica destra, la malformazione cistica adenomatoide a piccole cisti, il sequestro bronco-polmonare, poiché isoecogene con il polmone fetale normale, non sono distinguibili da questo e possono essere inizialmente sospettate solo indirettamente, mediante il riconoscimento di una dislocazione cardiaca (vedi Capitoli 13 e 14). Parete addominale a livello dello stomaco: tra le malformazioni più frequenti riguardanti il distretto addominale fetale vi è certamente l’atresia esofagea, diagnosticabile ecograficamente mediante la mancata vi-
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
sualizzazione della bolla gastrica associata a polidrammios (anche se in realtà spesso la bolla gastrica è comunque visibile nei feti con questa malformazione, e questo per la produzione di succhi gastrici o per l’associazione di questa patologia con la fistola tracheoesofagea). Oltre all’identificazione della bolla gastrica, inoltre, è importante la sua localizzazione, per escludere che sia presente un’ernia diaframmatica, responsabile di un dislocamento dei visceri addominali (il più visibile dei quali è, appunto, lo stomaco) nel distretto toracico. Altre formazioni anomale che possono essere identificate ecograficamente sono le stenosi intestinali o l’ascite (vedi Capitolo 10). Parete addominale a livello delle logge renali: in questo distretto è importante la visualizzazione dell’inserzione del funicolo sull’addome fetale; lo studio della parete addominale deve comprendere necessariamente anche il resto della sua struttura; infatti, per esempio, nella gastroschisi e nell’ectopia cordis isolata, l’inserzione funicolare è normale. Per quanto riguarda la funzionalità renale, solitamente, la visualizzazione della vescica e di una normale quantità di liquido amniotico, assicura che questa è conservata. Si possono escludere quindi l’agenesia renale bilaterale ed altre gravi patologie quali l’idronefrosi ed il rene multicistico. L’identificazione dei reni, infatti, possibile sia direttamente, sia indirettamente, con la visualizzazione delle arterie renali mediante Doppler, non sempre è di facile esecuzione.Vengono spesso diagnosticate, poi, delle pielectasie, le cui dimensioni possono aumentare con l’età gestazionale, che, se isolate, sono quasi sempre benigne. Inoltre mediante lo studio ecografico delle logge renali è possibile l’individuazione di eventuali masse di pertinenza renale, come il rene policistico autosomico recessivo, o il tumore di Wilms. Vescica: la misurazione dei diametri vescicali permette la diagnosi di megavescica (causata, per esempio, da un’atresia uretrale); al contrario, l’estrofia della vescica di solito non viene diagnosticata in epoca prenatale (vedi Capitolo 11). Ossa lunghe ed estremità: la visualizzazione di tutti e quattro gli arti è necessaria in uno studio anatomico fetale, sebbene spesso agenesie di un arto rimangano non diagnosticate in epoca prenatale. A tal proposito ci sembra utile precisare che l’identificazione delle ossa lunghe è tanto più facile quanto più precoce è l’epoca gestazionale (a partire dalla 10ª-12ª settimana). Lo studio delle mani e dei piedi, al contrario, è previsto solo in casi particolari (vedi Capitolo 7). Oltre all’anatomia fetale, durante l’ecografia del secondo trimestre è possibile valutare la presenza dei cosiddetti soft markers, anomalie spesso transitorie, ma
che talora possono essere associate ad anomalie cromosomiche (vedi Capitolo 5). I markers più frequentemente studiati e rilevati sono: 1. cisti dei plessi corioidei; 2. pielectasia renale lieve; 3. dilatazione dei ventricoli cerebrali; 4. iperecogenicità intestinale; 5. foci iperecogeni intracardiaci (ventricoli); 6. anomalie biometriche del femore e dell’omero (più corti); 7. plica nucale ispessita. La presenza di un soft marker isolato, evidenziata durante un esame ecografico svolto nel secondo trimestre di gravidanza, non è sufficiente per l’identificazione di feti affetti da cromosomopatia, né di quelli non affetti; la sensibilità di soft markers isolati, infatti, varia da 1% a 16%, con una specificità del 95%. Al contrario, dagli studi relativi all’efficacia dei soft markers quando associati insieme, o quando associati con un’anomalia strutturale, non emergono dati statisticamente attendibili; pertanto l’accuratezza diagnostica di più parametri considerati insieme non è valutabile. L’unico marker significativamente correlato ad aumentato rischio per cromosomopatie è rappresentato dalla dimostrazione di uno spessore della plica nucale superiore a 6 mm. Tuttavia, questo non può essere utilizzato come test di screening, poiché il reperto è presente solo in una minima percentuale di feti con anomalie cromosomiche (vedi Capitolo 5). Liquido amniotico: la misurazione della quantità di liquido amniotico, oltre a darci importanti informazioni sullo stato di benessere fetale, può aiutarci ad identificare alcune patologie morfologiche fetali. Oltre al riscontro di polidramnios, che, come già descritto, può indicare la presenza di un’anomalia esofagea fetale, anche per quanto riguarda l’oligoidramnios si possono sospettare diverse patologie; per esempio, scarse quantità di liquido amniotico possono essere legate a gravi anomalie dell’apparato urinario, a grave ipossia cronica, a rottura delle membrane (vedi Capitolo 25). Una volta rilevate le alterazioni della quantità di liquido amniotico, è quindi necessario andare ad identificarne le cause. È necessario ricordare, poi, che l’oligoidramnios, quando insorto precocemente, può determinare la sequenza di Potter: ipoplasia polmonare, facies dismorfica e difetti da posizione, quali il piede torto. Nel secondo trimestre infine, in presenza di indicazioni specifiche o per la positività dei test di screening possono essere eseguite tecniche invasive di diagnosi prenatale quali la amniocentesi tra la 16ª e la 18ª settimana e la cordocentesi tra la 19ª e la 22ª settimana (vedi Capitoli 4 e 5) [16, 17, 19].
Capitolo 21 • Sorveglianza della gravidanza • D.Arduini,I.Oronzi,G.Barraco,R.Mastrangeli
TERZO TRIMESTRE Cosa succede La gravidanza comporta una serie di modificazioni a carico dell’organismo materno, e nell’ultimo trimestre questi cambiamenti sono maggiormente evidenti. L’utero, inizialmente lungo 6-7 cm, a termine di gravidanza misura circa 30 cm; il peso si modifica in proporzione, passando dai 50-60 grammi prima della gravidanza a 1.000-1.500 grammi a termine, e anche la sua capacità aumenta di 500-1.000 volte. La cervice, si prepara al parto, diventando più molle, in conseguenza dell’aumento delle contrazioni preparatorie indolori (cosiddette contrazioni di Braxton -Hicks). Dopo la 24ª settimana il feto è “vitale”, cioè ha probabilità di sopravvivenza in caso di parto prematuro. Alla 30a settimana la lunghezza dalla testa al podice è di circa 24 cm. Il peso è di circa 1.400 grammi.
Visite Anche durante questo periodo della gravidanza le visite dovrebbero avvenire a cadenza mensile, per intensificarle nelle ultime quattro settimane di gestazione. Durante questi incontri si andranno a ricercare cambiamenti rispetto alla visita precedente, l’eventuale insorgenza di dolori addominali (minaccia di parto pretermine?), sanguinamenti (placenta previa?), leucorrea (perdita di liquido amniotico?) o altri sintomi specifici. In questo periodo è molto importante controllare i movimenti fetali, mediante diverse tecniche, le più utilizzate delle quali sono rappresentate dalla tecnica di Cardiff e dalla tecnica di Sadovsky. Tecnica di Cardiff: dalle ore 9:00 alle ore 21:00, la gestante dovrà contare i movimenti fetali, e annotare l’ora in cui arriva ad averne percepiti 10. Alle ore 21:00 se non è riuscita ad avvertire 10 volte i movimenti fetali, sarà necessario eseguire altri test di sorveglianza fetale. Tecnica di Sadovsky: dopo il pasto serale la donna deve concentrarsi sui movimenti fetali per un’ora; se in quest’arco di tempo non avrà percepito almeno 4 volte i movimenti fetali deve continuare il conteggio per un’altra ora, se ancora non è riuscita a contarne 4 sarà necessario eseguire altri test di sorveglianza del benessere fetale.
Esami di laboratorio Nell’ultimo trimestre di gravidanza gli esami da effettuare sono: – esame delle urine (una volta al mese). – Emocromo (almeno due volte nel trimestre).
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– Livelli sierici delle transaminasi (sGOT, sGPT) per assicurarsi che non si stia andando incontro ad epatosi gravidica, patologia relativamente frequente in questo periodo di gestazione. – HbsAg: ricerca dell’antigene del virus dell’epatite B. – Anti-HCV: ricerca di anticorpi per il virus dell’epatite C. Non vanno dimenticati, chiaramente, il controllo del dosaggio delle componenti del complesso TORCH per le quali non si è risultati immuni precedentemente, ed il test di Coombs indiretto, se la gestante è Rh negativa. Verso la 36ª settimana, inoltre, è utile eseguire una ricerca per lo streptococco gruppo B (GBS), presente in circa il 15% delle donne in gravidanza, mediante tampone vaginale e rettale. Ciò allo scopo di trattare l’eventuale positività mediante terapia antibiotica durante il travaglio. Il GBS, infatti, se nella donna può causare batteriuria asintomatica, infezione delle vie urinarie, o del liquido amniotico, quando trasmesso al feto durante il parto può causare un’infezione ad insorgenza rapida (early-onset disease), che può determinare morte neonatale anche nel 50% dei casi.
Controlli ecografici L’ecografia del terzo trimestre si esegue nel periodo compreso tra la 30ª e la 34ª settimana. In questo periodo l’esame è finalizzato a valutare la crescita e la normalità anatomica fetale, la quantità di liquido amniotico, la posizione della placenta e la presentazione fetale. Per quanto riguarda la crescita fetale, questa viene valutata controllando nuovamente i parametri misurati precedentemente (BPD, DTA, femore, omero, ecc.) (vedi Capitolo 22) e riportando i dati ottenuti sullo stesso grafico creato nella precedente ecografia. Ciò allo scopo di valutare la regolare crescita fetale o, al contrario, se i dati relativi alle misurazioni fetali mostrassero un accrescimento inferiore a quello atteso, diagnosticare un ritardo di accrescimento intrauterino del feto. Si esamina poi la normalità anatomica fetale, andando ad osservare cuore, reni, stomaco, vescica e ventricoli cerebrali. Quindi si valuta la quantità di liquido amniotico, importante indicatore di regolare funzionalità placentare e di benessere fetale. Questa misurazione può essere eseguita attraverso l’identificazione della tasca verticale maggiore; in tal caso, verranno considerati normali valori compresi tra 2 e 3 cm, border line valori tra 1 e 2 cm, si parlerà di oligoamnios per valori <1 cm, di polidramnios per valori >8 cm. Un altro metodo di misurazione del liquido amniotico è la valutazione dell’indice di liquido amniotico (AFI), mediante la misurazione verticale delle quattro tasche presenti nei corrispondenti quadranti dell’addome, qualora si prenda l’om-
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
belico come punto centrale dei suddetti quadranti (vedi Capitolo 25). Infine si verifica ancora la localizzazione della placenta (in particolare il suo rapporto con il collo) e quindi la presentazione fetale (cefalica, podalica, ecc.).
Flussimetria La flussimetria fetale consiste nel misurare la velocità del flusso a livello delle arterie ombelicali e delle arterie cerebrali medie. La flussimetria ombelicale valuta il flusso nel distretto vascolare del lato fetale della placenta, mentre la flussimetria delle arterie cerebrali dà indicazioni sulla perfusione vascolare cerebrale. Quando il profilo flussimetrico dei due distretti mostra vasocostrizione ombelicale e vasodilatazione cerebrale, ci si trova di fronte a quella che viene chiamata “centralizzazione del circolo” (o Brain sparing), condizione in cui la placenta non riesce ad ossigenare e a nutrire adeguatamente il feto, il quale si difende con questo meccanismo di compenso, assicurando un adeguato apporto ematico al cervello, per mezzo di una vasodilatazione in questo distretto, a discapito degli altri organi e tessuti meno importanti, che subiscono una vasocostrizione. Poiché spesso questo rappresenta un preallarme ad una successiva fase di scompenso da parte del feto, quando presente, la centralizzazione del circolo può portare il ginecologo a decidere per l’ospedalizzazione della paziente e, nei casi più gravi, per l’interruzione della gravidanza con l’induzione del parto o con il taglio cesareo (vedi Capitolo 22). In realtà, l’esame della flussimetria doppler in arteria ombelicale non è considerato un test di screening per le gravidanze a basso rischio, trovando il suo utilizzo solo nelle gravidanze complicate da ipertensione o preeclampsia o da ritardo di crescita fetale [20]; in queste gravidanze, infatti, la rilevazione di anomalie nel flusso ombelicale permette di ridurre l’incidenza di morte perinatale nel 38% dei casi (vedi Capitolo 22).
Cardiotocografia Durante il terzo trimestre di gravidanza, e soprattutto a partire dalla 36ª settimana per quanto riguarda le gravidanze a basso rischio, assume una grande importanza il monitoraggio cardiotocografico, che permette il rilievo contemporaneo dell’attività cardiaca fetale e delle contrazioni uterine mediante trasduttori ad ultrasuoni (vedi Capitolo 22). Ai fini della valutazione del tracciato cardiotocografico, si esaminano i seguenti parametri. Frequenza cardiaca: si valuta la linea di base, cioè la
linea ideale rappresentante la media tra le varie oscillazioni che fisiologicamente si trova tra 110 e 160 battiti al minuto. Variabilità: è la differenza tra la frequenza massima e quella minima. Nel feto varia in ogni momento in base a stimoli provenienti dal sistema nervoso centrale, in base ad informazioni derivanti dai chemocettori e dai barocettori. La variabilità rappresenta l’elemento più importante per la valutazione del benessere fetale: la riduzione notevole di tale parametro indica un grave stato di sofferenza neurologica del feto, mentre tanto maggiore è la variabilità, tanto meglio sta il feto. La variabilità è tale se supera 5 battiti al minuto; normalmente oscilla sui 15 battiti al minuto. È stata fatta una classificazione della variabilità: – tipo 0: silente (ampiezza della variabilità <5 bpm); – tipo 1: ondulatoria ristretta (ampiezza fra 5 e 10); – tipo2: ondulatoria (ampiezza fra 10 e 25); – tipo 3: saltatoria (ampiezza >25). Accelerazioni: rappresentano un aumento della frequenza cardiaca fetale, e di solito corrispondono ai movimenti fetali. Le accelerazioni, per essere tali, devono superare i 5 battiti cardiaci al minuto e devono durare più di 15 secondi. Decelerazioni: sono rallentamenti della frequenza. Se sono assolutamente contemporanee alle contrazioni, cioè iniziano e terminano insieme a queste, sono dovute ad un riflesso vagale per compressione della testa del feto e sono dette “precoci”, altrimenti, se iniziano dopo la contrazione vengono definite “tardive”, o “variabili” se non sono contemporanee alle contrazioni. Le decelerazioni tardive sono dovute ad insufficienza placentare, quelle variabili a compressione sul funicolo ombelicale (entrambe sono quindi espressione di ipossia cerebrale). Ultimamente si sta diffondendo la convinzione di una certa correlazione causale tra decelerazione variabile ed un aumento del tono vagale (proprio come per la decelerazione precoce, anche se, al contrario di questa, nella decelerazione variabile è confermata un’attivazione dei barocettori e dei chemocettori). La decelerazione tardiva invece ha significato più grave, in quanto si ha la perdita della centralizzazione del circolo, per ipossia del sistema di conduzione cardiaco (vedi Capitolo 22). L’utilizzo più frequente della cardiotocografia si ha nel Non Stress Test (NST) [18], che consiste nella registrazione contemporanea del battito cardiaco fetale e dell’attività contrattile uterina in assenza di stimolazione delle contrazioni; per definirsi fisiologico, un NST deve comprendere in 20 minuti almeno due accelerazioni (definite come aumenti della frequenza cardiaca
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Capitolo 21 • Sorveglianza della gravidanza • D.Arduini,I.Oronzi,G.Barraco,R.Mastrangeli
fetale di almeno 15 bpm rispetto alla linea di base per almeno 15 secondi); se in 20 minuti non si presentano le due accelerazioni si aspettano altri 20 minuti, se sono ancora assenti si dovrà procedere ad un altro test di sorveglianza del benessere fetale (Tabella 21.1). Sono stati distinti 4 tipi di tracciato cardiotocografico sulla base degli stati comportamentali del feto: 1. tracciato di tipo A: è presente durante la quiete; è un tracciato poco variabile e senza accelerazioni; è importante valutare la durata: oltre i 40 minuti è certamente patologico; 2. tracciato di tipo B: è presente durante la veglia; è un tracciato variabile, con accelerazioni corrispondenti ai movimenti fetali; 3. tracciato di tipo C: presenta una certa variabilità, ma non ci sono movimenti; 4. tracciato di tipo D: è molto variabile e di difficile valutazione (tracciato saltatorio). In realtà vi sono diversi fattori, sia fisiopatologici che tecnici, che possono portare ad incongruenze tra il risultato del test e l’outcome neonatale. Tra questi vi so-
no soprattutto una elevata variabilità interosservatore nella valutazione del tracciato, e la difficoltà o impossibilità da parte dell’occhio umano di trarre tutte le informazioni necessarie dal segnale della frequenza cardiaca fetale. Per far fronte a questi problemi è stato introdotto l’utilizzo di sistemi computerizzati per l’analisi automatizzata della frequenza cardiaca fetale, permettendo, così, una standardizzazione della risposta del tracciato stesso, ed eliminare, in questo modo, la valutazione soggettiva del tracciato cardiotocografico da parte del medico (vedi Capitolo 22). Un altro importante test di sorveglianza del benessere fetale è rappresentato dalla valutazione del profilo biofisico del feto (Tabella 21.2), che consiste nella valutazione per un intervallo di tempo di 30 minuti di: – movimenti fetali; – movimenti respiratori fetali; – tono; – quantità di liquido amniotico; – tracciato cardiotocografico. Il massimo dello score sarà quindi 8 senza la valutazione del NST, 10 se viene valutato anche questo.
Tabella 21.1. Lettura del tracciato cardiotocografico Aspetto Rassicurante
Linea di base (bpm) 110-160
Variabilità (bpm) ≥5
Decelerazione Nessuna
Accelerazione Presenti
Non rassicurante
100-109 161-180
<5 per 40-90 min
Precoci,variabili, singola decelerazione <3 min
La loro assenza è di incerto significato
Anormale
<100,>180,andamento sinusoidale per più di 10 min
<5 per più di 90 min
Variabili atipiche,tardive,singola decelerazione >3 min
La loro assenza è di incerto significato
Linee guida ASSR.Da [18]
Tabella 21.2. Criteri di score per il profilo biofisico del feto Variabili biofisiche Movimenti respiratori fetali
Normale (score=2) 1 episodio di durata di almeno 30 s in 30 min
Anormale (score=0) Assenza di movimenti respiratori o nessun episodio della durata di oltre 30 s in 30 min
Movimenti fetali
3 movimenti distinti di un arto o del corpo in 30 min
2 o meno movimenti del corpo o di un arto in 30 min
Tono fetale
1 episodio di estensione attiva con ritorno alla flessione di un arto fetale o del tronco.Apertura e chiusura della mano sono considerati come un tono normale
Lenta estensione con ritorno a parziale flessione o movimento di un arto in piena estensione. Assenza di movimento fetale
Volume del liquido amniotico
1 tasca di LA che misuri almeno 2 cm in 2 piani perpendicolari
Nessuna tasca o una tasca inferiore ai 2 cm in 2 piani perpendicolari
Linee guida ASSR.Da [18]
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
GRAVIDANZA OLTRE IL TERMINE:COME COMPORTARSI Il protrarsi della gestazione oltre la data prevista per il parto è un fenomeno comune. Le 42 settimane di gestazione, infatti, vengono superate in circa il 10% delle gravidanze; si parla in questo caso di gravidanza oltre il termine (o protratta). I rischi per la mamma e per il bambino possono essere diversi: – la struttura della placenta può andare incontro a fenomeni degenerativi, non riuscendo più a soddisfare le richieste fetali di ossigeno e di nutrienti;
– il liquido amniotico tende a diminuire perché prodotto in quantità minore; – il bambino continua a crescere e questo può causare dei problemi al momento del parto (sproporzione feto-pelvica). Per tali ragioni, allo scadere delle 40 settimane si attua un monitoraggio più stretto del benessere materno-fetale mediante cardiotografia, ecografie e visite ostetriche ravvicinate.Allo scadere delle 42 settimane,poi,si preferisce indurre farmacologicamente il travaglio tramite l’applicazione di prostaglandine a livello della cervice o in vagina.
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CAPITOLO 22
Monitoraggio delle condizioni fetali A.L. Borrelli • A. Di Lieto• P. Borrelli
INTRODUZIONE Per ridurre i tassi di morbilità e mortalità perinatali è necessario un controllo assiduo delle condizioni fetali. Per questo motivo sono state messe a punto tecniche di monitoraggio in grado di identificare condizioni di sofferenza fetale così da poter effettuare, ove possibile, adeguati trattamenti e soprattutto stabilire timing e modalità del parto [1]. Attualmente la valutazione delle condizioni fetali si effettua mediante tecniche di monitoraggio biofisico quali la cardiotocografia, l’ecografia e la flussimetria; si tratta di metodiche che, potendo attingere dati dall’esplorazione dell’organismo fetale, forniscono informazioni dirette ed immediate dello stato di salute del prodotto del concepimento.
La frequenza cardiaca fetale, tuttavia, può essere modificata da impulsi che pervengono al NSA dal centro parasimpatico (nucleo dorsale del vago) e da centri simpatici localizzati rispettivamente nel midollo allungato e nelle colonnine laterali del midollo toracico e lombare. Dal nucleo dorsale del vago partono fibre efferenti che, tramite il plesso nervoso cardiaco, pervengono al NSA. Dai centri simpatici toracici partono fibre pregangliari che raggiungono i gangli paravertebrali dai quali si dipartono fibre postgangliari che pervengono al NSA; dai segmenti lombari partono fibre che raggiungono i surreni inducendo la liberazione di catecolamine che influenzano l’attività del NSA. Il nucleo vagale è un centro cardioinibitore, mentre i centri simpatici sono cardioacceleratori (Fig. 22.1).
CARDIOTOCOGRAFIA Definizione La cardiotocografia (CTG) è la registrazione in continuo della frequenza cardiaca fetale istantanea1 e delle contrazioni uterine. Può essere effettuata sia in gravidanza che in travaglio di parto e rappresenta, insieme alla ecografia e alla Doppler-flussimetria, la metodica non invasiva essenziale per il controllo e il management delle gravidanze, soprattutto se ad alto rischio.
Cenni di anatomia funzionale L’attività cardiaca fetale è regolata da impulsi elettrici che partono dal nodo seno-atriale (NSA) con ritmo “perennemente costante” in quanto il predetto nodo è incapace di variare spontaneamente la propria attività adattandola alle mutevoli esigenze del concepito. 1
Fig. 22.1. Regolazione ritmo cardiaco fetale. NDV, nucleo dorsale del vago; CS, centri simpatici; BAR, barocettori; CHEM, chemocettori. Modificata da [2],con autorizzazione
Per frequenza cardiaca istantanea si intende la frequenza determinata misurando la media degli intervalli temporali fra tre battiti cardiaci fetali successivi.
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
Il centro vagale prevale su quelli simpatici per cui modificazioni della frequenza cardiaca fetale sono essenzialmente legate ad inibizione o a stimolazione del centro vagale. L’attività dei centri cardioregolatori (parasimpatico e simpatico) è influenzata da impulsi che ad essi pervengono attraverso vie nervose afferenti che derivano da strutture recettrici, sensibili a specifici fattori. Le strutture recettrici sono i chemocettori e i barocettori. I primi sono localizzati nell’arco aortico e nel plesso carotideo (Fig. 22.1) e sono sensibili a fattori regolatori (pH, pO2 e pCO2) presenti nel sangue fetale e all’azione di specifiche sostanze (catecolamine, atropina). I barocettori situati oltre che nell’arco aortico e nei seni carotidei anche nell’endocardio, presso lo sbocco delle grandi vene (Fig. 22.1), sono invece sensibili particolarmente alle variazioni pressorie del circolo fetale e a stimoli termici, acustici e meccanici. I fattori regolatori influenzano l’attività cardiaca fetale in modo diverso a seconda dell’entità dello stimolo e del modo di insorgenza; ad esempio l’ipossia, che tra i fattori regolatori senz’altro è il più importante, se insorge in modo graduale induce inizialmente una inibizione del vago e quindi tachicardia cui consegue, se la carenza di O2 si aggrava, bradicardia per eccitazione del nucleo vagale. Quando invece l’ipossia insorge rapidamente ed è grave (compressione funicolare) stimola direttamente il vago onde bradicardia. Il rilievo della frequenza cardiaca fetale (FCF) si effettua mediante apparecchiature (cardiotocografi) che, per la captazione ed elaborazione dei segnali, utilizzano l’effetto Doppler: da un trasduttore parte un fascio di ultrasuoni che quando incontra una struttura in movimento viene riflesso; la differenza di potenza tra fascio incidente e fascio riflesso genera impulsi elettrici che l’apparecchio elabora e trasforma nelle onde del tracciato cardiotocografico.
Analisi del tracciato cardiotocografico Nel tracciato cardiotocografico bisogna considerare la frequenza basale e le sue alterazioni [1]. La frequenza cardiaca basale fetale o frequenza basale o linea di base è il valore medio della frequenza cardiaca fetale (FCF). Il livello di frequenza basale può essere stabilito tracciando una linea orizzontale attraverso il valore medio di frequenza tenuto per un periodo sufficientemente lungo di tempo (~30 min) (Fig. 22.2). I valori normali della FCF sono compresi tra 110 e 160 battiti al min (Tabella 22.1). Le alterazioni della frequenza cardiaca possono essere a lungo, medio e breve termine: – a lungo termine (tachicardia e bradicardia); – a medio termine (accelerazioni e decelerazioni);
Fig.22.2.Frequenza cardiaca fetale basale o frequenza di base o linea di base
Tabella 22.1. Normocardia Normocardia
160 bpm ↑ ↓ 110 bpm
Tabella 22.2. Alterazioni della frequenza cardiaca fetale Alterazioni della FCF a lungo termine tachicardia bradicardia a medio termine accelerazioni decelerazioni a breve termine variabilità di lungo frequenza delle oscillazioni periodo ampiezza delle oscillazioni variabilità di breve si determina con periodo cardiotocografia computerizzata – a breve termine (variabilità di lungo periodo e breve periodo) (Tabella 22.2).
Alterazioni della FCF a lungo termine Tachicardia. È l’aumento della FCF di base al di sopra di 160 bpm per più di 10 min. Si definisce tachicardia lieve l’aumento della FCF tra 161 e 180 bpm; tachicardia grave l’aumento tra 181 e 200 bpm e tachicardia molto grave oltre i 200 bpm (Tabella 22.3). Bradicardia. È la riduzione della FCF al di sotto di 110 bpm per più di 3 min.
Capitolo 22 • Monitoraggio delle condizioni fetali • A.L.Borrelli,A.Di Lieto,P.Borrelli
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Tabella 22.3. Alterazioni della FCF a lungo termine ↑tachicardia molto grave 200 bpm ↑ ↓ 180 bpm ↑ ↓ 160 bpm ↑ ↓ 110 bpm ↑ ↓ 100 bpm
tachicardia grave tachicardia lieve normocardia bradicardia lieve ↓bradicardia grave
Si definisce bradicardia lieve il calo di frequenza tra 110 e 100 bpm e bradicardia grave il calo al di sotto di 100 bpm (Tabella 22.3). Alterazioni della FCF a lungo termine possono osservarsi sia fuori travaglio che in travaglio di parto. Sono a prognosi favorevole le tachicardie fuori travaglio da stimolo acustico o tattile sul feto, quelle da somministrazione di β-mimetici alla madre o da stress materno (febbre, sforzi fisici); sono invece a prognosi sfavorevole le tachicardie fetali da ipossiemia iniziale. Anche le bradicardie possono essere a prognosi favorevole, come quelle da compressione cavale, sono invece a prognosi sfavorevole le bradicardie da cardiopatia fetale e soprattutto quelle da ipossiemia cronica ingravescente.
Fig.22.3.Accelerazioni sporadiche in feto reattivo
Alterazioni della FCF a medio termine Accelerazioni. Sono aumenti della FCF di durata inferiore alla tachicardia, persistono infatti fino a 10 min. Sono dovute a movimenti attivi fetali (MAF), contrazioni uterine o ipossiemie transitorie e si distinguono in sporadiche e periodiche. Le accelerazioni sporadiche sono dovute a movimenti attivi fetali, a stimoli acustici o alle contrazioni di Braxton-Hicks e sono a prognosi favorevole in quanto indicano che il meccanismo di controllo neuroumorale della funzione cardiovascolare è integro (Fig. 22.3). Le accelerazioni periodiche sono quelle che compaiono in rapporto ad almeno tre contrazioni uterine successive (Fig. 22.4). Queste ultime sono generalmente legate a ridotta perfusione ematica utero-placentare onde ipossiemia e aumento del tono simpatico, sono a prognosi dubbia e richiedono sempre un approfondimento diagnostico (flussimetria). Decelerazioni. Sono riduzioni della FCF di durata inferiore a 3 min; vengono distinte in periodiche se in rapporto cronologico con le contrazioni uterine e sporadiche se non sono in rapporto con le contrazioni. Decelerazioni periodiche. Possono essere di tre ti-
Fig.22.4.Accelerazioni periodiche
pi: decelerazioni precoci o Dip I, decelerazioni tardive o Dip II e decelerazioni variabili o Dip I e Dip II. Decelerazioni precoci o Dip I. Hanno una forma speculare rispetto alla contrazione e l’acme della decelerazione corrisponde a quello della contrazione. Decelerazioni tardive o Dip II. Si diversificano dalle precedenti per un ritardo cronologico della decelerazione rispetto alla contrazione per cui l’acme della decelerazione è tardiva rispetto alla contrazione. Decelerazioni variabili Dip I e Dip II. Hanno una morfologia diversa ad ogni contrazione e sono in rapporto cronologico variabile con le contrazioni uterine. Il tracciato che presenta decelerazioni precoci e tardive si definisce uniforme; non uniforme quello in cui sono presenti decelerazioni variabili (Fig. 22.5). Nelle decelerazioni precoci la FCF non scende generalmente al di sotto dei 100 bpm e rispetto alla linea ba-
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Fig.22.5.Riproduzione schematica delle decelerazioni periodiche.Decelerazioni precoci o Dip I,decelerazioni tardive o Dip II,decelerazioni variabili o Dip I e Dip II
sale non si ha un decremento superiore ai 30 bpm . Sono per lo più dovute ad una compressione della testa fetale che comporta una riduzione del tono simpatico con conseguente decremento della FCF. Quando si ripetono per più di 30 min è necessario, se le condizioni ostetriche lo consentono, agevolare il disimpegno della testa. Nelle decelerazioni tardive la FCF può scendere fino a 60 bpm; se la riduzione della FCF è <15 bpm si parla di decelerazioni tardive lievi; per una riduzione tra 15 e 45 bpm la decelerazione è media, per riduzioni della frequenza >45 bpm la decelerazione è grave. Sono dovute ad una riduzione dell’apporto di O2 conseguente alla contrazione uterina che si instaura su una ipossiemia preesistente; sono quindi espressione di carente
ossigenazione del feto per insufficiente perfusione uteroplacentare. Per quanto attiene alla prognosi fetale ha importanza oltre che l’entità delle decelerazioni anche il loro numero; viene definito quoziente decelerazione/contrazione il rapporto tra il numero delle decelerazioni e il numero delle contrazioni, se tale rapporto si avvicina all’unità la prognosi peggiora. Decelerazioni variabili. Hanno, come detto, una morfologia ed un rapporto cronologico variabile con le contrazioni. La FCF può scendere al di sotto dei 60 bpm. Sono dovute ad una ipossiemia da compressione funicolare (giri di funicolo serrati, compressioni del cordone contro strutture ossee, ecc.).
Fig.22.6.Criteri prognostici sfavorevoli delle decelerazioni variabili.Modificata da [3]
Capitolo 22 • Monitoraggio delle condizioni fetali • A.L.Borrelli,A.Di Lieto,P.Borrelli
La gravità della decelerazione è direttamente proporzionale alla durata della stessa e alla riduzione della FCF. Ulteriori criteri per valutare il significato delle decelerazioni variabili sono riportate nella Figura 22.6. Decelerazioni sporadiche. Non compaiono in rapporto a contrazioni uterine, sono rappresentate dalle spikes o Dip 0 e dalle decelerazioni prolungate. Le spikes sono riduzioni della FCF dovute a movimenti attivi fetali che possono determinare una modesta compressione del funicolo, a giri di funicolo intorno al collo o a contrazioni del diaframma nel singhiozzo fetale. In genere non hanno significato patologico (Fig. 22.7).
Fig.22.7.Spikes o Dip 0
Le decelerazioni prolungate sono legate ad alcuni eventi quali: ipotensione arteriosa materna, sindrome da compressione cavale o da ipertonia uterina.
Alterazioni della FCF a breve termine Queste alterazioni comprendono la variabilità di lungo periodo o macrofluttuazione e quella di breve periodo o microfluttuazione; quest’ultima può essere analizzata solo mediante la cardiotocografia computerizzata. La variabilità di lungo periodo riguarda la frequenza delle oscillazioni rapide e l’ampiezza delle oscillazioni o ampiezza di variabilità. Nel tracciato cardiotocografico l’attività cardiaca fetale non è registrata come una linea continua, ma come una serie di oscillazioni (oscillazioni periodiche) che incrociano la linea basale (Fig. 22.8); dette oscillazioni sono la risultante delle oscillazioni del tono vagale e di quello simpatico sul NSA. Frequenza delle oscillazioni rapide. Le oscillazioni sul tracciato si presentano con un andamento di tipo
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sinusoidale. Ciascuna di queste oscillazioni presenta con la linea di valore medio o linea zero punti di intersezione che vanno sotto il nome di passaggi a zero, il punto più alto di inversione di un’oscillazione si definisce punto di vertice (Fig. 22.8) ogni oscillazione corrisponde a 3 passaggi a zero. In condizioni fisiologiche la frequenza delle oscillazioni rapide deve presentare, in un minuto, da 2 a 6 punti di vertice e quindi da 5 a 13 passaggi a zero (Fig. 22.8). I punti di vertice devono essere acuminati. L’ampiezza delle oscillazioni o ampiezza della variabilità è definita dalle dimensioni delle oscillazioni; si valuta dall’ampiezza della variazione (distanza massima in battiti tra 2 cuspidi opposte) che la FCF presenta in un tratto di tracciato di 1 minuto (Fig. 22.8). In base all’ampiezza delle oscillazioni rapide e quindi alla variabilità si distinguono 4 tipi di tracciati (Fig. 22.9): – tracciato silente o tipo 0. Si ha quando l’ampiezza è <5 bpm (Fig. 22.10). È espressione di depressione dei centri cardioregolatori da sofferenza ipossica o acidotica, può essere anche in rapporto a malformazioni cerebrali o cardiache o all’azione di farmaci sedativi; si osserva, tuttavia, anche in presenza di sonno fetale e in questi casi, stimolando il risveglio fetale con stimoli acustici o meccanici, si ottiene un allargamento dell’ampiezza; – tracciato ondulatorio stretto o tipo 1. Si ha quando l’ampiezza è tra 5 e 10 bpm. È anch’esso espressione di depressione dei centri cardioregolatori anche se la sofferenza è meno grave che nel tracciato tipo 0 (Fig.22.11); – tracciato ondulatorio o tipo 2. Si ha quando l’ampiezza è tra 10 e 25 bpm. È il tracciato che si rileva in condizioni fisiologiche (Fig. 22.12); – tracciato saltatorio o tipo 3. Si ha quando l’ampiezza è >25 bpm. È spesso conseguente a stimoli abnormi di natura meccanica a partenza dal funicolo o a movimenti fetali molto energici che agiscono sui centri cardioregolatori non depressi (Fig. 22.13).
Cardiotocografia ante-partum Viene praticata generalmente dopo la 30ª settimana con frequenza variabile a seconda del tipo e della gravità della patologia materno-fetale e dell’epoca in cui detta patologia si manifesta. La CTG ante-partum può essere eseguita senza stimolo o con stimolo.
CTG ante-partum senza stimolo o Non Stress Test (NST) Nel cardiotocogramma vanno considerati i seguenti parametri: 1. frequenza cardiaca fetale di base o Fetal Heart Rate (FHR); 2. ampiezza o variabilità delle oscillazioni rapide;
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Fig.22.8.Riproduzione schematica della frequenza e dell’ampiezza delle oscillazioni periodiche
Fig.22.9.Rappresentazione schematica dei vari tipi di tracciato in relazione all’ampiezza delle oscillazioni rapide o periodiche
Fig.22.10.Tracciato silente o tipo 0
Fig.22.11.Tracciato ondulatorio attenuato o tipo 1
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Capitolo 22 • Monitoraggio delle condizioni fetali • A.L.Borrelli,A.Di Lieto,P.Borrelli
Fig.22.12.Tracciato ondulatorio o tipo 2
Fig.22.13.Tracciato saltatorio o tipo 3
3. presenza di movimenti attivi fetali (MAF) o di contrazioni uterine spontanee (contrazioni di BraxtonHicks); 4. risposta della FHR (accelerazioni) ai MAF e alle contrazioni di Braxton-Hicks; 5. eventuale presenza di decelerazioni. La registrazione cardiotocografica non deve durare meno di 30 min (i periodi di sonno fetale generalmente non superano i 20 min). Per la valutazione della cardiotocografia antepartum sono stati proposti vari schemi che attribuiscono, a seconda dei casi, punteggi diversi ai vari parametri analizzati; sommando i punteggi relativi ai vari parametri il tracciato si definisce rassicurante, non rassicurante o anormale e quindi le condizioni fetali rispettivamente ottimali, intermedie o compromesse (Tabella 22.4).
Volendo considerare particolarmente la reattività della FHR ai movimenti fetali il NST si definisce reattivo e cioè normale o rassicurante se durante un’osservazione di 20 minuti compaiono, in rapporto ai movimenti attivi fetali, 2 o più accelerazioni di almeno 15 bpm della durata di almeno 15 secondi [4]. La CTG antepartum sembra particolarmente utile nell’escludere piuttosto che nel diagnosticare la sofferenza fetale. È stata, infatti, dimostrata un’alta specificità della metodica (>90%) ed una modesta sensibilità (circa 50%), e ciò è confermato dal fatto che molto raramente sono stati rilevati esiti sfavorevoli in presenza di tracciati cardiotocografici normali [4, 5]. È opinione diffusa che la CTG ante-partum possa ridurre la mortalità intrauterina nelle gravidanze ad alto rischio [4] che infatti costituiscono la principale indicazione alla CTG ante-partum (Tabella 22.5).
Tabella 22.4. Valutazione a punti della cardiotocografia antepartum (NST) Parametro Frequenza cardiaca fetale di base (FHR) Variabilità o ampiezza delle oscillazioni rapide in bpm Movimenti attivi fetali (MAF) Risposta della FHR ai MAF Risposta della FHR alle contrazioni di Braxton-Hicks
0 <100 >180 <5 per ≥90 min nessuno nessuno decelerazione
1 100-109 161-180 <5 per 40-90 min 1-2 in 30 min accelerazioni <15 bpm nessuna
Risultato punteggio:10-9,rassicurante; 8-6,non rassicurante; ≤5,anormale
2 110-160 ≥5 >2 in 30 min 2 o più accelerazioni ≥15 bpm di durata >15 sec accelerazioni
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Tabella 22.5. Indicazioni e frequenza di esecuzione del NST Patologie Indicazioni assolute Insufficienza placentare,gestosi EPH, iposviluppo fetale Diabete mellito Gravidanza multipla Isoimmunizzazione Rh Placenta previa Malattie cardiache cianogene Gravidanza protratta Indicazioni relative Gravidanza dopo sterilità Pregressa abortività o mortalità perinatale Anomalie liquido amniotico (poliamnios,oligoamnios) Primipara o pluripara attempata >35 anni Primipara giovane (<18 anni)
Frequenza Da più volte al giorno a ogni 2-4 giorni ogni 2-3 giorni Da più volte al giorno a ogni 3 giorni Da quotidiano a settimanale Da più volte al giorno a ogni 4 giorni Da più volte al giorno a ogni 4 giorni Bisettimanale per una settimana poi giornaliera Ogni 2-4 giorni Ogni 3-5 giorni
no decelerazioni. La positività (presenza di decelerazioni tardive) è invece espressione di sofferenza fetale cronica che, se associata ad assenza di reattività fetale e a riduzione della variabilità, implica l’esistenza di acidosi metabolica il che richiede l’immediata estrazione del feto mediante taglio cesareo. Il CST dovrebbe essere effettuato solo in caso di raggiunta maturità polmonare fetale e cioè dopo la 37ª settimana di gestazione, potendo innescarsi in conseguenza del test all’ossitocina il travaglio di parto [6]. Controindicazioni al CST sono: placenta previa, minaccia di parto prematuro, sproporzione feto-pelvica, presentazioni anomale, insufficienza placentare [4]. Attualmente però il CST mediante l’uso di ossitocina è stato quasi del tutto sostituito dalla stimolazione meccanica dei capezzoli sia per la migliore compliance da parte delle pazienti sia per il minor rischio di iperstimolazione uterina.
Ogni 2-4 giorni
Cardiotocografia in travaglio di parto Ogni 3-7 giorni Ogni 3-7 giorni
Non esistono attualmente, invece, evidenze scientifiche che confermino l’effettiva utilità della CTG antepartum nel ridurre la morbilità e la mortalità perinatale in gravidanze fisiologiche [5].
CTG ante-partum con stimolo (stress test) In caso di NST non rassicurante o non reattivo si può ricorrere al test con stimolo. Si può effettuare una stimolazione vibro-acustica (VAS) con un trasmettitore applicato all’addome materno o si può praticare l’OCT (Oxitocin Challenge Test) inducendo contrazioni uterine mediante ossitocina: si immettono 5 UI di ossitocina in 500 ml di soluzione fisiologica e si inizia con 0,5 mU/min (1 goccia/min); il dosaggio viene aumentato di 0,5 mU/min ogni 10 min finché non compare una attività contrattile regolare. Non deve mai essere superata la velocità di infusione di 10 mU/min (20 gtt/min). L’insorgenza di contrazioni uterine comporta una riduzione del flusso ematico negli spazi intervillosi e quindi una transitoria ipossiemia che, se si instaura su una ipossia di base, determina la comparsa di decelerazioni tardive. Il CST (Contraction Stress Test) viene considerato negativo quando in presenza di attività contrattile uterina (almeno 3 contrazioni al min) non compaio-
Circa la effettiva utilità della cardiotocografia in travaglio di parto vi è tuttora un dibattito aperto e ciò soprattutto in relazione al numero elevato di falsi positivi (tracciati patologici che si associano a feti in buone condizioni) [7]. La CTG in travaglio ci consente essenzialmente una valutazione qualitativa delle condizioni fetali: se il tracciato CTG è normale il feto è generalmente in buona salute, sono infatti eccezionali i falsi negativi (tracciati normali relativi a feti sofferenti) [8, 9]. Se il tracciato CTG è patologico (decelerazioni variabili e/o tardive, bradicardie, riduzioni della variabilità ecc.) vi può essere una sofferenza, ma ciò non è sempre vero, potendo uno stesso tracciato anomalo associarsi sia ad un feto in condizioni discrete che ad un feto in condizioni gravi [8]; ma anche in presenza di una sofferenza fetale, il pattern cardiotocografico non è capace di stabilire se il feto sia solo ipossico o si trovi in una condizione di acidosi. Si può, quindi, affermare che la CTG in travaglio non ci consente di porre diagnosi, ma può essere utile quale metodica di screening soprattutto nelle gravidanze ad alto rischio, mentre non esiste accordo circa i protocolli di sorveglianza nelle gravidanze a basso rischio [10]. La valutazione quantitativa dell’eventuale sofferenza è possibile con la determinazione del pH del sangue fetale prelevato dallo scalpo fetale a borsa rotta e dilatazione di almeno 4 cm con la tecnica di Saling quasi del tutto abbandonata per la notevole invasività della metodica [11, 12], o più di recente valutando la percentuale di saturazione di O2 dell’Hb fetale (SpO2) mediante l’ossimetria pulsata.
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Limiti della CTG I limiti della CTG sono dovuti a: 1. eccessiva variabilità interpretativa inter- e intraoperatore. Se per i tracciati normali la corrispondenza nell’interpretazione è abbastanza elevata, essa si riduce notevolmente per i tracciati non rassicuranti o anormali soprattutto durante il travaglio di parto il che determina l’insorgenza di numerosi contenziosi medico-legali [13, 14]. 2. Scarsa sensibilità della metodica e bassa corrispondenza con i parametri emogas-analitici. Circa il 50% dei tracciati cardiotocografici patologici intrapartum si associano, infatti, a parametri emogas-analitici normali. 3. Mancanza di criteri interpretativi univoci e riconosciuti il che, ingenerando dubbi e incertezze, induce gli operatori per evitare problemi medico-legali a praticare la cosiddetta “medicina difensiva” con notevole incremento degli interventi ostetrici.
Conclusioni Per i motivi su esposti la CTG, pur non essendo in grado di valutare da sola lo stato di salute fetale, va tuttavia considerata un utile ed efficace supporto nel periodo antepartum all’indagine ecografica e flussimetrica nella sorveglianza fetale contribuendo, soprattutto nelle gravidanze ad alto rischio, a stabilire sia il timing che le modalità del parto.
Cardiotocografia computerizzata La CTG computerizzata (un cardiotocografo è collegato ad un computer sistema provvisto di software in grado di effettuare l’analisi del tracciato), permettendo di valutare la media degli intervalli tra battito e battito cardiaco fetale ogni 2 secondi, consente di stimare in modo accurato la variabilità di breve periodo (microfluttuazioni), che non solo costituisce l’indicatore predittivo di sofferenza fetale ipossica più affidabile e sensibile, ma è anche in grado di dare informazioni preziose circa l’integrazione istantanea dei sistemi di controllo sul NSA e quindi sulla funzionalità del sistema nervoso vegetativo fetale [14]. L’utilizzo di particolari software, che rendono possibili complesse analisi matematiche del segnale ed il calcolo di parametri quantitativi non valutabili visivamente quali appunto la variabilità di breve periodo, l’analisi spettrale ecc., consentono con questa metodica, una valutazione obbiettiva del cardiotocogramma [15]. Sebbene non ancora largamente diffusa (costi, scetticismo ingiustificato nei confronti di novità tecniche, ecc.) la CTG computerizzata presenta indubbi vantaggi rispetto a quella classica perché:
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a. risolve il problema dell’ampia variabilità interpretativa della CTG classica [16] in quanto i tracciati sono valutati dal sistema computerizzato in base a criteri prestabiliti; b. facilita l’archiviazione computerizzata dei dati; c. consente la rapida trasmissione a distanza dei cardiotocogrammi per consulenze e analisi integrate (telecardiotocografia computerizzata). Le condizioni fetali possono, inoltre, essere valutate in tempi successivi mediante uno “studio longitudinale” di uno stesso feto in modo da poter seguire l’evoluzione di una eventuale patologia fetale nel tempo. Quest’ultimo approccio è stato utilizzato nel management dei feti IUGR con anomalie della flussimetria ombelicale nei quali alterazioni precoci della variabilità di breve periodo risultano decisive per stabilire il timing del parto, soprattutto se associate ad alterazioni flussimetriche del dotto venoso. La CTG computerizzata, che trova per i motivi suddetti rispetto a quella tradizionale ampia e valida giustificazione nel periodo ante-partum, è scarsamente utilizzata nel corso del travaglio di parto, non essendo stata ancora dimostrata la sua capacità di segnalare tempestivamente ed in modo inequivocabile condizioni di sofferenza fetale acuta intra-partum.
Telecardiotocografia computerizzata La telemedicina origina dall’utilizzo combinato di apparecchiature elettromedicali, tecnologie informatiche e sistemi per le telecomunicazioni, allo scopo di assicurare la diagnosi, il consulto specialistico ed il monitoraggio a distanza anche a pazienti residenti in luoghi lontani da centri sanitari adeguatamente attrezzati. Recentemente, la telemedicina è stata applicata anche alla cardiotocografia, allo scopo di ridurre il sovraccarico delle strutture ambulatoriali e il numero di ricoveri di lunga durata effettuati al fine di consentire un monitoraggio fetale intensivo [17]. Il primo, e finora unico, sistema di telecardiotocografia attivo in Italia, chiamato TOCOMAT, è nato nel 1999 presso il Dipartimento di Scienze Ostetrico-Ginecologiche, Urologiche e Medicina della Riproduzione afferente alla Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II” [18, 19]. Il sistema TOCOMAT mette in connessione telematica otto unità periferiche situate presso consultori od ospedali in aree decentrate o su piccole isole della Campania con la Centrale Operativa dell’Università “Federico II” di Napoli. Dal 2004, un’ulteriore unità periferica, sita presso il Dipartimento di Ginecologia e Ostetricia dell’Università “Semmelweis” di Bu-
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dapest (Ungheria), è inserita nel sistema di telecardiotocografia. Le unità periferiche sono dotate di un cardiotocografo tradizionale con interfaccia modem, dotato di penna ottica per la registrazione dei dati anagrafici e di eventuali annotazioni relative alla paziente. Tutti i dati ed i tracciati cardiotocografici sono trasmessi via modem alla Centrale Operativa. I dati sono ricevuti, visualizzati e archiviati dal sistema computerizzato OB TraceVue (Philips Medical Systems). A quest’ultimo è collegato il sistema 2CTG2 (SEA Srl), che effettua l’analisi computerizzata dei tracciati. Entro pochi minuti, il tracciato elaborato dal sistema, il report dell’analisi computerizzata ed il referto medico vengono inviati all’unità periferica via e-mail. In quasi sei anni di attività, il sistema TOCOMAT ha consentito il monitoraggio cardiotocografico a distanza di circa 1.900 pazienti, per lo più con gravidanza ad alto rischio, e la registrazione e l’analisi di circa 6.000 tracciati, con miglioramento del livello di sorveglianza perinatale e della qualità di vita delle pazienti e con vantaggi evidenti in termini di razionalizzazione della spesa sanitaria [20].
ECOGRAFIA Introduzione I continui progressi dell’ecografia ultrasonica (color e power Doppler, sonde ad alta densità di cristalli, acquisizione volumetrica per immagini tridimensionali, ecc.), consentendo una accuratezza diagnostica impensabile solo alcuni anni fa, hanno reso questa metodica un presidio assolutamente indispensabile in campo ostetrico e soprattutto nell’ambito della medicina prenatale. Essendo, infatti, divenuto routinario l’uso dell’ultrasonografia per il controllo della gravidanza e soprattutto per il monitoraggio del benessere fetale, la Società Italiana di Ecografia Ostetrico-Ginecologica (SIEOG) ha elaborato linee guida2 (aggiornate nel 2006) ed ha fornito raccomandazioni relative all’impiego di questa metodica proponendo l’effettuazione di tre ecografie nel corso della gravidanza, una per ogni trimestre [21]. Le linee guida si propongono quale obiettivo principale quello di ottimizzare le prestazioni degli operatori del settore ed hanno, quindi, il significato di consigli e riferimenti su specifiche problematiche; vogliono essere di difesa per l’opera del sanitario e non di limitazione e vincolo per la sua libertà decisionale. Le li2
nee guida mirano in particolare a: – definire le finalità e le indicazioni di ogni specifico esame ecografico; – indicare i requisiti tecnologici della strumentazione; – indicare le modalità di esecuzione dell’esame; – riportare l’accuratezza attesa dall’esame; – indicare le modalità di refertazione. Tali obiettivi possono essere raggiunti solo se si eseguono programmi di verifica e di revisione consentendo la formazione e l’accreditamento dei sanitari. Le linee guida, favorendo una uniformità di giudizi e di comportamenti, hanno acquisito una importanza notevole per il controllo della reale efficienza delle prestazioni mediche soprattutto in caso di contenziosi medico legali. Le raccomandazioni sono classificate, in base al grado di evidenza scientifica, in 3 livelli: – livello A: raccomandazioni basate su buone e concordi evidenze scientifiche; – livello B: raccomandazioni basate su evidenze scientifiche limitate e non unanimemente concordi; – livello C: raccomandazioni basate principalmente su opinioni di esperti e/o consensus.
Ecografia del I trimestre3 Le finalità dell’esame ecografico sono: 1. visualizzazione dell’impianto in sede uterina della camera ovulare (o sacco gestazionale), determinazione del numero delle camere ovulari presenti; 2. visualizzazione della presenza, del numero degli embrioni/feti4 e della attività cardiaca; 3. datazione della gravidanza. Le indicazioni all’esame ecografico del I trimestre sono: a. perdite ematiche vaginali e/o dolore pelvico come in caso di minaccia di aborto o sospetto di gravidanza ectopica (livello di raccomandazione A); b. discrepanza tra volume uterino rilevato e quello atteso per età gestazionale anamnestica (livello di raccomandazione A); c. datazione (livello di raccomandazione B); d. rischio specifico di malformazione fetale (livello di raccomandazione B); e. richiesta di diagnosi prenatale invasiva (livello di raccomandazione C); f. pazienti a basso rischio ed in assenza di indicazioni specifiche (livello di raccomandazione C).
Le linee guida SIEOG 2006, sommariamente riportate nel capitolo, sono reperibili on line sul sito www.sieog.it. Per primo trimestre si intende il periodo di età gestazionale fino a 13 settimane + 6 giorni. 4 Per embrione si intende il prodotto del concepimento fino a 10 settimane compiute, da 10 settimane e 1 giorno in poi si parla di feto. 3
Capitolo 22 • Monitoraggio delle condizioni fetali • A.L.Borrelli,A.Di Lieto,P.Borrelli
L’esame può essere effettuato per via transaddominale o transvaginale utilizzando un ecografo real time dotato di sonda addominale di almeno 3,5 MHz e/o sonda vaginale di almeno 5 MHz. L’introduzione delle sonde vaginali ad alta risoluzione ed elevata frequenza (>6,5 MHz) e multifrequenza ha permesso di studiare le fasi precoci dello sviluppo embriofetale (vedi Capitolo 1) ed ha contribuito ad una migliore e più precoce diagnosi non invasiva di malformazioni fetali, anche se la ricerca delle predette anomalie non costituisce una specifica finalità dell’ecografia del I trimestre (vedi Capitolo 1). Qualora si osservi un quadro ecografico sospetto per malformazioni è consigliato effettuare un approfondimento diagnostico (livello di raccomandazione B). L’ecografia che permette nelle prime 8-13 settimane la datazione della gravidanza mediante la determinazione del CRL, costituisce anche un importante strumento per lo screening delle cromosomopatie e soprattutto per quello della sindrome di Down mediante la misurazione della translucenza nucale, la visualizzazione dell’osso nasale, ecc. (vedi Capitolo 5). L’esame ecografico per la misura della translucenza nucale deve essere effettuato solo alle gestanti che lo richiedono e solo da operatori accreditati da Società Scientifiche nazionali o internazionali, i quali abbiano ricevuto un adeguato training teorico e pratico, e siano sottoposti a controlli periodici di qualità. Le possibilità diagnostiche e i limiti della NT, come test di screening, devono essere illustrate con consenso informato (livello di raccomandazione A). L’ecografia del I trimestre risulta, inoltre, importante in caso di anomalie utero-annessiali (fibromi, masse annessiali, malformazioni uterine) in quanto nel prosieguo della gravidanza l’aumento del volume dell’utero e l’interposizione di parti fetali possono limitare il riconoscimento di queste patologie. I risultati dell’esame ecografico vanno repertati in modo assolutamente dettagliato con eventuale documentazione iconografica.La refertazione scritta va controfirmata dall’ecografista che può consigliare tempi e modalità per ulteriori controlli ecografici (linee guide SIEOG 2006).
Ecografia del II trimestre5 Le finalità sono costituite da: 1. determinazione del numero dei feti; 2. datazione della gravidanza; 3. valutazione dell’anatomia fetale. Le indicazioni sono: a. datazione della gravidanza qualora non sia dispo5
b. c. d. e. f.
415 nibile l’ecografia del I trimestre (livello di raccomandazione A); identificazione delle gravidanze plurime qualora non sia disponibile l’ecografia del I trimestre (livello di raccomandazione A); perdite ematiche vaginali (livello di raccomandazione A); rischio specifico di malformazioni fetali (livello di raccomandazione B); richiesta di diagnosi prenatale invasiva (livello di raccomandazione C); pazienti a basso rischio, in assenza di indicazioni specifiche (livello di raccomandazione B).
L’esame si esegue per via transaddominale con ecografo in real time dotato di sonda addominale di almeno 3,5 MHz. La morfogenesi fetale è un evento evolutivo che non può essere colto in modo esaustivo con un unico esame ecografico. Qualora l’obiettivo fondamentale dell’ecografia sia lo studio dell’anatomia fetale per lo screening delle malformazioni congenite (ecografia morfologica o strutturale), l’epoca ottimale per eseguire detto screening è compresa tra la 19ª e la 21ª settimana quando la morfogenesi fetale è quasi del tutto completata.Va tuttavia segnalato che per lo screening della patologia congenita la sensibilità media dell’ecografia è limitata ed è compresa, nelle varie casistiche, tra il 30% e il 61% variando in relazione all’apparato in esame, alla qualità dell’ecografo, all’esperienza dell’operatore e richiede per gli obiettivi che si prefigge l’analisi sistematica dei vari organi e apparati fetali. Per questi motivi la gestante va sempre preventivamente informata circa i limiti della metodica per cui è possibile che alcune anomalie non vengano rilevate con l’ecografia anche per eventuali fattori ostativi all’indagine (pannicolo adiposo, posizione sfavorevole del feto). In presenza di un sospetto ecografico di malformazione va sempre consigliato un approfondimento diagnostico in centri di II livello (livello di raccomandazione B) con eventuale determinazione del cariotipo fetale. Le varie anomalie congenite fetali rilevabili mediante l’ecografia strutturale del II trimestre sono riportate in specifici capitoli del testo a cui si rimanda. Tra gli obiettivi dell’ecografia del II trimestre non è compreso lo screening delle anomalie cromosomiche mediante la ricerca dei marcatori ecografici di cromosomopatie. Tuttavia il rilievo di uno o più marcatori (vedi Capitolo 5) richiede una consulenza genetica appropriata (livello di raccomandazione B).
Per II trimestre si intende il periodo di età gestazionale compreso tra 14 settimane compiute e 26 settimane compiute di gestazione.
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Non va infine dimenticata l’importanza dello studio flussimetrico delle arterie uterine tra la 20ª e la 22ª settimana per lo screening delle gestanti a rischio di ipertensione gestazionale. La Doppler-velocimetria del versante fetale nel monitoraggio delle gravidanze ad alto rischio ed in particolare di quelle complicate da FGR va effettuata nei centri di II livello. Anche l’ecografia del II trimestre va repertata in maniera dettagliata e accurata e controfirmata dall’operatore.
Ecografia del III trimestre Le finalità dell’esame ecografico sono: 1. valutazione della crescita fetale; 2. valutazione della quantità di liquido amniotico e dell’inserzione placentare. Le indicazioni sono: a. rischio anamnestico o attuale di patologia della crescita fetale: patologia materna associata (iperten-
Tabella 22.6. Finalità e minimi standard previsti dalle linee guida SIEOG 2006 I trimestre Finalità • visualizzazione dell’impianto in sede uterina della camera ovulare (o sacco gestazionale) e loro numero • visualizzazione della presenza dell’embrione/feto,del loro numero e della attività cardiaca • datazione della gravidanza Minimi standard • presenza/assenza di camera ovulare endouterina • identificazione di embrione/feto,numero di embrioni/feti • presenza/assenza di attività cardiaca • misura della camera ovulare se non è visualizzabile l’embrione (diametro medio della camera ovulare) • misura dell’embrione/feto:CRL (lunghezza cranio-caudale) e/o diametro biparietale (BPD) • patologie uterine o annessiali associate • datazione ecografica corrispondente/non corrispondente all’epoca di amenorrea • in caso di gravidanze plurime è necessario valutare la corionicità/amnioticità II trimestre Finalità • determinazione del numero dei feti • datazione della gravidanza • valutazione dell’anatomia fetale Minimi standard • Estremità cefalica – diametro biparietale,circonferenza cranica (CC),diametro trasverso del cervelletto – misurazione dell’ampiezza del trigono ventricolare (o ventricoli cerebrali) – orbite visualizzate/non visualizzate • Colonna vertebrale – scansione longitudinale della colonna • Torace – visualizzazione dei polmoni – situs cardiaco – scansione “quattro camere cardiache”con valutazione degli efflussi*
– connessione ventricolo-arteriosa sinistra (efflusso sinistro) – connessione ventricolo-arteriosa destra (efflusso destro) • Addome – misura cinconferenza addominale (CA) – visualizzazione dello stomaco e profilo della parete addominale anteriore – visualizzazione dei reni e della vescica • Arti – visualizzazione delle ossa lunghe dei quattro arti – visualizzazione delle estremità mani e piedi senza identificazione delle dita – misura della lunghezza di un femore • Liquido amniotico – valutazione della quantità anche soggettiva • Placenta – localizzazione III trimestre Finalità • valutazione della crescita fetale • valutazione della quantità di liquido amniotico e dell’inserzione placentare Minimi standard • valutazione della situazione,presentazione ed attività cardiaca fetale • valutazione della quantità di liquido amniotico:diminuito/ aumentato e della localizzazione della placenta in rapporto all’orifizio uterino interno • biometria:misurazione di: – diametro biparietale (BPD) – circonferenza addominale (CA) – lunghezza di un femore – ventricoli cerebrali regolari/irregolari – attività cardiaca presente/non presente (quattro camere cardiache) – stomaco visualizzato/non visualizzato – reni regolari/non regolari,vescica visualizzata/non visualizzata • biometria corrispondente/non corrispondente all’epoca di amenorrea • accrescimento regolare/irregolare
*Tale valutazione migliora la sensibilità dello screening delle cardiopatie congenite.Richiedendo uno specifico training degli operatori può,nei prossimi tre anni,non essere eseguito.Di tutto ciò va informata la paziente
Capitolo 22 • Monitoraggio delle condizioni fetali • A.L.Borrelli,A.Di Lieto,P.Borrelli
b. c. d. e. f.
sione, diabete); sospetto clinico di ipo- o ipersviluppo uterino; gravidanza plurima (livello di raccomandazione B); perdite ematiche vaginali (livello di raccomandazione B); sospette anomalie del liquido amniotico (poliamnios, oligoamnios) e di inserzione placentare (livello di raccomandazione B); sospette malformazioni o malformazioni già diagnosticate a carattere evolutivo (livello di raccomandazione B); gravidanza oltre la 41ª settimana - valutazione della quantità di liquido amniotico (livello di raccomandazione C); gravidanza a basso rischio ed in assenza di indicazioni specifiche (livello di raccomandazione C).
L’esame si esegue per via transaddominale con ecografo in real time dotato di sonda addominale di almeno 3,5 MHz. Il ricorso alla sonda transvaginale di almeno 5 MHz può essere necessario per valutare il rapporto tra la placenta e l’orifizio uterino interno. L’epoca ideale per l’esecuzione di questo esame è compresa tra la 30ª e la 34ª settimana. La biometria del III trimestre non deve mai essere utilizzata per datare la gravidanza; l’età gestazionale deve essere stata definita prima di iniziare l’esame ecografico. La stima del peso basata su misura delle variabili biometriche, è inficiata da un errore uguale o superiore al 10%, non è raccomandata se non in casi selezionati (livello di raccomandazione C). Il riconoscimento delle malformazioni non è un obiettivo specifico dell’ecografia del III trimestre nelle gravidanze a basso rischio. Un rischio anamnestico o attuale richiede approfondimenti specifici e mirati (livello di raccomandazione B). Nella Tabella 22.6 sono riportate le finalità e i minimi standard degli esami ecografici previsti dalle linee guida della SIEOG nel 2006.
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con certezza la data di inizio dell’ultima mestruazione regolare o in base ad ecografie eseguite precedentemente nel I trimestre (misura del CRL) o nel II trimestre entro la 22ª settimana (misura del BPD, diametro trasverso del cervelletto, lunghezza del femore). Solo in questa maniera è possibile, attraverso ecografie seriate, valutare in epoche successive la normalità dell’accrescimento fetale. Sono state, a tal proposito, realizzate tavole biometriche relative alle varie epoche gravidiche cui far riferimento specialmente quando si sospettino dismorfismi malformativi o turbe dell’accrescimento (Figg. 22.14, 22.15). I principali parametri su cui si basa lo studio della biometria fetale nel III trimestre sono il diametro biparietale (BPD), la circonferenza cranica (CC) la circonferenza addominale (CA) e la lunghezza del femore (LF). Le modalità di esecuzione della biometria fetale da effettuare nel corso della gravidanza sono riportate nella Tabella 22.7.
Monitoraggio ecografico delle condizioni fetali L’esame ecografico, attraverso la determinazione di parametri biometrici, funzionali e Doppler-flussimetrici si pone come strumento importante per il monitoraggio, sia pure indiretto, del benessere fetale [22]. Di particolare rilievo, a questo proposito, è lo studio dell’accrescimento fetale attraverso la biometria.
Parametri biometrici La biometria fetale del III trimestre, come già detto, non va mai utilizzata per datare la gravidanza. L’età gestazionale deve essere già stata stabilita prima di effettuare l’ecografia del III trimestre o conoscendo
Fig.22.14.Curve di crescita relative al BPD e al femore (media±2 DS)
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
Per la diagnosi di iposviluppo fetale più che la determinazione dei singoli parametri, ha importanza la valutazione dei rapporti morfometrici (vedi Capitolo 27). Molto utile per differenziare lo IUGR simmetrico da quello asimmetrico è il rapporto CC/CA che normalmente è inferiore all’unità (CC/CA<1); detto rapporto nello IUGR simmetrico può rimanere <1, ma nello IUGR asimmetrico diviene >1.
Parametri funzionali
Fig. 22.15. Curve di crescita relative alla circonferenza cranica e alla circonferenza addominale (media±2 DS) Tabella 22.7. Modalità di esecuzione della biometria fetale • Diametro medio della camera gestazionale:è la media dei tre diametri maggiori ortogonali tra di loro rilevati attraverso la misurazione della cavità anecogena. • Lunghezza vertice-sacro (LVS-CRL): è la misura secondo l’asse lungo dell’embrione/feto ai limiti esterni del polo craniale e caudale. • Diametro biparietale (BPD):è la misura della distanza tra i punti più sporgenti delle bozze parietali nel punto in cui si visualizzano la linea mediana,il setto pellucido e i talami (margine esterno-interno). • Circonferenza cranica (CC):il piano di scansione è lo stesso del BPD. • Diametro trasverso del cervelletto (DTC): è il diametro trasverso del cervelletto in una sezione sottocipito-bregmatica. • Circonferenza addominale (CA): il punto di repere per la misurazione è quello in cui, nel piano di scansione perpendicolare alla colonna, appare lo stomaco e la vena ombelicale nel suo decorso intraddominale. • Lunghezza femore (LF):i caliper devono essere posizionati agli estremi delle diafisi.
I parametri funzionali studiati ecograficamente sono: il liquido amniotico (LA), l’attività motoria, il tono muscolare e i movimenti respiratori. Liquido amniotico (LA). La stima della quantità di LA costituisce il parametro funzionale di più semplice rilievo. Il liquido amniotico, inizialmente secreto dalle cellule di rivestimento della membrana amniotica, dopo la 20ª settimana è prodotto in massima parte dal rene e in misura minore dal polmone fetale ed è utilizzato dal feto che lo deglutisce per la propria idratazione; si realizza, in tal modo, un vivace turnover che nel III trimestre si avvicina al ritmo di un completo rinnovo quotidiano. La quantità di LA può modificarsi in condizioni patologiche (vedi Capitolo 25). L’oligoamnios (riduzione del liquido amniotico) si osserva in presenza di patologia malformativa dell’apparato uropoietico (uropatie ostruttive) o in condizioni di sofferenza fetale cronica (centralizzazione del circolo→vasocostrizione periferica→ipoperfusione renale). Il poliamnios (aumento del liquido amniotico) si rileva invece generalmente in presenza di malformazioni fetali dell’esofago (atresia) che impediscono la deglutizione, di difetti del tubo neurale (anencefalia, spina bifida ecc.) e in conseguenza di poliuria fetale (diabete materno). Dal punto di vista diagnostico, quindi, il rilievo di un volume normale di LA è espressione di benessere fetale, variazioni in eccesso o in difetto sono correlabili a patologie fetali. La valutazione ecografica del volume del LA può essere effettuata in modo soggettivo in base all’esperienza dell’ecografista (es. normale, ridotto o aumentato) o semiquantitativo: mediante la misurazione della lunghezza delle tasche verticali maggiori nei quattro quadranti uterini (AFI Amniotic Fluid Index); la somma delle varie tasche è compresa, normalmente nel III trimestre, tra 8 e 15 cm. L’attività motoria e tono. L’attività motoria fetale inizia piuttosto precocemente: movimenti di flesso-estensione sono rilevabili già a 8 settimane. Nell’ulteriore prosieguo della gravidanza, col progressivo sviluppo e maturazione del SNC, i movimenti fetali diventano più articolati e complessi (suzione, sbadiglio, movimenti isolati delle dita, movimenti oculari, ecc.). Solo alla fine
Capitolo 22 • Monitoraggio delle condizioni fetali • A.L.Borrelli,A.Di Lieto,P.Borrelli
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Tabella 22.8. Fattori che influenzano la motilità fetale
Tabella 22.9. Stati comportamentali del feto (Modificata da [24])
Fattori materni • Malformazioni uterine • Fibromi uterini • Ipertensione gestazionale • Patologia endocrino-metabolica • Iponutrizione Fattori fetali • Maturazione sistema nervoso • Alternanza sonno-veglia • Patologia malformativa • Anomalie genetiche • Ipossia→IUGR
Stato F1 (Sonno tranquillo) Assenza di movimenti oculari Calma che può,talora,essere interrotta da brevi movimenti del corpo (sussulti) Il tracciato CTG è di tipo silente e può essere confuso con un tracciato da ipossia La flussimetria è nella norma Il tracciato si normalizza infatti al massimo entro 30 minuti Stato F2 (Sonno attivo o sonno REM) Movimenti oculari continuamente presenti Movimenti corporei di flessoestensione presenti Tracciato cardiotocografico nella norma Stato F3 (Veglia tranquilla) Movimenti oculari presenti Movimenti corporei assenti Tracciato cardiotocografico nella norma Stato F4 Movimenti oculari continuamenti presenti Attività motoria continua e “vigorosa”(jogging del feto) Il tracciato cardiotocografico è caratterizzato da tachicardia ampia e di lunga durata
Fattori annessiali • Funzionalità placentare • Briglie amniotiche • Patologia funicolare (nodi,giri,ecc.) • Alterazioni volume liquido amniotico Fattori esogeni • Stimoli luminosi o acustici • Sostanze stupefacenti e/o tossiche
• • • •
Anemia grave Stato settico Condizioni di stress psico-fisico Ipotensione
• Patologia infettiva • Patologia endocrina (tiroidea,surrenale,ecc.) • Anemia da isoimmunizzazione • Gemellarità • Situazione fetale • Rottura prematura delle membrane • Distacco di placenta normalmente inserta • Placenta previa • Fumo,alcool,caffè,ecc. • Farmaci
del 5° mese essi diventano percepibili dalla maggior parte delle gestanti. Nel III trimestre diviene più evidente la funzione di controllo del SNC sull’attività motoria che è caratterizzata dalla ciclicità di movimenti e dal loro rapporto con la frequenza cardiaca fetale. L’attività motoria è influenzabile da vari fattori (Tabella 22.8) e variazioni quotidiane sono rilevabili già a partire dalla 22ª-23ª settimana con aumento nelle ore serali e riduzione nelle prime ore del mattino, in relazione alla produzione materna di cortisolo che modula l’increzione di β-endorfine fetali. Una normale attività motoria è espressione di benessere fetale, condizioni di sofferenza si traducono in una progressiva riduzione della motilità. La registrazione dei movimenti attivi fetali percepiti dalla gestante è infatti il metodo più semplice e meno costoso di valutazione del benessere fetale (vedi Capitolo 21) [23]. Il tono muscolare è un altro parametro funzionale che, quando chiaramente alterato, prelude alla morte fetale. I movimenti diventano lenti ed ipotonici ed il feto perde il suo normale atteggiamento di flessione sul piano ventrale. Movimenti respiratori. Intorno alla 16ª-18ª settimana cominciano ad osservarsi movimenti diaframmatici legati generalmente al singhiozzo fetale. Successivamente dalla 28ª settimana si possono rilevare veri e propri
movimenti respiratori la cui presenza (almeno un episodio di 30 secondi in 30 minuti di osservazione) è espressione di benessere fetale. Al contrario, l’assenza totale o la presenza continua di atti respiratori si associano in genere a condizioni di acidosi fetale. Agli inizi degli anni ’80 Nijhuis [24] descrisse gli stati comportamentali del feto come un susseguirsi di sonno tranquillo, sonno attivo, veglia tranquilla e veglia attiva. Questi stati comportamentali del feto, già evidenti a 28 settimane, raggiungono la loro massima espressione dalla 36ª settimana in poi (Tabella 22.9).
Profilo biofisico fetale (PBF) Il rilievo di dati ecografici (movimenti respiratori, attività motoria,tono muscolare e volume di LA) e cardiotocografici permette la determinazione del cosiddetto profilo biofisico fetale proposto da Manning nel 1980 e più volte modificato (Tabella 22.10). La somma dei punteggi attribuiti ai vari parametri consente di valutare le condizioni fetali, identificando stati di sofferenza prima che producano danni irreversibili al concepito. Numerosi studi [25, 26] indicano che il monitoraggio mediante PBF nelle gravidanze ad alto rischio riduce significativamente la mortalità feto-neonatale. Il tasso di falsi positivi è tuttavia molto elevato a causa di movimenti fetali solo apparentemente ridotti (quiete
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
Tabella 22.10. Profilo biofisico fetale Parametro Movimenti respiratori fetali Movimenti attivi fetali (MAF) Tono e postura fetale
Anormale (punteggio 0) Assenti o episodi < 30 s in una osservazione di 30 min Assenti o ≤ 2 movimenti del corpo o arti in 30 min di osservazione Movimenti lenti di estensione con ritorno incompleto in flessione Accelerazioni assenti o < 2 accelerazioni o accelerazioni < 15 bpm in 20 min di osservazione
Reattività della frequenza cardiaca fetale in rapporto ai MAF in 20 min di osservazione Volume liquido amniotico Assenza di tasche o tasche <2 cm
Normale (punteggio 2) Almeno 1 episodio di almeno 30 s in un’osservazione di 30 min ≥ 3 movimenti del corpo o arti in 30 min di osservazione ≥ 2 movimenti di estensione attiva degli arti con ritorno rapido in flessione ≥ 2 accelerazioni ≥ 15 bpm ≥ 15 s in 20 min di osservazione Tasche ≥ 2 cm
Valutazione del test. Punteggio: 10 reperto ottimale;8 reperto normale;6 reperto ai limiti (se il feto è maturo eseguire il parto,in caso di immaturità fetale,ripetere il test entro 24 ore,se il punteggio è < 6 eseguire il parto);≤ 4 reperto patologico (eseguire immediatamente il parto per indicazione fetale) fetale). Poiché è stato dimostrato in studi randomizzati che non esistono differenze significative tra l’efficacia del PBF e il solo NST nel monitoraggio delle gravidanze a rischio [25], il PBF è stato del tutto abbandonato e sostituito dal PBF modificato (NST+AFI). Questo test, considerato negativo se NST e AFI [27] sono nella norma, è di semplice esecuzione ed ha un valore predittivo negativo vicino al 100%. In presenza di test dubbio o positivo come test di II livello, essendo quasi del tutto abbandonato il CST, è utile passare all’indagine Doppler flussimetrica.
Stima del peso La stima del peso fetale costituisce un dato semeiologico importante perché fornisce informazioni, sia pure indirette, sulla salute fetale e influisce in modo non trascurabile sull’evoluzione del parto e sull’assistenza neonatale. La valutazione del peso si effettua mediante l’uso di formule che integrano i parametri biometrici rilevati all’ecografia.Sono stati utilizzati diversi metodi; taluni prendono in considerazione la sola circonferenza addominale,altri la somma di più parametri quali la CA+CC+LF,ecc. Il peso presunto va poi riferito ai valori normali per epoca di gravidanza di una certa popolazione. Ogni metodo presenta margini di errore in eccesso o in difetto relativi alla metodica utilizzata che valuta parametri biometrici specifici. È possibile in un prossimo futuro un più preciso approccio per la valutazione del peso fetale mediante lo sviluppo di programmi che consentano la determinazione tridimensionale dei parametri da misurare.
Ecografia in diagnosi prenatale invasiva L’importanza dell’ecografia in diagnosi prenatale invasiva è stata già illustrata nel Capitolo 4. Appare del tutto evidente, infatti, che nessuna tecnica di diagnosi invasiva (villocentesi, amniocentesi, cordocentesi) o trattamento fetale in utero può essere effettuato a prescin-
dere dall’ultrasonografia ed in assenza di un’accurata valutazione ecografica preliminare.
DOPPLER-FLUSSIMETRIA IN OSTETRICIA Generalità In ostetricia la Doppler-flussimetria o Doppler-velocimetria, mediante lo studio della emodinamica uteroplacentare e fetale, fornisce utili informazioni sui flussi ematici dei distretti esaminati il che consente di accertare lo stato di benessere o di svelare precocemente condizioni di sofferenza fetale. Le alterazioni flussimetriche utero placentari e fetali, infatti, precedono i segni cardiotocografici ed ecografici di ipossia fetale. Lo studio flussimetrico dei vari distretti vascolari si effettua sfruttando l’effetto Doppler. Un fascio di ultrasuoni che incontra una superficie in movimento viene riflesso con una frequenza che è proporzionale alla velocità di scorrimento della superficie stessa. La differenza di frequenza tra onda emessa e onda riflessa è detta Doppler shift (fd) e viene calcolato in base alla seguente formula: fd =
2f xV x Cosθ C
dove f è una costante relativa alla frequenza di emissione degli ultrasuoni e C è la costante di diffusione degli ultrasuoni nei tessuti esaminati per cui il Doppler shift è funzione di V (velocità di scorrimento del fluido in esame) e del coseno di θ (angolo tra direttrice del fascio di ultrasuoni e direzione della superficie in movimento). Determinato il Doppler shift è possibile ricavare la velocità del flusso in m/s con la seguente equazione: V=
fd x C 2f x Cosθ
Gli apparecchi in uso possiedono elaboratori in grado di determinare in tempo reale non solo il Doppler
Capitolo 22 • Monitoraggio delle condizioni fetali • A.L.Borrelli,A.Di Lieto,P.Borrelli
shift, ma anche di esprimere graficamente la “qualità” del flusso ematico in esame. Si ottiene, quindi, un tracciato (onda velocimetrica) caratterizzato da un picco relativo alla velocità del flusso in sistole cui segue un tratto relativo alla velocità in diastole (Fig. 22.16).
Fig.22.16.Morfologia dell’onda velocimetrica:a sinistra in condizioni fisiologiche e a destra in caso di aumentate resistenze periferiche.V.S.,velocità sistolica; V.D.,velocità diastolica La forma dell’onda velocimetrica è determinata da molti fattori: gettata cardiaca, viscosità del sangue, diametro del vaso, turbolenza del flusso, resistenze vascolari periferiche. Studi clinici e sperimentali hanno ampiamente documentato che la morfologia dell’onda è principalmente influenzata dalle resistenze vascolari periferiche che, se aumentano, incidono soprattutto sulla velocità di scorrimento telediastolico con appiattimento o addirittura scomparsa dell’onda corrispondente. Per valutare le modificazioni morfologiche dell’onda velocimetrica, sono stati elaborati alcuni indici; tra questi maggiore importanza hanno l’indice di resistenza (RI) e l’indice di pulsatilità (PI) determinabili in tempo reale dalle apparecchiature in commercio. Per lo studio della emodinamica utero-placentare e fetale attualmente si utilizzano ecografi provvisti di color Doppler e attrezzati con color mapping; questo artificio consente un facile riconoscimento dei vasi da esplorare, perché colora tutte le superfici in movimento: in rosso quelle che si portano verso la sonda e in azzurro quelle che se ne allontanano [28, 29].
Doppler-velocimetria del versante materno (distretto vascolare utero-placentare) I vasi materni di maggior interesse per la semeiotica flussimetrica sono i vasi uterini.
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Anatomia funzionale L’arteria uterina trae origine dall’arteria ipogastrica, decorre in senso latero-mediale nel legamento largo e incrocia, sopra il legamento di Mackenrodt, l’uretere passandogli al davanti. In corrispondenza dell’istmo uterino si divide in due rami: quello discendente o cervico-vaginale e quello ascendente. Quest’ultimo, nel suo decorso dal basso verso l’alto sul canto uterino, fornisce rami (arterie arcuate) che penetrano nel miometrio della parete anteriore e posteriore e termina con un ramo ovarico e uno tubarico che si anastomizzano a pieno canale con i corrispondenti rami dell’arteria ovarica (Fig. 22.17). Dalle arterie arcuate si dipartono le arterie radiali che hanno un decorso perpendicolare alla parete e si portano verso la cavità uterina dividendosi in arterie basali che irrorano la decidua e spirali che si aprono negli spazi intervillosi (Fig. 22.18). Durante il II trimestre di gravidanza le arterie spirali sono invase dalle cellule trofoblastiche che si sostituiscono inizialmente all’endotelio e successivamente determinano la distruzione della lamina elastica e della tonaca muscolare della porzione intramurale delle suddette arterie. Questo processo di placentazione che si completa entro la 20ª-22ª settimana, determina profonde modificazioni della circolazione uterina; le arterie spirali diventano ectasiche ed anelastiche venendosi a creare, nella gravidanza fisiologica, un sistema vascolare a basse resistenze periferiche che garantisce un ottimale flusso ematico negli spazi intervillosi [28]. È evidente che una anomala placentazione si traduce, dal punto di vista emodinamico, nella mancata caduta delle resistenze periferiche ed utero placentari, il che predispone all’insorgenza dell’ipertensione gestazionale [29, 30].
Flussimetria delle arterie uterine Per i motivi suddetti il periodo ottimale per lo studio flussimetrico delle arterie uterine è compreso tra la 22a e la 24a settimana quando è ormai completato il processo di placentazione e quando le eventuali alterazioni strutturali e funzionali della placenta interessano gran parte dell’organo [30]. In condizioni normali il tracciato velocimetrico relativo all’arteria uterina mostra un’onda caratterizzata da un’ampia diastole che segue dolcemente al picco sistolico (Fig. 22.19). Il range dei valori dell’RI dell’arteria uterina in condizioni fisiologiche è riportato nella Figura 22.20. Sono da considerasi patologici valori dell’RI>2 DS e/o la presenza di notch (incisura) protodiastolici (Fig. 22.21).
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
Fig.22.17.Vascolarizzazione uterina
Fig. 22.19. Arteria uterina. Morfologia dell’onda flussimetrica in condizioni normali Fig.22.18.Rappresentazione schematica della circolazione utero-placentare.Modificata da [3],con autorizzazione
Capitolo 22 • Monitoraggio delle condizioni fetali • A.L.Borrelli,A.Di Lieto,P.Borrelli
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la selezione delle pazienti a rischio di ipertensione gestazionale risulta in ogni caso utile non solo perché spinge ad effettuare indagini più approfondite su eventuali patologie materne latenti (alterazioni emocoagulative e/o cardiovascolari) spesso misconosciute prima di questa indagine, ma anche perché induce a controlli più rigorosi e ad eventuali ricoveri in centri di riferimento idonei alla gestione delle gestosi ipertensive [32, 33].
Doppler velocimetria del versante fetale
Fig.22.20.Arteria uterina:range di normalità dell’RI in rapporto all’epoca gestazionale
Fig. 22.21. Arteria uterina.Tracciato flussimetrico in soggetto con ipertensione gestazionale alla 18a settimana.RI=0,73.Presenza di notch protodiastolico
Arterie ombelicali. Le arterie ombelicali sono state il primo “settore vascolare” fetale ad essere oggetto di analisi flussimetrica; lo studio velocimetrico di queste arterie fornisce preziose informazioni sulla impedenza al flusso in questi vasi, sulla viscosità del sangue e sulle condizioni circolatorie feto-placentari in genere. L’indice di pulsatilità (PI) è il parametro più utilizzato per lo studio velocimetrico del flusso ombelicale. L’epoca ottimale per effettuare il predetto studio è il III trimestre quando si possono ottenere informazioni più precise ed attendibili circa le condizioni fetali. La Figura 22.22 mostra la normale morfologia dell’onda flussimetrica relativa all’arteria ombelicale, nella Figura 22.23 è riportato l’andamento del PI dell’arteria ombelicale in gravidanze fisiologiche. Aumenti dell’impedenza ombelicale e quindi dell’indice di pulsatilità sono stati correlati ad alterazioni dello sviluppo primario del villo con riduzione della componente arteriolare e a vasocostrizione [33, 34]. Sono da considerarsi patologici valori del PI>2 DS (>1,60 nel III trimestre), l’assenza dell’onda diastolica (Absent End Diastolic Velocimetry, AEDV) (Fig. 22.24) o l’inversione della stessa (Reverse End Diastolic Velocimetry, REDV) (Fig. 22.25). Queste anomalie flussimetriche, che accompagnano il fenomeno della centralizzazione del circolo (vedi Capitolo 27) e precedono di una o due settimane la com-
Utilità clinica La Doppler-flussimetria delle arterie uterine è molto utile quale test di screening per la gestosi ipertensiva e per l’iposviluppo fetale (Fetal Growth Restriction, FGR) soprattutto nelle primipare e nelle gestanti con anamnesi positiva per ipertensione gestazionale. Una normale flussimetria uterina è rapportabile ad una fisiologica placentazione. Alterazioni velocimetriche delle due arterie uterine con RI medio>0,65 e/o PI medio>1,45 e/o un notch protodiastolico bilaterale (Fig. 22.21) sono considerati reperto anomalo e quindi espressione di una anormale invasione trofoblastica delle arterie spirali che predispone alla gestosi ipertensiva e al ritardo di crescita (FGR) [31,32]. Il notevole numero di falsi positivi (soprattutto nelle pluripare e se il test è effettuato prima della 20ª settimana) ne limita ancora l’utilizzo nella pratica clinica. Tuttavia
Fig.22.22.Arteria ombelicale.Gravidanza alla 30a settimana.Tracciato velocimetrico in condizioni normali.PI=1,05
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
parsa di decelerazioni tardive all’esame cardiotocografico, sono espressione di sofferenza fetale cronica e quindi predittive di iposviluppo fetale di tipo asimmetrico.
Fig. 22.23. Arteria ombelicale: range di normalità del PI in rapporto alle settimane di gestazione
Utilità clinica La velocimetria delle arterie ombelicali trova, quindi, specifiche indicazioni nelle gravidanze a rischio per gestosi ipertensiva e/o FGR caratterizzate da insufficienza placentare e sofferenza fetale cronica [35]. Non vi sono attualmente indicazioni all’utilizzo della metodica quale test di screening sulla popolazione generale. Molti studi [36, 37] hanno, infatti, sottolineato l’utilità della flussimetria ombelicale nel monitoraggio dei feti con restrizione dello sviluppo poiché anomalie flussimetriche in ombelicale (A/REDV), individuando precocemente alterazioni funzionali placentari, consentono management adeguati e ricoveri tempestivi in centri di riferimento con netto miglioramento degli esiti neonatali. D’altra parte essendosi rilevate frequentemente cromosomopatie in feti con alterazioni della velocimetria ombelicale, appare utile, soprattutto quando dette alterazioni siano precoci, il controllo del cariotipo fetale. Aorta addominale. Anche lo studio flussimetrico dell’aorta addominale fetale ha molta importanza nel monitoraggio della sofferenza fetale cronica. Come per l’arteria ombelicale anche in questo caso bisogna tener conto non solo del valore del PI ma anche della morfologia dell’onda telediastolica o EDF (End Diastolic Flow)6. In base alle variazioni di questa onda i feti si distinguono in tre categorie con prognosi molto diversa tra loro: – feti con EDF positivo (Fig. 22.26); – feti con EDF nullo (Fig. 22.27); – feti con EDF negativo o reverse (Fig. 22.28). L’ipossia fetale cronica induce un aumento dei valori del PI e modifiche del flusso diastolico fino alla scomparsa e/o all’inversione dell’onda stessa: A/REDV. Queste alterazioni flussimetriche che seguono temporalmente quelle dell’arteria ombelicale e precedono
Fig.22.24.Arteria ombelicale.Assenza dell’onda diastolica
Fig.22.25.Arteria ombelicale.Onda diastolica invertita 6
Fig. 22.26. Aorta addominale. Gravidanza alla 30a settimana. PI=1,67. Normale morfologia dell’onda diastolica (EDF+)
Sono usate indifferentemente le sigle EDF (End Diastolic Flow) e EDV (End Diastolic Velocimetry).
Capitolo 22 • Monitoraggio delle condizioni fetali • A.L.Borrelli,A.Di Lieto,P.Borrelli
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Fig.22.27.Aorta addominale.Ritardo di crescita alla 33a settimana.Onda diastolica assente (EDF 0).ARED,Absent Reverse End Diastolic Flow
Fig.22.29.Arteria cerebrale media.Morfologia dell’onda velocimetrica in condizioni normali
Fig.22.28.Aorta addominale.Ritardo di crescita alla 34a settimana.Onda diastolica invertita (EDF reverse).ARED,Absent Reverse End Diastolic Flow
Fig.22.30.Cerebrale media.Vasodilatazione cerebrale in feto con ritardo di crescita.Centralizzazione del circolo:PI=1,31.SGA,Small Gestional Age
anch’esse quelle cardiotocografiche sono espressione di ulteriore aggravamento della sofferenza fetale.
Dei vasi cerebrali l’arteria cerebrale media (ACM), per la relativa semplicità di campionamento, è quello maggiormente studiato (Fig. 22.29). Si è potuto così rilevare che il segmento distale subcorticale (ACM M2) risulta più sensibile all’ipossiemia (riduzione dell’impedenza) rispetto al segmento prossimale (ACM M1) [39]. Il rapporto M2/M1 si riduce, infatti, nettamente nella fase iniziale dell’ipossia fetale [39] e successivamente, persistendo la carenza di O2, accanto alla vasocostrizione periferica si assiste, per la vasodilatazione cerebrale, ad una riduzione del PI dell’ACM che si porta più di due deviazioni standard al di sotto della media (-2 DS) (Fig. 22.30) con inversione del rapporto cerebro-ombelicale (C/O). Detto rapporto, infatti, che in condizioni normali è superiore all’unità (C/O>1) diviene in questi casi net-
Vasi cerebrali In caso di ipossia cronica da insufficienza placentare, per il fenomeno della centralizzazione del circolo, si ha accanto alla vasocostrizione periferica con aumento del PI in ombelicale, aorta e arteria renale una vasodilatazione compensatoria dei vasi cerebrali (brain sparing) con riduzione del rapporto cerebro/ombelicale (C/O) nelle forme lievi o iniziali ed inversione dello stesso nei casi gravi [38]. In presenza di ipossia da anemia fetale grave (idrope immunologica e non) si ha vasocostrizione generalizzata ed un aumento dell’impedenza in tutti i distretti compreso quello cerebrale con incremento della velocità di picco proporzionale alla riduzione dell’ematocrito fetale [39].
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
tamente inferiore all’unità (C/O<1). Tutto ciò a lungo andare determina iposviluppo fetale con riduzione della circonferenza addominale rispetto a quella cefalica CC/CA>1 (Fig. 22.31). In questa fase accanto all’aumento dell’impedenza in AO ed aorta e alla vasodilatazione cerebrale è possibile rilevare riduzione del liquido amniotico conseguente alla ridotta perfusione renale. In una fase successiva, prolungandosi ed aggravandosi l’ipossia si renderanno evidenti le alterazioni velocimetriche in ombelicale ed aorta. (A/REDV)
Utilità clinica Come già detto, la velocimetria della cerebrale media risulta notevolmente utile per la diagnosi non invasiva di anemia fetale; circa la diagnosi di sofferenza fetale cronica e/o FGR, studi recenti [39, 40] hanno dimostrato l’utilità della velocimetria cerebrale solo nel caso di gravidanza ad alto rischio con flussimetria ombelicale anomala e prima della 34a settimana. Dopo quest’epoca gestazionale il rapporto C/O non è più attendibile e quindi è inutile valutarlo [41, 42].
non la validità della pompa cardiaca. Questo dato risulta invece di particolare importanza per il fatto che riduzioni dell’ossigenazione cardiaca secondarie ad ipossia cronica, specialmente se associate ad un cronico aumento dell’impedenza vascolare periferica, possono in breve tempo causare insufficienza e scompenso cardiaco. Una valutazione sia pure indiretta dell’efficienza della pompa cardiaca può realizzarsi mediante lo studio velocimetrico di distretti venosi fetali e soprattutto del dotto venoso (DV) (Fig. 22.32) [43] che, regolando il ritorno venoso, risente di pulsazioni retrograde a partenza dall’atrio destro ed è molto sensibile a riduzioni dell’ossiemia [43] (vedi Capitolo 5). Alterazioni flussimetriche del DV (scomparsa o inversione della fase A) (Fig. 22.33) sono quindi correlabili non solo ad ipossia ed acidemia, ma sono anche espressione di insufficienza e scompenso cardiaco.
Flussimetria venosa La velocimetria delle arterie fetali è in grado di valutare l’entità delle resistenze vascolari al flusso ematico, ma
Fig. 22.32. Dotto venoso: normale profilo velocimetrico (presente la fase A). A, fase A; S, sistole; D, diastole
Fig. 22.31. Iposviluppo fetale di tipo asimmetrico a 28 settimane di gestazione.CC mm 243,CA mm 202,CC/CA>1
Fig.22.33.Dotto venoso:anormale profilo velocimetrico (reverse fase A). A, fase A; S, sistole; D, diastole
Capitolo 22 • Monitoraggio delle condizioni fetali • A.L.Borrelli,A.Di Lieto,P.Borrelli
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Fig.22.34.Sequenza delle modifiche biofisiche che dall’ipossia conducono alla morte fetale
Utilità clinica La flussimetria del DV trova indicazione per i suddetti motivi nel management delle gravidanze a rischio di insufficienza cardiaca (FGR, aritmie, idrope fetale). Altra importante applicazione in associazione all’NT, è nello screening delle cromosomopatie e delle malformazioni cardiache fetali tra l’11ª e la 14ª settimana di gestazione.
Conclusioni In presenza di ipossiemia da insufficienza placentare nell’organismo fetale si realizza, per la centralizzazione del circolo BSE (Brain Sparing Effect), una ridistribuzione della massa sanguigna con maggiore afflusso agli organi vitali (cervello, cuore, ecc.) e vasocostrizione periferica il che costituisce un adattamento emodinamico compensatorio indispensabile ad evitare danni fetali. Quando tale meccanismo, esaurite le capacità di riserva, diviene incapace di assicurare una sufficiente ossigenazione ai predetti organi vitali, si ha il rapido deterioramento delle condizioni fetali con scompenso emodinamico, insufficienza cardiaca e morte endouterina del feto. Nel management del feto ipossico risulta della massima importanza la determinazione della fase in cui dall’adattamento emodinamico all’ipossia, si passa all’esaurimento dello stesso e quindi allo scompenso cardio-circolatorio che prelude all’insufficienza cardiaca e alla morte fetale. Il rilievo di elevati valori del PI in ombelicale con inversione del rapporto C/O richiedono uno stretto con-
trollo delle condizioni fetali essendo espressione della centralizzazione del circolo conseguente all’ipossia. La scomparsa e l’inversione dell’onda diastolica (A/REDV) in ombelicale e/o aorta richiedono lo studio velocimetrico del DV. Il prosieguo della gravidanza fino al raggiungimento della maturità polmonare sarà consentito solo in assenza di alterazioni flussimetriche del DV; anomali profili flussimetrici del predetto vaso, essendo espressione del deterioramento delle condizioni fetali, richiedono l’estrazione rapida del prodotto del concepimento incapace di sopravvivere nell’ambiente uterino divenuto ormai ostile ed inospitale. La progressione delle modifiche biofisiche che dall’ipossia conducono alla morte fetale in utero sono riportate nella Figura 22.34.
Nuovi sistemi di controllo fetale intra-partum Come già detto la CTG intrapartum ha una accuratezza diagnostica molto modesta in quanto un tracciato normale ha una sensibilità elevata (circa 99%), mentre un tracciato anormale ha un potere predittivo di sofferenza fetale solo nel 50% dei casi, infatti uno stesso tracciato anomalo può associarsi sia a feti molto sofferenti che a feti in buone condizioni [44]. Per aumentare la sensibilità della CTG intra-partum sono state proposte numerose indagini complementari quali la determinazione del pH dei tessuti fetali e la pO2 transcutanea che non hanno, tuttavia, avuto una larga diffusione.
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
La determinazione del pH del sangue prelevato durante il travaglio di parto dallo scalpo fetale è stato quasi del tutto abbandonata per la notevole invasività della metodica e per la necessità di prelievi seriati. Le uniche metodiche con potenziale affidabilità clinica sono l’ossimetria pulsata e l’elettrocardiogramma fetale in travaglio.
Ossimetria pulsata L’ossimetria pulsata consente, mediante la determinazione delle concentrazioni di ossiemoglobina (HbO2 molecole di Hb legata all’O2) e di desossiemoglobina (Hb non legata all’O2), di calcolare la percentuale di saturazione d’ossigeno dell’emoglobina del sangue fetale (SpO2) [45]. Poiché l’HbO2 e l’Hb differiscono nell’assorbimento della luce rossa e infrarossa, per la determinazione dell’SpO2 del sangue fetale si utilizzano particolari sonde fornite di sensori capaci di determinare le variazioni nell’assorbimento della luce riflessa rispetto a quella inviata. La sonda viene allocata nel corso di travaglio di parto ad una dilatazione di almeno 2 cm e a membrane rotte, tra la parete uterina e la guancia fetale. Studi sia su animali che su feti umani hanno consentito di stabilire che un valore di cut-off di SpO2 del 30% può essere utilizzato per differenziare una condizione di ipossia da uno stato di normale ossigenazione fetale [46, 47]. Tassi di SpO2<30% che si protraggano per più di 10 min sono espressione di acidosi fetale (pH<7,20) [48]. L’American College of Obstetrics and Gynecology (ACOG) [47] consiglia l’uso dell’ossimetria pulsata in
associazione e non in sostituzione della cardiotocografia nel monitoraggio fetale intrapartum. Se il tracciato cardiotocografico è normale non è utile effettuare altra tecnica di monitoraggio; in presenza di grave e prolungata bradicardia è necessario un intervento ostetrico immediato; se invece il tracciato risulta sospetto (decelerazioni tardive e/o variabili) l’ossimetria pulsata risulta utile per definire lo stato di ossigenazione fetale [48]. Se la SpO2 è >30% si può ritenere che il feto non corra pericoli immediati in quanto al momento sufficientemente ossigenato,il che non esime da ulteriori e ripetute valutazioni della SpO2. Nel caso in cui la SpO2 è <30% e rimanga immutata per 10 o più minuti, dopo aver tentato di migliorare l’ossigenazione fetale somministrando tocolitici e/o ossigeno, appare necessario l’estrazione del feto nel più breve tempo possibile utilizzando la via vaginale o laparotomica a seconda dei casi [48].
ECG fetale in travaglio di parto Negli ultimi anni nel monitoraggio fetale intrapartum è stato utilizzato in associazione alla CTG, l’ECG fetale con particolare riguardo all’analisi dell’onda ST. Per ottenere l’elettrocardiogramma fetale è necessario applicare un elettrodo a spirale sulla parte presentata fetale. Un sistema computerizzato consente l’analisi del tracciato [49]. Studi multicentrici randomizzati [49-51] hanno evidenziato una elevata sensibilità della associazione CTG ECG fetale nel predire l’acidosi fetale rispetto al solo monitoraggio CTG. Le prospettive sono certamente incoraggianti, ma sono necessari ulteriori studi per determinare l’effettiva efficacia dell’ECG fetale nel monitoraggio intrapartum.
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
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CAPITOLO 23
Ecografia 3D/4D in diagnostica prenatale L. Caserta • V. S. Zurzolo
PREMESSA L’ecografia tridimensionale (ecografia 3D) nell’ultimo decennio ha trovato un utilizzo sempre maggiore in ostetricia assumendo, ad oggi, un ruolo importante nel campo della diagnosi prenatale. Tale procedura ha consentito non più la semplice osservazione di immagini bidimensionali che l’ecografista doveva mentalmente ricostruire al fine di rappresentare l’anatomia tridimensionale, ma ha permesso di visualizzare direttamente le immagini nelle tre dimensioni in modo da poter effettuare uno studio volumetrico delle strutture anatomiche di interesse, utilizzando tutti i piani di sezione oltre ai piani di acquisizione originali. Altri importanti vantaggi derivanti dall’ecografia tridimensionale includono la possibilità di: – riesaminare i dati sui volumi acquisiti dopo che la paziente ha lasciato lo studio ecografico; – visualizzare differenti caratteristiche della stessa struttura con metodiche diverse; – ruotare il volume in modo da esaminare le strutture anatomiche da differenti prospettive; – esaminare con maggiore accuratezza le misure volumetriche, includendo la determinazione di volumi irregolari; – standardizzare gli esami ecografici; – trasmettere i dati on line attraverso una rete di consultazione con centri di III livello. È relativamente recente (da circa 3-4 anni) la possibilità di poter effettuare un esame ecografico tridimensionale in real time (ecografia 4D), che si fonda sulla acquisizione continua dei volumi in modo da analizzare le strutture in movimento. Tale metodica è di provato valore in ostetricia, dove la possibilità di osservare l’immagine di una struttura anatomica fetale complessa in 4D permette un più facile riconoscimento di anomalie di sviluppo, specialmente a carico del volto e, recentemente, anche del cuore grazie alGli autori ringraziano il dott. C. Giorlandino per la collaborazione.
l’introduzione delle sonde volumetriche elettroniche a matrice. In molte altre applicazioni, come nel power Doppler, il 3D risulta promettente nel rilevare la complessità delle circolazioni patologiche come le neovascolarizzazioni maligne. Nonostante gli indubbi vantaggi sopraelencati, l’ecografia tridimensionale permane, comunque, un esame diagnostico complementare all’esame ecografico convenzionale bidimensionale. Negli ultimi anni, però, taluni studi [1, 2] hanno proposto di utilizzare l’ecografia tridimensionale come indagine strumentale di prima scelta nello studio dell’anatomia fetale, coniando il termine di tomografia ecografica. I vantaggi potenziali derivanti da tale tecnica includerebbero: – una minor dipendenza dall’operatore; – un minor tempo di studio; – la possibilità di standardizzare l’intero processo che porta all’effettuazione dell’esame [2]. Tali studi hanno concluso che, seppur di indubbio valore e di enorme potenzialità, l’indagine ecografica tridimensionale ha, comunque, dei limiti in termini di individuazione di patologie fetali, in particolar modo a carico di organi interni, confermando, allo stato attuale, l’indagine ecografica bidimensionale come la metodica per immagini di prima scelta nella diagnosi di malformazioni fetali.
ACQUISIZIONE DELLE SEZIONI ECOGRAFICHE Condizione essenziale per l’elaborazione dell’immagine tridimensionale è la precisa conoscenza della posizione topografica spaziale di ogni singola sezione e di ogni singola struttura della sezione. Ciò consente di definire esattamente la posizione reciproca delle sezioni ecografiche [3-11].
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
L’acquisizione delle sezioni ecografiche può avvenire con tre diverse modalità: 1. acquisizione di una sequenza parallela di sezioni a distanza nota; 2. rotazione delle sezioni attorno a un asse, definendo esattamente l’angolo tra le singole sezioni; 3. precisazione topografica spaziale isolata di ogni singola sezione, senza necessità di una relazione fissa rispetto alle altre sezioni [9, 10].
fica nel computer collegato. In questo modo si ottengono 18 sezioni dell’organo, che possono essere successivamente elaborate nell’immagine tridimensionale. Il principale limite di questa tecnica sta: – nel numero relativamente esiguo di sezioni (18 immagini bidimensionali sono disponibili per l’elaborazione dei dati); – nell’intersezione delle singole sezioni nel centro del movimento circolare, localizzato lungo l’asse di insonazione.
Acquisizione di una sequenza parallela
Rotazione attorno ad un asse orizzontale
Si tratta della soluzione più semplice per ottenere una sequenza coordinata di sezioni. Può essere realizzata collocando la sonda in un dispositivo che ne consenta lo spostamento manuale parallelo a interspazi noti oppure mediante spostamento parallelo della serie di cristalli sul supporto della sonda tridimensionale. Principali svantaggi legati all’utilizzo di tale modalità sono: – le dimensioni necessariamente notevoli della sonda; – la tecnica dello spostamento manuale richiede l’esplorazione di grandi distanze (ad es. per studiare un rene della lunghezza di 10 cm, la distanza percorsa deve corrispondere almeno a 10 cm); – l’irregolarità della superficie corporea ostacola notevolmente l’acquisizione delle sezioni. A causa dei problemi metodologici, questa soluzione non ha mai trovato un’effettiva applicazione clinica.
Rotazione del piano ultrasonico Mediante tale tecnica è possibile esplorare volumi abbastanza grandi con una zona di contatto superficie corporea-sonda ecografica relativamente piccola, evitando gli svantaggi delle sezioni parallele. Le modalità di rotazione possono seguire due differenti tipologie: – rotazione attorno ad un asse verticale; – rotazione attorno ad un asse orizzontale.
Mediante tale metodica, il centro del movimento rotazionale è localizzato all’interno della sonda stessa,ortogonalmente rispetto alla direzione di emissione del fascio ultrasonico. In questo modo si evitano quelle principali problematiche connesse con la precedente metodica.Si assiste ad un movimento “a pendolo” della fila di cristalli sull’organo da esplorare e il volume di tessuti viene analizzato come se si facessero scorrere rapidamente con il pollice le pagine di un libro,le cui figure non appaiono quindi esclusivamente planari e statiche, ma plastiche e dinamiche. La sonda tridimensionale, utilizzata in questo caso, è caratterizzata da una fila di cristalli che subisce una rotazione attorno all’asse orizzontale mediante un motorino elettronico. Il movimento rotazionale consente un’escursione massima di 60°, ma può essere variato a piacere con qualsiasi angolo compreso tra i 10° e i 60°. In questo volume si possono quindi effettuare 60 sezioni ecografiche, distanziate da un angolo costante. Si assiste, quindi, ad una segmentazione del movimento rotazionale in 60 piccoli spostamenti, registrando le rispettive immagini ecografiche per l’elaborazione tridimensionale. Il tempo richiesto per l’acquisizione delle sezioni è di circa 5 secondi. In questo intervallo di tempo non deve avvenire alcun movimento tra la sonda e la struttura da esplorare. Si tratta della metodica 3D di più frequente utilizzo fino ad alcuni anni fa, prima dell’avvento del 3D real time (ecografia 4D) che si basa sulla tecnica della conduzione libera della sonda.
Rotazione attorno ad un asse verticale
Conduzione libera della sonda ecografica
Utilizzando tale tipologia, la sonda deve essere ruotata semplicemente attorno al suo asse longitudinale, che corrisponde all’asse di emissione del fascio di ultrasuoni. Ciò è attuabile disponendo di un apposito supporto per la sonda tridimensionale. Con questa tecnica si assiste ad una rotazione di 180° del piano di insonazione all’interno del supporto della sonda posizionata centralmente rispetto all’organo da studiare. Tali presupposti permettono di studiare l’organo fetale in toto. Il movimento rotazionale viene interrotto ogni 10° per memorizzare l’immagine ecogra-
Si tratta della modalità tridimensionale attualmente più utilizzata. La sonda viene spostata liberamente sulla superficie corporea, come per un’ecografia bidimensionale di tipo convenzionale, con l’unica differenza che le singole sezioni ecografiche vengono memorizzate nel computer per la successiva elaborazione tridimensionale. La sonda ecografica (Fig. 23.1) è provvista di un sensore che registra esattamente ogni posizione assunta dalla sonda trasmettendola al computer, che la memorizza assieme alla rispettiva sezione ecografica.
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Capitolo 23 • Ecografia 3D/4D in diagnostica prenatale • L.Caserta,V.S.Zurzolo
Fig.23.1.Sonde volumetriche transaddominale e transvaginale comunemente utilizzate in ostetricia
RICOSTRUZIONE DELL’IMMAGINE TRIDIMENSIONALE In seguito alla registrazione e memorizzazione delle singole sezioni ecografiche nel sistema di elaborazione dell’apparecchio, queste possono essere disposte in rapporto alla loro acquisizione. Ogni singolo punto dell’immagine viene calcolato in base alla sua posizione topografica originale, in modo da sezionare, su qualsiasi piano, il volume ricostruito. L’immagine ecografica viene visualizzata nelle tre dimensioni, anche se lo schermo bidimensionale del computer non permette una vera e propria rappresentazione spaziale. Fondamentalmente esistono tre possibilità per la rappresentazione dei volumi acquisiti: – la rappresentazione spaziale sotto forma di immagine a struttura anulare o a superficie chiusa; – la rappresentazione spaziale trasparente; – la rappresentazione multiplanare dei tre piani ortogonali.
Rappresentazione di superficie/contorno Questa tecnica permette un’ottima rappresentazione spaziale del volume elaborato con visualizzazione del suo contorno esterno, ma annulla le informazioni ecografiche rilevate all’interno e all’esterno di questo contorno.
È opportuno considerare che laddove l’esame ecografico metta in evidenza strutture o tessuti diversi che presentino un’identica tonalità di grigio, risulta difficile differenziare l’organo interessato dai tessuti circostanti. Tale problematica non sussiste nel momento in cui vi sia una netta distinzione tissutale in base a differenti proprietà acustiche. Questo può verificarsi, ad esempio, laddove si considerino tessuti circondati da liquido (ad es. feto circondato da liquido amniotico). I tessuti che presentano un netto contrasto ecografico richiedono però molto tempo per gli algoritmi finalizzati al calcolo della superficie e, anche in questi casi, gli artefatti non possono essere esclusi del tutto.
Rappresentazione trasparente Si tratta di una metodica che si pone come obiettivo quello della globalità delle informazioni ultrasoniche per l’elaborazione spaziale. Si parla di rappresentazione trasparente in quanto ogni singolo punto di ciascuna sezione ecografica originale viene calcolato come se fosse trasparente. L’immagine dell’organo viene successivamente composta in funzione dei singoli punti calcolati. Potendo modificare a piacere il grado di trasparenza, è possibile rappresentare maggiormente le strutture iperecogene o le strutture ipoecogene, a seconda della scelta dei parametri di trasparenza (Fig. 23.2).
Fig.23.2.Rappresentazione tridimensionale di superficie trasparente applicata sulla stessa acquisizione volumetrica
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Mediante tale tecnica è possibile focalizzare determinati aspetti tissutali, con la possibilità altresì di ingrandire un dettaglio nell’ambito del volume inizialmente elaborato.
Rappresentazione multiplanare È la rappresentazione più utile per la diagnosi delle malformazioni complesse e delle patologie d’organo in quanto sfrutta la possibilità di ottenere, sulla stessa immagine, i tre piani fondamentali: longitudinale, trasversale e coronale (Fig. 23.3). Ciò permette di individuare con precisione il piano di scansione e l’esatta topografia della lesione sfruttando un particolare software che permette di spostare un caliper elettronico su di un punto di interesse, contemporaneamente, nei tre piani spaziali.
Fig.23.3.Rappresentazione multiplanare dei tre piani ortogonali
RUOLO DELL’ECOGRAFIA TRIDIMENSIONALE NELLA DIAGNOSTICA PRENATALE Nella diagnostica prenatale un’eventuale anomalia strutturale del feto assume un’importanza rilevante quale marker per una possibile anomalia cromosomica. In questo ambito l’ecografia tridimensionale dà un valido contributo diagnostico, offrendo la possibilità di osservare l’immagine di una struttura anatomica fetale complessa in 3D/4D, permettendo, in tal modo, un facile riconoscimento di condizioni patologiche, soprattutto a carico del volto, delle estremità e in generale della superficie corporea esterna. Questa possibilità amplia notevolmente lo spettro diagnostico rispetto all’ecografia convenzionale. È inoltre di recente introduzione l’utilizzo del power Doppler 3D (3DPD) come metodica di indubbio valore nel rilevare la complessità delle circolazioni patologiche come ad esempio le neovascolarizzazioni maligne.
Utilizzo dell’ecografia 3D/4D nella valutazione funzionale e strutturale del volto fetale L’esame ecografico bidimensionale del volto fetale può fornire informazioni utili al fine di individuare in epoca prenatale condizioni patologiche a carico di diversi organi e/o apparati. In tal senso, il volto fetale rappresenta una “finestra diagnostica” per malattie e sindromi fetali. L’ecografia tridimensionale risulta un importante mezzo aggiuntivo che porta ad una più accurata diagnosi delle anomalie del volto fetale rispetto a quanto si potrebbe avere con l’utilizzo della sola ecografia bidimensionale. L’ecografia 4D, in particolare, fornendo all’esame tridimensionale la componente fondamentale della dinamicità, permette la visualizzazione di espressioni facciali che possono risultare utili nello studio del comportamento fetale e del legame materno-fetale. In epoca prenatale, l’esame ecografico del volto fetale è facilitato dal liquido amniotico circostante [12]. Gran parte dei ginecologi ecografisti effettua una valutazione qualitativa del volto fetale attraverso l’utilizzo dell’ecografia convenzionale 2D, per mezzo di una sonda convex, andando a visualizzare: – tessuti molli, ossa e simmetria in sezione coronale; – mandibola, mascella e palato, gemme dentali e orbite in sezione trasversa; – fronte, osso nasale e mandibola in sezione sagittale. L’ecografia 4D, invece, ha fornito, per la prima volta come già detto, l’opportunità di valutare le espressioni facciali fetali, che possono essere utilizzate per comprendere il comportamento fetale [13-18] sfruttando piani di sezione che non possono essere ottenuti con il 2D [19-23]. Inoltre, non essendo possibile mediante l’ecografia convenzionale bidimensionale la visualizzazione del volto fetale in una singola immagine, il 3D offre la possibilità di una ricostruzione spaziale del volto fetale e la visualizzazione simultanea di tutte le sue strutture quali fronte, sopracciglia, naso, palpebre, bocca e mento.
Sviluppo fisiologico del volto fetale L’utilizzo dell’ecografia tridimensionale nello studio dell’anatomia fetale è possibile a partire dalla 13ª-14ª settimana di gestazione, allorquando le strutture facciali hanno raggiunto un adeguato grado di sviluppo da poter essere esaminate ai fini diagnostici [12]. Le immagini del volto fetale, durante il primo trimestre, possono apparire insolite ai genitori ed è opportuno prestare attenzione nel mostrarle per non determinare in questi una visione distorta del loro bambino, condizione che può provocare l’insorgenza di stati d’ansia. Dalla 18ª-19ª settimana fino alla 35ª-36ª settimana è possibile la ricostruzione tridimensionale del volto fe-
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tale in un’elevata percentuale di casi. È opinione diffusa che l’epoca di gestazione ottimale per l’ecografia tridimensionale sia tra la 25ª e la 30ª settimana (Fig. 23.4). Durante questo periodo di gestazione, infatti, risulta elevata la percentuale di successo nella visualizzazione del volto, senza che vi sia un eccessivo prolungamento del tempo di studio ecografico [12].
Fig.23.4.Ricostruzione tridimensionale del volto e degli arti superiori fetali alla 20ª-23ª settimana
Fig.23.6.Volto in un feto affetto da trisomia 18 alla 32ª settimana
Valutazione delle anomalie facciali
A tal proposito Merz et al. [20] analizzarono l’effetto della ricostruzione 3D del profilo del volto su 125 feti. Nel loro studio, 30,4% dei profili facciali erano ruotati da 3 a 20 gradi rispetto alla posizione originale. Per di più, solo nel 69,6% dei casi era possibile ottenere un vero profilo mediante ecografia bidimensionale. La rilevanza di questo risultato sta nel fatto che la mancata identificazione di un piano sagittale mediale rende talora impossibile porre una corretta diagnosi di molte anomalie. Un esempio è la valutazione della mascella e della mandibola per la diagnosi di micrognazia e retrognazia, condizioni che richiedono l’individuazione di un vero piano sagittale [31]. Un accurato esame della mandibola è importante perché, in caso di iposviluppo, tale reperto risulta spesso associato a un quadro di difetti del volto fetale, riscontrabili in più di 100 sindromi genetiche, come nella sequenza di Pierre-Robin, nella sindrome di Treacher-Collins e in diverse anomalie cromosomiche come la trisomia 18 e 13, la triploidia e quelle che coinvolgono delezioni o traslocazioni geniche [32-34]. I feti con patologie mandibolari sono a rischio di sindrome da distress respiratorio acuto poiché la lingua può ostruire le vie aeree superiori, anche se ad oggi non è stata rilevata una stretta correlazione tra la severità del difetto anatomico e il grado di disordine della funzione respiratoria alla nascita. È molto importante riconoscere in epoca prenatale anche le anomalie mandibolari minori in modo da portare i neonatologi ad essere presenti in sala parto al fine di fornire un’assistenza immediata al neonato. Le anomalie mandibolari sono di solito diagnosticate laddove si visualizzi un labbro superiore prominente e mento piccolo o vi sia un iposviluppo mascellare con dislocamento posteriore della mandibola. Sebbene si sia tentato di definire i parametri biome-
L’ecografia tridimensionale migliora e facilita l’identificazione di anomalie utilizzando piani di scansione che non possono essere ottenuti mediante l’ecografia convenzionale 2D. Diversi autori [20-22] hanno riportato un miglioramento nella visualizzazione del volto e del collo fetale in caso di: – gravidanze ad alto rischio; – sindromi dismorfiche dovute all’esposizione ad agenti teratogeni; – sindrome alcolica fetale; – anomalie cromosomiche (Figg. 23.5, 23.6). Labiopalatoschisi, micrognazia, orecchie malformate e prominenze frontali sono state le anomalie più frequentemente diagnosticate [23-30] con l’esame ecografico tridimensionale. Uno dei più importanti vantaggi dell’ecografia 3D è la sua capacità di mostrare il piano medio-sagittale del volto fetale [31].
Fig.23.5.Volto in feto Down alla 30ª settimana
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trici in grado di distinguere una struttura mandibolare fisiologica da una patologica [35], è ancora difficile differenziare una mandibola fisiologica da una retrognazia (anomalo dislocamento del mento) e da una micrognazia (insufficiente sviluppo mandibolare). Un’altra possibilità offerta dalla navigazione multiplanare nello studio del volto fetale è lo scroll movement ovvero una translazione nel piano coronale per la valutazione angolare della forma della rima palpebrale. Questa valutazione, molto difficile da ottenere in 2D, è facilmente ottenibile in 3D. Alcuni autori hanno dimostrato che il 3D è utile nel raffigurare il dettaglio morfologico, la localizzazione e l’orientamento dell’orecchio fetale (Figg. 23.7, 23.8) [30]. Un’accurata valutazione dell’orecchio fetale è importante, poiché le anomalie auricolari possono essere associate a sindromi congenite complesse. Tutti i punti di repere necessari per la valutazione dell’orecchio possono essere ottenuti mediante l’esecuzione di un 3D di superficie,
impossibile da ottenere con l’ecografia convenzionale 2D. Negli ultimi anni è stato attentamente studiato il valore del 3D paragonato al 2D nell’individuazione della labiopalatoschisi (Figg. 23.9, 23.10) [27, 36-41]. Gli autori hanno osservato che l’imaging multiplanare 3D e l’MRI (Magnetic Resonance Imaging) potrebbero essere utilizzate per valutare le dimensioni della schisi a carico del ponte alveolare superiore o del palato molle [42]. Johnson et al. [27] hanno confermato l’importanza dell’ecografia tridimensionale nella diagnosi e nel management clinico della palatoschisi, utilizzando la nuova metodica Multi-Slice View (Medison, Seoul, Korea) o la tecnica Tomographic Ultrasound Imaging (GE Me-
Fig.23.7.Profilo fetale che evidenzia l’orecchio,alla 28ª settimana
Fig.23.9.Labioschisi in feto alla 30ª settimana
Fig.23.8.Particolare dell’orecchio fetale alla 30ª settimana
Fig.23.10.Labio-palatoschisi in feto alla 32ª settimana
Capitolo 23 • Ecografia 3D/4D in diagnostica prenatale • L.Caserta,V.S.Zurzolo
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dical System, Zipf, Austria) [43]. Infatti, mediante l’utilizzo di queste tecniche, le strutture facciali possono essere visualizzate più agevolmente al fine di effettuare una corretta analisi e documentazione del difetto. Un’altra possibilità è data dal 3D reverse face view che offre una rotazione della superficie di 180° sull’asse verticale. Campbell et al. [38] hanno pubblicato risultati interessanti usando questo approccio nella differenziazione delle schisi facciali e in particolare dei difetti a carico del palato duro.È opportuno osservare che la frequente interposizione di strutture come la lingua facilita la comparsa di artefatti diminuendo, quindi, l’accuratezza di tale tecnica.
Visualizzazione delle strutture ossee Mediante la tecnica 3D con rappresentazione trasparente, è possibile visualizzare le ossa della testa fetale. Laddove si vada a visualizzare un anomalo sviluppo delle suture, risulta elevata la percentuale di associazione con sindromi dismorfiche e patologie metaboliche (Figg. 23.11, 23.12). Il 3D offre una migliore visualizzazione delle strutture craniche ed una migliore visione del successivo sviluppo della sutura metopica durante la vita prenatale, consentendo un più accurato studio dell’anatomia cranica [44]. Con il 3D è possibile la visualizzazione delle suture “accavallate”, reperto caratteristico in caso di morte fetale e nelle craniosinostosi, la valutazione delle ossa nasali come descritto da diversi autori [45-48] e il rilievo di contorni cranici anormali come il cranio “a trifoglio”.
Fig.23.12.Sinostosi occipito-frontale in feto affetto da sindrome di Crouzon alla 28ª settimana
Infine, il 3D è molto utile nella diagnosi delle patologie del rachide potendo utilizzare il postprocessing dei volumi, dalla trasparenza alla visione di superficie (Fig. 23.13).
Fig. 23.13. Rappresentazione in multiplanare e in trasparente del rachide lombare in feto alla 35ª settimana
Studio funzionale dell’espressione della faccia fetale
Fig. 23.11. Craniosinostosi in feto affetto da sindrome di Apert alla 35ª settimana
Un vantaggio dell’ecografia 4D sta nella possibilità di uno studio dettagliato dell’attività fetale in modalità di rappresentazione di superficie, risultando particolarmente utile per i movimenti fetali rapidi [49]. Con la tecnica ecografica bidimensionale, i movimenti fetali come l’atto dello sbadigliare, la deglutizio-
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ne e i movimenti palpebrali non possono essere rilevati nello stesso tempo, mentre con la tecnica 4D è possibile la visualizzazione contemporanea di movimenti facciali differenti [50]. Gli aspetti qualitativi e quantitativi dei quadri comportamentali risultano sempre più marcati con il progredire della gravidanza. In tal senso, i movimenti del corpo fetale da casuali, espressione precoce di attività fetale, si modificano verso quadri comportamentali ben organizzati nelle successive settimane gestazionali. L’analisi delle dinamiche dell’atteggiamento fetale ha portato alla conclusione che i quadri comportamentali fetali si riflettono direttamente sui processi di sviluppo e maturativi del sistema nervoso centrale. È quindi possibile, a tutt’oggi, con l’utilizzo dell’ecografia 4D, incominciare a ricercare parametri biofisici per la valutazione del normale sviluppo neurocomportamentale. La possibilità di osservare espressioni facciali nel dettaglio può avere valore sia diagnostico che scientifico, aprendo spazi importanti nella soluzione di quesiti ancora irrisolti, tra questi: – quando iniziano le espressioni facciali; – quali sono le espressioni facciali predominanti nella vita fetale e a che epoca gestazionale possono essere osservate per la prima volta [51, 52]. L’esatta valutazione dell’espressione del volto fetale è molto importante per la diagnosi prenatale della paresi facciale. Criterio principale legato a tale diagnosi è l’asimmetria dei movimenti facciali e l’individuazione di movimenti limitati ad un solo lato del viso. Tale quadro però dovrebbe esser valutato nel momento in cui il feto è in fase attiva. Non è possibile, infatti, esaminare tali particolari con il feto in fase di riposo. È di primaria importanza tenere conto che l’espressione facciale può essere legata ad influenze esterne.Per esempio,la pressione della mano fetale può alterare l’espressione facciale su un lato del viso, causando asimmetria, legata ad un evento fisiologico e non ad un quadro patologico quale può essere la paresi facciale monolaterale [12].
L’ecografia 2D e 4D sono metodi complementari utilizzati per la valutazione dei movimenti fetali. In tal campo però, l’ecografia 4D, offre un contributo qualitativo superiore rispetto alla tecnica 2D, fornendo una visualizzazione ed una valutazione più dettagliata [1618]. A tal proposito sono stati di recente analizzati con l’utilizzo della tecnologia 4D, quadri comportamentali fetali nel terzo trimestre, tra la 30ª e la 33ª settimana di gestazione, valutando la correlazione esistente tra il comportamento fetale e neonatale [14, 53]. Nel secondo e terzo trimestre l’ecografia 4D permette, per la prima volta, di visualizzare aspetti caratteristici dell’espressione facciale come piccole smorfie simili a quelle che è possibile rilevare nei neonati [14]. I movimenti facciali di più frequente riscontro nel secondo trimestre sono: – ammiccamenti isolati; – smorfie; – suzione; – deglutizione. Si riscontrano meno frequentemente: – movimenti delle labbra; – sbadiglio; – protrusione esterna della lingua; – sorriso [18]. È stata notata una certa tendenza ad una riduzione di frequenza delle espressioni facciali con il progredire dell’età gestazionale. I feti, infatti, all’inizio del secondo trimestre, mostrano un’aumentata frequenza di espressioni facciali fino alla fine del secondo trimestre, epoca in cui tali espressioni raggiungono il loro acme. In seguito, a partire dall’inizio del terzo trimestre fino al termine, si assiste ad una progressiva riduzione delle espressioni facciali fetali (Fig. 23.14) [18]. È opportuno ricordare che gli ammiccamenti fetali isolati si osservano, a differenza degli altri fenomeni espressivi, non prima dell’inizio della 24ª settimana di gestazione poiché i feti non possono aprire le palpebre prima di tale periodo.
Fig.23.14.Espressioni fetali in epoche gestazionali tra la 30ª e la 35ª settimana
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Capitolo 23 • Ecografia 3D/4D in diagnostica prenatale • L.Caserta,V.S.Zurzolo
Sono stati condotti diversi studi sullo sbadiglio fetale. È stato osservato che tutte le componenti legate all’atto dello sbadigliare: la prolungata apertura della mascella seguita da una chiusura veloce della stessa, accompagnata dalla flessione della testa e dall’innalzamento delle braccia, possono facilmente essere riconosciute mediante ecografia 4D [54]. Inoltre, mettendo a confronto la realizzazione di questo atto osservata nel terzo trimestre di gravidanza con quella valutata in epoca neonatale, durante la prima settimana di vita, non si riscontravano differenze, in termini di frequenza. La frequenza dello sbadiglio aumenta gradualmente tra la 15ª e la 24ª settimana di gestazione, con un piccolo plateau dalla 24ª alla 26ª settimana, seguito poi da una lieve riduzione fino al termine [18]. L’atto dello sbadigliare da parte del feto rimane a tutt’oggi un fenomeno misterioso, e la sua possibile correlazione con condizioni patologiche, particolarmente quelle riguardanti il sistema nervoso centrale fetale, non è stato ancora investigata a fondo.
RUOLO DELL’ECOGRAFIA POWER DOPPLER 3D (3DPD) NELLA DIAGNOSI E FOLLOW-UP DELLE ANOMALIE VASCOLARI FETALI L’ecografia power Doppler tridimensionale (3DPD) rende possibile una ricostruzione tridimensionale del circolo sanguigno, con la possibilità di visualizzare dettagli anatomici complessi in real time. Con l’utilizzo di applicazioni postprocessing, l’operatore può eliminare le immagini degli organi circostanti isolando e permettendo di effettuare un accurato esame dell’albero vascolare. È, in tal modo, possibile comprendere meglio quadri anatomici sia fisiologici che patologici (Fig. 23.15) [59-63].
LEGAME MATERNO-FETALE Diversi autori hanno studiato gli effetti dell’ecografia 3D/4D sul legame prenatale tra genitori e feto [55-57]. Steiner et al. [54] hanno rilevato che molti genitori pensavano che le immagini bidimensionali fossero astratte, mentre nelle immagini tridimensionali essi riconoscevano le caratteristiche del volto fetale come reali, normali o non, sentendosi, in tal modo, più vicini emotivamente al feto. Maier et al. [55] valutarono, invece, le influenze del 3D su donne con gravidanze ad alto rischio. Essi offrirono l’ecografia 3D a 20 donne con gravidanze difficili tra la 24ª e la 32ª settimana di gestazione. Dopo aver osservato le immagini dei loro feti mediante ecografia 3D/4D, 15 donne su 20 pensavano che l’ecografia tridimensionale avesse un’influenza positiva sul loro modo di percepire il feto, ottenendo una maggiore motivazione nell’affrontare le difficoltà correlate alla gravidanza con un minore stato d’ansia. Concludendo, possiamo dire che le tecniche 3D/4D aumentano le nostre capacità diagnostiche nell’ecografia ostetrica, fornendo informazioni aggiuntive circa il volto e altre strutture complesse in modo complementare all’ecografia convenzionale bidimensionale. Non si tratta, quindi, solo di una metodica utile a valutare la severità del difetto fetale, ma fornisce elementi più convincenti, rispetto ad un esame ecografico bidimensionale, nei casi di malformazioni di superficie. Questa tecnica non sostituisce l’ecografia bidimensionale, ma la integra e la completa [58].
a
b
Fig. 23.15a,b. Vasi maggiori dell’addome e del torace fetale investigati mediante tecnica 3DPD. È possibile valutare l’immagine con (a) e senza (b) gli organi circostanti.CA,carotide;H,cuore;DA,aorta discendente;IVC, vena cava inferiore; DV, dotto venoso; LHV, vena epatica sinistra; C, cordone ombelicale; UA,arterie ombelicali
Tamir et al. [64] esaminarono le immagini ottenute tramite esame power Doppler tridimensionale nella diagnosi e follow-up delle anomalie vascolari fetali. In 174 feti esaminati nel I e nel II trimestre, sia con color Doppler sia con 3DPD, l’ecografia 3DPD visualizzò con successo i vasi toracici e addominali fetali nel 75% dei casi nelle scansioni precoci, nel 95% dei casi nelle scansioni tardive. L’esame fu considerato completo quando tutti i vasi, l’arco aortico, l’arco polmonare, l’aorta discendente, IVC, DV, vene epatiche, arterie ombelicali e vene porta e ombelicale, furono visualizzati correttamente. In 9 casi si riscontrarono: – varice a carico della vena ombelicale fetale intraaddominale (FIUV); – vena ombelicale destra persistente (PRUV); – agenesia del DV; – eventrazione del diaframma; – drenaggio venoso nel teratoma sacrococcigeo; – anomalia polmonare vascolare e parenchimale; – corioangioma.
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
Varice a carico della vena ombelicale fetale intraaddominale Si tratta di un raro disordine del cordone ombelicale, caratterizzato dalla presenza di una dilatazione focale della vena. Essa può essere riscontrata in sede extra- o intraddominale. L’utilizzo del color Doppler è opportuno al fine di distinguere tale disordine da altre condizioni patologiche come la cisti del coledoco, cisti dell’uraco e iperdistensione della cistifellea. È un disordine che richiede uno stretto monitoraggio a causa del potenziale outcome perinatale negativo [65, 66]. Con l’utilizzo della modalità 3DPD, è possibile valutare l’ampiezza e il decorso del vaso colpito (Fig. 23.16).
a
b
Fig.23.17a,b.Immagine in scala di grigi bidimensionale con color Doppler di PRUV a livello della deviazione a sinistra dello stomaco (a) e con modalità 3DPD (b).La freccia indica il vaso anomalo dove compie un twist per riportarsi nel dotto venoso
– una connessione diretta alle vene portali, senza dar origine al DV.
a
b
Questa malformazione si associa ad anomalie fetali importanti, quali aberrazioni cromosomiche, idrope e outcome neonatale negativo [69, 70]. La modalità 3DPD permette di dimostrare il decorso anomalo della vena ombelicale (Fig. 23.18).
Fig.23.16a,b.Immagine in scala di grigi bidimensionale con color Doppler raffigurante la turbolenza a livello della varice FIUV (a) confrontata con la ricostruzione 3DPD (b) dei vasi in un feto di 32 settimane.L’immagine tridimensionale mostra un vaso anomalo nella sua completezza (la freccia indica la varice FIUV nell’immagine 3D)
Vena ombelicale destra persistente Tale disordine risulta dall’incapacità della vena ombelicale destra a formare un’anastomosi con la vena vitellina destra e successivo riassorbimento della vena ombelicale sinistra [67-69]. Con l’utilizzo dell’ecografia bidimensionale è possibile giungere a diagnosi quando la vena porta intraepatica curva verso il lato sinistro dello stomaco, contrariamente al normale. Con la modalità 3DPD è possibile dimostrare più chiaramente il decorso caratteristico e il twist della vena ombelicale in questa anomalia (Fig. 23.17).
a
b
Fig. 23.18a,b. Agenesia del dotto venoso (freccia) con drenaggio in vena cava inferiore in una scansione bidimensionale (a) e con modalità 3DPD (b)
Teratoma sacrococcigeo È uno dei più comuni tumori neonatali e può essere diagnosticato nel II trimestre in presenza di una voluminosa massa che protrude dalla regione sacrale della colonna vertebrale. Complicazioni intrauterine sono l’emorragia intratumorale e lo scompenso cardiaco risultante da uno shunt artero-venoso [71].
Agenesia del DV Si tratta di un’alterazione legata ad un’anomala formazione di anastomosi delle vene ombelicali [69]. Vi sono 3 quadri principali: – la vena ombelicale oltrepassa il fegato e drena direttamente nell’atrio destro; – la IVC attraversa le vene iliache;
a
b
Fig. 23.19a,b. Immagine con power-color del teratoma sacrococcigeo e dei vasi addominali in un feto con idrope (a).Lesione (T) e vasi addominali visualizzati con modalità 3DPD (b)
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Capitolo 23 • Ecografia 3D/4D in diagnostica prenatale • L.Caserta,V.S.Zurzolo
La modalità 3DPD (Fig. 23.19) mostra l’aumentato volume vascolare presente in questa lesione che simula quello del cuore fetale in un feto di 27 settimane.
Anomalia polmonare parenchimale e vascolare La malattia adenomatoide cistica congenita polmonare (Fig. 23.20) è costituita da un insieme di lesioni polmonari caratterizzate istologicamente da una proliferazione anomala di spazi aerei simil-bronchiolari e assenza di alveoli. Sono diverse le classificazioni proposte, basate su aspetti embriologici, vascolari ed istologici [72, 73].
a
Corioangioma Si tratta di un’anomala proliferazione dei vasi del corion. Gran parte delle lesioni sono piccole e asintomatiche, ma lesioni più ampie possono determinare complicazioni prenatali e perinatali significative, tra cui polidramnios, idrope non immune, scompenso cardiaco fetale, anemia fetale e trombocitopenia, IUGR, parto pretermine, morte perinatale e preeclampsia materna [75, 76]. Con modalità 3DPD (Fig. 23.22) è possibile dimostrare il volume vascolare di questa lesione come causa dell’anemia fetale progressiva, che diviene palese utilizzando misurazioni seriate della velocità di picco sistolico dell’arteria cerebrale media [77].
b
Fig.23.20a,b.Caso di ‘‘CCAM’’analizzata con eco 2D con color Doppler (a) e in 3DPD (b).La freccia curva mostra i vasi principali
Il 3DPD è utilizzato per visualizzare l’abnorme e complessa vascolarizzazione di questa anomalia.
Fig. 23.22. Corioangioma. La modalità 3DPD mostra il volume vascolare della lesione placentare nella sua completezza
Eventrazione diaframmatica È una patologia che deriva dall’incompleta o assente muscolarizzazione delle membrane pleuroperitoneali, portando a migrazione dei contenuti addominali nel torace. La differenziazione prenatale dall’ernia diaframmatica è difficile a causa di un quadro ecografico simile [74]. La modalità 3DPD risulta d’aiuto per la diagnosi di questa anomalia potendo effettuare una mappatura del decorso anomalo dei vasi addominali nel torace (Fig.23.21).
a
b
Fig.23.21a,b.I vasi addominali nel torace del feto affetto osservate con imaging 2D (a) e in 3DPD (b).La linea indica il diaframma
In base a quanto detto sinora,la modalità 3DPD,in corso di ecografia ostetrica,è in grado di fornire un’immagine complessiva dell’anatomia vascolare fetale, migliorando e completando l’esame color Doppler eseguito in corso di ecografia 2D.Le possibilità di postprocessing dell’immagine ottenuta con questa modalità fornisce agli operatori l’opportunità di mappare anomalie complesse ed ottenere immagini di notevole chiarezza che facilitano lo scambio di informazioni e la discussione interdisciplinare tra professionisti rendendo più comprensibile, anche per i pazienti, quadri ecografici complessi.Le immagini ottenute con questa metodica sono,inoltre,indispensabili ai fini didattici per la formazione degli ecografisti a tutti i livelli di esperienza. Il 3DPD facilita la comprensione degli aspetti fisiopatologici delle anomalie vascolari fetali e i loro effetti sul feto in via di sviluppo. L’utilità della modalità 3DPD si riassume nella possibilità di migliorare tre aspetti dell’ecografia: – comprendere meglio le anomalie strutturali; – rendere più precisa la diagnosi; – definire meglio l’entità volumetrica vascolare delle lesioni.
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
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CAPITOLO 24
Sofferenza fetale M. Moscarini • F.Torcia • T. Di Netta
DEFINIZIONE L’uso della terminologia “sofferenza fetale”, per la diagnosi ante- ed intrapartum e “asfissia”, per la diagnosi perinatale è stato recentemente oggetto di molti dibattiti ed argomentazioni tanto in ambito specialistico (ostetrici e neonatologi) che in ambito medico legale. In particolare, il termine sofferenza fetale è stato giudicato impreciso ed aspecifico, dal momento che esso assume un basso valore predittivo positivo anche nelle popolazioni ad alto rischio ed è spesso associato a neonati che sono in buone condizioni alla nascita, come risulta poi dal punteggio APGAR o più correttamente dall’emogasanalisi sul cordone o da entrambi i criteri di valutazione. Pertanto il termine sofferenza fetale è stato sostituito dalla definizione di “stato fetale non rassicurante” [1, 2], seguito da una descrizione delle indagini diagnostiche che eventualmente lo rilevano (decelerazioni variabili ripetute, tachicardia o bradicardia fetale, decelerazioni tardive, o profilo biofisico a punteggio basso). Al fine di uniformare il linguaggio utilizzato correntemente, la Classificazione Internazionale delle Malattie (IX revisione, Modificazioni Cliniche, 1 ottobre 1998) identifica come condizione di sofferenza fetale la presenza di acidemia fetale metabolica, escludendo quindi l’equilibrio acido-base anomalo, le anomalie del ritmo o della frequenza cardiaca fetale, la tachicardia fetale ed il liquido tinto di meconio dalla definizione della stessa.
EPIDEMIOLOGIA L’acidosi metabolica fetale al momento del parto ha un’incidenza di circa 20-25 neonati/1.000 nascite. Nella maggior parte dei casi l’esposizione fetale all’acidosi è lieve, senza esiti disfunzionali o evidenza di danno cerebrale. Per 3-4 neonati/1.000 nascite, comunque, l’esposizione fetale all’acidosi è moderata o severa, con
conseguente encefalopatia e coinvolgimento sistemico di altri organi. All’interno di quest’ultimo gruppo poi, ≥1 neonato/1.000 nascite avrà un danno cerebrale grave, rilevato all’esame autoptico dopo morte intrauterina o neonatale precoce, o caratterizzato da evidenti handicap motori e/o cognitivi riscontrati nei bambini che sopravvivono a tale condizione perinatale.
CLASSIFICAZIONE Tradizionalmente in rapporto all’epoca, alle modalità di insorgenza, alla durata e alle conseguenze fetali, lo stato di sofferenza fetale che subentrava ad una condizione di benessere veniva distinta in acuta, subacuta e cronica. Sofferenza fetale acuta: insorge in travaglio di parto ed evolve rapidamente, è dovuta ad una drastica riduzione degli scambi respiratori materno-fetali (generalmente compressioni funicolari, nodi veri, ecc.) dura pochi minuti, provoca asfissia e può causare morte fetale. Sofferenza fetale subacuta: insorge in travaglio di parto o pretravaglio, è legata ad una riduzione degli scambi gassosi materno-fetali (ipertono uterino, discinesie, ipercinesie) che, se limitata nel tempo, è compatibile con la sopravvivenza del feto; ha una durata misurabile in ore e può indurre asfissia fetale. Sofferenza fetale cronica: insorge in gravidanza ed evolve lentamente, è legata prevalentemente ad una riduzione degli scambi metabolici (insufficienza placentare) con diminuito apporto di sostanze nutritive al feto; gli scambi respiratori, seppur ridotti, non sono generalmente molto compromessi. Dura giorni o settimane e determina iposviluppo fetale che, nei casi più gravi, può esitare nella morte endouterina del feto. In base alle acquisizioni attuali ed alle considerazioni sopra espresse, tale classificazione può essere riassunta e sostituita dalla definizione di stato fetale rassicurante o stato fetale non rassicurante [1, 2].
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
La diagnosi di sofferenza fetale è dunque insidiosa e complessa essendo dinamici tutti i patterns di tipo rassicurante e non rassicurante sia al di fuori che, soprattutto, durante il travaglio. Ciò equivale a dire che essi possono rapidamente evolvere da rassicurante a non rassicurante e viceversa. Si tratta quasi sempre di valutazioni cliniche completamente soggettive e, per questo, a volte alquanto imprecise.
FISIOPATOLOGIA La concentrazione di ossigeno nel sangue fetale ed il trasporto ai diversi organi ed apparati, sono dipendenti dalla gittata cardiaca e dalla perfusione della circolazione ombelicale. Dal momento che il volume di eiezione fetale è relativamente fisso (nel senso che non può subire delle modificazioni di compenso), la frequenza cardiaca fetale rappresenta il maggior fattore determinante della gittata cardiaca [3, 4]. Il controllo fisiologico della frequenza cardiaca fetale (fcf) presuppone una varietà di meccanismi interconnessi che dipendono dal flusso sanguigno e dall’ossigenazione. Inoltre l’attività di questi meccanismi di controllo è sotto l’influenza dello stato di ossigenazione fetale preesistente, come ad esempio avviene in corso di insufficienza placentare cronica. Il battito cardiaco fetale (bcf) è sotto il controllo del sistema nervoso autonomo attraverso i chemocettori ed i barocettori, e poi attraverso il nodo seno atriale, che mantiene il ritmo sinusale compreso tra 110 e 160 bpm, il sistema simpatico, che ha effetto tachicardizzante ed infine il parasimpatico che ha effetto bradicardizzante ed il cui equilibrio determina le piccole variazioni fisiologiche che sono poi tradotte nel termine di variabilità. Eventi ipossici acuti e cronici possono determinare, in misura variabile in base all’entità ed alla durata, un aumento della lattacidemia fetale con conseguente acidosi metabolica fetale che, agendo direttamente sul miocardio, può determinare bradicardia e decelerazioni, e colpendo i centri regolatori del battito cardiaco fetale, può essere causa di tachicardia, perdita della variabilità e mancanza di accelerazioni durante i movimenti fetali [5]. Il tempo di sopravvivenza del feto in carenza di ossigeno dipende in primo luogo dalla concentrazione di glicogeno nel miocardio, prima dell’instaurarsi dell’episodio asfittico, e, in seconda istanza, dall’entità del metabolismo anaerobio. Una moderata ipossiemia fetale e/o ipercapnia determinano un innalzamento della pressione arteriosa, vasocostrizione polmonare e lievi modificazioni
delle resistenze vascolari ombelicali. Allo stesso tempo il flusso ematico ombelicale, coronarico, carotideo e del seno sagittale superiore aumenta, assicurando una maggiore quantità di ossigeno a disposizione degli organi vitali. La frequenza cardiaca inizialmente aumenta in risposta alla carenza di ossigeno, ma se l’ipossiemia persiste e/o diventa più pronunciata insorge bradicardia. L’ipossiemia fetale di grado elevato e/o l’acidosi determinano un aumento del flusso di sangue agli organi vitali (cuore, cervello, ghiandole surrenali) ed una corrispondente diminuzione di tale flusso agli organi non vitali (polmoni, intestino, milza, reni, muscoli e ossa). La vasocostrizione selettiva in questi ultimi organi determina in prima istanza ipertensione e bradicardia e, successivamente, se le condizioni persistono, glicolisi anaerobica ed acidosi metabolica. Le modificazioni del sistema cardiovascolare del feto in risposta all’ipossia e all’acidosi attraverso la ridistribuzione della circolazione sistemica, rappresentano un meccanismo di difesa volto ad assicurare l’apporto di ossigeno agli organi vitali ed a compensare l’accumulo di cataboliti, come l’anidride carbonica, gli ioni idrogeno ed i radicali acidi. Il travaglio di parto può essere valutato come un processo di acidemia crescente dal momento che esso è caratterizzato da eventi ipossici fetali ripetuti che inevitabilmente risultano in acidemia. Da un certo punto di vista, quindi, assumendo che l’asfissia può essere definita l’ipossia che conduce all’acidemia, il parto può essere considerato un evento “a rischio” di asfissia per il feto.
IDENTIFICAZIONE DEL FETO A RISCHIO Nella gravidanza a termine, il monitoraggio fetale si pone come primo obiettivo il riconoscimento tempestivo e pre-travaglio di situazioni di ipossia o acidosi in grado da un lato di esporre il feto a rischio di morte intrauterina o post-natale, dall’altro di determinare esiti neurologici permanenti dopo la nascita. Secondo L’ACOG possono essere individuate alcune indicazioni alla sorveglianza fetale per situazioni di rischio sia preesistenti alla gravidanza che indotte dalla gravidanza stessa [6-9]. Condizioni materne preesistenti possono essere: 1. sindrome da anticorpi anti-fosfolipidi; 2. lupus eritematoso sistemico e malattie autoimmuni; 3. ipertiroidismo; 4. emoglobinopatie; 5. cardiopatie cianogene; 6. nefropatie croniche; 7. diabete tipo I.
Capitolo 24 • Sofferenza fetale • M.Moscarini,F.Torcia,T.Di Netta
1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8.
Condizioni indotte dalla gravidanza possono essere: ipertensione gestazionale/preeclampsia; riduzione dei movimenti fetali; oligoamnios, polidramnios; iposviluppo fetale; gravidanza protratta; isoimmunizzazione; pregressa morte perinatale; gravidanza gemellare con discordanza di crescita fetale.
I fattori clinici di rischio nelle gravidanze complicate da “asfissia” fetale lieve, moderata e severa possono poi essere classificati in base al timing d’insorgenza in: 1. Ante-partum: – ipertensione; – diabete; – emorragia ante-partum; – tossiemia; – rottura prematura delle membrane; – gravidanza oltre il termine; – feti piccoli per l’età gestazionale – polidramnios; – oligoamnios. 2. Intra-partum: – malpresentazioni; – travaglio anomalo; – applicazione di forcipe; – prolasso di funicolo; – liquido amniotico tinto di meconio. Va tuttavia ricordato che il 30% delle esposizioni fetali all’acidosi metabolica avviene in gravidanze senza alcun apparente fattore di rischio e, che queste gravidanze rappresentano il 23% dei casi di asfissia moderata o severa. Il 63% degli eventi asfittici fetali avviene tra le gravidanze a basso rischio ante-partum,queste gravidanze rappresentano il 40% dei casi di “asfissia” moderata o severa. Per questi motivi i fattori clinici di rischio, quando presenti, devono rappresentare un’indicazione relativa e secondaria alla decisione clinica di eventuali interventi ostetrici.
METODICHE DI SORVEGLIANZA ANTEPARTUM Le tecniche utilizzate attualmente nella pratica clinica, al fine di valutare il benessere fetale, si basano sul controllo di attività fisiche fetali come i movimenti, il respiro, la produzione di liquido amniotico e la frequenza cardiaca [6, 7, 10, 11]. Esse sono: – conta dei movimenti fetali percepiti dalla donna gravida;
447 – Non Stress Test (NST); – valutazione ecografica della quantità di liquido amniotico; – profilo biofisico modificato (NST+valutazione del liquido amniotico); – Doppler-velocimetria fetale e materna. Ciascuno di questi test è basato sul razionale fisiopatologico per cui uno stato di ipossia o acidosi è in grado di alterare il pattern di frequenza cardiaca, il ritmo di crescita, il livello di attività motoria ed il tono muscolare del feto. Inoltre la ridistribuzione del flusso ematico fetale in risposta all’ipossia può determinare una riduzione della perfusione renale e quindi provocare oligoamnios e alterazioni velocimetriche nei distretti feto-placentari, verificabili con tecniche ecografiche e Doppler-velocimetriche. Il riconoscimento di una sospetta compromissione ipossica fetale offre l’opportunità di intervenire mediante l’espletamento del parto, prima che si instauri un’acidosi metabolica progressiva. Va sottolineato, comunque, che tutti questi test possono identificare uno stato ipossico cronico e/o evidenziare in maniera casuale uno stato acuto ma non sono utili a prevedere eventi drammatici acuti, come, ad esempio, quelli conseguenti a distacco di placenta o a patologie del funicolo. Le morti fetali o le risultanti avverse legate a tali eventi non sono né prevedibili né, quindi, evitabili. Nella maggior parte dei casi, un test normale risulta altamente rassicurante, dal momento che le morti fetali entro 7 giorni da un test normale sono rare. Il valore predittivo negativo, test vero negativo, per la maggior parte dei test descritti è pari a più del 99,8%. D’altra parte però, la stima del valore predittivo positivo, un test vero positivo, di un test anomalo è piuttosto bassa e varia tra il 10 ed il 40%. Nel feto umano i valori normali di pH, pO2, e pCO2 nella vena ombelicale sono stati determinati mediante funicolocentesi su gravidanze a basso rischio, nelle quali necessitava un prelievo di sangue fetale per altre motivazioni. In particolare, secondo uno studio di Manning et al. [12], in cui il profilo biofisico fetale è stato valutato subito prima di una funicolocentesi, in presenza di un NST non reattivo si registra un pH ombelicale di 7,28±0,11 (media±DS). La scomparsa dei movimenti fetali si manifesta a livelli di pH più bassi, in media 7,16±0,008. È possibile quindi ipotizzare una ragionevole correlazione tra le modificazioni dei patterns della frequenza cardiaca e dei movimenti fetali e la compromissione metabolica del feto conseguente ad ipossia: questo aspetto rappresenta il razionale fisiopatologico e clinico dei test di sorveglianza fetale.
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
Movimenti fetali La conta dei movimenti fetali percepiti dalla donna gravida è la tecnica di valutazione del benessere fetale più semplice e meno costosa. L’attività fetale comincia precocemente e diviene sempre più complessa ed elaborata man mano che si procede verso il termine della gravidanza. Dopo l’8a settimana di amenorrea i movimenti corporei fetali non sono mai assenti per un tempo superiore ai 13 minuti [12, 13]. Nel terzo trimestre la maturazione dei movimenti continua fino alla 36ª settimana, quando diviene anche possibile riconoscere dei veri e propri stati comportamentali fetali [14-17] in base alla valutazione della frequenza cardiaca, dei movimenti corporei e dei movimenti oculari fetali. Questi ultimi possono essere identificati e classificati come segue: – stato 1F (o di sonno tranquillo): è uno stato quiescente con una stretta variabilità a lungo termine della frequenza cardiaca fetale; – stato 2F: caratterizzato da movimenti corporei grossolani, movimenti oculari continui, ampia variabilità della frequenza cardiaca fetale. Si tratta di uno stato analogo alla fase REM o del sonno attivo del neonato; – stato 3F: caratterizzato da movimenti oculari continui in assenza di movimenti corporei e di accelerazioni della frequenza cardiaca; – stato 4F: caratterizzato da vigorosi movimenti corporei associati a movimenti oculari continui ed accelerazioni della frequenza cardiaca fetale. Corrisponde allo stato di veglia del neonato. Per la maggior parte del tempo il feto vive negli stati 1F e 2F: a 38 settimane per il 75% del tempo il feto si trova in queste due situazioni. Esiste inoltre una ciclicità sonno-veglia che varia dai 20 ai 75 minuti indipendentemente dal ritmo sonnoveglia materno. Un fattore determinante l’attività fetale è rappresentato dalla quantità del liquido amniotico (LA), dal momento che i movimenti fetali diminuiscono col decrescere della rappresentazione del LA stesso.
Esistono diversi metodi per la valutazione dei movimenti fetali: – la percezione dei movimenti fetali viene considerata normale se ne risultano 10 in due ore di valutazione; – la madre viene invitata a registrare i movimenti fetali per un’ora al giorno; se la conta è uguale o superiore alla linea di base di una curva di riferimento, viene considerata normale. La Tabella 24.1 riporta la carta di Pearson che risale al 1977. La madre viene invitata giornalmente a contare quanti minuti impiega a percepire 10 distinti movimenti fetali e ad indicare con un cerchio la lettera corrispondente al numero dei minuti: A, da 0 a 15 min; B, da 16 a 30 min; C, da 31 a 45 min; D, da 46 a 60min; E, più di 60 min. Le donne sono invitate a contattare il personale sanitario (medico, ostetrica) se è necessaria più di 1 ora per sentire 10 movimenti. Alcuni studi hanno dimostrato che la conta approssimativa dei movimenti fetali è altrettanto valida rispetto alla conta metodica e registrata [17]. Altri autori suggeriscono la metodica solo al fine di rassicurare la madre, considerata la differenza non significativa degli outcomes tra le gravidanze con ridotta conta dei movimenti e quelle senza [18, 19]. La scomparsa dell’attività motoria fetale può, anche se non necessariamente, precedere la morte intrauterina fetale, e/o un’ipossia cronica e si associa spesso ad una graduale e progressiva riduzione dei movimenti attivi fetali. Per tale motivo la conta dei movimenti del feto può essere usata come test di screening, in soggetti a basso ed alto rischio. La positività del test che da solo ha un basso valore predittivo positivo e negativo, richiede comunque accertamenti di secondo livello, più specifici ed accurati.
Movimenti respiratori fetali I movimenti respiratori fetali sono rappresentati da flussi di liquido tracheale in entrata e in uscita, e sono stati definiti movimenti paradossali della parete toracica,
Tabella 24.1. Carta di Pearson per il conteggio dei movimenti fetali Domenica ABCDE
Lunedì ABCDE
Martedì ABCDE
Mercoledì ABCDE
Giovedì ABCDE
Venerdì ABCDE
Sabato ABCDE
Per sapere di più riguardo al feto,alle gestanti viene richiesto di contare,una volta al giorno,quanti minuti servono per avvertire 10 movimenti distinti (calci, allungamenti o rivolgimenti - non il singhiozzo) e cerchiare la lettera corrispondente al numero di minuti. A, 0-15 min; B, 16-30 min; C, 31-45 min; D,46-60 min; E,>60 min.Viene loro richiesto di contattare la struttura di riferimento se è necessaria più di un’ora (E) per avvertire 10 movimenti.
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dal momento che, durante l’inspirazione, la parete toracica collassa e l’addome protrude, esattamente al contrario di quanto avviene nella vita extrauterina. Essi sono stati oggetto di numerosi studi volti a determinare una possibile applicazione clinica, attraverso il monitoraggio ecografico, per la valutazione del benessere fetale [20-22]. I limiti della metodica, considerata isolatamente, sono rappresentati dalle numerose variabili che possono influire sui movimenti respiratori fetali in aggiunta all’ipossia ed al travaglio (durante il travaglio i movimenti respiratori fetali s’interrompono), quali: ipoglicemia, stimoli sonori, fumo di sigaretta, amniocentesi, età gestazionale e frequenza cardiaca stessa. Inoltre, l’assenza di movimenti respiratori è stata riscontrata per periodi anche di 122 minuti, in feti normali. Per tali motivi la valutazione dei movimenti respiratori trova impiego solo come variabile nell’ambito del profilo biofisico fetale.
Non Stress Test (NST) Il NST, cioè l’esecuzione del tracciato cardiotocografico fuori dal travaglio, viene ampiamente utilizzato in gravidanze a basso rischio di morbilità e mortalità perinatale, come test di primo livello da solo o in associazione alla valutazione ecografica della quantità di liquido amniotico e dei movimenti fetali [6, 7, 23-25]. Si considera reattivo, e, quindi, rassicurante, un NST che presenti una buona variabilità della frequenza cardiaca fetale e almeno due accelerazioni con un picco di 15 bpm o più rispetto alla linea di base, ciascuna della durata di 15 secondi o più, in 20 minuti di tracciato. La durata minima del tracciato, per concludere che invece ci sia un’insufficiente reattività fetale, deve essere pari a 40 minuti o più, in considerazione dei cicli sonno-veglia fetali [26, 28]. Il valore predittivo del test negativo è alto(>90%): il tasso di falsi negativi, definiti come numero di morti fetali entro 7 giorni dal test negativo, è di 0,3/1.000. Le morti perinatali che si verificano entro 7 giorni da un NST reattivo sono 2,3/1.000, in media con quella della popolazione generale. Tuttavia il valore predittivo del test positivo è basso, intorno al 50% ed è proporzionale ai parametri utilizzati per definire l’anormalità. La sola assenza di accelerazioni ha un valore predittivo positivo per ipossia fetale ben inferiore al 50%; tale valore aumenta seppur di poco, se si considerano parametri quali la riduzione della variabilità o la presenza di decelerazioni. Inoltre, il valore predittivo positivo aumenta proporzionalmente al rischio ipossico del feto. Se dunque ampiezza e numero normale di accelera-
zioni riflettono uno stato di benessere fetale, viceversa un deficit di accelerazioni non è in senso assoluto predittivo di uno stato di compromissione fetale. Il tracciato che può essere definito “cardiotocogramma terminale” è caratterizzato da una variabilità inferiore a 5 bpm, assenza di accelerazioni e decelerazioni tardive in presenza di contrazioni uterine spontanee. Tale tipo di tracciato si associa a patologia perinatale significativa nel 93% dei casi. Le decelerazioni variabili, invece, se non sono ripetute e durano meno di 30 secondi, non indicano compromissione fetale e non richiedono interventi ostetrici per accelerare l’espletamento del parto. Le decelerazioni variabili ripetute, almeno 3 in 20 minuti, anche se lievi, sono associate ad un aumentato rischio di taglio cesareo per sofferenza fetale. Le decelerazioni che durano un minuto o più hanno un significato prognostico negativo più grave. L’intervallo di tempo tra un NST reattivo e l’altro, nelle gravidanze a termine, è stato stabilito pari a 7 giorni. Un intervallo più breve (2 test a settimana o più) a seconda delle condizioni materne o fetali di volta in volta riscontrate, viene consigliato per le donne con gravidanza oltre il termine, diabete tipo 1, ritardo di crescita intrauterino, ipertensione gestazionale. In genere l’intervallo medio tra NST “terminale” e morte intrauterina è pari a 4 giorni e varia tra 1 e 7 giorni [29, 30]. La più frequente causa di morte è l’aspirazione di meconio [29, 30] associata ad anomalie del cordone ombelicale. Altre cause descritte in letteratura sono rappresentate da infezioni intrauterine, posizioni anomale del cordone, malformazioni e distacco di placenta. Il NST risulta dunque inadeguato nel predire tali eventi asfittici acuti. Per tali motivi, il NST può essere utilizzato come test di primo livello, ma la sua positività richiede di essere confermata da indagini più accurate (vedi Capitolo 22).
Cardiotocografia computerizzata La cardiotocografia computerizzata (cCTG) ha rappresentato un notevole passo in avanti rispetto alla metodica tradizionale, consentendo di oltrepassare il limite della bassa riproducibilità di quest’ultima, legata soprattutto alla variabilità inter- ed intraosservatore [5, 31]. Inoltre, i criteri tradizionali di interpretazione della frequenza cardiaca fetale (presenza di accelerazioni, decelerazioni) sembrano essere inadeguati a valutare i cambiamenti della FCF stessa prima delle 28 settimane di gestazione, a causa della ancora relativa immaturità dei sistemi di controllo della FCF. L’analisi matematica della frequenza cardiaca fetale
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(FCF) di base riprodotta da un sistema computerizzato permette di effettuare una valutazione obiettiva delle accelerazioni e delle decelerazioni. Essa consente, inoltre, di rilevare altri indici correlati alla variabilità della FCF (oscillazione delta della linea di base, irregolarità a lungo termine, variabilità a breve termine, interval index), che sono tanto importanti nel riconoscimento di uno stato di sofferenza fetale, quanto difficili da analizzare ad occhio nudo. In particolare, la variabilità a breve termine (Short Term Variability, STV) viene valutata per intervalli di tempo di circa 2,5 secondi. Una sua diminuzione risulta strettamente correlata ad una compromissione severa delle condizioni di benessere fetale. In studi longitudinali [31], in cui venivano effettuate registrazioni giornaliere, si è osservata una significativa differenza nella variabilità a breve termine ma non di quella a lungo termine, nel giorno antecedente l’espletamento urgente del parto. Questo risultato potrebbe trovare la motivazione in quanto segue: il deterioramento delle condizioni fetali avviene per crisi e non in maniera progressiva, ciò consente quindi alla CTG computerizzata di fornire un ausilio nel determinare il timing del parto, prima della comparsa dei segni di scompenso (decelerazioni). È stato dimostrato [32], inoltre, come la variabilità a breve termine sia correlata con la saturazione fetale di O2 nel secondo stadio del travaglio. La STV, in assenza di episodi di alta variabilità della frequenza cardiaca fetale, è indipendente dalla frequenza di base e correla con lo sviluppo di acidemia metabolica fetale e morte intrauterina. Per valori di STV≥4 ms la percentuale di probabilità di insorgenza di acidemia fetale e morte intrauterina è pari a 0. Man mano che la STV diminuisce la percentuale di probabilità aumenta. Per valori di STV<2,5 ms la percentuale sale al 72%. Alcuni autori [33] hanno riscontrato come la bradicardia fetale, l’area totale della decelerazione e l’a-
rea della decelerazione dopo la contrazione possano predire un basso pH dell’arteria ombelicale e deficit di basi alla nascita. È stato evidenziato come l’analisi della frequenza cardiaca fetale basata su una rilevazione computerizzata della linea di base, sia in grado di raggiungere una sensibilità del 79% ed una specificità del 100% [34]. Va sottolineato come un tracciato cardiotocografico computerizzato patologico non costituisce indicazione all’espletamento urgente del parto, ma necessita l’integrazione di altre metodiche di valutazione del benessere fetale (per esempio la velocimetria Doppler fetale, il profilo biofisico, ecc.). La cCTG non può essere utilizzata intra-partum perché il sistema di lettura non reagisce bene alle contrazioni del travaglio, non essendo in grado di distinguere le decelerazioni in precoci, tardive e variabili.
Profilo biofisico fetale (PBF) Il profilo biofisico fetale [12, 35, 36] consiste nell’esecuzione del NST associato alla valutazione ecografica di: – movimenti respiratori fetali; – movimenti somatici del feto; – tono fetale; – quantità di liquido amniotico. A ciascuno dei parametri è assegnato un punteggio di 0 (anormale) o 2 (normale). Viene considerato normale un punteggio complessivo ≥8, dubbio se 6, patologico se ≤4. Generalmente questo test richiede un tempo di osservazione variabile tra i 30 ed i 60 minuti (Tabella 24.2). Dati ottenuti su ampi campioni indicano come la gestione clinica di gravidanze a rischio basata sull’esecuzione del PBF riduce significativamente la mortalità fetale e neonatale. Il valore predittivo del test negativo (score 8-10) è del 97% ed il tasso di falsi negativi è di
Tabella 24.2. Schema a punteggio del profilo biofisico fetale Punteggio del PBF 10
Interpretazione Feto normale,non asfittico
8 (liquido amniotico normale) 8 (oligoamnios) 6
Feto normale,non asfittico Sospetta ipossia cronica fetale Possibile asfissia fetale
4 0-2
Probabile asfissia fetale Asfissia fetale piuttosto certa
Gestione clinica raccomandata Ripetere il test settimanalmente eccetto che per pazienti diabetiche e le gravidanze oltre il termine Ripetere il test secondo protocollo Parto se ≥37 settimane,altrimenti ripetere il test Se LA ridotto,parto Se LA normale a >36 settimane con cervice favorevole,parto Se ripetendo il test si ottiene ≤6,parto Se ripetendo il test si ottiene >6,osservare e ripetere secondo protocollo Ripetere il test lo stesso giorno; se ≤6,parto Parto
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0,4-0,6/1.000. Il valore predittivo del test positivo varia in accordo con il punteggio. In base ad un punteggio dubbio di 6/10 si registra un tasso di falsi positivi del 75%, mentre il punteggio di 0/10 è quasi sempre indice di grave compromissione fetale. Lo scarso valore predittivo positivo del PBF risente dei limiti prognostici del NST e dei movimenti fetali, spesso apparentemente anormali solo a causa di quiete fetale [37–39]. D’altronde una metanalisi dei pochi studi randomizzati [40] che hanno valutato l’efficacia del PBF rispetto a quello del solo NST non dimostra differenze significative. Pertanto il PBF è un test quasi desueto, sostituito dal “PBF modificato”, cioè dalla sola registrazione del NST associata alla valutazione ecografica della quantità del liquido amniotico, test di più agevole esecuzione e altrettanto accurato. Questo test prevede l’esecuzione del NST e il calcolo dell’indice amniotico (AFI). Il test è normale se il NST e l’AFI sono normali, contemporaneamente. Il tasso di falsi negativi del PBF modificato è dello 0,8/1.000, mentre il valore predittivo negativo è di circa il 99,8%.
Quantità di liquido amniotico Il razionale fisiopatologico per l’applicazione clinica di tale metodica è basato sul fatto che una ridotta perfusione utero-placentare determina una ridotta perfusione renale fetale con ridotta produzione urinaria e dunque oligoamnios [41-45]. La valutazione della quantità di liquido amniotico è rappresentata dal calcolo dell’indice amniotico (AFI), che consiste nel dividere l’utero in quattro quadranti teorici, misurare in ogni quadrante la tasca amniotica verticale più profonda e sommare in centimetri. L’AFI è generalmente considerato normale per valori ≥8 cm. La valutazione soggettiva può essere considerata validamente alternativa a tale metodica soprattutto se eseguita da operatori esperti e tenendo conto delle difficoltà a volte legate alle caratteristiche della parete addominale materna (obesità) o alla situazione fetale (longitudinale o trasversa) (vedi Capitolo 25) [42].
Velocimetria doppler fetale Nella pratica clinica, lo studio Doppler-velocimetrico dell’arteria ombelicale fetale, come metodica di sorveglianza fetale, è stato introdotto sulla base dell’osservazione che la velocità del flusso ematico in tale distretto è diverso nel feto normale rispetto a quello con restrizione di crescita su base ipossica [46].
451 Anomalie del flusso ombelicale, quali riduzione e, soprattutto, assenza o inversione del flusso diastolico sono correlate significativamente con morbilità e mortalità perinatale. La metodica non deve essere impiegata come test di screening di primo livello nelle gravidanze a rischio generico di ipossia fetale. Tuttavia è il test di scelta in caso di feti con restrizione di crescita, dal momento che in questi casi anomalie Doppler-velocimetriche dell’arteria ombelicale o di altri distretti arteriosi o venosi del feto precedono cronologicamente le indicazioni ottenibili da altri test (in particolare NST e AFI) e sono predittive di esiti perinatali sfavorevoli. Gli studi a riguardo sono ancora insufficienti, ma i primi risultati riportano per tale metodica un tasso di falsi negativi del 0/1.000, e quindi un valore predittivo negativo del 100%. La mortalità perinatale legata a flusso telediastolico assente è pari al 10%, mentre quella legata a flusso telediastolico invertito è pari al 33% (vedi anche Capitolo 22). L’ACOG, in una review del 2000 [7], suggerisce come la velocimetria Doppler fetale vada applicata solo nel sospetto di restrizione di crescita intrauterina. Non è stato riscontrato alcun beneficio dell’applicazione clinica della metodica in altre condizioni patologiche quali, gravidanza oltre il termine, diabete gestazionale, LES, o sindrome da anticorpi anti-fosfolipidi. Analogamente, non è stata dimostrata predittività nella popolazione generale a basso rischio. Con la velocimetria Doppler è possibile indagare gli altri distretti fetali coinvolti nelle risposte compensatorie del feto all’ipossia cronica. In particolare, se persiste la noxa patogena ipossica, oltre che aumento delle resistenze dell’arteria ombelicale si può rilevare la riduzione del PI dell’arteria cerebrale media (PI MCA) [47], per diminuzione delle resistenze del circolo cerebrale (centralizzazione del flusso e cardializzazione del flusso o brain sparing e ‘heart sparing’ effect) soprattutto nei FGR (Fetal Growth Restriction) prima della 34ª settimana. Alcuni studi [47] hanno dimostrato come questo fenomeno possa essere documentato in maniera transitoria e regredire in 24 ore. Da qui l’importanza di studiare anche i distretti venosi fetali che riflettono la funzione ventricolare e che sono importanti per identificare la cardiomiopatia ipossica che precede lo scompenso cardiaco. Con il diminuire della gittata cardiaca si verifica un aumento della pressione venosa con comparsa di flusso retrogrado durante la contrazione atriale. L’aggravarsi dell’acidemia è causa di flusso retrogrado nel dotto venoso che viene riflesso da un flusso pulsatile nella vena ombelicale. La riduzione delle velocità diastoliche nella cerebrale media, porta ad una falsa norma-
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lizzazione dei flussi cerebrali, per perdita di autoregolazione dei vasi cerebrali e/o edema cerebrale che comprime i vasi ed assume valore di tipo preterminale. Successivamente compare insufficienza atrio-ventricolare (tricuspidale) che rappresenta un indice di insufficienza cardiaca e disfunzione dei muscoli papillari, seguita da diminuzione del flusso nelle coronarie e quindi morte intrauterina.
Tabella 24.3. NICHD Research Planning Workshop (1997) - Fetal Heart Rate Patterns Pattern Normale
Intermedio Severamente patologico
METODICHE DI SORVEGLIANZA INTRAPARTUM
Workshop Interpretations Linea di base 110-160 bpm Variabilirà 6-25 bpm Accelerazioni presenti Decelerazioni assenti Non consensus Decelerazioni tardive ripetute o variabili con zero variabilità Bradicardia con zero variabilità
Cardiotocografia La cardiotocografia è una metodica universalmente diffusa ed ampiamente utilizzata per controllare il benessere fetale durante il travaglio ed il parto [48-50]. Il principio su cui si basa il monitoraggio intrapartum è quello di documentare il più precocemente possibile l’ipossia fetale prima che questa evolva in acidosi producendo poi un danno tissutale. Studi randomizzati [25, 51] non hanno tuttavia dimostrato una diminuzione della mortalità perinatale da cause asfittiche intrapartum nei casi monitorati con CTG rispetto all’auscultazione intermittente della frequenza cardiaca fetale, eccetto che nei travagli indotti o pilotati con ossitocina e nei travagli prolungati. Una metanalisi della Cochrane Library del 2002 [52], eseguita su 9 studi prospettici multicentrici e basata su un campione numeroso di gravidanze sia ad alto che a basso rischio, documenta che l’unico reale beneficio della CTG in continuo in travaglio di parto è una riduzione dell’incidenza delle convulsioni neonatali. Da uno studio clinico randomizzato condotto nel 1994 [51] su gravidanze a basso rischio negli Stati Uniti è emerso poi che la CTG in continuo in travaglio non migliora l’outcome neonatale. Non è stato notato alcun effetto per quanto riguarda la percentuale di bassi punteggi Apgar, percentuali di ricovero in terapia intensiva neonatale, mortalità perinatale ed incidenza di paralisi cerebrale. Questo a scapito di un aumento significativo della percentuale di tagli cesarei e di parti operativi, soprattutto in relazione alla presenza di alcune condizioni border-line di non facile interpretazione, che portano ad una sovrastima di uno stato di sofferenza fetale. Tuttavia, passati oltre 30 anni dall’introduzione della metodica si è giunti al riconoscimento di patterns caratteristici per l’identificazione del feto normale e di quello ad alto rischio di compromissione (Tabella 24.3). Come mostrato nella Tabella 24.3, i veri patterns indicativi di sofferenza fetale sono rappresentati da una variabilità battito-battito pari a 0 associata a decelerazioni gravi o bradicardia persistente, o entrambe.
Fortunatamente si tratta di condizioni di compromissione fetale piuttosto rare. Pertanto, uno dei motivi per cui si hanno difficoltà nello stabilire esattamente i benefici della CTG in continuo in travaglio di parto è proprio la rarità di questo tipo di sofferenza fetale, che preclude risultati statisticamente significativi dei trials clinici.
Gestione del tracciato cardiotocografico non rassicurante Gli interventi che seguono dovrebbero essere documentati su un apposito registro medico: 1. riposizionamento della paziente; 2. interrompere l’infusione di ossitocici e correggere l’iperstimolazione; 3. visita ostetrica; 4. correggere l’ipotensione materna associata ad analgesia regionale; 5. informare lo staff della sala parto circa l’eventualità di un parto d’emergenza; 6. monitorare la frequenza cardiaca fetale in sala operatoria prima della preparazione addominale; 7. richiedere disponibilità di assistenza in TIN; 8. somministrare ossigeno alla madre. Spostando la madre in decubito laterale, correggendo l’ipotensione causata dall’anestesia regionale e sospendendo l’ossitocina, si migliora la perfusione uteroplacentare.
Note sulla rianimazione intrauterina – La posizione laterale sinistra materna viene utilizzata sulla base del fatto che alterazioni della frequenza cardiaca fetale possono essere prodotte o esacerbate dalla compressione aorto-cavale. In alcuni casi però tali anomalie sono dovute a compressione del funicolo che non migliora o, anzi peggiora in posizione laterale sinistra. Devono essere
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quindi tentate altre posizioni come la laterale destra o la prona su gomiti e ginocchia flessi sul letto (evidenza, grado B). Oltre che interrompere l’ossitocina può essere utile praticare tocolisi con farmaci beta-agonisti selettivi (evidenza, grado A). Il prolasso di funicolo deve essere escluso mediante l’esplorazione vaginale. Per correggere l’ipotensione materna dovrebbe essere somministrata una infusione rapida intravenosa di un litro di cristalloidi, non glucosato. Tale misura non può essere ripetuta e quindi non risulta efficace per le anomalie della frequenza cardiaca fetale ripetute durante il travaglio. Se l’ipovolemia materna è dovuta invece ad un’emorragia acuta sono necessarie somministrazioni di colloidi e trasfusioni di sangue. Un aumento dell’ossigenazione fetale comincia entro pochi minuti dalla somministrazione materna di ossigeno, ma può richiedere anche un tempo di 10 minuti prima che venga raggiunto il picco di saturazione fetale. Thorp et al. [53], hanno rilevato come la somministrazione di ossigeno è associata più fraquentemente ad acidosi fetale. Successivamente un’analisi ad hoc ha dimostrato come ciò avviene per somministrazioni che durano più di dieci minuti (evidenza, grado C).
Manovre da effettuare in caso di prolasso di funicolo Lo scopo principale è di ridurre la compressione sul cordone ombelicale separando la parte presentata dal segmento uterino inferiore o dal canale del parto e successivamente cercare di proteggere il cordone dal vasospasmo. È stata proposta la posizione di Trendelenburg, ma questa non risolve la compressione aorto-cavale e potrebbe provocare difficoltà respiratorie materne. Risultano dunque più indicate la posizione prona su gomiti e ginocchia o la semi-prona di Sims. La tappa successiva dipende dalla possibilità di effettuare il cesareo immediatamente o se c’è un intervallo di tempo da attendere. Nel caso in cui sia possibile effettuarlo subito, un assistente dovrebbe tenere, con una spinta manuale attraverso la vagina, la parte presentata in alto. Nell’altro caso l’inserzione di un catetere di Foley in vescica, riempito con 0,5 l di liquidi, esercita la stessa funzione. Infine va effettuata la tocolisi con farmaci beta-agonisti selettivi. Se il cordone protrude dalla vagina va riposizionato. Con l’uso combinato di tale manovre si ottiene un miglioramento delle decelerazioni della frequenza cardiaca nella maggior parte dei casi.
Valutazione del liquido tinto Durante il secolo scorso fu introdotto il concetto che l’emissione di meconio era un potenziale segno di asfissia fetale. Nel 1903 W. Williams osservò e attribuì il passaggio di meconio al “rilassamento dello sfintere anale indotto dalla deficitaria ossigenazione ematica fetale”. Numerosi studi hanno poi dimostrato [54] l’incertezza di questo segno nel predire sofferenza fetale o asfissia. Una percentuale variabile tra il 12 ed il 22% dei travagli sono complicati da meconio, pochissimi tra questi sono associati a mortalità neonatale(1/1.000 nati vivi). Il meccanismo fisiopatologico proposto è tale per cui il feto rilascia meconio in risposta all’ipossia e quindi il liquido tinto segnala compromissione fetale. Ma il passaggio in utero del meconio potrebbe indicare una maturità adeguata del tratto gastrointestinale sotto il controllo del sistema nervoso. Il passaggio di meconio potrebbe inoltre seguire la stimolazione vagale da parte della frequente, ma transitoria, compressione del cordone, determinando un aumento della peristalsi. Il rilascio fetale di meconio potrebbe dunque rappresentare un processo fisiologico. Parallelamente altri studi [55] hanno ipotizzato che la fisiopatologia della sindrome da aspirazione di meconio è caratterizzata da ipercapnia che stimola la respirazione fetale determinando l’aspirazione di meconio negli alveoli, e da lesioni parenchimali polmonari secondarie a danno cellulare alveolare indotto dall’acidemia. In questo scenario chiaramente il liquido tinto di meconio rappresenta una condizione di rischio, piuttosto che un marker di preesistente compromissione fetale. Viceversa Greenwood et al. [56] nel 2003 hanno dimostrato in uno studio prospettico di 8394 donne con liquido chiaro, che il liquido chiaro è un segno certo di benessere fetale. Quindi, sebbene possa rappresentare un normale processo fisiologico, la presenza di meconio nella cavità uterina rende l’ambiente rischioso per il feto, in particolar modo se sopravviene l’acidemia. Ci sono numerose evidenze che dimostrano come molti neonati, affetti da sindrome da aspirazione di meconio, hanno sofferto di ipossia cronica, prima della nascita.
Prelievo ematico dallo scalpo fetale Alla fine degli anni ’60 Saling e Schneider mostrarono che sul sangue fetale prelevato durante il travaglio dal cuoio capelluto, era possibile valutare lo stato acido-base fetale attraverso l’emogasanalisi [57-59].
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Il suo utilizzo, quasi del tutto scomparso in Italia, è scarsamente utilizzato anche in altri paesi europei ad eccezione della Germania,soprattutto perché si tratta di una metodica invasiva e per la necessità di eseguire prelievi seriati, nonostante l’accuratezza diagnostica sia elevata. Secondo l’ACOG (1995) [60] le misurazioni del pH su sangue capillare dello scalpo fetale possono essere di grosso ausilio nell’identificare il feto in grave distress, ma di fatto la metodica non viene utilizzata di frequente neanche negli Stati Uniti. La tecnica consiste nell’introduzione di un endoscopio attraverso la cervice dilatata, dopo la rottura delle membrane in modo tale da farlo aderire allo scalpo fetale e, previa disinfezione della cute, si esegue un’incisione cutanea mirata di 2 mm di profondità, sotto controllo visivo mediante una sorgente luminosa a fibre ottiche. Non appena fuoriesce una goccia di sangue viene raccolta su un tubo capillare di vetro eparinizzato ed inviata per esame emogasanalitico. Se il pH è >7,25 il travaglio può continuare. Se il pH è compreso tra 7,25 e 7,20, la misurazione deve essere ripetuta entro 30 minuti. Se il pH è <7,20, si procede con un altro prelievo e la madre viene preparata per il cesareo, che viene effettuato immediatamente se il basso pH viene confermato. Altrimenti si fa continuare il travaglio e si effettuano periodici prelievi seriati. L’unico vantaggio riconosciuto finora alla metodica è la riduzione, da 1,8% a 0,03%, dei parti cesarei per distress fetale.
Nuove metodiche Tra le metodiche considerate “ancillari” alla CTG in travaglio di parto, le uniche con potenziale applicazione clinica e che hanno superato il vaglio di studi prospettici randomizzati ed il parere del Comitato di Esperti di Società Scientifiche Internazionali sono l’ossimetria pulsata fetale e l’elettrocardiografia fetale in travaglio di parto.
Ossimetria pulsata L’ossimetria pulsata fetale consente di calcolare la percentuale di saturazione dell’ossigeno dell’emoglobina (SatO2%) nel sangue arterioso fetale durante il travaglio di parto, mediante la misurazione delle concentrazioni di ossiemoglobina (O2Hb) e di desossiemoglobina (Hb) [61, 62]. L’ossimetria fetale ad impulsi misura la frazione di luce trasmessa dall’emoglobina attraverso i tessuti, basandosi sulla relazione di Lambert-Beer tra la trasmissione luminosa e la densità ottica, fornendo mediante analisi spettro-fotometrica una stima relativamente accurata dei valori di SatO2%, attraverso l’utilizzo di alcuni coefficienti di correzione, che combinano ed integrano tra loro diversi parametri [63, 64].
Le rilevazioni dell’ossimetro possono subire degli artefatti, specialmente in rapporto alla sede di applicazione della sonda. Il colore e lo spessore dei capelli possono alterarne il risultato. Capelli scuri, spessi e ricci assorbono prevalentemente luce rossa, mentre i capelli chiari possono deviare i fasci luminosi dal sito di rilevamento. Altri fattori disturbanti sono rappresentati dallo spessore cutaneo (funzione dell’epoca gestazionale), dalla presenza di vernice caseosa, e dalla presenza di liquido amniotico tinto di meconio. Per quanto riguarda il versante materno le contrazioni uterine, i movimenti materni, la vocalizzazione, le turbe respiratorie, determinando modificazioni dell’emodinamica materna provocano differenze ben quantificabili nei valori ossimetrici. L’assunzione della posizione supina ad esempio si associa ad una netta riduzione nei livelli di SpO2, il contrario si verifica assumendo la posizione laterale sinistra. Sul mercato sono disponibili diversi tipi di apparecchiature per l’ossimetria fetale. Alcuni di questi hanno il sensore che può essere applicato a livello della guancia fetale (sistema Nellcor, l’unico approvato dalla Food and Drug Administration). Altri sistemi prevedono l’applicazione del sensore sul dorso fetale (sistema OBS-500, disponibile in Europa, ma non ancora approvato dalla FDA). Per applicare il sensore facciale bisogna, ovviamente, determinare la posizione della testa fetale, previa identificazione della sutura cranica sagittale, e di una o entrambe le fontanelle. La sede ottimale è rappresentata dall’area corrispondente alla guancia/tempia fetale. I valori normali della SatO2% dell’adulto variano entro un range compreso tra il 95 ed il 100%, viceversa i valori di SatO2% arteriosa fetale oscillano tra il 30 ed il 70%. La comparazione tra i valori emogasanalitici del sangue del cordone ombelicale con i valori di saturazione dell’ossigeno ottenuti attraverso ossimetria fetale, ha evidenziato una correlazione lineare statisticamente significativa fra i valori di FspO2 e di SpO2 nell’arteria ombelicale alla nascita [65]. Un valore cut-off del 30% di SpO2 fetale può essere utilizzato per differenziare uno stato di normale ossigenazione da uno stato ipossico. Valori di SatO2% inferiori al 30% per un periodo ≥10 minuti si correlano significativamente ad una riduzione di pH fetale (<7,20) ottenuto mediante emogasanalisi su prelievi dallo scalpo fetale. Il più grosso studio multicentrico prospettico randomizzato sull’uso dell’ossimetria pulsata in travaglio di parto è stato pubblicato da Garite et al. [66] nel 2000. L’uso dell’ossimetria pulsata non sembra portare ad una riduzione del numero dei tagli cesarei, anche se aumenta la capacità diagnostica dell’ostetrico nell’identificare i feti depressi e/o acidotici [65, 67, 68].
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Come indicato dall’ACOG, l’ossimetria pulsata va usata: – in associazione alla CTG; – esclusivamente per gravidanze singole; – in presentazione di vertice; – con età gestazionale ≥36 settimane; – dopo rottura prematura delle membrane. In linea generale se il tracciato cardiotocografico è rassicurante non viene richiesto nessun altro tipo di indagine. Quando il tracciato mostra invece una grave e prolungata bradicardia, si richiede un intervento ostetrico immediato, per prevenire eventuali danni fetali, e quindi l’ossimetria non è comunque necessaria. Se il CTG è sospetto, pre-patologico, patologico o comunque non rassicurante il monitoraggio con ossimetro ad impulsi potrebbe risolvere il dubbio clinico riguardo lo stato di ossigenazione fetale. Se la SpO2 è <30% si dovrebbe attendere e osservare per 10 minuti, ed effettuare manovre e terapie di rianimazione in utero (variazione della posizione materna, correzione dell’ipotensione, idratazione della paziente, riduzione della somministrazione di ossitocina, somministrazione di tocolitici, somministrazione di ossigeno). Se la SpO2 rimane <30% nonostante le manovre e le terapie eseguite, si rende necessario il parto vaginale operativo o il taglio cesareo.
2. Aumento episodico di T/QRS. Il rapporto T/QRS aumenta ma ritorna alla norma entro 10 minuti. L’entità del cambiamento del rapporto T/QRS riflette l’entità dello stress fetale. L’interpretazione di questo tipo di tracciato è legata sempre alla valutazione del CTG associato. 3. Aumento della linea di base del T/QRS. Aumento della linea di base significa che il rapporto T/QRS dura più di 10 minuti. Esso indica uno stato in cui il feto risponde all’ipossia con il metabolismo anaerobio; è presente una situazione di stress persistente con scarse possibilità di ripresa. 4. ST bifasico.Vengono registrati automaticamente dal sistema STAN e divisi in tre gradi a seconda di quanto il tratto ST si discosta dalla norma. Episodi ripetuti di ST bifasico di grado 2 o 3 dovrebbero essere sempre considerati come un segno di anormalità. L’elevata sensibilità della combinazione fra CTG e STAN nel predire l’acidosi fetale è risultata in un aumento significativo del potere predittivo del sistema rispetto al solo monitoraggio CTG. L’analisi delle onde ECG fetali in travaglio sembra consentire una riduzione dei parti operativi senza esporre i feti al rischio di ipossia ed acidosi. Sono necessari ulteriori studi per valutare l’efficacia di tale metodica in presenza di parti pretermine od in associazione a patologie che complicano la gravidanza.
ECG fetale in travaglio di parto (analisi dell’onda ST-STAN) L’analisi dell’intervallo ST dell’elettrocardiogramma (ECG) fornisce informazioni sulla funzione del miocardio fetale durante una situazione di stress [69]. Nell’adulto il tratto ST viene utilizzato per valutare e diagnosticare l’insufficienza miocardica. Durante l’ipossia, l’ossigeno disponibile diminuisce, ma il carico di lavoro cardiaco resta invariato. Questo comporta un equilibrio energetico negativo, che si riflette nella comparsa di un’onda ST bifasica. L’adattamento cardiaco a questo stato ipossico comporta l’attivazione della glicogenolisi e del metabolismo anaerobio, che determina un ulteriore aumento dell’onda ST. Quando “l’asfissia” diventa grave e di lunga durata, la forma dell’onda ST ritorna normale, come conseguenza della marcata progressiva riduzione delle capacità fetali di risposta all’ipossia. L’analisi viene effettuata su un ECG medio, che rappresenta la media di 30 complessi ECG accettati. Vengono descritti 4 possibili quadri clinici: 1. ST normale. La mancanza di eventi ST anomali è indice di una situazione fetale di benessere. Tuttavia tale quadro è ottenibile anche negli stati preagonici, per mancanza di meccanismi di compenso fetale, ma sempre in associazione con un tracciato CTG francamente patologico.
CONCLUSIONI Solo nel 5% dei casi di danno cerebrale accertato si riconoscono dei fattori intrapartum. Sebbene non ci sia consenso unanime sulla definizione di encefalopatia neonatale, in genere si accetta che si tratta di una sindrome caratterizzata dalla presenza di disfunzione neurologica significativa durante la prima settimana di vita. L’encefalopatia neonatale colpisce circa 3,8/1.000 nati vivi a termine e si associa ad un’importante morbilità e mortalità neonatale nonché ad una morbilità neurologica a lungo termine. In relazione alla noxa patogena della disfunzione neurologica, l’encefalopatia neonatale associata all’asfissia perinatale viene definita encefalopatia ipossico-ischemica o post-asfittica. Criteri necessari per definire un evento ipossico acuto intra-partum come sufficiente per causare una paralisi cerebrale sono: 1 Criteri necessari (devono essere presenti tutti i quattro) 1.1 Evidenza di acidosi metabolica su sangue arterioso del cordone ombelicale ottenuto al momento del parto (pH<7 e deficit di basi ≥12 mmol/l).
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1.2 Insorgenza precoce di una encefalopatia neonatale severa o moderata nel neonato nato a 34 settimane o più di gestazione. 1.3 Paralisi cerebrale di tipo quadriplegia spastica o discinetica. 1.4 Esclusione di altre eziologie riconoscibili, come traumi, disordini coagulativi, condizioni infettive, o disordini genetici. 2 Criteri che insieme suggeriscono un timing intrapartum (entro o in prossimità del travaglio o del parto, ad es. 0-48 ore) ma che non sono specifici di un insulto asfittico:
2.1 Un evento sentinella ipossico accaduto immediatamente prima o durante il travaglio. 2.2 Un’improvvisa e sostenuta bradicardia fetale o l’assenza di variabilità della frequenza cardiaca fetale in presenza di decelerazioni persistenti, tardive o variabili usualmente dopo un evento ipossico sentinella entro un pattern precedentemente normale. 2.3 Punteggio Apgar 0-3 prima del 5° minuto. 2.4 Insorgenza di un coinvolgimento sistemico entro 72 ore dalla nascita. 2.5 Studio imaging precoce che evidenzia anomalia acuta non focale cerebrale.
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CAPITOLO 25
Patologia degli annessi fetali A.L. Borrelli • A. Cardone • P. De Franciscis
PATOLOGIA DEL LIQUIDO AMNIOTICO Generalità Il liquido amniotico (LA) costituisce l’ambiente nel quale il prodotto del concepimento cresce, si sviluppa e matura. Esso si modifica continuamente nelle diverse epoche della gravidanza in rapporto sia alle condizioni del feto che partecipa alla sua produzione ed al suo utilizzo, sia alla funzione di cellule, tessuti ed organi gravidici. Il liquido amniotico riflette pertanto non solo il bilancio idrico e lo stato di salute fetale, ma anche l’attività funzionale dell’unità feto-materna, rappresentando un complesso ecosistema in continua evoluzione che assolve ad importanti funzioni e consente la realizzazione di procedure diagnostico-terapeutiche, anche invasive (amniocentesi, ecc.), molto importanti sia per la diagnosi prenatale di numerose condizioni patologiche, sia per il monitoraggio e la cura del benessere fetale [1].
Cenni sulla fisiologia del liquido amniotico Al fisiologico turnover del liquido amniotico concorrono in maniera differente, in rapporto alle diverse epoche di sviluppo, non solo il feto attraverso la cute, il sistema urinario, l’apparato respiratorio, l’apparato digerente ed il cordone ombelicale, ma anche altre strutture come la decidua e le membrane amnio-coriali. Nelle primissime fasi dello sviluppo, il liquido amniotico deriva direttamente dalla secrezione delle cellule di rivestimento della cavità amniotica primitiva, successivamente per tutto il primo trimestre di gravidanza il LA proviene dal plasma materno e fetale per trasudazione dai capillari sanguigni negli spazi interstiziali delle membrane, da cui si riversa nella cavità amniotica [2, 3]. Nel secondo trimestre e fino alla ventesima setti-
mana, la cute fetale è permeabile all’acqua, agli elettroliti, all’urea ed alla creatinina per cui la composizione del liquido amniotico è sovrapponibile a quella del sangue materno e fetale dei quali presenta uguale osmolarità; il suo volume è proporzionale al peso fetale: aumenta da 20 ml alla 7a settimana, a 100 ml alla 14a, a 500 ml alla 20a di gestazione. A quest’epoca inizia il processo di cheratinizzazione della cute fetale che si completa alla 28a settimana, epoca in cui comincia a venir meno la correlazione tra peso fetale e volume del liquido amniotico [3, 4]. Dopo la ventesima settimana, la maturazione dell’emuntorio renale fa sì che la produzione di urina aumenti progressivamente da circa 1,5 ml/h alla ventesima settimana a circa 27 ml/h a termine, così che la composizione del liquido amniotico diventi via via sovrapponibile a quella dell’urina fetale, sia nella osmolarità che nei componenti (elettroliti, aminoacidi, urea, creatinina, acido urico, alfa feto-proteina, ormoni, lisozima). È stato calcolato che il ricambio completo di liquido amniotico avviene generalmente in 24 ore. L’apparato digerente è responsabile, a termine di gravidanza, della rimozione fino a 800-1.000 ml/die di liquido amniotico in maniera proporzionale e correlata direttamente a quella introdotta con le urine [5]. Per questo motivo un aumento (polidramnios) o una riduzione cospicua (oligodramnios) della quantità di liquido amniotico deve far sospettare, tra l’altro, un’alterazione delle strutture o delle funzioni digestiva e renale. Nella seconda metà della gravidanza contribuiscono alla produzione di LA anche l’apparato respiratorio ed il cordone ombelicale. Il polmone fetale partecipa alla composizione del liquido amniotico comportandosi come una ghiandola esocrina, in quanto l’epitelio degli alveoli polmonari secerne glicogeno e fosfolipidi tensioattivi (surfactante) fra i quali diviene predominante la lecitina man mano che, col progredire della gravidanza, matura la funzione polmonare [6].
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Il surfactante prodotto a livello alveolare viene riversato, attraverso l’orofaringe, nel liquido amniotico ed è utilizzato a scopo diagnostico per verificare il grado di maturazione polmonare mediante il dosaggio della lecitina e la determinazione del rapporto lecitine/sfingomieline [7] che nel feto maturo risulta essere ≥2. Anche l’amnios gioca un ruolo importante nella “regolazione” del liquido amniotico: gli amniociti partecipano in maniera rilevante alla produzione di surfactante soprattutto in risposta ai glucocorticoidi ed attivano sia la cascata metabolica dell’acido arachidonico che porta alla sintesi di prostaglandine sia la NO-sintetasi, enzima essenziale nella catena di reazioni che dall’L-arginina conduce all’ossido nitrico: dette sostanze (prostaglandine ed ossido nitrico) in maniera diversa sono coinvolte nella regolazione dell’attività miometriale e nell’innesco del travaglio di parto. Dall’amnios vengono infine liberate citochine e fattori di crescita il cui ruolo non è ancora del tutto chiarito [2, 4-6]. Il cordone ombelicale è coinvolto nei processi di regolazione del turnover del LA in rapporto alle modifiche della sua struttura (incremento delle microvillosità e degli spazi intercellulari, assottigliamento della membrana basale) che rendono possibile lo scambio di liquido amniotico con il sangue materno e fetale [4].
Funzioni del liquido amniotico Le funzioni tradizionalmente attribuite al liquido amniotico sono molteplici: 1. favorire lo sviluppo neuro-muscolare fetale in quanto, impedendo l’insorgenza di aderenze (briglie amniotiche) tra le membrane, consente al feto la libertà di movimenti necessaria al suo normale sviluppo neuro-motorio; 2. protezione meccanica, in quanto, distribuendo uniformemente le variazioni pressorie, dall’ambiente esterno, protegge il feto dai traumi e dall’azione compressiva delle contrazioni; 3. termica, in quanto, garantendo un ambiente a temperatura costante, protegge il feto da pericolosi sbalzi termici; 4. anti-infettiva, in quanto, possedendo proprietà antibatteriche (lisozima, beta-lisina, perossidasi, ecc.) ed immunologiche peculiari, protegge il feto da eventi infettivi. D’altronde il dosaggio dei livelli di IL-6 e di citochine nel LA può essere utilizzato per allertare l’ostetrico nei confronti di possibili complicanze materno-fetali di natura infettiva. L’analisi delle sostanze che compongono il liquido amniotico ha permesso di aggiungere a quelle tradizionali altre sofisticate funzioni non ancora ben definite di “regolazione e nutrizione” delle complesse attività dell’unità feto-materna.
Composizione del liquido amniotico Il liquido amniotico, trasparente ed incolore o lievemente paglierino, in condizioni fisiologiche è composto per il 98% da acqua e per il resto da sostanze varie in esso disciolte; ha un peso specifico di circa 1,008. Il suo pH, generalmente inferiore a quello materno e fetale, è variabile da 7,10 a 7,20, ciò è dovuto sia alla tensione parziale di CO2 (55 mmHg) che è pari a quella sierica fetale e superiore a quella materna, sia alla tensione parziale di O2 (10 mmHg) che è molto più bassa sia di quella materna che di quella fetale. Col progredire della gravidanza si verifica un aumento progressivo dei valori di creatinina e di acido urico in rapporto alla maturazione renale, ed una riduzione del glucosio, dell’acido piruvico e citrico per una maggiore utilizzazione di queste sostanze da parte del feto [8]. Pressoché tutti gli aminoacidi sono rappresentati nel liquido amniotico, in concentrazioni superiori a quelle presenti nel siero materno all’inizio della gravidanza, mentre il rapporto s’inverte al termine. La bilirubina, presente solo nella forma libera, non essendo possibile la glicuro-coniugazione per l’immaturità enzimatica del fegato fetale, è difficile da dosare con i metodi classici per le basse concentrazioni esistenti nel liquido amniotico, per cui nei casi di malattia emolitica del feto si ricorre alla spettrofotometria. Il contenuto in proteine tende a diminuire dopo la 24a settimana, con prevalenza delle albumine. Notevole importanza diagnostica ha la concentrazione di alfa-fetoproteina in quanto aumenta nelle malformazioni aperte del tubo neurale e diminuisce nei casi di trisomia 21 [8]. I lipidi in genere aumentano nel liquido amniotico in modo progressivo con l’avanzare della gravidanza, soprattutto grazie all’aumento delle lecitine che rappresentano il principale costituente del surfactante polmonare, mentre la quota di sfingomieline tende a regredire con inversione del rapporto L/S che dopo la 35a settimana deve risultare ≥2: tale dato è pertanto utilizzato come indice predittivo di maturità polmonare [7, 9]. Nel liquido amniotico sono presenti numerosi enzimi sintetizzati dalla decidua e dalle membrane e praticamente tutti gli ormoni del sistema endocrino dell’adulto e dell’unità feto-placentare. Il liquido amniotico è dotato, nei confronti di diverse specie di microrganismi, di proprietà batteriostatiche evidenziate a partire dalla 20a settimana e battericide evidenziate a partire dalla 31a settimana. Componenti importanti da questo punto di vista sarebbero un polipeptide “complessato” con lo zinco, beta-lisina, lisozima, perossidasi, spermina. Nonostante tali proprietà, il liquido amniotico può essere contaminato da diverse specie batteriche che possono restare allo stato saprofitico, oppure dar luogo a manifestazioni cliniche di natura infettiva. La centrifugazione del liquido amniotico produce
Capitolo 25 • Patologia degli annessi fetali • A.L.Borrelli,A.Cardone,P.De Franciscis
un sedimento ricco di cellule provenienti dall’amnios, dalla cute e dalle mucose fetali. Il numero massimo di cellule amniotiche vitali si ottiene tra la 16a e la 18a settimana: in questo periodo il prelievo di LA mediante amniocentesi consente non solo la diagnosi di numerose malattie infettive, ma permette di ottenere colture di amniociti utili per la determinazione del cariotipo fetale e per la diagnosi di numerose malattie geniche a trasmissione mendeliana (vedi Capitolo 4). La stima del volume di LA si esegue con la misurazione ecografica della maggiore profondità verticale o tasca massima del pool amniotico o con l’Amniotic Fluid Index (AFI) che si ottiene sommando le tasche di liquido amniotico di maggiore profondità in ciascuno dei quattro quadranti1. L’AFI viene preferito perché più obbiettivo in quanto non è influenzato dalla situazione e dalle posizioni fetali e perché la curva di regressione tra AFI ed età gestazionale è sovrapponibile a quella tra volume del liquido amniotico ed età gestazionale (Fig. 25.1) [10, 11]. A partire dalla 33a settimana l’AFI è ritenuto normale se la somma delle quattro tasche risulta compresa tra 8 e 15 cm [12]. 25 95° percentile 20
AFI 10 5
10° percentile 5° percentile
0 16
20
12-15 cm), severo (tasca massima >15 cm). Esso complica il 3,5% delle gravidanze.
Eziopatogenesi Vanno considerate cause fetali e materne [13, 14]. Le cause fetali sono riconducibili a: – ostruzioni del tratto gastrointestinale di natura malformativa (atresia esofagea, intestinale) o conseguenti a compressione da parte di masse estrinseche (compressione esofagea da masse toraciche e/o mediastiniche); – compromissione neurologica della deglutizione da anomalie cromosomiche (trisomie) o da lesioni del sistema nervoso centrale (anencefalia, distrofie muscolari, ecc.); – poliuria fetale da anomalie circolatorie conseguenti a TTTS (Twin Twin Transfusion Syndrome), da diabete, da sindrome di Carter; – insufficienza cardiaca (grave anemia fetale, teratoma sacrococcigeo, malformazioni cardiache, ecc.); – infezioni congenite (sifilide, epatiti virali, toxoplasmosi); – spina bifida, ernia ombelicale, estrofia vescicale: malformazioni nelle quali ampie superfici cavitarie esposte (canale neurale, peritoneo, vescica) trasudano liquido in grandi quantità.
90° percentile
Mediana
15
461
24
28
32
36
40
Settimane di gestazione
Fig. 25.1. Range di normalità dell’AFI in rapporto all’epoca gestazionale. Da [12]
Polidramnios Definizione Il polidramnios consiste in un aumento notevole di liquido amniotico, definito da un AFI>95° percentile per l’epoca gestazionale o dalla misurazione ecografica della tasca massima di liquido amniotico ≥8 cm. In rapporto a tale misurazione il polidramnios è definito lieve (tasca massima 8-12 cm), moderato (tasca massima
Le cause materne sono riconducibili a gravidanza gemellare [15], gestosi, diabete mellito. Per quanto riguarda l’insorgenza, la forma più comune è quella cronica a lenta evoluzione che s’instaura dopo la 30a settimana; esiste però una forma di polidramnios acuto ad insorgenza improvvisa ed evoluzione rapidamente ingravescente, quasi sempre associata ad una sindrome da trasfusione feto-fetale.
Sintomatologia Il polidramnios determina distensione uterina e quindi senso di tensione addominale, dispnea, vomito, nausea, difficoltà al decubito supino. È associato ad iperreattività miometriale, rischio di gestosi, distacco di placenta, emorragia post-partum, tanto maggiori quanto più elevata è la pressione intra-amniotica. Fattori favorenti l’insorgenza del poliamnios sono il diabete mellito ed insipido e l’alloimmunizzazione eritrocitaria.
Diagnosi La diagnosi è semplice per l’evidenza obbiettiva del-
1Con la gestante in decubito supino, l’utero viene diviso in 4 quadranti tracciando idealmente una linea verticale lungo la linea alba ed una orizzontale, perpendicolare alla prima, a mezza strada tra la sinfisi pubica e il fondo dell’utero. In ogni quadrante va individuata la maggior tasca di liquido amniotico che non contenga il cordone e se ne misura poi la profondità in centimetri.
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l’eccessivo e rapido sviluppo dell’addome. L’esame ostetrico conferma una distanza sinfisi-fondo uterino maggiore del normale rispetto all’epoca gestazionale, con ipermotilità ed iperballottabilità del feto. L’esame ecografico è fondamentale per: – quantificare il volume del liquido amniotico; – evidenziare l’eventuale presenza di gravidanza multipla e/o di macrosomia fetale; – rilevare l’esistenza di eventuali malformazioni fetali congenite; – controllare la dinamica vescicale fetale ovvero le variazioni ultrasonografiche delle dimensioni della vescica per intervalli superiori a 20 minuti, allo scopo di svelare un’eventuale poliuria fetale. In presenza di poliamnios andrebbero sempre eseguiti test di tolleranza al glucosio e sierologici per escludere diabete materno, alloimmunizzazioni, infezioni, ecc. In caso di idrope fetale non immunologica e non associata a malformazioni strutturali deve essere prelevato un campione di sangue fetale mediante cordocentesi per la determinazione del cariotipo e per evidenziare eventuali infezioni virali (parvovirus B19, ecc.).
Prognosi I rischi materni sono legati alla maggiore incidenza di emorragie post-partum, di distacco di placenta con conseguente incremento della morbilità e mortalità. La mortalità perinatale si aggira intorno al 10-30% ed è dovuta all’elevata frequenza di malformazioni congenite, di parto prematuro, di complicanze ostetriche (distocie meccaniche, prolasso e procidenza di funicolo), di anomalie della perfusione utero-placentare alterata dal polidramnios e dall’elevata pressione intramniotica.
Terapia In caso di polidramnios lieve la condotta è di attesa: non esistono, infatti, in letteratura evidenze circa l’utilità di restrizioni dietetiche (sale o liquidi) o circa l’efficacia di trattamenti con diuretici che, al contrario, possono ridurre la perfusione utero-placentare e che, pervenendo attraverso la placenta nel compartimento fetale, possono aumentare la quantità di urina fetale. In presenza di polidramnios moderato-severo, quando coesistano sintomi materni, il trattamento dovrebbe mirare a rimuovere la causa determinante l’insorgenza dell’affezione, ma nella pratica clinica ciò è possibile in pochi casi (correzione di un’anemia fetale mediante trasfusioni, drenaggio di versamenti pleurici per rimuovere l’ostacolo all’attività cardiaca). Nelle forme secondarie a poliuria fetale diagnosticate attraverso lo studio della dinamica vescicale, possono essere impiegati gli inibitori della sintesi delle prostaglandine al fine di ridurre l’escrezione urinaria. Va at-
tuato, in questi casi, un monitoraggio assiduo delle variazioni volumetriche del liquido amniotico per assicurarsi che non si ecceda con la terapia farmacologia così da determinare l’insorgenza di un oligodramnios; vanno, inoltre, tenuti nel giusto conto i rischi di chiusura prematura del dotto arterioso di Botallo, di vasocostrizione cerebrale, di ipofunzione renale. Tali effetti collaterali, infatti, sono associati significativamente all’uso dell’indometacina (50-200 mg/die). Spesso, non essendo possibile una terapia causale, si ricorre all’amnioriduzione periodica mediante amniocentesi evacuativa. Questa tecnica sembra efficace nel prolungare la gravidanza, nel ridurre la morbilità perinatale e nel favorire un ripristino graduale del liquido amniotico. Tuttavia va considerato che la metodica non è esente da rischi (rottura prematura delle membrane, corionamniotite, distacco di placenta) soprattutto nei casi di poliamnios da trasfusione feto-fetale.
Oligoidramnios Definizione L’oligoidramnios consiste in una riduzione della quantità del liquido amniotico definita dalla misurazione ecografica della tasca massima <2 cm, o ad un’AFI <5° percentile per l’età gestazionale. Esso complica il 4% circa delle gravidanze.
Eziopatogenesi Le cause più frequenti di oligodramnios sono costituite da: ritardo di crescita, rottura intempestiva delle membrane, malformazioni renali fetali, gravidanza protratta. – Nel ritardo di crescita intrauterino la patogenesi dell’oligoidramnios è da riportare all’oliguria fetale, che è a sua volta correlata all’ipossia cronica cui consegue, per la centralizzazione del circolo, vasocostrizione periferica e quindi l’aumento degli indici flussimetrici di resistenza nelle arterie renali del feto. – La rottura intempestiva delle membrane complica dal 3% al 17% delle gravidanze. – Malformazioni renali di vario tipo (agenesia renale, displasia renale, reni multicistici, ostruzione ureterale) incidono per il 26-35% circa dei casi di oligoidramnios. In presenza di ostruzione uretrale, l’oligodramnios è secondario non alla ridotta produzione urinaria, ma alla ridotta escrezione urinaria fetale. È possibile, in questi casi, ripristinare un volume normale di liquido amniotico posizionando uno shunt vescico-amniotico. – Nella gravidanza protratta il liquido amniotico tende progressivamente a diminuire sia per una riduzione del volume urinario fetale, ma anche per un’insufficienza placentare legata alla senescenza del-
Capitolo 25 • Patologia degli annessi fetali • A.L.Borrelli,A.Cardone,P.De Franciscis
l’organo. La misurazione ecografica del volume del liquido amniotico a termine di gravidanza e soprattutto nelle gravidanze protratte costituisce uno strumento non invasivo di controllo del benessere fetale ed, essendo parte integrante del profilo biofisico, assume un grande valore prognostico.
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rativi e di infezioni associate ad una eventuale PROM, ma anche ad incremento della mortalità perinatale a causa soprattutto delle malformazioni, della prematurità e delle sequele di una PROM. Gli esiti fetali più gravi sono: le deformità scheletriche e l’ipoplasia polmonare che risulteranno tanto più gravi quanto più precoce sarà stata l’insorgenza dell’oligodramnios [18].
Sintomatologia Se l’oligoidramnios è severo, i movimenti fetali possono causare dolore alla madre. L’esame ostetrico conferma un distanza sinfisi-fondo uterino minore del normale rispetto all’epoca gestazionale con ipomotilità del feto.
Diagnosi Nell’anamnesi materna va indagato circa pregresse infezioni congenite, fatti ipertensivi o rottura prematura delle membrane (PROM). Nelle fasi iniziali della gravidanza la rottura del sacco può essere difficile da dimostrare essendo la produzione di liquido amniotico ancora troppo scarsa per poterne evidenziare la perdita dall’orifizio uterino esterno mediante l’esame speculare. L’ecografia è un ausilio diagnostico indispensabile perché permette di documentare la riduzione del liquido amniotico con tasca massima <2 cm, o un’AFI <5° percentile per l’età gestazionale; permette, inoltre, di valutare il grado dell’oligoidramnios, la presenza eventuale di ritardo di crescita e/o la presenza di malformazioni dell’apparato genito-urinario fetale [16]. In caso di anidramnios può essere difficoltoso eseguire un’ecografia trans-addominale proprio per la scarsa quantità di liquido amniotico; in questi casi, se neppure l’ecografia con sonda transvaginale riesce a chiarire la diagnosi, è utile eseguire un’infusione intramniotica (amnioinfusione) di soluzione fisiologica o glucosata al 5% con l’aggiunta di indacocarminio [17]. In tal modo, ripristinando una sufficiente quantità di liquido amniotico, si ricostituisce una finestra acustica necessaria per delineare meglio il corpo fetale evidenziando eventuali malformazioni (agenesia renale, ecc.) e dimostrare una PROM misconosciuta attraverso la fuoriuscita del colorante dai genitali esterni. Quando possibile, prelievi di liquido amniotico sono utili per la determinazione del cariotipo e per la diagnosi di eventuali infezioni virali.
Prognosi L’oligoidramnios si associa non solo ad aumentata morbilità materna per la maggiore incidenza di parti ope-
Terapia Nel trattamento dell’oligoidroamnios e della sua più grave complicanza (l’ipoplasia polmonare) è fondamentale il ripristino di un sufficiente volume di liquido amniotico che può essere ottenuto, a seconda dei casi, con diverse tecniche: shunt vescico-amniotico nelle uropatie ostruttive, infusione di soluzione fisiologica tramite catetere cervicale, ostruzione del canale cervicale con gel di fibrina, idratazione materna, ripetute amnioinfusioni terapeutiche trans-addominali in presenza di TTTS [18]. Tuttavia restano da definire non solo i reali benefici di tali terapie, ma anche da standardizzare le modalità, i tempi e gli intervalli di esecuzione, nonché i criteri per l’identificazione di feti a rischio di ipoplasia polmonare che teoricamente potrebbero giovarsi di simili trattamenti.
Rottura intempestiva delle membrane Si definisce tempestiva la rottura delle membrane che si verifica nel corso del travaglio di parto a dilatazione completa della bocca uterina. Quando si realizza al di fuori di queste condizioni si parla di rottura intempestiva che può essere precoce e prematura. Precoce è quella che si realizza durante il travaglio a dilatazione incompleta; per rottura prematura (PROM, Premature Rupture of Membranes) si intende invece quella che si verifica prima dell’inizio del travaglio; periodo di latenza è il tempo intercorrente tra la PROM e l’inizio del travaglio spontaneo. La PROM complica il 5-10% di tutte le gravidanze; nel 20-40% circa dei casi di PROM la rottura intempestiva delle membrane si verifica prima della 37a settimana (pPROM)2. Per quanto attiene ai rischi feto-neonatali, è molto importante distinguere la rottura intempestiva che si verifica dopo la 37a settimana (PROM) da quella che si verifica prima della 37a settimana (pPROM); infatti nel caso di PROM, le probabilità di sopravvivenza dei neonati sono paragonabili a quelle dei nati con rottura intempestiva a termine di gravidanza; nel caso di pPROM le probabilità di sopravvivenza risultano, in-
2Con il termine di pPROM (preterm Premature Rupture of Membranes) si intende la rottura intempestiva pretermine (prima della 37a settimana) sia essa prematura che precoce,sia cioè che si verifichi prima dell’inizio del travaglio (rottura prematura) che nel corso dello stesso (rottura precoce).
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vece, tanto più ridotte quanto più precocemente si realizza la rottura delle membrane, divenendo quasi nulle quando l’evento si verifichi prima della 24a settimana di gestazione [19].
Eziopatogenesi Raramente è riconducibile a fattori eziologici certi come un trauma (amniocentesi, trauma addominale, ecc.) o una sovradistensione uterina (polidramnios, gravidanza gemellare). Più spesso si realizza in seguito a infezioni (Trichomonas vaginalis, streptococco di gruppo B, vaginosi batteriche, ecc.) del tratto genitale inferiore cui conseguono infezioni deciduali e corionamniotiti con produzione locale di endotossine e di proteasi capaci di indebolire le membrane e stimolare la sintesi di citochine e di prostaglandine responsabili dell’insorgenza di contrazioni uterine [20]. Fattori di rischio specialmente per la pPROM sono: il tabagismo, le carenze nutrizionali e quelle vitaminiche (soprattutto di vitamina C).
– il test dell’alfa-fetoproteina ricerca la presenza di tale proteina di origine fetale nelle secrezioni cervico-vaginali, dove normalmente è indosabile; poiché dopo la 37a settimana le sue concentrazioni nel liquido amniotico tendono a diminuire, ha senso effettuarlo solo nella pPROM; – test della ILGFBP-1 (Insuline-Like Growth-Factor Binding Protein): rileva la presenza dell’ILGFBP-1 nelle secrezioni vaginali. A partire dal secondo trimestre i tassi di tale proteina nel liquido amniotico sono nettamente superiori a quelle presenti nel sangue e nell’urina materna. In letteratura è riportata un’efficacia diagnostica del tutto sovrapponibile del nitrazine test nei confronti dei test della ILGFBP-1 e dell’α-fetoproteina. Il test ILGFBP-1 ha il vantaggio di non subire interferenze da parte di sangue ed urine materne, sperma ed infezioni vulvo-vaginali [21, 22].
Complicazioni Diagnosi Nella maggior parte dei casi la diagnosi si pone sulla base di un’anamnesi positiva per la perdita di liquido amniotico confermata dalla visualizzazione, mediante speculum sterile, di liquido amniotico nel fornice vaginale posteriore. Se la soluzione di continuo delle membrane è lontana dal polo inferiore del sacco amniotico (rottura alta) la perdita è minima. Va infine menzionata la possibilità di raccolte liquide tra decidua capsulare e parietale e tra corion e amnios: nel primo caso (idrorrea deciduale) le perdite esterne sono scarse e spesso si manifestano sotto forma di stillicidio protratto, nel secondo caso la perdita è di entità molto modesta e dopo poco si arresta. Nei casi di rottura dal polo inferiore del sacco ovulare, soprattutto prima del termine, per il rischio di introdurre germi nel canale cervicale, l’esplorazione vaginale dovrebbe essere evitata a meno che la paziente non sia in travaglio deciso o non si preveda l’espletamento del parto a breve termine. L’esame ultrasonografico può essere utile per documentare l’oligoamnios che, in assenza di gravi malformazioni dell’apparato genitourinario del feto o di grave ritardo di crescita intrauterino (IUGR), è altamente suggestivo di PROM [21]. Nel caso in cui sia difficile porre la diagnosi di PROM con la sola osservazione clinica è indicata l’esecuzione di test diagnostici: – il nitrazina test valuta, mediante strisce reattive, il pH delle secrezioni vaginali che in presenza di liquido amniotico si eleva portandosi da valori di pH compresi tra 4,5-5,5 a valori di 6,5 o più; – il fern-test valuta la capacità di cristallizzazione del liquido amniotico;
Numerose complicanze conseguono alla rottura prematura delle membrane. Esse sono tanto più gravi quanto più bassa è l’epoca gestazionale in cui la rottura si verifica. Le complicanze materne sono legate al rischio infettivo (corionamniotite, endometrite) o al rischio di distacco di placenta, la cui incidenza diminuisce col progredire dell’epoca gestazionale. Le complicanze feto-neonatali sono correlate alla prematurità, al rischio infettivo, al rischio di prolasso di funicolo e ai rischi connessi all’oligo-anidranmios. La prematurità si associa frequentemente alla sindrome da distress respiratorio (RDS), ma anche ad emorragia intraventricolare (IVH), broncodisplasia (BPD), enterocolite necrotizzante (NEC) e retinopatia del prematuro (ROP). La sopravvivenza è correlata all’epoca gestazionale in cui avviene la pPROM: è inferiore al 20% prima della 20a settimana, è del 30% circa prima della 24a settimana, del 60% dopo la 24a settimana e >90% dopo la 30a settimana [23]. Per quanto riguarda gli esiti neurologici a distanza si è evidenziato, soprattutto se si associano infezioni endoamniotiche, un rischio relativo di handicap moderato-grave quattro volte maggiore nei nati dopo pPROM prolungata (>48 ore) rispetto a nati prematuri di pari epoca gestazionale con membrane integre [23]. Per quanto attiene al rischio infettivo, l’incidenza di sepsi feto-neonatale varia dal 2 al 19% ed è più che raddoppiata rispetto ai casi di parto pretermine senza pPROM. Il rischio di infezione intra-amniotica aumenta col numero di esami vaginali e nelle pazienti che vengono controllate con l’esame digitale rispetto a quelle in cui si usa solo lo speculum sterile. Poiché l’infezione ascendente si associa frequentemente alla pPROM è conve-
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niente ricercare la presenza di germi a livello cervico-vaginale, mentre appare discutibile il ricorso al prelievo di liquido amniotico mediante amniocentesi [23]. Evidenze cliniche hanno dimostrato che l’inquinamento della cavità amniotica da parte di agenti morbigeni è certo sei ore dopo dall’avvenuta rottura delle membrane. Eventuali infezioni endoamniotiche vanno trattate con terapia antibiotica mirata sulla base di specifici esami colturali. Segni di infezione endoamniotica sono: l’elevazione termica materna con tachicardia, la dolorabilità dell’utero non riferibile ad attività contrattile e l’eventuale comparsa di liquido amniotico maleodorante; tuttavia tali fattori costituiscono un segno tardivo di infezione. La conta leucocitaria e il dosaggio della proteina C reattiva, pur essendo utili per seguire nel tempo la situazione clinica, sono esami aspecifici in assenza di evidenza clinica di infezione, specialmente se sono stati somministrati corticosteroidi nei giorni precedenti [23, 24]. Il prolasso funicolare si verifica in circa il 2% dei casi. L’elevata incidenza di morti endouterine nelle settimane gestazionali più precoci è 5-6 volte maggiore rispetto a quella riscontrata in epoche di gravidanza più avanzate (1,5%): ciò è probabilmente da attribuirsi anche alla minore tolleranza dei feti pretermine alla compressione del funicolo conseguente all’oligoanidramnios. Infatti, nei casi di pPROM più tardivi (30-36 settimane), l’incidenza di morte in utero è molto più bassa (0-2%), probabilmente questi feti più maturi tollerano meglio i rischi legati alla compressione del funicolo e all’oligoamnios. Per quanto concerne i rischi connessi all’oligoanidramnios, oltre alla già citata compressione del funicolo, vanno ricordate l’ipoplasia polmonare (18%) e le deformità scheletriche (27%), tipiche della pPROM molto precoce (<24 settimane) e correlate a tempi di latenza particolarmente lunghi in presenza di una tasca massima di LA<2 cm.
Management La condotta clinica dipende essenzialmente dall’epoca gestazionale in cui si realizza la pPROM e quindi dalla maturità fetale. Essa prevede due strategie opposte: un atteggiamento conservativo finalizzato a minimizzare i rischi della prematurità ed uno attivo finalizzato all’induzione del travaglio per prevenire le complicanze infettive materno-fetali [25]. Nella pPROM <24 settimane la condotta clinica, per ridurre i rischi connessi alla prematurità, mira a prolungare il più possibile la gravidanza, ad attenuare le conseguenze dell’oligoamnios e a proteggere la gestante ed il feto dalle infezioni. La sopravvivenza, tuttavia, è in genere bassa: è infatti intorno al 30% e, se la pPROM si verifica prima della 20a settimana, scende al 16% so-
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prattutto a causa dell’ipoplasia polmonare. La possibilità di sviluppo del polmone fetale è, infatti, legata alla presenza di una quantità sufficiente di liquido amniotico residuo con una tasca massima >2 cm [23]. Molta importanza sulla mortalità e sugli esiti a distanza ha anche la durata dell’oligoamnios: se la pPROM si realizza prima della 24a settimana e dura per più di 14 giorni, la mortalità è superiore al 90%; dei sopravvissuti, almeno il 30% presenta gravi esiti neurologici a distanza [23]. Il trattamento conservativo prevede accanto alla realizzazione di procedure atte a ridurre il rischio infettivo, un assiduo monitoraggio delle condizioni materne per evidenziare tempestivamente oltre che i segni clinici, quelli laboratoristici di infezione (conta leucocitaria e proteina C reattiva). In pratica sarà necessario effettuare una copertura antibiotica ad ampio spettro per via parenterale prolungata fino a 7 giorni, possibilmente sulla guida dell’esame colturale eseguito su tampone cervico-vaginale e/o su liquido amniotico, monitorizzando attentamente le condizioni fetali (Doppler-flussimetria del dotto venoso, biometria fetale, ecc.). Data l’importanza della quota di liquido amniotico residuo nel condizionare l’esito neonatale, appare utile effettuare amnioinfusioni transaddominali ripetute di soluzioni saline sterili (vedi Capitolo 14) [26]. In considerazione degli elevati tassi di mortalità e di morbilità neonatale a quest’epoca di gestazione, è fondamentale un colloquio informativo dettagliato, nel corso del quale la coppia deve essere chiaramente informata circa i rischi connessi alla prosecuzione della gravidanza e circa l’outcome neonatale sia in termini di morbilità che di mortalità. Dopo le 24 settimane in assenza di segni di compromissione fetale e/o di segni di infezione materna è consigliabile una condotta di attesa fino a 32-34 settimane. La condotta d’attesa prevede: l’ospedalizzazione e bed rest per favorire 1’eventuale riaccumulo del liquido amniotico; vanno poste in atto le procedure per la prevenzione del rischio infettivo (antibiotico-terapia) con monitoraggio dei segni indiretti di infezione materna (conta leucocitaria e proteina C reattiva) ed il controllo costante delle condizioni fetali. In particolare è previsto: l’esecuzione quotidiana di NST e/o profili biofisici fetali; la valutazione doppler-flussimetrica e biometrica fetale ogni 2 settimane; la copertura antibiotica ad ampio spettro previa esecuzione dell’antibiogramma su tampone cervico-vaginale o su liquido amniotico prelevato mediante amniocentesi; la terapia corticosteroidea per la profilassi del RDS [26]. Dopo le 34 settimane, risultando sempre elevati i rischi infettivi, perde significato una prolungata politica di attesa ed è indicata l’induzione rapida del travaglio di parto in ambiente ospedaliero dotato di terapia inten-
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siva neonatale: infatti un intervallo >32 ore fra la pPROM ed il parto si associa ad un aumentato rischio di sepsi neonatale e ad un generico incremento della morbilità materno-fetale, mentre 1’induzione non comporta differenze nell’outcome neonatale e non aumenta in modo significativo l’incidenza dei tagli cesarei [27].
Terapia Terapia antibiotica e profilassi. È stato dimostrato che la terapia antibiotica è in grado di prolungare significativamente il tempo di latenza e di ridurre l’incidenza di corionamniotiti, endometriti post-partum, sepsi neonatali ed emorragie intraventricolari [28]. La scelta dell’antibiotico deve essere possibilmente mirata in relazione ai risultati colturali e dell’antibiogramma. In attesa dell’esito delle colture è consigliabile la somministrazione di antibiotici a largo spettro (ampicillina, cefalosporine). Per quanto riguarda la via di somministrazione, è stato evidenziato che le terapie antibiotiche per via orale, pur prolungando il periodo di latenza, non migliorano l’esito perinatale; è pertanto preferibile la via sistemica (ev), almeno nei primi giorni di terapia. Poiché in gravidanza l’emodinamica si modifica profondamente ed aumenta la filtrazione renale, le dosi dei farmaci somministrati vanno aumentate in modo adeguato per poter raggiungere concentrazioni terapeutiche efficaci. Non esiste alcuna evidenza che una terapia prolungata a tempo indefinito sia più utile di una a breve termine; d’altra parte esiste il rischio connesso con gli effetti collaterali e la possibilità di creare resistenze. Pertanto è più prudente non effettuare trattamenti che superino la settimana [28, 29]. Terapia corticosteroidea. Dopo le 24 settimane i corticosteroidi accelerano la maturazione strutturale degli pneumociti e ne aumentano la produzione di surfactante. Pertanto la somministrazione dei corticosteroidi (betametasone 12 mg im da ripetere a distanza di 24 ore) riduce significativamente l’incidenza dell’RDS e l’effetto benefico persiste se la nascita avviene entro 710 giorni dalla somministrazione [30]. In caso di minaccia di parto pretermine, le linee guida per l’impiego dei corticosteroidi nella profilassi della sindrome da distress respiratorio del neonato, prevedono che la profilassi corticosteroidea deve essere effettuata a tutte le gravide con età gestazionale compresa tra la 28a e la 34a settimana di gestazione. Prima della 28a settimana non c’è evidenza che il trattamento risulti efficace. Per età gestazionali ≥34 settimane il trattamento non è indicato a meno che non sia dimostrata l’immaturità polmonare. Cicli ripetuti, successivi al primo, devono essere evitati in quanto il rischio di complicanze supera gli eventuali benefici. Terapia tocolitica. La tocolisi può avere potenziali
benefici feto-neonatali, ma può anche aumentare il rischio di complicanze di tipo infettivo. La tocolisi profilattica riduce significativamente i parti entro 24-48 ore, ma non migliora l’outcome neonatale. Il National Institutes of Health Consensus Development Panel prevede l’utilizzo della tocolisi profilattica per non più di 2448 ore, ma solo durante la somministrazione di corticosteroidi per la profilassi della sindrome da distress respiratorio (RDS) e non oltre 30-32 settimane [30].
PATOLOGIA DEL TROFOBLASTO Col termine di “patologia trofoblastica gestazionale” si intendono le anomalie proliferative del trofoblasto che, in base a criteri anatomo-patologici, sono classificate in: mola vescicolare, mola invasiva, coriocarcinoma e tumore del sito placentare. Nella pratica clinica, tuttavia, la diagnosi e il management di tali patologie non dipendono dal riscontro istologico (solo occasionalmente disponibile) e si basano sul follow-up biochimico (monitoraggio dell’hCG) e su fattori prognostici indipendenti dalle caratteristiche tessutali.
Mola vescicolare o idatiforme Epidemiologia Le principali evidenze epidemiologiche della mola vescicolare, che complica in media 1 ogni 1.500-2.000 gravidanze, riguardano la distribuzione geografica e la frequenza per classi di età: è stata infatti riportata un’aumentata incidenza nei paesi del sud-est asiatico (Giappone, India, Africa) ed agli estremi dell’età fertile (sotto i 20 e sopra i 40 anni), mentre resta controverso il ruolo giocato da fattori anamnestici (parità, aborti spontanei), comportamentali (fumo, estroprogestinici orali) e nutrizionali [31]. La mola idatiforme è una patologia caratterizzata dalla degenerazione policistica dell’asse vascolo-stromale del villo cui si associa una iperplasia di grado variabile del mantello epiteliale soprattutto delle cellule del sinciziotrofoblasto. Si distinguono, in relazione a caratteristiche citogenetiche, istologiche e morfologiche una mola completa ed una mola incompleta o parziale che attualmente sono da considerare due entità patologiche diverse anche in base alla sintomatologia e all’evoluzione clinica.
Eziopatogenesi L’origine della mola vescicolare viene fatta risalire ad un difetto nel processo della fecondazione. Studi di citogenetica [32] hanno dimostrato che il cariotipo del-
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la mola idatiforme completa è nel 90% dei casi diploide femminile (46,XX), con un corredo cromosomico di origine esclusivamente paterna che deriva dalla fertilizzazione di un ovocita (privo di nucleo o il cui nucleo sia inattivato per cause ancora ignote) da parte di un normale spermatozoo aploide che successivamente raddoppia il proprio corredo cromosomico; nel 10% dei casi il cariotipo è ugualmente diploide (46,XX; 46,XY) ma dovuto a due spermatozoi penetrati in un ovocita senza nucleo (fertilizzazione dispermica). La mola parziale ha invece nell’80% dei casi un cariotipo triploide (69,XXX; 69,XXY; 69,XYY) derivante da un corredo aploide materno e due paterni (fertilizzazione dispermica di un ovocita aploide) o dalla fertilizzazione di un ovocita aploide con uno spermatozoo diploide; nel 15-20% dei rimanenti casi il cariotipo della mola parziale è normale ed è da attribuire ad una degenerazione mesenchimale del tessuto trofoblastico (vedi Tabella 25.1).
Aspetti anatomo-patologici Mola completa. Macroscopicamente è costituita da una massa di villi ectasici fino ad assumere l’aspetto di vescichette o cisti traslucide , a contenuto liquido di colore giallastro o rossastro del diametro variabile da 1 a 30 mm. La massa molare, che di solito assume l’aspetto di un grappolo d’uva e nel cui interno non sono distinguibili strutture fetali, può divenire cospicua fino a raggiungere il peso di 2-3 kg. Dal punto di vista istologico sono caratteristiche l’iperplasia del trofoblasto con esaltazione dell’attività funzionale (secrezione di hCG) e della capacità infiltrativa nonché la degenerazione idropica dell’asse vascolo-stromale con scomparsa pressoché totale dei capillari fetali. Mola parziale. La degenerazione cistica ed il rigonfiamento idropico dei villi non interessa tutto il tessuto coriale, ma solo zone limitate; le vescicole sono tendenzialmente piccole per cui la placenta macroscopicamente può apparire normale. L’iperplasia del mantello epiteliale trofoblastico interessa solo una parte dei villi coriali al cui interno i vasi sanguigni sono spesso identificabili. È generalmente rilevabile il prodotto del concepimento e gli annessi fetali (membrana amniotica) (Tabella 25.1).
Sintomatologia e decorso clinico I progressi tecnologici della diagnostica ultrasonica e la possibilità di un accurato follow-up biochimico hanno determinato un notevole mutamento nella gestione clinica della gravidanza molare consentendo diagnosi e trattamenti precoci quando non sono ancora insorte le gravi complicanze proprie di questa patologia. L’evoluzione clinica è differente a seconda che si tratti di mola completa o di mola parziale.
Tabella 25.1. Caratteristiche della mola completa e di quella parziale Caratteristica Cariotipo Anatomia patologica Feto,amnios,eritrociti fetali Degenerazione idropica dei villi Iperplasia del trofoblasto Atipie del trofoblasto Clinica Tipica presentazione clinica Età gestazionale Dimensione dell’utero Cisti teco-luteiniche Complicanze Malattia trofoblastica persistente Sequele maligne
Mola completa 46,XX;46,XY
Mola parziale Triploide
Assente Diffusa
Presente Variabile,focale
Diffusa Spesso presenti
Variabile,focale Assenti
Aborto spontaneo 16 settimane >amenorrea 25%-30% Frequenti 20%
Aborto spontaneo 20 settimane
6%-36%
<5%
La mola completa diviene, in genere, sintomatica fra la 6a e la 8a settimana e nella gran parte dei casi viene espulsa spontaneamente entro alla 16a-18a settimana. La perdita ematica, di entità variabile dallo spotting alla metrorragia profusa, rappresenta il sintomo più precoce e comune ed è la conseguenza dell’attività infiltrativa ed erosiva del trofoblasto sui vasi deciduali. La metrorragia, talora associata a dolenzia ipogastrica, si manifesta in maniera irregolare ed intermittente per settimane o mesi, con perdite talora scure, altre volte rosso vivo e frammiste a vescicole simili a chicchi d’uva, talvolta il sangue si raccoglie in cavità uterina senza pervenire all’esterno. Alla palpazione bimanuale l’utero appare di consistenza molle e soffice e di volume superiore all’epoca di amenorrea sia per la presenza della massa molare sia per raccolte ematiche endouterine. L’utero va incontro anche ad aumenti improvvisi del suo volume rispetto a controlli recenti con risalita repentina del suo fondo (segno dello “scatto”). Talora si apprezzano zone di consistenza aumentata della grandezza di una noce o di un uovo che simulano fibrosi, ma che in realtà sono dovute a spasmi circoscritti e transitori (segno di Poten). Frequentemente si accentuano i sintomi di una gestosi precoce quali la nausea e l’iperemesi. La gravidanze molari che evolvono oltre il primo trimestre possono complicarsi nel 15-20% dei casi per l’insorgenza di preeclampsia, soprattutto in presenza di mole di notevoli dimensioni e di valori molto elevati di beta-hCG. Cisti teco-luteiniche generalmente plurilobate e del-
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la grandezza fino a 10 cm sono presenti in circa il 50% delle gestanti affette da mola vescicolare completa, come conseguenza dell’iperstimolazione delle cellule luteiniche da parte dell’hCG secreto in abnorme quantità dal trofoblasto. Dette cisti tendono all’involuzione spontanea entro 2-4 mesi dallo svuotamento uterino, per cui non necessitano di trattamento, tranne nei casi di quadri di addome acuto secondario a torsione, emorragia o rottura della cisti. Nelle pazienti con mola idatiforme, i livelli plasmatici degli ormoni tiroidei sono frequentemente aumentati, ma le manifestazioni cliniche non sono altrettanto frequenti. Non è chiaro se l’iperproduzione di ormoni tiroidei sia conseguenza dell’effetto TRH-simile della gonadotropina corionica o dipenda da una tireotropina di origine coriale. La mola parziale si presenta con la sintomatologia dell’aborto incompleto o ritenuto, generalmente più tardivamente nel corso della gravidanza rispetto a quella completa. Nella gran parte dei casi la gestazione si interrompe entro la 20a settimana (Tabella 25.1). Nel caso di gravidanza gemellare con mola vescicolare parziale relativa ad un feto, mentre l’altro è normale, non esistono evidenze che la prosecuzione della gravidanza comporti un aumentato rischio di complicanze. Nel caso invece di una mola completa, è d’obbligo fornire alla coppia un adeguato counseling dal momento che il rischio di complicanze quali metrorragie e preeclampsia è aumentato e la possibilità del ricorso alla chemioterapia è di circa il 20%.
Diagnosi La diagnosi si avvale di tecniche diagnostiche biofisiche e biochimiche, non sempre dirimenti soprattutto nei casi di mola parziale [33]. Nella mola completa l’esame ecografico, praticato utilizzando sonde transvaginali, evidenzia l’aspetto caratteristico a “tempesta di neve”; la cavità uterina risulta occupata da tessuto disomogeneo, con vacuolizzazioni interne, senza sacco gestazionale né embrione [34]. Il dosaggio della sub-unità beta della gonadotropina corionica sintetizzata dal trofoblasto evidenzia valori elevati di beta-hCG (in genere >100.000 mUI/ml) ed in ogni caso superiori a quelli attesi per l’epoca di amenorrea, anche se questo non sempre è discriminante per l’ampio range di variabilità anche nella gravidanza normale. La diagnosi definitiva va, quindi, sempre posta mediante esame istologico sul materiale abortivo [35]. La mola parziale si presenta, come già detto, con i segni clinici dell’aborto incompleto o ritenuto. Specialmente se è presente un feto o se le modificazioni molari sono di lieve entità, i dati ecografici e biochimici singolarmente esaminati risultano, ai fini diagnostici, di modesta importanza. Per aumentare le possibilità
diagnostiche si è tentato di correlare ai dati biochimici (tassi di beta-hCG ) i rilievi ecografici: livelli di betahCG >80.000 mUI/ml in assenza di attività cardiaca fetale sono molto suggestivi di mola vescicolare, la cui diagnosi di certezza va in ogni caso posta mediante riscontro istologico del materiale abortivo [35].
Terapia Lo svuotamento della cavità uterina rappresenta la terapia di scelta per il trattamento della mola idatiforme. Prima dell’intervento risulta molto utile, oltre al dosaggio della beta-hCG e ad una radiografia standard del torace, una valutazione della crasi ematica e dei principali parametri ematochimici relativi alla funzione epato-renale e tiroidea [18]. Essendo molto elevato il rischio di complicanze (perforazioni uterine, emorragie copiose, ecc.) appare particolarmente opportuno avere a disposizione una sala operatoria attrezzata per una laparotomia d’urgenza e sangue omogruppo crociato. Lo svuotamento viene eseguito in anestesia generale mediante isterosuzione e cauto curettage delle pareti uterine.Va evitato l’impiego di prostaglandine per la preparazione cervicale e di uterotonici durante lo svuotamento così da impedire l’insorgenza di contrazioni uterine pericolose per il passaggio di tessuto trofoblastico negli spazi venosi del letto placentare con conseguente elevato rischio di embolizzazione polmonare. L’ossitocina va, quindi, somministrata solo dopo l’intervento per evitare sanguinamenti. L’isterectomia deve essere riservata ai casi di mola vescicolare non complicata in pazienti di età superiore a 40 anni senza desiderio di prole; tuttavia l’intervento non elimina il rischio di metastasi a distanza, per cui anche in queste pazienti deve essere eseguito il follow-up [36].
Follow-up I risultati del follow-up dopo lo svuotamento di una mola vescicolare completa consentono di affermare che più dell’80% delle pazienti guariscono definitivamente, mentre il 20% delle mole complete ed il 5-10% di quelle parziali non va incontro a remissione spontanea della malattia. Questa condizione si definisce Malattia Trofoblastica Persistente (MTP) e si presenta con i due quadri della mola invasiva o del corioncarcinoma, ma la gestione clinica prescinde dalla distinzione istologica. Per evitare il rischio di persistenza della malattia trofoblastica si era avanzata, in passato, l’ipotesi di sottoporre a chemioterapia profilattica con metotrexato (MTX) tutte le pazienti con diagnosi istologica di mola vescicolare. Questo trattamento che esponeva le pazienti ai rischi tossici della chemioterapia, non migliorando la prognosi a lungo termine, è stato abbandonato dalla maggior parte delle scuole oncologiche. Attualmente si preferisce praticare uno stretto mo-
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nitoraggio delle pazienti attraverso il dosaggio della beta-hCG sierica, il che permette di individuare precocemente i casi che possono avere una evoluzione maligna da indirizzare a chemioterapia. Le caratteristiche istologiche del trofoblasto molare hanno infatti un significato prognostico assolutamente modesto [37, 38]. Esistono diversi protocolli per il follow-up della beta-hCG dopo svuotamento della gravidanza molare, tutti basati sul controllo della curva di azzeramento della beta-hCG, caratterizzata dalla regressione in continuo fino alla negativizzazione dei valori entro 6090 giorni dall’intervento [39-41]. Uno degli schemi maggiormente utilizzati prevede un primo dosaggio della beta-hCG sierica alla 21a giornata dalla revisione della cavità uterina e quindi settimanalmente fino a tre azzeramenti consecutivi. Da qui il marker viene valutato mensilmente per 6 mesi nel caso di una mola parziale e per 12 mesi nel caso di una mola completa. Inoltre, nel caso di mola parziale con azzeramento lento di tale ormone (maggiore di 60 giorni) è opportuno proseguire il follow-up per ulteriori 6 mesi [41]. Nel caso in cui i tassi di beta-hCG non regrediscano, mostrino un rialzo o la beta-hCG sia ancora dosabile a 6 mesi dallo svuotamento, va posta la diagnosi di malattia trofoblastica persistente e la paziente avviata alla chemioterapia. Nella Tabella 25.2 sono riportati i criteri utilizzati dalla scuola inglese di Bagshave per la diagnosi di MTP dopo evacuazione di una mola idatiforme [42]. Tabella 25.2. Criteri per la diagnosi di MTP. Modificata da [42] 1. Valori di beta-hCG superiori a 20000 UI/l dopo 4 settimane dallo svuotamento della gravidanza molare 2. Presenza di perdite ematiche persistenti in associazione ad un plateau di beta-hCG 3. beta-hCG in aumento per tre dosaggi consecutivi 4. Dosabilità della beta-hCG dopo 4-6 mesi dallo svuotamento 5. Diagnosi istologica di corioncarcinoma 6. Presenza di metastasi
Neoplasie del trofoblasto gestazionale Tra queste maggiore rilevanza va attribuita alla mola invasiva e al coriocarcinoma.
Mola invasiva Rispetto alla mola idatiforme è localmente più aggressiva, ma non dà metastasi a distanza: va quindi considerata una forma intermedia tra la mola vescicolare benigna ed il corioncarcinoma. L’epitelio coriale, fortemente iper-
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plastico, infiltra in profondità e distrugge il miometrio (con necrosi delle cellule muscolari) fino a raggiungere talora il perimetrio onde la possibilità di emorragie endoperitoneali per l’erosione dei vasi miometriali. Infatti il riscontro caratteristico nei casi di isterectomia, è costituito dalla presenza di villi idropici molari nello spessore del tessuto miometriale fino a perforare, talora, la sierosa affiorando in cavità peritoneale. Meno frequentemente l’estensione del processo coinvolge i parametri e la vagina. L’erosione dei vasi miometriali, oltre alle suddette emorragie, può determinare un’embolizzazione di tessuto trofoblastico in sede polmonare o encefalica; detti emboli, tuttavia, vanno distinti dalle metastasi vere e proprie poiché talora tendono alla regressione spontanea. Questa condizione clinicamente si presenta spesso come una MTP dopo svuotamento di una mola vescicolare.
Corioncarcinoma È un tumore epiteliale altamente maligno nel quale non si rinvengono strutture villose, ma soltanto cellule trofoblastiche fortemente atipiche ed irregolari. Esso presenta un cariotipo anomalo aneuploide o poliploide, caratteristica comune a molti tessuti neoplastici. L’incidenza è di 1 caso ogni 50.000-60.000 gravidanze: in circa il 50% dei casi deriva da una mola vescicolare, nel 20-25% insorge dopo un aborto, nel 25% dopo una gravidanza a termine e nel 2% dopo una gravidanza ectopica. Il rischio di corioncarcinoma dopo una mola vescicolare è approssimativamente del 2-3%, cioè circa 1.000 volte maggiore rispetto ad una gravidanza normale. Macroscopicamente il tumore si presenta come una massa friabile nodulare o polipoide a larga base d’impianto aggettante nel lume uterino con aree necrotiche ed emorragiche, senza strutture villose. Microscopicamente è caratterizzato da proliferazione atipica delle cellule del sincizio e del citotrofoblasto, organizzate in cordoni solidi o plessiformi scarsamente differenziate con nuclei ipertrofici, che non riproducono i villi coriali. Reperti costanti sono l’invasione del miometrio che può estendersi fino alla sierosa e l’invasione vascolare con profonda alterazione della vascolarizzazione intrinseca. Le cellule neoplastiche infatti proliferano all’interno dei vasi miometriali ed embolizzano i seni venosi fino ad occluderne i lumi, per cui il tumore tende a metastatizzare rapidamente per via ematogena. In particolare vi è coinvolgimento del polmone (80%), della vagina (30%), del fegato (10%), del rene (10%), frequente è anche la disseminazione secondaria all’intestino ed al cervello; la diffusione per via linfatica è, invece, molto rara. Le localizzazioni metastatiche polmonari, addominali e cerebrali vanno diagnosticate, secondo le raccomandazione della FIGO, rispettivamente mediante radiografia toracica, TAC addomino-pelvica e RMN.
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Tumore del sito placentare
Tabella 25.3. Stadiazione della malattia trofoblastica persistente (Figo,2000)
Tra le neoplasie trofoblastiche è la forma più rara. Trae origine dalla sede d’impianto placentare ed insorge, nella maggioranza dei casi, dopo una gravidanza normale o un aborto; solo raramente consegue (5% dei casi) ad una gravidanza molare. Si tratta, generalmente, di una neoplasia non aggressiva; solo raramente, infatti, si rilevano infiltrazioni del miometrio e metastasi a distanza. Macroscopicamente accanto a forme nodulari, a volte aggettanti in cavità uterina, si repertano meno frequentemente masse che coinvolgono il miometrio fino ad interessare la sierosa. Dal punto di vista istologico caratteristica è la prevalenza delle cellule del trofoblasto intermedio rispetto al citotrofoblasto, il che comporta una più elevata secrezione di HPL rispetto alla hCG: i livelli sierici di hCG possono essere, quindi, normali e non utili per il monitoraggio della malattia.A differenza degli altri tumori del trofoblasto, il tumore del sito placentare è scarsamente chemio-responsivo per cui il trattamento di elezione nei casi non metastatici è l’isterectomia [43].
I Malattia confinata all’utero IA Malattia confinata all’utero senza fattori di rischio associati IB Malattia confinata all’utero con un fattore di rischio IC Malattia confinata all’utero con due fattori di rischio
Stadiazione, prognosi, chemioterapia Una volta posta diagnosi di malattia trofoblastica persistente (MTP) attraverso il monitoraggio dei tassi di beta-hCG, si impone la ricerca di eventuali sedi metastatiche al fine di stadiare la neoplasia (Tabella 25.3) [44]: si eseguono a questo scopo indagini ematochimiche (emocromo, funzionalità epato-renale, tiroidea) e strumentali (radiografia torace, TAC addomino-pelvica, RMN cranio). Lo schema chemioterapico specifico e personalizzato, tra i molteplici disponibili in mono- o in poli-terapia, viene scelto in base all’analisi ed alla valutazione del singolo caso. Per la modulazione dello schema di chemioterapia, viene seguito lo “score di Bagshawe modificato” basato sulle caratteristiche della paziente e del
II MTP che si estende al di fuori dell’utero ma che è limitata a strutture dell’apparato genitale (annessi, vagina, parametri) IIA MTP che interessa strutture dell’apparato genitale senza fattori di rischio associati IIB MTP che si estende al di fuori dell’utero ma che è limitata a strutture dell’apparato genitale e con un fattore di rischio IIC MTP che si estende al di fuori dell’utero ma che è limitata a strutture dell’apparato genitale e con due fattori di rischio III MTP che si estende ai polmoni con o senza interessamento delle vie genitali IIIA MTP che si estende ai polmoni con o senza interessamento delle vie genitali IIIB MTP che si estende ai polmoni con o senza interessamento delle vie genitali e con un fattore di rischio IIIC MTP che si estende ai polmoni con o senza interessamento delle vie genitali e con due fattori di rischio IV Presenza di siti metastatici diversi dal polmone IVA Presenza di siti metastatici diversi dal polmone senza fattori di rischio associati IVB Presenza di siti metastatici diversi dal polmone con un fattore di rischio IVC Presenza di siti metastatici diversi dal polmone con due fattori di rischio I fattori di rischio che influenzano la stadiazione sono rappresentati da: hCG>100.000 UI/l; durata della malattia>6 mesi dal termine della gravidanza molare
Tabella 25.4. WHO scoring system per l’assegnazione delle pazienti con diagnosi di MTP al trattamento chemioterapico Fattore prognostico Età Gravidanza precedente Mesi dall’ultima gravidanza hCG (IU/l) AB0 (femminaxmaschio)
Diametro massimo tumore (cm) Sito di metastasi Numero di metastasi Chemioterapia precendete
Score 0 <39 Mola <4 <103
<3 Polmone/vagina 0
Basso rischio:0-4; medio rischio:5-7; alto rischio:>8
1 >39 Aborto 4-6 103-104 0xA Ax0 non conosciuto 3-5 Milza/reni 1-4
2 A termine 7-12 104-105 BxA o 0 ABxA o 0 0oA >5 App.gastroenterico 5-8 Mono
3
>12 >105
Fegato/SNC >8 Poli
Capitolo 25 • Patologia degli annessi fetali • A.L.Borrelli,A.Cardone,P.De Franciscis
suo partner e su alcune peculiarità della malattia al fine di attribuire un punteggio prognostico che distingue le pazienti in tre gruppi: a basso, medio ed alto rischio (Tabella 25.4). In rapporto all’appartenenza al basso, medio o alto rischio, le pazienti necessitano di un trattamento chemioterapico differente [39, 40]. Nelle pazienti a basso rischio la terapia di scelta è costituita da MTX e calcio folinato, secondo vari schemi di somministrazione nei quali cambia il dosaggio e la frequenza della somministrazione. Lo schema più utilizzato consiste nella somministrazione per via intramuscolare di 50 mg di MTX nei giorni 1, 3, 5, 7 cui si associano 6 mg di calcio folinato a distanza di 30 ore da ogni iniezione di MTX. Detto schema va ripetuto a settimane alterne fino all’azzeramento della beta-hCG. Poiché la tossicità del trattamento è minima, cicli di MTX vanno effettuati successivamente per consolidare i risultati. Nelle pazienti a medio rischio viene somministrata una polichemioterapia secondo lo schema EMA-CO (etoposide, MTX, actinomicina, ciclofosfamide, vincristina) (Tabella 25.5) [45]. Tabella 25.5. Schemi di chemioterapia “EMA-CO” I Ciclo Giorno 1 Etoposide 100 mg/m2 in infusione ev in 200 ml fisiologica in 30-50 min Actinomicina D 0,5 mg ev MTX 100 mg/m2 in infusione ev in 1 ora poi MTX 200 mg/m2 in infusione ev in 12 ore Giorno 2 Etoposide,100 mg/m2 in infusione ev in 200 ml fisiologica in 30-50 min Actinomicina D 0,5 mg,ev Acido folico 15 mg ev ogni 6 ore per 8 volte cominciando 24 ore dopo l’inizio del MTX II Ciclo Giorno 8 Vincristina 1,0 mg/m2 ev Ciclofosfamide 600 mg/m2 ev
Anche per le pazienti ad alto rischio viene utilizzato lo schema EMA-CO che viene però prolungato per un numero maggiore di cicli rispetto al medio rischio. Anche lo schema EMA-CO risulta poco tossico ed è generalmente ben tollerato. Durante la chemioterapia sarà necessario uno stretto monitoraggio delle pazienti per identificare quanto più precocemente possibile l’instaurarsi di una farmacoresistenza (aumento, plateau o decremento minore rispetto all’attesa del livello delle beta-hCG durante il trattamento) che richiederà l’introduzione di altri sche-
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mi terapeutici in accordo con la progressione della classe di rischio (passaggio a poli-chemioterapia per le pazienti a basso rischio, passaggio a schemi a base di cisplatino per le pazienti a medio ed alto rischio). Il follow-up della paziente mediante beta-hCG durante la chemioterapia permetterà anche di stabilire quando sospendere la terapia. Nelle pazienti a basso e a medio rischio la chemioterapia (rispettivamente con MTX e con lo schema EMA-CO) viene proseguita, come già detto, per un periodo di 6 settimane dall’azzeramento dell’ormone, nelle pazienti ad alto rischio lo schema chemioterapico viene continuato per 8 settimane dall’azzeramento delle beta-hCG in caso di score <15 e per 10 settimane in caso di score maggiore. Nelle pazienti a basso rischio e con tumore non metastatico la remissione completa si ottiene nel 90% dei casi; anche nelle pazienti ad alto rischio si ottengono risultati favorevoli nella gran parte dei casi con sopravvivenza del 93% per le pazienti che non hanno eseguito precedenti chemioterapie e del 74% per quelle con trattamenti pregressi. La paziente viene considerata guarita dopo successivo follow-up ormonale proseguito per 2 anni dalla fine della chemioterapia.
Fertilità successiva Dopo una gravidanza molare si sconsigliano ulteriori gestazioni nel periodo necessario a completare il follow-up (almeno 6 mesi in caso di mola parziale, 12 in caso di mola completa e per periodi più lunghi in caso di coriocarcinoma). A scopo contraccettivo sono indicati gli estroprogestinici che non aumentano il rischio di malattia trofoblastica persistente (alcuni autori suggeriscono di iniziarne l’assunzione solo dopo la normalizzazione dei livelli di beta-hCG), mentre sono sconsigliati i dispositivi intrauterini per il rischio di perforazione e per la possibilità di spotting che potrebbe simulare la ripresa della malattia [46]. Dopo 6-12 mesi di sorveglianza con livelli normali di beta-hCG le pazienti possono programmare una nuova gravidanza, ma devono essere informate che hanno un rischio di ricorrenza dell’1% circa dopo una mola idatiforme e del 15% circa dopo due gravidanze molari, per cui dovranno sottoporsi a screening precoce nel I trimestre [47]. Inoltre, in caso di gravidanza a termine, sarà sempre necessario eseguire un esame istologico sulla placenta e un controllo delle beta-hCG a distanza di 6 settimane dal parto. Anche nelle pazienti sottoposte a chemioterapia non è riportato un aumentato rischio di complicanze ostetriche né di anomalie congenite, nonostante i rischi teratogeni dei farmaci utilizzati.
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
PATOLOGIA PLACENTARE Generalità La patologia placentare comprende un gruppo eterogeneo di alterazioni di diversa natura la cui eziologia non è sempre nota. Dopo aver descritto le anomalie morfologiche e quelle da abnorme aderenza, saranno più diffusamente trattate le patologie placentari di maggiore rilevanza clinica quali il distacco intempestivo di placenta normalmente inserita e la placenta previa. Fig. 25.2. Placenta con lobo succenturiato.Da [49],con autorizzazione
Anomalie della forma e della grandezza A termine di gravidanza normalmente la placenta ha una forma rotondeggiante a focaccia ed un peso di 500-600 g. In condizioni patologiche si possono verificare alterazioni dello sviluppo: placente di peso inferiore alla norma, si osservano nelle gestosi ipertensive; in altri casi (gravidanze complicate da diabete mellito) la placenta risulta spesso di peso e di volume superiore alla norma. La placenta può, inoltre, presentarsi di spessore ridotto il che spesso si accompagna ad un aumento dello sviluppo in superficie; in questo caso si parla di placenta diffusa (vedi placenta previa). La placenta anziché essere unica, può presentarsi per la presenza di setti, bilobata, trilobata; talvolta uno dei lobi risulta di dimensioni ridotte e prende il nome di lobo accessorio o succenturiato (Fig. 25.2). Il tessuto placentare può svilupparsi su di un’estensione maggiore della placca coriale originaria; in questo caso la placenta viene definita marginata (Fig. 25.3) o circumvallata a seconda dell’entità dell’anomalia. Nella placenta fenestrata vi è mancanza di tessuto placentare in una parte del disco placentare stesso, per cui in quella zona vi sono solamente le membrane. Molto rare sono infine le placente a forma anulare e a ferro di cavallo.
Anomalie dell’aderenza Un’abnorme aderenza della placenta alla parete uterina si realizza in tutti i casi in cui i villi coriali mostrano un’eccessiva capacità infiltrativa o quando, per alterato trofismo endometriale (cicatrici isterotomiche, annidamento istmico, esiti flogistici, ecc.), la reazione deciduale risulta insufficiente a limitare la penetrazione degli elementi coriali nella parete uterina stessa. La patologica aderenza della placenta alla parete uterina può dar luogo ad alterazioni differenti. La placenta si definisce accreta quando i villi coriali, essendo penetrati profondamente nella decidua, la su-
Placenta
Membrana amniocorale
Fig. 25.3. Placenta marginata
perano giungendo a contatto del miometrio [48]. La placenta è increta se l’infiltrazione si spinge nel contesto miometriale; se infine i villi superano anche il miometrio, e giungono a contatto del perimetrio si parla di placenta percreta. L’abnorme aderenza placentare rappresenta una grave complicanza del secondamento. Nei casi in cui, pur ricorrendo al secondamento manuale ed alla revisione strumentale della cavità uterina, non si riesca ad asportare la placenta bisogna ricorrere senza indugio all’isterectomia per evitare pericolose emorragie nel post-partum [50].
Distacco intempestivo di placenta normalmente inserita Definizione Nel parto fisiologico il distacco della placenta dalla sua normale sede di impianto (cavità del corpo dell’utero) si verifica dopo l’espulsione del feto, nel corso del secondamento. Il distacco, in questo caso, si definisce tempestivo.
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Per intempestivo si intende il distacco che avviene prima dell’espulsione del feto ad utero ancora “pieno” e ciò può realizzarsi nella seconda metà della gravidanza fuori del travaglio di parto (distacco prematuro) o durante il travaglio stesso (distacco precoce). Il distacco può essere parziale (nella maggior parte dei casi) o totale a seconda che la zona di scollamento interessi soltanto una parte oppure la totalità o quasi dell’area di inserzione placentare. L’incidenza del distacco intempestivo varia dallo 0,5% all’1% di tutte le gestazioni; ne sono colpite più frequentemente le pluripare e le gestanti delle classi socio-economiche più disagiate [51, 52].
Eziopatogenesi Nella gran parte dei casi il distacco di placenta insorge nel corso di una gestosi ipertensiva che quindi è considerata il principale fattore di rischio. Altri fattori di rischio predisponenti sono: la sindrome da compressione della vena cava e le cardiopatie scompensate (per la stasi venosa che determinano a livello degli organi pelvici), le malattie renali ipertensive, la grave restrizione dell’accrescimento fetale, il tabagismo, gli stati dismetaboloci (diabete, dislipidemie, ecc.) disnutrizionali e carenziali (carenza di acido folico, ipovitaminosi C, ecc.), traumi addominali, condizioni che determinano sovradistensione dell’utero (macrosomia fetale, poliamnios, gravidanze plurime, ecc.). Fattori scatenanti in gravidanza sono: tutte le modificazioni rapide dell’emodinamica gravidica quali quelle che si realizzano nelle crisi ipertensive, l’iperemia passiva con aumento notevole della pressione venosa in sede pelvica che si verifica nella sindrome da compressione della vena cava. Fattori scatenanti in travaglio di parto sono: la bre-
Ematoma retroplacentare
Anatomia patologica I suddetti fattori causano il distacco perché, nell’ambito dello strato spongioso della decidua basale, inducono la formazione di stravasi ematici per lesione dei vasi utero-placentari. Detti stravasi, confluendo, costituiscono un ematoma di varia grandezza che si raccoglie tra placenta e parete uterina (ematoma retroplacentare). Quasi sempre la formazione dell’ematoma determina una contrattura miometriale riflessa che favorisce l’estensione dell’ematoma e l’ampliamento dell’area di distacco. La raccolta ematica può: a. rimanere confinata nella sede del distacco; b. scorrendo tra membrane e parete uterina, riversarsi all’esterno dopo aver attraversato canale cervicale e vagina; c. passare nella cavità amniotica per rottura delle membrane a livello del margine placentare (Fig. 25.4). L’emorragia, quindi, può essere interna, esterna o, come avviene nella gran parte dei casi, mista se parte del sangue fluisce all’esterno e la maggior parte rimane all’interno dell’utero. Nei casi più gravi la raccolta ematica, non riuscendo a riversarsi all’esterno, può infiltrare ed infarcire diffusamente il miometrio fino ad espandersi al di sotto del perimetrio e nel legamento largo. Talora si verifica anche fissurazione della sierosa peritoneale con passaggio di sangue in cavità addominale. In questi casi si configura il quadro dell’apoplessia utero-placentare, l’utero assume una colorazione violaceo-bluastra con chiazze più scure di soffusioni emorragiche (utero marmo-
Placenta
Placenta
Placenta
Retto
a
vità assoluta o relativa di funicolo e soprattutto le manovre violente ed incongrue di espressione del feto secondo Kristeller.
Retto
b
Retto
c
Fig.25.4a-c.Distacco intempestivo di placenta normalmente inserita.a Emorragia prevalentemente interna (ematoma retroplacentare).b Emorragia prevalentemente esterna.c Emorragia endoamniotica
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rizzato di Couvelaire). In tali condizioni l’utero, pressoché totalmente infarcito si sangue, perde la capacità di contrarsi e retrarsi onde la notevole probabilità di profuse emorragie nel post-partum. Grave conseguenza del distacco è costituita dalla riduzione degli scambi materno-fetali cui consegue sofferenza fetale di entità variabile in rapporto alla gravità del distacco stesso. Il notevole consumo di fibrinogeno e piastrine a livello del coagulo retroplacentare e l’immissione in circolo di materiale tromboplastinico di origine placentare innescano, inoltre, molto spesso il temibile quadro della CID.Alla fase ipercoagulativa succede quella fibrinolitica con aumento dei prodotti di degradazione del fibrinogeno e della fibrina (FDP e D-dimero) il che costituisce insieme al crollo delle piastrine e del fibrinogeno il segno laboratoristico più evidente del progressivo aggravarsi della coagulopatia da consumo di fibrinogeno.
Quadro clinico Il quadro clinico è molto variabile, dipendendo dall’entità del distacco e dalla rapidità con la quale quest’ultimo si realizza. Nei casi di distacchi di minime dimensioni i sintomi clinici possono essere molto sfumati o del tutto assenti. La diagnosi, generalmente ecografica, induce ad effettuare accertamenti utili ad instaurare tempestivamente trattamenti causali adeguati e ad intensificare il monitoraggio delle condizioni fetali. Nei casi di distacchi maggiormente estesi (distacchi parziali) la sintomatologia è costituita da: – perdite ematiche dai genitali, di entità variabile e di colore rosso-scuro; – contrattura dolorosa dell’utero; – segni di sofferenza fetale (alterazioni CTG e flussimetriche). Nei casi più gravi (distacchi totali) la sintomatologia, ad esordio improvviso, è caratterizzata da dolore intenso localizzato in sede uterina e lombo-sacrale cui si associa dolenza diffusa a tutto l’addome e segni di shock; l’emorragia, prevalentemente interna, è di notevole entità. Alla palpazione l’utero risulta fortemente contratto (utero di legno), molto dolente e di volume superiore all’epoca di amenorrea a causa dell’ematoma che si raccoglie nella cavità uterina; il battito cardiaco fetale non è generalmente percepibile essendosi verificata, nella gran parte dei casi, la morte fetale. Il riscontro vaginale consente di rilevare una spiccata distensione del segmento inferiore (segno di Clauberg); attraverso il collo uterino, spesso pervio, si apprezza il polo inferiore del sacco che, sospinto verso l’alto dal dito esploratore, lascia fuoriuscire coaguli misti a sangue rosso-scuro.
La paziente appare sofferente e ansiosa con polso piccolo e frequente, pallore della cute e delle mucose; la pressione, inizialmente elevata per la sindrome gestosica di base, tende successivamente a calare. Complicanze immediate del distacco sono: – shock emorragico e peritoneale; – anemizzazione legata all’emorragia. Complicanze tardive sono: – insufficienza renale acuta con oliguria marcata fino all’anuria,proteinuria e cilindruria da necrosi corticale; – disturbi emocoagulativi da CID; – apoplessia utero-placentare con gravi emorragie nel post-partum da atonia uterina.
Diagnosi È relativamente semplice nei casi tipici, caratterizzati oltre che dai segni di una gestosi ipertensiva, dalla triade sintomatologica: emorragia prevalentemente interna, contrattura dolorosa dell’utero e sofferenza fetale. L’esame ecografico è molto utile per dirimere eventuali dubbi diagnostici. Il distacco di placenta deve essere differenziato soprattutto da un’altra affezione responsabile di emorragie nel III trimestre e cioè dalla placenta previa la cui sintomatologia è caratterizzata da emorragia esterna, rosso rutilante, indolore; mancano in questo caso i segni di gestosi e almeno inizialmente non vi sono segni di sofferenza fetale [53].
Terapia Il trattamento del distacco varia in relazione alla gravità della forma, all’epoca gestazionale in cui si verifica e alla causa che l’ha determinato. In ogni caso, al primo insorgere dei sintomi, è necessario l’immediato ricovero in reparto ostetrico dove la paziente sarà sottoposta oltre che all’esame clinico ad indagini ematochimiche (crasi ematica, fattori della coagulazione, ecc.) e strumentali (ecografia, flussimetria, CTG) tese a valutare le condizioni materno-fetali. Nelle forme lievi (distacchi minimi, parcellari) che insorgono prima della 35a settimana, se le condizioni materno-fetali non destano preoccupazione (scarso sanguinamento, buon compenso emodinamico materno, assenza di segni di sofferenza fetale), può essere praticata terapia medica causale con miolitici ed antianemici, tenendo sotto costante controllo le condizioni fetali mediante monitoraggio biofisico. Utile la profilassi della RDS con cortisonici. Non comparendo segni di sofferenza fetale e permanendo buone le condizioni materne è possibile far proseguire la gravidanza anche fino al termine. Se invece le condizioni peggiorano, sarà necessario estrarre il feto. Nelle altre forme di media gravità (distacchi parziali) con tendenza al peggioramento delle condizioni ma-
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terno-fetali e soprattutto in quelle più gravi è sempre necessario il rapido svuotamento dell’utero: per le vie naturali quando possibile (pluripare in travaglio deciso) o più spesso mediante taglio cesareo di urgenza. In caso di emorragia post-partum da atonia per infarcimento emorragico del miometrio, allo svuotamento dell’utero è necessario far seguire senza indugio l’isterectomia. Nelle forme più severe, il distacco di placenta è patologia gravata da elevati tassi di mortalità materna. Praticato il trattamento ostetrico descritto è necessario trasferire la paziente in terapia intensiva dove sarà possibile, accanto ad un monitoraggio costante soprattutto della funzione renale, della crasi ematica e dei fattori della coagulazione, instaurare adeguati trattamenti antishock mediante emotrasfusioni di sangue fresco, trasfusioni di emazie concentrate e di plasma congelato cui va aggiunta la terapia eparinica in presenza di patologia emocoagulativa da CID [54].
Placenta previa Definizione La placenta previa è una affezione legata ad un impianto anomalo, in sede istmica, dell’uovo fecondato per cui nel terzo trimestre di gravidanza la placenta si trova inserita sul segmento inferiore ed è quindi “previa” nei confronti del feto.
Eziologia L’annidamento anomalo può essere determinato da patologie materne deformanti la cavità uterina, quali noduli fibromatosi sottomucosi, malformazioni uterine, gravidanze plurime, multiparità con sfiancamento della cavità stessa, ecc. (placenta istmica primitiva).
a
b
In altre circostanze l’uovo si annida regolarmente nella cavità del corpo dell’utero, ma per flogosi della mucosa uterina che ne alterano la vascolarizzazione, il corion non può svilupparsi in profondità onde la necessità di un maggiore sviluppo in superficie fino ad interessare in basso l’istmo (placenta istmica secondaria). In questo caso la placenta, molto sottile ed estesa, prende il nome di placenta diffusa. L’incidenza della placenta previa è di circa 1 caso ogni 200 parti. Questa temibile patologia è molto più frequente nelle pluripare e nelle portatrici di tagli cesarei pregressi; nel 30% dei casi si associa ad anomalie della situazione e presentazione fetale [55]. In relazione all’estensione dell’impianto sul segmento inferiore e ed al rapporto con l’orifizio interno del collo uterino, si distinguono diversi tipi di placenta previa e quindi diversi gradi di previetà placentare: – placenta previa laterale nel caso in cui il bordo placentare dista >3 cm dal dell’orifizio uterino interno; – placenta previa marginale quando il bordo placentare dista <3 cm dal contorno dell’orifizio uterino interno fino talvolta a lambirlo; – placenta previa centrale quando l’inserzione placentare ricopre l’orifizio uterino interno (Fig. 25.5). Della placenta previa centrale, all’inizio del travaglio di parto (dilatazione 2-3 cm), possono distinguersi due varietà: la totale e la parziale, a seconda che la placenta ricopra totalmente o solo parzialmente l’orifizio uterino interno del collo dell’utero. In qualsiasi tipo di placenta previa è inevitabile che dopo la fine del sesto mese si realizzino distacchi più o meno estesi dell’area di inserzione della placenta che, essendo com’è noto inestensibile, è incapace di seguire la progressiva espansione del segmento inferiore su cui
c
Fig. 25.5a-c. Diverse varietà di placenta previa.a Placenta previa laterale.b Placenta previa marginale.c Placenta previa centrale totale
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è inserita. Dal “conflitto” tra espansione del segmento inferiore e placenta inestensibile ne derivano rotture di setti intervillosi con apertura di lacune vascolari e/o di vasi sanguigni cui conseguono profuse emorragie di sangue dal circolo materno che attraverso la vagina fluiscono all’esterno. Svuotatesi le lacune sanguigne, queste vengono occluse da trombi che pongono fine, sia pure temporaneamente, all’emorragia.
Sintomatologia L’unico e fondamentale sintomo è costituito dall’emorragia esterna (metrorragia) che insorge generalmente nel terzo trimestre ed è tanto più precoce e profusa quanto più centrale è l’inserzione placentare. Detta metrorragia è caratteristica per essere indolore, di colore rosso vivo, improvvisa, potendo comparire in pieno benessere e intermittente in quanto recede spontaneamente per poi recidivare. A causa del reiterarsi delle perdite ematiche, si realizza uno stato di preoccupante anemizzazione della gestante che, nei casi più gravi, può determinare l’insorgenza di una condizione di shock emorragico. L’anemia materna si ripercuote negativamente sul feto che, col passare del tempo, può mostrare segni di sofferenza fetale, talora associati a iposviluppo più o meno grave. La placenta previa predispone a complicanze durante il secondamento e nel post-partum. A causa dell’eccessiva penetrazione dei villi di ancoraggio nella parete del segmento inferiore (dove si realizza una scarsa reazione deciduale) possono verificarsi difficoltà nel distacco della placenta durante il secondamento cui spesso conseguono abbondanti emorragie.Anche nel post-partum si possono avere gravi perdite ematiche poiché il globo di sicurezza, nelle cui maglie vengono normalmente strozzati i vasi dell’area di inserzione placentare, si forma a livello del corpo dell’utero e non nel segmento inferiore dove è inserita la placenta. Per tali motivi è molto elevata la morbilità materno-fetale.
Diagnosi Più del 50% delle metrorragie della 2a metà della gravidanza sono dovute alla placenta previa. I caratteri dell’emorragia (esordio improvviso in pieno benessere, tendenza a recidivare), il colore rosso vivo delle perdite e la mancanza di dolore devono rafforzare il sospetto di placenta previa la cui diagnosi di certezza si pone mediante l’esame ecografico che consente l’esatta localizzazione della placenta. L’ecografia transaddominale permette, infatti, di visualizzare in modo semplice e sicuro la posizione placentare.Talora tuttavia non è possibile un’esatta definizione del rapporto tra margine placentare e orifizio uterino interno.
Falsi positivi (2-6%) possono aversi quando la placenta è inserita sulla parete posteriore o per la presenza di contrazioni focali, distensione vescicale, obesità, ecc. L’introduzione della sonda a diretto contatto con la cervice uterina (ecografia transvaginale) ha permesso di superare i predetti inconvenienti [56]. Il canale cervicale è riconoscibile per la sua ipoecogenicità e consente una corretta identificazione dell’OUI e del suo rapporto col margine placentare con possibilità di eseguire un’accurata misurazione della distanza fra le due strutture. Tale metodica consente una diagnosi corretta nell’87% dei casi di sospetta placenta previa. L’angolo tra la sonda introdotta in vagina e il canale cervicale è tale che la sonda non entra nel predetto canale. Infatti in nessun caso è stato riportato un aumento dell’incidenza di sanguinamento dopo l’esame [56]. All’esame obbiettivo l’utero, diminuito di consistenza, non dolente né contratto, appare di volume corrispondente all’amenorrea; il BCF risulta regolare. L’esplorazione vaginale è sconsigliabile in questi casi in quanto, procurando ulteriori distacchi, può determinare copiose emorragie. Nell’impossibilità di effettuare l’esame ecografico, il riscontro vaginale deve essere effettuato con estrema cautela: le dita esploratrici vanno portate nei fornici vaginali dove si apprezza la presenza di un cuscinetto soffice interposto tra le dita e la parte presentata che risulta molto elevata rispetto all’ingresso pelvico.
Diagnosi differenziale Escludendo con l’esame speculare perdite ematiche di origine vaginale (lesioni da coito, ecc.), cervicale (polipi, cerviciti, sanguinanti della portio, cervico-carcinoma) e vescicale, la diagnosi differenziale va posta col distacco di placenta e con l’emorragia da rottura dei vasi velamentosi. Nel distacco l’emorragia esterna, generalmente scarsa e di colore rosso scuro, è accompagnata da dolore vivo alla palpazione dell’utero che appare contratto e aumentato di consistenza. Vi è sempre sofferenza fetale e nei distacchi massivi il BCF risulta generalmente assente [53]. Nella rottura dei vasi velamentosi l’emorragia insorge in travaglio contemporaneamente o subito dopo la rottura delle membrane, non compromette le condizioni materne, ma determina la scomparsa immediata del battito cardiaco fetale.
Terapia Varia in rapporto all’entità dell’emorragia e all’epoca gestazionale in cui si manifesta [57]. La comparsa di perdite ematiche nella 2a metà della gravidanza richiede sempre l’immediato ricovero in reparto di ostetricia dove, confermata la diagnosi me-
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diante esame ecografico, saranno effettuate le opportune indagini clinico-strumentali atte a verificare le condizioni materno-fetali. Prima della 35a settimana se le perdite ematiche sono modeste ed in assenza di sofferenza fetale, si può tenere una condotta di attesa controllando con assiduità le condizioni del feto (CTG giornaliera, flussimetria, ecc.) e provvedendo con emotrasfusioni a curare l’anemia materna. In tali casi sarà utile effettuare la profilassi della RDS con betametasone (12 mg/im per 2 volte a distanza di 24 ore l’una dall’altra). La comparsa di emorragie imponenti richiede senz’altro il taglio cesareo d’urgenza. Dopo la 35a settimana qualunque sia il tipo di placenta previa, in presenza di emorragie gravi il taglio cesareo rappresenta ovviamente la terapia d’elezione. Tuttavia nella placenta previa marginale e soprattutto laterale, in assenza di sofferenza fetale e di altre cause di distocia, se le perdite ematiche sono scarse e saltuarie si può attendere il travaglio e praticare l’amnioressi alla dilatazione di 4 cm. Tale manovra fa cessare l’emorragia in quanto la testa fetale, impegnandosi, va a comprimere la placenta così da bloccare la fuoriuscita di sangue. La placenta previa espone a possibili complicanze feto-materne. Complicanze fetali: parto pretermine, IUGR, anemia fetale. Complicanze materne: shock emorragico, emorragie post-partum (per mancata contrazione del segmento inferiore dell’utero su cui è inserita la placenta), elevato rischio di abnorme aderenza placentare (per eccessiva penetrazione del trofoblasto nella parete uterina da carente reazione deciduale a livello del segmento inferiore), distacco di placenta.
a
b
Fig. 25.6a,b. Inserzioni del funicolo.a A racchetta;b velamentosa.Modificata da [49],con autorizzazione
francamente patologica in quanto i vasi funicolari, al momento della rottura delle membrane non protetti dalla gelatina di Warthon, possono rompersi ed il feto morire rapidamente per dissanguamento. La diagnosi prenatale di inserzione velamentosa è in genere difficile, può essere sospettata mediante esame flussimetrico dei vasi placentari con tecnica colordoppler.
Anomalie di dimensioni Alla fine della gravidanza il funicolo in genere misura in media 50 cm. Si parla di lunghezza eccessiva quando supera gli 80 cm, di brevità assoluta quando misura meno di 30 cm. Per brevità relativa si intende, invece, la condizione in cui il funicolo, pur essendo di normale lunghezza, presenta giri intorno al corpo fetale (collo, tronco, ecc.) che ne riducono la lunghezza utile (Fig. 25.7).
PATOLOGIA DEL FUNICOLO La patologia funicolare comprende: anomalie di inserzione, anomalie di dimensioni e anomalie strutturali.Vanno considerate a parte la procidenza e il prolasso di funicolo.
Anomalie di inserzione Normalmente il cordone ombelicale è inserito sulla faccia fetale della placenta centralmente o eccentricamente. Nel 10% dei casi l’inserzione è marginale (inserzione a racchetta) e in circa l’1% dei casi si ha l’inserzione velamentosa caratterizzata dal fatto che i vasi funicolari decorrono per un tratto più o meno lungo tra amnios e corion prima di raggiungere il bordo placentare (Fig. 25.6). L’inserzione velamentosa è da considerare
Fig. 25.7. Giri di funicolo
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La presenza di giri di funicolo, diagnosticabile mediante Doppler-flussimetria, è spesso favorita da abnorme lunghezza del funicolo o da eccessiva mobilità del feto e solo raramente si associa ad un significativo incremento della morbilità e mortalità perinatali.
Anomalie morfologiche e strutturali Frequentemente è possibile rilevare lungo il decorso del funicolo tumefazioni irregolari costituite da anse vascolari attorno a cui si addensa la gelatina di Warthon. Tali tumefazioni sono denominate nodi falsi e generalmente non comportano pericoli per il feto. Per nodo vero si intende, invece, un reale annodamento del funicolo che si realizza quando il feto si insinua in un’ansa del cordone nel corso di movimenti attivi. Fattori favorenti sono costituiti dall’abnorme lunghezza del funicolo e dal poliamnios. Generalmente la viscosità della gelatina di Warthon e la pressione idrostatica dei vasi ombelicali impediscono che il nodo si serri completamente: quando ciò si verifica per scarsità della gelatina di Warthon e/o per abnorme riduzione della pressione arterovenosa del circolo fetale si ha il blocco degli scambi gassosi materno-fetali e quindi rapidamente la morte fetale. Talora la gelatina di Warthon può essere abbondante o molto scarsa: nel primo caso il feto non corre rischi particolari, nel secondo caso si parla di funicolo sottile o ipoplasico (diametro<4 cm) che si associa a IUGR e a placenta ipotrofica.
le condizioni che interferiscono o in qualche modo ostacolano l’adattamento e l’impegno della parte presentata nell’escavazione pelvica.Fattori di rischio sono costituiti da: presentazioni anomale, ridotto volume del corpo fetale (come nel parto prematuro) malformazioni fetali, viziature pelviche, tumori previ, poliamnios, ecc. [58]. Talora il prolasso può essere di origine iatrogena come nel caso di amnioressi intempestiva, praticata quando la parte presentata non è ancora impegnata. Il prolasso di funicolo costituisce una grave emergenza ostetrica in quanto può determinare l’insorgenza di una severa ed improvvisa sofferenza fetale, soprattutto nelle presentazioni cefaliche in quanto l’impegno della testa nello stretto superiore comporta la compressione del funicolo tra parte presentata e bacino materno. La prognosi fetale in questi casi dipende dalla rapidità con la quale si procede all’estrazione del feto. Quando ciò non può realizzarsi in tempi brevi è necessario ricorrere con massima urgenza al taglio cesareo.
Membrane aminocoriali
Anomalie numeriche dei vasi funicolari In condizioni normali nel funicolo ombelicale decorrono 3 vasi immersi nella gelatina di Warthon: 2 arterie avvolte a spirale attorno ad un’unica vena. Raramente si osservano più di due arterie, ugualmente raro è il rilievo di una seconda vena ombelicale. L’anomalia più frequente è invece l’assenza di un’arteria (arteria ombelicale singola o unica). Questa anomalia può associarsi, seppur raramente, a malformazioni fetali e a cromosomopatie.
Fig. 25.8. Procidenza di funicolo
Procidenza e prolasso di funicolo Per procidenza si intende la presenza di anse del cordone al davanti della parte presentata a membrane integre (Fig. 25.8). Il prolasso si verifica, invece, quando anse funicolari si portano al davanti della parte presentata a membrane rotte (Fig. 25.9). L’insorgenza di queste patologie è favorita da tutte quel-
Membrane aminocoriali
Fig. 25.9. Prolasso di funicolo
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Parto pretermine G.M. Maruotti • A. Agangi • L. Mazzarelli • P. Martinelli
INTRODUZIONE Secondo l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) e la FIGO (Federazione Internazionale di Ginecologia ed Ostetricia) si definisce pretermine il parto che avviene prima della 37a settimana di gravidanza (oppure prima di 259 giorni), indipendentemente dal peso del neonato. Tale definizione deriva da un’analisi statistica della distribuzione delle età gestazionali alla nascita, calcolate a partire dal primo giorno dell’ultima mestruazione [1]. Tuttavia, invece, non è possibile stabilire il limite inferiore dell’epoca gestazionale che definisce il parto pretermine, per il continuo miglioramento della sopravvivenza dei nati di peso ed epoca gestazionale molto bassa. Ad ogni modo, le gravidanze che si interrompono prima della 20a settimana di gestazione sono tradizionalmente definite come aborto spontaneo, mentre quelle che terminano dopo la 20a settimana si definiscono come parto pretermine: la 20a e la 37a settimana completa definiscono, quindi, i limiti temporali del parto pretermine. Il parto pretermine è tuttora la maggior causa di esiti sfavorevoli della gravidanza rappresentando il 50-70% della mortalità e morbilità neonatale e l’85% della mortalità perinatale [2] ed essi sono strettamente correlati all’età gestazionale ed al peso neonatale. L’età gestazionale ha un notevole valore prognostico. Il North West Thames Database [3], che ha raccolto i dati di 517381 nati tra il 1988 ed il 2000, ha dimostrato che la proporzione di bambini trasferiti in terapia intensiva era: – 90%<33a settimana; – 83% 34a settimana; – 58% 35a settimana; – 31% 36a settimana; – 14% 37a settimana; – 7% 38a settimana, – <5% 39a settimana.
L’incertezza della datazione [4] (errore di valutazione ecografica in relazione alla variazione della lunghezza del ciclo mestruale) e/o la definizione approssimativa dell’età gestazionale possono determinare erronee valutazioni. Nello studio precedentemente citato, il 10% dei nati pretermine era stato mal classificato per errori di arrotondamento delle settimane di gestazione [3]. Il criterio ponderale, invece, pur avendo un grande valore prognostico, è abbastanza indefinito dal punto di vista della prematurità, poiché almeno 1/3 dei neonati al di sotto di 2500 g non è nato prematuramente, bensì a termine e rientra, quindi, nella categoria dei neonati con restrizione della crescita intrauterina. La maggior parte dei neonati di peso inferiore a 2500 g, circa il 10% di tutti i nati, è pretermine. Un tentativo di classificazione prognostica ponderale dei neonati al di sotto di 2500 g alla nascita indipendentemente dall’epoca gestazionale distingue: – ≤ 2500 g: neonati di basso peso (Low Birth Weight, LBW)→82% – ≤ 1500 g: neonati di peso molto basso (Very Low Birth Weight, VLBW)→13% – ≤ 1000 g: neonati di peso estremamente basso (Extremely Low Birth Weight, ELBW)→4% – ≤ 750 g (Incredibly Low Birth Weight, ILBW)→0,5-1%. La nascita prematura non solo ha effetti immediati sulla vita del neonato, ma può avere gravi ripercussioni sulle successive fasi del suo sviluppo e sul determinismo di malattie anche nell’età adulta, con rilevanti costi economici sia diretti che indiretti da parte della famiglia e della società.
CLASSIFICAZIONE Circa il 75% dei parti pretermine è dovuto all’insorgere di un travaglio spontaneo o a rottura prematura del-
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le membrane ed il 25-30% avviene in seguito a indicazioni mediche. In relazione all’epoca gestazionale in cui si esplica, si distingue il parto in: a. moderatamente pretermine (mild preterm) tra 32 e 36 settimane di gestazione (85% dei parti pretermine), che a sua volta può essere suddiviso in pretermine di 34-37 e pretermine di 32-33 settimane. Sebbene l’outcome neonatale immediato abbia raggiunto risultati incoraggianti, questo ultimo gruppo ha contribuito in maniera significativa ad aumentare la mortalità nel periodo post-natale e fino ad 1 anno di vita per le complicanze correlate ad asfissia, infezioni, morte improvvisa; b. molto pretermine (very preterm) tra 28 e 31 settimane di gestazione (10% dei parti pretermine). La sopravvivenza immediata è legata ad una significativa percentuale di morbilità a breve e lungo termine; c. estremamente pretermine (extremely preterm) prima della 28a settimana di gestazione (5% dei parti pretermine). La mortalità neonatale è alta con oltre il 50% di severe sequele per i sopravvissuti nati prima delle 26 settimane [5-7].
INCIDENZA E DISTRIBUZIONE ETNICA Nonostante i notevoli progressi della moderna medicina perinatale, l’incidenza del parto pretermine costituisce ancora il 10% di tutte le nascite nei paesi sviluppati. Accertare la reale incidenza del parto pretermine può essere difficile poiché è necessario differenziare i neonati con IUGR ed i veri pretermine. Negli USA, l’incidenza dei parti prima della 37a settimana, sia considerando le gravidanze singole che quelle multiple, era del 9,4% nel 1981, 10,6% nel 1990, 11,6% nel 2000 ed 11,9% nel 2001 [8]. Le diverse percentuali osservate in alcuni studi in relazione alle differenze razziali non sono facilmente spiegabili. Il tasso di parti pretermine è aumentato tra il 1990 ed il 2000 sia per gli ispanici che per i non-ispanici di razza bianca, ma si è ridotto significativamente per i non ispanici di razza nera. Nonostante ciò, l’incidenza tra gli afro-americani è circa due volte quella degli ispanici e quella dei non ispanici di razza bianca. Utilizzando i dati del North West Thames Database, Patel ha osservato che l’epoca gestazionale media del parto nei neonati di razza nera e di razza asiatica è la 39a settimana completa, comparata con la 40a nei neonati europei [9]. I neonati di razza nera e asiatica durante il travaglio hanno maggiore probabilità di espellere meconio, ma di solito hanno meno bisogno di cure nei casi di parto prima della 37a settimana, quasi come se la maturazione polmonare fosse più rapida rispetto ai neonati europei.
Dagli anni ’70 è riportata una minore incidenza di malattia da membrane ialine nei neonati di razza nera ed una minore mortalità in caso di parto pretermine; tuttavia, gli stessi neonati, hanno una maggiore mortalità in caso di parto oltre la 38a settimana completa, per le complicanze associate alla post-maturità quali l’aspirazione di meconio e l’asfissia alla nascita [10, 11]. Non ci sono dati recenti sull’incidenza del parto pretermine nel mondo, ma si stima che il range oscilli tra il 5-10% nei paesi sviluppati fino al 25% nei paesi in via di sviluppo [12]. Il 10% delle gravidanze multiple si conclude con un parto pretermine; tale percentuale, tuttavia, si eleva al 50% e più per ragioni mediche.
EPIDEMIOLOGIA E FATTORI DI RISCHIO Numerosi studi descrittivi hanno sottolineato l’eterogeneità eziologica del parto pretermine enfatizzando le sue origini multifattoriali (Tabella 26.1) [13]. Diversi sono i fattori di rischio materni alla base della predetta patologia; tra questi ricordiamo: la rottura prematura delle membrane, la gravidanza multipla, la preeclampsia, il distacco di placenta, la placenta previa, l’emorragia vaginale, il ritardo di crescita intrauterino (IUGR), l’eccessiva o ridotta quantità di liquido amniotico, l’incompetenza cervicale, le anomalie della cavità uterina, i fibromiomi. Molta importanza rivestono anche patologie sistemiche quali il diabete, i disordini del connettivo, l’ipertensione, le infezioni, la pielonefrite, l’abuso di droghe. Di non scarso rilievo sono, inoltre, la razza (maggiore incidenza nella razza nera), il basso livello socioeconomico, una storia di precedente parto pretermine, la malnutrizione, i disturbi paradontali, l’età <18 anni o >35 anni, i lavori usuranti, l’elevato stress personale, l’anemia, il fumo di sigarette e l’inosservanza delle norme fondamentali dell’igiene della gravidanza. Nel North West Thames Database il tasso di parti pretermine nelle classi sociali più evolute è del 4% mentre, nelle classi sociali meno evolute, è del 6% [3]. Un simile range è stato osservato in relazione allo stato coniugale e al fumo di sigarette. Tassi di parto pretermine <4% sono stati rilevati in caso di Body Mass Index (BMI) di 25-26. Il tasso non eccede il 5% nelle donne con peso in eccesso, ma raggiunge il 5,5% nei casi di BMI di 17-18 e il 7% nei casi di BMI <17. Vi è una relazione lineare inversa con l’altezza materna con tassi di parto pretermine del 6% in donne di statura <1,50 m e del 3% in donne di 1,75 m o più di altezza. La maggior parte dei parti pretermine è per indicazioni mediche materne o fetali [12]. Dal predetto database si ricava, inoltre, che il 17,2%
Capitolo 26 • Parto pretermine • G.M.Maruotti,A.Agangi,L.Mazzarelli,P.Martinelli
Tabella 26.1. Fattori di rischio eziologici riconosciuti associati con la presentazione clinica del parto pretermine Parto pretermine iatrogeno Materni Ipertensione e disordini vascolari Diabete Malattia acuta o condizioni croniche Complicanze ostetriche Emorragia antepartum Età materna >35 anni Fetali Ritardo di crescita intrauterino (IUGR) Condizioni fetali instabili Anomalie fetali Gravidanza multipla
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tutte le nascite derivino da tecniche di fecondazione assistita fortemente associate alla gravidanza multipla [14]. Il ritardo di crescita è un’altra causa importante del parto pretermine sia spontaneo che iatrogeno [15]. Di recente, hanno assunto particolare rilievo nella genesi del parto pretermine le infezioni quali la malaria e quella da immunodeficienza acquisita. La malaria è sicuramente la causa principale, se si tiene conto che il 40% delle donne gravide del pianeta è esposta a questa infezione nel corso della gravidanza [16]. Il parto pretermine ed il travaglio pretermine spontaneo sono associati a parassitemia materna con un 65% di rischio di mortalità perinatale e 68% di mortalità neonatale [17]. L’infezione da HIV è un problema in continua crescita a livello mondiale particolarmente significativo in Africa.
Il ruolo dell’infezione Rottura prematura delle membrane (PROM) Infezioni Distensione uterina Anomalie cervicali Etnia afro-americana Popolazioni disagiate Parto pretermine idiopatico Infezioni Precedente parto o travaglio pretermine Malnutrizione Disfunzioni cervicali Bassa massa corporea e basso peso Fattori ergonomici Anomalie uterine Stile di vita,fumo Stress psico-sociale Abuso di droghe Età <18 anni Sconosciuto
dei parti a 23 settimane di gestazione ed almeno il 50% tra 28 e 31 settimane era indotto [3]. Dalla 36a settimana approssimativamente il 64% delle nascite si verificava mediante parto spontaneo. Molti parti pretermine sono associati a patologie materne ipertensive o renali. Il diabete è un’altra causa importante se si tiene conto che il 17% circa dei figli di gestanti diabetiche nasce prima del termine [3]. La gravidanza multipla si associa ad un’alta percentuale di parti pretermine. La più alta incidenza al mondo di gravidanze multiple da concepimenti spontanei è stata registrata nell’Africa occidentale (1/40) mentre la più bassa è stata registrata in Giappone (1/200). Nei paesi sviluppati si stima che circa l’8% di
Diversi dati indicano che l’infezione/infiammazione gioca un ruolo importante nella genesi nel parto pretermine specialmente in epoca gestazionale precoce (<30 settimane) [18]. Si ritiene generalmente che i microrganismi risalgano dal tratto genitale inferiore, attraversino la barriera cervicale ed invadano la decidua, il corion-amnios ed il liquido amniotico con possibile interessamento del prodotto del concepimento. L’infezione stimola le cellule infiammatorie delle membrane corionamniotiche con produzione di citochine nei tessuti fetoplacentari. Possono così innescarsi contrazioni miometriali, rottura prematura delle membrane, maturazione cervicale con conseguente parto pretermine [19, 20]. Agenti morbigeni possono invadere l’utero, anche per via ematogena o per migrazione dalla cavità addominale attraverso le tube. Pur se raramente l’infezione della cavità può realizzarsi in seguito a tecniche prenatali invasive (amniocentesi, biopsia dei villi coriali, ecc.) [21]. Nelle donne con travaglio di parto pretermine a membrane integre, i più comuni microrganismi coinvolti sono l’Ureoplasma urealiticum, il Micoplasma hominis, la Gardnerella vaginalis, i peptostreptococchi ed alcune specie di Bacteroides. Si tratta di microrganismi di bassa virulenza [21-23]. I microrganismi spesso responsabili di infezioni del tratto genitale nelle donne non gravide, quali la Neisseria gonorrhoea e la Chlamydia trachomatis, sono raramente riscontrati nell’utero prima della rottura delle membrane, e quelli spesso associati con la corionamniotite e l’infezione fetale dopo la rottura delle membrane (lo streptococco di gruppo B e l’Escherichia coli) sono riscontrati solo occasionalmente. Raramente possono essere causa di parto pretermine anche agenti morbigeni non del tratto genitale, ma della bocca (capnocitofagi); questi ultimi posso-
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
no raggiungere la placenta o con la circolazione o attraverso i rapporti oro-genitali. La maggior parte dei batteri che si riscontra nell’utero nei casi di parto pretermine sono di origine vaginale. Anche se non largamente studiata, l’infezione virale non è probabilmente una causa comune di parto pretermine [21]. I microrganismi vaginali ascendono nello spazio corion-deciduale; in alcune donne questi agenti infettivi possono attraversare le membrane intatte e raggiungere il liquido amniotico e qualche volta il feto. L’evidenza dell’infezione attraverso questa via è stata dimostrata in uno studio di donne i cui feti erano nati attraverso taglio cesareo prima della rottura delle membrane. La metà delle donne con coltura delle membrane positiva aveva mostrato la presenza dei microrganismi anche nel liquido amniotico e, quando ciò accade, di solito si tratta dello stesso microrganismo. Un numero esiguo di feti presentava anche positività alle colture ematiche o del liquido amniotico. Le donne con coltura positiva hanno una risposta infiammatoria elevata come indicato dalle caratteristiche istologiche di leucocitosi e per la presenza di alte concentrazioni di IL-6 nel liquido amniotico [21-25]. Questo spiega perché i soggetti con coltura negativa del liquido amniotico, ma con alte concentrazioni di citochine nello stesso, sono resistenti alla terapia tocolitica. Non è chiaro perché i parti pretermine precoci e non tardivi siano associati con le infezioni intrauterine; allo stesso modo, rimane oscuro il momento in cui i batteri risalgono dall’ambiente vaginale. È stato però ipotizzato che l’infezione può insorgere precocemente in gravidanza e rimanere latente per alcuni mesi. Per esempio l’U. urealiticum è stato riscontrato in alcuni campioni di liquido amniotico ottenuto da analisi di cariotipo fetale effettuato di routine tra la 15a e la 18a settimana di gestazione. La maggior parte di queste donne ha, poi, partorito intorno alla 24a settimana. Anche elevate concentrazioni di interleuchina 6 nel liquido amniotico dalla 15a alla 20a settimana di gestazione sono associate con un parto pretermine tra la 32a e la 34a settimana [26, 27]. Alte concentrazioni di fibronectina (considerato un marker delle infezioni del tratto superiore genitale) nella cervice a 24 settimane di gestazione sono associate con lo sviluppo di corionamniotite nell’arco di 7 settimane. Donne non gravide affette da vaginosi batterica hanno una colonizzazione intrauterina associata con un’endometrite cronica plasma-cellulare. Quindi è ipotizzabile una colonizzazione intrauterina associata al parto pretermine spontaneo già al momento del concepimento. È inoltre importante sottolineare che la maggior parte di queste infezioni croniche del tratto superiore rimane asintomatica. Se i microrganismi intrauterini non sono eliminati
entro 4-8 settimane dopo l’espansione delle membrane sigillanti la cavità endometriale a metà gravidanza, l’infezione spesso diventa sintomatica con un conseguente travaglio pretermine o rottura delle membrane. In accordo con questo scenario, una volta che gli agenti infettivi sono stati eliminati dal sistema immunitario materno, poche altre infezioni possono insorgere a membrane integre. Questa ipotesi, anche se non dimostrata, potrebbe spiegare la frequente associazione tra infezioni e parto pretermine e la relativa rarità delle infezioni presso il termine. Un’ipotesi alternativa è collegata al tempo di inizio della risposta immunitaria del feto. Solo quando il sistema immunitario del feto è in grado di produrre citochine o ormoni può iniziare il travaglio. Le donne con vaginosi batterica e contemporanea riduzione della normale flora lattobacillare per incremento massivo di altri microrganismi (G. vaginalis, Bacteroides, U. urealyticum, M. hominis) hanno un rischio doppio di parto pretermine spontaneo [28], anche se recenti studi dimostrano, in questi casi, un rischio aumentato di dare alla luce neonati di basso peso, ma non di espletare il parto prima del termine [29]. La vaginosi batterica è associata ad un incremento delle concentrazioni di elastasi, mucinasi e sialidasi in vagina e nella cervice. Ad ogni modo, poiché la maggioranza delle donne con parto pretermine presenta microrganismi in utero, può non essere necessario chiamare in causa un’azione locale come fattore iniziale. Molto probabilmente la vaginosi batterica è un marker di colonizzazione intrauterina con gli stessi microrganismi [30]. In che modo l’infezione vaginale da sola (in assenza di un’infezione ascendente) o un’infezione come una periodontite o un’infezione del tratto urinario possano causare il parto pretermine ancora non è ben chiaro; una possibile spiegazione è l’attivazione di una risposta infiammatoria con produzione di citochine o endotossine che raggiungono l’utero per via ematica [21]. Dati provenienti da studi su animali, studi in vitro e studi sull’uomo forniscono una spiegazione del perché l’infezione possa determinare l’insorgenza del parto pretermine. L’invasione batterica dello spazio coriondeciduale, agendo in parte attraverso il rilascio di endotossine ed esotossine , attiva la decidua e le membrane fetali a produrre un elevato numero di citochine (TNFα, IL-1a, IL-1b, IL-6, IL-8, G-CSF fattore stimolante le colonie granulocitarie) [31-34]. Queste ultime, assieme alle endotossine e alle esotossine, stimolano la sintesi ed il rilascio di prostaglandine (PG) con la chemiotassi, infiltrazione e attivazione dei neutrofili e la sintesi ed il rilascio di metalloproteasi e di altre sostanze bioattive. Le prostaglandine stimolano le contrazioni uterine, mentre le metalloproteasi ledono le membrane
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fino alla rottura e rimodellano il collageno della cervice determinandone un rammollimento. L’infezione del corion, tra l’altro, può ridurre l’attività della prostaglandine-deidrogenasi, enzima che inattiva le PG, con conseguente incremento della quantità delle PG stesse e della loro azione sul miometrio. Altra via attraverso la quale l’infezione può determinare il parto pretermine coinvolge il feto. Nei feti infetti si assiste ad un aumento della produzione ipotalamica e placentare dell’ormone rilasciante la corticotropina, con un incremento della corticotropina stessa ed un aumento della produzione del cortisolo da parte del surrene fetale. L’aumento del cortisolo, a sua volta, determina un incremento della produzione delle prostaglandine. L’infezione del feto è responsabile anche dell’aumento della produzione delle citochine. L’infezione intrauterina è spesso cronica e di solito è asintomatica fino al momento in cui inizia il travaglio o fin quando non si ha la rottura delle membrane. Anche durante il travaglio, molte donne in cui verrà dimostrata una corionamnionite (caratteristiche istologiche o coltura), non mostrano sintomi a parte il travaglio pretermine; non sono quindi presenti né febbre, né dolenzia addominale, né leucocitosi periferica e, solitamente, non è presente neanche la tachicardia fetale. Non è quindi facile riconoscere le donne con infezione intrauterina. Sostanze trovate in quantità anomale nel liquido amniotico o in altre sedi di donne con infezione intrauterina sono elencate nella Tabella 26.2. Nelle donne con infezione intrauterina il liquido amniotico, oltre a contenere batteri, presenta basse concentrazioni di glucosio, conta leucocitaria elevata, alta concentrazione di citochine e del fattore del complemento C3 rispetto alle donne non infette. Ad ogni modo, per poter isolare i batteri o dosare le citochine o altri analiti, è richiesta l’esecuzione di un’amniocentesi anche se è controversa l’effettiva utilità di questa pro-
cedura nel migliorare l’outcome delle donne con sintomi di parto pretermine. Non è appropriato ottenere liquido amniotico di routine per testare l’infezione in donne che non sono in travaglio. Risultati positivi su test delle secrezioni vaginali per la vaginosi effettuati o con la tecnica di Gram o utilizzando i criteri di Amsel (pH>4,5, secrezione vaginale omogenea, globuli bianchi circondati dai batteri, odore di ammine quando il fluido vaginale è combinato con l’idrossido di potassio) sono associati con infezione intrauterina e sono predittivi del parto pretermine [28, 35, 36]. Nelle donne asintomatiche o nelle donne in travaglio con un test positivo alla fibronectina, si può non solo predire il parto pretermine spontaneo, ma anche stabilire un’eventuale corionamnionite e sepsi neonatale [21, 42]. Nelle donne con sintomi di travaglio pretermine, un’alta concentrazione di molte citochine nelle secrezioni vaginali inclusa il TNF-α, IL-1, IL-6, IL-8 è associata a parto pretermine.Ad ogni modo, a parte i test per la vaginosi batterica, non vi sono test cervicali o vaginali utilizzati per predire l’infezione intrauterina. Una cervice raccorciata, evidenziata con gli ultrasuoni, correla con diversi markers di infezione e corionamnionite. Sebbene la cervice raccorciata può facilitare l’ascesa dei microrganismi è anche probabile che l’infezione determini un raccorciamento cervicale; al momento, tuttavia, non si sa quale è il primum movens e cioè se la cervice si raccorcia prima o dopo un’infezione uterina silente. Nelle donne con i sintomi di travaglio pretermine sono state trovate alte concentrazioni ematiche di IL-6, IL-8 e TNF-α. Donne senza sintomi, sottoposte a controlli di routine, presentano elevate concentrazioni solo di fattore stimolante le colonie di granulociti (G-CSF) prima dell’inizio del travaglio [21]. Elevate concentrazioni di ferritina, o incrementi dei suoi livelli sia a livello ematico che a livello delle secrezioni vaginali, sono indicative di parto pretermine spontaneo.
Tabella 26.2. Marcatori di infezione intrauterina nelle donne gravide (modificata da [31])
Donne in travaglio
Donne asintomatiche
Liquido amniotico Batteri Basso glucosio Alta conta di bianchi Elevato G-CSF Elevato TNF-α Elevata IL-1 Elevata IL-6
Cervice o vagina Vaginosi batterica Elevato G-CSF Elevato TNF-α Elevata IL-1 Elevata IL-6 Elevata IL-8 Elevata fibronectina fetale
Siero Elevato G-CSF Elevata IL-6 Elevato TNF-α Elevata proteina C-reattiva
Elevata IL-6
Vaginosi batterica Elevata IL-6 Elevata ferritina Elevata fibronectina fetale
Elevato G-CSF Elevata ferritina
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Prima delle 20 settimane di gestazione, la vaginosi batterica, alte concentrazioni di fibronectina nelle secrezioni vaginali ed elevati livelli ematici di G-CSF sono associati con infezioni croniche. Subito dopo le 20 settimane di gestazione, nelle donne non in travaglio, elevate concentrazioni cervico-vaginali di fibronectina, una cervice raccorciata, alte concentrazioni di alcune citochine nelle secrezioni vaginali, alte concentrazioni di G-CSF e ferritina sieriche sono associate con un incremento del rischio di parto pretermine. Il travaglio pretermine tra 20 e 28 settimane è altamente correlato con l’infezione intrauterina e questa correlazione è ancora più forte nei casi di cervice raccorciata, alte concentrazioni di fibronectina cervicale o vaginale o alte concentrazioni di citochine nel liquido amniotico, nel siero e nelle secrezioni vagino-cervicali. Nonostante queste correlazioni nessuno dei predetti markers è risultato utile nello sviluppo di strategie atte a ridurre la prematurità e ritardare il parto tra le donne con o senza i sintomi di travaglio, eccetto quelle gestanti con vaginosi batterica che possono beneficiare della terapia antibiotica.
Fattori predittivi secondari In aggiunta ai fattori predittivi primari, preesistenti alla gravidanza ed utili a determinare il rischio a priori del parto pretermine, sono da considerare i fattori predittivi secondari, che emergono nel corso della gravidanza e permettono una rivalutazione del suddetto rischio. I fattori di rischio primari includono: caratteristiche basali, dati anamnestici, malattie croniche materne, stile di vita o condizioni socio economiche. I marcatori secondari comprendono tutte le patologie insorte in gravidanza capaci di incrementare il rischio di parto pretermine. La prevenzione primaria è stato uno degli obiettivi principali della salute pubblica per molti anni. Lo screening per i segni precoci di travaglio pretermine spontaneo è stato un importante topic nell’ostetricia; la prevenzione secondaria potrebbe utilizzare alcuni marcatori per fornire interventi noti nel ridurre il rischio di parto pretermine. Durante gli ultimi 20 anni, la scoperta della fibronectina fetale (FFN) nelle secrezioni vaginali e l’accorciamento della cervice valutata ecograficamente sono divenuti i principali fattori predittivi secondari del parto pretermine. Altri fattori secondari, che confermano il ruolo dell’infezione intrauterina nella patogenesi del parto pretermine, sono la vaginosi batterica e gli elevati livelli di interleuchine (IL-6, IL-8), della ferritina e del fattore stimolante le colonie di granulociti. Fatta eccezione per la vaginosi batterica, i marcatori infiammatori non sono ancora utilizzati di routine. La sensibilità dei singoli marcatori nel predire il parto preter-
mine è, tuttavia, modesta ed esami periodici, combinazioni di differenti marcatori e multipli markers sono stati studiati con risultati limitati. L’utilizzo di questi marcatori non è raccomandato generalmente per lo screening delle gravidanze a basso rischio, ma è usato principalmente per definire nuovi interventi nelle popolazioni ad alto rischio onde evitare procedure non necessarie nel management di tali pazienti [37]. La fibronectina (FFN) è il principale componente della matrice extracellulare della giunzione coriondeciduale. Spesso è trovata in alte concentrazioni nelle secrezioni vaginali prima delle 20 settimane di gestazione per la mancanza di una completa fusione tra le membrane fetali e la decidua. Generalmente le concentrazioni di fibronectina nelle secrezioni vaginali sono molto basse dopo quest’epoca e rimangono basse prima del termine quando poi cominciano a salire. I livelli di FFN possono essere elevati come conseguenza di un processo patologico coinvolgente la giunzione coriondeciduale come un’infezione, che spesso precede un travaglio pretermine. La FFN è un potente marcatore del parto pretermine tra la 24a e la 34a settimana di gestazione [38, 39]. La sensibilità predittiva media del test prima della 34a settimana nelle pazienti asintomatiche è del 41% con una specificità del 94% [40]. Il tasso di fibronectina aumenta nel caso in cui il parto pretermine si realizzi entro pochi giorni. Per l’outcome della nascita entro sette giorni dal test, la sensibilità e la specificità sono rispettivamente del 63% e 97%. La fibronectina appare, quindi, essere efficace come fattore predittivo a breve termine piuttosto che a lungo termine; ad ogni modo la sensibilità della FFN è troppo bassa per essere efficace come test di screening nelle donne asintomatiche. Altri studi hanno dimostrato che test ripetuti possono incrementare i tassi di sensibilità fino al 78% nel predire il parto pretermine prima della 34a settimana, ma con specificità al di sotto del 54% [37]. Per quanto riguarda la lunghezza della cervice uterina, vi è una relazione diretta col rischio di parto pretermine; il rischio relativo di parto prima della 35a settimana è 14 volte maggiore quando la lunghezza cervicale è minore del 1° percentile e di 9 volte maggiore se è minore del 5° percentile [41]. L’ecografia della cervice, includendo la misura della lunghezza cervicale ed il riscontro dell’orificio uterino dilatato è uno strumento utile nel predire il parto pretermine [37]. Il valore di cut-off ottimale della lunghezza cervicale varia tra 25 e 35 mm nelle donne asintomatiche tra la 20a e la 24a settimana di gestazione [40]. A questi cutoff i valori di sensibilità variano tra 33 e 54% e quelli di specificità tra 73 e 91%. Come per la fibronectina, vi è una bassa sensibilità di questo test. La combinazione dei test con una positività della fibronectina ed un accorciamento della cervice, incrementa enormemente il
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rischio di parto pretermine nelle nullipare con una probabilità di circa il 59% nei casi di epoca gestazionale <35 settimane [42]. Nelle multipare con un precedente travaglio e parto pretermine, entrambi i test possono aiutare nell’accertare il rischio individuale. Se il test della fibronectina è negativo e la cervice è conservata, il rischio di parto pretermine prima della 35a settimana è dell’8,6%; nel caso di positività del test il rischio è del 60% [37]. Poiché l’infezione gioca un ruolo predominante nella patogenesi del parto pretermine, l’utilizzo di markers direttamente correlati all’infezione può aiutare nella diagnosi precoce di travaglio di parto pretermine. Sebbene il ruolo della vaginosi batterica rimanga largamente sconosciuto, spesso essa è associata con un aumentato rischio di parto pretermine tanto da essere riconosciuta come la causa più forte [43]. La vaginosi batterica incrementa il rischio di parto pretermine di 4 volte prima della 20a settimana di gestazione e di 7 volte prima della 16a settimana di gestazione. Altri marcatori che possono essere ricercati nelle secrezioni vaginali e che sono significativamente associati con il parto pretermine sono le interleukine IL-6, IL-8, la ferritina (marcatori non utilizzati di routine) [44, 45]. Se questi markers secondari sono utilizzati per lo screening della popolazione a basso rischio, i tassi di sensibilità e specificità dovrebbero essere alti per evitare i falsi positivi ed i falsi negativi. Sono stati proposti, quindi, test basati sulla combinazioni di markers indipendenti (FFN, lunghezza della cervice, alfafetoproteina, difensine e fattore stimolante le colonie di granulociti) eseguiti a 24 settimane per predire il parto prima della 32a settimana di gestazione [46]. L’utilizzo di markers secondari nella popolazione generale è giustificato solo se sono disponibili interventi che riducono il rischio di parto pretermine nei soggetti ad alto rischio. Test negativi possono rassicurare ed evitare eventuali interventi inutili, mentre test positivi possono incrementare il livello clinico di attenzione. L’utilizzo di questi markers non è giustificato nella popolazione a basso rischio. I fattori predittivi secondari possono essere utilizzati per disegnare nuovi interventi specifici per le popolazioni ad alto rischio.
DIAGNOSI DI PARTO PRETERMINE L’inizio del travaglio può essere determinato da contrazioni uterine documentate (almeno una ogni 10 minuti) e rottura delle membrane fetali o modificazioni cervicali accertate, con lunghezza stimata inferiore ad 1 cm, o dilatazione cervicale maggiore di 2 cm. La minaccia di travaglio prematuro si associa a contrazioni documentate in assenza di modificazioni cervicali.
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Nonostante l’esistenza di criteri diagnostici ben definiti, spesso si fa diagnosi di parto pretermine prima di soddisfare tutti i criteri. Secondo diversi autori, la diagnosi di travaglio prematuro, effettuata dalla gestante stessa sulla base della percezione delle contrazioni, è inesatta fino all’80% dei casi [47]. Nel 33% dei casi le donne possono essere dimesse con sicurezza dopo 48 h e, di esse, solo il 20% circa necessita di terapia tocolitica [48]. Il management clinico del travaglio pretermine è basato su un attento accertamento del rischio per la madre o per il feto di continuare la gravidanza rispetto al parto. La valutazione del possibile travaglio pretermine inizia con la ricerca delle cause sottostanti e un accertamento del benessere fetale. Le cause del parto pretermine possono anche determinare una compromissione fetale (quando un travaglio pretermine si accompagna ad oligoanidramnios o a distacco di placenta). La decisione di prolungare la gravidanza rende necessario da parte dell’ostetrico l’accertamento del benessere fetale e l’assicurazione che la crescita del feto e la sua maturità continueranno in un ambiente sicuro. Il parto pretermine associato ad infezioni o ischemia può determinare più facilmente morbilità perinatale rispetto al parto pretermine sine causa [49]. Ribadiamo che la diagnosi di parto pretermine è tradizionalmente effettuata quando le contrazioni uterine si accompagnano a dilatazione e/o raccorciamento cervicale [48]. Tra i sintomi riferiti dalle gestanti si ricordano la pressione pelvica, un incremento delle secrezioni vaginali, crampi simil mestruali. I sintomi ed i segni di un travaglio pretermine si riscontrano spesso anche in una gravidanza normale e la valutazione manuale della cervice è imprecisa fino a che non si ha una dilatazione evidente [50]. Nelle gestanti sintomatiche, segni clinici del parto pretermine sono: la dilatazione della cervice maggiore di 2 cm e/o raccorciamento della cervice dell’80% o più, sanguinamento vaginale, rottura delle membrane [51]. Considerate da sole come criterio di diagnosi, una frequenza di quattro o più contrazioni in un’ora ha una bassa sensibilità ed un basso valore di predittività positiva per un parto pretermine entro 7-14 giorni dalla loro insorgenza [52]. L’ecografia transvaginale della cervice con la sua misurazione e la presenza della fibronectina fetale nei fluidi cervico-vaginali sono stati studiati come metodi per migliorare l’accuratezza della diagnosi del travaglio pretermine. L’ecografia transvaginale fornisce immagini accurate nel 95% dei casi; l’accuratezza della diagnosi è migliorata con questa tecnica se confrontata alla valutazione manuale [53, 54]. Una lunghezza cervicale di 30 mm o più ha un valore predittivo negativo molto alto di parto pretermine negli studi di donne sintomatiche [40].
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Criteri per la riproducibilità dell’esame includono un orifizio interno piano o triangolare, la visione dell’intero canale cervicale, un’immagine simmetrica dell’orifizio esterno ed un ugual distanza dal canale cervicale ai margini anteriore e posteriore della cervice [55]. Il test della fibronectina fetale può essere utilizzato per migliorare l’accuratezza della diagnosi; un test positivo in una gravida con contrazioni e dilatazione cervicale <3 cm ha una buona sensibilità (90%) ed un valore predittivo negativo del 97% per il parto entro 7-14 giorni rispetto ai marcatori standard; il valore di predittività positiva è del 20% [40, 52-56]. Si tratta dunque di un buon test per escludere piuttosto che per effettuare la diagnosi. Raccorciamento cervicale dell’80% o più, dilatazione cervicale maggiore di 2 cm, lunghezza della cervice <30 mm all’ecografia transvaginale, o un test positivo per la fibronectina dovrebbero essere documentati prima di porre la diagnosi di parto pretermine. In una paziente con contrazioni uterine in cui non vengono soddisfatti questi criteri, non può essere posta. L’osservazione di contrazioni frequenti durante una visita non è sufficiente per iniziare un trattamento in assenza di altri segni o sintomi.
MANAGEMENT DEL PARTO PRETERMINE Il management del parto prematuro non trova ancora un comportamento univoco in tutti i centri, anzi è probabilmente una delle complicanze ostetriche per le quali gli approcci sono assolutamente “soggettivi” e molto spesso empirici. Il motivo di tanta e tale eterogeneità comportamentale è primariamente imputabile all’eterogeneità delle cause che pertanto richiedono diversi approcci terapeutici e rendono difficile ogni tipo di confronto. In secondo luogo, c’è la difficoltà di porre una corretta diagnosi e conseguentemente l’overtreatment di condizioni non realmente associate a parto prematuro che inficiano i risultati dell’evidence based medicine. Quindi prima di decidere il tipo di terapia tocolitica da utilizzare è assolutamente necessario chiarire la diagnosi e valutare la presenza di fattori materni o fetali che potrebbero rappresentare delle controindicazioni assolute o relative all’uso della tocolisi (Tabella 26.3). Alla gestante a rischio di parto prematuro va consigliato il riposo assoluto, in decubito laterale sinistro e va istituito monitoraggio cardiotocografico. In caso di minaccia di parto prematuro a membrane integre può essere utile la valutazione cervicale nel tempo per stabilire la reale necessità di terapia tocolitica; al contrario valutazioni cervicali ripetute sono assolutamente da evitare nel caso di rottura prematura delle membrane.
Tabella 26.3. Controindicazioni assolute e relative per l’uso della tocolisi nell’inibizione del parto prematuro Controindicazioni assolute Severa ipertensione indotta dalla gravidanza Completo distacco intempestivo di placenta normalmente inserita Severo sanguinamento da cause varie Corionamniotite Morte fetale Malformazioni fetali incompatibili con la vita extrauterina Severo ritardo di crescita in epoca prenatale Controindicazioni relative Ipertensione cronica moderata Parziale (lieve) distacco intempestivo di placenta normalmente inserita Cardiopatia materna Placenta previa complicata da sanguinamento Ipertiroidismo Diabete mellito scompensato Distress fetale Malformazioni fetali Lieve ritardo di crescita intrauterino Dilatazione cervicale >5 cm
Essendo molto frequente l’associazione di parto prematuro ed infezioni del tratto urinario, è indicato praticare l’esame delle urine nonché l’urinocoltura ed iniziare eventualmente terapia antibiotica mirata. Meno chiaro invece è il ruolo delle infezioni vaginali nel timing del parto prematuro e quindi rimane incerta la necessità di eseguire il tampone vaginale per la ricerca di eventuali infezioni concomitanti, eccetto la ricerca dello Streptococcus agalactiae che va sempre attuata. Il parto prematuro può comunque evolvere o perché la terapia tocolitica non è stata utilizzata per la presenza di controindicazioni oppure perché non ha sortito l’effetto desiderato o perché ha agito per un tempo insufficiente. In tali circostanze l’attenzione del medico dovrà essere rivolta a stabilire la necessità di praticare terapie aggiuntive nonché la modalità ed il luogo migliore per l’espletamento del parto. Il prolungamento della gravidanza anche solo di pochi giorni ha come obiettivo primario quello di consentire la somministrazione dei glucocorticoidi per l’induzione della maturità polmonare e per ridurre i rischi di distress respiratorio, morte neonatale, emorragia intraventricolare (IVH). Il farmaco comunemente utilizzato per questo scopo è il betametasone (2 dosi di 12 mg im a distanza di 24 ore o di 12 ore in caso di parto imminente) il cui uso si associa a ridotta variabilità al tracciato cardiotocografico nonché a ridotti movimenti fetali attivi [57]. Per quel che riguarda la sede del parto, è auspicabile la nascita in un centro dotato di terapia intensiva neonatale per ga-
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rantire maggiori chance di sopravvivenza al neonato, nonché ridotta morbidità a breve e lungo termine [58]. Circa le modalità del parto mancano dati definitivi essendo contrastanti i risultati degli studi che confrontano i vantaggi ed rischi fetali tra taglio cesareo e parto spontaneo. Quindi la modalità del parto andrà valutata di caso in caso.
TERAPIA DEL PARTO PRETERMINE Profilassi antibiotica In molti casi di parto prematuro, il momento eziopatogenetico principale è un evento infettivo; per questo motivo nel corso degli anni sono stati portati a termine alcuni trials che vedevano associati l’uso di antibiotici alla terapia tocolitica nel trattamento delle gravide con minaccia di parto prematuro e membrane intatte o con rottura prematura delle membrane (PROM). Il maggior problema che si riscontra nel paragonare i risultati degli studi condotti sull’argomento è dato dal fatto che sono stati utilizzati sempre differenti criteri diagnostici e differenti parametri in termini di outcome, inoltre sono stati impiegati diversi tipi di antibiotici.Anche quando è stato utilizzato lo stesso principio attivo i dosaggi erano diversi. Come esito di tutte queste varianti e variabili ne derivano grande eterogeneità e discordanza di risultati. In particolare gli studi che hanno mostrato dei benefici, sono stati criticati per una scarsa metodologia scientifica, per la ristrettezza del campione o per aver ottenuto risultati favorevoli solo in sottoanalisi del campione principale.Al contrario gli studi con esito negativo sono stati criticati per la metodologia usata nella valutazione della flora vaginale, per aver escluso gruppi più o meno ampi di donne per ragioni giudicate non valide nonché per il ritardo terapeutico. Nel più recente ed ampio trial randomizzato sull’argomento (ORACLE II) sono state esaminate 6.295 donne con diagnosi di parto prematuro a membrane integre, trattate con amoxicillina più acido clavulanico, eritromicina, entrambe o placebo [59]. I risultati non hanno dimostrato differenze statisticamente significative tra i quattro bracci dello studio in riferimento all’outcome primario, inteso come mortalità e morbilità neonatale. Una Cochrane Systematic Review ha avuto come oggetto quello di verificare l’effetto della terapia antibiotica profilattica in donne con minaccia di parto prematuro e membrane integre di età gestazionale tra 20 e 36 settimane, in termini di outcome materno e fetale. La review, pubblicata nel 2000, è stata aggiornata nel 2002 così da includere i risultati dell’“ORACLE II”. Questa meta-analisi di 11 trials per un totale di 7428 donne dimostra una riduzione delle infezioni materne, ma sen-
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za benefici o danni in termini di outcome neonatale. Gli autori concludono che non ci sono evidenze inconfutabili di benefici fetali secondari all’assunzione della profilassi antibiotica in gravidanza, ma che invece esistono dei possibili effetti collaterali con incremento della mortalità neonatale nei casi trattati. Tutto ciò premesso, il trattamento antibiotico non può essere raccomandato nella pratica clinica del parto prematuro a membrane integre [60]. Un discorso a parte merita la profilassi per le infezioni da streptococco del gruppo B, questa infatti è sempre raccomandata nelle donne con parto prematuro prima delle 37 settimane con esito positivo o incerto del tampone [61].
Tocolisi Lo scopo primario degli agenti tocolitici (Tabella 26.4) è di ritardare il parto così da consentire la somministrazione di un ciclo completo di glucocorticoidi per l’induzione della maturità polmonare, per ridurre l’incidenza e la severità della sindrome da distress respiratorio e per praticare il trasferimento fetale in utero verso un centro dotato del reparto di terapia intensiva neonatale. L’effetto secondario di queste misure preventive è naturalmente quello di ritardare l’espletamento del parto in modo da ridurre la mortalità e la morbilità associati alla prematurità. Non ci sono evidenze scientifiche che giustifichino l’uso di sedativi o narcotici nel parto prematuro se non al fine di ridurre l’ansia materna. Anche l’idratazione venosa rispetto al bed rest ed il bed rest stesso non mostrano vantaggi nei casi di parto prematuro [62, 63]. Gli agenti farmacologici usati con funzione tocolitica sono: – solfato di magnesio; – inibitori della sintesi delle prostaglandine; – calcioantagonisti; – agonisti beta-adrenergici; – donatori di ossido nitrico; – antagonisti dei recettori dell’ossitocina.
Solfato di magnesio Il solfato di magnesio è ampiamente usato in alcuni centri per il trattamento della eclampsia, ma nelle ultime decadi è stato suggerito il suo uso anche come agente tocolitico; tuttavia al momento non può essere considerato tale in senso stretto e pertanto il suo uso per questo scopo non è consigliabile.
Inibitori della sintesi delle prostaglandine Le prostanglandine rivestono un ruolo cruciale nel meccanismo del parto fisiologico, pertanto gli inibi-
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Tabella 26.4. Agenti tocolitici Farmaco
Dose
Effetti fetali/neonatali
Controindicazioni
Solfato di magnesio
4-6 g ev in 20 min, terapia di mantenimento di 1-4 g/h per circa 12 ore
Riduzione del punteggio Apgar, effetto depressivo sul neonato,riduzioni della massa ossea
Associazione con glucorticoidi,ritodrina
Inibitori della sintesi delle prostaglandine (indometacina)
Dose di attacco rettale di 50 mg o 50-100 mg orale,dosi di mantenimento di 25-50 mg per os ogni 6 h per max 48 h
Vertigini,cefalea, disturbi gastrointestinali, depressione,psicosi
Chiusura in utero del dotto arterioso, ipertensione polmonare, emorragia intraventricolare, oligoamnios
Insufficienza epatica o renale,difetti della coagulazione o ulcera peptica
Dose di attacco 10 mg orali, dose di mantenimento 10-20 mg ogni 4-6 h
Vampate,nausea, cefalea,tachicardia transitoria, ipotensione,lieve incremento glicemia, epatotossicità
Fetal distress,morte fetale improvvisa
Solfato di magnesio Cardiopatia o severa ipotensione materna, cautela nella insufficienza renale
Agonisti beta-adrenergici
Ritodrina ev a 0,05-0,10 mg/min con incrementi progressivi di 0,05 mg/min ogni ogni 10-30 minuti fino al massimo 0,350 mg/min
Palpitazioni,nausea, cefalea,dolore toracico,edema polmonare, iperglicemia,vomito, stato di agitazione, ileo paralitico,prurito, aritmia,ischemia cardiaca
Tachicardia, iperinsulinemia, iperglicemia fetale, ipoglicemia neonatale, ipocalcemia, ipotensione,ipertrofia miocardica,ischemia del miocardio,ileo paralitico
Cardiopatia,aritmia, patologia tiroidea mal compensata, diabete mellito
Antagonisti dell’ossitocina (atosiban)
Trattamento a 3 step dose max 330 mg per max 48 h
Nausea
Inibitori dei canali del calcio (nifedipina)
Effetti materni Arrossamenti, vampate di calore, cefalee,nistagmo, nausea,vertigini, secchezza delle fauci, letargia,visione sfocata,diplopia, reazioni orticarioidi, osteoporosi,riduzioni della massa ossea, edema polmonare
tori della sintesi della ciclossigenasi (COX) (indometacina, naproxene, ketoprofene), l’enzima necessario per la conversione dell’acido arachidonico in prostanglandine, sono stati valutati per la loro efficacia tocolitica. In particolare l’indometacina, un inibitore non selettivo della COX, è stato sottoposto a trials randomizzati sia verso placebo, mostrando la capacità di ritardare il parto per più di 48 ore [64], che verso gli agenti beta-mimetici, con un effetto tocolitico sovrapponibile, ma con minori effetti collaterali materni [65]. Infatti l’indometacina è raramente gravata da
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effetti avversi materni, che sono limitati a vertigini, cefalea, disturbi gastrointestinali, depressione, psicosi e che si manifestano solo in caso di trattamenti prolungati. Tuttavia l’uso di questa categoria di farmaci è controindicata nelle donne con insufficienza epatica o renale, difetti della coagulazione o ulcera peptica. Di maggior rilievo invece sono i potenziali effetti collaterali sul feto. L’indometacina, sia dopo assunzione orale che rettale, attraversa velocemente la placenta con possibili effetti nocivi per il feto che includono la chiusura in utero del dotto arterioso, l’ipertensione
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polmonare, l’emorragia intraventricolare, l’oligoamnios. La chiusura del dotto arterioso è mediata negli animali dalla COX-1; poiché l’indometacina ha un effetto inibitorio non selettivo sia su COX-1 che su COX2, è capace di indurre un restringimento del dotto in misura variabile a seconda dell’epoca gestazionale, essendo maggiore in epoche avanzate e minore in epoche precoci. Tale processo è però reversibile entro 24 ore dalla sospensione della terapia. Queste osservazioni, quindi, suggeriscono che la terapia tocolitica con indometacina sia riservata ai casi in cui il travaglio di parto pretermine insorga prima delle 32 settimane e per una durata non superiore alle 48 ore; in caso di trattamenti di durata superiore (48-72 ore) è opportuno praticare un monitoraggio ecocardiografico fetale [66]. Risultati divergenti sono riportati per altri effetti collaterali fetali quali emorragia intraventricolare e l’enterocolite necrotizzante [67] nei feti di madri trattate prima con altri agenti tocolitici, specie magnesio solfato [68], e successivamente con indometacina. Un altro effetto sulla gravidanza è lo sviluppo di oligoidramnios secondario alla riduzione della produzione urinaria fetale. Questo evento, non molto frequente (circa il 10% dei casi trattati), giustifica l’uso dell’indometacina nelle gravidanze complicate da polidramnios sintomatico [69]. La modalità di somministrazione prevede una dose di attacco orale con 50-100 mg oppure rettale con 50 mg, seguita da dosi di 25-50 mg per os ogni 6 h. Come già anticipato, il trattamento deve essere limitato alle gravide con epoca di gestazione inferiore a 32 settimane, con liquido amniotico e crescita fetale regolare, per non oltre 48-72 ore. In caso di trattamenti di durata superiore a quelli indicati, il follow-up fetale deve includere la valutazione della quantità di liquido amniotico nonché della pervietà del dotto arterioso.
Calcioantagonisti Dato il ruolo cruciale che svolge il calcio nel meccanismo di contrazione delle miocellule lisce, l’attenzione è stata volta a quei farmaci, come la nifedipina e la nicardipina, che inibiscono l’ingresso intracitoplasmatico del calcio con riduzione dell’attività miometriale. L’efficacia di questa classe di farmaci, specie della nifedipina, è stata valutata paragonandola alla ritodrina. Tanto gli studi descrittivi quanto una metanalisi di 13 trials ha dimostrato che la nifedipina ha una maggiore capacità di ritardare il parto di 48 h rispetto alla ritodrina, ma con minori effetti collaterali [70]. Gli effetti secondari materni che consistono in vampate, nausea, cefalea, tachicardia transitoria ed ipotensione, sono tutti conseguenti alla vasodilatazione sistemica. Effetti collaterali meno frequenti sono il lieve incremento della glicemia e sporadici casi di epatotossicità. L’associazione con il solfato di magnesio andrebbe sempre evitata perché sono stati riportati casi
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di ipocalcemia sintomatica, paralisi neuromuscolare, tossicità cardiaca fino a morte materna [57]. In definitiva, comunque, il paragone degli effetti collaterali materni tra i beta-adrenergici e gli inibitori dei canali del calcio rivela per questi ultimi una minore tossicità, senza quindi necessità di interruzione del trattamento [70]. Gli effetti sul feto dei calcioantagonisti non sono ancora completamente noti anche se studi osservazionali non hanno dimostrato né una riduzione della perfusione placentare [71] né una riduzione del punteggio Apgar o del pH alla nascita [72]. Tuttavia i risultati di recenti reviews suggeriscono che le informazioni circa la sicurezza della nicardipina o della nifedipina sono ancora incomplete e che, quindi, massima attenzione deve essere posta prima del loro utilizzo in considerazione di alcuni seri eventi cardiovascolari e polmonari materni, tanto che l’uso della nifedipina è da considerarsi sperimentale. Gli inibitori dei canali del calcio vengono somministrati per os a 10 mg come dose di attacco, seguiti da altri 10 mg dopo 20 minuti ed, in caso di persistenza dell’attività contrattile, da altri 10 mg dopo 20 minuti. La dose di mantenimento è di 10-20 mg ogni 4-6 ore. Per quel che riguarda la durata non è stata ancora stabilita una lunghezza massima del trattamento.
Agonisti beta-adrenergici Sono tra gli agenti terapeutici di più largo impiego in cui l’effetto miorilassante è dato dall’azione agonista sui recettori uterini di tipo β2-adrenergici. Nonostante esistano diverse forme di agenti beta adrenergici, non sono state riscontrate differenze significative nella loro efficacia clinica. Il loro uso si è dimostrato capace di ritardare il parto di 3-7 giorni se impiegati per via infusiva senza però chiari benefici per il feto [72]. Al contrario la somministrazione orale degli stessi agenti non si è dimostrata efficace né a breve né a lungo termine per la prevenzione o per il trattamento del parto prematuro. Tra i vari agenti tocolitici, gli agonisti beta-adrenergici sono sicuramente quelli gravati da maggiori effetti collaterali per la mancanza di selettività della loro azione e per l’ampia diffusione sistemica dei recettori beta adrenergici (β1 e β2). In particolare tra gli effetti più frequenti che richiedono l’interruzione della terapia nel 7-10% dei casi ci sono quelli cardiovascolari. Essi consistono in palpitazioni (68% nelle donne trattate con agonisti beta-adrenergici vs 5% placebo), nausea (20% vs 12%), cefalea (23% vs 6%), dolore toracico (10% vs 1%) [73]. Altri effetti cardiovascolari più gravi, ma fortunatamente rari, includono aritmie, tachicardia (se molto grave con frequenza >120-130 battiti al minuto, la tachicardia può complicarsi con ischemia cardiaca fino alla morte in donne con patologie cardiache o miocarditi preesistenti). Comunque la più temuta complicanza secondaria all’uso
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
dei farmaci beta-adrenergici è senza dubbio l’edema polmonare. Tale evento, generalmente reversibile se prontamente riconosciuto, è stato riportato con una frequenza di un caso su 850 donne (1/425 donne trattate con beta-agonista vs 0/427 trattate con placebo) in una systematic review. Fattori di rischio sono gravidanze multiple (50% dei casi riportati), persistente tachicardia materna (>130 battiti/minuto), anemia severa (<9 g/dl) o infezioni materne. Altri effetti collaterali materni sono quelli metabolici con l’innalzamento dei valori glicemici fino al rischio di chetoacidosi nelle donne con diabete insulino dipendente o l’ipocalcemia transitoria (ritorno ai valori normali in 24 ore). Più rari e sicuramente meno pericolosi sono la nausea, il vomito, lo stato d’agitazione, l’ileo paralitico ed il prurito. Sebbene i componenti di questa classe di farmaci attraversino la placenta, non sono stati osservati effetti collaterali fetali né a breve né a lungo termine [74]. Le vie di somministrazione sono: la via endovenosa, quella intramuscolare, la sottocutanea ed anche quella orale. Generalmente lo schema terapeutico prevede la somministrazione di ritodrina ev a 0,05-0,10 mg/min con incrementi progressivi di 0,05 mg/min ogni 10-30 minuti fino al massimo di 0,350 mg/min; oppure di terbutalina ev prima a 0,01 mg/min con l’incremento di 0,01 mg/min ogni 10-30 minuti fino al massimo di 0,08 mg/min. Durante l’infusione sono previste misure di sostegno che consistono nel mantenere la posizione sul fianco per evitare episodi d’ipotensione, la restrizione di liquidi a 1500-2500 ml, l’auscultazione polmonare ogni 4-8 ore nelle prime fasi dell’infusione per riconoscere i segni di edema polmonare precoce. La velocità d’infusione va, inoltre, valutata in rapporto alla frequenza cardiaca materna (sempre <130 battiti al minuto) ed alla pressione sistolica materna (sempre >80-90 mmHg).
Mancano evidenze che giustifichino la terapia di mantenimento per via orale.
Antagonisti dell’ossitocina (atosiban) L’atosiban è l’unica vera innovazione nel campo della tocolisi essendo altamente specifico e quindi non gravato da effetti collaterali materni. Tuttavia questo costoso trattamento a 3-steps deve essere usato per una durata che non supera le 48 ore e per una dose totale che non supera i 330 mg (vedi Capitolo 29). L’unico effetto collaterale materno riportato in associazione con l’uso di atosiban è stata la nausea (11% delle donne con atosiban vs 4% con placebo), non risulta invece essere aumentata l’incidenza di vomito (3% vs 4%) o cefalea (5% vs 7%), dolore toracico (1% vs 4%) o dispnea (0,4% vs 3%) [75, 76].
Donatori di ossido nitrico La glicerina trinitrato è il farmaco maggiormente studiato a tale scopo. Sebbene fino a questo momento non siano stati riscontrati gravi effetti collaterali associati al suo impiego, i risultati ottenuti finora sono assolutamente insufficienti ed il suo uso è quindi solo di tipo sperimentale. Dopo il trattamento acuto della minaccia di parto prematuro appare ragionevole istituire una terapia di mantenimento. Tuttavia dai risultati di alcune reviews condotte sull’argomento non sono emerse sufficienti evidenze che la somministrazione orale di agonisti beta-adrenergici [77], o di solfato di magnesio [78] o la somministrazione sottocutanea di atosiban [79] o di varie terapie [80] di mantenimento riescano a prevenire il parto prematuro. Non essendo disponibili, quindi, dati sufficienti per stabilire conclusioni definitive sull’argomento, la terapia di mantenimento non può essere raccomandata nella pratica clinica di routine.
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CAPITOLO 27
Restrizione della crescita fetale A.L. Borrelli • P. Borrelli
DEFINIZIONE E CLASSIFICAZIONE La restrizione della crescita fetale (Fetal Growth Restriction, FGR, o Intrauterine Growth Retardation, IUGR) complica il 5-10% delle gravidanze e costituisce ancor’oggi uno dei problemi più complessi dell’ostetricia moderna per l’elevata mortalità e morbilità perinatale cui si associa [1]. I nati IUGR, infatti, oltre ad un basso Apgar score, presentano maggiore incidenza di sindrome da distress respiratorio (RDS) e da aspirazione di meconio e frequentemente vanno incontro ad asfissia e a crisi ipoglicemiche; non rari sono anche gli esiti tardivi con difficoltà di apprendimento e problemi comportamentali in età scolare [2]. La WHO (World Health Organization) definiva “basso peso alla nascita” un peso <2.550 g e “peso molto basso alla nascita” un peso <1.550 g. Successivamente, tenendo conto non solo del peso alla nascita, ma anche dell’età gestazionale, i neonati di basso peso sono stati distinti in: – AGA (Appropriated Gestational Age) e cioè i prematuri di peso appropriato per l’età gestazionale; – SGA (Small Gestational Age) e cioè i neonati di peso <10° percentile della curva di riferimento per l’età gestazionale. Questa classificazione basata sull’età gestazionale e sul peso alla nascita, non tiene nel giusto conto aspetti importanti dell’accrescimento fetale (dimensioni dei vari segmenti corporei, rapporti tra lunghezza e peso) e soprattutto trascura di seguire longitudinalmente l’accrescimento fetale nelle varie epoche gestazionali. Valutazioni ecografiche che, in relazione ad una corretta datazione della gravidanza effettuata nel primo trimestre, tengano conto delle curve di accrescimento dei vari segmenti corporei con particolare riguardo a quelle della testa e dell’addome fetale, hanno permesso di distinguere due tipi di restrizione della crescita fetale:
quello di tipo 1 (late flattening) o asimmetrico presente nei 2/3 di IUGR in cui la circonferenza cranica aumenta normalmente fin quasi a termine di gravidanza, mentre quella addominale permane ridotta e quello di tipo 2 (low-profile) o simmetrico nel quale l’incremento della circonferenza cranica, come quella addominale risultano inferiori alla norma già in epoca gestazionale precoce, con curve di accrescimento sia della testa che dell’addome fetale contemporaneamente ridotte. La circonferenza addominale (CA), che meglio riflette lo stato di nutrizione fetale, in combinazione con la circonferenza cranica (CC), il diametro biparietale (BPD) e la lunghezza del femore (FL) sono attualmente i parametri ecografici adottati dalla maggior parte degli autori per l’identificazione dell’FGR. Si è quindi sostituito il dato del peso con un nuovo strumento più preciso e scientificamente più corretto che è la biometria ecografica. Per neonati IUGR intendiamo,quindi,quei neonati che hanno un peso <10° percentile e che hanno manifestato in utero, nel corso di osservazioni longitudinali seriate (curve di accrescimento), un rallentamento del loro potenziale di crescita con valori della CA<2 DS o <10° percentile della curva biometria di riferimento adottata.Un’osservazione continua nel tempo, che tenga conto della fisiopatologia dell’accrescimento fetale,consente anche di differenziare il feto IUGR asimmetrico da quello simmetrico e cioè costituzionalmente e geneticamente piccolo.
EZIOLOGIA Le cause dell’iposviluppo di tipo simmetrico sono molteplici: 1. fattori genetici (genitori di piccola taglia). 2. Anomalie cromosomiche (trisomie, delezioni, anomalie dei cromosomi sessuali). 3. Sindromi su base genetica (osteogenesi imperfetta, fenilchetonuria, ecc.).
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
4. Infezioni intrauterine (malattie del complesso TORCH, sifilide,epatiti, ecc.). 5. Anomalie congenite (microcefalia, anomalie multiple, ecc.). 6. Malattie ipossiche materne (cardiopatie cianogene, malattie polmonari croniche). 7. Malattie croniche severe (insufficienza renale cronica, ecc.). 8. Anomale abitudini (cattiva nutrizione, alcool, tabacco, droghe, ecc.). 9. Terapie materne (antimetaboliti, alchilanti, ecc.). Il ritardo di crescita o iposviluppo di tipo asimmetrico è invece essenzialmente legato ad insufficienza placentare dovuta a: 1. placentazione inadeguata o anomala. 2. Ipertensione indotta dalla gravidanza (PIH). 3. Ipertensione cronica. 4. Gravi alterazioni vascolari placentari da diabete mellito pregestazionale (classi D-F-R della classificazione della White). 5. Emorragie del terzo trimestre (placenta previa, distacco intempestivo di placenta normalmente inserta). 6. Gravidanza multipla (sindrome da trasfusione fetofetale). 7. Anomalie placentari (inserzioni anomale, emangiomi, ecc.).
FISIOPATOLOGIA Nella genesi dell’insufficienza placentare notevole importanza è stata attribuita alla placentazione inadeguata. In condizioni normali il processo della placentazione si realizza attraverso due successive ondate di infiltrazione trofoblastica nei tessuti uterini: la prima intorno all’8a settimana di amenorrea, interessa in modo particolare la porzione deciduale delle arterie spirali e la seconda che inizia nella 15a settimana circa e si completa entro la 20a-22a settimana, interessa la giunzione miometrio-deciduale e la porzione miometriale delle arterie spirali che risultano, alla fine del predetto processo, profondamente alterate nella loro struttura. Le cellule trofoblastiche, infatti, si sostituiscono inizialmente all’endotelio e successivamente determinano la distruzione della lamina elastica e della tonaca media muscolare delle predette arterie. Questo processo che si completa, come già detto, entro la 22a settimana, induce profonde alterazioni della circolazione uterina: le arterie spirali, divenute ectasiche ed anelastiche, determinano l’insorgenza di un sistema vascolare a basse resistenze che garantisce un flusso ematico ottimale negli spazi intervillosi (vedi Capitolo 22).
Una anomala placentazione, espressione di una alterata interazione tra trofoblasto e tessuti materni, si risolve dal punto di vista emodinamico nella mancata caduta delle resistenze vascolari a livello placentare il che predispone alla formazione di trombi arteriosi e quindi all’insufficienza placentare cui spesso consegue ipertensione gestazionale e IUGR (vedi Capitolo 17). Realizzatosi il danno placentare si verifica non solo un’alterazione degli scambi metabolici con ridotto apporto di nutrienti al feto onde malnutrizione cronica, ma anche una riduzione di quelli gassosi con diminuzione del passaggio di O2 al feto. Lo stato ipossico determina inizialmente una condizione di acidosi respiratoria alla quale si somma, in breve tempo, anche un’acidosi metabolica secondaria all’accumulo, in circolo, di acido lattico e piruvico provenienti dall’instaurarsi di un metabolismo prevalentemente anaerobico per la carenza di O2. Tutto ciò innesca una serie di fenomeni di compenso emodinamico. Innanzitutto si ha aumento del flusso venoso ombelicale destinato al dotto venoso (DV) e quindi alla cava inferiore con carenza dell’apporto epatico e quindi ridotta crescita del predetto organo evidenziata, poi, dalla riduzione della circonferenza addominale (CA). Nello stesso tempo si determinano ulteriori meccanismi di compenso con vasodilatazione cerebrale e miocardica e vasocostrizione muscolare e degli organi periferici; si realizza in tal modo la centralizzazione del circolo il cosiddetto brain-sparing. Un ulteriore peggioramento degli scambi placentari determina un aggravamento della acidosi metabolica. Valori del pH ematico fetale <7,20 si associano generalmente ad insufficienza miocardica responsabile, in tempi brevi, della morte endouterina del feto.
DIAGNOSI Datazione della gravidanza Per porre la diagnosi di ritardo di crescita è necessaria una precisa e corretta datazione della gravidanza da effettuarsi nel primo trimestre. Tra la 7a e la 12a settimana la misurazione della distanza vertice sacro o CRL (Crown Rump Lenght) costituisce la metodica più usata per determinare l’età gestazionale. Successivamente, per la flessione del rachide fetale, la determinazione del CRL non è più affidabile; tra la 12a e la 24a settimana sono invece più attendibili per la datazione della gravidanza, la misurazione della lunghezza del femore (FL), del diametro biparietale (BPD) e del diametro traverso cerebellare, essendo la variabilità biologica di questi parametri minima entro tale epoca di gravidanza.
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Ecografia Stabilita con certezza l’età gestazionale, la diagnosi di IUGR si pone essenzialmente in base a dati ecografici. Mediante determinazioni seriate dei vari parametri biometrici (curve di crescita), è possibile evidenziare eventuali discrepanze tra biometria osservata e quella attesa per una determinata epoca di gravidanza. I parametri biometrici più utilizzati per valutare l’accrescimento fetale e quindi più utili per la diagnosi di IUGR sono i seguenti: – diametro biparietale (BPD) e circonferenza cefalica (CC): la biometria cefalica, isolatamente determinata, è poco predittiva di iposviluppo fetale; – circonferenza addominale (CA): è attualmente il parametro più usato e sensibile per la diagnosi di IUGR perché espressione dello sviluppo epatico e dello spessore del pannicolo adiposo sottocutaneo costantemente ridotti in caso di ritardo di crescita. Poiché la crescita dell’addome fetale, dopo la 15a settimana, ha normalmente un andamento pressoché costante, incrementi inferiori a 10 mm ogni 2 settimane sono espressione di iposviluppo fetale; – lunghezza del femore (FL): questo parametro, singolarmente preso, non è molto attendibile. Rapporti biometrici. Non essendo uniforme l’accrescimento dei vari segmenti corporei fetali, numerosi rapporti tra distretti anatomici diversi possono essere utilizzati per valutare l’andamento dello sviluppo fetale. – Rapporto CC/CA: è il più utilizzato e consente di differenziare lo IUGR simmetrico da quello asimmetrico; dopo la 33a-35a settimana normalmente il rapporto CC/CA è <1, nello IUGR simmetrico può rimanere <1, ma nello IUGR asimmetrico diviene ≥1. – Rapporto FL/CA: inizialmente utilizzato perché rappresentativo del rapporto tra tessuto muscolo-adiposo e lunghezza dello scheletro, questo indice, oggi, non è più usato perché poco sensibile e specifico nell’individuare i feti IUGR.
Liquido amniotico (LA) La riduzione del liquido amniotico si associa frequentemente all’iposviluppo fetale. Nel ritardo di crescita, l’oligoamnios dipende dalla riduzione della minzione fetale secondaria alla diminuzione della perfusione renale che si realizza in condizioni di centralizzazione del circolo (brain sparing). Il riscontro, quindi, di oligoamnios (tasche verticali di LA <2 cm) in assenza di patologia congenita dell’apparato urinario e/o di rottura prematura delle membrane, conferma la diagnosi di sofferenza fetale cronica cui consegue lo IUGR (vedi Capitolo 25).
SCREENING DELLE GRAVIDANZE A RISCHIO DI FGR Una prima valutazione clinica dell’iposviluppo fetale può essere ottenuta determinando la distanza sinfisifondo in relazione alle varie epoche gestazionali. Questa metodica risulta poco attendibile per la scarsa sensibilità (1/3 dei casi di IUGR sfuggono alla diagnosi) e l’alta percentuale di falsi positivi. Nello screening delle gravidanze a rischio di IUGR la doppler-flussimetria riveste, invece, un ruolo molto importante. La caduta dell’impedenza a carico delle arterie spirali, espressione di una normale placentazione e quindi di una normale colonizzazione trofoblastica, può essere facilmente rilevata con il color Doppler pulsato del distretto utero-placentare (vedi Capitolo 22) tra la 22a e la 24a settimana valutando l’RI, il PI e l’eventuale presenza di incisure protodiastoliche (notch). In condizioni normali non si rilevano notch protodiastoloci e la RI delle arterie uterine risulta ≤0,60. Alterazioni velocimetriche delle due arterie uterine con un RI medio ≥0,65 e/o un notch proto-diastolico bilaterale sono da considerarsi reperto anomalo e quindi le gestanti a rischio di gestosi ipertensiva e/o FGR. Detto test va utilizzato soprattutto nelle primigravide e nelle primipare con anamnesi positiva per FGR. Studi recenti [3] hanno evidenziato una maggiore sensibilità del test utilizzando il PI medio delle due arterie uterine determinato per via trans addominale (cutoff≤1,45) e per via trans vaginale (cut-off≤1,65).
TRATTAMENTO Fattori di rischio, quali la malnutrizione, il fumo di sigaretta e l’abuso di droghe sono ampiamente noti e su questi bisogna incidere decisamente a scopo preventivo. In presenza di sindromi trombofiliche l’impiego di eparine a basso peso molecolare appare utile per prevenire trombosi dei vasi placentari che potrebbero determinare o aggravare l’insufficienza placentare cui successivamente consegue la restrizione della crescita fetale. La condotta clinica deve tendere a prolungare la gravidanza in modo da tentare di raggiungere l’epoca di maturità polmonare fetale (>35 settimane) e in ogni caso fino a quando non risulti evidente che l’ambiente intrauterino è divenuto pericoloso e inospitale per il feto IUGR. Questo obiettivo va perseguito sottoponendo il feto ad un monitoraggio costante e utilizzando ogni presidio terapeutico atto a migliorare l’apporto di O2 e di nutrienti al prodotto del concepimento. Riposo a letto e iperossigenazione sono senz’altro utili per migliorare le condizioni emodinamiche materne e l’apporto di O2 al feto. Il decubito possibilmente laterale sinistro tende ad aumentare la gittata car-
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diaca con miglioramento del flusso ematico uterino e della perfusione utero-placentare. L’iperossigenazione indurrebbe, invece, incremento della pO2 a livello dell’arteria ombelicale ed aumento del pH ematico fetale. La decompressione addominale, gli antiaggreganti piastrinici (acido acetilsalicilico1, dipiridamolo, ecc.) [4], i β-mimetici, i donatori di NO (gliceril-trinitrato-GNT) sono stati utilizzati per migliorare il flusso ematico intervilloso e per ridurre le resistenze vascolari materne. Per aumentare l’apporto di nutrienti al feto è stata effettuata terapia infusionale con glucosio e infusioni intra-amniotiche di aminoacidi con risultati, però, non molto confortanti. Per prevenire la gestosi ipertensiva e il ritardo di crescita si è prospettato il trattamento, nelle fasi iniziali della gravidanza, con folati, acidi grassi omega-3 e magnesio.
MONITORAGGIO DELLA RESTRIZIONE DI CRESCITA FETALE Posta la diagnosi di IUGR asimmetrico da insufficienza placentare, l’ostetrico si trova ad affrontare un non semplice dilemma e cioè se espletare il parto prima del termine, allontanando il feto da un ambiente uterino ormai inospitale, ma esponendolo ai rischi della prematurità o attendere che la gravidanza evolva ulteriormente così da evitare i rischi della prematurità, ma esponendolo a quelli dell’ipossia cronica con possibile evoluzione in acidosi. La profilassi della sindrome da distress respiratorio e il miglioramento dell’assistenza neonatale hanno reso più semplici le scelte degli ostetrici. Tuttavia il monitoraggio delle condizioni fetali deve essere intensivo così da individuare tempestivamente i feti IUGR a rischio di acidosi, condizione cui consegue, nella gran parte dei casi, la morte fetale in utero. La doppler flussimetria del versante fetale ha un ruolo importante nell’individuare i feti IUGR a rischio acidotico. Nel gennaio 2000, infatti, l’American College of Obstetricians and Gynecologists (ACOG) ha pubblicato le linee guida [5] per la gestione dei feti IUGR per il cui monitoraggio raccomanda soprattutto la flussimetria dell’arteria ombelicale. L’assenza del flusso diastolico (AED-F, Absent End Diastolic Flow) e l’inversione del flusso (RED-F, Reverse Diastolic Flow) in ombelicale, rappresentano due condizioni associate ad alterazioni di vario grado della funzione placentare con grave sofferenza fetale che talora si conclude con la morte endouterina del feto.
In particolare nei feti IUGR l’AED-F rappresenta uno stato di variabile compromissione fetale; il RED-F rappresenta, invece, sempre una condizione gravissima preagonica, espressione di uno stato acidosico del feto. Il passaggio dall’assenza di flusso diastolico al flusso reverse è, però, generalmente lento e graduale per cui l’assenza del flusso in diastole può durare anche giorni e settimane prima che evolva in flusso reverse. L’AEDF, quindi, pur rappresentando una condizione di pericolo, non richiede l’estrazione immediata del feto che, invece, va effettuata rapidamente in presenza di flusso reverse [6, 7]. È molto importante, quindi, nel management dei feti IUGR, cogliere la fase di passaggio dalla condizione di ipossia cronica, individuata dall’assenza dell’onda diastolica in ombelicale, in cui sono però ancora efficienti i meccanismi emodinamici di compenso (centralizzazione del circolo) a quella gravissima, acidosica e preagonica segnalata dal reverse-flow in ombelicale. Studi recenti [8-10] hanno sottolineato, come alterazioni flussimetriche del distretto venoso e del dotto venoso in particolare (riduzione del picco A durante la contrazione atriale, con aumento del PI e del rapporto S/A) siano espressione di un deterioramento dei meccanismi compensatori dell’ipossia fetale che sta virando verso l’acidosi. Le anomalie flussimetriche del dotto venoso in feti IUGR con AED-F rappresentano, probabilmente, il parametro più sensibile da utilizzare nella scelta del momento ottimale in cui espletare il parto (vedi Capitolo 22).
TIMING E MODALITÀ DI ESPLETAMENTO DEL PARTO Attualmente il protocollo per il management e il timing del parto, in caso di gravidanza con restrizione della crescita fetale di tipo asimmetrico, pur con le ovvie variazioni tra le varie scuole e gruppi di lavoro, prevede: 1. l’invio delle gestanti con feti IUGR presso centri di riferimento per gravidanza ad alto rischio; 2. in caso di onda diastolica ancora presente in ombelicale: monitoraggio biofisico delle condizioni fetali con particolare attenzione alla curva di accrescimento; 3. in caso di flusso assente in ombelicale: profilo biofisico, cardiotocografia, e soprattutto flussimetria del dotto venoso. Il rilievo di anomalie flussimetriche del DV deve indurre all’espletamento del parto in tempi brevi;
1 Per quanto riguarda l’aspirina, il suo impiego a basse dosi (100 mg/die) a partire dalle fasi iniziali della gestazione sembra utile soprattutto nella prevenzione della gestosi ipertensiva.
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4. in caso di flusso reverse in ombelicale, previo consenso informato dei coniugi, estrazione immediata del feto. Per quanto attiene alle modalità del parto, se le condizioni fetali lo consentono (presenza del flusso diastolico in ombelicale, cardiotocografia e liquido amniotico nella norma), è possibile il parto per le vie naturali. È indicato il taglio cesareo elettivo nei feti IUGR con alterazioni cardiotocografiche e/o flussimetriche
in ombelicale (ARED) o con oligoamnios severo. Se è necessario interrompere la gravidanza con restrizione della crescita precocemente (prima della 32a settimana), è da preferirsi il taglio cesareo elettivo. In quest’ultimo caso il parto per le vie naturali può essere consentito, previo consenso informato, o quando la prognosi fetale è particolarmente sfavorevole, o quando le condizioni ostetriche siano decisamente favorevoli (pluripara, cervice matura, ecc.) e lascino prevedere un parto vaginale semplice e rapido.
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Gravidanza ectopica N. Colacurci • P. De Franciscis • C. Scaffa
INTRODUZIONE Per gravidanza ectopica (GE) si intende l’impianto della blastocisti al di fuori della cavità del corpo dell’utero. La gran parte delle gravidanze ectopiche (95-97%) interessano la tuba (GE tubarica) [1], nell’ambito della quale si distinguono localizzazioni ampollari (75%), istmiche (20%), infundibolari (1-5%), interstiziali (1-3%). Le localizzazioni extratubariche assumono un valore particolare in quanto, pur avendo incidenza minima rispetto alla totalità delle gravidanze ectopiche (circa il 3% delle GE), sono a tutt’oggi di insidiosa individuazione ed ostico trattamento e su di loro non possono considerarsi acquisite, come invece per la gravidanza tubarica, una metodologia diagnostica e terapeutica definitive e risolutive [2]. Tra le forme extratubariche, si distinguono localizzazioni addominali (primitiva e secondaria), ovariche, infraligamentarie (gravidanza tra i foglietti del legamento largo dopo iniziale localizzazione tubarica ed erosione della tuba), cornuali (impianto in un corno uterino rudimentale), angolari (impianto a livello dell’angolo tubarico della cavità uterina), istmiche (impianto a livello dell’istmo uterino), cervicali (localizzazione nel canale cervicale) (Fig. 28.1). Quest’ultima, in particolare, è un’evenienza molto rara (1:2.400-1:50.000 gravidanze, meno dell’1% delle gravidanze ectopiche), dall’eziopatogenesi non del tutto chiarita: sono stati chiamati in causa diversi fattori causali (accelerata migrazione dell’ovulo fecondato, inadeguata preparazione dell’endometrio, lesioni traumatiche del canale endocervicale) e numerosi fattori di rischio (precedente dilatazione e curettage, sindrome di Asherman, endometrite da IUD o da PID, IVF, presenza di leiomiomi). Una forma rara, ma che deve essere sempre esclusa, è costituita da una GE associata a gravidanza intrauterina. L’incidenza globale delle gravidanze ectopiche è valutata in circa 1/200 gravidanze. Detta incidenza è in
Fig. 28.1. Principali localizzazioni della gravidanza ectopica.1.Gravidanza tubarica ampollare.2.Gravidanza tubarica istmica.3.Gravidanza tubarica infundibolare.4.Gravidanza interstiziale o angolare.5.Gravidanza ovarica. 6. Gravidanza cervicale. 7. Gravidanza uterina istmica. 8. Gravidanza tubarica istmica in evoluzione.9.Gravidanza addominale
aumento negli ultimi anni, in parte per l’incremento dei fattori di rischio ed in parte per il miglioramento delle tecniche diagnostiche.
GRAVIDANZA ECTOPICA TUBARICA Eziologia I principali fattori di rischio che favoriscono l’annidamento tubarico provocano tutti un’alterazione della normale funzionalità tubarica: malattia infiammatoria pelvica (PID), endometriosi tubarica, malattie sessualmente trasmesse (gonorrea, infezione da Chlamydia), esiti di salpingiti acute e croniche, pregressa sterilità tubarica trattata con terapia medica e/o chirurgica, pregressa gravidanza ectopica, sterilizzazione tubarica soprattutto se
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eseguita con diatermocoagulazione bipolare [2]. Anche l’utilizzo di dispositivi intrauterini e il fumo di sigaretta sono in relazione ad un maggiore rischio di GE tubarica. Le anomalie del processo di migrazione dell’uovo fecondato, che per un rallentato trasporto raggiunge una fase di sviluppo idonea all’annidamento (blastocisti) quando non è ancora pervenuto nella cavità uterina, possono verificarsi anche per alterazioni tubariche congenite, sia anatomiche che funzionali (infantilismo della tuba con scarso sviluppo della muscolatura ed alterazioni della peristalsi tubarica, tube abnormemente lunghe, anomalie dell’apparato ciliare tubarico). Tra le ipotesi patogenetiche va, infine, segnalata quella relativa ad alterazioni dello sviluppo embrionario di natura ancora non ben definita (endocrina, genetica) che accelerando lo sviluppo dell’uovo fecondato rendono possibile l’impianto quando l’embrione si trova ancora nella tuba [1, 3].
Sintomatologia e diagnosi La gravidanza tubarica si interrompe generalmente in una fase precoce (6ª-8ª settimana o al più tardi verso la 13ª-14ª settimana) sia per la impossibilità della parete tubarica ad estendersi e ad adattarsi all’aumento di volume del prodotto del concepimento, sia per l’azione erosiva del trofoblasto che, in assenza di decidua, determina usura della parete tubarica. I quadri clinici che più frequentemente ne derivano sono: la rottura della tuba gravida e l’aborto tubarico preceduti generalmente da un periodo variabile nel quale la gravidanza tubarica è in evoluzione. La rottura della tuba gravida si verifica prevalentemente nella localizzazione istmica e avviene non oltre la 7ª settimana di amenorrea. L’azione erosiva dei villi è tale da scompaginare la tunica muscolare fino alla perforazione completa della parete tubarica. La rottura si accompagna ad emorragia massiva in cavità addominale e quindi nel cavo del Douglas. La sintomatologia è in questi casi eclatante. La paziente avverte un dolore improvviso ed acuto “a colpo di pugnale” in uno dei quadranti inferiori dell’addome. Tale dolore si diffonde rapidamente in tutto l’addome ed è accompagnato da lipotimia e dai segni dello shock emorragico e peritoneale: polso piccolo e frequente, ipotensione acuta, pallore della cute e delle mucose, sudorazione, difesa addominale, blocco della peristalsi intestinale, meteorismo e vomito. All’esplorazione vaginale l’apparato genitale interno non è facilmente apprezzabile per la contrattura addominale. Al contrario è agevole rilevare il segno di Douglas-Proust (fornice posteriore appianato e fortemente dolente alla pressione). L’aborto tubarico è frequente soprattutto nelle loca-
lizzazioni ampollari. Il sanguinamento derivante dallo scollamento deciduale e dall’erosione della parete tubarica si deposita dapprima nel lume tubarico (ematosalpinge) e poi fuoriesce dall’ostio addominale della tuba raccogliendosi a manicotto intorno alla tuba stessa (ematocele peritubarico). Nella gran parte dei casi il sangue confluisce anche nel cavo del Douglas (ematocele retrouterino) ove può prolassarsi la tuba stessa occupando tutto lo spazio retrouterino. La sintomatologia è caratterizzata da dolore intermittente a tipo colica localizzato alla fossa iliaca corrispondente e da scarse, ma continue, perdite ematiche vaginali (emorragia distillante del Pozzi). All’esplorazione vaginale l’utero, con caratteri gravidici, appare di volume aumentato (aumento consensuale) spostato dal lato opposto da una tumescenza monolaterale dolente; è presente il segno di Douglas-Proust. Gravidanza tubarica in evoluzione Le attuali possibilità diagnostiche (ecografia transvaginale, monitoraggio ormonale) consentono spesso la diagnosi precoce di gravidanza tubarica, quando questa patologia è ancora in evoluzione. La sintomatologia rappresentata da ritardo mestruale seguito da spotting vaginale, dolore addominale e reperto di massa annessiale è suggestiva di gravidanza tubarica. Tale triade sintomatologica non sempre tuttavia è presente nella sua totalità. La massa annessiale dolente si riscontra infatti solo nel 40-50% dei casi e i dolori addominali sono spesso descritti in modo diverso: talora diffusi e crampiformi, talora localizzati e trafittivi, spesso monolaterali talvolta bilaterali. Al riscontro vaginale l’utero risulta aumentato di volume non oltre il doppio con caratteri gravidici [l]. Alla diagnosi di gravidanza tubarica in evoluzione si giunge, quindi, integrando i dati clinici, con indagini ultrasonografiche (ecografia transvaginale) e biochimiche (dosaggio della β-hCG), il che consente spesso la diagnosi precoce. Ecografia transvaginale L’ecografia transvaginale (TV) permette rispetto a quella transaddominale (TA) uno studio della pelvi più dettagliato e fine e quindi diagnosi più precoci ed accurate. Dopo il 35° giorno di amenorrea l’ecografia transvaginale consente il rilievo di segni indiretti e diretti di gravidanza tubarica [4-7].
Segni indiretti – Assenza , in cavità uterina, della camera ovulare e presenza, invece, di un sacco pseudo-gestazionale unico, sottile, di forma ovoidale a contorno iperecogeno localizzato nella parte centrale della cavità stessa nella quale non è rilevabile il sacco vitellino. – Riscontro di una massa annessiale di difficile definizione (materiale amorfo, coaguli, sangue).
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– presenza di una formazione circolare in sede annessiale (adnexal o tubal ring). – Versamento libero nel Douglas.
Segni diretti – Echi embrionali con eventuale rilievo di attività cardiaca in una delle tube. – Sacco gestazionale tubarico con eventuale sacco vitellino. – Eco doppler: flusso colorimetrico ectopico a bassa impedenza RI<0,40 e notevole velocità di flusso. Dosaggio della β-hCG (human chorionic gonadotrophin) La β-hCG è prodotta dal trofoblasto e raggiunge in condizioni normali tassi sierici di 80.000-120.000 mUI/ml tra la 9ª e la 13ª settimana di gestazione [4]. Nella gravidanza tubarica i valori sierici della β-hCG sono in genere più bassi rispetto a quella normoimpiantata, anche se circa il 20% delle GE presenta un tasso normale per l’epoca gestazionale. Sono quindi fondamentali non tanto le singole determinazioni, ma i dosaggi seriati ogni 48-72 ore. Nelle gravidanze intrauterine i valori della β-hCG presentano nelle prime 7 settimane di gravidanza tassi quasi raddoppiati in un periodo di 48 ore; in oltre il 90% delle gravidanze tubariche invece, nello stesso lasso di tempo, l’incremento della β-hCG risulta inferiore al 66%.
Diagnosi differenziale Associando i dati ecografici al monitoraggio biochimico con β-hCG è possibile distinguere la gravidanza uterina da quella tubarica [5]. Nella gravidanza intrauterina in normale evoluzione diventano visualizzabili in utero il sacco gestazionale, il sacco vitellino, l’embrione e l’attività cardiaca embrionale : il sacco gestazionale per valori di β-hCG>1.000 mUI/ml; il sacco vitellino per valori di βhCG compresi tra 1.200-1.700 mUI/ml; l’embrione e l’attività cardiaca rispettivamente per valori di β-hCG >3.000 mUI/ml e >8.000 mUI/ml. Fortemente suggestivo di gravidanza tubarica è la mancata visualizzazione della camera gestazionale in cavità uterina per valori di β-hCG>3.000 mUI/ml [6].
Trattamento delle gravidanze tubariche La possibilità di porre diagnosi precoci e di praticare uno stretto follow-up delle GE ha modificato completamente l’approccio ed il management delle stesse: si è passati da procedure radicali che avevano come unico scopo di salvare la vita delle pazienti, a soluzioni terapeutiche atte a preservare l’integrità morfologica e funzionale della tuba e quindi a non com-
promettere la futura fertilità [8]. Il trattamento può essere chirurgico, medico o di attesa (conservativo-osservazionale) in relazione alla situazione clinica, al periodo di amenorrea, ai dati laboratoristici e ultrasonografici. Le varie alternative terapeutiche vanno realizzate previo consenso informato; un adeguato counseling è preliminare per realizzare il corretto trattamento e follow-up del caso. Nella Tabella 28.1 sono riportate le varie opzioni terapeutiche.
Trattamento osservazionale di attesa In base al presupposto che il 25% delle gravidanze tubariche non necessita di alcun trattamento in quanto possono esitare spontaneamente in aborto tubarico [913], è stato proposto, in gruppi selezionati di pazienti, un trattamento d’attesa. Il trattamento d’attesa [14], in presenza di cavità uterina vuota dell’ecografia TV, è indicato nel caso di: – pazienti clinicamente ed emodinamicamente “stabili”; – asintomatiche o paucisintomatiche (algie pelviche e metrorragia assenti o lievi); – assenza di segni di rottura tubarica (addome acuto) o di squilibrio emodinamico; – livello β-hCG<2.000 mUI/ml alla prima osservazione, declinante in 48 ore; – diametro di massa annessiale≤2 cm osservata con ecografia transvaginale; – emoperitoneo o liquido libero peritoneale stimabile ecograficamente inferiore a 100 ml; – assenza di attività cardiaca embrionale. In questi casi è necessario un accurato follow-up mediante indagini biochimiche, ecografie transvaginali e dosaggi seriati di β-hCG fino alla loro negativizzazione. I casi che presentassero persistenza o aumento dei livelli di β-hCG, attentamente valutati clinicamente ed ecograficamente, devono essere sottoposti a trattamento medico o chirurgico.
Trattamento medico Il trattamento medico è riservato a gravidanze tubariche diagnosticate precocemente ed a tuba integra, ma che presentino tassi β-hCG in aumento. Tra i farmaci utilizzati (prostaglandine, RU-486, actinomicina-D, soluzioni iperosmolari di glucosio, KCl) quello che ha dimostrato la maggiore efficacia è il Methotrexate (MTX), utilizzato fin dagli anni ’50 nel trattamento delle malattie del trofoblasto. Il MTX è un antagonista dell’acido folico che inibisce la riduttasi diidrofolica, enzima responsabile della conversione dell’acido folico a cofattori ridotti, bloccando così la sintesi del DNA e la replicazione cellulare, con maggior efficacia nelle cellule in rapida replicazione come quelle trofoblastiche.
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Tabella 28.1. Management della gravidanza tubarica
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Capitolo 28 • Gravidanza ectopica • N.Colacurci,P.De Franciscis,C.Scaffa
I criteri di inclusione per il trattamento della gravidanza tubarica con MTX variano notevolmente nei diversi studi in rapporto al diametro della tuba e/o del sacco gestazionale, ai tassi di β-hCG al momento della diagnosi, all’assenza dell’attività cardiaca fetale all’ecografia. Sembra, invece, esserci accordo sul fatto che non è possibile il ricorso alla terapia medica quando la tuba è rotta, quando è presente cospicuo emoperitoneo ed in donne con patologie epatiche, renali o midollari. I prerequisiti necessari per la selezione delle pazienti da trattare con MTX sono i seguenti [14, 15]: – pazienti asintomatiche ed emodinamicamente stabili; – cavità uterina vuota; – diametro ecografico della GE tubarica <3,5 cm; – β-hCG: – livelli basali ≤2.000 mUI/ml; – β-hCG <2.000 in aumento <50% in 48 h. La presenza, anche di una sola, delle seguenti condizioni controindica la terapia medica [14] e costituisce indicazioni al trattamento chirurgico: – presenza d’attività cardiaca embrionale (controindicazione relativa: riduce il tasso di successo); – rottura tubarica; – emoperitoneo superiore a 100 ml; – β-hCG>5.000 mUI/ml; – diametro ecografico della massa tubarica ≥4 cm; – dolore persistente per oltre 24 ore; – necessità di conferma laparoscopica della diagnosi. II MTX può essere somministrato per via sistemica (per os, im, ev) associato o meno a citrovorum factor, o direttamente nel sacco gestazionale per via intratubarica sotto guida ecografica o per via laparoscopica. Alcuni autori riportano la somministrazione combinata sistemica e locale. Per quanto riguarda le modalità di somministrazione, sono stati proposti protocolli mono e multidose. Al momento, lo schema di riferimento è rappresentato dalla somministrazione per via intramuscolare in dose singola (50 mg/m2 di superficie corporea) [15, 16]. Il follow-up di queste pazienti prevede il dosaggio dei tassi sierici della β-hCG 4 e 7 giorni dopo la somministrazione, quindi ogni settimana, sino alla negativizzazione [17, 18]. Se il dosaggio delle βhCG rimane stabile o aumenta durante il periodo di monitoraggio, può essere utile ripetere la somministrazione di MTX. Possibili effetti collaterali sono nausea, diarrea e dolori addominali. Il MTX ad alte dosi può determinare mielosoppressione, epatotossicità, stomatiti, fibrosi polmonare, alopecia e fotosensibilità; effetti collaterali rari con le dosi ed i tempi utilizzati per il trattamento della GE.
Trattamento chirurgico Il gold standard nel management della gravidanza ectopica è rappresentato dal trattamento laparoscopico, sia esso conservativo o demolitivo, in rapporto ad una indubbia serie di vantaggi: accesso mininvasivo, ridotti costi, ridotti tempi di ospedalizzazione e durata della convalescenza, più rapida ripresa dell’attività lavorativa. I tassi successivi di gravidanze intrauterine e di recidive del trattamento laparoscopico vs quello laparotomico sono, invece, sostanzialmente sovrapponibili [19-21]. Il trattamento laparoscopico non appare più controindicato in caso di pazienti emodinamicamente instabili, di imponente emoperitoneo o di emorragia incontrollabile, mentre le uniche controindicazioni assolute sono rappresentate dalle GE interstiziali e dalle condizioni sfavorevoli all’approccio endoscopico (come ad esempio aderenze multiple e tenaci) [14, 22-24]. La scelta del tipo di trattamento (conservativo o demolitivo) dipende da due tipi di valutazione: – preoperatoria che include desiderio di prole, precedenti clinici e fattori di rischio per recidiva – intraoperatoria che comprende la localizzazione e le dimensioni della massa tubarica, la possibilità di emostasi, lo stato della tuba controlaterale, lo stato della parete tubarica omolaterale [14, 25, 26]: quest’ultimo è i1 parametro più difficile da valutare poiché la tumefazione e l’edema conseguenti allo stravaso ematico che circonda il letto della GE possono simulare una grossa lesione tubarica. La salpingectomia, se la tuba controlaterale appare normoconformata e normofunzionante, è indicata quando la paziente ha esaudito il desiderio di prole, se la storia clinica la espone a prevedibili alti tassi di recidiva, in caso di recidiva nella stessa salpinge o di pregressa sterilizzazione tubarica, se le dimensioni della GE sono notevoli (superiore a 5-6 cm), la compromissione tubarica severa e l’emorragia difficile da controllare [14, 23, 24]. La tecnica di scelta nel trattamento conservativo è la salpingotomia lineare che viene eseguita, in donne con desiderio riproduttivo, quando la tuba interessata è integra, non spiccatamente disfunzionale alle prove di funzionalità tubarica. La tecnica prevede l’incisione sul lato antimesenterico della tuba nel punto di massima dilatazione, con successiva idrodissezione e rimozione del prodotto del concepimento. La breccia salpingotomica si chiude generalmente per seconda intenzione. Il maggiore rischio della tecnica è dato dalla possibile persistenza di tessuto trofoblastico intratubarico che, proliferando, potrebbe provocare la rottura della tuba stessa o determinare l’insorgenza di ematosalpinge, per cui
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
il monitoraggio clinico post-chirurgico diventa assolutamente raccomandabile [27, 28]. I criteri di riferimento per la valutazione dell’efficacia del trattamento conservativo sono generalmente rappresentati dai livelli plasmatici di β-hCG dosati nei giorni post-operatori, codificati da Pouly [26, 29], in rapporto ai quali si distinguono quattro evenienze (Fig. 28.2).
Fig. 28.2. Diagnosi di persistenza di tessuto trofoblastico.Da [26] Se l’andamento dei livelli di β-hCG ricade nella zona A il trattamento è considerato efficace e non richiede ulteriore follow-up, nella zona B il trattamento è considerato probabilmente efficace e richiede ulteriore follow-up a 7 e 10 giorni, nella zona C il rischio di fallimento è significativo e richiede dosaggi seriati di βhCG ogni 48 ore, nella zona D il fallimento del trattamento è probabile. Per quanto riguarda la funzionalità tubarica dopo intervento conservativo i dati della letteratura sono soddisfacenti [30]. Tra gli interventi conservativi trova posto 1’espressione fimbriale, riservata alle gravidanze fimbrio-infundibulari (10% di tutte le GE tubariche) che consiste nella spremitura della tuba fino alla fuoriuscita del prodotto del concepimento attraverso l’ostio fimbriale. Tale intervento è comunque gravato da una maggiore percentuale di insuccessi in rapporto alla possibilità di un’incompleta rimozione del trofoblasto e di lesioni della parete tubarica nel tentativo di espulsione forzata. Per quanto riguarda il trattamento demolitivo, due sono le tecniche laparoscopiche ipotizzabili: la resezione segmentaria e la salpingectomia totale. Nella resezione segmentaria è asportato solo i1 segmento tubarico sede della gravidanza ectopica e quindi funzionalmente compromesso, mentre sono lasciati in situ due segmenti discontinui, potenzialmente funzionanti, in modo da poter eseguire su di essi una successiva anastomosi. Se ciò non è possibile, è necessario asportare l’intera tuba per il rischio di recidiva sul moncone distale. Il trattamento demolitivo per eccellenza è rappresentato dalla salpingectomia.
Esiti a distanza:recidive e fertilità dopo gravidanza tubarica A fronte dell’incremento di incidenza della GE tubarica, osservata nell’ultimo decennio, dovuta all’aumentata incidenza dei fattori di rischio (soprattutto malattie sessualmente trasmissibili, annessiti, induzioni dell’ovulazione per protocolli di riproduzione assistita, interventi di chirurgia pelvica e tubarica) è corrisposto un significativo miglioramento sia degli esiti a breve termine (morbilità e mortalità) sia degli esiti a lungo termine (recidiva e prognosi riproduttiva). Ciò da una parte è dovuto all’introduzione di algoritmi diagnostici che, integrando parametri biochimici e ultrasonografici, hanno permesso una diagnostica precoce, dall’altra all’aumento delle opzioni terapeutiche (terapia di attesa, trattamento medico, chirurgico conservativo e demolitivo) che hanno consentito di personalizzare il trattamento, tenendo in considerazione anche il desiderio di fertilità successiva della paziente ed il suo rischio specifico di recidiva [31]. La capacità riproduttiva delle pazienti con pregressa GE tubarica ed il rischio di recidiva sono dipendenti da numerose variabili: tipo di approccio terapeutico, numero e localizzazione della GE tubarica, condizioni tubariche (stato antecedente della tuba affetta, condizione della tuba controlaterali, presenza di aderenze ipsilaterali e controlaterali), dati anamnestici (pregressa storia di infertilità, pregresso uso di dispositivi intrauterini, età, fumo, pregressa GE tubarica). Per quanto riguarda l’approccio terapeutico, solo alcuni autori evidenziano per l’approccio laparoscopico un più alto tasso di gravidanza intrauterina successiva e una più bassa incidenza di recidive rispetto all’approccio laparotomico [25]. Riguardo il trattamento, conservativo o demolitivo, le metanalisi degli studi randomizzati controllati presenti in letteratura [24] non evidenziano significative differenze in termini di fertilità successiva, mentre confermano un più alto tasso di recidive nei casi di interventi conservativi. A tal proposito, le linee guida emanate dal Royal College of Obstetrics and Gynaecology [14] indicano la salpingectomia come intervento di prima scelta quando la tuba controlaterale è sana, la salpingotomia in presenza di una sola tuba o per concomitanti alterazioni anatomofunzionali della tuba controlaterale, dopo attento counseling durante il quale la paziente è stata edotta sul rischio di recidiva e su eventuali opzioni terapeutiche alternative, come ad esempio salpingectomia seguita da fertilizzazione in vitro (IVF). Inoltre, essendo stato osservato che il 93% delle gravidanze dopo salpingectomia per gravidanza tubarica insorge nei primi 18 mesi dal trattamento, è stato suggerito che al di là di questo intervallo venga proposta una IVF [23].
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Capitolo 28 • Gravidanza ectopica • N.Colacurci,P.De Franciscis,C.Scaffa
Per quanto riguarda la terapia medica va osservato che lo scarso numero di studi controllati e randomizzati, le metodiche diverse, i dati difficilmente cumulabili, i follow-up non comparabili, impediscono una corretta valutazione dell’outcome riproduttivo successivo. Un ampio studio retrospettivo [32] ha infine analizzato la fertilità successiva al trattamento di attesa non riscontrando differenze significative rispetto al trattamento chirurgico, anche quando il fallimento della condotta di attesa ha richiesto il trattamento chirurgico. La capacità riproduttiva dopo due GE tubariche è stata analizzata in differenti studi con riscontri di pregnancy rate successive molto variabili. Riguardo la localizzazione della GE tubarica, un ampio studio retrospettivo [33] su 1800 GE tubariche trattate chirurgicamente e con calcolo della pregnancy rate cumulativa nei due anni successivi, ha evidenziato che le gravidanze in utero aumentano progressivamente dalla localizzazione interstiziale verso quella ovarica, con tendenza alla medesima localizzazione in caso di recidiva omolaterale, indipendentemente da altri fattori di rischio. L’utilizzo di IUD quale causa dell’instaurarsi della GE tubarica è associato ad una minore incidenza di recidive e ad una sia pure non significativa riduzione della pregnancy rate, poiché è verosimilmente in rapporto ad una minore prevalenza di altri fattori di rischio per GE tubarica [34]. Numerosi altri fattori sono stati considerati come potenzialmente interferenti sulla capacità riproduttiva successiva a GE tubarica, con differenze notevoli a seconda che fossero analizzati singolarmente o in analisi multivariata. Infatti, mentre si è evidenziata [35] una significativa sfavorevole associazione di numerosi singoli fattori (età, stato matrimoniale, fumo, precedenti gravidanze tubariche, storia di infertilità, pregresso danno tubarico, aderenze ipsilaterali e controlaterali) con la pregnancy rate nel primo e secondo anno successivo alla chirurgia per gravidanza tubarica, l’analisi multivariata ha mostrato che l’outcome riproduttivo è in rapporto significativamente con l’età, con la pregressa infertilità, con il precedente danno tubarico (pregressa GE tubarica, pregressa chirurgia tubarica, PID, salpingiti), con le condizioni della tuba controlaterale [26]. Al fine di valutare tutti questi elementi in un algoritmo prognostico, sono stati proposti degli score a punteggio sulla base del peso dei singoli fattori, con elaborazione di curve finalizzate ad orientare il management della GE tubarica; essendo, infatti, chiaro che la probabilità di gravidanza intrauterina ed il rischio di recidiva evolvono in direzione opposta, appare logico praticare la salpingectomia (ed eventualmente anche la sterilizzazione della tuba controlaterale) per prevenire il rischio di recidiva quando lo score è superiore a quattro (Tabella 28.2) [26].
Tabella 28.2. Score terapeutico per GE tubarica.Da [26] Fattore Peso statistico Precendente gravidanza tubarica 0,434 Ogni gravidanza tubarica successiva 0,261 Pregressa adesiolisi laparoscopica 0,258 Pregressa plastica tubarica 0,351 Tuba unica 0,472 Pregressa salpingite 0,242 Aderenze ipsilaterali 0,207 Aderenze controlaterali 0,198
Score 2 1 1 2 2 1 1 1
In questa ottica, allo scopo di ottimizzare la futura capacità riproduttiva, è raccomandato che: a. le donne Rh-negative ricevano immunoglobuline anti-D (RhoGAM) allo scopo di evitare sensibilizzazioni in caso di gravidanza tubarica con embrione Rh-positivo il che aumenterebbe il rischio di idrope fetale in una futura gravidanza; b. si effettui nel postoperatorio un’isterosalpingografia dopo 4-6 mesi e una laparoscopia un anno dopo se non si è ancora instaurata un’altra gravidanza.
Trattamento delle gravidanze ectopiche non tubariche L’approccio chirurgico delle gravidanze ectopiche cervicali è ancora non standardizzato. Alcuni autori consigliano un cauto courettage del canale cervicale, che può essere preceduto dalla legatura delle arterie cervico-uterine [36, 37]. La procedura è comunque ad elevato rischio di emorragia.Altri autori contemplano, nei casi in cui non si evidenziano segni clinici e/o ultrasonografici di erosione cervicale massiva, un approccio farmacologico che si avvale della somministrazione sistemica di MTX (in dose singola o multipla) possibilmente in epoca gestazionale precoce ed in assenza di attività cardiaca [36]. Un’altra opzione di trattamento è rappresentata dall’embolizzazione delle arterie cervico-uterine sotto controllo angiografico (seguita da curettage) [38-40]. Negli altri casi di gravidanza ectopica non tubarica, criteri di inclusione alla terapia medica con MTX possono considerarsi: l’impianto viscerale della massa (e quindi la diagnosi tardiva) in caso di gravidanza addominale; per la gravidanza ovarica sono validi criteri sovrapponibili a quelli indicati per le gravidanze tubariche.Le indicazioni all’approccio chirurgico, di conseguenza, sono complementari ai criteri appena esposti: aggredibilità della massa e scarsa infiltrazione (diagnosi precoce) per la gravidanza addominale; indicazioni sovrapponibili a quelle delle gravidanze tubariche per la gravidanza ovarica.
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
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Capitolo 28 • Gravidanza ectopica • N.Colacurci,P.De Franciscis,C.Scaffa
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CAPITOLO 29
Farmaci e gravidanza A.L. Borrelli • M. Felicetti • G. Feroce
INTRODUZIONE La maggior parte dei farmaci somministrata ad una gestante è in grado di attraversare la barriera placentare per cui il prodotto del concepimento può risentirne gli effetti spesso innocui, talora benefici, talvolta dannosi. In questo capitolo saranno presi in considerazione i possibili rischi teratogeni.
Sebbene di molti farmaci oggi disponibili non sono del tutto chiare le particolarità farmacocinetiche legate allo stato gravidico e le modifiche subite a livello placentare, si può con certezza affermare che i farmaci certamente teratogeni [1] e cioè capaci di produrre malformazioni fetali sono pochi (Tabella 29.1). Alla possibile azione teratogena di un farmaco concorrono numerosi fattori: il tipo di farmaco, il corredo
Tabella 29.1. Farmaci certamente teratogeni Farmaco Anticoagulanti - Warfarin Sindrome fetale - Cumarinici da Warfarin Antineoplastici - Aminopterina Sindrome da amino- Methotrexato pterina e metotrexato - Busulfan - Ciclofosfamide Anticonvulsivanti - Carbamazepina - Trimetadione e parametadione - Fenitoina e idantoina - Acido valproico Sindrome fetale da acido valproico Ormoni - Androgeni,danazolo e progestinici derivati dal testosterone - Anticoncezionali E/P - Dietilstilbestrolo Retinoidi - Etretinato - Isotretinoina - Vitamina A ad alte dosi Penicillamina Talidomide Litio Tetracicline ACE-inibitori Cocaina
Malformazioni descritte Malformazioni embrio-fetali,anomalie delle epifisi ossee,anomalie dei corpi vertebrali,ipoplasia del naso,microcefalia,idrocefalia,IUGR,anomalie oftalmiche Craniosinostosi,micrognatia,palatoschisi,idrocefalia,ipotelorismo, bassa statura Palatoschisi,disturbi oculari,IUGR Palatoschisi,anomalie facciali,agenesia dita,IUGR,ano imperforato DTN,IUGR,anomalie cranio-facciali,deficit mentale,malformazioni degli arti Anomalie facciali,IUGR,ritardo mentale Ipoplasia falangi distali,IUGR,ipertelorismo,anomalie cranio-facciali,naso a sella,labio-palatoschisi,deficit mentale DTN,anomalie volto e dita
Virilizzazione genitali femminili (esposizione dopo le prime 5 settimane di gravidanza) Malformazioni complesse viscerali e scheletriche F:Carcinoma cellule chiare vagina,adenosi epitelio vaginale,anomalie strutturali vagina,portio,utero M:Criptorchidismo,ipoplasia testicolare,cisti epididimo Micrognatia,palatoschisi,malformazioni arti,malformazioni cardiache,anomalie occhi ed encefalo, idrocefalia,agenesia timo Malformazioni urogenitali e malformazioni simili a quelle da isotretinoina Anomalie tessuto connettivale Focomelia Anomalie cardio-vascolari,anomalia di Ebstein,polidramnios,diabete insipido fetale Colorazione giallo-brunastra dei denti Anuria e malformazioni renali,ritardi ossificazione cranio,trombocitopenia neonatale Infarti cerebrali,enterocolite necrotizzante (NEC)
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
genetico, l’età gestazionale, le dosi e i tempi di somministrazione [2]: a. tipo di farmaco: alcune molecole sono dotate di un particolare organotropismo per cui ne derivano specifiche patologie come ad esempio la focomelia da talidomide, l’ototossicità da aminoglicosidi, ecc.; b. corredo genetico: l’assetto genetico, differente da individuo a individuo e da specie a specie, condiziona la risposta dell’organismo “all’insulto farmacologico” modificando quindi l’entità, la frequenza e la localizzazione di eventuali malformazioni; c. età gestazionale: la sensibilità agli agenti teratogeni varia notevolmente in rapporto allo stadio di sviluppo del concepito (vedi Capitolo 2): – nel periodo che precede la fecondazione, gli effetti nocivi possono derivare da sostanze capaci di indurre nelle cellule germinali mutazioni geniche nella catena del DNA. Molta attenzione va posta quindi anche in occasione di prescrizioni farmacologiche a donne in età fertile da considerare “potenzialmente gravide”soprattutto in presenza di ritardi mestruali; – nel I stadio di sviluppo, periodo pre-embrionale (le 2 settimane successive alla fecondazione), il prodotto del concepimento, essendo costituito da cellule non ancora differenziate e che cioè non hanno ancora dato inizio alla formazione dei vari organi ed apparati, è relativamente resistente agli agenti nocivi realizzandosi l’effetto del “tutto o nulla” nel senso che o la gravidanza si interrompe o non si verificheranno danni successivi; – nel II stadio di sviluppo, periodo embrionale (dalla fine della 2a settimana di sviluppo alla 10a settimana di amenorrea), si ha la maggiore sensibilità ad eventuali insulti teratogeni ed è quindi questo periodo organogenetico quello “vulnerabile”in cui si ha la maggiore incidenza di malformazioni; – nel III stadio di sviluppo, periodo fetale (dopo la 10a settimana fino al parto), essendo la maggior parte degli organi già strutturata, si vanno progressivamente riducendo gli effetti teratogeni ad eccezione di quelli relativi all’apparato genitale che resta l’unico ancora sensibile ad eventuali insulti malformativi. L’effetto nocivo si traduce di solito in un ritardo della crescita e/o della differenziazione cellulare di un determinato organo. Elevati sono, a tal proposito, anche i rischi sullo sviluppo del SNC che completa gradualmente la sua maturazione;
d. dosi e tempi di somministrazione: il dosaggio e il tempo di somministrazione risultano spesso determinanti sulla eventuale comparsa di malformazioni anche se vanno tenuti nella giusta considerazione le particolarità emodinamiche dello stato gravidico (aumento della massa sanguigna circolante, diminuzione dell’ematocrito, aumento del flusso renale, ecc.) che incidono nettamente sui processi di biotrasformazione dei farmaci e quindi sui loro effetti embriofetali. Ciò premesso risulta chiaramente evidente che un farmaco ritenuto dannoso, se viene somministrato a basso dosaggio e in monodose, non determinando induzioni enzimatiche ed effetti di accumulo, risulterà meno lesivo che a dosi elevate e ripetute [3-5]. Proprio in relazione ai possibili effetti dannosi dei farmaci in gravidanza appare quindi prudente attenersi ai seguenti principi generali: 1. evitarne la somministrazione durante la fase organogenetica a meno che non siano utili al concepito (acido folico, polivitaminici, ecc.) o strettamente necessari per la salute materna; 2. somministrarli nel prosieguo della gravidanza solo se i benefici attesi per la madre e/o per il feto siano maggiori degli eventuali rischi cui si espone il feto stesso. Ciò premesso va, tuttavia, ricordato che spesso per il prodotto del concepimento è più pericolosa la malattia materna che non i farmaci somministrati per curarla. La mera possibilità di azioni nocive sul concepito non deve, quindi, indurre ad un astensionismo terapeutico di difesa, bensì ad una responsabile scelta del farmaco ritenuto più sicuro e più efficace onde la necessità di un aggiornamento continuo e rigoroso da parte dei medici. Vengono ora trattati i farmaci di più frequente impiego in gravidanza per i quali verrà segnalato il rischio teratogenetico. L’elenco risulterà certamente incompleto; si rinvia, quindi, per maggiori dettagli e per una più ampia trattazione alla letteratura specifica in materia [6, 7]. I vari gruppi di farmaci (anti-infettivi, cardiovascolari, psicotropi, ecc.), in modo sintetico, verranno esposti secondo un criterio farmacologico che tenga conto soprattutto delle indicazioni cliniche. In apposite tabelle per i farmaci di ciascun gruppo, accanto al principio attivo e alle relative specialità medicinali, scelte a mò di esempio e soggettivamente tra quelle più frequentemente utilizzate, verranno riportate 3 classificazioni che riteniamo si integrino a vicenda circa i rischi fetali derivanti dal loro impiego in gravidanza1.
1 In considerazione dei continui progressi della ricerca farmacologica circa gli effetti dannosi dei farmaci in gravidanza, gli autori non devono essere ritenuti responsabili per la permanente validità né per le conseguenze di qualsiasi natura derivanti dall’uso di quanto riportato in questo capitolo. I sanitari prescrittori, nei casi dubbi, sono invitati a consultare oltre che la letteratura specifica in materia, i foglietti illustrativi e le schede tecniche delle case produttrici.
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Capitolo 29 • Farmaci e gravidanza • A.L.Borrelli,M.Felicetti,G.Feroce
I classificazione La I classificazione, messa a punto da Rayburn e Farmer nel 1997, secondo le direttive della Food and Drugs Administration (FDA) del governo federale USA, distingue i farmaci in più classi: Classe A Studi controllati in campo umano non hanno mostrato rischi per il feto. Classe B Studi su animali non hanno mostrato rischi fetali. Non sono stati segnalati effetti teratogeni nell’uomo, ma non esistono studi controllati in campo umano. Classe C Effetti teratogeni o di morte embrionale sono stati evidenziati in studi su animali, ma non in studi umani controllati. Classe D Esiste evidenza in studi effettuati di un rischio fetale umano, ma i benefici derivanti dall’uso in donne gravide potrebbero essere accettabili nonostante il rischio. Classe X Esperienza e studi hanno evidenziato rischi fetali di gran lunga superiori ad ogni possibile beneficio.
Non controindicati (NC) Farmaci non controindicati a dosi terapeutiche né in gravidanza né in travaglio di parto. Prudenza (P) Farmaci da usare con prudenza limitando l’uso ai casi di effettiva necessità. Controindicati (C) Farmaci controindicati il cui uso è limitato a casi di eccezionale gravità quando non siano disponibili farmaci appartenenti alle 2 categorie precedenti.
III classificazione La III classificazione è quella del British National Formulary (BNF) riportata nella guida all’uso dei farmaci edita e distribuita in Italia dal Ministero della Salute aggiornata al marzo 2005. Questa classificazione distingue i farmaci in non dannosi e dannosi specificando il tipo di alterazione ed il trimestre maggiormente a rischio. Il segno “=” si riferisce a principi attivi non riportati nelle classificazioni considerate.
FARMACI ANTI-INFETTIVI
II classificazione La II classificazione è quella formulata da Onnis, Grella e Marchesoni (OGM) nel 1983 che distinguono i farmaci nel modo seguente:
Per la frequente evenienza di infezioni materne, gli antibiotici vengono molto spesso impiegati durante la gravidanza (Tabella 29.2).
Tabella 29.2. Farmaci antinfettivi FDA* Penicilline Benzilpenicillina benzat. (Diaminocillina) Amoxicillina triidrato (Zimox,Velamox) Ampicillina sodica (Amplital, Ibimicyn) Ampicillina+cloxacillina (Amplium) Ampicillina+sulbactam (Unasyn) Amoxicillina+ac.clavul. (Augmentin, Clavulin) Cefalosporine I generazione Cefalexina (Ceporex,Keforal) Cefalotina (Keflin,Cefalotina) Cefalozina (Cefamezin,Totacef) Cefradina (Lisacef) Cefadroxil (Cefradril)
OGM*
BNF*
B
NC
non dannoso
B
NC
“
B
NC
“
B
NC
“
B
=
“
B
=
“
B B B B B
NC NC NC NC =
non dannoso “ “ “ “
FDA* II generazione Cefuroxima (Curoxim,Deltacef) Cefamandolo (Cefam) Cefprozil (Cronocef) Cefaclor (Panacef) III generazione Ceftazidima (Spectrum,Glazidim,Starcef) Cefotaxima (Claforan,Zariviz) Ceftriaxone (Rocefin) Macrolidi Eritromicina (Eritromicina) Spiramicina (Rovamicina) Claritromicina (Klacid,Macladin)
OGM*
BNF*
B B B B
NC = = =
non dannoso “ “ “
B
=
non dannoso
B B
= =
“ “
B B/C C
NC NC =
Azitromicina (Zytromax)
B
=
non dannoso “ evitare uso se non necessario Usare se non c’è alternativa
Aminoglicosidi Streptomicina solfato (Streptomicina solfato)
D
P
(2-3) ototossico, evitare l’uso segue →
516
Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
FDA* Gentamicina (Gentamen,Gentalyn)
C
OGM* P
Netilmicina (Nettacin)
D
=
Tobramicina (Nebicina)
D
=
Tetracicline Tetraciclina cloridrato (Ambramicina) D
C/P
Doxiciclina (Bassado) Minociclina cloridrato (Minocin)
C C/P
Sulfamidici Sulfametoxazolo+trimetoprim (Bactrim)
D D
C
Sulfametopirazina+pirimetamina C (Metakelfin) Lincosamidi Clindamicina (Dalacin C) Lincomicina (Lincocin) Cloramfenicolo (Chemicetina)
NC/P
C
BNF* (2-3) meno ototossico,evitare uso se non necessario (2-3) ototossico, evitare l’uso (2-3) meno ototossico,evitare uso se non necessario Alterazione colorazione denti, (2-3) evitare uso “ “
(1) rischio teratogeno, (3) emolisi neonatale “
B B C
NC NC C
non dannoso = (3) gray sindrome neonatale
Fluorchinolonici Acido nalidixico (Naligram,Nalidixin) C
NC
(1-2-3) artropatie in animali,evitare “ “ =
Norfloxacina (Noroxin) Ciprofloxacina (Ciproxin) Acido pipemidico (Pipram)
C C C
= = =
Antimicotici Miconazolo (Daktarin,Nizacol)
C
=
Econazolo (Pevaryl) Fluconazolo (Diflucan,Elazor)
C C
evitare uso se non necessario = non dannoso NC anomalie congenite (via topica) ad alte dosi
FDA* Itraconazolo (Sporanox,Triasporin) C
OGM*
BNF*
NC tossicità in animale, (via topica) evitare uso NC (via topica) = NC dati non (via topica) disponibili C fetotossico, evitare uso = evitare uso se non necessario
Clotrimazolo (Canesten) Nistatina (Mycostatin)
B C
Griseofulvina (Fulcin)
D
Amfotericina (Fungilin)
B
Antitubercolari Isoniazide (Nicizina) Rifampicina (Rifadin)
C C
Etambutolo (Etapiam)
B
non dannoso (1) teratogeno in animali,(3) emorragia neonatale NC non dannoso
B B = =
P NC NC NC
B C
P P
Antibatterici e antiparassatari Nitrofurantoina (Neo-furadantin) Fosfomicina (Monuril) Nifurantel (Macmiror) Nifurantel+nistatina (Macmiror complex) Metronidazolo (Flagyl) Clorochina fosfato (Clorochina) Meflochina cloridrato (Lariam) Proguanil cloridrato (Paludrine) Pirantel pamoato (Combantrim) Mebendazolo (Vermox) Aztreonam (Azactam,Primbactam)
C B C C B
P P
(3) emolisi neonatale = = =
evitare alte dosi se benefici maggiori dei rischi = teratogeno in animali = supplementare folati NC = = tossicità in animali = dati non disponibili, evitare uso
Farmaci antivirali Zidovudina (Retrovir)
C
=
Acyclovir (Zovirax)
C
=
Ganciclovir (Citovirax)
D
=
Amantadina (Mantadan)
D
=
Inosina (Virustop)
=
=
dati insufficienti, usare se necessario esperienza limitata, non dannoso uso topico rischio teratogeno, evitare uso tossicità in animali, evitare uso evitare uso
*I numeri in parentesi della terza colonna si riferiscono ai trimestri di rischio.Il segno “=”si riferisce a principi attivi non riportati nelle classificazioni considerate
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Capitolo 29 • Farmaci e gravidanza • A.L.Borrelli,M.Felicetti,G.Feroce
Come per altri farmaci, a causa dei possibili effetti collaterali materni e fetali, andrebbero, come già ricordato, prescritti solo in caso di effettiva necessità impiegando quelli più sicuri ed efficaci.
Penicilline Le penicilline naturali quali l’ampicillina, l’amoxicillina e le loro associazioni con acido clavulanico e con il sulbactam (categoria B della FDA), come emerge da numerosi studi [6, 8, 9], sono innocue per il concepito in qualunque epoca gestazionale. Nelle pazienti non allergiche, la penicillina è il farmaco di elezione nel trattamento di molte affezioni batteriche. L’ampicillina e l’amoxicillina sono indicate nelle infezioni delle vie respiratorie ed urinarie. Le penicilline più recenti (piperacillina, mezlocillina, azlocillina) non sono state ancora sufficientemente studiate per l’impiego durante la gestazione anche se sembra improbabile un significativo aumento di effetti dannosi.
Cefalosporine Le cefalosporine, in base al loro spettro di azione nei confronti dei germi gram negativi e alla resistenza alle beta-lattamasi, vengono suddivise in cefalosporine di I, II e III generazione. La maggior parte di questi antibiotici (categoria B della FDA) non sono stati associati ad effetti teratogeni e sono da considerarsi quindi sicuri durante la gravidanza [10]. Questi farmaci vengono soprattutto utilizzati nella profilassi antibiotica degli interventi ostetrici, nella terapia della pielonefrite e dell’aborto settico. Per quanto attiene al loro impiego nel I trimestre di gravidanza i dati sono ancora limitati quindi, per prudenza, dovrebbero essere utilizzate nel periodo organogenetico come farmaci di seconda scelta rispetto ad altri antibiotici più ampiamente sperimentati quali la penicillina, l’ampicillina e l’eritromicina.
Macrolidi I macrolidi non sono considerati embrio-fetotossici anche perché non attraversano in quantità apprezzabile la placenta. L’eritromicina (Eritrocina), il macrolide più utilizzato, è il farmaco alternativo alla penicillina nel trattamento di molte infezioni gravidiche ed è di scelta nelle infezioni da Chlamydia e da micoplasma. Non essendo
stato riscontrato alcun effetto teratogeno relativo all’uso di questo farmaco anche nel I trimestre [11], l’eritromicina rientra nella categoria B della FDA. La spiramicina (Rovamicina) è il farmaco di elezione nel trattamento della toxoplasmosi in gravidanza (classe C della FDA). Numerosi studi [12] sottolineano l’innocuità del farmaco anche per lunghi periodi di trattamento. Anche per la claritromicina (Klacid), impiegata soprattutto nelle infezioni respiratorie (classe C della FDA), non sono stati evidenziati effetti embriofetotossici nei nati da madri esposte al farmaco nel I trimestre [13]. Sono necessari ulteriori studi per meglio indagare circa la maggiore incidenza di aborti spontanei segnalata da alcuni autori [13].
Aminoglicosidi Gli aminoglicosidi sono usati nel trattamento delle infezioni urinarie, dell’aborto settico e dell’endometrite post-partum. Essi attraversano sia pure parzialmente la placenta. La streptomicina e la kanamicina (classe D della FDA), potendo indurre soprattutto nel II e III trimestre lesioni a carico dell’VIII paio dei nervi cranici con conseguente sordità neurosensoriale [14-16], sono da considerare pericolose in gravidanza. In uno studio recente [17] non sarebbero stati riscontrati effetti teratogeni conseguenti all’impiego della gentamicina, tobramicina e neomicina (classe C della FDA). Questi farmaci andrebbero utilizzati solo in presenza di gravi infezioni da germi gram negativi, preferendo la gentamicina che tra gli aminoglicosidi è il farmaco più studiato e sperimentato.
Tetracicline Non sono state segnalate malformazioni in diversi studi condotti su nati da gestanti che avevano assunto tetracicline nel I trimestre [18]. Questi farmaci tuttavia attraversano con facilità la placenta e si legano alle strutture dentali ed ossee causando ipoplasia dello smalto dentale, colorazione giallo-brunastra dei denti ed anomalie dello scheletro [19]. Le alterazioni dentarie si verificano quando l’assunzione di questi farmaci si realizza piuttosto tardivamente (II e III trimestre), mentre le anomalie scheletriche conseguono all’uso di questi farmaci in epoche gestazionali più precoci. Le tetracicline, per i motivi suddetti, sono controindicate in gravidanza (classe D della FDA), anche in considerazione dell’epatotossicità materna segnalata in conseguenza di trattamenti endovenosi.
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
Sulfamidici
Fluorochinolonici
I sulfamidici (classe C della FDA) vengono spesso impiegati nella terapia delle infezioni urinarie in gravidanza. La loro somministrazione va evitata nelle gestanti affette da deficit della glucosio-6-fosfato deidrogenasi per il rischio di anemia emolitica e nell’ultimo periodo della gravidanza per il rischio di iperbilirubinemia neonatale. I sulfamidici, infatti, sembrano competere con i recettori fetali della bilirubina onde la possibilità di gravi forme di ittero neonatale [20]. Il sulfametossazolo, teratogeno nei ratti, non è stato associato ad anomalie malformative nei nati da gestanti trattate con questo farmaco nel I trimestre di gravidanza [21]. L’associazione trimetoprim-sulfametossazolo (bactrim), se impiegata dopo il I trimestre nel trattamento delle infezioni urinarie, non ha indotto incremento di anomalie congenite [21]; va utilizzata con prudenza nelle prime 13 settimane perché in altro studio si è rilevato un aumentato rischio di difetti cardiovascolari e del tubo neurale [22]. Nel trattamento dell’infezione toxoplasmica l’associazione sulfametopirazina/pirimetamina non ha finora prodotto dimostrabili effetti teratogeni dopo il I trimestre [23]; in questo caso è tuttavia bene associare acido folico.
Sono farmaci (ciprofloxacina ed altri) utilizzati nel trattamento delle infezioni urinarie. Pur mancando studi che valutino l’effettivo rischio teratogeno di questi farmaci (categoria C della FDA), il riscontro di artropatie in numerose specie animali dopo la somministrazione in gravidanza e di alterazioni articolari in età pediatrica [25] ne sconsiglia l’uso durante la gestazione.
Lincosamidi Studi recenti non segnalano un aumento significativo del tasso di malformazioni in gestanti trattate con clindamicina (cleocin, dalacin C) e lincomicina (lincocin) nel I trimestre [24]. Trattandosi tuttavia di un numero modesto di segnalazioni e mancando studi controllati al riguardo, sarebbe prudente utilizzare questi farmaci in gravidanza solo in presenza di infezioni da anaerobi gram negativi resistenti ad altri antibiotici.
Cloramfenicolo Non ci sono segnalazioni relative ad un aumentato rischio teratogeno per l’uso di questo farmaco (categoria C della FDA) nelle fasi iniziali della gravidanza [25]. Va evitato, però, per il rischio di anemia aplastica della madre e soprattutto nelle ultime fasi della gestazione potendo causare collasso cardiovascolare nel neonato (gray baby syndrome) [25].
Antimicotici L’uso topico di antimicotici (miconazolo, clotrimazolo, ecc.) non aumenta l’incidenza di malformazioni congenite [26]. Per quanto attiene alla via sistemica la griseofulvina utilizzata per la terapia delle micosi cutanee è sconsigliata nel I trimestre (malformazioni e aborto), mentre l’amfotericina B e il fluconazolo sembrerebbero privi di effetti teratogeni quando usati a dosaggi terapeutici [27]. L’uso in gravidanza deve essere limitato ai casi di infezioni micotiche gravi quando i potenziali benefici superino i possibili rischi.
Antitubercolari L’uso in gravidanza di farmaci quali la rifampicina e l’isoniazide (classe C della FDA) non è stato associato ad un aumentato rischio malformativo, lo stesso dicasi per l’etambutolo (classe B della FDA) [28]. La gran parte degli autori ritiene che l’associazione isoniazide-rifampicina-etambutolo dia i migliori risultati nel trattamento della tubercolosi in gravidanza [29]. Per quanto attiene l’uso dell’acido para-aminosalicilico (categoria C della FDA) è stato riscontrato in alcuni studi un aumentato rischio malformativo nei casi in cui il farmaco sia stato utilizzato nel I trimestre di gravidanza [30]. Pur mancando studi epidemiologici controllati va ricordato che, spesso, come per altri farmaci, i benefici relativi al trattamento possono superare i possibili rischi fetali.
Antimicrobici vari La nitrofurantoina (furadantin e altri) usata nel trattamento delle infezioni urinarie in gravidanza, non è stata associata, in numerosi studi [8, 25] ad un aumento
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Capitolo 29 • Farmaci e gravidanza • A.L.Borrelli,M.Felicetti,G.Feroce
del rischio malformativo. Lo stesso dicasi per la fosfomicina, antibiotico ad ampio spettro, utilizzato anch’esso nel trattamento delle infezioni urinarie [31]. Dato lo scarso numero di segnalazioni relative all’impiego della fosfomicina nel I trimestre se ne consiglia l’uso solo dopo la fase organogenetica. Il metronidazolo, oltre ad essere trichomonicida, è attivo nei confronti di alcuni germi anaerobi. Pur essendo mutageno su alcuni batteri e pur avendo effetti cancerogeni nei ratti, questo farmaco non è stato associato ad effetti teratogeni in gestanti che ne avevano fatto uso nel I trimestre di gravidanza [25, 32]. Altre segnalazioni invece riportano casi di labio-palatoschisi in seguito all’impiego di metronidazolo durante il periodo organogenetico [33]. Per tali motivi, pur non essendo generalmente il farmaco considerato teratogeno, se ne sconsiglia l’uso nel I trimestre di gravidanza. La clorochina, farmaco di elezione per il trattamento della malaria, viene consigliato nella profilassi di questa affezione anche in gestanti che debbano portarsi in zone ove questa malattia è endemica. L’impiego di questo farmaco, a basse dosi nella profilassi della malaria, non sembra aumentare il rischio di anomalie congenite [34]. Il pirantel-pamoato viene utilizzato nel trattamento delle infestazioni da ascaridi e tenie. Mancano studi sull’uomo per cui i suoi effetti sul feto sono praticamente sconosciuti. Il mebendazolo è un antiparassitario impiegato nel trattamento delle infestazioni da ossiuri, ascaridi, anchilostomi. Studi su animali hanno evidenziato un aumentato rischio malformativo, mancano però segnalazioni in campo umano circa i possibili effetti avversi del farmaco. L’aztreonam è un antibiotico monobattamico con spettro di azione molto simile a quello degli aminoglicosidi. Pur mancando studi controllati circa gli effetti del suo impiego in gravidanza, non vi sono segnalazioni di danno neuro-acustico, possibile invece in seguito all’uso degli aminoglicosidi [25].
periori ai possibili rischi fetali sui quali la gestante deve, comunque, essere ampiamente informata. L’acyclovir è il farmaco di elezione nella terapia della varicella e delle infezioni erpetiche. L’uso di questo farmaco nel I trimestre di gravidanza non sembra associato ad un aumentato rischio [36] di anomalie congenite. Va tenuto presente che di per sé l’infezione può indurre gravi danni al feto (fetal maternal varicella syndrome). L’uso topico non induce l’insorgenza di elevate concentrazioni ematiche con minimo rischio, quindi, di danni embrio-fetali.
Farmaci antivirali
Farmaci cardioattivi
La zidovudina (AZT) è attualmente il farmaco di elezione nella terapia dell’infezione da HIV. Le informazioni relative ai suoi possibili effetti teratogeni sono molto scarse e controverse; in uno studio non sono riportate anomalie congenite nella prole delle gestanti esposte al farmaco [35].Va comunque sottolineato che i vantaggi del trattamento di questa gravissima malattia sono per la paziente nettamente su-
Tutti i glucosidi cardioattivi (derivati della digitalis purpurea e lanata) esplicherebbero la loro azione inotropa positiva inibendo l’enzima ATP-asi sodio e potassio dipendente; questi farmaci inoltre agiscono riducendo la conduttività del nodo atrio-ventricolare. Sono utilizzati nel trattamento dell’insufficienza cardiaca, nella fibrillazione atriale e nella tachicardia parossistica sopraventricolare (Tabella 29.4).
FARMACI DELL’APPARTO CARDIOVASCOLARE Premessa Nonostante i notevoli progressi diagnostico-terapeutici realizzati negli ultimi anni, la prevalenza delle malattie cardiovascolari in gravidanza risulta ancora elevata variando tra il 3 e il 5%. Trattandosi di patologie generalmente croniche e potenzialmente letali appare evidente la necessità di un opportuno trattamento durante la gestazione. Solo per pochi farmaci cardiovascolari sono stati segnalati eventi nocivi (Tabella 29.3), la gran parte, infatti, di questi farmaci non induce effetti embrio-fetali avversi. Tabella 29.3. Farmaci cardiovascolari potenzialmente fetotossici Farmaci β-bloccanti (propanololo ed altri) Calcioantagonisti (verapamil e altri) Furosemide Spironolattone Tiazidici Warfarin
Possibile danno embrio-fetale Anuria,malformazioni renali IUGR,ipoglicemia,bradicardia,RDS Riduzione perfusione ematica placentare,iperbilirubinemia Femminilizzazione dei genitali dei feti di sesso maschile Ipoglicemia,trombocitopenia neonatale Sindrome fetale da warfarin
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
Tabella 29.4. Farmaci cardiovascolari FDA*
OGM*
BNF*
Inotropi pos. o cardioattivi Glucosidi digitalici Digossina (Lanoxin, Lanitop)
C
NC
può essere necessario aggiustare dosaggio
Inibitori fosfodiesterasi Aminofillina (Aminomal)
C
NC
Teofillina (Tefamin,Theo-dur)
C
NC
(3) irritabilità neonatale e apnea “
B
NC
=
C
NC
=
C
NC
Diltiazem cloridrato (Dilzene)
C
=
Nifedipina (Adalat, Nifedicor)
C
NC
Dipiridamolo (Persantin)
C
NC
può inibire travaglio può inibire travaglio, teratogeno in animali può inibire travaglio non dannoso
Antiaritmici Verapamil (Isoptin)
C
NC
Digossina (Lanoxin)
C
NC
Sotalolo (Sotalex)
C
=
Chinidina (Ritmocor) Amiodarone cloridrato (Cordarone) Disopiramide (Ritmodan)
C D
NC C
C
NC
Flecainide acetato (Almarytm)
B
=
Coronarodilatatori Nitroderivati Nitroglicerina (Nitrodur,Trinitrina,Venitrin) Isosorbide dinitrato (Carvasin) Calcio antagonisti Verapamil (Isoptin)
può inibire travaglio aggiustare dosaggio IUGR,ipoglicemia e bradicardia neonatale = (2-3) rischio gozzo neonatale (3) può indurre travaglio tossicità in studi animali
FDA* OGM* Antipertensivi α-2 agonisti adrenergici (ad azione centrale) Alfametildopa (Aldomet,Medopren) B NC Clonidina (Catapresan) C NC
BNF*
non dannoso nessuna prova teratogenicità Bloccanti dei recettori alfa-adrenergici (ad azione periferica) Doxazocin (Cardura) C NC può inibire travaglio Calcio antagonisti Nifedipina (Adalat, Nifedicor) C NC può inibire travaglio Verapamil (Isoptin) C NC può inibire travaglio β-bloccanti Atenolo (Atenol,Tenormin) D = IUGR,ipoglicemia e bradicardia neonatale Propanololo cloridrato (Inderal) C C “ Pindololo (Visken) B C “ Labetalolo (Trandate) C = “ ACE inibitori Captopril (1) C (2-3)D = (1-2-3) evitare uso, alterazione (Acepress, Capoten) funzionalità renale Enalapril (Enapren,Naprilene) (1) C (2-3)D = “ Lisinopril (Zestril) (1) C (2-3)D = “ Diazossido (Proglicem) C P (2-3) alopecia, intolleranza glucidica neonatale Diuretici Tiazidici Idroclorotiazide (Esidrex) B P (3) possibile trombocitop neonatale Clortalidone (Igroton) B NC/P “ Inibitori anidrasi carbonica Acetazolamide (Diamox) C P (1) tossicità in studi animali Inibitori dell’aldosterone Spironolattone C NC tossicità in studi (Aldactone, Spirolang) animali,evitare Diuretici dell’ansa Furosemide (Lasix) C NC non dannoso,non usare in ipertensione gravidica Acido etacrinico (Reomax) D NC =
*I numeri in parentesi si riferiscono ai trimestri di rischio.Il segno “=”si riferisce a principi attivi non riportati nelle classificazioni considerate
Tra i glucosidi cardioattivi la più largamente utilizzata è la digossina. Non è stato segnalato, in rapporto al loro uso in gravidanza a dosi terapeutiche, alcun effetto teratogeno [13, 37], anche se non esistono al riguardo studi controllati in campo umano né studi su animali.
Tra i farmaci inotropi positivi non digitalici vanno ricordati anche gli inibitori della fosfodiesterasi (xantine metilate); tra queste, l’aminofillina e la teofillina sono i farmaci più frequentemente utilizzati. Pur mancando studi controllati in campo umano, non sono stati segnalati effetti avversi in gravidanza [38].
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Capitolo 29 • Farmaci e gravidanza • A.L.Borrelli,M.Felicetti,G.Feroce
Coronariodilatatori Numerosi farmaci sono utilizzati come coronariodilatatori (Tabella 29.4). I farmaci più comunemente impiegati per il trattamento dell’angina pectoris sono i nitrati (nitroglicerina, l’isosorbide dinitrato, ecc.). Anche per questi farmaci mancano studi epidemiologici controllati; non sono stati segnalati effetti avversi embriofetali, tuttavia, in relazione alla loro notevole azione ipotensiva vanno impiegati, quando necessario, monitorando attentamente le condizioni cardiocircolatorie. Per il loro effetto dilatante sulle coronarie sono utilizzati come farmaci antiangina anche numerosi calcioantagonisti il più noto dei quali è certamente il verapamil. Pur non essendo stati segnalati effetti embriofetotossici relativi al suo impiego in gravidanza, il verapamil determina negli animali una riduzione del flusso ematico uterino [39] e può indurre depressione cardiocircolatoria in neonati di gestanti cardiopatiche esposte al farmaco nelle fasi immediatamente precedenti il travaglio di parto [40]. Circa la nifedipina non sono stati riportati dati relativi ad un incremento significativo di difetti congeniti in nati da madri esposte al farmaco [6]. Anche in altri studi non sono segnalati effetti embrio-fetotossici conseguenti all’impiego del farmaco a dosi terapeutiche dopo il I trimestre [23, 24]. I calcioantagonisti, usati anche come antiipertensivi, vanno tuttavia impiegati, quando necessario, con molta cautela. Il dipiridamolo, per la sua azione vasodilatante selettiva sulle coronarie, è utilizzato nella profilassi dell’angina pectoris e dell’infarto del miocardio. In studi su animali non sono stati evidenziati effetti teratogeni, mancano tuttavia ricerche in campo umano circa il suo impiego in gravidanza. Si consiglia, quindi, cautela soprattutto nel periodo organogenetico.
Antiaritmici I farmaci antiaritmici possono essere classificati da un punto di vista clinico in: quelli attivi nei confronti delle aritmie sopraventricolari (verapamil, β-bloccanti, digossina, ecc.), quelli attivi nei confronti delle aritmie ventricolari e sopraventricolari (chinidina, disopiramide, amiodarone, flecainide, β-bloccanti) e quelli attivi sulle aritmie ventricolari (procainamide, lidocaina) (Tabella 29.4). Verapamil e β-bloccanti sono spesso utilizzati come antiaritmici; non sono stati segnalati effetti teratogeni legati al loro impiego nella fase iniziale della gravidanza [39], mancano però studi controllati al riguardo.
La digossina, oltre che per l’insufficienza cardiaca congestizia, è utilizzata anche come antiaritmico nella terapia del flutter e della fibrillazione atriale. Poiché attraversa facilmente la placenta è impiegata anche per il trattamento delle aritmie fetali [41]. La chinidina, la disopiramide e l’amiodarone sono preparati che vengono comunemente impiegati nella terapia delle aritmie ventricolari e sopraventricolari. Per tutti questi farmaci non sono state segnalate anomalie congenite, anche se mancano studi controllati al riguardo sia in campo umano che su animali [42, 43]. L’amiodarone può determinare ipotiroidismo fetale per liberazione di iodio da parte della molecola [6]. Circa la flecainide sono stati segnalati effetti embriofetotossici in studi su animali. Anche la procainamide e la lidocaina sono impiegati come antiaritmici in quanto rallentano la conduzione atrioventricolare e deprimono l’eccitabilità cardiaca. Questi farmaci (non in commercio in Italia per questa indicazione) non sembrano avere effetti nocivi sul concepito [8]; mancano tuttavia studi controllati al riguardo. Circa l’impiego degli antiaritmici in gravidanza va, però, sottolineato che, in presenza di aritmie gravi e potenzialmente letali, pur mancando dati certi su possibili effetti fetali avversi, questi farmaci vanno comunque utilizzati in quanto i benefici materni derivanti dal loro impiego risultano maggiori dei possibili danni fetali.
Antiipertensivi A seconda del meccanismo di azione gli antiipertensivi si distinguono in diverse categorie: antiipertensivi ad azione centrale, calcioantagonisti, β-bloccanti, ACE inibitori, ecc. (Tabella 29.4). Antiipertensivi ad azione centrale. L’alfametildopa e la clonidina sono da tempo utilizzati nel trattamento dell’ipertensione gravidica senza che vi siano state segnalazioni circa effetti avversi nei confronti del prodotto del concepimento [44, 45]. Calcioantagonisti. La nifedipina, uno dei farmaci maggiormente impiegato nella terapia dell’ipertensione gestazionale, non è stata associata a danni embriofetali [46]. Il verapamil, utilizzato anche come coronariodilatatore va impiegato, come già detto, con cautela in quanto può ridurre la perfusione ematica uterina e indurre depressione cardiaca fetale [39]. β-bloccanti. Pur mancando dati certi, questi farmaci, impiegati nella fase iniziale della gravidanza, non sembrano indurre effetti fetali avversi. Nella seconda metà della gestazione i β-bloccanti non selettivi quali il propanololo, il pindololo, ecc., possono indurre ipotensione, bradicardia ed iposviluppo fetale [47]. Dette complicanze, ridotte con il labetololo, sono quasi del
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
tutto assenti con i β-bloccanti selettivi di ultima generazione quali l’atenololo e l’oxoprenololo [48]. Gli inibitori dell’enzima angiotensina convertasi (ACE inibitori) non sono teratogeni in senso stretto; se somministrati per lunghi periodi nella 2a metà della gravidanza determinano grave sofferenza del rene fetale e anomalie renali, oliguria, oligoamnios cui spesso conseguono anomalie di sviluppo e deformazioni fetali. L’effetto nefrotossico può essere talora così grave da determinare la morte del neonato poco dopo l’espletamento del parto [49, 50]. Per i motivi suddetti gli ACE inibitori sono controindicati in gravidanza. Il diazossido è un farmaco tiazidico impiegato nel trattamento dell’ipertensione (non in commercio in Italia per questa indicazione). Non vi sono studi circa gli effetti embriofetotossici legati all’uso di questo farmaco in gravidanza [6]; tuttavia l’impiego dei tiazidici nell’imminenza del travaglio di parto sembra possa indurre alterata tolleranza al glucosio nel neonato [51].
Diuretici I diuretici in associazione agli antiipertensivi vengono utilizzati in gravidanza nel trattamento dell’edema polmonare, frequente complicanza delle cardiopatie scompensate. I diuretici possono distinguersi in diverse classi: tiazidici, inibitori della carbonico-anidrasi, inibitori dell’aldosterone, diuretici dell’ansa, ecc. (Tabella 29.4). I tiazidici (idroclorotiazide ed altri) non aumentano l’incidenza di anomalie congenite [8], ma somministrati nella 2a metà della gravidanza,per la riduzione del volume plasmatico materno che determinano, possono indurre ipoperfusione placentare e sono associati anche ad ipoglicemia e trombocitopenia neonatale transitoria [52]. Degli inibitori dell’anidrasi carbonica (es. acetazolamide) non si conoscono eventuali effetti embrio-fetotossici per mancanza di studi controllati in campo umano. Sono tuttavia state segnalate anomalie degli arti insorte in animali nati da madri trattate con acetazolamide in gravidanza [53]. Tra gli inibitori dell’aldosterone il più noto è lo spironolattone. Non sono conosciuti in campo umano i suoi effetti sul prodotto del concepimento. Per la sua
attività antiandrogena è stata segnalata, in studi su animali, una sua possibile associazione con la femminilizzazione dei feti maschi nati da madri esposte al farmaco in gravidanza [6, 54]. Per tali motivi se ne sconsiglia l’uso durante la gestazione. Diuretici dell’ansa (acido etacrinico, furosemide). Non sono del tutto noti gli effetti embrio-fetali di questi farmaci per mancanza di studi controllati in campo umano. Pur non essendo stati segnalati eventi fetali avversi, l’uso protratto di questi farmaci, può determinare ipovolemia materna, riduzione della perfusione placentare e squilibri idroelettrolitici [6].
FARMACI ANTICOAGULANTI, ANTIANEMICI ED EMOSTATICI Anticoagulanti Derivati del dicumarolo. Il warfarin, il più noto tra i dicumarolici (classe X della FDA), è controindicato in gravidanza. Impiegato nel I trimestre, induce la cosiddetta sindrome da warfarin caratterizzata da disturbi dell’ossificazione ed ipoplasia nasale [55]. I derivati del dicumarolo somministrati nel II e III trimestre, si associano ad una serie di anomalie mediate dall’effetto anticoagulante, tra queste segnaliamo: anomalie oculari, iposviluppo e in alcuni casi microcefalia ed emorragie cerebrali [55]. L’eparina, per il suo elevato peso molecolare, non attraversa la placenta ed è quindi l’anticoagulante di elezione in gravidanza [25]. Nei trattamenti prolungati possono tuttavia manifestarsi nella gestante osteoporosi e trombocitopenia [25]. Pure le moderne eparine a basso peso molecolare (nadroparina, enoxaparina, ecc. - classe B della FDA) non attraversano la placenta per cui è molto probabile la loro innocuità anche se non sono disponibili studi controllati in merito [56]. Per tali motivi se ne sconsiglia l’uso nel I trimestre di gravidanza ad eccezione dei casi in cui il beneficio terapeutico superi il possibile rischio. Anche per la streptochinasi (classe A della FDA) non sono state segnalate malformazioni congenite in quanto, come le eparine a basso peso molecolare, attraversa la placenta in minima quantità (Tabella 29.5).
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Capitolo 29 • Farmaci e gravidanza • A.L.Borrelli,M.Felicetti,G.Feroce
Tabella 29.5. Anticoagulanti,antianemici ed emostatici FDA* OGM* Dicumarolici Warfarin (Coumadin)
D
C
Acenocumarolo (Sintrom)
D
C
Eparine Eparina calcica (Calciparina)
C
NC
Eparina basso peso molecolare Nadroparina calcica (Fraxiparina,Seleparina) Enoxaparina sodica (Clexane) Reviparina (Clivarina) Antianemici e polivitaminici Acido folico (Folina) Calcio folinato (Citofolin,Folidar,Folaren) Calcio metafolinato (Prefolic,Furoic)
BNF* (1) malformazioni congenite, (2-3) emorragia fetale e neonatale “
osteoporosi materna per uso prolungato
B
NC
=
B C
NC NC
dati insufficienti “
A =
NC NC
= =
=
NC
=
Calcio levofolinato (Levofolene,Lederfolin) Ferroso gluconato (Cromatonferro,Monoferro) Sodio ferri-gluconato (Ferlixit) Ferro maltoso (Intrafer) Ferroso solfato (Ferrograd) Ferroso solfato+acido ascorbico +acido folico (Ferrograd Folic) Ferripolicondro (Isairon) Cianocobalamina (Dobetin) Cianocobalamina+calciofolina (Eparmefolin) Preparato polivitaminico+Sali minerali (Gravit,Multicentrum,ecc.) Vitamine B1+B6+B12 (Benexol) Acido ascorbico (Cebion) Calcio carbonato+colecalcif. (Calcidon) Antiemorragici Acido tranexamico (Tranex,Ugurol) Acido aminocaproico (Caprolisin)
FDA* OGM* = NC
BNF* =
A
NC
A A A A
NC = NC NC
evitare prime fasi gravidanza (via parenterale) “ “ “ “
A A A
= NC NC
“ = =
A
NC
=
A A A
NC NC NC
= = dosi terapeutiche non dannoso
C
NC
C
NC
non teratogeno in studi animali =
*I numeri in parentesi si riferiscono ai trimestri di rischio.Il segno “=”si riferisce a principi attivi non riportati nelle classificazioni considerate
Antianemici ed emostatici Nel trattamento delle anemie gravidiche di più frequente riscontro (anemia sideropenica, megaloblastica, ecc.) sono comunemente impiegati sali di ferro oltre ad acido folico e vitamina B12. A scopo emostatico sono solitamente impiegati l’acido tranexamico e l’acido aminocaproico. Nessuno di questi farmaci (classe A della FDA) è
controindicato in gravidanza [6, 57] anche se in merito mancano studi controllati sia in campo umano che su animali (Tabella 29.5).
TOCOLITICI E SPASMOLITICI Si tratta di un gruppo eterogeneo di farmaci che inducono rilassamento della muscolatura liscia (Tabella 29.6).
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
Tabella 29.6. Tocolitici e spasmolitici FDA*
OGM*
BNF*
B B C
NC NC NC
= = =
=
=
ev non dannoso, (3) alte dosi RDS neonatale
B/D (3)
P/C
(3) chiusura DA ipert.polm.neonat.
Calcio antagonisti Nifedipina (Adalat,Nifedicor)
C
NC
può inibire travaglio
Antagonisti dell’ossitocina Atosiban (Tractocile)
=
=
possibile IUGR
β2-simpaticomimetici Isossisuprina (Vasosuprina) Ritodrina (Miolene) Salbutamolo (Ventolin) Solfato di magnesio (Magnesio solfato) Inibitori prostaglandine Indometacina (Metacen)
FDA* OGM* BNF* Inibitori catabolismo delle catecolamine-simpaticomimetici Fluoroglucinolo (Spasmex) = NC = Parasimpaticolitici periferici Antimuscarinici Atropina solfato (Atropina) C NC non dannoso Butilscopolamina bromuro C NC “ (Buscopan) Clidinio bromuro+ = P in prossimità del parto clordiazepossido (Librax) floppy syndrome, letargia,difficoltà respiratoria Octatropina metilbromuro+ = P per dosi >40 mgr diazepam (Valpinax) o trattamenti prolungati floppy syndrome
*I numeri in parentesi si riferiscono ai trimestri di rischio.Il segno “=”si riferisce a principi attivi non riportati nelle classificazioni considerate
Simpaticomimetici specifici per i β-recettori
Inibitori delle prostaglandine
I beta-2-mimetici hanno una azione spasmolitica diretta sulla muscolatura liscia (bronchiale, vascolare, uterina, ecc.) e vengono utilizzati in gravidanza soprattutto come tocolitici negli stati spastici del miometrio e nelle alterazioni della perfusione utero-placentare; trovano infatti indicazione nel trattamento della minaccia di aborto e di parto prematuro e nelle distocie ipercinetiche del parto. I beta-stimolanti più frequentemente utilizzati sono la ritodrina, l’isossisuprina e il salbutamolo (soprattutto impiegato come broncodilatatore) che non presentano effetti embriofetotossici e sono efficaci nell’inibire il parto prematuro per un massimo di 48 ore; vanno tuttavia impiegati con molta cautela per gli effetti collaterali che inducono nell’organismo materno sia a livello cardiocircolatorio (tachicardia, aritmie, edema polmonare) che sulla circolazione periferica (ipotensione per vasodilatazione diffusa) [58]. Per tali motivi negli USA il loro impiego è stato limitato dalla FDA.
Questi farmaci agiscono inibendo l’azione delle cicloossigenasi (COX) coinvolte nella sintesi delle prostaglandine; hanno una notevole efficacia tocolitica senza essere gravati dagli effetti collaterali materni dei beta-2 agonisti: ad alte dosi sono, tuttavia, associati a chiusura prematura del dotto di Botallo e a rischio di NEC (enterocolite necrotizzante neonatale).
Calcioantagonisti Tra i calcioantagonisti la nifedipina, impiegata soprattutto nel trattamento della ipertensione gestazionale, è stata utilizzata di recente anche come tocolitico con risultati comparabili a quelli dei beta-mimetici, ma con minori effetti collaterali. Nessun effetto negativo è stato segnalato in feti esposti dopo il I trimestre [60].
Antagonisti dell’ossitocina Solfato di magnesio Il solfato di magnesio, utilizzato anche come antiedemigeno cerebrale, deve il suo effetto tocolitico al blocco del flusso di calcio endocellulare. Studi recenti segnalano tuttavia, specie per usi prolungati e ad alte dosi, marcati effetti collaterali indesiderati feto-materni con incremento della mortalità neonatale [59].
Tra gli antagonisti dell’ossitocina l’Atosiban (tractocile) è il farmaco più studiato; deve il suo effetto tocolitico all’inibizione dei recettori per l’ossitocina cui consegue una netta riduzione del calcio intracellulare nelle fibrocellule miometriali. In numerosi studi si è rilevato che l’atosiban ha un’azione tocolitica analoga a quella dei beta-mimetici con minori effetti collaterali [61]. Trova specifica indicazione nella terapia della minaccia di par-
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Capitolo 29 • Farmaci e gravidanza • A.L.Borrelli,M.Felicetti,G.Feroce
to prematuro tra la 24a e la 33a settimana di gestazione e va somministrato per via endovenosa in tre fasi succesive: inizialmente in unica dose in bolo (6,75 mgr) preparata con tractocile 7,5 mgr/ml soluzione iniettabile; immediatamente dopo il trattamento va proseguito mediante infusione continua per tre ore di una dose elevata (300 µgr/min) di tractocile 7,5 mgr/ml e successivamente si continua sempre per infusione venosa, con una dose minore (100 µgr/min) per un massimo di 48 ore. La terapia con atosiban, che può essere protratta complessivamente per 48 ore, e non sembra indurre eventi avversi nè sulla madre nè sul concepito [62].
Simpaticomimetici inibitori del catabolismo delle catecolamine Il fluoroglucinolo (spasmex) ha un effetto spasmolitico sulla muscolatura liscia biliare, urinaria, uterina, ecc. ed è impiegato soprattutto come antispastico in travaglio di parto per favorire la dilatazione del collo uterino e regolarizzare la dinamica uterina. Può anche essere utilizzato in gravidanza nella terapia della minaccia di aborto e di parto prematuro. Non sono stati, infatti, segnalati effetti avversi nè sulla madre nè sul feto [63].
minuzione della secrezione salivare e gastrica) [6, 64]. La butilscopolamina-bromuro (buscopan) è un farmaco molto utilizzato per il suo effetto antispastico sulla muscolatura liscia degli organi cavi (stomaco, vie biliari, utero, ecc.). In ostetricia è impiegato nella minaccia di aborto e di parto prematuro. Ha un’azione antispastica simile all’atropina senza averne gli effetti collaterali. Non esistono segnalazioni di esiti avversi né sulla gestante né sul prodotto del concepimento [6, 64]. Il clinidio bromuro e l’octatropina metilbromuro sono composti ad azione anticolinergica e spasmolitica; in associazione con benzodiazepine (clinidio bromuro+clordiazepossido - librax; octatropina metilbromuro+diazepam - valpinax) sono utilizzate nel trattamento degli spasmi intestinali e del colon irritabile. Sono disponibili in letteratura studi limitati sull’uso di questi farmaci in gravidanza. Vanno, quindi, usati con molta prudenza; in caso di avvenuta esposizione non è ipotizzabile un aumento del rischio riproduttivo considerato lo scarso assorbimento e passaggio transplacentare, l’assenza di azioni teratogene sugli animali da esperimento e la mancata segnalazione di effetti embrio-fetotossici nel periodo di commercializzazione (documentazione rilasciata dalla ditta produttrice per la registrazione).
FARMACI PSICOTROPI
Parasimpaticolitici periferici L’atropina ha una blanda azione spasmolitica sulla muscolatura liscia bronchiale, oculare (midriasi), intestinale, uterina, ecc. Non procura danni embriofetali [8]; effetti collaterali sono evidenti a livello cardiovascolare (frequenza cardiaca) e a livello gastrointestinale (di-
Il progressivo incremento nel sesso femminile di disturbi psichici e comportamentali che richiedono un trattamento farmacologico, dà ragione del sempre più frequente impiego di psicofarmaci in gravidanza (Tabella 29.7).
Tabella 29.7. Farmaci psicotropi FDA*
OGM*
BNF*
C
NC
Proclorperazina (Stemetil) Perfenazina (Trilafon) Promazina (Talofen) Flufenazina decanoato (Moditen) Tioridazina (Melleril)
C C C C C
NC NC NC NC NC
(3) effetti extrapiramidali neonatali “ “ “ “ “
Butirrofenonici Aloperidolo (Haldol,Serenase) Clozapina (Leponex)
C C
P =
“ evitare uso
Antipsicotici o psicolettici Fenotiazine Clorpromazina (Largactil,Prozin)
FDA* OGM* BNF* Ipnotici, sedativi e tranquillanti minori Barbiturici Fenobarbitale D P (1) rischio (Gardenale,Luminale) malformazioni congenite (3) sindrome da astinenza, emorragia neonatale per deficit di vitamina K Benzodiazepine Diazepam (Ansiolin,Noan,Valium) D P evitare uso regolare, sindrome da astinenza neonatale,RDS segue →
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Clordiazepossido (Librium) Alprazolam (Xanax) Lorazepam (Control,Tavor) Bromazepam (Lexotan) Carbamati Meprobamato (Quanil)
Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
FDA*
OGM*
BNF*
D D D D
P = P P
“ “ “ =
D
P
evitare uso
Psicoanalettici o antidepressivi Triciclici Amitriptilina (Laroxyl) D
Imipramina (Tofranil) Clomipramina (Anafranil) Anti-MAO Tranilciprom.+Trifluoperaz. (Parmodalin)
P
(3) tachicardia, irritabilità,spasmi muscolari neonatali “ “
FDA* OGM* Antiepilettici Fenitoina (Dintoina)
D
C
Carbamazepina (Tegretol)
D
P
Sodio valproato (Depakin)
D
P
D D
P P
C
P
(1-2-3) non prova di pericolosità,evitare uso
Fenobarbital (Gardenale,Luminale) D
P
SSRI Fluoxetina (Prozac)
C
=
Diazepam (Valium)
D
P
Paroxetina (Seroxat) Litio carbonato (Carbolithium)
C D
= C
(1-2-3) non evidenza di teratogenicità,usare se benefici superano rischi “ (1) rischio malformazioni cardiache (2-3) tossicità neonatale,controllare concentrazioni sieriche
Etosuccimide (Zarontin)
C
C
Antiemicranici Ergotamina+caffeina (Cafergot)
D
C
BNF*
(1) malformazioni congenite (associare acido folico 5 mg) (3) emorragia neonatale per deficit vitamina K (1) DTN (associare acido folico) (3) emorragia neonatale per deficit vitamina K (1) rischio malformazioni congenite (3) emorragia epatotossica neonatale (1) malformazioni congenite (3) emorragia neonatale per deficit vitamina K sindrome da astinenza neonatale, alte dosi ipotermia, ipotonia,RDS neonatale (1) può essere teratogeno
effetti ossitocici utero materno
*I numeri in parentesi si riferiscono ai trimestri di rischio.Il segno “=”si riferisce a principi attivi non riportati nelle classificazioni considerate
Non avendo la FDA né testato né approvato l’uso di agenti psicotropi durante la gestazione ne deriva che l’impiego di questi farmaci sarebbe da limitare a quei casi in cui i rischi materno-fetali relativi ai disturbi psichici sono realmente maggiori a quelli conseguenti all’utilizzo di psicofarmaci potenzialmente teratogeni. Infatti durante la gravidanza se l’interruzione del trattamento di un disturbo psichico può comportare un significativo aggravamento della patologia materna con ripercussioni sul prodotto del concepimento (aborto, iposviluppo, parto prematuro), l’uso prenatale di psicofarmaci può dare luogo non solo ad anomalie congenite (esposizione nelle prime 12 settimane), ma anche a sequele neonatali a breve (crisi di astinenza) e a lungo termine (anomalie comportamentali). Per quanto detto appare, quindi, assolutamente evidente l’utilità di una stretta collaborazione polispecia-
listica (ostetrico-neuropsichiatra-pediatra) nel trattamento dei disturbi psichici in gravidanza.
Antipsicotici o tranquillanti maggiori o neurolettici Non esistono studi controllati circa eventi avversi in neonati dopo esposizione in utero a tranquillanti maggiori o neurolettici (Tabella 29.7). Le fenotiazine (clorpromazina, proclorperazina) tra i neurolettici costituiscono la classe principale; sono spesso utilizzati in gravidanza anche come antiemetici. L’uso della clorpromazina (largactil) in gravidanza non è stato associato ad una maggiore incidenza di difetti congeniti [8], tuttavia nei neonati venuti alla luce da madri trattate nel III trimestre con questo farmaco si sono riscontrate ipotensione e sindromi extrapirami-
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Capitolo 29 • Farmaci e gravidanza • A.L.Borrelli,M.Felicetti,G.Feroce
dali (rigidità muscolare, ipertonia, tremori) [65]. Non è stato riscontrato un aumento delle anomalie congenite anche nei neonati le cui madri avevano assunto proclorperazina (stemetil) o perfenazina (trilafon) nelle fasi iniziali della gravidanza [8]. Studi su animali suggeriscono la possibilità di turbe comportamentali dopo l’esposizione fetale a neurolettici [66]. Anche l’uso in gravidanza dell’aloperidolo (serenase) e della clozapina (leponex) non sembra aumentare l’incidenza di anomalie congenite [67, 68]; mancano, tuttavia, come già detto, studi controllati circa la sicurezza di utilizzo di questi farmaci in gravidanza.
Sedativi ipnotici e tranquillanti minori Sono impiegati come sedativi gli ipnotici e i tranquillanti; si tratta di un gruppo eterogeneo di farmaci tra cui ricordiamo i barbiturici e le benzodiazepine (Tabella 29.7). Tra i barbiturici il fenobarbitale (Gardenale) è impiegato sia come sedativo ed ipnotico che come anticonvulsivante. È controverso il giudizio sugli effetti teratogeni del farmaco. In taluni studi [8] non è stata rilevata aumentata incidenza di malformazioni congenite in nati da madri esposte al farmaco nel I trimestre; a risultati opposti pervengono altri studi relativi all’impiego del fenobarbitale come anticonvulsivante [25]. Il rischio maggiore, tuttavia, è la dipendenza materna e la sindrome d’astinenza del neonato. Le benzodiazepine sono tranquillanti minori impiegati come sedativi, ansiolitici e nel trattamento delle nevrosi. Il clordiazepossido (Librium) e il diazepam (Valium) sono le benzodiazepine più frequentemente impiegate come sedativi. Il clordiazepossido, in uno studio, è stato associato ad una maggiore incidenza di difetti congeniti [69]: questi dati non sono stati tuttavia confermati in altri studi [8]. Il diazepam è stato “implicato” nella genesi di alcune malformazioni (palatoschisi e anomalie cardiovascolari) in nati da madri esposte al farmaco [70, 71], il che tuttavia non è stato confermato in altri studi [72, 73]. Somministrato poco prima del parto il diazepam può determinare ipotermia, depressione respiratoria e ipotonia neonatale (floppy infant syndrome) condizione non letale se trattata prontamente in modo adeguato [74]. Altro tranquillante minore è il meprobamato (Quanil); esso è impiegato come sedativo e come miorilassante; sono molto controversi i dati circa gli effetti embrio-fetali del farmaco. In taluni studi [69] il meprobamato è associato ad un incremento di difetti congeniti, mentre altri studi [8] non hanno evidenziato alcun effetto dannoso. In mancanza, quindi, di dati cer-
ti circa gli effetti embrio-fetotossici dei suddetti farmaci, appare prudente evitare la loro somministrazione nel I trimestre e in tutti i casi in cui non sia assolutamente necessario.
Antidepressivi o psicoanalettici Gli antidepressivi (Tabella 29.7) sono generalmente distinti in: antidepressivi tipici (triciclici TCA e inibitori della monoaminoossidasi MAO) e antidepressivi atipici; tra questi ultimi gli inibitori del re-uptake della serotonina (SSRI) sono quelli più noti ed utilizzati. In passato alcune ricerche avevano evidenziato una possibile associazione tra l’esposizione nel I trimestre agli antidepressivi triciclici (imipramina, amitriptilina e suoi derivati, clomipramina, ecc.) e difetti congeniti (malformazioni agli arti) [75], mentre studi più recenti non hanno confermato questi risultati [76, 77]. Sono state, invece, segnalate sindromi da sospensione di TCA (convulsioni, irritabilità, ecc.) nei nati da gestanti che avevano utilizzato questi farmaci durante il travaglio di parto [78, 79]. Mancano studi circa gli effetti gravidici degli inibitori della monoaminoossidasi (tranilcipromina, isocarbossazide) per cui questi farmaci vanno impiegati con assoluta cautela durante la gestazione. Tra gli SSRI la fluoxetina (Prozac) costituisce attualmente il farmaco più utilizzato e meglio conosciuto. In più trials non si è rilevata aumentata incidenza di malformazioni fetali dopo esposizione al suddetto farmaco [80, 81]. È stato segnalato invece un incremento di anomalie minori rispetto ai controlli [82]. Dati controversi emergono tuttavia sulla tossicità neonatale della fluoxetina [82, 83]. Non sono attualmente disponibili dati ed informazioni attendibili sulla sicurezza in gravidanza degli SSRI più recenti (fluvoxamina, sertralina, paroxetina).
Litio Il litio (Tabella 29.7) viene impiegato soprattutto nella terapia di gravi psicosi. Numerosi autori sottolineano un aumentato rischio malformativo (cardiopatie congenite) in seguito all’esposizione prenatale al predetto farmaco [84]. Una minore incidenza di effetti teratogeni sarebbe stata segnalata in studi più recenti in seguito all’impiego del litio nel I trimestre di gravidanza [85, 86]. L’uso del farmaco nel III trimestre e soprattutto nel travaglio di parto sarebbe associato ad una notevole tossicità neonatale caratterizzata da cianosi ed ipotonia (floppy baby syndrome) [87]. In uno studio su donne bipolari, questi ultimi dati non sono stati confermati [88].
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
Anticonvulsivanti o antiepilettici (FAE) Alcuni anticonvulsivanti (Tabella 29.7) come la fenilidantoina (fenitoina), la carbamazepina e il trimetadione possono indurre, soprattutto se impiegati nel I trimestre, una sindrome polimalformativa (embriopatia da antiepilettici) caratterizzata da anomalie craniofacciali, ipoplasia delle falangi distali e delle unghie, IUGR, cardiopatie congenite, difetti del tubo neurale e deficit mentale alla nascita [1, 89]. L’acido valproico, utilizzato soprattutto nella terapia del piccolo male, è stato invece associato ad un’aumentata incidenza di difetti cranio-facciali e del tubo neurale (sindrome fetale da acido valproico) [90]. Va tuttavia considerato che nonostante gli effetti teratogeni ricordati, spesso i benefici relativi al trattamento con anticonvulsivanti superano di molto i potenziali rischi malformativi; infatti è molto difficile discriminare quanto dell’effetto teratogeno debba attribuirsi agli antiepilettici e quanto invece dipenda dalla predisposizione genetica e dall’effetto nocivo dell’epilessia materna stessa. Il fenobarbital, come è stato già ricordato, sembra
essere privo di evidenti effetti teratogeni [25]; circa l’etosuccimide, impiegato nel trattamento del piccolo male, non vi sono segnalazioni in merito ad un incremento di malformazioni congenite relative al suo impiego nel I trimestre di gravidanza [25]. Idantoinici e barbiturici interferiscono con il metabolismo dell’acido folico materno e possono indurre emorragie neonatali da deficit della vitamina K. Per prevenire dette complicanze appare utile una supplementazione di acido folico in gravidanza e la somministrazione di vitamina K sia alla partoriente nel corso del travaglio che al neonato dopo l’espletamento del parto. Antiemicranici. L’ergotamina non è teratogena, ma fetotossica per alterazioni della perfusione placentare e delle contrazioni uterine che determina [6].
ANALGESICI, ANTIPIRETICI E ANTIINFIAMMATORI Numerosi farmaci appartenenti a classi diverse tra loro sono impiegati in gravidanza a scopo analgesico, antipiretico ed antiflogistico (Tabella 29.8).
Tabella 29.8. Analgesici,antipiretici e antiinfiammatori FDA* Analgesici non oppioidi Acetilsalicilico (<150 mg/die) (Aspirina,Cemerit)
Paracetamolo (Tachipirina) Analgesici oppioidi Morfina cloridrato (Morfina Cloridrato) Meperidina (Mepedina) Codeina+efedrina (Codeinol)
C/D
B
OGM*
BNF*
P basse dosi non dannoso (3) chiusura DA, ipertensione polmonare neonatale NC non dannoso
C/D
P
B/D C
P =
Pentazocina (Talwin) Buprenorfina (Temgesic) Tramadolo (Contramal)
C/D C C
= = =
Metadone (Dolophine)
B/C
=
sindrome da astinenza neonatale “ (3) RDS neonatale, sindrome da astinenza neonatale “ “ tossico in studi animali,evitare uso, dati non disponibili uomo sindrome da astinenza neonatale
FANS Indometacina (Metacen)
Ibuprofene (Brufen,Moment 200) Naprossene (Synflex) Benzidamina (Tantum) Ketoprofene (Orudis) Diclofenac (Voltaren) Ketorolac (Toradol) Fenilbutazone (Kadol) Metamizolo (Novalgina) Piroxicam (Feldene)
Enzimi Bromelina (Ananase)
FDA*
OGM*
BNF*
(1)B/(3)D
P/C
(1)B/(3)D
P
(3) chiusura DA, ipertensione polmonare neonatale “
(1)B/(3)D P = NC/P (3)D NC/P (3)D = C P D P D NC C =
=
NC
“ “ “ “ controindicato = = (3) chiusura DA, ipertensione polmonare neonatale
=
*I numeri in parentesi si riferiscono ai trimestri di rischio.Il segno “=”si riferisce a principi attivi non riportati nelle classificazioni considerate
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Capitolo 29 • Farmaci e gravidanza • A.L.Borrelli,M.Felicetti,G.Feroce
Analgesici non narcotici Tra gli analgesici non narcotici i farmaci più comunemente impiegati in gravidanza sono l’acido acetilsalicilico e il paracetamolo. L’acido acetilsalicilico (aspirina, cemirit, ecc.), il cui effetto teratogeno è controverso [91-93], è attualmente impiegato nella profilassi della trombofilia gravidica. Può tuttavia determinare nella seconda metà della gravidanza, chiusura prematura del dotto di Botallo, oligoamnios, ipertensione polmonare neonatale [94] e, a dosi elevate, emorragie materno fetali per la sua azione antiaggregante piastrinica. Per tali motivi questo farmaco andrebbe evitato nelle ultime fasi della gravidanza. Il paracetamolo (tachipirina) è da ritenere l’analgesico di scelta perché non è associato né ad una aumentata incidenza di difetti congeniti né alla chiusura prematura del dotto di Botallo [8, 9]. Per la sua azione antireumatica e antitermica è anche raccomandato come farmaco di elezione nel trattamento dei sintomi influenzali in gravidanza.
butazone, feprazone, metamizolo, benzidamina, ecc.) ad azione antiflogistica ed analgesica che, soprattutto nelle fasi iniziali della gravidanza, non sembrano indurre effetti embrio-fetali avversi [97]; tuttavia come tutti i FANS, se impiegati cronicamente nella 2ª metà della gravidanza, possono determinare chiusura prematura del dotto di Botallo e ipertensione polmonare fetale. Per questi motivi è, quindi, prudente non somministrarli a dosi elevate e per trattamenti prolungati dopo la 34a settimana di gestazione.
Enzimi Taluni enzimi (ad es. bromelina) sono impiegati in gravidanza come antiinfiammatori ed antiedemigeni. In campo umano non risultano segnalazioni circa effetti embrio-fetotossici; vanno tuttavia utilizzati sotto controllo medico in caso di effettiva necessità.
FARMACI ATTIVI SULL’APPARATO DIGERENTE Narcotici Molti farmaci appartenenti a questa categoria sono utilizzati in gravidanza come analgesici. La morfina e la meperidina non sono associati ad un aumento dei difetti congeniti se impiegati nel I trimestre di gravidanza [8]. Dosi elevate in prossimità del parto inducono depressione respiratoria neonatale [8]. Analogamente la codeina e la pentazocina (talwin) non sembrano avere effetti embrio-fetotossici se somministrati nella fase iniziale della gravidanza [8, 25]; possono indurre sindrome da astinenza neonatale se assunti presso il termine della gestazione [8].
Antiinfiammatori non steroidei (FANS) Numerosi FANS (indometacina, naprossene, ibuprofene, ketorolac, piroxicam, diclofenac, ecc.) sono utilizzati in gravidanza come analgesici. Tra questi l’indometacina (metacen) è impiegata in gravidanza oltre che come analgesico anche come tocolitico (inibitori delle COX) nella minaccia di parto prematuro. Questo farmaco, somministrato nel I trimestre, non sembra aumentare l’incidenza di difetti congeniti [9], tuttavia se somministrato nella seconda metà della gravidanza può determinare, come l’acido acetilsalicilico, la precoce chiusura del dotto di Botallo, oligoamnios e ipertensione polmonare fetale [95, 96]. Tra i FANS vanno menzionati anche i derivati pirazolonici. Si tratta di farmaci (fenilbutazone, ossifenil-
I farmaci attivi sull’apparato digerente sono riportati nella Tabella 29.9. Tabella 29.9. Farmaci attivi sull’apparato digerente FDA*
OGM*
BNF*
Antiacidi Mg idrossido+algeldrato (Maalox) Magaldrato (Riopan) Na bicarbonato+algeldrato+Mg trisilicato (Gaviscon) Sucralfato (Gastrogel) Simeticone (Mylicon)
C C C
NC = =
= = =
B C
= NC
= =
Antiulcera Anti-H2 Ranitidina (Ranidil,Zantac)
B
=
Famotidina (Famodil)
B
=
non dannoso,evitare uso se non necessario evitare uso a meno che benefici>rischi
Prostaglandine Misoprostolo (Cystotec)
X
=
(1-2-3) evitare uso, può essere teratogeno
Bloccanti pompa protonica Lansoprazolo (Lansox) Omeprazolo (Antra)
B C
= =
evitare uso tossicità studi animali
Coleretici, colagoghi Imecromone (Cantabilin) Idrossibutilossido (Dis-Cinil)
B =
NC NC
= = segue →
530
Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
FDA*
OGM*
BNF*
Epatoprotettori Similarina (Legalon) Tiopronina (Thiola)
B B
NC NC
= =
Lassativi Bisacodile (Dulcolax) Lattulosio (Laevolac)
B B
NC NC
= non dannoso
cidi nel trattamento dell’ulcera peptica [98]. Lo stesso dicasi per taluni antagonisti dei recettori H2 quali la famotidina, la cimetidina, la ranitidina ed alcuni inibitori della pompa protonica (omeprazolo, lansoprazolo, ecc.) classificati dalla FDA come appartenenti alla classe B. In assenza di studi controllati in campo umano questi farmaci vanno somministrati solo se necessario e sotto controllo medico.
Farmaci della motilità gastrica Metoclopramide (Plasil) B
NC
non dannoso
Coleretici, colagoghi, epatoprotettori e lassativi
Antidiarroici Loperamide (Imodium) B Pectina+caolino+attapulgite+ C gastrico algeldrato(Streptomagma) Bacitracina+neomicina (Bimixin) C
= =
dati non disponibili scarso assorbimento
NC
evitare uso
Antirettocolite ulcerosa Mesalazina (Mesacol,Mesalazina) B
=
Olsalazina (Dipentum)
=
quantità trascurabile attraversa placenta solo se benefici>rischi
B
*I numeri in parentesi si riferiscono ai trimestri di rischio.Il segno “=”si riferisce a principi attivi non riportati nelle classificazioni considerate
Non sono controindicati in gravidanza farmaci che stimolano il flusso biliare o che sono attivi sulla motilità delle vie biliari quali l’imecromone (Cantabilin), l’idrossibutilossido (Discinil) ed epatoprotettori quali la similarina (Legalon) e la tiopronina (Thiola) [99]. I lassativi non hanno, in genere, effetti fetali avversi: il lattulosio (Laevolac), il bisacodile (Dulcolax), possono essere utilizzati in gravidanza. Circa la metoclopramide (Plasil), che regola la motilità gastrica, non sono stati segnalati eventi embrio-fetali avversi [99]. Se ne consiglia, tuttavia, l’uso solo in casi di effettiva necessità. Per il trattamento delle emorroidi si può agire in maniera analoga a quanto si effettua al di fuori della gravidanza: prevenzione della stipsi con blandi lassativi e uso topico di pomate astringenti.
Antiacidi Antidiarroici Durante la gravidanza la pirosi gastrica può essere curata con antiacidi quali i composti di alluminio o di magnesio (magaldrato, algeldrato, magnesio idrossido, ecc.). Per nessuno di questi farmaci, che hanno scarso assorbimento sistemico, sono stati segnalati effetti fetali avversi (Tabella 29.9) [98].
Adsorbenti, astringenti e antiulcera In presenza di meteorismo, flatulenza può essere usato il simeticone (Mylicon) che non essendo assorbito dalla mucosa gastroenterica, non passa in circolo. Non sono stati rilevati sia in studi su animali che in campo umano effetti nocivi al prodotto del concepimento [98]. Non si hanno elementi probanti di giudizio sugli effetti del carbone attivo in gravidanza. Un aumento del rischio riproduttivo non è ipotizzabile data la mancata segnalazione di anomalie embriofetali. Il sulglicotide (gliptide) come anche il sucralfato (gastrogel) non sono controindicati in gravidanza e possono essere usati anche in associazione agli antia-
La diarrea può essere trattata in gravidanza con antimicrobici intestinali quali la neomicina e la bacitracina (Bimixin) in quanto l’assorbimento gastrico di questi farmaci è ridotto; l’esperienza circa il loro uso in gravidanza è limitato, infatti la scheda tecnica consiglia di utilizzare il farmaco in caso di effettiva necessità e sotto controllo medico [99]. Possono essere utilizzati anche adsorbenti quali l’attapulgite (classe C della FDA), gli inibitori della peristalsi quali la loperamide (classe B della FDA) in associazione a fermenti lattici.
Rettocolite ulcerosa Per il trattamento di questa affezione possono essere impiegati farmaci quali la mesalazina, olsalazina (classe B della FDA); il produttore, tuttavia, consiglia di utilizzare questi farmaci in caso di effettiva necessità e sotto controllo medico. Può essere impiegato localmente sotto forma di schiuma, il beclometasone propionato (classe C della FDA).
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Capitolo 29 • Farmaci e gravidanza • A.L.Borrelli,M.Felicetti,G.Feroce
FARMACI ATTIVI SULL’APPARATO RESPIRATORIO Numerosi sono i farmaci utilizzati nel trattamento delle affezioni respiratorie (Tabella 29.10). Tabella 29.10. Farmaci dell’apparato respiratorio FDA* OGM* Farmaci antiasmatici β2-agonisti Salbutamolo (Ventolin,Broncovaleas)
BNF*
C
NC
=
C
P
C
P
C B
P P
benefici>rischi, IUGR se uso prolungato benefici>rischi, IUGR se uso prolungato “ “
C
NC
C
NC
(3) irritabilità, apnea neonatale “
Espettoranti Ambroxolo (Mucosolvan,Fluibron) B Bromexina (Bisolvon) B Acetilcisteina (Fluimucil) B Sobrerolo (Sobrepin) C Sobrerolo+diprofillina = (Sobrepin respiro)
= NC NC NC NC
= = = = =
Glucocorticoidi Beclometasone (Clenil) Beclometasone+salbutamolo (Clenil compositum) Betametasone (Bentelan) Prednisone (Deltacortene) Inibitori fosfodiesterasi Teofillina (Tefamin, Theo-dur) Aminofillina (Aminomal)
ti effetti embrio-fetali avversi circa l’uso di questo farmaco in gravidanza [100]. I glicocorticoidi usati nel trattamento della gravida asmatica sono il beclometasone, il betametasone e il prednisone. Tra questi, il farmaco più utilizzato per aerosol è il beclometasone (Clenil) che da solo o in associazione col salbutamolo (Clenil compositum) può essere impiegato anche per via nasale; il betametasone (bentelan) e il prednisone (deltacortene) sono, invece, impiegati per via sistemica e per via orale. La teofillina per via orale e l’aminofillina per via parenterale, per il loro effetto broncodilatante, sono comunemente impiegati nelle gravide asmatiche; come per altri farmaci di questo gruppo, pur mancando studi controllati in campo umano, non sono stati segnalati difetti congeniti in nati da gestanti asmatiche trattate con questi farmaci [6, 38]. Le forme lievi di asma possono essere trattate con la sola inalazione di β2-agonisti; nelle forme di media gravità, ai β2-mimetici si associa spesso l’inalazione di cortisonici (beclometasone); nelle forme più gravi o in presenza di asma notturno è necessario ricorrere alla teofillina oppure all’aminofillina in associazione ai corticosteroidi sistemici o per inalazione. Anche in assenza di dati certi sugli effetti dell’uso prolungato di antiasmatici, va in ogni caso sottolineato che l’attacco asmatico, essendo potenzialmente letale, deve essere in ogni caso trattato mediante i farmaci suddetti in quanto gli eventuali rischi fetali sono certamente inferiori ai benefici materni.
Espettoranti e mucolitici
Sedativi della tosse Di-idrocodeina (Paracodina)
C
NC/P
Oxolamina (Perebron) Dropropizina (Ribex) Butamirato (Sinecod)
= = B
NC NC NC
(3) RDS neonatale, sindrome da astinenza neonatale = = =
*I numeri in parentesi si riferiscono ai trimestri di rischio.Il segno “=”si riferisce a principi attivi non riportati nelle classificazioni considerate
Antiasmatici L’asma bronchiale rappresenta una complicanza pericolosa in gravidanza. Il salbutamolo (Ventolin) è il β2-mimetico con effetto broncodilatante ed antiasmatico che viene più frequentemente utilizzato per aerosol. Pur mancando studi controllati in campo umano, non sono stati segnala-
L’acetilcisteina (fluimucil), la bromexina cloridrato (bisolvon), il sobrerolo (sobrepin), ecc. sono tra i farmaci più frequentemente utilizzati per la terapia delle infezioni delle vie aeree in gravidanza. Pur in assenza di studi controllati in campo umano, non sono stati rilevati effetti embrio-fetali avversi in relazione al loro impiego durante la gestazione [101].
Sedativi della tosse Taluni derivati della morfina (codeina, di-idrocodeinone), pur non determinando effetti dannosi al feto, vanno utilizzati con prudenza prima del parto per l’azione depressiva centrale e per la sindrome da privazione che possono indurre nel neonato [8]. Per altri sedativi della tosse privi di effetti depressivi sul centro respiratorio (oxolamina, dropropizina, guaiapato acetato, butamirato, ecc.) non sono stati segnalati effetti embrio-fetali e neonatali avversi [102].
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
ANTINEOPLASTICI Gli antineoplastici sono un gruppo eterogeneo di farmaci e comprendono: antimetaboliti, alchilanti, alcaloidi, antibiotici ed altri (Tabella 29.11). Tabella 29.11. Farmaci antineoplastici
Antimetaboliti Methotrexato (Methotrexato)
FDA*
OGM*
BNF*
X
=
evitare,teratogeno, usare contraccezione durante e 3 mesi dopo evitare uso,teratogeno in animali teratogeno, evitare uso “
Citarabina (Aracytin)
D
=
Fluorouracile (Efudix)
D
C
6-mercaptopurina (Purinethol)
D
=
Alchilanti Clorambucil (Leukeran)
D
C
Busulfan (Myleran,Misulban)
D
C
Ciclofosfamide (Endoxan)
D
C
Cisplatino (Platamine,Platinex)
D
C
Alcaloidi Vincristina solfato (Vincristina)
D
C
Vinblastina solfato (Velbe)
D
C
Antibiotici Bleomicina solfato (Bleomicina)
D
C
Doxorubicina (Adriblastina)
D
C
Daunorubicina (Daunoxome)
D
C
Immunosoppressori Ciclosporina (Sandimmun) Azatioprina (Azatioprina)
C D
C C
evitare,contraccezione durante assunzione evitare,teratogeno in animali,contraccezione durante assunzione evitare,contraccezione durante assunzione e tre mesi dopo evitare uso,teratogeno e tossico in animali evitare,teratogeno, aborti in animali “ evitare uso,teratogeno, carcinogeno in studi su animali evitare uso,teratogeno e tossico in studi animali evitare uso, carcinogeno in studi su animali non dati disponibili non evidenza di teratogenicità
*I numeri in parentesi si riferiscono ai trimestri di rischio.Il segno “=”si riferisce a principi attivi non riportati nelle classificazioni considerate
L’uso di antineoplastici nel I trimestre si associa ad un aumento di aborti spontanei e difetti congeniti, nel II e III trimestre il rischio malformativo si riduce notevolmente, mentre aumenta l’incidenza di IUGR , di morti endouterine del feto, di parti prematuri e mielodepressione materno-fetale. Va tuttavia segnalato che i potenziali benefici materni di questi trattamenti superano in genere i sia pur gravi rischi fetali.
Antimetaboliti Tra questi farmaci (metotrexato, mercaptopurina, fluorouracile) quello più frequentemente impiegato è certamente il metotrexato (MTX). L’esposizione della gestante nel I trimestre a dosi terapeutiche di MTX si associa ad una aumentata incidenza di malformazioni congenite simile a quella conseguente all’impiego di aminopterina [103]. L’impiego di MTX nel II e III trimestre sembra comportare invece solo aumento dell’incidenza di IUGR [1-3].
Alchilanti Gli alchilanti più frequentemente impiegati sono la ciclofosfamide, il busulfan, il clorambucil, il triometilene, il tiofosfasmide. La ciclofosfamide e il busulfan somministrati nel I trimestre si associano ad un’aumentata incidenza di malformazioni congenite [104, 105]; il rischio malformativo si riduce nelle fasi più avanzate della gravidanza, mentre risulta aumentata l’incidenza di IUGR [3].Va, a questo proposito, segnalato il pericolo di danni embrio-fetali a carico del personale sanitario femminile che venga in contatto con farmaci antiblastici senza la necessaria cautela.
Alcaloidi La vincristina e la vinblastina sono frequentemente utilizzati nella chemioterapia antiblastica; sono state segnalate malformazioni in nati da gestanti esposte a questi farmaci nel I trimestre di gravidanza [106]. L’incidenza di dette malformazioni è risultata, tuttavia, molto modesta [107].
Antibiotici ed altri antiblastici La bleomicina, la doxorubicina e la daunorubicina sono gli antibiotici ad azione antineoplastica più frequentemente utilizzati. Mancano studi controllati circa il loro impiego in gravidanza; lo stesso dicasi per altri
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Capitolo 29 • Farmaci e gravidanza • A.L.Borrelli,M.Felicetti,G.Feroce
farmaci ad azione antiblastica quali il cisplatino e la procarbazina. Tuttavia, in caso di necessità, se esiste pericolo di vita, i vantaggi del trattamento con i predetti farmaci superano certamente i rischi embrio-fetali.
Immunosoppressori L’azatioprina e la ciclosporina sono gli immunosoppressori di più largo impiego nel trattamento delle malattie autoimmuni e nella terapia di mantenimento delle pazienti trapiantate. Dell’azatioprina, teratogena negli animali, non si conoscono con certezza gli effetti in campo umano per mancanza di studi controllati al riguardo. Essendo però questo farmaco comunemente utilizzato da pazienti sottoposte a trapianto renale per evitarne il rigetto, il trattamento in questi casi, nonostante i rischi embrio-fetali, andrebbe continuato anche in gravidanza. Analogamente all’azatioprina anche per la ciclosporina mancano dati controllati circa il suo impiego in gravidanza. Essendo tuttavia utilizzata nella prevenzione dell’allograft reaction, il trattamento con ciclosporina va continuato, quando necessario, anche in gravidanza.
ORMONI
Farmaci tiroidei La patologia tiroidea complica la gravidanza piuttosto raramente [25]. In caso di ipotiroidismo, la terapia sostitutiva con tiroxina non si associa ad effetti embrio-fetali avversi perché questo farmaco non attraversa la placenta [7,25]. Nell’ipertiroidismo i farmaci più utilizzati sono il metimazolo (tapazole), lo ioduro di potassio e il propiltiouracile. Questi farmaci attraversano facilmente la placenta; in particolare l’uso in gravidanza del metimazolo è stato associato ad anomalie dello scalpo fetale [108], anche se questi dati non sono stati confermati da altri studi [109]. L’uso protratto dello ioduro di potassio può indurre ipotiroidismo e gozzo fetale. Lo stesso dicasi per il propiltiouracile, anche se danni fetali significativi sono molto rari quando questo farmaco è somministrato con oculatezza a dosi terapeutiche [110]. È opportuno precisare che la patologia tiroidea in gravidanza va comunque trattata in quanto le conseguenze materno-fetali di una interruzione del trattamento sono certamente più gravi dei possibili danni fetali conseguenti al trattamento stesso. Deve, quindi, effettuarsi una terapia accorta che consenta di utilizzare le minime dosi farmacologiche necessarie a raggiungere l’eutiroidismo materno senza danneggiare il feto.
Antidiabetici e altri ormoni
Preparati ormonali sistemici e ormoni sessuali sono riportati nella Tabella 29.12.
In gravidanza sono proscritte sia le biguanidi che le sulfaniluree in quanto teratogene ed embriotossiche. Può
Tabella 29.12. Ormoni FDA* Farmaci tiroidei Levotiroxina (Eutirox)
Metimazolo (Tapazole) Propiltiouracile (Propicil)
Antidiabetici Insulina (Humulin) Biguanidi Metformina (Metforal,Metformina) Sulfaniluree Clorpropamide (Diabemide) Glibenclamide (Gliben,Gliboral)
A
OGM* NC
BNF* controllare concentrazioni sieriche materne = (2-3) gozzo neonatale e ipotiroidismo
D D
C =
A
NC
non dannosa
D
C
non usare
D D
C C
non usare “
Estroprogestinici
FDA* X
OGM* =
BNF* =
Estrogeni Dietilstilbestrolo
X
=
Androgeni
X
=
Danazolo (Danatrol)
X
=
(1) k vaginale, anomalie urogenitali (1-2-3) mascolinizzazione feto femminile (1-2-3) evitare uso, virilizzazione feto femminile
Progesterone Progesterone (Prometrium) Medrossiprogesterone (Provera, Farlutal)
B X
= =
“ evitare, malformazioni genitali e cardiache
*I numeri in parentesi si riferiscono ai trimestri di rischio.Il segno “=”si riferisce a principi attivi non riportati nelle classificazioni considerate
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
essere, invece, utilizzata l’insulina (classe A della FDA). Gli estroprogestinici (classe X della FDA), se somministrati nelle prime settimane di gestazione, possono causare aborto o malformazioni complesse viscerali e scheletriche [6]. Gli androgeni e il danazolo (classe X della FDA), somministrati dopo la 5a settimana di gravidanza, provocano virilizzazione dei genitali esterni femminili; in particolare fusione delle labbra vulvari e ipertrofia clitoridea possono verificarsi per uso protratto dei predetti farmaci durante tutta la gravidanza [111]. Effetti analoghi possono realizzarsi in seguito alla somministrazione di progestinici di sintesi derivati del testosterone. Il dietilstilbestrolo (classe X della FDA e attualmente non in commercio), utilizzato nel passato per il trattamento della minaccia di aborto, ha procurato nei feti di sesso femminile oltre all’adenocarcinoma a cellule chiare della vagina altre anomalie minori quali l’adenosi vaginale ed anomalie strutturali della vagina e dell’utero. Nei feti di sesso maschile esposti in utero al predetto farmaco, si è rilevata un’aumentata incidenza di cisti dell’epididimo, criptorchidismo e ipoplasia testicolare [112]. Circa il progesterone naturale (classe B della FDA), ancora impiegato nel trattamento della minaccia di aborto e dell’aborto abituale, non vi sono segnalazioni di effetti fetali avversi [113], come anche confermato dal produttore.
ANTISTAMINICI E ANTIEMETICI Sono impiegati come antistaminici varie classi di farmaci: etanolaminici, alchilaminici, fenotiazinici ecc. (Tabella 29.13). In gravidanza gli antistaminici sono talora utilizzati anche per il trattamento dell’emesi gravidica; a questo scopo sono soprattutto impiegati il dimenidrinato, la cetirizina, la desclorfeniramina, la prometazina, la proclorperazina e il domperidone. Pur mancando studi controllati in campo umano, non sono stati segnalati effetti fetali avversi in seguito all’uso dei predetti farmaci in gravidanza [114]. Nel trattamento dell’emesi gravidica vengono anche utilizzate la vitamina B1 e B6 entrambe prive di effetti embrio-fetali avversi [115].
VITAMINE E COENZIMI È da segnalare che le vitamine non sono controindicate in gravidanza, rientrano nella classe A della FDA, anzi se ne consiglia la somministrazione onde evitare stati carenziali pericolosi per la normale evoluzione della gestazione [116]. Soltanto le vitamine A, D e K (Tabella 29.14) vanno somministrate con cautela in quanto stati di ipervitaminosi (vedi anche farmaci teratogeni) possono danneggiare gravemente il prodotto del concepimento [117].
Tabella 29.13. Antistaminici e antiemetici FDA*
OGM*
BNF*
Antiemetici e antistaminici Proclorperazina (Stemetil)
C
NC
Metoclopramide (Plasil) Domperidone (Motilium) Levosulpiride (Levopraid)
B = =
NC = =
(3) effetti extrapiramidali neonatali non dannoso evitare uso (3) effetti extrapiramidali neonatali = =
Vitamina B6 (Coxanturenasi) Dimenidrinato (Xamamina,Travelgum)
A B
NC NC
Difenidramina (Allergan)
FDA*
OGM*
B
C
Desclorfeniramina (Polaramin) B Prometazina (Fargan,Farganesse) C Cetirizina (Zirtec) B
Loratadine (Clarytin)
B
Idroxizina (Atarax)
C
BNF*
non evidenza di teratogenicità NC “ NC “ = non evidenza di teratogenicità, evitare uso = alte dosi embriotossicità in animali,evitare uso non evidenza di teratogenicità, evitare uso
*I numeri in parentesi si riferiscono ai trimestri di rischio.Il segno “=”si riferisce a principi attivi non riportati nelle classificazioni considerate
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Capitolo 29 • Farmaci e gravidanza • A.L.Borrelli,M.Felicetti,G.Feroce
Tabella 29.14. Vitamine e coenzimi potenzialmente dannosi FDA*
OGM*
Vitamine Vitamina A (Euvitol)
A (X alte dosi)
=
Vitamina E (Evion)
A
NC
Vitamina D - calcitriolo (Racaltrol)
=
NC
Vitamina K (Konakion)
=
P
Tabella 29.15. Vaccinazioni in gravidanza
BNF* (1) alte dosi possono essere teratogene (1-2-3) non sicura ad alte dosi dosi terapeutiche non dannose,alte dosi teratogenicità animali solo se benefici>rischi, dati insufficienti
*I numeri in parentesi si riferiscono ai trimestri di rischio.Il segno “=”si riferisce a principi attivi non riportati nelle classificazioni considerate
VACCINAZIONI IN GRAVIDANZA Attualmente si ritiene che le vaccinazioni in gravidanza non sono controindicate in senso assoluto. Vanno tuttavia effettuate talune puntualizzazioni (Tabella 29.15). Sono rischiosi per il concepito i vaccini costituiti da germi vivi attenuati soprattutto quando la vaccinazione viene effettuata nel I trimestre di gestazione. Sono quindi sconsigliate in gravidanza la vaccinazione antitubercolare con BCG e quella antipolio con vaccino tipo Sabin; la prima può essere evitata infatti adottando idonee misure di prevenzione dal contagio e la seconda sostituita dal vaccino tipo Salk che utilizza germi uccisi. La vaccinazione antivaiolosa va effettuata solo in caso di stretta necessità associandola alla somministrazione di gammaglobuline specifiche che riducono il rischio della viremia ed il pericolo di reazioni vaccinali. Anche il vaccino contro la rosolia, essendo costituito da germi vivi attenuati, è controindicato in gravidanza soprattutto nel I trimestre, lo stesso dicasi per la vaccinazione antimorbillosa e antiparotite epidemica anche perché nei confronti di queste malattie è possibile la profilassi passiva con immunoglobuline specifiche. La vaccinazione nei confronti della febbre gialla, potenzialmente pericolosa per il concepito, va effettuata solo in caso di assoluta necessità dopo il I trimestre di gravidanza. Vaccinazioni “sicure” sono quelle effettuate con anatossine, germi uccisi o inattivati, quindi si possono praticare senza rischio la vaccinazione antitetanica e antidifterica con anatossine, la vaccinazione antipolio e antinfluenzale con virus inattivati e anticolerica con virus uccisi [118, 119].
FDA* OGM*
BNF*
Vaccini Vivi attenuati Antitubercolare (vaccino imovax BCG) Antipolio (Poli Sabin)
C
C
evitare uso
C
C
Rubella (Rudivax)
C
C
Antimorbillo (Morbilvax) X Antiparotite (Vaxipar) X Febbre gialla D (Stamaril Pasteur) Varicella (Varivax) C Estratti di anatossine Vaccino antitetanico = (Imovax Tetano) Vaccino antidifterico = Uccisi Anticolera (Non in commercio) C Inattivati Antipolio (Imovax Polio) C Antinfluenzale (Isiflu) C Epatite B (Engerix B) C Antirabbia (Imovax Rabbia) C
C C = =
possibili danni fetali,evitare uso (1) rischio teorico malformazioni congenite solo se benefici>rischi evitare uso “ anomalie fetali > e <, solo se benefici>rischi controindicato
NC
non dannoso
P
non dannoso
NC
non dannoso
= P = P
solo de benefici>rischi non dannoso non dannoso solo se benefici>rischi
*I numeri in parentesi si riferiscono ai trimestri di rischio.Il segno “=”si riferisce a principi attivi non riportati nelle classificazioni considerate
Dato il continuo fluire di informazioni, talora contraddittorie, sugli effetti embrio-fetotossici dei farmaci, risulta molto utile poter accedere a database sull’argomento soprattutto per via telematica. Molteplici sono i siti da consultare sull’argomento. Tra questi ricordiamo: – www.teratology.org – www.fda.gov – www.bnf.gov – www.perinatology.com/exposures/druglist.htm Nella Tabella 29.16. è riportato il rischio tetratogeno dei farmaci più comunemente usati in ostetricia.
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
Tabella 29.16. Rischio teratogeno dei farmaci di più comune impiego in ostetricia FDA*
OGM*
BNF*
Acenocumarolo (Sintrom)
D
C
Acetazolamide (Diamox) Acetilcisteina (Fluimucil,Mucisol) Aciclovir (Zovirax)
C B
(1-2-3) malformazioni congenite, emorragie fetali e neonatali P (1) tossicità in studi animali NC =
C
=
esperienza limitata non dannoso per uso topico Acido acetilsalicilico (<150 mg/die) P basse dosi non dannoso, (Aspirina,Cemerit, (3) chiusura DA, Cardioaspirina) C/D ipertensione polmonare neonatale Acido aminocaproico C NC = (Caprolisin) Acido ascorbico (Cebion) A NC = Acido etacrinico (Reomax) D NC = Acido folico (Folina) A NC = Acido nalidixico C NC (1-2-3) artropatie (Naligram, Uri-flor) in animali,evitare Acido pipemidico (Pipram, C = = Pipemid 400,Urotractin) Acido tranexamico C NC non teratogeno (Tranex,Ugurol) in studi animali Alfametildopa B NC Non dannoso (Aldomet,Medopren) Aloperidolo C P (3) effetti extrapiramidali (Haldol,Serenase) neonatali Alprazolam D = evitare uso regolare,sidrome (Xanax,Frontal) da astinenza neonatale,RDS Amantadina C = tossicità in animali, (Mantadam) evitare uso Ambroxolo B = = (Mucosolvan,Fluibron) Amfotericina B = evitare uso se (Fungilin) non necessario Amikacina C = (2-3) danni n.acustico o (Amicasil,Amikan) vestibolare,>con streptomicina, < con gentamicina, evitare se non essenziale Aminofillina C NC (3) irritabilità neonatale (Aminomal,Tefamin) e apnea Amiodarone cloridrato D C (2-3) rischio gozzo (Cordarone,Amiodar) neonatale Amitriptilina cloridrato D P (3) tachicardia, irritabilità,spasmi (Laroxyl) muscolari neonatali Amoxicillina (Neo Ampiplus) B = non dannoso Amoxicillina+Acido clavulanico B = non dannoso (Augmentin,Clavulin)
FDA* Amoxicillina triidrato B (Zimox, Velamox,Neo Ampiplus) Ampicillina+Cloxacillina B (Amplium) Ampicillina sodica B (Amplital, Ibimicyn) Ampicillina+Sulbactam B (Unasyn,Loricin) Androgeni X Anticoncezionali E/P Atenololo (Atenol,Tenormin) Atosiban (Tractocile) Atropina solfato (Atropina) Azanidazolo (Triclose) Azatioprina (Azatioprina) Azitromicina diidrato (Zytromax,Azitromicin) Aztreonam (Azactam,Primbactam) Bacitracina+Neomicina (Bimixin,Enterostop) Beclometasone (Clenil,Becotide)
X D = C = D B
NC
non dannoso
NC
non dannoso
NC
non dannoso
=
non dannoso
= (1-2-3) mascolinizzazione feto femminile = = = IUGR,ipoglicemia e bradicardia neonatale = possibile IUGR NC non dannoso NC/P = C non evidenza di teratogenicità = usare se non c’è alternativa =
C
NC
C
P
=
Benzilpenicillina benzatinica B (Diaminocillina,Wycillina AP) Betametasone C (Bentelan,Celestone) Bisacodile (Dulcolax,Verecolene) Bleomicina solfato (Bleomicina)
BNF*
B
Beclometasone+salbutamolo C (Clenil compositum) Benzidamina (Tantum)
OGM*
dati non disponibili evitare uso evitare uso
usare solo se benefici>rischi,IUGR se uso prolungato P usare solo se benefici>rischi,IUGR se uso prolungato NC/P (3) chiusura DA, ipertesione polmonare neonatale NC non dannoso P
B
NC
D
C
Bromazepam (Lexotan,Compendium)
D
P
Bromelaina (Ananase) Bromexina (Bisolvon)
= B
NC NC
usare solo se benefici>rischi,IUGR se uso prolungato = evitare uso,teratogenicità, carcinogenicità in studi animali evitare uso regolare, sindrome da astinenza neonatale,RDS = =
segue →
537
Capitolo 29 • Farmaci e gravidanza • A.L.Borrelli,M.Felicetti,G.Feroce
FDA*
OGM*
BNF*
Buprenorfina (Temgesic,Subutex)
C
=
Busulfan (Myleran)
D
C
NC
(3) RDS neonatale, sindrome da astinenza neonatale evitare,teratogeno in animali, contraccezione durante assunzione =
NC
non dannoso
NC NC
dosi terapeutiche non dannoso =
NC
=
NC
=
Butamirato B (Sinecod,Butiran) Butilscopolamina bromuro C (Buscopan) Calcio carbonato+ A colecalciferolo (Calcidon) Calcio folinato = (Citofolin,Folidar,Folaren) Calcio levofolinato = (Levofolene,Lederfolin) Calcio mefolinato = (Prefolic,Furoic) Captopril (1) C (2-3) D (Acepress,Capoten) Carbamazepina (Carbamazepina Eg, Carbamazepina Ratiopharm,Tegretal Carbamazepina Teva) Cefaclor (Panacef,Cefaclor) Cefadroxil (Cefradil,Cephos) Cefalexina (Ceporex,Keforal) Cefalotina (Cefalotina) Cefamandolo (Cefam,Mancef) Cefazolina (Cefamezin,Totacef) Cefixima (Cefixoral) Cefotaxima (Claforan,Zariviz) Cefprozil (Cronocef) Cefradina (Lisacef) Ceftazidima (Spectrum,Glazidim, Starcef) Ceftriaxone (Rocefin,Panatrix) Cefuroxima (Cefuroxim,Cefurin) Cetirizina cloridrato (Zirtec,Formistin) Chinidina (Ritmocor) Cianocobalamina (Dobetin) Cianocobalamina+ calciofolin.(Eparmefolin)
D
=
(1-2-3) evitare uso, alterazioni funzionali renali P (1) (3) emorragia neonatale per def.Vit.K DTN associare acido folico
B B B B B B
= = NC NC = =
non dannoso non dannoso non dannoso non dannoso non dannoso non dannoso
= B B B B
= = = NC =
non dannoso non dannoso non dannoso non dannoso non dannoso
B
=
non dannoso
B
=
non dannoso
B
=
C A A
NC NC NC
non evidenzia teratogenicità,evitare uso = = =
FDA*
OGM*
BNF*
Cianocobalamina+ A acido folico+nicotinamide +acido ascorbico (Epargriseovit) Ciclofosfamide D (Endoxan Baxter)
NC
=
C
C C
C =
D
C
D
=
Claritromicina (Klacid,Macladin) Clidinio bromuro+ Clordiazepossido (Librax)
C
=
Clindamicina (Dalacin T,Cleocin) Clomipramina (Anafranil)
B
NC
evitare,contraccezione durante assunzione e 3 mesi dopo dati non disponibili (1-2-3) artropatie in animali,evitare evitare uso,teratogeno e tossico in animali evitare uso,teratogeno in animali evitare uso se non necessario evitare l’uso continuativo utilizzare solo per crisi convulsive non dannoso
D
P
Ciclosporina (Sandimmun) Ciprofloxacina (Ciproxin) Cis-platino (Platamine,Platinex) Citarabina (Aracytin)
=
(3) tachicardia, irritabilità,spasmi muscolari neonatali Clonidina cloridrato C NC nessuna prova (Catapresan) di teratogenicità Clorambucil (Leukeran) D C evitare,contraccezione durante l’assunzione Cloramfenicolo C C (3) Gray sindrome (Chemicitina) neonatale Clordiazepossido cloridrato D P evitare uso regolare, (Librium) sindrome da astinenza neonatale,RDS Clorochina fosfato (Clorochina) C P se benefici>rischi Clorpromazina C NC (3) effetti (Largactil, Prozin) extrapiramidali neonatali Clorpropamide (Diabemide) D C non usare Clortalidone (Igroton) B NC/P (3) possibile tromb.neonat. Clotrimazolo (Canesten) B NC = (via topica) Clotrimazolo+ B/C = = metronidazolo (Meclon) Clozapina (Leponex) C P evitare l’uso Cocarbossilasi (Biochetasi) = NC = Codeina+efedrina C = (3) RDS neonatale, (Codeinol) sindrome da astinenza neonatale Danazolo (Danatrol) X = (1-2-3) evitare uso, virilizzazione feto femminile segue →
538
Daunorubicina (Daunoxome) Desclorfeniramina (Polaramin) Diazepam (Ansiolin,Noan, Valium)
Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
FDA*
OGM*
D
C
BNF*
B
evitare uso,carcinogeno animali NC non evidenza di teratogenicità
D
P
(3) D
=
Difenidramina (Allergan)
B
C
Digossina (Lanoxin,Lanitop) Diidrocodeina (Paracodina)
C
NC
C
NC/P
Diltiazem cloridrato (Dilzene,Diacardin) Dimenidrinato (Xamamina,Travelgum) Dimetindene (Fenistil) Dipiridamolo (Persantin,Novodil) Disopiramide (Ritmodan) Domperidone (Motilium,Gastronorm) Doxazosina (Cardura) Doxiciclina (Bassado)
C
=
B
NC
evitare uso regolare, sindrome da astinenza neonatale,alte dosi ipotermia,ipotonia RDS neonatale (2-3) alopecia, intolleranza glucidica neonatale (3) chiusura DA, ipertensione polmonare neonatale non evidenzia di teratogenicità può essere necessario aggiustare il dosaggio (3) RDS neonatale, sindrome da astinenza neonatale può inibire il travaglio, teratogeno in animali =
= C
P NC
= non dannoso
C =
NC =
(3) può indurre il travaglio evitare uso
C D
NC C
può inibire il travaglio alterazioni colore denti (2-3) evitare uso evitare uso,teratogeno e tossico in studi animali =
Diazossido (Proglicem)
Diclofenac sodico (Voltaren,Forgenac)
C
P
Doxorubicina D C (Adriblastina) Dropropizina = NC (Ribex,Domutussina) Econazolo (Pevaryl,Ifenec) C = Enalapril (1) C (2-3) D = (Enapren,Naprilene) Enoxaparina sodica (Clexane) Eparina calcica (Calciparina) Ergotamina+caffeina (Cafergot) Eritromicina etilsuccinato (Eritrocina) Etambutolo (Etapiam)
B C
NC NC
D
C
B
NC
Non dannoso (1-2-3) evitare uso alterazioni funzionali renali dati insufficienti osteoporosi materna per uso prolungato effetti ossitocici utero materno non dannoso
B
NC
non dannoso
Etosuccimide (Zarontin) Famotidina (Famodil,Gastridin) Fenformina+ Clorpropramide (Bidiabe) Fenilbutazone (Kadol) Fenitoina sodica (Dintoina)
FDA*
OGM*
BNF*
C B
C =
D
C
(1) può essere terarogeno evitare uso a meno che benefici>rischi (3) ipoglicemia nenatale
D D
P C
Fenobarbitale (Gardenale,Luminale)
D
Feprazone (Zepelin) Ferripolicondro (Isairon,Condrofer) Ferro maltoso (Intrafer)
= A
Ferroso gluconato (Cromatonferro,Monoferro, Ferro Complex) Ferroso solfato (Ferrograd) Ferroso solfato+acido ascorbico+acido folico (Ferrograd Folic) Flecainide acetato (Almarytm) Fluconazolo (Diflucan,Elazor) Flufenazina (Anatensol)
A
Flufenazina decanoato (Moditen Depot) Fluoroglucinolo (Spasmex) Fluorouracile (Efudix) Fluoxetina cloridrato (Prozac,Deprexen) Fosfomicina (sale di trometamolo) (Monuril) Furosemide (Lasix) Ganciclovir (Citovirax)
A
A A
B C = C = D C
B
= (1) malformazioni congenite (associare ac.folico 5 mg); (3) emorragia neonatale per deficienza vitamina K P (1) rischio malformazioni congenite,(3) sindrome da astinenza,emorragia neonatale per deficit vitamina K P = = evitare prime fasi della gravidanza (via parenterale) = evitare prime fasi della gravidanza (via parenterale) NC evitare prime fasi della gravidanza (via parenterale) NC
evitare prime fasi della gravidanza (via parenterale) = evitare prime fasi della gravidanza (via parenterale)
= tossicità in studi animali NC anomalie congenite (via topica) ad alte dosi NC effetti extrapiramidali nel neonato NC (3) effetti extrapiramidali neonatali NC = C teratogeno,evitare uso = (1-2-3) non evidenza di teratogenicità,usare se benefici>rischi NC =
C
NC
D
=
Gentamicina solfato (Gentamen,Gentalyn)
C
P
Glibenclamide (Gliben,Gliboral,Daonil)
D
C
non dannoso,non usare in ipertensione gravidica rischio teratogeno evitare uso (2-3) meno ototossico evitare uso se non necessario non usare
segue →
539
Capitolo 29 • Farmaci e gravidanza • A.L.Borrelli,M.Felicetti,G.Feroce
FDA* Griseofulvina (Fulcin) D Ibuprofene (1)B (3)D (Brufen,Moment 200)
OGM*
BNF*
C P/C
(3) B/D
P/C
A C C
NC P NC
fetotossico evitare uso (3) chiusura DA, ipertensione polmonare neonatale (3) possibile tromb.neonat. tossico in studi su animali, (3) può causare trombocitopenia = non evidenza di teratogenicità, evitare uso = (3) tachicardia, irritabilità,spasmi muscolari neonatali (3) chiusura DA, ipertensione polmonare neonatale non dannoso non dannoso =
B
NC
=
D
P
Idroclorotiazide (Esidrix) B Idroclorotiazide+ D spironolattone (Aldactazide)
P P
Idrossibutilossido (Dis-Cinil) = Idrossizina (Atarax) C
NC =
Imecromone (Cantabilin) Imipramina (Tofranil)
NC P
Indometacina (Metacen,Indoxen) Insulina (Humulin) Isoniazide (Nicizina) Isosorbide di-nitrato (Carvasin,Diniket) Isossisuprina cloridrato (Vasosuprina) Isotretinoina (Aisoskin,Roaccutan)
B D
Itraconazolo C (Sporanox,Triasporin) Ketoprofene (3)D (Orudis,Ibifen,Meprofen) Ketorolac (Toradol,Lixidol) (3)D Labetalolo cloridrato C (Trandate) Lansoprazolo B (Lansox, Limpidex) Lattulosio liquido B (Laevolac,Normase) Levosulpiride = (Levopraid,Levobren) Levotiroxina sodica A (Eutirox,Tirosint) Lincomicina cloridrato B (Lincocin) Lisinopril (1) C (2-3) D (Zestril) Litio carbonato D (Carbolithium)
(1) rischio malformazioni congenite, (3) emorragia, epatotossicità neonatale NC (via topica) tossicità in animale evitare l’uso NC/P (3) chiusura DA, ipertensione polmonare neonatale NC/P controindicato = IUGR,ipoglicemia e bradicardia neonatale = evitare uso NC
non dannoso
=
(3) effetti extrapiramidali neonatali controllare concentrazioni sieriche materne non dannoso
NC NC = C
(1-2-3) evitare uso, alterazioni funzionali renali (1) rischio malformazioni cardiache,(2-3) tossicità neonatale controllare concentrazioni sieriche
FDA*
OGM*
BNF*
Loperamide B (Imodium,Lopemid) Loratadina (Clarytin,Alorin) B
=
dati non disponibili
=
Lorazepam (Control, Tavor) D
P
Magaldrato (Riopan,Gadral) Magnesio idrossido+ algedrato (Maalox) Mebendazolo (Vermox) Medrossiprogesterone acetato (Provera,Farlutal) Meflochina cloridrato (Lariam) Meperidina (Mepedina)
C C
= NC
alte dosi embriotossicità in animali,evitare uso evitare uso regolare, sindrome da astinenza neonatale,RDS = =
C X
= =
C
=
B/D
P
Meprobamato (Quanil) D 6-Mercaptopurina (Purinethol) D Mesalazina (Asacol, B Mesalazina,Mesaflor) Metadone (Metadone B/C cloridrato,Eptadone) Metamizolo sodico D (Novalgina,Dipirone)
P = =
Metformina cloridrato (Metforal,Metformina) Metildopa (Aldon Medopren) Metisoprinolo (Virustop) Metoclopramide cloridrato (Plasil,Citroplus) Methotrexato (Methotrexate, Metotressato Teva, Metotrexato Mayne) Metronidazolo (Flagyl,Deflamon) Miconazolo (Daktarin,Nizacol,Micotef) Minociclina cloridrato (Minocin) Misoprostolo (Misodex)
= NC
D
C
A
NC
= B
= NC
X
=
B
P
C
=
D
C/P
X
=
Morfina cloridrato C/D (Morfina cloridrato) Na bicarbonato+Algeldrato C +Mg trisilicato (Gaviscon) Nadroparina calcica B (Fraxiparina,Seleparina) Naprossene sale sodico (1)B/(3)D (Synflex,Naproxen)
tossicità in animali evitare,malformazioni genitali e cardiache teratogeno in animali sindrome da astinenza neonatale evitare uso teratogeno,evitare uso quantità trascurabile attraversa la placenta sindrome da astinenza neonatale (3) chiusura DA, ipertensione polmonare neonatale non usare nessuna segnalazione di effetti nocivi evitare uso non dannoso evitare,teratogeno usare contraccezione durante e tre mesi dopo evitare alte dosi
=
evitare uso se non necessario alterazione colore denti (2-3) evitare uso (1-2-3) evitare uso,può essere teratogeno sindrome da astinenza neonatale =
NC
=
P
P
(3) chiusura DA, ipertensione polmonare neonatale segue →
540
Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
FDA* Netilmicina solfato (Nettacin,Zetamicin) Nifedipina (Adalat,Nifedicor, Coral) Nifuratel (Macmiror) Nifuratel+nistatina (Macmiror complex) Nimesulide (Aulin,Nimesulide) Nistatina (Mycostatin) Nitrofurantoina (Neo-Furadantin, Furedan) Nitroglicerina (Nitrodur, Trinitrina,Venitrin) Norfloxacina (Noroxin,Flossac) Octatropina metilbromuro +diazepam(Valpinax) Ofloxacina (Flobacin) Olsalazina (Dipentum) Omeprazolo (Antra) Oxolamina (Perebron) Paracetamolo (Tachipirina, Efferalgan,Acetamol) Paroxetina cloridrato (Seroxat)
OGM*
BNF*
D
=
C
NC
(2-3) ototossicità, evitare uso può inibire il travaglio
= =
NC NC
= =
C B
= NC dati non disponibili (via topica) P (3) emolisi neonatale
B
NC
=
C
=
(1-2-3) artropatie in animali,evitare
= B C = B
= = = NC NC
= solo se benefici>rischi tossicità studi animali = non dannoso
C
=
C
=
(1-2-3) non evidenza teratogenica,usare se benefici>rischi scarso assorbimento gastrico
Pectina+caolino+ attapulgite+algeldrato (Streptomagma) Pentazocina (Talwin)
C/D
Perfenazina (Trilafon)
C
Pindololo (Visken)
B
Pirantel Pamoato (Combantin) C Piroxicam (Feldene, C Antiflog,Piroxicam) Prednisone (Deltacortene)
B
Preparati polivitaminici+ Sali minerali (Gravit, Multicentrum,ecc.) Proclorperazina (Stemetil)
A
=
(3) RDS neonatale,sindrome da astinenza neonatale NC (3) effetti extrapiramidali neonatali C IUGR,ipoglicemia e bradicardia neonatali NC = = (3) chiusura DA, ipertensione polmonare neonatale P benefici>rischi,IUGR se uso prolungato NC =
C
NC
Progesterone (Prometrium, B Prontogest,Esolut) Proguanil cloridrato B (Paludrine) Promazina (Talofen) C
= = NC
(3) effetti extrapiramidali neonatali (1-2-3) evitare uso, virilizzazione feto femminile supplementare folati (3) effetti extrapiramidali neonatali
FDA* Prometazina (Fargan,Farganesse) Propranololo cloridrato (Inderal) Propiltiouracile (Propicil)
OGM*
BNF*
C
NC non evidenza di teratogenicità
C
C
D
=
Ranitidina (Ranidil,Zantac) B
=
Reviparina sodica (Clivarina) C Rifampicina (Rifadin) C
NC P
Ritodrina (Miolene) Salbutamolo (Ventolin,Broncovaleas) Silimarina (Legalon) Simeticone (Mylicon) Sobrerolo (Sobrepin) Sobrerolo+diprofillina (Sobrepin respiro) Sodio ferro gluconato (Ferlixit) Sodio valproato (Depakin)
B C
NC NC
IUGR,ipoglicemia e bradicardia neonatali (2-3) gozzo neonatale e ipotiroidismo non dannoso,evitare uso se non necessario dati insufficienti (1) teratogeno in animali (3) emorragie neonatali = =
B C C =
NC NC NC NC
= = = =
A
NC
D
P
=
=
C
=
B/C C
NC NC
D
P
evitare prime fasi della gravidanza (via parenterale) (1) rischio malformazioni congenite,(3) emorragia, epatotossicità neonatale ev non dannoso,(3) alte dosi RDS neonatale IUGR,ipoglicemia e bradicardia neonatali non dannoso tossicità in studi animali, evitare (2-3) ototossico,evitare uso
B C
= C
C
NC/P
C
NC
D
C/P
D =
C NC
B C
NC NC
Solfato di magnesio (Magnesio solfato) Sotalolo (Sotalex,Sotalolo hexal) Spiramicina (Rovamicina) Spironolattone (Aldactone,Spirolang) Streptomicina solfato (Streptomicina solfato) Sucralfato (Gastrogel,Crafilm) Sulfametopirazina+ pirimetamina (Metakelfin) Sulfametoxazolo+ trimetroprim (Bactrim,Chemitrim) Teofillina (Tefamin,Theo-dur) Tetraciclina cloridrato (Ambramicina) Tiamazolo (Tapazole) Tiocolchicoside+escina (Muscoril) Tiopronina (Thiola) Tioridazina cloridrato (Melleril) Tobramicina solfato (Nebicina,Bramicil)
D
= (1) rischio teratogeno (3) emolisi neonatale (1) rischio teratogeno (3) emolisi neonatale (3) irritabilità neonatale e apnea alterazione colore denti (2-3) evitare uso = =
= (3) effetti extrapiramidali neonatali = (2-3) meno ototossico evitare uso se non necessario segue →
541
Capitolo 29 • Farmaci e gravidanza • A.L.Borrelli,M.Felicetti,G.Feroce
Tramadolo (Contramal,Fortradol)
FDA*
OGM*
BNF*
C
=
tossico in studi animali, dati per uomo non disponibili,non usare (1-2-3) non prova di pericolo può inibire il travaglio
Tranilciprom.+trifluoperaz. C P (Parmodalin) Verapamil cloridrato C NC (Isoptin,Veraptin) Vinblastina solfato D C evitare,teratogeno e aborti (Velbe) in animali Vincristina solfato D C evitare,teratogeno e aborti (Vincristina) in animali Vitamina A A (X ad alte = (1) alte dosi,può essere (Euvitol) dosi) teratogena Vitamina B6 A NC = (Coxanturenasi)
Vitamina B1+B6+B12 (Benexol) Vitamina D - Calcitriolo (Rocaltrol)
FDA*
OGM*
BNF*
A
NC
=
=
NC
dosi terapeutiche non dannose,alte dosi teratogeno in animali (1-2-3) non sicura ad alte dosi solo se benefici>rischi, dati insufficienti (1-2-3) malformazioni congenite,emorragie fetali e neonatali dati insufficienti usare se necessario
Vitamina E (Evion) Vitamina K (Konakion)
A
NC
=
P
Warfarin (Coumadin)
C
Zidovudina (Retrovir)
C
=
*I numeri in parentesi si riferiscono ai trimestri di rischio.Il segno “=”si riferisce a principi attivi non riportati nelle classificazioni considerate
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542
Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
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CAPITOLO 30
Tossicodipendenze e gravidanza A.L. Borrelli • P. Borrelli • A. Di Domenico
INTRODUZIONE La tossicodipendenza costituisce uno dei problemi più allarmanti del nostro tempo; nell’anno 2000, infatti, la Società Italiana Tossicodipendenze (SITD) ha censito nel nostro paese 300.000 tossicodipendenti. Dal punto di vista strettamente medico, l’aspetto più preoccupante è costituito dall’assunzione di droghe nel corso della gravidanza il che espone a molteplici complicanze non solo il concepito (aborto, malformazioni embrio-fetali,IUGR,gestosi,morte endouterina,ecc.),ma anche la gestante in quanto all’iponutrizione, quasi sempre presente nelle tossicodipendenti, si associa una maggiore incidenza di sovrapposizioni infettive (epatiti, lue, AIDS) e di malattie sistemiche (broncopolmonari, renali, ecc.). Nei casi più gravi appaiono necessari non solo un rigoroso ed intensivo monitoraggio delle condizioni materno-fetali, ma soprattutto l’azione combinata di un team multidisciplinare (ginecologo, psichiatra, assistente sociale, infettivologo, internista) che possa favorire, ove possibile, un progressivo svezzamento della gravida dalla tossicodipendenza onde ridurre sia le complicanze materno-fetali che le pericolose crisi di astinenza neonatali. La diffusione delle varie sostanze d’abuso in strati sempre più ampi della società e la gravità dei rischi connessi alla loro assunzione in gravidanza, ha fatto in modo che l’attenzione dei ricercatori, inizialmente focalizzata sullo studio degli effetti gravidici del fumo di tabacco e dell’alcool, si concentrasse anche sui danni conseguenti all’esposizione in gravidanza ad altre droghe quali l’eroina, la cocaina, le anfetamine, ecc.
FUMO DI SIGARETTA Studi recenti hanno evidenziato che la percentuale di donne dedite al fumo varia dal 20 al 25% della popolazione femminile a seconda dei gruppi etnici e degli strati sociali di appartenenza, e che sono fumatrici circa il 25% delle gestanti [1].
Il fumo, sia attivo che passivo, può procurare danni in ogni fase dell’evento riproduttivo. Recenti ricerche sperimentali hanno, infatti, dimostrato come il fumo faccia risentire i suoi effetti dannosi (dose dipendenti) sulla vitalità dei gameti, sulla fecondazione della cellula uovo, sulla suddivisione dei blastomeri, sulla motilità tubarica con accelerato transito dell’uovo fecondato e sull’impianto della blastocisti [2]. I danni maggiori si rilevano, però, nel prosieguo della gestazione. Tra le gravide fumatrici aumenta, infatti, l’incidenza di aborti,di parti pretermine,di gestosi,di iposviluppo fetale e di distacchi intempestivi di placenta; aumenta inoltre il tasso di morbilità e mortalità perinatale con incremento della percentuale di morti neonatali improvvise [3]. I nati da gestanti fumatrici sono di peso inferiore alla norma, presentano iperattività e difetti dell’attenzione in età infantile, deficit cognitivi in età scolare. L’entità dei danni è, come già detto, dose-dipendente risultando chiaramente proporzionale al tipo e al numero di sigarette fumate nel corso della giornata [4, 5]. Il fumo di sigaretta contiene più di 2000 prodotti chimici potenzialmente dannosi; il monossido di carbonio (CO) e la nicotina sono quelli più ampiamente studiati. Il monossido di carbonio, legandosi all’emoglobina, forma la carbossiemoglobina che, riducendo l’apporto di O2, induce ipossia fetale cronica cui consegue iposviluppo correlato alla sindrome da morte improvvisa neonatale. Il CO e la nicotina determinano, inoltre, vasocostrizione e quindi riducono la perfusione uteroplacentare con diminuzione dell’apporto non solo di O2 ma anche di nutrienti al prodotto del concepimento onde malnutrizione che aggrava ulteriormente la sofferenza fetale cronica. D’altra parte la nicotina oltre a determinare tachicardia e aumenti pressori nella madre, attraversando facilmente la placenta va ad interferire negativamente con lo sviluppo e la maturazione del SNC che, tra i vari organi ed apparati, è quello che maggiormente risente delle condizioni di ipossia e di malnutrizione cronica [6, 7].
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
Studi di microscopia elettronica hanno permesso di evidenziare in gestanti fumatrici alterazioni strutturali non solo dei villi nutritizi, ma anche di quelli di ancoraggio onde la maggiore incidenza di distacchi placentari [8]. Nelle gravide fumatrici risulta molto aumentata anche l’incidenza di malformazioni quali l’anencefalia,la spina bifida, le anomalie degli arti e la labio-palatoschisi [9, 10]. La diversa incidenza di dette malformazioni sembra essere correlata alle modificazioni che i prodotti di combustione del tabacco inducono su 2 geni metabolici materni (CYPIAI e GSTTI) che, in condizioni normali, codificano per attività enzimatiche da cui dipende la detossificazione di metaboliti tossici. Il notevole polimorfismo di detti geni giustificherebbe la differente gravità di patologie embrio-fetali insorte in gestanti diverse esposte, nel corso della gravidanza, a quantità di nicotina del tutto uguali [11].
CAFFEINA Ricerche sperimentali hanno evidenziato effetti teratogeni (malformazioni cranio-facciali, riduzione della massa cerebrale) e disturbi neurocomportamentali postnatali (iperattività locomotoria) in animali esposti in utero a dosi elevate di caffeina [12, 13]. Studi epidemiologici hanno tuttavia dimostrato che un modesto uso di caffeina in gravidanza (due/tre tazzine di caffè/die) non comporta patologie embrio-fetali né disturbi comportamentali in epoca postnatale [14, 15]. Pur non essendo stati, quindi, rilevati effetti embriofetotossici legati all’assunzione di quantità non eccessive di caffeina in gravidanza, l’FDA (Food and Drugs Administration), sulla base dei predetti studi sperimentali, ne consiglia un uso moderato o addirittura l’astensione in gravidanza.
ALCOOL Nel mondo occidentale il consumo di alcool supera di gran lunga quello di qualsiasi altra droga. L’assunzione di elevate dosi di alcool in gravidanza si associa ad una grande varietà di anomalie embriofetali che, nell’espressione più grave, danno luogo alla cosiddetta sindrome fetale alcolica (FAS) caratterizzata da ritardo di crescita feto-neonatale, dismorfismi facciali (microcefalia, microftalmia, alterazioni mandibolari) ed alterazioni del SNC (ritardo mentale, ipotonia, disturbi dell’udito) [16]. Nei nati affetti da FAS sono di frequente osservazione anche anomalie neuro-comportamentali postnatali e deficit dell’apprendimento in età scolare [17, 18]. La sindrome fetale alcolica è relativamente rara, manife-
standosi nella forma più severa solo in nati da gestanti che assumono elevate quantità di alcool (2 g/Kg/die) [19]. Ritardi dello sviluppo neuro-intellettivo, alterazioni comportamentali di varia entità ed anomalie facciali sono state, tuttavia, rilevate anche in seguito all’assunzione durante la gravidanza di dosi modeste di alcool. Queste anomalie sono indicate con l’acronimo FAE (Fetal Alcohol Effects) e la loro gravità dipende da numerose variabili quali la quantità di alcool assunta, l’epoca gestazionale di esposizione, lo stato nutrizionale materno, fattori genetici materni e fetali e anche da fattori aggiuntivi quali la contemporanea assunzione di caffeina, ansiolitici, droghe e/o il fumo di sigaretta [16]. I danni legati all’uso di alcool in gravidanza sono certamente dose dipendenti. Per una dose giornaliera di 90 g di alcool (170 ml di superalcolico, 1700 di birra o 56 bicchieri di vino) il rischio di gravi danni fetali è del 45% circa; diminuendo la dose giornaliera di alcool si riduce progressivamente il rischio e l’entità di eventi embrio-fetali avversi [19]. L’assunzione di una piccola quantità di alcool (un bicchiere ai pasti principali) non determina danni fetali, ma le raccomandazioni in proposito della Addiction Research Foundation possono sintetizzarsi nell’aforisma “poco può andar bene, ma niente è certamente meglio” [20]. I danni embrio-fetali da abuso di alcool sono essenzialmente legati agli effetti dannosi dell’etanolo. Esso non solo riduce il passaggio transplacentare di glucosio e aminoacidi onde ipoglicemia, diminuzione del glicogeno epatico e della sintesi proteica con conseguente IUGR, ma è ossidato nel compartimento fetale ad aldeide acetica e poi ad acido acetico responsabili degli effetti tossici. L’etanolo determina anche la formazione di enzimi placentari e fetali che catalizzano la perossidazione di macromolecole (glicidi, lipidi, proteine e nucleoproteine) alterandone irreversibilmente la struttura. Tutto ciò, nella fase organogenetica, interferisce con la normale strutturazione dei principali organi ed apparati e soprattutto del SNC che risulta particolarmente sensibile a insulti tossici tra la 3ª e la 6ª settimana [9, 21]. In questo periodo, infatti, l’etanolo altera la moltiplicazione e la migrazione neuronale influendo negativamente sulla formazione dei dendriti, delle sinapsi e sulla funzione dei neurotrasmettitori alterandone i recettori [22, 23]. Recenti studi sperimentali, confermando la particolare vulnerabilità del SNC all’azione tossica dell’etanolo, hanno richiamato negli USA l’attenzione delle autorità sanitarie sulla gravità dei danni provocati dall’abuso di alcool in gravidanza onde l’avvio di programmi di informazione e di screening preconcezionali [24, 25]. Per la terapia dell’abuso di alcool in gravidanza, l’FDA raccomanda l’uso del naltrexone, un antagonista degli oppiacei, alla dose di 50 mg/die. Detto trattamento va sospeso tre giorni prima del parto.
Capitolo 30 • Tossicodipendenze e gravidanza • A.L.Borrelli,P.Borrelli, A. Di Domenico
COCAINA La cocaina, estratta da piante della famiglia delle eritroxilacee che crescono spontaneamente in Sud America, si presenta come una polvere biancastra molto solubile in acqua che può essere iniettata per via endovenosa, intramuscolare, sottocutanea e che, dopo riscaldamento a 200 gradi, può essere anche inalata attraverso le mucose nasali. È una droga psicostimolante di tipo anfetaminico che esplica la sua azione neuropsicologica aumentando la concentrazione di dopamina e quindi potenziando la trasmissione dopominergica, mentre inibisce la ricaptazione di altri neurotrasmettitori quali la serotonina e la noradrenalina [26]. Interferendo, in tal modo, con i predetti neurotrasmettitori determina vasocostrizione, tachicardia, ipertensione. Raggiunge facilmente il cervello potenziandone, a basse dosi, le attività: stimola infatti il comportamento spontaneo e quello condizionato (non fa sentire la fatica, determina euforia e sicurezza in se stessi). A dosi elevate diventa, invece, psicodisleptizzante con manifestazioni psicotiche. L’uso della cocaina in gravidanza si associa a gravi complicanze sia materne che fetali. Aborto, ipertensione gestazionale, distacco intempestivo di placenta, parto prematuro e rottura di utero sono le più frequenti complicanze ostetriche. Per quanto attiene al prodotto del concepimento sono riportate non solo malformazioni a carico del SNC, dell’apparato genitourinario e cardiovascolare [27-29], ma anche una serie di anomalie minori nota con il nome di “sindrome da cocaina fetale” costituita da basso peso alla nascita, microcefalia, emorragie intraventricolari e periventricolari, gabella prominente, slargamento delle fontanelle, brevità della piramide nasale [30, 31]. L’abuso di cocaina in gravidanza sembra essere responsabile anche di altri difetti come la gastroschisi, l’enterocolite necrotizzante [32] e la rara sindrome “prune belly” o sindrome dell’addome a prugna secca [33]. Oltre alle anomalie descritte e all’alta percentuale di morti fetali improvvise [34], non vanno sottovalutate le conseguenze a lungo termine; sono state, infatti, segnalate nei nati da gestanti che avevano assunto la cocaina difficoltà di apprendimento, aggressività, gravi anomalie della sfera comportamentale e disturbi neurologici (ipertono, tremori, insonnia) molto evidenti [35, 36]. Per ridurre la depressione, l’ansia e il desiderio assoluto di riutilizzare cocaina, sono impiegate le benzodiazepine e la bromocriptina a dosi di 2-10 mg/die.
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EROINA L’esposizione ad oppiacei in gravidanza non determina generalmente effetti teratogeni [37, 38]; le crisi di astinenza possono, tuttavia, causare l’insorgenza di contrazioni uterine con conseguente aumentata incidenza di aborti, distacchi di placenta, parti precipitosi ed insufficienza placentare responsabile di sofferenza fetale cronica. Per il frequente uso di siringhe non sterili, le gravide eroino-dipendenti sono anche esposte al pericolo di infezioni (epatiti, lue, HIV) onde la possibile trasmissione verticale delle stesse al prodotto del concepimento. Non va, inoltre, sottovalutato il rischio di overdose che può condurre a morte sia la madre che il feto. Per i motivi suddetti la mortalità perinatale è piuttosto elevata variando dal 4 al 7%. I nati da madri dedite all’eroina sono di basso peso e ciò è dovuto sia al ridotto accrescimento intrauterino che alla notevole frequenza di parti pretermine [39]. I predetti neonati presentano, inoltre, evidenti segni di astinenza quali tremori, irritabilità, pianto convulso, disturbi del sonno, iperriflessia [40]. Studi longitudinali hanno evidenziato che in età scolare bambini esposti in utero all’eroina, benché presentino un QI nella norma, hanno notevoli alterazioni comportamentali (aggressività, difficoltà interpersonali) cui spesso si associano difficoltà nei processi cognitivi e nell’apprendimento [41]. Poiché il principale problema clinico è certamente costituito dagli effetti dell’eroina sul bambino, appare necessario, forse più che per altre tossicodipendenze, un efficiente supporto sanitario non solo in gravidanza, ma soprattutto dopo il parto [42]. Un team multidisciplinare, enfatizzando i danni feto-neonatali da eroina, dovrebbe porre in atto un programma teso ad indurre una progressiva disassuefazione dall’eroina mediante l’uso di metadone per os, a dosi in mg doppie rispetto a quelle di eroina assunte per via endovenosa [43, 44]. La dose di metadone andrebbe ridotta di 2 mg ogni 2 settimane in modo da arrivare all’epoca del parto ad una dose giornaliera quanto più ridotta possibile. Il successo del programma dipende chiaramente dalla capacità del suddetto team di assistere e di controllare quotidianamente la gravida tossicodipendente. Nel caso in cui la gestante si ricoveri in travaglio senza avere seguito alcun programma di svezzamento, vanno somministrati per via intramuscolare da 5 a 30 mg di metadone a seconda della dose di eroina che la gravida praticava, continuando nelle ore successive con dosi di metadone variabili da 5 a 10 mg ogni 4-6 ore in modo da evitare sovradosaggi o crisi di astinenza. Nel
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
caso in cui sia necessario ricorrere all’anestesia, è preferibile effettuare quella periferica (epidurale o spinale) che, riducendo il dolore, consente di evitare la somministrazione di altri analgesici. I neonati sono ad alto rischio e vanno trasferiti in reparti di terapia intensiva per attenuare e prevenire i sintomi di astinenza. Tra le complicanze più gravi è la morte neonatale improvvisa.
ALLUCINOGENI LSD Per la dietilamide dell’acido lisergico (LSD) si è prospettata l’ipotesi di danni embriofetali nel caso in cui questa droga sia assunta in gravidanza. Tuttavia mancano studi controllati al riguardo in campo umano anche perché, nella gran parte dei casi, si tratta di gestanti che associano all’abuso di LSD quello di altre sostanze tossiche (fumo, alcool, ecc.). Pur mancando prove sicure circa gli effetti embriofetotossici dell’ LSD, se ne proscrive l’uso in gravidanza.
ANFETAMINE Si tratta di amine sintetiche molto simili all’adrenalina; determinano un aumento notevole della normale reazione di difesa e sono generalmente usate per diminuire la sensazione di fatica e migliorare le prestazioni fisiche. L’aumento di forza e di energia prodotta dall’uso di
queste droga riduce il bisogno di riposo, ma spesso insorgono anche turbe comportamentali con manifestazioni di violenza ed aggressività. La sospensione è associata a senso di stanchezza, sonnolenza e depressione onde la necessità di ulteriore assunzione di droga. Le metanfetamine (crystal, crak) sono facilmente sintetizzabili e possono essere anche assunte per via inalatoria. Modifiche nell’anello benzenico della molecola producono sostanze allucinogene (ectasy). L’uso di anfetamine in gravidanza si associa ad un aumentato rischio di anomalie congenite (palatoschisi, cardiopatie, ecc.), ma anche ad un notevole incremento di complicanze ostetriche quali ipertensione, preeclampsia, FGR e parto prematuro. Nei nati da madri dedite alle anfetamine sono stati segnalati aggressività, anomalie comportamentali e deficit cognitivi in età scolare [45, 46]. Per le gestanti che fanno uso di anfetamine va impostato un programma di assistenza teso alla progressiva disassuefazione come per altre tossicodipendenze.
CANNABINOIDI La marijuana è una delle droghe più frequentemente utilizzate in gravidanza anche in relazione alla convinzione che questa sostanza abbia una trascurabile tossicità. Nonostante manchino prove definitive relative a danni embrio-fetali conseguenti all’uso di questa droga, molti autori [47] la ritengono pericolosa in quanto potenzialmente responsabile di effetti fetali avversi simili a quelli legati all’abuso del fumo di sigaretta [48].
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Capitolo 30 • Tossicodipendenze e gravidanza • A.L.Borrelli,P.Borrelli, A. Di Domenico
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CAPITOLO 31
Diagnosi prenatale: morale, deontologia e diritto L. Palmieri • A.L. Graziussi
INTRODUZIONE Il progresso tecnologico ha condotto la medicina ai limiti estremi delle conoscenze con possibilità diagnostiche e terapeutiche che chiamano in causa principi che coinvolgono più o meno direttamente l’etica con riflessi nell’ambito del diritto ampiamente dibattuti; tutto ciò risulta essere tema di contrasti in una concezione sempre più laica della società che va contrapponendosi alla tradizionale cultura religiosa. Da sempre la società dibatteva il problema della liceità o meno di una interruzione della gravidanza, problema portato all’esasperazione anche in quelle realtà biologiche in cui la gravidanza poneva in pericolo la sopravvivenza della madre; oggi che il progresso tecnologico ha modificato radicalmente la situazione, si è sentita la necessità di istituire organismi di bioetica ispiratori di quei principi a cui dovrebbe attenersi il mondo politico nel tentativo di non violare la sensibilità delle coscienze nel rispetto delle libertà individuali. Il confronto si è esasperato per la possibilità di offerta dalla diagnosi genetica che consente durante la vita embrionale o fetale, ed anche prima, di avere coscienza di patologie e malformazioni che finirebbero con il condizionare la qualità di vita del nascituro. Una tale possibilità ha spostato il tema di discussione dall’originario rischio per la vita e dalla tutela della salute materna al dilemma vita/qualità di vita del nascituro ponendo in risalto gli eventuali disagi cui andrebbe incontro il nucleo familiare in cui verrebbe ad inserirsi un nascituro disabile e che, innescando un provato danno alla salute materna, ha portato il legislatore a riconoscere una liceità giuridica all’interruzione della gravidanza una volta comprovata una patologica realtà. Volutamente ho parlato di liceità giuridica, ispirandomi alla normativa vigente sulla interruzione di gravidanza che vede la possibilità (L 194/78) di una “volontaria” interruzione nel primo semestre di gravidanza, allorché una diagnosi predittiva lascerebbe poche speranze ad una vita normale per il nascituro.
Questa realtà giuridica va a contrapporsi con una alternativa liceità morale nell’arcaica confusione in cui l’umanità ha vissuto e vive tuttora, ispirata al principio che una censura morale dovesse trovare sempre una corrispettiva censura nel diritto. Le accanite contrapposizioni di pensiero fra una cultura laica ed una cultura religiosa sono la evidente espressione di quanto difficile sia la soluzione di tutti quei problemi che vedono un atto medico non manifestamente finalizzato al mantenimento della vita, problemi che innanzi all’embrione si acuiscono essendo entrambe le convinzioni supportate da argomentazioni valide, oggettive e non pretestuose. È bene qui intendersi sul significato, sui limiti dell’operato medico, in altri termini intendersi sul concetto di terapia; è ormai radicata la convinzione di una salute che esorbita dai requisiti rigorosamente biologici per incorporare quegli aspetti relazionali che costituiscono le modalità di inserimento dell’individuo nel contesto sociale. Questa ormai radicata convinzione a cui fa espressamente riferimento la L 194/78, deve ovviamente riguardare l’individuo singolo che nel rapporto con il medico cerca “la buona salute”. Va da sé che il problema sorge nella dualistica figura da tutelare per l’operato dell’ostetrico, laddove ai diritti dell’uno si aggiungono, ma talvolta si contrappongono, i diritti dell’altro. È la filosofia teologica l’unica che potrà risolvere il dilemma sul valore delle due diverse “esistenze”; al diritto competerà l’emanazione di norme ispirate alla tutela di entrambe le figure con rispetto della coscienza sociale del tempo e delle libertà individuali; alla medicina, quel contributo che deriva dalla conoscenza biologica legata alle leggi scientifiche al solo scopo di apportare al legislatore le indispensabili conoscenze. Così, insigni filosofi, teologi, sociologi e giuristi hanno esaminato questo dirompente progresso scientifico allo scopo di giungere ad una soddisfacente soluzione fra morale e diritto. Per tutti riportiamo Ferraioli [1] che, affrontando i principi dei diritti dell’embrione, mette in contrapposizione in maniera emblematica i principi
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Medicina dell’età prenatale • Prevenzione,diagnosi e terapia dei difetti congeniti e delle principali patologie gravidiche
della religione cattolica, a cui assegna valore di filosofia morale, e il dovere giuridico, a cui assegna i principi della filosofia del diritto. Egli, mentre riconosce la possibilità che una violazione di una norma morale possa identificarsi in un peccato, ritiene che un peccato non debba necessariamente costituire una violazione di un diritto. A suo modo di vedere uno Stato liberale dovrebbe prevedere il pluralismo morale e, secondo i principi di Kant, garantire la convivenza della libertà di ciascuno con la libertà degli altri. Del resto, se ci rifacciamo alla prima Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo che risale al 1789 [2], leggeremo che “la libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non nuoce ad altri. Così, l’esistenza dei diritti naturali di ciascuno uomo non ha altri limiti che quelli che assicurano agli altri membri della società il godimento di questi stessi diritti. Questi limiti non possono essere determinati che dalla Legge”. Tali principi, condivisibili in assoluto, per le nostre problematiche si spostano nel riconoscere la qualifica da assegnare all’embrione; perché, se sotto il profilo biologico non può negarsi la sua vitalità (e quindi la sua individualità, a dimostrare la quale basta ricordare il diverso possibile gruppo sanguigno fra madre e feto), in uno Stato di diritto, ci si domanda se esso può essere considerato persona, riferimento per quei diritti che lo Stato deve tutelare. Ed ecco quindi che nella tutela dell’embrione prevale l’ispirazione morale ed etica; l’embrione, entità indifesa da una sua non evidente autonoma vitalità e da una mancata visibilità che gli impedisce di affermare autonomamente i propri diritti, deve necessariamente trovare nella morale del singolo i presupposti per inserirsi nel relazionale. Questa breve premessa si impone in un momento in cui vengono esasperate le conflittualità sull’onda del progresso tecnologico che consente, al di là della sperimentazione, possibilità terapeutiche mediante prelievi dall’embrione. Affrontando l’argomento della responsabilità medica nella diagnosi prenatale, non può certamente mancare il riferimento a questa dualistica posizione fra “principi etici” e “doveri giuridici” in quanto la diagnosi prenatale, al di là delle contenute possibilità terapeutiche, è finalizzata prioritariamente a tutelare il diritto materno di interrompere la gravidanza [3] “quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro”. Prima di addentrarci negli aspetti rigorosamente tecnici, quelli di nostra competenza, è doveroso ricordare che la Legge 194/78 è comunque ispirata ad una soluzione del dualismo prospettato, fra diritto e morale, nel senso del diritto, in quanto si ispira al principio di un feto non ancora persona, meritevole, sì, di ogni rispetto morale, ma non ancora titolare di quei diritti giuridici fra i quali quello della vita, se non allorquando, dive-
nuto autosufficiente, indipendentemente dal mese di gestazione, acquista il diritto alla tutela della vita, imponendo la legge stessa, in questa realtà, l’obbligo dell’assistenza al nascituro. Del resto, che non venga preso in considerazione il diritto del feto, neanche per quanto attiene la qualità di vita, è evidente dal momento che la legge, per i feti malformati, vincola l’interruzione della gravidanza al verificarsi di un “grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna”. Ci è sembrato utile aprire questo capitolo col più evidente momento in cui rifulgono gli aspetti etici e giuridici, anche se l’interruzione della gravidanza non è l’unico momento operativo in cui la medicina legale, e per essa la bioetica, si pone ad affrontarne liceità e condotte. Ci riferiamo ai diversi momenti in cui l’opera del medico si pone a salvaguardia dei diritti di una coppia che, nella fertilità e nella qualità di vita del figlio, vede raggiunto lo scopo primario dell’unione. Si inizia con il momento della terapia di una sterilità di coppia che, tesa a risolvere una patologia di uno o di entrambi i componenti la coppia, deve tutelare anche la qualità di vita del nascituro, per proseguire con quei momenti diagnostici a possibilità terapeutiche per il feto, per giungere alla sperimentazione sugli embrioni; altri momenti in cui etica e diritto si confrontano radicando contrasti su posizioni di evidente intransigenza nel recepire le ragioni dell’altro, conflittualità che poco ha del dialogo e molto della contrapposizione. La possibilità di scelta e la manipolazione genetica costituiscono, infatti, quel momento di dubbio fra eugenica e eugenetica che vede trasportare ai giorni d’oggi quanto nel passato si poneva fra aborto eugenico ed aborto eugenetico. Ci sembra che davanti a questi problemi l’etica, la deontologia ed il diritto debbano costituire il riferimento per il medico che si pone quale tecnico nel rispetto delle libertà e delle coscienze. Iniziamo così con quei riferimenti etici che costituiscono il presupposto morale entro cui eseguire le proprie scelte, ci riferiamo non solo ai principi morali di tutela dell’embrione, ai principi che caratterizzano la coscienza della donna, ma anche ai principi morali dell’operatore sanitario; non senza ragione il legislatore ha ritenuto dover tutelare la coscienza della madre paritariamente alla coscienza del medico, consentendogli innanzi ad un suo credo, di rifiutare gli atti abortivi. I principi etici nascono ovviamente dalla natura dell’embrione; premesso che la biologia, e per essa la scienza, fornisce le conoscenze per potere decidere moralmente e giuridicamente, si vede come l’etica è mutevole nel tempo, verosimilmente sulla base di un progresso cognitivo che sposta la coscienza individuale sempre più verso una visione biologica. Non si può ignorare come la biologia abbia consentito il mutamento di
Capitolo 31 • Diagnosi prenatale:morale,deontologia e diritto • L.Palmieri,A.L.Graziussi
conoscenze ritenute certezze nel tempo passato, ma egualmente ha sempre affermato che la vita embrionale costituisce la prima fase della vita dell’uomo e su questa base il principio morale, trasportato nel diritto, vedeva una doverosa tutela della vita dell’embrione e del feto. Questo “rispetto” per una vita biologica veniva inteso come la tutela del più alto diritto dell’uomo e, sulla base della convinzione che il diritto alla vita è il diritto dei diritti perché posto alla base della libertà, la Corte Costituzionale sentiva l’esigenza in più occasioni e nella sentenza del 19751 di una tutela assoluta dell’embrione; di conseguenza poneva il problema della interruzione volontaria della gravidanza come un conflitto fra diritti aventi lo stesso grado, il diritto alla vita del nascituro ed il diritto alla vita della madre, non riconoscendo alla donna il diritto sulla gravidanza, ma sostenendo il diritto della stessa alla tutela della propria vita e della propria salute. E poiché i principi costituzionali tutelano i diritti di un popolo, va ricordato che gli Stati Uniti sono il solo Paese nel quale l’aborto rappresenta veramente una libertà costituzionale, poiché la libertà di diventare madre è costituzionalmente protetta. In Italia questa libertà non esiste ed i filosofi, i teologi, i giuristi affrontano questa tematica solo de jure condendo; del resto per ammettere la libertà di non diventare madre si deve necessariamente ricorrere alla concezione americana di un feto parte del corpo materno, opzione che già dà per scontato il problema di un feto non entità autonoma. Ed è su questa posizione che il Comitato Nazionale di Bioetica si è posto con sempre innovativi documenti, cercando di regolamentare tecniche e tecnologie biomediche nel rispetto dei valori dell’uomo, alla ricerca di un punto di equilibrio fra detti valori ed i valori dello sviluppo scientifico e tecnologico. Questo equilibrio si basa non su principi fondamentali, ma ricercando un consenso intorno a “scelte esperibili” con riferimento a casi particolari. Equilibri mutevoli che già con la Raccomandazione del 1986 del Consiglio di Europa riconoscevano al punto 5 che la vita umana “si sviluppava con un processo continuo”. Di qui, la Raccomandazione n. 24 dell’86, invitava gli Stati membri a vietare la creazione di embrioni a “finalità lesive della dignità umana”. Per vero, già nel 1959 la Dichiarazione dei diritti del fanciullo, nel preambolo, afferma il dovere di proteggere il bambino, prima e dopo la nascita, impegnando gli Stati ad una protezione fin dal momento del concepimento. Un riferimento non può mancare alla Convenzione sui Diritti dell’Uomo e
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la Biomedicina approvata dal Consiglio di Europa il 19 novembre del 1996 e firmata dall’Italia ad Oviedo il 14 aprile 1997. Detta Convenzione assicura all’embrione una protezione adeguata; per vero in essa si fa riferimento all’essere umano oggetto del rispetto, termine volutamente equivoco, demandando ai singoli Stati il chiarirne la portata. Ma la Convenzione si pone come base per la regolamentazione dell’uso delle biotecnologie che, per quanto attiene agli interventi sul genoma (art. 13), prevede che vengano autorizzati esclusivamente “per ragioni preventive, diagnostiche e terapeutiche”. Passiamo alla Dichiarazione Universale sul genoma umano dell’UNESCO approvata nel novembre 1997 e che ispira i principi che devono presiedere alla ricerca genetica. Tale Dichiarazione vede la ricerca sul genoma come finalizzata al miglioramento della salute dell’individuo ed al benessere dell’intera umanità, sostenendo altresì che il progresso non può prevalere sulla dignità umana e sui diritti dell’uomo:“il genoma è patrimonio comune dell’umanità e la ricerca genetica deve essere preceduta dalla valutazione del principio della beneficiarietà”. Per essere più vicini al tema in discussione i principi che esaminano il ricorso ai test genetici per la diagnosi prenatale e pre-impianto sono riportati nella Raccomandazione del Consiglio di Europa del 21 giugno 1990 e del 10 febbraio 1992. Detti test sono finalizzati allo scopo esclusivo della valutazione del rischio salute e della natura consultiva e non direttiva del test nel rispetto dell’autonomia della donna. Del resto la Congregazione per la dottrina della fede, rifacendosi alla istruzione per la vita umana nascente e la dignità della procreazione2 insiste nel sostenere che la legge civile deve essere dovunque regolata “sulle norme fondamentali della legge morale in ciò che concerne i diritti dell’uomo, della vita umana e della istituzione familiare”. Non si può certo ricorrere agli artifizi semantici di oltreoceano che vedono trasformati gli embrioni in ovosomi quando prodotti per clonazione ai fini di ottenere cellule staminali; è questo il suggerimento prospettato da “consulenti etici” a cui imprese di biotecnologie statunitensi si rivolgevano per avere suggerimenti sulla produzione di embrioni mediante clonazione. Come si evince, discutendo dei problemi etici si finisce con il ricalcare quanto detto in precedenza, ed è per questo che, lasciando alla filosofia della morale ed alla filosofia del diritto la soluzione di questi aspetti, che
1 La sentenza n. 27 del 18/02/1975 (Presidente Francesco Paolo Bonifacio) “...dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 546 c.p., nella parte in cui non prevede che la gravidanza possa venire interrotta quando l’ulteriore gestazione implichi danno, o pericolo grave, medicalmente accertato nei sensi di cui in motivazione e non altrimenti evitabile, per la salute della madre”. 2 Istruzione Ratzinger 1987.
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trascendono dal biologico, e riconoscendo la libertà di scelta condizionata dalla coscienza del singolo, il sanitario dovrà attenersi alle norme deontologiche ed al diritto codificato, sempre ricordando che anche egli è possessore di principi etici che, come abbiamo visto, gli vengono riconosciuti quanto meno nell’operare in tema di interruzione della gravidanza. Che resta alla medicina legale, se non il tentativo di risolvere quel dilemma a cui abbiamo fatto cenno sullo scopo di una prestazione medica che per l’ostetrico, è nostra convinzione, ha come presupposto il dovere morale, deontologico e giuridico di tutelare entrambe le individualità; non diciamo nulla di nuovo, né risolviamo i problemi etici e morali, ma ci domandiamo sempre se costituisca corretto atto medico il consentire la nascita di un soggetto gravemente disabile, nella coscienza di una qualità di vita ampiamente compromessa. Una tale affermazione naturalisticamente chiama in causa quesiti aggiuntivi; così, quale è il grado di menomazione non accettabile dal nascituro e quale la volontà di vita con tale menomazione? La risposta potrebbe trovarsi nel graduare “le gravi malformazioni” previste dalla legge per una interruzione di gravidanza oltre il III mese, ma ogni elenco di realtà biologiche è di per se stesso limitato e le analogie funzionali ne renderebbero elastica la interpretazione. Non dimentichiamo che l’art. 3 del Codice Deontologico (C.D.)3 di ultima pubblicazione, riconosce al medico di tutelare la vita, la salute e di sollevare l’uomo dalla sofferenza nel rispetto della dignità della persona umana. Il limite al dilemma che ci siamo posti ci sembra per l’appunto poterlo identificare nel limite entro il quale l’uomo possa mantenere una sua dignità. D’altra parte, dobbiamo considerare che l’art. 44 del C.D., mentre vieta pratiche di fecondazione assistita ispirata a selezione etnica ed a fini eugenetici, nel successivo art. 46 ammette i test predittivi al solo scopo di rilevare o predire malformazioni, malattie su base ereditaria, indagini che, per quanto ci attiene, devono essere espressamente richieste dalla gestante e, a nostro avviso, dalla coppia in caso di una consulenza genetica per una fecondazione assistita [4]. Questo articolo fa espresso riferimento alle vigenti “norme nazionali e regionali” sui requisiti strut-
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turali e professionali dei centri deputati alle indagini genetiche [5]. Va da sé che per i risvolti psicologico-sociali, nonché per i riflessi etici e giuridici cui un test di genetica dà origine, nonché per la complessità tecnica dell’indagine stessa, un Centro deputato a tali indagini dovrebbe rientrare di diritto fra quei centri accreditati all’eccellenza, ma certamente non può non rientrare fra i Centri accreditati, vale a dire sottoposti ad una accurata valutazione sulla qualità della prestazione in rapporto al livello di performance e standard prestabiliti. Si tratta, infatti, di prestazioni specialistiche di III livello per le quali si vede necessariamente applicare il superamento dei limiti concettuali dello standard nominativo. La Commissione Europea, con Raccomandazione n. 25 del 20054, ha affrontato il problema del dovere assicurare la qualità dei test genetici, esaminando diversi progetti finalizzati; un tale esame ha condotto ad una progressiva uniformità dei criteri e dei parametri per assicurare la qualità. Si tratta, come si vede, di un interesse internazionale che ha portato sin dal 2000 a costituire un gruppo di lavoro che ha utilizzato come documento base “i test genetici, orientamenti per un nuovo millennio”. Anche per lo svolgimento delle attività sanitarie di genetica medica i criteri ed i requisiti strutturali si rifanno al DPR 14/01/1997, recepiti e sviluppati dal Comitato Nazionale per la Biosicurezza e le Biotecnologie che ha emanato linee guida in data 19/05/19985. Nell’aprile del 2002 il Ministero della Salute istituì una Commissione sotto la presidenza di Dalla Piccola che elaborò un documento, ultimato nel giugno 2003, approvato nella Conferenza Stato-Regioni il 15/07/04 che ha emanato norme cui devono rifarsi le strutture di genetica medica, comprensive non solo dei laboratori di genetica cui compete l’esecuzione del test, quand’anche delle strutture cliniche. Al laboratorio di genetica medica compete la citogenetica, la genetica molecolare, la genetica biochimica, la immunogenetica e la oncogenetica. È compito del laboratorio di genetica conservare il consenso informato all’esecuzione del test genetico, unitamente alla documentazione della prestazione fornita. Sul piano rigorosamente medico-legale, rileva a questo punto soffermarsi su specifici aspetti.
Art. 3 - Codice Deontologico, 16 dicembre 2006 “doveri del medico - dovere del medico è la tutela della vita, della salute fisica e psichica dell’uomo e il sollievo dalla sofferenza nel rispetto della libertà e della dignità della persona umana... la salute è intesa nella accezione più ampia del termine, come condizione cioè di benessere fisico e psichico della persona”. 4 European Commission-Recommendations on the ethical, legal and social implications of genetic testing (www.europa.eu.int/comm/research/rtdinfo/index). 5 www.iss.it/scientific a/lineeguida/genetici.htm.
Capitolo 31 • Diagnosi prenatale:morale,deontologia e diritto • L.Palmieri,A.L.Graziussi
PRINCIPALI INDAGINI PRENATALI: RISCHI, POSSIBILI RISULTATI E RISVOLTI ETICI La diagnosi prenatale, che costituisce ormai parte integrante della prestazione professionale dell’ostetricoginecologo, si avvale di diverse metodiche cliniche, laboratoristiche e strumentali. Esse consentono, entro certi limiti, di monitorare lo stato di salute dell’embrione prima e del feto successivamente, e permettono di diagnosticare condizioni patologiche attraverso l’esame morfologico-anatomico, biochimico, metabolico, citogenetico ed in casi particolari, mediante l’analisi del DNA. È noto come molte di queste indagini espongono, in alcuni casi, il prodotto del concepimento a diversi livelli di rischio; esse pertanto sono ovviamente eseguite per finalità diagnostico-terapeutiche, soprattutto allorché la precocità della diagnosi consente di instaurare terapie tempestive, farmacologiche e/o chirurgiche, anche nel corso della vita intrauterina, ovvero quando si rende necessario predisporre particolari modalità di espletamento del parto, o terapie nell’immediato post-nascita, orientando per un parto in strutture adeguate. Per vero, la finalità prioritaria delle indagini prenatali mira a diagnosticare quelle patologie fetali che, determinando una cattiva qualità di vita al nascituro, possono causare quel turbamento psichico nella madre di gravità tale da giustificare l’IVG anche al di là del III mese. Altrettanto rilevante è la possibilità di individuare quei casi in cui la malattia da cui può essere affetto il feto sia grave ed incurabile, tale da potere autonomamente determinare una scelta verso l’interruzione di gravidanza. La diagnosi prenatale consente anche di identificare in quelle coppie che presentano, rispetto alla popolazione generale, una effettiva maggiorazione di rischio di patologie genetiche, mediante la consulenza genetica prenatale ed eventuali specifiche tecniche, la probabilità del verificarsi del rischio. In genere tale procedura mira ad identificare i portatori sani, che presentano cioè una eterozigosi per patologie genetiche autosomiche recessive, ovvero X-linked. A tal riguardo si sottolinea il ruolo fondamentale della consulenza genetica che deve avvalersi della costruzione di alberi genealogici (almeno tre generazioni) sulla cui base si procede ad indagini mirate.
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Un corretto comportamento esalta il momento della informazione in quanto, spesso si tratta di patologie non manifeste nella coppia essendo i componenti privi di sintomatologia evidente. È quindi fondamentale che il medico illustri alla coppia tutti gli aspetti clinici della possibile patologia genetica, in termini di diagnosi, di manifestazioni cliniche, di prognosi ed il rischio che tale patologia si manifesti nella prole. Il medico dovrà verificare la sussistenza delle indicazioni alla tecnica diagnostica, scegliendo quella più opportuna, illustrandone i rischi e prospettando le possibili scelte nonché i relativi disagi alla qualità della vita cui potrebbe andare incontro il nascituro e le possibilità terapeutiche nel rispetto delle convinzioni etiche ed eventualmente religiose dei futuri genitori. A tal proposito è opportuno ricordare come la Legge 40/04 all’art. 6 comma 46 dà la possibilità al medico responsabile della struttura ove viene attuata la procedura di diagnosi prenatale di non procedervi allorché vi siano “elementi medico-sanitari “ che lo sconsiglino. Ovviamente i costi elevati, la non sempre possibile terapia nella vita intrauterina, la non ancora completa conoscenza delle anomalie geniche da cui molte delle patologie congenite derivano, limitano un tale screening soprattutto a quelle coppie che presentano una effettiva maggiorazione di rischio per patologie particolarmente disabilitanti. Un tale accertamento vedrebbe la sua più logica applicazione in una fase che precede il concepimento e costituisce il primo momento predittivo di un probabile verificarsi del rischio. Una tale prassi prende in esame ovviamente uno studio genetico dei genitori, per cui appare evidente come ad un consenso binato, deve far seguito una risposta unitaria, nel senso che entrambi i componenti la coppia devono essere messi a conoscenza dei risultati dell’indagine.Appare evidente che in una indagine che precede il concepimento sia doveroso estendere la consulenza alla coppia, non potendo limitarsi a demandare alla sola futura madre le decisioni sulle scelte da attuare. Ovviamente questi aspetti eugenici risaltano ancora di più in una fecondazione assistita, laddove la consulenza genetica della coppia viene superata da un ulteriore passo avanti, vale a dire dalla diagnosi genetica pre-impianto che viene effettuata sull’embrione ottenuto in vitro e che consente di avere non più una diagnosi di probabilità, quanto la
Legge 40/04 art. 6 comma 4: “fatti salvi i requisiti previsti dalla presente legge, il medico responsabile della struttura può decidere di non procedere alla procreazione medicalmente assistita, esclusivamente per motivi di ordine medico sanitario. In tale caso deve fornire alla coppia motivazione scritta di tale decisione”.
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certezza del concretizzarsi del rischio.Va detto che una tale indagine nella fase del pre-impianto è attuabile anche in una gravidanza, laddove l’embrione può essere prelevato mediante lavaggio prima del suo annidamento nell’utero. Si tratta di una indagine non espressamente prevista nella normativa che tutela e liceizza la procreazione medicalmente assistita. In effetti, il Legislatore non ha previsto l’opportunità di una prevenzione delle patologie genetiche mediante un doveroso screening quantomeno per quelle patologie particolarmente disabilitanti7. Un tale disposto non è, a nostro modo di vedere, condivisibile, ove si consideri il concreto rischio che da un atto medico, ne possa derivare un evento danno. Eppure, nelle more del disposto legislativo, quando la fecondazione assistita era atto medico non normativizzato e come tale aperto ad ogni pratica, l’allora Ministero della Sanità aveva emesso una circolare, ripresa da C.D., in base alla quale si auspicava per l’appunto un tacito ricorso all’indagine eugenica, onde evitare il verificarsi di un tale rischio. Già nella diagnosi genetica pre-impianto si vedono configurare tutte le problematiche connesse alla selezione dell’embrione, così se da un lato la citata Legge n. 40/04 [6] vieta espressamente la selezione degli embrioni a scopo eugenetico, consentendo viceversa la possibilità di correzioni a fine eugenico (art. 13 comma 3), dall’altro permette “interventi sugli embrioni aventi finalità diagnostiche e terapeutiche” (art. 13 comma 2). È evidente che il termine piuttosto generico di “interventi” lascia spazio a diverse possibilità interpretative. La diagnosi pre-impianto non è scevra di rischi sull’ulteriore sviluppo embrionario, prevedendo il prelievo di cellule quando lo stesso embrione, in stadi iniziali, si compone di un numero estremamente limitato di cellule, rischio di cui si dovrà informare la coppia, anche in considerazione del possibile verificarsi di ulteriori patologie non più di natura genetica, ma iatrogena. Va detto come una tale indagine pre-impianto non elimini il grave problema della embrio-selezione e del destino che grava sugli embrioni identificati come patologici; infatti, per una estinzione in coltura il vincolo è della grave ed irreversibile patologia, dovendosi indirettamente dedurre che per patologie “non gravi” vi sia comunque l’obbligo di impianto, anche se, anacronisticamente, verrebbe poi consentito alla donna il ricorso al-
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la interruzione della gravidanza già nei primi tre mesi di vita. Come si vede, la diagnosi pre-impianto non è esente da gravose ricadute di carattere etico [7]. Una volta che l’embrione si è annidato, la diagnostica prenatale passa dal genetista all’ostetrico-ginecologo che dovrà avvalersi di competenze aggiuntive in relazione alle diverse fasi dello sviluppo embriofetale. Così, a seconda dei tempi se vi sono fasi in cui si ricorrerà all’ecografista, ancora al genetista ed al patologo per le indagini metaboliche, si ricorrerà a una competenza unicamente ostetrica nella fase terminale. Sorgono qui momenti operativi con impegno diversificato, pur vedendo la figura dell’ostetrico non più impreparata alla esecuzione ed alla interpretazione dei dati provenienti dalle specialistiche concorrenti. Il volume nel quale ci inseriamo ci consente di non addentrarci in una partitica descrizione delle indagini per età di sviluppo, ovviamente dovendo, peraltro, segnalare come una prima analisi della corretta assistenza di una gravidanza derivi da una corretta scelta dei tempi per le rispettive indagini e ciò soprattutto per quanto attiene l’ecografia, laddove vi sono malformazioni che risultano evidenziabili in epoche diverse, creando così problemi sulle varie possibilità di intervento. Come si vede, compete all’ostetrico un aggiornamento costante sulle possibilità che le altre discipline offrono per quella fase operativa inquadrabile in una prevenzione. Inizialmente l’approccio prevede una particolareggiata anamnesi da parte dell’ostetrico-ginecologo per programmare tutte quelle indagini idonee a ridurre il rischio di mortalità o morbilità materno-fetale. Non dimentichiamo che l’anamnesi costituisce parte integrante per un orientamento diagnostico e che essa ha rilevanza soprattutto in quei casi in cui non si sia fatto ricorso a quella consulenza genetica che precede il concepimento. L’anamnesi in una gravidanza naturale è pur sempre il primo elemento predittivo per una prevenzione; essa precede ovviamente una indagine clinica sulla madre per rilevare, sulla base degli accertamenti metabolici, cardiovascolari, immunologici, l’opportunità di ricorrere a scelte diagnostiche per tempi e modalità diverse da quelle che schemi universalmente validi prevedono come finalizzati ad un monitoraggio dello sviluppo embrio-fetale. Così in una gravidanza non a rischio ci si limiterà al ricorso all’ultrasonografia se-
Per quanto attiene alla possibilità di una diagnosi genetica pre-impianto, la legislazione vigente negli altri Paesi è certamente più aperta di quella da noi varata ed, anche in modo non uniforme, pressoché tutte prendono in esame lo studio delle cellule della linea germinale. Così in Francia ed in Danimarca una tale diagnosi è consentita in presenza di una nota patologia genetica incurabile in entrambi o in uno dei componenti la coppia (Casini C. et al., Medicina e morale 1.17.52, 2004); in Austria l’art. 9 della L. 293/1992 liceizza “nella misura in cui l’esperienza e le conoscenze medico scientifiche” fanno ritenere necessaria la diagnosi pre-impianto; egualmente l’Inghilterra con la L. del 30.10.90 limita l’indagine ai casi necessari. La Germania con la L. n. 69 13/12/90 e la Svizzera e L. 18.12.98 consentono lo studio della linea germinale maschile, in Germania per prevenire gravi patologie ereditarie legate al sesso ed in Svizzera per prevenire la trasmissione di affezioni gravi ed inguaribili.
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riata, ad indagini metaboliche trimestrali che, ovviamente, saranno monitorate con diverse scadenze in presenza di diabete, cardiopatie, patologie immunitarie. Si tratta di quelle indagini rispondenti alle linee guida del consesso scientifico internazionale, a cui si adeguano il maggior numero delle associazioni ostetriche e che comunque, va ricordato, costituiscono un indirizzo orientativo suscettibile di doverosa modifica nelle contingenze particolari. È opportuno a questo punto suddividere preliminarmente le indagini pre-natali in merito alla loro invasività ed al rischio che ne può derivare. Tra le indagini non invasive, l’ecografia diagnostica prenatale riveste il ruolo principale e non offre evidenti margini di rischio tanto per la madre quanto per l’embrione ed il feto. Tale esame consente di monitorare l’evoluzione della gravidanza sin dal suo insorgere e risulta essere, inoltre, l’esame preliminare alle altre tecniche invasive, orientando o consentendo una diretta diagnosi nelle diverse fasi di sviluppo fetale per malformazioni congenite. Attualmente in Italia non vi è ancora uniformità di vedute sulla figura dello specialista cui competa la pratica ecografica in ambito ostetrico; un detto ruolo è dibattuto fra le Società scientifiche della Diagnostica per immagini e della Ostetricia al punto che sempre più radicata appare una superspecializzazione ostetrica con la figura dell’“ecografista ostetrico”. Così, va detto che le Linee Guida prevedono il ricorso a centri ecografici di I, II e III livello a seconda della difficoltà diagnostica che la patologia presenta. Ovviamente, con il progredire della tecnologia, il rimanere vincolati ad apparecchi di vecchia generazione potrebbe costituire una scelta del mezzo responsabile di quei limiti dovuti all’attrezzatura e che devono essere noti all’operatore; questi, non valutati, potrebbero configurare un comportamento negligente per la scelta dei mezzi. Sarà opportuno pertanto che l’ostetrico non consideri l’accertamento ecografico un rituale, ma che lo veda quale indispensabile ausilio per la tutela del feto e della madre, anche nel rispetto del diritto materno di conoscere la realtà a cui potrà condizionare scelte. Certamente una realtà sanitaria così difforme sul nostro territorio vede realizzare situazioni diverse che non sempre consentono il ricorso a centri di eccellenza [8]. Oltre alle caratteristiche dell’attrezzatura, le modalità di esecuzione costituiscono un ulteriore elemento meritevole di riflessione nel senso che l’indagine ecografica ha dei suoi protocolli esecutivi che vanno seguiti con molta attenzione. La mancata osservanza dei predetti protocolli e/o l’inesperienza dell’ecografista nel non rilevare segni suggesstivi di anomalie fetali integrano un ulteriore elemento di censura questa volta per negligenza ovvero imperizia. Non possiamo infatti non
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rilevare come un terzo momento a rischio sia costituito dalla interpretazione della immagine ecografica; vertiamo in questo caso in una evidente imperizia tanto più grave se si tiene conto che si tratta di una indagine il cui valore è dato dalla visione in real time, essendo l’eventuale fotogramma il risultato di una scelta assolutamente espressiva di quel momento fotografato e non indicativa di altro. Ciò ha portato anche ad una registrazione ecografica, col che consentendo di avere una indagine completa ma pur sempre limitata alla manualità della sonda. Si tratta pertanto di un accertamento operatore-dipendente, di qui l’indispensabile preparazione di chi esegue e successivamente referta l’indagine. Una errata o superficiale refertazione può costituire un ulteriore elemento di censura per negligenza, aggravata proprio dalla impossibilità dell’ostetrico clinico di avere coscienza della realtà anatomica, se non per quei valori biometrici di routinaria indagine che esprimono una corretta crescita fetale. Le linee guida per gli “screening ecografici in Ostetricia e Ginecologia” vanno differenziate fra quelle tese a valutare lo sviluppo e quelle finalizzate ad evidenziare eventuali malformazioni. Egualmente, l’ecografia consente di avere conoscenza sugli annessi, su eventuale patologia delle membrane, della placenta, del funicolo e del liquido amniotico. Va inoltre evidenziato che le Linee Guida, e noi aggiungeremmo anche i conseguenti protocolli operativi, mutano con il progredire delle conoscenze; esse possono divenire stadiate nel momento stesso della loro emanazione (l’ultimo aggiornamento è stato da noi rilevato nel sito della SIEOG nel 2006). Riteniamo che esse possano costituire un riferimento di base sufficientemente sperimentato. Così, generalmente nel primo trimestre l’esame ecografico mira ad accertare la condizione gravidica, la sede di sviluppo del sacco gestazionale, la presenza in esso dell’embrione, il numero degli embrioni, la vitalità embrionale e ad escludere la presenza di gravidanza extra-uterina ed eventuali patologie utero-annessiali associate alla gravidanza. Nelle ultime settimane del I trimestre potranno essere visionati i quattro arti, con le relative estremità, nonché l’attività cardiaca [9]. È il II trimestre quello in cui prevale l’esame morfologico per lo studio delle eventuali malformazioni; ci riferiamo alla strutturale di solito effettuata fra la diciannovesima e la ventiduesima settimana. Nel III trimestre il principale aspetto indagato è quello relativo alla crescita fetale e la sua integrità anatomica e ad eventuali patologie del liquido amniotico e placentari. In questa fase, l’esame mirerà anche a valutare eventuali prevedibili distocie per incongruità dei rapporti, altro momento foriero di rischio fetale.
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Per quanto attiene alla diagnosi prenatale, ricordiamo come attraverso lo screening ecografico morfologico sia possibile evidenziare numerosissime malformazioni a carico dei diversi apparati e sistemi. Così lo studio morfologico del SNC consentirà di dimostrare una anencefalia, una idroanencefalia, un idrocefalo, una oloprosencefalia, una spina bifida, nonché alterazioni dello sviluppo cranico come la microcefalia, cisti della fossa cranica posteriore, una oligocefalia, una ciclopia, le poroencefalie e il cefalocele. A carico dell’apparato scheletrico si possono evidenziale le agenesie degli arti, le acondroplasie, per le quali peraltro è opportuno ripetere l’indagine in tempi successivi. Ancora è possibile rilevare alterazioni dell’apparato urinario quali idronefrosi, reni multicistici, agenesie renali, megauretere ed alterazioni della vescica8.A carico degli organi parenchimali addominali sono evidenziabili ad esempio solo le cisti o la presenza di ascite che solitamente si abbina ad un polidramnios, ecc. Difficile evidenziare in questa fase di sviluppo le malformazioni diaframmatiche se non vere agenesie di un emidiaframma con erniazioni di visceri in torace. Rimane ancora la possibilità di evidenziare alterazioni cardiache quali ipoplasie, anomalie dei grossi vasi, versamenti pericardici. Sono queste solo alcune delle malformazioni evidenziabili con le indagini ecografiche, ma che costituiscono quelle che in un teorico elenco di “patologie gravi” troverebbero certamente collocazione. Va da sé che il mancato rilievo di tali patologie non costantemente può quindi costituire errore di lettura in quanto condizioni materne o anche, come abbiamo visto, ecografi con scarso potere di risoluzione, possono rendere difficile l’evidenziazione di lievi malformazioni; ancora acquisterà valenza la rarità di alcune malformazioni che può condizionare l’ecografista a un approfondimento diagnostico. Abbiamo detto che l’ecografia costituisce un’indagine non invasiva e rappresenta l’accertamento di base per lo studio di una normale evoluzione della gravidanza stessa, di un feto privo di malformazioni, di annessi e liquido che non rendono “a rischio” il prosieguo della gravidanza. Poiché la diagnosi prenatale ha come finalità di base la nascita di un neonato integro, non possiamo omettere dalla ipotetica responsabilità di una lacunosa indagine ecografica, la mancata valutazione nell’ultimo mese di gestazione delle dimensioni fetali rapportate al canale del parto. Più che le dimensioni fetali, ha in-
fatti valore il rapporto feto-pelvico, in quanto può condizionare una scelta sulle modalità del parto onde evitare la via espulsiva, nella ipotesi di una possibile paralisi ostetrica per distocia nella fase della espulsione o, drammaticamente, una sofferenza protratta con cerebropatia perinatale [10]. Va qui ricordato l’abbinamento dell’ecografia strutturale con l’eco-color Doppler per lo studio flussimetrico dei vasi fetali, utile per la diagnosi di sofferenza cronica e di iposviluppo fetale. Nel prosieguo della gravidanza, lo studio del cordone con ecografia o flussimetria si impone onde consentire una scelta operativa che impedisca sia gravi sofferenze fetali per voluta di cordone intorno al collo sia l’asfissia acuta derivante da un nodo vero del cordone, che nella fase espulsiva si costringe occludendo l’afflusso ematico. Per completare il discorso sulla ecografia, rimandando poi alla discussione generale gli aspetti sulle responsabilità ed il danno, preme rilevare che detto accertamento dovrebbe vedere rispettata anche la normativa vigente in tema di IVG, in considerazione del fatto che alcune malformazioni, visibili anche nel I trimestre, debbono essere comunicate tempestivamente alla donna nel rispetto del suo diritto ad essere correttamente informata, consentendole così una scelta tempestiva che, se pur ancora possibile nel II trimestre, con eguale rilevanza sul piano etico, risulterebbe certamente meno traumatizzante sul piano psicologico ed individuale. Supportano l’esame ecografico altri accertamenti non invasivi, da eseguire su siero materno; in particolare il duo test, che si pratica intorno alla 12ª-14ª settimana di gestazione e che valuta alcuni parametri biochimici su sangue materno (free β-hCG, PAPP-A) rapportati ad un dato ecografico, vale a dire la translucenza nucale del feto (test combinato). Con analogo fine può essere eseguito il tri-test intorno alla 16ª settimana di gestazione, e che consente di valutare per una gestante il rischio di essere portatrice di un feto affetto da sindrome di Down, da eventuale altra anomalia cromosomica e da difetti del tubo neurale sulla base dei valori di tre marcatori (α-feto proteina, β-gonadotropina corionica, estriolo) confrontati con altri parametri materni. Il limite di queste indagini è che esse offrono risultati su base statistica, con un margine di errore che può essere del tutto abolito, quando integrate da una diagnosi citogenetica fetale verso cui il dubbio impone di dirigersi. Quest’ultima indagine è, ovvia-
8 È opportuno ricordare, per gli scopi di questo capitolo, che l’idronefrosi per reflusso vescico-ureterale non è sempre diagnosticabile, neanche quando di IV o V grado, in quanto essa può essere intermittente. Quest’esempio sta a dimostrare come qualsiasi indagine ecografia costituisca un supporto utile ma non tassativo, ribadendo il concetto di una indagine real time operatore-strumento e momento-dipendente, col che estrema cautela nel giudicare l’operato di un sanitario sulla base di diagnosi perfezionate nel post-nascita, quando lo sviluppo della patologia ed il dato clinico evidente, nonché la possibilità di indagini aggiuntive ed invasive, consentono diagnosi ex post.
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mente, invasiva, ma offre la possibilità di una diagnosi certa. Il progresso tecnologico consentirebbe oggi, anche attraverso la ricerca di cellule fetali nel sangue materno, di porre diagnosi citogenetica senza ricorrere ad indagini sul feto; si tratta di una tecnica che, pur ancora in fase sperimentale, avrebbe il vantaggio di non essere invasiva non esponendo il feto a quel rischio presente nelle indagini che andremo ora a esaminare. Ci riferiamo ad accertamenti che, in successione temporale rispetto alla settimana di gestazione in cui è possibile farvi ricorso, si identificano nella biopsia coriale, nell’amniocentesi, nella fetoscopia, nella funicolocentesi ed infine nella biopsia di tessuti fetali. Di queste la più nota e diffusa, anche perché la meno rischiosa e meno traumatizzante è l’amniocentesi, il cui potere diagnostico è connesso alla possibilità di analizzare l’assetto cromosomico sulle cellule fetali, divenendo una indagine fondamentale per le gravidanze a rischio, ma che trova, in una società sempre più mediatizzata e medicalizzata, un crescente numero di donne che la richiede al di là di quella valutazione rischio/beneficio e che, viceversa, si impone in presenza di indicazioni mediche9. Un recente volume sulle indagini prenatali invasive riporta i dati forniti dalla Società Italiana Genetica Umana da cui si rileva che nel 2002 furono eseguite complessivamente 116.990 analisi prenatali, di cui 95.729 sono state eseguite su amniociti, 15.159 sul trofoblasto, 5.231 su materiale abortivo, 808 su sangue fetale; solo 62 erano relative a diagnosi preimpianto [11]. Affrontando il problema delle indagini invasive, rileva sottolineare quanto riportato all’inizio di questo capitolo circa la necessità di una informazione completa, particolareggiata, soprattutto tesa ad informare sul rischio abortivo e sulle possibili complicanze materne; egualmente sarà necessario riferire i limiti del risultato, la non infallibilità per errori diagnostici e la possibilità di insuccesso nelle manovre di prelievo, i tempi necessari per ottenere le risposte. Buona prassi è anche quella di comunicare il centro di genetica ove l’indagine verrà eseguita ed in particolare informare circa le percentuali di errore derivanti dalla letteratura internazionale, confrontate con quelle del centro diagnostico [12]. In alternativa a tale partitica informazione è opportuno illustrare alla coppia, alla donna in particolare, l’effettiva entità del rischio che nasce o da fattori contingenti alla coppia per i quali il rischio è
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certamente più elevato, ovvero per fattori statistici per i quali il rischio è meno elevato; pertanto differenzieremmo un rischio generico, da un rischio generico aggravato a sua volta differente da un rischio specifico. Così l’indagine con l’eventuale ulteriore approfondimento diagnostico potrà essere prospettata con diverso allarme in rapporto alla maggiore consistenza del rischio. Ricordiamo qui come ipotesi di responsabilità potranno vedersi configurate per la scelta di una metodica più rischiosa senza sussistente motivazione o per intempestiva realizzazione della stessa. Ovviamente, per l’indagine genetica non vedremmo configurabile una inidoneità cronologica per difetto, trattandosi comunque di indagini che studiano cromosomi e/o geni; riferendoci agli atti, va da sé che la manualità deve essere espletata da un ostetrico esperto, nel rispetto delle indicazioni che gli verranno fornite dal centro di diagnostica genetica cui il campione verrà inviato. Anche la scelta del laboratorio deve essere idonea nel rispetto delle norme cui abbiamo fatto cenno nella parte iniziale di questo capitolo, essendo evidente che l’errore diagnostico ricade ovviamente sul Centro di genetica, ma potendosi, seppur solo per una eventuale colpa in eligendo, vedere coinvolta anche la figura dell’ostetrico. Si tratta di una eventualità estremamente improbabile ove si considerino i requisiti di un laboratorio di genetica richiesti per l’indispensabile accreditamento. Viceversa manualità incongrue possono condurre a dilacerazioni amniotiche, ad infezioni o anche ad emorragie che possono causare l’interruzione della gravidanza ed, eccezionalmente, danni materni. In merito a tali accertamenti, rifulgendo l’aspetto della prevenzione, una indagine pre-natale dovrà essere prospettata con una semplice informazione ovvero con dovuta esortazione a seconda del rischio previsto, ma dovrà sempre essere rispettata la scelta materna. Anche un ostetrico obiettore avrà l’obbligo di informare e prospettare le possibilità alla coppia, potendosi al più rifiutare di eseguire quegli atti inquadrabili come predittivi di una interruzione volontaria di gravidanza. Di dubbia etica e deontologia sarebbe il rifiuto alla esecuzione di dette indagini intuite come predittive di un’eventuale interruzione di gravidanza; anche se una sostanziale differenza sussiste fra un esame ecografico e detti accertamenti genetici invasivi; il primo ha come fine primario lo studio dello sviluppo fetale ed occasio-
Età>35 anni; familiarità per cromosomopatie (precedente figlio affetto da patologia cromosomica, genitore portatore di aneuploidie dei gameti non incidenti sulla fertilità); alterazione degli indici biochimici per cromosomopatie su sangue materno; abortività ripetuta; anomalie fetali o del volume di liquido amniotico evidenziate ecograficamente.
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nalmente diviene espressivo di una malformazione che potrà, o meno, spingere la donna ad una scelta abortiva; se ciò è valido indubbiamente per i valori biometrici, l’indagine morfologica, sul piano etico, acquista di fatto la stessa valenza dei test genetici invasivi.Viceversa i predetti test genetici nascono con finalità predittiva e quindi, attuati con la coscienza di vincolare la sopravvivenza del feto al risultato ed alla scelta materna. Non riusciamo a vedere in questi atti una fattiva partecipazione alle eventuali procedure abortive e quindi non vedremmo corretto il rifiuto di un eventuale obiettore; del resto, l’accertamento potrebbe anche risultare negativo, o ancora evidenziare patologie non rilevanti che non indurrebbero naturalisticamente ad interrompere la gravidanza. Veniamo ora a valutare i limiti delle altre singole indagini [13-16]. La biopsia coriale offre il vantaggio di una precoce individuazione di patologie genetiche mediante lo studio del DNA e del cariotipo; il prelievo è eseguito tra la 10a e la 12ª settimana per via transaddominale, anche se risulta possibile la via transcervicale. La letteratura ostetrica sconsiglia tale accertamento in presenza di pregresse perdite ematiche vaginali o in presenza di miomatosi uterina; egualmente il rischio di infezioni intrauterine, di perdite ematiche, di interruzione della gravidanza va prospettato alla paziente, comunicandole peraltro che non vi sono ancora dati sicuri sul concreto rischio aborto, stimato orientativamente intorno all’1%. La difficoltà a riconoscere questa percentuale come l’effettivo rischio, deriva dal fatto che tra la 9ª e la 12ª settimana si verifica la maggior parte di aborti spontanei e ciò non consente di attribuire la percentuale su riferita con quella certezza che una statistica valida richiede, all’accertamento in questione. L’importanza di tale esame è che esso consente diagnosi nel I trimestre di gravidanza, dato non di poca rilevanza giuridica. Meno traumatizzante l’amniocentesi, su cui ci siamo già soffermati e che rappresenta la tecnica diagnostica invasiva a cui si fa più frequentemente ricorso. Essa va eseguita tra la 16ª e la 18ª settimana e consiste nel prelievo di circa 20 ml di liquido amniotico mediante agoaspirazione per via transaddominale; anche questa indagine è volta allo studio del cariotipo, del DNA fetale e di alcuni enzimi. L’indice di rischio abortivo viene stimato mediamente intorno allo 0,5-1% e consegue generalmente alla rottura delle membrane o a infezioni o, ancora, ad emorragie. Di questi eventi avversi non sempre si può attribuire la genesi a atto incongruo, essendo ben noto il rischio infettivo e il generico rischio emorragico, senza considerare il potenziale rischio derivante dal fatto traumatico in sé. Abbiamo già riportato in nota le indicazioni che spingono ad un tale accertamento, ribadendo ancora che, in
loro assenza, una eventuale richiesta della donna potrà, indipendentemente dalla mancanza di valida indicazione, essere accettata dopo avere ovviamente ben illustrato i rischi stessi connessi all’indagine. La lacerazione delle membrane che, pur possibile come complicanza e non come errore tecnico, può vedere talvolta configurare tale evento. Ha un ben più alto rischio la placentocentesi, che viene eseguita intorno alla 18ª settimana e che determina un rischio di perdita fetale stimata intorno all’8-9%. La possibilità di ricorrere all’amniocentesi rende del tutto eccezionale il ricorso a tale indagine e, di fatto, ne andrebbe sconsigliata l’esecuzione. Egualmente un alto indice di rischio è connesso alla fetoscopia consistente nell’introduzione di un fetoscopio in cavità amniotica previa anestesia e monitoraggio ecografico per evitare di coinvolgere la placenta. Il fetoscopio mira alla visione endoscopica del feto e consente il prelievo di sangue fetale per le indagine successive, l’infezione è la più frequente causa di perdita fetale, anche se le altre cause comuni alla placentocentesi possono contribuire alla casistica negativa, così emorragie, rottura delle membrane, danno diretto al feto. Dubbi sul rischio connesso alla funicolocentesi o cordocentesi, vengono riportati in letteratura; questa, rapportando l’indice di mortalità fetale che consegue a detti accertamenti con la insita potenzialità della patologia di base a determinare l’aborto, propende a ritenere quest’ultima la vera causa delle morti fetali. Detta indagine, effettuata dalla 19ª settimana di gestazione, consiste nell’introduzione di un ago per via transaddominale all’interno della vena ombelicale per il prelievo di un campione di sangue fetale. Tale indagine consente lo studio del cariotipo, del DNA, di infezioni mediante la ricerca di eventuali IgM specifiche. Il tasso di perdite fetali è variabile ed oscilla entro il 5%. Tutti gli studi sembrano peraltro prospettare il dubbio sulla reale causa dell’evento avverso. La biopsia di tessuti fetali è riservata a quei casi in cui si sospettano patologie genetiche non diagnosticabili con le altre metodiche e, segnatamente, per alcune carenze enzimatiche o sindromi particolari che richiedono il prelievo di campioni di cute o tessuto epatico, possibile intorno alla 17ª settimana, sempre sotto guida ecografica, ovvero il prelievo di tessuto proveniente da masse sospette evidenziate nel corso dei precedenti controlli ecografici. Per tale metodica il rischio di perdita fetale è stato stimato intorno all’1-2% [17]. Tutte queste indagini, ognuna con scopi, limiti, rischi e tempi diversi e allo stesso modo in parte sovrapponibili, cedono il passo, come abbiamo visto, all’amniocentesi, quella che con pratica utilità per i risultati che offre, risulta la meno pericolosa. Fino a questo punto le indagini sono finalizzate al-
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la diagnosi ed eventualmente alla terapia, ma una indagine prenatale può essere anche finalizzata ad altri scopi, così dall’avvento delle conoscenze sul DNA nei laboratori di emogenetica, l’applicazione in emogenetica forense, ha visto far ricorso a tali diagnosi per l’accertamento sulla paternità del concepito. Alla luce delle leggi vigenti che vedono la possibilità di interrompere la gravidanza allorché essa derivi da atti di violenza sessuale, nel dubbio di una gravidanza frutto di un tale atto delittuoso, una donna può ben richiedere un tale accertamento, desiderosa di portare avanti una gravidanza se normalmente concepita. In tali casi, sebbene tale indagine possa essere condotta sulle cellule del liquido amniotico, si procede in genere alla villocentesi per consentire alla madre di ottenere una risposta in tempi compatibili per poter far ricorso alla interruzione volontaria di gravidanza, anche ad esempio in caso di controversie coniugali con ricadute, il più spesso, di tipo patrimoniale [12]. Qualche problema etico può sorgere dinnanzi ad indagini mirate, su richiesta di una coppia, ad individuare determinate patologie genetiche per le quali presenta un rischio aumentato, ove la patologia diventi, sotto il profilo clinico, manifesta in età avanzata ovvero per patologie la cui incidenza sintomatologica, e quindi la qualità di vita, è variabile. Fermo restando il diritto della coppia di vedere soddisfatta la richiesta, sarà la coscienza della stessa donna a valutare la opportunità della scelta di interrompere la gravidanza. Il classico esempio è quello della corea di Huntington, patologia degenerativa del SNC su base genetica; essa si manifesta clinicamente dopo i 40 anni con una sintomatologia evolutiva che porta lentamente al progressivo decadimento delle funzioni intellettive, con insorgenza di movimenti coreiformi e per la quale, ad oggi, non è stata messa a punto una efficace terapia. Il problema della terapia in costante evoluzione è un ulteriore elemento da dover prospettare alla coppia o alla madre ai fini prognostici soprattutto per queste patologie, potendo e dovendo prevedere che nell’intervallo libero da malattia, la scienza potrebbe ottenere risultati terapeutici ottimali se non addirittura risolutivi. Va detto a tal proposito che poiché la 194/78 tutela la salute materna, una eventuale previsione di danno a venire in un tempo dilatato in decine di anni potrebbe non vedere configurata quella turba psichica necessaria per riconoscere i presupposti della liceità della IVG; si tratta infatti di un figlio che nasce “sano”, ma su cui grava il rischio di una patologia futura, importante o meno poco rileva [18]. Di fronte alla scelta di intraprendere o meno una indagine diagnostica prenatale comunque a rischio, il medico deve far presente e vagliare quel principio di proporzionalità, soffermandosi a descrivere gli aspetti cli-
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nici perché l’interlocutrice possa esprimere una consapevole volontà, astenendosi dal dispensare consigli o dall’esprimere le proprie convinzioni personali. Abbiamo visto sin qui come una diagnosi prenatale rivesta particolare rilevanza per quanto concerne la prioritaria possibilità di tempestiva informazione nel rispetto della normativa per la tutela sociale della maternità mediante l’interruzione volontaria di gravidanza (L. 194/78); di qui quegli aspetti etici su cui ci siamo soffermati. Altro paritario e certamente meno controverso motivo dell’esecuzione di tali test, è quello rigorosamente clinico che vede esaltare il ruolo medico nella tutela della salute del nascituro. Ci riferiamo, di fatto, alla possibilità di un precoce intervento terapeutico, una volta posta la diagnosi prenatale di patologia fetale. Oggi è possibile curare alcune patologie già nel corso della vita intrauterina sia farmacologicamente che geneticamente e in alcuni casi chirurgicamente operando direttamente sul feto. Inoltre, la conoscenza di una patologia può far attuare al momento della nascita accorgimenti terapeutici che, se da una parte possono essere risolutori evitando l’evoluzione e i rischi connessi alla patologia, dall’altra possono rimuoverla completamente. Se il trattamento farmacologico e chirurgico non risvegliano particolari problematiche medico-legali, se non per quanto attiene all’informazione sui rischi, la terapia genica in quella proiezione di manipolazione genica, vede aprire orizzonti che, risaltando gli aspetti eugenici, chiamano indirettamente in causa gli aspetti eugenetici. Soffermandoci sulla terapia farmacologica, ricordiamo come sia possibile oggi la correzione di alcuni difetti del metabolismo mediante la somministrazione alla madre di farmaci appropriati, sfruttando il passaggio placentare. Egualmente, è noto come oggi si possa intervenire chirurgicamente sul feto allorché sia individuata una patologia trattabile; si tratta di una chirurgia fetale che, certamente in sviluppo ed ancorché inquadrabile ancora come terapia sperimentale, è già sufficientemente sperimentata per alcune anomalie cardiache e per altri interventi risolutori di patologie annessiali, come ad esempio la sindrome conseguente a briglie amniotiche che può portare al danno trofico per compressione dei tessuti prevalentemente a carico degli arti, e che è risolvibile agevolmente mediante sbrigliamento intrauterino [19]. Un fine terapeutico fetale chiama in causa la diagnosi prenatale per vero in misura più contenuta rispetto alla più concreta possibilità di una IVG, eppure esso dovrebbe costituire il fine primario cui deve tendere la medicina. Non vi è dubbio che quando la terapia genica, o meglio la chirurgia genica, consentirà la soluzione prenatale di tutte quelle patologie per le quali è possibile un intervento terapeutico, si vedrà concreta-
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mente tutelato il diritto alla vita e rispettato il fine primario del sanitario. Ovviamente il limite del trattamento genico deve vedere rispettati i principi dell’eugenica, non certo quelli della eugenetica; la confusione che potrebbe derivare da una erronea interpretazione di questi due termini risalta al punto b) comma dell’art. 13 L. 40/0410, laddove, proibita preliminarmente ogni forma di selezione a scopo eugenetico sia degli embrioni che dei gameti, vieta anche interventi che attraverso manipolazioni o qualsiasi altro procedimento artificiale, siano diretti ad “alterare il patrimonio genetico dell’embrione”, ribadendo il veto a procedimenti tesi a predeterminare caratteristiche genetiche e liceizza viceversa (“ad eccezione di”) quegli interventi che hanno finalità diagnostica e/o terapeutica. Va da sé che quanto riportato in questo comma, rifacendosi espressamente al comma precedente dello stesso articolo, vieta anche l’aborto eugenico, negando di fatto il diritto del nascituro ad una vita sana, ma consente la ricerca clinica quando condizionata a finalità esclusivamente terapeutiche e diagnostiche, volte alla tutela della salute e allo sviluppo dell’embrione stesso. L’argomento sarà trattato quando affronteremo il danno da comportamento erroneo del sanitario. Resta fermo comunque che nel nostro ordinamento giuridico è anteposta la salute della donna a quella del prodotto del concepimento che, sebbene tutelato dalla L. 194/78, non è titolare di diritti in quanto non viene considerato persona sino al momento della nascita, quando acquista la capacità giuridica11. Viene cioè privilegiato l’interesse della donna ad una maternità cosciente e desiderata, rispetto all’interesse collettivo della natalità; circa la prevenzione di anomalie e malformazioni del concepito, infatti, la attuale normativa ammette il cosiddetto “aborto preventivo”, che non deve essere assolutamente confuso con il concetto di “aborto eugenico” inteso in un’ottica di selezione positiva della specie, assolutamente messo al bando [20]. Tale principio è più esplicitamente richiamato nella L. 40/2004 sulla procreazione assistita, ove viene fatto esplicito divieto di selezionare gameti o embrioni a scopo eugenetico.
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RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE Passiamo a questo punto all’analisi del comportamento dei sanitari, iniziando con il ricordare quanto abbiamo già detto circa i diversi ruoli ed i diversi compiti [21]. Così, ad un primo approccio con l’ostetrico, seguirà un momento ultraspecialistico, che vedrà coinvolto nella prassi quotidiana l’ecografista ostetrico e, nel ricorso al momento genetico, il genetista. Mentre ci siamo già ampiamente soffermati nel corso della trattazione sulla figura e sui compiti dell’ecografista ostetrico, per il quale in questa sede ricordiamo come sia necessario un allenamento quotidiano all’indagine, indispensabile per la dovuta esperienza e soprattutto per il periodico aggiornamento; per quanto attiene al momento genetico, è doveroso soffermarsi a delinearne con maggiore particolarità i diversi ruoli. Così, per l’ostetrico il momento del ricorso ad una consulenza prenatale è naturalmente diverso nel caso in cui si realizzi in una gravidanza medicalmente assistita da quello di una donna che perviene al medico già da gestante. Nel primo caso l’obbligo del sanitario è quello di prospettare l’opportunità di indagini genetiche, nel secondo saranno le caratteristiche contingenti a prospettarne la motivazione e la opportunità. In entrambi i casi la consulenza prevede tre fasi: un momento pre-diagnostico che potremmo identificare in un momento medico informativo; un secondo momento rigorosamente tecnico, un terzo momento post-diagnostico comunicativo. La prima fase prende in esame l’accezione di quegli elementi che possono spingere ad eseguire quelle indagini che si ritengono necessarie a tutela della qualità di vita del nascituro, illustrando quanto abbiamo già detto in tema di possibilità, tempi di esecuzione, rischi, false positività e negatività, e quant’altro utile per una informazione completa, presupposto al consenso. Si è già detto, infatti, come l’informazione debba essere partitica ed il consenso all’atto debba essere il risultato di una comunicazione finalizzata a esplicare i perché e, contestualmente,“ad aiutare gli individui affetti o a rischio di una malattia ereditaria”. Tale comunicazione inizia a livello ostetrico, e sarà perfezionata da
Art. 13 L. 40/04 comma 3 punto b): “ogni forma di selezione a scopo eugenetico degli embrioni e dei gameti ovvero interventi che, attraverso tecniche di selezione, di manipolazione o comunque tramite procedimenti artificiali, sono diretti ad alterare il patrimonio genetico dell’embrione o del gamete ovvero a predeterminare caratteristiche genetiche, ad eccezione degli interventi aventi finalità diagnostiche e terapeutiche, di cui al comma 2 del presente articolo”. 11 Così l’art. 4 della Legge 22 maggio 1978, n. 194, relativo all’interruzione volontaria della gravidanza entro i primi novanta giorni, prevede che la donna possa ricorrervi qualora si riscontrino quelle circostanze per cui la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione non solo al suo stato di salute, ma anche alle sue condizioni economiche, sociali o familiari, alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito. Viene cioè privilegiato l’interesse della donna ad una maternità cosciente e desiderata, rispetto all’interesse collettivo della natalità; circa la previsione di anomalie e malformazioni del concepito.
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parte del genetista, cosi come il Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB) espressamente prevede. Per vero, il CNB così si esprime per l’attuazione delle indagini genetiche predittive, noi non vediamo, dopo quanto detto in precedenza, difformità di orientamento anche perché il genetista prospetterà le possibilità terapeutiche per alcune patologie e quant’altro possa contribuire ad aiutare la gestante e la coppia nel suo insieme per le decisioni conclusive. Passando al momento tecnico, va precisato che l’informazione compete al genetista medico, che si soffermerà non solo sullo scopo e sui rischi, ma anche sulla possibilità di risultati inattesi, sulle ripercussioni psico-fisiche. La consulenza genetica, a sua volta, potrà essere integrata da diversi specialisti che apporteranno il contributo cognitivo sulla patologia eventualmente sospettata o ricercata; sarà così necessario fornire tutte le informazioni mediche sul probabile momento d’insorgenza e decorso della malattia, sugli interventi terapeutici ed assistenziali disponibili; e questa consulenza dovrà anche prospettare il rischio che il nascituro, ancorché sano, possa ritrasmettere la malattia. Accettata l’indagine, la fase operativa tecnica inizia col prelievo (villi, liquido amniotico, ecc.), naturalmente eseguito da un ostetrico, a cui segue l’indagine laboratoristica, esclusiva competenza del biologo genetista a cui egualmente compete l’interpretazione del risultato e, in una certa misura, la comunicazione alla coppia. È buona prassi, quindi, che una tale indagine veda un momento di contatto diretto fra coppia o gestante e genetista, non demandando a quest’ultimo il solo momento esecutivo delle indagini di laboratorio. Un tale confronto esalta quel supporto psicologico che si può rendere necessario nel momento in cui si affronta un accertamento che può essere traumatizzante per la coppia. Pur non approfondendo gli aspetti tecnici che, peraltro, difficilmente vengono chiamati in causa, non possiamo non segnalare la sussistenza di un margine di errore interpretativo così come in un caso di nostra osservazione in cui una delezione cromosomica veniva mascherata da concorrenti traslocazioni che non ne rendevano visibile o comunque esaurientemente visibile l’alterazione12; si tratta in questi casi di una omes-
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sa diagnosi certamente escusabile, mentre alterazioni evidenti non diagnosticate configurerebbero una chiara responsabilità esecutiva o interpretativa. Ci rendiamo conto della aleatorietà del concetto di “evidenza delle alterazioni”, e dobbiamo necessariamente rifarci all’ulteriore concetto di quella “generica media conoscenza” di chi esplica una attività altamente specialistica che, nella fattispecie, deve caratterizzarsi per un alto senso di responsabilità in considerazione delle conseguenze che una “negligenza” può apportare. Errori nella fase tecnica possono derivare dal prelievo, dalle modalità di conservazione del campione, che possono renderlo inutilizzabile per l’accertamento (dallo studio della mappa cromosomica a quello soprattutto dalla fase interpretativa). Per quanto attiene poi alla ricerca genica, necessariamente orientata verso il sospetto diagnostico, massima diligenza si impone per quelle patologie di cui già oggi si conosce il gene responsabile. Non esiste una mappa completa delle patologie genetiche, ma di quelle per le quali è possibile risalirvi, ove nella storia familiare vi fosse una indicazione ad indagare, negligente sarebbe l’omettere una tale ricerca. Ci rendiamo conto dell’alto costo dell’indagine e quindi bisognerà valutare accuratamente il rapporto rischio-costo/beneficio. Segue, infine, la fase della comunicazione del risultato in cui il genetista-medico, a nostro avviso, alla risposta citogenetica dovrà abbinare anche le possibili patologie; a lui competeranno, in un diretto rapporto con la coppia, anche quelle informazioni, avendo cura di alleviare il disagio che la risposta può arrecare, disagio per una gravidanza desiderata che può essere interrotta, o per una gravidanza voluta con quel partner e non realizzabile, o comunque ad alto rischio, e in ogni caso per la perdita della speranza di un figlio sano. In mancanza del genetista medico, questa fase informativa competerà all’ostetrico, a cui il biologo-genetista invierà il risultato. È opportuno, a questo punto, segnalare che, pur vertendosi in indagini ripetibili, è buona prassi conservare i vetrini per eventuali ulteriori risvolti clinici e medico-legali. La comunicazione dovrà essere resa adeguandosi non solo al livello culturale dell’utente, ma anche tenendo con-
12 Si trattava di una indagine su prelievo da amniocentesi con referto di assenza di anomalia cromosomica numerico-strutturale; il neonato presentò una sindrome da cri du chat; l’analisi in corso del conseguente contenzioso consentì di evidenziare la delezione del braccio corto del cromosoma 5 - camuffata da una traslocazione che coinvolgeva il cromosoma 6 - per cui si ipotizzava una responsabilità del biologo genetista. Il confronto vedeva contrapposte le posizioni di accusa e difesa nella valutazione da assegnare alla annessa diagnosi citogenetica, stante per l’appunto un difetto complesso di non facile diagnosi.
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to della sua personalità, magari con l’ausilio di uno psicologo [22]. Come si vede, la responsabilità nella consulenza genetica può avere due momenti: quello deontologico legato al consenso ed alla informazione e quello tecnico. È raro che una tale consulenza possa determinare un danno per errore diagnostico, ma l’esperienza professionale ci insegna che anche ciò è possibile. Così, ad esempio, in un caso di talassemia di nostra osservazione, in una coppia con conoscenza della recessività della donna, che avrebbe imposto una indagine sulla emoglobina del partner (paragonabile ad una indagine genetica), all’omissione di tale esame - che in generale costituirebbe di fatto un comportamento negligente o/e imperito - venne, nella fattispecie, ricondotto casualmente l’evento. Ci domandiamo se l’omissione di un’indagine genetica nel sospetto anche larvato di una patologia possa costituire da parte dell’ostetrico atto omissivo, trasgredendo al dovuto in quella fase della prestazione sanitaria che caratterizza per l’appunto la prevenzione. Ci si chiede, in altri termini, se deve essere il sanitario a suggerire l’indagine, ovvero se l’ostetrico debba essere sollecitato ad indagare; la risposta non può che essere demandata alla corretta informazione che un ostetrico deve affrontare come momento caratterizzante la sua opera nell’assistenza ad una gestazione. Se è prassi per le gestanti a rischio prospettare l’opportunità di una amniocentesi nelle condizioni che abbiamo innanzi riportato, egualmente riteniamo doveroso in una gravidanza medicalmente assistita che l’ostetrico prospetti alla coppia l’opportunità di una consulenza genetica che caldeggerà tanto di più, quanto più si dovesse rendere conto di un probabile rischio. Ovviamente la responsabilità di un errore del risultato non potrà farsi ricadere sull’ostetrico il quale il più delle volte non potrà comprovare clinicamente la predisposizione alla malattia. Maggiori responsabilità si vedono viceversa configurabili nell’approccio ecografico, laddove si studia, abbiamo visto, lo sviluppo e le eventuali malformazioni fetali. In questa metodica è necessario rispettare i tempi e le modalità di esecuzione, essendo essa idonea a mostrare, in base allo sviluppo ed alla progressiva formazione e maturazione degli organi, quelle difformità che possono costituire il presupposto del diritto della donna di sapere, a cui condizionare scelte. Così, lo studio parte dall’embrione che comincia ad essere facilmente riconoscibile alla 7ª settimana e che nel tempo vede arricchire il reperto visivo con la visione del cordone ombelicale, dalla 8ª settimana sino alla 10ª settimana, quando possono essere evidenziati la maggior parte degli organi. Nel I trimestre è di particolare importanza, soprattutto lo studio dell’utero materno che, se malformato, può costi-
tuire causa di aborto. Nello stesso periodo non manca, inoltre, la possibilità di sospettare mediante il rilievo di markers ecografici, gravi patologie come la sindrome di Down; l’ecografia, infatti, tra la 11ª e la 14ª settimana attraverso la misurazione della translucenza nucale in associazione all’età materna, consente di identificare il 75% di gravidanze trisomiche con un 5% circa di falsi positivi ed indagando anche sulla assenza/presenza dell’osso nasale, la sensibilità del test di screening aumenta all’85%. Inutile dire che un tale screening nel II trimestre si avvale di ulteriori indagini, passando da un test triplo ad un test quadruplo [23]. Per quanto attiene alle malformazioni fetali, va poi detto che non vi è in letteratura una unitaria visione dell’effettiva valenza di uno screening ecografico delle malformazioni congenite. Ovviamente, anche in questa metodica l’orientamento condiziona i risultati, in quanto se l’anomalia da ricercare è orientata, il test acquista una eccellente sensibilità, se viceversa l’indagine non è mirata, dovendosi provvedere ad una valutazione accurata di tutta l’anatomia fetale, si scende a seconda di vari fattori dal 34 all’85%. L’ampio range di possibilità diagnostica è dato dall’epoca a cui si riferisce l’indagine, che comporta una diversità nelle attrezzature e nella esperienza degli operatori; ciò rende poco attendibili i risultati sino agli anni ‘80. Incide, ancora, su questo ampio range la provenienza dei dati, essendovi significative difformità e ovviamente diversi risultati, nei programmi di studio; alcuni prevedono una doppia scansione nel II e III trimestre, altri prevedono una scansione solo nel II trimestre. Ancora, va detto che non tutti gli screening si attengono ad una uniforme valutazione dei risultati in quanto alcuni escludono dalla classificazione le malformazioni minori, e infine va tenuto conto dell’esperienza dell’operatore e della diversa sensibilità dei vari organi; è noto come lo studio del SNC mostri una altissima sensibilità, mentre questa è assai bassa nello studio delle anomalie cardiache che, pur essendo le più frequenti alla nascita, sono le più difficili da diagnosticare in un utero [24]. La Società Italiana di Ecografia Ostetrica e Ginecologica recentemente (2006) ha rinnovato pur sostanzialmente lasciandoli immodificati, gli standard minimi richiesti per una valutazione morfologica in una gravidanza fisiologica che va eseguita tra la 19ª e la 21ª settimana. Un tale screening dovrebbe essere omogeneo ed indagare l’encefalo, il rachide, il cuore con la scansione delle 4 camere, l’addome, gli arti ed il liquido amniotico; esso dovrebbe consentire di rassicurare la gestante sulla esclusione di patologie ecograficamente evidenziabili. È sovente nella nostra professione doversi pronunciare sul comportamento di sanitari per omessa diagnosi nel corso della vita in-
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trauterina; riportiamo in nota il caso a cui abbiamo già fatto cenno e che costituisce oggetto di una nostra osservazione13. Da considerare con estrema delicatezza il ruolo del medico innanzi ad una storia clinica già con un precedente figlio malformato; in questi casi, ove non si sia fatto ricorso ad una consulenza genetica che, peraltro, richiede tempi lunghi, l’indagine ecografica può costituire un elemento dirimente di estrema rilevanza e dovrà in questo caso procedersi ad una indagine estremamente accurata. Emerge così un comportamento dell’ecografista che può vedersi censurabile nella triade dei momenti di solito riferimento medico legale. Egli potrà infatti errare nella scelta dei tempi, nella scelta dei luoghi, nella esecuzione degli atti [25], in cui ovviamente rientra l’interpretazione del rilievo. Solo per quanto attiene a questi ultimi, ricordiamo che l’indagine ecografica non costituisce un esame aggiuntivo corollario, ma un esame indispensabile anche nel corso di gravidanze maturate e progredite fisiologicamente. Pertanto il protocollo di indagine nei mesi, dovrà essere eseguito nella sua interezza con accuratezza, onde evitare la mancata visualizzazione di possibili anomalie. Egualmente nella trascrizione del risultato non si potrà essere superficiali, dovendo necessariamente ricordare che l’ecografia è un accertamento in real time e, come tale, integralmente e correttamente valutabile solo dall’esecutore materiale dell’esame; ricordiamo infatti che anche la registrazione dell’indagine dipende dalle modalità di esecuzione dell’esame e la qualità delle immagini è in rapporto alle caratteristiche dell’apparecchio, alle condizioni fisiche della donna (obesità, alterazioni del liquido amniotico, ecc.) e pertanto anche il filmato può non essere delucidativo. Ci si domanda poi se anche per l’ecografia dovrà essere espresso un consenso; si tratta di una indagine non invasiva e pertanto non vediamo sorgere un tale problema anche se, innanzi ad un rifiuto, l’ostetrico dovrà astenersi. 13
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Il problema si è posto in un caso di nostra competenza, laddove una donna alla 38ª settimana di gestazione, giunta in un PS per sintomatologia dolorosa addominale dopo l’esecuzione di un tococardiogramma, che mostrava un normale adattamento del feto alla gravidanza, rifiutava qualsiasi altro controllo compresa l’ecografia, cosa che venne correttamente trascritta tra le prestazioni di PS e che nel successivo contenzioso era addotto dal consulente di parte quale momento di censura nel comportamento dei sanitari poiché l’omessa ecografia avrebbe causato l’evento danno, per non avere rilevato un oligoamnios14. Appare evidente come qualsiasi atto medico, anche non invasivo, abbia bisogno di un consenso ed il rifiuto per esimere il sanitario da ogni responsabilità dovrà essere comunque la scelta della donna informata del potenziale rischio connesso alla mancata esecuzione dell’accertamento [26, 27]. A tal proposito, autocitandoci ricordiamo come “l’ecografia è innocua e non invasiva pertanto il consenso è informale, viceversa va data informazione sui limiti diagnostici in rapporto all’epoca di gestazione... vengono riconosciuti tre livelli di competenza ecografica che pur non normativatizzati da alcun documento ufficiale, né linea guida, vengono ritenuti la base per differenti attese. Così ad un primo livello si inserisce ogni ostetrico ginecologo, anche libero professionista che con formazione adeguata esegue screening in gravidanza. Un secondo livello comprende operatori che per formazione, esperienza ed interessi scientifici gestiscono le gravidanze ad alto rischio; tali operatori devono conoscere le problematiche della medicina fetale. Il terzo livello è costituito da quei professionisti che operano nei centri di alta specialità e che hanno a disposizione quanto l’aggiornato progresso scientifico e strumentale consente” [28]. In sintesi, le ipotesi di responsabilità differiscono nei momenti a seconda che si verta in una diagnosi genetica pre-impianto per una fecondazione assistita, ov-
Ostetrica indagata per una insufficienza renale insorta a seguito di una pielonefrite su base di un reflusso vescico-ureterale. Ecogrofia morfologica eseguita alla 21ª settimana che non evidenziava segni del reflusso. Ulteriori ecografie non mirate non segnalavano detta patologia. Dopo 15 giorni dalla nascita, ipertermia, indagini, diagnosi di reflusso vescico-ureterale, idronefrosi e insufficienza renale. La diagnosi fu posta dopo una cisto-ureterografia preceduta da una ecografia che aveva confermato, sulla base della pielo-ectasia, il sospetto diagnostico. Il confronto tra l’accusa e la difesa si basava sulla pretestata incontrovertibile diagnosticabilità stante alla morfologica e, a maggior ragione, alle indagini successive, l’entità del reflusso bilaterale, a sinistra inquadrabile in un IV-V grado. La difesa sostenne, in base al principio di una ecografia quale indagine a valenza estemporanea, che non era necessariamente evidenziabile la malformazione, supportando tale tesi con bibliografia che riporta la incostanza del reflusso vescico-ureterale per cui, nell’esecuzione dell’indagine, non era rilevabile necessariamente. 14 Il caso nasceva per la morte intrauterina del feto insorta 4 giorni dopo l’accesso al Pronto Soccorso e prendeva origine dal fatto che la gestante, per la comparsa di dolori addominali, si recava in un Pronto Soccorso ove, dopo la CTG, il sanitario prospettava alla donna la necessità di una visita ostetrica e di una ecografia rifiutate dalla donna, che portarono il sanitario a non ricoverarla stante i risultati della CTG. I sanitari vennero accusati di omesso ricovero. Accusa e difesa si confrontarono sulle procedure che devono essere rispettate per il ricovero; in particolare si dibatteva sull’indispensabile preliminare rilievo obiettivo che avrebbe consentito di rilevare un quadro suggestivo/deponente di complicanze materne ancora non incidenti sul feto (gestosi iniziale). Egualmente, l’ecografia avrebbe mostrato patologie degli annessi (oligoamnios) che avrebbero imposto il ricovero, non essendo un tracciato CTG normale dato utile ad imporre una degenza per un monitoraggio in ospedale.
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vero di una gestante con gravidanza già in atto. Nel primo caso il procedimento diagnostico, sia nella fase della informazione sia in quella tecnica operativa, che della comunicazione compete al genetista medico. Eguali obblighi comportamentali investono il genetista medico per la consulenza genetica, e l’ostetrico per il suggerimento della indagine in presenza di una anamnesi sospetta, le informazioni sul rischio per la gravidanza, e gli atti di prelievo. Non vi è dubbio che il non prospettare la concreta probabilità di una diagnosi prenatale, costituisce un comportamento meritevole di censura che potrebbe vedere i genitori convenire in giudizio il sanitario per il “danno ricevuto” [29]. Per quanto attiene l’ecografista, viceversa, poiché questa è una indagine di routine entrata nella comune accezione, più che nella fase di informazione, ipotesi di responsabilità si vedono configurabili nella esecuzione e nella interpretazione dei dati, evento che vede un alto numero di processi in cui i genitori ritengono di non essere stati correttamente informati della evidente malformazione. Si scivola così sul problema del danno; ci si domanda se può riconoscersi l’obbligo di un risarcimento per un sanitario responsabile della nascita di un figlio disabile per omessa diagnosi in gravidanza. Il dilemma coinvolge la coscienza per l’aprioristicamente irrisolvibile problema se far prevalere la vita, o la qualità di vita.Assodato che non potrà assolutamente riconoscersi responsabile il medico della menomazione di cui sarà portatore eventualmente il nascituro - e le sentenze sono univoche al riguardo - non essendo la patologia causata da un suo comportamento imperito, imprudente o negligente, ci si domanda se l’individuo possa far valere un teorico diritto di nascere sano. È un problema ancora irrisolto e che comunque ottiene risposta negativa nelle aule giudiziarie; per vero, trapela in alcuni atti di citazione che, al di là del danno biologico, morale e patrimoniale dei congiunti, si prospetta il risarcimento per i disagi del figlio malato. Negli Stati Uniti vi è già qualche richiesta di risarcimento da parte dei figli nei confronti dei genitori che, edotti sul rischio che gravava sul figlio, non avevano ritenuto opportuno procedere alla interruzione della gravidanza. Si tratta, allo stato, certamente di una esasperazione dei principi che il diritto risolve comunque con le leggi vigenti e sulla base della maturità giuridica e sociale contingente; non mancheranno innovative modifiche con l’evoluzione culturale che risente e fa risentire le impostazioni giuridiche degli altri Paesi. Non si può certo ignorare l’influenza delle diverse culture che in una civiltà mediatica con la diffusione della notizia in tempi reali, la promiscuità etnica agevola l’assorbimento di principi ri-
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Cass. Civ. III Sez. Sentenza n. 16123 del 14/07/2006.
conosciuti nei Paesi esteri che lentamente ma progressivamente fanno breccia sulle decisioni di magistrati di altri Paesi, giungendo a soluzioni giurisprudenziali che precedono il diritto con il risultato di vedere riconosciuti presunti diritti prima ancora di norme codificate. È, ad esempio, quanto è successo per l’affermazione del riconoscimento del danno biologico ed ancora per ogni altra forma di danno che ha visto la giurisprudenza di merito imporre al diritto la interpretazione delle norme codificate e liceizzanti le sentenze innovative [30]. A tal riguardo va ricordato come una sentenza della Cassazione francese ammetteva il diritto al risarcimento di un ragazzo affetto da grave ritardo mentale, cecità, sordomutismo, cardiopatia, secondarie a rosolia contratta dalla madre durante la gestazione (Ass. Plen. del 17/11/2000) sostenendo che lo stesso, sulla base dell’entità delle menomazioni, informato della qualità di vita a cui sarebbe stato costretto, certamente avrebbe preferito non nascere. In materia una recente sentenza della Suprema Corte15 si esprime affermando che nel nostro ordinamento giuridico non è previsto il diritto a non nascere, essendo garantito il diritto alla vita. Il caso verteva sul mancato ricorso alla IVG nel II trimestre di gestazione per omessa diagnosi di gravi malformazioni fetali. La Corte si espresse interpretando il disposto della legge 194/78 come una tutela rivolta alla salute della donna nell’ipotesi che tali patologie fetali determinassero un grave pericolo per la sua integrità psico-fisica [31]. Un sicuro diritto del nascituro per omessa diagnosi nasce dall’eventuale impedimento a trattamenti terapeutici nella vita intrauterina o nella immediatezza della nascita che si rendessero necessari per evitare un maggior danno o addirittura idonei a contenere la malattia ad uno stato silente, potendo in questo caso parametrare a quanto avviene nella routine clinica per una omessa diagnosi, cui consegue un danno derivante dalla conseguente omessa terapia. Va precisato, a tal proposito, la differenza delle attese per un trattamento nella vita intrauterina che, a nostro modo di vedere, oggi è da considerare ancora sperimentale e, di conseguenza, la precarietà del risultato configurerebbe un atto cui consegue un danno certamente rientrante fra quelli meritevoli di essere risarciti. Si impone qui precisare che diverso è il giudizio in ambito penale, laddove il riscontro della effettiva responsabilità del medico è ispirato a maggior rigore probatorio. Tale orientamento è costante nei casi in cui il comportamento sia di tipo omissivo come ovviamente avviene il più frequentemente in campo di diagnostica prenatale, laddove i principali motivi di controversie giudiziarie attengono ad omes-
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se o ritardate diagnosi. In questi casi, alla luce della nota sentenza a Sezioni unite n. 30382/0216, per ammettere la responsabilità professionale per comportamenti omissivi, è richiesta una certezza processuale che si basi su di “un elevato grado di credibilità razionale e di probabilità logica e dedotta al di là di ogni ragionevole dubbio”. Bisognerà ovviamente riferirsi alle concrete possibilità terapeutiche del trattamento ipotizzabile e non attuato. Per il riconoscimento di una responsabilità penale, sarà necessaria una previsione “oltre ogni ragionevole dubbio” di un diverso evento. Il ragionevole dubbio è dato dalle leggi scientifiche sulla base non di una generica presunzione, ma di significativi valori statistici. In civile, viceversa, è sufficiente la probabilità di un diverso risultato per vedere riconosciuto un diritto - ovviamente proporzionato all’indice di probabilità. Tale diverso orientamento nei vari ambiti in cui viene espresso il giudizio, si spiega con il fatto che mentre in civile, in presenza di elementi fortemente suggestivi di un ruolo causale o concausale di un comportamento medico incongruo nella produzione di un danno, si preferisce privilegiare il diritto del leso ad essere risarcito per il danno ingiusto subìto, in ambito penale, viceversa, si predilige la certezza che l’evento sia conseguenza dell’atto incongruo, nei cui confronti, per poter procedere alla sanzione penale, è richiesta la certezza processuale [32] (vale lo storico detto: in civile in dubio pro leso ed in penale in dubio pro reo). Viceversa per quelle patologie che abbisognassero di un trattamento immediato nel post-nascita con buona possibilità risolutiva, l’omessa diagnosi prenatale configurerebbe un atto a cui consegue un danno certamente rientrante tra quelli meritevoli di essere risarciti. In altri termini, i diritti del nascituro, pur se ispirati ad un auspicabile principio di assoluto benessere, non sono violati dalla omessa diagnosi, sia se consegue ad un mancato suggerimento di accertamenti, che per errore diagnostico, mentre un tale comportamento vede violare il diritto del nascituro ad un tempestivo intervento terapeutico che costituisce di fatto una colpa per omissione. Al di là del nascituro, sempre più frequentemente nelle aule giudiziarie ricorrono richieste di danni per i congiunti. Si tratta di diritti diversi che attengono alla coppia e sempre più spesso agli altri componenti il nucleo familiare. Il prioritario e sempre riconosciuto diritto di essere tempestivamente informati per adeguare al grado della patologia la scelta eugenica e contestualmente per consentire una conoscenza alla madre in tempi utili ad una interruzione di gravidanza. È un diritto sancito e riconosciuto presso-
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Cass. Pen. Sez. Unite del 10 settembre 2002.
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ché universalmente dai magistrati e che costituisce il presupposto per altri diritti, identificabili in un non sempre presente danno biologico nei componenti il nucleo familiare in cui viene ad inserirsi un figlio malformato o, peggio, portatore di gravi patologie comunque diagnosticabili nel corso della gravidanza. È ancora dibattuto se l’evento indesiderato sia idoneo a configurare un danno biologico, un danno morale e/o un danno esistenziale, al di là del danno patrimoniale diretto. Premesso che per danno biologico deve intendersi quel turbamento psico-fisico relazionale peggiorante lo stato anteriore, appare evidente che il permanente turbamento psichico debba di fatto rientrare nel danno biologico. Perché esso si possa configurare è necessario peraltro che venga comprovato un processo patologico, di natura verosimilmente psichica, che impronta ad una depressione maggiore e che, pur di natura esogena come che reattiva, innesti un turbamento permanente coinvolgente alcune sfere della psiche soprattutto attinenti al relazionale, verso se stessi, verso il lavoro, verso gli altri. Un tale turbamento può trovare spunto anche in sensi di colpa ritenendosi causa delle patologie del figlio. Più frequentemente e forse più correttamente il verificarsi di un tale evento, a nostro modo di vedere, configurerebbe un danno esistenziale in quanto la quotidianità con un figlio bisognevole di accudimento che si prevede a volte protratto per tutta la vita, muta sostanzialmente la quotidianità della coppia per cui, pur senza raggiungere la patologia, la vita è improntata ad una mestizia cronica con perdita della gioia di vivere e delle soddisfazioni del vedere il proprio figlio “crescere” [33]. Si è molto discusso se esista o meno sul piano biologico un “danno psichico” non di competenza medica, ma di competenza dello psicologo come a dire che questa mestizia cronica caratterizzante un danno esistenziale, possa determinare un turbamento psichico da considerare non patologico. Si tratta di tematiche che non possono essere risolte in questa sede, dovendosi differenziare il danno morale da quello psichico; il primo espressione di un temporaneo turbamento psichico conseguente all’evento, il secondo la cronicizzazione di un tale danno. Da medici, riteniamo che ad ogni evento traumatizzante possa innescarsi un costante danno esistenziale ed un possibile danno biologico. Al di là di questi, va considerato anche un danno patrimoniale diretto che trova riconoscimento nelle sentenze per gli oneri economici a cui il nucleo familiare è costretto per l’accudimento del figlio disabile [30]. Come si vede l’omesso accertamento, l’errore diagnostico e la mancata comunicazione, comportano la violazione di un dirit-
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to della donna di conoscere e decidere; dalla violazione di tale diritto si possono configurare un danno al nascituro, non tanto nella nascita, quanto nell’impedimento a tempestive terapie con diagnosi precoce ed un danno ai congiunti che, al di là del danno patrimoniale diretto, comporta un danno esistenziale ed un non costante, ma sempre possibile, danno biologico. Va da sé che perché si possa parlare di responsabilità è comunque necessario che si verifichi un danno causato da un comportamento colposo; nella fattispecie quest’ultimo trova maggiore difficoltà interpretativa per la delicatezza delle indagini, la difficoltà della diagnosi che va comunque rapportata al tempo di esecuzione, laddove una incongruità cronologica può giustificare una omessa diagnosi, mentre sempre più frequentemente si auspica - e la giurisprudenza si adegua il diffondendo principio del diritto ad una uniforme qualità di prestazione sul territorio nazionale. Riteniamo a questo punto chiudere il capitolo riportando alcune sentenze relative a questo tema. Numerose sono le sentenze che dall’entrata in vigore della L. 194/78 hanno visto evolvere il pensiero della giurisprudenza con il riconoscimento di sempre più specifici diritti [34], differenze che ovviamente vengono più ampiamente giustificate allorché la gravidanza non desiderata è connessa a patologie non diagnosticate. Così, se nel 1983 il Tribunale di Roma affermava, innanzi al quesito se la nascita di un figlio non voluto potesse costituire un danno risarcibile ai sensi dell’art. 2043, che “la nascita di un figlio rappresenta un dono di inestimabile valore”, nel 1986 il Tribunale di Padova iniziava a riconoscere come danno risarcibile la nascita di un figlio conseguita ad un insuccesso del trattamento di interruzione di gravidanza. La motivazione del Tribunale riconosceva il diritto ad un risarcimento per i disagi di una gravidanza avvenuta in un momento poco opportuno. Ciò avveniva in seguito ad insuccessi di terapie sterilizzanti mentre, in merito all’errore diagnostico, la dottrina giuridica ha iniziato a far trapelare la possibilità di riconoscere ad una nascita indesiderata un “costo patrimoniale e morale” quando detta nascita è la conseguenza di atti illeciti di terzi (Rocco G. Riv. Dir. Civ. 28, 516, 1982). Da quei tempi il diritto e la giurisprudenza sono andati di pari passo sino alle sentenze attuali che affrontano il problema di princìpi ormai radicati quali il diritto-dovere di informazione, a cui abbiamo già fatto cenno, dalla cui omissione derivano danni meritevoli di ristoro. Così merita di essere segnalata la sentenza del Tribunale di Roma del 13/12/1994 che vede riconoscere una responsabilità dell’ecografista nella omessa rilevazione di una malformazione del nascituro. Tale sentenza è rilevante in quanto, oltre ad affermare violato il diritto alla conoscenza della donna per una autonoma scelta, vedeva
riconoscere anche un danno biologico che per vero il commentatore della sentenza (Conte Dir. Fam. Pers. 24, 662, 1995) afferma essere stato riconosciuto senza prova di una vera e propria patologia che abbiamo visto essere indispensabile per il concretizzarsi di un danno biologico. Va da sé che di fatto si apre con questa sentenza ad una mediazione fra turbamento dell’integrità psico-fisica preesistente e danno esistenziale. Dello stesso periodo altre sentenze rilevanti, così quella del Tribunale di Bergamo del 2/11/1995, che afferma derivare dalla mancata informazione di una patologia, la violazione del diritto di una autonoma decisione, indipendentemente dal fatto che la conoscenza ex-post della patologia del nascituro non aveva creato un turbamento psico-fisico della donna. In altri termini, in questa sentenza si supera il principio di una interruzione della gravidanza frutto di una comprovata patologia materna nel conoscere la malformazione fetale e le conseguenze della mancata scelta diventano di per sé il presupposto per un ristoro a causa di disagi ed impegni non programmati. La Corte di Cassazione Penale, allorché iniziò ad interessarsi dell’errore diagnostico prenatale (sentenza n. 3599 del 18/04/1997 VI Sez. Penale), identifica la responsabilità nel violato obbligo di informazione. In ambito civile, con la sentenza n. 12195 del 1 dicembre 1998 si afferma che allorché possa essere dimostrato che, conosciute le patologie fetali la donna avrebbe “effettivamente” abortito, alla nascita di un bimbo malformato automaticamente si concretizza il diritto al risarcimento del danno biologico, del danno esistenziale e del danno economico. Trattandosi di un giudizio di presunzione ex-post, va da sé che l’elemento dirimente sarà costituito dalla entità della patologia. In altri termini la giurisprudenza va sempre più orientandosi per il riconoscimento del diritto alla conoscenza, che si tramuta nel ristoro di un danno aperto al danno alla salute. Problemi più articolati nascono dalla omessa diagnosi, a cui consegue la nascita di un figlio malformato, ma che non comporterebbe un evidente processo patologico alla madre. Una sentenza di I grado del Tribunale di Perugia aveva riconosciuto in questo caso solo una modesta cifra giustificata dal danno biologico patito dai genitori privati della possibilità di un graduale adattamento ai disagi. Detta sentenza fu modificata dalla Corte di Appello che riconobbe all’evento (figlio invalido al 100%) un concorrente sicuro trauma psichico meritevole di ben altra valutazione. Sullo stesso argomento la Suprema Corte torna a pronunciarsi con sentenza n. 6735 del 28 febbraio-10 maggio 2002 in cui, sebbene sottolinea nuovamente l’importanza di accertare la ricorrenza dei presupposti di legge (ex art. 6 L. 194/78), viene ammessa la ipotesi che
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la donna, qualora informata sulle condizioni patologiche del feto (nella fattispecie affetto da sindrome di Apert), avrebbe con elevata probabilità fatto ricorso all’interruzione di gravidanza, in base alla considerazione che gli esami diagnostici ai quali la stessa si era sottoposta nel corso della gestazione erano volti proprio alla conoscenza della sussistenza di eventuali anomalie o malformazioni fetali, nell’ottica presumibile di una interruzione della stessa [18]. Come abbiamo visto, sono assai numerose e non univocamente orientate le sentenze in materia, in quanto si verte sostanzialmente su di un giudizio di presunzione. Non è infatti possibile affermare ex-post quella che sarebbe stata la scelta della donna. Le diverse posizioni interpretative della giurisprudenza di merito sono principalmente incentrate sulla questione se per veder configurato il diritto della donna al risarcimento fosse indispensabile accertare la sussistenza di un danno alla salute della madre, ovvero se fosse sufficiente appellarsi al pregiudizio arrecato alla donna relativamente alla sua possibilità di autodeterminazione, essendole stata negata la possibilità di scegliere se proseguire od interrompere la gravidanza. Comunque, ogni orientamento giurisprudenziale sembra diretto alla tutela del nucleo familiare che, in presenza di un bambino disabile e bisognevole di assistenza e cure del tutto particolari, può trovare un supporto economico; prevale cioè la tutela sociale ed il principio di solidarietà. Una eventualità del tutto eccezionale è quella di un medico che decida deliberatamente di non informare la donna sulla condizione patologica riscontrata nel feto ovvero di fornirle una informazione per non traumatizzarla o per diverso altro motivo (ad esempio per scadenza dei termini di Legge per poter procedere alla IVG). In questi casi potrebbe invocarsi una colpa specifica per inosservanza di obblighi, leggi e discipline, in forza dei diritti dei cittadini elencati all’allegato 8 della Carta dei Servizi pubblici sanitari che con DPCM del 19 maggio 1995 si è vista pubblicata sul supplemento ordinario della GU del 31 maggio 1995. Tra questi sono menzionati il “diritto a ricevere una diagnosi accurata e coscenziosa” ed il “diritto ad avere informazioni corrette, chiare ed esaustive sulla diagnosi [32]. Un’ultima riflessione va posta alle problematiche connesse agli accertamenti nella fase terminale della gravidanza. Ci riferiamo a quelle indagini in prossimità del parto e degli ultimi due mesi di gravidanza che possono, se correttamente eseguite ed interpretate, evitare il rischio di patologie neurologiche, centrali e periferiche, tossiche e infettive per il feto. Si tratta di quegli accertamenti sulla madre e sul feto che sono espletati di routine, ma non riteniamo che essi possano costituire argomento rientrante nel tema gene-
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rale discusso; essi hanno rilevanza sulla scelta delle modalità operative da seguire per l’espletamento del parto, essendo il più spesso il danno conseguente ad una incauta scelta. Ricordiamo fra queste l’amniocentesi tardiva, gli accertamenti per valutare la maturità ed il benessere fetale mediante il profilo biofisico e comportamentale del feto che si ottiene dal monitoraggio dei movimenti, la cardiotocografia fuori dal travaglio, la valutazione del liquido amniotico e la flussimetria doppler. Si tratta, peraltro, di accertamenti che sono finalizzati ad una valutazione sulla scelta sulle modalità e sui tempi del parto perché possano evidenziare una sofferenza ed un cattivo adattamento di un feto sano per patologie intercorrenti legate alla gravidanza per lo più a genesi materna od annessiale. In conclusione ci è sembrato interessante, a titolo di esempio, riportare un modulo di informazione per il consenso, così come proposto dalla SIGU (Società Italiana di Genetica Umana) per la diagnosi citogenetica prenatale su cellule del liquido amniotico.
Modulo di consenso informato per amniocentesi (SIGU) L’indagine citogenetica prenatale ha lo scopo di accertare la presenza di anomalie cromosomiche numerico e/o strutturali (indicare uno o più esempi). Esistono difetti congeniti che, non essendo associati ad anomalie cromosomiche, non possono essere diagnosticati mediante l’analisi citogenetica prenatale (indicare uno o più esempi). In rari casi non possono essere stabilite con certezza le conseguenze cliniche associate ad una anomalia cromosomica, i chiarimenti del caso saranno forniti in sede di consulenza.
Trattamento del campione La componente cellulare del liquido amniotico viene raccolta e suddivisa in più colture indipendenti. La quantità minima di campione necessaria per l’allestimento delle colture è di 10 ml, quella ottimale è di 16-18 ml. Il successo delle colture cellulari è in relazione al numero di cellule vitali presenti nel campione.
Diagnosi 1. I criteri utilizzati per l’indagine citogenetica sono quelli raccomandati dalle linee guida della Società Italiana di Genetica Umana e del Gruppo Europeo di Studio sulla Diagnosi Prenatale.
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2. In caso di riscontro di due o più linee cellulari con diverso cariotipo (mosaico) può rendersi necessaria una ulteriore indagine citogenetica su altro campione. In questa circostanza la paziente viene informata, in sede di consulenza genetica, riguardo alle possibilità di approfondimento diagnostico. 3. L’impossibilità di pervenire ad una diagnosi può verificarsi in rarissimi casi, per motivi generalmente correlati ad una ridotta crescita delle cellule in coltura oppure alla massiva presenza di sangue o meconio. 4. È possibile che il risultato richieda, per una sua più corretta interpretazione, l’estensione dell’esame citogenetico ai genitori o l’applicazione di indagini molecolari. 5. La qualità dei preparati cromosomici non garantisce la possibilità di individuare anomalie strutturali di ridottissima dimensione. 6. Esiste la possibilità di errore diagnostico, limitata a rarissimi casi, dovuto a discordanza fra l’esito della diagnosi citogenetica prenatale ed il carioti-
po riscontrato alla nascita. Tale discordanza può essere imputata a cause diverse: contaminazione del campione con cellule di origine materna, mosaici a bassa percentuale o presenza di anomalie cromosomiche di struttura non rilevabili con le tecniche applicate. 7. La refertazione è prevista entro e non oltre 21 giorni dalla data dell’arrivo del campione in laboratorio. La sottoscritta................................................................... informata di quanto sopra, esprime il consenso alla diagnosi citogenetica prenatale. Data: ......................... Firma: ....................................... Firma di chi ha raccolto e illustrato il consenso: ................................................................................................
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Indice analitico
A Aberrazioni cromosomiche 17 Aborto spontaneo ricorrente (ASR) 267 alterazione della funzione tiroidea 271 deficit della fase luteale 270 diagnosi 268 diagnosi delle alterazioni del sistema immunitario cellulare nell’ASR 276 fattore anatomico 267 fattore endocrino 270 fattore immunologico 273 fattore vascolare 270 gravidanza come fenomeno Th2 274 ipotesi della vicinanza antigenica 273 patogenesi 268 ruolo delle cellule NK in gravidanza 274 ruolo delle cellule T in gravidanza 275 terapia 269, 276 Aborto tubarico (v. gravidanza ectopica tubarica) Accrescimento fetale valutazione 5 Acheiria 104 Acido desossiribonucleico (DNA) 31 Acido folico 399 Acidosi fetale (v. monitoraggio delle condizioni fetali e sofferenza fetale) Acondrogenesi 106 Acondroplasia 107 ADAM 12 219 Adrenoblastoma 203 AFI (Amniotic Fluid Index) 451, 461 AGA 497 Agenesia del corpo calloso 89 renale 195 Agonisti beta-adrenergici uso nella prevenzione del parto pretermine 491 Albero genealogico 47 Alcool abuso in gravidanza 546
Alfa-fetoproteina (AFP) 76, 212 sindrome di Down Alloimmunizzazione materno fetale RH 359 protocollo diagnostico-terapeutico 362 screening sierologico anticorpale 362 Amartoma della parete toracica 242 epatico 244 Amelia 104 Amniocentesi genetica 55 complicanze 58 counceling e indagini preliminari 56 indicazione 57 tecnica 56 Amniocentesi complicanze 58 evacuativa (o amnioriduzione) 261 precoce (o EA, Early Amniocentesis) 58 Anemia fetale 364 alfa talassemia 371 alloimmunizzazione 359 deficit di G6PD 371 idrope non immunologica 367 sindrome da trasfusione feto-fetale (TTTS) 371 terapia 362, 379 trasfusione feto-materna cronica 371 Anencefalia 99 Aneuploidie 33 Aneurisma vena di Galeno 95, 240 Anfetamine e gravidanza 548 Angioma 122 Anomalie cardiache fetali (v. cardiopatie congenite) cromosomiche (v. cromosomi umani) embriogenesi 103 scheletriche o displasie scheletriche (ds) 103 Apgar punteggio di 445 Apodia 104
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Apoptosi implicazione nell’ASR 286 Apparato cardiocircolatorio fetale malformazioni (v. cardiopatie congenite) studio ecografico dello sviluppo 4 Apparato digerente fetale malformazioni (v. malformazioni gastrointestinali) studio ecografico dello sviluppo 5, 171 protocollo di studio 171 Apparato gastroenterico fetale malformazioni (v. malformazioni gastrointestinali) studio ecografico dello sviluppo 5 Apparato scheletrico malformazioni (v. anomalie scheletriche) studio ecografico dello sviluppo 4 Apparato urinario fetale malformazioni 193 studio ecografico dello sviluppo 6 Apparato urogenitale 193 anomalie 193 cenni di embriologia 193 Aritmie cardiache fetali 164, 370 terapia antiaritmica 249 Arteria cerebrale media alterazioni flussometriche per la diagnosi di anemia fetale 364 ombelicale unica o singola 478 Artogriposi 108 Asfissia 445 Aspirazioni di cisti ovariche fetali 68, 205 Associazioni additive 17 Atosiban 492 Atresia anale 174 della tricuspide (AT) 142 duodenale 174 esofagea 175 intestinale 176 polmonare a setto intatto (APSI) 146 Autocontrollo glicemico 390 B Banana sign 101 Battito cardiaco fetale (BCF) 446 Biologia molecolare in diagnosi prenatale 51 Biopsie fetali 67 di cute fetale 67 di masse fetali 67 Bitest (v. duotest) Blocco atrioventricolare (BAV) 139
Indice analitico
C Caffeina e gravidanza 546 Calcioantagonisti in gravidanza 524 nel parto pretermine 491 Camera o sacco gestazionale (SG) 8 Cardiopatie congenite 133, 138 Cariotipo 29 Cardiotocografia (CTG) analisi del tracciato cardiotocografico 405, 406 antepartum con stimolo (Stress test) 412 antepartum senza stimolo (NST) 411 computerizzata (cCTG) 413, 449, 452 in travaglio di parto 412 Cebocefalia 92, 122 Cefalocele 99 Cellule fetali ricerca nel sangue materno 69 Cellule staminali prospettiva di trapianto in utero 250 Cervice uterina misurazione nel parto pretermine 487 Chilotorace 374 Chirurgia fetale 251 tecniche 251 Chlamydia trachomatis infezione in gravidanza 311 Ciclopia 92, 122 CID (coagulazione intravasale disseminata) 325, 330 alterazioni della coagulazione nella preclampsia 325, 330 Circonferenza addominale 5 Cisti aracnoidea 95 coledocica 177 dei plessi corioidei 77, 239 mesenteriche, omentali, retroperitoneali 178, 244 ovarica 178, 205, 243 renale semplice 199, 244 Citochine proinfiammatorie 485, 486 nella genesi del travaglio pretermine 484, 485 Citomegalovirus (CMV) 372 infezione in gravidanza 301 Coartazione aortica (CoA) 151 Cocaina 547 abuso in gravidanza 547 complicanze materno fetali 547 Codice genetico 31 Colonna vertebrale studio ecografico dello sviluppo 3 Complesso di Dandy-Walker 90, 97 Consenso informato 569 Consulenza genetica 48
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Convulsioni magnesio di solfato nella prevenzione delle 335 preecampliche nell’ipertensione grave 335 Coombs test 362 Cordocentesi 64 complicanze 65 indicazioni 65 tecnica 64 Cordocentesi per la diagnosi di alloimmunizzazione RH 362, 364 Cordone ombelicale 460 nodo vero 478 procidenza 477 prolasso 477 Corticosteroidei nella profilassi dell’RDS 474 Craniofaringioma 239 Craniosinostosi 109 acrocefalia 109 scafocefalia 109 testa a trifoglio 109 Criptorchidismo 205 CRL, Crown Rump Lenght 1 Cromosomi umani 29 anomalie numeriche 33 anomalie strutturali 37 Cuore fetale normale 133 Cuore univentricolare (VU, ventricolo unico) 142
prenatale: morale, deontologia e diritto 551 Diamelia 104 Difetti congeniti 13 definizione 13 del tubo neurale (DTN) 98 classificazione 13 eziologia 17 settali canale atrio ventricolare – CAV 141 difetto interventricolare – DIV 139 Disomia uniparentale 63 Displasia 13 camptomelica o campomelica 110 mesomelia 110 renale cistica (tipo IV di Potter) 199 renale multicistica (tipo II di Potter) 197 tanatofora 111 Diritto e morale in medicina prenatale 551 Distacco intempestivo di placenta 472 Distrofia toracica asfissiante (malattia di Jeune) 113 Diuretici in gravidanza 522 Doppler-flussimetria (o Doppler velocimetria) del versamento materno 421 del versante fetale 423 in ostetricia 420 Dotto venoso 82 Duplotest (o duotest) 222
D
E
Dacriocistocele 123 Danno biologico 567 psichico 567 Datazione della gravidanza 1, 396 prima ecografia 396 Deformazioni 13 Diabete mellito classificazione 383 complicanze materne 386 embriopatia diabetica 386 eziopatogenesi 385 fetopatia diabetica 387 gestazionale (GDM) 388 OGCT nello screening del 389 OGTT nello screening del 389 preconcezionale gestione della gravida diabetica 390 gravidanza diabetica 390 monitoraggio materno fetale 390 programmazione della gravidanza 388 timing e modalità del parto 392 Diagnosi genetica preimpianto (PGD) 70
ECG fetale 455 in travaglio di parto 455 Eclampsia 337 convulsioni eclamptiche di 337 definizione e clinica 337 management e terapia 339 outcome materno e perinatale 338 Ecocardiografia fetale 133 bidimensionale 134 Color Doppler 136 doppler pulsato o spettrale 138 know-how dell’operatore in 133 requisiti tecnici e set up dell’ecografo in 133 Ecografia ostetrica 414 del I trimestre 414 del II trimestre 415 del III trimestre 416 monitoraggio delle condizioni fetali 417 Power Doppler 3D (3DPD) ruolo nella diagnosi delle anomalie vascolari fetali 439 3D/4D in diagnostica prenatale 431, 434
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diagnosi delle anomalie fetali 435 nello studio dell’encefalo fetale 87 rappresentazione di superficie/contorno 433 rappresentazione multiplanare 434 rappresentazione trasparente 433 ricostruzione dell’immagine tridimensionale 433 studio del legame materno fetale 439 studio del volto fetale 434 studio delle espressioni fetali 437 transvaginale 1, 87 visualizzazione delle strutture ossee 437 tridimensionale 88 ultrasonica 68 Ectopia renale 196 Emangioma 244 Ematocele peritubarico 504 Ematosalpinge 504 Ematotrasfusione endouterina (IVT) nella malattia emolitica fetale 362 Embriologia ultrasonica (v. sonoembriologia) Embrione 1 Embrioscopia 67 Emimelia 104 Emorragia distillante del Pozzi 504 Emorragie cerebrali 240 Encefalo fetale anatomia ecografia normale 87 Epatiti in gravidanza 310 Eredità mendeliana 17 Eroina danni fetoneonatali 547 Ernia diaframmatica 185 diaframmatica congenita (CHD) 254 trattamento endouterino 254 Espettoranti in gravidanza 531 Estriolo non coniugato (uE3) 76 Etmocefalia 92, 123 Exencefalia 99 F Faccia fetale studio ecografico 121 Farmaci e gravidanza 513 analgesici 528 antiacidi 530 antianemici 522, 523 antiaritmici 521 antiasmatici 532 antibiotici antineoplastici 532 anticoagulanti 522 anticonvulsivanti 528 antidepressivi 527
Indice analitico
antidiarroici 530 antiemorragici 523 antineoplastici 532 antinfettivi 515 antinfiammatori 528 antiipertensivi 521 antipiretici 528 antipsicotici 526 antistaminici 534 psicotropi 525 teratogeni 513 Fattore D 359 Fenotipi 15 Fetendo – chirurgia fetale endoscopica 252 Feto 1 a rischio, identificazione 446 Fetoscopia 67 FGR (v. restrizione della crescita fetale) Fibrocondrogenesi 112 Fibronectina 485, 487, 488 Fibrosi cistica o mucoviscidosi o fibrosi pancreatica 179 Fistola tracheoesofagea 175 Focomelia 104 Free beta-hCG 222 Frequenza cardiaca fetale (FCF) 406 accelerazioni 407 alterazioni 406 bradicardia 406 decelerazioni 407 tachicardia 406 variabilità 409 Fumo di sigaretta danni in gravidanza 545 G Gastroschisi 183 Geni 31 Genitali esterni malformazioni 205 studio ecografico dello sviluppo 7 Genotipo e fenotipo 29 Gestione della gravidanza diabetica 390 Golf balls 77 Gravidanza a rischio 395 schema del WHO per lo screening 395 ectopica (GE) 503 oltre il termine 404 tubarica 503 diagnosi 504 fattori di rischio 503 fertilità 508
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management e trattamento 505 quadri clinici 504 tubarica in evoluzione (v. gravidanza ectopica tubarica) 504 dosaggio della beta-hCG 505 ecografia transvaginale di 504 segni ecografici diretti 504, 505 segni ecografici indiretti di 504 H HCG (Gonadotropina corionica umana) 209 I Idranencefalia 93 Idrocefalia 89 Idronefrosi 201, 202 Idrope fetale immunologica 364 diagnosi 362 segni ecografici predittivi 364 non immunologica (NIHF) 367, 368 eziopatogenesi 368 terapia 379 Idrotorace 374 trattamento endouterino 256 Igroma cistico 78, 241 Immunoglobuline ad alte dosi 272 anti D nella prevenzione della MEN 365 Indice di massa corporea (BMI Body Mass Index ) 395 Infezione fetale da HIV in gravidanza 306 da HPV in gravidanza 309 da parvovirus B19 in gravidanza 308, 371 intrauterina e parto pretermine 483, 485 Inibine A e B in gravidanza 217 Iniencefalia 99 Insufficienza placentare 498 tricuspidalica 82 Intestino iperecogeno 180 Iperecogenicità renale 199 Iperplasia surrenale congenita 247 terapia medica prenatale 247 Ipertelorismo123 Ipertensione cronica (CH) 317, 345 con PE sovrapposto 350 definizione e diagnosi 345 diagnosi 351 epidemiologia e fattori di rischio 350 eziologia e classificazione 345
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management e terapia 346 gestazionale (PIH Pregnancy Induced Ipertension) 315 definizione e diagnosi 316 eziopatogenesi 316 fattori di rischio 316 Ipofibrinolisi ed ASR 283 complicanze gravidiche 285 funzionamento del sistema fibrinolifico 283 polimorfismi 284 terapia 285 Ipofosfatasia 112 Ipossemia fetale 446 Iposviluppo fetale (v. restrizione della crescita fetale) di tipo asimmetrico 498 di tipo simmetrico 497 Ipotelorismo 124 Ipospadia 206 Ipotiroidismo 271 congenito 248 terapia medica prenatale 248 Isometrismi atriali 138 Isteroscopia 268 IUGR (v. restrizione della crescita fetale) L Laparoscopia 268 Liley, diagramma 362 Liquido amniotico (LA) 400, 459 composizione 460 funzioni 460 misurazione ecografia 461 produzione 459 proprietà antibatteriche 460 turnover 459 valutazione nella sorveglianza della gravidanza 401, 451 Lissencefalia (o agiria) 94 LSD danni embriofetali in gravidanza 548 M Macroglossia 125 Macrosomia fetale 388 complicanze 388 diagnosi ecografica 388, 420 Malattia adenomatoide cistica del polmone (CCAM) 242, 253 terapia prenatale 234 emolitica fetoneonatale (MEN) 360 monitoraggio Doppler flussimetrico ed ecografico 364 di Ebstein (ME) 149 di Hirschsprung 180
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erpetica in gravidanza 303 Malattie ad imprinting genomico 63 cistiche renali 196 cromosomiche 32 da papilloma virus (HPV) in gravidanza 309 genetiche 29 a trasmissione mendeliana 45 infettive in gravidanza 295 multifattoriali 48 Malformazione adenomatoide cistica del polmone 253 di Chiari II 90 di Dandy-Walker (o Dandy-Walker variant) 97 strutturale del feto II trimestre ecografia morfologica o strutturale 399 Malformazioni 13 cardiache congenite (v. cardiopatie congenite) cistiche adenomatose del polmone 372 facciali 121 fetali congenite studio ecografico (ecografia morfologica o strutturale) 415 gastrointestinali 171 scheletriche (v. anomalie scheletriche) screening precoce 11 sistema nervoso centrale 87 urogenitali (v. anomalie urogenitali) Markers ecografici di aneuploidia 224 Marijuana in gravidanza 548 Megalencefalia 94 Melanoma maligno 244 Meningo-cefalocele 99 Meningocele 99 Metabolismo difetti congeniti 374 Microcefalia 94, 105 Microftalmia 125 Micrognazia 129 Microonde 24 Mielomeningocele (MMC) trattamento prenatale del 257 Minicarico di glucosio 389 Mola vescicolare o idatiforme 466 beta h-CG nella diagnosi di 468 chemioterapia 470 cisti teuco-luteiniche 467 come causa di metrorragia 467 completa 466 coriocarcinoma 469 incompleta o parziale 466 malattia trofoblastica persistente (MTP) 468 follow-up 468
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mola invasiva 469 tumore del sito placentare 470 Monitoraggio delle condizioni fetali 405 Monosemia 33 Mosaicismo 35 confinato placentare (MCP) 61 Movimenti fetali 448 respiratori fetali 448 tecnica di Cardiff e di Sadovsky 401 N Necrosi focali 15 Nefroma mesoblastico 204, 244 Neogenesi implicazioni nell’ASR 286 Neoplasie intracardiache 243 emangioma cardiaco 243 mixoma intracardiaco 243 rabdomioma cardiaco 243 teratoma intracardiaco 243 intracraniche 238 astrocitoma 238 cisti aracnoidee 239 craniofaringioma 239 papilloma dei plessi coroidei 239 teratoma 238, 242 Neuroblastoma polmonare 242 epatico 237 Non Stress Test (NST) 449 Nuchal Translucency (NT) 223 O OGCT (Oral Challange Test) o minicarico di glucosio 389 OGTT 389 Oligodramnios 462 Oloprosencefalia 92 anomalie facciali associate a 92 Onde diatermiche 24 radar 24 Onfalocele 184 Organogenesi embriofetale studio ecografico 8 Ormoni in gravidanza 533 placentari fetali in diagnosi prenatale 209 Ossimetria pulsata 454 Osso nasale fetale 78 Osteogenesi imperfette 113
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Otocefalia 126
Q
P
Quadruplo test 223
Papilloma dei plessi coroidei 239 PAPP-A (plasma proteina associata alla gravidanza) 215, 222 Parto pretermine 481 diagnosi 487 management 488 prevenzione 489 Patologie cromosomiche fetali I trimestre, metodi di screening 396 tecniche invasive per la diagnosi 397 Peritonite da meconio 181 Placenta accreta 472 increta 472 percreta 472 previa 475 Placentazione inadeguata 498 Plica nucale 77 Polidramnios 461 Poliploidie 33 Porencefalia 93 PP13 (proteina placentare 13) 218 Preeclampsia (PE) 316 alterazioni ematiche, renali, epatiche e neurologiche materne 236, 327 alterazioni fetali 327 definizione e diagnosi 317 eziopatogenesi 318 fattori di rischio 316 management e terapia 330 modificazioni cardiocircolatorie materne 325 prevenzione e profilassi farmacologica 327, 328 Pre-embrione 1 Prelievo di villi coriali o villocentesi 58 complicanze 60 indicazioni 59 mosaicismo confinato placentare 61 tecnica 58 Prevenzione dei difetti congeniti 26 prevenzione primaria dei difetti congeniti 26 prevenzione secondaria dei difetti congeniti 26 Proboscide 126 Profilo biofisico fetale (PBF) 419, 450 Proteina C attivata (APC) 280 Proteinuria diagnosi 317 Prostaglandine inibitori della sintesi nella prevenzione del parto pretermine 489 Protocollo del menagement e timing del parto nei feti IUGR 500
R
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Rabdomioma 243 Raggi X 24 Rapporti tra sistema immune e sistema emocoagulativo 286 Rene policistico di tipo adulto (tipo III di Potter) 198 Rene policistico infantile (tipo I di Potter) 196 Responsabilità professionale in medicina prenatale 562 Restrizione della crescita fetale o ritardo dell’accrescimento o IUGR o FGR 497 diagnosi 498 monitoraggio 500 screening delle gravidanze a rischio 499 trattamento 499 Rischi e risvolti etici in medicina prenatale 555 Rosolia in gravidanza embriopatia e fetopatia da 299 Rottura di tuba gravida (v. gravidanza ectopica tubarica) intempestiva delle membrane (PROM) 463 ipoplasia polmonare 465 prematurità 464 pPROM 463 rischio infettivo 464 test diagnostici 464 S Sacco gestazionale (v. camera gestazionale) Scansione “4 camere” 5 Scheletro malformazioni (v. anomalie scheletriche) studio ecografico dello sviluppo 4 Schisi facciale laterale del labbro superiore 128 mediana del labbro superiore 127 Schizencefalia 95 Screening prenatale di cromosomopatie 75 biochimico al II trimestre 76 biochimico al I trimestre 80 combinato al I trimestre 80 counseling nei test di 75 ecografico al II trimestre 77 ecografico al I trimestre 78 integrati 80 Sedativi ed ipnotici in gravidanza 527 Segno della doppia bolla 174 del limone 101
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di Duglas-Proust 504 Sequenze additive (v. associazioni additive) malformative 15 Sequestro broncopolmonare (BPS) extralobare, intralobare 373 SGA 497 Shunt toraco amniotico 373 Sindrome coste corte-polidattilia 114 da immunodeficienza acquisita (AIDS) in gravidanza 306 da trasfusione feto-fetale (TTTS) 371 di Ballantyne 360 di Beckwith Wiedemann 125 di Di George di Down 43 di Ecklin 361 di Edwards 43 di Ellis Van Creveld 115 di Klippel Feil 115 di Klinefelter 42 di Patau 43 di Pfannestiel 361 di Rethorè 44 di Roberts 116 di Turner 42 di Vater (Sindrome di Duhamel) 116 di Warkany 44 di Wolf-Hirchhorn 44 del ventricolo sinistro ipoplastico (HLH, Hypoplastic Left Heart) 154 HELLP 341 diagnosi 341 management e terapia 342 outcome materno fetale 342 Sirenomelia 104 Sistema nervoso centrale fetale 1 malformazioni 87 studio ecografico dello sviluppo 1 Sistema Oscar 80 Situs ambiguus 171 immune e s. emocoagulativo 283 inversus 138, 171 isomerico 138 solitus 138, 171 Sofferenza fetale 445 acuta 445 cronica 445 subacuta 445 Soft markers 397, 400 di cromosomopatie 77
Indice analitico
Solfato di magnesio uso del, nel travaglio di parto pretermine 489 Sonoembriologia o embriologia ultrasonica 1 Sorveglianza della gravidanza 395 alimentazione 396 antepartum, metodiche 401, 411, 416, 423 aumento ponderale in relazione al BMI 395 cardiotocografia 402 esami di laboratorio 396 flussimetria fetale 402 management delle gravidanze a basso rischio 395 numero di visite 395 Spina bifida 100 Stati comportamentali del feto 419 Stato fetale non rassicurante 445 rassicurante 445 Stenosi aortica 149 Stenosi dell’acquedotto 89 Stenosi polmonare 146 Streptococco emolitico di gruppo B infezione in gravidanza 312 Sviluppo embriofetale studio ecografico 1 T Terapia fetale 247 Teratogeni ambientali 17 di natura chimica 18 di natura fisica 24 di natura infettiva 25 Teratoma 238, 241 cardiaco 243 del collo 241 intracranici 238 sacrococcigeo (SCT) 241 trattamento endouterino del 256 Test combinato 223 di screening 75, 221 obiettivi 75 sensibilità 75 specificità 75 valore predittivo positivo 75 valore predittivo negativo 75 integrato 224 sequenziali 224 Tetralogia di Fallot (TF) 156 Tocolitici e spasmolitici in gravidanza 523, 524 uso nel travaglio di parto pretermine 489 Tossicodipendenze e gravidanza 545 Toxoplasmosi in gravidanza 295
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danni fetali 296 trasmissione verticale 296 Tractocile 524 Traslucenza nucale (NT) 78 Trasposizione corretta delle grandi arterie (TGAc) 162 delle grandi arterie (TGA) 160 Treponema pallidum 372 Triplo test (o tritest) 76, 222 Trisomia 33 Trombocitopenia alloimmune del feto (AITP) terapia medica prenatale 249 con radio assente 117 Trombofilie ed ASR 277 ereditarie e ASR 277, 279 sindrome degli anticorpi anti-fosfolipidi e ASR 270, 278 Truncus arterioso (TA) 159 Twin To Twin Trasfusion Syndrome (TTTS) trattamento prenatale 260 Tumori fetali (o neoplasie fetali) 237 cardiaci 163, 370 intraddominali 243 U UE3 (estriolo non coniugato) 211 Ureterocele 202
Uropatie ostruttive 200 anomalie ureterali 200, 202 ostruzione della giunzione uretero-pelvica 200 ostruzione della giunzione uretero-vescicale 200, 201 ostruzione uretrale 200, 202 megavescica 202 valvola uretrale posteriore 202 trattamento endouterino 258 Utero setto 268 V Vaccinazioni in gravidanza 535 Vacterl associazione 175 Variabilità ampiezza 409 di breve periodo 409 di lungo periodo 409 Varicella Zoster in gravidanza 303 Velocimetria doppler fetale 451 Ventricolo destro doppia uscita (DORV) 157 Ventricolomegalia border line 89 lieve o moderata 89 severa 89 Ventricolo sinistro ipoplasico 154
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