Vulvodinia
Alessandra Graziottin • Filippo Murina
Vulvodinia Strategie di diagnosi e cura
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Prof.ssa Alessandra Graziottin Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano Professore ac., Università di Firenze Presidente della Fondazione Alessandra Graziottin per la cura del dolore nella donna
Dott. Filippo Murina Primo referente Servizio di Patologia Vulvare Ospedale V. Buzzi Università di Milano Direttore scientifico Associazione Italiana Vulvodinia
Gli Autori desiderano ringraziare la Fondazione Alessandra Graziottin per aver contribuito alla realizzazione di questo volume, a testimonianza del costante impegno sul fronte della formazione dei Medici in ambito di diagnosi e terapia del dolore.
ISBN 978-88-470-1898-3
e-ISBN 978-88-470-1819-0
DOI 10.1007/978-88-470-1819-0 © Springer-Verlag Italia 2011 Quest’opera è protetta dalla legge sul diritto d’autore, e la sua riproduzione è ammessa solo ed esclusivamente nei limiti stabiliti dalla stessa. Le fotocopie per uso personale possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633. Le riproduzioni per uso non personale e/o oltre il limite del 15% potranno avvenire solo a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da AIDRO, Corso di Porta Romana n. 108, Milano 20122, e-mail
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Prefazione Perché un libro sulla vulvodinia?
Perché un libro sulla vulvodinia? Perché molte donne soffrono di un problema intimo e grave: il dolore vulvare cronico, noto in termini medici come “vulvodinia”. La vulvodinia colpisce il 12-15% delle donne: si tratta quindi di un disturbo diffuso, che ogni medico di famiglia, ogni ginecologo può osservare nella propria pratica clinica quotidiana. Una seconda buona ragione per scrivere e leggere questo libro è che la vulvodinia, pur essendo una patologia frequente, può rimanere non diagnosticata e non curata per anni. Questa forma di dolore è trascurata dalla maggior parte dei medici perché viene percepita come difficile da affrontare, oppure come “psicogena”, e quindi di competenza dello psicologo. Va invece affermato con chiarezza che questa è una lettura obsoleta della patologia: la vulvodinia è un disturbo con solidissime basi biologiche che ricadono nell’ambito della competenza medica. Terza ragione. Come ogni tipo di dolore, la vulvodinia può essere multifattoriale. E come in ogni altro ambito medico, la diagnosi richiede un ascolto attento dei sintomi riportati dalla donna, un’analisi accurata dei segni clinici che essa presenta, una conoscenza approfondita dei meccanismi fisiopatologici della malattia, e una particolare attenzione alle frequenti comorbilità – mediche e sessuali – a cui il dolore vulvare si può associare. A livello medico la vulvodinia può associarsi a sintomi vescicali (cistite post-coitale, sindrome della vescica dolorosa), endometriosi, sindrome del colon irritabile, fibromialgia, cefalea, per citare i più frequenti. Vulvodinia. Alessandra Graziottin, Filippo Murina © Springer-Verlag Italia 2011
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Prefazione
In ambito sessuale, il sintomo primario associato alla vulvodinia è il dolore coitale (dispareunia), che a sua volta può provocare perdita di desiderio, secchezza vaginale, difficoltà orgasmiche e insoddisfazione sessuale, con conseguenze potenzialmente anche molto serie sulla qualità della relazione di coppia. Il metodo clinico per affrontare il dolore, qualsiasi tipo di dolore, è ben noto a ogni medico: nel caso della vulvodinia, esso richiede solo di essere focalizzato sull’area vulvare, ma con un approccio improntato a particolare sensibilità e gentilezza. Perché? Perché la vulvodinia coinvolge la parte più segreta del corpo femminile: la vulva e l’introito della vagina. Apprendere l’arte di questo approccio è la quarta ragione per cui questo libro viene pubblicato. In positivo, curare la vulvodinia può essere estremamente gratificante, perché offre alle donne che ne sono affette la possibilità di tornare a uno stato di pieno benessere, a una vita intima soddisfacente e alla possibilità di vivere ancora l’amore con gioia e passione. La versione inglese del volume si intitola “Vulvodynia: tips and tricks”, un’espressione che significa all’incirca “Consigli sintetici e trucchi del mestiere”. Consigli e trucchi – in realtà strategie cliniche concise – che cercano di facilitare la diagnosi da parte dei medici realmente motivati ad aiutare le donne affette da dolore vulvare. La vita professionale dei medici di oggi è contraddistinta da impegni sempre più pressanti: abbiamo sempre meno tempo per aggiornarci e sempre più cose da fare, e sentiamo il bisogno di informazioni concise, che vadano rapidamente al cuore dei problemi clinici che ci troviamo ad affrontare. Ecco perché abbiamo accettato la sfida di scrivere un volume diverso dal solito, un volume, appunto, “tips and tricks”: per offrire ai Colleghi una sintesi facile da leggere e da consultare, che andasse velocemente al punto, capace di migliorare la loro capacità di formulare una diagnosi corretta e prescrivere un’efficace terapia di prima linea. In una parola, per rafforzare la capacità dei medici di affrontare con concisa competenza la vulvodinia e le comorbilità ad essa associate. Buona lettura! Milano, novembre 2010
Alessandra Graziottin e Filippo Murina
Gli Autori
Prof.ssa Alessandra Graziottin – Curriculum breve Alessandra Graziottin, medico, specialista in Ginecologia-Ostetricia e Oncologia, Psicoterapeuta in Sessuologia, è Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica dell’H. San Raffaele Resnati di Milano, e Professore a contratto all’Università di Firenze. Nel 2008 ha costituito la “Fondazione Alessandra Graziottin per la cura del dolore nella donna”, di cui è Presidente. Nel 2010 è stata eletta Co-Presidente dell’86° Congresso Nazionale della Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia (SIGO), organizzato a Milano dal 14 al 17 novembre 2010. È Coordinatore dell’Area di Speciale Interesse “Dolore Pelvico” della Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia (SIGO), vicepresidente della Società Italiana per la Psicosomatica in Ginecologia e Ostetricia (SIPGO), membro dell’European Working Group di FSDeducation.eu, che sviluppa materiale certificato ai fini ECM sui disturbi sessuali femminili. Fa parte dei Direttivi della International Society for Sexuality and Cancer (ISSC) e della Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale (SIPPS). E’ stata Presidente della International Society for the Study of Women’s Sexual Health (ISSWSH), ed è Membro Onorario della Society of Obstetricians and Gynecologists of Canada (SOGC). Autore di oltre 970 relazioni scientifiche, ha pubblicato 14 libri scientifici e 5 divulgativi, oltre 70 capitoli di libri scientifici, 6 manuali educazionali per le donne e più di 310 articoli scientifici, di cui oltre 80 referati, su diversi aspetti della ginecologia e della sessuologia medica. Ha fatto parte del Scientific Programme Committee del XIX Congresso Mondiale di Ginecologia e Ostetricia, tenutosi dal 4 al 9 ottobre 2009 a Cape Town (South Africa). Si occupa con passione della salute e della qualità di vita della donna e della coppia in ambito clinico, didattico ed educazionale.
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Gli Autori
Dott. Filippo Murina – Curriculum breve Filippo Murina, medico, specialista in Ginecologia-Ostetricia, è Primo Referente del Servizio di Patologia Vulvare dell’Osp. V. Buzzi-Università di Milano. Nel 2006 ha ispirato la nascita in qualità di socio fondatore dell’Associazione Italiana Vulvodinia Onlus, della quale è attualmente Direttore Scientifico. È Componente del Comitato Direttivo della Società Italiana Interdisciplinare di Vulvologia (SIIV), Fellow dell’International Society of Vulvovaginal Disease (USA), Membro dell’European College for the Study of Vulval Diseases e Componente dell’Health Care Professional Referrals della National Vulvodynia Association (USA). È Consulente in qualità di Reviewer delle seguenti riviste scientifiche internazionali: European Journal of Obstetric & Ginecology and Reproductive Biology, American Journal of Obstetric and Gynecology, Journal of American Academy of Dermatology ed il Journal of Women’s Health. Autore di numerose relazioni a corsi e congressi e pubblicazioni scientifiche su riviste italiane ed internazionali,tra le quali il British Journal of Obstetrics and Gynecology. Ha pubblicato 6 libri scientifici in qualità di autore e coautore in ambito di patologia vulvare e di sindromi da dolore vulvare cronico.
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Letture consigliate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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2 Vulvodinia: che cos’è in realtà . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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1 Epidemiologia del dolore vulvare e comorbilità sessuali
Caratteristiche del dolore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 Definizioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 Impatto della vulvodinia sulla salute fisica e psicosessuale . . . . . . . . . 9 Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11 Letture consigliate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12 3 Vulvodinia e dispareunia: come affrontarle . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13 Affrontare i problemi sessuali nel setting clinico . . . . . . . . . . . . . . . . . Vaginismo e dispareunia: in che modo possono contribuire alla vulvodinia? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Fisiopatologia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Approccio clinico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . - Storia clinica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Consigli pratici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Letture consigliate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
16 19 20 23 23 26 27 27
4 Vulvodinia: che cosa dicono le donne? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29 Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35 Letture consigliate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 36 5 Vulvodinia: che cosa la provoca. Fisiopatologia del dolore vulvare
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Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37 IX
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Quanto è complessa la trasmissione del dolore vulvare all’interno del sistema nervoso centrale? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Che cosa accade nel dolore neuropatico, e perché si considera la vulvodinia come una sindrome da dolore neuropatico? . . . . . . . . . . Questioni aperte sull’eziopatogenesi della vulvodinia . . . . . . . . . . . . . - Che relazione c’è fra vestibolodinia e vulvodinia generalizzata? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Quale ruolo giocano le disfunzioni del pavimento pelvico? . . . . . . . . Quale ruolo hanno le alterazioni ormonali come potenziale causa di vulvodinia? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Quanto sono rilevanti i fattori psicosessuali nelle pazienti con vulvodinia? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Perché c’è una frequente associazione fra la vulvodinia e altre forme di dolore cronico? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Letture consigliate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
37 39 48 48 48 49 51 52 52
6 La vulvodinia e le sue comorbilità: come fare una diagnosi globale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55 Storia medica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Esame fisico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Diagnosi per esclusione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Valutazione del pavimento pelvico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Ispezione vaginale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Test . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Letture consigliate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
55 58 60 66 67 68 69 69
7 La vulvodinia: come curarla . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71 Riduzione dei fattori scatenanti e degli stimoli irritativi . . . . . . . . . . . Come ridurre il dolore della vulvodinia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Trattamento delle complicanze psicosessuali della sindrome dolorosa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . E ora traduciamo la teoria in pratica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Letture consigliate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
73 77 86 87 90 91
Appendice - Il tessuto che cura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 93
Epidemiologia del dolore vulvare e comorbilità sessuali
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La vulvodinia non è un disturbo raro: secondo gli studi più recenti, il 15% della donne ne soffre nel corso della vita.
Negli Stati Uniti, il 15% delle donne soffre di dolore vulvare cronico, che può associarsi a vulvodinia, in un qualche momento della vita. Quattordici milioni di donne, prima o poi, soffrono di vulvodinia, e questo comporta 14 milioni di visite mediche ogni anno. Le ricerche epidemiologiche sulla distribuzione e le cause della vulvodinia hanno contribuito in misura decisiva a definire e comprendere l’importanza del problema.
La vulvodinia è stata descritta per la prima volta da I.G. Thomas, nel 1880, come un’iperestesia della vulva determinata da “un’eccessiva sensibilità delle fibre nervose deputate all’innervazione della mucosa vulvare in una parte ben precisa delle vulva stessa”.
La prevalenza della vulvodinia è, a nostro avviso, sottostimata per due motivi: – molti medici pensano che il problema sia di natura psicologica e, in ogni caso, lo considerano relativamente poco importante; – le donne sono riluttanti a parlare di sintomi che percepiscono come insoliti e con ogni probabilità originati “dalla loro testa”.
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Un sondaggio validato è stato recentemente somministrato a 5.000 donne fra i 18 e i 64 anni: 3.358 (67,16%) di esse hanno risposto. Dal sondaggio risulta che il 15,6% delle donne soffre di bruciore cronico, dolore acuto o a pugnalata, dolore al contatto (iperalgesia), per un periodo non inferiore ai tre mesi, in un qualche momento della vita (Harlow BL, et al., 2003).
Il fatto che la vulvodinia riceva oggi più attenzione dai medici e dai media spinge un numero maggiore di donne a cercare con determinazione una diagnosi accurata e una terapia efficace. Si comprende così come anche la prevalenza della patologia risulti in aumento: proprio perché le donne colpite riescono finalmente a dare un nome ai propri sintomi. Vanno allora dal medico con una diversa convinzione sulla verità del proprio dolore e la sua dignità di malattia. Uno studio condotto nel 2001 su un gruppo di donne di Boston, sostanzialmente in linea con la ricerca di Harlow e Stewart, indica che il 16% di loro sperimenta nel corso della vita sintomi riconducibili alla vulvodinia: bruciore cronico, dolore a pugnalata, dolore al contatto, localizzati nel basso tratto genitale e di durata non inferiore ai tre mesi. I sintomi sono riportati da donne bianche, afro-americane e ispaniche di ogni età. Circa il 40% di esse sceglie di non andare dal medico; delle restanti, il 60% consulta tre o più specialisti prima di ottenere una diagnosi corretta. L’incidenza dei sintomi è maggiore nelle giovani fra i 18 e i 25 anni, e minore dopo i 35.
In confronto ai controlli, le donne affette da dolore vulvare hanno una probabilità sette volte maggiore di incontrare difficoltà di inserimento, o provare dolore, la prima volta che usano il tampone. Dato di immediata rilevanza clinica: ogniqualvolta un’adolescente riferisca questa difficoltà, è indispensabile valutare se non esistano un ipertono del muscolo elevatore dell’ano, spesso in comorbilità con una stipsi ostruttiva presente fin dall’infanzia, e/o una più rara anomalia imenale (imene cribroso, fibroso, cercinato o setto). Fattori predisponenti al dolore coitale (dispareunia) e alla possibile evoluzione in vulvodinia, se non opportunamente corretti.
Nonostante i sintomi siano più frequenti durante l’età riproduttiva, dallo studio emerge che ne soffre anche circa il 4% delle donne fra i 45 e
1 Epidemiologia del dolore vulvare e comorbilità sessuali
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i 54 anni, e un altro 4% fra i 55 e i 64: nel 50% dei casi, il dolore limita o impedisce i rapporti sessuali.
Negli Stati Uniti, la dispareunia è riportata, in vario grado, dal 21% delle donne sessualmente attive, e dal 10,5% delle donne fra i 40 e gli 80 anni. In Europa, lamenta dolore coitale il 14% delle donne fra i 20 e i 70 anni. Il 10-15% delle donne soffre di vaginismo cronico lieve, che contribuisce a sua volta alla dispareunia cronica. Il vaginismo severo, ossia di gravità tale da impedire la penetrazione, compare nello 0,5-1% delle donne in età fertile: mancano però al riguardo stime più precise.
In confronto ai controlli, le donne affette da vulvodinia hanno una probabilità significativamente maggiore di soffrire di altre patologie croniche, come la sindrome della vescica dolorosa – cistite interstiziale (IC), la fibromialgia e la sindrome del colon irritabile. Si stima che il 51,4% delle donne con una diagnosi urologica di cistite interstiziale riceva anche una diagnosi di vulvodinia. Questa forte, evidente correlazione può essere dovuta a una comune eziologia fra le due patologie.
Embriologicamente, la vulva e la vescica derivano entrambe dal seno urogenitale e condividono le vie di innervazione del nervo pudendo (S2-S3-S4): i fattori neurogeni che determinano una sofferenza della vescica possono quindi produrre sintomi anche nella vulva, e viceversa. Accanto al possibile “cross-talk”, al dialogo incrociato tra fibre nervose viciniori, esistono altri fattori che aumentano il rischio di comorbilità: a) l’ipertono del muscolo elevatore, che per ragioni meccaniche predispone contemporaneamente alle cistiti ricorrenti e post-coitali, preludio alla sindrome della vescica dolorosa, al dolore introitale al rapporto (dispareunia superficiale o introitale) e alla stipsi ostruttiva; b) l’iperattività del mastocita, cellula infiammatoria circolante che aumenta di numero e attività nelle aree contigue – quali introito vaginale e uretra – quando coivolte da comuni fattori infiammatori.
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Box 1. Vulvodinia e comorbilità ●
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Il 50% delle pazienti con sindrome del colon irritabile soffre di sindrome della vescica dolorosa fino alla cistite interstiziale Il 38% delle pazienti con cistite interstiziale soffre di sindrome del colon irritabile Il 26% delle pazienti con cistite interstiziale soffre di vulvodinia Il 12-68% delle donne con sindrome del colon irritabile e cistite interstiziale manifesta sintomi riconducibili alla vulvodinia
Letture consigliate Arnold LD, Bachmann GA, Rosen R et al (2007) Assessment of vulvodynia symptoms in a sample of US women: a prevalence survey with a nested case control study. Am J Obstet Gynecol 196:128.e1-6 Graziottin A (2007) Prevalence and evaluation of sexual health problems – HSDD in Europe. J Sex Med 4 Suppl 3:211-219 Gunter J (2000) Is there an association between vulvodynia and interstitial cystitis? Obstet Gynecol 95:S4 Harlow BL, Stewart EG (2003) A population-based assessment of chronic unexplained vulvar pain: have we underestimated the prevalence of vulvodynia? J Am Med Womens Assoc 58:82-88 Kennedy CM, Nygaard IE, Bradley CS et al (2007) Bladder and bowel symptoms among women with vulvar disease: are they universal? J Reprod Med 52:1073-1078 Laumann EO, Paik A, Rosen RC (1999) Sexual dysfunction in the United States: prevalence and predictors. JAMA 10;281:537-544
Vulvodinia: che cos’è in realtà
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Il termine “vulvodinia” indica un dolore cronico localizzato nell’area vulvare e persistente da 3 a 6 mesi. Si tratta in realtà di un vocabolo che include un ampia varietà di condizioni cliniche vulvari, con differenti eziologie e fisiopatologie, ma tutte con un sintomo comune: un dolore cronico, continuo o intermittente, spontaneo o provocato, e invalidante.
Caratteristiche del dolore La vulvodinia può essere cronica, continua o intermittente, episodica (e spesso esacerbata in fase premestruale). Può non essere causata da alcun fattore noto (spontanea), o può manifestarsi in risposta a uno stimolo tattile (dolore provocato), inclusi un abbigliamento troppo stretto o la stimolazione fisica dell’area vulvare, in occasione del rapporto sessuale o della visita medica. Può essere generalizzata, ossia estesa a tutta l’area vulvare, o circoscritta all’area vestibolare (si parla allora di “vestibolite vulvare”, VVS), al clitoride (“clitoralgia”), alla mucosa periuretrale o a una porzione limitata della vulva (Fig. 2.1). Dal punto di vista clinico, un’accurata “mappa del dolore” consente di identificare con chiarezza la sede e l’intensità del dolore stesso, risultante dall’anamnesi e dalla valutazione dei sintomi che la donna riferisce durante l’esame pelvico. A tutt’oggi non c’è consenso sui termini da utilizzare per definire e classificare le condizioni soggiacenti il dolore. Tuttavia, alcune espressioni possono risultare di grande utilità nella pratica clinica. La vulvodinia, per esempio, può essere il solo sintomo che la donna lamenta (si parlerà allora di “vulvodinia isolata”), o manifestarsi in comorbilità con: Vulvodinia. Alessandra Graziottin, Filippo Murina © Springer-Verlag Italia 2011
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Clitoralgia
Vulvodinia generalizzata
Vestibolodinia (vestibolite vulvare)
Fig. 2.1 Terminologia descrittiva del dolore vulvare, a seconda della localizzazione del dolore
1. patologie mediche: infezioni vulvovaginali da Candida, distrofie e neoplasie vulvari, dermatiti da contatto, atrofia ipoestrogenica e ipoandrogenica, sindrome della vescica dolorosa, endometriosi, sindrome del colon irritabile, fibromialgia, cefalea, ansia, depressione. Fra gli altri disturbi medici che possono associarsi al dolore vulvare cronico vanno ricordate patologie neurologiche come la sindrome da intrappolamento del nervo pudendo e la sclerosi multipla, le mialgie (soprattutto del muscolo elevatore dell’ano) e i fattori iatrogeni, come il dolore secondario a interventi chirurgici (episiorrafia, emorroidectomia, colporrafia posteriore) o a radioterapia pelvica e perineale; 2. disturbi sessuali: il dolore coitale (“dispareunia”) è il disturbo più frequente, con perdita del desiderio, secchezza vaginale e anorgasmia, soprattutto durante il rapporto. Nei casi più gravi, il dolore può indurre evitamento sessuale.
2 Vulvodinia: che cos’è in realtà
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Tabella 2.1 Caratteristiche della vulvodinia Il dolore vulvare può essere: • Cronico/ininterrotto • Intermittente/episodico • •
Spontaneo Provocato
• •
Generalizzato Localizzato/limitato a: - area vestibolare (vestibolite vulvare) - clitoride (clitoralgia) - mucosa periuretrale - una porzione limitata della vulva
• •
Isolato In comorbilità con: patologie mediche: - vaginiti ricorrenti da Candida - sindrome della vescica dolorosa - sindrome del colon irritabile - endometriosi - fibromialgia - cefalea - ansia e depressione disturbi sessuali: - dispareunia introitale - perdita del desiderio - secchezza vaginale - anorgasmia coitale - evitamento sessuale
Definizioni Le definizioni di vulvodinia sono ampiamente mutate nel corso del tempo, a dimostrazione delle difficoltà incontrate dalla comunità scientifica nel comprendere e descrivere compiutamente la verità biologica e la fisiopatologia del dolore vulvare. Riconosciuta a livello ufficiale solo nel 1898, la patologia fu sostanzialmente dimenticata per più 80 anni, e riemerse nei testi di Ginecologia solo nel corso degli anni Ottanta del secolo scorso. La definizione messa a punto da Bachmann e coll. nel 2006 parla di “dolore cronico localizzato nella regione vulvare, perdurante da tre a sei mesi, senza cause definibili”.
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La più recente tassonomia messa a punto dalla International Society for the Study of Vulvovaginal Disease (ISSVD) (Haefner, 2003) suddivide le potenziali cause del dolore vulvare in quattro categorie: • • • •
infettive; infiammatorie; neoplastiche; neurologiche.
Secondo la ISSVD, per poter arrivare alla diagnosi di vulvodinia, intesa come “disagio vulvare, spesso descritto come dolore urente in assenza di rilevanti cause visibili o di uno specifico disturbo neurologico identificabile a livello clinico”, le varie condizioni che ricadono in queste categorie devono essere via via escluse. Per definizione, infatti, la vulvodinia non è causata da infezioni (candidiasi, herpes, ecc.), infiammazioni (lichen planus, pemfigoide benigno delle mucose, ecc.), neoplasie (malattia di Paget, carcinoma cellulare squamoso, ecc.), o da disturbi neurologici (nevralgia erpetica, compressione dei nervi spinali, ecc.). Sempre secondo la ISSVD, la classificazione della vulvodinia vera e propria si basa poi sull’area interessata dal dolore (generalizzata o localizzata) e sul fatto di essere provocata, spontanea o mista. La tassonomia risulta quindi essere la seguente: • Vulvodinia generalizzata – provocata (fattori sessuali, non sessuali, misti); – spontanea; – mista (sia provocata sia spontanea). • Vulvodinia localizzata – provocata (fattori sessuali, non sessuali, misti); - vestibulodinia provocata/vestibolite vulvare; – spontanea; – mista (sia provocata sia spontanea). Purtroppo queste definizioni inquadrano la vulvodinia come dolore vulvare “inspiegabile”, perdendo così di vista tutte le condizioni in cui il dolore ha una chiara eziologia. A nostro avviso, invece, il concetto di vulvodinia deve includere qualsiasi tipo di dolore vulvare: è responsabilità del medico effettuare una diagnosi differenziale fra le diverse cause biologiche del dolore, focalizzando la propria attenzione sulla fisiopatologia e l’istologia del tessuto vulvare.
2 Vulvodinia: che cos’è in realtà
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La vulvodinia può essere esacerbata da fattori psicobiologici (ansia, depressione, distress cronico) e psicosessuali (molestie, abusi fisici e sessuali) e da trigger sessuali come la penetrazione. Il dolore però ha pressoché sempre una causa biologica (la sola vera eccezione è costituita dal dolore da lutto): la causa può non essere immediatamente visibile a una prima sommaria analisi della vulva, ma può e deve diventarlo quando venga effettuato un esame medico obiettivo appropriato e competente, e/o quando i dati istologici rivelino con chiarezza la presenza di un’infiammazione: una condizione tipica della vestibolite vulvare.
Impatto della vulvodinia sulla salute fisica e psicosessuale La vulvodinia è un disturbo fortemente stressante, con importanti conseguenze a livello fisico, psicosessuale, interpersonale e sociale. • Aspetti biologici: oltre ad essere un serio problema medico in sé, la vulvodinia può innescare un processo algico ad ampio raggio che coinvolge tutta la regione pelvica, presentandosi come un vero e proprio segnale d’allerta generalizzato. Il processo infiammatorio cronico sotteso al dolore vulvare può infatti estendersi ad altri organi pelvici: la comorbilità più frequente, a questo proposito, è rappresentata dai sintomi vescicali (cistite post-coitale, sindrome della vescica dolorosa). Altre significative comorbilità riguardano, come abbiamo anticipato, l’endometriosi, il dolore pelvico cronico, la sindrome del colon irritabile, la fibromialgia, la sindrome da fatica cronica (“fatigue”), la coccigodinia, la cefalea e l’ansia/depressione. Evidenze – ancora da confermare pienamente – sembrano suggerire che la fisiopatologia di queste comorbilità presupponga: a) un processo infiammatorio cronico che coinvolge organi pelvici differenti. Il comune denominatore sembra essere l’iperattivazione del mastocita (vedi Figura 2.2, al termine del capitolo), vero “direttore d’orchestra” del processo infiammatorio, che produce e rilascia differenti molecole responsabili dell’infiammazione locale, dell’attivazione del sistema del dolore e della contrazione difensiva dei muscoli dell’area dolente. Il mastocita è una cellula mobile, che pattuglia tutto il corpo e in particolare le aree di “confine” come la mucosa vescicale e del colon, e l’area vestibolare: ciò può aiutare a capire le comorbilità fra organi e sistemi localizzati in punti diversi; b) il coinvolgimento dei nervi degli organi immediatamente vicini (per esempio, il nervo pudendo): il termine “dialogo incrociato” (cross-
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talk), già anticipato, esprime bene questo processo di condivisione dei segnali algici. • Aspetti psicosessuali: avere male in un’area “segreta” del corpo, la difficoltà di parlarne e la paura di essere giudicata dai medici come “una che il dolore se lo inventa”, può scatenare nella donna un profondo senso di solitudine, o la convinzione di essere “l’unica” a soffrire di un sintomo così imbarazzante e invalidante. La situazione può ulteriormente peggiorare se la donna, in passato, è stata molestata o abusata: il dolore può allora ricordarle ciò che ha sofferto e attraversato. Oppure può essere percepito come una punizione per desideri sessuali inappropriati, per aver praticato la masturbazione, o per avere vissuto una relazione adulterina. O, ancora, può associarsi a un disturbo post traumatico da stress. Poiché inoltre il dolore non voluto è il più forte inibitore del desiderio e dell’eccitazione mentale e fisica, la vulvodinia può associarsi – come abbiamo già sottolineato – a un progressivo impoverimento della risposta sessuale: con perdita del desiderio, secchezza vaginale, anorgasmia (specialmente coitale) e una crescente insoddisfazione, sino alla franca frustrazione nei riguardi dell’intimità. Il dolore cronico, di qualsiasi tipo, divora infine l’energia vitale, lasciando la donna indebolita, affaticata, priva di energie, di cattivo umore, impaurita, stressata, depressa, pessimista sino al catastrofismo: l’ombra della persona che era quando il dolore non aveva ancora devastato la sua vita. • Aspetti interpersonali e sociali: a) nella coppia: avere una donna che lamenta dolore cronico genitale è una sfida impegnativa anche per il partner più innamorato, e questo per una serie di motivi: 1. limita costantemente qualsiasi forma di intimità, sino all’evitamento sessuale; 2. focalizza il dialogo e la vita quotidiana sul dolore vulvare e i sintomi ad esso correlati; 3. irrita e provoca rabbia, aggressività, veri e propri abusi verbali e fisici quando il medico afferma che la donna “non ha niente, il dolore è tutto nella sua testa”, o che “il dolore se lo inventa”, o che “sta solo cercando di evitare i rapporti”; 4. determina costi crescenti: quantizzabili (per visite, esami, perdita di giorni lavorativi) e non quantizzabili (per lo spreco di tempo, i giorni neri, la depressione, la perdita di smalto e di serenità all’interno della relazione); b) in famiglia: quando la mamma sta male, i bambini se ne accorgono; inoltre ottengono meno attenzioni, tenerezza e cure, in misura direttamente proporzionale alla sofferenza della donna; c) al lavoro: le donne affette da vulvodinia perdono molti giorni di lavoro, fanno fatica a concentrarsi e persino a stare sedute per ore alla scrivania; molte sono costrette a chiedere un part time o a lasciare l’impiego, sentendosi relegate contro voglia al ruolo di “casalinga”.
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Conclusioni La vulvodinia è un disturbo diffuso e grave che va assolutamente diagnosticato e curato: – per ridurre la sofferenza nella donna, nella coppia e nella famiglia; – per scongiurare il progressivo peggioramento del disturbo stesso, con cronicità e comorbilità; – per ridurre i costi personali, familiari e sociali, quantizzabili e non; – per restituire una serena vita intima alla donna e alla coppia. La vulvodinia è una ben precisa entità medica, con un ampio spettro di eziologie e manifestazioni cliniche, che merita un approccio rigoroso, globale e multidisciplicare.
Fig. 2.2 Immagine del mastocita, cellula infiammatoria ubiquitaria densa di vescicole contenenti decine di mediatori chimici: citochine infiammatorie, vasodilatatori, prostaglandine, serotonina, fattori di crescita dei nervi, enzimi, tra cui triptasi, eparanasi, ecc. Il contenuto delle vescicole viene riversato nel tessuto in modo selettivo, in risposta a stimoli nocivi eterogenei, attivando i 5 correlati clinici dell’infiammazione secondo gli antichi medici (rubor, tumor, calor, dolor, functio laesa: rossore, gonfiore, calore, dolore, limitazione funzionale). Se il processo infiammatorio resta nei limiti fisiologici e la noxa è scomparsa o curata, si ha la guarigione con restitutio ad integrum, ossia con pieno recupero anatomico e funzionale. Se persistono le noxae patogene, se diagnosi e cura sono inadeguate e/o se esiste un’iper-reattività mastocitaria geneticamente modulata in risposta a diversi stimoli flogogeni, il mastocita può essere iperattivato, con viraggio verso l’infiammazione persistente e il dolore cronico, fino al dolore neuropatico. Più di 45.000 lavori scientifici, pubblicati negli ultimi 10 anni, attribuiscono al mastocita il ruolo di grande direttore dell’orchestra infiammatoria e protagonista cardinale nel viraggio del dolore da segnale di danno in corso (“nocicettivo”) a malattia in sé (“neuropatico”)
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Letture consigliate Bachmann G, Rosen R, Pinn V et al (2006) Vulvodynia: a state-of-the-art consensus on definitions, diagnosis and management. J Reprod Med 51: 447-456 Haefner HK (2007) Report of the International Society for the Study of Vulvovaginal Disease terminology and classification of vulvodynia. J Low Genit Tract Dis 11:48-49 Moyal-Barracco M, Lynch PJ (2004) 2003 ISSVD terminology and classification of vulvodynia: a historical perspective. J Reprod Med 49:772-777 Ren K, Dubner R (2010) Interactions between the immune and nervous system in pain. Nature Medicine, published online the 14th October 2010, pp 1-10
Vulvodinia e dispareunia: come affrontarle
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La vulvodinia (dolore vulvare) e la dispareunia (dolore ai rapporti) sono strettamente correlate, per motivi anatomici, funzionali, fisiopatologici, emotivi e relazionali. Le definizioni di dispareunia e di vaginismo (“disturbi sessuali con dolore”) sono mutate negli ultimi anni (Box 1).
Box 1. Definizione di dispareunia e vaginismo ●
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Il termine “dispareunia” indica il persistente o ricorrente dolore al tentativo di penetrazione, o alla penetrazione completa, o al rapporto sessuale completo. Il termine “vaginismo” indica la persistente o ricorrente difficoltà della donna a consentire l’introduzione nella propria vagina del pene, di un dito e/o di un oggetto, nonostante il fatto che lo desideri. Spesso si osserva un evitamento e un’anticipazione del dolore, con paura e contrazione dei muscoli pelvici, involontaria e di intensità variabile. Nella diagnosi differenziale di vaginismo vanno verificate ed escluse anomalie fisiche strutturali o di altra natura. Il disturbo può essere:
– primario (lifelong) o secondario (acquired); – generalizzato o contestuale, limitato a uno specifico partner e/o a una determinata situazione;
– biologico, psicogeno, misto; e può causare, o meno, distress personale. Nella maggioranza dei casi, comunque, il dolore coitale è un potente detonatore di distress personale e relazionale.
Vulvodinia. Alessandra Graziottin, Filippo Murina © Springer-Verlag Italia 2011
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La vulvodinia può provocare dispareunia, e un rapporto doloroso può peggiorare il dolore vulvare, e concorrere a mantenerlo (Fig. 3.1). La sola eccezione è costituita dalla vulvodinia nelle bambine e nelle adolescenti vergini, o nelle donne che, indipendentemente dall’età e per qualsiasi ragione, non abbiano mai avuto rapporti completi. Un muscolo elevatore dell’ano – principale componente muscolare del pavimento pelvico - cronicamente iperattivo (iperattività “miogena”, associata o meno a fobia della penetrazione) riduce anatomicamente l’entrata della vagina (Fig. 3.1). Questo espone la mucosa vestibolare introitale alle microabrasioni meccanicamente provocate da ogni tentativo di penetrazione. Un fattore che può contribuire a questo processo è l’inadeguata eccitazione genitale, dovuta a propria volta: a) all’inibizione riflessa che il dolore provoca sulla lubrificazione vaginale e sulla congestione vulvare, e/o b) alla paura del dolore, sia esso primario (lifelong) o secondario (acquisito). Il danno meccanico alla mucosa attiva immediatamente la risposta dei mastociti. Quando i tentativi di penetrazione sono ricorrenti, e/o il danno coitale persistente, e/o fattori concomitanti come una vaginite da Candida contribuiscono ulteriormente allo stato infiammatorio, si verificano queste tre conseguenze (vedi Capitolo 5): 1. il mastocita viene iperattivato, con una sovrapproduzione di molecole dell’infiammazione e di neurotrofine come il Nerve Growth Factor (NGF). Questo a sua volta comporta: 2. una proliferazione delle fibre nervose del dolore, responsabile dell’iperalgesia introitale e dell’allodinia. Ciò provoca o peggiora: 3. l’iperattività del pavimento pelvico. Questo circolo vizioso può verificarsi anche a ritroso (Fig. 3.1): ossia iniziando con una ricorrente/cronica infiammazione della mucosa introitale, provocata da infezioni (da Candida, Herpes, Gardnerella, ecc.), danni fisici (terapia laser o diatermocoagulazione), agenti chimici (saponi, profumi, gel doccia o altre sostanze), allergia, fattori iatrogeni (episiotomia-episiorrafia, o qualsiasi altro intervento chirurgico perineale, come per esempio la rimozione di una cisti del Bartolini), stili di vita (come l’uso di jeans troppo stretti), stimoli neurogeni, che inducano l’iperattivazione del mastocita, la contrazione difensiva del muscolo elevatore dell’ano e la proliferazione delle fibre nervose del dolore indotta dal NGF. Nel tempo, si verifica una stretta reciprocità fra vulvodinia e dispareunia. Nei casi più gravi, ciò determina:
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Vulvodinia
1. Mucosa introitale infiammata (da vulvovaginiti recidivanti, sostanze irritanti, danni fisici, traumi meccanici, fattori iatrogeni, stimoli neurogeni) con iperattivazione dei mastociti
4. Proliferazione delle fibre nervose del dolore, con iperalgesia e allodinia
2. Ipertono acquisito del pavimento pelvico
2. Secchezza vaginale e disturbo dell’eccitazione secondari al dolore e/o alla paura del dolore
3. Proliferazione delle fibre nervose del dolore, con iperalgesia e allodinia
3. Microabrasioni della mucosa introitale, con iperattivazione dei mastociti
1. Ipertono cronico del pavimento pelvico (vaginismo primario e dispareunia cronica)
Dispareunia A. Graziottin, 2010
Fig. 3.1 Quando il sintomo – per una qualsiasi causa – si manifesta inizialmente come dolore vulvare, si associa innanzitutto a un’infiammazione della mucosa. Questa determina poi la contrazione difensiva del muscolo elevatore dell’ano e, infine, la proliferazione delle fibre del dolore. Quando invece, su una mucosa integra, il sintomo di partenza è il dolore al rapporto, la prima conseguenza è la contrazione difensiva dell’elevatore dell’ano (associata per esempio a vaginismo primario), cui seguono il blocco della lubrificazione, le microabrasioni con iperattivazione dei mastociti e, infine, la proliferazione delle fibre nervose del dolore, con vulvodinia neurogena e poi neuropatica
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una progressione della vulvodinia da provocata (da uno stimolo genitale o sessuale, o dall’esame ginecologico) a spontanea, da localizzata a generalizzata, con una progressiva comorbilità con sintomi vescicali; il passaggio dalla dispareunia alla perdita acquisita del desiderio, a disturbi dell’eccitazione mentale e genitale, disturbi dell’orgasmo sino al progressivo evitamento del rapporto sessuale (Fig. 3.2), con importanti conseguenze sulla qualità dell’intimità fisica ed emotiva e sulla relazione di coppia (per maggiori dettagli, vedi Capitolo 5).
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Desiderio sessuale ed eccitazione centrale
Dispareunia vaginismo
Eccitazione e recettività vaginale
Risoluzione e soddisfazione
Orgasmo A. Graziottin, 2010
Fig. 3.2 Funzione sessuale femminile, dispareunia e vaginismo. Il dolore coitale (dovuto a vaginismo o ad altri fattori di dispareunia) interferisce con i diversi aspetti della funzione sessuale. Direttamente inibisce la lubrificazione vaginale, provocando difficoltà di eccitazione con secchezza vaginale, e riducendo così la recettività (o abitabilità) vaginale. Indirettamente, causa difficoltà nell’orgasmo coitale fino all’anorgasmia, frustrazione, insoddisfazione, perdita secondaria del desiderio sessuale e dell’eccitazione mentale, con progressivo evitamento dell’intimità sessuale, per lo meno coitale, nella maggior parte delle coppie. Insoddisfazione e dolore agiscono anche sul tono dell’umore, causando depressione che ulteriormente inibisce il desiderio e la disponibilità sessuale, oltre ad amplificare la stessa percezione del dolore genitale
Affrontare i problemi sessuali nel setting clinico Nonostante la stretta relazione fra vulvodinia e dispareunia, i medici in genere hanno difficoltà a investigare il risvolto sessuale della vulvodinia: per la mancanza di formazione, per il timore di aprire un “vaso di Pandora” di lamentele e preoccupazioni, per mancanza di tempo, per la preoccupazione di essere percepiti in qualche modo come inappropriati o invadenti nel fare domande sulla sessualità della paziente. Di conseguenza, solo una piccola minoranza di medici pone routinariamente domande sul dolore coitale nel momento in cui approfondisce con la paziente le ragioni del dolore vulvare. E un numero ancora minore raccomanda l’astensione dai rapporti sino a quando non sia stato raggiunto l’obiettivo di una completa guarigione della mucosa introitale, un adeguato rilassamento del pavimento pelvico e la totale remissione del dolore vulvare. Consentire la prosecuzione dei rapporti sessuali, che sono un importante fattore predisponente,
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precipitante e di mantenimento della dispareunia e della vulvodinia, contribuisce alla cronicizzazione del dolore e al passaggio progressivo del dolore stesso da nocicettivo a neuropatico. Altre forme di intimità – come i preliminari, la reciproca masturbazione e i rapporti senza penetrazione – possono continuare ad essere praticate, per lo meno nei casi meno severi di vulvodinia. Alcune domande chiave sono invece assolutamente indispensabili per comprendere appieno il significato e la fisiopatologia della vulvodinia. Quando si investiga il risvolto sessuale della vulvodinia, è fondamentale: – affrontare il tema della sessualità come parte essenziale della storia personale della paziente, iniziando con una semplice domanda a risposta aperta: “Com’è la sua vita sessuale?”, oppure “Avverte dolore durante i rapporti, o ha altri problemi sessuali?”. Questo dimostra alla paziente che il medico si sente a proprio agio di fronte a questo tipo di problemi e ritiene che essi rappresentino un aspetto importante della salute e del benessere della paziente. E scongiura la “collusione del silenzio”, che si verifica quando la donna è troppo timida o riservata per parlare del problema, e il medico troppo preoccupato per sollevarlo; – prendere sul serio ogni problema di tipo sessuale, qualsiasi siano l’età della paziente o le sue condizioni mediche; – essere sensibili ai fattori di genere e culturali, ma non avere pregiudizi basati su stereotipi di genere o culturali, anche discutendo problemi di natura sessuale. È opportuno partire sempre dal presupposto che ogni paziente si presenta con una storia personale e bisogni unici; – prendere in considerazione il ruolo del partner (se esistente) nella relazione sessuale. In ogni tipo di intervento, tenere sempre presenti le dinamiche di coppia; – dedicare un’attenzione particolare al rispetto delle informazioni riservate e al consenso informato, ma anche ai potenziali limiti del concetto di “confidenzialità”, come per esempio nel caso si venga a conoscenza di un abuso sessuale, soprattutto nelle pazienti più giovani; – nel caso si debbano usare termini caratterizzati da una connotazione emotiva, come per esempio “abuso sessuale”, il chiedere “Ha mai avuto un’esperienza sessuale non desiderata?”, piuttosto che “È mai stata sessualmente abusata?”, ha una probabilità molto più elevata di ottenere l’informazione desiderata. La paziente potrebbe dire, per esempio: “Ero ubriaca quando ho avuto il mio primo rapporto e da allora mi sono sempre sentita in colpa per questo”, oppure “Da allora provo dolore”, suggerendo così importanti cofattori psicosessuali nell’eziologia e nella permanenza del dolore; – last but not least, essere consapevoli delle vostre aree di disagio nell’affrontare questioni sessuali delicate (Tabella 3.1 e 3.2).
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Tabella 3.1 Argomenti sessuali: elementi di scenario a) Un approccio proattivo ed empatico alla vita sessuale delle vostre pazienti trasmette un senso di disponibilità e accettazione. I problemi sessuali possono essere discussi e investigati in molti diversi contesti, per esempio: - quando si raccolgono informazioni sulla funzione sessuale; - analizzando le possibili conseguenze di malattie, traumi, procedure o medicazioni, e in particolare la potenziale comorbilità fra vulvodinia e dispareunia; - quando la paziente stessa solleva problemi o formula domande di natura sessuale. b) Ci vuole coraggio per svelare un disturbo o un trauma sessuale. Queste rivelazioni devono essere prese sul serio e affrontate con sensibilità. c) Le pazienti possono riflettere un’ampia varietà di esperienze, valori e attitudini: - tutte possono avere interessi o preoccupazioni di ordine sessuale, incluse le donne anziane, le disabili e quelle con patologie croniche come la vulvodinia o altre forme di dolore cronico; - è importante essere sensibili alle differenze di genere e culturali, ma non dare mai per scontato che una paziente debba necessariamente soddisfare uno stereotipo di genere o culturale. d) Quando possibile, è opportuno coinvolgere nella diagnosi e nella terapia sia la paziente sintomatica, sia il suo partner. Modificata da: Plaut M, Graziottin A, Heaton J (2004) Sexual Dysfunction. Fast Facts Series. Health Press, Oxford, UK
Tabella 3.2 Argomenti sessuali: come comunicare con la paziente -
saper cogliere il momento giusto per formulare le domande più delicate dal punto di vista emotivo;
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cercare e rispondere ai segnali non verbali che possono rivelare disagio, sorpresa, preoccupazione o dolore;
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essere sensibili all’impatto delle parole fortemente connotate dal punto di vista emotivo (per esempio, aborto, masturbazione, stupro);
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se non siete sicuri dell’orientamento sessuale della paziente, usate espressioni neutrali rispetto al genere quando vi riferite al partner;
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spiegate e motivate le vostre domande e procedure;
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informate e rassicurate la paziente, spiegando in particolare le diverse fasi dell’esame medico obiettivo e spiegando che cos’è la “mappa del dolore” alle pazienti affette da vulvodinia;
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strutturate il vostro intervento sulle vostre reali competenze: se necessario, inviate la paziente a specialisti qualificati, in ambito sia medico, sia psicosessuale.
Modificata da: Plaut M, Graziottin A, Heaton J (2004) Sexual Dysfunction. Fast Facts Series. Health Press, Oxford, UK
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Vaginismo e dispareunia: in che modo possono contribuire alla vulvodinia? Vaginismo e dispareunia (superficiale e profonda) sono i disturbi sessuali caratterizzati da dolore nella donna. Sono sempre stati tenuti distinti da una consolidata tradizione che ha radici soprattutto nel mondo della sessuologia di estrazione psicologica e psicodinamica. Le ricerche più recenti di sessuologia medica dimostrano invece che una diagnosi differenziale realmente precisa tra queste due entità cliniche è difficile e presenta persistenti problemi. Entrambi i disturbi possono infatti includere, in misura più o meno ampia: a. problemi di tensione: volontaria, involontaria, limitata allo sfintere vaginale, al muscolo bulbocavernoso, o estesa al muscolo elevatore dell’ano, ai muscoli adduttori, alla schiena, alle mascelle, o addirittura all’intero corpo; b. dolore al contatto genitale: localizzato superficialmente in corrispondenza dell’entrata vaginale, del vestibolo vulvare e/o del perineo; correlato alla durata del contatto o della pressione genitale, o tendenzialmente cronico, o comunque persistente per minuti, ore o giorni dopo la fine del contatto; correlato unicamente al contatto genitale durante l’attività sessuale o associato più in generale con qualsiasi tipo di pressione vulvare, vaginale e pelvica (per esempio, stare seduta, andare a cavallo o in bicicletta, vestire pantaloni stretti); c. paura del dolore sessuale: specificamente associata al contatto genitale e al rapporto, o a una più generale paura del dolore o del sesso; d. propensione all’approccio o all’evitamento: nonostante il dolore provato con il contatto genitale e i rapporti completi, un sottogruppo di donne continua ad essere disponibile nei confronti dell’iniziativa sessuale propria o del partner: questo comportamento può avere significati psicodinamici molto differenti. Può contribuire a mantenere un legame più stretto, se scelto consciamente o inconsciamente dalla donna, ma al prezzo di un peggioramento dell’infiammazione; oppure, al contrario, può essere percepito come un vero e proprio abuso, quando il partner lo impone perché esasperato dalla malattia della donna, o perché informato dal medico che “lei il dolore se lo sta inventando” o che “il dolore è tutto nella sua testa” (cosa che fa torto alla verità biologica della patologia). Comunque, la maggioranza delle pazienti affette da dispareunia e/o vulvodinia tende progressivamente a evitare i rapporti, come comprensibile forma di autoprotezione da ulteriore dolore e dal peggioramento della sintomatologia associata.
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In sintesi: Una moderata, cronica iperattività del muscolo elevatore dell’ano e degli altri muscoli del pavimento pelvico, che può essere osservata in corrispondenza dei gradi I e II del vaginismo secondo Lamont (Tabella 3.3), può consentire i rapporti nonostante il dolore, contribuendo così alla dispareunia cronica. Una forte iperattitività del muscolo elevatore dell’ano, associata a variabile fobia della penetrazione, comporta vaginismo severo: esso impedisce i rapporti sessuali ed è la più frequente causa femminile di relazione o matrimonio non consumato. Comunque, dal momento che a oggi non c’è consenso sull’unificazione dei due quadri clinici, essi saranno tenuti separati in accordo alle più recenti classificazioni.
Tabella 3.3 Valutazione clinica di gravità del vaginismo Gradi I Spasmo dell’elevatore, che scompare con la rassicurazione II Spasmo dell’elevatore, che persiste durante la visita ginecologica III Spasmo dell’elevatore e sollevamento delle natiche a ogni tentativo di visita ginecologica IV Moderata eccitazione neurovegetativa, spasmo dell’elevatore, inarcamento dorsale, adduzione delle cosce, difesa e retrazione V Eccitazione neurovegetativa e difesa estreme: la paziente rifiuta la visita Modificata da: Lamont JA (1978) Vaginismus. Am J Obst Gyn 131:632-636
Fisiopatologia
La ricettività vaginale è un prerequisito del rapporto sessuale, e presuppone l’integrità anatomica e funzionale dei tessuti, sia nello stato di riposo che in quello di eccitazione. Le condizioni biologiche per assicurare l’“abitabilità” vaginale sono indicate nella Tabella 3.4. Un aspetto trascurato è la compatibilità dimensionale tra membro maschile eretto e vagina: un terzo circa delle donne con vulvodinia presenta anche un problema di questo tipo. La minore compatibilità è più probabile se la donna ha genitali esterni ipoplasici (“infantili”) e/o vagina breve, naturale e in conseguenza di interventi chirurgici, per esempio in seguito a
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carcinoma del collo dell’utero che abbia richiesto una parziale amputazione della vagina. Patologie diverse che interessano l’introito vaginale (vulvodinia, episiotomia, colpoplastica anteriore o posteriore) possono causare dispareunia superficiale. Patologie quali la malattia infiammatoria pelvica (Pelvic Inflammatory Disease, PID), e l’endometriosi, se localizzata a livello del terzo vaginale superiore, dei ligamenti uterosacrali, del cavo del Douglas e/o del miometrio (“adenomiosi”) possono causare dispareunia profonda.
La ricettività della vagina può poi essere ulteriormente modulata da fattori psicosessuali, mentali e interpersonali, che possono determinare un’eccitazione inadeguata con secchezza vaginale.
Tabella 3.4 I fattori biologici che contribuiscono a mantenere l’“abitabilità” vaginale -
trofismo normale, ossia una mucosa introitale e una pelle vulvare sane;
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adeguata impregnazione estrogenica in vagina, e androgenica, nella vulva;
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normale tonicità dei muscoli perivaginali, primo fra tutti l’elevatore dell’ano;
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integrità vascolare, connettivale e neurologica;
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normale risposta immunitaria locale;
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nessun segno o sintomo di infiammazione, in particolare all’introito e/o nel terzo vaginale superiore, a livello dei ligamenti utero sacrali, e/o del miometrio e/o del cavo del Douglas.
La paura della penetrazione, e una generale tensione muscolare secondaria all’ansia, possono causare una contrazione difensiva dei muscoli perivaginali, determinando vaginismo cronico. Questo disturbo può essere anche il correlato clinico di una neurodistonia primaria del pavimento pelvico, come è stato recentemente dimostrato con l’elettromiografia ad ago. Può essere così severo da impedire completamente la penetrazione. La contrazione difesiva del pavimento può essere secondaria al dolore genitale, o ad altre cause. La dispareunia è il sintomo comune a una varietà di disturbi coitali dolorosi (Tabella 3.5). La vestibolite vulvare (VV), sottospecie della vulvodinia, ne è la più importante causa fra le donne in età fertile. La triade diagnostica è la seguente: 1. forte dolore al contatto con il vestibolo o al tentativo di penetrazione; 2. acuta sensibilità alla palpazione dell’area introitale con un cotton fioc (soprattutto alle 5 e alle 7, guardando all’introito come al quadrante di un orologio); 3. dispareunia.
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Tabella 3.5 Eziologia della dispareunia: cause differenti possono sovrapporsi in una complessa e dinamica interazione fisiopatologica A) Biologiche 1) dispareunia superficiale/introitale e/o mediovaginale 2)
infettive: vulviti, vestibolite vulvare, vaginiti, cistiti; infiammatorie: con iper-regolazione dei mastociti; ormonali: atrofia vulvo-vaginale; anatomiche: imene fibroso, agenesia vaginale, sindrome di Rokitansky; muscolari: iperattività primaria o secondaria del muscolo elevatore dell’ano; iatrogene: esiti di chirurgia genitale o perineale; radioterapia pelvica; neurologiche, incluso il dolore neuropatico; connettive e immunitarie: sindrome di Sjogren; vascolari; mutilazioni genitali femminili, con restringimento introitale e vaginale. dispareunia profonda
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endometriosi; malattia infiammatoria pelvica (pelvic inflammatory disease, PID); dolore pelvico cronico e dolore riferito; varicocele pelvico; esiti di chirurgia pelvica radicale o di radioterapia endovaginale; sindrome dell’intrappolamento del nervo cutaneo addominale; (abdominal cutaneous nerve entrapment syndrome, ACNES).
B) Psicosessuali -
comorbilità con disturbi del desiderio e dell’eccitazione, o vaginismo; pregresse molestie sessuali o abusi; disturbi affettivi psicobiologici: ansia e depressione; catastrofismo, come modalità dominante nell’affrontare la malattia.
C) Correlate alla coppia o al contesto -
mancanza di intimità emotiva; preliminari inadeguati; conflitti di coppia; partner abusante a livello verbale, fisico e/o sessuale; bassa compatibilità anatomica (dimensioni del pene e/o genitali femminili “infantili”); insoddisfazione sessuale e conseguente inadeguata eccitazione.
Adattata da: Graziottin A (2005), Il dolore segreto, Mondadori, Milano
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Approccio clinico Storia clinica Nei disturbi sessuali con dolore, un’accurata storia clinica e un approfondito esame fisico sono essenziali alla diagnosi e alla prognosi (Figura 3.3). La localizzazione e le caratteristiche del dolore sono i fattori predittivi più significativi della sua eziologia. Nessun esame strumentale si è finora dimostrato più prezioso dal punto di vista informativo di un esame clinico condotto con cura. Focalizzandoci sulla dispareunia, e con la summenzionata attenzione alla delicatezza dell’argomento, le domande chiave da porre per ottenere le più rilevati informazioni possono essere riassunte così:
Fig. 3.3 I sintomi (dispareunia e dolore provocato al vestibolo vulvare) e i segni (vestibolite vulvare e ipertono del muscolo elevatore dell’ano) mostrano forte correlazione se il ginecologo ascolta con attenzione i disturbi riferiti dalla donna ed effettua un’accurata visita ginecologica con appropriata semeiologia del dolore
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• ha sempre provato dolore coitale, dall’inizio della sua vita sessuale in poi (dispareunia primaria o lifelong) o dopo un periodo di rapporti sessuali normali, senza dolore (dispareunia acquisita)? Se si tratta di un dolore che ha sempre avuto, aveva paura di provare dolore prima di avere il suo primo rapporto? Punto chiave: quando è primaria, la dispareunia può normalmente essere causata da un vaginismo lieve o moderato (che consente la penetrazione, pur con dolore) e/o da paralleli disturbi cronici del desiderio e dell’eccitazione.
• Se è un dolore acquisito, riesce a ricordare la situazione o ciò che accadde quando è iniziato? Punto chiave: la risposta può fornire informazioni sulla “storia naturale” dell’attuale disturbo sessuale, e sulla “lettura personale” che la donna ha del suo problema, dei cofattori più significativi e del loro significato.
•
Dove fa male? All’inizio della vagina, a metà vagina o al fondo? Punto chiave: la localizzazione e le caratteristiche del dolore sono i più forti fattori predittivi della presenza e del tipo di cause organiche.
– la dispareunia introitale può essere più frequentemente provocata da inadeguata eccitazione, vaginismo lieve, vestibolite, distrofia vulvare, esiti di terapie vulvari, chirurgia perineale (episiorrafia, colporrafia, perineorrafia posteriore), mutilazioni genitali femminili con restringimento dell’introito e della vagina, sindrome dell’intrappolamento del nervo pudendo e/o nevralgia pudenda, sindrome di Sjogren; – il dolore medio-vaginale, evocato in forma acuta durante l’esame obiettivo con una leggera pressione all’inserzione sulla spina ischiatica del muscolo elevatore dell’ano, è più frequentemente dovuta a una mialgia dell’elevatore dell’ano, la più frequentemente trascurata causa biologica di dispareunia; – il dolore vaginale profondo (dispareunia profonda) può essere provocato più frequentemente dall’endometriosi, dal dolore pelvico cronico o dalla malattia infiammatoria pelvica (PID) o dagli esiti di radioterapia
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pelvica o di chirurgia vaginale radicale. Varicocele, aderenze, dolore addominale riferito e sindrome dell’intrappolamento del nervo cutaneo addominale (ACNES) sono cause meno frequenti e ancora controverse, ma che comunque andrebbero prese in considerazione nella diagnosi differenziale. •
Quando sente male? Prima, durante o dopo il rapporto? Punto chiave: il momento in cui il dolore si manifesta è critico per capire la concatenazione degli eventi fisiopatologici, nonché la potenziale connessione fra vaginismo e dispareunia, e le principali comorbilità.
– il dolore prima del rapporto suggerisce un’attitudine fobica verso la penetrazione, solitamente associata a vaginismo, e/o la presenza di vestibolite vulvare cronica, clitoralgia e/o vulvodinia, che può favorire il dolore anche nella condizione di eccitazione che si determina durante i preliminari e immediatamente prima della penetrazione; – il dolore durante il rapporto è quello più frequente. Questa informazione, combinata con la precedente (“Dove fa male?”), è la più predittiva della base organica del dolore; – il dolore dopo il rapporto indica che il danno alla mucosa è stato provocato durante la penetrazione, probabilmente a causa di una inadeguata lubrificazione parallela a una vestibolite, al dolore e alla contrazione difensiva del pavimento pelvico. • Avverte sintomi correlati, secchezza vaginale, dolore o parestesie nei genitali e nell’area pelvica? Soffre di cistite 24-72 ore dopo il rapporto? Punto chiave: l’attenzione ai sintomi correlati è un fattore chiave per la diagnosi precoce delle comorbilità e per la corretta comprensione della fisiopatologia dei disturbi attuali.
– la secchezza vaginale, secondaria a carenza estrogenica e/o a inadeguata eccitazione genitale, può determinare la dispareunia o contribuirvi in misura determinante; – la clitoralgia e/o la vulvodinia, spontanee e/o peggiorate dal rapporto sessuale, possono associarsi a dispareunia, ipertono del pavimento pelvico e/o dolore neurogenico, inclusa la sindrome da intrappolamento del nervo pudendo;
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Vulvodinia
– la cistite post-coitale dovrebbe suggerire una condizione di ipoestrogenismo e/o la presenza di un ipertono del pavimento pelvico. Dovrebbe essere specificamente investigata nelle giovani che lamentino bruciori alla vescica in comorbilità con la dispareunia e nelle donne in postmenopausa che possano trarre beneficio da un trattamento estrogenico locale e dalla riabilitazione del pavimento pelvico, mirata a rilassare i muscoli perivaginali mialgici; – il prurito vulvare, la secchezza vulvare e/o la sensazione di bruciore alla vulva dovrebbero essere investigate, perché possono suggerire la presenza di un lichen sclerosus vulvare, che a sua volta può peggiorare la dispareunia introitale. Il dolore neurogenico può causare non solo dispareunia, ma anche clitoralgia. La secchezza degli occhi e della bocca, associata a dispareunia e a secchezza vaginale, dovrebbe suggerire l’ipotesi diagnostica della sindrome di Sjogren, una malattia connettiva e immunitaria. • Quanto è intenso il dolore che avverte? Punto chiave: l’analisi dell’intensità e delle caratteristiche del dolore è un approccio relativamente nuovo nella cura della dispareunia. Lo spostamento del dolore da nocicettivo a neuropatico è tipico della dispareunia cronica, e la terapia può richiedere un approccio analgesico sistemico e locale.
Consigli pratici Suggerite alla paziente di tenere un “diario del dolore” cadenzato, se la donna è in età fertile, sulle diverse fasi del ciclo mestruale (per esempio, iniziando ogni pagina dal primo giorno del ciclo, con la data in ascissa e le 24 ore del giorno in ordinata. L’intensità del dolore può essere annotata con tre colori: nessun dolore = bianco; da 1 a 3 = giallo; da 4 a 7 = rosso, da 8 a 10 (il peggior dolore possibile) = nero). Il diario può: 1) migliorare la registrazione e la comprensione degli attacchi di dolore prima, durante e dopo il ciclo, e il ritmo circadiano del dolore, per migliorare la diagnosi dell’eziologia e dei fattori che contribuiscono al dolore stesso; 2) suggerire un migliore adattamento del trattamento analgesico; 3) rendere più accurata la registrazione dell’impatto della terapia sulla percezione del dolore, in un agevole colpo d’occhio. Tipicamente, il dolore nocicettivo persiste e peggiora di notte, mentre il
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dolore neuropatico è significativamente minore, o del tutto assente, durante il sonno.
Conclusioni Il dolore è raramente psicogeno, e la dispareunia non fa eccezione. Come ogni sindrome dolorosa, essa è normalmente provocata da uno o più fattori biologici. I disturbi correlati all’iperattività del pavimento pelvico sono una componente costante, e la comorbilità con i disturbi urologici e/o proctologici è un’area ancora trascurata da esplorare per una terapia davvero globale. I fattori psicosessuali e relazionali, i disturbi del desiderio primari o acquisiti a causa del dolore, e i disturbi dell’eccitazione primari o acquisiti a seguito dell’effetto inibitore del dolore, dovrebbero essere affrontati in parallelo, in modo da garantire una terapia globale, integrata ed efficace. Il vaginismo, che può contribuire alla dispareunia cronica quando lieve o moderato, o impedire i rapporti quando severo, deve essere compreso meglio nella sua complessa eziologia neurobiologica, muscolare e psicosessuale, e affrontato del pari con un approccio multimodale. Anche i fattori di coppia dovrebbero essere diagnosticati, prevedendo un’appropriata consulenza specialistica quando anche il partner presenti un concomitante disturbo sessuale maschile. Nelle pazienti con vaginismo, la diagnosi e la prognosi si basano su tre variabili: • l’intensità dell’attitudine fobica (lieve, moderata, severa) verso la penetrazione; • l’intensità dell’ipertono del pavimento pelvico (quattro gradi, secondo Lamont); • la compresenza di problematiche psicosessuali personali e/o relazionali.
Letture consigliate Graziottin A (2001) Clinical approach to dyspareunia. J Sex Marital Therapy 27:489-501 Graziottin A (2003) Dyspareunia in the perimenopause. In: Studd J (ed) The management of the menopause. London, Parthenum Publishing Graziottin A (2005) Il dolore segreto. Mondadori, Milano Graziottin A (2006) Sexual pain disorders: dyspareunia and vaginismus. In: Porst H, Buvat J, (eds) ISSM (International Society of Sexual Medicine) Standard Committee Book, Standard practice in Sexual Medicine. Blackwell, Oxford, UK, pp 342-350. Disponibile su www.alessandragraziottin.it
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Vulvodinia
Graziottin A (2006) Iatrogenic and post-traumatic female sexual disorders. In: Porst H, Buvat J (eds) ISSM (International Society of Sexual Medicine) Standard Committee Book, Standard practice in Sexual Medicine. Blackwell, Oxford, UK, pp 351-361. Disponibile su www.alessandragraziottin.it Graziottin A (2007) Prevalence and evaluation of sexual health problems – HSDD in Europe. J Sex Med 4, Suppl 3:211-219 Graziottin A (2007) Vaginismo: fisiopatologia e diagnosi. In: Jannini EA, Lenzi A, Maggi M (eds) Sessuologia Medica. Trattato di psicosessuologia e medicina della sessualità. Elsevier Masson, Milano, pp 374-379 Graziottin A (2009) Mast cells and their role in sexual pain disorders. In: Goldstein A, Pukall C, Goldstein I (eds) Female Sexual Pain Disorders: Evaluation and Management. Blackwell Publishing, pp 176-179 Lamont JA (1978) Vaginismus. Am J Obst Gyn 131:632-636 Peters KM, Killinger KA, Carrico DJ et al (2007) Sexual function and sexual distress in women with interstitial cystitis: a case control study. Urology 70:543-547 Plaut M, Graziottin A, Heaton J (2004) Sexual Dysfunction. Fast Facts Series. Health Press, Oxford, UK
Vulvodinia: che cosa dicono le donne?
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“Ho bruciore alla vagina per due-tre giorni dopo il rapporto sessuale. Prima era saltuario, ma adesso è presente ogni volta in cui facciamo l’amore e va sempre peggio”. “Non ho mai avuto problemi nei rapporti fino a due anni fa, quando mi è scoppiata una vaginite da Candida dopo una cura antibiotica. Da allora sono sempre infiammata, ho bruciore, dolore e tutti i sintomi di una Candida che non va più via”. “Ho avuto le prime cistiti da quando ho iniziato ad avere i primi rapporti sessuali, prima una volta al mese, adesso praticamente dopo ogni rapporto. E’ diventato un inferno. In più per la paura che mi è venuta non mi eccito più, ho secchezza vaginale e adesso ho dolore anche durante il rapporto sessuale. Come se avessi dei taglietti lì, all’entrata della vagina”. “Ho dolore ai genitali esterni, sempre. Un dolore sordo, continuo, che mi impedisce anche di stare seduta. Di rapporti, poi, non se ne parla proprio. Ho troppo male!” “Da ragazza avevo paura della prima volta, per cui per anni ho evitato di avere rapporti. Poi, piano piano, il mio attuale marito ha avuto tanta pazienza e mi ha convinto a provare. Ma ho sempre avuto male, solo che adesso va sempre peggio. Abbiamo rapporti sì e no una volta al mese, ma adesso vorremmo un figlio che non arriva. Ci può aiutare?”
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Vulvodinia
“Ho dolore in tutti i genitali, ma di più nella parte alta, dove ho il clitoride. Non posso farmi sfiorare in nessun modo, non sopporto più i pantaloni e neanche la biancheria. Tutto mi dà fastidio, posso lavarmi solo con acqua. E nessuno capisce che cos’ho”. “No, non ho mai avuto rapporti. No, non ho mai avuto un ragazzo. L’anno scorso ho dovuto fare una forte cura antibiotica perché mi ero presa la broncopolmonite. Da lì è cominciato un bruciore continuo ai genitali che non va più via”. “Ho avuto un parto difficile, mi hanno dovuto fare un taglio grande (l’episiotomia, NdR), che poi si è infettato. Ci sono voluti due mesi perché la ferita guarisse, ma mi è rimasto un dolore tremendo dove mi hanno cucito, come avere un coltello lì. La bambina ha già nove mesi, ma io non riesco più ad avere rapporti tanto è il male che ho!” “Che vergogna, è un disturbo brutto, non si può parlare con nessuno! Sono vedova da tanti anni, non ho più avuto rapporti. E adesso, a settant’anni, mi trovo in questa condizione: da tre anni mi è venuto questo bruciore sulla natura (la vulva, NdR) che non mi lascia più. Ho provato di tutto, senza nessun risultato e sono disperata! L’unico posto dove sto un po’ meglio è sdraiata a letto, ma non si può vivere così…” “Soffro di colite (sindrome del colon irritabile, NdR) da tanti anni e quando sono più stressata, e la colite va peggio, peggiora anche il bruciore che ho dopo i rapporti, lì, proprio all’entrata della vagina”. “No, guardi, non sopporto neanche la visita ginecologica. Se appena mi tocca lì, ho un dolore come se fossi scottata con un ferro bollente!!!” “Non ho più desiderio sessuale, per nessuno. Se ho mai avuto dolore ai rapporti, in passato? Sì, adesso che mi ci fa pensare sì, tanti anni fa. Poi, anche per non star male, si è fatto sempre meno. Adesso non ho rapporti da sei mesi, perché l’ultima volta ho avuto un bruciore pazzesco che mi è durato per una settimana. E chi si fida più di riprovare?” “Ho avuto per molto tempo dolore e bruciore vicino all’entrata della vagina. Il medico dice che probabilmente si tratta di vulvodinia”.
4 Vulvodinia: che cosa dicono le donne?
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L’attenzione alle parole con cui la donna descrive i propri sintomi è essenziale per cogliere la storia del disturbo – della vulvodinia – fin dall’inizio; per annotare i fattori che la donna ritiene importanti nella sua genesi e nel suo mantenimento; per riconoscere le comorbilità mediche e psicosessuali, spesso evidenti fin dalle prime parole; per registrare le diagnosi formulate e le eventuali cure, con attenzione a quello che si è rivelato utile, da continuare quindi, e migliorare, rispetto a quanto è stato inutile o dannoso. Il dolore è insidioso sul piano emotivo, e a livello conscio si cerca di evitarlo: tuttavia, è un fattore della massima importanza per la nostra sopravvivenza. La percezione del dolore è una delle variabili più difficili da misurare, perché risulta dall’aggregazione e interazione di numerosi fattori associati al funzionamento del sistema nervoso centrale e periferico, alle modalità di risposta allo stress e alla presenza di stati infiammatori, genitali e sistemici. Come anticipato, la vulvodinia – nella letteratura scientifica – è definita come un dolore vulvare cronico in assenza di evidenze oggettive cliniche o sperimentali capaci di spiegarne i sintomi. Il prurito è assente o secondario, e non provoca il bisogno di grattarsi. Tuttavia, con un corretto esame obiettivo la vulvodinia presenta nella maggior parte dei casi caratteristiche semeiologiche e istologiche peculiari (si veda il capitolo 6, sulla diagnosi clinica). Una buona definizione pratica di vulvodinia – quando si dialoga con la paziente – è quella di “condizione vulvare in cui il sintomo dominante è il dolore che può essere percepito dalla donna in modi diversi”.
Box 1. Il dolore vulvare ● ●
● ●
Il dolore vulvare si presenta spesso come bruciante, urente Altre pazienti descrivono il disturbo con termini come irritazione, puntura, sensazione spiacevole, formicolio o, semplicemente, “percezione” della vulva Il disagio viene espresso anche come “dolore lì sotto” o “dolore femminile” Il dolore vulvare può essere: - provocato: quando appare in risposta a uno stimolo (preliminari sessuali, rapporto sessuale, ma anche visita ginecologica e perfino il contatto con la propria mano per lavarsi nell’igiene intima; il dolore può essere provocato/peggiorato anche da saponi, da profumi spruzzati sui genitali, dalla cucitura dei jeans o da body attillati) - spontaneo: quando appare indipendentemente da qualsivoglia stimolo
Vulvodinia
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La dispareunia è una forma di dolore genitale che si prova immediatamente prima, durante o dopo il rapporto sessuale.
La pazienti possono lamentare un dolore ben definito e localizzato, oppure esprimere disinteresse e insoddisfazione nei riguardi dei rapporti intimi, che derivano a loro volta dal disagio provato. Nella maggior parte dei casi, il dolore viene avvertito durante la penetrazione, ma alcune donne lo percepiscono anche dopo, e altre ancora in entrambi i momenti. Il dolore prima del rapporto può essere provocato da un’irritazione dei genitali esterni, o dalla vasocongestione che si verifica durante la fase di eccitazione. Rispetto alla popolazione generale, le donne affette da dispareunia hanno una maggiore probabilità di provare dolore inserendo il tampone, o durante la visita ginecologica. La dispareunia si associa a un atteggiamento più negativo verso la sessualità, a una maggiore incidenza di disturbi sessuali e a maggiore insoddisfazione nella relazione di coppia, con aumento di conflitti, tensioni, allontanamento reciproco e minore adattabilità. Non sorprende inoltre che le donne con dispareunia abbiano rapporti meno frequenti, più bassi livelli di desiderio e di eccitazione, e orgasmi meno intensi, o assenti, sia con la stimolazione orale sia con la penetrazione. La scala di Marinoff permette di valutare l’intensità della dispareunia proprio in rapporto all’interferenza che essa esercita nei confronti dei rapporti sessuali. Box 2. Intensità della dispareunia: scala di Marinoff 0 1 2 3
Nessun dolore Il dolore causa disagio, ma non interferisce con la frequenza dei rapporti A volte il dolore impedisce il rapporto Il dolore impedisce sempre il rapporto
Quando la visita provoca dolore, il medico può verificare se esso è simile a quello che la donna prova durante i rapporti. Nel 90% dei casi, secondo una ricerca di Sophie Bergeron e collaboratori condotta alla McGill University di Montreal, la visita ginecologica (ben fatta!) può infatti evocare lo stesso tipo di dolore che la donna avverte durante il rapporto sessuale. Ci sono due principali tipologie di dolore, a seconda che la donna abbia
4 Vulvodinia: che cosa dicono le donne?
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una vulvodinia/vestibolodinia (vestibolite vulvare) oppure una vulvodinia generalizzata. La vestibolodinia è la forma più frequente di vulvodinia ed è definita come un dolore o un bruciore localizzato vicino al vestibolo della vulva, provocato dalla pressione o dalla frizione sul vestibolo stesso. Questo dolore è normalmente associato ai rapporti, all’uso del tampone, agli indumenti stretti e all’andare in bicicletta, e non è quasi mai spontaneo. La seconda tipologia è la vulvodinia generalizzata, in cui il dolore e il bruciore non sono limitati all’area del vestibolo, e possono comparire anche in assenza di contatto o pressione. Quando le viene chiesto di localizzare con precisione questo tipo di dolore, la donna spesso non ci riesce e si limita a indicare l’area approssimativa in cui lo avverte. La dispareunia è un’importante componente della vulvodinia e può comparire come sintomo isolato.
In altre parole, la dispareunia è una componente del dolore vulvare legata alla sollecitazione meccanica del rapporto sessuale e può essere l’unico sintomo che la donna avverte, soprattutto nella vestibolodinia provocata.
Il dolore vulvare deve essere valutato in modo approfondito: e poiché il dolore è, in generale, un’esperienza eminentemente soggettiva, la storia personale della donna è la fonte principale della valutazione clinica. L’esame obiettivo e ogni ulteriore esame agevolano la comprensione della sindrome dolorosa e aiutano ad escludere altre ipotesi diagnostiche. Box 3. Valutazione clinica del dolore vulvare ●
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Valutazione e quantizzazione con scala analogica o numerica della gravità del dolore, alla prima visita e ad ogni controllo successivo La storia personale iniziale deve includere: cronologia dell’esordio del dolore e della sua progressione, caratteristiche del dolore, localizzazione del dolore e sua irradiazione, fattori che aggravano o alleviano il dolore e i sintomi associati (comorbilità) Domande sui pensieri, le emozioni e gli atteggiamenti associati al dolore Esame obiettivo dettagliato, non solo dell’area dolente ma di tutta la paziente, e in particolare dell’apparato muscolo-scheletrico e del sistema nervoso
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Vulvodinia
Il dolore vulvare può essere misurato solo in termini soggettivi. Il metodo più affidabile, e più facile da capire per la paziente, è la scala di valutazione numerica, graduata da 0 (assenza di dolore) a 10 (dolore massimo), con evidenziazione dei valori intermedi secondo un tasso pari a 0,5. Questo metodo è più efficace della scala analogica visuale (VAS), pur ampiamente usata, che è una semplice linea di 10 centimetri, numerata. In alternativa, si può usare una semplicissima scala di valutazione verbale, in cui il dolore può essere qualificato come assente, lieve, moderato, severo. Le scale numeriche e verbali hanno il vantaggio di poter essere utilizzate anche senza carta e matita, a differenza della scala analogica visuale. Dato che però il dolore è una variabile multidimensionale, una singola scala di valutazione aggrega senza analizzarlo il differente contributo di queste dimensioni. In base agli obiettivi clinici e agli specifici problemi della paziente, può quindi essere utile verificare separatamente l’intensità del dolore, il distress che ne deriva, e l’interferenza con le attività quotidiane. Può inoltre essere utile indagare il livello del dolore medio, del dolore massimo (anche se si verifica raramente, può essere importante per individuare i fattori precipitanti, che la paziente dovrebbe quindi evitare) e, per esempio, l’intensità del dolore durante la minzione. La riduzione del dolore può essere misurata tramite una scala percentuale graduata da 0% (nessun sollievo) a 100% (totale scomparsa del dolore). Tipicamente, il dolore può essere analizzato anche in base alle seguenti tre dimensioni: sensitivo-discriminativa, motivazionale-affettiva e cognitivovalutativa. Lo strumento multidimensionale validato più usato da questo punto di vista è il McGill Pain Questionnaire, nella versione breve e lunga (Fig. 4.1). Il questionario si articola in tre gruppi di definizioni – a livello sensoriale, affettivo e cognitivo – che la paziente può usare per specificare la propria esperienza soggettiva. Esso contiene inoltre una scala di “intensità” e altri elementi utili a determinare le caratteristiche dell’esperienza dolorosa. Una volta compilato, il questionario è in grado di fornire delle misurazioni quantitative del dolore clinico che possono essere elaborate con strumenti statistici.
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McGill Pain Questionnaire – versione breve Nome della paziente:
Data:
Definizione del dolore
Assente
Lieve
Moderato
Severo
Pulsante
0) ……………
1) ……………
2) ……………
3) ……………
Lancinante
0) ……………
1) ……………
2) ……………
3) ……………
A pugnalata
0) ……………
1) ……………
2) ……………
3) ……………
Pungente
0) ……………
1) ……………
2) ……………
3) ……………
A morsa, crampo 0) ……………
1) ……………
2) ……………
3) ……………
Sordo
0) ……………
1) ……………
2) ……………
3) ……………
Urente
0) ……………
1) ……………
2) ……………
3) ……………
Penoso
0) ……………
1) ……………
2) ……………
3) ……………
Violento
0) ……………
1) ……………
2) ……………
3) ……………
Leggero
0) ……………
1) ……………
2) ……………
3) ……………
Acuto
0) ……………
1) ……………
2) ……………
3) ……………
Sfinente
0) ……………
1) ……………
2) ……………
3) ……………
Sgradevole
0) ……………
1) ……………
2) ……………
3) ……………
Spaventoso
0) ……………
1) ……………
2) ……………
3) ……………
Crudele
0) ……………
1) ……………
2) ……………
3) ……………
Fig. 4.1 Versione breve del questionario di McGill: questionario di autosomministrazione costituito da alcune serie di parole idonee a descrivere i diversi caratteri del dolore. Modificata da: Melzack R (1987) The short-form McGill Pain Questionnaire. Pain 30(2):191-197
Conclusioni L’ascolto attento delle parole della donna nella prima consultazione sono essenziali per il rigoroso inquadramento del disturbo. La valutazione, l’analisi e la quantificazione del dolore vulvare, soggettiva e obiettiva, è poi fondamentale per comprendere in modo globale l’esperienza della paziente e pianificare una terapia efficace, dopo aver integrato le informazioni anamnestiche con adeguato esame obiettivo (si veda il capitolo 6, sulla diagnosi clinica).
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Vulvodinia
La valutazione quantitativa della sensibilità vulvare prima e dopo il trattamento può inoltre favorire l’ottimizzazione della terapia stessa.
Letture consigliate Bergeron S, Binik YM, Khalife S et al (1997) Vulvar vestibulitis syndrome: A critical review. Clinical. Journal of Pain 13:27-42 Goldstein A, Pukall C, Goldstein I (2009) Female Sexual Pain Disorders, 1 edn. Blackwell Publishing Graziottin A (2005) Il dolore segreto. Mondadori, Milano Marinoff SC, Turner MLC (1992) Vulvar vestibulitis syndrome. Dermatologic Clinics 10:435-44 Melzack R (1987) The short-form McGill Pain Questionnaire. Pain 30:191-197
Vulvodinia: che cosa la provoca. Fisiopatologia del dolore vulvare
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Introduzione La vulvodinia è una sindrome complessa caratterizzata da dolore vulvare associato a disfunzione sessuale e sofferenza psicologica. La sua eziologia rimane elusiva, ma diverse linee di ricerca suggeriscono l’ipotesi di una eziopatogenesi neuropatica del disturbo. Le manifestazioni della vulvodinia possono essere provocate da più di un fattore, e possono variare da paziente a paziente. Il dolore vulvare è un’esperienza sensoriale spiacevole e con pesanti riflessi emotivi, che invade la coscienza della donna. Il dolore si definisce cronico (o “persistente”) quando dura per almeno tre mesi. Tuttavia, i meccanismi che lo sottendono sono più importanti della durata in sé. Il dolore cronico si associa infatti a rilevanti modificazioni nel sistema nervoso centrale, il che può determinare una persistenza della percezione algica anche in assenza di un danno acuto. Le evidenze più recenti hanno significativamente ampliato la nostra comprensione della percezione del dolore e hanno dimostrato che in essa è coinvolta una complessa serie di strutture spinali, mesencefaliche e corticali.
Quanto è complessa la trasmissione del dolore vulvare all’interno del sistema nervoso centrale? La trasmissione del dolore dalla periferia ai centri cerebrali corticali superiori, passando per il midollo spinale, non è un processo semplice e passiVulvodinia. Alessandra Graziottin, Filippo Murina © Springer-Verlag Italia 2011
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Vulvodinia
vo che coinvolge vie esclusive. La relazione fra uno stimolo algico e il modo in cui esso è percepito da un individuo è drasticamente influenzata dai circuiti nervosi all’interno del midollo spinale e del cervello. Mentre viene trasmessa dalla periferia alla corteccia, la sensazione di dolore viene anche modulata a livello segmentale e con un controllo discendente dai centri superiori, in un processo in cui i principali neurotrasmettitori coinvolti sono la serotonina, la noradrenalina e gli oppioidi endogeni. Vediamo in sintesi le diverse fasi del processo. - I nocicettori periferici sono semplici fibre nervose caratterizzate da una terminazione sensibile e diffuse negli strati superficiali della pelle. Sono classificati come: Aδ, di piccolo diametro e con una sottile guaina di mielina; e fibre C, prive di mielina. I neuroni nocicettori si collegano ai nervi periferici ed entrano nel midollo spinale a livello del dermatomero definito dalla loro inserzione. L’innervazione della vulva è assicurata dal nervo pudendo, che origina dalle radici S2-4, e dai nervi ileoinguinale e genitofemorale, che originano da L1-2. Questi ultimi due nervi sono prevalentemente sensoriali, mentre il nervo pudendo contiene anche fibre motorie e fibre simpatiche, che governano i complessi riflessi autonomici degli organi pelvici. La vagina in sé è relativamente insensibile al dolore, mentre la vulva e, in particolare, il vestibolo vulvare, sono riccamente innervati di fibre nervose sensoriali. - Il midollo spinale integra i diversi input afferenti periferici, dopo di che i neuroni di secondo livello li trasmettono ai centri superiori attraverso vie ascendenti. La via ascendente tipicamente interessata dalla trasmissione del dolore è quella spinotalamica; altre vie rilevanti nella modulazione del dolore sono la spinomesencefalica, la spinoreticolare e la colonna dorsale. - Corteccia cerebrale. La percezione corticale del dolore si basa approssimativamente su un sistema laterale somatosensoriale, che si occupa di localizzare il dolore e misurarne l’intensità, e un sistema mediale che elabora le caratteristiche emotivo-affettive del dolore attraverso strutture limbiche. In termini semplici, la percezione del dolore è composta da elementi relativi alla percezione e alla localizzazione, e da altri elementi correlati alla memoria, al pensiero e alle emozioni. - Vie discendenti. Parte delle fibre spinotalamiche si proiettano verso la sostanza grigia periacqueduttale (PAG) e l’ipotalamo, e di lì verso il corno dorsale del midollo spinale. La PAG è un’area cerebrale ricca di recettori per gli oppiodi e che, di conseguenza, è coinvolta nel sistema degli oppioidi endogeni. Queste vie discendenti, quindi, svolgono una funzione inibitoria a livello del corno dorsale, riducendo l’intensità degli input nocicettivi ascendenti.
5 Vulvodinia: che cosa la provoca. Fisiopatologia del dolore vulvare
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Corteccia frontale e cingolata Risposta psicologica e interpretazione del dolore
Corteccia somatosensoriale Discriminazione degli elementi del dolore
Talamo Via discendente Vie spinotalamica e spinomesencefalica Midollo spinale Fig. 5.1 Rappresentazione schematica delle vie del dolore
Che cosa accade nel dolore neuropatico, e perché si considera la vulvodinia come una sindrome da dolore neuropatico? Si definisce “neuropatico” il dolore determinato da una lesione primaria o da una disfunzione del sistema nervoso. Il danno può essere localizzato in qualsiasi punto del corso del sistema nervoso: nel sistema periferico, nel sistema spinale o sopraspinale, nel cervello. Sotto il profilo clinico, il dolore neuropatico è caratterizzato da due processi sensoriali anomali, detti “iperalgesia” e “allodinia”. Per “iperalgesia” si intende una risposta amplificata a un stimolo doloroso in sé normale, dovuta alla moltiplicazione delle fibre del dolore e quindi ad un’amplificazione delle “antenne” che captano lo stimolo potenzialmente nocivo. Per “allodinia” si intende il viraggio della percezione dello stimolo da tattile a doloroso urente, dovuta alla dislocazione delle fibre del dolore, che da profonde nel tessuto si superficializzano verso gli strati esterni della mucosa. Le pazienti affette da vulvodinia manifestano entrambi questi elementi.
Vulvodinia
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Box 1. Glossario Allodinia: percezione algica di dolore urente evocata da uno stimolo che in condizioni normali non provoca dolore, ma stimolo tattile: è sottesa da una dislocazione delle fibre del dolore, che, in risposta al Nerve Growth Factor prodotto dal mastocita iperattivato, proliferano verso gli strati più superficiali della mucosa Sensibilizzazione centrale: mutamento fenotipico nelle vie del sistema nervoso centrale, che determina un’amplificata elaborazione degli stimoli nocicettivi Iperalgesia: amplificata percezione del dolore evocata da uno stimolo che in condizioni normali non provoca dolore, sottesa da un aumento numerico delle fibre del dolore, oltre che da un’aumentata produzione di sostanze algogene da parte del mastocita iperattivato Nocicezione: dolore e reazione dolorosa evocata dall’applicazione di un breve stimolo algico Nocicettori: fibre nervose primarie che reagiscono al danno tissutale o a stimoli capaci di attivarli
Aumento della concentrazione dei mastociti, anche degranulati, più elevata (p<0.001) negli strati superficiali che in quelli profondi (0.05) Mucosa normale
Mastociti
Mucosa nella V.V.
I mastociti producono NGF con proliferazione di terminazioni nervose nocicettive libere = aumento di 10 volte dei nocicettori e superficializzazione modificata da A. Graziottin delle fibre e E. Vincenti, 2004 Fig. 5.2. In questa immagine si notano con chiarezza la proliferazione delle fibre nervose indotta dall’iperattivazione del mastocita, e la loro espansione anche verso la superficie della mucosa, con aumento delle sensazioni tattili dolorose e urenti (allodinia)
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Analizziamo ora in dettaglio i passaggi che conducono al dolore neuropatico. - Modificazioni periferiche in seguito a un danno inferto al nervo. Un danno alla terminazione libera del nervo determina modificazioni strutturali e funzionali sia sulla parte danneggiata del nervo, sia sulla parte illesa. Queste modificazioni aumentano il firing ectopico e spontaneo, e il “cross-talk” fra nervi contigui (danneggiati o meno) può ulteriormente amplificare questo effetto. La rigenerazione del terminale dell’assone dopo il danno può potenziare il “cross-talk”, sebbene il grado della crescita non sia correlato con l’intensità del dolore, né dei comportamenti ad esso correlati. L’iperalgesia e l’allodinia sono espressioni sintomatiche di questi fenomeni. Si ritiene che il processo infiammatorio sia centrale nello sviluppo della sensibilizzazione periferica. Il Nerve Growth Factor (NGF) risulta essere una molecola chiave nell’orchestrazione dell’infiammazione periferica. L’NGF viene infatti rilasciato da molte cellule dopo il danno tissutale, e ricopre un complesso ruolo nella genesi dell’infiammazione. Per esempio, l’NGF svolge un’importante azione sull’espressione di altri mediatori dell’infiammazione (interleuchina-1ß, fattore di necrosi tumorale, ecc.) ed è in grado di sensibilizzare direttamente e indirettamente i nocicettori. Il rilascio di citochine da parte delle cellule immunitarie, governato dal processo infiammatorio, provoca iperalgesia attraverso la stimolazione e la produzione di altri agenti infiammatori. I mastociti sono la principale sorgente di mediatori dell’infiammazione. Queste cellule periferiche sono localizzate nel derma, vicino ai vasi sanguigni, alle terminazioni nervose e ai dotti ghiandolari. Il loro citoplasma è pieno di granuli sferici contenenti numerosi fattori implicati nell’infiammazione neurogenica, come l’NGF, il fattore di necrosi tumorale, le proteasi e le citochine. Gli stimoli fisici, chimici e meccanici attivano i mastociti locali provocandone la degranulazione, con conseguente secrezione dei mediatori che sensibilizzano e inducono la proliferazione delle fibre nervose C. Queste fibre rilasciano i mediatori dell’infiammazione, incluso l’NGF, che a sua volta aumenta la proliferazione e la degranulazione dei mastociti, causando iperalgesia e amplificando la risposta infiammatoria. I mastociti svolgono dunque un ruolo molto complesso nel processo infiammatorio e la loro densità nel tessuto infiammato cambia nel tempo. Quando il tessuto è interessato da una risposta infiammatoria acuta, la concentrazione dei mastociti è alta. Quando l’infiammazione diventa cronica, il loro numero si riduce e si osserva un parallelo incremento nella proliferazione delle fibre nervose. In questa fase, inoltre, i
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Reclutamento e degranulazione dei mastociti
Chemiotassi e fuoriuscita di leucociti
Rilascio dei mediatori dell’infiammazione e algogeni
Dolore nocicettivo
Dolore neuropatico
Sintesi di neuropeptidi da parte dei neuroni dei gangli della radice dorsale
Sensibilizzazione delle fibre neuronali periferiche
Infiammazione neurogena
Danno tissutale
Iperalgesia, allodinia e iper-riflessia
Disfunzione organica
Fig. 5.3 Processo di attivazione a cascata dei mastociti
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sintomi neuropatici diventano importanti, ma in qualsiasi momeno si può verificare una riattivazione dei mastociti con un’accentuazione dei sintomi o un’accelerazione del processo infiammatorio neurogenico. Meccanismi centrali. Oggi sappiamo che il corno dorsale del midollo spinale ricopre un ruolo chiave nella modulazione del dolore e nello sviluppo degli stati dolorosi cronici. Il dolore viene infatti percepito solo se l’attività elettrica che lo sottende raggiunge il cervello: quindi, ogni modulazione o alterazione che avvenga all’interno del corno dorsale, ai vari livelli del midollo spinale, può avere un profondo effetto sulla sensazione algica. Le lamine IV e V del corno dorsale contengono un neurone particolare, chiamato “wide dynamic range” (WDR). Stimoli ripetuti da parte delle fibre C provocano una maggiore risposta da parte dei neuroni WDR. In tal modo, l’output corrispondente a un determinato input risulta amplificato, un processo noto come “caricamento” (“wind up”) che, a sua volta, è parte del processo di sensibiliz-
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Fig. 5.4 Rappresentazione schematica delle aree funzionali del midollo spinale
zazione centrale. Il funzionamento corticale ha componenti deputate alla localizzazione del dolore, all’elaborazione delle emozioni ad esso correlate e alla memorizzazione dell’esperienza risultante. Il controllo di modulazione discendente, in natura, è bidirezionale. Questi sistemi di controllo discendenti collegano la corteccia cerebrale al corno dorsale, operando direttamente, come afferenti primari, o indirettamente, attraverso gli interneuroni inibitori ed eccitatori. I fenomeni sopra descritti conducono alla sensibilizzazione centrale, aspetto chiave del dolore neuropatico. Essa implica infatti un aumento del campo recettivo dei nocicettori, una risposta più intensa e duratura agli stimoli algici e un abbassamento della soglia di stimolazione dei nocicettori stessi.
Cosa troviamo nelle pazienti affette da vulvodinia? Nelle donne con vestibolodinia, variante di vulvodinia localizzata al vestibolo vulvare, si nota: – una proliferazione vestibolare di fibre del dolore (nocicettori o recettori C-afferenti, con un aumento fino ai dieci volte superiore alla normale densità delle terminazioni nervose); – un aumento significativo di mastociti; – un aumento significativo di mastociti attivati, ossia degranulati, liberando le diverse molecole infiammatorie nel tessuto circostante (verificata misurandone i livelli di degranulazione).
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La biopsie effettuate nell’area circostante l’apertura duttale delle ghiandole di Bartolini, il punto vestibolare più sensibile nella maggior parte delle pazienti con vestibolodinia, rivelano un numero significativamente maggiore di terminazioni nervose libere intraepiteliali rispetto ai controlli. È possibile che l’epitelio del vestibolo vulvare esprima una risposta anomala a determinati eventi infiammatori, come le infezioni, i traumi e la prolungata esposizione a irritanti o ad allergeni, con un conseguente aumento del numero di mastociti attivati. Tale attivazione si associa al rilascio di vari tipi di mediatori, come l’NGF, la triptasi e la bradichinina. Questi mediatori secreti dal mastocita sensibilizzano le fibre nervose C e ne inducono la proliferazione. Il termine più appropriato per definire questa sequenza di eventi è “infiammazione neurogenica” (Fig. 5.5). Le evidenze più recenti suggeriscono la possibilità che le donne affette da vestibolodinia abbiano una predisposizione genetica all’infiammazione cronica: tale polimorfismo genetico implicherebbe una ridotta capacità di porre fine alla risposta infiammatoria, che anzi risulterebbe ulteriormente accentuata.
Concentrazione e attivazione dei mastociti Fattori scatenanti (trigger) Rilascio dei mediatori:
• NGF • TNF • Triptasi • Bradichinina Infiammazione neurogena
Fibre nervose C proliferazione e sensibilizzazione Fig. 5.5 Processi coinvolti nell’infiammazione neurogenica
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Altri studi controllati indicano che le donne con vestibolodinia provocata hanno più frequenti infezioni vaginali, in particolare da Candida. Si è osservato, in particolare, che queste pazienti presentano una ridotta capacità di tenere sotto controllo l’azione della Candida albicans, dovuta a un polimorfismo nel gene che codifica la mannose-binding lectine (MBL), una proteina antimicrobica prodotta dal sistema immunitario. Inoltre è stato dimostrato che le donne con vulvodinia reagiscono più frequentemente ai patch test per la Candida albicans, e si è ipotizzato che l’esposizione alla Candida albicans a basse concentrazioni possa alterare il funzionamento dei neurotransmettitori che influenzano l’ipersensibilità tattile e sono abbondantemente presenti nel vestibolo vulvare. È evidente che l’infezione recidivante Candida albicans può ricoprire un ruolo centrale nella genesi della vestibolodinia. Di contro, altre ricerche non hanno trovato alcuna evidenza di un’infiammazione attiva tissutale nelle pazienti con vestibolodinia: un dato desunto da marker dell’infiammazione quali la ciclo-ossigenasi-2 (COX-2), che di solito risultano iperregolata durante il processo infiammatorio. Nelle pazienti con vulvodinia c’è un’infiammazione neurogenica, e questo in particolare nei casi di vestibolodinia, in cui la prolungata e/o elevata esposizione al fattore infettivo o irritativo causa una risposta locale eccessiva, mediata dall’iperattivazione mastocitaria. La nostra opinione è che si debba riconsiderare il carattere infiammatorio della vestibolite, giustificandone in tal modo il nome nosologico. L’evidenza morfologica della proliferazione delle terminazioni nervose non è stata confermata per la vulvodinia generalizzata, ma si sono comunque identificati nuovi e interessanti elementi anche in questo sottotipo di disturbo, per il quale abbiamo ancora poche evidenze di ordine fisiopatologico. Come le pazienti con dolore neuropatico, anche le donne con vulvodinia generalizzata presentano iperalgesia e/o allodinia, che possiamo considerare il corrispettivo funzionale dell’iperplasia neurale. Nostri recenti studi indicano che i valori della minima soglia di percezione dello stimolo sensoriale (CPT) sono più bassi nelle donne affette da vulvodinia rispetto ai controlli, dato che suggerisce la presenza di un’ipersensibilità (Fig. 5.6). Le misurazioni della CPT forniscono una misura oggettiva e quantitativa della conduzione e dell’integrità funzionale: prevedono la stimolazione elettrica selettiva delle grandi e piccole fibre, con e senza mielina, che sono coinvolte nella trasmissione delle sensazioni dolorose e non.
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Ciascuno dei tre tipi principali di fibre sensoriali presenta un caratteristico profilo neurofisiologico, una funzione sensoriale, uno specifico tipo di sensazione evocato dalla stimolazione elettrica e una determinata suscettibilità al blocco della conduzione. Dal momento che l’evidenza di un’amplificata percezione algica è tipica delle sindromi da dolore neuropatico, i nostri risultati rafforzano l’ipotesi che anche nella vulvodinia generalizzata si possa parlare di dolore neuropatico (Fig. 5.6). È sempre difficile trovare un evento infiammatorio scatenante nella vulvodinia generalizzata. Le donne con questa patologia hanno sintomi ovunque lungo il percorso del nervo pudendo (Fig. 5.7). Il nervo pudendo è extrapelvico: esce nella pelvi, avvolge la fossa ischiorettale, entra nel canale pudendo e innerva i genitali esterni, lo sfintere uretrale, lo sfintere anale e la vagina. Il ramo che innerva la vulva e il vestibolo è molto superficiale, mentre quello che innerva il clitoride è più profondo. Quindi è possibile che si possano verificare ripetuti microtraumi al ramo vulvare, per esempio andando a cavallo o in bicicletta, che a loro volta possono comportare un’infiammazione neurogenica. Molte evidenze confermano la presenza di una sensibilizzazione centrale nelle pazienti con vulvodinia.
400,0 350,0 300,0 250,0 Controllo
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Pazienti 150,0 100,0 50,0 0,0
5 Hz
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2000 Hz
Fig. 5.6 Confronto dei valori della minima soglia di percezione dello stimolo sensoriale (CPT) tra pazienti affette da vulvodinia e un gruppo di controllo
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Nervo dorsale del clitoride Spina ischiatica Nervo pudendo Nervo perineale Nervo rettale inferiore
Fig. 5.7 Distribuzione schematica del nervo pudendo in sede vulvare
In particolare, alcuni Autori hanno dimostrato che le pazienti con vulvodinia percepiscono un contatto leggero e moderato sul vestibolo vulvare più intensamente dei controlli. A questa maggiore percezione corrisponde una significativamente maggiore attivazione delle corrispondenti aree neurali. Inoltre, si è visto che nelle giovani la vestibolodinia si associa a una maggiore densità della materia grigia nelle regioni cerebrali correlate alla modulazione del dolore e alla gestione dello stress. Si ipotizza che la maggiore densità nella materia grigia possa essere causata da una proliferazione della microglia, forse per l’eccessiva attività eccitatoria neuronale.
Box 2. Sensibilizzazione centrale ●
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Aumento della sensibilità alla pressione sia sulla vulva sia nelle parti periferiche del corpo Aumento dell’intensità del dolore e sensazioni sgravedoli in risposta all’esame di tender-point in aree non genitali Maggiori livelli di attività cerebrale nella corteccia somatosensoriale primaria e secondaria durante la pressione sul vestibolo posteriore Più bassa soglia del dolore alla stimolazione dolorosa fredda, dato che suggerisce un’ipersensibilità sistemica Maggiore densità della materia grigia nelle aree deputate alla modulazione del dolore e alla gestione dello stress
Modificato da: Vulvodynia: Integrating Current Knowledge into Clinical Practice, by the National Vulvodynia Association, 2010
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La descrizione che abbiamo fatto della vulvodinia è supportata da numerose evidenze, ma ci sono ancora alcune questioni aperte riguardo alla sua eziologia.
Questioni aperte sull’eziopatogenesi della vulvodinia Che relazione c’è fra vestibolodinia e vulvodinia generalizzata? Alcuni clinici ritengono che le due patologie possano esprimere gradi di diversa severità dello stesso disturbo: il processo, in sostanza, partirebbe dal dolore localizzato della vestibolodinia e progredirebbe verso il dolore vulvare generalizzato e cronico. La nostra esperienza, però, suggerisce che le due condizioni possono esprimere due distinti disturbi. I due sottotipi di vulvodinia possono essere agevolmente distinti in base a caratteristiche come l’età, i sintomi e i fattori infiammatori scatenanti. Cionondimeno, la singola persona può presentare aspetti riconducibili sia alla vestibolodinia sia alla vulvodinia generalizzata, con sintomi sovrapposti. Questa ipotesi pone molti problemi, perché pazienti con una prolungata vestibolodinia possono non sviluppare mai una vulvodinia generalizzata, e altre, affette da dolore vulvare generalizzato, possono non sviluppare mai una dispareunia introitale. L’elemento comune è che entrambe queste condizioni rappresentino una forma di dolore neuropatico simpatico riflesso con una sensibilizzazione delle fibre nocicettive C, cosicché la sensazione tattile è sostituita da una sensazione di dolore. È nostra opinione che possano esistere differenti sottotipi di vestibolodinia, distinguibili in base a caratteristiche come fattori scatenanti, età, disturbi del pavimento pelvico e comorbilità, piuttosto che due patologie classificate in base alla localizzazione dei sintomi vulvari e alle caratteristiche del dolore (provocato o spontaneo).
Quale ruolo giocano le disfunzioni del pavimento pelvico? Gli studi elettromiografici condotti sul pavimento pelvico delle donne con dolore spontaneo mostrano differenze rispetto alle pazienti asintomatiche. In particolare, si riscontra un ipertono del pavimento pelvico nell’ 80-90% delle pazienti con vulvodinia. Un tema importante da approfondire è se la vulvodinia rifletta una disfunzione del pavimento pelvico con trigger point
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di dolore, o se sia una forma di dolore riferito, o il risultato di una disfunzione delle fibre nervose della pelvi. Nella vulvodinia, c’è ovviamente un coivolgimento dei nervi nella genesi del dolore. L’opinione prevalente è che il dolore vulvare produca uno spasmo del muscolo elevatore dell’ano, e che l’ipertono del pavimento pelvico contribuisca a sua volta al mantenimento del dolore. L’elevatore dell’ano è innervato dall’omonimo nervo, mentre non c’è evidenza che lo sia anche dal nervo pudendo. I neuroni motori dell’elevatore dell’ano sono diffusi nel corno ventrale sacrale, mentre i motoneuroni del pudendo sono concentrati nel nucleo di Onuf (gruppo di neuroni localizzati nella parte ventrale della lamina IX del corno anteriore: figura 5.4). In ogni caso, c’è un’ampia sovrapposizione fra i dendriti dei motoneuroni dell’elevatore dell’ano e i motoneuroni del nervo pudendo, ed entrambi i tipi di nervi contengono fibre afferenti primarie che si proiettano nel midollo spinale sacrale. In tal modo, c’è ampia possibilità di interazione fra le fibre nervose sensoriali e motorie che controllano il muscolo elevatore dell’ano, la vulva e il vestibolo. Ciò che conta non è chi dà inizio al processo (se il muscolo o il nervo), ma come l’alterazione dei muscoli pelvici sia responsabile della gravità dei sintomi. In effetti, il peso della componente muscolare può essere diverso da una paziente all’altra, e questo è un target importante del programma di cura.
Quale ruolo hanno le alterazioni ormonali come potenziale causa di vulvodinia? Alcuni studi si concentrano sugli effetti degli estrogeni sulle vie di trasmissione del sistema nervoso periferico, con particolare enfasi su quelle che riguardano il dolore. Una review della letteratura rivela che è abbastanza comune l’idea che esista una relazione fra estrogeni e sensazioni, e che un aumento dei livelli di estrogeni comporti un abbassamento della soglia di percezione, ad esempio durante il ciclo mestruale e la gravidanza, e sotto terapia estrogenica sostitutiva. Ciò può spiegare perché alcune pazienti affette da vulvodinia avvertano un’accentuazione dei sintomi durante la fase premestruale. Inoltre, il vestibolo vulvare è embriologicamente analogo alla ghiandola urogenitale nel maschio. Questa ghiandola ha un’elevata densità di recettori per gli androgeni, il che implica che adeguati livelli di testosterone sono essenziali anche per la salute del tessuto vestibolare. Non è chiaro se i contraccettivi orali (OC) giochino un ruolo nello sviluppo della vulvodinia.
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Alcuni ricercatori ritengono che l’uso di OC, specialmente in giovane età, provochi una down-regulation dei recettori estrogenici nel tessuto vulvo-vaginale e, di conseguenza: a) un’alterazione della morfologia della mucosa vestibolare che appare più fragile e sottile; b) una riduzione della lubrificazione. I contraccettivi orali risultano associati a un aumento di 7 volte del rischio di vestibolodinia. Il rischio è maggiore quando l’uso di OC è corrente, di lungo termine e precoce, e con i contraccettivi ad alto contenuto di progestinici e basso contenuto di estrogeni e androgeni. Sino a quando questo effetto non sia pienamente dimostrato, le donne non dovrebbero essere scoraggiate rispetto all’uso di OC, ma dovrebbero essere informate sul rischio di vestibolodinia. Bernard Harlow, peraltro, in uno studio elegante del 2004, ha dimostrato che le donne che riportano vestibolodinia in corso di contraccezione orale hanno una probabilità significativamente maggiore di aver avuto difficoltà o impossibilità all’introduzione dei tamponi vaginali per la protezione mestruale. Questo suggerirebbe la presenza di un’iperattività del muscolo elevatore dell’ano, antecedente al primo rapporto sessuale (“lifelong” o primaria), associata o meno a un vaginismo di grado medio. La contrazione muscolare restringe meccanicamente l’entrata vaginale, predisponendo al dolore all’inizio della penetrazione, all’inibizione riflessa della lubrificazione con conseguente secchezza vaginale, e alle microabrasioni della mucosa dell’introito che facilitano poi l’infiammazione cronica, la proliferazione delle fibre del dolore e un ulteriore aumento della contrazione difensiva del muscolo elevatore dell’ano. Di fronte al sintomo “secchezza vaginale e/o dolore ai rapporti” in corso di contraccezione ormonale è necessario valutare: 1. se non vi sia un ipertono del muscolo elevatore dell’ano. E, in tal caso, insegnare a rilassarlo con varie tecniche, dallo stretching alla fisioterapia al biofeedback elettromiografico; 2. quale sia il pH vaginale; se superiore a 5, questo segnala una ridotta impregnazione estrogenica e l’indicazione ad aumentare il livello estrogenico della pillola, oppure ad una terapia estrogenica locale o, almeno, all’uso di acidificanti per migliorare anche la composizione dell’ecosistema vaginale. Il rischio è altrimenti quello di colpevolizzare la pillola contraccettiva che fa solo da cartina al tornasole di altri problemi, muscolari, relativi agli ecosistemi vaginali e/o di fobia del coito, che meritano di essere affrontati in modo appropriato.
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Quanto sono rilevanti i fattori psicosessuali nelle pazienti con vulvodinia? Le problematiche psicologiche sono significativamente più frequenti nelle donne con vulvodinia rispetto alle asintomatiche. Numerosi studi indicano la presenza in queste pazienti di elevati livelli di ansia, sintomi depressivi, disturbi psicosomatici e sintomi ipocondriaci. Anche se alcuni sostengono che la sindrome abbia un’origine puramente psicogena, la tesi oggi più accreditata suggerisce che i disturbi sessuali e il distress psicologico siano la conseguenza, più la causa, della vulvodinia. Ma la questione è ancora dibattuta. L’interazione tra fattori biologici, predisponenti, precipitanti e di mantenimento, che concorrono al danno organico e neurogeno del vestibolo o della vulva, possono interagire con fattori di tipo psicogeno, che hanno sempre, peraltro, un correlato neurochimico. Il cingolo anteriore contribuisce al controllo degli stati di eccitazione e attenzione cosciente basati sulle innervazioni corticali prefrontali. L’esacerbazione del dolore dipendente dall’ansia è anche mediata da altre strutture limbiche, come l’ippocampo. Nella storia personale delle donne con dolore pelvico cronico si riscontrano spesso abusi o traumi, e anche questo è mediato da disfunzioni del sistema limbico, in particolare dell’anterior cingulated brain cortex (corteccia del giro cingolato anteriore), dell’ippocampo e dell’amigdala. Quando è presente una sindrome da stress cronico (Post Traumatic Stress Disorder, PTSD) associata all’abuso, è presente un’iperattivazione cronica del Corticotropin–Releasing Pathway, che può concorrere a un persistente stato infiammatorio attraverso l’aumentata degranulazione neurogena dei mastociti in diversi tessuti. Si è osservato che le pazienti con vulvodinia presentano una maggiore incidenza di abusi sessuali, anche prolungati e/o infantili, un dato che si conferma anche per talune comorbilità della vulvodinia, come la sindrome del colon irritabile e la cistite interstiziale. Nonostante ciò, non tutti gli studi riconoscono che un abuso fisico e/o sessuale possa essere un fattore predisponente della vulvodinia. Indipendentemente dalla sequenza degli eventi, non c’è dubbio che fattori fisici e psicologici producano un continuum che interagisce con le molteplici dimensioni del dolore. Altri studi mostrano che le donne con vulvodinia hanno meno rapporti, un minor desiderio e maggiori difficoltà a raggiungere l’orgasmo, e che – in molti casi – accettano di avere rapporti per senso del dovere piuttosto che per desiderio.
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In conclusione, non è ancora possibile dire se i fattori psicosessuali siano coinvolti nello sviluppo o nel mantenimento della vestibolodinia, o se invece siano la conseguenza di un dolore non correttamente diagnosticato, persistente e debilitante. Di certo, il sottogruppo con dispareunia presente fin dai primi rapporti (primaria o lifelong) ha un chiaro cofattore psicosessuale in un vaginismo primario di media gravità, tale da associarsi a ipertono muscolare del muscolo elevatore, a minore lubrificazione, maggiore probabilità di microabrasioni all’introito e iperattivazione mastocitaria, con proliferazione secondaria delle fibre del dolore indotta dal Nerve Growth Factor, come descritto nel capitolo 3, figura 3.1. La modulazione del dolore da parte dei fattori psicologici è uno dei problemi più complessi: nelle pazienti con vulvodinia, comunque, la vulnerabilità psiconeurobiologica gioca un ruolo rilevante e l’esperienza del dolore varia anche in funzione dello stato psicologico della paziente.
Perché c’è una frequente associazione fra la vulvodinia e altre forme di dolore cronico? La vulvodinia si associa spesso a cistite interstiziale, caratterizzata da urgenza, frequenza e spasmo della vescica, sindrome del colon irritabile, e fibromialgia, una condizione che comprende dolori muscolari pervasivi e disturbi del sonno. La frequente sovrapposizione fra sindrome del colon irritabile, cistite interstiziale, vulvodinia e altre forme di dolore cronico può essere indicativa di anormali interazioni o riflessi neuronali, cosicché l’irritazione di un organo determina la parallela sensibilizzazione di altri. In seguito alla persistente irritazione, i fattori neurotrofici prodotti dalla muscolatura liscia e dai neuroni sensori può influenzare la sovracrescita delle terminazioni nervose e la crescita assonale, che possono poi determinare alterazioni motorie e sensoriali negli organi bersaglio.
Letture consigliate Bornstein J, Goldschmid N, Sabo E (2004) Hyperinnervation and mast cell activation may be used as histopathologic diagnostic criteria for vulvar vestibulitis. Gynecol Obstet Invest 58:171-178 Graziottin A (2008) La percezione del dolore pelvico cronico nella donna: fattori predittivi e implicazioni cliniche. Urologia, vol.75, n. 2, pp 67-74
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Graziottin A (2009) Mast cells and their role in sexual pain disorders. In: Goldstein A, Pukall C, Goldstein I (eds) Female Sexual Pain Disorders: Evaluation and Management. Blackwell Publishing, pp 176-179 Graziottin A (2010) Psychogenic causes of chronic pelvic pain and impact of chronic pelvic pain on psychological status (including physical and sexual abuse). In: Vercellini P (ed) Chronic pelvic pain in women. John Wiley & Sons (in press) Murina F, Bianco V, Radici G et al (2010) Electrodiagnostic functional sensory evaluation of patients with generalized vulvodynia: a pilot study. J Low Genit Tract Dis 14:221-224 Peters K, Girdler B, Carrico D et al (2008) Painful bladder syndrome/interstitial cystitis and vulvodynia: a clinical correlation. Int Urogynecol J Pelvic Floor Dysfunct 19:665-669 Pukall CF, Strigo IA, Binik YM et al (2005) Neural correlates of painful genital touch in women with vulvar vestibulitis syndrome. Pain 115:118-127 Tympanidis P, Terenghi G, Dowd P (2003) Increased innervation of the vulval vestibule in patients with vulvodynia. Br J Dermatol 148:1021-1027 Zolnoun D, Park EM, Moore CG et al (2008) Somatization and psychological distress among women with vulvar vestibulitis syndrome. Int J Gynaecol Obstet 103:38-43
La vulvodinia e le sue comorbilità: come fare una diagnosi globale
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La vulvodinia è una diagnosi per esclusione, una sindrome dolorosa senza cause identificate: tuttavia, più si approfondiscono le cause riconoscibili, più il numero delle vere vulvodinie “essenziali” si riduce sensibilmente.
Storia medica La storia medica di una paziente fornisce informazioni essenziali per determinare la corretta diagnosi di vulvodinia. È importante porre domande specifiche, per ricevere informazioni dettagliate; ed è ugualmente essenziale formulare domande a risposta aperta che consentano alla paziente di descrivere con esattezza la sua condizione. Lungo l’intero processo, è essenziale mostrare empatia, comprensione e apertura. Box 1. Storia personale della paziente con vulvodinia: punti essenziali G G
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Sintomi correnti Abitudini personali (igiene, alimentazione, vestiario, abitudini voluttuarie, alcool, fumo, droghe, ecc.) Storia pregressa a livello medico e chirurgico, con particolare attenzione alle comorbilità vescicali, intestinali, pelviche e sessuali, e ai fattori iatrogeni Storia ginecologica e ostetrica (mestruazioni, contraccezione, pregresse infezioni vulvari, malattie sessualmente trasmesse, ecc.) Terapie e allergie Storia sessuale (inclusi eventuali abusi) e profilo psicologico Funzione vescicale e intestinale
Vulvodinia. Alessandra Graziottin, Filippo Murina © Springer-Verlag Italia 2011
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Le abitudini personali sono un aspetto fondamentale da considerare; così come un passo importante è l’eliminazione di ogni possibile fattore irritante. Se la paziente, come spesso accade, usa creme topiche con una base irritante, deve dirlo al medico. L’uso quotidiano di assorbenti e salvaslip può essere dannoso; anche molti lubrificanti e profilattici contengono sostanze potenzialmente irritanti. È anche fondamentale analizzare alcuni aspetti critici della storia medica della paziente, per esempio in relazione alla funzione vescicale e intestinale. Si stima che più di metà delle pazienti con vulvodinia abbiano sintomi di urgenza e frequenza urinaria e di dolore sovrapubico. Questa condizione è definita sindrome della vescica dolorosa/cistite interstiziale (PBS/IC). La PBS/IC è una patologia cronica e gravemente debilitante della vescica, con un decorso che è normalmente caratterizzato da attacchi e remissioni. La dispareunia non è infrequente nelle donne con PBS/IC e può correlarsi agli effetti meccanici che il rapporto sessuale determina sulla vescica infiammata. Box 2. Criteri diagnostici per la Sindrome della vescica dolorosa/Cistite interstiziale G
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Presenza di urgenza e/o frequenza, dolore pelvico/perineale, o dolore/bruciore vescicale Presenza di glomerulazioni (emorragie sottomucose a punta di spillo) o ulcere all’esame cistoscopico con idrodistensione, sotto anestesia (cistite interstiziale) Assenza di infezioni genitourinarie Assenza di malattie neoplastiche o di tumori benigni della vescica Nella storia personale, assenza di radiazioni, tubercolosi e cistiti chimiche
La sindrome del colon irritabile (Irritable Bowel Syndrome, IBS) è un disturbo gastrointestinale molto diffuso, caratterizzato da dolore addominale, gonfiore e diarrea alternata a stipsi. Molte pazienti hanno almeno una comorbilità somatica, e molte soddisfano i criteri diagnostici di altri disordini funzionali. Numerosi studi riportano una maggiore prevalenza di disturbi sessuali fra le pazienti affette da IBS, fra cui dispareunia, e un peggioramento dei sintomi della stessa IBS dopo i rapporti. Tutti gli studi concordano nell’affermare che la sovrapposizione fra questi disturbi (vulvodinia, sindrome della vescica dolorosa/cistite interstiziale, sindrome del colon irritabile) è maggiore di quanto ci si aspette-
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rebbe in base alle loro percentuali di prevalenza prese separatamente. Inoltre, le pazienti con più di una patologia presentano sintomi più gravi, una più elevata incidenza di disturbi psicopatologici e una qualità di vita complessivamente più bassa di quelle con una sola patologia. È essenziale approfondire la storia delle terapie intraprese nel passato e confrontarla con la storia della vulvodinia. Molte pazienti affette da vulvodinia assumono ansiolitici e antidepressivi per stati ingravescenti di ansia e depressione, spesso secondarie al dolore vulvare. La maggior parte delle pazienti che assumono psicofarmaci accusa poi disturbi sessuali, determinati dall’effetto della terapia sui neurotrasmettitori che mediano la funzione sessuale: si osservano in particolare disturbi dell’orgasmo e del desiderio, associati all’assunzione di inibitori del reuptake della serotonina (SRRI) e inibitori della ricaptazione della serotonina e della noradrenalina (SNRI). Le benzodiazepine, soprattutto nelle alte dosi indicate per gli attacchi di panico, sono più strettamente associate al calo della libido. Gli antibiotici vengono spesso prescritti alle pazienti con vulvodinia in seguito a infezioni vaginali da streptococchi, difteroidi e stafilococchi, tutti germi che però NON hanno alcun coinvolgimento nella genesi del dolore vulvare. Anche se gli antibiotici non causano direttamente vulvodinia, un loro uso improprio e/o ricorrente – alterando l’ecosistema vaginale – può predisporre alla candidosi vulvovaginale, consentendo alla Candida di moltiplicarsi in modo incontrollato nel tratto intestinale e/o nella vagina stessa. In particolare, gli antibiotici riducono il Lactobacillus spp, che normalmente protegge l’ecosistema vaginale e previene il rischio di colonizzazione da parte di germi intestinali e di lieviti in particolare. La valutazione psicosociale della paziente dovrebbe includere informazioni sulla presenza di sintomi psicologici (ansia, depressione, irritabilità), psichiatrici, di personalità e sui meccanismi di adattamento (“coping”). Si dovrebbero altresì rilevare evidenti livelli di stress e la presenza o meno di aiuto da parte di altre persone (partner, famiglia, amici). È importante in particolare chiedere alla donna informazione su tutti gli aspetti della funzione e soddisfazione sessuale. Ecco una lista di domande sulla storia sessuale che si è rivelata utile nella nostra pratica clinica: - abusi pregressi; - durata della relazione attuale; - numero di partner; - livello del desiderio e qualità/rapidità dell’eccitazione;
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attività sessuali preferite (vaginale, orale, anale, masturbazione) e loro frequenza. Oltre alla misurazione del dolore vulvare, il seguente semplice set di domande può aiutare il medico a diagnosticare la presenza di una vulvodinia, come già ricordato nel Capitolo 3: • “dove sente male?”: consente di disegnare un’accurata “mappa del dolore” vulvare, con particolare attenzione a individuare e quantizzare i punti più algogeni: a) a livello vulvare e vestibolare; b) a livello muscolare, mediovaginale (all’inserzione dell’elevatore sulla spina ischiatica); differenziandoli dal dolore a livello profondo, del fornice vaginale, il che deve subito far considerare la possibile comorbilità con endometriosi, malattia infiammatoria pelvica (Pelvic Inflammatory Disease, PID) e/o dolore pelvico cronico; • “quando le fa male?”: aiuta a capire se si tratti di vulvodinia spontanea o provocata, ma anche se il dolore compaia prima del rapporto (in caso per esempio di clitoridodinia) o all’inizio della penetrazione, durante la stessa, o nelle ore o giorni successivi al rapporto; • “di quali disturbi o sintomi soffre, in associazione al dolore?”: permette di indagare le eventuali comorbilità con sindrome della vescica dolorosa, endometriosi, sindrome del colon irritabile, malattia infiammatoria pelvica, dolore pelvico cronico, ma anche allergie, cefalea, fibromialgia.
Esame fisico Il primo è più importante aspetto dell’esame fisico è l’ispezione visuale della regione vulvare (Fig. 6.1), che richiede un metodico e meticoloso esame della vulva, del perineo e della regione perianale. Box 3. Esame fisico della paziente con vulvodinia: punti essenziali G
G G G
Regione vulvare: - ispezione visuale e vulvoscopia - palpazione - Q-tip test Valutazione del pavimento pelvico Ispezione vaginale Palpazione bimanuale e valutazione di eventuali dolorabilità mediovaginali (mialgia del muscolo elevatore, uretrite, trigonite) e profonde, in comorbilità (endometriosi, PID, ecc.)
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Clitoride
Piccolo labbro
Uretra
Linea di Hart Anello dell’imene
Fig. 6.1 Anatomia della regione vulvare
La vulvoscopia consente di valutare la natura di eventuali lesioni vulvari in modo molto dettagliato. Per esempio, può permettere di capire se una lesione è una placca rilevata – spesso di tipo ipercheratosico/iperplastico – e/o condilomatosa, o semplicemente una macula piatta. Inoltre, si possono verificare i margini e la distribuzione delle lesioni. La vulvoscopia permette inoltre di rilevare: • I cambiamenti cromatici associati a infiammazioni o a malattie neoplastiche della vulva: - aree rosse: si possono visualizzare quando ci sono modificazioni stromali dovute a infiammazioni, dermatosi vulvari, e a neovascolarizzazioni associate a neoplasie; - aree bianche: indicano una ridotta vascolarizzazione, modificazioni fibrotiche dello stroma e un’aumentata cheratinizzazione (lichenificazione). • Abrasioni e alterazioni morfologiche. I disturbi da infiammazione cronica della vulva, come il Lichen sclerosus e il Lichen planus, causano frequentemente alterazioni strutturali, come la conglutinazione delle piccole labbra, il granuloma vulvare fissuratum (perdite croniche all’altezza della forchetta posteriore) e fimosi del clitoride. • Piccole lesioni, come minuscole screpolature, che possono essere molto dolorose.
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Quindi, l’obiettivo principale della vulvoscopia in una donna con sospetta vulvodinia è quello di escludere specifiche patologie che possano causare o contribuire al dolore vulvare. Box 4. Valutazione di elementi anormali nella cute vulvare G G G
Colore Struttura Integrità: appiattimento, con perdita del turgore, asimmetria, conglutinazione, riassorbimento delle piccole labbra, formazione di sinechie anteriori e posteriori
Diagnosi per esclusione Anche le malattie della cute vulvare o vaginale possono provocare dolore. Il Lichen sclerosus, il Lichen planus, e il Lichen simplex chronicus sono tre delle più comuni patologie epiteliali non-neoplastiche della vulva. Il Lichen sclerosus (LS) è una dermatosi infiammatoria cronica nonneoplastica, mediata dai linfociti, che provoca una caratteristica sclerosi del derma e ha una predilezione per la cute anogenitale delle donne. Il sintomo principale è il prurito, ma se ci sono abrasioni o screpolature subentra anche il dolore. Se ci sono questi tipi di lesioni, la donna può provare dispareunia. La mucosa vaginale, infatti, non viene in genere coinvolta, ma la stenosi che si può sviluppare sul bordo delle giunture mucocutanee vulvari può causare dispareunia severa. Le caratteristiche cliniche dipendono dalla fase evolutiva e dalla gravità della malattia. In alcuni casi le lesioni sono irregolari, in altri sono estese e uniformi (Fig. 6.2). In corrispondenza delle lesioni possono essere evidenti tratti di cute pallida, assottigliata, raggrinzita e atrofica, segni di teleangiectasia e pustole emorragiche (Fig. 6.3). Nell’insieme può prevalere un quadro complessivo di lichenificazione o ipercheratosi. La sclerosi progressiva dei tessuti può portare alla degenerazione delle normali strutture genitali. La piccole labbra possono conglutinarsi o riassorbirsi, il clitoride ridursi di dimensione, e l’introito stringersi in misura significativa. L’incidenza del Lichen sclerosus nelle donne è massima in corrispondenza di due fasce di età: nelle ragazze prepuberali (risolvendosi o mantenendosi anche dopo il menarca) e nelle donne in post-menopausa.
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Fig. 6.2 Lichen scleroso vulvare: aree bianche piane e rilevate
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Fig. 6.3 Lichen scleroso vulvare: sovvertimento architetturale vulvare con involuzione delle piccole labbra e fimosi clitoridea
Attenzione a non confondere i segni del Lichen sclerosus prepuberale (Fig. 6.4) con quelli di un abuso fisico o sessuale (Fig. 6.5)!
Il Lichen planus (LP) è una malattia infiammatoria autoimmune che coinvolge le mucose e le parti cheratinizzate della cute. Le forme cliniche che possono colpire la vulva sono tre: lichen planus erosivo, Lichen planus papulosquamoso, e Lichen planus ipertrofico. L’estensione all’area vulvovaginale può essere associata a prurito, bruciore, dolore, dispareunia e alla degenerazione della morfologia vulvare e vaginale. La variante che tipicamente colpisce la vulva e la vagina è L’LP erosivo, che è anche quella più dolorosa (Fig. 6.6). I sintomi principali sono il bruciore vulvare, spontaneo o dopo contatto, la dispareunia severa. Nel Lichen planus, la mucosa dell’introitus risulta spesso escoriata con un aspetto lucido e rossastro; ci può essere eritema della mucosa vestibolare, con vari gradi di desquamazione epiteliale, sino alla franca erosione.
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Fig. 6.4 Lichen scleroso prepuberale: aree bianche rilevate con ulcerazioni lineari
Fig. 6.5 Soluzione di continuo della membrana imenale in esiti di abuso sessuale dell’infanzia
Il Lichen simplex chronicus non è una patologia specifica, e descrive piuttosto la lichenificazione della vulva causata da un persistente prurito e un continuo grattamento. La pelle può diventare coriacea e ispessita, o – nei casi severi - escoriata (Fig. 6.7). Il dolore vulvare, se presente, è usualmente dovuto all’irritazione provocata da lesioni aperte. Molti disturbi possono predire lesioni erosive, ulcerative o desquamative della vulva: le afte vulvari e l’Herpes genitalis sono le più comuni. Le afte vulvari sono ulcere piccole e poco rilevate, con una base giallastra e un bordo eritematoso. Esordiscono acutamente e si risolvono in pochi giorni; sono piuttosto dolorose. Benché gli attacchi tendano ad essere intermittenti, possono essere molto frequenti o, in certi casi, addirittura continue. Le donne che ne sono colpite hanno spesso anche afte orali (Fig. 6.8). Le afte vulvari sono spesso confuse con l’herpes genitale, e questo non è sorprendente, dal momento che sono ulcere ricorrenti, acute e dolorose. La differenza è che l’Herpes genitalis, una volta passata la fase molto breve delle vescicole, ha l’aspetto di un’erosione, piuttosto che delle tipiche lesioni, profonde e ulcerative, che si riscontrano in bocca (Fig. 6.9).
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Fig. 6.6 Lichen planus erosivo vestibolare
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Fig. 6.7 Lichen simplex cronico vulvare
La mucosa delle piccola labbra e del vestibolo è solitamente rosa e liscia; tuttavia, si possono talora osservare struttura micropapillari o villiformi, localizzate o diffuse, che possono essere erroneamente scambiate per condilomi da papillomavirus (Fig. 6.10). La micropapillomatosi vulvare non dovrebbe mai essere trattata: la rimozione tramite laser, per esempio, si rivela spesso essere un fattore scatenante iatrogeno della vestibolodinia (Tabella 6.1).
Tabella 6.1 Come distinguere micropapillomatosi vulvare dai condilomi vulvari Micropapillomatosi vulvare
Condilomi vulvari
• Forma e distribuzione regolari
• Piccole protuberanze irregolari e asimmetriche
• Colore uniforme
• Piatti o a verruca
• Consistenza soffice
• Lisci, rossastri o marrone chiaro
• Scarsa tendenza a fondersi
• Lesioni a forma di cupola sulla pelle cheratinizzata
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Fig. 6.8 Isolata ulcerazione vulvare idiopatica
Fig. 6.9 Diffuse e confluenti ulcerazioni vulvari da Herpes genitale
Fig. 6.10 Micropapillomatosi fisiologica vestibolare
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La neoplasia intraepiteliale vulvare (Vulvar intraepithelial neoplasia, VIN) non presenta segni e sintomi caratteristici. Alcune pazienti possono avere prurito o bruciore, altre notano solo un’anormalità asintomatica della pelle della vulva. Le lesioni possono essere rilevate o piatte, con una superficie irregolare. Le lesioni possono essere bianche, rosse o di colore misto (Fig. 6.11). La sensibilità vestibolare può essere verificata toccando il vestibolo stesso con un cotton fioc (test Q-tip), procedendo in senso randomizzato. Il lieve contatto evoca iperestesia, ossia una sensazione sproporzionata rispetto alla pressione applicata, o allodinìa, la percezione di una sensazione diversa da quella che si dovrebbe avvertire (per esempio, dolore urente anziché contatto). La soglia del dolore provocata dalla pressione è marcatamente più bassa nelle pazienti con vestibolodinia. Il dolore, inoltre, è maggiore nel vestibolo posteriore fra i punti corrispondenti alle 5 e alle 7 (immaginando il vestibolo come il quadrante di un orologio).
Fig. 6.11 Neoplasia vulvare intraepiteliale (VIN)
Fig. 6.12 Swab test con tampone
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Il test Q-tip è stato validato come strumento diagnostico utile a identificare l’esatta localizzazione del dolore e a consentire alla paziente di distinguere i punti dove il dolore stesso è lieve, moderato o severo; la “mappa del dolore” così ottenuta è preziosa anche per tenere sotto controllo l’evoluzione del dolore nel tempo. Le pazienti con vestibolodinia provocata riportano livelli di dolore al vestibolo vulvare significativamente più alti dei controlli, il che dimostra ulteriormente la validità di questo semplice test (Fig. 6.12).
Valutazione del pavimento pelvico Box 5. Marker di condizione del pavimento pelvico da ricercare nelle pazienti con vulvodinia G G
G G
Dolorabilità Tender point (punti di dolorabilità localizzata, specie all’inserzione dell’elevatore sulla spina ischiatica, bilateralmente) e trigger point (punti di dolorabilità che tende ad irradiarsi in modo non metamerico, verso la vulva e/o verso la pelvi) Ipertono Ridotta mobilità
La valutazione clinica del pavimento pelvico inizia con la semplice osservazione dei muscoli durante le attività di contrazione e rilassamento. L’osservazione del perineo e dell’area introitale nella posizione litotomica dorsale, durante l’esecuzione di una contrazione di Kegel (nella quale la donna contrae per 10 secondi i muscoli utilizzati per interrompere il flusso di urina, e poi li rilassa per altri 10 secondi), permette di notare che le pazienti con pavimento pelvico ipertonico spesso presentano una tale tensione muscolare “a riposo” da non riuscire a produrre ulteriore forza contrattile e realizzare quindi una vera contrazione. L’ipertono può essere evidenziato da un “perineo breve” o corto, convenzionalmente con una lunghezza inferiore ai 2 cm. A questo punto il medico, se la paziente acconsente, inserisce un dito lubrificato nella vagina per verificare la consapevolezza e la capacità di controllo dei muscoli del pavimento pelvico e la capacità di contrarre e rilassare il muscolo elevatore dell’ano. Ci sono molte scale per valutare la
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forza, il tono e la dolorabilità/sensibilità, ma sono tutte soggettive e non validate. Noi di solito utilizziamo un semplice punteggio empirico che permette di rappresentare l’ipertono del pavimento pelvico con un accettabile grado di affidabilità.
Box 6. Ipertono del pavimento pelvico: punteggio 0 1 2 3
Assenza di ipertono Ipertono lieve Ipertono moderato Ipertono severo
Molte pazienti risulteranno presentare la massima dolorabilità lungo il bordo laterale del muscolo elevatore dell’ano, nel punto in cui il muscolo si inserisce sull’arco tendineo dell’elevatore. Il dolore muscolare può essere valutato inserendo un dito nell’introito, quando la paziente esegue una serie di contrazioni e rilassamenti. Un eventuale dolore, spontaneo o provocato, nel terzo inferiore della parete anteriore della vagina dovrebbe essere accuratamente approfondito, perché può associarsi a comorbilità vescicali (cistalgia, uretralgia, trigonite, cistite post-coitale, sindrome della vescica dolorosa/cistite interstiziale) che sono riportate in un terzo delle pazienti con vulvodinia.
Ispezione vaginale La vagina deve essere esaminata alla ricerca di possibili atrofie, ulcerazioni o perdite anormali. Le secrezioni vanno raccolte dalla parete vaginale laterale con un tampone. Se ve ne sono, è fondamentale verificare il pH vaginale, usando una cartina a stretto range (pH 4-7). In caso di candidiasi vulvovaginale, il pH è normale (4,0-4,5); un pH superiore a 4,7 normalmente è indicativo di una vaginosi batterica, una tricomoniasi, o un’infezione mista. Un vetrino o un preparato con soluzione fisiologica dovrebbe essere fatto routinariamente per identificare la presenza di lieviti e miceli, ma anche per escludere la presenza di “clue cells”, indicativa di vaginosi batterica e di tricomonas. Un preparato di idrossido di potassio al 10% è più sensibile di un preparato salino nell’identificazione di lieviti o ife (sensibilità del 65-85%) (Tabella 6.2).
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Tabella 6.2 Cause di perdita vaginale nelle donne in età fertile Fisiologiche Infettive (non sessualmente trasmesse) - vaginosi batterica - candida Infettive (sessualmente trasmesse) - tricomonas vaginale - chlamydia trachomatis - gonococco di Neisser Non infettive - corpi estranei (tamponi, profilattici) - polipi cervicali o ectopia cervicale - tumori maligni del tratto genitale
Test
L’istopatologia, tradizionalmente, contribuisce alla diagnosi differenziale con altre condizioni che causino dolore. La biopsia vulvare – in caso di vulvodinia – in genere non viene eseguita, quando l’esame medico e la storia personale della paziente hanno consentito di escludere ogni altra ipotesi.
Il ricorso alla risonanza magnetica (MR) è normalmente raccomandato nelle pazienti con dolore spontaneo, ossia con vulvodinia spontanea, nella quale ci sia l’ipotesi di una sindrome da compressione del nervo pudendo a livello delle sue radici (S2-S3-S4), per esiti traumatici da cadute sul coccige anche remote nel tempo, o esiti iatrogeni. Riteniamo che la MR sia da limitare ai casi in cui l’anamnesi suggerisca la possibile componente neurogena/compressiva/meccanica del disturbo. L’elettromiografia superficiale del pavimento pelvico è un test che non dovrebbe essere eseguito routinariamente: viene usata invece a scopo di ricerca, o quando la diagnosi di ipertono “miogeno” del muscolo elevatore (ossia determinato primariamente dalla contrazione muscolare dello stesso) opportunamente documentata, come avviene in caso di vaginismo primario di grado severo, è tale da richiedere un trattamento specifico con tossina botulinica.
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L’identificazione oggettiva di un ipertono del pavimento pelvico può essere ottenuta con varie tecniche. La più comune è la EMGs superficiale, che spesso è svolta come parte della valutazione del pavimento pelvico da parte di fisioterapisti/e e infermieri/e appropriatamente formati e preparati addestrati/e nella valutazione e gestione di pazienti con disfunzioni del pavimento pelvico. Nelle pazienti con ipertono si possono riscontrare i seguenti segni, in ordine di prevalenza: - attività basale a riposo elevata e instabile; - insufficiente recupero, insufficiente contrazione e rilassamento; - spasmo con contrazioni sostenute, ma poca forza.
Conclusioni Per la diagnosi accurata di vulvodinia, sono essenziali: anamnesi accuratissima, esame obiettivo strutturato e dettagliato con descrizione precisa della mappa del dolore (vulvare, mediovaginale ed eventualmente profondo).
Letture consigliate Graziottin A (2008) La percezione del dolore pelvico cronico nella donna: fattori predittivi e implicazioni cliniche. Urologia, vol.75, n. 2, pp 67-74 Graziottin A (2010) Psychogenic causes of chronic pelvic pain and impact of chronic pelvic pain on psychological status (including physical and sexual abuse). In: Vercellini P (ed) Chronic pelvic pain in women, John Wiley & Sons, (in press) Marinoff SC, Turner MLC (1992) Vulvar vestibulitis syndrome. Dermatologic Clinics 10:435-444 Moyal-Barracco M, Lynch PJ (2003) ISSVD terminology and classification of vulvodynia: a historical perspective. J Reprod Med 49:772-777 Neill SM, Tatnall FM, Cox NH (2002) Guidelines for the management of lichen sclerosus. British Journal of Dermatology 147:640–649 Pukall CF, Young RA, Roberts MJ et al (2007) The vulvalgesiometer as a device to measure genital pressure-pain threshold. Physiol Meas 28:1543-50 Sideri M, Murina F, Bianco V et al (2009) The Role of Vulvoscopy in the Evaluation of Dyspareunia. In: Goldstein A, Pukall C, Goldstein I (eds) Female Sexual Pain Disorders, 1 edn. Blackwell Publishing, pp 32-42
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Ogni terapia dovrebbe essere finalizzata alla cura dei meccanismi eziologici sottesi al disturbo e/o al processo fisiopatologico coinvolto. Questo obiettivo è difficile da raggiungere nel caso della vulvodinia, a causa dell’eterogeneità dei fattori implicati nell’eziologia del fenomeno. La vulvodinia, infatti, può essere il risultato finale o l’espressione comune di numerosi processi patologici, al punto che un’unica strategia medica può essere inadeguata ad affrontare tutti i casi che si presentano in consultazione. Molte donne affette da vulvodinia, d’altronde, sono scoraggiate e si trovano ad affrontare problemi psicologici, emotivi e persino spirituali. Il trattamento dovrebbe quindi essere olistico e prendere in considerazione non solo l’area primaria del dolore, ma anche il suo impatto globale sulla qualità di vita, sulla funzione sessuale e sulla relazione di coppia. Un medico preparato dovrebbe definire le priorità della terapia e coinvolgere, se necessario, un team specializzato nella cura del dolore e ogni altro professionista della salute che possa contribuire ad una terapia efficace. L’approccio multidisciplinare è indispensabile se sono presenti comorbilità, come succede in caso di sindrome della vescica dolorosa, di sindrome del colon irritabile, di endometriosi, specie se sono coinvolte localizzazioni extra-ginecologiche, e/o se sono presenti fattori predisponenti alle comorbilità, come è il caso dell’ipertono dell’elevatore dell’ano: comorbilità e cofattori etiopatogenetici che possono richiedere allora l’intervento, del gastroenterologo, del neurologo, dello psichiatra, dell’urologo, del fisioterapista, dello psicoterapeuta e/o dello psicologo clinico. È necessario chiedere alla paziente quali altre terapie abbia eventualmente seguito in passato e con quali risultati. È importante tenere presenVulvodinia. Alessandra Graziottin, Filippo Murina © Springer-Verlag Italia 2011
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ti queste informazioni, sempre però ricordando che non tutte le terapie sono somministrate nello stesso modo da tutti i medici e che non tutti i pazienti aderiscono alla terapia nel modo prescritto. La strategia terapeutica messa in atto contro la vulvodinia e il dolore cronico dovrebbe essere dunque multimodale e multidisciplinare. Un intervento multimodale consiste nell’uso di più terapie, in modo coordinato. Un intervento multidisciplinare prevede la partecipazione di più discipline mediche. La letteratura è concorde nell’affermare che i programmi di cura multidisciplinari sono più efficaci di quelli convenzionali nel ridurre l’intensità del dolore riferito dalla paziente.
Box 1. Vulvodinia: gli obiettivi della terapia G
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Ottimizzare il controllo del dolore, nella consapevolezza che una sua totale scomparsa potrebbe non essere possibile Ripristinare le funzioni lese dal disturbo e migliorare lo stato di benessere fisico e psicologico Ridurre al minimo la probabilità di eventi avversi Migliorare la qualità di vita
Le linee guida terapeutiche raccomandano un algoritmo standard per tutte le pazienti, ma noi riteniamo che contro la vulvodinia occorra un approccio più personalizzato, costruito sulla base di alcuni punti fermi che riflettano le differenze fra la vestibolodinia e la vulvodinia generalizzata. La nostra proposta deriva in particolare da un’analisi delle pazienti finalizzata a individuare eventuali sottogruppi fra loro differenti in funzione di un set di variabili relative al dolore, nonché personali.
Box 2. Punti fermi nella cura della vulvodinia G G G G G
Riduzione dei fattori scatenanti (trigger) e degli stimoli irritativi Blocco della nocicezione periferica Inibizione centrale Trattamento delle disfunzioni del pavimento pelvico associate Trattamento delle complicanze psicosessuali della sindrome dolorosa
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Riduzione dei fattori scatenanti e degli stimoli irritativi Uno stato infiammatorio, caratterizzato da iperattività dei mastociti, sottende la vulvodinia, specie nel sottogruppo di vestibulodinia provocata, associata a dispareunia introitale. Sono infatti chiari, in questa patologia, il legame fra infiammazione cronica e dolore cronico e il progressivo viraggio del dolore da nocicettivo, sintomo amico perché indicativo di un danno in corso, a neuropatico, che diventa malattia in sé. Il direttore d’orchestra di questo processo è il mastocita, iperattivato dal persistente stimolo infiammatorio. Un quadro clinico confermato dalle più recenti indagini istologiche, che indicano come, soprattutto nella vestibolite vulvare, si osservino: a) un incremento dei mastociti nella zona infiammata; b) un aumento del numero di mastociti degranulati; c) una stretta prossimità fra mastociti e fibre nervose del dolore; d) una proliferazione di tali fibre (con iperalgesia) e una loro progressiva superficializzazione (con allodinia), mediate dall’NGF rilasciato dai mastociti stessi. In questo contesto, il primo passo è ridurre gli stimoli agonisti che facilitano la degranulazione mastocitaria; il secondo è somministrare farmaci antagonisti della degranulazione stessa. Gli stimoli agonisti costituiscono un insieme eterogeneo e possono essere individuati in: a) infezioni e infiammazioni, di cui l’attore principe è la Candida albicans: ecco il razionale del trattamento con antimicotici sistemici per ridurre la Candida anche nel grande serbatoio intestinale, dove prolifera specie in seguito a cure antibiotiche; b) stimoli chimici locali: quali saponi, detergenti, idratanti, ma anche ammorbidenti per l’abbigliamento, tutte sostanze chimiche che possono iperattivare un mastocita già predisposto a degranulare per lo stato infiammatorio in corso, in una mucosa sottile e vulnerabile; c) stimoli fisici: spesso la vulvodinia compare dopo trattamenti locali con laser o diatermocoagulazione (per esempio per condilomatosi) che hanno attivato un’infiammazione neurogena con iperattività mastocitaria; d) fluttuazioni degli estrogeni, potenti degranulatori mastocitari: questo spiega i “flares”, i peggioramenti del dolore che circa un terzo delle donne con vulvodinia riporta in fase perimestruale, ed è il razionale di un intervento volto ad eliminare il ciclo (con progestinici o contraccettivi orali in continua); e) rapporto sessuale: la penetrazione rappresenta fattore precipitante della vestibulodinia (vulvodinia localizzata) per le microabrasioni che il
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coito determina sulla mucosa vestibolare in condizioni di secchezza vaginale, di mancata o inibita eccitazione a causa del dolore e della paura della penetrazione e dell’ipertono muscolare che restringe l’entrata vaginale. Questo è il razionale che porta a sconsigliare la penetrazione finché il muscolo non sia rilassato e l’iperalgesia vestibolare completamente risolta; f) stimolo neurogeno: il mastocita può degranulare anche per stimoli nervosi che viaggiano per via retrograda lungo le vie sensoriali. Questo dialogo stretto tra mastocita e fibra nervosa del dolore, ben dimostrato in ambito sperimentale, può spiegare sia la stretta interazione tra infiammazione cronica e dolore cronico, sia il peggioramento del dolore in condizioni di stress. Un approccio integrato per ridurre questi fattori agonisti della degranulazione mastocitaria è agire sugli stili di vita, come indicato nel box 3. Il mastocita può poi essere riportato ad una normale o più fisiologica funzionalità agendo, come anticipato, in modo antagonista sulla degranulazione, tramite principi attivi come la palmitoiletanolamide che agiscono sul recettore cannabinoidi del mastocita, riducendo la degranulazione e la liberazione di fattori infiammatori e di NGF nei tessuti. Ulteriori evidenze sono necessarie per fare di questo approccio una parte essenziale del trattamento multimodale della vulvodinia, specie nella variabile di vulvodinia localizzata (vestibolite vulvare). Data questa premessa, la paziente va da subito incoraggiata a seguire una serie di consigli relativi allo stile di vita per ridurre l’irritazione vulvare e i fattori agonisti della degranulazione mastocitaria. È questo il primo livello terapeutico che ogni medico dovrebbe raccomandare a tutte le pazienti affette da vulvodinia. La donna dovrebbe anche evitare gli agenti topici vaginali in generale, per ridurre il rischio di irritazioni, di reazioni allergiche a principi attivi o eccipienti, e di conseguente esacerbazione dei sintomi. Le reazioni della pelle e delle mucose alle medicazioni locali sono frequenti in corso di vulvodinia/vestibolite vulvare, e la responsabilità è spesso da attribuire alla base della crema o del gel, e quindi agli eccipienti, più che al principio attivo. Molti autori consigliano i gel o le pomate a base di lidocaina affinché possano essere usati dalle pazienti con vestibolodinia provocata per poter avere i rapporti sessuali: l’applicazione viene consigliata 15-20 minuti prima del rapprto, avvertendo la donna dei possibili effetti irritativi. In uno studio un gruppo di pazienti con vulvodinia, in gran parte provocata, è stata trattato con una pomata di lidocaina al 5% applicata senza vincoli di notte, e poi con un batuffolo imbevuto in una soluzione di lido-
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caina al 5% inserito nel vestibolo, sempre di notte: il follow-up ha rilevato un aumento del 36-76% di pazienti in grado di avere rapporti. Box 3. Misure preventive per ridurre o minimizzare l’irritazione vulvare G
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Ulizzare solo biancheria intima in cotone non colorato, o in seta naturale medicata con fibroina 100% senza sericina e nobilitata con un antimicrobico permanente non-migrante a base di ammonio quaternario Indossare pantaloni comodi o gonne, evitare i collant Usare solo detergenti intimi approvati dermatologicamente e ginecologicamente Usare carte igienica morbida, non colorata e non profumata Evitare l’uso di shampoo nell’area vulvare Non usare bagno schiuma, prodotti per igiene femminile, creme e saponi profumati Urinare prima che la vescica sia completamente piena Prevenire la stipsi assumendo fibre (se non vi è comorbilità con sindrome del colon irritabile) oppure preferire lassativi tipo macrogol e bere almeno 8 bicchieri d’acqua al giorno In caso di vaginiti recidivanti da candida, ridurre o eliminare i lieviti naturali e artificiali, gli zuccheri semplici (glucosio), In caso di intolleranza al glutine (celiachia), data la comorbilità tra stati infiammatori del colon e vaginiti recidivanti, effettuare dieta adeguata eliminando il glutine In caso di intolleranza al lattosio ridurre o eliminare i latticini, e provvedere ad adeguata introduzione di calcio (1000 mg al dì) Usare solo assorbenti e tamponi di cotone al 100% NON avere rapporti con penetrazione fino alla risoluzione della vulvodinia In caso di rapporti molto desiderati, usare sempre almeno un lubrificante idrosolubile In caso di bruciore dopo il rapporto, applicare del ghiaccio o un gel pack avviluppati in un asciugamano Dopo il rapporto, urinare (per prevenire le infezioni) e sciacquare la vulva con acqua fredda Evitare le attività fisiche che possano esercitare una pressione diretta sulla vulva, come andare in bicicletta o a cavallo Limitare le attività fisiche che provochino intensa frizione sull’area vulvare, preferendo per esempio le passeggiate alla corsa
Modificato da: “Self-Help Tips for Vulvar Skin Care” – National Vulvodynia Association - http://www.nva.org/Self_Help_Tips.html
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Box 4. Attenzione agli effetti negativi dei rapporti con anestetici! Purtroppo il consiglio di usare anestetici locali per avere rapporti non tiene conto di un aspetto fisiopatologico cruciale: la penetrazione con il muscolo elevatore contratto aumenta la probabilità di microabrasioni della mucosa dell’introito, mantenendo e aggravando perciò lo stato infiammatorio, l’iperattività mastocitaria, la proliferazione delle fibre del dolore e l’iperattività del muscolo elevatore, la quale peggiora la contrazione difensiva restringendo ulteriormente l’introito vaginale. Si crea perciò un circolo fisiopatologico vizioso che peggiora tutto il quadro algico. La pericolosità di questo consiglio è facile da comprendere: sarebbe come dire a chi ha una frattura alla gamba di mettere un anestetico potente per poter camminare. Camminerà (forse) anche, ma nel tempo il danno all’arto leso peggiorerà. L’obiettivo dei nostri interventi e consigli non è far avere rapporti comunque, ma guarire la vulvodinia perché la donna in prima persona possa ritrovare il piacere di far l’amore senza dolore. Nel corso della terapia è meglio consigliare l’astensione dalla penetrazione vaginale e ricorrere ad altre forme di intimità.
Alcune reazioni – eritemi, edemi – sono associate all’uso di anestetici topici. La benzocaina, un anestetico frequentemente usato in preparati da banco, dovrebbe per esempio essere comunque del tutto evitato perché spesso si associa a dermatiti allergiche da contatto. È anche importante avvertire la paziente dei potenziali effetti sul partner (ridotta sensibilità del pene), evitabili con il profilattico, e suggerirle di evitare i rapporti orali. I composti topici a base di estradiolo applicati sul vestibolo possono essere utili per le donne con una superficie vestibolare pallida e sottile. Le infezioni ricorrenti da lieviti possono essere un fattore scatenante; in tal caso può essere opportuna una terapia profilattica a lungo termine. Un trattamento settimanale a base di fluconazolo (150 o 200 mg) per 1-2 mesi si è dimostrato efficace nella prevenzione delle candidiasi vulvovaginali sintomatiche: una formulazione personalizzata e via via più leggera può consentire un’efficace prevenzione a lungo termine delle recidive.
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L’attenzione a ridurre o eliminare dalla dieta lieviti e zuccheri semplici come il glucosio (specie se esiste una predisposizione al diabete) può ridurre le vaginiti da Candida. Inoltre, data la comorbilità tra stati infiammatori del colon e vaginiti recidivanti, in caso di intolleranza al glutine (celiachia), effettuare una dieta adeguata eliminando il glutine; in caso di intolleranza al lattosio ridurre o eliminare i latticini, e provvedere ad adeguata introduzione di calcio (1000 mg al dì, 1500 mg se la donna è in gravidanza).
Come ridurre il dolore della vulvodinia • Con riduzione della componente algica mediante: a) Blocco/riduzione della nocicezione periferica. La stimolazione nervosa elettrica transcutanea (Transcutaneous electrical nerve stimulation, TENS) è una tecnica che consente di effettuare una neuromodulazione attraverso uno stimolo elettrico. È stata sviluppata nei primi anni Settanta come tecnica di screening, per selezionare le donne affette da dolore cronico che avessero la maggiore probabilità di ottenere un soddisfacente livello di miglioramento grazie all’impianto di uno stimolatore elettrico. Oggi numerosi trial clinici confermano l’utilità della TENS nella gestione del dolore cronico in patologie come le neuropatie croniche, la nevralgia post-erpetica e la nevralgia trigeminale. Si è dimostrato anche che la TENS può essere significativamente utile nella cura della vestibolodinia, ma è essenziale utilizzare parametri di stimolazione appropriati e validati. La TENS oggi può essere auto-somministrata dalla donna stessa a casa propria, dopo un breve periodo di addestramento, grazie a un dispositivo poco costoso. La nostra esperienza su 480 pazienti con vestibolodinia provocata mostra una risposta positiva dopo 10-15 sessioni (con una riduzione dei sintomi superiore al 50%), che tende a raggiungere il picco di massima efficacia dopo 25-35 sessioni. Nel complesso, per la vestibolodinia provocata, si rileva un tasso di risposta alla TENS del 65-75%.
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Box 5. Uso della TENS nella cura della vestibolodinia Il meccanismo si è rivelato efficace: G nel “pain gate control”, ossia nel blocco delle informazioni veicolate dalle fibre nocicettive, attraverso una stimolazione delle fibre Ab afferenti di grande diametro. Il meccanismo antalgico si realizza attraverso l’inibizione competitiva tra stimoli afferenti, provenienti dalla cute stimolata dalla TENS, e gli stimoli algici provenienti dalla cute vulvare o dalla mucosa vestibolare, a livello delle corna posteriori del midollo spinale. Qui si esplicita l’effetto antalgico, descritto per la prima volta da Melzack e Wall nel 1974, con la loro “Gate control theory”, la teoria del controllo di porta G nell’azione extrasegmentale, con il rilascio di oppioidi endogeni attraverso la stimolazione delle fibre sensoriali afferenti di piccolo diametro La stimolazione è fatta con una sonda vaginale di 20 mm di diametro e 110 mm di lunghezza, con due anelli trasversali d’oro come elettrodi. La sonda viene inserita in vagina per 20 mm
Il sistema nocicettivo si abitua meglio alla nuova situazione attraverso un graduale aumento degli intervalli fra le sessioni di TENS.
b) Farmaci orali. Una survey condotta fra i medici indica che i farmaci orali sono usati più per vulvodinia generalizzata che per la vestibolodinia provocata. 1. Gli antidepressivi triciclici (TCAs) costituiscono un’opzione farmacologica appropriata per il trattamento della vulvodinia, in particolare per il dolore spontaneo e generalizzato. Usata originariamente per la depressione, questa classe di farmaci è oggi comunemente prescritta per la cura del dolore cronico, e l’amitriptilina è fra i triciclici il principio più usato. Il razionale è che gli antidepressivi e, in particolare l’amitriptilina, hanno una potente azione anti-infiammatoria, probabilmente mediata da un’azione antagonista sulla degranulazione mastocitaria, cui si aggiunge un possibile effetto inibitorio sulla percezione del dolore di tipo centrale. La dose iniziale di amitriptilina deve essere bassa, e va aumentata gradualmente sino a quando la paziente risponde alla cura o manifesta inaccettabili effetti collaterali; inoltre non può essere interrotta improvvisamente, ma va ridotta gradualmente per evitare effetti indesiderati. Tali effetti, in alcuni casi, possono influenzare a tal punto la compliance da causare interruzione: un possibile problema che va discusso con la paziente.
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Gli effetti collaterali più comuni sono: fatica cronica (“fatigue”), secchezza alla bocca, aumento di peso, stipsi; talvolta possono verificarsi anche aritmie e altri disturbi cardiaci, motivo per cui il farmaco va usato con particolare cautela nelle pazienti anziane. Gli studi indicano comunque, per il dolore vulvare spontaneo, un tasso di risposta totale ai TCAs del 47%.
Box 6. Antidepressivi triciclici (TCAs) G G
G
G G
Il più usato dalle pazienti affette da vulvodinia è l’amitriptilina Iniziare con dosi basse e crescere gradualmente, con compresse da 10 mg tagliate a metà, oppure con gocce, considerando che ogni goccia equivale a 2 mg di amitriptilina Se il farmaco è tollerato, aumentare progressivamente la dose di 5 mg ogni 3-7 giorni, fino a 125-150 mg La dose media è di 60 mg al giorno Il farmaco va assunto 1-2 ore prima di andare a dormire, per ridurre al massimo la sedazione diurna e la “fatigue”
2. Gli inibitori della ricaptazione della serotonina e della noradrenalina (SNRIs) si sono dimostrati efficaci nella cura del dolore neuropatico, ma non finora sono stati studiati in modo approfondito in relazione al dolore vulvare. I risultati migliori sul dolore si raggiungono con dosi giornaliare di 225 mg di venlafaxina e di 60 mg di duloxetina. L’effetto antidolorifico è inferiore a quello degli antidepressivi triciclici, con un NNT (number-needed-to-treat) combinato di 5 per gli SNRIs e di 2,3 per i triciclici. Di conseguenza, le linee guida della European Federation of Neurological Societies raccomandano gli SNRIs come trattamento di seconda linea. 3. Altri farmaci utilizzabili per la vulvodinia sono il gabapentin e il pregabalin. Il gabapentin è un antiepilettico che ora è usato anche per curare il dolore cronico. Benché il pregabalin abbia un meccanismo d’azione simile a quello del gabapentin e ne condivida i vantaggi, come per esempio l’assenza di interazioni farmacocinetiche con altri medicinali o di induzione di enzimi, ci sono numerose differenze tra i due farmaci. A differenza del gabapentin, il pregabalin assunto oralmente presenta una farmacinetica lineare, con una bassa variabilità tra soggetti. Questo
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permette di stabilire una relazione dose-risposta più prevedibile, perché le concentrazioni plasmatiche crescono linearmente con la dose. Il gabapentin, invece, richiede dosaggi via via più elevati per ottenere un aumento nella concentrazione plasmatica: e in alcuni casi gli elevati dosaggi possono peggiorare gli effetti collaterali dipendenti dalla dose, come le vertigini e la sonnolenza. La farmacocinetica lineare del pregabalin consente di definire meglio il range di dosaggio efficace e può fornire una base per calcolare l’efficacia di regimi a dosaggio sia fisso sia variabile. Nonostante questi dati preclinici, non è chiaro se il pregabalin presenti anche un vantaggio clinico sul gabapentin, dal momento che i due farmaci non sono mai stati confrontati in trial clinici. L’accettabilità da parte della paziente, la tollerabilità e l’efficacia sono i criteri che orientano la scelta tra questi due principi attivi comunque molto efficaci soprattutto nel ridurre il bruciore vestibolare. Il 64% di donne con vulvodinia generalizzata ha una risoluzione almeno dell’80% dei sintomi e benché non ci siano studi specifici sulla vulvodinia, un report su un caso clinico indica che il pregabalin è efficace nel gestire il dolore nella vulvodinia generalizzata.
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Box 7. Gabapentin e Pregabalin G
G
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Il gabapentin può essere iniziato con dosi di 100 mg e poi gradualmente aumentato a due e poi a tre volte al giorno, aumentando poi gradualmente di 100 mg a somministrazione. La massima dose raccomandata è di 3200 mg al giorno Il pregabalin può partire da 25 mg, due volte al giorno, e – se efficace e ben tollerato – può aumentare nel giro di due settimane a 75 mg al giorno Effetti indesiderati: vertigini (8-43%), sonnolenza (6-30%), aumento di peso (5-20%), edema periferico (3-19%) e diplopia (2-13%)
La formulazione a gocce dell’amitriptilina consente un facile aumento graduale della dose (1 goccia = 2 mg).
Per un’eventuale terapia combinata è preferibile usare farmaci con meccanismi complementari.
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Le interazioni sinergiche fra antidepressivi e gabapentin/pregabalin, per esempio, sono non solo logiche, ma anche da incoraggiare perché l’uso di dosi più basse permette di ridurre gli effetti collaterali.
c) Iniezioni nei trigger point Nella cura della vestibolodinia può essere utile, in pazienti selezionate, il ricorso a terapie iniettabili, con l’obiettivo di disattivare i trigger point, mucosi, al vestibolo vaginale o muscolari, all’inserzione del muscolo elevatore sulla spina ischiatica, e quindi ridurre il dolore. Questo tipo di terapia dovrebbe essere adottato in combinazione con altri approcci e come trattamento complementare o residuale. Sono state suggerite diverse combinazioni di farmaci. Noi riteniamo che allo stato attuale delle conoscenze dovrebbero essere utilizzati solo queste combinazioni: corticosteroidi più anestetici e tossina botulinica (si veda anche la sezione sulle disfunzioni del pavimento pelvico) (Tabella 7.1). d) Blocco del nervo pudendo. Il blocco del nervo pudendo nel trattamento della nevralgia genitale è una tecnica molto usata da neurologi e anestesiologi. Le pazienti con nevralgia genitale tendono a localizzare i sintomi lungo la distribuzione del nervo. Noi riteniamo che non ci siano sostanziali differenze fra vulvodinia generalizzata e nevralgia genitale, cosicché il Tabella 7.1 Iniezioni nei trigger point Corticosteroidi + anestetici Metilprednisolone e lidocaine
Tossina botulinica Botulino tipo A
Razionale: - I corticosteroidi agiscono sulle alterazioni infiammatorie e da citochine (riduzione dei mastociti degranulati)
Razionale: - Per inibire l’ipertono del pavimento pelvico: iniettare nei muscoli del pavimento pelvico stesso
- Gli anestetici bloccano i canali del sodio e permettono di modulare bene il dolore anche a dosi basse e che non impediscano completamente la propagazione degli impulsi nervosi
- Per un effetto antinocicettivo diretto: iniettare nell’area dolente dell’epitelio vestibolare
Pazienti idonee alla terapia: Pazienti idonee alla terapia: - Pazienti con dispareunia (dolore provocato) - Pazienti con dispareunia (dolore provocato) - Solo dolore con localizzazione sub-uretrale - Pazienti con disfunzioni associate del e ben localizzato (due o tre punti) pavimento pelvico di tipo iperattivo
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Tabella 7.2 Nevralgia genitale vs vulvodinia generalizzata Nevralgia genitale
Vulvodinia generalizzata
Età media di esordio
Sesta decade della vita
Donne in post-menopausa
Definizione
Dolore che coinvolge la distribuzione sensoriale del nervo pudendo
Dolore lungo la distribuzione del nervo pudendo
Sintomi
Il dolore in genere è costante, può essere esacerbato stando sedute e diminuito stando in piedi
I sintomi sono spontanei e peggiorano in risposta a vari fattori; la manifestazione del dolore è altamente soggettiva
blocco del nervo pudendo può effettivamente costituire un’opzione terapeutica nelle pazienti con vulvodinia generalizzata (Tabella 7.2). Il protocollo più seguito prevede l’uso di anestetici locali e talora di corticosteroidi a tre livelli, due a livello della spina ischiatica e uno a livello del canale di Alcock. Non c’è consenso sul numero massimo di blocchi nervosi che possono essere somministrati e, benché sia riportato un tasso di risposta di circa il 60%, gli effetti a lungo termine della terapia sono per ora sconosciuti. Sono stati descritti vari approcci al blocco del nervo pudendo attraverso vie diverse: transvaginale, transperineale e transgluteale. Il principale problema di questi approcci è che sono pericolosi per la paziente, perché sono tecniche di intervento “alla cieca” in una regione vascolare vicina all’intestino e alla vescica. Devono essere effettuati preferibilmente da anestesisti con grande esperienza nei blocchi tronculari. L’approccio può essere guidato da differenti tecniche di imaging, basate sulla fluoroscopia o sulla tomografia computerizzata (Fig. 7.1). e) Chirurgia. L’escissione chirurgica del vestibolo può essere presa in considerazione in pazienti con vulvodinia locale provocata (vestibolodinia), dopo che le altre opzioni mediche antalgiche, farmacologiche, riabilitative e di blocco del nervo pudendo, quindi non chirurgiche, sono state tentate senza successo. La procedura che dà i migliori risultati è la “vestibolectomia modificata”, in cui vengono escisse una porzione del vestibolo a forma di ferro di cavallo e la piega delle piccole labbra, con successivo avanzamento della parete vaginale posteriore (Fig. 7.2).
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a
b
Fig. 7.1 a La palpazione con il dito serve per localizzare la spina ischiatica e il legamento sacro-spinoso per via vaginale. L’ago viene inserito attraverso la parete della vagina, diretto verso la spina e infine fatto passare attraverso il legamento sacro-spinoso. Non appena l’ago trapassa il legamento, si avverte una perdita di resistenza. b L’approccio perineale al blocco del nervo pudendo
vagina
hymen
a b
d c
Fig. 7.2 a-d Chirurgia per la vestibolodinia. La procedura consiste nell’escissione di una porzione a forma di U del vestibolo posteriore, tra la parte interna delle piccole labbra e la porzione inferiore dell’anello imenale, come indicato. Viene rimossa una sezione il più possibile sottile di tessuto, che viene inviata all’esame istopatologico. La mucosa vaginale viene estroflessa e unita alla pelle del perineo, suturando la porzione escissa con sutura riassorbibile a punti staccati, mentre il restante imene è usato come lembo
Il tasso di successo chirurgico va dal 40% al 100%, dove per “successo” si intende un notevole miglioramento dei sintomi o la completa guarigione. I fattori che limitano la possibilità di confronti diretti sono il numero delle pazienti trattate, la presenza di comorbilità associate come la sindrome della vescica dolorosa, la presenza di altri trattamenti medici in corso al momento dell’intervento, la tecnica usata, la definizione di “successo” e l’ampiezza del follow-up.
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Cionondimeno, il tasso medio di successo chirurgico del 70% rende questa opzione meritevole di considerazione. Ma innanzitutto, è cruciale la selezione delle pazienti. Inoltre, bisognerebbe garantire alla donna un adeguato counseling e supporto psicosessuologico prima e dopo l’operazione, anche perché una percentuale variabile (circa il 5-10%) può invece riportare un netto peggioramento del dolore dopo l’intervento stesso.
Box 8. Terapia chirurgica della vulvodinia Fattori predittivi di fallimento: G dolore vulvare diffuso e spontaneo, sintomi urinari, ipertono del pavimento pelvico Fattori predittivi di successo: dolore vestibolare provocato (dispareunia), limitato numero di punti dolenti, età relativamente giovane
G
Possibili complicanze: a breve termine: sanguinamenti, infezioni, ematomi, parziale riapertura dell’incisione G a lungo termine: cisti dei dotti del Bartolini (2-6%), aumento della sensibilità vestibolare (5%) G
• Con riduzione del dolore associato all’ipertono del muscolo elevatore dell’ano: a) Trattamento delle disfunzioni del pavimento pelvico associate. Per rilassare i muscoli del pavimento pelvico iperattivi o comunque contratti ci sono molti metodi efficaci. 1. La terapia fisica è efficace nel ridurre l’ipertono muscolare e include un ampio spettro di tecniche che possono essere utilizzate con profitto: esercizi di rilassamento, massaggio interno (vaginale) ed esterno, pressione sui trigger point, biofeedback elettromiografico e dilatatori vaginali. Spesso le pazienti non hanno “consapevolezza” dei loro muscoli pelvici: abituarsi a percepirne le tensioni durante la giornata è il primo passo per imparare a mantenerli rilassati. Le tecniche di biofeedback sono cruciali per raggiungere questo obiettivo. Con una sonda vaginale, la paziente il terapeuta possono monitorare
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l’attività del muscolo elevatore dell’ano; attraverso un accurato training, la donna impara a contrarlo e a rilassarlo. Le sessioni di solito durano da 20 a 30 minuti e hanno un tasso di successo medio del 60-80%. Le tecniche manuali – rilassamento miofasciale, rilassamento dei trigger point, mobilizzazione dei tessuti molli, massaggi – sono utili soprattutto per le pazienti con disturbi dolorosi miofasciali. Il lavoro può essere affiancato dall’addestramento all’uso di dilatatori vaginali per l’automassaggio. Anche il partner può essere addestrato in queste tecniche, in modo da poter aiutare la donna nella prosecuzione della terapia a casa. I dilatatori, in particolare, migliorano la propriocezione della muscolatura nelle fasi di contrazione e rilassamento; migliorando il controllo sull’entrata vaginale contribuiscono a ridurre l’ansia e la paura del dolore associati alla penetrazione. Aumentano il senso di controllo che la donna ha sull’evento che scatena il dolore, specie nella vestibulodinia provocata, associata quindi a dispareunia, e riducono la tendenza ad una contrazione difensiva involontaria che finirebbe per (ri)favorire microabrasioni e dolore. 2. Il muscolo elevatore dell’ano iperattivo può essere rilassato grazie all’iniezione intramuscolare di tossina botulinica, massimamente indicata nelle forme di ipertono “miogeno” più frequenti nella vestibulodinìa associata a dispareunia primaria (fin dai primi rapporti sessuali, lifelong), che è spesso sottesa da un vaginismo primario. L’azione primaria della neurotossina botulinica è la chemiodenervazione del muscolo tramite il blocco del rilascio presinaptico di acetilcolina alla giunzione neuromusculare, con conseguente paralisi (reversibile) del muscolo stesso. Nell’uso terapeutico, la tossina botulinica si è dimostrato efficace anche nella cura dei disturbi del pavimento pelvico caratterizzati da anomalie funzionali dei meccanismi di tensione e rilassamento dei muscoli, come il vaginismo. In questi casi, il botulino può essere iniettato anche nei muscoli bulbospongioso e pubococcigeo. La massima efficacia si ha tuttavia nell’iniezione sul centro tendineo del perineo e sul muscolo elevatore dell’ano, purché la terapia farmacologica sia associata ad adeguata terapia sessuologica e farmacologica degli altri fattori – fobici e psicodinamici – associati al vaginismo. La maggior parte degli studi sull’uso della tossina botulinica nella sindrome del dolore vulvare riguardano lo spasmo del pavimento pelvico e quindi l’inibizione della spasticità muscolare. Questi trial forniscono dati preliminari ottimistici che meritano ulteriori ricerche per stabilire il dosaggio standard e il numero ottimale di iniezioni.
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Box 9. Riabilitazione del pavimento pelvico G G
G
Biofeedback elettromiografico Rilassamento miofasciale: tecnica terapeutica manuale che utilizza uno stretching leggero per riattivare la mobilità miofasciale e la fisiologica lunghezza del muscolo Rilassamento dei trigger points miofasciali: insieme di tecniche manuali utilizzate per eliminare i punti di dolorabilità
La cura delle disfunzioni del pavimento pelvico deve essere parte integrante di un programma di trattamento multimodale. Il fisioterapista esperto di vulvodinia deve essere coinvolto nella terapia interdisciplinare del disturbo.
Trattamento delle complicanze psicosessuali della sindrome dolorosa Il dolore vulvare coinvolge aspetti fisici, psicologici e relazionali. Le pazienti hanno dunque bisogno anche di un counseling sessuale e un supporto emotivo. Si dovrebbe sempre indagare la presenza di problemi sessuali che possano costituire un fattore predisponente, precipitante o di mantenimento della vulvodinia, come pregressi abusi fisici o sessuali, nonché esperienze emotive avverse (per esempio, divorzio dei genitori, aborti, parti difficoltosi). Dal momento che la convivenza con il dolore genitale cronico ha spesso conseguenze sul piano psicosessuale, alcune pazienti possono trarre beneficio da un counseling o da una terapia sessuologica. Una terapia cognitivo-comportamentale è per esempio un approccio psicologico utile a ridurre il dolore vulvare e a migliorare la risposta sessuale. È importante tenere presente che la riduzione della dispareunia in sé non porta necessariamente al recupero della funzione sessuale, soprattutto nelle donne con una vulvodinia di lungo periodo. In questi casi, la terapia sessuologica, il counseling di coppia, la psicoterapia, o una loro combinazione è molto utile e, spesso, richiede un numero limitato di sedute.
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E ora traduciamo la teoria in pratica… Il caso di Giulia – 31 anni, senza figli; – ha rapporti completi senza problemi fino a tre anni fa, quando viene curata per una grave infezione vescicale. Gli antibiotici però provocano un’infezione da Candida; – lamenta dispareunia, con dolore pungente e bruciante nel vestibolo, durante e dopo i rapporti; – i rapporti sono diventati sempre più dolorosi, al punto che ormai evita ogni forma di intimità.
Moderato ipertono del pavimento pelvico (punteggio: 2)
Swab test grave Fig. 7.3 Esame obiettivo della paziente
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Diagnosi Vestibolodinia provocata
Misure per minimizzare l’irritazione vulvare
È il primo approccio terapeutico che dovrebbe essere in atto per qualsiasi paziente affetta da vulvodinia, indipendentemente dal sottotipo di disturbo
Riduzione dei fattori scatenanti (trigger)
- Prevenzione delle infezioni ricorrenti da lieviti con fluconazolo 150-200 mg alla settimana, per 1-2 mesi - Evitare i rapporti finché l’iperalgesia vestibolare non è scomparsa grazie alla terapia multimodale - Alla ripresa dei rapporti, profilassi antibiotica postcoitale (ciprofloxacina 250 mg o levoxacina 200 mg 20-30 minuti dopo il rapporto) per prevenire le infezioni post-coitali del tratto urinario
Stimolazione nervosa elettrica transcutanea (TENS) + riabilitazione del pavimento pelvico
La riabilitazione del pavimento pelvico non deve essere usata se il punteggio di ipertonicità è zero o oppure 1, perché in questo caso la TENS può risolvere da sola l’alterazione muscolare e l’ipersensibilità
Dopo 15-20 sedute di TENS e la riabilitazione del pavimento pelvico, Giulia si sente meglio (il punteggio di dispareunia è 1), ma il problema non è ancora del tutto risolto
Iniezione dei trigger point
Counselling psicosessuale
L’infiltrazione vestibolare di metilprednisolone e lidocaina o di tossina botulinica A può aiutare a risolvere un disagio residuale che sia ben localizzato Per molte pazienti, l’esperienza sessuale può essere dolorosa per molto tempo, oppure assente proprio a causa del dolore. Ne può derivare un atteggiamento negativo verso il sesso o verso la relazione con il partner. Per questa ragione, un competente supporto psicologico può giocare un ruolo prezionso.
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Il caso di Sabrina – 53 anni; – da 4 anni lamenta dolore cronico alla vulva; – tutto è iniziato con un senso di disagio, accompagnato da bruciore, dolore e la sensazione di avere delle punture; – inizialmente le crisi di dolore sono intermittenti e durano ogni volta un paio di giorni; – alla paziente sono stati somministrati ormoni e corticosteroidi, senza alcun miglioramento; – dopo un anno, il dolore è diventato costante e diffuso, caratterizzato da un bruciore continuo e un’aumentata sensibilità agli stimoli tattili; – sulla scala analogica visuale (VAS) graduata da 0 a 10, Sabrina ha quantificato 7 il dolore che prova; – ora non può più indossare indumenti attillati; – gli analgesici hanno portato un piccolo miglioramento e ora Sabrina riferisce una leggera riduzione dei sintomi quando sta sdraiata (punteggio sulla VAS: 3).
Fig. 7.4 L’esame ginecologico, inclusa vulvoscopia, non ha rivelato alcuna anomalia
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Diagnosi Vulvodinia generalizzata
Misure per minimizzare l’irritazione vulvare
Amitriptilina 10 mg/die con aumento di 5 mg ogni 3-7 giorni fino a 30-40 mg
È il primo approccio terapeutico che dovrebbe essere in atto per qualsiasi paziente affetta da vulvodinia, indipendentemente dal sottotipo di disturbo
Aumetare gradualmente il dosaggio dei farmaci per ridurre l’impatto degli effetti collaterali
Pregabalin 25 mg due volte al giorno con aumento a 50 mg dopo 5-7 giorni
Dopo 20 giorni Sabrina sta meglio (VAS: 2-3), ma accusa stipsi e sonnolenza
Ridurre progressivamente il dosaggio dell’amitriptilina, in associazione a un SNRI (per esempio, duloxetina 30 mg)
Gli antidipressivi tecnici e gli SNRI possono essere combinati per mantenere l’efficacia e ridurre gli effetti collaterali
Conclusioni La vulvodinia, spontanea o provocata, localizzata o generalizzata, è un problema medico serio, di grande rilevanza per la salute e la qualità di vita della donna. Ha un’etiopatogenesi complessa, multifattoriale, non ancora ben compresa nella progressione fisiopatologica. È molto probabile che il termine vulvodinia includa pazienti molto eterogenee per etiopatogenesi del disturbo, specie rispetto ai fattori predisponenti, precipitanti e di mantenimento.
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Di certo, soprattutto nel gruppo delle vulvodinie localizzate e provocate (già note come sindrome della vestibolite vulvare), sono chiarissimi il legame fra infiammazione cronica e dolore cronico, e il progressivo viraggio del dolore da nocicettivo, sintomo amico perché indicativo di un danno in corso, a neuropatico, che diventa malattia in sé. Il direttore d’orchestra di questo processo, come abbiamo visto, è il mastocita, iperattivato dal persistente stimolo infiammatorio. Ecco perché un filone particolarmente fecondo di ricerca si sta concentrando sulla comprensione del ruolo preciso del mastocita e su come modularne l’iperattività con interventi farmacologici mirati. Nelle forme di vulvodinia generalizzata e spontanea, invece, il dolore neurogeno e neuropatico ha perso, per lo meno nella nostra capacità di valutazione clinica, il legame con lo stato infiammatorio. Sono quindi necessari ulteriori studi per comprendere meglio la fisiopatologia sottesa alla vulvodinia nei suoi vari sottotipi. In parallelo, tuttavia, è possibile aiutare in modo consistente le pazienti affette da vulvodinia con un approccio multimodale volto a rimuovere i fattori predisponenti, precipitanti e di mantenimento del disturbo. La terapia integrata richiede di eliminare o almeno attenuare gli stimoli infiammatori che iperattivano i mastociti attraverso una modificazione degli stili di vita, ridurre il dolore con interventi farmacologici e analgesici locali e sistemici, rilassare il muscolo elevatore dell’ano contratto mediante interventi fisioterapici, riabilitativi e farmacologici (tossina botulinica). Sono inoltre fondamentali una modulazione dello stato affettivo associato al dolore con antidepressivi o ansiolitici, quando indicati, e un supporto psicologico quando pregresse esperienze negative o problemi di coppia richiedano questo tipo di aiuto. Infine, in caso di comorbilità, è indispensabile una collaborazione stretta con gli altri specialisti competenti nelle varie patologie. Grazie a questa collaborazione clinica e di ricerca è possibile ridare alle donne colpite da vulvodinia la speranza di un futuro senza dolore.
Letture consigliate Attal N, Cruccu G, Haanpaa M et al (2006) EFNS guidelines on pharmacological treatment of neuropathic pain. Eur J Neurol 13:1153-1169 Bertolasi L, Frasson E, Cappelletti JY et al (2009) Botulinum neurotoxin type A injections for vaginismus secondary to vulvar vestibulitis syndrome. Obstet Gynecol 114:1008-1016 Bertolasi L, Frasson E, Graziottin A (2008) Botulinum toxin treatment of pelvic floor disorders and genital pain in women. Current Women’s Health Reviews 4:185-192
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Premessa Quanto può fare l’abbigliamento nel farci guarire, o ammalare? Evidenze consolidate indicano come tessuti sintetici, coloranti, ma anche detersivi e ammorbidenti i cui residui permangono nei tessuti, possano concorrere a causare e/o mantenere patologie cutanee di tipo infiammatorio, allergico e irritativo. In positivo, crescenti ricerche evidenziano come i tessuti naturali, opportunamente trattati, possano invece diventare strumenti integranti di un progetto terapeutico multimodale.
Obiettivo Analizzare la possibilità di integrare la terapia delle vulviti recidivanti, e del Lichen sclerosus, utilizzando una maglia di seta naturale medicata, costituita da fibroina 100% senza sericina e nobilitata con un antimicrobico permanente non-migrante a base di ammonio quaternario (Tabella 1), che protegge dalla contaminazione batterica e fungina.
Metodo Revisione della letteratura e delle evidenze che hanno portato il tessuto di maglia di seta naturale medicata, costituita da fibroina 100%, senza seri-
Vulvodinia. Alessandra Graziottin, Filippo Murina © Springer-Verlag Italia 2011
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cina ad essere inserito nelle linee guida europee per il trattamento della dermatite atopica e ad essere considerato per la terapia delle vulviti infiammatorie e del Lichen sclerosus. Tabella 1 L’efficacia e la sicurezza di un antimicrobico permanente L’abbigliamento terapeutico a base di fibroina di seta è nobilitato con l’antimicrobico AEM 5772/5 che esalta le proprietà della pura seta a maglia, esercitando un controllo efficace sulla crescita di batteri e funghi senza alterare la naturale flora cutanea [9]. AEM 5772/5 è un antimicrobico brevettato, non migrante e ad ampio spettro d’azione, utilizzato da oltre 30 anni in campo medico come agente protettivo nei tessuti delle sale operatorie e nella biancheria da letto ospedaliera. La capacità antimicrobica è data dall’ammonio quaternario che, attraverso un silane, si lega alla fibra di seta con un legame covalente perenne. A diretto contatto con i microrganismi, il sistema Microrganismo AEM 5772/5 distrugge fisicamente la membrana Distruzione della cellulare tramite scambio ionico (electrocution) membrana e causando la morte istantanea della cellula. A diffemorte della cellula renza degli antimicrobici convenzionali (per esempio triclosan o argento), non vi è avvelenamento chimico delle cellule e, di conseguenza, i microrganismi non possono sviluppare resistenza all’antimicrobico AEM 5772/5 [13, 14]. Questo Superficie del tessuto processo avviene a livello microscopico grazie ad oltre 1000 unità antimicrobiche che in media entrano in contatto con un microbo. Lo spettro d’azione di AEM 5772/5 è molto vasto, interessando la maggior parte dei microrganismi patogeni aerobici (batteri, funghi e lieviti) [15]. Inoltre, la forza del legame covalente è tale da assicurare che non vi sia alcuna perdita di antimicrobico dal tessuto [13, 14] e di conseguenza nessun assorbimento cutaneo [9]. La sua efficacia rimane inalterata per l’intera vita del tessuto.
Risultati È stata recentemente sviluppata un’innovativa linea di abbigliamento terapeutico per adulti e bambini, appositamente studiata per persone con pelle atopica e sensibile, che si è dimostrata efficace nella gestione di diverse malattie infiammatorie della cute. Classificata come Dispositivo Medico di Classe I, è realizzata in una speciale maglia di seta medicata, costituita da fibroina 100%, senza sericina e nobilitata con un antimicrobico permanente non-migrante a base di ammonio quaternario. L’ammonio
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quaternario resta dunque permanentemente legato al tessuto (in questo senso, “non migrante”). Questo consente un’eccellente attività di modulazione della crescita batterica cutanea senza alcun assorbimento del principio attivo, prevenendo ogni rischio di tossicità, cutanea e sistemica. Studi clinici pubblicati hanno confermato la sua efficacia nel trattamento della dermatite atopica in quanto aiuta a ridurre prurito, sudore e sintomi infiammatori, migliorando le lesioni cutanee [1-3, 5]. Grazie alle evidenze cliniche, nel 2009 il prodotto è stata inserito nelle Linee Guida Europee ETFAD/EADV per il trattamento della dermatite atopica (Tabella 3). Recenti studi hanno inoltre dimostrato la sua efficacia nel trattamento di patologie infiammatorie vulvari, come il Lichen sclerosus (Tabella 4) e la candidosi vulvovaginale ricorrente (Tabella 5). Il prodotto è attualmente disponibile in molti Paesi europei, dove è prescritto da Specialisti in Allergologia, Pediatria e Dermatologia. In molti di questi Paesi, è rimborsato dal Servizio Sanitario Nazionale o dalle Assicurazioni Private (Tabella 2). Tabella 2 Rimborso previsto in molti Paesi europei Sulla base dell’evidenza scientifica e delle valutazioni positive sul rapporto costi/benefici, l’abbigliamento terapeutico a base di fibroina di seta ha già ottenuto il rimborso dal Servizio Sanitario Nazionale e dalle Assicurazioni Private nei seguenti Paesi: Regno Unito, Olanda, Svizzera, Svezia e Austria. In altri paesi, come Francia, Belgio, Repubblica Ceca, Slovacchia, Australia e Nuova Zelanda, è in corso la richiesta di rimborso.
Tabella 3 L’efficacia della fibroina di seta nella dermatite atopica L’efficacia della fibroina di seta nella dermatite atopica (DA) è stata dimostrata in molti studi clinici pubblicati. Il prodotto è stato inserito nelle Linee Guida Europee ETFAD/EADV 2009 per il trattamento della dermatite atopica [16], dove se ne suggerisce l’uso in tutte le fasi, a partire dal grado lieve fino a quello moderato/severo, grazie all’efficacia della protezione antibatterica e antimicotica. Estratti dagli studi clinici pubblicati [1] Ricci G et al (2004) Clinical effectiveness of a silk fabric in the treatment of atopic dermatitis. British Journal of Dermatology 150:127-131. “Nel nostro studio i bambini che hanno indossato l’abbigliamento terapeutico in fibroina di seta hanno mostrato un miglioramento statisticamente significativo dei loro sintomi (p=0,003), mentre coloro che hanno indossato il cotone non hanno mostrato miglioramenti significativi. (cont. 씮)
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Tabella 3 (continua) Inoltre, abbiamo visto un miglioramento nell’area cutanea coperta dal tessuto in fibroina di seta (p=0,001), mentre, nello stesso bambino, l’area similare ma non coperta è rimasta prevalentemente stabile. Inoltre, i genitori dei bambini hanno segnalato un miglioramento delle lesioni cutanee e una diminuzione del prurito e del grattamento (…)”. “In conclusione, l’uso della fibroina di seta sembra alleviare i sintomi della DA nei bambini e può rappresentare un utile strumento nella gestione della DA”. [2] Senti G et al (2006) Antimicrobial silk clothing in the treatment of atopic dermatitis proves comparable to topical corticosteroid treatment. Dermatology 213:228-233. “(…) I bambini arruolati hanno indossato degli indumenti, dove la parte sinistra era realizzata in fibroina di seta e la parte destra era fatta in cotone. Il braccio e la gamba destra sono inoltre stati trattati quotidianamente con il corticosteroide mometasone per 7 giorni”. “Questo studio dimostra, attraverso una comparazione destra-sinistra nello stesso paziente, che il tessuto in fibroina di seta con proprietà antimicrobiche ha esercitato un’efficacia clinica nel trattamento della DA. Questa efficacia è stata equiparabile a quella ottenuta trattando il paziente con un corticosteroide topico di classe III e quindi è da considerarsi valida quanto l’attuale terapia standard della DA. Il fatto che, nel nostro studio, le aree trattate con fibroina di seta abbiano risposto come quelle trattate con il corticosteroide dimostra l’efficacia di questo tessuto nobilitato come approccio terapeutico nella DA. Quindi, il trattamento della DA con tessuti di seta nobilitata potrebbe diventare una valida alternativa terapeutica al trattamento con i corticosteroidi, soprattutto per i bambini i cui genitori sono riluttanti all’uso dei corticosteroidi topici”. [3] Koller DY et al (2007) Action of a silk fabric treated with AEGIS in children with atopic dermatitis: a 3-month trial. Pediatric Allergy Immunology 18:335-338. “Questo è uno studio randomizzato in cieco sull’efficacia della fibroina di seta senza sericina paragonata al cotone, in bambini affetti da dermatite atopica (…) Durante l’intero periodo dello studio è stato consentito esclusivamente l’uso di antistaminici sistemici ed emollienti (…) All’inizio dello studio entrambe le aree cubitali non presentavano differenze significative. Dopo 2 settimane, il punteggio d’intensità dell’area coperta con la fibroina di seta aveva subito una notevole diminuzione (…) miglioramenti clinici significativi nelle braccia coperte con la fibroina di seta sono stati osservati anche dopo 4,8 e 12 settimane”. “Dal momento che molti pazienti affetti da dermatite atopica sono colonizzati dallo stafilococco Aureo, si potrebbe ipotizzare che i benefici portati dal prodotto nel nostro studio sono dovuti anche alle sue proprietà antimicrobiche (…) oltre che alle sue proprietà non irritative…”. ”In conclusione, il prodotto è utile nel trattamento dei bambini con dermatite atopica da media a moderata. L’efficacia è dovuta alle caratteristiche di questo nuovo tessuto: (I) morbidezza senza irritazione della pelle, (II) nessuna sensibilizzazione grazie all’assenza di sericina, (III) mantenimento dell’equilibrio idrico della pelle e assorbimento del sudore e (IV) proprietà antibatteriche e antimicotiche, grazie al trattamento antimicrobico resistente all’acqua (…)” . [5] Stinco G et al (2008) A randomized double-blind study to investigate the cinical efficacy of adding an on-migrating antimicrobial to a special silk fabric in the treatment of atopic dermatitis. Dermatology 217:191-195. (cont. 씮)
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Tabella 3 (continua) “Questo studio dimostra l’importanza di aggiungere l’antimicrobico AEM 5772/5 alla speciale maglia di fibroina di seta per il miglioramento a lungo termine dei sintomi della dermatite atopica”. “In conclusione, il prodotto ha mostrato di essere più efficace del cotone e della seta senza antimicrobico nel trattamento della DA, come dimostrato negli studi precedenti. (…) Questa innovativa combinazione di una speciale maglia di fibroina di seta, senza sericina con un antimicrobico non-migrante, rappresenta un importante passo in avanti nell’utilizzo della seta come elemento terapeutico nella gestione della DA”.
Tabella 4 Efficacia della fibroina di seta nel lichen scleroso vulvare [7] D’Antuono et al (2009) DermaSilk®: a useful therapeutic aid against Lichen Sclerosus in women. Poster presentation at the 84th SIDeMaST National Congress. “È stato condotto uno studio randomizzato in doppio cieco contro placebo, fibroina di seta versus cotone, per valutare se la sicurezza, tollerabilità ed efficacia dell’intimo in fibroina di seta (…) sono inferiori, uguali o superiori a quelle dell’intimo di cotone bianco in pazienti affette da lichen scleroso vulvare (…). Ogni donna (…) ha ricevuto la prescrizione di una terapia specifica standard a base di topici cortisonici ed emollienti con vitamina E”. “Le valutazioni sono state condotte dopo 1 e 6 mesi (…). Dopo sei mesi tutte le donne hanno ottenuto un miglioramento, parziale o totale, della sintomatologia obiettiva e soggettiva. I dati ottenuti indicano risultati nettamente migliori nei casi in cui è stato utilizzato l’intimo in fibroina di seta, rispetto ai casi in cui è stato utilizzato il cotone (…). Con l’utilizzo di questo materiale, il miglioramento dei parametri soggettivi è stato significativamente più marcato, rapido e duraturo, in particolare per quanto riguarda prurito, bruciore, dolore, secchezza e dispareunia. Anche l’esame obiettivo ha messo in evidenza un più netto miglioramento dei parametri nelle pazienti che avevano indossato la fibroina di seta (…). Tutte le pazienti hanno dichiarato di volere continuare l’uso di slip in fibroina di seta anche oltre il periodo di osservazione. (…). Lo studio dimostra come questi indumenti intimi rappresentino un utilissimo ausilio terapeutico per le donne affette da lichen scleroso vulvare”.
Conclusioni Le evidenze accumulate nella terapia multimodale della dermatite atopica e le evidenze emergenti nell’ambito della dermatologia vulvare, suggeriscono che il tessuto di maglia di seta naturale medicata, costituita da fibroina 100% senza sericina e nobilitata con un antimicrobico permanente non-migrante a base di ammonio quaternario, può costituire un valido strumento di prevenzione e di terapia delle vulviti micotiche e batteriche, e del Lichen sclerosus, da collocare nell’ambito delle strategie di cura multimodali appropriate per queste patologie. Studi ulteriori sono
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necessari per meglio definire lo spazio preventivo-terapeutico di questo tessuto in ambito ginecologico, dalla ginecologia pediatrica alla ginecologia della terza età. Box. Le proprietà del tessuto terapeutico I capi della linea di abbigliamento terapeutico sono realizzati in pura fibroina di seta 100% e sono stati privati della sericina, sostanza normalmente presente nella seta che in rari casi può provocare reazioni allergiche. Non sono stati utilizzati né sbiancanti, né coloranti o altri trattamenti che possono irritare la pelle. La fibroina è una proteina molto simile al capello per struttura fisica e chimica. Una delle sue componenti fondamentali è la serina, un aminoacido contenuto nel Fattore Naturale di Idratazione (Natural Moisturizing Factor – NMF). Lunga fino a 800900 metri, la fibra di seta è perfettamente liscia ed evita quindi frizioni meccaniche e irritazioni. È utilizzata come filo di sutura non irritante in chirurgia e può essere applicata a diretto contatto con la cute lesa e ustionata. La combinazione della pura fibroina di seta a maglia con l’antimicrobico permanente sviluppa proprietà uniche: G aiuta a controllare e prevenire la colonizzazione di batteri e funghi [11, 12, 15] senza alterare la naturale flora cutanea (Tabella 1); G il filo utilizzato e la speciale lavorazione a maglia le conferiscono una traspirazione molto elevata, contribuendo a mantenere la pelle fresca e asciutta, e controllando la sudorazione; G favorisce il giusto equilibrio idrolipidico svolgendo un’azione emolliente e lenitiva. Grazie alla sua capacità igroscopica, il prodotto assorbe umidità fino al 30% del proprio peso restando asciutto (ideale per lo strato corneo, il cui equilibrio è garantito da una percentuale d’acqua tra il 10 e il 35%). Elimina rapidamente l’umidità in eccesso, risultando confortevole anche in presenza di forte sudorazione. La pelle si mantiene asciutta e idratata, grazie alla naturale riserva di umidità trattenuta dalle fibre; G riduce le forti sudorazioni che aggravano la secchezza cutanea. Essendo una fibra di origine animale, la seta ha la proprietà di mantenere la temperatura corporea anche in condizioni di eccessiva umidità (capacità termoregolatrice). A differenza di quanto avviene con i tessuti sintetici e di origine vegetale (cotone, lino), il sudore assorbito non si raffredda mai e, di conseguenza, non stimola quell’innalzamento della temperatura corporea che provocherebbe una nuova sudorazione: in questo modo, favorisce l’interruzione di quel circolo vizioso di “sudorazione-raffreddamento-sudorazione” che aggrava la secchezza della cute. Studi scientifici dimostrano l’efficacia della seta senza sericina nel ridurre il prurito e sintomi infiammatori [1-8], favorendo il ripristino della funzione barriera della cute.
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L’uso e il lavaggio del tessuto sono molto semplici. Utilizzato come un normale abbigliamento intimo al posto del cotone, può essere utilizzato in combinazione con qualsiasi trattamento farmacologico, non rilascia alcuna sostanza e non ha effetti collaterali. Può essere lavato a mano o in lavatrice a 30-40°C con shampoo neutro. L’antimicrobico non viene rimosso dai lavaggi, quindi rimane attivo per l’intera vita del capo.
Tabella 5 Efficacia della fibroina di seta nella candidosi vulvovaginale ricorrente [8] D’Antuono et al (2010) Use of DermaSilk textile in recurrent Vulvovaginal Candidiasis. Poster presentation at the 86th SIGO Congress, Milan. “È stato condotto uno studio randomizzato in doppio cieco contro placebo, fibroina di seta versus cotone. Nel nostro studio abbiamo reclutato 100 donne, di cui 96 hanno terminato lo studio, che si erano rivolte al nostro Centro (…) per candidosi vulvovaginale ricorrente di lungo corso (da 1 a 6 anni, tempo medio 2,4 anni). Tutte le pazienti erano state già trattate con fluconazolo una volta alla settimana per un periodo superiore ai 6 mesi, ma non avevano ottenuto una remissione completa e continuavano a presentare ricadute ed irritazione vulvare, talvolta anche durante il trattamento. Al momento dell’arruolamento, le pazienti presentavano un episodio di candidosi vulvovaginale con coltura delle secrezioni vaginali positiva per la Candida e una vaginite con grado di severità * 3 (Sobel et al.). Le donne che hanno partecipato allo studio sono state trattate con fluconazolo 150 mg/settimana per 6 mesi. Inoltre, a ciascuna paziente è stato consegnata una busta sigillata contenente 3 paia di slip a base di fibroina di seta o di slip in cotone bianco (…)”. “Nel presente studio, l’uso degli slip a base di fibroina di seta ha evidenziato migliori risultati rispetto al cotone per quanto riguarda prurito, bruciore ed eritema (…). L’uso di questi slip sembra diminuire il numero delle ricadute di candidosi vulvovaginale durante il trattamento antimicotico, rispetto agli slip in cotone”. “L’intimo in fibroina di seta potrebbe essere un valido aiuto, privo di effetti collaterali, che può essere aggiunto al trattamento antimicotico classico in pazienti che non rispondono completamente o che sono difficili da trattare per diminuire il discomfort dell’area vulvare”.
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Chemical Test: Certifies that the polymerised antimicrobial on DermaSilk silk knitwear does not leach into the environment, even after washing, and does not transfer any substance onto the skin. (Mandrioli P; CNR – Istituto ISAC – Bologna, Italy) Microbiological Test: Certifies that the polymerised antimicrobial on DermaSilk silk knitwear does not alter the natural bacterial flora of the skin. (Mandrioli P; CNR – Istituto ISAC – Bologna, Italy) Microbiological Test: Certifies that the polymerised antimicrobial on DermaSilk silk knitwear performs a biocide action against the fungus Malassezia Furfur. (Mandrioli P; CNR – Istituto ISAC – Bologna, Italy) Microbiological Test: Certifies that the polymerised antimicrobial on DermaSilk silk knitwear prevents the growth of the bacterium Staphylococcus aureus without releasing substances into the environment (Stazione Sperimentale del Politecnico di Milano, Italia) Sambri V et al (2009) In vitro evaluation of the bio-activity of different fabrics for underwear against Lactobacillus acidophilus, Staph. epidermidis, Staph. aureus and Candica albicans. Poster presentation, EAACI Congress, Warsaw 2009
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“Evaluation of antibacterial properties of textiles”. The Italian Pulp and Paper Research Institute “Evaluation of effects on elevated levels of normal skin bacterial flora with fabrics treated with 3-(trimethoxysilyl) propyldimethyloctadecyl ammonium chloride” W. Curtis White and Benny L. Triplett Darsow U et al. “ETFAD/EADV Eczema Task Force 2009 position paper on diagnosis and treatment of atopic dermatitis”, JEADV 2009 Ricci G et al (2006) Use of Textiles in Atopic Dermatitis, Biofunctional Textiles and the Skin. Curr Probl Dermatol, Basel, Karger, vol 33, pp 127-143 Haug S et al (2006) Coated Textiles in the Treatment of Atopic Dermatitis, Biofunctional Textiles and the Skin. Curr Probl Dermatol, Basel, Karger, vol 33, pp 144-151